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«La prima volta che l'ho vista eravamo insieme, ricordi? Tu avevi quel tuo
dannatissimo elenco in mano. A uno come te non è mai servito, memorizzi i nomi
come nessun altro.»
Base stellare
1
Data: 16 Marzo
2264
Nove mesi
prima
Il capitano James T. Kirk osservava il nuovo equipaggio salire
sull'Enterprise a piccoli gruppi. Rivide i volti di chi aveva già affrontato lo
spazio insieme a lui almeno una volta e salutò i nuovi arrivati come si confà a
un vero leader. Divise rosse, blu e dorate gli sfilavano davanti, insieme ai
volti di chi le indossava. Accanto a Jim si trovava Leonard McCoy, “Bones”, le
braccia incrociate al petto, lo sguardo torvo. Anni a bordo dell'Enterprise non
lo avevano affatto messo a suo agio a contatto con il cosmo, anzi, sembrava
proprio il contrario. Andare nello spazio continuava a renderlo nervoso e
intrattabile, come se in lui si scatenasse un'improvvisa e detestabile
orticaria.
La USS Enterprise era pronta a salpare ancora una volta, diretta verso lo
spazio profondo, per una missione di esplorazione della durata di cinque anni.
Come per ogni altra missione, Jim aveva voluto accanto i suoi uomini più
fidati, diventati amici ormai, insieme alle nuove reclute che aveva scelto
personalmente.
Fermo accanto a Bones, il capitano stava osservando proprio i nuovi
arrivati, nello stesso modo in cui avrebbe guardato qualcuno di cui si sarebbe
sempre preso cura. Un gruppetto di giovani passò davanti a Jim e il medico, le
divise colorate indosso. L'unica ragazza del gruppo, vestita nel rosso della
divisione ingegneristica, sfilò insieme agli altri davanti a Kirk e gli
sorrise.
«Capitano. Dottore» salutò, spostando lo sguardo su Bones. Anche
quest'ultimo guardò la ragazza, incrociò i suoi occhi e rimase a osservarla
passare oltre.
A McCoy parve di vedere un ricordo per quanto era bella, uno di quei
ricordi preziosi, che emanano un senso di pace ogni volta che vengono vissuti. Nella
sua testa si delineò chiaro il viso della ragazza; i lineamenti leggeri, improvvisamente
interrotti dalle labbra rosse. Il volto incorniciato dal caschetto di capelli
color cioccolato, delicatamente ondulati e gli occhi nocciola, illuminati da
striature di verde.
Il medico si voltò verso Kirk, abbassando il tono della voce.
«Chi era quella?»
«EveLannister» rispose
prontamente il capitano. Posò lo sguardo sull'elenco dei nomi dell'equipaggio
che teneva fra le mani, ma in verità non ne aveva alcun bisogno. Sorrise
sornione mentre si girava verso l'amico. Bones notò il suo sopracciglio
sinistro perfettamente inarcato, un'espressione che conosceva fin troppo bene
su Jim.
«Pensi che sia carina?» chiese quest'ultimo senza troppe cerimonie.
McCoy sbuffò un po' d'aria, lasciandosi sfuggire una risata. «Carina?
Dannazione Jim» esclamò, senza aggiungere altro.
Kirk sorrise, osservando altri membri dell'equipaggio salire a bordo.
«Temo sia troppo piccola per te, amico mio» disse infine.
«Quando mi dirai qualcosa che già non so?»
Jim sorrise nuovamente all'affermazione del medico e subito dopo i due vennero
raggiunti da Spock.
«Signor Spock, buongiorno» lo salutò Kirk.
«Capitano. Dottor McCoy.»
«Spock» salutò Bones.
Lo sguardo dei tre non si era ancora incrociato, esattamente come accadeva
ogni altra volta che si incontravano per i convenevoli.
«Cosa ne pensa dell'equipaggio di questa missione, capitano?» domandò
Spock, gli occhi fissi davanti a sé.
«Che è un ottimo equipaggio, ma non avevo alcun dubbio. Siamo quasi pronti
a salpare. Sento che questa missione porterà con sé qualcosa di nuovo» osservò
esaltato Jim.
«Una morte per asfissia nello spazio profondo, probabilmente» borbottò
McCoy a denti stretti.
Kirk gli diede un'amichevole pacca sulla schiena, ridendo.
«Sempre di spirito positivo, eh Bones? Meno male che almeno tu non cambi
mai.»
Detto ciò il capitano si apprestò a salire a bordo della propria nave,
seguito dal suo primo ufficiale e da un riluttante medico di bordo.
____________________________
Ciao a
tutti!
Intanto vi
ringrazio per aver letto questo primo capitolo. Ho appena rivisto tutti e tre
gli Star Trek – gli ultimi – e il mio amore per Bones
si è intensificato e questa storia ha iniziato a ronzarmi in testa.
Inizialmente
volevo scrivere solo una OS, ma dopo ho iniziato a inserireelementi nuovi e l’ho trasformata in un
racconto a più capitoli – che comunque non sarà lunghissimo.
«La incontravo di continuo. Lungo i corridoi mentre andavo in infermeria.
Quando venivo in plancia. Al mattino, senza apparente motivo. Mi salutava ogni
volta in modo gentile, come se nutrisse un profondo rispetto nei miei
confronti.
So che non ha senso, non azzardarti ad aprire bocca, ma era così.
Perciò non puoi biasimarmi se, alla prima occasione possibile, ho voluto
capire qualcosa in più su di lei.»
USS
Enterprise
Data: 11
Aprile 2264
Nella sala mensa della nave spaziale vi era un vocio costante e fitto.
Seduti ai tavoli, moltissimi membri dell’equipaggio consumavano il proprio
pasto diviso in piccoli gruppi, parlando del più e del meno dopo che il primo
mese di esplorazione a bordo dell’Enterprise era prossimo a concludersi.
Al tavolo degli ufficiali erano seduti Kirk, Spock, Scotty, Chekov e Bones,
anche loro impegnati in una conversazione. Stavano parlando delle prossime
operazioni che avrebbero dovuto compiere durante l’esplorazione, ripercorrendo
a mente la rotta della nave. Scotty stava esponendo il suo parere riguardo ai
rifornimenti necessari per garantire il costante e pieno regime ai motori dell’Enterprise.
Sia Kirk sia Spock erano d’accordo con lui, Chekov ascoltava senza proferire
parola, mentre Bones, disinteressato, masticava svogliato il proprio pasto
guardandosi intorno.
Come per un richiamo, la sua attenzione venne attratta da Eve, seduta dall’altra
parte della sala in compagnia di Jaylah. Bones si ritrovò a osservare le
due ragazze parlare fra loro, andavano d’accordo, era evidente e considerando
il carattere di Jaylah era una buona cosa che avesse trovato qualcuno con cui
trascorrere il proprio tempo. La divisa rossa donava a entrambe, sebbene Jaylah
avesse apportato qualche modifica – contraria al regolamento – alla propria,
modifiche che Kirk non le aveva mai fatto notare.
«Come si trova Jaylah?» chiese di punto in bianco
il medico.
Chekov sollevò di scatto la testa al suono di quel nome e, quando si rese
conto del suo gesto, pregò che nessuno lo avesse notato.
Tutti guardarono in direzione di Scotty, che aveva preso personalmente a
carico la figura della giovane aliena.
«Oh si trova bene. Penso» rispose l'ingegnere. Si
strinse nelle spalle, senza degnare di uno sguardo nessuno, continuava a
fissare davanti a sé, sul proprio piatto. «Ha terrorizzato metà del mio personale con i suoi modi di fare. Ci sono
almeno quindici persone che non ne vogliono sapere di lavorare insieme a lei.
Ma non mi frega, almeno è brava.»
«Oh, andiamo» ridacchiò Kirk, «tu adori Jaylah.»
«Che c’entra? Mi fa uscire di testa delle volte e adesso devo anche fatte
attenzione alle persone con cui la metto a lavorare» borbottò Scotty.
«Se posso permettermi, signor Scott» intervenne Spock, «trovo che la signorina
Jaylah abbia comunque qualcuno con cui va visibilmente d’accordo. Forse
le conviene fare in modo che la cosa volga a suo favore.»
Scott guardò il primo ufficiale perplesso, nonostante sapesse di cosa stava
parlando. Gli altri presenti al tavolo alzarono lo sguardo su Jaylah, eccetto
Scotty.
«Sì, Eve» disse quest'ultimo. «Vanno molto d’accordo in effetti. Jaylah l’ha praticamente presa sotto la
sua ala e a me sta bene così.»
«Com’è Eve?» domandò Kirk. Nel porre la domanda aveva guardato
Bones, un’espressione furba in volto, quella che il medico identificò come la
faccia di qualcuno che ha già capito tutto. McCoy si limitò ad aggrottate la
fronte, ma si mise ugualmente in ascolto appena Scotty riprese parola.
«È un’ottima meccanica. Forse non avrà la stessa inventiva di Jaylah, ma
quando si tratta di lavorare è una delle migliori che abbia incontrato. Ha
delle mani estremamente ferme ed è precisissima. Meglio di un chirurgo, ve lo
dico io.»
Bones sollevò le sopracciglia a quell’ultima affermazione,
schiarendosi la voce per ricordare a Scott che lui era lì, stava ascoltando e,
soprattutto, che le "leggendarie mani" sull'Enterprise erano le
sue.
Scotty alzò gli occhi sul medico, lo guardò un momento e infine gli chiese:
«Ti è andato di traverso qualcosa?»
Al termine di quel quesito al tavolo vi fu uno scoppio di risa generale,
non compreso ma assecondato da Scotty e totalmente ignorato da Bones, il quale
aveva ripreso a masticare. Tornò a guardare Eve in compagnia di Jaylah con cui
stava parlando in modo concitato.
Al medico non gli riusciva di ignorarla. Aveva memorizzato il suo viso, il
colore dei suoi occhi, perfino il suo profumo. Scoprì che avrebbe voluto
parlare ancora di lei. Ne era rimasto folgorato per ragioni che andavano oltre
la sua comprensione e non sapeva come comportarsi. Sapeva solo che lei era più
piccola di dodici anni esatti e che una possibile relazione così dispari per
età con tutta probabilità non sarebbe mai stata vista di buon occhio all’interno
della Flotta Stellare.
«Quella stupida missione in cui ci avete mandati, hai presente? Sì, proprio
quella in cui ho rischiato di venire ammazzato. Merda. Al solo pensiero mi fa
di nuovo male la spalla. Se non ci fosse stata lei con me quel giorno ora
sicuramente non sarei qui. E non lo dico solo perché mi ha medicato.»
USS
Enterprise
Data: 24
Luglio 2264
Il capitano Kirk proseguiva lungo il corridoio in compagnia del suo primo
ufficiale. Alle loro spalle, un riluttante dottor Bones era prossimo all’esaurimento
e stava letteralmente urlando il suo disappunto, ignorando totalmente gli
sguardi preoccupati dei membri dell’equipaggio che i tre incrociavano.
