Neve e Cenere

di Nadja_Villain
(/viewuser.php?uid=939991)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I colori della Libertà ***
Capitolo 2: *** Avengers ***
Capitolo 3: *** Ostacoli mentali ***
Capitolo 4: *** Minaccia latente ***
Capitolo 5: *** Beviamoci su ***
Capitolo 6: *** Un pugno di umiltà / Non disubbidirmi ***
Capitolo 7: *** L'asso nella manica / Non darmi ordini ***
Capitolo 8: *** Mutaforma ***
Capitolo 9: *** Vecchi amici ***
Capitolo 10: *** Mondi lontani / Fiamma vivente ***
Capitolo 11: *** Sokovia ***
Capitolo 12: *** Veleno / Sulla via di ritorno ***
Capitolo 13: *** Boccata d'aria ***
Capitolo 14: *** Spietata coscienza / Famiglia ***
Capitolo 15: *** Solo un ripiego ***
Capitolo 16: *** Proposta indecente / Il peso delle parole ***
Capitolo 17: *** Anime Spoglie ***
Capitolo 18: *** Rosso ***
Capitolo 19: *** Irriducibile ***
Capitolo 20: *** Punizione / Parco giochi ***
Capitolo 21: *** Resurrezione ***
Capitolo 22: *** In trappola ***
Capitolo 23: *** Tortura Eterna ***
Capitolo 24: *** Bianco ***
Capitolo 25: *** Esperimento Umano ***
Capitolo 26: *** Tu sei fuoco e sangue ***
Capitolo 27: *** Ordini dall'alto ***
Capitolo 28: *** Tattiche di fuga ***
Capitolo 29: *** Trovare la propria strada ***
Capitolo 30: *** Fantasmi ***
Capitolo 31: *** Rivelazione ***
Capitolo 32: *** Ci siamo sfiorati ***
Capitolo 33: *** Potere ***
Capitolo 34: *** Lo ucciderai ***
Capitolo 35: *** Insegnami ***
Capitolo 36: *** Benzina ***
Capitolo 37: *** Fino alla fine ***
Capitolo 38: *** Formicolii ***
Capitolo 39: *** Solo un'ossessione ***
Capitolo 40: *** Ora o mai più ***



Capitolo 1
*** I colori della Libertà ***


Spazio autrice introduttivo:

Alcuni capitoli riportano più titoli separati da “/” perché ho deciso di accoppare quelli corti e conseguenti tra loro per rendere la narrazione più scorrevole (su Wattpad i capitoli sono molto corti perché, essendo la prima storia che ho iniziato a scrivere, non sapevo se ci fosse una media di lunghezza adatta da mantenere). Altre volte invece ho deciso di mantenere un solo titolo, perché semplicemente mi sembrava che abbracciasse meglio il tema.

La storia sarà divisa in varie parti che corrispondono alle fasi in cui si sviluppa la vicenda.

 
Se vi piace ciò che scrivo mi trovate anche su Wattpad col nome di @Nadja-Villain :)
 

Ringrazio anticipatamente chiunque abbia deciso di spendere il proprio tempo leggendo questa storia


*.+ B U O N A  L E T T U R A  ! +.*

 
Nadja Villain
 


*




Neve e Cenere | Marvel

Parte prima

1 . I colori della libertà


Un manto di luce fredda l'accolse aggressiva. Strizzò gli occhi dolenti, mentre provava ad assemblare i pezzi di ciò che ricordava. Alzò il braccio verso il viso, ma quello rimase a mezz'aria, in parte bloccato dal bracciale metallico, in parte era causa un'ubriachezza generale che rendeva pesanti e faticosi anche i pensieri: il sedativo aveva fatto il suo effetto. Poggiò la testa sullo schienale e si perse nel buio che la circondava. Non dovette attendere molto prima di scorgere un volto umano: un uomo sulla quarantina, rigorosamente vestito in giacca e cravatta, avanzò entrando da una porta che non riuscì a mettere a fuoco. Si sedette compostamente di fronte a lei. Poggiò sul tavolo un faldone alto. Astrid fissò la prima facciata e le parve così buffo che il suo nome apparisse sull'intestazione di un documento governativo. Eppure ripensandoci, non era poi così buffo.

-Buona sera, signorina Sullivan.

-A lei... - rispose Astrid con tono sarcastico, la voce impastata, ancora sonnolente.

-Come si sente?

-Pronta all'attacco. - Sollevò mollemente le braccia. Non vede?

L'altro sorrise, compiaciuto.

-Ne ero certo.

-Lei conosce il mio nome. Io non conosco il suo. - Puntualizzò lei, come se le interessasse davvero.

-Oh, mi perdoni, che maleducato!

L'uomo sfilò il distintivo dalla tasca interna della giacca: accanto alla fototessera, una lucente placca timbrata dal governo, raffigurante una maestosa aquila stilizzata. Sotto era stampato a lettere cubitali l'acronimo "S.H.I.E.L.D.".

-Sono l'agente Phil Coulson - continuò, tutto orgoglioso - della Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division.

-Nome carino...

-Siamo un'associazione antiterroristica che si occupa di casi come il suo.

-E come sarebbe il mio caso?

-Speciale, signorina Sullivan. - Si sistemò sulla sedia. Intrecciò le dita sul piano del tavolo, avanzando i gomiti. La luce gli illuminò il volto. - Vede, il governo è a piena conoscenza di esseri con doti sovrannaturali, ma non intende che essi diventino una minaccia per i cittadini. Mi spiego?

-Sono in carcere adesso? - Chiese lei ruotando le cornee verso l'alto.

-Non ancora. Siamo intervenuti prontamente per darle una... seconda chance, per così dire.

-Mi chiedo da dove venga tutta questa benevolenza.

-Interesse, ovviamente. Vorremmo proporle un accordo. Il nostro obiettivo è valorizzare le sue potenzialità. Renderle utili all'umanità. Rendere lei utile all'umanità.

-Porterò la pace nel mondo e vi prenderete tutto il merito?

-Qualcosa di più modesto, ma il concetto è quello.

-Perché siete convinti che accetterò e che seguirò ogni vostro ordine alla lettera? - L'agente la studiava con una calma irreale, impassibile. Astrid si allungò in avanti, cercando la sfida. - E se mi ribellassi? Se scappassi? Magari intromettendo altre persone innocenti...

Coulson aprì il raccoglitore, sfogliò parecchie pagine. Staccò una ridotta cartella dai ganci. Girò il documento sotto gli occhi della trattenuta, per mostrarle un volto che conosceva bene.

-Jeremy Anthony Gus. Imprenditore e proprietario del Fast & Glourious Bar, fast food in cui lei lavorava e luogo del delitto. Un semplice uomo d'affari, come lo dipingerebbero in molti. In realtà è stato più volte trovato con le mani nel sacco in circostanze poco pulite. Rapporti evasivi con la finanza. Agganci con la mafia. Una lista di crimini e delitti insabbiati. Non proprio una persona innocente. Dovrebbe saperlo meglio di me. Comunque, a parte i dettagli del suo caso, signorina Sullivan, siamo sinceri: non credo che voglia perdere gli anni migliori della sua vita rinchiusa in una cella d'isolamento del carcere di massima sicurezza sotto il Pacifico, per un unico caso che la incrimina, quando di contro ce ne sono molti altri che la onorano.

-Conoscete il nome, il mio passato, le mie ambizioni... Da quando mi stavate spiando?

-Ci tenevamo informati sui suoi movimenti. Ci piace chiamarla precauzione.

L'agente non pareva piegare il suo entusiasmo nemmeno di fronte all'evidenza di un errore.

-Continuo a credere di non essere la persona che cercate.

-Io continuo ad esserne certo ogni secondo di più. Mi creda, ho colloquiato con molte tipologie di criminali. So riconoscerne uno al primo sguardo.

-E io a quale tipologia appartengo?

-A nessuna di esse.

Un sorriso molesto ricamò l'affermazione, come una componente fondamentale per un efficace processo di persuasione. L'uomo allungò un plico di fogli spillato all'angolo e una penna. Poi si alzò in piedi, sistemandosi un bottone della giacca.

-Ha tempo per rifletterci. Quando sarà convinta, mi faccia un fischio.

-Aspetti... - Bofonchiò Astrid. Non era sicura di quello che stesse facendo, ma non avrebbe peggiorato la sua situazione. Sfogliò le pagine, lesse brevemente qualche riga. - Qual è la scadenza?

-Finchè sarà necessario.

-Alla fine potrò tornare a casa?

-Se seguirà le indicazioni.

Astrid prese un respiro profondo. Bacchettò con la penna sul tavolo, mentre cercava di immaginare come sarebbe stata la sua nuova vita fuori di lì. Scattò il bottone sulla cima, scrisse rapidamente il suo nome, sull'ultima linea in basso a sinistra nell'ultima pagina. Gettò tutto sul tavolo quasi come se avesse fatto un lavoro controvoglia. Coulson spalancò un sorriso soddisfatto.

-Saggia decisione, signorina Sullivan. Benvenuta nel Progetto Avengers.
***

L'ascensore corse rapidamente per la verticale. Astrid scorse il suo riflesso sul vetro, le occhiaie scure che le segnavano il volto. Non era affatto stanca, ma ripensava alla sonnolenza che l'aveva rallentata per ore dopo essere stata rilasciata. Si era stupita per quanto una firma su un foglio di carta avesse potuto renderla libera e schiava allo stesso tempo e quanto quella parola, "libertà", suonasse così differente ora, da come la ricordasse.
Si svestì, seminando i vestiti per casa. L'acqua della doccia sembrò appena più fredda del solito. A quanto pare la disforia giocava bene il suo ruolo. Rimestò la sequenza degli eventi col pensiero, mentre l'acqua sgorgava e scendeva sul suo corpo come dita leggere in un massaggio.
Le pungolava l'orgoglio l'idea che la sua vita fosse stata sotto l'occhio di un falco per tutto quel tempo e lei non se ne fosse nemmeno posta il dubbio. E adesso ancora di più, non sarebbe riuscita a controllare niente della sua vita. Non le apparteneva più nemmeno quell'illusione remota che le desse la sicurezza di un normale cittadino a casa nella propria città. E tutta quell'insensata ostentazione, tutte quelle moine... Troppe parole e discorsi ben costruiti che parevano star lì solo per abbellire una certa torbidezza di fondo.
Cosa sarebbe diventata adesso? Un'arma umana? Un soldatino diligente, una marionetta nelle mani di qualche pallone gonfiato intenzionato a perseguire i propri interessi? Tuttavia, manipolazione o meno, era costretta ad ammetterlo: era stata l'alternativa meno peggiore. Avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco finché le avrebbe giovato.

Strizzò i capelli bagnati da cui colò acqua grigia, sporca di cenere, che macchiò la vasca. Si chiese se tutto quel trambusto l'avrebbe portata a fare qualcosa di buono. Si mise a ridere. Magari l'avrebbero trasformata in uno di quei super eroi con una ridicola tutina sgargiante, riempiendole la bocca di inconcludenti frasi poetiche.
Cambiò idea. Era questo che temeva di più. Avrebbe dovuto trattare, prima di firmare quello stupido documento. Che idiota! Samantha non avrebbe mai permesso che si mettesse in ridicolo.
Samantha...

Quel nome le rimbombò in testa come il rintocco di una campana. Come lo schiocco secco del tubetto, quando Samantha stappava il suo inseparabile rossetto. Ripassava la forma delle labbra e il rosso pervinca pareva accendersi ancora di più in contrasto con la pelle di madreperla. E Astrid rimaneva a spiarla, sulla soglia della porta, appesa tra l'indecisione di rubarle un altro istante di vanità personale o di rompere l'incantesimo. Avrebbe dovuto farlo quella sera. Avrebbe dovuto bussare, dirle di non andare, chiederle di rimanere. Avrebbe voluto vedere le sue labbra rosse incurvarsi in un ultimo eterno sorriso.

Chiuse gli occhi per farlo apparire nel buio: un fiore bianco e rosso in uno sfondo nero, come l'oblio. Affondò la testa nel getto d'acqua per lavarsi dal senso di colpa. E d'un tratto non ebbe più dubbi. Ne era certa: ne era valsa la pena. La vendetta era valsa la sua libertà.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Avengers ***



Neve e Cenere | Marvel

2 . Avengers

 

-Signore, una chiamata per lei.
 
Il rumore del trapano si arrestò.
 
-Ripiega, JARVIS. Sono alquanto impegnato. - Rispose Tony, senza sollevare gli occhi dai circuiti.
 
-È l'agente Coulson. Credo stia attendendo nella hall. Ha eluso la mia sorveglianza.
 
-Di nuovo?! - Commentò seccato. - Mi spieghi a cosa servi se non riesci neanche a cacciare gli imbucati?
 
-Sono desolato, signore.
 
-Se, se, se!
 
Tony scattò in piedi, lanciando gli occhiali protettivi sul tavolo. Si sfregò gli occhi e si stiracchiò, mentre saliva pigramente le scale. L'agente Coulson lo attendeva immobile, davanti alla porta dell'ascensore, vestito di tutto punto, in bianco e nero come un pinguino.
 
-Agente! - Esclamò fingendo entusiasmo. - Vedo che si è ripreso! Qual buon vento?
 
-Il vento della sorte, signor Stark. Spero di non averla disturbata.
 
Non ci conti, pensò l'altro, avviandosi verso l'angolo bar.
 
-Sono venuto per aggiornarla.
 
-Sono tutt'orecchi. - Ironizzò Tony, più concentrato a versarsi da bere. - Ne vuole?
 
Coulson rifiutò senza scomporsi.
 
-No, grazie.
 
-Stark!
 
La voce del Capitano riecheggiò nell'atrio, tanto che sembrò amplificata da un megafono. Subito apparve uno Steve sudaticcio e leggermente affannato. Sgranò gli occhi alla vista dell'agente.
 
-Oh, Coulson! Buon giorno!
 
Coulson ricambiò il saluto riempiendo il viso di un sorriso ammiratore. Era tutto un fremito, ma cercò di darsi un po' di contegno per non distrarsi dal suo compito.
 
-Sono corso dopo aver visto l'auto dello SHIELD e una guardia del corpo al pian terreno. È tutto a posto?
 
-Capitano, stavo per aggiornare il signor Stark su alcune novità.
 
-Che novità?
 
Coulson aprì la cartella che portava in mano, porgendola a Steve che l'afferrò mentre Stark la fissava riluttante. Sull'intestazione era posta la fotografia di una ragazza e i dati anagrafici.
 
-Astrid Sullivan. Da tempo era sotto l'occhio dello SHIELD. Solita eroina di strada. Sporadiche dimostrazioni di... capacità particolari. Vi ho già mandato i file. I primi dati rilevanti risalgono a parecchi anni fa: sventata rapina a mano armata con ostaggi. Ha fatto fuori i criminali a mani nude. Ha dato una mano alla giustizia, nonostante qualche intoppo con lo scongelamento.
 
Steve aggrottò le sopracciglia.
 
-Scongelamento?
 
-Hanno trovato i criminali congelati come ghiaccioli. Pare... sia stata lei.
 
Tony scoppiò in una risata fragorosa.
 
-Oh, no! Non parli di congelamento! Il Capitano passa ancora le notti insonne. Non è vero?
 
Steve lo ignorò.
 
-Cosa c'entriamo noi, in tutto questo?
 
-Sfogli pure il fascicolo, troverà un documento molto recente.
 
Steve passò in rassegna tutte le pagine, finchè non mise gli occhi sulla data di due giorni prima.
 
-Questo è successo l'altro ieri...
 
-Legga bene.
 
Il Capitano corse le righe con gli occhi.
 
-"Omicidio".
 
-Colposo. - aggiunse Coulson.
 
Steve scrollò la testa.
 
-Non riesco ancora a capire.
 
-La vittima era un pezzo grosso, colpevole di diversi reati che non sto a elencare. Non è stata una bella fine per lui. Purtroppo la ragazza non è stata molto cauta: ha lasciato che una telecamera di sorveglianza intravedesse il suo volto e siamo stati costretti ad arrestarla. Tuttavia, dati i precedenti, abbiamo deciso di essere clementi e di proporle un lavoro.
 
-Aspetti. - Lo interruppe Tony, mentre distoglieva lo sguardo da uno dei video che Coulson aveva inviato. - Se lei è qui e ci sta raccontando tutta questa commovente storiella, significa che noi dovremmo c'entrarci qualcosa. Dunque, o a lei piace tenerci sulle spine oppure è una proposta che a parer suo, faticheremo ad accettare...
 
-Osservazione acuta, signor Stark. Vede, lo SHIELD ha pensato che la signorina Sullivan sarebbe stata più utile in una squadra d'azione, che come agente segreto.
 
-Come, scusi? Non starà dicendo di farla entrare nel Progetto Avengers, spero! - Una certa irritazione cominciò a ribollire nell'animo del Capitano e lo spinse ad alzare il tono della voce.
 
-Più o meno. Diciamo che sarà in prova finchè non saremo certi che potremmo fidarci di lei. Il Governo deve essere sicuro che non resti una mina vagante.
 
-E il Governo si aspetta che una criminale diventi improvvisamente un'eroina solo perché attorniata dai Vendicatori?
 
-Se posso dire la mia, signor Capitano, io credo che si aspetti che la teniate a bada. È stata un'idea dello SHIELD quella di introdurla...
 
-Dovremmo fare i baby-sitter di un'omicida?! - Lo interruppe il Capitano. Ad ogni aggiunta, s'infuocava di rabbia.
 
-Steve... - Tony cercò di trattenerlo.
 
-No, Tony! Sono contrario! Non tutti sono degni di diventare Vendicatori! Soprattutto non lo è chi si muove nell'ombra e uccide la gente per divertimento!
 
-Gli è partito l'embolo moralista. - Sussurrò Tony a Coulson, il quale sorrise impacciato.
 
-Io non firmerò per un tale oltraggio!
 
-Mi dispiace, Capitano... - Coulson non sembrava davvero dispiaciuto, ma più imbarazzato. - Ma temo che al Governo non serva il suo consenso scritto. Anzi, temo che non gli serva affatto.
 
-Hanno già deciso?!
 
-Vede, questo è il contratto firmato dalla signorina...
 
-Non posso credere che abbiano fatto tutto questo senza la nostra considerazione!
 
-Comprendo la sua delusione, Capitano Rogers, ma se posso rammentarle che quando abbiamo assunto il signor Stark non le è stato riferito in modo formale come ho potuto fare io quest'oggi...
 
-Le circostanze erano diverse.
 
-Me ne rammarico. Posso solo informarla che la ragazza ha già segnato un appuntamento con il team per domani mattina. Dovrà essere allenata al combattimento, informata delle missioni, così da affiancarvi e imparare, come si dice... le buone maniere.
 
Steve scrollò la testa. Sbattè la cartella sul piano del tavolo, quando avrebbe voluto spaccarlo con un pugno.
 
-Posso chiedere dove alloggerà la ragazza? - Domandò Tony.
 
-Questo è un dettaglio non ancora discusso, ma credo sia più ragionevole se si trasferisse qui, alla Torre Avengers, sempre per questioni di sicurezza. Ora, se volete scusarmi, devo congedarmi. È stato un piacere incontrarla di nuovo, Capitano Rogers. - Quello non rispose, annuì solo leggermente con la testa, cercando di spegnere l'irritazione. - Signor, Stark. Buona serata.
 
Coulson voltò le spalle e sparì nell'ascensore. Stark si voltò verso Steve, aprendo le labbra come per voler dire qualcosa.
 
-Non voglio commenti, Stark. - Lo precedette l'altro. - Ho solo bisogno di una doccia fredda. Ne riparliamo domani mattina. - E si avviò verso le scale che portavano al piano inferiore.
 
-Non troppo fredda, mi raccomando! Altrimenti rischi di perderti il nuovo Avenger insieme a qualche decennio! - Ironizzò Tony, mentre finiva di sorseggiare il drink abbandonato sul tavolo.
 
-Divertente. - Riecheggiò la voce di Steve, che si affievoliva ad ogni gradino con una risata palesemente finta.
 
 
***
 
Ormai aveva perso il sonno da tempo. Prima di quella notte, passava le ore buie a guardare le luci della città cangiare fino a spegnersi, finchè il sole sorgeva impavido e sovrastava i grattacieli. Non le rimaneva che il whiskey più misero, comprato tristemente in uno di quei negozi con i neon lampeggianti, che nemmeno la faceva ubriacare. "Metabolismo cellulare avanzato” aveva letto una volta su una rivista che riguardava un certo super eroe. Era qualcosa che avrebbe dovuto renderla invincibile e temeraria e tanti altri aggettivi che le avrebbero fatto onore in parecchie circostanze diverse dal loop in cui si era ostinatamente rinchiusa.
 
Se ne stava sdraiata davanti alla finestra, a stappare l'ultima spesa in alcool che aveva fatto e a scolarsela tutta come un leggero thè speziato che le dava qualche minuto di lucidità in meno. Si godeva quel minimo di assuefazione, per poi rinsavire un po', percepire più pungente il senso di colpa e far fuori un'altra bottiglia. Ormai era diventata un'abitudine. Arrivava a casa dal lavoro, doccia veloce e chiacchierata profonda con una bottiglia in vetro, che pareva essere un buon ascoltatore quando i ricordi tornavano a farsi più lampanti.
 
Non ricordava nemmeno da quanto si era ridotta così. Oh, no. Certo che lo ricordava. Era il motivo per cui non era intenzionata a smettere. Il motivo per cui si era trovata a piangere e rimuginare davanti a un vaso di fiori rossi e bianchi. Il motivo per cui si era ritrovata, quella dannata notte, a immergere la mano nell'olio bollente e a stringere i capelli di un tizio sfregiato tra le dita. Il motivo per cui, tutto sommato, aveva deciso di farsi catturare senza ribellarsi. Perché era stanca ormai di lottare contro sé stessa e aveva affidato la sua vita (o la sua morte) nelle mani di qualcuno che non aveva immaginato avesse una passione per i non-eroi con i superpoteri.
 
Quella mattina si svegliò strana. O meglio: fu strano svegliarsi... e basta. Aveva la faccia spiaccicata sul cuscino e la bavetta alla bocca che bagnava la federa. La prima volta che dormiva dopo mesi, senza contare il lungo sonnellino col sedativo (che ripensandoci meglio, dovevano avergliene iniettato davvero tanto per farla dormire per più di un'ora).
 
Guardò la sveglia sul comodino. Le 6:04. Sorrise amareggiata. Mai una volta che potesse fare una dormita decente e svegliarsi almeno dopo l'alba. Aveva appuntamento con Coulson alle 8:00 in punto. L'avrebbe portata alla Torre Avengers e l'avrebbero fatta diventare una Vendicatrice. Emozionante.
 
Speriamo almeno che abbiano del buon Bourbon.
 
Sfilò lo zaino dall'armadio. Lo spolverò con la mano e cominciò a ficcarci dentro qualche vestito a caso. Recuperò la bottiglia vuota che era rotolata verso la porta, diede una pulita veloce alla stanza, che non ricordava cosa fosse l'ordine da un po'.
 
Il tempo corse veloce tra gli ultimi mestieri, prima di lasciare la sua casa e il suo silenzio.
 
Ore 8:00. In perfetta puntualità il suo cellulare vibrò sul tavolo della cucina. Astrid fissò il "numero riservato" per qualche squillo. Sapeva bene chi fosse e che doveva rispondere per forza, altrimenti... chissà se avrebbero sfondato la porta e l'avrebbero trascinata esanime come l'ultima volta? Magari non aveva molta voglia di riprovare l'esperienza. Pigiò il tasto verde.
 
-Pronto? – Rispose, rassegnata.
 
-Buon giorno, signorina Sullivan!
 
-A lei, agente Coulson…
 
-Spero sia pronta.
 
-Aspettavo lei.
 
-Mi piace il suo spirito! Sono davanti al suo appartamento.
 
Astrid si alzò e aprì la porta. L'agente Coulson aveva ancora il braccio appeso all'orecchio e il cellulare in mano.
 
-Perché non ha bussato? – Domandò lei con tono irritato e confuso.
 
-Ero certo che fosse in casa, ma trovo che le chiamate siano più ricettive. Allora, possiamo andare?
 
-Prendo lo zaino.
 
Una lunga automobile nera, dalla carrozzeria talmente lucida che pareva essere stata ripassata con la cera da poco, era parcheggiata davanti al condominio. Un uomo alto e piazzato, con un paio di occhiali scuri a nascondere gli occhi e un auricolare nell'orecchio, era rigido, in piedi che aspettava davanti alla vettura.
 
-Lo zaino, affidalo pure a lui. Lo sistemerà nel bagagliaio. – Disse Coulson. Astrid guardò l'uomo dal basso, poiché la sua altezza non le permetteva di fare altrimenti, e gli passò lo zaino un po' titubante. L'uomo lo afferrò senza fiatare, aprì la portiera posteriore e la richiuse dopo che l'agente e la ragazza si furono accomodati.
 
I finestrini erano oscurati e i posti anteriori e posteriori divisi da una barriera anch'essa oscurata. I sedili in pelle nocciola e le rifiniture cromate rendevano il tutto molto di lusso, ma non troppo sgargiante. Un trattamento molto particolare, considerando che era classificata nei documenti dello SHIELD non proprio come un ospite gradito.
 
Il viaggio non fu breve e per tutto il tragitto Coulson le scambiò sorrisi indecifrabili, simili a quelli che le aveva posto nella cella di detenzione. La tensione era leggermente calata, ma Astrid si sentiva comunque a disagio.
 
-Allora... – Iniziò Coulson per fare conversazione. – Emozionata?
 
-Come? – Domandò lei disorientata, vedendosi strappata ai suoi pensieri.
 
-Dico, come si sente all'idea di conoscere gli Avengers? Emozionata? – Esplicò l'agente come se non avesse pensato ad altro per tutto il tempo.
 
Astrid squadrò l'eccessivo entusiasmo dell'uomo storcendo il naso. Immaginò l'espressione che avrebbe dovuto assumere per non sembrare ostile e la scartò, valutandola troppo lontana dal suo stato d'animo. Scrollò le spalle e tornò con gli occhi incollati al vetro, come un'adolescente che evita una conversazione troppo impegnativa e noiosa.
 
-Un po'.
 
La sua attenzione si perse di nuovo nel paesaggio che sfrecciava senza sosta. Sinceramente conoscere i Vendicatori era l'ultima cosa che avrebbe dato una piega migliore alla sua vita.
 
L'auto si fermò.
 
-Siamo arrivati. – Affermò Coulson con occhi luccicanti.
 
Astrid scese dall'auto e spalancò la bocca. Si trovava ai piedi di un grattacielo che aveva visto mille volte al telegiornale, ma mai dal vivo. All'ultimo piano sembrava esserci posta una specie di terrazza e un simbolo gigante che raffigurava una "A". Coulson rimase ad ammirarla affianco a lei.
 
-Sì, fa questo effetto anche a me. – Commentò lui, con un sorriso tanto largo che pareva anche abbastanza ridicolo. Astrid si mise in spalla lo zaino e diede un'ultima occhiata all'edificio.
 
Eccola qui. Ci siamo. La Torre degli Avengers.

 
 
***
 
-Credo che uno di voi dovrebbe andare ad accogliere il nostro ospite.
 
Natasha era entrata nella stanza, interrompendo quella che doveva essere una discussione molto animata perché Tony stava gesticolando in modo esagerato pur di sovrastare il replicare cocciuto di Steve e ignorare gli avvisi insistenti di JARVIS sugli arrivati.
 
-Quando avete finito di beccarvi, avrei bisogno di un volto maturo che ci rappresenti.
 
-Non ritengo di essere il volto che possa rappresentare un tale scempio. - Rispose Steve imbronciato.
 
-Concordo pienamente. Non è abbastanza maturo, il nostro Capitan Non-mi-assumo-responsabilità Rogers. Ultimamente sta dando un po' di matto. - Lo schernì Stark.
 
-Forse starò dando di matto, ma almeno faccio qualcosa per la squadra, invece di chiudermi in un laboratorio tutto il giorno e declinare qualsiasi tipo di contatto con il mondo esterno!
 
-Ammetto di non amare le distrazioni quando lavoro. Sono da condannare per questo?
 
-Non ami le distrazioni, ma appena si tratta di donne drizzi le orecchie. È più forte di te, non è vero?
 
-Senti un po', pezzo di...! - Iniziò Stark intento a insultarlo coloritamente.
 
-NO! Sentitemi un po' voi! - Li zittì Natasha, piantandosi in mezzo a loro - Mi avete stufato! Non ho idea di quali questioni irrisolte stiate cercando di rinfacciarvi con questo vostro fare da checche isteriche, ma adesso uno dei due, o entrambi, scenderà con me all'ingresso con i propri piedi, oppure vi ci porterò io di peso! Vi lego e vi tappo la bocca con del nastro adesivo, mentre vi trascino come due salami. Intesi?!
 
I due rimasero in silenzio, a fissarsi in cagnesco. O agli occhi di Natasha, come due bambini capricciosi che si contendono un giocattolo.
 
-Non mi importa se siete d'accordo o meno con questa cosa. - Proseguì, ammonendoli - Mostrate un po' di maturità senza che qualcuno ve lo chieda, per una volta!
 
***
 
Salirono la gradinata. Si fermarono all'ingresso. Una voce elettronica, diede loro il buon giorno con gentilezza e chiese loro di identificarsi.
 
-Sono l'agente Coulson. Sono qui per il meeting fissato per questa mattina. Ho portato la ragazza.
 
Quella frase suonò terribilmente ambigua e ancora di più quando Coulson dovette ripetersi, poichè parve che nessuno fosse intenzionato a rispondere.
 
-Si stanno facendo desiderare. - Sottolineò Coulson ansioso.
 
Astrid aveva abbandonato lo zaino sul pavimento e aveva accasciato la schiena sulla parete verticale più vicina. Le sembrava di stare lì in piedi da ore.
 
Finalmente le porte si aprirono. Apparve una donna con una chioma rossissima e accanto a lei la figura di un uomo che Astrid aveva visto un milione di volte sulle copertine dei giornali: Tony Stark. Il genio milionario spalancò le braccia in un'apparizione molto teatrale. Era come lo ricordava: il pizzetto, i capelli e... Era una tutina aderente quella? Lasciava poco all'immaginazione. Dietro di lui, lo seguiva il vero volto di Capitan America. Era più alto dell'altro di qualche centimetro, ma le spalle erano nettamente più large. Altrettanto doveva essere la circonferenza delle braccia che si stavano incrociando in una posizione rigida di chiusura.
 
Lo ammise: non era completamente a suo agio.
 
Tony Stark la squadrò dalla testa ai piedi con un sorriso che non influenzava lo sguardo. Il Capitano, meno ipocrita, rimase al suo posto, con le braccia incrociate, muto come una sfinge. La studiava penetrandola con lo sguardo come una lama gelida. Capì all'istante con chi non sarebbe andata d'amore e d'accordo.
La donna, al contrario, le porse immediatamente la mano, accogliendola con un sorriso più amichevole.
 
-Piacere, Natasha Romanoff.
 
Astrid le strinse la mano. Scandì bene le consonanti del suo nome, ma poi abbassò leggermente la voce come se avesse perso convinzione. Probabilmente fu una presentazione inutile. Chissà quante altre cose sapevano di lei?
 
-Loro sono il Capitano Steve Rogers... - Il Capitano le strinse saldamente la mano.
 
Steve Rogers. Ecco come si chiamava. Doveva averlo letto da qualche parte, ma proprio non riusciva a capire dove. - E Tony Stark, ma penso che tu li conosca già di fama.
 
Quando Coulson si fu allontanato, rimasero in quattro. Tutti un tantino imbarazzati, lo fissaromo mentre si avviava all'uscita per non guardarsi intorno e schivare gli occhi della nuova arrivata in modo troppo evidente. Astrid non fu mai così malinconica nel vedere Coulson allontanarsi. A momenti gli avrebbe chiesto di restare o si sarebbe intrufolata di nuovo nella macchina e si sarebbe lasciata accompagnare ovunque. Non voleva stare lì.
 
-Cominciamo a trovarti una camera dove puoi sistemarti. - Iniziò Natasha per rompere il ghiaccio.
 
Tony annuì distrattamente.
 
-Sì, andate voi. Io devo... Finire una cosa. Ci vediamo in giro. - Salì due gradini all'indietro, scambiò un'occhiataccia con il Capitano e poi si allontanò con fare molto strano.
 
-È un po' nervoso stamattina. - Fece Natasha. Poi ci pensò su e si corresse. - Per la verità, è sempre un po' sfuggente... Vieni, ti facciamo vedere dove alloggerai.
 
-In verità Natasha, - La fermò Steve - anch'io avrei lasciato delle cose in sospeso...
 
Natasha lo guardò come se avesse voluto ucciderlo, ma poi fece un respiro profondo e il suo viso si rilassò sorridente. Un sorriso tutt'altro che affettuoso.
 
-Certo, Steve, vai pure.
 
E in quel "vai pure" doveva esserci piantato tanto di quel disappunto che Astrid sentì un brivido di tensione forte quanto una scarica elettrica.
 
Il Capitano non si disturbò a salutarle. Sgattaiolò via a testa bassa senza aggiungere una parola. Se il loro intento fosse stato quello di evitarla senza troppi indugi e convenevoli artificiosi, avrebbero potuto farlo in modo più elegante.
 
-Sono tutti impegnati stamattina. - Appuntò Astrid con una punta di sarcasmo. Hanno tutti ben altro da fare, avrebbe voluto dire. E non avevano tutti i torti.
 
Natasha soppesò la frase e allungò le labbra in un sorriso piatto. Doveva aver imparato da Coulson.
 
Astrid la seguì per i piani del palazzo.
 
-Al piano terra... - Le spiegò - C'è la palestra. Dopo potrai farci un salto, se lo desideri. Da domani ti allenerai con il Capitano...
 
Astrid la guardò stranita. Natasha accettò l'espressione e le diede voce: - Sì, se ci degnerà della sua presenza per più di due minuti...
 
Il numero dei piani aumentava sul piccolo monitor luminoso. Le porte si aprirono a un corridoio invaso dalla luce calda del sole. Una maestosa parete di vetro mostrava uno squarcio tra gli edifici. Le persone, le macchine, gli alberi, le strade, i negozi si erano appiattiti e rimpiccioliti, conglomerandosi in un quadro puntinato di colori in movimento.
Astrid dovette indietreggiare a un certo punto, perché si era avvicinata troppo e le stavano venendo le vertigini. Non era mai salita così in alto.
 
Natasha l'aspettava più avanti, di fronte a una porta chiusa. Sfilò dalla giacca una tessera bianca che fece scorrere in una fessura. Dopodichè lampeggiò una lucina che da rossa diventò verde e lei inserì un codice sul tastierino.
 
-Prego, identificarsi. - Disse la voce metallica.
 
-Pronuncia il tuo nome in modo chiaro. - La invitò Natasha.
 
Astrid fece un passo avanti, si schiarì la voce e pronunciò il suo nome scandendo per bene i suoni.
 
-Benvenuta, Astrid Sullivan. Il suo alloggio è pronto.
 
La porta si aprì con uno scatto. Le luci si accesero, illuminando l'enorme spazio della camera, occupato in parte da un letto ampio e candido, i mobili in stile Minimal dai colori tenui che richiamavano l'arredamento del corridoio e del resto del palazzo.
 
-Sistemati come credi. Appena sei pronta puoi chiamarmi... oppure fatti un giro da sola, dove vuoi.
 
-Pensavo che sarei stata scortata ancora per molto tempo. - Ammise l'altra, in bilico tra il sarcasmo e il sollievo.
 
-Non è una prigione. - La voce di Natasha era pacata e buona - Non fare caso a certi atteggiamenti. Non tutti, qui, hanno una buona reputazione. Hanno solo dimenticato come ci si sente.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ostacoli mentali ***


Neve e Cenere | Marvel

3 . Ostacoli mentali

 

Il letto era morbido. Più morbido di quello che aveva a casa. Ci si tuffò e si perse nel biancore del soffitto. Guardò male lo zaino come se, da un momento all'altro, si fosse aperto e le sue cose sarebbero traslocate fuori, trovandosi un posto proprio nella stanza. Non aveva idea di cosa fare. Sarebbe volentieri scappata dalla finestra: non sarebbe stata la prima volta. Peccato che sei piani di un comune condominio sarrbbero stati appena sufficienti per sfracellarsi completamente al suolo. Figuriamoci a metà di un grattacielo.

Si alzò in piedi, chiuse la porta e iniziò a vagare per i corridoi. La lancetta di un enorme orologio alla parete segnava quasi mezzogiorno.

"Al piano terra c'è la palestra". Tanto valeva andare a farci un salto.

Lo scocco del metallo riecheggiava per tutto l'atrio. I supereroi si allenano tutto il giorno, pensò. Immaginò a che tipo di allenamento l'avrebbero sottoposta dalla mattina seguente in poi. Non aveva mai pensato a iscriversi in una palestra. Ci passava ogni giorno per andare a lavoro e non l'aveva degnata mai nemmeno di uno sguardo. Non ne aveva bisogno, tutto sommato e anche volendo non aveva abbastanza soldi per pagarne le rette. Non aveva un fisico muscoloso, ma sapeva di poter contare su un pugno duro e rovente in caso di bisogno e quel poco di vanità che possedeva se n'era sempre stata dormiente sotto una felpa, insieme ad una parvenza di femminilità di cui non aveva interesse di dimostrare l'esistenza.

Le porte scorrevoli si aprirono, tagliando in due il suo riflesso gobbo. Subito apparve una sala immensa, illuminata dai neon. Attrezzi da una parte, file di pesi e manubri da un'altra, materiali per pilates, tapis-roulants, un modesto ring colorato e... un Capitan America in canottiera che dava pugni a un sacco da boxe, pendente dal soffitto tramite una catena sonante.

Ci riflettè due volte prima di entrare. Era sicura che non l'avesse notata poiché le dava le spalle. Era un po' inquietante accorgersi di quanta ferocia potesse uscire da quei pugni, contro il tremolio repentino del sacco che tentava di oscillare in senso opposto alla spinta, inutilmente. Pensò che sarebbe stato abbastanza sconveniente ritrovarsi davanti una fiera del genere e non simpatizzarne gli intenti.

Fece un respiro profondo e si decise ad entrare. Passeggiò indisturbata tra gli attrezzi, studiandone le forme e fantasticandone la funzione. Provò a decifrare un disegno che spiegava l'utilizzo di uno di essi e pensò che fosse complicato solo pensare di poter svolgere quel certo movimento. Scrollò la testa e distolse lo sguardo, anche perché la sua attenzione ricadde sul ritmo dei pugni che un attimo prima riempiva il silenzio e che ora improvvisamente si era arrestato.

Il Super Soldato aveva fiutato la sua presenza. Non diceva nulla. La guardava e basta. La sfidava con aria interrogativa, in attesa, con quegli occhi da lupo diffidente che la mettevano tanto in soggezione. Indietreggiò come davanti a una bestia selvaggia.

Non le piaceva essere presa di mira, quello era certo. Ricordava l'ultima volta che aveva lottato contro un colosso, in una banca. Era disarmato e quando il compagno gli aveva offerto la sua pistola, aveva sbuffato con scherno. Era avanzato come un toro iracondo. Le aveva messo una mano al collo e l'aveva sollevata da terra come un ramoscello. Le stritolava la gola tanto che, per un momento, si era dimenticata di potersi difendere e appena lei gli aveva afferrato il polso e l'aveva ustionato, lui le aveva fatto fare un volo fino a farla schiantare contro la parete. Astrid aveva la pelle dura e si era rialzata, ma il colpo se lo ricordava comunque

Quindi ora, cosa la frenava?

Forse l'idea di essere presa e sbattuta fuori dal palazzo come un ramoscello.

O forse era la profondità di quello sguardo severo, giudice impassibile, che la paralizzava.

Era la coscienza che l'ammoniva e rimestava il senso di colpa. Era l'orgoglio che rivendicava un'azione immorale e non le permetteva di comportarsi umilmente. Cercò in sé una rassicurazione razionale che non la consolò più di tanto.

E aveva bisogno di bere, maledizione.

Mimò un 'ciao' con la mano, che mostrava tutto il disagio che le si era insidiato in corpo e si avvicinò strategicamente alla porta d'ingresso. Decretò che avrebbe fatto di tutto per evitare anche solo un'altra occhiata fulminea con Capitan Muscolo Rogers. Almeno fino alla fine della giornata. Almeno fino alla mattina seguente, quando avrebbe dovuto affrontarlo pubblicamente, volente o nolente.

Si allontanò furtiva. Meglio ripiegare su una gita per il palazzo.

-Mi piace la tua idea di "accoglienza".

-Che dici? Non riesco a sentirti.

Tony aveva alzato il volume della musica, appena Natasha aveva aperto bocca. Poi si arrese alla tenacia dei suoi occhi critici e l'abbassò di poche tacche.

-Ti sei dileguato.

-Oh, sì... davvero? Se ne sono accorti tutti?

-Già. - annuì lei con fare perentorio.

-Be', Rogers se la sarà cavata meglio di me, suppongo.

-Ci speravo anch'io...

Stark la guardò attonito. Poi si mise a ridere.

-Non dirmi che se l'è svignata pure lui!

Natasha sbuffò, alzò gli occhi al cielo.

-Non pensavo fosse così vigliacco! - E tornò a sfogliare i file dietro un pannello luminoso. - Eh, Capitano, Capitano... Stai perdendo colpi. È la vecchiaia che si fa sentire. Quanti anni ha? Novantasei? Quando li compie, a proposito? Devo prenotare la torta. O preferisce un bel gelato ghiacciato?

-Quando la smetterai di punzecchiarlo?

-Non sono io. - Si discolpò, portandosi le mani al petto ed esagerando l'espressione del volto. - È lui che mi provoca con quel suo fare da salvatore del mondo!

-Battibeccate come una vecchia coppia sposata. Qualche volta credo che vi amiate segretamente.

-Fammi capire, sei venuta prima a sgridare me? Poi andrai a tirare le orecchie a lui? Non vorrai dirmi che ha un trattamento privilegiato anche in questi casi. Sto cominciando a pensare che sia qualcun altro ad amarsi segretamente!

La conversazione venne troncata dalla suoneria di un cellulare. Natasha lo sfilò da una tasca della tuta. Stark esultò in silenzio, sperando che si volatilizzasse all'istante.

-E' Nick. Ha una missione per me.

-Aspetta, perché a te manda un messaggio e io devo subirmi una chiamata con tanto di raccomandazioni e minacce di vario genere?

-Forse perché io non lo ignoro.

-Bè... Comunque ti perderai l'addestramento della piccola belva.

-Parli della ragazza?

-E di chi altri?

-Almeno sarò assente per un motivo ragionevole.

-Credi mi perderei l'occasione di vedere il nostro Capitano preso a pugni da una ragazzina? - E accennò una risata. Si stava già immaginando la scena.

-Credo che ti troverai una scusa. - Rispose la rossa, pungente come al solito. - Tranquillo, nessuno si farà domande. Ti conosciamo tutti, Tony. Non farai fatica a farti conoscere anche da lei.

***

Astrid pigiò un tasto a caso sul tastierino dell'ascensore. Uno degli ultimi, tanto per scoprire che cosa si trovasse. Aveva visitato qualche altro piano, trovandoci nulla, niente e il deserto più assoluto. Fatta eccezione per qualche pianta di benjamin che non pareva molto affabile ad una conversazione. E tanto meno gli avrebbe svelato dove poteva chiedere da bere. Era possibile che in un tale edificio non albergasse nessun altro oltre che alla versione "big money" dei Fantastici Quattro? (No, aspetta, forse erano un po' di più. Tuttavia ne aveva contati solo tre. Gli altri dov'erano finiti?) Insomma, qualcuno doveva pur ordinare, pulire, rispondere alle chiamate, alle mail, eccetera. L'unica dipendente doveva essere la segretaria all'ingresso, ma sembrava più propensa a mostrare la propria avvenenza che a gestire del lavoro di ufficio.

L'ascensore si fermò con un acuto din e Astrid si rimangiò tutto. Era come un gigantesco laboratorio dove uomini, donne, alcuni in divisa nera, altri in un camice lungo e bianco andavano su e giù per delle rampe, attraversavano la sala, si scambiavano informazioni, armeggiavano, come tante formiche operaie. Ecco dov'era tutto il movimento. Non vide molto, in realtà, non si intromise. Era uno spettacolo esaltante anche senza il suo intervento.

Rientrò nell'ascensore e premette il numero dell'ultimo piano. Doveva per forza essere riservato a qualcosa di spettacolare. E infatti la vista si aprì a un attico. Inutile dire che fosse un ambiente estremamente ampio. Le pareti in vetro erano lo stile dell'intero palazzo e da lì, oltre che alle facciate degli altri edifici, si poteva ammirare anche un po' di orizzonte, incastonato nel labirinto della città. Il soffitto era alto poiché sovrastava anche un alto pianerottolo che si raggiungeva tramite una rampa laterale. Vantava di divanetti in pelle nera posizionati attorno ad un elegante tavolo lucido e, alle spalle, quello che pareva essere... un lussuosissimo angolo bar!

Astrid non perse tempo. Si guardò attorno e fece le scale a quattro a quattro. Le mensole luminose proponevano svariate forme di bottiglie con altrettanti tipi di alcolici di contenuto. Una bottiglia di Bourbon le stava facendo l'occhiolino anche con troppa disinvoltura. Superò il bancone, afferrò la bottiglia e la stappò. L'odore dell'alcol invase subito l'aria e lei rimase ad inalarlo, quasi come un profumo d'alta moda. Prese un bicchiere tozzo, lo riempì a metà. E bevve.

Era buono, accidenti. Non aveva niente a che fare con quelle schifezze che comprava al botteghino sgangherato per strada. Appoggiò il bicchiere vuoto sul banco e non fece in tempo a riempirlo una seconda volta quando un'ombra si mosse al piano di sotto.

-Quello...

La voce tagliente si espanse nel vuoto. Astrid si voltò di scatto. Tony Stark le stava puntando un indice contro e sembrava avere un'aria parecchio severa. Astrid aprì la bocca per replicare, ma non ne fu in grado, perchè tutto ciò che avrebbe potuto dire le si ingarbugliò nella gola, inciampando nella sprovvista. Così rimase ad ascoltare la fine della frase che Stark pronunciò smussando il tono:

-Va condiviso.

Tony Stark salì i gradini della rampa, senza allontanare l'attenzione dalla scena in cui si era infiltrato. Si era cambiato. Ora portava un paio di jeans e una felpa da cui si intravedeva il logo dei Black Sabbath della maglietta sottostante. L'impeccabile genio, milionario, eroe venerato, salvatore della Terra, si mostrava molto più umano e per niente minaccioso. Astrid non sapeva come interpretare quell'atteggiamento così naturalmente disinvolto e rimase immobile, a studiare l'espressione indefinita sul suo volto, allerta e diffidente.

-Bevi a quest'ora? - Domandò lui, ma non sembrò tanto stupito. Si sedette su uno degli sgabelli davanti al bancone e la fissò con un paio di occhi giganti, come in attesa di qualcosa.

-Emh... - Astrid si fece bordeaux e a momenti pensò di prendere fuoco.

-Ce l'hai la lingua? Credo di averti sentito pronunciare il tuo nome, stamattina.

-Sì. - Annuì lei rigidamente.

-Allora?

Cosa avrebbe dovuto dire? Si sarebbe dovuta scusare? Certo, la visione di una ragazza che beve in piena mattinata non trasmetteva di certo una grande stima. Che figura penosa!

-Sono desolata. - Abbassò lo sguardo. Allontanò la mano dalla bottiglia e si morse le labbra amare e alcoliche.

Stark aggrottò la fronte.

-E perchè mai? Ti faccio compagnia. - E puntò con l'indice le mensole dietro di lei.

Astrid si voltò. Prese un altro bicchiere e lo posò sul banco, perplessa. Stark ci versò l'alcolico.

-Non bevi più?

Di nuovo la voce di Astrid venne a mancare. Stark le riempì il bicchiere.

-Devo incoraggiarti? Ti ho sorpresa a prendere un drink. Non ci avrai ripensato, spero.

No, non ci aveva ripensato. Solo che la situazione era abbastanza imbarazzante e, tralasciando il fatto che di un bicchiere o due non se ne faceva granché, lei non era abituata a bere in compagnia. Le fu difficile accettare di condividere una cosa così intima e segreta con praticamente un estraneo. Non si sentiva a suo agio a mostrare quella parte vulnerabile di sé, ma da brava alcolista trovò un modo per lasciarsi andare. Allungò la mano aspettandosi una risposta espressiva dal volto del milionario, il quale la studiava concentrato, come su di libro scritto in una lingua complicata.

-Cin cin!

Stark avvicinò il bicchiere al suo ed entrambi tintinnarono, riecheggiando nell'attico. Astrid assunse un piccolo sorso.

-Allora, ti sei fatta un giro? Come ti sembra? - Chiese lui spalancando le braccia orgoglioso.

-Spazioso. - Rispose Astrid, avara di parole.

-Spazioso. - Ripeté Stark. Sorrise. Accettò la risposta come un complimento alla propria persona.

-Per alloggiare poche persone lo è molto. - Chiarì lei, evitando di esporsi in giudizi eccessivi.

-Hai già visitato i laboratori?

-Ci ho dato un'occhiata...

-Allora non dovresti pensare che ci siano poche persone.

-Intendevo, voi Avengers... Ricordavo foste un po' più numerosi. È normale che vi si veda di rado?

-Shakespeare in estiva è in viaggio... - E con la mano cerchiò il soffitto o forse un punto aldilà di esso. Astrid non capì, ma fece finta di niente. - Il dottor Banner è ancora titubante, ma oggi era in laboratorio. Non l'hai visto?

Astrid fece 'no' con la testa.

-Ah! A proposito. Natasha non credo la vedremo per un giorno o due: ha appena ricevuto un incarico assieme a Legolas.

Stark contò sulle dita i componenti. Fece una scenetta come se proprio non riuscisse a ricordare. Anche Astrid li contò. Erano quattro, più Stark: cinque, e...

-Ah, giusto! Rogers.

Probabilmente non l'aveva dimenticato davvero. C'era una certa avversione tra di loro. Astrid aveva notato le occhiate tese appena si erano presentati.

-Avete già parlato? - Osò, sorseggiando.

-No, ma... Non credo di piacergli. - Rispose Astrid, appoggiando i gomiti sul piano, nascondendosi dietro la deformità del bicchiere. Certo, non si era aspettata una cerimonia di benvenuto, ma sentirsi distanziata come una lebbrosa bruciava un po' l'orgoglio. Soprattutto se si supponeva che fosse uno degli uomini più giudiziosi ed acclamati della Terra a rifiutare la sua presenza. Comunque fosse, preferiva il suo atteggiamento schivo, finché intendesse continuare a lanciarle occhiate ambigue.

-Dagli tempo. È un tipo timido. Ha bisogno di scaldarsi.

In palestra si è già scaldato abbastanza, pensò lei.

-Oh, ma guarda che ore sono! Hai fame? - Esclamò Stark sollevando gli occhi dall'orologio da polso. - Ti va una pizza? Posso far portare quello che vuoi.

Annuì meccanicamente, senza riuscire a rispondere.

-Pizza. Perfetto. Lo dici tu al Capitano? - La prese in giro.

Sarebbe sbucato più tardi, mentre Stark sedeva davanti a lei, scomposto, a smangiuggiare le croste della pizza e a elogiarsi per la gloriosa impresa a New York, di poco più di un anno prima. Raccontava di come era riuscito a disintegrare da solo un'enorme balena volante bio-meccanica, con lunghi denti aguzzi e di come avesse rinfacciato al Capitano la propria ragione su qualcosa che... Astrid non stava più ascoltando. Il suo luccicante e spasmodico narcisismo si propagava presuntuoso nello spazio dell'intera stanza e lei annuiva e fingeva stupore tra un sorso e l'altro della birra. Forse aveva capito perchè il dottor Banner non si era unito a loro per pranzo.

-Avete già mangiato?

Il Capitano apparve dalle scale con aria confusa. Astrid pensò che sicuramente aveva preso l'ascensore fino al piano di sotto, per poi preferire le scale, giusto per fare il figo. Come se i bicipiti e i pettorali che gli esplodevano sotto la maglietta non fossero abbastanza.

Astrid irrigidì la schiena. Il Capitano le fece un cenno col mento, arricciando in dentro le labbra quasi per sorridere controvoglia. Solo per educazione, per rimanere in riga con l'etichetta.

-Capitano! Volevamo aspettarti, ma ci hai messo un bel po'. Hai rimuginato, in questo frangente?

Lui lo guardò come per dire: "Non chiudi mai la bocca?", ma il Capitano era educato e si trattenne.

Aprì l'unico cartone di pizza ancora chiuso e si sedette accanto a Stark, il quale intrecciò le dita e si protese sul tavolo, scansando con il dorso di una mano il suo cartone quasi vuoto.

-Allora... - Disse - Non ci hai detto niente di te.

-Non ho molto da dire. - Bofonchiò quella, mentre strappava malamente un pezzo di pizza.

-Che facevi prima di venire qui? Avevi un lavoro? Studiavi?

-Lavoravo.

-E dove?

Il Capitano gli lanciò uno sguardo strano.

-In un fast-food... - Rispose lei, ma cominciò ad insospettirsi. - Non credo che abbiate bisogno che vi dica chi sono. Qualcuno vi avrà già informati.

Stark indietreggiò con la schiena. Astrid si pulì le labbra, forse più da un'imprecazione che dalle briciole. Indietreggio con la sedia e fece per alzarsi. Si sentì presa in giro.

-Vi ringrazio per il pranzo e per le chiacchiere, ma non dobbiamo forzare una conversazione per fare amicizia.

-Scusa. Hai ragione. - Fece Stark risentito. Si era alzato in piedi. - Dobbiamo essere più sinceri l'uno con l'altro. - Fece una pausa mentre Astrid si convinceva a dargli ascolto. - Sei nostra ospite, anche se qualcun altro ha deciso per te, per noi... Abbiamo iniziato col piede sbagliato.

Il Capitano lo guardava confuso, cercando di comprendere il gioco che stava intraprendendo. Ma Astrid non era interessata a raccontarsi. Preferiva quell'alone di mistero che la premuniva da critiche, giudizi non richiesti e molesto compatimento.

-Grazie per l'interessamento. - Rispose fredda. E si avviò nella sua stanza, dove intendeva rimanere rinchiusa per il resto della giornata.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Minaccia latente ***


Neve e Cenere | Marvel

4 . Minaccia latente

 

Mentre Astrid sfrecciava via irritata, Steve lanciò un'occhiata critica a Stark il quale si stava versando da bere. Quello mise subito le mani in avanti. Non avrebbe accettato alcun tipo di rimprovero, ma prima che potesse ribattere, il suo cellulare emise un suono prolungato e sancì la definitiva fine della conversazione.

-È Banner. - Rispose. - Banner?

-Stark, devi venire a vedere una cosa. - La voce del dottore era seria e contorta in una nota di agitazione. -È piuttosto urgente. - Aggiunse, interrompendo l'inizio di una battuta da parte del suo interlocutore - Preferirei che venissi subito.

Il dottor Banner si presentò con una certa irruenza. Aveva i capelli scompigliati e gli occhi vispi. Scortò il Genio e il Soldato fino ai monitor su cui grafici colorati presentavano punte e colonnine allineate in crescendo allarmanti.

-Sono sbalzi di temperatura. - Spiegò Banner. - Tutti i grafici risalgono alle ultime otto ore, quando il suolo ha cominciato a surriscaldarsi. Sbalzi di energia, tutti provenienti dalla stessa zona.

Sul monitor apparve un'immagine satellitare a infrarossi che ritraeva il nord del New Jersey e un epicentro rosso sulla costa.

-Che cos'è?

-Non lo sappiamo con certezza, ma c'è una fonte di energia sul fondo dell'oceano che non si stabilizza. Continua ad aumentare e diminuire. E la terra continua a tremare.

-Un terremoto? - Azzardò il Capitano che si era già perso tra tutte quelle linee, curve, disegni, immagini e colori.

Il dottore annuì, poi guardò Stark.

-C'è di più. Emette un'onda gamma. - E mise a confronto due grafici: il primo mostrava una strisciolina blu che s'increspava in sincronia con i picchi delle colonnine rosse del secondo grafico.

-Banner... - La fronte di Tony si era contratta in un'espressione turbata, la voce cauta e grave, gli occhi incollati ai grafici in movimento, alla ricerca di qualche informazione che potesse sfatare la sua preoccupazione. - Queste onde gamma... Potrebbero in qualche modo essere simili a quelle del Tesseract? - E slittò lo sguardo per cercare una risposta negli occhi dello scienziato. Quello si tolse gli occhiali dal naso, giocò un po' con le aste della montatura.

-Sono deboli prove quelle che abbiamo, ma c'è una possibilità, sì. - Rispose, con la freddezza di un medico.

-Ed è per questo che dovreste andare sul luogo a dare un'occhiata.

Nick Fury, il direttore dello SHIELD, appariva torvo nel monitor sulle loro teste. Stark, Banner e Rogers guardarono la sua figura come un'apparizione. Da quando era lì ad ascoltare?

-Come va con la nuova inquilina? - Domandò, sviando il discorso, forse ironico. Era difficile capirlo dal tono di voce immutabile.

-Oh, bene! - Rispose Stark con nuova vivacità. - Il Capitano ha espresso grande esaltazione per aver ammesso un'altra testa calda nella squadra!

-Sono contento che l'abbiate presa bene. Temevo il vostro disappunto.

-Un disappunto grande come una casa... - Sussurrò Stark tra sè e sè.

-Cosa dovremmo fare? - Domandò il Capitano che era rimasto indietro.

-Niente di speciale. Vi fate una passeggiata in borghese mentre il dottor Banner e la troupe faranno degli esami per controllare l'attività del cratere. Controllate che non ci sia gente losca in giro. Tenete d'occhio la ragazza.

-Come, viene anche lei? - Steve lanciò un'occhiata spaesata a Fury, poi a Stark, a Banner, poi di nuovo a Fury.

-Sono sicuro che vi divertirete, Capitano. - Concluse il direttore e chiuse la comunicazione.

-Breve, ma intenso. JARVIS, di' alla ragazza di prepararsi. Banner, lei sale in macchina con me, vero?

Il dottore non rispose, poiché la domanda di Tony era retorica.

***

-STARK!

L'auto sterzò di colpo schivando un furgone nero. Astrid strinse la mano e i denti. Tratteneva il fiato. Per non traballare da una parte all'altra dell'auto, nonostante la cintura allacciata, doveva tenersi alla maniglia della portiera, poichè Tony Pilota Stark stava improvvisando una gara a slalom in mezzo al traffico.

Il bip del cardiofrequenzimetro del dottor Banner stava pericolosamente accelerando e quello dovette scomporsi prima che la situazione degenerasse in un incazzatissimo omone verde per lui e un volo dolorante fuori dalla strada per gli altri due.

-Stark, per piacere! - Strillò il dottore dietro una smorfia, mentre si appigliava alla maniglia come una scimmia.

-Non sapete divertirvi. - Protestò il Pilota.

Tony Stark era definitivamente rimasto all'età spericolata di diciassette anni. Quando premette il freno, Il Capitano Rogers si affiancò a loro con un sorrisetto furbo, cavalcando la sua Harley rombante.

-Stark, hai perso animo? - Lo canzonò la voce del Capitano, sovrastando la musica che vibrava dagli altoparlanti.

-Bimbi a bordo! Facilmente impressionabili! Non credere che non ti avrei seminato. - Lo avvertì l'altro, ridacchiando.

La moto sfrecciò avanti e recuperò il terreno perso.

Finalmente Astrid toccò il terreno con i piedi. Lei e il dottor Banner si guardarono e promisero a loro stessi che non sarebbero mai più saliti in macchina con lui. Stark scese dall'auto sistemandosi la giacca. Sorriso impeccabile e occhiali da sole sfumati sul naso che facevano tanto eccentrico genio, milionario, playboy, filantropo. Astrid aggiunse un insulto, mentre lo malediceva con gli occhi. Non avrebbe mai ammesso quel pizzico di adrenalina che l'aveva scossa ad ogni curva azzardata.

Il sole picchiava sulla pelle e sull'asfalto. Una leggera foschia e una calda brezza salata dominavano l'aria e ingrigivano appena il cielo azzurro.

Un enorme capannone era stato posto sul molo e protendeva verso il largo. I furgoni dello SHIELD sbarravano l'entrata, un'alta ringhiera teneva lontani i curiosi. "Controlli ordinari" era la giustificazione con cui si tranquillizzava la gente, ma era facilmente intuibile che non ci fosse molto di ordinario in tutto quel trambusto.

Attraversarono il pontile di legno ed entrarono nel capannone in cui l'atmosfera non era delle più accoglienti. Le pareti in tessuto non permettevano all'ambiente di arieggiare e l'umidità rimaneva imprigionata all'interno. Così si trovarono in una sauna di plastica senza pagare il biglietto d'entrata. L'unica entrata di ossigeno era l'apertura superiore nel centro del capannone, che più che altro dava l'illusione di poter respirare.

-Cos'abbiamo qui? - Domandò uno Stark accaldato agli agenti seduti alle scrivanie. Aveva già abbandonato la giacca su una sedia.

Astrid si avvicinò alla parete trasparente della sala circolare che era invasa da macchine, computer, monitor... L'acqua spumeggiava a largo come in ebollizione. La spiaggia era stata evacuata. Ora era occupata da un gruppo di gabbiani che zampettava indisturbato sulla riva.

Un uomo apparve all'improvviso dietro uno stormo di uccelli che spiccarono il volo uno dietro l'altro. Portava un lungo cappotto nero che si arricciava soffiato dal vento. Si voltò verso di lei e le sorrise, come se sapesse che stesse guardando proprio lui. Astrid incrociò gli occhi del Capitano che la controllava segretamente alle sue spalle. Poi tornò con lo sguardo sulla spiaggia e questa volta non vide che gli uccelli bianchi e la spuma dell'oceano che si infrangeva sulla sabbia candida.

Perfetto. Ci mancavano le allucinazioni.
 

***

 

Indietreggiò bruscamente, finchè riuscì a vedere il suo viso nella trasparenza della plastica. Nick Fury si portò le mani dietro la schiena, avanzò un passo nei suoi scarponi scricchiolanti per completare la sua figura possente accanto a quella della ragazza. Astrid fece un sobbalzo. Si voltò. Si vide risucchiata da uno sguardo fermo e freddo che non comunicava nulla. Un occhio fermo sulla sua anima, l'altro coperto da una benda nera come un pirata recidivo di una battaglia in mare aperto.

-Si sta godendo il panorama? - le chiese l'uomo con voce impetuosa, ovviamente ironico, ma bisognava intuirlo perchè i muscoli del suo volto non si flettevano e non accompagnavano l'intento.

Astrid scosse le spalle, insicura su cosa avrebbe dovuto rispondere. Era difficile pensare davanti a quell'iride, di un nero abissale, che fermava il tempo.

-Spero si senta a suo agio nella Torre.

-Dovrò farci l'abitudine? - Chiese lei provocatoria.