«Ve lo sognate, avete capito? Non c’è pericolo che accetti. Sono un medico»
esclamò, piazzandosi davanti a Jim e Spock. «Un dannatissimo medico. Non un ingegnere, un meccanico o che diavolo
so io!»
Sollevò entrambe le mani davanti alla faccia dei suoi due interlocutori. «Con
queste ci salvo vite, non ci costruisco...qualunque sia la roba di cui stavate
blaterando prima.»
«Una stazione di biomonitoraggio sistematico» gli
andò incontro Spock. Ignorò totalmente l’occhiata torva di Bones e riprese a
camminare, imitato da Kirk.
«È un oggetto di notevole finezza, Bones, unico nel suo genere» lo informò
il capitano.
«Credi che mi importi qualcosa?» replicò seccato il medico.
Jim si fermò, voltandosi verso l’amico. «Senti, so perfettamente che questo
è il genere di incarichi che detesti e so che ti sto chiedendo molto, ma ci
serve il tuo aiuto.»
McCoy incrociò le braccia sul petto, mettendosi in ascolto, un sopracciglio
inarcato.
«Quella stazione è uno strumento molto delicato e articolato. Per montarla
è necessaria una precisione millimetrica, chirurgica. In altre parole: abbiamo
bisogno delle "leggendarie mani" di Leonard "Bones" McCoy.»
«Jim, voi e le vostre assurdità ingegneristiche mi avete quasi ammazzato
una volta» ricordò il medico all’amico, alludendo al siluro che, alcuni anni
prima, aveva minacciato di saltare in aria proprio sotto al tocco delle sue
mani.
«Oh, per carità. Quella volta non sapevamo con cosa avevamo a che fare,
Bones. Questa volta è diverso» sbuffò infastidito il capitano, riprendendo a
camminare. «Senti, dato che non mi lasci altra scelta, come tuo capitano ti
ordino di eseguire i miei comandi.»
Il tono di Kirk non ammetteva repliche e McCoy si limitò a esternare la
propria contrarietà con un inespressivo grugnito. Finì con l’arrendersi e seguì
Jim e Spock fino alla sala del teletrasporto.
«Naturalmente non andrai solo. Ti accompagnerà uno del reparto di ingegneria,
tu non dovrai fare altro che eseguire quello che ti dirà di fare e contribuire
al montaggio della stazione.»
Entrati in sala si trovarono davanti Scotty, fermo altre spalle di Chekov
con cui stava controllando i parametri della macchina per il teletrasporto.
Bones lo guardò. «Vieni tu con me, Scott?» gli chiese.
Quest’ultimo lo guardò. «Oh no, affatto. Io rimarrò qui a controllare che
tutto venga svolto nel migliore dei modi» replicò l’ingegnere capo.
«Dottore, gli indigeni del pianeta sono molto attenti ai propri territori»
intervenne Spock, le braccia dietro alla schiena. «Se dovessimo mandare troppe
persone sulla superficie del pianeta correremo il rischio di farci notare e non
possiamo assolutamente permettere che ciò avvenga.»
Bones rimase ad ascoltarlo con la fronte aggrottata. Tutta quella
situazione gli piaceva sempre meno.
«Scotty ha individuato la persona più indicata per venire con te in questa
breve missione. Noi rimarremo sempre in contatto, non hai nulla di cui
preoccuparti, visto?»
Kirk cercò di dipingere al meglio la situazione in cui stava per infilare
Bones. Sapeva che il medico non sopportava le missioni sul campo, ma da uomo
fedele qual era, da vero amico, non aveva mai deluso il suo capitano.
«E dove sarebbe questa persona?» domandò il dottore, ormai arresosi a quell’assurda
situazione.
«A quanto pare saremo partner, dottor McCoy.»
La voce provenne alle spalle di Bones, una voce femminile, vellutata ma
sicura al tempo stesso.
Quando il medico si voltò, si trovò sotto gli occhi la figura di Eve,
fasciata all’interno di una tuta aderente nera con sottili decorazioni rosse. L’abbigliamento
metteva in evidenza le forme del corpo della ragazza, mentre lei era ferma in
piedi, fiera e sicura di sé.
Bones giurò di aver sentito il proprio cuore saltare un battito e chiuse
subito la bocca prima che qualcuno potesse accorgersi dell’espressione che gli
si era dipinta sul viso. Si domandò ancora una volta come potesse provare
simili sensazioni davanti a quella ragazza, ma sapeva che le risposte, con
tutta probabilità, non gli sarebbero piaciute.
«Eve è stata scelta da Scotty per via delle sue competenze» disse Kirk. «Sa
alla perfezione cosa deve fare, quindi tu devi semplicemente seguire le sue
indicazioni» proseguì, rivolgendosi a Bones. «Posso contare sul tuo aiuto,
allora?»
Il medico lo guardò, l’espressione contrariata, ma alla fine sbuffò e
rispose: «Va bene, d’accordo. Dov’è la mia dannata tuta?»
Dopo che anche McCoy si fu vestito nel modo più appropriato per affrontare
la missione – la sua tuta nera era decorata con sottili disegni blu – si sistemò
accanto a Eve, già ferma sulla piattaforma del teletrasporto.
«Allora, non avete nulla di cui preoccuparvi. Io e Scotty saremo in
costante contatto con voi, quindi se qualcosa dovesse andare per il verso
sbagliato vi recupereremo in un baleno» li informò il capitano. «Siete pronti?»
Eve e McCoy risposero in modo affermativo. La ragazza lanciò una rapida
occhiata all’uomo che aveva accanto e si lasciò sfuggire un sorriso. «Non
faccia quella faccia dottore. Sarà stimolante» gli disse, nel momento esatto in
cui i loro corpi si dissolvevano, per materializzarsi all’istante sul suolo del
pianeta alieno.
«Sei al tuo primo incarico, non è vero?» chiese Bones a Eve, dopo essersi
accertato di avere ogni parte del corpo nel posto giusto.
«Cosa glielo lascia pensare?»
«Troppo entusiasmo.»
L’affermazione del medico fece ridere la ragazza. Bones scacciò
immediatamente il pensiero di quanto fosse bella la sua risata e si concentrò
sull’ammasso di ferraglia – così appariva ai suoi occhi – che avevano davanti.
«Sarebbe questa la cosa che dobbiamo assemblare?»
«Questa cosa, come la chiama lei,
è una delle ultime e migliori stazioni di biomonitoraggio
sistematico mai costruite» disse Eve, inginocchiandosi davanti all’oggetto e
iniziando ad analizzarlo.
«Sì, beh, mi hanno già fatto questo discorso e non mi interessa» replicò il
medico, schioccando la lingua. «Io ti aiuto a sistemarlo e poi ce ne torniamo
sull’Enterprise, che ne dici?»
Eve gli sorrise. I personaggi come Leonard McCoy la divertivano molto.
Altruisti e riluttanti, uno strano binomio che, nonostante tutto, dava vita ad
alcune delle persone migliori che si potessero incontrare.
La ragazza prese in mano il proprio trasmettitore e si mise in
comunicazione con la nave. Appena la voce di Scotty la raggiunse di rimando, si
fece dire in che modo procedere alla messa in funzione della piccola stazione,
pronta per iniziare a lavorare.
Lavorarono per un paio di ore, all’incirca. La stazione era molto più
complessa e articolata di quanto apparisse al primo impatto ed era fondamentale
eseguire ogni singola operazione con la massima cura, allo scopo di evitare di
correre il rischio di danneggiarne la delicata struttura interna. Bones e Eve
non avevano quasi mai aperto bocca, se non per eseguire le indicazioni. Stavano
lavorando bene insieme, precisi e impeccabili come Kirk aveva sperato.
«E con questo abbiamo finito» disse Eve, sistemando l’ultimo, sottilissimo,
cavetto. Richiuse lo sportello di protezione della stazione di monitoraggio e
lo avvitò, dopodiché si rivolse a Bones: «Vuole avviarla lei dottore?»
«Devo considerarlo un onore? Per voi meccanici lo è?»
La ragazza scosse la testa, divertita. «Come vuole allora.»
Avviò la stazione, la quale si accese immediatamente, silenziosa, per poi
scomparire alla vista grazie a un sistema di deflettori pensato appositamente
per deviare la radiazione luminosa e renderla introvabile per chiunque non fosse
a conoscenza della sua esistenza.
«Fantastico, funziona» esclamò soddisfatta Eve, lanciando un sorriso al suo
temporaneo partner. «State ricevendo le informazioni Enterprise?»
Dalla ricetrasmittente non arrivò alcuna risposta, situazione che risultò
immediatamente sospetta dal momento che la nave stellare – e nello specifico
Scotty – era rimasta in contatto costante con il medico e la meccanica. Eve
fece un secondo tentativo: «Enterprise, mi ricevete?»
Nuovamente non ottenne alcuna risposta. Sollevò lo sguardo su McCoy, che le
si avvicinò.
«Le comunicazioni si sono interrotte» lo informò la ragazza. «Forse è
successo qualcosa, cosa ne pensa?»
«Penso che questa cosa non mi piace» mormorò Bones. Alla mente gli
tornarono alcune spiacevoli avventure che aveva passato da quando si era
arruolato nella Flotta Stellare. Se qualcosa a bordo dell’Enterprise non andava
per il verso giusto non era un buon segnale.
«Forse l’atmosfera del pianeta ha creato qualche disturbo alle
comunicazioni, non sarebbe la prima volta» ipotizzò Eve, sebbene non credesse
molto alla sua stessa teoria.
«Certo, come no. Fino a dieci minuti fa tutto funzionava per il meglio e po–»
Bones si bloccò di scatto, senza finire la frase. Intimò a Eve di fare
silenzio con un cenno e si mise in ascolto. Intorno a loro, nel fitto della
foresta, non si sentiva alcun rumore. Anche la ragazza provò ad ascoltare, ma
non sentì nulla.
Tuttavia, d’improvviso, fra le fronde degli alberi si sentì un violento
fruscio e qualcosa apparve.
«Sta’ giù!» urlò McCoy.
Eve obbedì e in quella frazione di secondi concitati non avrebbe saputo
dire con esattezza cosa fosse accaduto. Sentì qualcosa passare
velocemente accanto a lei, smuovendo l’aria e fischiando vicino al suo
orecchio. Immediatamente udì Bones urlare di dolore e lo vide perdere l’equilibrio,
per poi cadere in terra.
Il cuore cominciò a batterle all’impazzata, ma si costrinse a mantenere la
calma. Riuscì a individuare chi era stato ad aggredire lei e il dottore e identificò
un nativo del pianeta. Capì che stava solo difendendo la sua terra e che,
certamente, era spaventato almeno quanto lei. Il nativo era antropomorfo,
completamente nudo – almeno così parve a Eve – e dalla pelle del colore del
sangue, come ricoperta da uno spesso stato di terra rossa e secca.
L’istinto di sopravvivenza della ragazza ebbe la meglio sulla sua curiosità.
Estrasse in fretta il phaser che aveva alla cintura,
lo puntò contro l’aggressore e fece fuoco. Puntò alla spalla e fu proprio lì
che colpì il nativo. Quest’ultimo cadde all’indietro, ferito. Guardò spaventato
in direzione di Eve, dopodiché si rialzò in piedi e scappò nella foresta.
L’adrenalina sparì completamente dalla circolazione della ragazza. Eve si
ritrovò a respirare in fretta, spaventata a fissare il punto in cui l’altro era
appena scomparso, desiderando di non vederlo riapparire, magari in compagnia di
altri. Sentì alle sue spalle alcuni movimenti e si ricordò subito di McCoy.
Quando si voltò verso di lui lo trovò carponi a terra, ferito e sanguinante.
«E poi lo capisci benissimo anche tu. Quando ti capita qualcosa come quella
che è successa a noi due, è difficile che dopo tutto ti scivoli oltre. Rimanere
isolato su un pianeta alieno per un’intera notte – più o meno – finisce per
farti legare con la persona a cui è capitata la tua stessa sfortuna.»
Pianeta Ummei
Data:24
Luglio 2264
Eve raggiunse di corsa Bones e gli si inginocchiò accanto. Analizzò la
situazione, il cuore che le batteva così forte da sembrare intenzionato ad
abbandonare il suo corpo. Il medico era ancora carponi, ansimante per il
dolore. Sulla sua schiena, all’altezza della spalla, era conficcata una grossa
punta, simile a uno spesso aculeo d’istrice.
«Oh mio Dio» mormorò fra i denti la ragazza appena vide la ferita dell’uomo.
«Dobbiamo fare qualcosa.»
«Qualsiasi cosa sia, toglila!» esclamò Bones, alludendo a ciò che lo aveva
colpito. La ferita fresca gli faceva visibilmente male e avere l’arma ancora
conficcata nel corpo contribuiva solo ad accrescere il dolore.
«Io non...» esordì titubante Eve. «Ho paura di peggiorare la situazione»
ammise. Cominciò a sentire il panico diffondersi ampiamente dentro di lei. Si
era trovata in una simile situazione solo durante le esercitazioni all’accademia
e si rese conto che dal vivo era tutto più spaventoso.
McCoy la guardò. Si mise a sedere a fatica, piegato in due a causa del
dolore.
«Afferrala con una mano e toglila» le intimò. «Se non si fa nulla allora sì
che la situazione peggiora.»
Eve guardò l’uomo e capì che aveva ragione.
«E per l’emorragia?» gli chiese.
Bones strinse i denti, sapendo che la ragazza aveva ragione. Prima che
potesse rispondere, però, Eve si ricordò della piccola sacca per il pronto
soccorso che Scott le aveva preparato insieme all’attrezzatura. Corse a
prenderla e tornò immediatamente dal medico, allungandogliela.
Bones frugò in fretta il contenuto, stringendo i denti. Passò un compatto
rotolo di garza alla ragazza e le disse: «Questa andrà benissimo, mi farò
medicare sull’Enterprise, per ora è importante che il sangue si arresti.»
Eve afferrò la garza e annuì all’uomo.
«Ora levami questa roba!» urlò Bones, al limite della sopportazione.
Lei gli si avvicinò, strinse la mano intorno alla punta conficcata nella
spalla di McCoy e si fece forza. Sentiva il corpo dell’uomo fremere per il
dolore ed era terrorizzata all’idea di complicare tutto e di fare ancora più
male al medico.
«Allora?» sbottò Bones.
«Non so se sono in grado. Ti farò del male.»
Eve si sentiva sempre più angosciata. Aveva ormai iniziato ad agitarsi più
del dovuto e McCoy lo aveva capito alla perfezione. Non gli importava del
dolore, voleva solo uscire da quella situazione. E ancora dall’Enterprise non
giungevano notizie.
«È ovvio che mi farai male!» esclamò lui. «Ma tu fallo! Un colpo secco, con
forza, poi mi togli questa maledetta tutta e medichiamo la ferita.»
Bones aveva appena terminato la frase quando sentì un forte dolore. Tentò
di soffocare senza successo un urlo e strinse i pugni fino a farsi male. Eve
aveva trovato la forza per comandare al proprio corpo di obbedire e, con un
gesto deciso, aveva sfilato la punta dal corpo di McCoy, mentre questi non se
lo aspettava.
«Che mi dice? L’effetto sorpresa ha funzionato?» chiese retorica Eve.
Iniziò ad abbassare la zip della tuta di McCoy presente sulla schiena, pronta
per medicare la ferita, che aveva preso a sanguinare copiosamente.
Il medico riuscì a reprimere un’imprecazione, sebbene una parte di sé pensò
che, in circostanze differenti, la frase della ragazza sarebbe risultata
piuttosto comica – magari se il soggetto fosse stato qualcun altro e non lui.
Sentì la ragazza abbassargli la tuta con delicatezza, attenta a non toccare
la zona della spalla sinistra ferita. Bones non sentiva quasi più il proprio
braccio, intorpidito per il dolore.
Eve si macchiò le mani con il sangue dell’uomo, ma non fece una piega; per
lei la parte peggiore era passata. Dalla piccola borsa per il pronto soccorso
estrasse un pezzo di stoffa bianco, sterile e lo usò per tamponare la ferita.
Lo permette sulla pelle di McCoy e iniziò a srotolare la garza così da ultimare
la medicazione. Non stava dicendo più nulla, era concentrata sul lavoro. Bones
sentiva solo il suo respiro sfiorargli la pelle. L’aiutò a tendere la
fasciatura come poteva, usando il braccio destro che non gli faceva alcun male.
Appena Eve ebbe finito risistemò la tuta del medico, tornando a chiuderla,
convinta che anche l’indumento avrebbe contribuito a rallentare l’emorragia.
«Come sta?» domandò poi a Bones.
«Un po’ meglio, grazie.»
La ragazza gli sorrise, poi si guardò intorno. Sapeva che non potevano
rimane fermi in quel punto; se il nativo fosse tornato, magari non da solo, la
situazione si sarebbe certamente complicata.
«Hai un tocco delicato per essere un meccanico» le disse il medico dopo
poco.
Eve la guardò e si strinse nelle spalle. «Non sono Scott» rispose,
divertita. Tuttavia tornò subito seria. «Non possiamo rimanere qui.»
«Sì, lo so.»
«Riesce ad alzarsi?»
Bones annuì. Si alzò in piedi non senza fatica, aiutato dalla ragazza. L’emorragia
alla spalla lo aveva indebolito, ma era ancora in grado di reggersi
perfettamente in piedi.
Cercando di fare silenzio i due si spostarono dal punto in cui era avvenuto
lo spiacevole incontro. Trovarono rifugio diversi metri più avanti, nel vano di
una possente pianta cava. Lì la ragazza aiuto McCoy a sistemarsi con la schiena
appoggiata all’albero e si sedette accanto lui. Guardò la trasmittente che
aveva ancora in mano, infastidita da quella situazione.
«Eve a Enterprise, mi ricevete?» tentò. Non ottenne alcuna risposta e provò
di nuovo: «Eve a Enterprise, mi ricevete? Il dottor McCoy è ferito.»
Sospirò, affranta.
«Dev’essere successo qualcosa» osservò il medico; aveva appoggiato la testa
contro il legno alle sue spalle e fissava assorto davanti a sé.
«I sistemi devono essere offline. Non può essere solo un’interferenza»
disse la ragazza.
«Quanto pensi possa volerci?»
«Impossibile saperlo con esattezza. Dipende dalla causa del problema.»
Il medico non disse nulla, limitandosi a un lieve cenno del capo.
«Come fa a essere così calmo?» volle sapere Eve poco dopo. Lei si stava
sentendo completamente mancare mentre Bones, seduto lì accanto, sembrava
prossimo a entrare in uno stato di trance.
Lui posò lo sguardo su di lei, serio. «Se mi agitassi non farei altro che
peggiorare la situazione. La pressione aumenterebbe e ciò farebbe solo sanguinare
di più la ferita.»
La ragazza gli diede ragione e lui riprese a parlare: «Sono finito in
situazioni peggiori da quando sono sull’Enterprise. Ancora non capisco perché
non mollo Jim» sbottò, sebbene nella sua voce fosse percepibile una lieve nota
di comicità. «Almeno questa volta abbiamo un phaser»
concluse, alludendo a una precedente avventura che Eve non avrebbe potuto comprendere.
Di tutta risposta, lei sollevò il phaser davanti
al volto di Bones. «Questo modello non ammazzerebbe neanche un canarino» lo
informò, sebbene il medico lo sapesse perfettamente.
«Però riesce comunque a scacciare gli alieni. È già qualcosa» McCoy si
lasciò sfuggire un sorriso alle sue ultime parole, ma durò poco. Sentì una
forte fitta alla spalla e tornò ad abbandonarsi contro la pianta. Qualunque
cosa stesse succedendo, sperò che dall’Enterprise si sbrigassero a recuperarli.
«Posso farle una domanda?» chiese dopo diversi secondi di silenzio Eve.
Stava osservando il profilo del medico, per poi spostare gli occhi sulle mani
dell’uomo, sporche di sangue ma, soprattutto, di terra.
«Sì, puoi smetterla di darmi del lei» replicò subito lui.
L’affermazione improvvisa fece ridere la ragazza, soprattutto per il tono
con cui era stata pronunciata. Leonard McCoy era un nome abbastanza pronunciato
fra le file del personale dall’Enterprise, sebbene non quanto quello del
capitano Kirk o di Spock. I membri dell’equipaggio della nave di tanto in tanto
parlavano dei modi di fare diretti del medico e Eve aveva sempre dovuto
ammettere di essere affascinata da quella figura. Seduta accanto a lui in quel
momento, non poté fare a meno di notare di esserlo davvero.
«D’accordo» acconsentì, in risposta all’affermazione di Bones. «Quello che vorrei
chiederti, in realtà, è un po’ diverso» proseguì, riuscendo a mettere da parte
le formalità.
«Del tipo?»
«Beh» esordì, con una lieve incertezza. «A bordo dell’Enterprise sono
praticamente tutti a conoscenza della tua repulsione verso lo spazio. Perciò mi
chiedevo solo...come mai, nonostante tutto, tu continui a imbarcati? Un medico
con le tue capacità sarebbe fondamentale anche su una qualche base o sulla
terra. È per il capitano Kirk, vero?»
La lieve incertezza iniziale era completamente scomparsa e la ragazza
formulò la domanda tutta d’un fiato, quasi sorprendendo Bones.
Quest’ultimo inspirò un po’ d’aria prima di rispondere. «Si vede che non
hai un divorzio alle spalle.»