-Vorrei che sapesse che nessuno ha intenzione di segregarla in alcun luogo. Quando ha firmato il contratto ha accettato di sottostare alle regole di un patto. Mi auguro che abbia letto il documento prima di firmare. Certo, non la biasimo. Anche io non ci avrei pensato due volte davanti alla minaccia di perdere anni preziosi della mia vita dietro le sbarre. Mi chiedo solo se abbia ben presente la profonda differenza con l'alternativa scartata. Ho dovuto, non dico lottare, ma di certo discutere a lungo per ottenere la sua presenza. Sa perchè ho impedito che la rinchiudessero?

-Sinceramente, signore, fatico ad immaginarlo.

Fury rimase ancora a guardare il filo tra il cielo e l'oceano sbiadire nella foschia dell'orizzonte.

-Le chiedo solo di non fare qualcosa per cui mi pentirei di non aver accettato la soluzione meno impegnativa. - Piegò il capo verso di lei, la guardò bene negli occhi per catturare tutto il suo buon senso. - Sto scommettendo su di lei, Sullivan. Non mi deluda.

Fury sparì chiamato da un agente dalla voce allarmata. Un leggero pizzicore sulla pelle attirò l'attenzione di Astrid. C'era qualcosa di strano. La temperatura dell'aria stava aumentando bruscamente. Cercò uno sguardo di condivisione: non doveva essersene accorta solo lei.

La camicia di Tony Stark era chiazzata di sudore. Il Dr.Banner lottava contro il prurito della pelle sotto il cinturino del conta-battiti e intanto aveva sbottonato i primi tre bottoni della camicia. Anche il Capitano faceva fatica a non scomporsi. Chiunque altro non era a suo agio in quell'ambiente ostico. Solo Fury pareva non esserne toccato, ma la perlescenza della fronte lo tradiva.

Il caldo stava dando alla testa, il cervello non assumeva abbastanza ossigeno e i calcoli non tornavano. Qualsiasi cosa era una scusa per sfogare i nervi. Stark sbatté un fascicolo sul piano del tavolo, inveendo contro un ufficiale che non aveva messo abbastanza ghiaccio nel suo bicchiere. Si intromise il Capitano per calmarlo e come niente iniziarono a battibeccare. Come se non bastasse, le macchine parevano impazzite: cominciarono ad emettere dei suoni anomali, dei bip in rapida sequenza che significavano solamente qualche problema.

-Qualcuno mi spiega che diamine sta succedendo?! - Tuonò Fury.

-Qualcosa si muove là sotto... - Avvisò Banner, mentre si sistemava gli occhiali umidi sul naso, gli occhi strizzati davanti al monitor.

Astrid si affacciò ancora un poco. In un punto a cui lei non poteva arrivare, l'acqua bolliva sempre di più. Si piegò e mise una mano sul pavimento che era diventato una griglia ardente. Fece per allontanarsi, come per un presentimento, quando il terreno cominciò a tremare. Rombò sempre più forte finchè qualcosa sbucò da sotto il pavimento, a un pelo dai suoi piedi e si alzò fino a squarciare il tendone.

Fu un attimo. Astrid volò all'indietro. Non c'era più la parete che potesse sostenere il suo peso, così precipitò. Cercò di aggrapparsi a un cavo sporgente, ma la sua mano non fu veloce quanto il pensiero. L'impatto con l'acqua la stordì e tra le bolle notò un ente oscuro e gigantesco risucchiato da una luce azzurra nel sottosuolo.

Si accorse di non avere più ossigeno e risalì in superficie, giusto in tempo per mettere a fuoco un pezzo di pavimento che crollava dritto verso la sua testa. Si buttò prontamente sott'acqua, nuotò per spostarsi dall'obbiettivo, aspettando un tonfo che tardò ad arrivare. Quando tornò in superficie, Iron Man era intento a sollevare una lastra di metallo in aria.

-Stai bene? - Chiese con la voce filtrata dal casco. Lasciò andare il peso, il quale sprofondò sul fondo, schizzando l'acqua per forza contraria.

-Sì! - Urlò lei cercando di riprendere fiato.

-Forza, levati da lì!

Nuotò sino alla riva e si sdraiò sulla sabbia. Un altro quarto di lastricato crollò e venne divorato dalle onde spumose. In poco tempo il laboratorio abusivo non c'era più: i computer e i macchinari erano stati trascinati sul fondo assieme all'estremità del molo e al capannone che ricopriva il tutto.
Erano numerosi i curiosi alle ringhiere, non era più così facile allontanarli: la scena era stata sotto gli occhi di tutti.

Astrid si slacciò le scarpe e le svuotò dell'acqua di cui si erano impregnate. Era fradicia, ricoperta di sabbia e forse si era storta una caviglia. Infilò le dita dei piedi nella sabbia bollente. Percepì il calore risalirle nella pelle, pulsarle nelle vene, caricarle i muscoli. Si lasciò cullare per un secondo dal leggero e gradevole pizzicore che l'avvolgeva gradualmente, mentre assorbiva l'energia termica attorno a sé per asciugarsi.
Qualcuno le diede una pacca sulla spalla.

-Hey, tutto a posto? Niente di rotto?

Astrid fece di no con la testa senza capire bene da dove provenisse la voce, poiché il sole l'accecava.

-Tutto a posto, grazie.

-Bene. Si torna a casa. Però sali col Capitano: gli interni in pelle non sono facili da ripulire.

Astrid si alzò e si spolverò la maglia umidiccia, chiazzata dagli aloni bianchi del sale.

-Grazie, signor Stark. Ma credo che in uno dei furgoni ci sarà spazio anche per me.
 

***
 

Qualcuno bussò. Astrid rovistò nel borsone per trovare un paio di pantaloni non troppo stropicciati e se li infilò velocemente.

-Avanti.

La Romanoff aprì la porta senza entrare. Era uscita dalla tuta stretta che sottolineava ogni curva del suo corpo allenato. Portava dei jeans e una maglia morbida che le copriva il seno, ma scopriva elegantemente le spalle. Stirò un sorriso gentile.

-Come va?

-Bene... - Rispose Astrid senza dilungarsi.

-Ho sentito che hai fatto un bel tuffo tra le onde dell'oceano.

-Sì, be', niente di che. Sto bene.

Arrotolò l'asciugamano e i vestiti sporchi senza sapere bene dove sistemarli.

-Sei pronta?

Astrid strinse i capelli in una molletta. Chiuse la porta e si unirono agli altri per la cena.

-C'è qualcuno che devo presentarti. - La informò Natasha appena uscirono dall'ascensore.

In effetti al tavolo era presente un uomo in più: Clint Burton, aveva un volto familiare e un sorriso semplice. Non le servì altro tempo perchè un flash le ricordasse del suo viso.

-Ci siamo già incontrati.

-Vi conoscete?

-Evento spiacevole. Sono rammaricato.

-Già. La missione, gli ordini... - Astrid scimmiottò l'utopia del soldato diligente, mentre ancora sentiva le frecce penetrarle gli arti, il petto e l'addormentavano lentamente.

-Però, tenace devo dire. Non si è piegata fino all'ultimo. Ho dovuto ricaricare la faretra quella sera. Pazzesco!

Astrid non capì se fosse un complimento. Comunque finse un sorriso.

Si misero a sedere. Nessuno tra loro doveva saper cucinare perchè Stark aveva ordinato di nuovo un take away: patate fritte, pollo, scatole di hamburger erano riposti sul tavolo in un sacco di carta. Astrid cercò di trattenere una smorfia quando si vide davanti il cibo che aveva maneggiato per anni. Addentò il panino controvoglia, solo perchè stava morendo di fame.

-Allora, cos'avete scoperto? - Chiese Burton inforcando due patatine con le dita.

-Fury non vi ha tenuti al corrente? - Ribatté il Capitano.

-È sparito poco dopo averci ordinato di rincasare. Fury non ci dice... Proprio tutto.

-Che strano, pensavo foste i suoi prediletti. - Mormorò Stark tra i baffi, ma nessuno si curò della frecciatina.

-C'è una sorta di geyser che bolle l'acqua dell'oceano. - Iniziò il dottor Banner.

-Un geyser?

Banner fece per iniziare una lezione di geologia, ma l'altro lo interruppe con prudenza.

-Sì, so cos'è. Allora?

-Sta creando un po' di problemi. - Tagliò corto lo scienziato.

-Sta dicendo che ciò che è spuntato dall'oceano era solo uno spruzzo d'acqua? - Domandò il Capitano confuso. - A me pareva qualcosa di più consistente.

-Non ne siamo sicuri...

-Ha spaccato mezzo molo! - Insistette Rogers.

-Astrid, tu hai visto qualcosa?

Astrid alzò la testa e incontrò molteplici paia di occhi in attesa. Quelli di Stark la fissavano con insistenza pretendendo più di tutti una risposta sincera. Si schiarì la voce.

-Bè... - Ci pensò un po' su. - In effetti ho visto una cosa. Quando sono caduta in acqua ho visto come un'ombra che nuotava sul fondo. E ad un certo punto è stata risucchiata da una sorta di... Fonte di luce azzurra... E poi è sparita.

Sapeva di aver detto qualcosa di importante perchè si fermarono tutti per scambiarsi sguardi strani.

-Secondo te poteva essere una sorta di portale? - Chiese il dottor Banner a Stark che fece una mossa come per dire: "Ecco, ve l'avevo detto".

-Un portale? - Domandò lei del tutto ignara di cosa stessero parlando.

Nello stesso momento il cielo venne squarciato da una luce bianca e un tuono fragoroso. Come per consolidare il timore di tutti.

Il flash illuminò per poco le ombre, creandone di più nette, storpiandole.

-Che succede? - Chiese Astrid. Non era spaventata perchè gli altri non si mossero, quasi fosse naturale un lampo del genere in un cielo quasi sereno.

-Thor...

Guardò Natasha interrogativa. Quel nome avrebbe sicuramente dovuto rimembrarle qualcosa.

-Chi?

-Capellone, mantello rosso, martello... Comunemente chiamato "Dio del Tuono" ? - Delineò grossolanamente Stark accompagnando con una cantilena.

Astrid scosse poco la testa. L'uomo abbozzò una smorfia incredula. La guardò come si guarda un essere fuori dal mondo.

-Non li guardi i telegiornali? Non hai internet a casa? Dove hai vissuto tutto questo tempo?

-Sicuramente l'avrà già visto da qualche parte. Di sfuggita. - Replicò Natasha rubando l'istante ad Astrid, la quale avrebbe voluto dire tutt'altro, qualcosa che rispondesse alla provocazione con la stessa arma. Frenò la lingua dopo che Natasha le consigliò di evitare, con i suoi occhi lunghi da gatta saccente.

-È come temevamo. Se è tornato sulla Terra c'è un motivo. - Asserì il Capitano, lo sguardo perso in un punto invisibile.

Stark si alzò nervosamente.

-Non abbiamo ancora accertato che l'avvenimento di oggi e le trame di Loki siano collegati... - Chiarì il dottor Banner.

-Non diciamo stronzate! Non ci vuole un genio per fare due più due! - Sbottò Stark mentre stappava una bottiglia di whiskey.

-Magari è qui solo per informarci che in realtà va tutto bene. Per venirci a trovare. Siamo i suoi amici. - Cominciò Natasha difendendo il dottore o tentando di raffreddare la situazione.

-Ma è ovvio! Non aveva niente da fare su Asgard e ha deciso di passare a salutarci! - Ironizzò l'altro con tono aggressivo. Bevve tutto d'un sorso il suo drink e poggiò sul piano il bicchiere indelicatamente. Si portò una mano alla bocca mentre provava a calmarsi.

Astrid ascoltava distante, senza capire di chi stessero parlando. Qualcosa le disse che c'entrava con la battaglia di New York di mesi prima e non le piacque.

-Chi è Loki? - Chiese ingenuamente.

Tony Stark non aveva filtri e non aveva scrupoli. Se una cosa doveva essere detta, era inutile girarci attorno, perché prima o poi sarebbe saltata fuori. Anche se avrebbe reso le cose più amare, era meglio togliere il dente fin dall'inizio.

-Solo il più grande figlio di puttana dell'universo. - Rispose, mentre si riempiva un altro bicchiere.

-Ha una bella reputazione...

-Sì, be' vediamo: ha ucciso ottanta persone in due giorni, è riuscito a controllare la mente di Burton, di un astrofisico e un altro gruppo di persone facendoli suoi spudorati scagnozzi e... Ah! Ha provato ad invadere la Terra con un esercito di alieni. Ha un potere che non conosciamo. Illimitato probabilmente. E non ha paura di nulla.

-Ma voi... l'avete sconfitto. Vero? – Domandò Astrid con voce debole.

Un momento di silenzio le raggelò il sangue.

-È scappato. – Sancì Natasha, trovando il coraggio che nessuno aveva avuto ancora.

-E quello che sta arrivando è con noi, giusto?

-Il fratello maggiore? Sta con noi, sì. A quanto pare...

-Sono fratelli?!

-Fratellastri. – La corresse una voce alle loro spalle.

La stanza fu travolta da una folata violenta e umida. Una sagoma si ergeva possente davanti alla vetrata aperta. I biondi capelli, legati per metà da un paio di minuscole treccine ai lati del capo, svolazzavano assieme al mantello scarlatto. Il corpo nerboruto da dio greco, protetto da una robusta e luccicante armatura. Con una mano impugnava saldamente un massiccio martello che brillava di un riflesso quasi irreale.
Smise di piovere all'improvviso come se qualcuno, o proprio lui, l'avesse deciso. Ma da quando aveva iniziato?

-Ti prego, dimmi che sei qui perché ti mancavamo. – Si augurò Stark sarcastico, nascondendo un doloroso bisogno di speranza.

L'uomo erculeo rimase serio, esitante. Negli occhi vitrei vibrava l'ombra oscura di un sospetto e di una dichiarazione vitale.

-Thor? – Natasha lo smosse con voce materna, accogliente, rassicurante. – Tu sai... Che succede?

-È tornato? – Si introdusse il Capitano.

-Temo, amici miei... - Rispose infine l'uomo, la voce tagliata da una nota sofferente - Che non se ne fosse mai andato.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Beviamoci su ***


Neve e Cenere | Marvel

5 . Beviamoci su
 

Si rivoltò nel letto tirando tutto il lenzuolo. La finestra del bagno filtrava la luce soffusa della città che non era intenzionata a spegnersi. Erano le tre passate e Astrid comprese che anche con un buio più intenso non sarebbe riuscita a prendere sonno. Era sicura di aver dormito almeno mezzora, dopo essersi sdraiata, ma era stato più simile a un dormiveglia. Aveva spalancato gli occhi col batticuore, come quasi tutte le notti che ricordava da lì a pochi mesi prima, perché gli incubi e il panico non l'avevano mai abbandonata del tutto e se il giorno parevano acquetarsi, nascosti dalle distrazioni, nella calma notturna tornavano allo scoperto, più oscuri, più angoscianti, più decisi a tormentarla. Aveva cercato di cancellare quelle immagini dalla testa un milione di volte e anche alla milionesima e uno aveva fallito.

Drizzò la schiena e decise che lì dentro non ci poteva più stare. Si lavò la faccia come se avesse potuto smacchiare le occhiaie profonde che imperavano nel pallore del viso. Fece una smorfia di disgusto verso l'immagine che ritraeva lo specchio e si lasciò la camera alle spalle.

***

-Non dormi?

Tony Stark apparve a piedi scalzi, con un bicchiere in mano, accigliato. Puntò la bottiglia appoggiata sul pavimento e prese un altro bicchiere. Ci buttò dentro del ghiaccio.

-Che avevamo detto di quello?

Si sedette davanti a lei, la schiena contro la parete di vetro, dove gli occhi di Astrid si erano già persi da un po', nell'orizzonte ombroso e lontano. Stark la guardò male, quando gli porse la bottiglia, riluttante. Sbigottito, notò il livello del whiskey che aveva già superato la metà e la chiara lucidità della ragazza, la quale pareva intenzionata ad ubriacarsi con del succo di frutta. Riempì i bicchieri senza fiatare, non tanto per assecondare un capriccio, ma più per non sentirsi solo al mondo nel suo malessere.

-A che pensi?

-A niente.

-Sai, è scientificamente provato che non è possibile pensare niente.

-Non mi piace parlarne.

Lo sguardo deciso e solitario, intriso nella recidività di una guerriera che non permette a niente e a nessuno di insidiarsi nei suoi pensieri, di prendere il controllo su di sé. L'insonnia l'aveva battuta, ormai era avversaria ostile, filatrice di trame e ossessioni, gli stessi che mantenevano sveglio anche il brillante essere umano che era Tony Stark. E a lui non sfuggiva nulla, nulla di cui soffrisse anche lui stesso.

-Da quanto non dormi?

-Solo stasera. - Mentì lei, senza essere creduta. Fece finta di non percepire il pungente sguardo accusatorio che a fatica le concesse di storpiare la realtà. Bevve tutto d'un sorso. Roteò il bicchiere tra le dita, per chiederne un altro, facendo tintinnare il ghiaccio al suo interno.

-Ti sei scolata mezza bottiglia. - sottolineò Stark con finto moralismo.

Oh, sì. E intendevo finirla. Da sola.

Indurì le labbra in uno sforzo e allungò la mano per afferrarla, ma Stark la allontanò dalla sua portata.

-Sai quanto costa questo?

-Sono sicura che sia una cifra che tranquillamente riuscirà a coprire. Considerando un'ipotetica spesa per la manutenzione della preziosa collezione di automobili che conserva accuratamente nel garage. - Ribatté lei. Lo sfidò con gli occhi, divertita, mentre riassaporava la fine della frase proveniente dalle sue stesse labbra.

Stark si fermò un attimo, sorpreso. Poi sorrise in un modo che non si era ancora permesso di fare. Un sorriso pulito dal solito pungente sarcasmo con cui si difendeva. Era onesto, perché l'oscurità della stanza bastava a sostituire quella barriera tra sé e il resto del mondo che solitamente il torpore della notte tende ad ammorbidire.

-Touché. - E le riempì il bicchiere come per premiare la sua sfacciataggine.

-E lei perché non dorme?

Stark emise un respiro profondo che conteneva tutto il peso che si portava in petto.

-Penso troppo, suppongo. - Azzardò. Sorseggiò. Il fondo del bicchiere gli mostrò un'immagine amara. Bevve di nuovo per diluirne il sapore.

-Dovremmo smetterla di pensare troppo, allora. - Suppose lei, incrociando lo sguardo stanco del compare. Un'ombra era apparsa sul suo volto, irrigidendolo.

-Si dice che quando realizzi la tua fine... - Iniziò lui, la voce ferita. - Rivedi la tua vita scorrerti davanti. Quando ho capito di essermi salvato, ho capito che avrei dovuto in qualche modo... Stringerla a me, la mia vita. Ma non... Non ne sono stato capace. E ho rovinato quella dell'unica persona che avrei dovuto preservare... Da tutto questo.

Astrid si ritrasse, impreparata ad accogliere quella confessione.

-È già ubriaco, signor Stark?

-Lo sono? - Domandò lui con un sorriso troppo largo. - Vorrei avere la tua tempra.

-Il mio corpo fa piuttosto presto a smaltire l'alcol...

-Davvero? Non me n'ero accorto per niente. - Alzò la bottiglia per aria.

Lei sviò lo sguardo per nascondere gli occhi umidi.

-E io ho fatto una grossa stronzata. - Disse abbassando la voce.

-E non sarà l'ultima, fidati.

-Questo dovrebbe consolarmi?

-No. Solo non devi fissarti sul passato. Sei qui per migliorarti, giusto? Dovresti focalizzarti su ciò che vorresti essere, non su ciò che sei stata.

-Parla come se ne sapesse davvero qualcosa. Non mi pare che lei stia festeggiando qualche cambiamento su sé stesso.

-Perspicace. Non sono bravo a seguire i miei stessi consigli, vero? Comunque... Qualsiasi cosa tu abbia fatto, è acqua passata. Dovresti dimenticarlo e... - Ridacchiò mentre versava l'ultimo dito di alcool nei bicchieri. - Be', questo è finito.

-Signor Stark, lei ha mai ucciso?

Quello fece una smorfia perché un sorso secco gli andò storto.

-Che domanda è?

-Io l'ho fatto. - Dichiarò lei a bruciapelo. - E non credo potrei mai dimenticarlo. Perché anche se ero consapevole che fosse una grossa stronzata, l'ho voluto fino in fondo. - Fece una pausa, poi riprese la foga iniziale. - Non so quello che le abbiano detto, ma sono certa che non le abbiano raccontato l'intera storia.

-Oh, sì, immagino. Vorresti farmi credere di essere un'assassina spietata? Anche il più sadico degli omicidi ha un movente, una storia. La tua qual è? Volevi vendicarti per qualcuno?

Astrid non rispose. Voleva sapere fino a dove arrivasse.

-"Maltrattamento sul posto di lavoro" è ciò che c'è scritto sul fascicolo. Ma scommetto che sia stato qualcosa di più profondo di una tale scontata banalità.

Stark aveva la sua attenzione. Aveva letto i files, si era informato. Cominciò a ricostruire i fatti l'uno dopo l'altro, come uno Sherlock Holmes un po' alticcio.

-Facciamo la lista delle componenti. Un vecchio fast-food rimesso a nuovo. Un capo snervante, un uomo violento intrecciato in affari loschi, pieno di segreti macabri. Una dipendente sparita misteriosamente. Dopo settimane di ricerche, il corpo viene ritrovato abbandonato lungo un fiume. Nessuna traccia dell'assassino, nessuna pista da seguire, apparentemente. Tu sai chi è stato, ne sei certa. Ma è la tua parola contro i fior di quattrini che sanno bene come insabbiare le prove. Allora decidi di indagare da sola, per trovare le prove schiaccianti che possano incriminare quel viscido verme. Tuttavia... Qualcosa va storto: Gus, il terribile Gus, intuisce che stai tramando qualcosa. Così, dopo l'orario di chiusura, ti fa fare un'ora extra. E quando siete soli, tu e lui, senza occhi e orecchie indiscrete, ammette le sue colpe e ti minaccia. Ma ha fatto un grosso sbaglio: ti ha sottovalutato. Così, nel suo tentativo di spaventarti, ti fa perdere le staffe e tu ti fai giustizia da sola. Ho saltato qualcosa?

-Denoto un approfondito impegno nello studio, Tony Stark, a parte qualche dettaglio impreciso... - L'ironia era palesemente una copertura al magone che le strozzava la gola e le faceva tremare la voce. Trattenne a stento le lacrime che entro poco le avrebbero solcato il viso. - Si chiamava Samantha. E voleva ribellarsi. Voleva una vita migliore di quella in cui era costretta e lui l'ha fatta fuori.

-Le volevi bene...

Non rispose. Si era persa in un ricordo e non riusciva a venirne fuori.

-Spesso mi sveglio con la sua voce che urla, mi prega di salvarla. E io non posso fare niente. Di nuovo. Non ho fatto niente.

-Non hai potuto. - La consolò Stark, la voce più profonda, comprensiva.

-A cosa servono questi poteri se non posso salvare chi amo? Cosa ne rimane dopo? Solo la patina di neve sui corpi che congelo. Solo i resti di cenere di quelli che brucio. Nient'altro. Nessun sollievo. Nessun conforto. Solo il vuoto. Ed è tutto inutile. Tutto schifosamente inutile. Ci illudiamo di poter cambiare il mondo, solo perchè abbiamo qualche possibilità in più di quelle persone là sotto, che passeggiano indisturbate tra le strade, totalmente indifese. Cosa abbiamo in più di loro oltre a quelle poche possibilità? Cosa siamo se non possiamo evitare questa sofferenza e non possiamo far sì che anche chi amiamo non la provi mai?

L'ultimo dito di bourbon vorticava lento sul fondo del bicchiere. Caldo: il ghiaccio s'era sciolto del tutto. Bruno, come gli occhi del suo ascoltatore. Amaro, come il dolore che tentava inutilmente di soffocare.
Astrid si alzò in piedi, un po' barcollando. Non poteva sopportare di piagnucolare come una bambina davanti a un estraneo. Tirò su col naso e si asciugò le guance con la manica, senza pensare che ciò la ricollegava a un gesto del tutto infantile.

-Grazie per la compagnia.

Posò il bicchiere sul bancone e sparì nell'ascensore, trascinando l'alone angoscioso come lo strascico di una lunga veste scura.

-Non c'è di che... - Biascicò Stark, quando lei non poteva più sentirlo. Fissò la bottiglia quasi vuota, le increspature decorative del vetro. Si era sbagliato, l'aveva giudicata troppo presto. Forse era già una persona migliore.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Un pugno di umiltà / Non disubbidirmi ***


Neve e Cenere | Marvel

6 . Un pugno di umiltà / Non disubbidirmi
 

Il primo giorno di allenamento con il Capitano fu tosto, ma non tragico come se l'era immaginato. Mentre lo pensava, un pugno di cemento le sfiorò la guancia.

-Brava, l'hai schivato!

Trattenne un sorriso di vittoria davanti alla sorpresa del maestro.

-Hai i riflessi pronti. Dobbiamo lavorare sulla tecnica. Prova tu.

I suoi pugni sembravano così piccoli e fragili in confronto a quelli compatti e potenti del Capitano. Li guardò ancora un poco incerta, prima di sistemarli in posizione, davanti al viso, come le aveva spiegato. Lui fece un cenno con la testa e subito dopo si trovò a bloccare il piccolo pugno con il palmo, come se si fosse mosso a rallentatore.

-Troppo lenta. Riprova.

Di nuovo il Soldato fu pronto a proteggersi.

-Ancora. Non ci siamo.

Astrid riprovò finché il Capitano non la spinse in avanti, sfruttando la forza rimanente del movimento, e lei si trovò aggrappata agli elastici.

-Non sono capace. - Dichiarò frustrata.

-È il primo allenamento. È normale che ti senta impreparata.

Astrid sbuffò. Spostò il ciuffo di capelli sfuggito alla coda e si rimise in posizione.

-Guarda me.

Due pugni in parallelo tagliarono l'aria davanti a lei. Un altro descrisse una curva che dal basso si insidiò verso l'alto in un corpo immaginario.

-Il gancio... - E si voltò verso di lei - Da sotto verso il mento. - Le nocche di roccia la toccarono gentilmente, quasi come una carezza.

-E poi torni indietro. Devi sempre tornare alla posizione iniziale. Sei pronta?

Annuì e fece un respiro profondo, focalizzandosi sul paio di occhi felini che l'aspettavano, sul mento liscio e importante che doveva raggiungere.

-Avanti.

Astrid sferzò due colpi a vuoto. Il terzo sfiorò l'obbiettivo, ma non fece centro. Il Soldato la trattenne e lei piroettò su sé stessa, ritrovandosi gli arti bloccati in una posizione in cui un minimo sforzo significava uno stiramento doloroso al nervo.

-Brava, ma ora potrei romperti un braccio e tu non potresti fare niente.

Un passo avanti e uno indietro.

-Non sono stata brava, allora.

-Stai imparando. - La liberò dalla morsa. - Di nuovo.

Si ritrovò, non seppe come, faccia a terra. Poi rimbalzò sugli elastici e dovette schivare un calcio che invece la rimandò a tappeto. All'ennesima caduta si sentì talmente debole e insignificante che avrebbe voluto rimanere a terra per sempre, inglobandosi nel tappeto blu del ring. Il Capitano ridacchiò e allungò la mano per aiutarla, ma lei, da fiera guerriera, si rimise in piedi da sola. Guardò negli occhi l'avversario, senza paura. Si rimise in posizione. Il Capitano sorrise, scosse la testa.

-Va bene così.

-Come? - Un insieme di stupore mista a felicità e soddisfazione si fecero spazio nel suo cuore. - L'ho colpita?

-No. - Svanì tutto e non rimase che la nuda e fredda delusione. - Ma sei stanca. Ti ho strizzato per bene.

-Posso continuare. - Affermò lei, testardamente.

-Per oggi basta, ragazza. Vai a farti una doccia.

"Ragazza" ha un nome. Era odioso quel modo di fare superbo, ma sentiva che in fondo c'era del buono. Come in quel sorriso accennato che lasciò trapelare dell'ingenuo divertimento da tutta quella piatta e grigia rigidità e che per una volta lo descrisse come uomo, prima che soldato.

Obbedì, perchè anche se il dolore se ne sarebbe andato entro qualche minuto, le tremavano le gambe e le braccia come se avesse fatto sollevamento pesi con ottanta chili in più sulle spalle.
 

***

Stirò la gamba, piegandosi come una ballerina goffa. I lividi stavano già andando via: di loro rimaneva solo un alone giallastro che entro pochi minuti sarebbe scomparso. Era certa che il Capitano non si fosse impegnato nemmeno un po' con lei. A quel punto poteva dire che anche con i suoi poteri, probabilmente non avrebbe avuto scampo contro quei muscoli.
Si stese sul letto sconfitta. Accese la TV. Cambiò forse sei o sette canali senza trovare qualcosa di interessante oltre alla faccia di Tony Stark, la voce di Tony Stark, l'automobile di Tony Stark, un servizio sui Vendicatori, Steve Rogers che rilasciava mezza intervista. Poi finalmente, un documentario sulla balena bianca, ma scoprì essere un piccolo collegamento al servizio mandato in onda un attimo dopo sul molo del Long Branch, distrutto da "un'onda anomala". Quindi era così che l'avevano coperto.
Riguardò la scena dal punto di vista del cameraman: più che un'onda anomala, sembrò quasi che qualcosa - o qualcuno - di veramente forte e veramente grosso avesse fatto un salto e avesse dato una testata da sotto le fondamenta prima di ritirarsi e sparire nuovamente nell'acqua. Lo fecero vedere una volta sola. Subito dopo cominciarono a descrivere gli eventi con parole decisamente inappropriate:

-Qualcuno che si trovava sulla spiaggia ha confermato di aver sentito una breve scossa al terreno. Quindi è possibile che sia stato un lieve maremoto.

Dopodichè la voce della conduttrice venne sopraffatta da quella della folla impazzita.

-Io l'ho visto!

-Cos'ha visto esattamente, signora?

-L'ho visto! È stato Loki!

Astrid drizzò le orecchie.

-Era sulla spiaggia prima che accadesse tutto!

La parola passò a una signora dai capelli aranciati e rizzi, visibilmente provata.

-Se il Governo ci dicesse la verità e non quello che vuole farci credere...!

Poi ancora voci confuse:

-È tornato! È tornato!

-Ci ucciderà tutti!

-È finita!

Inquadrarono un gruppo di manifestanti, che pareva più una setta. Impugnavano cartelli con scritto: "Pentitevi!" e poi ancora: "In ginocchio!" e un altro: "A chi chiederanno aiuto gli Avengers?".

Un uomo piombò davanti alla telecamera con veemenza. Voleva farsi ascoltare a tutti i costi.

-L'ultima volta un esercito di alieni ha distrutto quasi tutta Manhattan! Cosa succederà se questa volta Loki tornasse con un esercito più numeroso? Non rifarà lo stesso errore! - E mentre la telecamera si spostava, quello la rincorreva e urlava più forte: - Gli Avengers non ci hanno salvati! Ci hanno condannati!

Tagliarono la linea.

-Bene, come vedete, i cittadini sono molto scossi...

"Scossi" ripeté Astrid tra sé e sé. Premette un tasto sul telecomando e cambiò canale.

-Qualcuno vaneggia addirittura il ritorno di Loki! - Il conduttore finse un vocione ironico. Le risate degli spettatori si fecero sentire. - Voglio dire... Se fosse tornato Loki ce ne accorgeremmo! Vi giuro che se incontrerò per strada una capra verde con un paio di corna dorate e un'immonda mania di grandezza, sarò il primo a renderle onore e ad inginocchiarmi ai piedi di sua magnificenza! - Risero di nuovo.

Astrid sentì un magone salire in gola. 
Si alzò per spegnere il televisore, ma sbagliò bottone e cambiò canale di nuovo. Incontrò una voce agitata e il rumore inconfondibile delle eliche di un elicottero.

-Abbiamo un collegamento sul posto. Al, mi senti?

-Sì, eccomi. Mi trovo su un elicottero di pattuglia e cerchiamo di avvicinarci al luogo e... Eccolo! Eccolo! Lo vedete?

Sullo schermo apparve una città devastata e in fiamme. Al centro un gigante incandescente che si faceva strada senza scrupoli.

-Oh, mio Dio! È pazzesco!

-La gente cerca di mettersi in salvo! - Si sentivano in lontananza delle urla stridule, di panico. - I vigili del fuoco cercano di spegnere le fiamme attorno, ma... È tutto inutile! Ora sta distruggendo un palazzo!

-È orribile! A cosa starà puntando? Da dove è arrivato? Qui in redazione mi dicono che qualcuno l'ha visto spuntare dall'oceano...

-Non lo so con certezza, Carol, ma... La domanda che sono sicuro si stiano ponendo tutti è: dove sono gli Avengers?


***

Uno dei piani superiori del palazzo si prestava a un piccolo garage, una pista di decollo-atterraggio per i veicoli volanti e un ampio sgabuzzino per rifornimento ed equipaggiamento.

Il Capitano aprì un armadietto e tirò fuori una busta sigillata.

-Metti questa.

Astrid l'afferrò, arrestando il moto parabolico che descrisse nell'aria. La aprì e ci trovò una tuta nera come quella che indossava la Romanoff, ma più semplice e più anonima. La squadrò senza riuscire ad immaginare come il suo corpo potesse rientrare in un tessuto così aderente.
Guardò Natasha mentre caricava le pistole con maestria e agilità, le infilava negli appositi astucci sulle cosce e allacciava la cintura delle munizioni in vita.
Il glabro marchingegno di difesa che possedeva invece lei era una semplice tuta in spandex di dubbia indossabilità. Si sentì estremamente vulnerabile.

-Posso avere un'arma?

Il Capitano cercò di scorgere nel suo viso una sfumatura di umorismo. Poi capì che era seria e rispose un "No" categorico. Afferrò lo scudo e fece per andarsene.

-Se ho bisogno di difendermi come faccio? - Insistette lei, inseguendolo verso la porta.

-Non hai bisogno di un'arma per difenderti. E comunque non ti servirà.

-Come fa a saperlo?

-Perchè non combatterai. Rimarrai nell'aircraft assieme al dottor Banner. - La spiazzò.

-Ma io...

-Vi farete compagnia a vicenda. - Tagliò corto il Capitano. Uscì dalla stanza.

Astrid gli fece il verso. "Non hai bisogno di un'arma per difenderti"! Cosa avrebbe voluto dire?

-Non fare così. - La esortò Natasha, mentre sistemava i boccoli perfetti dietro la nuca. - Non lo fa per tediarti.

-Vuole evitare problemi, lo so. - Perché in fondo lei era un problema.

Aspettò che la Rossa l'avesse lasciata da sola nello stanzino. Infilò la tuta elastica senza troppi sforzi. Tirò la lampo scoprendo che si chiudeva con poche grinze e soprattutto, con piacevole stupore, senza soffocarla. Si aggiustò i capelli in una coda bassa e scombinata, mentre osservava la propria sagoma nel vetro e il tessuto che enfatizzava ansiosamente ogni forma. Allacciò gli stivali e i guanti rinforzati sulle nocche che scoprivano le dita. Sorvolò con lo sguardo le armi appese agli scaffali e fantasticò sul loro funzionamento. Si avvicinò per mettere a fuoco un pugnale fuori posto: il manico esposto e la lama infilata nel proprio astuccio. Era leggero e nemmeno troppo grande per la sua mano. Se lo rigirò nel palmo senza sapere esattamente cosa farsene. Sembrava fosse messo lì a posta per lei. Se lo ficcò in una tasca nascosta: non si sa mai!
Scivolò fuori dalla stanza lasciando che la porta si bloccasse automaticamente. Raggiunse la pista all'esterno, mentre gli altri salivano su un enorme velivolo alato.

***

L'aircraft prese il volo. Il dottor Banner si era fatto pregare per aggiungersi al gruppo e in quel momento non sembrava sentirsi troppo a suo agio. Dalla parte opposta il Capitano sedeva composto nella sua tuta blu e bianca, con quella stella sul petto che richiamava il disegno sullo scudo. Non era credibile. Persino Tony Stark, rinchiuso nella sua lucida armatura, diventava più temibile e anche più avvenente. Thor non era da meno: nonostante il costume fuori tempo e il bizzarro modo di parlare, portava quello sguardo da gladiatore senza macchia che non lasciava scampo ai dubbi. Invece, la divisa colorata del Capitano, in contrasto con la sua espressione rigidamente autorevole, era qualcosa di comico. Astrid dovette cambiare pensiero perché faceva fatica a ridimensionare un sorriso ludico serrando forzatamente le labbra.

-Atterriamo. - La voce di Barton al comando annunciò l'arrivo.

Natasha, co-pilota, contattò i due del gruppo che avevano preferito raggiungere il luogo con le proprie forze. Rimase con la voce a mezz'aria davanti alla vista degli edifici devastati e carbonizzati, gli alberi spezzati e ancora fiammeggianti, l'asfalto tappezzato dalle enormi buche e solchi che segnavano il passaggio di qualcosa che non aveva intenzione di fare una semplice visita turistica.

-Hanno evacuato la zona due ore fa. - La tranquillizzò Barton appoggiandole dolcemente una mano sulla spalla.

Un ruggito penetrò nell'abitacolo appena si aprì il portellone. Un mostro alto e grosso come un palazzo si era accorto degli intrusi e sfidava loro come un cane ringhioso che protegge il proprio territorio.

-Va bene, ragazzi. All'opera. Facciamo attenzione. - Incoraggiò il Capitano.

Astrid ci riprovò. Slacciò la cintura e si alzò in piedi seguendo il gruppo mentre scendeva dal velivolo. Il Capitano la fermò proprio quando stava per mettere i piedi per terra. La afferrò per il braccio con forza e la rimise a sedere.

-Non disubbidirmi.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** L'asso nella manica / Non darmi ordini ***


Neve e Cenere | Marvel

7 . L'asso nella manica / Non darmi ordini


-Hey, bamboccione! Ti vedo un po' accaldato! Dovresti rinfrescarti le idee!

Iron Man spezzò la testa di un idrante e direzionò la spinta dell'acqua sul muso del gigante che rimase stordito.
Capitan America non perse tempo: gli balzò in groppa, risalì la schiena bollente per raggiungere il capo. Il mostro cercò di scrollarselo di dosso. Il Capitano scivolò e nel momento in cui cercava di aggrapparsi, si ustionò una mano e cadde terra. Si sfilò il guanto ormai inutile: il tessuto si era bruciato e aveva lasciato scoperta la pelle sensibile.
Prima che egli potesse informare gli altri, la Vedova Nera si avvicinò con le sue pistole e quando capii che le pallottole non erano sufficienti, lanciò dal suo bracciale una sottile fune elettromagnetica che aggirò lo spesso collo del mostro e andò a impiantarsi dietro la nuca, sfavillando. L'essere infernale si voltò iracondo, la prese di mira. Il Capitano lanciò il suo scudo per distrarlo, ma servì solo a farlo infuriare di più. La bestia afferrò il cavo e cominciò a tirare. Un momento dopo Natasha si ritrovò a strisciare verso di lui finchè la fibbia scattò e lei riuscì a liberarsi, ma la mano del gigante la sorprese e provò a schiacciarla come una pressa. Riuscì a rotolare via grazie a un fulmine che andò a colpire la faccia rugosa del gigante. Quello, disorientato, agitò le braccia possenti alla cieca e afferrò per caso l'omino di latta.che gli ronzava intorno incautamente.

Stark accusò dolore mentre l'armatura si accartocciava su se stessa. Sparò un raggio che sparì nella corazza rovente come risucchiato.

-Ragazzi, non mi dispiacerebbe un aiutino...

Il Capitano recuperò lo scudo e lo lanciò di nuovo, magari con l'intenzione di tagliare l'arto in due, ma esso rimase intatto, mentre lo scudo deviò la sua traiettoria.

Il Falco gli rifilava una freccia dopo l'altra, dall'alto del tetto di un condominio. Alcune rimbalzavano sulla corazza. Altre si ficcavano tra le pieghe di essa e si scioglievano. Quelle esplosive si accendevano come lampadine per poi degradarsi.

-Le mie frecce sono inutili. Non lo scalfiscono nemmeno. – Informò il Vendicatore avvilito.

-Ci penso io! – Tuonò la voce di Thor che era rimasto indietro tutto il tempo.

Il Dio del Tuono fece roteare il martello con l'energia di un tornado. Fece un balzo, le nuvole si raggrupparono sopra di lui e una scarica elettrica scese pallida e fragorosa colpendo il capo del gigante, il quale vacillò stordito e crollò a terra. Stark si sfilò dalla morsa. I propulsori danneggiati scoppiettarono e lo fecero atterrare goffamente.

Ma era troppo presto per cantare vittoria. Il gigante si rialzò, più arrabbiato di prima. Gonfiò il petto. Thor ebbe un cattivo presentimento.

-State attenti! Allontanatevi!

Dalle focose fauci, uscì una fiammata ardente che andò a incenerire tutto ciò che attorniava la bestia.
Natasha riuscì a mettersi in salvo per poco, dietro una macchina. Il Capitano corse riparandosi con lo scudo. Thor si spostò in volo.

-A chi va una grigliata?

-Ti stai prendendo una pausa, Stark? - Chiese il Capitano con voce irritata. Lo scudo era rovente.

-Ho un problema tecnico. Ma devo ammettere che è divertente vedervi incespicare.

Tony se ne stava in un angolo, in ginocchio. Cercava di riattivare l'armatura che sfavillava per via dei contatti elettrici dislocati e spezzati. Si fece sfuggire qualche imprecazione, prima di riuscire a rimettersi in piedi.

-È impossibile avvicinarsi. Ha una corazza incandescente. - Esclamò Natasha, scappando dall'esplosione dell'automobile in fiamme. Tossì qualche volta prima di riprendere fiato. Poi si sedette a terra, per riprendere fiato, riparata da un muro ancora in piedi.

-E io sono completamente inutile. – Aggiunse Burton innervosito – Nat, stai bene?

-A posto. Solo un po' intossicata. Sembra di stare all'inferno.

-È come se emanasse del calore... – Commentò Steve, senza accorgersi dell'evidenza.

-Mi stupisce, Capitano, la tua attenta capacità di osservazione! Come hai fatto a notarlo? – Lo prese in giro Stark nell'armatura ammaccata e fusa, deformata nella forma di tre enormi dita.

-Bene. Ci serve un piano. - Tagliò corto l'altro, ignorando commenti futili. - È ovvio che non possiamo avvicinarci troppo, altrimenti ci ustioneremmo.

-Voi di certo. – Thor sferrò un altro colpo lanciando il martello. Il mostro lo schivò, ma non previde il suo ritorno e venne colpito pesantemente. Mijolnir tornò nel palmo del padrone, fumante.

-Thor, questo coso non viene dal tuo mondo? - Chiese Steve, cercando una soluzione.

-Non da Asgard, no... - Negò il Dio più preoccupato di lui.

-Capitano, che facciamo? Chiamiamo il Verde? – Chiese Stark, ma era più una provocazione.

-Ci sto pensando.

-Abbiamo un'arma molto meno ingombrante che potrebbe rapidamente raffreddare i bollenti spiriti del nostro amico e tu non le permetti nemmeno di uscire. Cosa c'è, Capitano? Hai paura che si graffi?

-Non se ne parla Stark.

***

A braccia conserte, seduta scomposta sul sedile di pilotaggio, i piedi sul pannello di controllo, Astrid osservava ogni minima mossa dalle immagini provenienti dalle telecamere esterne, riflesse sul parabrezza.
Il dottor Banner era seduto più in fondo, sul sedile da dove non si era mosso da quando erano partiti. Piegato sulla schiena, i gomiti sulle ginocchia, le dita intrecciate in una stretta nervosa, lo sguardo fisso nel vuoto.
Astrid sedette al suo fianco. Lui non la notò e rimase a fissare il suo affezionato punto invisibile. Un sibilo ottuso fuoriusciva dalle cuffie che gli tappavano le orecchie. Lei tese il collo per afferrarne il ritmo, ma appena cominciò a capirne la melodia, Banner si voltò di scatto. Si tolse le cuffie, imbarazzato.

-Mi scusi, mi... Mi ero perso...

Astrid, che era balzata all'indietro, si rimise composta sul sedile.

-No, mi scusi lei. Non dovevo arrivare di soppiatto... L'ho spaventata?

Banner tese le labbra in un sorriso timido.

-Sinceramente, tra i due, credo di essere il meno spaventato.

Astrid abbassò lo sguardo a terra.

-Ero curiosa di sapere cosa ascoltava...

-È classica. "Casta Diva". Di Bellini.

Astrid annuì con la testa. Si accontentò della prima parte della risposta.

-La conosce?

-Non me ne intendo. La aiuta a rilassarsi?

-Abbastanza.

-Bene... - Sospirò Astrid, consolata.

-Vuole ascoltare?

Astrid indugiò. Gli occhi buoni del dottor Banner le sorridevano più di quanto fosse capace lei con tutti i muscoli del viso concentrati assieme. Quella posata gentilezza era qualcosa che la faceva sentire a disagio, come se qualsiasi cosa avesse risposto, sarebbe andata a minacciare l'armonia fragile che sostava attorno alla figura dell'uomo.
Rifiutò, quasi sentendosi in torto. Il dottor Banner posò le cuffie sul sedile accanto. La melodia prorompeva ancora, nel silenzio, esplodendo e affievolendosi, alternando crescendo a diminuendo.

Astrid sospirò di nuovo.

-È agitata? - Le chiese lui.

-Veramente non amo aspettare.

-È sempre una tortura. - Rispose il dottore con un sorriso consapevole - Cosa stanno combinando?

Si avvicinò al pannello di controllo. Il suo volto si corrugò in un'espressione inquieta: qualcosa non andava. Accese il microfono.

-Capitano? È un Codice Verde? Stark? Ragazzi?

C'erano le voci e i sussulti dei combattenti, ma nessuna risposta per loro.

Astrid scattò in piedi. Parlavano di lei. Percepì il senso di colpa e, allo stesso tempo, il dovere morale premere sull'orgoglio come un pugno nello stomaco. Stark aveva ragione: doveva fare qualcosa.
Senza pensarci due volte, infilò l'auricolare nell'orecchio e si avviò verso il portellone aperto. Banner si allarmò.

-Dove sta andando?

-Ad aiutarli. Mi sembra ovvio.

-Il Capitano Rogers ha ordinato di rimanere qui...

-Le dica che me ne frego dei suoi ordini.

Scese dal velivolo e si addentrò nelle macerie, carica dell'adrenalina che le percorreva la schiena.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Mutaforma ***


Neve e Cenere | Marvel

8 . Mutaforma


Dall'asfalto si alzava un calore innaturale. C'era puzza di fumo, gomma e asfalto bruciato. L'aria era rarefatta e grigia, appesantita dalle polveri della cenere. Il mostro aveva lasciato le sue impronte solcando la strada con il peso delle zampe.

Astrid si fece avanti mentre gli Avengers si spostavano e saltellavano come ballerine in una danza disomogenea e scoordinata. Il gigante doveva essere alto almeno dieci metri. Non pareva molto intelligente. Si dimenava come un gatto tra un pugno di mosche ronzanti, solo più goffo. Un grosso gatto grasso e pigro che cercava di agguantare dei piccoli moscerini fastidiosi.

Astrid fece un respiro profondo. Anzi ne fece due. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto. Forse si stava già pentendo. Come fece due passi avanti, una fiammata bruciò il suolo ai suoi piedi e dovette arretrare. Entrò nell'obbiettivo. Il Capitano la riprese immediatamente.

-Sullivan! Cosa stai facendo?! – La sua voce era ancora più irritante e invasiva attraverso l'auricolare. Le andò incontro infuriato.

-Ho pensato che vi sarebbe servito il mio aiuto.

-Ecco la mia ragazza! Benvenuta alla festa! – La voce di Tony Stark non era mai stata tanto vivace. Atterrò davanti a loro.

-Stark, non la incoraggiare.

-Rogers, rilassati. È tutto a posto.

-Non lo è! Le avevo ordinato di rimanere con il dottor Banner!

-Il dottor Banner non ha bisogno della baby-sitter.

-Ragazzi, dobbiamo discuterne adesso? – Si aggiunse Natasha. – E comunque, credo che una mano ci sia più che necessaria.

-Cos'è questa storia? – Il Capitano li guardò confuso. Era stato spodestato.

Il gigante ruggì. Prese in pieno un edificio con una gomitata. I pezzi volarono ovunque. Alcuni presero fuoco.

-Sullivan, torna all'aircraft. Natasha, assicurati che non esca. - Prima che aprisse bocca, il Capitano puntò un dito contro il viso di Astrid. - È l'ultima volta. – Aveva gli occhi rimpiccioliti, le labbra gli si indurivano in uno spasmo di rabbia. Guardò Stark, ma sapeva che non poteva controllare anche la sua volontà, così si accontentò di odiarlo. Raggiunse il gigante con una corsetta.

Stark sollevò le spalle e allo stesso modo le sopracciglia, senza condividere davvero la decisione.

-Ordini del Capitano.

Natasha le appoggiò una mano sulla spalla.

-Andiamo.

Il gigante ruggì di nuovo dopo una martellata sul muso. Cadde all'indietro. Voltò per caso il capo nella loro direzione. Astrid lo osservava e per un momento sembrò quasi che lui ricambiasse. Si rialzò, scosse la testa, ruggì una terza volta. Era rivolto a lei.

-Sta venendo verso di noi o sbaglio? – Fece Stark mentre il casco si ricomponeva attorno al capo.

Astrid pensò in fretta.

-Mi darebbe un passaggio?

-Che?

Il gigante era sempre più vicino. Ogni passo era un rombo e un tremolio del terreno. Stark la squadrò dalle fessure rettangolari.

-Non credo di capire.

Astrid non muoveva un passo, Stark le stava di fianco impaziente, il gigante era a pochi metri da loro e nessuno dei due si decideva a muoversi.

-Che vuoi fare?

-Non faccia domande! Mi prenda e basta! – Urlò lei mentre una mano smisurata stava per schiacciarli.

Iron Man accese i propulsori. Astrid saltò, ma i suoi piedi non tornarono in contatto col suolo. La bestia agitò le zampe in aria e Iron Man fece zig-zag tra esse.

-Mi faccia atterrare sulle spalle!

Planarono sulla groppa che emanava un tanfo e un calore insopportabili. Le mani metalliche si aprirono e Astrid dovette aggrapparsi alla prima squama o protuberanza che fuoriusciva dalla corazza bruna. Si arrampicò, pericolando con i piedi nel vuoto, tanto che ogni movimento della bestia era un'oscillazione violenta che la faceva dondolare come un pendolo. Appena trovò un posto per i piedi, in una posizione precaria, ficcò le dita tra le fessure della corazza ruvida. Una massa molliccia e radioattiva scorreva tra le venature, in profondità. Deglutì il disgusto e cominciò a rubare l'energia dei cavi viscidi. La bestia cominciò ad agitarsi più inquieta. Probabilmente non era solletico ciò che percepiva. Si inginocchiò a terra.

-Vai così! – La incitò Stark che volava sulla sua testa, non troppo vicino per non essere coinvolto, ma abbastanza per intervenire in fretta in caso di bisogno.

-Ci sono quasi! - Esclamò Astrid, ma qualcosa non quadrava. Dal momento in cui aveva cominciato ad assorbire il calore, la sua pelle stava reagendo in modo insolito: cominciò a trasformarsi. Una patina nera come il carbone iniziò ad avvolgerle le mani, venata da disegni fosforescenti che si attorcigliavano e si intersecavano tra loro. Staccò una mano e vide la pelle ritornare come prima. La macchia si ritirò sino a scomparire.
Il gesto le fu fatale: il gigante si riprese e con uno scossone le fece perdere anche l'altra presa. La colpì violentemente con un braccio e lei schizzò via per aria.
Atterrò pesantemente a terra senza alcuna ammortizzazione. Il cielo, da leggermente coperto, si fece completamente nero.

 

***
 

Un'esplosione fece tremare il terreno. L'antifurto di un paio di auto andò in tilt. La voce allarmata del Capitano le arrivò assieme alla vista. Tossì. Una fitta lungo la colonna la immobilizzava a terra e le impediva di respirare bene. Le costole doloranti premevano sul petto. Doveva aver fatto un volo davvero alto, per poi ruzzolare per diversi metri, sbattendo inerme come un sacco di patate.

-Sto bene... - Rispose fiaccamente.

Gli occhi azzurri del Capitano erano talmente vicini che avrebbe potuto toccarli col naso se solo il collo non fosse stato tra una delle parti incriminate nel dolore.
Sollevò la schiena e tutte le ossa cominciarono a scricchiolare come gusci di frutta secca.

-Era questo che volevo evitare.

Eccolo che ricomincia. Nemmeno si era alzata in piedi che già aveva pronta un'altra ramanzina.
Drizzò le gambe, ma esse tremarono e il Capitano dovette sostenerla. Il suo volto era pieno di dissenso, ma da una parte si era ammorbidito, come se si fosse intromesso del dispiacere.

-Tony, aiutami, portala via.

Quello si avvicinò, la prese sottobraccio. Cominciò a scusarsi a voce bassa, la coda tra le gambe.

-Steve, io non avevo idea di...

-Ne parliamo più tardi. Adesso muoviti.

-Posso farcela. - Si ribellò lei.
Sentiva le ossa ricomporsi. Poteva reggere la schiena, muovere meglio le gambe, le braccia.

-Davvero? - Stark la lasciò un poco, fidandosi dell'istinto.

E in effetti Astrid riuscì a mantenersi in piedi da sola. Scrocchiò il collo e le spalle. Si pulì il labbro del suo stesso sangue.

-A posto.

-Ma guarda! potrei quasi dire che sei pronta per il secondo round!

-Neanche per sogno. - Il Capitano non mollava l'osso.

-Guardala: sta bene!

-Non sta bene. Ha bisogno di vedere un medico.

-Ha fatto un volo di sei piani e si è rialzata come se fosse solo inciampata. Non ha bisogno di un medico!

-La smetti di contraddirmi?

-Non ti sto contraddicendo.

-Non stai facendo altro da quando siamo qui.

-Sei tu il capo.

-Sì, esatto!

Astrid si incamminò verso il gigante il quale stava scorrazzando indelicatamente accanto a due palazzi troppo vicini perchè egli ci passasse lasciandoli integri.

-Thor!

Il biondo che si era allontanato dal bestione, si trovava immobile a pochi metri da dove lei era atterrata. In attesa e un po' confuso.

-Dammi una mano.

Egli voltò il capo verso i due uomini alle spalle di lei e giudicò che non fossero in grado di ragionare su altro che sul loro bisticcio.

-Ascolto.

L'uomo annuì, mentre Astrid gli esponeva una strategia improvvisata in un povero minuto. Il Dio del Tuono balzò impetuosamente col suo martello, attirando l'attenzione del bestione agitato. Si intromise tra i due palazzi e cominciò a stuzzicarlo. L'altro non si fece problemi e ci si introdusse dentro, pensando di poterli sgretolare con le spalle. Invece si incastrò.

Il frastuono attirò l'attenzione dei bisticcianti, interrompendo la disputa.

-Sullivan! Sei completamente impazzita?!

Astrid lo ignorò. Si strappò l'auricolare dall'orecchio e lo gettò a terra. Il Capitano fece per inseguirla, ma Stark gli poggiò una mano sul petto.

-Fatti da parte, Stark.

-Dalle una possibilità.

Il Capitano si percosse. Era davvero stufo.

Astrid avanzò ancora. Sfilò il coltello, che si ricordò di aver nascosto, dalla tasca della giacca. Prese la rincorsa verso il gigante che non poteva muoversi, ma cercava disperatamente di farlo. Fece un salto e cominciò ad arrampicarsi, infilzando il pugnale nella carne di catrame come sostegno. Arrivò in cima, mentre il mostro non voleva saperne di stare buono. Attorcigliò le gambe attorno al collo che era l'unica parte che esso poteva ancora scuotere come un toro infuriato. Le pelle della ragazza era tornata a scurirsi, ma questa volta Astrid non se ne curò. Ficcò con forza il pugnale nella testa del gigante. Strinse le gambe e si tenne saldamente al manico mentre assorbiva tutta l'energia termica che possedeva la bestia impazzita.
Digrignò i denti in una smorfia di fatica. C'era talmente tanta energia che avrebbe potuto alimentare una città intera per qualche ora. La sentiva scorrere tra le vene, calda, intensa, accompagnata dal pizzicore consueto che la pervadeva e le annebbiava il cervello come una potente sostanza stupefacente.
Era qualcosa che non aveva mai imparato a controllare del tutto. C'era sempre un punto limite oltre il quale il suo corpo non ascoltava più i suoi comandi e assimilava tutto il calore della vittima, prosciugandola anche dell'anima. Le faceva paura ogni volta, perché era ignara di cosa sarebbe potuto succedere se per caso ne avesse assorbita troppa.
Il gigante perse ogni forza. Si lasciò crollare a terra, in ginocchio, mentre le braccia rimasero appese all'interno dei palazzi. Una di esse si staccò poco dopo che Astrid era scesa dal corpo pietrificato. La vide piombare su di sé, ma era troppo esausta per poterla schivare in tempo.
Thor corse a soccorrerla. Sollevò il braccio pesante che la schiacciava al suolo e lo lanciò distante.

-Mai i miei occhi videro un'azione tanto eroica! Ammetto che stessi iniziando a temere una sconfitta, ma in cuor mio ero certo che non avresti deluso la mia fede! - Esplose il biondo per l'emozione. Le porse una mano salda.

Lei lo guardò stordita, chiedendosi di che stesse blaterando. Accettò l'aiuto, ma lo strattone fu troppo forte e le girò la testa.

Il Capitano e Stark avevano osservato la scena in preda allo sgomento. Stark le aprì un sorriso vittorioso, ma rimase in silenzio aspettando il verdetto del Capitano, più serio che mai.

Astrid non era pronta per un'altra paternale. Proprio non ce l'avrebbe fatta ad ascoltarlo rivangare il codice militare che "esige rigorosa obbedienza".

Tuttavia, nulla di tutto ciò che si aspettava uscì dalle labbra sottili e aspre dell'uomo. Ricevette solo uno sguardo freddo e distaccato. L'omaggio del capitano al soldato diligente.

-Ottimo lavoro, Sullivan.
 

***
 

Un solo nastro di luce fredda traspariva dalla finestra e tagliava la camera in due. Nel silenzio si udiva solo il leggero e lento fruscio dei polpastrelli sui palmi secchi.
Astrid se ne stava fiacca, seduta sul bordo del letto, meditativa. Si pizzicò per confermare che fosse il suo corpo e non un involucro fittizio. Non era più certa di conoscerlo, non era più certa di poterlo controllare. Era confusa, arrabbiata. Si sentiva tradita. 
In un impeto senza ragione, scattò in piedi, strinse la spugna arida sul lavandino e iniziò a strofinare con sempre più insistenza, quasi come se in quel modo la pelle si sarebbe deteriorata in trucioli per mostrare uno strato nuovo. Grattò talmente forte che sull'irritazione si formarono graffi rossi e sottili. Andarono immediatamente a rimarginare prima che i suoi occhi potessero ammirarne la forma.

Mise da parte la spugna. Cominciò a scorticarsi con le unghie, ma subito dopo che la pelle si rigonfiava e si infiammava, essa tornava del suo tono solito olivastro, senza dare dimostrazione del suo potere cangiante. Era determinata a far riemergere quell'orripilante ombra nera, quelle linee luminescenti che avevano preso parte ai suoi incubi come uno scherzoso ornamento. Continuavano ad apparire nella sua mente anche da sveglia, come flash e scintille, accompagnati da sussurri confusi in una lingua sconosciuta, antica, e una patina dorata che la svestiva di un'aspetto che non le apparteneva più.
Forse doveva scavare più a fondo. Aprì le ante dell'armadietto. Impugnò la forbicina per unghie. Se la conficcò nel palmo rifiutando il dolore. Il metallo si fece spazio nella carne. Dal centro del palmo, scendendo verso il polso, formò un solco impreciso tra le linee della vita. Il sangue emerse dai capillari, sgorgò lento seguendo la scia della prima goccia vermiglia che sporcò la ceramica candida del lavabo.

Una.

Due, tre, quattro.

Cinque.

Sei.

La settima fu la più titubante.

Astrid aprì la mano. Le unghie sporche che inducevano la ferita a sanguinare di più, si ergevano su dita rigide e un polso tremante. Il flusso si era arrestato in tempi da record, come di consueto. Gettò l'arma minuta sul fondo del lavandino, con un gesto nervoso di resa. Sciacquò la mano e il lavandino dal sangue. La faccia dal sudore e dalla frustrazione. Guardò la sua immagine allo specchio interrogandosi, senza risposta. Si specchiò in quegli occhi scuri che riproponevano il suo riflesso infinite volte e per un momento le sembrò che un raggio dorato serpeggiasse tra le scaglie delle iridi. Forse stava impazzendo. 
Poi ci pensò un attimo. Era il fuoco ciò che l'aveva richiamato. Quell'essere in cui si stava trasformando, nasceva dalla fiamma ardente, ma non dalla sua, perchè quando ne accese una al centro del palmo non accadde niente.
Ribaltò il borsone per trovare un vecchio accendino che ormai conservava come portafortuna, benché non gliene avesse mai portata molta. Non era suo, a lei non era mai servito un accendino.

Quella tossica di Samantha... Fumava come un turco!

Mentre lo faceva rotolare tra le dita si ricordò di quando le aveva detto dei suoi poteri e di quante volte da quel momento le dovette accendere le sigarette manualmente perché Sam lasciava in giro gli accendini e puntualmente li perdeva o glieli rubavano. O era quello che le faceva credere pur di ricevere quella piccola soddisfazione, quel brivido di onnipotenza in cui si crogiolava per ore, con il viso segnato dal sorriso di una bambina contenta per il suo giocattolo nuovo. La guardava affascinata mentre Astrid arroventava il pollice e la sigaretta iniziava a fumare.

-Pensa a quello che potresti fare.

-Ovvero? Fare l'accendino umano a pagamento? Suppongo che guadagnerei abbastanza per pagarmi l'affitto mensile.

-Non dire stupidate. Sai bene di cosa parlo. Potresti fare del bene. - Glielo ripeteva sempre. – Perché hai paura di uscire allo scoperto?

-Non ho paura per me, ma per quello che potrebbe succedere a chi mi sta attorno. Ho paura che possa andarci di mezzo tu.

Sam e il suo sorriso beffardo, ma troppo ingenuo...

-Cosa può succedermi? Ci sei tu che mi proteggi. Warm-Woman, la ragazza che controlla il calore!

-È orribile. Non mi farò mai chiamare così.