Eve lo guardò perplessa, senza capire dove volesse andare a parare e Bones
ricominciò a parlare: «Ti auguro di non averlo mai. La mia ex moglie mi ha
portato via tutto e io ho dovuto decide che cosa fare della mia vita. La Flotta
Stellare mi è subito parsa come un’ottima possibilità, dopotutto,
sufficientemente distante dalla Terra. I medici sono sempre richiesti in simili
ambienti.»
«Oh, eccome» confermò la ragazza, lanciando d’istinto un’occhiata alla
spalla ferita dell’uomo.
«E sfortuna vuole che abbia conosciuto Jim» concluse lui, con una risata.
Venne imitato da Eve.
«Ho letto tutti i rapporti riguardanti l’Enterprise mentre studiavo in
accademia. Ho sempre desiderato di imbarcarmi su questa nave. È incredibile
quello che avete fatto. E il capitano Kirk. Sono contenta che mi abbia scelta
per fate parte del suo equipaggio» si strinse leggermente nelle spalle a quelle
parole, come in imbarazzo sotto allo sguardo di Bones.
«Sì, Jim» borbottò il medico, come se stesse parlando a se stesso. «Testardo
come un mulo. Ma forse non mi sarei imbarcato di nuovo se non ci fosse stato
lui in plancia.»
«Questo significa molto» gli fece notare Eve.
McCoy non rispose, si limitò a stare in silenzio, pensieroso. Poi, però
tornò a rivolgersi alla ragazza. Parlare con lei lo stava aiutando a non
sentire più dolore e, oltretutto, gli piaceva l’idea di avere finalmente la
possibilità di conoscerla meglio rispetto al banale rapporto medico-paziente.
«E tu invece?» Le chiese. «Cosa ti ha portato fino dall’Enterprise?»
La ragazza abbassò lo sguardo. «Era quello che volevo, tutto qui» esordì. «Mio
padre è un meccanico, ripara macchine agricole. Mi ha sempre affascinata il suo
lavoro, così crescendo ho imparato anche io guardandolo lavorare. Poi quando ho
scoperto che si potevano mettere le mani su qualcosa di molto più affascinante
di un mezzo agrario, ho deciso di provarci.»
«Ne sarà stato contento, immagino.»
La supposizione di McCoy fece amaramente sorridere Eve, cosa che consentì
al medico di capire che la situazione era molto diversa. Lei, infatti, confermò
il suo sospetto. «Niente affatto. I miei genitori non volevano che mi
arruolassi. Non volevano neanche che facessi il meccanico, in verità. Avevano
previsto per me una vita molto più semplice. Un matrimonio con un bravo
ragazzo, dei figli. Una vita che io non volevo. Così ho iniziato a mettere da
parte dei soldi e appena ne ho avuti a sufficienza me ne sono andata e mi sono
iscritta all’Accademia. I miei genitori non l’hanno capito. E non l’hanno
accettato.»
Fece quella confessione quasi tutta in un sol fiato, sembrava volersi
liberarsi di un ingombrante peso, come se non lo avesse mai detto a nessun
altro prima di allora. Bones l’ascoltò. Sapeva che nel passato di ognuno si
nascondevano dei fantasmi, trovò quasi normale che vi fossero anche in quello
di Eve.
«E non li hai più sentiti? Nemmeno per dire loro fin dove sei arrivata?» le
chiese, nel modo più garbato possibile.
Lei scosse la testa. «No. E loro non hanno cercato me.» Sollevò le spalle. «Magari
alla mia prima medaglia. Potrei tornare da loro e dire “Avete visto?”. Credo
che, insomma, alla fine si possa essere soddisfatti di una figlia con un
riconoscimento, cosa ne pensi?»
Il medicò rifletté un momento. «Se avessi una figlia non le avrei mai
impedito di fare ciò che vuole» disse, con una schiettezza disarmante.
Eve si sentì schiacciare da quell’affermazione, nonostante dentro di sé
sapeva fosse vero. I problemi con la sua famiglia non erano mai stati un
mistero e il suo arruolamento nella Flotta Stellare non aveva fatto altro che
frantumare una situazione già incrinata. Non le riuscì di replicare in alcun
modo e rimase in silenzio, un silenzio che durò a lungo.
«Scusami» mormorò McCoy.
«Per cosa? È la verità. Non recupererò mai i rapporti con la mia famiglia,
forse è meglio così. In un paio di mesi a bordo dall’Enterprise sono stata
mille volte meglio di tutta la mia precedente vita a casa» lanciò un’occhiata
indecifrabile a Bones. «Vorrà pur dire qualcosa, no?»
Detto ciò provò nuovamente a contattare la nave attraverso la
ricetrasmittente, ancora senza successo.
«L’equipaggio dall’Enterprise è la tua famiglia, adesso.»
McCoy spezzò il silenzio. A Eve non le riuscì di rispondere prontamente. Si
limitò a sorridere, senza però guardare il medico.
Da quel momento in poi parlarono sempre. Si raccontarono reciprocamente
passioni comuni e interessi. Bones espose alcune delle missioni affrontate e concluse
dall’Enterprise e dal capitano Kirk. Le descrisse con la sua caratteristica
vena contrariata e sarcastica, pur non riuscendo a mascherare completamente il
fatto che, dopotutto, lui lì si trovasse a suo agio. Eve lo ascoltò con
interesse; rimase colpita da ciò che l’uomo le stava raccontando, di cui le
piacevano i modi un po’ rozzi di descrivere le vicende, i suoi
"dannati" e "maledetti" posti qua e là nel discorso, come
ad accrescerne l’intensità. Infine le piaceva la sua voce, profonda e
rassicurante.
Le ore passarono inesorabili e dalla nave ancora non giungevano notizie. La
luce cominciò a venire meno, come le forze di Bones. La ferita non aveva smesso
di sanguinare per tutto quel tempo, aveva solo rallentato l’emorragia. Eve si
rese conto della debolezza del dottore, ma non sapeva cosa poter fare. Si fissò
le mani, ancora sporche del sangue di McCoy, ormai incrostato. Il freddo
cominciava a farsi sentire e, per quanto potesse servire, si avvicinò all’uomo
portando il suo corpo a contatto con quello di Bones. Quest’ultimo si mosse
appena quando la sentì, senza scomporsi e senza dire nulla.
Eve cercò qualcosa da poter dire, ma non le venne in mente nulla. Osservò
di sottecchi il profilo del medico e si accorse che faticava a rimanere
sveglio. Forse un po’ di riposo gli sarebbe stato d’aiuto, ma non era certa che
in simili circostanze si sarebbe potuta dimostrare una buona idea. Affermò la
ricetrasmittente in mano, indispettita dalla situazione. Perché ci stavano
impiegando tanto a recuperarli?
Aveva appena formulato quel quesito che sentì il proprio corpo farsi
leggero. Si voltò verso Bones e quando riuscì a vederlo nitidamente l’ambiente
intorno a loro era cambiato. Si trovavano sulla piattaforma di teletrasporto,
finalmente sull’Enterprise; davanti a sé vide Scott e Kirk. La ragazza lasciò
da parte il sollievo per essere finalmente arrivata in un posto sicuro, si alzò
di scatto ed esclamò: «Il dottor McCoy è ferito! Ha bisogno di cure urgenti.»
L’espressione preoccupata che rabbuiò il bel volto di Jim fece capire a Eve
che Kirk non era solo il capitano altruista che Bones le aveva dipinto, ma era
anche un amico sincero. Jim scattò subito verso il dottore, si inginocchiò
accanto a lui e provò a chiamarlo, ma senza successo.
«Qualcuno vada subito a chiamare un’infermiera e un medico, presto» ordinò
e uno degli addetti al reparto corse subito fuori. Nessuno si preoccupò più di Eve,
illesa. Quando il personale sanitario arrivò, tutte le attenzioni erano solo
per il dottor McCoy. La ragazza era ancora ferma sulla piattaforma del
teletrasporto e osservava tutte le precauzioni prese per Bones e continuò a
guardare finché lui non venne trasportato fuori dalla sala, d’urgenza.
«La cosa che non capisco, è per quale motivo sono qui a raccontati qualcosa
che so tu avevi già sospettato. Perché, per quanto mi dia fastidio dirlo, sei
un tipo sveglio, un dannato rompipalle sveglio. E, purtroppo per me, mi conosci
bene.»
USS Enterprise
Data: 25
Luglio 2264
Bones si svegliò lentamente. Schiuse gli occhi, scoprendosi avvolto dal
bianco; per un istante pensò di essere morto. Gli sembrava di essere sprofondato
nell’ovatta, soffice e profumata. Conosceva quell’odore, fin troppo bene. Era
in infermeria, lo capì proprio da quell’odore. Guardò alla sua destra, dove
vide una sottile cannula piena di liquido rubino scomparire nella propria vena:
era sangue.
«Grandioso» borbottò, sarcastico. Se gli stavano facendo una trasfusione
significava che non stava affatto bene nonostante lui si sentisse abbastanza in
forma; con molta probabilità era sotto antidolorifici.
«Come si sta dalla parte del paziente per una volta?»
La voce provenne improvvisa alla sua sinistra. Bones voltò la testa in
quella direzione, sebbene sospettasse già chi era stato a parlare. Aveva
imparato a conoscere quella voce vellutata e sicura e sapeva già che,
voltandosi, avrebbe visto Eve.
La ragazza infatti era lì accanto, seduta su una sedia. Lo stava guardando,
sorridendo.
McCoy stava per chiederle cosa ci facesse lì, ma non gli importò, anzi, gli
fece piacere. Si rese conto di non sapere che ora fosse, che giorno fosse, ma
era abbastanza certo di non aver dormito a lungo.
«Ti hanno fatto una trasfusione di sangue» lo informò Eve, sorpresa dalla
mancanza di risposte del medico. Leonard McCoy aveva sempre la risposta pronta,
era strano trovarlo taciturno. «Indovina chi è il donatore» concluse la
ragazza.
Sollevò il braccio sinistro, sul quale nessuno avrebbe potuto individuare
qualcosa di particolare, a meno che non avesse l’occhio allenato e clinico di
Bones. Quest’ultimo infatti individuò subito il piccolo foro lasciato dall’ago,
usato per prelevare il sangue dalla vena della ragazza. Il medico fece un lieve
sorriso, incurvando appena un angolo della bocca.
«L’infermiera ha detto che per qualche settimana potresti avere strane
voglie da donna» scherzò lei.
«L’infermiera era quella mora? È un po’ che cerco una scusa per mandarla
via» replicò lui, consapevole che la ragazza stesse scherzando.
«Davvero?» chiese lei, preoccupata.
Bones la guardò, facendole capire che la stava prendendo in giro.
«Come stai?» domandò Eve.
Il medico fece una smorfia. «Sto meglio. Grazie.»
Pronunciò quel ringraziamento dopo un momento di silenzio. Con quella
parola non alludeva solo al fatto che lei si fosse preoccupata per lui in quel frangente,
ma anche a tutto quello che aveva fatto prima. Bones non era uno sprovveduto,
sapeva che se non fosse stato per Eve lui, in quel letto, non ci sarebbe mai
stato.
La ragazza ebbe un lieve fremito a quella parole. Sorrise al medico, pronta
a dirgli di non preoccuparsi, quando la porta dell’infermeria si aprì ed entrò
il capitano Kirk.
«Mi hanno detto che ti eri svegliato» esordì rivolto all’amico. «Come ti
senti?»
«Sto bene, sono vivo. Anche se penso che sia in parte merito degli
antidolorifici.»
Jim sorrise nel riconoscere il Bones di sempre. Si rivolse a Eve: «Ti
dispiace lasciarci soli?» le chiese.
Lei acconsentì, salutò i due uomini e si avviò fuori dalla stanza. Una
volta rimasti soli, Kirk guardò McCoy.
«Eve ci ha raccontato quello che è successo» gli disse.
«Sì, abbiamo infranto il codice un’altra volta. Spock cosa ne pensa?»
chiese sarcastico il medico, strappando una risata a Jim.
«Penso che questa volta sia in grado di sorvolare sulla faccenda. È stato
un incontro casuale e, a detta di Eve, l’alieno è stato messo in fuga e non
ucciso, cosa positiva, direi. Quello che devo chiederti, in quanto capitano, è
di fornirmi la tua versione dei fatti. Dobbiamo confrontarla con quella che ci
ha dato Eve e verificare se coincidono.»
McCoy lo guardò perplesso. «Sicuramente coincidono, mi prendi in giro?»
«È la procedura, lo sai anche tu.»
«Da quando ti attieni alla procedura?» replicò il medico. Tuttavia, dopo la
nuova occhiata di Jim, decise di lasciare perdere e gli raccontò cos’era
successo.
La sua versione dei fatti coincideva alla perfezione con quella di Eve, le
differenze sostanziali riguardavano il modo in cui i due avevano descritto la
parte più tecnica della loro vicenda: il montaggio della stazione di biomonitoraggio. La ragazza l’aveva descritta in modo
impeccabile, stendendo anche qualche elogio sulla tecnologia in oggetto. Bones
invece aveva racchiuso tutta l’operazione in poche e dirette parole:
"abbiamo montato quella roba là" – una descrizione in perfetto stile
Leonard McCoy, in pratica.
«Ok, è tutto in regola, allora» convenne Jim.
«Adesso dimmela tu una cosa» prese parola il medico. «Per quale motivo le
comunicazioni si sono interrotte?»
Kirk fece una smorfia, lasciando trapelare che non sapeva dare una
risposta. «Ancora non lo abbiamo capito con esattezza. Forse un guasto,
qualcosa. Uhura ci sta lavorando insieme agli altri.
È un problema interno però, questa è l’unica certezza che abbiamo.»
«Pensi che possa essere stato qualcuno dei nostri?»
La domanda di Bones rimase sospesa per diversi secondi. Per entrambi gli
uomini quella era una prospettiva poco allettante, che racchiudeva anche la
consapevolezza di non potersi fidare di qualcuno presente a bordo della nave.
Alla fine, Jim si strinse nelle spalle, una smorfia a tirargli le labbra.
«Non possiamo saperlo. Spero solo di no, sarebbe un bel problema. Anche
perché dubito che l’intenzione di questo qualcuno fosse quella di dare un po’
di privacy a te e Eve» la smorfia di Kirk si trasformò in un sorrisetto
sornione, un’espressione che Bones aveva visto fin troppo spesso sul volto dell’amico.
«Jim, anche se sono sdraiato su questo letto con una trasfusione in corso
nulla mi impedisce di tirarti un pugno in faccia» replicò immediatamente il
medico.
Il suo capitano si mise a ridere, piuttosto soddisfatto nell’appurare che l’amico
stava bene.
«Oh, andiamo, stavo solo scherzando. E per la cronaca» proseguì, fermando
con un gesto l’altro, che stava per dire qualcosa, «siete stati scelti entrambi
per le capacità e non perché volevo mandarvi da soli su un pianeta alieno. Eve
l’ha davvero scelta Scotty.»
McCoy lo guardò confuso. «Ma di che stai parlando? Sei sicuro di stare
bene? Sono io il tuo medico, forse dovrei preoccuparmi.»
Jim sorrise. «Piantala di fare il cretino. Ti sto solo dicendo che io non c’entro
con l’assegnazione delle persone per il montaggio della stazione di biomonitoraggio. È stato casuale.»
«Questo si chiama avere la coda di paglia.» Bones si mise a sedere,
appoggiò la schiena contro i cuscini, lasciando cadere il braccio destro sul
letto.
I due si guardarono per diversi secondi. Il primo a non sopportare più
quella situazione fu il medico.
«So a cosa stai pensando, smettila» sbuffò.
«Scusa tanto, chi avrebbe la coda di paglia?» ridacchiò Kirk, alludendo
alla sua precedente affermazione. L’altro gli lanciò un’occhiataccia, senza
dire nulla.
Jim cominciava a divertirsi. Da quando conosceva Bones non gli era
praticamente mai capitato di avere l’occasione di punzecchiarlo riguardo a
questioni di cuore, serie o meno che fossero.
«Dai, andiamo Bones. Tu stesso mi hai detto che ti piaceva il giorno in cui
l’abbiamo vista» proseguì il capitano, nel vano tentativo di convincere l’altro
a rivelargli qualcosa.
«No, un momento. Tu mi avevi chiesto un parere e io ti avevo semplicemente
risposto. Tutto qui.»
«D’accordo, ma la tua affermazione non aveva l’aspetto di un parere.»
McCoy sospirò, indeciso sul da farsi. Alla fine, dopo aver lanciato d’istinto
un’occhiata al sangue che lentamente continuava a scivolare lungo la cannula,
disse: «Senti, chiudiamo qui il discorso, per favore. Ha dodici anni esatti in
meno di me e non è una cosa su cui si può sorvolare facilmente. Esattamente
come un ex matrimonio.»
Kirk osservò l’amico, improvvisamente serio.
«La differenza di età a volte rende tutto migliore. Non sarei così
prevenuto se fossi al tuo posto.»
Sorrise a Bones e si alzò. Diede una leggera pacca alla sua spalla
sinistra, che gli era stata fasciata dopo che i medici avevano rimarginato
correttamente la ferita.
«Vado a scrivere il rapporto. Tu riposati, ok? Abbiamo bisogno del nostro
miglior dottore.»
Detto ciò si avviò fuori dalla stanza.
McCoy guardò la porta richiudersi alle spalle del suo amico e capitano,
sentendosi confuso. Tutta quella situazione, ciò che gli era capitato, quello
che stava passando, tutto lo infastidiva. Per motivi che non voleva
approfondire – caratteristici del genere umano – aveva in mente ancora ciò che
era successo con Eve e, in particolare, la ragazza stessa. Temeva di sapere
dove quella situazione l’avrebbe potuto portare e non era certo di voler andare
in fondo alla questione. Era da tempo che non si sentiva così, troppo tempo e
una parte di sé era preoccupata dal riaffacciarsi di quelle vecchie emozioni.
«Ho cercato di non pensare a quello che era accaduto per diversi giorni
inutilmente. Lei era sempre lì, in un modo o nell'altro. Si preoccupava per me.»
USS
Enterprise
Data: 1
Agosto 2264
Appena una settimana dopo il suo ferimento, il dottor McCoy aveva ripreso a
lavorare. Passato il dolore più forte alla spalla – che aveva attenuato per
alcuni giorni con i farmaci – e aver appurato che la trasfusione era andata per
il meglio, Bones aveva preteso di riprendere a fare ciò che sapeva fare meglio,
così da tenere la mente occupata.
Aveva studiato le cartelle relative al suo ricovero e le immagini della ferita.
L'arma – quella specie di punta che dagli esami era risultata composta di un
materiale molto simile a quello delle ossa umane – si era conficcata nella sua schiena
all’altezza della spalla sinistra, aveva lacerato la carne, strappato i tendini
e forse avrebbe passato completamente il corpo del medico se, lungo il suo
percorso, non avesse incontrato la scapola contro cui si era fermata.
Era di sicuro per quella combinazione di fattori che il suo braccio sinistro
faticava ancora tanto a eseguire le istruzioni.
Tornare a lavorare lo stava aiutando a non pensare a nulla al di fuori di
ciò che compiva. Gli era d'aiuto e lo trovava salutare. Ogni volta che smetteva
di concentrarsi sui pazienti, però, tutto si ripresentava nitido nella sua
testa. Rimuginare sull'accaduto, su Eve, non aveva fatto altro che
intensificare i suoi dubbi e le sue incertezze, che ora si erano fatte domande
persistenti.
Bones le viveva soprattutto con un profondo fastidio. Eve gli piaceva, era
inutile negarlo, ma si era già risposto a proposito di quella situazione e il
fatto che continuasse a interrogarsi a riguardo lo indispettiva. Non era più un
ragazzino, non aveva più voglia di perdere tempo su quelle faccende.
Nel silenzio della sua camera, Bones bevve l'ultimo sorso di whisky ancora
presente nel suo bicchiere, dopodiché posò quest'ultimo sul tavolino che aveva
accanto – ingombro di appunti e cartelle cliniche – e afferrò il primo
documento che gli capitò in mano così da leggere qualcosa e distrarsi.
Si era appena messo a sedere che qualcuno bussò alla porta. Il medico non
era abituato a chiedere chi fosse, non aveva segreti, per tale ragione si alzò,
raggiunse la porta e aprì.
Inaspettatamente, davanti si trovò Eve. Era certo che a bussare fosse stato
Jim, per questo quando vide la ragazza al posto del capitano ne rimase
spiazzato. Lei gli stava sorridendo; indossava la divisa rossa, come sempre, la
quale le ricadeva indosso alla perfezione.
McCoy rimase a osservarla ancora per qualche breve istante, infine le
chiese: «Che ci fai qui?»
Eve si strinse nelle spalle: «Come va?» rispose, dopodiché si guardò
intorno. Alle sue spalle, lungo il corridoio, alcuni membri dell'equipaggio
continuavano a passare, lanciando occhiate incuriosite alla coppia sulla soglia
della porta. Con molta probabilità non stavano pensando a nulla di che, ma Eve
in quella situazione cominciava a sentirsi in lieve disagio.
«Ti dispiace se entro?» domandò infine, lanciando una rapida occhiata alle
sue spalle per far capire all'uomo che non si sentiva propriamente a suo agio a
rimanere immobile lì davanti.
McCoy si scostò, la fece entrare e lasciò che la porta si richiudesse alle
sue spalle. Quando si voltò verso Eve la trovò intenta a guardarsi intorno.