Astrid si rannicchiò ai piedi del letto, mentre le loro risate cicalavano ancora, sempre più distanti. Il gas bruciò sotto la pressione del dito sulla rotella. La fiammella s'accese esile, ma intensa. Accarezzò la carne appena guarita, piegandosi morbidamente su sé stessa come l'angolo di un lenzuolo di seta.
Niente. Nemmeno un accenno di squama. Chiuse gli occhi e le sue mani tornarono ad infuocarsi e imbrunirsi a contatto con la corazza del gigante, il quale ora si trovava nel laboratorio, congelato come un enorme pesce abissale.
Che cosa si era persa? Aveva smesso di essere umana da tempo o forse non lo era mai stata? E se non era umana, che cos'era?
Domande sepolte nell'infanzia cominciarono a riemergere come erba sotto la neve sciolta. Domande dimenticate, accantonate, infondate perchè prive di risposte, si rincorrevano in una giostra agitata come in un quadro futurista.

Astrid si distese, abbandonandosi a un dolore pulsante alla tempia, metafora della crepa che si faceva lentamente spazio nelle sue certezze, per farla sentire ancora più sola, ancora più disorientata, ancora più nessuno.
Si rese conto di quanto il suo passato fosse colmo di lacune invisibili che qualcun altro aveva ricucito per lei, come con una toppa dello stesso colore, ma di una stoffa diversa. A cosa doveva credere? A chi?

Il sonno la cullò dolce, di nuovo tra le immagini che fugava ogni notte. Le proiezioni dei suoi pensieri presero forma e colore e in mezzo al caos la sua mente dipinse una sagoma scura: un paio di occhi verdi che brillavano di distruzione, rabbia e dolore. Un luccichio dorato, macchiato di sangue innocente. Un sorriso maligno e terribilmente familiare. Una voce fredda, distante, che l'accompagnò nel viaggio onirico, sibilando:
 

"Che cosa sei?"

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Vecchi amici ***


Neve e Cenere | Marvel

9 . Vecchi amici


La porta dell'ufficio si chiuse con un clack. Tony raggiunse Steve nel corridoio, impensierito. Apparentemente il rapporto missione era stato convincente, sebbene fosse stato aggiunto qualche accorgimento di cui il Comandante non si era accorto. E ciò era sospetto.
Fury e Steve avevano imparato a mantenere silenzi e a parlare tramite sottintesi che lui non riusciva ad afferrare. La sua mente da matematico aveva bisogno di chiarezza ed evidenza e tutto ciò che conteneva un semplice scambio di sguardi la sfiorava incomprensibile, fastidiosamente mimetizzato, come l'errore infimo in un'equazione chilometrica.

-Se l'è bevuta?

-A quanto sembra...

-Non gli hai detto come sono andate veramente le cose.

-Te ne sei accorto. Pensavo non stessi seguendo.

-È stata una frazione di secondo, poi ho ripreso il filo. Comunque mi è sembrato strano.

-Che intendi?

-Non ha fatto alcuna domanda. Ha annuito e basta.

-Pensi che sappia?

-Non è da escludere. Altrimenti perchè quell'atteggiamento così tranquillo?

-Sa che non ho motivo di mentirgli.

-Invece l'hai fatto. E lui ha chiuso un occhio. Okay, mi rendo conto che non sia l'espressione adatta...

-Che significa?

-Speravo me lo dicessi tu.

-Non sto complottando in segreto con Fury, se è ciò che stai insinuando.

-È che mi è sembrato di essere il terzo incomodo. Aleggiava un'aria da linguaggio criptato.

-Ti fai troppi viaggi mentali.

-Dubito. Domando. È legittimo domandare. Mi confermi che non ci sia niente sotto?

-Te lo confermo. Fury non avrebbe chiamato anche te se avesse voluto nasconderti qualcosa.

-Perchè sa che ci sarei arrivato ancora prima che potesse provarci!

-Sei troppo preso da questa storia, secondo me.

-Sono il co-capitano, è naturale.

-Non ricordo quando sei stato nominato co-capitano.

-Come? Fury non ti ha detto anche questo mentre ti lanciava quegli sguardi intensi e profondi?

-Gli sguardi li fai tu con qualcun altro. Anzi, altra. E pare che siano ben più efficaci...

-Non ho afferrato il riferimento. - Fissò il sopracciglio e l'angolo della bocca sollevarsi sull'espressione beffarda del compagno. Era ovvio per lui. Si sentì disturbato dal pensiero. - È una bambina! Come puoi pensare...?!

-Ti preoccupi per lei un po' troppo.

-Lo faresti anche tu se la conoscessi meglio, se le parlassi. Possibilmente senza fare una lezione di buona condotta.

-È venuta da te a lamentarsi? Non mi stupirebbe.

-Ho visto che l'hai chiamata in disparte, stamattina. Che cosa... Le hai detto?

-Solo il necessario.

-Lei sa che l'avresti coperta?

-Gliel'ho accennato.

-E cos'altro sa?

-Che dovrebbe abbassare la cresta.

-È una ragazzina, Steve.

-Una ragazzina indisciplinata.

-Una ragazzina indisciplinata che ci ha salvato le chiappe.

-E io ho dovuto salvarle a lei. Indisciplinata e imprudente.

-Non dirmi che da ragazzino non sei stato tanto coraggioso quando imprudente. Non ci crederei.

-Ero certo delle scelte che stavo compiendo ed ero pronto ad assumermi le mie responsabilità e le conseguenze delle mie azioni. Servivo sotto i comandi di chi ne sapeva più di me. Ubbidivo perchè sapevo che fosse giusto e un mio dovere.

-Ma noi non siamo soldati, Steve, né macchine che agiscono senza pensare.

-Lei pensa fin troppo.

-Secondo te, perchè non ti da ascolto?

-Dimmelo tu.

-Non ti stima.

-Ah, non mi stima! Stima te invece. Pende dalle tue labbra.

-Non esageriamo...

-Fa ogni cosa che gli dici. Io le ordino di stare in salvo e appena tu fai il suo nome lei salta fuori, semplicemente scavalcandomi. E tu le hai fatto anche la festa! Ti piace che dia più retta a te che a me: ammettilo! La mania di protagonismo ti sta dando al cervello!

-Non voglio litigare, Steve...

-Be' non so se hai notato, ma abbiamo iniziato esattamente da quando lei è arrivata qui! Avete instaurato un bel rapporto e questo mi sta bene, ma non osare più metterla contro di me!

-Non l'ho mai messa contro di te!

-E allora, dato che hai la bacchetta magica su di lei, cerca di farla ragionare, mettile la testa a posto, insegnale cos'è il rispetto!

Steve voltò le spalle e proseguì da solo. Piantò Tony qualche metro più indietro. Quello, le braccia incrociate e un'espressione indecisa, fissava la sagoma di pura arroganza che aveva imparato ad apprezzare con fatica, impegno e tanto tempo. E adesso cercava il modo per non rispondere all'impulso di insultarlo.

-Perchè non glielo insegni tu? Invece di farle il broncio e imporle decisioni sterili? Perchè non le concedi di conoscere la tua parte umana? Forse non ti vedrebbe più come un ostacolo, come un vecchio trombone che parla a vanvera e giudica, credendo di essere il migliore di tutti. Falle capire per cosa lotti, in cosa credi, i valori che segui... Falle comprendere perchè sei tu il Capitano e non lo sono io.

-E cosa dovrei fare? - Chiese Steve, fermatosi in bilico tra un rimasuglio di orgoglio e il convenire delle parole dell'amico.

-Parlare.

-Dovrei portarla fuori a cena?

-Non sarebbe una cattiva idea.

-Il rispetto non si conquista con le chiacchiere, Tony.

-No, ma con la sensibilità. E so che il nostro Capitano ne nasconde in modo considerevole sotto quell'ammasso di muscoli e testardaggine.

-Da quando il cinico Tony Stark si è dato ai sentimentalismi?

-Attento... - Agitò l'indice, fingendo serietà - Potrei ritirarmi tutte le cose buone che mi sono sforzato di dirti e cominciare a darti dello zuccone. Cosa dalla quale mi sono trattenuto da quando hai ricominciato a divagare sui tuoi doveri e le tue responsabilità...

-Mi hai già dato del vecchio trombone, mi pare!

-Quello non lo ritiro. - Si affiancò a lui, gli diede una pacca sulla spalla, come vecchi amici. - Allora, seguirai il mio consiglio?

-Ci penserò. Ma non ti prometto niente da parte sua.

-Ci metterò una buona parola.

Tornarono ad incamminarsi, riappacificati.

-E cos'è quel progetto che Fury ti ha chiesto di mettere a punto? Non ne sapevo nulla.

-Ah, niente di che... Mi ha preso per una sarta. Ho dovuto apportare delle modifiche a una tuta ridotta in brandelli. A quanto pare lo SHIELD non è munito di indumenti abbastanza resistenti al fuoco. Mah... Solo scuse! Perchè ci sono io che sono così disponibile... Altrimenti non ho idea di come vi manderebbero in giro...

-Che genere di modifiche?

-Diciamo qualcosa di più sofisticato di una toppa.

-Quindi è per questo che sei arrivato in ritardo, prima, senza una vera scusa?

-Cosa? Che c'entra?

-Hai fatto le ore piccole in laboratorio?

-Ero concentrato e la concentrazione non mi concilia il sonno. Oppure potrei essere andato a spassarmela in qualche locale della città, tutta la notte... A te cosa importa?

-Mi piace immaginarti impegnato in qualcosa di più consistente.

-Dovresti davvero uscire, ogni tanto. Non riesco a concepire l'idea che tu riesca a mantenerti così ingessato ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette.

-Sono nato in tempi diversi.

-No, no, no. Non iniziamo con queste scuse: con me non attacca. Scommetto che avevi un amico più divertente che invitava le ragazze carine e tu facevi ogni volta da terzo incomodo.

-Diciamo che non erano mai... Alla mia altezza. - Fece una pausa per concordare lo sguardo con quello di Tony il quale all'inizio lo guardò in modo strano. Entrambi trattennero a stento un sorriso divertito.

-Era autoironia? JARVIS, segna sul calendario: "Oggi Steve Rogers ha fatto una battuta autoironica". Un po' patetica, ma è un inizio.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Mondi lontani / Fiamma vivente ***


Neve e Cenere | Marvel

10 . Mondi lontani / Fiamma vivente
 

-Buon giorno, signorina Sullivan.

Le persiane si aprirono lentamente e la luce pervase la stanza. Astrid diede le spalle alla finestra, premette il cuscino sull'orecchio per ovattare la voce della sveglia vocale.

-L'allenamento di oggi è stato spostato alle 9:00. L'agente Romanoff l'aspetta in palestra tra un'ora.

Astrid mugolò qualche parola impastata. Poi le toccò pensare.

-L'agente Romanoff? Perché l'agente Romanoff?

-Il Capitano ha ritenuto più opportuno affidare il suo addestramento a qualcuno di più competente.

-Che caspita significa? - fece tra sé e sé con un grumo di disappunto che non sapeva come sfogare.

Si mise in piedi, le palpebre incollate per il sonno. Si lavò, si sistemò. Uscì dalla camera infilandosi la canottiera sui leggins sportivi, i piedi strascicanti sul pavimento, la voglia che era rimasta nel letto.

Salì nella sala da pranzo. Si versò una tazza di caffè e bevve in piedi per svegliarsi, davanti alla tavola vuota e tristemente pulita. Si chiese se ci fosse qualcuno di umano in quel palazzo che si svegliasse intorpidito come lei o fossero tutti pronti a fare flessioni e dare cazzotti ai sacchi da boxe nel momento esatto in cui mettevano i piedi a terra.

Quel silenzio però, un po' la confortava, la faceva sentire quasi a casa e forse poteva diventare un fattore a favore per abituarsi all'ambiente.

Ritirò il pensiero quando Tony Stark irruppe nella stanza in giacca e cravatta, canticchiando. Addentò una mela e si fermò a fissarla con un sorriso irritante sotto i baffi.

-Ma guarda un po', cercavo proprio te!

Astrid alzò le sopracciglia dietro la tazza fumante.

-Me?

-Esatto. Dormito bene? Giornata radiosa, eh?

-Perché così di buon umore? - biascicò lei, la voce grave.

-Tu non lo sei mai, vero? Sempre tenebrosa e malinconica.

Astrid fece spallucce.

-Ho qualcosa che potrebbe farti cambiare idea.

-Ma davvero? - chiese mono-tono: solo un miracolo poteva farle cambiare idea.

-Scendi al laboratorio tra cinque minuti?

-Ho l'allenamento tra cinque minuti.

-Il Capitano potrà aspettare.

Astrid alzò gli occhi dalla tazza.

-Ah, quindi non lo sa...

-Cosa dovrei sapere?

-Il Capitano si è fatto sostituire. A quanto pare non si sente all'altezza di allenarmi.

-Sarà dovuto andare via d'urgenza...

-O forse vuole solo evitarmi. - sancì Astrid deglutendo l'ultimo sorso di caffè.

Stark si grattò il pizzetto, strizzò gli occhi.

-Chi ti allena?

-L'agente Romanoff.

-Natasha! Bene, non farà storie. Vieni con me.

Astrid stette impalata per qualche secondo senza capire. Poi prese un biscotto dal barattolo di vetro sul tavolo, se lo ficcò in bocca e seguì l'allegro fischiettio del Genio Milionario fuori dalla stanza.

Il laboratorio assomigliava a un formicaio più che mai. Appena si aprirono le porte dell'ascensore Astrid si ritrovò davanti ad un'enorme incubatrice in cui giaceva il corpo della sua ginormica vittima, avvolto tra i cavi dei macchinari e attorniato da minuscoli camici bianchi che osservavano, commentavano, appuntavano, digitavano.

Lei e Stark scesero la rampa. Passarono davanti alla postazione del dottor Banner il quale era tutt'uno con un microscopio e non si accorse di loro.

Astrid si fermò, incantata dall'immagine dell'essere dormiente. Il suo respiro l'attirava come un richiamo. Sentì di nuovo quel pizzicore alla pelle e le voci estranee che sussurravano, la invitavano... O si stava lasciando condizionare?

-Ragazzina? - la voce del signor Stark la svegliò dall'ipnosi e il suo possessore svanì in una stanza a parte, dopo un'altra rampa. Il suo indice pigiò una serie di numeri sul tastierino e le porte scorrevoli si aprirono. Luci fredde e bluastre si accesero sul soffitto e sul pavimento.

-Benvenuta nel mio antro magico! - esclamò l'uomo mentre si toglieva la giacca e la lanciava sulla scrivania. Allentò la cravatta e digitò qualcosa su uno schermo trasparente. Dal soffitto scesero un paio di bracci meccanici.

Astrid si guardava attorno senza sapere dove mettere i piedi.

-Ti starai chiedendo perché ti ho portata qui, immagino.

L'uomo toccò un altro comando. Il pavimento si aprì in due e da esso si rialzò un grande pannello luminoso. I due bracci metallici sollevarono quello che doveva rimanere di una tuta sfilacciata e bruciacchiata che la ragazza riconobbe all'istante dai buchi che sostituivano le parti del sedere e delle cosce.

Sentì l'imbarazzo pervaderla, pensando che, benché fosse riuscita a nasconderlo agli altri, adesso erano in due a sapere che la battaglia col gigante l'aveva letteralmente messa a nudo.

-È la mia tuta? Come fa ad avercela lei? Pensavo di averla buttata...

-L'ho recuperata prima che finisse nella pattumiera. Mi servivano le tue misure e dovevo capire se potevo migliorarla o dovevo farne una completamente nuova.

-E quindi?

-E quindi avevi ragione: è da buttare. - la prese, l'appallottolò e la lanciò nel cestino che si illuminò come un fuoco d'artificio per festeggiare il canestro. - JARVIS, fammi vedere il prototipo.

-Sì, signore.

-La voce ha un nome? - chiese Astrid scioccamente.

-Non è solo una voce, è un'intelligenza artificiale. Non insultarla, potrebbe offendersi.

Astrid non colse l'ironia.

-Okay, lascia stare, non importa.

Dalla parete avanzò un manichino. Astrid non si mosse da dov'era. Scettica, cercava un significato a tutto ciò che stava accadendo.

-Questa è...?

-Per te.

-Una tuta nuova?

Stark si sentì offeso. Cominciò a drammatizzare in modo quasi teatrale.

-Questa. Non è. Solo una tuta. Non è come quella robaccia dello SHIELD. Mi ferisci... - e si portò una mano al petto - Se pensi che io ti offra qualcosa di così mediocre. - Salì sul gradino, pizzicò la stoffa con due dita. Scandì bene le parole. - Questa è: microfibra in Vibranio del Wakanda.

-Vibranio?

-Sai già cos'è, presuppongo.

-Certo, è una lega... Molto resistente...

-È la stessa lega che compone lo scudo del nostro Capitano. Assorbe ogni tipo di energia. Cinetica, elettrica... termica. Resistente a temperature fino a mille gradi centigradi e... Completamente antiproiettile. Praticamente indistruttibile. Così non ti ritroverai con le chiappe al vento, la prossima volta.

Astrid si avvicinò quatta quatta, come un gatto davanti a un gioco sconosciuto.

-Posso?

-È tua adesso.

Stark si fece da parte. Astrid carezzò il tessuto: era liscio. Lo tirò un po': ed elastico. Non sembrava affatto di vibranio. Sfiorò la superficie con un dito rovente e quella parve quasi non accorgersene.

-Ma io... Non posso accettarlo. - disse spaesata.

Stark drizzò le orecchie ed era lui a non capire ora.

-Perché lo ha fatto? Perchè sta facendo questo?

-Perchè mi andava di farlo. - rispose lui sollevando le spalle: era talmente ovvio.

-Ma io non ho fatto niente. Per lei o... Comunque per meritarlo.

Stark strizzò gli occhi, le sopracciglia, le labbra. Proprio non riusciva a sopportare quella vocina fastidiosa, troppo umile da suonare finta. Stridula come un unghia sull'arenaria di una lavagna o sulla gomma sottile di un palloncino gonfio.

-Tu... Davvero lo stai dicendo? Davvero non ti rendi conto dell'opportunità che hai di fronte? Fossi in te sarei già sparito.

Ma Astrid non era per niente convinta. Lo guardava con due occhioni increduli che neanche lei riusciva a controllare, nella sua volontaria apatia apparente.

Così il Genio scese dal pavimento rialzato. Le posò una mano sulla spalla.

-Senti, so che... Detto da me può risultare strano, ma a volte... Faccio cose di cui mi pento. Quindi, se non vuoi che sia una di quelle volte e che ordini a JARVIS di farne una copertura per i cavi elettrici, adesso tu prendi questa tuta... E vai immediatamente a provarla. Mi sono spiegato?

Astrid annuì rincuorata.

-Brava ragazza. - e le fece un sorrisone. Sfilò gli indumenti dal manichino. Glieli porse.

Fece finta di non vederla mentre usciva, frenando l'impulso di sfrecciare via, contenendo un sorriso che brillava tutto dagli occhi. A momenti, se non avesse fatto attenzione, si sarebbe messa a saltellare. Stark scosse la testa: era proprio una bambina.

***
 

La rotella roteò e mise a fuoco l'obiettivo. L'occhio dello scienziato si spostava da un campione all'altro, attento e critico.

-Sai dirmi qualcosa sul gigante? – chiese il dottor Banner, mentre posizionava un altro vetrino sotto la lente del microscopio. - Hai mai visto qualcosa del genere? Ne hai sentito parlare?

Thor teneva gli occhi puntati sull'incubatrice. Si era accucciato per osservare, da un'altra angolazione, i cavi che penetravano la pelle del bestione e fuoriuscivano dal macchinario e lo teneva in bilico, appena sotto la soglia bollente della vita e appena sopra quella gelida della morte.

-No. È la prima volta di persona. Madre ci raccontava delle storie prima di dormire, quand'ero un fanciullo. Ci sono belve che vivono a molti mondi da qui. Belve oscure che nascono dalle fiamme eterne di un pianeta luminoso e molto caldo. Esso gira sul braccio orientato a sud dell'albero di Yggdrasil. Il suo nome è Muspellheim, il regno dei Demoni di Fuoco.

-Muspellheim?!

Erik Selvig si affacciò alla balaustra con la bocca spalancata. La sua voce accese una scintilla nel cuore di Thor che divampò quando il suo sguardo si posò su un viso che non vedeva da troppo tempo.

-Jane! – esclamò, la voce piena di gioia, il cuore palpitante.

La donna fece un sorriso e poi lo nascose, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Un paio di occhioni vivaci sbucarono in ritardo alle spalle dei due astrofisici.

-Salve a tutti! Ooh, caspita! E quello che cos'è?!

Il dottor Selvig scese i gradini a trotto, preso dall'emozione.

-Dottor Selvig! Che piacere!

-Il piacere è mio, dottor Banner! Soprattutto se posso servire a qualcosa! Lei è Jane Foster, una mia assistente molto dotata.

-Piacere! – Jane diede la mano al dottore, con un sorriso esagerato e la voce tremula.

-E io sono Darcy! – la ragazza allungò una mano e con energia strinse quella del dottore, nonostante non avesse alcuna idea di chi fosse. - Bene, di cosa si parlava?

-Demoni di Fuoco, credo. Sbaglio, Thor? Thor?

Thor non recepì prontamente il suono del suo nome. Guardò il dottor Banner con aria assorta. Poi Jane si schiarì la gola e lo riportò con la testa sulla Terra.

-Oh, sì, sì... Demoni di Fuoco... Emh...

-Sei certo, Thor, che sia un Demone di Fuoco? – chiese Selvig crucciato – Ricordo di aver riletto un libro di favole quando arrivasti sulla Terra per la prima volta. Allora ero ancora molto scettico, ma - ridacchiò - dopo quello che ho visto... Dopo che Loki mi ha spappolato il cervello, ecco, potrei credere a qualsiasi cosa!

Guardò esitante la boccetta dei farmaci che aveva in mano. Poi fece un giro su sé stesso per trovare con gli occhi un cestino e la lanciò.

-Ricordo un essere con un paio di corna sul capo, ma quello... - Gettò un'occhiata rapida verso l'incubatrice. Lottava contro la spasmodica curiosità che lo spingeva ad avvicinarsi e appiccicare il naso sul vetro per vedere meglio la bestia che giaceva al suo interno, ma cercò di controllarsi. - Quello non le ha. Ovviamente le illustrazioni sono solo disegni... Non so quanto siano attendibili, ma... Insomma, il figlio di Odino aveva il mantello rosso e il martello Mijolnir e così si è presentato! È possibile che sia un altro tipo di creatura? Magari è solo una perplessità inutile...

-I Nove Regni sono abitati da numerose e oscure creature. Come ho detto, non ho mai avuto a che fare con i Muspel direttamente. Ci fu una guerra tra il mio popolo e il loro in tempi remoti, ma è terminata ormai, mio padre lo imprigionò in tempi orsono. Surtur è il sovrano eterno di Muspellheim. Rammento che Madre lo descrisse come un demone dalle lunghe corna sul capo e la pelle incandescente come il fuoco da cui prende potere e da cui genera la sua prole... Può essere che abbia visto lui e quello che giace oltre la parete di vetro è solo uno dei suoi Soldati di Lava.

-Sì, è così! - esclamò Selvig come illuminato, ma subito dopo si rese conto che la cosa non era poi così esaltante.

-Ce ne sono altri, quindi? Non so, un esercito? - chiese Banner serio.

-Non è da escludere. Tuttavia non credo che Surtur abbia permesso a Loki di prenderne possesso. Significherebbe spezzare una pace durata millenni, dal momento in cui Midgar, la vostra Terra, è sotto la mia protezione.

-Come facciamo ad essere sicuri che Loki non abbia intenzione di sventare un altro attacco alla Terra? Insomma, ha già fatto una mossa e non è stato per niente delicato.

-Magari sta solo cercando di spaventarci. Adora vedere la gente soffrire, no? Si sta divertendo. – suppose Darcy che si stava facendo spazio tra le scartoffie, col sedere sulla scrivania, mentre Jane aveva una sedia tutta per sé.

-O magari sta cercando qualcosa e non sa dove trovarlo. Così ci raggira, ci distrae. E mentre noi combattiamo i suoi mostriciattoli e facciamo in modo che non si faccia male nessuno, lui può ficcare le sue manine da ragazzina capricciosa dove gli interessa. Indisturbato.

Tutti si voltarono verso la porta. Stark rovesciò il palmo in bocca. Porse il sacchetto di mirtilli a Darcy la quale accettò l'offerta tutta contenta. Dopodiché si rivolse a lei, scollando a fatica gli occhi dalla scollatura prosperosa.

-Dottoressa Foster, trovo la sua presenza... abbondantemente generosa. La ringrazio a nome di tutti per aver accettato di unirsi alle nostre ricerche. Immagino che non sia stato facile abbandonare...

Jane lo interruppe schiarendosi la gola. La sua mano apparve sventolante tra il capellone biondo e il capo spelacchiato del dottor Selvig.

-Sì, no... Sono io, in realtà. Lei è la mia stagista.

Tony squadrò l'esilità della ragazza con deluso stupore e pensò che avrebbe dovuto portare con sé più stagiste. Si limitò a fingere un sorriso disinvolto.

-Che intende per "sta cercando qualcosa e non sa dove trovarlo"? – chiese Banner che in realtà era già arrivato alla risposta da solo.

-Loki non ha perso solo la dignità nella battaglia di New York.

-Quindi stai parlando dello scettro?

-Sapete dove si trova adesso?

-Dovrebbe essere in mano allo SHIELD.

-Dovrebbe? Gliel'ha detto Fury? Le ha dato la sua parola?

-No, stavo supponendo...

-Perché se non è così, dobbiamo scoprire dove si trova e prenderlo prima che possa metterci su le sue grinfie.

-Bene e noi cosa possiamo fare? – chiese il dottor Selvig che non trovava un posto per sé in tutto ciò.

-Bè, innanzitutto sarebbe interessante scoprire da dove e come ha fatto il nostro amico a teletrasportarsi da... - Banner si voltò verso Thor, la fronte contratta dallo sforzo mnemonico – "Muspel" hai detto?

-Muspellheim. – lo corresse Thor.

-Muspellheim. – ripetè il dottore per impiantarsi il nome nel cervello. – Alla Terra.

-Molto bene. – fece Selvig, sfregandosi le mani - Ci serve tutto ciò che è successo prima, durante e dopo l'apparizione del mostro. Ogni fatto atmosferico, geotermico... Tutto può essere ricollegato a qualche salto spazio-temporale o qualsiasi cosa l'abbia portato qui. Jane mi aiuterà: è un genio nel rintracciare anomalie astronomiche. Vero, Jane?

La ragazza arrossì, mentre incrociava gli occhi del Dio, luminosi come il sole.

-Bene, io vado a recuperare gli altri componenti della squadra. Banner, non faccia finta di niente: ci serve anche lei. Thor? - Stark guardò la coppietta che sembrava non percepire il resto del mondo attorno. - Mi dispiace disturbare il vostro incontro romantico, ma tu e la scienziata smilza avrete tutto il tempo stasera per osservarvi nelle palle degli occhi e sospirare.

Il ragazzo si destò dall'incanto. Lasciò la mano della ragazza. Le baciò teneramente la fronte.

-Il dovere chiama. Tornerò, più tardi. Promesso. – disse a voce bassa.

Jane rabbrividì come un pettirosso nella neve. Seguì la sua sagoma con la coda dell'occhio, mentre il principe di Asgard prendeva in mano le sue responsabilità e svaniva di nuovo dalla sua vista.

 
***
 

Corse nel corridoio, raggiunse gli spogliatoi, rovesciò tutto su una panchina. Infilò una gamba, l'altra, un braccio, l'altro. Chiuse la cerniera, dal ventre al seno, godendosi la morbidezza della chiusura che spariva nel tessuto. Indossò le calzature flessibili, i guanti senza dita di cui scoprì un rinforzo strategico a livello delle nocche. Roteò le braccia, torse il busto, fece qualche saltello per provare che non le dessero fastidio le cuciture. La vecchia tuta aveva un cartellino pruriginoso sulle spalle e la zip faceva giusto una gobbetta dietro la schiena. Quella nuova aderiva al suo corpo come una seconda pelle. Si rassegnò al fatto di non poter contemplare la sua immagine per intero, nemmeno in punta di piedi, perché lo specchio del bagno la rifletteva fino alle anche. Dopodichè erano solo piastrelle.
Era il momento della verità. Doveva provare che funzionasse davvero, ma non poteva farlo in palestra.

Uscì in punta di piedi. Sentì la voce della Romanoff che rimbombava aldilà della parete. Si appiattì contro il muro e sgattaiolò via. Uscì dalla porta di emergenza e si ritrovò nel cortile del retro. Lo spazio era aperto e non c'era rischio che prendesse fuoco qualcosa. Doveva stare solo attenta a non calpestare l'erba, ma in ogni caso sarebbe ricresciuta.

Così si concentrò. La sua pelle diventò presto incandescente. Sentì le scintille pizzicare e sfavillare. Ci siamo, pensò. Adesso poteva spingersi oltre. Caricò più energia. La sentì premere nel petto, nei muscoli, nelle tempie.
Le fiamme esplosero nei palmi, le avvolsero le braccia. Doveva fare attenzione a non incendiarsi interamente. Doveva concentrare il fuoco sulle braccia soltanto...

No: ci ripensò. Era lì per mettere alla prova l'ingegno del Genio Miliardario, quindi non poteva accontentarsi di così poco. L'aveva fatto una volta sola e non era sicura del risultato, ma era il momento di riprovarci. Si lasciò andare: le fiamme percorsero il busto, le gambe, arrivarono ai piedi. Le sentiva scoppiettare nelle orecchie. L'elastico si ruppe con uno schiocco e i capelli cominciarono a fluttuare più leggeri. Guardò le mani infuocate: sì, poteva farcela. Non doveva più preoccuparsi di nulla. La tuta non si era sciolta, non bruciava, resisteva al calore senza problemi come se traspirasse essa stessa energia termica.

Tuttavia non le bastava. Diede un pugno all'aria. Ripeté le mosse che aveva imparato. Sentiva il corpo scorrere nell'atmosfera con la percezione che si muovesse con più forza, con più velocità.
L'euforia la portò a fantasticare. Puntò un cestino davanti alla porta d'entrata e un pensiero si concretizzò quasi di propria iniziativa, senza che lei ci credesse davvero.

Una fiamma s'accese tra i rifiuti.

Avrebbe voluto assicurarsi pienamente che fosse stata lei, ma si rese conto che non sapeva come rimediare a quello che era propenso a diventare un incendio.
Mentre immaginò di voler far apparire anche un estintore, ecco che una nuvola bianca venne sparata dove c'era bisogno.
Astrid si spense come una candela, paralizzata dalla vista del Capitano che la guardava serio come un cane da guardia.
L'uomo posò la bombola rossa per terra. Astrid si aspettava un'ennesima sgridata. Sentiva già il peso della lamentela, l'irritazione da contenere...

-Bella tuta. - disse lui, anche se dal volto e dal tono, non traspariva alcun entusiasmo. - Stark?

Astrid lo guardò stranita. Annuì.

-L'altra si è bruciata. - fece un respiro. Si ricompose. – Non dovrei essere qui...

-Non importa. – la bloccò lui – Vieni, abbiamo una missione.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Sokovia ***


Neve e Cenere | Marvel

Parte seconda


11 . Sokovia



Qualche settimana dopo...

L'aircraft planò su una cittadina grigia. Un borgo si arrampicava sulla vetta di una collina, sovrastando le abitazioni sulle pendici e nella valle. Tutt'attorno un fitto bosco innevato e una miriade di omini scuri.

-Li vedete? Sono ovunque. Per non parlare di quelli che non vediamo, nascosti tra gli alberi... - fece Natasha sporgendo il collo.

-Piccoli bastardi. Come faremo a superarli? - domandò Clint.

-In qualche modo faremo. - rispose il Capitano risolutivo.

Il dottor Banner fece un respiro rumoroso. Astrid deglutì un grumo d'ansia che andò ad aggiungersi al resto che le annodava lo stomaco. Osservò il volto del Capitano, concentrato in un pensiero importante. Ripercorse con la mente il momento in cui aveva spiegato il piano nella sala principale dell'Halicarrier, la piattaforma volante che li aveva trasportati aldilà dell'oceano.

-Il piano è semplice. - aveva detto. - Ci addentreremo nel bosco per evitare di essere visti. Io, Tony e Thor ci occuperemo delle guardie attorno all'edificio. Natasha, Astrid: vi farete strada ed entrerete nella fortezza. Entrate, recuperate lo scettro e tornate indietro. Fate attenzione: possono esserci guardie armate nascoste in tutto l'edificio. Barton, copri loro le spalle. Banner...?

-Starò allerta.

-Tutto chiaro quindi? Astrid?

Aveva annuito poco convinta.

-Il Comandante Fury ti considera pronta. - le aveva detto alla prima vera missione, un attimo prima di salire sul velivolo. - Fosse stato per me non ti avrei fatto mettere piede fuori dall'Helicarrier. Puoi tirarti indietro se non te la senti.

Astrid non aveva esitato.

-Me la sento.

L'aveva afferrata da un braccio, prima che potesse voltargli le spalle.

-Hey, guardami bene negli occhi: niente più stupidaggini. Ne abbiamo già parlato. Fai quello che ti dico. Non posso proteggerti se non mi dai ascolto. È pericoloso.

Quella frase le rimbombava nel cervello come un campanello, ogni volta che il Capitano le lanciava quello sguardo, come un genitore premuroso ad una figlia scervellata. Era passato del tempo, ma lui ancora non riusciva a rassegnarsi all'idea che fosse una creatura fuori dal comune.

Durante le lezioni di combattimento un po' se n'era reso conto, quelle volte che faceva cambio con la Romanoff e spesso doveva incassare i colpi fingendo di non evitarli di proposito, quando era consapevole di non essere stato abbastanza agile.
O quando la controllava di nascosto, fingendo di massacrare il sacco da boxe. Era difficile stendere la Vedova. Era difficile sia colpirla che schivarla. Inutile dire che Astrid non c'era mai riuscita, ma gli elogi della Russa non si fecero aspettare ogni qual volta che l'allieva imparava efficacemente una nuova stretta o batteva gli agenti volontari per l'allenamento.
Ogni tanto, per scherzo, si faceva diventare la pelle incandescente e la lotta diventava impari: a quel punto era lei a non poter essere toccata.

Ciò che più lo preoccupava, però, era la recidività con cui si intestardiva a rialzarsi, anche dopo una serie di legnate dritte in pancia o in faccia. Si rialzava, barcollava e tornava a combattere come se non fosse successo nulla.
Forse temeva che proprio quella sua tenacia l'avrebbe distrutta, un giorno. Forse perché gli ricordava troppo sé stesso.

L'aircraft atterrò su una collinetta nuda, protetta dagli alti abeti. Il Capitano fece segno di seguirlo. Presto dovettero nascondersi perché due fuoristrada stavano arrivando proprio verso di loro.

-Perfetto. Staranno pattugliando la zona. Come previsto. Tutti pronti.

Una jeep passò tra di loro. Al momento opportuno, il Capitano si lanciò sui militari che volarono giù dal veicolo e vennero di seguito silenziati dalla Vedova. Quest'ultima, con uno scatto agile, salì sul sedile anteriore e prese il controllo del volante.

Astrid rimase fuori dal marasma senza capire bene cosa fare. Si guardava attorno mentre l'altra jeep si cappottava dal burrone in fiamme.

-Sali! - urlò Natasha, sgommando.

Allora fece un salto poco coordinato, ma riuscì ad aggrapparsi e a tuffarsi dentro. La jeep cominciò a correre, schivando gli alberi, sobbalzando alle dune. Lo sguardo sulla fortezza cominciò ad aprirsi.

Qualcosa esplose contro la carrozzeria. Astrid non riuscì a tenersi e scivolò ai piedi di Clint che aveva già iniziato a scoccare frecce a destra e a manca.

-Arrivano!

Due flash sfiorarono il veicolo.

-Cos'è stato?!

Un fuoristrada saltò da dietro una duna e cominciò ad inseguirli. Natasha accelerò. Altri flash, altre esplosioni. Iron Man sfrecciò accanto a loro inseguito da un paio di uomini corazzati.

-Ma quelli volano?!

-L'HYDRA deve aver recuperato delle attrezzature dei Chitauri! Sperimentato e fornito di nuove armi i propri soldati! - gridò Clint tra le esplosioni e i rombi dei motori.

Proprio in quel momento uno di loro pensò bene di presentarsi. L'uomo fece per puntare, ma Astrid lo afferrò dal bracciale, lo stritolò nella morsa rovente e lo fece esplodere. Una freccia gli trapassò il collo. Un altro schizzò via grazie a un razzo di Iron Man. In men che non si dica si ritrovarono in mezzo al caos. Più si avvicinavano alla fortezza, più la situazione sembrava peggiorare.

-Sbucano ovunque! Forse avremmo bisogno di una mano! - esclamò Natasha, sterzando di colpo per schivare un corpo stramazzato nella neve.

Astrid si tenne per caso, quasi cadde fuori dal veicolo. Guardò male Clint che non sembrò nemmeno accorgersene.

-Hai delle ventose sotto i piedi? Fammi capire.

Il Falco rise.

-A quanto sei arrivata?

-Uno. Ho appena iniziato. Tu?

Rise di nuovo.

-Dodici.

-Cosa?! No, stai barando!

-Tredici. - disse, mentre incoccava un'altra freccia, sicuro che avrebbe centrato l'obbiettivo anche questa volta.

Un'altra jeep si affiancò a loro e cominciò a sparare. Astrid prese l'occasione. Salì sul bordo della portiera, prese le misure a occhio e saltò. Atterrò sul soldato che direzionava il mitra. Gli tirò una gomitata tanto forte, dritta sul muso, che quello fece un balzo all'indietro e sparì in un cespuglio.

Poi spinse giù l'uomo seduto accanto al conducente, con un calcio, dopo che egli aveva scoperto che i proiettili le rimbalzavano addosso come palline di carta. Dopodiché diede fuoco al volante e saltò giù rotolando nella neve.

-Non è giusto, tu hai le frecce. - brontolò, ammirando la jeep prendere fuoco ed esplodere.

-Vuoi un martello? - fece Thor atterrando accanto a lei, un sorriso beffardo.

-Non ti ci mettere anche tu!

Un gruppo di uomini a piedi si scaraventarono su di loro.

-Ragazzi, forse ci serve davvero una mano! - sbottò Astrid mentre si sfilava dalla presa di un militare ingenuo, che crollò a terra abbrustolito.

-È un Codice Verde? - la voce rassegnata di Banner le spezzò il cuore.

-Capitano? - proruppe la voce di Tony nell'auricolare - Qualcuno sta aspettando il tuo segnale per scatenare l'infe...

L'eco di un ruggito si fece sentire prima.

-Oh, era impaziente!

Il colosso spuntò fuori poco dopo, più verde che mai, ringhioso, le vene del collo che pulsavano di rabbia. Cominciò a distruggere ogni cosa gli si presentasse davanti, quasi senza pensare, mentre gli uomini prendevano il volo anche senza l'armatura dei Chitauri.

Thor roteò il martello. Puntava con gli occhi un obbiettivo lontano.

-Che dici, me lo dai un passaggio?

Manco l'avesse detto, Astrid si trovò da tutt'altra parte. Ammortizzò la caduta con una capriola. Il rombo inconfondibile di una Harley-Davidson le passò accanto velocissima.

-Cazzo! - esclamò Tony. Doveva essersi scontrato contro qualcosa.

-Linguaggio! - lo ammonì il Capitano - JARVIS com'è la vista da lassù?

-L'edificio centrale è protetto da uno scudo di energia. La tecnologia aliena di Strucker è superiore a tutte le basi HYDRA che abbiamo sequestrato...

-Trentasei!

-Clint, ti detesto! - esclamò Astrid schiaffeggiando la faccia di un soldato col suo stesso mitra.

Un carrarmato si fece spazio tra gli alberi. Astrid girò attorno al gigante di metallo. Si arrampicò mentre i soldati le sparavano addosso. I proiettili rimbalzavano un po' ovunque. Nascose il capo dietro una sporgenza. Espose una mano, diede libertà alle fiamme e si fece forza in un ruggito di protesta. Appena fu in cima, si diresse verso la torretta del cannone, fuse e sollevò l'oblò che un soldato aveva chiuso infilandocisi dentro prima che lei lo raggiungesse. Quello cominciò a sparare all'aria.

-Dev'esserci lo scettro di Loki, qui. - suppose la voce di Thor, nell'auricolare, ma lei era troppo impegnata per ascoltare. - Senza, Strucker non si sarebbe difeso così. Finalmente.

Astrid sfilò una bomba dalla cintura. Premette il bottoncino all'apice, la lasciò cadere dentro. Richiuse la botola. Corse lungo cannone. Saltò.
Il carrarmato esplose fragorosamente alle sue spalle, mentre l'onda d'urto la proiettò in avanti. Atterrò male, contro un paio di uomini che pensavano di difendersi dietro una barriera di terra, ma non potevano immaginare che una palla di fuoco li avrebbe colpiti in pieno.

-Ha un finale troppo lungo questo "finalmente"! - esclamò Natasha affiancatasi a lei, mentre sparava all'uomo che stava per colpirle.

-Abbiamo perso il fattore sorpresa! - aggiunse Clint dopo che una sua freccia fece esplodere un rifugio un paio di decine di metri di fronte a loro.

-Che te ne pare di questo? Otto in un colpo solo, baby. - si vantò Astrid mentre riprendeva fiato.

-Sei comunque indietro. Anche se ti improvvisi kamikaze altre quattro volte.

-Un momento, nessuno commenta il Capitano che ha appena detto... "Linguaggio" ?

-Lo so... Mi è scappato.

-Astrid! - Natasha la prese per il braccio, prima che potesse accorgersi che fossero estremamente vicine all'entrata. - È il momento, andiamo!
 

***
 

Una freccia colpì il petto dell'ultima guardia davanti all'entrata del tunnel. Si accasciò sulle rotaie come un sacco di patate. Natasha si avvicinò quatta quatta. Si appiattì al muro con la pistola carica in mano. Si espose puntandola al buio. La torcia sul dorso illuminò i binari e il vuoto. Un leggero spiffero alitava dall'interno.

-Via libera.

Astrid uscì dal nascondiglio, ma come mise i piedi sui binari qualcosa di più consistente di uno spiffero la spinse via.

-Che caspita è stato?! - sbottò disorientata. Era finita col sedere nella neve.

-Non importa. Dobbiamo entrare. - fece Natasha per niente rassicurata. Guardava tra gli alberi, cercando qualcosa o qualcuno. Non vedeva il terzo.

-Clint?

Si era nascosto dietro un albero. Aveva scoccato una freccia che non era arrivata da nessuna parte. E quando provò a lanciarne un'altra, qualcosa colpì anche lui, facendolo ruzzolare a terra.

-Ma che sta facendo?

Una sagoma si materializzò davanti alla sua. Non aveva l'imbracatura dei soldati, non sembrava nemmeno armato. E subito dopo, scomparve di nuovo. Le piante attorno fluttuarono come soffiate da un vento di contraccolpo.

Clint si alzò da terra, sfilò una freccia dalla faretra, fece per puntarla, ma il movimento attivò i sensori di una mitragliatrice nascosta, la quale lo colpì in pieno con un flash.

-Clint! - Natasha scattò verso di lui.

-Superpoteri in giro. - osservò il Capitano, come se avesse assistito alla scena anche lui.

-Clint è a terra!

Astrid chiamò Natasha per nome. Si mise a correre nella sua direzione, ma la terra davanti a lei esplose e dovette fermarsi, retrocedere e nascondersi.

-Stai lì! - le ordinò lei. Sfilò una siringa dalla cintura e si accucciò sul compagno ferito. - Chi si occupa di quel bunker?

Hulk apparve con un balzo. Prese la rincorsa e fece strike sul rifugio in mezzo ai soldati armati che sparavano, ma i loro colpi rimbalzavano come palline da ping-pong sulla dura pelle verde del bestione rabbioso.

-Grazie.

-Nat! Cosa devo fare? - domandò Astrid, rannicchiata alle radici di un albero, mentre attorno a lei tutto pareva pronto a saltare in aria.

-Concludi il compito. Infiltrati, trova lo scettro ed esci. Come ha detto il Capitano.

-Da sola?!

-Saranno rimaste poche guardie all'interno. Sono tutte fuori per respingerci!

Astrid si alzò in piedi. Sbucò con la testa dal tronco e schivò un flash per un pelo. Strinse i pugni. Prese coraggio. Scattò fuori dal nascondiglio e cominciò a correre, mentre la terra ai suoi piedi bruciava e s'alzava, negandole una visione completa. Raggiunse il tunnel col cuore in gola. Accese la fiamma in una mano e si fece luce con quella. Dovette spegnerla appena un paio di guardie avanzarono nella sua direzione. Si mimetizzò nel buio e le fece passare.

-Natasha, siete entrati? - la voce del Capitano ruppe il silenzio.

-Clint è ferito. È grave, devo riportarlo al jet.

-Sullivan?

-Sto risalendo il tunnel. - sussurrò, dopo essersi assicurata che fosse di nuovo sola. Davanti a lei si apriva un bivio. Le parve più saggio intraprendere la via da cui erano provenute le guardie.

-Non puoi farcela da sola. Stark, vai ad aiutarla.

Che ansia, Capitano. Continuò il percorso, accompagnata dalla voce di Stark che parlava un po' da solo e un po' con JARVIS. La cosa da una parte la rassicurava e dall'altra la metteva in agitazione perchè non sentiva i nemici arrivare. Un cancello chiuso le barrava la strada. L'afferrò dalle estremità, cominciò a piegarlo.

-Stark, lo sai che sentiamo tutto quello che dici, vero?

-Sì, sono fatti per questo quei gingilli che portate all'orecchio.

-Ecco, non per dire, ma... - Si sforzò. Modellò il metallo caldo e morbido, di modo che il suo corpo potesse passare attraverso. - Mi sa che il tuo si è rotto. Dovresti fare qualcosa.

-Non vuoi sentire la mia adorabile voce?

-No, ecco, diciamo che mi distrae.

Dovette nascondersi perché un gruppo di guardie passarono correndo proprio davanti al suo naso.

-Ti ricordo, ragazzina, che sei nella squadra per merito mio.

-Sono nella squadra per merito di Fury! - rettificò lei. Proseguì senza essere vista.

-Quell'aderente tutina fiammeggiante con cui ti pavoneggi, non credo te l'abbia fatta Fury con le sue manine.

-Io non mi pavoneggio. - bontolò con fare un po' infantile.

-Non ho ancora sentito un "grazie" degno della mia opera.

-Te l'ho detto "grazie"! - esclamò, forse con troppa enfasi perché sentì le voci di due guardie e il passo veloce venire dritti verso di lei. - Oh, merda.

Corse dalla parte opposta, verso una serie di gradini. Sentiva i colpi rimbalzare sulle pareti, tra i piedi. Un paio la colpirono alla schiena, uno alla gamba. Inciampò, sfilò un coltello e lo lanciò dritto nell'occhio di quello più vicino che cadendo si scontrò contro quello dietro rallentando l'intero gruppo. Si risollevò, corse di nuovo, diede una spallata alla porta di metallo alla fine del corridoio e si ritrovò all'esterno. Le guardie continuarono a rincorrerla. Chiuse la porta e arroventò la maniglia fondendola con tutto l'ingranaggio. Una sagoma rossa le sfrecciò davanti come un razzo. Sobbalzò per lo spavento.

-Hey!

Quando un soldato in mezzo al cortile le sparò addosso, lei gli andò incontro avvolta tra le fiamme. Afferrò l'arma con una mano, la piegò su sé stessa, come se fosse stata fatta di pongo. Quello la lasciò a terra terrorizzato e se la diede a gambe.

-Scusa, non ti ho visto! - fece Stark, volteggiando sulla sua testa.

-Meno male che dovevi aiutarmi, sto facendo tutto io qui! Tu giù! - esclamò lei mentre tirava un calcio in faccia ad un soldato recidivo che non voleva saperne di stare a terra come tutti i suoi colleghi. Il tono tra il rimprovero e lo scherzoso: era evidente che tutti quei corpi non fossero stati stesi grazie a lei.

-Ho capito, stasera ti offro un drink per farmi perdonare.

-Anche due.

-Raggiungiamo l'edificio centrale. Sono sicuro che sia riservato a qualcosa di interessante.

-Bene. E come lo raggiungiamo? - Era piuttosto in alto.

-Io in volo! Tu potresti chiedere il passaggio a uno di loro. - e fece segno alle jeep che si facevano largo in fondo alla discesa.

-E non potresti darmelo tu?

-Si può fare, ma il taxi ha un prezzo.

Astris scosse la testa.

-Alcolista.

-Ma io non intendevo in alcol...

Astrid fece una faccia strana, cercando di ignorare la proposta a cui poteva alludere. Si morse le labbra per non mostrare a Stark il sorrisetto che gli usciva per ogni stupidaggine che diceva.

-Un drink andrà bene.

-Stark, potresti parlare di queste cose senza auricolare? - fece la voce del Capitano, imbarazzato.

Astrid scosse le spalle.

-L'ho detto, io.

***


 

Un razzo colpì l'edificio, scoprendo la coltre luminosa che l'avvolgeva e che cominciò a sgretolarsi, a ritirarsi.

-Ponte levatoio abbassato! Testa calda, sto venendo a prenderti.

-Aspetta ancora un po'!

Un pugno, un calcio, un altro pugno, una gomitata, una sprangata con un tubo di metallo. Astrid cercava di difendersi da tutti, ma erano in elevata maggioranza. Le fiamme le avevano risucchiato tanta energia, troppa, e ora ne stava pagando il prezzo.

Qualcuno la prese da dietro e prima che potesse rispondere, incassò un pugno sullo zigomo. Una ginocchiata in pancia la piegò in ginocchio. Un calcio sul mento la distese a terra. Si rialzò, tenendosi alla ringhiera che aveva alle spalle. Si massaggiò la guancia contusa. Schivò un pugno che avrebbe dovuto fare davvero male. Peccato che lei fosse più pericolosa. Afferrò il capo dell'uomo tra le mani e assimilò un po' della sua energia. Lasciò che il corpo si accasciasse ai suoi piedi e lo scavalcò. Un soldato strappò l'arma del compagno dalle mani e provò a spararle, ma lei fu più veloce e la fece decollare come un aeroplanino di carta. Gli timbrò la guancia con le nocche roventi. Poi un altra volta e un'altra, finché l'uomo non fu più in grado di pensare. Il terzo scappò via inciampando nei suoi stessi passi. L'ultimo approfittò del suo indugio. Si inginocchiò, unì le mani in preghiera. Disse qualcosa come per supplicare la sua clemenza. Astrid gli poggiò una mano sul viso.

-Mi dispiace. – fece lei in una carezza. Sorrideva, caritatevole. L'uomo, il volto sporco di terra e di sudore, condivise il sorriso ricolmo di speranza. - Non conosco il serbo. – aggiunse lei. E gli scassò il cranio contro il muricciolo, in un unico, violento gesto.

Iron Man la raggiunse qualche istante dopo. La colse piegata mentre riprendeva fiato, regnante sul massacro.

-Pensavo che avessi bisogno d'aiuto!

Astrid sbuffò. Tagliò corto contrariata.

-Andiamo.

Iron Man la prese in spalla.

-Tieniti. – le consigliò lui, mentre planavano sulla fortezza imbiancata, prima di cadere in picchiata contro una vetrata.

Astrid, che non aveva propulsori sotto le mani e i piedi per frenare, venne catapultata in avanti con tutti i pezzi di vetro. L'atterraggio fu ammortizzato da un corpo caldo, più morbido del pavimento e più lamentoso.

Gli uomini presenti nella stanza cominciarono a sparare all'impazzata contro l'uomo di latta, il quale non parve minimamente turbato quando i proiettili raggiunsero l'armatura e rimbalzarono, sussultando e fischiando.

-Ragazzi, non preferite discuterne?

Non preferirono. Così Iron Man sollevò un braccio e in un attimo si accasciarono a terra, quasi coreograficamente, precisamente colpiti da una schiera di mini-razzi.

-Bella discussione.

Una scossa d'aria dal palmo metallico, scostò in modo poco delicato un uomo in camice, l'unico rimasto in piedi, tutto preso nel battere qualcosa di seria importanza ad una tastiera.

L'airbag di Astrid mugolò qualcosa e lei lo zittì con una gomitata. Si alzò, scrocchiò il collo e qualche osso che si stava riassemblando lentamente.

Tony uscì dall'armatura. Alzò un dito davanti alla maschera, scrutando attentamente la stanza.

-Modalità sentinella. – e l'armatura iniziò a guardarsi attorno allerta.

Astrid si avvicinò ai computer incuriosita da schemi, disegni, numeri, scritte che si illuminavano sui monitor.

-Che sono?

-Non lo so, ma credo lo scopriremo presto.

Stark sfilò una sorta di smartphone, tutto schermo, trasparente, dalla tasca dei pantaloni. Pigiò qualche tasto.

-Va bene, JARVIS. Tu sai. Voglio tutto. Metti in copia "Hill" al Quartier Generale.

Astrid non ebbe la presunzione di poter capire. Si aggirò nella stanza. Sollevò cavi, fogli sparsi. Rovistò nei cassetti, nelle scatole. Non trovò nulla. Nessuna traccia di uno scintillante scettro magico, nessuna pista da seguire, nessuna mappa per un'improbabile caccia al tesoro.

-Non c'è niente qui. È stato di nuovo tutto inutile.

Si abbandonò alla parete, sconsolata. Accarezzò la pietra smussata dal tempo, immaginando disegni tra i graffi e i buchi che la sfregiavano, in attesa di un segno, di un'illuminazione del Genio.

Le voci del Capitano e di Natasha facevano da sottofondo all'irritante ticchettio delle dita di Tony sulla tastiera. Parlava di nuovo da solo e lei di nuovo lo ignorò.

La sua mano scorse sulla parete, inseguì le fessure tra le pietre, fino a trovare una soglia stranamente meno densa e meno fredda.

-Stark?

-JARVIS, scansione infrarossi ambiente. Veloce.

Una luce rossa attraversò l'aria.

-Stark?

-Che cos-che c'è?! – fece Stark irritato.

-La parete sulla sinistra. Rilevo rinforzi in acciaio. E corrente d'aria.

JARVIS indicò il punto dove la ragazza tendeva la mano. Tony la guardò male. Si avvicinò. Astrid gli fece spazio.

-Ti prego... Porta segreta, porta segreta, porta segreta, porta segreta... - diede una leggera spinta e la parete si aprì, strusciando dietro quella immobile. Esultò. Si infilò dentro. Astrid lo seguì senza fiatare.

Il passaggio segreto era un tunnel in discesa, illuminato da lampade al neon appese alle pareti, che illuminavano quel poco che bastava per orientare i piedi sui gradini.

-Ragazzi, ho trovato Strucker. – informò il Capitano.

-Io ho trovato... qualcosa di più grosso.

Astrid scese l'ultimo scalino e si ritrovò a bocca aperta: una vasta sala, annegata tra vari marchingegni, era sovrastata dall'immensa e mostruosa carcassa di un leviatano che fluttuava aggrovigliato tra una miriade di cavi.

-Ti ricordi la balena volante di cui ti ho parlato?

Astrid annuì, senza riuscire a pronunciare che monosillabi insensati. Non smise di osservare l'incredibile costituzione biomeccanica che galleggiava come senza peso, sfidando la probabile instabilità dei cavi che la sostenevano. Una densissima corazza lucida si fondeva alle ossa, ricoprendole come uno scudo naturale. Era una creatura spettrale: il muso prorompeva in avanti, gli occhi forse inesistenti, forse nascosti tra le placche di metallo. La bocca semichiusa esponeva file di terrificanti denti aguzzi incastrati gli uni tra gli altri in un ghigno feroce.

Astrid fece un passo indietro di troppo e batté contro una scrivania. Gli oggetti abbandonati su di essa si sparpagliarono sul pavimento. Si accucciò per ovviare al disastro e quando alzò il capo, qualcos'altro catturò la sua attenzione.
Avanzò con cautela verso il luccichio misterioso che vibrava in disparte e circondava quello che sembrava un lungo bastone dorato. All'estremità, una meravigliosa pietra azzurra che splendeva di luce propria. Avvicinò una mano per concretizzare quella splendida bellezza trasudante di potere...

-Stark! - irruppe la sua stessa voce. Rimbombò distante, come esterna al suo corpo. Ritirò la mano da un gesto bizzarramente involontario.

-Stark, ho trovato lo scettro!

Lo chiamò di nuovo prima che le sue dita sfiorassero la superficie di ciò che s'accostava più all'idea di un gioiello che di un'arma. La sua mente cominciò a vagare, rapita dalle pulsazioni e contorsioni dei filamenti luminosi della gemma, annebbiata dalla seduzione di un desiderio proibito.

-Stark...

-Non può sentirti. – rispose una voce che non conosceva.

Il suo cuore accavallò un paio di battiti. Due iridi verdi e un ghigno maligno apparvero dove un attimo prima s'addensavano le immagini di un sogno indotto.

Arretrò per lo spavento, ma la sua schiena incontrò la medesima immagine che le stava davanti.
Una raccapricciante sensazione di dejà-vu la percosse in un brivido: quel volto l'aveva già visto. L'aveva visto comparire e scomparire come una visione, dal nulla, nel nulla. Quasi per magia.

La sua voce si affievolì, tremò quasi, quando si rese conto di chi avesse di fronte. E quel sorriso che si fece più ampio al suono del suo nome, confermò che avesse ragione.

-Loki... Il Dio degli Inganni.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Veleno / Sulla via di ritorno ***


Neve e Cenere | Marvel

12 . Veleno / Sulla via di ritorno


-È magnifico, non trovi?

La vibrazione della voce scosse le particelle rarefatte dell'ossigeno e si aggiunse corrosiva all'odore di ferro, di muffa e di chiuso impregnato nei muri umidi di pietra.

Il Dio raggirò il tesoro, consapevole che fosse di sua appartenenza, per nulla minacciato dalla presenza di un avversario pretendente a brandirlo. Il passo lento, intimidatorio, le mani incavate l'una sull'altra dietro la schiena: gli occhi e la lingua erano la prima arma con cui si esponeva il Dio dagli Inganni.

-Allontanati. - lo esortò Astrid. La sua pelle iniziò a scintillare, pronta alla difesa.

Loki sorrise.

-La ragazza dalla pelle di fuoco. Mi ricordo di te. Ricordo come hai osato fronteggiare il mio Gigante e l'hai sconfitto senza troppi sforzi. Che prodezza!

-Potrei farlo di nuovo.

Mano lesta, Astrid sfilò il pugnale dalla cintura e se lo portò davanti al viso facendolo volteggiatre tra le dita.

Loki non batté ciglio.

-Non ne dubito. - Poi ridacchiò. - Non sei molto affabile, vero?

-Non mi piacciono le chiacchiere inutili. - Precisò lei. - Mi hanno parlato di te. Adori i giochetti mentali.

Loki soppesò l'informazione. Fece un passo avanti.

-E cos'altro ti hanno detto di me?

Astrid indietreggiò, per mantenersi a distanza. Strinse il manico più saldamente, mentre la lama arrossiva.

-Che sei un pazzo. Che rincorri un'illusione di gloria che non puoi sperare di raggiungere.

Loki rise, ma non parve esattamente divertito.

-Mi allieterebbe l'idea di indovinare da quale bocca variopinta siano state emesse tali insulse parole. Mi suonano alquanto familiari.

Avanzò di un altro passo. Astrid lo imitò all'indietro, schivando una pila di scatole. Proseguirono quasi in una danza, attorno alla luce emanata dalla gemma.

-Non sarà stato quell'infante di mio fratello ad averti riempito la testa, durante uno dei suoi malinconici e patetici rimugini! Ha la triste e sconsolata abitudine di trascinare gli altri nel suo perpetuo autocommiserarsi.

-Ti credi superiore a lui, vero?

Loki aprì le braccia.

-Ma io sono superiore a lui!

-Ho già conosciuto uomini che si reputavano superiori a tutti e non ho avuto paura di affrontarli. Non credere che tu sia un'eccezione.

-Oh, lo so bene. Credi che non sappia chi sei, cos'hai fatto? Credi che non sappia cosa sai fare e cosa provi nel farlo?

Astrid si irrigidì. Era sicuramente un bluff.
L'oratoria del Dio continuò più incalzante.

-Credi che non sappia cosa provi, quando allunghi la mano verso la possibilità di controllare il destino della tua vittima e approfittare della sua impotenza per fortificarti? Quando assapori lo scorrere della sua forza vitale nelle tue membra, l'ebrezza di poter decidere di rifiutare le suppliche per clemenza, ignorare gli urli di disperazione, scegliere di abbandonarti alla soddisfazione dell'impulso rabbioso, al senso di onnipotenza che ti pervade, all'energia che si insidia fin nelle viscere e ti inebria di tutto il potere di cui senti il bisogno profondo, seppur proibito. Ammettilo che non è stato solo per vendicarla.

Il volto oscuro del dio era distante pochi centimetri e quella minima distanza era ancora più raggelante. Gli occhi smeraldini brillavano di uno spasmodico scintillio di violenza repressa, che iniettava veleno alla dentatura affilata del sorriso maligno e alla Lingua d'Argento di colui capace di avvalersene con maestria.

Astrid era in trappola, indifesa: non aveva che dire. Immobilizzata, forse, dalle parole tessute con accuratezza con lo scopo di raggiungere crudelmente un punto, nascosto nei meandri del subconscio.

-Tu non sai niente di me. - ringhiò.

Richiamò l'energia termica nella mani e sferrò un pugno che tagliò il vuoto.

Il corpo del Dio si era volatilizzato, lasciando il suo irritante ghigno impresso nell'aria. Astrid voltò le spalle, ma i suoi occhi incontrarono solo la parete scura e marcia, cavi pendenti e circuiti. Afferrò lo scettro senza pensarci due volte e fece per scappare, ma Loki glielo impedì: si piantò davanti a lei, la circondò delle sue multiple proiezioni ridanciane.

-Che fretta! - fecero in coro.

Astrid non aspettò un'altra mossa: agitò lo scettro e fece svanire una dopo l'altra le immagini fasulle del Dio Ingannatore, fino a battere contro il braccio solido e difensivo dell'unico corpo concreto. Loki la spinse indietro con forza sovrumana. Astrid si schiantò contro i macchinari e andò a finire pesantemente a terra.

-Ha ragione, il Soldato. Sei indisciplinata.

Raccolse lo scettro scivolato ai suoi piedi. Se lo rigirò nella mano. Lo puntò al petto di Astrid che non si mosse. Fissò la punta avvicinarsi pericolosamente al suo cuore. La luce della gemma parve brillare più irrequieta, impaziente, famelica.

-Imparerai ad ubbidire. - sancì il Dio, lo sguardo in un riflesso più freddo.

Una voce rimbombò tra le mura col nome di lei. Tony doveva essersi accorto della sua assenza. Lo suo sguardo della ragazza scattò speranzoso sulla porta semichiusa, aldilà delle gambe del Dio, attendendo che qualcuno irrompesse. La porta gracidò un poco, scostata da un sospiro di vento.

-Pare che nessuno dei tuoi amici sia disposto a salvarti.

Astrid improvvisò.

-I miei compagni verranno a prenderti. Te lo porteranno via. - ribatté, senza una solida sicurezza.