Fatta eccezione per la scrivania, la camera di Bones era molto ordinata, con
ogni cosa disposta nel posto che le spettava.
«Allora?» la incalzò infine il medico. Non capiva il perché della presenza
di Eve lì e cominciò a pensare che alla ragazza fosse successo qualcosa; forse
qualche postumo della sua donazione di sangue o un sintomo curioso che poteva
in qualche modo essere dovuto a una malattia aliena riscontrata su Ummei. Le
prime opzioni che analizzava il cervello di McCoy erano sempre le più
pessimistiche.
«Ho chiesto a Scott il permesso di smettere di lavorare prima oggi. Domani
mi toccherà iniziare all'alba» disse Eve, senza alcun motivo apparente.
Dopodiché si voltò verso l'uomo «Volevo solo sapere come stai?» gli disse,
stringendosi candidamente nelle spalle.
L'uomo inarcò un sopracciglio, perplesso. «Come sto?»
«Sì. Come va la ferita, la spalla. Come stai.»
La ragazza continuava a guardarlo e Bones non riusciva a capire se lo
stesse prendendo in giro o meno. Lei era lì davanti a lui, rilassata come se
stesse parlando a un amico di vecchia data. Per qualche istante il medico si
sentì strano. Quello che era successo fra lui e Eve sul pianeta alieno li aveva
avvicinati, quello era fuori discussione. Non si poteva fare finta di nulla
quando due persone rimangono coinvolte in qualcosa che rischia di strapparti
via la tua stessa vita: rimanere indifferenti è impossibile. Tuttavia, solo
pochi istanti prima, nella mente di Bones era balenata l'idea che, forse,
dietro la domanda di Eve si celasse una curiosità più profonda.
«Sto bene. Il braccio mi fa ancora un po' male ma è solo questione di tempo
prima che passi.»
«E la ferita?» volle sapere lei.
Nuovamente Bones si fece perplesso. «Cucita. Si sta cicatrizzando» replicò
lui. Stava per chiederle per quale motivo fosse tanto interessata alla cosa, ma
Eve lo precedette: «Posso... posso vederla?»
Il medico aggrottò la fronte. «Perché? Ti ci sei affezionata?» domandò
sarcastico.
Vide la ragazza distogliere lo sguardo mentre arrossiva.
«Sono solo curiosa» ammise infine lei, rossa in volto. «Vorrei capire a
modo di cosa si tratta, vederne l'entità. Quando te la stavo medicando ero
terrorizzata dalla quantità di sangue che usciva da quella specie di buco nero
che avevi sulla schiena. Non puoi biasimarmi se adesso vorrei capire con cosa
avevo a che fare. Sei un medico dopotutto, dovresti capirmi.»
Le sue risposte pronte riuscivano sempre a disorientare Bones. Anche se
alla volte sembrava bloccata da qualcosa – imbarazzo, confusione, paura –
subito riusciva a trovare le parole giuste per superare quella situazione e
replicare prontamente, in modo spiazzante. Anche in quel momento, al medico,
non venne in mente alcun motivo per cui non potesse essere in accordo con la
ragazza. Trovava che Eve fosse sorprendente.
Rimase a guardarla per un lungo momento. Gli occhi nocciola di lei, fissi
nei suoi, erano accentuati dal rossore che ancora le colorava le gote. Appena
quell'immagine si fu impressa nella sua mente di Bones, lui sospirò.
«D'accordo» acconsentì.
Si sedette sul bordo del letto, si sfilò la divisa blu, scoprendosi la
schiena e lanciò un'occhiata a Eve. Quest'ultima era immobile, le braccia
abbandonate lungo i fianchi a guardare l'uomo svestito per metà.
«Beh?» la incalzò poco dopo lui, non capendo perché la ragazza si fosse
bloccata d'improvviso.
Eve sbatté gli occhi un paio di volte, come se si fosse risvegliata da uno
stato di trans e si avvicinò al medico.
«Scusa» mormorò in fretta appena gli fu accanto. Non sapeva con esattezza
cosa si sarebbe dovuta – o voluta – attendere dall'aspetto di una ferita ormai
ricucita, ma quel taglio verticale, lungo al massimo pochi centimetri, ora solo
arrossato, all'apparenza le parve innocuo; sembrava addirittura impossibile che
tutto il sangue che Eve aveva visto sgorgare come impazzito dal corpo del
medico potesse provenire da quella ferita.
Non sentendo alcuna parola da parte della ragazza, Bones decise di dire
qualcosa: «Ti aspettavi di peggio, vero?»
Lei si lasciò sfuggire solo un piccolo verso, impossibile da interpretare.
Si mise a sedere sul letto, accanto a McCoy, mentre quest'ultimo tornava a
infilare la divisa blu, sistemandola a dovere.
«Nel giro di poche settimane di quel segno non rimarrà nulla. I sistemi di
sutura laser sono i migliori che mente umana abbia mai progettato» riprese lui,
lo disse con un timbro soddisfatto che avrebbe potuto lasciar credere che fosse
sua la tecnologia alla base di quei risultati.
La ragazza non replicò. Bones si rese conto che stava tenendo gli occhi
bassi, fissi sulle proprie mani; sembrava sovrappensiero, come preoccupata da
qualcosa. Per l’uomo fu particolarmente strano trovarla così, non era quella l’Eve
che aveva imparato a conoscere.
«Va tutto bene?» le chiese.
Lei sussultò lievemente e alzò lo sguardo. C’era preoccupazione in quegli
occhi, ma per motivi che McCoy non avrebbe mai potuto comprendere. Capì solo
che era tesa, quasi si stesse preparando per qualcosa di vitale.
«Sì, tutto a posto. Stavo solo… pensando a una cosa» si scusò. «Sono
contenta che tu stia bene» gli disse poi, sorridendogli. Anche lui le sorrise,
ma non poté fare a meno di pensare che, se quella situazione si fosse
protratta, le cose sarebbero potute andare in una direzione inattesa; una
direzione che, per quanto lui si sforzasse di non immaginare, si delineava con
esattezza per colpa di una parte di sé che, al contrario della logica e
razionale metà scientifica di Bones, voleva lasciarsi andare perché accadesse
qualcosa.
«Mi sono davvero preoccupata. Quando hanno detto che ti serviva una trasfusione
di sangue, insomma ho… ho avuto paura. E se fossi morto?»
Quella della ragazza era una domanda retorica, tuttavia McCoy pensò bene di
risponderle. Eve gli parve turbata e per quanto sospettasse le possibili
motivazioni di quei sentimenti, alleggerire la strana atmosfera che si stava
generando fra loro gli parve l’opzione migliore. «Credimi se ti dico che ci
vuole altro per sbarazzarsi di me. Forse solo Jim riuscirà a farmi ammazzare. O
Spock, non so chi dei due sia peggio per il mio fegato.»
Pensò che la sua fosse un'ottima frase a effetto, al punto che si
complimentò mentalmente con se stesso. Tuttavia la ragazza si lasciò sfuggire
solo un mezzo sorriso e McCoy capì che avrebbe dovuto fare qualcosa. Sospirò,
sperando di non essere in procinto di cacciarsi in una situazione da cui
uscirne sarebbe stato ancora più complicato.
«Scherzi a parte, sto bene. Lo vedi anche tu» esordì. «È molto bello che tu
ti preoccupi tanto. Fai così con tutti?»
A quella domanda Eve lo guardò negli occhi. Un nuovo rossore le sfumò il
viso mentre rispondeva: «No, non con tutti.»
In quell'affermazione Bones sentì molto più di una semplice risposta, vi
trovò qualcosa di più profondo. Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma non gli
venne in mente alcuna risposta pronta.
Eve, in silenzio di fronte a lui, attese qualche altro secondo, poi si
lasciò andare. Si avvicinò ulteriormente al medico e, cercando di non
pensare, posò le labbra sulle sue. McCoy rimase spiazzato da quel gesto e fu
proprio in quel momento di caos che la parte di sé più impulsiva, quella che
aveva sempre voluto che ciò accadesse, prese il sopravvento su quella logica e
razionale. Assaporò fino in fondo quel bacio così delicato e, quando sentì Eve
allontanarsi, fu lui ad avvicinarla a sé e baciarla. Quel nuovo bacio fu più
intenso del precedente. I loro corpi si avvicinarono, i respiri si
sovrapposero. Per quella volta McCoy aveva deciso di lasciare da parte la
ragione e, mentre sfiorava il viso della ragazza, capì che non gli importava
nulla delle possibili conseguenze.
«È successo, tutto qui. Finché non accade nulla, e penso lo sappia anche
tu, porsi delle domande non ha molto senso. Ma quando succede qualcosa allora
diventa inevitabile chiedersi cosa si vuole davvero. L’ho fatto e ho trovato
delle risposte.»
USS
Enterprise
Data: 2
Agosto 2264
Fra le lenzuola di un letto disfatto, si svegliò Bones. Era mattina, almeno
così pensava, dato che la luce artificiale sempre presente a bordo della nave spaziale
rendeva le ore confuse e il tempo indefinito. Guardò l’ora, notando che le nove
erano da poco passate perciò, sì, era mattina.
Si mise a sedere e, nel compiere quel gesto, sentì una fitta alla spalla
sinistra; il dolore non se ne era ancora andato, ma per sua fortuna quel giorno
era l’ultimo del suoi pensieri.
Guardandosi intorno si rese conto di essere solo e ne rimase sorpreso. Dopo
un’intera notte trascorsa con Eve, non si aspettava di non trovarsela accanto
al risveglio. Arrivò addirittura a dubitare del fatto che fosse avvenuto tutto
realmente. Tuttavia le sensazioni che stava provando gli permisero di essere
certo del fatto che quella notte era stata reale; su di sé sentiva ancora il
profumo della ragazza. Guardando con più attenzione si rese conto che alla sua
sinistra era stato lasciato un piccolo promemoria, che lampeggiava celeste
sullo sfondo blu dell’ologramma.
Avevo promesso a
Scott che avrei iniziato a lavorare all’alba oggi. Buon risveglio.
Il breve messaggio non era firmato, ma per Bones fu abbastanza semplice
intuire chi fosse il mittente.
Si mise a sedere sul letto, cercò di sistemarsi i capelli in qualche modo e
finì inevitabilmente col pensare. Ripercorse alcuni dei momenti che, dal bacio
iniziale fra lui e Eve, lo avevano portato al risveglio e, proprio a quei
pensieri, la sua parte più razionale fece ritorno.
Si era lasciato andare; lo aveva volutamente fatto e ora gli toccava
confrontarsi con le conseguenze che, la sera prima, aveva deciso di ignorare.
Non che si fosse pentito di ciò che era avvenuto, solo che il tutto si era
fatto complicato.
Non sarebbe stato visto di buon occhio dalla Flotta Stellare un
coinvolgimento sentimentale fra lui, sull’Enterprise ormai da anni e a capo
della sezione medica, e una ragazza di dieci anni più piccola appena giunta
nell’equipaggio. Con tutta probabilità a Kirk non sarebbe importato nulla, ma
lui non era la Flotta Stellare.