-O magari sarai proprio tu a consegnarglielo. Chi sa se avranno gli stessi riguardi quando, sotto il mio comando, non potrai nascondere la tua vera natura? Quando comprenderanno che la tua mente è malata, contorta e incespica nel dimostrare il contrario. Hai paura, è questo che ti frena. E io te la toglierò.

Astrid rialzò il busto di scatto. Sentì la punta dello scettro premerle sul petto, ma non poteva resistere alla provocazione. Digrignò i denti. La sua pelle iniziò a fumare.

-E tu hai paura di essere sconfitto di nuovo. Sei debole, sei solo e stai cercando di raggirarmi per avermi dalla tua parte. Perchè hai paura di fallire e scoprire che è questa la tua vera natura: fallire, fallire e fallire ancora!

Lo scettro le assestò un colpo sulla guancia tanto forte che Astrid si vide rotolare di lato. Loki si piegò su di lei. Le afferrò la mascella con con una mano, le sollevò il volto perchè gli occhi impavidi non potessero schivare i suoi sibillini.

Aprì la bocca per aggredirla nuovamente, ma la foga si rimpicciolì, risucchiata dalle pupille, in quelle iridi chiare che iniziarono ad iniettarsi di sangue, fino a trasformarsi completamente. Loki arretrò di qualche passo, gli occhi sgranati sulla mano color ciano. Astrid si guardò le dita e l'ombra bruna che risaliva sotto le maniche.

-Astrid! - la fonte dell'eco era più vicina questa volta.

La porta si spalancò per far entrare uno Stark sudaticcio e alquanto agitato. Si fiondò su di lei, un ginocchio sul pavimento e l'aiutò ad alzarsi. Astrid non parlò. Puntò solo col dito lo scettro immobile a terra e una sagoma evanescente.

-Forza, dobbiamo andare! - la incoraggiò Stark. Impugnò lo scettro in mano e si indirizzò fuori dalla stanza.

Astrid raddrizzò il corpo come un sacco vuoto, senza vertebre. La mente non ancora completamente lucida. Non era certa di sapere che cosa fosse accaduto, ma non poteva fermarsi a riflettere: ora dovevano uscire di lì al più presto, perchè frastuoni ed esplosioni reclamavano attenzione al di fuori del laboratorio sotterraneo.

Una scossa fece tremare il terreno mentre percorrevano le scale. Il soffitto precipitava a pezzi e proprio mentre uscivano dal tunnel, un blocco di pietra per poco non schiacciò loro come formiche.

Si addentrarono nel polverone. Astrid seguì la sagoma dell'uomo sparita nel pulviscolo. Corse alla cieca, cercando di raggiungere le luci dell'armatura ben visibili, ma in questo modo inciampò tra i cavi elettrici, aggrovigliati sul pavimento e prima che potesse rialzarsi, un boato talmente vicino la fece rotolare più in là. Batté la testa. Perse conoscenza.

Iron Man la prese in braccio e sparirono attraverso lo squarcio nel muro.

***

-Hey... Testa calda... Mi senti?

Astrid strizzò gli occhi al dolore acuto che le comprimeva la testa. Le immagini gemelle si unirono in una sola più nitida.

-Eccola qua, la nostra guerriera!

-Dove siamo...? - tartagliò. Fece per alzarsi, ma tutto il mondo girò in una trottola.

-Si torna a casa.

Gli ingranaggi dell'armatura di Stark iniziarono ad incastrarsi per creare un'altra forma, lasciavano il corpo dell'uomo libero di muoversi. Si ripiegavano su loro stessi, richiamati all'interno di una valigetta rossa.

Il Capitano entrò in fretta prima che il portellone si chiudesse. Astrid poteva vederlo con la coda dell'occhio: si sfilò la maschera con un gesto pratico, le lanciò un'occhiata schiva.

-Cos'ha? - chiese grave.

-Sta bene, ha solo sbattuto la testa. - minimizzò Stark sul trono dei comandi.

-Barton?

-Sono ancora vivo! - scherzò quello schiacciato su un altro lettino, una flebo al braccio e il sacchettino di un liquido trasparente che ciondolava in alto.

-Ragazzi, possiamo partire. - annunciò Natasha e il jet prese il volo.

-Lo scettro... - farfugliò la voce di Thor in un angolo. Si era alleggerito dal mantello. Il martello era parcheggiato al suolo come lo scudo del Capitano. Le sopracciglia contratte e un sottile ciuffo aureo gli penzolava sul naso avanti e indietro, scandendo i pensieri torvi. Il fulgore della pietra accarezzava il viso bianco, stanco, ma non per uno sforzo fisico, benchè avesse combattuto con fervore fino a pochi momenti prima. Era qualcosa radicato in profondità, qualcosa di intricato che non si permetteva mai di emergere del tutto. Seppur, con fatica, riuscisse a rintanarsi nei ranghi bui dell'animo del Dio possente, si liberava a volte attraverso la voce pacata dalle note tristi e lo sguardo irrimediabilmente malinconico.

Astrid non si mosse dal suo trespolo. Continuò a contorcersi, per riflesso, in uno stato d'animo a lei molto familiare.

-Dobbiamo ringraziare la signorina. Non so che cos'abbia fatto, ma la faccia del fratellino cattivo non sembrava molto contenta.

-Loki?! - Thor alzò il capo di scatto. I suoi occhi incrociarono quelli di Astrid, colta in flagrante mentre lo fissava. Ella non seppe schivarli. Un taglio nel cuore le si aprì, davanti al barlume di speranza irrazionale che si espandeva sul volto del Dio. - Era lì? L'avete visto?

-Era lì davvero, Stark?! - esclamò il Capitano per conferma.

-Sì ed è fuggito di nuovo. È spartito. Così: puff! Nel nulla. Davanti ai miei occhi. Ma lei l'ha visto meglio di me. Vero, Astrid?

Gli occhi del Capitano la puntarono senza darle via di scampo.

-Se non sbaglio, si sono persino scontrati! Solo che non ho compreso la dinamica: chi era in vantaggio? Avrei giurato fosse Loki, dal momento che eri distesa a terra con le spalle al muro...

-Come? Allora perchè è scappato?

-Perchè è un vigliacco!

Il Capitano la guardò preoccupato.

-Avrebbe potuto usare lo scettro... Non ti ha soggiogata, o sbaglio?

Astrid non poté emettere alcuna parola. Parlavano di lei come se non ci fosse.

-Se fosse stata soggiogata ci avrebbe già carbonizzati tutti! - ridacchiò Clint, sforzandosi.

-Non dirmi che il terrificante Dio dei Misfatti ha paura del fuoco! - scherzò Stark di spalle.

Il Capitano fece un balzo in avanti. Astrid per poco non cadde all'indietro.

-Cos'è successo? Perchè si è ritirato? Cosa vi siete detti?

-Io non lo so! - sbottò lei.

Il Capitano corrucciò la fronte. Dagli occhi limpidi si leggeva chiaramente la confusione e un briciolo di rabbia che lentamente lo irrigidiva.

-Oh, ma lasciatela in pace! - si intromise Natasha, senza troppa insolenza.

-Dobbiamo fare mente locale: ogni particolare è importante!

-Faremo mente locale dopo che ci saremo riposati e chiarite le idee. I particolari tendono a sfuggire se non ci si ragiona su almeno un po'. Ci ripenseremo quando saremo arrivati. Con calma. Lasciatela respirare adesso!

Il Capitano si sciolse.

-Va bene. Appena scendiamo voglio un rapporto completo su tutto quello che è successo.

Si abbandonò su di un sedile. Poggiò la testa all'indietro e cominciò ad osservare l'espressione mistica della ragazza appollaiata sul lettino, senza fiatare. Quegli occhi, profondi come l'oblio, troppo vivi per custodire solo banale bellezza estetica. Lui se n'era accorto: la finta ingenuità che rifilava a chi non era abbastanza attento per percepire che lei avesse già inteso tutto prima degli altri, era una subdola strategia di autodifesa che la premuniva dalla prevedibilità.

Non era ancora sicuro fino a che punto potesse fidarsi di lei. Il mutismo in cui era solita rinchiudersi, non facilitava certo l'apertura ad una normale conversazione. Era come se nessuno fosse degno di conoscere i suoi pensieri. La superbia non era una cosa che al Capitano potesse andare a genio e nonostante si sforzasse di accettare che fosse una questione di carattere, c'era sempre un granellino di disappunto che gli rimaneva incastrato in mezzo alla gola.

Come in quel momento. Tra tutti, il Dio degli Inganni aveva scelto di colpire lei. Astrid era senza dubbio l'anello debole della squadra. Che Loki avesse in mente di riprovare un altro attacco interno? Sarebbe stato stupido seguire un piano già usato. Che quella mossa avesse avuto solo intento ludico? D'altronde aveva già dato dimostrazione della sua predilezione per le maniere di approccio più sadiche. Ma a quel punto perché si era tirato indietro? Avrebbe potuto catturare la sua mente, come aveva fatto con Barton e il dottor Selvig. Che cosa l'aveva fermato? Quella domanda non poteva rimanere in sospeso. Era giunto il momento che qualcuno iniziasse a svelarsi. Forse il primo passo avrebbe dovuto farlo lui: si sarebbe dovuto spogliare di quel comportamento infantile che lo portava ad evitarla come per ripicca. Doveva parlarci, seguendo il consiglio che gli aveva dato Tony mesi prima e che non aveva mai messo in atto.

Troppi segreti potevano nuocere all'integrità della squadra e non poteva permettere che si sgretolasse di nuovo. Doveva tutelare i suoi compagni, i suoi amici. Seppure non riuscisse a risolvere l'enigma dei suoi comportamenti, Astrid era una di loro ormai, era parte del gruppo e per questo doveva assicurarsi che anche lei non corresse rischi.

Astrid scese dal lettino, eludendo appositamente lo sguardo che la studiava con insistente interesse. E non appena gli rivolse un'occhiata innervosita, il Capitano aveva calato le palpebre a mo' di meditazione. Le braccia serrate al petto e il muscolo della mandibola che spingeva nervosa contro la mascella.

Natasha tornò ai comandi, lasciando il dottor Banner tutt'uno con la sua musica lirica. Stark smise di giocherellare con lo schermo, si sistemò il microfono sulla guancia.

I vetri a specchio dei palazzi di Manhattan brillavano ad un sole rubicondo che annegava all'orizzonte. La Torre Avengers troneggiava splendente e fiera.

-Prepararsi all'atterraggio. Jarvis, fammi sapere quando la piattaforma è pronta per accoglierci. - la voce di Stark, sicura di competenza, si addolcì subito dopo. Suonò consolata, come liberata da un grosso peso. - Casa dolce casa, arriviamo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Boccata d'aria ***


Neve e Cenere | Marvel

13 . Boccata d'aria


-Ferma, non muoverti! Non muoverti!

Un corridoio buio e lungo si prolungava infinitamente, rimbombando le voci...

-Non voglio. Fa male.

Un bracciale ai polsi, uno al collo. La punta di metallo si insediava nella carne, il liquido scompariva e bruciava nelle braccia, risaliva al petto, intorpidiva le gambe, il cervello.

E il corridoio si allungava, deformato dal tempo e dal lordume strisciante sul pavimento.

-Due minuti e sette. Seconda dose.

-Vi prego... Sono stanca...

La voce fioca e debole contro due mani tanto decise e violente nella loro precisa delicatezza.

-Per favore...

Lo stantuffo si abbassò di nuovo e i muscoli tornarono a tendere, a contorcersi nel dolore. La lingua troppo gonfia, smise di supplicare.

-Due minuti e cinquantatre. Un'altra.

-No... Basta... Basta!

La siringa volò lontana, il vetro si frantumò per terra. Il liquido azzurro si sparse negli incavi tra le mattonelle.

-Devi collaborare.

-Lasciatemi!

-Ci vuole la dose più forte. Datele la dose più forte! Sbrigatevi! Tenetela ferma!

-Che cos'hai fatto? - chiese l'eco in un sibilo.

Le dita sudicie di violenza, nere come il petrolio, incise dalle vene pulsanti di lava, disegnavano un pentagramma di fuoco sulla parete...
 

*
 

Spalancò gli occhi, catapultandosi nel mondo reale. Il cuore che le tremava in uno strano senso di insoddisfazione, come per il mancato sfogo dell'impatto quando ci si sveglia di soprassalto dopo una caduta libera. Si schiaffeggiò le guance perchè la ragione la seguisse integra.

Controllò le cifre dell'orologio digitale sulla parete che si appropriavano di un lembo di buio, illuminandolo tenuemente: entro meno di un minuto JARVIS l'avrebbe colta ad abbuffare il cuscino per tornare a dormire.

Si sistemò quindi con calma, tentando di cancellare ogni flash che le annebbiava il cervello, anche dopo che la porta si era aperta per farla uscire.

Era un po' che non sognava. Si sentiva meglio, in qualche modo. Felice? Era una parola grossa. Più leggera e libera, quello sì. Un illusorio varco luminoso tra le nubi del tormento. Troppo bello, per lei, per durare. Il momento giusto per far crollare di nuovo tutto nel baratro.

Quella notte era toccata, dunque, all'incubo che meno riusciva a collocare temporalmente, sebbene l'accompagnasse da più tempo degli altri. Non erano scene che ricordasse aver vissuto o visto, a parte la figura di quel dannato Dio verdognolo che si divertiva a far parlare le voci del subconscio. Per un periodo aveva smesso di ricorrere, lasciando spazio agli incubi nuovi, poi era tornato, come per ribadire la presenza angosciosa di un significato vitale, sepolto tra le immagini lugubri, che lei non era mai riuscita a cogliere e nemmeno si era mai impegnata ad approfondire.

Sono solo sogni, si diceva, nonostante fossero così dettagliati. Solo dannatissimi sogni.

L'ascensore non dava segni di movimento. Osservò i numeri susseguirsi sul display e calcolò che probabilmente avrebbe fatto prima a prendere le scale.

La suola delle scarpe batteva sui gradini come zampettii felpati. Apparentemente fatta di gomma, non si era sciolta minimamente, nemmeno deformata. Tony Stark era veramente un genio.

La concentrazione sui suoi piedi la fece distaccare dal percorso: scese le scale a chiocciola talmente in fretta che quando un paio di pettorali le piombarono davanti bloccandole il passaggio, non ebbe tempo necessario per frenare. Per fortuna il Capitano aveva un equilibrio saldo e non precipitarono appallottolati giù per le scale. Astrid rimbalzò soltanto.

-Attenta!

-Scusa... Non ti ho visto, ero distratta... - disse mentre si distanziava dagli airbags.

-L'ho notato. - rispose lui, un sorrisetto brillante negli occhi. - Stai bene?

-Sì, sì... Stavo andando a fare colazione...

-Anch'io! - la colse contropiede.

-Ah. Ma il piano bar non è di sotto? - chiese lei, spaesata. Alzò lo sguardo dietro di sé: aveva fatto davvero così tanti gradini?

-Hai ragione. Forse non sei l'unica distratta!

Il Capitano non accennò a spostarsi. Si comportava come se stesse recitando una parte che non gli si addiceva.

-Credo che per fare colazione dovremmo avere qualcosa da mangiare. Non pensi? - fece lei per smuoverlo.

-Ah, sì, certamente. Però... Pensavo di uscire un po' da qui... Andiamo a prendere una boccata d'aria, ti va?

Astrid si sorprese, ma si lasciò convincere per la fame che le annodava lo stomaco.

***
 

Un paio di mani curate spostarono i piatti sulla tovaglia decorata e riempirono le tazze di caffé nero fumante.

Astrid ammirò il garbo gentile del compagno, il modo in cui sollevò appena l'angolo della bocca per ringraziare. Stark avrebbe ricambiato il sorriso solo per evitare di essere colto nell'atto di spiare i centimetri in meno che la gonna scopriva sulla coscia della donna ad ogni minimo piegamento. Invece il Capitano si conteneva dignitosamente, in modo totalmente naturale. L'unico svago era il tick quasi nervoso della mano, che faceva ruotare la piramide di plastica in cui galleggiava il numero del tavolo. Era tanto distante da quel mondo che se a fine giornata qualcuno gli avesse chiesto cosa indossasse la cameriera, probabilmente non avrebbe saputo rispondere.

-Da dove vieni? - le chiese, ansiosamente, come se stesse pensando a come misurare le parole da quando si erano seduti.

-Io? - chiese Astrid perdendosi in un frammento di pensiero. Infilzò i pancakes con la forchetta e tagliò uno spicchio. Lo sciroppo colava tutt'attorno al bordo, creando una dolce corona dorata. – Montréal.

-Canada! Parlé vu fransé? - azzardò, con un accento e una pronuncia ben lungi dal francese.

-Un po'... – fece lei, senza rispondere al gioco.

-Ti manca?

-Non molto, in realtà.

-E tuoi parenti? Non andresti a trovarli?

-A te manca Brooklyn? Del tuo tempo, intendo... - ribatté lei per deviare: si stava addentrando in un discorso che non voleva approfondire.

-Un po', ma ogni tanto ci faccio un salto.

-Vai a farti un giretto nel tuo museo personale e poi torni?

Il Capitano sorrise all'ironia. Doveva essere una domanda provocatoria, ma lui ci trovò qualcosa di serio.

-Ci vado per ricordarmi chi sono. Spesso mi aiuta a capire cosa devo fare. Pensa: è l'unico luogo che parla di me e anche l'unico che non riconosco come mio. Mi fa sempre un effetto strano entrarci!

-Io non lo vorrei un museo per me.

-Perché no?

-Non mi piacerebbe l'idea che la mia storia venga messa sotto gli occhi di perfetti sconosciuti e rimpinzata di dettagli fanatici per bombare la mia immagine da perfetta patriota americana...

Il Capitano annuì: tutto sommato non aveva torto. Intere pareti, sotto le sue fotografie in bianco e nero, erano ricoperte di parole montate, allo scopo di farlo sembrare un eroe fantastico, quando lui, guardandole, si rispecchiava in un semplice ragazzino di Brooklyn, in un semplice uomo e Capitan America diventava solo Steve Rogers.

-Non so come fai a vivere con l'idea che la tua vita possa essere soggetto del giudizio di tutti...

-È per questo che non vuoi parlare di te? Hai paura dei giudizi che può dare la gente?

-Non ho paura. Solo non credo che ci sia qualcuno disposto ad ascoltare e comprendere a pieno la vera versione dei fatti.

-E quale sarebbe questa "vera versione"?

Astrid si accorse di aver parlato troppo. Abbassò lo sguardo, fece marcia indietro.

-Non è un argomento di cui amo parlare.

-Lo so. L'ho capito quando ti ho chiesto dei tuoi e hai fatto finta di niente.

Astrid si morse un labbro.

-Cosa vuoi sapere, Capitano?

Steve alzò le mani. Calmo.

-La verità. Solo la verità.

L'indice completò più di un giro sul bordo della tazza. Astrid l'afferrò poi tra le mani e indietreggiò appoggiandosi allo schienale morbido. Sospirò.

-Lo SHIELD sa parecchie cose su di me.

-È normale. È il loro lavoro...

-Sa anche cose che nemmeno io sapevo.

-Che vuoi dire?

-Che c'è una falla enorme nella mia biografia. A quanto pare ho vissuto una vita tranquillissima, fatta di amore e colori di cui non ho nemmeno un ricordo.

Le sopracciglia di Steve si accartocciarono.

-Tu non ricordi...?

-È come se avessi preso una botta in testa. Un giorno mi sono trovata in una stanza d'ospedale. Avevo dodici anni e nessuno che attendeva il mio risveglio. Mi hanno detto che ero sopravvissuta ad un incidente e che i miei genitori invece erano morti, ma non c'è stato alcun funerale. È piuttosto... strano, non trovi?

Steve si portò avanti, poggiò i gomito sul tavolo come per coinvolgersi di più nel racconto.

-Molto... E poi? Cos'è successo?

-Un uomo in giacca e cravatta è venuto a prendermi e mi ha lasciata in un orfanotrofio della città. Vedevo tutti i miei compagni che da un giorno all'altro se ne andavano via mano nella mano con adulti, felici e sorridenti.

-Non sei mai stata adottata?

Astrid deglutì un sorso e tornò ancora indietro con la memoria.

-Una volta è entrata una coppia in su con l'età. Ricordo limpidamente la scena: io seduta in un angolo a giocare, vedo questi due signori parlare con la suora responsabile. Vogliono conoscermi. La signora mi punta col dito e mi sorride. Allora smetto di giocare. Forse è la vota giusta. Poi la suora scuote la testa: lei no, dice. – fece una pausa. Fissò intensamente gli occhi azzurrissimi che l'ascoltavano con trasporto. - Perchè io no?

Steve scosse la testa come se fosse tenuto a risponderle. Si sentì quasi in colpa di non poterlo fare.

-Quando sono diventata maggiorenne, me ne sono andata. Ho trovato lavoro e mi sono costruita una vita... Poi ho scoperto in cosa ero diversa. Ma non ricordo come ho fatto ad acquisire i miei poteri. Li ho scoperti per caso, forse li ho da sempre. A volte... penso di non essere umana.

I flash tornarono a materializzarsi sui suoi palmi: nella sua mente si tramutarono in quelle del suo oscuro alter-ego.

Steve aprì la bocca. Era sorpreso, turbato, curioso. Avrebbe voluto chiedere, saperne di più, ma non disse niente. La sua attenzione si bloccò aldilà del capo della giovane: una donna in rosso si era fermata sul marciapiede e fissava entrambi con rabbia. L'istinto fiutò qualcosa che non quadrava. Le mani della donna si mossero contorcendo le dita. Steve non ci pensò due volte: scattò in tempo per proteggere Astrid, mentre un'onda di energia li spinse a terra con un rombo distruttivo.

***
 

Il pavimento scricchiolava e pungeva come un manto di chiodi. Sentì la voce di Steve e annuì, senza essere pienamente sicura di aver compreso la domanda.

Il braccio che la bloccava a terra si ritirò. Una pioggia di schegge cascò dalla schiena e tintinnò a terra, unendosi ai pezzi di vetro e la coltre sottile che si stendeva su ogni cosa.

Quando alzò lo sguardo, il bar era deserto e il Capitano si stava adoperando nel far uscire gli ultimi superstiti. L'aria invernale soffiava liberamente, la luce bianca del sole non aveva altri ostacoli, se non il denso reticolo nebuloso.

Astrid asciugò il volto umido e pruriginoso. Sulla manica rimase un alone scuro. Si strappò un paio di scaglie dalle mani, si alzò e scavalcò il muro che divideva la strada dalle sedie e i tavolini rovesciati.

La gente si spingeva e si addossava in una fuga urlante e confusa. Nel mezzo, la sagoma del Capitano, immobile, si guardava attorno in cerca del colpevole. Il viso squadrato era appena sporco di polvere. Un solo graffio sullo zigomo destro era ciò che lo rendeva vulnerabile. E in mezzo a quella baraonda, era proprio quel minuscolo segno che lo faceva apparire ancora più immune alle cose mortali, ancora più indistruttibile, ancora più invincibile.

-Cos'è stato?

-Siamo stati attaccati.

-Da chi?

Lo sguardo severo si elevò tra i palazzi, alla ricerca di un volto.

-Non ne sono sicuro.

-Chiunque sia è un vero codardo.

-Codardo? – ripetè una voce femminile alle loro spalle.

La donna poggiava i piedi sul tetto del caffè ancora intatto. Portava una giacca laccata rossa e uno sguardo intollerante, più freddo di quello che mostrava nei file dello SHIELD che Stark aveva illustrato la sera prima.

-Sono loro. – confermò Steve.

-Abbiamo interrotto un appuntamento romantico? – fece l'altro, materializzandosi alle spalle della gemella, i capelli argentati e spettinati dal vento. Risero insieme come due iene fameliche.

-È la prima volta che li vedo dal vivo e già non li sopporto. - commentò Astrid tra i denti.

-Facciamo attenzione. – raccomandò Steve.

-Fatevi avanti! – ringhiò Astrid. Le sue mani andarono a sfilare i pugnali sulle cosce, ma afferrarono il vuoto. Dannazione! Non aveva pensato ad armarsi. Che stupida imprudenza! Lanciò un'occhiata al Capitano: aveva i nervi tesi, la mandibola contratta. Neanche lui era a suo agio senza il suo scudo.

-Che c'è? Avete dimenticato qualcosa? – li canzonò il ragazzo dall'alto del piedistallo.

-Sono disarmati. – osservò la donna.

-Super eroi senza superpoteri? Non fatemi ridere.

-Non abbiamo bisogno delle armi per batterci.

-Ah, sì? Mi sembrate piuttosto spaventati, a dire il vero.

-Perché non scendi e non lo scopri da solo? O ti tremano troppo le gambe? – ribattè lei, rispondendo alla provocazione con la stessa carta.

-Astrid, smettila! – la ammonì il Capitano, ma era troppo tardi. Cercare di fermarla davanti a una sfida era come tentare di spegnere il fuoco con la benzina.

La donna annuì come per autorizzarlo. L'altro si scrocchiò il collo.

Astrid non lo vide arrivare. Atterrò sul parabrezza di un auto che passava nella direzione perpendicolare. L'uomo al volante sterzò per lo spavento e andarono a schiantarsi contro un idrante, tagliando la strada a un taxi e un furgone che ruzzolarono l'uno sull'altro. Astrid rotolò giù dal cofano, dolorante. Qualcuno gridò, qualcun altro inveì furiosamente contro il conducente spericolato. Qualche passante si avvicinò per dare una mano. La volante non si fece aspettare: le sirene ululavano già in lontananza.

L'acqua spruzzava un po' ovunque e creava una patina di opaca umidità. Bagnava l'asfalto, il metallo della carrozzeria delle auto in sosta o in movimento, la terra arida delle aiuole spoglie. Sulla pelle di Astrid invece, iniziò ad indugiare. Attorno a lei si creò una nuvola di caldo vapore. 

Rimase immobile a fissare l'omino sorridente che la scherniva, oltre il flusso dei veicoli che non cessava. Accanto a lui, il Capitano si stava rimettendo in piedi, ma come riuscì a rialzarsi, un laccio rosso gli annodò le caviglie e si ritrovò di nuovo a terra.  

Astrid attraversò di corsa, schivando i veicoli, mentre la sua pelle bolliva e incrementava la temperatura sempre di più. Caricò come un toro contro la muleta.

Il ragazzo non si mosse fino a mezzo secondo prima di essere colpito. Fece uno scarto di lato e allungò una mano sulla schiena della ragazza, in modo da farle perdere l'equilibrio in avanti, ma non l'appoggiò nemmeno che sentì la pelle bruciare.

-Che diavolo sei?! – esclamò, sgranando gli occhi sul palmo arrossato.

Astrid frenò coi piedi che lasciarono una scia di scintille per l'attrito, come un fiammifero. Sorrise allo sbigottimento dell'avversario. T'è piaciuto lo scherzetto, Saetta?

-Avete finito di giocare? – domandò la donna impassibile. Non si era mossa di un millimetro. Alzò lo sguardo verso una macchietta fluttuante in avvicinamento.

-Forse non avremmo più bisogno di un'esca... – commentò il ragazzo a bassa voce. La gemella lo fulminò con gli occhi.

-Forse dovreste guardare dall'altra parte. – osservò il Capitano.

Un Quinjet nero volava sulle loro teste spostando una grande quantità di aria.

-Wanda e Pietro Maximoff, vi dichiariamo in arresto. – fece la voce di Natasha amplificata dagli altoparlanti. – State fermi e non vi faremo del ma...

Non finì la frase. L'aircraft cominciò ad accartocciarsi su sé stesso. Le luci dei propulsori iniziarono a lampeggiare fino a spegnersi assieme al motore.

-Basta! Avevamo detto niente morti! – esclamò il gemello, allarmato.

La nuvola scarlatta che avvolgeva il Quinjet svanì e il velivolo precipitò pesantemente sul dorso, danneggiando un'ala.

La gente che era rimasta ad assistere la scena se la diede a gambe definitivamente.

-Avete creato un bello scompiglio, ragazzi. – li rimproverò la voce metallica di Iron Man – Ora però vi scompiglio io.

I razzi partirono dalla corazza, puntando i due gemelli. La Saetta li schivò. La Strega creò uno scudo di energia su cui i razzi rimbalzarono ed esplosero.

Nel frattempo, Steve si era diretto verso l'aircraft e aveva sradicato lo sportello bloccato con tutta facilità, come un enorme cerotto.

-Banner? – chiese, mentre Natasha atterrava elasticamente.

-È al centro scientifica. Sta lavorando con Selvig...

-Thor?

-Non era con noi quando siamo partiti. – rispose Barton, passandogli lo scudo. – Forse ti serve questo.

Steve lo afferrò e non trattenne un sorriso esultante.

-Grazie. Be', comunque, non credo che ci serva il loro aiuto, per adesso...

-Sono tosti. Vi stanno dando del filo da torcere, eh? Guarda cos'hanno combinato! – fece Barton, allacciando la fascia della faretra al petto, un sorrisetto furbo negli occhi come se ci trovasse qualcosa di divertente.

Il Capitano annuì, ma non era sintonizzato sullo stesso pensiero.

-C'è qualcosa che ti preoccupa più dei loro poteri. Non è così? – intuì Natasha.

-È solo un'impressione. - sminuì lui.

Iron Man smise di sparare. Il fumo di combustione si sfaldò in due come zucchero filato. Le mani della donna si contorsero e Iron Man finì all'interno dell'appartamento alle sue spalle, squarciando completamente la facciata.

-Oh, sì... Buon giorno a tutti. - fece alla famiglia che, attorno alla tavola, lo guardava completamente sconcertata. - Mi duole congedarmi. Sarei rimasto per la colazione, ma devo scappare. - Accese i propulsori e schizzò fuori dal buco.

-Stark!

Il Capitano scattò. Lanciò lo scudo, ma la Saetta lo prese al volo e deviò la traiettoria. Corse poi contro il proprietario che fece una capriola in aria.

Le pistole sgusciarono dalle mani della Vedova come per un gesto sbadato. Le frecce di Barton tornarono al mittente e gli esplosero in faccia. Ma quando si avvicinò all'Uomo di Latta, il suo polso venne bloccato dalla prontezza del computer che aveva previsto i suoi movimenti.

-Attento, potresti farti molto male. - Iron Man battè due volte l'indice sul petto. - Questa non è solo per bellezza.

Il ragazzo tentò di liberarsi dalla presa, inutilmente. La Romanoff raccolse le pistole e le ricaricò di munizioni.

-Basta, giochetti. Arrendetevi.

-Credete che sia così semplice? - fece Wanda. Un sorriso sardonico si aprì sul suo viso.

La Romanoff sollevò entrambe le pistole.

-Non vogliamo farvi del male. Non costringeteci.

-Avete messo in pericolo dei civili. - ribattè il Capitano, mentre infilava il braccio nei lacci stretti dello scudo.

-Siete voi ad averli messi in pericolo. Non siete in grado di difenderli, ma vi atteggiate come se lo foste. Date false speranze ad anime condannate, fingendo che il male si fermi lì dove lo affrontate: in superfice. Dovete imparare a cambiare prospettiva. Il vero male è già presente in ciò che credete di salvare. Arrancate in una futile lotta per un'utopia illusoria. Intendete salvare una popolazione di suicidi. Non capite? È tutto inutile. Vi fate chiamare "eroi", ma siete solo delle maschere nel teatro più grande del mondo. È nella vostra natura essere così deludenti e patetici, come infondo lo è la mente del popolo che vi ha creati. Umani che giocano a fare gli dei... La smisuratezza della vostra arroganza non smetterà mai di stupirmi.

Astrid, che era rimasta fuori dal ring per tutto il tempo, ascoltava quelle parole con assoluta concentrazione. Recepì come una stonatura, una grinza, come un tassello di puzzle incastrato a forza in un posto sbagliato. Natura... Umani... Era tutto orribilmente familiare.

-Ora basta con questo delirio.

Iron Man aprì la mano libera. La luce al centro del palmo si fece più intensa.

-Vedete? Non riuscite ad arrivarci da soli. - continuò la donna.

Non le servì molto spazio. Le bastò allargare le braccia perché un'onda d'urto spingesse tutti quanti all'indietro, proprio come era successo nel caffé.

Astrid perse l'equilibrio, nonostante avesse percepito solo una piccola parte dell'energia, per la sua distanza dalla fonte.

-Come di vostra abitudine, - continuò - vi siete riuniti per combattere i sintomi di una malattia, ignorandone la vera causa. Perdete di vista l'obiettivo principale.

-L'obiettivo principale? - ripeté Astrid tra sé e sé. Un brivido le percorse la schiena.

-Chi è che parla? - domandò Stark, rialzandosi. - Una streghetta di Sokovia dalle idee piuttosto confuse... O un sociopatico megalomane a cui evidentemente non è bastato il calcio nel culo divino che ha ricevuto l'ultima volta?

-Come?! C'è Loki dietro a tutto questo?! Vi siete alleati con lui?! - esclamò Steve che piano piano cercava di rimettere i tasselli al posto giusto.

La donna ridacchiò e ogni minuto che passava, quel sorriso era sempre più simile ad un ghigno malvagio già visto.

-Chi c'è alla Torre adesso? - chiese Astrid, pietrificata da un terribile presentimento.

-Nessuno. A meno che non sia tornato Thor. - rispose Stark, serissimo.

-Non c'è nessuno a fare la guardia allo scettro?! - sbottò lei.

Steve lanciò un'occhiata alla ragazza che portava la sua stessa espressione in volto. Ora aveva capito anche lui.

-Romanoff, Barton, presto! Andate al Quinjet e fate in modo di riaccendere i motori! Dovete arrivare alla Torre e assicurarvi che lo scettro sia al sicuro! Astrid... - la guardò come se ciò che voleva aggiungere gli sarebbe uscito dagli occhi. Avrebbe voluto raccomandarsi con lei che non avrebbe agito in modo avventato, ma declinò. Doveva fidarsi del suo raziocinio. - Vai con loro.

La donna non si mosse. Permise ai tre di raggiungere il velivolo. Rise ancora, certa che i suoi piani sarebbero andati a segno.

Natasha e Clint si misero immediatamente ai comandi, mentre fuori Iron Man e Capitain America sembravano due ragazzini impacciati, due fantocci che sbattevano da una parte all'altra, senza ricavare una soluzione.

Natasha perse la pazienza.

-Non parte. Maledizione!

-Fai fare a me...

Nell'impatto, l'aircraft si era inclinato e ora il piano distava dal terreno di almeno un metro. Astrid dovette arrampicarsi. Mentre tirava su il resto del corpo, aggrappata con i gomiti, un solo piede sulla base e l'altro penzolante, notò un paio di pneumatici quasi nuovi e un riflesso brillante su vernice cromata: la Project LiveWire della Romanoff, parcheggiata in fondo al velivolo. La fissò come un'illuminazione.

-Ci siamo, forse ci siamo. - esultò Barton, ma il motore, dopo una piccola scossa, si spense di nuovo e sbuffò fumo denso. Al suo posto, si sentì un rombo diverso.

Il motore elettrico era quasi silenzioso in confronto a un' Harley classica, ma non abbastanza per non essere udibile.

-Hey! Che stai facendo?!

Astrid sfrizionò senza pensarci. In realtà non sapeva bene cosa stesse facendo, ma ormai era dentro. Accelerò, perché sentiva che si sarebbe pentita presto. Saltò giù dal Quinjet attraverso l'apertura del retro. Gli ammortizzatori fecero il loro lavoro a contatto con l'asfalto. Natasha si affacciò di corsa.

-La prendo in prestito! - fece Astrid e sgommò via.

-La mia moto! - esclamò la rossa in un istinto possessivo.

Si allontanò dall'altra parte della strada, di modo che la Strega non potesse fermarla.

Non percorse un isolato che la voce del Capitano la seguì dall'altoparlante del display.

-Dove stai andando?!

Astrid sospirò. Non c'era modo di toglierselo di torno una buona volta?

-Posso fermarli! - assicurò decisa, mentre sfrecciava tra una macchina e l'altra. Il vento le batteva in faccia come un panno ghiacciato e faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Avrebbe dovuto mettere il casco.

-Non è una scusa per allontanarsi dal gruppo! Dimmi che non stai andando alla Torre da sola! Rispondi! Dimmi che non lo stai facendo! - gridò più forte.

-Io... Sì, ci sto andando. - rispose indugiando, come presa dal senso di colpa.

-Sei impazzita?! Cosa pensi di fare?! È pericoloso! Fermati in un angolo e aspettaci!

Astrid digrignò i denti. Era escluso che si fermasse.

-Non c'è tempo!

-Ma mi ascolti quando ti parlo?! Torna indietro! Non puoi affrontare Loki da sola!

-Scusa, Capitano... Non ti sento... Ci sono troppi rumori...

Chiuse la chiamata. Quel gesto le sarebbe costato davvero caro, ma non potè fare altrimenti. Aveva una questione in sospeso ed era necessario che la risolvesse da sola. Superò un camion e accelerò ancora. Doveva fare in fretta.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Spietata coscienza / Famiglia ***


Neve e Cenere | Marvel

14 . Spietata coscienza / Famiglia
 

La ruota posteriore sollevò un cumulo di polvere in frenata. Scese dalla sella, fece i gradini a quattro a quattro, ma quando si trovò davanti all'entrata, la porta non si mosse. Fece un passo indietro perchè la telecamera potesse inquadrarla meglio, ma non ebbe alcun effetto.

-JARVIS, apri le porte! Sono io!

Nulla.

-JARVIS, fammi entrare! - ripetè, battendo il palmo sul vetro.

-Il signor Stark ha ordinato che nessuno entrasse o uscisse dal palazzo fino a ordine prossimo.

-Stupido robot, fammi entrare!

-Mi dispiace, signorina Sullivan.

-E va bene. - disse riscaldando un pugno. - Vuoi le maniere forti? Avrai le maniere forti.

-Ah-ah-ah!

Iron Man atterrò tempestivamente alle sue spalle. Il casco si schiuse.

-Cosa ti ho detto riguardo agli insulti?

-Mi sembrava strano che il Capitano non mi avesse ancora spedito la baby-sitter!

-Ah, sì, a proposito: l'hai fatto davvero incazzare stavolta.

-Lo so... - rispose lei, sospirando.

-L'hai fatta grossa. Non l'ho mai visto così fuori di sé.

-Ho capito, la vuoi piantare? Abbiamo i minuti contati e tu vuoi sprecarli parlandomi del Capitano incazzato?

-Molto incazzato. - puntualizzò. - JARVIS, puoi aprire adesso.

-Sì, signore. - una spia verde si accese sul sensore.

-Comunque ci sono dei risvolti, se ti interessa.

-Che tipo di risvolti?

-È difficile classificarli. Spero solo di non trovare una brutta sorpresa. - La maschera di metallo tornò al suo posto. I propulsori diedero una spinta contro il suolo. - Ci vediamo su.

-Niente passaggio stavolta?

-Per quanto simpatizzi per il tuo lato ribelle, il Capitano mi ha avvertito sul fatto di premiarti ogni volta che fai di testa tua. - e sparì per la verticale.

La hall era deserta. Sembrava tutto normale, tutto in ordine, tutto ordinariamente pulito. Si inserì nell'ascensore, premette il bottone per il laboratorio.

Quando le ante si unirono e si trovò da sola a riflettere, si accorse di un certo fremito negativo che si amplificava ad ogni piano.

Forse non era stata una buona idea. Stava andando incontro ad un pazzo omicida con poteri sovrannaturali (e, con molte probabilità, anche immortale) con... che arma? Un paio di fiamme e qualche mossa alla spia russa? Magari sarebbe riuscita a fargli prendere fuoco al mantello, colpirlo alle spalle durante un abbassamento della giardia, ma lui l'avrebbe infilzata con lo scettro come uno spiedino... O peggio: l'avrebbe usato per soggiogarla! L'ultima volta non c'era riuscito, ci avrebbe riprovato di sicuro. Che cosa le era saltato in testa? Doveva tornare indietro immediatamente, ma i numeri continuavano a crescere e crescere e crescere...

Il cuore le si fermò assieme all'ascensore. Le porte si aprirono davanti al laboratorio che, vuoto, pareva ancora più vasto. La luce del giorno penetrava all'interno dei vetri, rimbalzando sulle cromature del metallo. I pavimenti limpidi e cerati. Niente fuori posto. Nessuno ad attendere il suo arrivo. Il cuore ricominciò a battere.

In silenzio, scese la rampa. Adocchiò lo scettro ancora collegato ai fili. Tirò un altro sospiro. Era tutto a posto. Del dio nessuna traccia.

Forse si era sbagliata. Non volle immaginare la sfuriata che le avrebbe fatto il Capitano quella sera. Forse era la volta buona che l'avrebbero cacciata dalla squadra.

A interrompere i suoi pensieri fu un suono elettronico, proveniente dalla Sala d'Incubazione. La porta, che solitamente era chiusa con un codice di accesso, era aperta e bloccata a metà. Un'ombra immobile si spalmava sul pavimento lucido.

Aveva parlato troppo presto.

Si avvicinò cautamente. Sbirciò con un occhio, in apnea. E poi, sulla soglia, fece un balzo all'indietro. La Strega?!

Se ne stava in piedi, le mani in mano, davanti a quell'enorme colosso dormiente. Lo sguardo totalmente assorto, come galleggiante in una dimensione visibile solo a lei, in una trance tanto profonda da non parere nemmeno lontanamente minacciata da un'altra presenza nella stanza.

Astrid la raggirò. Che diamine stava facendo? Ma soprattutto, com'era riuscita a spostarsi così velocemente?

-Sta... Sognando...? - parlò quella nell'ipnosi.

Era una scena irreale. Senza dubbio, doveva essere uno dei trucchetti di Loki. Un'illusione per farla cadere in trappola. Eppure nell'insolito c'era qualcosa di ancora più strano.

Agitò una mano, per disconnetterla.

Le palpebre scattarono. La luce nelle iridi si affievolì. Si guardarono negli occhi entrambe confuse.

-Chi sei? - chiese quella, corrugando la fronte.

-Mi prendi in giro?

Poi parve riprendersi.

-Sei qui per fermarlo, vero? Mi dispiace, ma devo impedirtelo.

-Se ti dispiace, non sei costretta... - fece Astrid, recuperando la difensiva.

-Altrimenti lo ucciderà...

-Chi-cos...?

La Strega mangiò lo spazio tra di loro con un passo. Astrid ne fece parecchi all'indietro, verso l'uscita.

-Okay, senti: nessuno farà del male a nessuno. Ti sei alleata dalla parte sbagliata. Non devi fare ciò che ti dice.

-Non posso. Lui è immune ai miei poteri. - gli occhi si inumidirono, la gola si seccò. - Ho provato a respingerlo, ma lui...

Chiaramente, non era la donna con cui si era scontrata. Tutta quell'energia a cui aveva assistito, si era esaurita in una straziante afflizione.

-La Saet... - si corresse - Emh, cioè, volevo dire, tuo fratello? È lui che ha minacciato di uccidere?

-Ha detto che... Gli strapperà il cuore dal petto... Conterà quanti battiti sarà capace di fare, in sincronia col mio, prima di arrendersi nelle sue mani... E poi...

-Va bene, basta così. - Ci credette. Era un'immagine abbastanza macabra per essere figlia della mente di un celebratore di terrore. - Che cosa ti ha chiesto di fare? - chiese infine, con un briciolo di timore.

La mano affusolata descrisse un disegno arzigogolato a mezz'aria. Tra le dita, un filo di fumo denso, di un rosso acceso: si protrasse verso l'esterno, si arrotolò su sé stesso, si contorse, si contrasse, si evolse in una massa più corposa, si affinò di nuovo. Una danza leggera, elegante, incantatrice.

Astrid indietreggiò a mano a mano che la vedeva avvicinarsi troppo. Sentì uno scatto di colpo alle sue spalle: la porta si era chiusa da sola. Sventolò le mani davanti al viso, mentre tentava di recuperare ancora spazio, finché quella cosa non le fu abbastanza vicino da sfiorarle il naso... e si dissolse. Tutto qui? La cercò tra le mani, o magari era sopra la sua testa? Dietro di lei?

-Bello scherzo. Ci stavo quasi cascando... - ammise, sorridendo.

Ma proprio in quel momento, una lastra opaca si intromise tra lei e il volto della Strega, che si deformò e prese i lineamenti di un'altra persona. Qualcuno che Astrid non vedeva da troppo tempo.

Pronunciò il suo nome. Un sorriso triste fu la sua risposta.

-Samantha...

I capelli corvini le incorniciavano il volto, riposato, ma di un pallore insano. Una mano le accarezzò il volto. Fredda, come la morte. Sul petto, una chiazza bordeaux prese a diffondersi come un cancro.

-Aspetta...

Astrid allungò un braccio. L'avrebbe trattenuta a sé, stavolta. Non sarebbe più stata tanto incauta. L'avrebbe protetta, l'avrebbe salvata.

Si protese in avanti, la attraversò come con un fascio di luce incosistente.

-È colpa tua... Lo sai che è colpa tua... - sancì la donna, mentre il corpo si ricopriva di fori e la maglia sottile s'imbeveva di sangue arterioso, come una spugna.

Gridò il suo nome nel buio, mentre la perdeva di nuovo.

Poi, all'improvviso, anche parlare diventò più difficile.

-Stai ferma. Ci vorrà solo un momento.

Cercò di divincolarsi, con tutta la forza che possedeva, accecata dall'ira.

-È colpa tua... - continuò un rimasuglio di subconscio. - Se solo tu fossi arrivata in tempo... Se tu solo fossi stata più veloce, più attenta, più astuta...

-Devi stare ferma. Altrimenti ti farà solo più male.

Mentre un ago le bucava la pelle catramosa, riuscì a liberarsi da ciò che la incatenava, ma a quel punto le pareti iniziarono a girare, si avvinghiavano, la sopprimevano e lei si trovò scaraventata da una parte all'altra perchè non aveva più equilibrio. Le ombre che vedeva attorno a sé si spostavano, ma lei voleva acchiapparle, farle sparire, così si agitava mollemente, come se i comandi del cervello non arrivassero adeguatamente agli arti. Le unghie si allungavano come artigli d'acciaio seghettato, squarciandole la carne senza freni, le vene si gonfiavano ed esplodevano, ricoprendo la pelle di lava che bruciava e la scioglieva: il fuoco la stava divorando. Il suo stesso essere la stava fagocintando. Le corde vocali vibrarono tanto che le parve soffocare...
 

***
 

-È tutto okay... È tutto okay... Non era reale. - fece una voce buona all'orecchio.

In ginocchio, mugolava. Tremava. Aveva la pelle umida e tiepida. I capelli le si schiacciavano sulla faccia, pesanti e gonfi d'acqua.

-Sssh, basta...

Era immobilizzata. Le braccia incrociate al petto, tenute ferme da una stretta di metallo. Forse stava ancora sognando. Diede una spallata debole, ma non servì a nulla e tutto ciò che riuscì a fare di conseguenza, fu una smorfia di dolore e un urlo disperato.

-No, no, no. Sono io. Sono Tony. Hey, guardami. Guardami...

Si voltò, tramite un gesto altrui. Mise a fuoco un paio d'occhi castani, due sopracciglia contratte. Poi l'intero volto. Il naso, le labbra, il pizzetto caratteristico di Tony Stark.

Ritornò in sé lentamente. Si guardò attorno, in mezzo al disastro. Scrivanie rovesciate e spaccate, resti anneriti e bruciati, fogli infraciditi, sparpagliati sul pavimento bagnato. Vetri rotti, macchinari distrutti, fumo e polvere. Le sue impronte nere erano ovunque. Non le fu necessario molto tempo per capire che era stata lei a ridurre il laboratorio in quello stato.

-È tutto a posto adesso. È passato. Okay? È stato un brutto incubo.

-Dov'è lo scettro? - si animò tutt'a d'un tratto.

-Ho detto che ti devi calmare. - disse l'altro, cercando di tenerla ferma.

-Dov'è lo scettro, Stark? Dov'è? L'ha preso?

-Sì. - rispose secco il Capitano, alle loro spalle. Il volto oscuro, colmo di un arido sentimento di fallimento. - Loki se l'è ripreso.

Astrid sentì come un mancamento. Si lasciò crollare a terra, la testa tra le mani.

-È colpa mia... - Singhiozzò. Lo ripeté di nuovo, come un mantra.

-Tirati su. - la incitò Stark, ma lei non l'ascoltò. L'afferrò dalla vita per rialzarla, ma dovette prenderla in braccio perchè non collaborava.

-Forza, Testa Calda...

Si lasciò trasportare come un sacco vuoto.

Era fatta. Era successo. Era la fine. Di nuovo, non aveva fatto in tempo.

 

***
 

Se ne stava seduta scomposta sul pavimento a fissare un punto vuoto nella stanza. Persa, come un relitto sottomarino, uno di quelli ricoperti di muschi ed alghe, in balia delle correnti e dimenticati dal mondo. Come una bambola abbandonata in uno scantinato buio, riempito di scatole, ragnatele e ricordi infranti.

Stringeva ancora le forbici in mano. Stringeva le lame, sperando quasi di sentire la carne tagliarsi. Le braccia a incorniciare un ginocchio piegato, l'altra gamba distesa, lungo una retta infinita. Sbatteva solo le ciglia di tanto in tanto. Spostava il fuoco dell'obbiettivo più vicino o più lontano, seguendo con gli occhi il bordo perfetto delle tavole del parquet, come una mappa del tesoro che la guidasse per trovare qualcosa di interessante, qualcosa per cui valeva la pena riprendere il gioco.

Non pensava a niente. Da quanto tempo se ne stesse lì così, sbattuta in quell'angolino, non lo sapeva. Qualche ora, tutto il giorno... Che importava? Si sentiva identificata in quella quiete, in quel silenzio totalizzante.

Roteò il capo verso la finestra del bagno, da cui la luce rosea di un sole che scoccava sul suo ultimo quarto giornaliero, filtrava tenue e malinconica.

I busti dei grattaceli imponevano la loro ombra sulla città sottostante. Si chiese cosa ne sarebbe stato del suo corpo se si fosse gettata da quell'altezza. Magari da un salto del genere non avrebbe avuto scampo nemmeno lei. Tuttavia non sarebbe stata la cosa peggiore. Lo sarebbe stato scoprire il contrario: sopravvivere e affrontare la vergogna di una sconfitta contro lo scherzo che la natura le aveva fatto per deriderla.

Si trovava al capolinea. Di nuovo. Era come se per ogni sforzo che facesse per riprendersi, c'era una forza contraria che le staccava le mani dalla risalita e le tirava un calcio in faccia per farla precipitare nuovamente. Questa volta l'aveva colpita con cattiveria. La sorte si era impegnata malignamente per fargliela pagare.

Non capiva il senso di tutto quell'orrore. Quelle scene che continuava a rivivere e rivivere come un monito, forse significavano qualcosa... Ma che cosa?! Quelle mani, quelle voci così familiari, quegli ambienti tanto cupi, quel dolore fisico che le spremeva il torace, le strizzava il cervello come un'agrume, talmente vero, talmente insopportabile da toglierle il fiato anche in quel momento, in cui scrollava il capo contro la parete, cercando di mandarlo via. E tutta quella collera cieca e animale, quella furia inarrestabile e incontrollata... Che cos'era?!

E Sam, anche tu. Perchè continui a farmi del male?

Fino a quando doveva continuare quella tortura? Fino a quando avrebbe dovuto combattere contro sé stessa?

Pensava di essere riuscita a liberarsene. Aveva dato un taglio a tutto ciò che apparteneva alla sua vecchia vita. Non aveva che le sue certezze, quando era partita e adesso anche quelle si stavano sgretolando, come le ciocche di capelli che si era tagliata malamente e che lo scarico dell'acqua si era portato via nelle fogne.

A un tocco di nocche si susseguì un debole richiamo. Strizzò gli occhi per rimpicciolire la spaccatura che quell'inflazione aveva creato nel suo rassicurante castello di solitudine.

Natasha bussò di nuovo. Non avrebbe accettato un'altra risposta muta. Disse che stavano per cenare e che avrebbe dovuto mangiare qualcosa anche lei, se non voleva lasciarsi morire.

Eppure non suonava affatto male. Chissà se la sua maledizione avrebbe ovviato anche al problema della fame?

Aprì per sfinimento. La Vedova sapeva fare bene anche la parte dell'amica apprensiva.

La Rossa non disse nulla, quando la vide in quello stato. Appuntò l'angolo della bocca in un'espressione comprensiva. Neutralizzò, con sguardo saggio, le parole brusche che sgomitavano irrequiete nella testa della scapigliata e si riversavano negli occhi gonfi di pianto, le sole con cui Astrid avrebbe accettato di rompere il silenzio penitente per una ripicca senza un preciso bersaglio.

Non c'era bisogno che parlasse: s'intendevano perfettamente a cenni e l'ultima cosa che Astrid avrebbe voluto ricevere era una consolazione.

Non c'era niente per cui essere consolata. Non sarebbe valsa a niente. L'avrebbe fatta sentire ancora più patetica di come non si sentisse già, a piangersi addosso come una fallita.

Natasha le aggiustò l'unico ciuffo superstite dietro e orecchie. Le tirò su il mento con un gesto dolce, come per introdurle uno dei suoi insegnamenti. Si sentiva talmente affine a quella ragazza che qualche vota le pareva di rispecchiarsi in un suo clone.

Riconosceva quella faccia: era la faccia di qualcuno che cercava di nascondere un'eterna lotta interiore, come se si potesse ovviare al disordine ricoprendolo con un sottile telo bianco. Lei sapeva cosa volesse dire: ce l'aveva anche lei quella faccia, quando tornava a casa dopo ogni missione. Solo che lei aveva imparato a mutarla. Col tempo, aveva imparato a mentire anche allo specchio.

Non voleva che diventasse come lei. Aveva visto troppo sangue nella sua vita, ne aveva sparso troppo senza battere ciglio. Sentiva il dovere morale di preservare quel pizzico di umanità che sarebbe bastato per allontanarla da tutte le atrocità e che invece Astrid si industriava attentamente a far scomparire sotto tutto quel freddo cinismo.

In aggiunta, Tony non aiutava. Anzi, contribuiva ad impiantare un silente germe d'odio per sé stessa, come una malattia. Aveva una cattiva influenza su di lei. In entrambi spiccava da sempre la tendenza autodistruttiva a rovesciare le proprie colpe in una continua ricerca di annullamento. Ora che si erano incontrati, ognuno sosteneva il lato masochista dell'altro, trovando una certa rassicurazione, una giustificazione alle proprie condotte insalubri. A quel punto nessuno dei due trovava il motivo per cui tirarsene fuori. Una coppia fatale.

Era per questo che il Capitano le aveva dato il compito di tenerli d'occhio. Steve non sopportava di vedere Tony in quelle condizioni. Lo preoccupava ai tempi in cui era completamente solo e alla deriva, dopo che Pepper se n'era andata, e adesso che aveva trovato qualcuno che potesse capirlo senza chiedere, senza giudicarlo, ma senza nemmeno offrirgli la possibilità di salvarlo, sarebbe stato definitivo. Non poteva permettere che si trascinasse ancora più in basso, tenendosi quel cruccio devastante come un'ineluttabile volontà del destino.

Lo stesso valeva per Astrid. Ma in quegli occhi umidi ed elusivi, per quanto tristi, la giovinezza iniettava ancora una scintilla di amor proprio, un barlume di speranza nel futuro, una protesta silenziosa, un tiepido sentimento di rivalsa. Doveva fare qualcosa per quella piccola scintilla di vitalità. Non poteva lasciare che anch'essa si affievolisse sotto la mortifera mano della realtà in cui vivevano.

Il senso di colpa era parte integrante di quel lavoro. Bisognava imparare a conviverci. E nonostante non fosse stata una sua totale scelta decidere o meno di arruolarsi, adesso doveva fare i conti con le proprie responsabilità. E non a quelle vincolate alle direttive delle missioni, che per Astrid costituivano una mera tappa da raggiungere per poter, una volta a casa, non doverci più pensare. Bensì a quelle riposte nella zona più vulnerabile dell'essere, quelle che ci si impunta di far fronte per mantenere la parola data al più grande giudice universale: la coscienza.

Era la coscienza il punto debole di Astrid. Poteva bucare una lastra di metallo con un dito, attraversare lingue di fuoco infernale e guarire da una pugnalata al fegato entro mezz'ora, ma niente l'avrebbe mandata a tappeto più di un resoconto personale.

Tutti sapevano che quello a cui giocavano non era veramente un gioco. Interpretare il super eroe invincibile era la parte più facile della giornata. Bastava un sorriso narciso, una frase fatta, una posa consapevole, perché una moltitudine di ragazzini cominciassero a spingersi per un autografo o una foto, perché le bocche di tutti avessero di cui parlare e la stampa su cui guadagnare. Nessuno sapeva che cosa si passasse una volta rilassati i muscoli, una volta tolta la maschera.

Come se non bastasse, passata l'euforia iniziale, erano iniziate le diffamazioni pesanti e l'immagine degli eroi più venerati d'America era crollata verso il degrado. I giornalisti se ne inventavano di tutti i colori pur di avere in prima pagina la spia assassina, il miliardario in miseria, la bestia iraconda, il cecchino, l'alieno... Forse solo Steve era ancora ben visto, o non avevano avuto tempo per trovare una pecca nel suo curriculum prima della fresca notizia sulla nuova componente.

Natasha non leggeva mai i giornali, per evitare di rovinarsi il fegato, ma passando, le era caduto l'occhio sull'intestazione del daily di New York:

"Mostro incandescente in circolazione. Gli Avengers non si danno per vinti e assumono una malvivente canadese".

Si era avvicinata, aveva letto le righe sottostanti che citavano:

"Astrid Sullivan è il nuovo volto della nostra salvezza".

Sotto, una breve, ma accurata biografia in cui declamava ogni misfatto della ragazza; e poi, il colpo di grazia:

"Ancora una volta il Governo Americano ci saluta dal suo caldo trono, affidando il mondo ad una squadra di criminali autorizzati".

Non l'aveva detto a nessuno e sperava che almeno lei ne fosse rimasta all'oscuro. Non aveva assolutamente bisogno di un altro dito puntato, un'altra voce che esibisse il proprio parere su di lei. Non era incosciente, sapeva che cosa aveva fatto.

Non c'era dubbio che fosse avventata, violenta, presuntuosa e fin troppo sicura di sé, ma era umana. Come lo era lei, come lo era Steve, come lo era Tony, Bruce, Clint... E nel senso più profondo anche Thor. Nessun tipo di capacità sovrannaturale sarebbe mai stata in grado di eliminare le emozioni, i sentimenti. Sarebbe dovuto essere questo il punto di forza degli Avengers. Non erano un semplice gruppo di combattenti con abilità speciali: erano prima di tutto cuori pulsanti.

Era un bene che ancora potessero gioire come soffrire, perché il loro era un mondo troppo brusco, troppo crudo per lasciarsi andare. Bisognava risollevarsi e combattere. E dovevano farlo insieme.

Quindi le tirò su il mento. Corrucciò un po' le sopracciglia per darsi un'aria più autorevole. Dischiuse le labbra rosse e senza scomporsi, lanciò un motto premuroso:

-In piedi, guerriera.

***
 

-Ma chi cazzo hanno nominato quaterback quest'anno?! Sembra che non riesca a stare in piedi sulle proprie gambe! Corri! Corri! Ce l'hai! Oh, dai... Ahh...

Clint lanciò un gesto di noia. Fece saltare la padella sulla fiamma, girò la carne dalla parte rossa sulla piastra che sfrigolò, aggiunse un pizzico di sale. Ogni tanto si voltava, per aggiornarsi sul grado di oscenità della partita, accesa sul televisore ultra piatto e ultra vistoso, integrato alla parete. Il telecronista si animava meno di lui.

-Non sarebbe passato lo stesso. - lo demolì Stark. Un braccio a sostenere tutto il corpo dal lavandino. Un piede accavallato all'altro. Stappò una birra, si portò il bordo sulle labbra.

-Bastava che passasse al compagno: era completamente smarcato!

-Avrebbero intercettato il lancio. Sono dei bestioni. Quanto scommetti che fanno esercizi extra per distruggere gli avversari in questo modo?

-Potrebbero essere battuti in velocità. Si muovono come ippopotami.

Stark gli lanciò un'occhiata.

-Ti dona quel grembiulino, sai? Sembri Mrs Doubtfire ai tempi d'oro.

-Ah-ah... Intanto sto preparando da mangiare per tutti. Tu invece che fai?

-Ti ammiro. Mi stupisco che tu non abbia una famiglia per cui cucinare. Una bella moglie, un paio di marmocchietti che ti fanno la festa quando arrivi a casa...

-Nah, sono un tipo solitario. - ribattè, senza troppa convinzione.

-Ti ci vedo a smontare e rimontare il salotto di una casetta di campagna, lontana dal caos cittadino, dalle missioni... Dall'occhio di Fury...

-Ci penserò. - tagliò corto l'altro.

-Cristo santo, quella pelle avrà preso la forma del suo deretano! - esclamò, gli occhi puntati sulla figura di un Capitan America che pareva fondersi tutt'uno col divano.

-Non credo che stia guardando la partita.

-Ora glielo chiedo. Rogers? - alzò il tono - Tu che dici? Come stiamo andando?

Clint gli sostenne la parte.

-Sembrano che giochino per la prima volta. Qualcuno dovrebbe provare a rompere il ghiaccio con quel pallone, non trovi anche tu?

Tony lo guardò con un'espressione come contrariato che gli avesse rubato la battuta, ma divertito dalla sorpresa. A Clint scappò una pernacchia mentre cercò di trattenersi dal ridere.

Steve non fece una piega. Era assorto nei suoi pensieri e non si accorse per nulla degli scherzi dei compagni. Fissava un punto tra la parete e lo schermo. Piegato in avanti, i gomiti sulle ginocchia, le mani richiuse l'una sull'altra appoggiate alla bocca socchiusa. Pensava ad una soluzione, ma non aveva niente. Nessuna pista da seguire, nessun indizio. Non capiva gli attacchi a intermittenza del nemico e soprattutto non capiva più che cosa fare con quella spericolata.

-Dovresti stendere un po' i muscoli. - fece Tony mentre si sedeva accanto a lui. Gli offrì una birra. Il Capitano l'accettò volentieri.

-Non so cos'ho sbagliato. Qualcosa è sfuggito al mio controllo e non riesco a recuperarlo.

-In effetti un particolare di sfugge.

-Quale?

-Non puoi pretendere di avere tutto sotto controllo.

-Ultimamente mi sto rendendo conto che non ho sotto controllo proprio un bel niente.

-Non potevamo sapere quello che sarebbe successo. Loki è uno stratega. Era lui ad avere in mano il gioco e noi non ce ne siamo accorti. E Astrid è... - stava per dire "pazza". Disse: - Imprevedibile.

-Io però ti avevo mandato a proteggerla.

-Non starai dando la colpa a me?

-Mi chiedo solo cosa stessi facendo mentre lei era con Wanda...

-Ero con Wanda anch'io. L'altra Wanda. Quella finta.

Steve increspò la fronte.

-Quindi quando Loki si è smaterializzato davanti a noi, appena Astrid è partita... Si è teletrasportato qui?

-Già... Pensava di fare più in fretta, io l'ho rallentato.

-Ma non l'hai fermato.