Mentre si rivestiva, McCoy ci stava ancora pensando. Quando una parte di sé
riusciva ad avere la meglio sull’altra, quest’ultima rimontava con impeto,
surclassando il pensiero che si era formato nella mente del medico, positivo o
negativo che fosse. Infastidito da quell’inconcludente situazione, l’uomo pensò
bene di rimettersi al lavoro.
Soffocò un’imprecazione fra i denti quando si rese conto che non riusciva a
ignorare la situazione in cui si trovava. Pensò al da farsi e concluse che c’era
una sola cosa possibile: doveva parlarne con Eve. Magari, capendo le intenzioni
della ragazza, anche lui avrebbe potuto rendere più chiare le sue, anche se
solo a se stesso. Tuttavia non poteva piombare in sala macchine in cerca
di Eve per chiederle chiarimenti su quello che era accaduto fra loro.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da una chiamata proveniente dalla
plancia. Il medico rispose.
«Bones ci sono possibilità di vederti in plancia questa mattina?»
Era Kirk, il quale, con sottile ironia, ci teneva a ricordare all’amico che
era in ritardo sulla loro, ormai abituale, routine giornaliera.
McCoy si lasciò sfuggire un rapido sbuffo. «Sì arrivo. Prima devo solo
fare una deviazione» rispose poi.
«Sarebbe?»
«Jim anche se sei il capitano non vuol dire che debba dirti tutto. Fra poco
sono lì» disse e chiuse la comunicazione prima che l’altro potesse replicare in
qualche modo. Capì che era ora di darsi da fare e si avviò fuori dalla
propria stanza, diretto verso il cuore dall’Enterprise.
Giunto in sala macchine si ritrovò circondato da divise rosse e chiese di
Scott finché non lo trovò.
«Oh, ehi» lo salutò l’ingegnere vedendolo. «Cosa ti porta fin qui?»
Bones fece del suo meglio per rimanere serio come suo solito quando parlava
di medicina e pazienti. Mentre si apprestava ad andare fin lì, aveva pensato a
cosa dire affinché la sua ricerca di Eve non suonasse sospetta. Sentiva che
avrebbe fatto meglio a non sbandierare ai quattro venti ciò che era successo
fra loro, anche con uno come Scotty.
«Sto cercando Eve» disse solo. Come si era aspettato, l’ingegnere gliene
chiese il motivo.
«Riguarda la trasfusione di sangue. Te lo hanno detto che è lei la
donatrice?» replicò il medico, ostentando tutta la sua sicurezza.
Scotty annuì con la testa un paio di volte, l’espressione di chi si ricorda
della cosa solo in quel momento.
«Ti porto da lei» disse infine, avviandosi per fare strada all’altro.
I due si addentrarono fra motori e componenti elettriche, in quel labirinto
che era l’Enterprise anche nei suoi meandri più profondi.
Quando Scott si fermò erano in prossimità di un gran numero di cavi in
gomma, tenuti insieme da fasce in metallo, le quali si arrampicavano su per un
lungo tubo, perdendosi chissà dove.
Proprio dentro quel tubo si era infilata una ragazza, riconoscibile dall’uniforme
che sbucava dalla vita in giù. Lì accanto, appoggiata con il fianco alla
parete, c’era Jaylah. Teneva le braccia incrociate e una serie di chiavi in
mano. Salutò Bones con un cenno della testa mentre ancora masticava una gomma.
Scott batté un paio di colpi sulla superficie del tubo. «Eve quando tiri
fuori la testa da lì, hanno bisogno» disse.
«Un secondo» rispose lei, la voce rimbombò per alcuni secondi.
Scott annuì e si allontanò, facendo segno a Jaylah di seguirlo. McCoy li
guardò allontanarsi e si complimentò con se stesso: tirare in ballo la medicina
dava sempre garanzia di privacy. Nonostante tutto, però, di privacy non ce n’era
ancora molta; il un via e vai di meccanici era costante, un continuo svolazzare
di divise rosse.
«Ci sono.» Eve si inginocchiò per riuscire a venire fuori dallo stretto
posto in cui si era infilata. Posò in terra la chiave che aveva in mano, si
rimise in piedi, si lisciò la divisa e infine si voltò.
Come si trovò davanti McCoy, la ragazza si bloccò. Lo guardò stupita, sorpresa
di trovarlo insieme alla sua divisa blu in quel posto. Gli sorrise.
«Ciao» disse.
Bones la guardò; gli parve di essere rimasto solo con lei, pareva quasi che
intorno a loro tutto il resto non esistesse. Erano anni che non si sentiva
così, combattuto, impotente ma, al contempo, anche interessato a sapere come le
cose si sarebbero evolute, seppur preoccupato da quelle possibili conseguenze.
Era in procinto di chiederle come stesse, tuttavia pensò che fosse meglio non
rimanere lì con lei troppo a lungo; l’aveva raggiunta solo per chiederle di
incontrarsi con calma più tardi. Per tale motivo fu piuttosto rapido ad
arrivare al punto.
«Vorrei che parlassimo di-» esordì, ma un giovane passò accanto a loro e il
medico si zittì. «Beh, lo sai» concluse poi.
Eve si lasciò sfuggire un sorriso. Si sentiva tranquilla nonostante tutto,
poiché, quando la sera prima si era avvicinata a Bones fino a baciarlo, sentiva
di stare facendo un errore che, certamente, avrebbe solo complicato tutto.
Invece ciò che era avvenuto fra loro aveva superato ogni sua aspettativa, al
punto che avrebbe accettato qualsiasi conseguenza.
«Sì, credo sia doveroso parlarne» rispose lei, stringendosi appena nelle
spalle.
«Solo non qui» Bones lanciò un’occhiata accanto a loro, dove alcune persone
stavano passando lungo il corridoio.
Eve lo capì perfettamente – e, in fondo, anche lei era dello stesso parere.
«Che ne dici di trovarci nella T3? Dopo le dieci di sera non c’è mai
nessuno, credimi, lo so per esperienza.»
Aveva abbassato la voce sul finire della frase, anche lei preoccupata che
qualcuno potesse sentirli.
Bones pensò alla stanza che la ragazza aveva proposto; era una di quelle
stanze piccole e arredate esattamente per fare due chiacchiere, un tavolino,
una credenza piena di bicchieri – anche se non vi era nulla da bere. Era uno di
quei posti dove lui si trovava ogni tanto insieme a Jim, quando quest’ultimo
aveva voglia di parlare.
Acconsentì alla proposta di Eve e si diedero appuntamento per quella sera,
infine lui si allontanò, dirigendosi verso la plancia.
Il resto della giornata del medico trascorse come un’accozzaglia di strane
sensazioni. A differenza di come avveniva sempre, il lavoro non era riuscito a
distrarre McCoy che, quasi a intervalli regolari, controllava l’ora e
borbottava mentalmente alcune imprecazioni. Appena arrivò il momento di andare,
si congedò da Jim e raggiunse la stanza T3. Era piuttosto risoluto quando varcò
la soglia e colpito – nel senso buono del termine – quando vide Eve. Lei era
seduta al tavolino, fra le mani teneva il bicchiere in parte pieno di un
liquido ambrato; alle sue spalle, oltre la finestra, lo spazio avanzava lento.
«Non ti facevo una da whisky» esordì lui, quasi ad annunciarsi.
Eve non sollevò neanche lo sguardo. «Infatti è bourbon.»
Alzò gli occhi solo in quel momento, proprio quando Bones si sistemò nello
sgabello vuoto davanti a lei, sorridendo alla sua affermazione La ragazza
allora versò un po’ di quel liquore in un bicchiere che aveva preparato in
precedenza e lo fece scorrere sul piano fino alla mano di McCoy.
Lui ne bevve un sorso. «Ottimo sentenziò.»
«Lo so. Ne ho fregate alcune bottiglie dalla riserva di mio padre e poi le
ho nascoste fra i vestiti prima di imbarcarmi.»
Bones sollevò il bicchiere, esprimendosi in un gesto che aveva tutta l’aria
di lodare la scelta della ragazza.
Lei bevve un sorso del suo bourbon, dopodiché prese fiato.
«Che ne dici se smettessimo di girare intorno all’argomento?»
Era calma, quasi rilassata. Non aveva aspettative da quell’incontro,
proprio come McCoy. Il medico posò il suo bicchiere sul ripiano. «Sì, hai
ragione.»
«Beh, io» esordì Eve, con una sicurezza che, in buona parte, poteva
dipendere dal liquore che aveva ingerito, «penso che sia abbastanza palese
quello che provo. So che ci sono dodici anni di differenza fra noi e, insomma,
non potrei biasimarti se per te questo fosse un fattore rilevante. Tuttavia la
verità credo di avertela mostrata abbastanza chiaramente ieri sera.»
Si mise a ticchettare lievemente con le dita sul vetro del bicchiere,
producendo un suono appena percepibile.
«Mi sono sempre sentita attratta da te» ammise, distogliendo lo sguardo. «E
dopo quello che è successo su Ummei, beh...»
Eve si interruppe, non sapendo come altro proseguire. Si era appena aperta
e si sentì d’improvviso vulnerabile, quasi si fosse resa conto solo in quel
momento di ciò che aveva appena pronunciato.
Di fronte a lei, Bones guardò il profilo della ragazza, spostando lo
sguardo fino al punto in cui lei stava osservando; lo spazio oltre l’Enterprise
continuava a muoversi lento, illuminato da migliaia di stelle lontane.
Dopo diversi secondi di silenzio, il medico capì che Eve non avrebbe mai
concluso la sua frase, tuttavia aveva compreso alla perfezione quello che
intendeva dire. Bones si fece forza e, quasi arrendendosi alla situazione,
disse: «Per quanto mi riguarda, era da tempo che non incontravo una donna
in grado di incuriosirmi tanto quanto te.»
Lei tornò a guardarlo, sorpresa e lui riprese a parlare: «Sai dopo quello
che mi è successo – la faccenda del divorzio intendo – inizi a vedere tutto il
genere femminile con diffidenza. Come se le donne non aspettassero altro che
pugnalarti alle spalle.» Nella sua ultima frase c’era una leggera nota di
rimprovero, rivolta esclusivamente a se stesso. «Solo che con te è stato tutto
diverso, fin da subito. E sento di essere abbastanza intelligente per capire
che ciò vuol dire qualcosa.»
Un sorriso leggero illuminò il volto di Eve al suono di quelle parole e le
gote le si fecero più rosee. Tuttavia Bones sospirò, cosa che fece intuire
alla ragazza che c’era dell’altro.
«Quanto hai detto, però, è vero. Ci sono dodici anni di differenza fra noi.