Non l'aveva fatto. L'aveva lasciato andare. Quel ghigno che avrebbe voluto sgretolare a suon di pugni gli appariva davanti anche adesso, nella condensa della bottiglia. 
Aveva cambiato aspetto, prendendosi gioco di lui per l'ennesima volta. Ce l'aveva avuto tra le mani, era stato pronto per lanciargli un raggio di energia e sfregiargli quella maledetta faccia da insolente.

-Lei dov'è? - gli aveva chiesto, riferendosi ad entrambe senza distinzione.

-Suppongo che sia in compagnia. - aveva risposto l'altro, tutto esaltato per la domanda - La vostra amica ha molto coraggio... o è solo molto stupida. Chissà se mostrerà ancora tutta quella spavalderia quando si troverà da sola contro la sua mente?

L'aveva lasciato andare. C'era ancora la forma dell'impatto sul muro, ma si era limitato ad assestargli un solo colpo e probabilmente era stato come una spinta leggera per lui, nonostante il volo. L'aveva lasciato scrostarsi dalla pietra ricomposta ed era volato via.

Nonostante tutto, quella piccola sbavatura di negligenza non era servita a granché. L'aveva vista accasciarsi a terra, un esserino scuro e fragile al centro di un cerchio di fiamme, che debolmente morivano sotto l'acqua dell'antincendio. L'aveva raccolta dal pavimento come un fiore smunto, mentre tornava nella sua forma umana e rabbrividiva, incosciente. Era così piccola, così fragile... L'aveva tenuta tra le braccia finchè non era tornata a muoversi. Si era sentito talmente vulnerabile anche lui, mentre sperava in un sospiro, in uno spasmo. Benché JARVIS lo avesse informato della sua effettiva salute, aveva sentito la necessità di assicurarsene con i suoi occhi.

-Da quanto tempo è chiusa là dentro?

-Qualche ora. Ha espressamente chiarito la sua ripugnanza per ogni genere di psicoanalisi.

-Mi dispiace. L'avevo avvertita. Non volevo dirlo, ma...

-Ma l'avevi avvertita.

-Ho perso le speranze con lei, Tony.

-Non dire così...

-Siamo dovuti arrivare a questo... Che cosa devo fare per farmi ascoltare? E non dirmi che devo parlarle come l'altra volta, perchè evidentemente non ha funzionato.

-Dalle tempo. Stavi andando bene! - lo incoraggiò Stark, scossandogli amichevolmente una spalla.

-Sì, ho visto i risultati...

-Problemi di fraintendimento?

Fury salì l'ultimo gradino come una conquista. Era solo col suo solito broncio serio.

-Ti sei fatto tutte le scale a piedi? Ma cosa siete, dei cyborg, voi due? - lo prese in giro Stark guardando anche Steve. Si alzò e si diresse verso il piano cottura senza un'intenzione concreta di fare qualcosa. Anche il Capitank si alzò, ma per forma.

-Fai meno lo spiritoso. Dovresti piuttosto chiarirmi due cosette.

-Riguardo a...?

-Riguardo allo scettro e al perchè si trovava nel tuo laboratorio e non in quello dello SHIELD come avevamo stabilito. Che ci volevi fare?

-Curiosità. Volevo fare una ricerca o due... sui metalli alieni. Niente di che. Avevi intenzione di tenertelo tutto per te, lo capisco. Un oggettino molto affascinante, devo dire.

-Spero solo che questa curiosità non nuoci, un giorno, al genere umano.

-Perchè ci allieti di questa tua visita?

-Mi è stato riferito che vi siete fatti abbattere da un paio di trucchi di magia.

-Loki è capace di mutare il suo aspetto a piacimento, lo sapevi questo? - chiese Steve.

Fury alzò le sopracciglia. Aggrappò le mani alle anche. Ci pensò su.

-Sta usando tutte le sue risorse. Questa volta non ripiegherà su piani di fuga.

-Che cosa dovremmo fare? Siamo completamente disorientati. Ora che possiede lo scettro, a cosa punta?

-Ha già portato un gigante sulla Terra. Forse sta cercando il modo di trasportarne altri, come ha fatto con i Chitauri. - ipotizzò Clint, ai fornelli.

-Questo però non spiega perchè sia sparito finchè non abbiamo confiscato lo scettro all'HYDRA. Perchè non ha attaccato ancora?

-C'è un motivo anche per quello. Vero, Nick? O glielo dici tu o glielo dico io. - fece Stark da dietro la bottiglia di birra.

Fury lo guardò storto. A Tony Stark non si poteva nascondere niente.

-Abbiamo recuperato un frammento di Tesseract dove il gigante era sbucato la prima volta. Ora è in mano ai nostri scienziati, assieme alla reliquia intera.

-Un frammento? - domandò il Capitano, sollevando le sopracciglia, stupito.

-Loki si era tenuto un pezzetto per sé, come souvenir.

-Quindi è con quello che è riuscito a far passare il mostro!

-Ma non gli sarebbe bastato comunque per un esercito. Il frammento può aprire un piccolo varco per poco tempo, non sufficiente per far passare un'armata intera di giganti.

-Quindi abbiamo di nuovo quello che gli serve.

-Per l'appunto, preferirei che Loki rimanesse in possesso solo di ciò che ha già. Non esulterei in un secondo round di New York. E neanche voi, suppongo.

Fury studiò le espressioni sui volti dei suoi combattenti, chi più rincuorato, chi meno. Di quel gruppo di uomini e donne alla deriva, disorientati e sconquassati, era riuscito a ricavarne una squadra, più o meno vincente. Spesso doveva incoraggiarli, tirare su loro la testa, mostrare loro la strada, come si fa con i bambini. Avevano i difetti e le incongruenze di una famiglia. E benché non fossero perfetti, lui andava molto fiero di loro, come fossero una sua creazione, come fossero figli suoi.

-Sbaglio o vi mancano dei pezzi? Dove sono Sullivan e Romanoff?

-La prima in penitenza. Al muro del pianto. - Rispose Stark mentre si puliva il baffo con la lingua. - L'altra è andata a darle una pacca sulla spalla.

-Le rivedrò prima che me ne vada o...?

-Per tua sfortuna siamo già qui. - Rispose Natasha, uscendo dall'ascensore. Si portava dietro un'ombra afflitta. - Che profumino! Cos'è? - E come una bambina intinse il dito in uno dei pentolini. Clint le diede un colpetto di mestolo sul dorso della mano, ma quella si era già ficcata il dito in bocca, ridendo.

-Uh! Finalmente qualcuno ha deciso di degnarci della sua presenza! - Commentò Tony.

Astrid intercettò uno sguardo malizioso, ma fece finta di niente.

-Quindi siamo di nuovo al completo? - Appuntò il Capitano.

-Non ancora. - Rispose Fury - Ragazzi? Forza, non siate timidi.

Due figure titubanti apparvero sulle scale, come se avessero aspettato, nascosti, il momento opportuno. I gemelli si affiancarono a Fury, occhi bassi, imbarazzati. S'intirizzirono tutti quanti alla loro vista, secondo l'istinto di difesa.

-Loki li teneva sotto tiro. Non avevano altra scelta che difendersi l'un l'altro.

-E quindi hai dato loro un motivo per cui allearsi con noi. - Concluse Stark.

-Non io. Gliel'ha dato Loki.

-L'HYDRA ci teneva prigionieri, ma non è stato niente in confronto a ciò che Loki ci ha fatto. Vogliamo... Vendicarci. - Affermò Pietro, il più spigliato dei due. - Ci dispiace per quello che abbiamo fatto... Spero possiate capire.

Stark aprì le braccia come se niente fosse.

-Benvenuti tra i Vendicatori, allora! E Barbie? Anche lei è con noi o deve mettere in piega la chioma?

-Thor è al Quartier Generale con Banner.

-E la scienziata smilza... - Fece un occhiolino ad Astrid, mentre lei sfilava una birra per sé dalla cassa, alle spalle di lui.

-Quindi che facciamo? - Ripuntò il Capitano.

-Prendetevi la giornata. E ponderate. Che non si ripeta di nuovo quello che è successo stamattina.

Steve fece un passo avanti.

-Per quello è stata colpa mia. - Si sarebbe assunto tutte le responsabilità anche questa volta.

-No, mia. - Fece una vocina nascosta.

Astrid strinse i pugni. Aveva provato quella frase nella mente un centinaio di volte, nell'ascensore. Adesso sentiva di stare diventando tutta un fuoco per la vergogna, ma doveva farlo. Era giusto così. Doveva rimediare al danno provocato e come minimo doveva scusarsi. Non aveva alibi come i due gemelli e questo l'avrebbe resa suscettibile ad ogni accusa. Guardò dritto negli occhi di Steve, il quale la stava già fissando incredulo.

-Mi dispiace. Me ne assumo tutte le colpe. Sono stata stupida a pensare che avrei potuto fare tutto da sola... Avrei dovuto ascoltarti.

Steve la guardò perplesso. Non gli sembrava vero. Poi annuì.

-Va bene. - La assolse.

-Ragazzi, a tavola! - Esclamò Clint spaccando l'imbarazzo.

Tony lo guardò mentre accatastava i piatti puliti per riempirli.

-Questo tono mi da proprio l'idea del padre di famiglia modello. Di quelle che si vedono nelle pubblicità, sai? Tutte carine e sorridenti. Stai a vedere che il Falco ha una vita segreta che ci tiene nascosta!

Clint gli mise un piatto fumante tra le mani.

-Smettila di dire cazzate e servi.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Solo un ripiego ***


Neve e Cenere | Marvel

15 . Solo un ripiego


Era un mese che dormiva discretamente. Si buttava nel letto e si alzava la mattina seguente senza interruzioni. Forse tutto quel movimento le pesava anche sul cervello che non aveva più forze per rimuginare.

Il soffitto sembrava meno buio quella notte, l'aria troppo agitata per farla riposare. Controllò l'orario. Era quasi l'una. Questa volta non avrebbe indugiato fino alle tre. Fece un sorriso su un ricordo mentre infilava il paio di leggins appeso sul bordo del letto. Premette quel bottone, nell'ascensore, che l'avrebbe portata a non sentirsi così sola.

Non era più salita di notte perchè il sonno glielo impediva, ma ogni tanto ci tornava col pensiero. Passò con la mano sul lungo piano in marmo.
Il cielo, seppure scuro, non mostrava le stelle, perchè le luci della città si sovrapponevano creando quello che Astrid si immaginò come un cappello che copriva il capo di tutta New York e dintorni.

In periferia le stelle si vedevano meglio. A casa sua si poteva ammirare quasi sempre una spruzzata di lentiggini bianche, soprattutto in estate. I lampioni perfettamente funzionanti erano pochi e non riuscivano ad illuminare tutto il quartiere, figuriamoci se potessero competere con la Via Lattea.
Tra le strade si sentiva solo l'abbaiare del cane della vicina e di rado, il motore delle automobili che evitavano le strade principali. Escluso questo, non c'era bisogno di tecnologie fonoisolanti perchè tutto piombasse nel silenzio.

Si ricordò di quante volte avesse desiderato andare a vivere in un paesino di mare. Uno di quelli che vanno avanti grazie al porto, uno di quelli in cui, quando apri le finestre della camera, ti viene incontro la brezza salata del mare e l'odore di pesce fresco del mercato. Uno di quelli in cui si passeggia per strada e ci si saluta, ci si da il buon giorno o la buona sera anche tra sconosciuti. Avrebbe voluto vivere in un posto così anche da sola, lontana da tutto quello che le ricordava sé stessa. E adesso che ammirava quel paesaggio di plastica, metallo e appariscenza, avrebbe preferito di gran lunga tornarsene a quell'appartamento rovinoso che chiamava "casa", nella Montréal povera e abbandonata dal mondo.

L'ascensore si spalancò. Tony si fermò tra le porte. Non si aspettava di vederla lì. Non disse niente per un lungo minuto, finchè non sentì il bisogno di comunicare.

-Vuoi bere qualcosa? - chiese, mentre stappava una bottiglia scelta accuratamente dalla seconda fila. - Ti faccio un thè caldo o una camomilla. - sfilò un bicchiere dalla pila - O preferisci una spremuta? È un po' che non ci facciamo una bevuta insieme. Non so se hai cambiato gusti nel frattempo, considerando le tue nuove frequentazioni...

Astrid non abboccò all'amo. Lo ignorò totalmente. Era tanto che non beveva. Il Capitano le aveva messo la pulce nell'orecchio della linea positiva. Infondo non aveva bisogno di rifugiarsi nell'alcol, se nemmeno le faceva effetto. Anche lui aveva avuto lo stesso inciampo, le aveva confidato una volta, ma proprio non riusciva ad immaginarselo con una bottiglia in mano.

-No? Niente? Lo capisco, sai, che non ti va di parlare. So cosa significa quando qualcuno ti fruga, con le mani sudicie, nei tuoi pensieri. L'ha fatto anche a me, sai?

-Ah, sì? - fece lei senza voltarsi, il tono invariato.

-A Sokovia. Non è stato bello. Ho visto quel coso orrendo muoversi sulla mia testa. - rispose, ruotando un dito puntanto verso l'alto.

-Ha un po' di cose da farsi perdonare, allora... quella là. - Non la poteva vedere.

Stark si sedette di fronte a lei. Posò la bottiglia a terra. Sorseggiò, aspettando che parlasse ancora. Dal lato illuminato del volto si notava una macchia scura: una scottatura. Astrid allungò una mano. Era stata malamente curata o per niente. Doveva averlo colpito senza volerlo mentre aveva tentato di tranquillizzarla.

Tony si scostò appena.

-Non è niente...

-L'armatura? - chiese, mentre si ritraeva all'indietro nel suo nido come una chioccia, a covare un modesto senso di colpa.

-È già sistemata. E comunque ne ho un paio di riserva.

-Ho fatto un bel casino, eh?

-Sarebbe potuto capitare a chiunque. - La giustificò. Bevve. Ridacchiò per un pensiero comico. - Pensa a cosa avrebbe fatto il Verde!

Astrid sorrise per riflesso.

-Sarebbe stato un bel guaio farlo rinsavire!

-Già. Forse sarei stato costretto a chiamare Veronica...

-Veronica?

-È solo un programma anti-Hulk progettato dal dottor Banner. Sai, per quando... Va fuori di testa.

Astrid appoggiò la fronte al vetro, annullando la visione del proprio volto.

-Dovrebbe esserci anche un programma anti-me.

-Oh, no. Tu sei il fuoco che anima la squadra!

Astrid arricciò un angolo della bocca.

-E che la mette in pericolo, se non la distrugge.

-Oh, ma per la miseria! Non si può parlare con te...

-Sono così pessima?

-Dovresti risollevarti. Mi sembrava che stessi meglio, ultimamente. Ridevi addirittura!

Astrid ritirò l'impulso per non dargliela vinta.

-Ecco, vedi? L'hai rifatto.

-Che? - non le riusciva fare finta di niente: quell'espressione ludica le metteva allegria.

-Quella cosa che fai con le labbra quando ti diverti. Vedi che lo sai fare? Non è difficile, anche per una musona come te.

Astrid gli tirò un colpetto sulla gamba.

-Stupido...

Poi tornò seria. Si sentì un po' imbarazzata. - Devo farti una domanda.

-Sono tutt'orecchi. - fece l'altro, attendendo aldilà del bicchiere.

-Che cos'hai visto quando ero...? Insomma... Hai visto qualcosa di insolito stamattina? Riguardo a... al mio corpo?

-Intendi oltre alla pelle squamosa da inquietante mostro dell'oltretomba? No, niente di che.

Tony Stark, medaglia al valore per il tatto.

-Lo sa qualcun altro?

Tony increspò la fronte, sollevò le spalle: non ne era molto sicuro.

-È normale? Ti capita spesso?

-Non lo so. È iniziato quando è apparso il gigante. Non so cosa sia... E poi c'è un'altra cosa. - Strinse le gambe al petto come per difendersi da quello che stava per dire. - Ho dei vuoti. Prima dei dodici anni io non... Non ho ricordi. Faccio dei sogni talmente vividi, così insistenti... Li ho rivisti anche nella visione della... - "Stregastava per dire. - Di Wanda.

-Forse sei ancora un po' scossa.

Astrid scrollò la testa mentre si torturava le mani.

-Li ho da sempre. Da prima che venissi qui. Da prima che accadesse tutto. È come se avessi rimosso interi anni della mia vita e loro cercassero di riemergere lo stesso.

-Credi che lo SHIELD ti stia nascondendo qualcosa?

Astrid sollevò il capo di scatto.

-Perchè, tu lo pensi?

Tony fece spallucce.

-Be'... È stato fondato apposta per nascondere fatti alla gente... Però hanno un sistema di protezione dati alquanto ridicolo. - mandò giù l'ultimo sorso fingendo di non dare importanza a quell'ultimo dettaglio, al quale Astrid si illuminò, come una rivelazione.

-Tu... Potresti... Hackerare i file dello SHIELD...?

Stark si portò un dito sul naso.

-Non dirlo troppo in giro però.

Astrid gli stava quasi mettendo le braccia al collo, ma l'aria si raffreddò improvvisamente.

Una silohuette scura era apparsa in mezzo alla stanza, illuminata dai tenui neon sopra la collezione colorata degli alcolici e avvolta in un frizzante fumo rosso.

-Oh, scusate, non volevo interrompere. E non stavo origliando, lo giuro. Il fatto è che... Non riesco a dormire...

La Strega. Proprio lei mancava...

Wanda si fece avanti in una vestaglia che le copriva a mala pena le cosce magre, con quei capelli lunghissimi che superavano la metà schiena e sembrava che portasse un mantello, come Thor.

-Prego, unisciti al duo degli alcolisti insonni! Abbiamo catastrofismo, malinconia e... Da bere! - Stark si alzò e si indirizzò verso il banco. Cedette la bottiglia nelle mani della ragazza. - Ah, attenta a non lasciarla incustodita: quella si beve anche il vetro!

-Tsé... - Astrid fece un'espressione di stizza. Poi si voltò verso la città.

-So che puoi farlo. Lo sciogli in una mano e via! Come uno shottino.

-Grazie, ma sono a posto così. - Disse l'altra, accennando un sorriso timido. Posò la bottiglia sul banco, riluttante. Si sedette su uno sgabello.

-Non puoi unirti al club degli alcolisti se non bevi.

-Magari vuole tenere la mente lucida per torturare qualcun altro... - Fece Astrid, con un filo di cattiveria vendicativa che non si curò di ammortizzare.

Stark sbattè il bicchiere sul lavandino.

-Possibile che devi sempre rovinare tutto?

-Ops! Mi è sfuggito.

-No, ha ragione. - Iniziò Wanda. Si voltò verso Astrid, incassando lo sguardo meschino con colpevolezza. - Non c'è sollievo al dolore che ti ho provocato. Mi dispiace, non so come rimediare.

-Io ti perdono. - Avanzò Stark e allineò tre bicchierini sul banco.

Wanda sventolò una mano in segno di rifiuto.

-No, no, io non...

-Oh, avanti! Non ti fa niente! - assicurò Stark, mentre il beccuccio della bottiglia riempiva il vetro di un liquido di cui si notava solo il bordo. Scambiò un'occhiata all'asociale. Astrid scosse la testa. Lui lo riempì lo stesso, come un ricatto psicologico.

-Uffa... - Alzò gli occhi al cielo, sbuffò rumorosamente. Si alzò solo per farlo smettere.

-Come? Hai detto qualcosa?

-Sta' zitto.

Si sedette ad uno sgabello di distanza dalla Strega. Avvicinò il bicchierino davanti a sé. Eluse lo sguardo di Tony, il quale in realtà lasciò correre l'ultima bambinata e alzò il proprio drink in aria.

-Al club degli insonni.

I bicchieri di Wanda e di Stark tintinnarono l'uno contro l'altro. Astrid lanciò loro un'altra acida occhiataccia.

-Cin! - Stark fece suonare anche il suo bicchiere, senza perdere il contatto visivo con quei pozzi profondi pieni di un sentimento corrosivo.

Astrid bevve tutto, come se non la esumasse dall'escludersi dal gioco.

-Tutto d'un sorso. Non lo senti nemmeno. - Assicurò Tony all'altra, la quale fissava il liquido come se fosse incapace di bere. - Guarda, ti fa vedere lei. - Riprese la bottiglia e riempì di nuovo il bicchiere vuoto di Astrid, una luce di sfida negli occhi.

Quella, per ripicca, allontanò il bicchiere con due dita. Rifiutò la concorrenza di una gara di simpatia in cui aveva perso in partenza.

-Passo.

Scese dallo sgabello. Aggirò il bancone e fuggì dalla stanza con sdegno. Fece un salto in camera per infilarsi le scarpe. Scese di nuovo con l'ascensore. Afferrò il giubbotto di pelle appeso all'entrata, ma non fece in tempo a mettere piede all'esterno che l'ombra di Stark la stava raggiungendo nel corridoio. La chiamò. Lei incalzò il passo.

-Fermati. Per piacere! - La pregò, sfiorandole una mano.

Astrid infilò le mani in tasca e lui dovette stare al passo perchè non aveva alcuna intenzione di fermarsi a parlare.

-Lasciami stare.

-Dove stai andando?

-Sono cazzi miei.

-Ma che cos'hai? Si può sapere che ti è preso?!

-Oddio, Stark! Non devo sempre avere qualcosa per voler stare da sola!

-È per lei? È per lei che stai facendo questa scenata? Stavamo bene fino a poco fa e quando è arrivata sei cambiata totalmente.

-E anche se fosse? Che te ne frega?

-Senti, posso capire che tu nutra antipatia per tutti coloro che cercano di insediarsi nella tua testa, letteralmente o metaforicamente... Ma per la miseria! Potresti smettere di essere così scontrosa una buona volta?!

Astrid impuntò i piedi. Per poco Stark non le arrivò addosso e dovette fare anche un passo indietro per evitare di essere colpito dal suo gesticolare.

-Oh, spiegami tu come dovrei essere! Carina e gentile, sorridere e fingere che mi stiano simpatici tutti? Mi dispiace se io non sono così! Io non so fingere, Stark, non so fingere! E tutta questa storia mi sta facendo impazzire perché devo fingere di stare bene e invece non sto affatto bene! Sono in crisi con me stessa e non so da che parte voltarmi e ogni tanto vorrei solo restare da sola senza che qualcuno mi dica come devo comportarmi! Mi sento come in un enorme palcoscenico in cui fingiamo tutti di tenerci per mano, di essere uniti, quando in realtà io sono sul palco da sola e ho tutti gli occhi addosso per ogni cosa che faccio o che non faccio e devo ancora fingere che mi stia bene!

Tony la guardò storto. Aveva un grumo incastrato in mezzo alla gola e non riusciva a farlo scendere.

-Sei sicura che sia così? Perché mi pare che tu abbia una visione un po' distorta. Qui nessuno pensa per più di due minuti a quello che fai o che non fai. Forse dovresti iniziare a capire che il mondo non gira attorno a te e qualche volta smettere di pensare solo a te stessa. Forse capiresti che non sei l'unica ad avere dei problemi da affrontare ogni giorno davanti allo specchio.

-Oh, certo perchè io sono quella che pensa solo a sé stessa e fa cose stupide e sconsiderate! - Fece lei, esagerando una certa voce da maestrina. - Sono la pecora nera! Voi siete i paladini della giustizia, tutti a fare a gara a chi smussa di più gli angoli scomodi del mio carattere, del mio modo di fare! Volete indirizzarmi sulla strada per il bene, perchè sono una persona cattiva, aiuto! Non è vero?

-Ogni tanto penso davvero che tu sia completamente pazza.

-Ah, bene! Ora sono anche pazza!

-Sì, perchè non ti rendi conto di quello che fai, non ti rendi conto che possono esserci delle conseguenze... Per esempio, quando hai voluto affrontare Loki da sola stamattina, ma che ti è saltato in testa?!

-Volevo solo fare qualcosa di utile.

-Ma non capisco perché devi fare sempre di testa tua! Ti metti nei guai da sola... Perchè non segui quello che ti dice il Capitano, per una volta?! - Stark si portò un palmo alla fronte. - Cristo! Senti cosa mi fai dire!

-Perché io sono così, va bene? Sono sbagliata! Non riesco a seguire degli ordini idioti! Non riesco a fare il gioco di squadra! Io non sono come voi! Voi siete così affiatati, sembra che lavoriate insieme da una vita! Io non diventerò mai così perché... Perchè non lo sono! Non sono fatta per questo!

-Bene. Allora perché non te ne vai? - Azzardò lui, provocatorio. - Non sai giocare di squadra, lo posso capire. Anche io amo fare le cose da solo, a modo mio, ma mi sono adattato. Lottiamo per un bene comune, non ci pensi? Non vale la pena sciogliere le briglie per un po' per puntare a un bene superiore? No, a te non frega niente, ci sei solo tu. Allora vai! Fai le valigie e torna a casa! Firmo io per la buona condotta, se è quello che desideri fermamente da quando sei arrivata!

Astrid si irrigidì. Deglutì dell'amaro, ma non poteva perdere l'occasione di peggiorare la situazione. Era bravissima a girare il coltello nella piaga, indipendentemente dalla direzione della lama.

-Okay. - Lo sfidò di nuovo. Le braccia serrate al petto. Non era intenzionata a mollare l'osso. Gli occhi piccoli come se avesse voluto fagli prendere fuoco con lo sguardo.

-Seriamente? - Chiese lui, l'orgogliosa perseveranza nel non mostrare alcun tipo di sofferenza.

-Serissimamente! Sai che me ne importa di rimanere in questa squadra? Non ci sono mai voluta entrare! È successo solo perché non ho avuto abbastanza coraggio per decidere pienamente della mia vita. Eravate solo un ripiego, il male minore.

-E lo siamo ancora, deduco.

-Deduci bene. - Ribatté lei, indugiando solo un po'.

-Quindi se Fury ti offrirebbe di chiudere il contratto anche adesso e rilasciarti, tu lo faresti?

Indugiò ancora. Ci pensò davvero. Annuì all'inizio dolente, ma poi ne fu più convinta.

-Non sai cosa darei per vedere la mia casa anche solo per un istante. Lasciare questo posto ipocrita per mezz'ora, anche solo dieci minuti... Senza di voi! Senza tutti! Mi farebbe solo bene!

Tony scosse la testa.

-Sei proprio una stronza egoista.

Astrid spalancò le braccia.

-L'hai detto tu.

Sorrise tanto da rendere estremamente esplicito che non era una sua volontà diretta. Fece qualche passo all'indietro, godendosi tutta la delusione che prendeva possesso di quel volto contrito. E quando capì che ormai era fatta, rimise le mani in tasca e voltò la schiena.

Tony non si mosse. Sarebbe dovuto rientrare, faceva troppo freddo per stare senza giacca, perché per inseguire una premura aveva dimenticato che fosse inverno. Ma non si mosse. Rimase a fissare quella piccola macchietta grigia confondersi tra le lucide chiazze di colore sull'asfalto bagnato, le vetrine dei negozi, le ombre anonime che le passavano affianco e la mimetizzavano a mano a mano che s'allontanava dalla sua vista, assieme a una torbida illusione, lasciandogli un'inusuale peso nel petto a cui non sapeva che nome dare. Come poteva essere stato così stupido?

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Proposta indecente / Il peso delle parole ***


Neve e Cenere | Marvel

16 . Proposta indecente / Il peso delle parole


Le decorazioni natalizie avevano già preso il sopravvento tra i palazzi. Si vedeva di tanto in tanto, nelle case e nelle piazze, qualche abete erigersi ricoperto di ghirlande. Era sospeso nell'aria quel profumo caramelloso lasciato dalle bancarelle di dolci e frittelle che il giorno attiravano i bambini tra i genitori e le vetrine dei negozi di giocattoli. Ora quell'atmosfera gioiosa e stantia, vagabondava tra le strade vuote come un fantasma, per ricordarle quanto lei fosse estranea a tutto ciò che si riferiva ad una festa.

Doveva aver percorso più di un isolato. E per più di un isolato aveva camminato fingendo che quelle frasi non le ribollissero dentro ancora, che quel paio di vortici scuri che aveva trafitto non le stessero tornando in mente per la milionesima volta.

Si trascinò in un pub a caso, l'unico che le parve abbastanza vuoto per riempirlo delle sue pene. La voce di una cantante R&B la investì come una calda accoglienza.

Mentre entrava, si scontrò senza farci caso, con una spalla tatuata. Un lardone dalla barba spelacchiata e una bandana stretta attorno alla pelata, l'afferrò dalla giacca e la guardò in cagnesco.

-Hey, stai attenta a dove vai! Guarda che non me ne frega che sei donna. Qui sono io che detto le regole. Hai capito?

Astrid lo squadrò. Colse la palla al balzo per divertirsi, sfogare un po' la rabbia.

-Tu? Con quel panzone?

-Che cos'hai detto?! - scattò in piedi. Era il doppio di lei in altezza e il triplo in larghezza.

-Ah, sei pure sordo!

Astrid afferrò le dita tozze mentre le davano uno strattone. Le stritolò e la carne si arrossava come sotto un ferro rovente. Lo guardò accasciarsi come un verme, alimentandosi di quell'espressione sofferente, orrificata e supplichevole. Il gruppo che stava con lui rimase a fissare la scena. Non uno che provò ad avvicinarsi. Anzi, qualcuno si spintonò, approfittandone per battere in ritirata.

-Basta!

Il barman, un omone nero e nerboruto, le strappò la presa e la spinse indietro. Si piegò sull'uomo. Quello, in un primo momento, pensò che volesse aiutarlo e lo ringraziò anche, ma un istante dopo si vide sollevato da terra come se fosse pesato tre quarti di meno e schiacciò la faccia sull'asfalto.

-Ora, fuori! Andate via! Non vi voglio più vedere!

I rimanenti del gruppo se la diedero a gambe, inciampando tra loro. Parevano pecore. Astrid spalancò gli occhi e la bocca. Cercò di dire qualcosa, ma emise solo qualche monosillabo insensato, mentre l'omone tornò dietro al banco con tutta normalità.

-Forse hai equivocato... Sono io ad averlo provocato, alla fine... - accennò senza rendersi conto che avrebbe potuto fare la stessa cosa con lei.

-Nah, davano fastidio da un po'. Aspettavo solo un pretesto per mandarli via.

-Bè, hai una forza straordinaria. - si complimentò ancora incredula.

-Grazie. Faccio molta palestra. - le rispose lui, impassibile. Aveva un vocione che arrivava dal profondo e un paio d'occhi gentili. - Che ti do?

-Scotch. Liscio. - ordinò lei, mentre si sedeva su una sedia scricchiolante. Al diavolo la linea positiva!

L'uomo recuperò un bicchiere, lo asciugò con uno straccio. Aveva delle mani enormi. Astrid cercò di scorgere una qualsiasi scottatura. Era quasi sicura che l'avesse toccata direttamente.

-No, no, lascia. - disse, mentre lui riportava la bottiglia sullo scaffale.

Quello la fissò strano.

-Te la lascio, ma se dovessi importunare qualcuno dovrò buttare fuori anche te. - la avvertì.

-Farò la brava. Come ti chiami?

-Luke.

-Io sono Astrid.

Luke ci pensò su, mentre puliva il bancone. Le lanciò un paio di occhiate in segreto. L'aveva già vista da qualche parte.

-Mi ricordi una persona che conosco.

Astrid alzò un sopracciglio.

-Non sai quello che dici.

-Sei una di loro?

-Una di chi?

-Ho visto quello che sai fare e non hai paura di mostrarlo. - disse Luke, abbassando il tono della voce. - Devo pensare che sei qualcuno di indesiderabile?

-È esattamente così. Mi piace vedere la paura negli occhi della gente. - rispose lei, con un sorrisetto sadico, mentre si scolava già il secondo bicchiere. - Sto scherzando! - dovette pararsi perchè probabilmente Luke era immune anche al sarcasmo. - Facciamo così: tu manterrai il mio segreto, io manterrò il tuo. Ci stai? - propose, lanciando un cenno alle mani perfettamente sane che si richiusero su loro stesse. Poi Luke si gettò lo straccio sulla spalla e sparì nel retro.

-Non ho nessun segreto.

Astrid si riempì il terzo bicchiere.

-Ti piace vedere la paura negli occhi della gente? Affascinante.

Con la coda dell'occhio lo vide sedersi accanto a lei. Tranquillo, come se nessuno dei due potesse nuocere all'altro. Un gomito sul piano, in una posa da avvenente consapevole.

Astrid proseguì come se non ci fosse, benché un occhio le partì incondizionatamente sulla gemma azzurra dello scettro che aveva posato indisturbato sul banco, come fanno i mafiosi quando vogliono proporti un affare.

Aveva scelto decisamente il momento sbagliato, poichè con il morale attuale, l'interesse di Astrid era tarato sulla quantità di liquido che conteneva la bottiglia davanti a sé. Non aveva paura. Avrebbe potuto farle quello che voleva. Nulla aveva più valore in quel momento. Più che altro era infastidita per il fatto che avesse interrotto il suo momento di alcool-terapia.

-Che vuoi?

-Fare quattro chiacchiere con una... amica.

Astrid scosse la testa, fece uno sbuffo divertito. Si riportò il bicchiere alla bocca.

-Sei fuori di testa.

-Mi incuriosisci.

-Ma davvero? - fece lei, mono tono.

-Ti ho osservata per molto tempo. All'inizio pensavo che fossi solo un altro piccolo intralcio. Un'altra pedina destinata a realizzarsi in un progetto chiuso in sè stesso. Eri un dettaglio irrilevante, non più di un insettino fastidioso. Ma... A un certo punto... Ho visto un bagliore. C'è qualcosa di più in te. Qualcosa che va ben oltre la realtà come credi che sia. Qualcosa di divino.

Gli occhi di ghiaccio luccicavano, come se loro solamente potessero notare un'autentica bellezza oscura, un'aura mistica che avvolgeva l'ascoltatrice come una coperta dorata.

Astrid non si lasciò abbindolare."Qualcosa di divino". Addirittura! Che assurdità...

-Dove vuoi arrivare? - stava perdendo la pazienza.

-Al punto in cui comprendi che io e te saremmo una squadra migliore di un branco di miseri ominidi convinti di poter salvare il proprio mondo in nome di un futile sentimento di empatia.

-E il punto in cui ti levi di torno quando arriva? - si lasciò sfuggire.

Loki indurì le labbra. Il pugno sul banco si strinse con forza.

-Tu non sei come loro.

-Sicuramente non sono come te.

-Siamo più simili di quanto tu non voglia ammettere. Ti sei già distinta da loro. Quanto ci vorrà per loro per distinguersi da te?

Astrid tagliò corto.

-Sei venuto a propormi un'alleanza che giovi ai tuoi... piani malvagi di conquista del mondo e... tutto il resto. - appuntò - Io che ci guadagno?

-La libertà. Non è questo che brama il tuo cuore?

Astrid abbozzò una risata. Si riflesse in quegli occhi cristallini, il cui luccicore maligno scalpitava irrequieto e disarmante. Talmente chiare quelle iridi che quasi ci si poteva leggere attraverso i pensieri più macabri che scivolavano sulla pelle candida, verso il biancore di una moltitudine di denti perfetti. Una mente diabolica, dietro un viso armonico e piacente. Era questo il Dio degli Inganni: un ingannatore, partendo dall'aspetto.

-Loro ti ostacoleranno. - affermò, sicura.

-Non saranno un problema.

-Quindi li ucciderai.

-Non dirmi che ora ti stanno a cuore? Avevo capito che non avessi più riguardi per loro.

-Anche tu ti diverti a spiare le persone? Hai mai pensato di lavorare per lo SHIELD? Saresti molto di aiuto.

Loki sembrò divertito.

-Apprezzo il tuo senso dell'umorismo. Per questo, potrei accettare un compromesso.

-Certo che hai una bella faccia tosta. - il fondo del bicchiere scoccò sul piano del bancone. - Come pensi che potrei fidarmi di te?

-Non lo so, però... Ti fidi ciecamente degli uomini che occultano il tuo passato... - osservò lui con acuta perspicacia. La voce lenta e vibrante.

Astrid contrasse le sopracciglia. Una sensazione di invasione le piombò addosso come un macigno.

-Tu come...?

-Come faccio a saperlo? Io so molte cose. - Era vero: non era la prima volta che la spiazzava in quel modo. - Se deciderai di unirti a me, potrai sapere tutto ciò che desideri. Tu avrai la tua memoria e il tuo passato. Io avrò la Terra e... farò uno sforzo in più per non toccare i tuoi amici.

-Te lo scordi.

-Preferisci stare sotto l'occhio disattento di un incompetente che ha rischiato di farti uccidere? Con me non succederebbe mai. - fece leva con l'indice sotto il suo mento. Fece sì che lo guardasse negli occhi, con delicata violenza. - Sei una risorsa troppo preziosa. Ancora non hai idea del potere che porti in corpo. Non hai idea di cosa potresti fare se solo mi lasciassi ampliare le tue capacità, se solo mi permettessi di smontare quella barriera che hai così timore di scavalcare...

Astrid digrignò i denti.

-E poi, quando sarò sotto il tuo controllo, cosa farai? Mi lascerai guardare mentre torturerai e ucciderai chi ti pare, infrangendo deliberatamente i compromessi?

La bocca di Loki si allargò in uno dei suoi sorrisi inquietanti. Parve che davanti a sé si stesse concretizzando il suo desiderio più recluso. Astrid fece per muoversi, ma era come incollata alla sedia e nemmeno riusciva ad usare i poteri.

-Hai ragione. Non ti lascerò guardare. Sarebbe un gesto egoista. Sarò io a farlo, mentre tu sarai impegnata a mettere un punto a tutta questa storia. Che ne dici di iniziare dall'uomo che ha segnato la disfatta del mio disegno primordiale? Non ha più necessità di quel marchingegno per mantenersi in vita, ma per te non sarà difficile arrivare al suo cuore. Lo scolterai implorare, esalare l'ultima debole supplica di gelida costernazione... E quando ti sveglierai e realizzerai che cos'avrai fatto non potrai placare lo strazio in alcun modo. Annegherai nella condanna eterna del tuo nome, piccola figlia di Muspellheim!

-Non mi avrai mai!

Astrid gli lanciò il bicchiere il faccia, ma quello andò a scaraventarsi contro la parete. Si voltò da una parte all'altra, pronta a difendersi, ma Loki era sparito.

Luke apparve di corsa. Lanciò uno sguardo interrogatorio alla ragazza che una volta tornata in sé si accovacciò a raccogliere i cocci, completamente smarrita. Asciugò la macchia che il legno del parquet stava già assorbendo.

-Mi dispiace, ti ripago di tutto.

Tastò le tasche, ma ci trovò solo qualche dollaro spiagazzato. Luke serrò le braccia al petto.

-Non bastano, vero?

La porta d'entrata si era spalancata. Astrid sentì uno sbuffo familiare. Non fece in tempo a scoprire chi era che una giacca scura la sorpassò, allungando un braccio.

-Non importa, pago io. - Infilò una mazzetta nella tasca sul petto del barman. Diede due colpetti ai muscoli in diamante. - Tieni il resto e... Ristruttura un po' questo posto. È carino, ma ha un certo non so che di lugubre...

Astrid lo guardò spaesata, come un'apparizione.

-Cosa ci fai qui?

Stark le mise una mano sulla schiena, la spinse verso l'uscita.

-Andiamo, ti porto in un bel posto.

Tempismo perfetto.
 

***
 

Le macchine e gli edifici si assottigliavano al loro passaggio. A quella velocità ogni immagine dal finestrino si assottigliava, tranne il silenzio che entrambi accettavano di sostenere pur di non cadere in discorsi superficiali che non avrebbero portato da nessuna parte. Era il peso delle parole, a rendere tutto il resto estremamente superficiale. Armi più vili ed efficaci di un qualsiasi veleno, scorrevano in quel vuoto stridente tagliando l'aria con arroganza.

-Dove stiamo andando?

La tensione non si era placata nonostante il distacco. Astrid non osava guardarlo negli occhi e a mala pena tratteneva il borbottio mentale di insulti e spinose provocazioni che si rincorrevano centrifugamente come uno sciame di mosche disorientate. Si mordeva la lingua per non farle ronzare più forte.

-Che ci facevi lì? - rimontò, rifiutando di essere ignorata. Un dito nervoso a battere sulla maniglia. - Come hai fatto a trovarmi? Mi hai pedinata?

-Non riesci proprio a stare zitta un momento, eh?

-No. Rispondimi.

-Ti ho seguita con la localizzazione del telefono. Fortunatamente era accesa.

-JARVIS, traditore... - sussurrò Astrid con amarezza.

-No, no, ringrazialo. Senza di me a quest'ora staresti lavando le stoviglie a quello per ripagargli i danni. Ma come si fa ad andare in giro senza soldi?! - batté la mano sul cambio.

Tony non sapeva niente. Non sapeva di Loki. Astrid si sentì come sollevata, ma allo stesso tempo completamente indifesa. Che fosse stato nella sua mente per tutto il tempo?
Il volto imbronciato, una mano al volante, il gomito sinistro impuntato alla portiera, il dorso delle dita sulle labbra. Lo sguardo serissimo, concentrato sulla strada. Stark era contrariato, ma non lo esternava. Si accorse degli occhi schivi che lo studiavano e si impuntò.

-Mi devi delle scuse, signorina.

Astrid sbuffò ironica.

-Per cosa? Per averti detto ciò che pensavo?

-Pensi davvero a tutto quello che hai detto?

Astrid fece spallucce.

-Sì. Un po'.

-"Un po'". - ripetè lui. - È così che si dice adesso? O lo pensi, o non lo pensi.

Per l'appunto. Astrid aveva dimenticato che il cervello di Yony Stark lavorasse in codice binario, come un computer. O 0 o 1. O tutto o niente.

-E comunque ero arrabbiata.

-Lo so. Fanno una strana luce i tuoi occhi quando ti arrabbi. - constatò lui, come fosse una colpa.

-Se dobbiamo litigare, fermi la macchina e scendo. Mi puoi lasciare pure qui, guarda, sulla strada. Me ne torno a piedi. Non m'importa.

-Non t'importa di niente e ti frega solo di te stessa. Okay. Assodato. C'è altro?

-Sei veramente insopportabile.

-Insopportabile?! Io?!

-Sì! Perché non mi lasci in pace un momento!

-E secondo te come mai? Forse perchè non sai badare a te stessa?

-O forse perchè sei...! - Si sfogò in un sospiro forzato. - Accidenti! - Incrociò le braccia al petto e si rivoltò dall'altra parte, verso la strada buia. I denti che stridevano.

-Avanti. Avanti, dillo. Di' cosa vuoi dire.

-Smettila.

-No, no no! Voglio sapere cosa stavi dicendo. Avanti!

-Non mi va.

-Prima però ti andava di dire tutte quelle belle cose che mi hai detto!

-Ero arrabbiata! - ribadì lei con più estro.

-E adesso voglio che ti arrabbi di nuovo, se è il solo modo per sapere quello che pensi! Dimmi che stavi dicendo!

-No! - invece poi prese coraggio, ma lo disse a bassa voce. Le si arricciò, sotto il naso, un sorrisetto divertito. - Rompicoglioni.

-Che cos'hai detto?!

-Hai sentito.

Tony fece un gesto veloce. Cambiò la marcia. Se è così che la mettiamo...  Accelerò. Ti faccio vedere io. La lancetta dei contachilometri dell'Audi non fece fatica ad impennare verso destra.

-Stark...!

L'auto superò qualche macchina d'azzardo e driftò per qualche curva presa eccessivamente comoda. I fari di un camion cisterna si facevano sempre più brillanti sulla corsia opposta, più accecanti e più vicini, ma Stark non accennava a rientrare.

-STARK! CAZZO!

Una sterzata all'ultimo bastò per schivare il camion per un pelo. Tornarono a viaggiare ad una velocità ragionevole.

-Ma dico, sei impazzito?! - esplose Astrid ancora appigliata alla maniglia, la schiena tutt'una col sedile, tutta ingessata. Ribolliva. Avrebbe voluto urlargli addosso.

-No, sono un rompicoglioni! - ribadì lui. Voleva mantenere arrabbiatura, ma a un certo punto gli venne da ridere. Non riuscì a trattenersi per molto.

-Che cosa ridi? Non c'è niente da ridere!

Tony protrasse il braccio e abbassò la visiera cosicché lei potesse specchiarsi.

-Sì, invece. Guardati.

-E smettila. - Astrid chiuse la visiera con una manata, mentre sulla bocca di Stark c'era ancora una risata sciocca. - Adesso capisco perchè tu e quella "Pepper"  vi siete lasciati... - bofonchiò a bassa voce. Era una carta pericolosa da giocare, ma aveva ancora abbastanza irritazione da intubarla in un colpo basso.

Tony la fulminò.

-Pepper? Che c'entra Pepper? Chi ti ha parlato di lei?

L'aveva vista al telegiornale. Si era fermata nel corridoio incuriosita davanti alla televisione accesa. Non ricordava chi fosse a guardarla. Probabilmente qualcuno l'aveva dimenticata accesa e si era allontanato distratto da altro. Virginia Potts, "Pepper" per i più stretti. Il presentatore l'aveva annunciata inizialmente come la "storica fidanzata e ormai ex del plurimiliardario e paladino d'America, Tony Stark".

Il viso pulito, gli occhi dolcissimi, una chioma ramata che le cascava sulle spalle, i ciuffi delle tempie tenuti indietro con un fermaglio prezioso. Elegantissima in quel tailleur di chissà quale firma costosa, che fasciava il corpo sinuoso e scopriva le gambe magre e slanciate.

Aveva fatto il discorso di apertura per una società importante. Aveva usato vocaboli ricercati, un linguaggio sciolto, ma accurato. Tutto contornato da un modo di fare così semplice e allegro. Era una donna affascinante. Sembrava che tutto si semplificasse attorno a lei. Rendeva semplice anche camminare su quei tacchi, che se li avesse indossati Astrid sarebbe pericolata a terra solo a guardarli. Così garbata, così posata. Non mostrava un solo difetto. Astrid si era chiesta come una donna così potesse stare con uno come Tony Stark. Si chiese se fosse sempre stato come lo vedeva lei adesso.

-Nessuno. L'ho vista in TV. Devi averla esasperata fino all'inverosimile.

-Vogliamo parlare di te? Di quanto fai esasperare tu? - evitò il discorso. Non voleva divagare su dettagli personali.

-Tanto si parla sempre di me.

-Brava, continua a fare la vittima. Ti riesce benissimo. Solo tu hai dei problemi, solo tu hai passato delle cose orribili, tutti ti criticano e nessuno ti capisce. Non è così?

-Si può sapere che cosa vuoi da me?

-Voglio che la smetti di fare così.

-Cosa vuoi che faccia? Pensi che mi diverta?

-E io invece mi diverto, vero? Con l'idea di avere un'altra persona da perdere, che per giunta non abbia il senso del pericolo e le piaccia cacciarsi nei guai da sola! Credi che sia facile per me?! Credi che sia facile per tutti?! C'è un essere a piede libero che sta studiando il modo per distruggere il mondo e a te non frega niente, giustamente, perchè tu non hai idea di ciò che può fare! Tu non hai visto tutto quel potere incontrollato disintegrare con ferocia e senza alcuna moralità, vite innocenti per lo stupido capriccio di un dio! Tu non sei...

Strinse il volante tra le mani. Il tunnel spazio-temporale gli apparve davanti con una palpitazione. Si morse un'unghia nervosamente. Guardò Astrid che se ne stava tutta imbronciata e chiusa in sé stessa come in riccio ferito. Stava già rimuginando sui suoi errori. Gli passò la voglia di addossagli i propri disagi. Voleva solo che capisse a cosa andasse incontro durante quei fremiti narcisi da battitore solitario. Abbassò il tono.

-Quello non ha pietà per nessuno, Astrid. Se solo avesse l'occasione di usarti o di ucciderti, non ci penserebbe due volte.

Astrid non ribatté. Si strinse di nuovo tra le spalle.

-E tu che fai? Ti lanci nel pericolo a capofitto. Come possiamo saperti al sicuro se ti comporti in questo modo?

-Parli come il Capitano.

-Ah, giusto. Lui è da linciare perché si preoccupa per te e per il bene di tutti, vero?

-Si preoccupa per me? E da quando?

-Da sempre.

-Non pensavo gli andassi a genio fino al punto di preoccuparsi.

-Dovresti imparare a leggere tra le righe.

-Mi piacciono le persone schiette.

-Come te?

-Come te. - rispose lei, grave, quasi come se gli avesse rinfacciato un torto.

Tony accettò l'accezione senza commentarla. La lasciò aleggiare e completarsi in sé stessa.

-Quell'uomo è incapace di odiare. Ha come una campana di vetro che lo stanzia da tutte le vibrazioni negative. È severo e spesso pesante perchè ci tiene. Ha capito che per dare il massimo devi trovarti alle strette, fisicamente e psicologicamente. E lui fa leva su questo per spronarti.

-Lo stimi molto. - osservò lei, forse sarcastica.

-Sarebbe bene che iniziassi anche tu.

-Non provate mai più a salvarmi. - lo avvertì lei, dopo uno squarcio di silenzio. Rannicchiò le gambe sul sedile. - Non lo fare mai più. Nemmeno se te lo ordina lui.

Tony, all'inizio, la prese come una battuta. Solo dall'espressione capì che fosse seria.

-Non puoi chiedermi una cosa così.

-Non voglio che qualcuno rischi la vita per me. È l'unica cosa che vi chiedo.

Tony annuì, arricciando le labbra.

-Allora tu prova a non metterti nei casini.

Astrid poggiò il capo contro il poggiatesta.

-Non mi hai detto dove stiamo andando. - osservò durante uno sbadiglio.

-Vedrai.

Il viaggio durò qualche ora. Astrid si accoccolò sul sedile. Chiuse gli occhi a un certo punto. Si addormentò e iniziò a sognare, cullata dalla forza di gravità che la tirava impercettibilmente in senso contrario all'andamento dell'auto. Sognò immagini rapide. Loki e la proposta di alleanza, quelle parole taglienti che le comprimevano il petto di un'ansia irrazionale, lo scettro, la mano che lo sollevava, la gemma azzurra che si avvicinava e lei ferma, come una statua di stucco...

Si svegliò di colpo. La macchina era ferma. Una leggera sfumatura rosea nel cielo dettava i colori di un'alba incombente. Si voltò verso Tony che la osservava in attesa, masticando. Un profumo di cheeseburger aveva invaso l'abitacolo. Stropicciò gli occhi. Si rimise composta.

-Oh, ben svegliata! - esclamò Stark con la bocca piena. Aprì un sacchetto. - Mi sono permesso di prenderne uno anche a te. Se lo vuoi è qui. - e posò un panino incartato sul cruscotto. Sembrava più rincuorato.

-Perchè non mi hai svegliata? Sei rimasto tutto il tempo a guardarmi dormire?

Tony annuì senza vergogna.

-E ascoltarti russare.

-Ma smettila, io non russo. - lo colpì piano sulla spalla. Iniziò a guardarsi attorno. - Ma dove siamo? - Si affacciò dal finestrino, davanti a un quartiere più che familiare. Fece una faccia talmente seria da far comprendere che la sorpresa non fosse gradita. - Stai scherzando?

-Ti ho preso alla lettera. Quando hai detto che...

Non lo fece finire. Slacciò la cintura, aprì la portiera e scese. Si aggrappò alla ringhiera davanti all'appartamento.

C'era ancora il lampione che funzionava a intermittenza, la macchia d'erba bruciata nel giardino, la crepa sulla facciata, il cancello arrugginito che aveva scavalcato non sapeva più quante volte, perchè era dura per lei ricordarsi sempre le chiavi e il citofono non andava. Anche questa volta, abbassò la maniglia e non riuscì ad aprirlo.

-È chiuso. - disse, a metà tra la delusione e la felicità di trovare tutto come se lo ricordava. Non era cambiato niente.

Stark frugò tra le tasche. Se ne uscì con un mazzetto di tre chiavi scintillanti. Astrid le guardò come fossero in argento.

-Ommioddio! Come fai ad averle?! - Non ascoltò nemmeno la risposta che le aveva già inserite nella serratura. Si fermò un attimo prima di varcare la soglia, gli occhi in un luccichio ludico, furbesco. - Sali?

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Anime Spoglie ***


Neve e Cenere | Marvel

17 . Anime spoglie


Montréal, Canada.
Appartamento di Astrid Sullivan.

Tony la seguì sulle rampe, tra i muri bui e stretti che sapevano di umido, aria viziata e fumo di sigaretta. Si fermarono davanti alla porta la cui vernice stava cedendo ai bordi. Astrid dovette giocare con la chiave e reiserirla più volte. Non l'aveva mai fatta aggiustare.

Si dice che ogni abitazione abbia un odore che lo identifica e che solo chi non vi abiti possa percepirlo. Nell'istante medesimo in cui l'aria esterna e quella interna si incrociarono, Astrid lo inalò come un profumo pregiato. Le parve strano, un poco estraneo, ma sapeva di tranquillità, rassicurazione, protezione. Sapeva di casa.

L'interruttore non funzionava, ma con la luce opaca che fendeva dalle finestre, ci si poteva orientare anche nella penombra.

Appese il giubbotto sull'attaccapanni zoppo con un lancio cieco. Si sfilò le scarpe e le abbandonò all'entrata. Saltellò tra le stanze come in mezzo alle giostre di un Lunapark. Davanti alla camera da letto si sentì come se qualcuno le avesse strappato un arto senza anestesia.

Passò col dito sulla scrivania malconcia, la fila di libri sgualciti sulla mensola storta, quel logoro guardaroba che avrebbe dovuto cambiare più di un anno prima, la cassettiera a cui mancava una maniglia. Il primo cassetto grattò un po'. Ci infilò una mano per tastare il fondo.

Tony infilò il naso da dietro la porta. Studiava la stanza con un paio di occhioni grandi e curiosi.

-Dovevo immaginarlo. - disse lei, mentre chiudeva il cassetto con un colpo deciso. - Hanno preso tutto. Persino il mio diario.

-Tu tenevi un diario?! - esclamò lui sorpreso, forse con un filo di derisione.

-Sì, io... Quando è scomparsa Samantha ho preso l'abitudine di annotare tutto quello che succedeva. Ogni indizio, ogni dubbio, ogni dettaglio insolito. Scoprire il colpevole era diventata quasi un'ossessione. Ovviamente è risultato tutto inutile. L'avevo lasciato qui, non pensavo che venissero a rovistare e invece...

Ora avevano tutto. Avevano anche lei. Si incantò a fissare l'alone scuro dove una volta doveva essere appeso un quadro da poco. Si accorse più tardi che il suo ospite non osava entrare senza un invito esplicito.

-Scusa, sto diventando noiosa... Emh... Vuoi da bere? Forse posso offrirti qualcosa io, stavolta.

Lo sorpassò senza guardarlo negli occhi. Stark si fece tutt'uno con il capostipite per lasciarla passare, mentre si dirigeva verso quella che doveva essere la cucina, un antro buio e infestato di ninnoli inquietanti. Tony fece fatica ad immaginare fossero lì grazie a lei.

Una mano tra i capelli come per scovare un argomento che la salvasse dall'imbarazzo, Astrid aprì il frigo, come se per qualche ragione dovesse essere acceso. Un lezzo putrido corse fuori asfissiante.

-Oh, merda...

Estrasse una vaschetta di cibo preconfezionato aperta e scaduta da troppo tempo. Gettò il contenuto nel cestino, annotando mentalmente che non doveva dimenticarsi di portare fuori la spazzatura. Aprì la piccola finestra cigolante, quasi sdraiandosi sul piano di lavoro. Le servirono un paio di pugni col dorso della mano per spalancarla completamente. L'aria dicembrile prese possesso della stanza con una sferzata tagliente, ma lei non fece una piega. Stark la squadrò come se fosse pazza.

-È per arieggiare. - si giustificò lei, come se avesse dovuto davvero giustificarsi. - Avevo dimenticato del cibo nel frigo e non profumava proprio di rose... - ridacchiò, ma si sentì ancora più stupida. Perché mai avrebbe dovuto sapere di rose? E perchè all'improvviso si sentiva così in soggezione e si comportava come un'idiota? Come se quegli occhi giudici si aspettassero da lei chissà quale prestazione. - Toh, guarda! - Si illuminò alla visione della bottiglia che quella lontana mattina non aveva avuto il tempo di finire. Era ancora lì che l'aspettava, piena per due terzi.

Sfilò due bicchieri dallo scolapiatti. Stark afferrò il suo senza fare domande. Storse un po' il naso. 

-Non potevo permettermi altro. Se ti fa così schifo posso bere da sola.

-Farò un'eccezione. - ribattè lui, cercando di allontanare l'idea della misera. Non poteva rifiutare, soprattutto in una situazione del genere in cui aveva bisogno di sostegno. Si sforzò di rompere l'atmosfera che si era fatta inspiegabilmente rigida, ma non gli venne bene.

-È carina. Casa tua.

Astrid gli lanciò un'occhiata veloce, mentre piegava la bottiglia a cui avrebbe voluto attaccarsi a canna.

-Non lo pensi davvero.

-No, è... Piccola, giusta. Per te, insomma.

-È una catapecchia per i tuoi canoni.

-Bè, ecco...

-Volevi fare il gentile, l'ho capito. Non ce n'è bisogno. E non è da te, quindi... Evita di fingere. Me ne accorgo.

-Come desidera. - Bevve e fece una faccia strana. Era davvero orribile. Si guardò attorno. - In effetti andrebbe rifatta, partendo dalla porta. Dovresti ripitturare, magari buttare giù qualche muro... E toglierei tutti quei cosini... Come fai a vivere con quei minuscoli occhietti che osservano ogni cosa che fai? È qualcosa che mi... - simulò un brivido.

-Va bene, basta. Troppa sincerità. - lo zittì lei, con un sorriso spento. - Non sono miei. Non è stata una mia idea.

-Avevo capito che abitassi da sola.

Astrid puntò distrattamente la fotografia incorniciata sullo scaffale. Le acque di un fiume nello sfondo, una giornata grigia illuminata da un paio di sorrisi ingenui. Una spensieratezza sospesa in un tempo che non pareva potersi incastrare così bene su quel viso dal vivo come in quello scatto rubato. Stark la guardò distante, come per timore di scoprire un'emozione che non sapeva gestire.

-È quella... Samara?

-Samantha. - lo corresse Astrid, amalgamando un ricordo sofferente nel fondo del bicchiere. Non fece caso al fatto che probabilmente non avesse ascoltato una sola parola di quello che aveva sudato confessare.

-Ah, ecco, sì.

-Sto tornando seria...

-Alquanto.

-Perché mi hai riportata qui?

-Hai detto che ti saresti sentita meglio rivedendo casa tua. Ti ho presa alla lettera, te l'ho detto.

-Sì, ma... Perché l'hai fatto davvero?

-Non lo so. Perché mi andava?

Astrid soppesò la risposta. Se c'era una cosa che la innervosiva più degli ordini o delle bottiglie vuote, erano le risposte e i comportamenti vaghi.

-Ti andava.

Stark fece spallucce. Avanzò nella stanza come se fosse un suo dominio.

-Mi andava di vederti un po' meno cupa. Tutto qua.

Riempì di nuovo il bicchiere e si fermò, guardandola dall'alto del bordo, senza un preciso obbiettivo. La studiava e basta, ritto in piedi, a mezzo metro da lei. Studiava incantato le lanterne dorate che flettevano la luce fioca dell'alba e schizzavano di tanto in tanto verso il suo sguardo, un po' per sbaglio, un po' d'azzardo. Quell'unico ciuffo pendente che lo turbava, brillando nel controluce. Le labbra ingarbugliate in una tortura senza tregua, le dita in una danza irrequieta.

Scosse le spalle in un brivido vero. La temperatura era drasticamente calata, ma pareva che solo lui se ne fosse accorto, nonostante fosse l'unico tra i due vestito adeguatamente per l'inverno alle porte.

-Hai freddo? Ora chiudo. - fece lei, felice di avere qualcosa da fare.

Stark avanzò di pochi passi. Osservò il fisico snello tendere verso la finestra, il bordo della canottiera che scopriva le fossette di Venere, le spalle tornite nude dal fantasma di una chioma un tempo più folta e disciplinata. Arretrò col collo, prima di scoprire che sapesse di shampoo e neve bruciata.

Astrid trasalì, trovandoselo di fronte così vicino. Si sporse per recuperare il suo bicchiere, fingendo che quel sorriso pragmatico e provocante non le facesse alcun effetto.

-Che c'è?

-Pensavo.

-Non mi piace quando pensi...

-Difatti è proprio questo il punto.

Stark le prese il bicchiere. Lo poggiò sul piano con un gesto lento. Astrid seguì la mano allontanare l'unica ancora di salvezza, l'unica sicurezza che aveva per fugare il disagio.

-Che stai facendo?

-Tu hai detto, una volta, che dovremmo smetterla di pensare.

-Sì... - pronunciò lei, cercando di ricordarsi come respirare. - Quindi?

-Quindi, smettiamola di pensare. Per una volta. Che ne dici?

Le sfiorò la guancia piena, da ragazzina, tanto in contrasto con quel corpo da donna che lei nemmeno si impegnava a valorizzare perché tanto femmina non si era mai sentita.

-È già ubriaco, signor Stark? - fece lei, rievocando un episodio del passato. La testa reclinata da una parte, indecisa tra assecondare la sua fantasia o la propria. E quel profumo che aveva da sempre ignorato, diventò d'un tratto più buono.

-Può darsi... - Si avvicinò cautamente, guidato da un fremito di indovinata fiducia. - Di qualcosa che non posso bere. - sussurrò. Un po' come aveva fatto meno di ventiquattr'ore prima, ma questa volta le labbra andarono a premere sul padiglione dell'orecchio, cinsero il lobo, calde, afrodisiache.

Astrid gli mise una mano al petto, ma invece di respingerlo come avrebbe voluto, strinse il bordo della giacca.

-Forse non... - lasciò la frase a metà. Era difficile trovare le parole con quella bocca morbida che scendeva lungo il collo...

-Non...? - fece Stark senza interrompere il contatto.

-Siamo colleghi, tec... - deglutì la parola. Era troppo impegnativa. - Tecnicamente...

-Dunque?

-E se... Se creasse complicazioni sul posto di lavoro? - tirò tutto d'un fiato.

Stark sorrise ampiamente, ma lei non poteva vederlo.

-Ti prego, continua come se ci credessi davvero. Eri quasi convincente.

La bocca salì piano ripercorrendo la scia voluttuosa con cui aveva timbrato la pelle bollente. Si staccò un attimo prima di raggiungere l'altra sospesa tra i sospiri affannosi e tremanti. Divorò lo spazio con cui ancora fingevano di volersi solo sfiorare. La baciò lungamente, quasi per richiamare ogni singola particella dei loro corpi a concentrarsi nello stesso punto. Astrid si scostò un poco, mentre imparava che l'amaro alcolico potesse assumere un sapore diverso lontano dal vetro, aggiungendo il pizzicore del pizzetto, la lingua ruvida e bruciante...

-Dovrebbe esserci qualcosa di più comodo... Di là... - sospirò a un millimetro da lui.

-Sì?

-È un po' lontano.

-È eccitante la cucina.

-Hai detto che ti terrorizzano tutti quegli occhietti...

-Non ho detto che mi terrorizzano. È solo che non...

Astrid gli colse il volto tra le mani e lo portò a sé, bloccando dal principio la logorrea narcisista.

-Parli troppo. Credevo che non volessi più pensare.

Stark l'afferrò dalle cosce, ma si aspettava uno sforzo minore e dovette mettela a sedere sul tavolo.

-E io credevo pesassi di meno. - mormorò mentre la spogliava frettolosamente.

-Sono muscoli. Non è colpa mia se sei abituato a stecchini. O forse ti sei rammollito?

Stark indietreggiò con la testa.

-Rammollito?

Astrid emise un gridolino, vedendosi risollevata di colpo, senza preavviso. Si aggrappò a lui come un bradipo.

-Vediamo quanto sono rammollito.

Si sbottonò la camicia più in fretta che poteva, in ginocchio, sul letto gracidante. Scoprì gli addominali turgidi e una cicatrice perfettamente circolare che portava come una medaglia. Astrid passò due dita sulla forma, prima che lui le facesse scendere più in basso. Prima che le sue, esperte, iniziassero a navigare tra i seni sodi, il ventre caldo, le cosce accoglienti... Prima di introdursi tra le sponde frementi e impazienti...

Andava tutto bene. Non potevano ferirsi con qualcosa che provocava piacere. 
Adesso avevano un modo per scordarsi, almeno temporaneamente, di ogni palpito angoscioso, senza nuocere troppo a loro stessi. Adesso, non erano che anime spoglie e, così vicine e così simili, non potevano che combaciare, perfettamente, in ogni tortuosa screpolatura, in ogni egocentrica sbavatura, in ogni testardamente rifiutata e inammissibile paura.

***

Docili passi felpati scalavano i gradini di marmo consumato. Un palmo sullo scorrimano in legno, graffiato dalla vecchiaia. La lunghezza del cappotto nero accompagnava la sagoma come un'entità a sé stante. Ampio, drammatico.

Non aveva fretta. Intendeva dar loro il tempo per illudersi di possedere il privilegio del controllo. Sarebbe stato decisamente più interessante se avessero avuto qualcosa di più concreto da perdere. Avrebbero agito con più convinzione in possesso di un motivo più vivido per cui lottare, per cui soffrire.

La porta si aprì senza forzare, sfregiando in un acuto gemito il perfetto equilibrio del silenzio sullo spago fragile di una serenità del tutto precaria. Era il momento di reciderlo.

Si curvò sul corpo sinuoso che filava un respiro sottile, accanto all'altro rozzo e contorto che collideva rumorosamente con la perfezione del primo.

-È ora. - bisbigliò all'orecchio glabro, scostando i capelli sudati con la punta dorata dello scettro.

Le ciglia si spalancarono meccanicamente, bagnate del riflesso di una luce inumanamente azzurra.

-Conosci il tuo compito.

Si fece da parte, preparandosi allo spettacolo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Rosso ***


Neve e Cenere | Marvel
 
18 . Rosso
 

Brooklyn, USA.

Sussultò come se avesse smesso di assumere ossigeno da diversi minuti. L'orologio lampeggiava sul display del cruscotto. Erano le 11 passate. La luce del sole batteva quasi perpendicolare sul parabrezza e le rimbalzava dritta negli occhi. Si maledisse per aver perso la lotta contro il cervello. Sarebbe dovuta rimanere vigile, se non proprio lucida, invece si era lasciata trascinare pigramente dalla spossatezza.

Fece uno scatto in avanti troppo repentino e una fitta dilaniante la contorse da ogni lato, obbligandola a tornare nella posizione iniziale. Sollevò la mano gocciolante dal ventre. Arrotolò la maglia incollata alla pelle umida, alle ferite che la traforavano come una grattugia. Non si erano rimarginate, anzi, continuavano ad eruttare, rosse e vive. Come dotata, sarebbe dovuta essere già guarita e pimpante da ore. Come comune mortale, sarebbe dovuta morire dissanguata prima di riuscire a fiondarsi goffamente in macchina. In qualche modo, per qualche ragione che le sfuggiva, la sua vita oscillava in un limbo sospeso tra i due stati, come uno zombie.

La strada ondeggiava e si sdoppiava. I piedi di piombo e la testa troppo leggera non aiutavano. Si trascinò fuori dall'auto provando a non zoppicare vistosamente, per non dare nell'occhio. Per fortuna sul nero, il sangue era solo una macchia lucida.

Approfittò dell'uscita di una signora anziana, infilando una mano prima che il portone potesse chiudersi. Sospirò sofferente a ciò che l'attendeva all'uscio: scale. Tante. Troppe. Rassegnata, fece appello a tutta la forza di volontà che le rimaneva per un ultimo sacrificio. Si barcamenò strusciando la spalla buona contro il muro.

Controllò i nominativi sotto i campanelli di ogni porta. Con la vista annebbiata per cui precedentemente aveva mancato un paio di gradini, dovette avvicinarsi ad uno ad uno perché non riusciva a metterli a fuoco. I nomi e i cognomi parevano tutti uguali: delle strisce nere e deformi, alcune più corte, altre più lunghe. Premette quello che sperò fosse giusto con il dorso della mano per non lasciare impronte visibili.

Doveva essere in casa. Doveva, per forza. O sarebbe rimasta accasciata alla porta in attesa, finché sarebbe riuscita ancora a respirare.

Suonò di nuovo, insistentemente.

Forse aveva sbagliato a presentarsi lì, ma non sapeva chi altri avrebbe potuto accoglierla.

Sbattè la nuca contro il muro mentre la gamba le tremava come non mai, il braccio molleggiava senza più sensibilità ed ogni respiro era un'ennesima pugnalata, per non parlare della tosse porpora che aveva cominciato ad ostruirle i polmoni.

Sentì un sollievo fisico allo scatto della serratura. Fece per sollevarsi dal sostegno confortante del muro, ma la gamba le giocò un brutto scherzo e la fece crollare da un lato. Un paio di braccia forti furono pronte a sorreggerla prima che incontrasse il suolo.

-Aiutami... - farfugliò a fatica.

Steve pensò rapidamente. La sollevò e la portò dentro. L'adagiò sul divano. Le rimboccò una coperta pesante perchè era fredda, in modo innaturale.

-Che ti è successo? Chi ti ha ridotto così? - domandò lui, con sofferente apprensione. Stringeva la mano che ancora riusciva richiudersi attorno alla sua, come se potesse trattenerla lì con lui.

-Ho fatto una cosa... - singhiozzò lei, increspando il volto in un pianto senza più lacrime.

-Andrà tutto bene. Sei forte. Puoi superarlo. - la consolò il Capitano, che con l'altra mano le carezzava la fronte sudata tra i capelli rigidi e increspati, incollati dal sangue secco.

-No... No...

Astrid scosse la testa da una parte all'altra strizzando gli occhi gonfi e stanchi. Nulla sarebbe andato bene. Non era per niente forte. Non per quello.

-Perdonami... Ti prego... Non ero io...

-Non eri tu? Che vuoi dire?

-Ti prego... - mugolò lei di nuovo.

Altre due parole risalirono sulla punta della lingua, tra tutte quelle che le si ingarbugliavano in gola. Le sole che non avevano smesso di rimbombare da quando le aveva sentite uscire dalle labbra dell'uomo che la minacciava con la pistola, mentre un fiotto denso e scuro le soffocava e il corno dorato gli recideva il petto come un pezzo di carta.

Percepiva ancora il freddo metallo sulla tempia, le lacrime sciogliere le croste sul viso, i suoni delle sillabe come un'infinita cantilena. Ricorsero indietro, in tempi passati che improvvisamente tornavano vividi, come se la cortina spessa che li oscurava si stesse lentamente degradando.

E si rivide di nuovo, seduta su quella sedia scomoda, in quel laboratorio sconquassato che adesso ricordava dettagliatamente. Il riflesso del suo volto su un vetro lontano. Capelli lunghi e un viso puerile. Le guance rosee di una bambina senza nome. La voce calma di un uomo dalla maschera buona, echeggiò tra le pareti, inclinata da un forte accento straniero.

-Niente flebo, oggi. Sei stata brava. Fra poco sarà pronto. Non ci sarà più nessuno come te in circolazione. Sarai l'unica. Non sei contenta?

Aveva annuito, la bambina, come se lo fosse davvero. In realtà, la sua attenzione si era posata sul broncio freddo dell'uomo alla porta. Rigido, muto. Un soldato obbediente, in attesa di ordini. I ciuffi scuri, lunghi e unti con cui gli occhi grigi e appuntiti giocavano a nascondino, incupivano maggiormente il volto ombroso. Le braccia possenti, ritte lungo busto, la sinistra coperta dal tessuto dell'imbracatura, l'altra scoperta, lucente, timbrata da una stella rossa sulla spalla.

-Che c'è? Non ti piace lui? Non temere. Lavoriamo tutti per la stessa causa. Salutalo. Come si dice?

Steve infilò un cuscino sotto la testa bagnata. Non sapeva più cosa fare. Prese il telefono per chiamare qualcuno, ma prima di comporre qualsiasi numero, Astrid tossì di nuovo, rigurgitando un grosso grumo che andò a macchiare la coperta e la maglia dell'uomo. Lamentò il dolore che aveva preso pieno possesso del suo corpo e della sua ragione.

-No, no, no, guardami... - la incitò dolcemente. Afferrò la mano venosa che stavolta non reagì. Si scurì soltanto, perdendo come uno strato di scudo. Una patina dorata si spellò su tutto il braccio, raggiungendo anche volto. La pelle ambrata assunse una grana più spessa, dello stesso colore dell'ombra che facevano le spalle di Steve contro il sole tagliente.

Gli occhi increduli del Capitano sbiadirono, allontanandosi in un tunnel buio. Astrid deglutì la bile ferrosa e, d'improvviso, tutto il supplizio che aveva sopportato si fece più intenso.

Con un filo di voce strozzato nell'ultimo faticoso respiro, prima di permettersi di richiudere gli occhi e abbandonarsi allo strazio, la mente persa tra l'incubo e il ricordo, rispose:

-Heil Hydra.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Irriducibile ***


Neve e Cenere | Marvel

Parte Terza


19 . Irriducibile


Brooklyn, USA
Appartamento di Steve Rogers.

La luce dalla finestra illuminava la stanza a pois. La persiana abbassata quasi per intero, permetteva un clima non troppo brusco per gli occhi, consolante per i cattivi presentimenti.

Il caffè ribolliva nella macchinetta da un minuto, il profumo aveva già invaso la casa. Steve arrivò in ritardo, quando il fornello sfrigolava arancione cercando di divorare la bava nera che traboccava e macchiava il fondo del piano cottura. 
Afferrò la maniglia con una presina e pulì il macello. Due tazzine un po' sbeccate. Titubò sulla terza. Le posò sul piano e rimase in attesa.
Se ne stette in piedi, la gamba ballerina e nervosa, un occhio ai pensieri e uno al divano occupato. Era rimasto seduto in mezzo al salotto tutto il tempo, a fissare un punto vuoto, giocando col rollo delle garze con le unghie sporche, raccogliendo gli indizi sparsi e cercando una soluzione che ne cucisse il legame. Ma non aveva trovato nulla. Era tutto sbagliato. Tutto insensatamente illogico.

Scattò automaticamente al bussare delle nocche. Quando aprì la porta, gli occhi vitrei della Russa lo guardarono con aria contrita. Sentì mancare il respiro perché era arrivato il momento più difficile: concretizzare. Finché fosse rimasto da solo con la matassa inquieta di domande, sarebbe stato al sicuro da ciò che non avrebbe voluto sapere. Ovviamente, la sua morale non gliel'aveva permesso.

-Sei qui. - constatò rigido.

-Mi dispiasce di averci messo tanto, ho fatto più in fretta che potevo. Ecco i vestiti che mi avevi chiesto. Adesso posso sapere cosa diavolo è successo?

Natasha lasciò il borsone sul petto di Steve il quale lo afferrò malamente, impreparato. Appuntò i pugni sulle anche. Pretendeva una risposta immediata. Quella telefonata concisa, quasi telegrafica, ma completamente vaga, la voce seriosa e rotta, incerta, l'avevano fatta allarmare. E ora quell'espressione indecisa, alla ricerca di parole che non arrivavano, le davano la conferma per sua preoccupazione.
Steve si scostò per cederle il passo, muto, perché gli occhi spiegassero meglio. Lanciò un cenno breve al divano, dove un debole essere inumano riposava, stretto in bende spennellate e puntellate di rosso. Il braccio destro abbandonato verso il pavimento. Il petto s'alzava e si schiacciava con fatica.
Natasha si avvicinò cautamente. Si accovacciò, senza sapere dove mettere le mani. Tastò la fronte sudata, la pelle di pece, tiepida. La riconobbe dai lineamenti. Seppure contorti nell'impronta di una sofferenza passata, erano ancora i suoi.

-Da quando è così?

-Poco piu di tre ore. L'ho trovata davanti alla porta stamattina. Vaneggiava. Ma è migliorata. Credo... Sembra non stia soffrendo come prima.

-Nick ne sa qualcosa?

Steve scrollò il capo. Incrociò le braccia. Sospirò. Poi tornò statico.

-Nessuno sa niente. Solo tu. Ho chiamato Stark, ma come al solito non risponde. La cosa più strana è che c'è la sua macchina di sotto.

Natasha corrugò la fronte. Fece un sospiro troppo profondo e Steve se ne accorse.

-Tu sai.

-Io non...

-Natasha, non mentire. Non a me. Non in questa situazione. Per favore.

La Rossa abbassò lo sguardo un istante per staccarsi da quelli disperatamente richiestivi per cui cominciò a sentirsi in colpa. Non era giusto, a quel punto, fingere ancora.

-Nick mi ha chiamata, verso le sei di stamattina. - confessò, mentre tornava in piedi, le mani sui pantaloni come per pulirsi dalla colpa. - Hanno trovato dei corpi. Nove agenti dello SHIELD. Morti. Bruciati.

Steve incupì le sopracciglia. Non capiva.

-Avevano... Escoriazioni e deformazioni ovunque. Sembrava un barbecue per cannibali. Non ho mai visto niente di simile, nemmeno ai tempi del KGB.

-Li hai visti con i tuoi occhi?

Natasha annuì deglutendo del ribrezzo.

-Un decimo agente è stato praticamente macellato. Aveva la pelle del volto deteriorata, ma non è stato il fuoco ad ucciderlo. Era... - Abbassò il tono come se l'effetto che le faceva parlandone potesse affievolirsi assieme alla voce. - Spaccato in due. Dallo stomaco alla spalla. Qualcuno lo avrà... Infilzato per poi... - inspirò profondamente, perchè le ritornavano in mente troppi dettagli. - Tuttavia le circostanze non sono la cosa più strana. La più macabra sì, ma non la piu strana.

-E cioè? Qual è la più strana?

-L'ordine che seguivano gli agenti non è partito da Fury. Lui non era a conoscenza della loro missione.

-E come li hanno trovati?

-Soffiata anonima. Da una vecchia cabina poco distante dal quartiere.

-E Stark?

Quella domanda gli uscì direttamente dal petto. Non poteva piu tenersela dentro. Aveva già intuito che la piega del discorso stesse deviando verso una fine che non gli sarebbe piaciuta e Natasha tergiversava troppo per i suoi gusti.

La Russa indugiò ancora. Abbassò il capo. Steve l'afferrò dalle spalle. La scosse, piano, ma nel gesto era intriso tutto il turbamento.

-Cos'è successo a Stark?!

-L'hanno trovato congelato nella sua armatura. - Rispose l'altra tutto d'un fiato. - C'erano segni di lotta. Il casco era strappato: è stato fuso. C'era l'impronta di una mano...

Steve alzò lo sguardo, cercando un punto in cui potesse non sentirsi così vulnerabile.

-Ma lui non è...?

-Non si sa ancora. In quello stato il metabolismo degli organi si blocca, come in ibernazione. Tu sei sopravvissuto perchè non eri un uomo comune, fisicamente...

Steve si lasciò abbandonare sulla sedia fuori posto. Lo sguardo fisso sull'essere che dormiva a pochi metri da loro, contorto in quello che era un amarissimo grumo di delusione, misto a paura e rabbia. Si passò le mani sul viso, cercando di pensare. Sapeva benissimo dove volesse andare a parare con l'ultima affermazione.

Natasha prese posto di fronte a lui. Poteva percepire come si sentisse: ferito, ingannato, sfiduciato. C'era un altro particolare che probabilmente lo avrebbe salvato dalla disillusione. Sapeva di farci troppo affidamento, ma era l'unico motivo a quello scenario troppo crudo da deglutire.

-Stanno facendo le analisi ai frammenti ritrovati.

-Che frammenti?

-Delle schegge trovate nel corpo della sesta vittima, forse compatibili con qualche metallo alieno, forse con lo scettro di Loki...

-L'hanno confermato o è una tua supposizione? - Chiese Steve nascondendosi dietro una palmo. C'erano troppi "forse".

Natasha dondolò il capo.

-Un po' e un po'. Non è proprio ufficiale.

-Credi che Loki l'abbia manipolata?

-Non è da escludere. L'ha già fatto, no? Con Clint...

Steve scosse la testa. Era una situazione folle.

-Fury cosa ne pensa?

-È scettico.

-Su cosa è scettico?

-Su tutto. Vorrebbe risposte precise.

Anche lui ne aveva bisogno. Avrebbe voluto sapere chi aveva accolto in casa, a chi aveva medicato le ferite senza domandarsi se fosse giusto o meno...

Natasha prolungò un braccio sulla mano ruvida e stanca, contratta dal nervosismo sul tavolo. La mano di un soldato che tra illusione e speranza, cura ancora il compagno di trincea sulla soglia della morte.

-Ho preparato del caffè. - La informò lui mentre accettava la carezza come una medicina amara. - Ne bevi un po'?

-Una tazza volentieri, prima di andare.

-Dove?

-Ho promesso a Nick che l'avrei raggiunto in ospedale. Non so se chiederti di venire...

Steve non rispose. Non lo sapeva nemmeno lui.

-Preferisci aspettare che si svegli.

Gli occhi blu le lanciarono un'occhiata veloce schivando l'imbarazzo. La Vedova non mancava mai il bersaglio.

-Fammi un favore: non dire nulla a Fury.

-Non ti fidi di lui?!

-Voglio solo essere certo di quello che sta succedendo.

Natasha scrutò il suo sguardo prima di rispondere. C'era qualcosa nel luccichio di quegli occhi che la fece, per un attimo, sorridere. Qualcosa che andava aldilà delle precauzioni da Capitano. Qualcosa che lo scuoteva più profondamente dall'interno, che aveva colpito una parte più tenera, ferendo un'affettuosa premura.

-Va bene. - Rispose comprensiva.

Dieci minuti dopo era ancora lì a studiarlo, ma lui se ne accorse solo mentre si alzava.
Steve sospirò pesantemente, l'obbiettivo disperso su un tovagliolo macchiato di caffé, spiegazzato da un vizio nervoso. Natasha piegò la testa da un lato. Lui la guardò a disagio prima di sentire il timbro delle labbra sulla fronte.

-Chiamami se succede qualcosa.

La porta si richiuse con un tonfo leggero che riecheggiò perpetuo nella testa di Steve in un loop. Era di nuovo da solo, con più certezze e meno domande, ma inspiegabilmente il tumulto che gli batteva nel petto non si era placato. Se ne stette lì ancora un po', a guardare la sagoma scura della creatura che si era nascosta tutto quel tempo sotto un aspetto umano, pensando a come Natasha si fosse comportata in modo del tutto naturale, senza tirarsi indietro, senza nemmeno un commento.

Dopo New York era cambiato tutto. Il mondo che pareva fosse rimasto in sostanza com'era, dopo settantanni, in realtà aveva subito un'orda di cambiamento che minacciava ancora scompiglio, come una folata di vento, un'onda anomala che precede un disastro più imponente.
E di nuovo, come quando si era risvegliato in un millennio sconosciuto, non sapeva come comportarsi. C'era un alieno dormiente sul suo divano, un altro con uno scettro magico a cui piaceva giocare a nascondino e un uomo, un compagno, un amico di nuovo sul filo del rasoio. Di nuovo si trovava a pregare che si salvasse, come in quella caduta, mesi addietro, mentre era rimasto impotente a guardarlo scivolare nel vuoto come una cometa spenta.
Era una lotta continua con quell'uomo. Per quanti sforzi facesse per salvare la pelle a tutti, con lui non bastava mai. In qualche modo, Steve si ritrovava sempre a rimuginare su quello che avrebbe o non avrebbe potuto fare, ad autocolpevolizzarsi. Ed era inutile parlarne. Non avrebbe potuto fargli la predica. Non avrebbe potuto confidargli le sue preoccupazioni, perchè sarebbero rimaste per aria, vaganti come l'aroma etilico dell'unica arma che era incapace di disinnescare.
E poi era arrivata lei, con quel fare sfacciato, lo sguardo tagliente e i canini costantemente pronti a mordere. Sarebbe stata inevitabile una conciliazione. Due bombe identiche, pronte ad esplodere. Avrebbe dovuto fare qualcosa, almeno con lei. Almeno per lei.

E quella sera, prima che Loki venisse allo scoperto, aveva approfittato di un loquace Tony Stark troppo impegnato a fare teatro in mezzo al resto del gruppo. Lei si era allontanata dal caos. Poggiata alla ringhiera del terrazzo. I capelli ancora lunghi si arricciavano al vento come fili di rame. Ammirava il tramondo tiepido infrangersi nel vino rosato del bicchiere pendente nel vuoto, dondolante tra due dita, com'era la sua vita adesso.

Non c'era mai stata molta intesa tra loro, ma inaspettatamente quella sera era stato diverso. Furono, per pochi minuti, quasi amici. Non aveva presente come fosse iniziata la conversazione, ma ricordava che, a un certo punto, si erano messi entrambi a ridere.

-Tu come l'hai scoperto?

-Ho perso un amico. Mi sono chiuso in un bar da solo con una bottiglia di vino e mi sembrava di bere succo d'uva.

-Un tuo commilitone? Dev'essere stata dura.

-Sì, bè... Non sono sempre stato un tipo allegro.

-Oh, in effetti mi sembra veramente impossibile vederti tutto d'un pezzo, sempre sull'attenti, rigido e composto!

-È che adesso voglio mantenere la linea positiva. - Aveva risposto sarcastico al sarcasmo, mentre ricambiava la risata. Poi tornò più serio. - Dovresti farlo anche tu.

-Ci penserò.

-Potreste darvi una mano.

-Io e chi?

-Tu e Stark. State bene insieme.

-È solo gentile. - Aveva sminuito lei, perdendo lo sguardo nel paesaggio.

-Non lo è con molte persone.

-Non ho bisogno di qualcuno con i miei stessi drammi.

-E di chi allora?

-Non lo so. Magari di qualcuno che ne stia fuori completamente. Ho bisogno di normalità. Di sana e genuina normalità.

Poi aveva fatto una pausa. Lui aveva rispettato il silenzio, aspettando che elaborasse il pensiero che le aveva rubato il sorriso.

-Ogni tanto... - Aveva iniziato - Immagino come sarebbe non avere questi poteri. Vorrei non dover pensare che il mondo conti su di me per essere salvato. Provare a vivere fingendo che non ci siano problemi, pensando solo a me stessa o pochi altri, ma senza dover per forza trovarmi in situazioni assurde in cui debba sentirmi obbligata a rischiare la vita, a salvare qualcuno, a combattere.

-Proveresti a farlo lo stesso. Con o senza poteri. - Aveva risposto lui sicuro.

-Tu che ne sai?

-Non sono i poteri che rendono le persone speciali, coraggiose, valorose. È il cuore che ti spinge ad esserlo. - Lui lo sapeva bene. - E penso che anche senza poteri, rimarresti la donna irriducibile e tenace che sei ora.

Doveva aver impresso quel momento nel subconscio perchè solo adesso tornava in superficie. C'era stato bisogno di trovarla mezza morta sul pianerottolo per ripensarci e dargli peso, per rendersi conto che non doveva dubitare del proprio fiuto.

Si alzò per ripulire il tavolo, portare via le tazzine in cui i grumi neri predicevano un'infinita e laboriosa giornata. E proprio mentre percorreva il tragitto per raggiungere la cucina, il cuore accavallò due battiti. Lo scricchiolio delle molle del divano lo fecero immediatamente voltare. L'ombra che abitava dormiente l'angolino del salotto si stava schiarendo per ridare vita alla forma umana che lui ben ricordava.

Astrid era sveglia.

 

***

-Come ti senti?

Astrid si lasciò scappare un grugnito di fastidio. Le ciglia nere si erano spalancate per meno di un secondo ed era stato come se il soffitto le fosse crollato addosso intero. Tentò di drizzare la schiena, di mettersi a sedere, ma nel farlo dovette trattenere lo sforzo tra i denti.

-Come se mi avessero tagliata a pezzi e aggiustata con del nastro adesivo. - Rispose amareggiante, mentre si teneva la testa con una mano e con l'altra le bende ruvide che le fasciavano l'addome come un pollo nel cellofan. - Sei stato tu?

Steve annuì. Astrid fece lo stesso per ringraziare, un po' per imbarazzo, un po' perchè mentre parlava sentiva il diaframma vibrare tra le fitte.

-Forse è il caso che ti faccia una doccia. - Annunciò l'altro che ancora non sapeva come prenderla. Le mostrò i vestiti puliti, un asciugamano e la seguì fino al bagno con gli occhi perchè lei si rifiutò di essere accompagnata.

La manopola cigolò solo un poco e l'acqua prese a scrosciare dal rubinetto. Limpida, deformava il disegno geometrico delle piastrelle e andava a riversarsi nel fondo, arrotolandosi nella grata dello scarico. E lì cominciò a macchiarsi. Tra i piedi, iniziarono a scorrere strisce scure che rigavano la trasparenza del getto. Sulla pelle si era creato uno strato sottile che lentamente si scioglieva e si raggrumava tutto insieme sul fondo. Fece due passate con le mani, che tremavano allo sfiorare i muscoli contusi, quei bozzi violacei e giallastri che non accennavano a svanire, quei tagli ricuciti da cui aveva srotolato con cura le garze che si erano appiccicate, lasciando dei piccoli ciuffetti di cotone di un bianco antico.

Raccolse il mucchietto di tessuto slabrato e maleodorante, che la fissava mentre arrotolava lento l'asciugamano al seno e le gocce che molleggiavano dai capelli le facevano il solletico sul naso. Si rigirò tra le mani le piege e i fori, ci infilò l'indice, giocandoci come fosse divertente. Poi un'emozione morbosa iniziò a tirare. Il tessuto cominciò ad allenarsi, a scucirsi, finché non furono due dita a passare, poi tre, poi la mano intera e con l'altra, che stringeva il lembo opposto, si lasciò andare agli strappi; e quella che una volta era una canottiera diventò un nastro di stoffa sfilacciata e senza forma, senza più utilità, senza senso, senza speranza. Andò ad aggrovigliarsi di nuovo sul pavimento, floscio, esanime. Tornò a giudicarla in silenzio.

Un singhiozzo s'incastrò rumoroso nella gola bloccando il respiro, le dita le si impigliarono tra capelli e Astrid tornò in quella stanza di morte, tra i cadaveri ignoti, sparpagliati come fiori in un campo travolto da un incendio estivo. Tornò a scuotere il guscio vuoto a terra con le mani di ghiaccio e di panico. Tornò a pregare, a piangere, a urlare. Una sola ombra se ne stava verticale, muta, in contemplazione, mentre la sua voce riempiva il silenzio e le tende leggere volavano spinte dal vento invernale e dalla neve che ricopriva un prato nero di morte, come un bacio candido di perdono o di condanna.

Rigettò tutto fuori con un conato violento. Tutto il cordoglio si concretizzò nell'acqua del cesso, in una poltiglia scura e molesta, una bile sanguinosa e tanto densa che per un attimo Astrid pensò di aver vomitato anche lo stomaco. Tossì l'acidume gastrico che andò a macchiare la ceramica e le riempì l'esofago di bruciore, le tempie della pulsazione perseverante del cuore. Si asciugò la bocca con la carta su cui rimase una sgommata di un azzurro sbiadito. Arrotolò una palla, negando un'allucinazione di stanchezza. Raggiunse il bottone dello scarico che risucchiò tutto il suo male nelle fogne, deglutendo quanto possibile un'altra disonorevole prova della sua debolezza.

Si allontanò dalla tazza e si ritrovò davanti allo specchio. Le occhiaie scavate erano ora in bella vista sulla pelle pulita. Pinzò la frangia lunga con una mano per sciacquarsi la bocca, ma appena tirò su il capo, notò qualcosa di diverso da un livido, sul collo nudo: un'alone rigonfio e arrossato che circondava un puntino più scuro...

La porta d'ingresso fece rumore nel chiudersi e ogni altro pensiero passò in secondo piano. Astrid appiattì le orecchie alla porta quando una voce femminile risuonò nel soggiorno.

-È sveglia?

Steve, indaffarato nell'arrotolare la coperta e gli asciugamani sporchi in un sacco, le rispose senza nemmeno guardarla negli occhi, quasi irritato.

-È nel bagno. Le ho detto che poteva lavarsi.

-Ti ha detto qualcosa?

-No, nulla. Era ancora un po' stonata dal coma. Tu? Novità?

-Fury ha chiesto di te. E gli altri sono già arrivati. Ci stanno aspettando.

-Ha chiesto anche di lei?

-Per l'appunto, forse è meglio che rimanga qui.

-Se è innocente non ha bisogno di nascondersi. Attirerebbe solo l'attenzione. E poi, hai detto tu che ci sono le impronte di Loki, no? Basterà sostenere questa tesi. Per come è conciata potranno solo crederle.

Natasha non rispose. Lo guardò soltanto spostarsi da un lato all'altro della stanza, finché non impuntò le mani alle anche, dubbioso. Aveva pensato a tutto e sarebbe stato un piano efficace se solo non gli fosse sfuggito un particolare.

-Vedi, forse non è così semplice come hai pensato.

-Cosa vuol dire?

-Non ci sono sufficienti accertamenti che ci sia stato di mezzo Loki...

-Ma tu hai detto che ci sono dei frammenti. Non mi avrai mentito per farmi sentire meglio, spero!

-Fury vuole un interrogatorio. Che lo faccia io, un ufficiale o lui stesso, non gli interessa. Vuole risposte e non è disposto a rischiare altre vite.

Steve capì subito che cosa volesse dire. Ancora non credeva a quello che stava succedendo. La mascella si contrasse per ingabbiare un'imprecazione.

-Ha dato l'ordine. Arresto immediato, non è così? Con qualsiasi mezzo.

Cercò conferma negli occhi della Russa, i quali non si mossero dai due speculari, in attesa di una qualche reazione di rabbia che invece non venne sfogata.

-Va bene, okay. Emh... Inventati una scusa per me. Digli che non mi hai trovato.

-Fury si aspetta la tua presenza. Se non ti vedrà arrivare, capirà che ci sei dentro anche tu. Non ci penserà due volte a venire qui e non busserà alla porta per contrattare.

-Cosa dovrei fare? Lasciarla qui da sola? Come credi che sia possibile che non fugga via mentre noi non ci siamo? Cosa vuoi che faccia? Che la leghi ad una sedia? Che la chiuda in bagno a chiave? O magari che glielo chieda gentilmente?

-Non lo so. Ma se rimani, non potrai proteggerla di nuovo. Darai solo altri indizi per trovarla. Forse dovresti provare a farle capire...

-Farle capire cosa? Non si fida di me, Natasha! E l'ultima cosa che vuole sentirsi dire è di rimanere rinchiusa qui dentro!

-Ragiona, con la bella testolina con cui sono sicura che stai già elaborando un altro piano, Steve. Da chi si è diretta per chiedere aiuto? Non da me, non da qualcun altro. È venuta qui. Lo ha chiesto a te. Come valuti quest'atteggiamento? Tu l'hai accolta, l'hai curata! Farà qualsiasi cosa se le farai capire che è per il suo... Bene.

Lo sguardo della Rossa si posò più lontano, alle spalle dell'uomo, sulla figura poggiata al muro, ripugnante della luce. Steve prese conoscenza dell'attenzione di un paio d'orecchie attive ad origliare, forse da più tempo di quanto potesse immaginare. Sentì la necessità di esprimere una qualche emozione di sollievo, che gli riscaldò il petto, nel vederla ripulita dall'orrore con cui l'aveva trovata quella mattina. Ricercò lo sguardo sbilenco con cui guardava entrambi, nascosto dietro i ciuffi bagnati, come un cane bastonato. Natasha lo riportò subitaneamente a suo posto, come con uno strattone ad un cappio cinto al collo.

-Non abbiamo più tempo. Prendi la tua decisione, Capitano.

-Che decisione? - Domandò Astrid che non aveva resistito alla tentazione di ficcare il naso in una conversazione mantenuta a voce forzatamente sommessa.

Steve avanzò verso di lei, richiamando tutta l'autorevolezza che gli serviva per farsi prendere sul serio. Le posò le mani sulle spalle, piegò un po' la testa per arrivare alla sua altezza.

-So che non lo accetterai, ma è necessario che tu non esca di casa. Sei al sicuro. Nessuno verrà a cercarti qui.

Astrid lanciò un'occhiata fulminea all'espressione della donna dietro di lui, che non prometteva nulla di buono.

-Voglio venire anch'io.

-Questa volta devi fare come ti dico. Non puoi uscire. Lo SHIELD... - Ci pensò su prima di finire la frase, ma ormai l'aveva iniziata. - Ti sta cercando.

Astrid sentì il fiato mancare. Una fitta tornò a farsi spazio nel torace. Si rese conto tardi di non riuscire a contenere l'agitazione. Iniziò a balbettare.

-I-i-io... Io non...

Steve le afferrò il capo, riagganciò lo sguardo spaurito che si strinse tra le ciglia e puntava ovunque tranne il suo volto. Lo riconquistò, assicurandosi che non avesse che i suoi occhi nel proprio campo visivo.

-Guardami. Ascoltami. Ti prego. Devi rimanere qui, d'accordo? Ti prometto che non ti accadrà più niente. Sistemeremo tutto appena torniamo. Devo parlare con Fury, devo sapere che cosa sa e come fare per scagionarti. Dopo parliamo di quello che è successo. Ma dovrai dirmi tutta la verità, altrimenti non posso difenderti. Hai capito?

Astrid tirò su col naso le lacrime che stavano provando a spingere di nuovo. Annuì, momentaneamente rassicurata.

-Brava. Dobbiamo andare adesso.

-Dove? - Chiese lei, la voce dolente. Allungò una gamba per incamminarsi con loro, un braccio al muro per colmare la mancanza di sostegno sullo stesso lato.

-Fury ci ha chiamati per... Una riunione. - Rispose il Capitano, mancando il tanto prezioso contatto visivo. Guardò il pavimento, per un istante, mentre apriva la porta e si sistemava la giacca. Natasha gli lanciò un'occhiata rapida. Sostenne la parte con un sorriso brevissimo, quasi meccanico, neutrale e sparì dietro di lui. - Non so quanto ci vorrà. Spero non molto. Tornerò appena possibile e penseremo al resto. D'accordo?

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Punizione / Parco giochi ***


Neve e Cenere | Marvel

20 . Punizione / Parco giochi

 

I tacchi a spillo scesero dall'auto e cominciarono la loro tratta tra i flash dei giornalisti e la ressa dei curiosi. I capelli chiari, freschi di parrucchiere, tutti raccolti in una pettinatura semplice. Il rossetto ciliegia a curvare le labbra in un sorriso faticoso, contrariato, le lenti scure a nascondere il mascara inumidito. Il bodyguard si fece strada per lasciar passare la sua signora tra la ressa. Prestava la sua voce per scusarsi, chiedere permesso e rifiutare dichiarazioni, ma quando entrambi si trovarono davanti ad un muro armato, si fece da parte.

-Cosa significa che non posso passare? Sa chi sono io?

-Non abbiamo l'autotizzazione di far entrare nessuno fuorchè i parenti stretti. Mi dispiace.

-Io sono la figura più vicina ad un parente che ha! Ha bisogno di me!

La donna in tailleur si spinse oltre, letteralmente, sgomitando tra le spalle delle guardie, ma loro la respinsero indietro.

-Signorina, stia al suo posto!

-Non mi tocchi! Mi levi le mani di dosso, immediatamente! - Strillò la donna.

-Per piacere, non mi costringa a farla allontanare con la forza!

-Ma come si permette? Ad una donna!Ad una signora! Guardi, chiamo la sicurezza!

-Sono io la sicurezza, signora...

-Che sta succedendo qui?

Il Comandante Fury aveva sentito gli schiamazzi e la sua intuizione su chi possedesse una voce tanto squittente era giusta. 
La donna si sistemò una ciocca fuori posto, si stirò la giacca con le mani, come per recuperare classe e voce in capitolo, dimenticati sdegnosamente attimi prima.
Le guardie si portarono una mano alla fronte.

-Comandante!

-Sì, comandante! Io sono... - Si aggiunse anche quella con irriverenza. Fece per dire il suo nome, ma non ce ne fu bisogno.

-Signorina Potts! Posso esserle utile?

-Sì, signore. Grazie a Dio! Si dà il caso che i suoi uomini non fungano il loro compito a dovere! Io ho il diritto di ricevere informazioni sulla salute del signor Tony Stark e ad assistere all'operazione a cui verrà sottoposto!

-In primo luogo, signorina, - Iniziò l'omone con calma professionale. - i miei uomini stanno eseguendo ordini da me stabiliti, per la sicurezza di tutti e del signor Stark in primis. Secondo: non mi risulta che lei sia una parente, nè tantomeno che il signor Stark sia sposato. I termini credo siano stati esposti chiaramente.

-Sì, ma saprà bene, come conosce il nome, che io sono stata la segretaria del signor Stark per molto tempo e in quanto...

Fury si mise a ridere. "Segretaria" era decisamente un eufemismo. 
La donna si impettì, le gote cominciarono ad arrossire. Impuntò i tacchi tra i due uomini che le impedivano il passaggio. Alzò un dito appuntito verso il volto del Comandante che non si mosse di un millimetro. Egli la scrutava dall'alto dei suoi quasi due metri, come un cecchino dalla sua torre. Non mosse un muscolo. Le mani sui fianchi, ascoltò la vocetta che si imponeva per riconquistare la sua ragione.

-In quanto tale... - Riprese, tutta paonazza. - Sono a conoscenza di tutti gli interventi che il signor Stark ha subito al torace e al cuore, del funzionamento del reattore, delle possibili conseguenze riguardanti la disinstallazione. Tutte le informazioni che potrebbero essere utili e necessarie per effettuare al meglio l'operazione sono state archiviate nel database di JARVIS e solo io posso accedervi, oltre a Tony Stark stesso.

Fury attese un secondo di più prima di rispondere, fingendo di pensarci su, per farla sbollire, per non dare l'impressione di essere stato rimesso in riga da una donnetta e evidenziare il titolo maggiore che gli affidava la direzione e il controllo di tutto ciò che accadeva in quello stabile. Alzò le sopracciglia, rassegnato.

-La signorina Potts ci sarà di aiuto. Non farete entrare nessun altro.

-Sissignore!

Sulle labbra ciliegia della donna esplose un sorrisone di vittoria. A quel punto, pensò bene che avrebbe potuto conquistare ancora un pezzo si territorio.

-Oh e Happy, il mio assistente... - Tentò, puntano il dito alle sue spalle. - È discreto, non farà nulla di sconveniente. - Assicurò, ma il Comandante non sembrava propenso a fare altre eccezioni. L'espressione inflessibile, senza più un accenno di sorriso, era un segno più definitivo di un "No". Così ella si voltò verso l'uomo robusto dietro di lei, quello in giacca e cravatta e un paio di occhiali da sole stile ciclista a trattenere un ciuffo di capelli ingellati in cima al capo tondo. Il bodyguard, di risposta, le fece un contenuto cenno con la testa, con dubbia aria autoritaria e alquanto ridicola superiorità.

-Vada pure, rimarrò qui ad attenderla.

Il Comandante voltò le spalle, col suo lungo cappotto di pelle stile Matrix, che svolazzava tutto orgoglioso. La donna lo seguì, cercando di stare al passo della falcata degli stivaloni neri, con quelle scarpette in vernice i cui tacchi scandivano l'ansia in tutto il corridoio. Sforzandosi nel non scambiarsi una parola di troppo, arrivarono alle porte dell'ascensore, incontrando due facce, tutto fuorchè sconosciute.

-Capitano, finalmente.

-Comandante. Scusa il ritardo, ho avuto un contrattempo.

-Pensavo che la mia chiamata sarebbe stato un contrattempo. - Rettificò il moro, come un rimprovero ironico.

-Un contrattempo nel contrattempo, appunto. Signorina Potts.

-Lei dev'essere il famoso Steve Rogers! - Fece la donna tutta elettrizzata. - È un onore incontrarla. È pazzesco che in tutti questi anni non siamo mai riusciti a presentarci di persona!

-Bè, come si dice? Meglio tardi che mai, no? Il piacere è mio. - E le strinse la mano, pensando (e temendo) a se e a cosa Tony le avesse raccontato di lui.

Appena sganciò la mano del Soldato, la signorina Potts si accorse dell'altra donna, la Rossa, schierata accanto il muro di muscoli. Rivederla le iniettò un fremito di gioia, composta, che la spinse a riempire anche lei di convenevoli ben educati.

-Vedo che si sta già ambientando. - Si intromise il Comandante, per darci un taglio. - Venga, le presento il resto della squadra. Scommetto che rimarrà estasiata!

Le fece strada, una mano aperta verso l'ignoto. Natasha andò avanti con lei. E quando entrambe misero piede nella grande sala, Fury si piantò davanti al suo soldato, puntandolo con quell'unico occhio con cui riusciva a far sudare anche lui.

-Notizie di Sullivan?

Steve guardò Natasha, che si era voltata all'istante, cercando un sostegno, una di quelle scuse che lei sapeva dire benissimo e lui un po' meno. Contrasse la fronte, fingendo confusione.

-No... Perchè? Dovrei?

-Pare sia scomparsa. Nessuno l'ha vista da ieri sera. Voglio che venga trovata e catturata. Deve essere sottoposta ad interrogatorio.

-Certo, senza dubbio.

-So che voi due non siete mai andati molto d'accordo...

-È esatto. Sono forse l'ultima persona a cui chiederebbe asilo...

Natasha si diede uno schiaffo alla fronte. Cretino, pensò. Steve si morse la lingua. Fury lo esaminò ancora un poco, come un segugio insicuro. Forse aveva fiutato qualcosa.

-Allora mi confermi anche tu che non hai idea di dove possa essere?

-Signorsì, signore. - Annuì l'altro, senza battere ciglio.

Il Comandante sembrò convinto. Tornò a camminare. Steve riprese fiato. Allungò il passo per andargli dietro.

-Nick, scusa una domanda, se posso.

-Parla e taglia corto.

-Sei certo che c'entri Sullivan? Non potrebbe essere stato qualcun altro? Non potrebbe essere tutta una coincidenza? - E mentre parlava, calcolava quanto si stesse esponendo. Tuttavia doveva farlo, doveva porre quel dubbio. Nonostante sapeva di stare negando l'evidenza, la sua coscienza non sarebbe stata pulita finché tutte le piste non sarebbero state escluse.

-Romanoff non ti ha riferito tutti i dettagli?

-Sì... - Poi non ne fu più così sicuro. - A quali dettagli ti riferisci?

Fury non andò tanto sulle lunge.

-Il corpo di Stark è stato ritrovato nell'appartamento di Sullivan. Il suo corpo era congelato e sull'armatura c'erano le sue impronte. A me sembra una coincidenza abbastanza rischiosa. A te, Capitano?

-Signore, l'elicottero è arrivato. È sul tetto.

-Qui Comandante Fury. Ricevuto. - Rispose il Comandante, portatasi la ricetrasmittente alla bocca. La riappuntò alla cintura, l'occhio buono ancora fisso sul suo Capitano dubbioso, il quale aveva spalancato la bocca ed era diventato una statua di gesso.

-Che c'è, Capitano? Sei impallidito.

-Tutto bene. Non importa.

***

Passeggiò per l'ampia stanza, studiando i dettagli della casa. La libreria era composta da libri di vario genere: un paio di grossi volumi di storia, una serie di classici e persino documentari e cultura musicale moderna. C'era un grammofono sulla scrivania in legno e parecchi dischi in vinile disposti l'uno di fianco all'altro, ciascuno nella propria custodia dalla copertina un po' scolorita, segnata dalla storia. Mise il naso in cucina che era ancora tempestata dall'odore del caffè. C'era una moca sul fornello. La svuotò dei fondi e la riempì di nuovo. Premette il pulsante accanto alla manopolina e il gas si incendiò alimentando una fiammella blu. Attese. Attese, mentre camminava annoiata. Attese, seduta sul divano. Attese, spiando dalla finestra di quella prigione accomodante. Era ai domiciliari in una casa che nemmeno era sua. Eppure, in fondo, non trovava senso nello scappare. Era stanca. In quel momento voleva solo bere caffè e starsene seduta sul divano ridotto in ossa, a guardare il pavimento. Non pensare a niente. Attendere il verdetto.
Era colpevole. Non c'era nulla da fare che assumersi le proprie colpe e respondabilità. Avrebbe ammesso la verità. Avrebbe accettato la sua punizione. Perchè in fondo lei era ancora capace di farsi un caffé e camminare per casa zoppicando, ma dall'altra parte c'era qualcun altro che non era più nemmeno capace pensare. Non le importava nemmeno perchè non stesse guarendo. A cosa le sarebbe servito guarire se non trovava più senso nel vivere? Era meglio così.

Le fischiavano le orecchie da quando si era risvegliata, un sogno strano che aveva fatto continuava a saltarle in testa e in quello sconquasso silenzioso si accavallò il perpetuo ticchettio della lancetta dell'orologio a muro alla voce del Capitano che le ripeteva di non uscire, agli angoli della casa che, ovunque si girasse, vibravano per ricostruire l'atmosfera lugubre che la tormentava, la caffettiera che borbottava.

Si tenette al tavolo per un mancamento e quello, come la mano sfiorò la superficie, diventò una scultura di ghiaccio. Le finestre si spalancarono e una ventata nevosa turbinò nella stanza, facendo cigolare il lampadario e ricoprendo ogni mobile di una patina scivolosa e scricchiolante che prese ad inseguirle i piedi. Astrid indietreggiava e indietreggiava, ma pareva non volesse fermarsi mai, finchè a un certo punto, andò a colpire qualcosa con il gomito e un getto bollente le arrivò addosso, macchiandole i vestiti. Fece un balzo di spavento e un gesto inconsulto, così la manica della maglia prese fuoco e lei cominciò ad agitare il braccio impazzito, perchè la pelle le bruciava, le faceva male. In un momento di lucidità pensò di lavarsi sotto il rubinetto e il sollievo si sostituì a tutto il resto.

Guardò il caffé colare giù dal fornello, riversarsi a terra, sgocciolando sul parquet. Si teneva ancora il braccio, perchè scoprì che nel momento in cui toglieva la mano un pizzicore insolito pervadeva la zona scoperta in modo insopportabile, incomprensibile. Pensò che fosse parte dell'incubo, ma tutto era tornato normale: le finestre erano ancora chiuse, le persiane abbassate, il pavimento lucido e tutt'altro che ghiacciato. Si prese ancora un momento per rendersi conto che fosse tutto nella sua testa, come sempre.

Le gocce di caffé rigavano l'anta del forno, il fornello ancora acceso troneggiava vincitore. Osservò le fiammelle appuntite ancora in combustione. Formavano un cerchio grande giusto come il suo palmo. Lo studiò con la testa obliqua, senza capire e le venne in mente di fare una prova. Perchè non era possibile, doveva essersi lasciata condizionare! Era sicura che non sarebbe successo niente se ci avesse riprovato.
Cosicchè, quando la sua mano incontrò il calore del fornello, tutti i nervi del braccio urlarono assieme a lei. Il dolore arrivò fino al diaframma, il quale spinse l'aria nei polmoni con violenza ed espanse un'ennesima fitta al ventre. Si piegò in due.
Con la mano che pulsava rossa e gonfia, si allontanò dalla fiamma fissandola ad occhi sgranati, atterriti, come fosse magia nera: cosa le stava succedendo? Doveva essere impazzita, non poteva essere reale, forse dormiva ancora! No, no, no! Urlò. Si tirò i capelli. Diede un pugno al muro con quella mano rossa che le fece ancora più male di prima. Scaraventò una sedia, rovesciò tutto ciò che c'era ancora sul tavolo, tra bottiglie e tazze che si fracassarono a terra in cocci appuntiti. Era forse quella la sua punizione? Col cavolo che l'avrebbe accettata! 
Oh, ma lei sapeva di chi fosse la colpa. Era di quel dio, di quel Loki, di quel grandissimo farabutto! Oh, lei lo avrebbe ucciso con le sue mani, lo avrebbe strangolato e fatto a pezzi, se non avesse potuto incenerirlo. Oh, sì che lo avrebbe fatto! Perchè lui era stato là quella notte. Lo aveva visto, lo aveva sentito!

E mentre ancora cercava di ricostruire, un brivido freddo le sfrecciò lungo la schiena, quando incontrò troppo presto la parete fredda, facendo un rumore strano, come di metallo che tintinna, come una corazza.

-Dovresti metterci una sacca di ghiaccio. Gli umani fanno così. Pare che provochi del benessere istantaneo...

Astrid si paralizzò. Sentiva il ronzio della gemma troppo vicino all'orecchio. Vedeva la luce emessa dal gioiello colorare l'aria. Tutta la rabbia che le vibrava nelle vene, la stessa che aveva sfogato fino a un attimo prima, si placò all'istante, come acqua sulla brace e al suo posto rimase una tiepida frustrazione. Strinse i pugni per tenerli fermi: stava tremando. Loki lo sapeva. Le girò attorno, studiandola con quegli occhietti da serpente, brandendo il suo prezioso scettro nella mano. Sorrise.

-Vedo che ti sei ripresa.

-Che cosa vuoi ancora da me? Non ho più niente che possa interessarti.

-Lo vedo. E sei furiosa. Guarda qui. - Aprì le braccia sul macello che aveva combinato. - Non sarà contento il Capitano quando tornerà.

-Ha altro di cui preoccuparsi. Non credi? - Ribatté lei, cercando di tenere saldi i nervi.

-Uuh! Questo è rancore! Te lo leggo negli occhi: vorresti... Vorresti uccidermi, non è così? Allora avanti. Cosa aspetti? Ti ricordavo più combattiva. Oh, un momento... Hai paura.

Astrid deglutì. Aveva il cuore a mille. Lo sentiva vibrare così forte che le rimbombava anche in testa. L'avrebbe fatto, desiderava ardentemente di attaccarlo, ma non se la sentiva di scoprire di aver perso dell'altro. L'umiliazione era troppo alta.

-Sei venuto per prendermi in giro?

-Sono venuto per aiutarti. - Ribatté lui, fingendo carità.

-Sì? Con quello?

-Ah, ecco! È questo il tuo limite. Sei terrorizzata dall'idea che lo userò di nuovo sulla tua volontà. Non è così?

-Mi hai fatto uccidere un mio amico.

-E poi ti sei sfogata su una decina di uomini armati. Il danno maggiore lo hai fatto tu, a quanto pare.

Astrid abbassò lo sguardo. Di nuovo si ritrovava in quella dannata stanza, con gli occhi del Dio puntati addosso come un giustiziere.
Vattene, le aveva ordinato, mentre lei stava ancora china a guardarsi le mani carnefici. Aveva scosso lo scettro dalla carne di colui che pochi istanti prima sapeva stare in piedi con le proprie gambe e che un secondo dopo si stava decomponendo sul pavimento. Una vita spezzata in due come quella di un fastidioso insetto. Aveva scosso la punta per pulirla dallo sporco, da un rifiuto insignificante. Le aveva ordinato di andarsene perchè non c'era più divertimento. E lei, le gambe tremanti, le mani di sangue a tenersi il ventre come se le viscere fossero potute scivolarle fuori liberamente, si era alzata e n'era andata come voleva lui. Un cagnolino obbediente, completamente succube del suo potere.

-Perchè non mi hai lasciata lì a morire? - Chiese, la voce flebile. Una lacrima le ferì il volto.

Loki strizzò le sopracciglia in una smorfia confusa che sembrò quasi sincera.

-Io ti ho salvato la vita! Dovresti esprimere riconoscenza!

-Okay. Ti ringrazio. - Lo accontentò. Il dio sembrò apprezzare, ma non aveva finito. - Ti ringrazio per avermi tolto tutto ciò che avevo, poteri compresi. Ora non sono più un problema. Sei soddisfatto?

Loki la fissò ancora un poco, cercercando di carpire il suo obbiettivo. Lo sguardo brillante, ammaliato dalla scintilla di tenacia che, anche se pacata e sofferente, ancora scoppiettava, in un ultimo tentativo di tenere salde le mura di un'anima distrutta, che ancora combatteva per vincere, testarda e orgogliosa.

-Non sono stato io a privarti dei tuoi poteri. Non penserai davvero che tu potessi essere una minaccia tale da trovarmi costretto a castrarti?

Come? Non era stato lui? Allora chi? Com'era potuto succedere? Non le era mai capitata una cosa del genere, non poteva di certo essere una causa naturale! O forse il trauma, forse lo strazio... No, non diciamo cazzate. Non poteva essere niente di tutto ciò. Aveva capito: era un bluff. Non poteva essere altro che uno dei suoi sporchi giochi manipolatori.

-Menti.

Loki si mise a ridere.

-Non sono mai stato tanto sincero in tutta la mia vita! Se fosse stata opera mia sarei stato onorato di rivendicarla. Ma purtroppo, non era nei miei piani e anzi, mi costringe a fare delle modifiche che non avevo previsto...

Giusto. Il Dio degli Inganni si vanterebbe della genialità dei suoi misfatti, godrebbe delle sofferenze inflitte. Eppure non sembrava questo il caso, nonostante non dimostrasse alcun tipo di reazione all'ostacolo che gli si poneva davanti. Era tranquillo, come se avesse già trovato una soluzione da applicare.
Lui sapeva. Per forza avrebbe dovuto saperlo. Era stato tutto il tempo a guardare, fino ad intervenire solo all'ultimo. Doveva saperlo, ma se lo teneva per sé. Era un giochetto che lo faceva sogghignare, perché avrebbe potuto usare quell'informazione quando più gli sarebbe convenuto. Astrid intuì l'agguato, ma qualcosa le diceva che lo stesse facendo apposta, che stesse quasi aspettando che glielo chiedesse.

-Dimmelo.

-Che cosa devo dirti? Non comprendo.

-Lo sai. Sai chi mi ha fatto questo. Eri lì, hai visto tutto. Sai com'è successo. Devi dirmelo.

Il dio gongolò. Si fece desiderare.

-Un'informazione così preziosa va meritata...

Ed ecco l'inganno.

-Non mi alleerò con te. Ne abbiamo già discusso. - E poi cosa avrebbe potuto fare per lui?

-Lo immaginavo. Sei prevedibile come i tuoi amici.

Tergiversava e ad Astrid serviva solo a farle ribollire il sangue ulteriormente. La scintilla stava iniziando a fiammeggiare.

-Se non vuoi parlare, non mi importa. Lo scoprirò da sola.

-Confinata in queste quattro mura? Bene. Inizia a rovistare nella credenza. Magari troverai qualcosa di interessante nascosto tra le spezie. O magari sotto il tappeto, nel fondo di quel vaso...

Aveva ragione. Se fosse rimasta là dentro non avrebbe scoperto un bel niente. Ma di uscire, non se ne parlava. Lo SHIELD l'avrebbe catturata di nuovo e questa volta non sarebbe stato clemente. Aveva bruciato la sua ultima possibilità. E poi lo aveva promesso al Capitano. Non poteva tradirlo in quel modo, non dopo quello che aveva fatto per lei. Avrebbe potuto lasciarla lì sul pavimento e chiamare Fury all'istante, ma non l'aveva fatto. Si era preso cura di lei, questo significava che un po' doveva tenerci.

-Ingenua... - Esordì Loki, aprendo un sorriso che riempiva la stanza. Sembrava che le avesse letto nella mente, o i pensieri erano scorsi talmente intensi che non poté che coglierli uno per uno come margherite. Astrid non era una buona attrice.

-Perché dici che sono ingenua?

-Perché stai appendendo la tua vita ad un filo di fiducia che non sai se resisterà. Non sai di chi è la mano che lo tende dalla parte opposta. E questo lo rende ancora più fragile. Perciò mi chiedo: perchè perseveri nell'illuderti in questo modo?

-Non mi sto illudendo. Io mi fido di loro. - E mentre negava, sentiva di farlo più per un superbo bisogno di contraddire, che per una salda convinzione. Ma non lo volle ammettere.

-Dove ti hanno detto che sarebbero andati?

-Ad una riunione... - Rispose Astrid non proprio convinta, mentre osservava il suo interlocutore aggirarsi attorno al televisore, come un primitivo catapultato suo malgrado nell'era moderna.

-Una riunione. Immagino che stiano parlando di te in questo momento. O se non altro, della tua misteriosa scomparsa. Come funziona questo coso? - Con lo scettro diede un colpetto allo schermo che barcollò un poco, prima di tornare stabile.
Astrid, che aveva fatto un passo in avanti, scattando per prendere al volo il televisore, lo guardò storta. Loki fece una faccia strana. D'un tratto sembrava diventato un bambino dispettoso.

-Cosa diavolo c'è che non va in te?! - Sparò senza filtri.

-Perdona la mia goffaggine. Ero solo curioso di come funzionasse quest'arnese...

-Ma ti sembra il momento?! Stavamo facendo un discorso serio!

Loki non la calcolò nemmeno e cominciò a filosofare, l'attenzione ancora impressa attorno alla scatola mistica.

-È curioso come gli umani possano starci davanti per ore. Si rimpinzano di cibo distesi per tutto il giorno, immobili, imbambolati come se fosse intrisa di chissà quale magia... Non mi stupisco che siano un'effimera popolazione di inetti.

Astrid fece un respiro profondo per non perdere le staffe. Una mano sulla fronte, cercava di non chiedersi il perché. Gliel'avevano detto che avesse perso qualche rotella, ma non immaginava che potesse trasformarsi da tenebroso dio sanguinario a uno sbadato alieno d'altri tempi così repentinamente. Poi le venne un'idea: magari assecondandolo sarebbe riuscita a mantenerlo docile.

-Devi premere quel tasto.

-Questo?

-No, non quello. Aspetta...

Si chinò per premere il pulsante giusto e lo schermo si illuminò. Loki emise un verso di stupore.

-Ooh! È quindi questo il trucco.

Quando alzò lo sguardo, Astrid fu pervasa da una sensazione inquietante: un brivido che non la percosse, ma la penetrò da parte a parte atrofizzando ogni muscolo. Si sentì come giudicata, beccata con le mani nel sacco, un misto di senso di colpa e fastidio fisico. Non si era accorta di essersi avvicinata così tanto. Era sottinteso che si sarebbe allontanato, lasciandole spazio. Di solito si fa così. Invece lui non si era mosso da dov'era, rifiutando di rispettare il suo spazio vitale. Adesso la fissava con quelle iridi glaciali, calamite per ogni scia di pensiero, anche il più oscuro e profondo e lei non seppe fingere disinvoltura. Dire che si sentisse a disagio sarebbe minimizzare. Era forse imbarazzo?

-Scusa... - Disse sovrappensiero, mentre si ritraeva. Poi scosse la testa. Scusa?! L'aveva detto davvero? Aveva perso per caso anche la ragione?

-Prego... - Rispose lui con un sorriso malizioso che Astrid cercò di non incrociare. - Oh, guarda! Non sono i tuoi amici?

Avanzò davanti alle immagini che proponeva il telegiornale. Alzò il volume sulla voce squillante della telecronista. Steve, Natasha, i gemelli, il Comandante Fury... C'era anche Coulson e una donna dai capelli rossi. Virginia Potts. Sì, era lei. Il suo nome risuonò dagli altoparlanti, dalla voce della donna al microfono. Erano sulla pista in cima alla Torre Avengers. Due elicotteri ad attendere il loro arrivo. Ma cosa ci facevano tutti lì? La giornalista rispose alla sua domanda.

-Parte degli Avengers sono stati riuniti qui, sul tetto della Torre. Li vediamo inquadrati dalla nostra telecamera in elicottero. Nessuno di loro ha voluto dare una dichiarazione sulla tragica vicenda accaduta questa mattina in Montréal dove, in un appartamento di periferia, sono stati ritrovati dieci corpi di agenti brutalmente uccisi, apparentemente a sangue freddo, durante un'intervento di salvataggio. La proprietaria dell'appartamento in questione, sembra sia la famigerata neo-Vendicatrice Astrid Sullivan, la quale ha già dato prova delle sue abilità distruttive in passato. Tuttavia non ci sono ancora prove concrete per giudicarla. Tutto ciò che l'FBI ha ricavato sono delle voci di corridoio che ritrarrebbero anche il miliardario Tony Stark e rimasto vittima dell'accaduto. Il corpo "ibernato", come informano alcune fonti non ancora accertate, è già stato portato via in elicottero all'ospedale più vicino per essere sottoposto ad un intervento speciale... Mi stanno riferendo in questo momento che gli elicotteri stanno per planare dalla torre! Eccoli, li vediamo partire...

-Ospedale? Nessuno porta un morto in ospedale! - Osservò Astrid con voce strepitante. Si voltò verso il dio e aveva già gli occhi lucidi prima ancora di aprire bocca. - Questo significa che... Stark...?

-Nella disperazione devi aver riposto una piccola dose di energia nel suo corpo... Un'operazione vana, ai miei occhi, ma ahimé, non ho saputo impedirtelo. Eri completamente uscita di senno, non davi più ascolto alle mie parole... - Le rivelò il dio, con aria del tutto superficiale, mentre lucidava il suo scettro con un dito e lo guardava in controluce.

-E me lo dici solo adesso?! - Sbottò lei senza sapere se essere felice o incendiarsi di rabbia. Semplicemente iniziò a balbettare parole a caso, le mani nei capelli, fu assalita da una vampata di calore. Ancora non ci credeva. Era vivo. Non l'aveva ucciso. Era tutto vero. Cosa stava succedendo? Non lo sapeva più. Poi all'improvviso tutta la gioia si spense.

-Una riunione, hai detto, eh? - Fece lui, con tono da seminatore di discordia. Era stufo di quella scenetta euforica. Decise che era ora di tornare alle cose serie. E come previsto, Astrid si raffreddò all'istante come una candela in una cappa di vetro.

-E così il tuo amico ti ha mentito...

-Sono certa ci sia un motivo. - Ribatté lei, occhi bassi, voce torva, come se la colpa fosse la sua. Un macigno di vergogna le cadde sulla schiena schiacciando ogni certezza.

-Che non ti ha detto...

-Invece sì.

-E sarebbe? Che qui sei al sicuro e fuori no? Davvero sei così ottusa da crederci? Mi deludi, sai? Mi deludi profondamente.