E non si tratta solo di questo; non so quanto la Flotta Stellare possa vedere
di buon occhio una relazione fra una cadetta e uno che ricopre il mio ruolo
facenti parte dello stesso equipaggio.»
Eve si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo. Sapeva che Bones
aveva ragione ma, per lei, fu più doloroso comprendere attraverso le sue parole
che fra loro non sarebbe potuto accadere nulla. Si fece forza,
ripetendosi nella mente il fatto che lei sapeva sarebbe andata a finire così,
anzi, era accaduto molto più di quanto si fosse aspettata.
Annuì con la testa alle parole del medico. «Perciò facciamo come se non
fosse avvenuto nulla?» chiese.
McCoy la guardò a lungo. Dentro di lui c’era una lotta, ma dal tono sicuro
usato da Eve comprese che la ragazza aveva fatto la sua scelta.
«Sì» rispose monosillabico. Terminò il contenuto del suo bicchiere,
lasciando intuire a Eve che era meglio chiudere lì la conversazione. Lei lo
capì; senza che Bones le dicesse nulla si alzò in piedi, si sistemò la divisa e
afferrò la bottiglia di bourbon. Anche il medico si alzò e si avviò accanto
alla ragazza.
Davanti alla porta Eve si fermò e sollevò lo sguardo su Bones. «Quanto
dobbiamo fingere che non sia accaduto?» gli chiese. «Anche la nostra
disavventura su Ummei, o solo di questa notte?»
Il medico non capì se la sua domanda si potesse considerare o meno una
provocazione, ma dal tono con cui era stata pronunciata comprese che non lo
era; era una curiosità, nulla di più.
«Non so tu, ma per me sarà pressoché impossibile dimenticare quanto
successo su Ummei» replicò lui, strappando un leggero
sorriso a Eve. «E poi mi hai salvato.»
Al suono di quelle ultime parole la ragazza si fece seria. Alla mente le
tornarono, inevitabili, i ricordi di ciò che era successo fra loro da quel
giorno. Il pensiero che tutto sarebbe finito così la rattristava, ma voleva
rispettare la scelta di McCoy.
Il loro contatto visivo durò un istante di troppo e Eve non arrestò l’ultimo
fremito che la percorse. Si alzò in punta di piedi e posò le labbra su quelle
di Bones; le schiuse in modo da percepire tutto il sapore del bourbon ancora
presente sulla bocca dell’uomo. Quest’ultimo, in un primo momento, si disse di
resistere, ma subito dopo decise che non c’era nulla di male a vivere quel
bacio con la giusta intensità. Si avvicinò a Eve, le sfiorò il collo e fece
scorrere la mano destra fino alla nuca, affondando le dita fra i suoi capelli. Eve
si portò ancora più vicina, stringendosi a lui come fosse vitale.
Nonostante quello dovesse essere il loro ultimo, intimo, momento insieme,
fu proprio mentre si baciavano quell’ultima volta che entrambi capirono che
nessuno dei due poteva fare a meno dell’altro.
Bones aveva parlato a lungo, seduto davanti al suo capitano e amico,
giocando distrattamente con il bicchiere ormai vuoto. Il brandy lo aveva
scaldato, ma in quel momento sentì di averne ancora bisogno.
Jim continuò a guardarlo in silenzio, ripercorrendo con la mente le vicende
che il medico gli aveva appena finito di elencare. In parte si scoprì sorpreso
da ciò che era accaduto fra Bones e Eve, tuttavia la sensazione che ebbe la
meglio in lui fu la gioia. Era davvero felice per il suo amico, così come gli
fece piacere scoprire che era tornato a buttarsi in qualcosa che, per anni,
pareva aver accantonato.
Sebbene Kirk avesse sospettato da tempo che fra l’amico e Eve potesse
esserci qualcosa, sentirlo dire dalla bocca del diretto interessato fu più
sorprendente del previsto.
«Da quanto è che va avanti?»
La domanda di Jim spezzò il silenzio. Era di facile interpretazione. McCoy
sollevò gli occhi sull’amico e non trovò sul suo viso l’espressione che si era
aspettato. Jim non aveva la faccia maliziosa che gli compariva sempre quando si
tirava in ballo una donna e tutta la sessualità che subentrava con essa, ma era
semplicemente curioso; la sua espressione non poteva dimostrare altro che
questo, al punto che McCoy nel primo istante pensò che l’altro si stesse
prendendo gioco di lui.
«Quattro mesi» rispose infine il medico, tornano a dedicare la propria
attenzione al bicchiere vuoto.
«Caspita» esclamò Jim, sorridendo di gusto. «Siete stati bravi. Io sospettavo
qualcosa solo perché ti conosco, ma devo ammettere che non ne ero così sicuro.»
Era raggiante – e piuttosto divertito.
Tuttavia McCoy non diede alcuna soddisfazione al capitano, si limitò solo a
guardarlo perplesso. C’era una sorta di preoccupazione nei suoi occhi, lieve e
velata, ma percepibile per qualcuno che lo conosceva bene come Jim. Quest’ultimo
dedusse che uno dei motivi che avevano spinto Bones ad aprirsi con lui erano
legati in parte al bisogno del medico di avere un alleato, qualcuno in grado di
consigliargli e con cui confrontarsi.
«Credevo pensassi fosse troppo piccola per te» disse Kirk, ripensando alla
prima volta in cui Bones aveva visto Eve. Lo trovò un ottimo pretesto per
arrivare a quello che sentiva essere il punto cruciale della loro intera
conversazione.
«Sì lo so» borbottò in risposta il medico, dopodiché respirò e alzò il tono
della voce: «Ma a lei non importa. E sai cosa? Ho capito che non importa
neanche a me.»
Ignorò completamente il bicchiere, dedicando la sua attenzione a Jim. «Per
la prima volta dopo anni ho trovato qualcuno con cui sento che vale la pena di
impegnarmi. Non mi interessa se fra noi ci sono tutti questi anni di
differenza. E se importa alla flotta, beh» si strinse nelle spalle, «siamo già
d’accordo che troveremo un modo. Eve sostiene che senza di me siete spacciati,
penso punterò su questo» sorrise divertito, contagiando anche Kirk.
«Ti preoccupi della Flotta Stellare?» chiese poi quest’ultimo.
«Giusto un po’» replicò Bones con sarcasmo. «Sono il primo ufficiale medico
e lei una cadetta. E come se non bastasse, a complicare tutto c’è la differenza
di età. Non venirmi a dire che non è vero che dodici anni non sono visti di
buon occhio.»
Jim fece per replicare, ma non gli riuscì di dire nulla con prontezza.
Sapeva che Bones non aveva tutti i torti e gli dispiacque vedere che qualcosa
di problematico stava subentrando in ciò che di più bello accadeva al medico da
tempo.
«Nessuno vi obbliga a dirlo alla Flotta» gli fece notare il capitano.
Il sarcasmo del medico aumentò e lui si lasciò sfuggire dalle labbra un’esclamazione
senza alcun senso apparente.
«Come no. Jim, il motivo per cui ti ho raccontato tutto è perché io e Eve
ci siamo stancati di nasconderci. Fingere di essere solo membri dello stesso
equipaggio tutto il dannato tempo e poi passare la notte in camera mia a dirci
quello di cui volevano parlare durante il giorno» si sfogò.
Kirk annuì appena con il capo. Non capiva la situazione dell’altro, ma ciò
non significava che non fosse d’accordo con lui.
«Mi hai detto tutto perché vuoi il mio sostegno?» gli chiese poi, benché
non fosse affatto sicuro di quello che stava dicendo.
Bones, infatti, aggrottò la fronte, come se Jim avesse appena pronunciato
un’assurdità.
«No. Tanto abbiamo già deciso di non nasconderci più. Pensavo solo fosse
giusto informarti prima degli altri» concluse, versandosi nuovamente da bere e
riempiendo anche il bicchiere del capitano.
«L’unico che mi preoccupa un po’ è Spock. Lui e quel suo maledetto udito da
vulcaniano, uniti alla sua assurda fissazione di seguire alla lettera il
regolamento» borbottò. «La Flotta Stellare verrà a sapere di me e Eve nel giro
di due giorni.»
Jim ci pensò un momento, dopodiché disse: «Beh, francamente penso che
questa volta tu possa stare tranquillo.»
Bones lo guardò perplesso.
«Insomma, il regolamento della Flotta Stellare non proibisce le relazioni
fra membri dello stesso equipaggio – e Spock e Uhura
ne sono un ottimo esempio – e ancora meno cita la differenza di età. Perciò se
Spock andasse a dire tutto al consiglio della Flotta non farebbe esattamente
rapporto, ma farebbe la spia e la cosa non sarebbe vista bene da tutti,
specialmente da Uhura. E poi, amico mio, non penso
che al primo ufficiale importi così tanto di te e Eve da spingerlo a parlare»
concluse, con un sorriso vittorioso.
L’espressione perplessa di Bones, invece, era ancora ben impressa sul suo
volto. Tuttavia scomparve quando comprese che l’altro aveva appena sostenuto
una teoria che stava perfettamente in piedi.
«Ineccepibile» osservò il medico, una punta di ironia a condirne la voce.
«Ho studiato» rispose prontamente Jim.
Sorrisero entrambi mentre il silenzio calava intorno a loro.
«Bones» esordì Kirk, ricevendo subito l’attenzione dell’uomo di fronte a
lui. Il capitano si era fatto serio, risoluto. «So che potrebbero esserci
complicazioni fra te e Eve per la questione dell’età. La Flotta Stellare è a
favore dell’integrazione, certo, ma su alcune cose sono ancora un po’ restii a
cedere. Io sono certo che non avrete problemi, tuttavia, se dovessero
essercene, non sarà a bordo dall’Enterprise, te lo prometto.»
Bones guardò l’amico a lungo, ripensando alle sue parole. Quando aveva
detto a Eve che l’unico motivo per cui tornava a imbarcarsi sull’Enterprise era
per via della presenza di Jim in plancia aveva detto la verità e il capitano
gli aveva dato ancora una volta la conferma di quella sua scelta. Tuttavia loro
non erano i tipi da scambiarsi parole di conforto fino a sfociare nel sentimentalismo
e – diamine – non avrebbero iniziato ora. McCoy afferrò il proprio bicchiere e
lo sollevò per brindare a Jim. «Siamo sentimentali questa sera. Il brandy non è
il liquore giusto per te, mi sa che dovrò fare un’altra capatina nell’armadietto
di Chekov.»
Kirk sorrise. «Dubito che Chekov tenga ancora il suo ottimo whisky là
dentro, ma puoi sempre provare.»
Sollevò anch’egli il bicchiere e lo portò a contatto con quello di Bones.
Il suono del vetro riverberò nel silenzio della stanza mentre Jim pensava a
qualcos’altro di cui poter parlare. McCoy gli aveva appena raccontato un lasso
di tempo di circa nove mesi, perciò il capitano si disse che era suo dovere
ripagarlo con la stessa moneta.