Non sapeva più cosa provare. Una parte di sé gli dava ragione. Non si capacitava del fatto che il Capitano le avesse potuto mentire e lei non accorgersene. Avrebbero potuto trovare un'altra soluzione, avrebbero potuto difenderla. Come potevano solo pensare che avesse potuto far del male a Stark per sua volontà?
Questo dubbio cominciò a roderla da dentro, ma non voleva ammetterlo, perché il colpo era troppo forte. Così tornò a prendersela con l'unico di cui non avrebbe mai dovuto fidarsi e che, ironia della sorte, si era rilevato il più onesto.

-Perchè mi fai questo?

-Ancora non vedi. Vogliono plasmarti. Sono consapevoli di non poterti controllare e trovano modi per incatenarti, come l'obbligo morale da cui non puoi, non riesci a distaccarti. Ti hanno già in pugno!

-Sono tutte stronzate! - Strillò lei.

-Forse dovremmo farci un giro. La prigionia non ti fa un bell'effetto.

-No! Io non ci vengo con te! Non uscirò da qui!

-Non vorrai perderti il risveglio del tuo amico? Non vuoi assicurarti che sia vivo davvero?

Sì, lo desiderava. E doveva averlo pensato di nuovo troppo forte o fu il suo silenzio a farglielo capire, perchè il capo di Loki si piegò da un lato come per dire "Non darmela a bere".

-Non saranno contenti di vedermi con te...

Loki fece spallucce.

-A te la scelta. Per quanto mi riguarda puoi rimanere qui ad angosciati, mentre il senso di colpa e il dubbio ti divoreranno fino alla follia e...

-Va bene, va bene, va bene! - Lo zittì lei. Non avrebbe sopportato una parola di più. Ancora si trovò interdetta. Così prese un respiro profondo e affrontò la sua contraddizione più grande. Strinse i denti. Le labbra diventarono due spaghi rosei. Chiuse gli occhi perchè in futuro potesse dimenticare più facilmente il momento in cui dovette dare ragione al suo nemico.

-Portami lì.

Un ghigno malefico le si piantò davanti, appagato, pavoneggiandosi della propria capacità di persuasione. Astrid incartò le sopracciglia su quei dischi d'ambra che imprigionavano tutto il suo disappunto. Dentro di sé, non era una sconfitta, era una concessione.

-Vieni più vicino...

Ah, pure?! 

Astrid decise di non fare storie, non aveva voglia di discutere ancora. Fece mezzo passo in avanti, ritrovandosi spiaccicata agli indumenti Asgardiani che emanavano un odore strano, come di incenso. Di fianco, lo scettro che le ronzava nell'orecchio. Infine il Dio degli Inganni schioccò le dita ed insieme, le loro figure svanirono nell'aria.


Le pareti si allontanarono sbiadendo. I mobili divennero trasparenti. Il soffitto s'aprì sotto un cielo azzurro tappezzato di batuffoli bianchi. Dal pavimento crebbe dell'erba fresca. Astrid si sentì un po' strana. Le girava la testa. Rabbrividì quando l'aria rigida la investì senza scrupoli. Per un momento non percepì sostegno sotto i piedi e dovette aggrapparsi alla giacca del dio. Poi, appena si rese conto che erano arrivati, si staccò con un balzo all'indietro e studiò la zona. Poggiava i piedi scalzi nella terra fresca di un enorme prato verde, ben curato. Un edificio parallelepipedo si estendeva alle loro spalle, esibendo sulla facciata il simbolo degli Avengers. Decisamente non era un ospedale.

-Dove cazzo mi hai portata?! Questo non è l'ospedale! - Esclamò, per l'appunto, Astrid spintonandolo.

-Non hai precisato dove volessi andare.

-Cristo... Lo sapevo che non dovevo fidarmi di te!

Loki le voltò le spalle. Si avviò all'entrata senza darle peso.

-Dove stai andando? Sei impazzito?!

Sì, era impazzito, non c'era null'altro da aggiungere. Astrid gli andò dietro ruspando i piedi. Da una parte voleva sgolarsi, dall'altra non poteva rischiare di farsi sentire. Così se ne uscì con un sibilo rauco che non evidenziò la sua agitazione quanto necessitava.

-Ci vedranno! Ci scopriranno! Mi chiuderanno in gattabuia! Io non posso più difendermi!

Ma al dio non interessava affatto. Continuò a percorrere la sua retta, spalle dritte, lo scettro in mano, come se fosse casa sua, senza un briciolo di preoccupazione. Era tutto calcolato per lui. Si piegò in avanti, sbirciando tra i vetri oscurati. Astrid lo guardava basita. Si malediceva. Si sentiva un'idiota. Si era fatta ingannare. Andava avanti e indietro, la testa tra le mani. Si ripeteva di stare calma, ma l'unico modo in cui sarebbe riuscita a tranquillizzarsi era tornare in quella casa.
Si decise. A falcate ampie andò incontro al dio. Non avrebbe polemizzato, avrebbe solo richiesto di essere riportata indietro. Aprì bocca per chiamarlo.

Nel momento esatto in cui formò il suono della prima sillaba, una carovana di furgoni neri e automobili dello SHIELD sbucarono da dietro il bosco che contornava la zona, seguendo la strada ghiaiosa. Astrid era in mezzo al prato, davanti all'ingresso. Senza riparo. Se si fosse messa a correre l'avrebbero vista, ma forse sarebbe riuscita a nascondersi tra gli alberi. Guardò il dio che non sembrò nemmeno averci fatto caso. Lo strattonò da una manica. Quello strizzò gli occhi per inquadrare la situazione, ma non fece nient'altro. Era troppo tardi. I furgoni e le macchine parcheggiarono. Le portiere si chiusero. Un gruppo di uomini in giacca e cravatta, gli occhiali da sole sul naso, cominciò a marciare dritto verso di loro a passo incalzante.

-Fermi, aspettate! - Esclamò Astrid portandosi le mani in avanti.

Perfetto. Era fatta. Adesso l'avrebbero ammanettata, incatenata, interrogata, magari anche torturata. Buttata nell'angolo di una cella, abbandonata come un animale.

Tra tutti, come una visione, riconobbe il volto di Coulson. Provò ad aggrapparsi alla sua compassione, ma quello, lo sguardo gelido, impassibile, non la guardò nemmeno. Le passò accanto. Tutto il branco di agenti la sfiorarono soltanto, senza degnarla di un'occhiata, come se la sua figura fosse fatta d'aria. Le porte si chiusero alle sue spalle e lei rimase con gli occhi fissi nel vuoto, cercando di dare un significato a ciò che aveva appena assistito. Si voltò verso Loki, ma non seppe come formulare la domanda. Fece un gesto di confusione, si schiaffeggiò le guance per svegliarsi se stesse sognando. Invece era sveglia.

-Cosa sta...? Perchè non mi hanno presa e portata via? - Chiese senza più l'appiglio di possibili spiegazioni.

-L'avrebbero fatto se ti avessero vista.

-Che cos...? Ma come...?

Loki sospirò.

-Te l'ho detto che con me ci si diverte di più...

Ci fu un momento di silenzio in cui i due si interrogarono mentalmente sulle intenzioni dell'altro. Astrid non capì se fosse una battuta o la stesse prendendo in giro.
Sono invisibile, ripeté col pensiero, guardandosi le mani e ispezionando il corpo, che invece lei poteva osservare senza problemi. Lanciò una nuova occhiata al suo protettore con gli occhi di una bambina nel Paese del Balocchi.

-C'è un raggio d'azione che devo rispettare perchè questa figata persista o... posso spostarmi dove voglio?

Il rumore delle eliche di un paio di elicotteri piombò all'improvviso nelle vicinanze. Astrid si espose, mettendo alla prova la novità che la faceva sentire di nuovo intoccabile.
I velivoli atterrarono sull'erba e i passeggeri scesero uno dopo l'altro. Natasha, Wanda, Pietro, Pepper, il Capitano e Fury. C'era Thor ad accoglierli alle porte.

-Possiamo seguirli? - Chiese Astrid con una voglia irrefrenabile di infiltrarsi tra di loro di nascosto. Tuttavia, non aspettò il consenso e si affrettò per non perdersi una sola parola.

-Ben arrivati, miei amici. - Fece il capellone sfregandosi le mani.

-Lui dov'è? - Chiese Pepper, slacciandosi da tutte le buone maniere che si era imposta fino a qualche istante prima. Sembrava frenetica, nervosa. Doveva covare un'ansia turbolenta da ore e adesso non doveva essere più in grado di nasconderla. 
Nessuno aggiunse altro perchè lei aveva sintetizzato l'unico pensiero rilevante al momento. Ci sarebbe stato dopo il tempo per tutto il resto.

-Venite. - Li invitò il Dio del Tuono. Cominciò a far loro strada affiancato dal Comandante.
Astrid si gettò in mezzo senza pensarci due volte.

Percorsero gli uffici zeppi di impiegati, fogli di documenti ovunque, cartelle, scrivanie, schermi, computer. A loro si aggregò Coulson, che sbucò da un corridoio laterale. 
Astrid, ancora non molto sicura di potersi muovere ed agire come suo solito, camminava un po' curva, a passo felpato, come se davvero potesse nascondersi se non fosse stata protetta da un incantesimo. Non si capacitava del fatto che le persone le passassero davanti ignorandola completamente.
Un'idea del tutto ludica le attraversò il cervello. Si scostò dal gruppo. Lo guardò allonanarsi con la coda dell'occhio. Dedusse che non avrebbe potuto perderlo in pochi istanti. Si appropinquò di soppiatto verso un impiegato alla scrivania che digitava qualcosa alla tastiera, concentratissimo. Il microfono che gli schiacciava la guancia glabra, i capelli un po' scompigliati. Cautamente gli passò una mano davanti allo schermo. L'uomo non batté ciglio. Allora cominciò a soffiargli sul collo e quello fece una mossa spastica con la spalla per spazzare via il fastidio. Si voltò di scatto. Astrid sentì raggelare il sangue. Rimase immobile finché quello non tornò alla posizione iniziale, incollato allo schermo.

-Stupida aria condizionata...

Astrid si portò una mano alla bocca per ammutolire una risata improvvisa.

-Fossi in te porterei attenzione a non fare stupidaggini. - Consigliò Loki con voce pacata.

-Perchè? Ci sono dei limiti? - Bisbigliò lei pensando ad un altro modo per stuzzicare la sua ignara vittima.

-Come hai avuto l'occasione di osservare, il mondo attorno a te è concreto come lo era prima. Puoi interagire con tutto ciò che vedi.

-È una figata... - Commentò lei sempre più esaltata. Si sedette sulla parte nuda della scrivania, attenta a non spostare nulla. - È come se fossi un fantasma!

-Non prenderci l'abitudine. Posso proteggerti finché non ti fai del male.

-In che senso?

-Nel senso più letterale che immagini.

-E come potrei farmi del male? Nessuno può...

Non finì la frase. Una donna piombò di fronte a lei con un pacco di faldoni in braccio. Aveva un profumo forte, i capelli tirati indietro con una coda stretta e scrupolosamente ordinata. La divisa le fasciava il corpo robusto, la giacca stretta soffocava il seno prorompente. Qualcosa, forse l'espressione dura, le disse che probabilmente fosse un superiore del suo amichetto.

-BERRINGAN!

L'uomo fece un salto, il mouse gli saltò dalla mano. Anche Astrid si spaventò per la reazione inaspettata, ma più che altro cominciò a realizzare di essere in trappola: se la donna avesse posato i faldoni sulla scrivania, ovvero sulle sue gambe, avrebbero subito notato tutti qualcosa di strano.

-Sì, signora... Mi dica? - Rispose quello con tono sommesso.

-Controlla questi documenti. Sistemali per ordine cronologico. Entro domani li voglio digitalizzati. Intesi?

-Sì... Sì, signora. Come vuole, signora.

-Bene. - Sembrò soddisfatta. Poi inclinò il capo. - La vedo un po' pallido. Qualcosa la turba?

-No, sto... Alla grande. Grazie. - Mentì, chiaramente intimidito. Afferrò i faldoni, se li portò al petto un po' impacciato.

La donna fece dietrofront. Astrid approfittò di un piccolo spazio per svignarsela. Come rimise i piedi a terra, il ragazzo lanciò i faldoni nel posto vuoto, colpendole la mano sinistra che la stava sostenendo per scendere. Una scintilla dorata si espanse sul dorso, tra le dita, sulla zona d'impatto. Astrid scrollò la mano per il dolore.

-Ahia, cazzo!

L'uomo voltò il capo verso di lei, avendo forse notato qualcosa, ma non trovando niente a cui potesse corrispondere, pensò che se lo fosse immaginato.

Loki spettava la scena attendendo che la bambina avesse finito di giocare.

-Sei soddisfatta? - Domandò, facendole il verso.

Astrid rispose affermativa, fingendo una serietà che non rispecchiava l'umore del momento e si incamminò verso il corridoio, rincorrendo la scia immaginaria dei suoi compagni. Trotterellò tra gli agenti, passando davanti al loro naso, schivandoli all'ultimo. Si stava divertendo davvero. Loki le stava dietro senza commentare. Non nascose il sorriso beffardo quando inciampò su un cavo e colpì un ufficiale, il quale perse dell'equilibrio e come effetto domino, crollò su una collega, la quale portava in mano un bicchiere di caffé che andò a riversarsi ovunque: in faccia ai due, sui vestiti, sulla moquette. L'uomo si ricompose, offrendo aiuto alla donna, ma quella indignata, i capelli grondanti, gli lanciò uno schiaffo sonante sulla guancia.

-Idiota!

Astrid scoppiò a ridere talmente forte che per un attimo temette che potessero sentirla. Guardò tutta la scena piegata in due. Poi il suo corpo le ricordò che non potesse sostenere un tale sforzo e la risata morì da sola.
Di conseguenza il dolore la portò alla memoria di Stark. Dopodichè di Loki, il quale la guardava piuttosto stupito, con un ironico sorriso che non temeva rivali. Automaticamente i muscoli del suo viso si fecero più duri e tornò nel suo solito broncio grigio.

-Non pensare che adesso siamo amici. - Chiarì lei con tono particolarmente crudo e un dito alzato a mo' di minaccia.

Loki sorrise enigmatico. Tornò a seguire la camminata zoppa, in coda al gruppo. Finirono davanti ad una porta argentata, le cui ante si separarono con un fruscio delicato. Astrid si appiccicò dietro ai gemelli per paura di rimanere chiusa fuori. Loki ci passò in mezzo senza farsi problemi. Camminava che pareva quasi non avesse i piedi, con un fare talmente pricipesco e leggero, da elegante sir inglese. Tutt'altra cosa il fratello aprifila, che muscoloso e imbronciato com'era, sembrava non essere molto avvezzo a bilanciare tutto quell'ambaradam di roba sui due sole gambe e teneva le braccia larghe sui fianchi, quasi per mantenersi in equilibrio.

Astrid scorse il volto del Capitano che, accartocciato nei suoi pensieri, la mandibola contratta, masticava l'apprensione che tratteneva da uomo. Con Natasha e Fury, facevano la parte dei freddi soldati composti. Non potevano fare altro, d'altronde, la donna in tailleur trasportava abbastanza agitazione per tutti.
Il dottor Banner apparve nel suo camice bianco e gli occhiali in mano. Non sembrava entusiasta, ma nemmeno troppo preoccupato. Avviò loro verso una saletta appartata, il cui sipario a strisce di gomma scura divideva l'atmosfera agitata e laboriosa del resto del piano da quella mistica e appesa che investì pesante tutti quanti, rendendo i sospiri più intensi.

-Siamo pronti? - Domandò Fury, appostatosi di fronte ad un lungo cilindro di metallo, posizionato orizzontalmente al centro di una serie di macchiari collegati.

Astrid allungò il collo. Le spalle del Capitano le coprivano tutta la visuale. Avrebbe voluto di urlargli si spostare il suo bel culo un po' più in là, invece si dovette trattenere.

-Necessiti forse di una scala? - La schernì Loki alle sue spalle. Aveva la sofisticata capacità di sparire e poi riapparire di colpo, come per ricordare ogni tanto il suo disturbo, giusto per evitare che qualcuno si cullasse troppo nell'illusione di sentirlo sparire. Non la smetteva mai di trovare del ridicolo ovunque. Ogni particolare poteva potenzialmente diventare oggetto di una battuta o di una frecciatina ironica. Se Astrid non fosse stata distratta da qualcos'altro, con molta probabilità gli avrebbe tirato quel pugno che si era risparmiata attimi prima.

-Non sarebbe una cattiva idea, in effetti. Non è che avresti anche la capacità di farmi volare? O magari di far spostare le persone, o donarmi la vista a raggi X? - Chiese lei, senza pudore.

-Pazienta.

-Siamo pronti. - Rispose Banner. Drizzò gli occhiali. Pigiò qualche tasto. - Apro.

A quella parola ci fu uno sbuffo. Una nuvola di vapore fuoriuscì da quella che sembrava una bara d'argento. Tutti indietreggiarono e Astrid finalmente potè vedere:

il volto di Tony Stark dormiente.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Resurrezione ***


Neve e Cenere | Marvel
 
21 . Resurrezione
 

Stava correndo. Il cuore nel petto era un tamburo. Le gambe bruciavano. La testa vagava per i pensieri più orribili. Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che le sue guance fossero state tanto bollenti, quanto bagnate. Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che pensare: "Fa che non sia così, fa che non sia così, ti prego, per piacere", senza un'idea precisa di a quale forza superiore si stesse appellando. La puzza di fumo e delle ceneri spente nelle narici, il lamento delle sirene dell'ambulanza nelle orecchie, il timbro freddo aldilà del telefono di chi l'aveva informata, che continuava a materializzarsi sottoforma di immagini deliranti. Avevano detto che era stato un incidente, una fuga di gas. Ma com'era stato possibile? Sam era sempre stata di una meticolosa ossessione per queste cose. Tornava sempre indietro a controllare se aveva chiuso tutte le finestre e fatto due mandate alla porta. Non era tranquilla finché non aveva fatto il giro di tutta la casa e controllato il gas sia dalla manopola che dai fornelli. Forse questa volta era successo qualcosa che l'aveva fatta distrarre?

La sua immaginazione disegnava un tunnel preciso attraverso il marasma di persone che scanzava e scavalcava per i marciapiedi. Tra le valigette strette nei palmi, i cappotti seri e improfumati di colonia, le cravatte impiccate al collo, le chiome ben pettinate ed il furore di dover proseguire strade più importanti della sua, si era già fatta chiamare in vari modi da quelle bocche nervose. Si era scontrata contro numerose spalle, aveva fatto squillare un paio di clacson rischiando di farsi investire, nonchè di slittare col culo sul suolo ghiacciato. Il suo fiato era diventato una nuvola densa che la rincorreva. La neve cadeva imperterrita a fiocchi grossi e pesanti sul cemento salato. Entro poche ore, avrebbe ricoperto la città intera di parecchi centimetri.

La facciata dell'ospedale sbucò da dietro l'angolo come un traguardo. Non smise di correre finchè non era dentro, nemmeno dopo aver rovesciato una cassetta di verdure e aver fatto scivolare un Babbo Natale gigante, la cui testa di peluche rotolò ancora per qualche metro.
Teneva ancora il telefono stretto tra le dita, le nocche bianche e la pelle fumante, quando si appoggiò al bancone della reception sbuffando come un drago. La donna dall'altra parte le aveva fatto un paio di occhioni, dall'alto dei suoi occhiali a punta, mentre squadrava la coltre gelata del sottile giubbino di pelle e la schiuma di neve sulla criniera spettinata che scivolava davanti al viso rosso e gonfio per lo sforzo.

-Posso esserle utile?

-Samantha Bonneau. È arrivata qui poche ore fa. C'è stato un incidente... credo sia stato un incidente... È esploso il suo appartamento. Mi hanno detto che è stata portata con l'ambulanza...

La donna si sistemò gli occhiali schiacciandoli al naso e cominciò a smanettare.

-Bonneau?

-Bonneau, esatto.

-In effetti... c'è una Samantha Bonneau: è stata spostata in terapia intensiva mezz'ora fa.

-Come in terapia intensiva? Che... che significa? L'hanno operata? Cos'è successo? Sta bene?

-Lei è una parente?

-No, io, io sono... Sono un'amica.

-Allora, mi dispiace, ma sono le uniche informazioni che posso darle. Il turno di visite inizierà alle quattro e trenta. Se vuole accomodarsi...

-Come? Perchè non può dirmi come sta?

-Sono autorizzata a dare informazioni sui pazienti solo ai parenti stretti.

-Senta, mi ascolti bene. - Astrid battè il telefono sul piano del banco. - Ho corso per tutta la città per arrivare qui, mi sono quasi fatta investire e lei mi dice che non può darmi informazioni?

-Mi dispiace.

-Mi faccia vedere!

Astrid si lanciò in avanti, verso il monitor, mentre la donna si mise ad urlare, ma prima che le mettesse le mani al collo, qualcuno la tirò indietro. Nella hall si erano tutti fermati a guardare una pazza che inveiva contro un'infermiera e un medico, senza un apparente motivo. Gli occhi sgranati e attenti, come se qualcosa di molto fastidioso avesse interrotto la loro quiete.
Astrid non ne poteva più, doveva sapere come stava Samantha, doveva vederla e avrebbe fatto qualunque cosa. Qualunque. Anche buttare giù, ad una ad una, ogni camera dell'ospedale, se fosse stato necessario. Era furiosa. Le lacrime si erano seccate sugli zigomi, ma gli occhi di fuoco ancora luccicavano, il naso gocciolava. Sentiva il medico rassicurare i curiosi, intimandoli a tornare su quello che stavano facendo. Sentiva tossi e lamenti provenire dai corridoi, il tintinnio delle barre di metallo, lo striciare delle rotelle dei lettini, lo stridio delle suole frettolose sul linoleum, penne che scattavano, voci che ordinavano con energia. Una brandina le passò a fianco, spinta da un paio di divise azzurre. Dovette fare un balzo per non essere presa in pieno. Alzò lo sguardo e trovò i cartelli che segnavano la direzione per i vari reparti e le si accese una lampadina. Incalzò il passo nella direzione del centro ustionati, ma il medico la fermò prima che si allontanasse troppo.

-Dove pensa di andare?

-Mi lasci passare. - Protestò lei cercando di scanzarlo, ma quello la seguì nei movimenti per non cederle il passo.

-Non posso farlo. Ha appena aggredito un'infermiera. È un pericolo per i pazienti e per chi lavora qua dentro. O si calma o sarò costretto a sbatterla fuori.

Astrid si mise le mani nei capelli. Aveva voglia di gettare un urlo isterico. Si trattenne a fatica dallo strozzare anche lui.

-Sto solo cercando un'amica. La prego, per piacere... Mi lasci passare.

L'uomo ci pensò un istante.

-Come si chiama?

-Bonneau. Samantha.

-Ah... Ho capito.

-Ha capito?

-Ho presente chi è.

-E allora? Come sta? È grave?

-Emh... - Il dottore alzò il mento, le mani nelle tasche, buttò un occhio sulla situazione dietro la ragazza matta. Sembrava cercasse un pretesto per non parlarne. Astrid si aggrappò al camice e lo strattonò con rabbia.

-Me lo dica!

-Okay, okay! - Le mani del medico uscirono allo scoperto. - Però si calmi. Capisco che sia sconvolta, ma si deve calmare. È un ospedale. C'è molta gente che si trova nella sua stessa posizione e non sta creando problemi.

Astrid si guardò attorno, si specchiò nelle facce di coloro che aspettavano qualcuno che era passato dall'altra parte, seduti in silenzio, senza sapere quanto avrebbero atteso ancora. Decise che avrebbe dovuto seguire il consiglio. Per Sam. Solo per poter andare da lei.

-La prego. - Ripeté rallentando la presa dal camice. - Mi faccia vedere dove sta. Mi indichi solo la stanza. Le prometto che non darò più fastidio. Ma per favore, ho bisogno di sapere.

L'uomo sbuffò. Si sentiva interdetto.

-E va bene. Se questo servirà per farla stare buona...

Nei i corridoi dell'ala est, dopo due rampe di scale, le stanze non avevano più le porte opache, ma erano più grandi e circondate da plexiglass da cui tutti potevano dare una sbirciata al paziente al suo interno. Quasi ogni faccia su quei dannati lettini, era fasciata o ricoperta di croste scure. Sembrava che nessuno là dentro potesse entrare senza un'ustione in volto. Astrid cominciò a sentirsi male.
Il primo salto al cuore lo ebbe quando Noah, il fratello di Sam, scattò in piedi nel vederla. Era il momento. Era lì. In quella stanza, tra tutti quei tubi che pendevano, dietro quei macchinari, c'era lei. Noah si fece avanti a rilento, con il ciuffo ossigenato che aveva perso forma. Le mise le braccia al collo in modo un po' spastico, come se ogni movimento gli costasse una fatica immensa. Astrid ricambiò stringendogli la vita gracile con un gesto automatico. I suoi occhi si posarono sull'immagine dietro il vetro trasparente: il corpo di Samantha era avvolto in una coperta candida, solo il volto sbucava da essa. Sporco, forse solo di polvere, ma non sembrava compromesso. Le ciglia chiuse come un paio di piccoli scrigni: dormiva... chissà da quanto? E in quel momento Astrid pensò che una creatura tanto perfetta persino in quello stato, non poteva aver fatto l'errore di distrarsi. Non era da Sam distrarsi o dimenticare qualcosa. C'era lo zampino di qualcuno. E forse, in quel momento, lei sapeva anche di chi...

***

Una densa nuvola cotonata si intromise tra gli spettatori e il busto cromato del marchingegno. Sulla superficie concava che si aprì come una lunga conchiglia robotizzata, colava dell'acqua di condensa. Nella minuscola sala circolare senza finestre, era calato un silenzio religioso. Si trovavano tutti in fila, spalla a spalla, gli occhi puntati su un unico obiettivo: un corpo dalla carnagione pallida, la superficie della pelle lucida come gommapiuma untosa, il petto scoperto tappezzato dagli elettrodi attorno alla cicatrice circolare e quiescente. Stark dormiva e sembrava quasi non respirasse per quanto fosse immobile: il respiro doveva essersi ridotto al minimo in quel congelatore. Nessuno voleva pensare che in quei polmoni non passasse nemmeno uno spiffero di ossigeno. Nessuno voleva fare il primo passo verso quella visione incerta, come per impedirne la realizzazione.

-Dottore, ci illumini.

Fury si ergeva davanti a tutti. Le mani dietro la schiena, quel suo occhio critico ispezionava ogni particolare. La sua voce era secca, il suo fare sbrigativo. Non voleva più perdere tempo.
Banner cominciò a spiegare come aveva agito mentre gli altri non erano presenti: con l'ausilio delle informazioni inviategli dalla signorina Potts, appena il corpo di Stark era atterrato con il Quinjet, aveva ipotizzato di operare immergendolo nel liquido stabilizzate, fino allo spostamento nella capsula di criogenesi per raggiungere gradualmente la temperatura ideale ed evitare o, almeno controllare, possibili rotture dei tessuti organici. C'era da attendere, a quel punto. E tutti attesero col fiato sospeso. Intanto quella nuvola di vapore ghiacciato si era rarefatta e ciò di cui si era in attesa cominciò a tardare. E il ritardo finì per pesare, un secondo dopo l'altro con disorientamento, come quando si aprono i sipari su un palcoscenico vuoto e il pubblico inizia a tossicchiare, a mormorare, a guardarsi attorno, a domandarsi se non abbia sbagliato sala.

-Banner?

Fury fulminò lo scienziato, il quale fissava il monitor con aria irrequieta, digitava pulsanti e borbottava.

-No, no, no... Avanti... Devi funzionare! - Borbottava a bassa voce, cercando di raccapezzarsi tra i calcoli e i riccioli scompigliati. Ruminò qualcosa tra sé e sé mentre si agitava tra le scartoffie e i computer. - Controlla i livelli di scongelamento e i parametri vitali all'inizio del processo e confrontarli con quelli delle varie fasi. - Ordinò alla mora assistente che si mise a tamburellare le dita ossute su un pannello.

-Banner?!

-U-un momento, solo un momento...

-Parametri stabili, dottore.

-Sbalzi termici anomali? Anche la minima alterazione può aver interferito con l'operazione.

-Nessuna anomalia, dottore.

Banner sbuffò, si strofinò gli occhi.

-Stark, Stark, Stark... Cosa mi stai combinando?

-Qualcuno può spiegarci cosa sta succedendo? - Irruppe il Capitano da dietro le quinte.

-Banner, voglio una risposta. Adesso. - Insistette il polso fermo di Fury.

Tuttavia, prima che quello iniziasse a parlare - iniziando una teoria che aveva finto di non ascoltare nella sua testa, riguardo al fatto che la criogenesi era ancora sperimentale su soggetti senza doti fisiche particolari - si udì un'inspirazione improvvisa, come se qualcuno fosse emerso dopo cinque minuti di apnea.

-Oh, Santo Cielo!

Astrid si smarcò e come vide quel che le si presentava davanti, sentì il cuore sobbalzare: Stark si era alzato col busto. Sudato e di un colore di pelle sul bluastro, gli occhi sbarrati e cerchiati, tremava, forse per il freddo, forse per l'ultima immagine che ancora viveva nei suoi occhi. Qualcuno passò una coperta. Virginia lo abbracciò e lo avvolse con premura, mentre lo accarezzava in volto, ancora incredula.

-Figlio di puttana! Ci hai fatto prendere un colpo! - Si lasciò sfuggire il Capitano.

Stark gli lanciò un'occhiata stranita. Si guardava attorno cercando qualcosa o qualcuno.

-Ben tornato! - Fece Nick e gli altri lo seguirono a ruota con complimenti e qualche battuta.

Le prime, deboli, parole di Stark non tardarono, sebbene sembrasse un essere uscito dall'altra parte della galassia.

-Dov'è?

Virginia gli prese il volto tra le mani.

-Sono qui. Andrà tutto bene. Sei vivo. Adesso torniamo a casa.

-No... - Stark si ribellò alla presa scuotendo la testa.

-Come "no"? - Domandò la donna afflitta. Che cosa aveva fatto di sbagliato?

-Sei disorientato, è normale. Abbiamo dovuto fare uso della cella di criorigenesi per farti tornare. - Illustrò Banner.

-Perchè?

-Sei stato... congelato.

-Come?

-Per ora non ne abbiamo la certezza. Ma possiamo supporlo. Per questo sarai sottoposto a qualche semplice quesito per chiarire le dinamiche del caso. Appena il tuo cervello si scongelerà per bene. - Lo prese in giro Fury che finalmente si lasciò andare a un sorriso. Strizzò l'occhio al Capitano.

-Forse quella battuta inizierà a risparmiarsela.

-Si spera per lui. Altrimenti si beccherà ogni volta una ribattuta! - Aggiunse Natasha.

-Io... Non mi sento... - A Stark non piacque il sarcasmo. Strinse una mano allo stomaco. La sua faccia si corrucciò più di prima e si sbiancò. Virginia si allarmò immediatamente.

-Presto! Un sacchetto! Un cestino! Sta per...!

Banner si apprestò a cercare qualcosa che evitasse il disastro, ma era già tardi. Un fiotto di vomito si riversò sul pavimento senza ulteriore preavviso. Natasha si era spostata un attimo prima di ricevere una schizzata, collidendo contro qualcosa che non aveva inquadrato. Astrid cadde per terra, ai piedi di Thor, il quale si mise a ridere di pancia.

-Ti ci vuole una bevuta, amico! Per risanare le viscere!

Astrid fissò quella materia giallastra in cui erano diluiti il doposbornia e tutto il male della notte precedente. Venne da vomitare anche a lei. Rivolse lo sguardo verso quelli ormai rilassati e li rivide, per una frazione di secondo, com'erano stati un attimo prima. Li aveva feriti, aveva quasi sottratto loro un frammento di puzzle che non sarebbe mai tornato come prima. E anche se ora Stark era praticamente tornato dall'aldilà, quella morsa allo stomaco non si era affievolita, ma anzi le pareva ancora più evidente: non c'entrava più nulla con loro. Nessuno si era interessato di lei. Nessuno aveva domandato dove potesse essere per pura preoccupazione. Fury aveva bisogno di un colpevole ed era sicura che se non avesse scomodato il Capitano, nemmeno lui si sarebbe penato per lei. Era un'assassina, una carnefice senza scrupoli. Poco importava se non fosse vero. Ai loro occhi sarebbe rimasta tale, perchè a nessuno in realtà importava davvero di lei. Era stata rigettata. Come quel vomito che presto sarebbe stato pulito, anche lei sarebbe sparita. Sarebbe stato un peso in meno per tutti.

Mentre aggirava la cella frigorifera, guardò la donna in tailleur pulire con un fazzoletto la faccia dell'ex compagno, con fare tanto materno da fare tenerezza. Pensò che almeno ci sarebbe stato qualcuno che si sarebbe preso cura di lui.

Si scusò mentalmente con quella figura distrutta, che lei aveva distrutto, durante il dormiveglia in cui era stata disumanizzata. Si congedò da quei turbini profondi ai quali si era concessa e non avrebbe dovuto. Era stata talmente dolce l'idea di un paio di braccia nuove in cui abbandonarsi, così tentatrici quelle labbra fragili, così calde quelle mani accoglienti e sicure, così familiare e accomodante quello sguardo malinconico. Si era sentita al sicuro, con lui non c'era stato bisogno di uscire dalla propria comfort-zone. Era rimasta ferma, nei suoi vizi e nei suoi difetti. Nella sua bolla di isolamento, aveva permesso che entrasse piano, a piccoli passi. Ed era stato talmente semplice, era successo quasi per caso, nemmeno si era resa conto del loro avvicinamento. Era consapevole che prima o poi si sarebbe pentita, si sarebbe sentita vulnerabile, come per quelle ferite all'addome che continuavano a stridere sotto la canottiera.

Avrebbe voluto toccarlo di nuovo, quel corpo, per capire se l'avesse sognato o si fossero incrociati davvero. Tutto quel sangue aveva lavato via, come sapone, il ricordo del suo calore. La sua mano, quella mano con cui aveva sfiorato la cicatrice perfettamente circolare in mezzo al petto, la stessa che aveva esplorato i desideri di un uomo che qualche ora prima l'aveva riportata a casa, raccogliendo tutti i suoi pezzi sparsi per incollarli nel giusto ordine, lo stesso che ora pareva aver perso la testa. La sua mano aveva bisogno di riscatto. La memoria tattile aveva bisogno di una giusta conferma.

Con un dito gli sfiorò una spalla, ma non accadde niente. Si voltò. Si avviò verso la porta, passando sotto il naso del Comandante. Delusa, vuota, sola.

-As-trid...

Astrid si impietrì sentendo il suo nome. Si voltò lentamente e scoprì che Stark la stava fissando come se potesse vederla. Era stupito, confuso. Poi quell'espressione spaesata si tramutò in qualcosa di più cupo. Egli si portò una mano al petto.

-Cosa? Che hai detto? - Fece Virginia.

-Ha detto... "Astrid". - Azzardò Banner.

-Stark, ricordi qualcosa? - Chiese Fury cogliendo la palla al balzo. - Ricordi chi ti ha aggredito?

-Astrid. - Ripetè Stark dopo un poco, più sicuro.

Calò il freddo in quella stanza, come se l'aria si fosse congelata di colpo. Astrid sentì il pavimento cederle sotto i piedi, deglutito dagli inferi. Avvertì una stretta più acuta. La pelle iniziò a pizzicare. Non era stata lei. Voleva urlarlo. Ma come fare? Nessuno poteva vedere il suo volto affranto, nessuno poteva sentire la sua voce desolata. È stato Loki, voleva gridare, mi ha usata!
La terra tremò davvero stavolta, sotto i piedi di tutti. Si sentirono passi affrettarsi nei corridoi. Un paio di agenti sbucarono affannati.

-Fury, signore! Il Tesseract!

Il Comandante si ricompattò serio.

-Cos'è successo?

-È stato preso.

-È stato preso?! Chi lo ha preso?!

-Loki... Signore. Loki lo ha preso.

-Che cosa?!

Astrid fece per svignarsela, era il momento adatto, ma la terra tremò una seconda volta e dovette appoggiarsi al lettino. Gli occhi di Stark non le davano tregua. Erano spaventosi per quanto fossero ossessivi. Egli alzò un dito verso di lei e all'improvviso sembrò che tutti potessero vederla.

-Ti prego, no... - Sussurrò, come se Stark solo potesse condannarla.

-Oh, cazzo.

-Astrid?

-È davvero lei!

-Come ha...?

-È opera di Loki! - Affermò Thor accusatorio. - Le ha fatto un incantesimo affinché potesse vagare indisturbata senza farsi vedere da noi!

Steve corrucciò le sopracciglia.

-Eri d'accordo con lui? Ti sei alleata con Loki?!

Astrid, che ora poteva parlare ed essere udita, non sapeva più che dire, non sapeva spiegare. Tutte le prove erano contro di lei. E adesso che non poteva più nascondersi, la parola del Comandante sarebbe stata decisiva.

-Prendetela.

L'agente alla porta non si mosse. Quello dietro di lui si nascose meglio.

-S-signore...

-Sì, agente?! - Esclamò Fury alterato.

-Quella ragazza è colei che... ha fatto fuori una squadra di dieci agenti specializzati?

Fury alzò gli occhi al cielo.

-Capitano? È tutta tua. - Fulminò i due uomini, digrignando i denti. - Ho addestrato dei vigliacchi. Non lo sapevo.

Steve deglutì, prima di muovere il primo passo. Poi avanzò in fretta. La guardava dritta negli occhi, furente. L'avrebbe fatta a pezzi.

Astrid indietreggiò fino ad incontrare la parete con la schiena. Di nuovo spalle al muro, di nuovo in trappola.
Non voleva che finisse così. Non voleva essere catturata. Era innocente. Era una vittima. Sarebbe dovuta scappare. Fare un buco nella parete e buttarsi, ma si sentiva fiacca. Non aveva ancora recuperato le energie per bruciarle. A mala pena riuscì ad intiepidire le dita.

-Sono innocente! Non sono stata io! - Urlò, mentre si rimpiccioliva sotto quel paio di iridi azzurre, più impassibili che mai. Scorse una via di fuga con la coda dell'occhio, ma il Capitano scosse la testa: un piccolo segno per farle intendere di non muoversi, di non protestare. Astrid si incollò al muro, sperò che non le facesse troppo male. "Fidati di me" sussurarono le labbra di Steve - ironico, come se avesse avuto altra scelta! - e un attimo prima il dorso della sua mano colpì il giovane collo con un colpo secco. Astrid si accasciò a terra, priva di sensi.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** In trappola ***


Neve e Cenere | Marvel

22 . In trappola


Si era messo a nevicare da una mezzora. Nel giardino sempreverde del Quartier Generale era calata una foschia piatta che appesantiva gli steli d'erba e i rami degli alberi con flemma silente. Gli occhi assolutamente azzurri del Capitano erano imprigionati nel vetro della finestra, persi, come si perdeva la visuale sotto quei biancore opaco. Brooklyn sotto la neve... Era da tanto che non la vedeva. Entro poche ore le strade delle città si sarebbero imbiancate e le gomme delle automobili avrebbero disegnato strisce di fanghiglia come una mappa da seguire alla guida di un elicottero. Era tornato l'inverno. Dopo una lunga e faticosa estate piena di novità e cambiamenti, era tornato l'inverno esattamente come l'anno prima, e quello prima ancora. Le stagioni continuavano a susseguirsi, il mondo continuava a girare, nonostante tutto.

-Caffé?

-Per me no, grazie. - Rispose Steve muovendo solo la bocca.

Clint si voltò verso Natasha confuso da quel poetico sguardo smarrito.

-Ha prosciugato la sua preziosa moca italiana, stamattina. - Spiegò Natasha sdrammatizzando.

-Ah. Che mi sono perso? - Domandò l'altro spolverando il cappotto e appendendolo all'attaccapanni.

-Niente di che. Stark è vivo, anche se in stato di semi-incoscienza. Sullivan è sotto sorveglianza, Loki si è ripreso il Tesseract e per quanto ne sappiamo domani o tra un'ora potremmo dover affrontare un'altra battaglia tra universi.

-Fantastico. Siamo proprio nella merda, eh?

-Già.

-Aspettate... Astrid sotto sorveglianza?! Non penseranno sul serio che abbia attentato alla vita di Tony di sua volontà!

-Questa era una nostra teoria. Ma Fury voleva assicurarsi della sua innocenza sottoponendola ad un breve interrogatorio. Solo che è sparita ed è riapparsa magicamente davanti ai nostri occhi. A quanto pare è stata aiutata da Loki. E ciò costituisce una prova chiara e indiscutibile.

-Credete che abbia tradito?

-Sembra sia la pista più gettonata.

-Bisogna sentire cosa dice lei... Loki potrebbe essere riuscito a raggirarla.

-Loki sa essere molto persuasivo. È dotato di arguzia e ingegno ed è un esperto dell'arte oratoria. Non ha necessità della magia per far sì che gli altri facciano ciò che lui desidera. - Intervenne Thor turbato non solo dalla situazione, ma ancor di più dalla singolare macchina che sfornava bicchierini e bevande solo premendo qualche tasto. Ci provò anche lui, ma rimase deluso dal fatto che non accadde niente.

-Esatto. Avrà sicuramente visto in Astrid un'occasione per fare la sua mossa indisturbato.

-Oppure è stata Astrid ad usare lui. - Tutti guardarono Natasha come se in volto le si leggesse il significato enigmatico delle parole che aveva appena espresso. - Voglio dire, - chiarì lei - magari sapeva già delle conseguenze, ma ha preferito rischiare lo stesso pur di non rimanere in disparte. Sapete com'è. Non riesce a stare ferma.

-Certo! Ha preferito rischiare che starsene al sicuro! Dannazione a lei! - Sbottò Steve lanciando un calcio al tavolo di fronte, la cui gamba di metallo si piegò in un gomito. Natasha lo fulminò. Lo seguì con gli occhi mentre filava via, la mandibola talmente serrata dalla rabbia che con un po' più di forza gli sarebbero saltati tutti i denti. Il Capitano era famoso per la sua profonda apprensione per chiunque e nessuno si fece domande. A parte Clint, il quale notò il riflesso di un pensiero impegnativo nello sguardo della Rossa.

-Cosa succede? - Sussurrò avvicinandosi a lei quatto quatto.

Natasha si portò il bicchierino di plastica alle labbra. Valutò se fosse il caso di inserire anche lui nel piano segreto a Fury. Non che non si fidasse di Clint, anzi. Ma si parlava di favoreggiamento, occultamento di prove e tradimento. La posta in gioco era alta. Pena: l'arresto immediato. E Clint non poteva permetterselo.

-Affari di cuore. - Deviò lei, sorseggiando il tè, con quel tono che non si capiva mai se diceva sul serio oppure scherzava.

-È una traditrice. - Sputò Wanda che per tutto il tempo era rimasta seduta accanto al fratello fissando il pavimento. - È una bugiarda e sporca traditrice!

-Wanda, ma che stai dicendo? - La sgomitò Pietro.

-È vero. L'ho visto. Era d'accordo con lui. Gliel'ho letto nella mente. Era d'accordo con Loki, non è stata ingannata. Glielo ha lasciato fare. È una traditrice!

-Ne sei sicura? - Bisbigliò Pietro, temendo che sua sorella stesse vaneggiando.

-È un'accusa grave quella che stai sollevando. - Evidenziò Clint.

-Credo che tu debba rivalutare i tuoi poteri, signorina. A volte ciò che si vede può essere frainteso. - La riproverò Natasha.

-Io non fraintendo niente! - Esclamò la strega scattando in piedi. - Io so tutto. Passato, presente, pensieri, piani segreti...

Natasha trasalì internamente. Non battè ciglio. Non sorrise per contraddirla, non accartocciò il bicchiere tra le dita come avrebbe fatto se avesse lasciato che vincesse l'istinto. Assunse semplicemente la maschera da Vedova Nera, che non lascia trapelare una sola emozione. Non poteva far capire che in realtà aveva fatto centro.

-Pietro, porta tua sorella a prendere una boccata d'aria. - Disse infine, con calma.

-Perchè? Hai qualcosa da nascondere anche tu? - Insinuò ancora la ragazza.

-Vieni. - Fece Pietro, prendendola teneramente per mano. - Facciamo un giro.

Wanda guardò Natasha ancora in cagnesco, prima di addentrarsi nel corridoio, minacciandola di attraversare anche i suoi pensieri. Abbandonò presto l'idea, quando il gemello la tirò piano, invitandola a seguirlo.

-Che caratterino... Tra lei e Astrid non so chi avrebbe la meglio. - Commentò Clint, mescolando il fondo di zucchero con la paletta.

-Non vorrei scoprirlo. - Sospirò Natasha. Il bicchiere vuoto finì nel cestino all'angolo.

-Lei... si è davvero alleata con Loki? - Domandò Thor preoccupato.

-Astrid è più astuta di quanto dia a vedere. Come dicevo prima, può aver usato a suo vantaggio una situazione di difficoltà fingendo di stare da entrambe le parti.

-Se e così... L'hai addestrata bene. - Disse Clint. Sorrise per complimentarsi.

-Me lo auguro. Vado ad accertarmi che anche il Capitano non sia uscito di testa. Altrimenti siamo veramente nella merda.

Lo trovò esattamente dove aveva immaginato. A braccia conserte, di fronte al retro dello specchio nero della cella in cui era rinchiusa lei. Le sopracciglia contrite, le labbra rigide. Tutti i muscoli erano contratti in lui, come se cercasse di resistere ad una sofferenza, un po' come quando hai freddo e non hai niente con cui coprirti. Egli emise un sospiro faticoso quando percepì la presenza della donna. Natasha buttò un'occhiata alla stanza e nel corridoio.

-Dov'è Fury?

-Si sta sfogando contro chi doveva essere a guardia del Tesseract. Pare che abbia formato un altro piccolo gruppo di seguaci.

-Banner, Selvig e la Foster?

-Sono stati allontanati in tempo.

-È strano che Loki abbia usato lo stesso schema dell'ultima volta. Lo credevo più creativo.

-Sbagliato. Siamo noi che glielo abbiamo permesso. Eravamo troppo impegnati ad assistere che un nostro amico si risvegliasse. - Fece cinico. Natasha capì che quelle parole non potevano venire da lui.

-Il Capo ha tirato le orecchie anche a te?

-Crede che gli stia nascondendo qualcosa.

"Lo stai nascondendo a tutti", avrebbe voluto aggiungere lei. Lasciò correre. Era una questione troppo delicata per il Super Soldato super-impacciato nelle questioni sentimentali. Gli lasciò ancora un po' di tempo per riprendersi dalla scena che si stava imponendo quasi come una punizione.

Non si riusciva a guardarla in quello stato, ingabbiata come una tigre dietro le sbarre di un circo, pronta a scappare, ma senza poterne mai assaporare l'occasione. Astrid rappresentava involontariamente lo stato in cui si trovavano un po' tutti: in trappola, in una vita che non aveva voluto.

-Dovrà subire un processo.

-Non l'assolveranno.

-Dovremo solo convincere Nick che è innocente. C'è Clint che ci può aiutare.

-Nessuno crederà alla storia della manipolazione stavolta. Non dopo quello che ha fatto stamattina. Non c'è modo per aiutarla. Neanche per farla fuggire, se volessimo.

Seguì un momento di pausa, che permise a Natasha di calcolare nuovamente qualche piccolo dettaglio e a Steve di rassegnarsi a ciò che aveva affermato senza volerci sperare.

-Forse un modo c'è.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Tortura Eterna ***


Neve E Cenere | MARVEL

23 . Tortura Eterna


Samantha emise un gemito, si scosse nel suo letto bianco, prima di aprire gli occhi e mettere a fuoco l'immagine di Astrid crollata sulla scomoda poltroncina nell'angolo della stanza. Era sicura che fosse rimasta lì con lei, come vedetta, per tutto il tempo. Meditò se fosse il caso di svegliarla. In un modo o nell'altro trovava sempre una scusa per non dormire la notte. Sam le aveva tolto il vizio del caffé dopo cena e anche quell'inutilissimo bicchierino di bourbon "per rilassarsi", come diceva lei, che era uno solo per modo di dire. Era come se il suo animo fosse perennemente irrequieto, sempre attento ad ogni evenienza insolita. Astrid l'aspettava in piedi anche quando Sam tornava molto tardi da lavoro. Anche fino alle sei o alle otto di mattina, quando rincasava distrutta da quel lavoraccio infernale che faceva, Sam la ritrovava raggomitolata sulla poltrona. A volte fingeva di essersi casualmente addormentata davanti alla televisione, quando era palese che l'avesse aspettata per tutta la notte.

-Ehi. - Disse Astrid al suono del lettino che scricchiolò di nuovo sotto la nuova posizione della sua occupante.

-Stai ancora di guardia?

-Controllavo che fosse tutto a posto. Come stai?

-Sono avviluppata in un letto di ospedale, con duecento flebo nelle braccia, una sorta di robot umanoide apparentemente senza bisogni fisiologici che controlla ventiquattr'ore su ventiquattro che respiro ancora e... un computer che monitora i miei parametri vitali. Come dovrei sentirmi?

Astrid sollevò le spalle.

-Asfissiata?

-Sono nel posto più sicuro della Terra! Anzi, meglio: come una regina nella sua reggia. Ho le mie guardie, i miei inservienti... Ehi, signora! Mi porti altro thè, per piacere! - Esclamò fingendo di parlare ad un'infermiera nel corridoio.

Astrid sorrise. Avrebbe accennato almeno una risata in un'altra occasione, ma questa volta strirò solo le labbra, come si fa quando non hai voglia di ridere, ma non vuoi sembrare scortese.

-Come stai fisicamente? Senti dolori?

Sam arricciò il naso.

-Veramente non sento un granché. Solo stanchezza.

-Sono i farmaci. Il dottore dice che ti riprenderai presto. Hai solo una brutta ustione alla gamba.

-Oh...

Sam si ammutolì di colpo. Poi si alzò di scatto, un po' impacciata, si allungò verso la coperta e provò a tirarla, senza risultato.

-Cosa fai? - Intervenne subito l'altra alzandosi in piedi. - Devi riposarti.

-Voglio vederla.

-Non è niente, te l'assicuro.

-Voglio vedere!

Astrid sospirò a lungo. Poi afferrò il lenzuolo e scoprì la gamba ricoperta di bende.

-Toglile.

-Non posso farlo io, deve farlo un'infermiera...

-Ho detto, toglile! - Insistette Sam, con quel suo sguardo tagliente come un coltello alla gola.

Astrid abbassò il capo e si mise all'opera. Sollevò la gamba magra con delicatezza e cominciò a srotolare le garze, scoprendo a mano a mano un denso strato scuro e grinzoso che non pareva più nemmeno pelle. Sam rimase in silenzio, immobile, a fissare quell'arto che non riconosceva più il suo.

-Però sei viva. Poteva capitarti di peggio.

-Mi serve questa gamba.

-Troveremo insieme un altro lavoro in cui non dovrai scoprirti.

-Non posso.

-Come non puoi?

-Ce ne dobbiamo andare di qui.

-E dove vuoi andare?

-Non lo so. Lontano. Lontano da tutto.

Astrid udì una nota sorda di tensione.

-Chi è stato, Sam?

-Oh, adesso non cominciare con il tuo interrogatorio investigativo!

-È stato Gus? Dimmelo. Ti ha minacciata e tu non hai fatto ciò che voleva, oppure hai rifiutato un lavoro?

-Ma smettila di dire stronzate...

-Devi dirmelo, Sam.

-E se è lui cosa fai? Lo ammazzi?

-Sì.

Sam si mise a ridere.

-Dici sul serio? Credi davvero di risolvere tutto con la forza?

-Certamente. Con i pezzi di merda come lui, la diplomazia non serve a un bel cazzo di niente!

-Senti, guarda, sei stanca. Vedi cose che non esistono. Forse dovresti andare a riposarti un po'.

-Puo darsi che io sia stanca, ma sai di cosa sono stanca di più? Di questa vita da straccione che facciamo, svendendoci per quattro soldi, tu per prima in quel club di merda in cui rischi ogni giorno di farti stuprare o beccarti una pallottola in testa! Sai cosa vedo io? Vedo un avvertimento!
Sam... Questa volta è la tua gamba, la prossima volta cosa sarà?

Samantha si ammutolì di nuovo.

-Tu non vedi una via d'uscita da tutto questo. Io sì! Mi dici "partiamo" e noi partiamo, anche subito! Ti prendo in braccio e usciamo da qui adesso. Gli ospedali ci sono ovunque. Prendiamo il primo treno e scappiamo. Ci facciamo un'altra vita. Nessuno potrà mai rintracciarci e ci sarò io a proteggerti, a proteggere tutto ciò che è nostro! Ci stai? Devi solo dirmi di sì.

-Tu non eri lì.

Astrid sentì il peso del senso di colpa più vergognoso di tutta la sua vita, sfracellarsi addosso alle sue spalle come un macigno di pietra. Quella frase significava tutto. Significava che non c'era davvero da fidarsi nelle sue promesse, né nelle sue capacità. Significava che per quanto potesse sforzarsi, c'era sempre una possibilità di fallimento. Non sarebbero mai state davvero al sicuro.

-Questa gamba mi serve. - Ribadì Samantha mentre ancora la fissava, come una che cerca un modo per convivere con un parassita. E si ristese, dando la schiena all'amica, la quale iniziò ad armeggiare con il nastro umidiccio, facendo sì che non si vedesse che fosse stato spostato.

-Non devi tornarci per forza.

-Sì, invece. Tu non capisci.

-Se solo mi spiegassi, Sam... Che cosa ti sta succedendo?

Il naso di Samantha emise un rumore mucoso e Astrid comprese che stesse piangendo. Lanciò un'occhiata al corridoio sgombro. Salì sul letto, ignorando lo sguardo confuso dell'altra. Si distese nel posticino stretto accanto a lei, facendo attenzione a non toccare la gamba bendata. Sam si appoggiò un poco, senza ammettere troppo di aver bisogno di quel contatto, si raggomitolò tra le sue braccia bollenti. Astrid le scostò la frangia sulla fronte con la punta delle dita, sopra l'enorme cerotto che copriva quasi tutto il sopracciglio destro. La baciò sul capo mentre la stringeva.

-Ce la faremo, vedrai. - Le promise. - Ce la caveremo.

*

Il mondo riprese a girare lentamente dopo una scossa violenta in cui si mescolarono voci, parole, luci, ombre e ricordi. Astrid ruotò i polsi per scacciare il fastidio che li cingeva. Presto si rese conto che fossero stretti in due anelli inchiodati ciascuno al corrispettivo bracciolo della sedia. 
L'aveva vissuta già quella scena. Tra poco sarebbe comparso Coulson dalla porta di fronte, si sarebbe seduto al tavolo e si sarebbero sorrisi per una decina di minuti, come ai vecchi tempi. Se non fosse che questa volta non ci sarebbe stato più alcun contratto da firmare, più alcuna delibera, più alcuna seconda chance. L'aveva bruciata la sua seconda chance. Letteralmente.

Si voltò verso il vetro che rifletteva il suo volto stanco e segnato. Era sicura che qualcuno la stesse osservando. Sentiva la pupilla nerissima di Fury giudicarla per l'eternità. Aveva scommesso su di lei... se le ricordava ancora quelle parole. L'indice di Stark la puntava ancora, se chiudeva gli occhi. Poteva vederlo mentre gridava il suo nome nel sonno, sudato e terrorizzato. Poteva sentire le sue urla di dolore, mentre si graffiava il petto, e qualcuno cercava di calmarlo con parole dolci e sofferenti per placare il supplizio che lei gli aveva inflitto e che ora ricorreva nei suoi incubi.
Immaginò il volto del Capitano tutto corrucciato nei suoi pensieri, cercando un modo per non odiarla troppo rispetto ai suoi standard di buonismo. Un attimo prima di colpirla, non aveva avuto idea di cosa pensare di lei. Neanche Astrid sapeva cosa pensare di sé stessa. Si chiese cosa gli altri si stessero dicendo tra di loro, con quali parole la nominassero, se la stessero calunniando con sdegno o nel loro cuore ci fosse ancora un briciolo di affetto nei suoi confronti. Si chiese se ce ne fosse uno, almeno uno, tra tutti che si battesse per lei. Si chiese se ciò che aveva fatto fosse stato evitabile. Se l'era domandato talmente tante volte in quelle ore, immaginando scenari e finali alternativi differenti che temeva di aver perso completamente la concezione della realtà. Inoltre, la magia di Loki non era d'aiuto. L'aveva posseduta una volta e ora le pareva di non riuscire più a padroneggiare il controllo sul più piccolo movimento di un mignolo.

In poche altre occasioni si era sentita così indebolita, così inutile. Era la sensazione peggiore che potesse provare. Non c'era nulla che potesse fare. Ed era fuori discussione che qualcuno si sarebbe offerto per immolarsi al posto suo. Forse sarebbe dovuta scappare. Ci avrebbe provato, almeno. Ma poi? Chi avrebbe creduto alle sue parole? Chi ha la coscienza pulita non scappa. Lei non ce l'aveva nemmeno così pulita, ma avrebbe dovuto perseverare nel farla apparire tale fino all'ultimo. Non poteva certo sfigurare! Doveva cercare di trattenere anche l'ultimo spago di fiducia che la teneva appesa a qualche speranza di aiuto, se ancora c'era. Perchè il suo timore più grande, sebbene non l'avrebbe mai ammesso, era quello di ritrovarsi di nuovo sola, isolata e indifesa, contro il mondo.

Quando la maniglia affondò, invece di Coulson, entrarono due spalle larghe e un ciuffo biondo. Astrid ebbe uno scatto incondizionato: si alzò in piedi, forse per allontanarsi, ma rimase attaccata alla sedia. Steve socchiuse la porta. Sembrava agitato.

-Siediti, per favore.

Astrid lo seguì con gli occhi, ma non si mosse finchè non fosse anche lui seduto.

-Stai bene?

Astrid fece una faccia come per dire "secondo te?".

-Stark?

-Si riprenderà. Ma ora non c'è tempo per parlarne. Ti farò solo una domanda alla quale dovrai rispondere sinceramente. Mi serve una sola risposta sincera. - Aspettò che Astrid avesse annuito e poi ricominciò a parlare. - Stamattina... Sei stata costretta ad uscire allo scoperto, o hai stretto una sorta di patto con Loki di cui nessuno sa niente?

Cos'era peggio? Sapere di non essere più padroni di sé stessi o di aver perduto il senno? Astrid fece una faccia contrita. Si prese qualche secondo per rispondere. Come avrebbe potuto anche solo pensare di potersi alleare con colui che le aveva tolto tutto, persino la sua massiccia sicurezza in sé stessa? Loki l'aveva spogliata di ogni potere, sia fisico che mentale. Eppure, una cosa non era riuscita a sottrarle: l'arguzia. Quella speciale attitudine che salva il topo già in gabbia. Ecco cos'era stato. Non un patto, non un'alleanza. Era stata l'unica soluzione.

-Sono stata costretta.

Il Capitano rimase in attesa, fissandola dritto negli occhi, come se così facendo la verità potesse spuntarle fuori dalle pupille. Poi, quando fu abbastanza sicuro che non stesse mentendo, sfilò dalla tasca una chiave dalle scanalature importanti.

-Ho pochi secondi prima che Fury si accorga che le telecamere non stanno registrando e che non c'è nessuno al posto di guardia.

Astrid aprì la bocca e contrasse le sopracciglia. Non capiva. Che stava dicendo? Cosa aveva in mente? Perchè le telecamere non funzionavano? Si era per caso introdotto di nascosto per parlarle? Steve la guardava come se con gli occhi potesse afferrarla dall'anima e scuoterla perchè l'ascoltasse attentamente.

-Ora, ascolta. Devi fare esattamente ciò che ti dico. Questa chiave non aprirà le manette che hai ai polsi, ma un paio più grosse e più resistenti.

-Cosa?!

-Nascondila in un punto in cui potrai sfilarla senza che nessuno ti veda. Sarai legata in modo tale da non poterti muovere. I tuoi tentativi di usare i poteri saranno nulli nella cella in cui ti porteranno. Sarai sottoposta ad un interrogatorio. Ti porranno delle domande alle quali non devi rispondere, se non te la senti. Cercheranno di piegarti in tutti i modi. Non dargli ciò che vogliono. Qualsiasi cosa accada, tu non cedere.

All'angolo della bocca di Astrid si accentuò un sorriso furbo.

-Una cosa che so fare molto bene.

Il Capitano continuò col piano.

-Quando se ne andranno, non sarai da sola. La camera e i corridoi sono tappezzati da telecamere e di guardie. Se proverai a scappare, ti immobilizzeranno e raddoppieranno la sorveglianza. Tu devi solo attendere il segnale.

-Che segnale?

-Taglieremo la corrente. Scatterà una sirena. A quel punto...

La porta si spalancò di colpo. Steve prese la chiave e la fece scivolare nella manica.

-Tempo, Capitano.

Fury si era materializzato dietro la porta e ora, con una faccia puntava il Capitano colto alla sprovvista. Alle spalle del Comandante c'era un uomo avvolto in un camice lungo e bianco quasi quanto i suoi capelli. Un paio di agenti entrarono nella stanza in fretta.

-Signorina Sullivan, le consiglio di non opporre resistenza. Nessuno le farà del male se collabora.

-Dove mi portate?! - Abbaiò Astrid mentre un agente le toglieva le manette, la obbligava alzarsi e altri due la puntavano con un paio di pistole lanciasonniferi.

-In un posto dove a nessuno verrà in mente di fare niente di pericoloso.

-Tipo puntarmi una pistola in faccia?

-Non ne vedrà molte altre se deciderà di rendere tutto meno difficile.

Astrid lanciò un'occhiataccia a Fury mentre le ammanettavano le mani dietro la schiena. L'agente la spinse fuori quasi a calci. Steve la prese violentemente da un polso e la tirò verso di sé con una faccia che pareva volesse mangiarsela viva.

-Vedi di non fare altre cazzate. - Disse, digrignando i denti. E con due dita leste e indiscrete, le passò la chiave. Astrid la nascose nel palmo stretto, ricambiando con uno sguardo altrettanto infuocato.

-Ricevuto... Capitano. - Rispose lei con un ringhio. Si scrollò fingendo disapprovazione e la portarono via.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Bianco ***


Neve e Cenere | MARVEL

24 . Bianco

 

Seguivano le pareti perfettamente levigate, dipinte di un grigio intenso e opaco, tagliate da una sola, lunga, sottile striscia gialla a media altezza che, sotto le lampade al neon che accentuavano il contrasto, appariva quasi fluorescente. Ogni porta era esattamente uguale all'altra. Si susseguivano anonimamente come i volti coperti dai caschi delle sentinelle ingessate di fronte ad ognuna di esse, imbracciando sofisticate armi con lo stampo dello SHIELD che rifletteva la luce. I passi secchi e serrati rimbombavano assieme alle imbracature, il tessuto strusciava contro le divise antincendio, senza ombra di dubbio rivestite in vibranio.

In quel momento, Astrid decise che avrebbe odiato per sempre quel materiale. Non riusciva a percepirne quelle che lei chiamava "vibrazioni termiche". Dalla consistenza assomigliava al metallo, ma al suo sensibile tatto suonava come una plastica o una gomma molto densa. Niente conduzione termica, nessun flutto energetico. Solo un insignificante e immutabile silenzio contro le onde di calore che si scuotevano attorno. 

Negli anni in cui aveva imparato a gestire i poteri, aveva imparato a riconoscere i vari elementi secondo una precisa classifica tra quelli più "rumorosi", che provocavano o erano soggetti a maggiori vibrazioni - e che conducevano energia più facilmente - a quelli senza alcuna proprietà termica. Ma il vibranio era una lega strana. Per tutto il tempo in cui l'aveva indossato attraverso la preziosa tuta di Stark, l'aveva sopportato solo perché non era direttamente a contatto con la pelle. La fibra sottile era impercettibile, ma per lei - che era abituata a ricevere una risposta di calore da ogni tessuto - a mano a mano che il tempo passava, cominciava ad essere pesante. Il fatto che dovesse portarsi dietro una sorta di corazza che non le permetteva di far traspirare la sua energia, agendo ermeticamente come una pellicola di cellofan, le pesava come se le limitasse i movimenti. A volte pensava fosse quasi meglio togliersela e correre il rischio di bruciare i vestiti. L'idea di Stark non era stata male, ma andavano apportate alcune modifiche. Avrebbe dovuto dirglielo.

Non sapeva perché in quel momento la sua mente l'avesse portata a pensare alla tuta e soprattutto a lui, di nuovo. Non era sicura che sarebbe riuscita a parlargli ancora, nemmeno con l'aiuto del Capitano. Iniziava a credere che Steve avesse sbagliato i suoi calcoli sul piano, su di lei. Forse la stava sopravvalutando. Rischiava il pericolo di rimanere deluso un'ennesima volta. Si aspettava veramente che sarebbe riuscita a scamparla da tutte quelle guardie armate, da tutto quel controllo, bluffando su una forza che non aveva, considerando che si stesse ancora sforzando di ignorare le voragini che si aprivano nel suo ventre ad ogni movimento? Certo, lei era la regina delle ribelli. Mai una volta era rimasta intrappolata troppo a lungo nelle mani del cacciatore, era sempre riuscita ad ingegnarsi per evadere. Ormai era un'esperta. Il suo occhio adesso, schizzava discretamente da una parte all'altra dell'ambiente in cerca di una porta d'uscita. Non si aspettava che trovasse l'insegna "Exit" con l'omino che corre giù per le scale e sicuramente nessuno le avrebbe mostrato la via per darsela a gambe. Probabilmente avrebbe dovuto ripercorrere di nuovo l'intero corridoio e ritornare nell'ala principale. Il suo peggior incubo claustrofobico si stava concretizzando attorno a lei senza che avesse avuto il tempo di poterlo immaginare.

Le vennero in mente le soluzioni più disparate. Alcune di dubbia riuscita, come fingere uno svenimento o appiccare un incendio. Determinati e equipaggiati com'erano, dovevano aver già pensato a qualsiasi tentativo di fuga. Dunque, si lasciò scortare a braccetto, senza fiatare, sino all'ultima porta del corridoio, l'unica non numerata.

Fury scannerizzò il cartellino di riconoscimento ed esibì il bulbo oculare buono, subito dopo aver digitato il codice d'accesso sul tastierino. Le doppie ante d'argento si separarono davanti all'ennesimo corridoio, questa volta anche troppo illuminato. Astrid strizzò le palpebre. Gli occhi si erano abituati alla penombra e tutta quella luce bianca che improvvisamente l'abbagliava le provocò un leggero e temporaneo mal di testa. Che fosse tutto previsto per farla intontire?

Superò anche quel tunnel di metallo dai muri concavi, che ipotizzò fossero costituiti anch'essi da lastre in vibranio. Intravide i riflessi neri tra le ciglia quasi del tutto serrate, la piccola armata che la seguiva attenta e la figura imponente del Comandante che cercava di non guardare con troppo rimorso. Infine si aprirono altre spesse ante a specchio. Tutto il design, assieme al lungo cappotto che le svolazzava davanti ai piedi, la indusse a domandarsi se non fosse stata proiettata in qualche film di fantascienza. Invece era tutto reale. Era reale la gabbia di vetro situata nel perfetto centro della nuova stanza. Era reale persino il trono affatto invitante al suo interno, uno strumento di tortura tecnologicamente avanzato, che - se ne rese conto in quel momento - avrebbe ospitato il suo sedere per un tempo paurosamente indefinito. Astrid lo ammise a sé stessa: non era affatto a suo agio. La dovettero spingere in avanti, perchè i suoi piedi scalzi si erano incollati al pavimento.

-Perquisitela.

Un coro di scocchi risuonò tutt'intorno a lei: i soldati la accerchiarono, puntarono le loro armi alla sua figura. Uno di loro si tolse il casco, dal quale si sciolse una chioma bionda. Le liberò i polsi, ordinandole di tenere le mani alzate e cominciò a tastarle i pantaloni. Astrid alzò le braccia, non prima di aver fatto scivolare la chiave nella manica, mentre le mani della donna, spoglie dai guanti protettivi, le perlustravano il busto. Scrollò un poco il bacino, simulando un brivido e si sistemò i pantaloni che le stavano crollando, con un gesto veloce.

-Su le mani! – Urlarono tutti insieme avvicinando le canne al suo volto.

-Va bene, va bene! – Li calmò Astrid, sollevandole di nuovo in aria. – Non c'è bisogno di tutta questa agitazione!

L'agente bionda non parve contenta nel trovarla pulita. Fece un doppio controllo.

-Vuoi palparmi anche nelle mutande, agente? – Fece Astrid con un sorriso provocatorio.

-Che puttana... - Bisbigliò l'altra, accompagnando il tutto con una smorfia stizzosa.

La donna la indirizzò nella cella con forza, afferrandola dal braccio, l'estremità della canna contro i reni. La fece sedere e le chiuse i polsi in un paio di spesse cinghie lucide facenti parte dei braccioli. In confronto le manette parevano braccialetti per bambine. Lo schienale era rigido e per nulla confortevole. Non aveva neppure un poggiatesta. I piedi invece erano sollevati da terra con una pedana. Anch'essi furono incatenati con un paio di anelli attaccati alla poltrona. Da sopra la testa, si abbassò un corpetto metallico che andò a fissarsi a livello dei fianchi, con un colpo secco.

-Ahi! Che gentilezza! – Esclamò Astrid per la botta subita. La bionda le lanciò uno sguardo nero, mentre controllava che niente potesse muoversi o scollegarsi, con movimenti forzati e mascolini.

-Ringrazia per questa gentilezza. Quelli come te non dovrebbero nemmeno avere un trattamento riservato.

-Questo è un trattamento riservato?

La donna si appoggiò allo schienale e piantò il suo muso appuntito vicinissimo al suo.

-Se fosse per me ti avrei conficcato un dardo soporifero in fronte, brutta stronza. Quindi vedi di smetterla di prendermi per il culo e ringrazia quell'uomo, che crede ancora che tu possa essere trattata come un essere umano.

-Agente Pherb? – Si sentì chiamare da dietro.

Astrid si mise a ridere.

-E tu credi di essere migliore di me dopo aver affermato di volermi morta?

-Hai ucciso dieci uomini dei nostri. Li hai bruciati vivi! Uno di loro era squarciato a metà. Non ti rendi conto di che tipo di essere orrendo tu sia? Tu e il tuo amico venuto dallo spazio, siete una piaga. Ma finirà presto, te lo prometto.

-Mi dispiace deluderti, ma non è stata colpa mia se i tuoi colleghi sono morti. E quello venuto dallo spazio non è mio amico. – Rispose Astrid con filo di voce. La gola le si era seccata. Non era più in grado di resistere a quelle pupille affilate, così abbassò lo sguardo verso il pavimento candido della cella. - Mi dispiace per i tuoi amici. - Ma mentre lo diceva, realizzò quanto suonasse ridicolo, vano e inadatto.

-Vallo a dire alle loro famiglie. Io ho visto i loro volti travolti dal pianto. Per due di loro, sono andata personalmente a riferire alle mogli, ai mariti, ai figli, cos'è successo stamattina. Credi che per me sia stata una passeggiata?

-Agente Pherb, le ordino di allontanarsi dal soggetto! – Ribadì la voce alle spalle della donna.

-Non me ne frega un cazzo se sei protetta da Fury, piccola stronza fortunata. Se provi a scappare e ti rivedo fuori da qui, ti ammazzo. Ti pianto una pallottola nel cranio senza pensarci due volte. Hai capito?

-Pherb!

-Ti ammazzo con le mie mani, puttanella! – Gridò mentre la puntava con un dito, quasi volesse spararle con quello. Uno dei suoi colleghi dovette sollevarla di peso per allontanarla.

-Portatela via. E lasciateci. – Ordinò Fury dall'altra parte del vetro. Riservò un'attenzione furtiva alla donna che si era scomposta cedendo all'ira. Poi drizzò il busto. Premette il bottone che chiuse la finestra della cella. Fece qualche passo agganciando le mani dietro la schiena. Si schiarì la voce.

-Ci sono telecamere microfonate dentro e fuori dalla camera in cui ti trovi. Esse registreranno ogni parola del nostro dialogo, quindi ti chiedo di rispondere sinceramente perché potranno essere riportate in sede di tribunale. Speravo di non arrivare a questo punto, in effetti, ma non mi hai lasciato altra scelta...

-Cos'è questo posto?

-Questo? È forse il punto più sicuro e controllato di tutto il Quartier Generale. È solo una cella di detenzione per soggetti speciali, una sistemazione temporanea, ma è piuttosto adatta nel caso in cui tu...

-Impazzisca e faccia esplodere tutto? Sì, mi pare abbastanza adatto. Soprattutto questa sedia. Cosa volete farmi? L'elettroshock come ai malati mentali?

-Mi auguro di non essere costretto ad usare metodi così estremi. Vorrei ragionare assieme a te su quanto accaduto.

-Ah... Pensavo mi consideraste a pari livello di un pazzo omicida... Come mai questo cambio di tono?

-Se dovessi giudicarti oggettivamente sulla pista degli indizi che ho raccolto, non avrei motivo di giudicarti come tale. Tuttavia c'è qualche particolare che non mi convince.

-E cioè?

-Cioè... - E riprese a passeggiare. – Perché avresti dovuto aggredire Stark? Siete sempre stati in buoni rapporti, avete persino condiviso una notte romantica, o sbaglio?

-Non lo so, magari abbiamo litigato. - Fece lei vaga, avanzando una possibile ipotesi.

-L'ho messa da parte, l'ipotesi del raptus omicida.

-Ah, sì? Come mai?

-Fiuto. O forse una buona dose di fiducia.

-Lei e il Capitano avete la malsana abitudine di riporre fiducia nelle persone sbagliate.

-Io credo che il Capitano Rogers abbia voluto aiutarti. Sente una forte responsabilità verso di te.

Astrid serrò le labbra. Non aveva mai pensato a come rattoppare quel buco temporale che non doveva essere esposto pubblicamente.

-Purtroppo forse hai ragione. In certi casi anche il fiuto più sviluppato può fallire... Come mai quando l'agente Coulson ha provato a contattarti stamattina ha trovato il telefono staccato?

-Credo di averlo perso. Ed ero ferita... Non creda che i suoi agenti non si siano difesi.

-E dove sei andata? A chi hai chiesto aiuto?

Astrid non parlò subito. Aveva le spalle al muro. Il suo cervello iniziò ad elaborare una giustificazione dopo l'altra, ma nessuna sembrava potesse essere all'altezza della soddisfazione dello sveglio Comandante. Sapeva che ogni volta che ometteva la verità era sempre più vicina a scivolare in un passo falso, ma era il suo dovere. Era solo lei l'imputata e doveva continuare ad essere così.

-A nessuno. Nessuno mi ha aiutato.

-Sullivan, sai dirmi dov'è Loki in questo momento?

-Non lo so. Non qui. O forse sì. Io non lo vedo. Lei? – Stava iniziando ad innervosirsi.

-Non credo che tu sia nella posizione di fare ironia. Rispondi con serietà.

-Bè, non lo so. Potrebbe essere ovunque.

-Sei al corrente che Loki è in possesso del Tesseract a causa tua? O dovrei dire: "grazie al tuo aiuto"?

-Pffh! Che scemenza!

-È vero o no che ti sei nascosta tramite il suo aiuto? È vero o no che hai accettato di seguirlo per sfuggire alla giustizia?

Ed eccolo lì il suo nuovo alibi. Luccicante come un diamante che aspetta di essere rubato. Era tutto collegato e non c'era nemmeno bisogno che sforzasse l'immaginazione per mentire. Le bastava semplicemente continuare ad affermare che fosse tutta colpa di qualcun altro.

-Io non... - Cominciò a biascicare.

-Sì? Come dici?

-Non ricordo molto, ma... sì, ammetto di essere scappata.

-Con che mezzo ti sei allontanata?

-Con l'auto di Stark.

-E dov'è l'auto di Stark adesso?

-Non lo so. Non ricordo esattamente. Credo di averla abbandonata da qualche parte... Forse nei campi. Stavo male e non mi reggevo in piedi. Ricordo solo che poi Loki mi ha costretta a venire qui assieme a lui per distrarvi. Ero spaventata. Non sapevo cosa mi avrebbe fatto di nuovo. E avevo bisogno di sapere come stava Tony... Sono mortificata...

Fury sospirò profondamente.

-Non so se tu e Barton ne abbiate mai parlato. Lui sa molto sulla manipolazione mentale, è stato vittima diretta di Loki. Lui potrebbe crederti sulla parola e c'è una buona probabilità che lo faccia anch'io.

Astrid si rianimò immediatamente.

-Allora liberatemi! Che aspettate?!

-Non così in fretta. Purtroppo non devo deciderlo io.

-Ma lei non è il Comandante dello SHIELD?! La sua parola prevale su quella di qualsiasi altro!

-Hai ragione, la mia parola vale molto, ma questa volta non è solo lo SHIELD ad avere in mano il caso.

-E chi altri, allora?

-Il governo.

-Il governo?! E da quando un gruppo di vecchi bacucchi decide sulla prigionia o la libertà di un cittadino?!

-Da quando quel cittadino non è natio di questo pianeta.

-Co... Cosa?

-La tua identità è rimasta segreta per molto a lungo. Non mi stupisce che anche tu stessa ne sia all'oscuro.

-È uno scherzo? Mi sta dicendo che sono... Sono un... un alieno?!

-Non ti sei mai chiesta come tu sia capace di fare cose al di fuori dall'ordinario?

-Co-com'è possibile? Io non... non... Lei... si sta prendendo gioco di me! - si scrollò di nuovo.

-Comprendo che questi dettagli siano molto confusionari per te in questo momento. Ci vorrebbero delle prove concrete perché tu possa accertarti che siano dati veri e che io non te lo stia dicendo solo per indurti a cedere. È un po' come ascoltare una storiella toccante durante un interrogatorio con un'agente addestrata da un'ex spia del KGB, non trovi?

Astrid di nuovo non sapeva che dire o che pensare. Non sapeva più chi fosse ad ingannare l'altro. Si trovò completamente disarmata. Fury non era per nulla uno sprovveduto: era riuscito a girare la frittata a suo vantaggio. Se prima non c'era stato niente che le importasse, adesso lui le aveva dato qualcosa da mordere, una verità da barattare con altrettanta verità. Peccato che uno dei due non poteva parlare senza nuocere ad un terzo. Fury la stava mettendo in condizioni di tradire il Capitano, ma lei non poteva farlo. Steve l'aveva aiutata nel momento più critico della sua esistenza. Gli doveva tutto. Gli doveva la sua stessa vita. Non poteva fare l'egoista proprio ora. Ci sarebbero state altre occasioni per scoprire le sue vere origini. Oppure no, ma questo non valeva più della sua fedeltà.

-Vuole corrompermi con le informazioni sulla mia vita che dovrei avere di diritto? Le ho detto tutto quello che voleva sapere. Le ho detto anche che mi dispiace. Credevo avesse un cuore, che volesse venirmi incontro, invece vuole soltanto trovare un espediente per saldare un suo senso di colpa! La povera ragazza di periferia, arrestata per omicidio, assunta come Avenger e poi indagata come una qualsiasi maniaca criminale... Solo perché è sotto la bocca di tutti è più facile da condannare! È conveniente: lei se ne esce con le mani pulite e si risolve la questione più scomoda del momento, quella che attira più attenzione dell'alieno che si aggira invisibile sotto i vostri stupidi nasi... Mi creda, sono manovre che ho già visto e lei non mi incanta con la faccia del poliziotto buono. Può benissimo trascinarmi in tribunale adesso e sbattermi in galera, ma io rimarrò coerente a me stessa! Qualcosa che a lei è piuttosto estraneo!

Fury non parve affatto scosso da quelle parole.

-Mi rincresce che tu mi veda sotto questa prospettiva. Ma c'è una procedura da seguire e vorrei essere certo di non essermi sbagliato sul tuo conto. La cosa mi ferirebbe nell'orgoglio. – Assentì lui, voltandole le spalle e indirizzandosi verso l'uscita.

-E adesso dove va? Mi lascia qui?

-Sono un fermo sostenitore del detto: "La notte porta consiglio". Il dottor Hoffmann si prenderà cura di te quando io non ci sarò. Dottore? Se ha bisogno di qualcosa chieda pure.

-Non si preoccupi, Comandante. 

Un uomo alto e dal capo innevato, si spostò dalla penombra e si presentò al posto di Fury che venne ingurgitato dal tunnel futuristico.

-Queste non ci servono. – Disse, con un orribile accento straniero, premendo un bottone su un tastierino. Astrid capì che si riferisse alle telecamere, perché proprio in quel momento un pallino rosso sparì in un angolo del soffitto. Premette un altro tasto e la finestra scorrevole si spalancò lasciandolo passare. La luce illuminò il volto di un uomo piuttosto giovane rispetto al biancore della chioma. Aveva il volto scavato e rugoso di un cinquantenne, gli occhi stretti e brillanti. Anche l'andatura e la corporatura non erano affatto quelle di un anziano. Astrid non riusciva a smettere di fissare quei capelli, così bianchi che parevano ingrigire il camice.

Il dottor Hoffmann si appoggiò al bracciolo della sedia. Sorrise, stirando le labbra in una maniera inquietantemente familiare.

-Ciao, Astrid. Che c'è, non si saluta? Come si dice?

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Esperimento Umano ***


Neve e Cenere | MARVEL

25 . Esperimento Umano
 

-Non sei di molte parole, eh? Non mi guardare in quel modo, forza. Non puoi odiarmi a pelle. Sembra che vorresti bruciarmi le viscere con quello sguardo da bestia feroce. Facciamo così, ti spiego un po' quello che faremo così ti tranquillizzi un pochino.

Il dottore si staccò dalla poltrona e andò a prendere una sedia da ufficio tra le scrivanie vuote. La spinse fino alla cella, poi dovette alzarla perché una ruota si era incastrata nel binario della porta scorrevole. Il taccuino tra i denti e una penna bic dietro l'orecchio che gli cadde tra i piedi poco dopo, si sistemò di fronte a lei a gambe accavallate, il camice aperto sopra la divisa scura composta solo da una camicia e un paio di pantaloni perfettamente stirati, entrambi di un colore talmente uniforme che parevano indossati per la prima volta. I mocassini neri lucidissimi, senza nemmeno una macchia di terra, senza un segno d'usura. Quell'uomo era un essere surreale. C'era qualcosa di strano. Qualcosa che ad Astrid non piaceva per niente. Se prima si era sentita a disagio, ora aveva un'opprimente voglia di evaporare. Schiacciò la schiena contro la poltrona come se potesse sprofondarci e sparire.

-Bene, vediamo... Ti farò qualche semplicissima domanda per capire bene le tue condizioni fisiche e mentali, poi possiamo passare ai test. - Iniziò lui sfogliando le pagine, la penna che tamburellava sul ginocchio.

-Quali test? Lei chi è? - Chiese Astrid, affilando i canini. Le confidenze e la simpatia ostentata erano sempre state la sua irritazione più grande.

Il dottore strabuzzò gli occhi.

-Sono il dottor Hoffmann. - Era ovvio, certo.

-Ho sentito il suo nome. Io voglio sapere chi è.

-Fury mi ha ingaggiato per occuparmi della tua stabilità mentale.

-Non ha risposto alla domanda.

-Sono uno scienziato. - Disse lui a questo punto, mettendo da parte il taccuino, infilataci dentro la penna. Si posizionò con la schiena in avanti, le dita delle mani incrociate sul ginocchio e un gomito sul bracciolo. Interessate al cipiglio della paziente, le algidi iridi del dottore si erano messe a brillare, incolori come un vetro lucido su cui si schianta la luce timida di un cielo uggioso. Sorrise e mentre le pieghe del volto si incavavano nelle guance perfettamente levigate, Astrid sentì come una pressione nel petto, un dolore come di tanti spuntoni che si spingevano nei nervi, che prese a pizzicarle anche le braccia, e si univano alle pulsazioni sofferenti sotto lo stomaco.

-Perché ho la cattiva sensazione di averla già vista?

-Questo è un bene!

-Un bene?

-Dico... È un bene che trovi la mia faccia familiare. Possiamo evitare con più facilità di rapportarci come due nocivi sconosciuti.

-Peccato che il fatto di averla già vista, ma che non mi ricordi né dove, né perché mi renda ancora più restia a rapportarmi con lei come con chiunque, tranne che come un nocivo sconosciuto.

-Capisco. Capisco perfettamente come ti senti. Devi essere confusa. - riprese il taccuino in mano, scorse qualche riga. - Da quanto tempo soffri di amnesie?

-Veramente ho un vuoto fino ai dodici anni. - Fece lei sbuffando una risata amara.

-Mmh... - Prese appunti. - E non ricordi assolutamente niente di quegli anni?

-E cosa dovrei ricordare?

-Non so, in qualche sogno, hai visioni, ogni tanto ti sembra che ciò che vedi ti ricorda qualcosa...?

Astrid irrigidì i muscoli.

-Può darsi che mi stia ricordando qualcosa in questo momento. - Rispose lei provocatoria.

L'uomo stirò un sorriso enigmatico. Scribacchiò qualcosa sulla pagina e pensò, battendo la cima della penna sul blocco.

-Partiamo con qualche domanda semplice. Fai uso di sostanze psicoattive, farmaci o alcol?

Astrid si prese qualche secondo prima di confessare, facendo attenzione a ciò che voleva lasciarsi sfuggire.

-Qualche volta.

-Ne hai fatto un uso recente? Se sì, di cosa e quando?

-Ieri sera. - Sospirò lei. - Alcol.

-Quantità?

-Un bicchiere o due. Forse anche di più...

Il dottore continuava ad annotare, non alzò il capo a nessuna domanda. Rimase tuttavia in sospeso quando lesse la seguente.

-Effetti e conseguenze della sostanza ingerita?

-Di solito non sono un problema.

-Ti ubriachi spesso?

Astrid strinse i pugni.

-Perché mi sta facendo queste domande?

-È solo un controllo.

-Come fa a sapere se mi ubriaco o meno?

-È solo una supposizione. La sofferenza porta i pazienti tendenzialmente instabili all'abuso di sostanze pericolose.

-E come fa a sapere che soffro... o meno?

-Mi hai detto non hai memoria dei tuoi primi dodici anni.

-E quindi? Niente memoria, niente sofferenza. Non crede?

Il dottore abbassò il capo sui suoi appunti, sconfitto.

-Va bene, cambiamo argomento. Credi di aver subito traumi emotivi? Come perdite improvvise di persone care o esperienze che possono averti turbato profondamente?

Astrid si cucì le labbra. Era troppo.

-E se non volessi rispondere?

-Astrid, io sono qui per capire se sei mentalmente lucida e preparata per essere presentata in un aula di tribunale. Il tuo avvocato, se mai ne avrai uno, dovrà tenere conto di una certificazione che attesti la tua sanità mentale.

-Sta dicendo che sono pazza?

-Sto dicendo che devo assicurarmi che tu non lo sia.

-Non sono pazza. - Sancì lei, tirando le braccia verso di sé in un gesto inconscio. Non ne poteva più di stare lì, di sostenere quell'inutile interrogatorio che esponeva troppi dettagli privati e stare in compagnia di un uomo che le faceva di tutto tranne che rassicurarla.

-Non agitarti. Sarà tutto finito tra poche ore.

-Poche ore?! Quanto tempo è passato da quando sono qui?!

Hoffman si portò su una manica con due dita. Lesse il quadrante dell'orologio da polso che lanciò sul soffitto un riflesso di luce multicolore.

-Abbastanza.

Astrid stava perdendo totalmente la calma. Il cuore aveva cominciato a pompare sangue come in una corsa e non riusciva più a stare ferma. Voleva scendere dalla sedia della tortura, appendere il dottor Hoffman al muro, timbrargli con una manata quella faccia troppo pulita, troppo luminosa e troppo sorridente che le stava sulla bocca dello stomaco e soprattutto aveca bisogno di uscire di lì.

-Credo che dovremmo prendere in considerazione il primo test. Potrebbe aiutarti a calmarti.

-Che test?!

L'uomo si alzò dalla sedia, abbandonando il taccuino al suo posto e svanì nell'ombra del laboratorio vuoto. Astrid prese l'occasione e tentò di liberarsi, ma i ganci ai polsi non si separarono ad alcun tentativo, le gambe rimasero attaccate al fusto della poltrona, la pettorina non si staccò dal poggiaschiena. Niente. L'unico modo per uscire da quell'incubo era il testierino di fianco all'entrata della cella, quello che controllava anche la porta, quello su cui finirono le ditacce dello scienziato. La poltrona all'improvviso si mosse. La pedana sotto i piedi si allungò in avanti, le gambe si stesero, la schiena si allineò in orizzontale assieme ai braccioli. Astrid si ritrovò distesa su un lettino. Nello stesso momento, il vetro della cella si scurì: una sorta di salacinesca si alzò come un muro impenetrabile che circoscriveva la stanza e la isolava dal resto del labiratorio. Hoffmann avanzò con un carrellino che posizionò di fianco alla paziente. Infilò le mani in un paio di guanti in lattice, schioccando il materiale elastico sulla pelle come nei peggiori film horror. Aprì una valigetta nera sul piano del carrellino in cui erano riposte due grosse fiale contenenti un liquido insolito: azzurro e cristallino, sembrava quasi emanasse energia luminosa da quanto fosse brillante. Il pavimento perse quasi tutta la sua luce a confronto, la chioma candida del dottore ne assorbiva i riflessi, diventando di un azzurro pallido. A fianco alle due grosse fiale, ce n'era una più piccola. Il liquido in essa era stavolta scuro e intenso, come l'estratto di un incubo.

L'uomo sollevò una delle fiale grandi quanto tutta la sua mano, ci attaccò il tubo di una flebo, scartò la plastica di un ago sterile e guardò Astrid, il suo petto che aveva preso ad alzarsi ed abbassarsi in modo irregolare, la pelle che aveva iniziato a fumare.

-Oh, no. Non fare così. Vedrai, non proverai alcun dolore.

-Cosa sono quelli?

-Questo? È solo qualcosa che ti calmerà i nervi. Vedila come un sorso di whiskey o di vodka, quello che ti piace bere. Ti rilasserà.

-Che cosa sono? - chiese di nuovo, scandendo le parole con determinazione.

-E va bene. Siamo curiosi, eh? Questo è un siero innovativo, una sorta di... sonnifero. Addormenterà i tuoi poteri, per un po'.

-È inutile che prova ad avvelenarmi. Niente ha effetto sul mio corpo.

-Infatti, hai lasciato la casa del signor Tony Stark in condizioni pessime, dopo che quei pover'uomini hanno tentato di fermarti. Le ferite si sono rimarginate?

-Come fa a sapere che...?

Hoffmann sollevò la maglia di Astrid scoprendo le cicatrici ancora umide.

-Dovrò usare una dose minore. L'effetto è durato molto l'ultima volta. Molto più del previsto. È un risultato ottimo. Dovresti essere contenta, grazie a te stiamo facendo progressi.

-Progressi? Lei... Sta usando il mio corpo per esperimenti? Sarei una cavia?!

-Molto perspicace, Astrid. Me lo avevano detto che non mi avresti delusa. Da bambini prodigio non possono che crescere uomini e donne dalle doti straordinarie. - Affermò il dottore sistemando l'ago nel tubo. La flebo era pronta per essere inserita in endovena. Una mano si avvicinò al braccio ardente di Astrid, ma puntualmente si ritrasse.

-Ah! Miseria! Sono uno sciocco! - Esclamò il dottore sventolando la mano e le dita scottate. Rise. Quale persona sana si mette a ridere per il dolore? - Dovevo immaginarlo. È passato tanto di quel tempo... - Si tolse i guanti in lattice e uscì dalla cella a falcate ampie e veloci. Si sentì la sua voce dall'altra parte che borbottava tra sé e sé. - Devo averli messi qui. Li ho richiesti prima di venire da te. Ma dove sono?

Astrid strinse le dita tanto da sentire le nocche sgusciare dai pugni e i muscoli tremare, ma la sua temperatura aumentava a fatica, allora iniziò a scuotere gli arti con violenza, nell'atto disperato di sciogliere le catene fatte con il materiale più solido e resistente del pianeta con il calore provocato di una candela e a forza di scossoni.

-Non penserai di scappare! - Ridacchiò il dottore che riapparve con un balzo e sigillò la stanza col bottone interno. Un ciuffo bianco si era staccato dalla chioma omogenea e ora gli penzolava davanti tra gli occhi stralunati.

Astrid serrò i denti.

-Quando Fury saprà che cosa mi ha fatto, la farà incarcerare nelle prigioni abissali dell'Atlantico, tra i criminali più pericolosi del pianeta. Non avrà pietà per lei.

-Fury non può fare un bel niente. Sarà anche il Comandante, ma non può niente contro il governo. Ho il via libera di tutto il Pentagono. E ti dirò un segreto: a quella gente interessa solo della loro pelle. Questo siero, se funziona, da una parte sarà il veleno per ogni essere dal metabolismo sovrannaturale. Dall'altra renderà te una macchina da guerra indistruttibile. Il problema per loro sara solo chi vi avrà tra le mani.

-Non capisco. - Fece lei, stando al gioco. - Chi dovrebbe usarmi come arma? L'America non ha già i suoi preziosi paladini variopinti?

-Infatti non si parla di semplici guerre tra nazioni, mia piccola ingenua Astrid. Si parla di poteri che si irradiano in una dimensione ben più ampia di quella territoriale. E tu e questo veleno potreste essere la risposta alla conquista di tutte le potenze mondiali e oltre!

-E chi vorrebbe essere il sovrano di tutto questo potere?

-Ma come chi? Solo la più degna e la più meritevole delle potenze.

Sogghignò, mentre le afferrava un braccio.

-Mi lasci! Noo! - Esclamò lei quando sentì il guanto ruvido a cercare di tenerla ferma.

-Puoi urlare se vuoi, nessuno può sentirti qua dentro e tra poco non avrai forze nemmeno per bisbigliare. - le si avvicinò ad un orecchio e sussurrò: - Tra poco non ti ricorderai nemmeno perché volevi urlare.

Mentre lei ancora si dimenava, l'ago le penetrò la pelle. Dal punto in cui la trafisse, si infuse il liquido tra le vene, che percorse velocemente il braccio, il petto, le gambe, il cervello come se nel sangue corressero tanti piccoli chiodi che le bucavano e laceravano la carne, spingendo per uscire. Astrid cercò di trattenersi, ma non ci riuscì. Le sue corde vocali si sfogarono fino a grattare secche e dolenti. Il suo corpo si scosse in spasmi, come se per ovviare al dolore sofferto, potesse espellerlo strizzandosi come una spugna, ma anche il sollievo di potersi rannicchiare e stringersi per consolare le membra le era stato negato. Così, quando la prima scarica di pungiglioni si dissolse, le dita di Astrid, quelle che prima si erano strette con forza per trovare un modo per liberarsi, tremavano tiepidamente.

Il dottor Hoffmann si era seduto sulla sedia e annotava tutto ciò che vedeva. Controllò l'orologio. Si alzò. Guardò il volto di Astrid, distrutto, sudato, scioccato. Lei gli rivolse la fulminata più minacciosa che riusciva a fare.

-Se pensa che un semplice siero di quella roba possa mandarmi in tilt, bè... si sbaglia di grosso. - Lo sfidò con temerarietà, nonostante il suo corpo si muovesse ancora fuori controllo, succube di piccoli spasmi e la sua voce tremava assieme ad essi.

L'uomo sorrise. Parve sorpreso, ma molto compiaciuto. Si piegò verso di lei. Le sfiorò il capo, i capelli ramati che si erano ingarbugliati e unti per lo sforzo. Astrid voltò il capo dall'altra parte per non guardarlo e lui si accontentò di sfiorarle la guancia ambrata con il dorso dell'indice.

-Sei strabiliante. Sai, ho faticato ad avere soggetti come te. Ce n'è stato uno per la verità, ma mi è stato tolto prima ancora che potessi fare esperimenti sulla sua resistenza. Lui... non è come te. Questo siero, è stato generato dalla stessa sorgente da cui è stato tratto quello che lo ha potenziato. E se avessi provato ad iniettarlo a lui, i due generi di siero avrebbero interferito e gli avrebbero come minimo dilaniato il corpo. Ma tu... tu non sei come lui. Il tuo potere ha origini antichissime. Molti ti definirebbero un mostro, ma io... Io ti ho sempre vista come una gemma preziosa, un miracolo, una speranza per l'umanità. Ti ho protetta fin da subito, fin quando eri bambina. Ti ho trovata in una chiesa, in un villaggio incenerito dalle fiamme. Eri un piccolo raggio di luce in quella chiesa nera e abbandonata, in quel paesaggio desolato e pieno di morte. Una bomba tedesca avevano detto... come no. Io lo sapevo. Sapevo che c'era di mezzo il demonio!

Astrid lo guardò bene, mentre scappucciava il secondo ago e lo attaccava alla seconda asola. Quegli occhi scintillanti che guardavano verso la nebbia di un ricordo che pareva concretizzarsi davanti a lui come se lo vivesse ancora in quel momento e quel sorriso completamente perso in una gioia che lo avvolgeva da capo a piedi. Astrid comprese che non avesse tutte le rotelle al posto giusto. Bomba tedesca, il demonio... Il suo cervello era annacquato di troppi film. Non era difficile indovinare chi avesse abusato di più di sostanze allucinogene tra i due.

-Il demonio, sì. Ti sembrerò un pazzo, lo so. - Si mise a ridere. - Molti lo hanno pensato. Tranne una persona. Johann Schmidt credeva in me. Oh, sì. Lui sapeva che esistevano creature come te. È lui che ha trovato il Tesseract. È lui che mi ha permesso di proteggerti. Mi ha sostenuto quando tutti gli altri mi deridevano. È per questo che mi sono unito alla sua causa. Lui era un uomo illuminato. Lui era la verità. Ma quando quel... Soldato distrusse tutto, ho dovuto portarti via... Ho dovuto cancellare...

Si bloccò, incupito, piegato sul carrellino. Le mani appoggiate al bordo fecero pressione attorno alle maniglie quasi volesse stritolarle come plastilina.

Astrid sebbene del tutto spossata, ritentò di liberarsi, ma tutto ciò che riuscì a fare fu tirare il braccio più che poteva. Avrebbe dovuto lussarsi un pollice perché la mano potesse passare. E tanto valeva lussarselo. Il Capitano aveva avuto davvero un'idea grandiosa. Si annotò mentalmente di dirgli, come prima cosa, che era un cretino.

-Cancellare? - Domandò lei, perché continuasse il racconto. Almeno lo distraeva.

-Ho dovuto farlo! Non ho avuto altra scelta! Altrimenti tutto il mio lavoro sarebbe andato a rotoli e io non avrei potuto mai finire il mio lavoro oggi! Ti avrebbero portato via da me per sempre... Non avrei potuto ritrovarti... Sei il seme che ha potuto concepire tutto questo.

-Ah, avevo capito che era stato, come hai detto che si chiamava? Smitty?

-Johann Schmidt. Alias Teschio Rosso. Leader della grande e unica e potente Hydra.

Astrid si pietrificò. Quel nome lo aveva già sentito e gli ricordò d'improvviso un'immagine fugace. Un polpo... No, era proprio un teschio con otto tentacoli. Rosso come il sangue. E due parole. Tre brevi sillabe sibilarono nelle sue orecchie.

Heil Hydra...

-Cos'ha detto?! - Scattò allarmata.

Hoffmann sogghignò.

-Hai sentito... ti è familiare anche questo nome?

-Che cos'è?

-La tua casa, Astrid.

Il dottore si voltò con in mano la seconda fiala pronta perché il suo corpo potesse berne tutti i terribili effetti.

-Questo cosa mi farà? - Chiese lei fingendo di non esserne terrorozzata. Cominciò di nuovo a sudare, ma non voleva dargli soddisfazione. Non si sarebbe mai arresa. Non poteva permettersi di darla vinta ad un maniaco stralunato.

-Questo? Questo ti farà dimenticare tutto ciò che ci siamo detti fin'ora. Non penserai che ti lasci andare in giro con delle informazioni così importanti che possano casualmente uscire tua piccola testolina curiosa! Nessuno dovrà sapere di tutto ciò e tu non hai bisogno di saperlo. Dovrai obbedire ai miei ordini. Solo alla mia voce.

-Ah... - Deglutì. Doveva sbrigarsi. - E nell'ultima invece che c'è?

-Oh, bè questa... - Il dottore si voltò, prese in mano la piccola fiala. Stava in due dita. Era della grandezza di una siringa. Il liquido nero era talmente concentrato che scivolava nel vetro come una bava densa, come inchiostro. - Questo è l'antidoto. Ma non vorresti usarlo, credimi. Ti tornerebbero in mente troppi ricordi, troppo dolore... E ti farebbe tornare quella che eri prima che potessi modificare le tue doti.

-Modificare... le mie doti?!

-Credo che ormai tu ti sia affezionata ad entrambe le sfaccettature dei tuoi poteri. Non vorrai sapere che una delle due è artificiale. Tu... sei una mia creazione. - Disse solenne il dottore, riponendo la fiala nell'apposito incavo.

Astrid cercò di non pensare troppo. Tutto ciò che il suo cervello stava cercando di rielaborare era incomprensibile e totalmente senza senso. Non riusciva a crederci. Si stava prendendo gioco di lei, per forza. Ma perché avrebbe dovuto mentirle, se tra poco non si sarebbe ricordata più di niente? Finì per pensare che fosse un povero pazzo allucinato.

-Posso farti un'ultima domanda prima che mi dimentichi? - Chiese lei, trattenendo una smorfia sofferente. Sentiva la pelle strapparsi, sotto il metallo. Non è facile spaccarsi il pollice senza farsi notare.

Hoffmann si fece un'altra risatina, mentre le sistemava l'asola sull'interno gomito.

-Ma certo. Tutto quello che vuoi.

-Quelle sono le ultime dosi di siero che possiede?

-Le ultime da testare, sì. Le ho preparate in questi ultimi anni di studio. Senza il Tesseract ho dovuto arrangiarmi raffinando il sangue di alcuni Soldati potenziati. E stato lungo e faticoso, ma ci sono riuscito. Ed oggi ho la possibilità di provare che le mie ricerche sono servite a qualcosa.

-E come farai a riprodurre altro siero se il Tesseract è stato rubato da Loki?

-Oh, cara. Ma non è stato Loki a rubarlo. È stato un mio assistente, travestito da Dio degli Inganni! È stato abbastanza semplice, devo dire, e divertente. Dovevi vederli come sono rimasti imbambolati! Dalla battaglia di New York persino i valorosi combattenti che fanno da esercito a Fury si bagnano i pantaloni al solo nominarlo! - Rise, ma il suo sorriso si spense presto.

-E tu? Non ti bagni i pantaloni a nominarmi?

I bulbi oculari del dottore si riempirono di un blu profondo e poi si schiarirono di nuovo, lucenti e azzurrini come la fiala che gli cadde dalle mani e andò a scaraventarsi sui suoi piedi, vomitando tutto il liquido sul pavimento.

Nello stesso momento luci, macchinari, tutto si spense. Al loro posto si accesero le luci di sicurezza e partì l'urlo di una lunga e lamentosa sirena di allarme.

Era il segnale.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Tu sei fuoco e sangue ***


Neve e Cenere | Marvel

23 . Tu sei fuoco e sangue
 

-Dov'è?! - Ringhiò Loki, spingendo lo scettro contro il petto del dottore.

-Non lo so. - Rispose quello con una maschera impassibile sul volto.

-Mi prendi in giro?!

Loki lo afferrò dalla criniera bianca e gli fece fare un volo come se fosse pesato quanto un francobollo. Il dottore capitombolò, cercò di rialzarsi, ma trovò con una punta affilata che premeva sulla giugulare.

-Dimmi. Dov'è.

-Non ne sono ancora stato informato. È una precauzione apposita per evitare la dispersione di informazioni.

Astrid fece in fretta, decise che ragionare sull'accaduto le avrebbe solo fatto perdere tempo. Strinse i denti e strappò il braccio dalla manetta con tutta la forza che aveva. Un movimento deciso, secco, come le aveva insegnato Natasha. Ci aveva scherzato su, quando le aveva fatto vedere il procedimento. “Un giorno potrà salvarti la vita” aveva risposto la Russa da saggia maestra. Astrid ringraziò mentalmente qualunque spinta interiore illuminata l'avesse persuasa ad ascoltare, nonostante lo scetticismo. Nel tentativo di non urlare si morse la lingua. Evitò di guardare troppo la pelle raschiata, si portò direttamente la mano alle labbra per recarsi sollievo. Abituatasi all'ondata di dolore che si stava placando, cacciò la mano libera nei pantaloni, sfilò la chiave e la strinse tra i denti perchè tra le dita deboli e tremolanti le sarebbe caduta di sicuro. Trovò la serratura, con l'occhio del tatto, sotto il bracciolo. Infilò la chiave dopo svariati tentativi, perchè anche le dita sane non volevano obbedire ai comandi, influenzate dalla sofferenza dei nervi. Il bracciale in vibranio s’aprì con uno scatto. Non le parve vero. Si strappò la pettorina con la mano buona e liberò le gambe. Buttò giù i piedi, aggrappandosi al carrello per recuperare l'equilibrio che aveva perso alzandosi troppo in fretta, ma il suo peso spinse le rotelle all'indietro e lei atterrò dritta sul pavimento chiodato di punte di vetri. Riaprì gli occhi solo dopo un istante di incoscienza, la faccia bagnata dal liquido bluastro che illuminava il pavimento buio. Solo una luce a fibre ottiche correva lungo la circonferenza della cella e indirizzava alla porta. Chiuse gli occhi per riprendersi. Si sarebbe alzata presto, doveva solo riprendere le forze. Solo un secondo.

-Non dovresti scappare, a questo punto?

La figura di Loki le apparve maestosa e impervia su di sé. Con quelle iridi cristalline, la squadrava come si squadra un animale che si comporta in modo insolito. Astrid cercò di rialzarsi, ma si dimenticò del pollice rotto, il quale nel sostenerla le provocò una fitta che arrivò fino al gomito. Dovette strisciare e chiedere ausilio alla stabilità della parete prima di rimettersi in piedi. Le ginocchia minacciarono di cedere, ad un certo punto.

-Ma guardati! Direi quasi che tu abbia bisogno di aiuto.

-Non da te, no. Questa volta me ne esco da sola.

Pigiò il bottone che aprì la salacinesca e la fece uscire. Gettò un occhio alla porta del tunnel. Davanti ad essa si era abbassato un portello blindato. La sirena suonava allarmata, la spia arancione che lampeggiava era tutto ciò di cui i suoi occhi potessero fidarsi. Doveva esserci un’altra scappatoia. Cercò una finestra tra le zone buie e i momenti di luce.

-È il sotterraneo di una centrale super controllata. Nei corridoi e attorno all’edificio ti aspetta un’armata di soldati pronti a spararti dei dardi al sonnifero. Come pensi di scappare? – Infierì Loki.

-Da un condotto di aerazione. – Fece lei, alzando lo sguardo verso il soffitto. C’era un grosso tubo di metallo che finiva con una grata. Sarebbe entrata da lì. Gettò a terra con una bracciata ciò che c'era sulla scrivania più vicina. La lampada, il computer, tutti i fogli e le cartelle impilate, il portapenne, tutto andò a finire sul pavimento. Spostò la scrivania sotto il bocchettone. Posò una sedia stabile sopra il piano e ci si arrampicò. Provò a staccare la grata tirandola verso di sé, ma niente. Neanche le sue doti da saldatrice volevano collaborare. - Cazzo!

-Permettimi… - Fece Loki, avanzando una proposta.

-No! – Ruggì lei, prima che parlasse. Era lì, dietro di lei. Il dottore che li guardava entrambi da lontano, ciondolando come uno zombie con i suoi occhi scintillanti. – Tu... devi stare lontano da me. – Continuò Astrid puntandolo con l’indice. – Sono capace di sbrigarmela da sola.

Loki sospirò. Si voltò per rivolgersi all’uomo che gli faceva da ombra. Gli puntò la gemma fulgida al petto.

-Tu. Conosci una via d’uscita da questa prigione?

La chioma bianca scosse la testa.

-No, io sono qui solo da ieri.

-Mi spieghi a cosa sei utile?! – Sbottò il dio, scontento.

-Sono un chimico biologo con competenze in chirurgia e una passione per l'antica letteratura norrena.

Astrid forzò i muscoli, serrò per bene la presa anche con la mano indisposta, ma la grata doveva essere stata fissata apposta perchè nessuno potesse entrarci o uscirci liberamente. Ragionò. Cosa avrebbe fatto Tony Stark senza il braccio di Iron Man? Le serviva una leva, qualcosa di sottile e di resistente che potesse sollevare la grata per staccarla. La guardò bene. Tutta la congiunzione esterna era tenuta ferma da delle viti. Scese dalla scala improvvisata, ravanò tra i cassetti. Almeno un forbice doveva trovarla.
Loki si era appoggiato alla parete, lucidava lo scettro con la manica, mentre la scherniva con gli occhi.

-Saresti già fuori se mi avessi lasciato collaborare. E ora che stai facendo?

Un rumore come di una botta pesante contro le porte del tunnel d'entrata la fece trasalire. Da un momento all'altro sarebbero entrate le guardie per controllare se fosse tutto in ordine e la prigioniera ancora in gabbia. Non doveva farsi trovare in libertà, non là dentro. Afferrò un cacciavite che trovò in una cassetta degli attrezzi chiusa in un armadio. Salì di nuovo verso il bocchettone e cominciò a svitare.

-Sono impressionato. L'influenza risolutiva degli umani sta dando i suoi frutti. 

-Tu non dovresti essere qui, non dovresti parlarmi e non dovresti cercare di aiutarmi. E io non dovrei ascoltarti! - Accidenti a me, pensò. Doveva smetterla di dargli confidenze.

-Lo dici perchè mi ritieni pericoloso o perchè non vuoi farti chiamare impostora?

Astrid ci pensò davvero, per un momento. Poi scosse la testa. Non dargli retta, non dargli retta. Vuole solo sfruttarti. Non lasciarti distrarre.

-Sai, perchè credo che tu abbia una percezione un tantino distorta del pericolo, quanto del tradimento.

-Hai messo a repentaglio la mia vita... - Borbottò lei. Poi alzò la voce. - Hai tentato di uccidermi e di far uccidere un mio amico!

-Ti ripeti. Stai diventando prevedibile. Cambia le battute ogni tanto! E comunque, a parer mio, dovresti usare un termine più appropriato di “amico”. A meno che quelle cose qui su Midgar si facciano anche tra amici…

-Questi... Questi non sono affari tuoi! – Proruppe Astrid, le cui orecchie stavano prendendo più colorito del previsto.

-Temo invece, che sia già un affare di tutti… - Sogghignò Loki.

Astrid cacciò via il pensiero. Non c'era tempo per farsi venire una crisi di nervi. Il cacciavite tra i denti, svitò la penultima vite con le dita e la buttò a terra tra le altre.

-Anche se riuscissi a fuggire da questo piano, dovrai trovare un modo per scappare alle guardie all'esterno.

-Non puoi sparire con i tuoi poteri come fai sempre?! – Esplose Astrid. Non lo sopportava più.

-L'omuncolo ossigenato te lo lascio per compagnia?

Il dottor Hoffmann. Non riusciva a collegarlo in un tempo definito della sua vita, ma tutto quello che gli aveva raccontato era emerso nella sua testa con dei flash, prima che la tramortisse con quella sorta di veleno. Proprio in quell'istante, mentre lo pensava e un'altra vite sgusciava via dal suo loco, le si accese una lampadina: l'antidoto. Non poteva andarsene senza. Lasciò la grata che adesso rimaneva attaccata solo ad incastro. Scese per l'ennesima volta, superò la figura di Loki che non la perdeva d'occhio un istante, tremendamente attratto dalla sua modesta organizzazione. Si fiondò sulla valigia che era caduta a terra, l'aprì, ma era vuota.

-Oh, no. No, no, no…

Cercò sul lettino, per terra, sulla sedia da ufficio del dottore, tra le tasche del camice dell'uomo che la guardò con un sorriso babbeo, mentre se ne stava con le braccia alzate, del tutto ignaro di quello che stava succedendo.

-Cosa stiamo cercando?

Astrid lo prese dai lembi del camice.

-Dov'è la fiala?! Dove l'hai messa?!

-Quale fiala?

-Quella con l'antidoto, idiota!

-Era nella valigetta…

-Bè, adesso non c’è!

-Oh, intendi... questa? – Si intromise Loki, facendola apparire da sotto la veste Asgardiana.

-Dammela.

Il dio svanì nell'aria, nell'istante in cui Astrid si gettò in avanti per strappargliela dalle mani. Tutto l'odio che sentiva ribollire dentro si concentrò nei muscoli del viso e nei pugni. Percepiva il fumo spruzzare dalle orecchie per il nervoso. Avrebbe voluto carbonizzarlo, ma le sue mani rimasero nude da ogni scintilla.

-Hai ragione, gioco infantile.

-Non faccio gare con te. Non ho tempo.

-Perchè sai che perderesti.

Astrid prese la decisione più difficile del momento. I piedi che pestavano a terra, si barcamenò verso il tavolo, mugugnando maledizioni.

-Non vuoi nemmeno fare uno scambio?

-Te la puoi tenere! Non ho bisogno dei miei poteri per andarmene da qui! – Sancì, risalendo sulla sedia. - Torneranno da soli. Posso aspettare.

-Ma naturalmente! Con tutte le tossine che circolano nel tuo corpo, dovrai sperare che nessuno voglia catturarti per un lungo ed esasperante periodo. Dove ti nasconderai nel frattempo? Non crederai davvero che ci sia ancora qualcuno disposto a offrirti asilo?

-Dio santo... Come fa Thor a sopportarti?

-Il deludente quoziente intellettivo di mio fratello lo rende testardo e poco prudente. Non è sopportazione, è solo ottusità.

-È fiducioso. – Lo contestò lei. - Crede ancora che ci sia qualcosa in te per cui valga la pena combattere. Ha una pazienza invidiabile. Non ti ha mai preso di peso e lanciato da una finestra? Non mi stupirei affatto.

Loki abbozzò una risata, ma si sentì che non era per niente divertito. Astrid diede una scossa alla grata che le rimase in mano. Si affacciò nel buco e si accorse che avrebbe dovuto saltare per entrarci dentro.

-Almeno c'è qualcuno che crede invano nella mia redenzione. E invece… chi crede ancora in te? Un Soldato perso in un tempo che non gli appartiene e un'ignava assassina pentita. Ti rimanevano solo loro due, ma tu hai preferito mentire di nuovo. Dimmi, perchè? Perchè non gli hai detto la verità, che ti sei lasciata persuadere dal nemico senza lottare per la tua dignità, per la dignità di chi ti sostiene?

-Sta' zitto! - Astrid gli lanciò la grata addosso. Loki la prese al volo e la fece schiantare a terra. La ragazza saltò, si appese ai gomiti e tirò su il busto seguito dalle gambe, mentre la mano destra e i muscoli addominali strillavano, la carne strideva, i nervi si attorcigliavano per lo strazio. Si ritrovò nel condotto rannicchiata, per soffocare versi di dolore, chiedendosi da che parte andare. Prese la via che ad intuito indirizzava verso il giardino esterno. Ogni tanto si guardava le spalle, come se qualcuno avrebbe potuto seguirla. Si trovò davanti ad un bivio. Scelse lo svincolo più estremo e scoprì che finiva con una ventola dell'aria. Era ferma, non girava. Si avvicinò e tra le fessure scorse un paesaggio innevato. Pregò che la corrente non venisse riattaccata proprio in quel momento. Si mise a pancia in su e cominciò a calciare le eliche, nonostante le vibrazioni provocate dagli urti e nonostante le ferite che non le davano pace. Ad un certo punto capì che stava facendo rumore per nulla. Non aveva forze. Le girava la testa. Aldilà dell'elica passò un gruppo di soldati a passo svelto.

-Per di qua! Per di qua!

Maledì il Capitano e la sua brillante idea di evadere dal Quartier Generale dello SHIELD come si può evadere da un condominio. Maledì Loki e l’impertinenza con cui riusciva sempre ad infonderle un germe di dubbio nelle sue certezze più durature e rimuginare anche quando il contesto le intimava di non farlo. Maledì Stark e alla fine maledì anche e soprattutto sé stessa, in quanto era più incapace di lui a resistere alle debolezze.
Si sdraiò un momento per respirare. Le mancava l'ossigeno. Giurò a sé stessa che non si sarebbe mai più cacciata in uno spazio così stretto da dover gattonare.

-Emh.. emh… Non vorrei disturbare la tua pennichella, ma credo che sia giunta l’ora di uscire da quel tubo.

-Ma va?! Che idea illuminante, Loki! Davvero, non mi ero resa conto!

Dannazione, era ancora lì. Le venne l’impulso di sbattere la testa contro la parete. Lottò contro la vocina che le diceva che nessuno lo avrebbe scoperto. Tuttavia, solo perché l’aveva salvata due volte, anzi tre, non significava essere dalla sua parte o che simpatizzasse per lui. Sperò che la vocina avesse ragione. Scosse il capo per convincersi che anche in quel caso fosse l’unica scelta che aveva.

-Me ne pentirò amaramente.

-Dovresti allontanarti. – Le consigliò il dio puntando lo scettro contro di lei. La grata e la ventola esplosero in un boato. Astrid si ritrovò scivolata fuori senza preavviso. Un paio di mani di ghiaccio la afferrarono sotto le ascelle, prima che capitombolasse per terra. Quando i suoi piedi ritrovarono il suolo e si accorse che le mani che l’avevano aiutata ad atterrare fossero quelle di Loki, agitò le braccia per distanziarsi da lui. Lo intimidì con lo sguardo.

-Sostengo che dovresti imparare ad essere più cortese con chi è cortese con te.

-E io… sostengo… che dovresti tenere le mani dove stanno!

-Ehi! Laggiù!

Un gruppo di militari affrettarono il passo verso la loro direzione. Le armi puntate fecero capire che non avessero intenzioni amichevoli. Astrid si fiondò tra i cespugli candidi, addentrandosi nel boschetto per far perdere le proprie tracce. Corse tra i tronchi, schivandoli, saltando le ridici sporgenti, scostando i rami taglienti dalla visuale, i piedi scalzi che affondavano nella neve ghiacciata, la pelle che si intorpidiva, gli spari e le voci alle sue spalle che non si fermavano. All’improvviso la gamba aveva ripreso a pulsare come se volesse dividersi in due. I polmoni avevano acquisito un ritmo tutto loro. Il cielo cominciò a girare come una trottola, le cime spoglie degli alberi si ingarbugliavano tra loro in un turbine, la terra ai piedi si sfocò. Astrid si appoggiò pesantemente al tronco di un albero per riprendere fiato. Prestò attenzione ai rumori attorno a sé. Era certa che i militari la stessero ancora seguendo, ma non vedeva Loki. Non che gliene importasse, anzi, si sentì sollevata che se ne fosse andato.

-Batti la fiacca.

Astrid sussultò.

-La smetti di fare così?! – Soffiò contro il dio evanescente, mentre avrebbe voluto urlargli in faccia.

I passi delle guardie armate si facevano meno distanti. Astrid si affacciò al tronco per spiare i loro movimenti.

-Ti prego, vattene. Mi farai catturare. – Disse, consapevole che non sarebbe bastata una supplica. Si rialzò, cercando di non zoppicare. Fece una corsetta, ma d’un tratto il suolo sembrò pendere in obliquo, piegando il piano della gravità. Dovette aggrapparsi di nuovo ad un altro albero vicino.

-Dovresti fermarti.

-Sei ancora qui. – Constatò lei, strusciando la spalla su un tronco e trovando sostegno in un altro.

-Stai sanguinando.

Quella frase suonò tanto come una domanda, quanto come una supposizione.

-Sto bene. Sono solo un po’ stanca.

-No, dico, stai sanguinando! – Ribadì Loki afferrandola da un braccio.

Astrid, che non aveva ancora avuto il coraggio di farlo, poiché inconsciamente già lo sapeva, abbassò il capo sulla maglia zuppa, la mano rossa delle sue stesse viscere. Sollevò il tessuto appiccicato al ventre. La pelle si era strappata in tante lunghe bocche umide.

-Cazzo. – Sputò. Continuò a camminare, come se le suture saltate fossero solo un dettaglio inconveniente.

-Pensi di lasciare ancora per molto una scia che segni il tuo passaggio? – Domandò Loki, puntando le macchie che la neve stava bevendo ad ogni suo passo. Astrid lanciò un’occhiata e fece finta di niente. Non poteva fermarsi. Steve doveva essere lì da qualche parte che l’aspettava. Non l'avrebbe mai abbandonata. Non in quel momento. Non l’avrebbe mai tradita. Non il Capitano. Non lui...
Strascicava i piedi e adesso nella neve si erano formati dei solchi lunghi e ondeggianti che firmavano un’andatura ubriaca e sofferente.

-Ah, ho capito. Il Soldato ti ha promesso di venirti a prendere. Non è così?

-Lui è qui. Sta per arrivare. – Annunciò lei convinta. Una mano al ventre e l’altra in continua ricerca di appoggio.

-Mi chiedo quanto sia disposto il tuo amico a rischiare di prendere il tuo posto…

-Lui farebbe qualsiasi cosa. Non mi abbandonerebbe mai. – Ripetè a sé stessa con voce fievole. Le parve di vederlo davanti a sé. Allungò il passo, ma la figura di Steve evaporò nella nebbia della sua confusione. Vide Natasha sorriderle da lontano e poi nascondersi dietro ad un cespuglio. I due continuarono ad apparire e scomparire e quando lei cercava di raggiungerli, ogni volta era troppo tardi.

-Sai cosa ti dico? Non verrà nessuno.

Astrid, stufa, si voltò verso Loki con l’intenzione di prenderlo a bastonate.

-Perché mi stai seguendo? Perchè non te ne vai a distruggere il mondo con un’orda di animali alieni, eh? Te ne devi andare, hai capito?! – Gridò. Nemmeno lo vedeva. Inveiva contro una sagoma verde e nera che perdeva nitidezza a intermittenza.
Attorno a sé la neve si sciolse all’improvviso, l’erba che se ne stava schiacciata e spettinata sotto il peso di essa, si annerì in un cerchio di fiamme. Le iridi di Astrid bruciavano come le vene, fili di rame rovente che le percorrevano il corpo. Loki mise le mani in avanti.

-Non mi sembra il caso di farne una questione personale.

-Oh, sì che lo è.

Quanto desiderava i suoi pugnali. Glieli avrebbe affondati entrambi nello sterno perché capisse che cosa stesse provando in quel momento, che cosa avesse provato quella mattina. Lo avrebbe fatto diventare come una tavoletta di sughero, se non avrebbe potuto ridurlo in un mucchio di cenere, ma ora doveva accontentarsi dei pugni. Loki si difese con lo scettro, quando lei gli balzò addosso per colpirlo. La respinse. Astrid barcollò all’indietro, ma riuscì miracolosamente a rimanere in piedi.

-Non voglio usarlo. Credimi.

-Non farmi ridere. Non vedi l’ora di farlo di nuovo. Perché non lo fai adesso, eh? Perché non mi controlli per uccidere qualcuno, eh?! Avanti!

Gli andò di nuovo addosso, si aggrappò al fusto dello scettro che Loki stringeva di fronte a sé in orizzontale. Astrid caricò in avanti, egli contrastò la spinta con più violenza. Un piede, nel tentativo di bilanciare il colpo, scivolò all’indietro. Astrid si aggrappò al mantello di Loki ed entrambi slittarono per il dirupo, valangando assieme alle foglie marce e ai rami rotti. Li fermò la pendenza contraria. Loki sbattè contro un albero con la schiena. Astrid si rialzò, ignorando la protesta di tutti i muscoli del suo corpo. Lo scettro era rimasto incastrato in un cespuglio secco. Si mise a scalare la terra franosa, ma prima che potesse afferrare l’arma, si sentì tirare verso fondo valle. Loki le fu addosso, le fissò i polsi al terreno, con le gambe faceva in modo che non muovesse le sue. Erano fronte a fronte. Astrid non si rassegnò, ancora cercava di ribellarsi, ma non c’era molto da fare.

-Non crederai davvero di poter avere la meglio! Il tuo corpo sta cedendo, la tua mente è annebbiata. Sei senza poteri, per non dire che la mia forza è nettamente superiore alla tua in ogni caso!

-Ti avrei già fatto il culo se solo ne avessi le forze!

-Oh, avanti, non mentire a te stessa. La tua abilità di combattimento è goffa e manca del tutto di tecnica.

Astrid digrignò i denti.

-Se solo avessi avuto uno solo dei miei pugnali, te l'avrei ficcato nello stomaco in questo momento. Lo avrei rigirato su sé stesso, lasciando che il calore ti cuocesse da dentro, per farti conoscere l’odore delle tue budella allo spiedo.

Loki si mise a ridere. Rise tanto forte che Astrid dovette ripensare alla minaccia che aveva appena fatto uscire dalla bocca per capire che cosa ci fosse di tanto ridicolo.

-Vedi di cosa parlo? Questa sei tu! Tu sei fuoco e sangue, rancore e furia. Tu non sei fatta per salvare il mondo. Sei fatta per distruggerlo. Vuoi farti giustizia da sola, non vuoi essere spalmata di unguenti e lodi, come paladina della giustizia. Tuttavia hai paura dall'opinione della gente, hai paura di non essere compresa. Per questo ti nascondi nelle battaglie. Esprimi tutta te stessa nel caos per confondere le prove di ciò che sei davvero.

Astrid non si muoveva più. Era impressionante in quante di quelle parole riusciva a rispecchiarsi. E questo non era un bene. Non era un bene per niente. Era già la seconda volta che Loki era riuscito a sintonizzarsi col pezzo più oscuro della sua anima. L’aveva letto come si legge un libro a caratteri cubitali. Era una sensazione insidiosa e terrificante, ma al tempo stesso c’era qualcosa di liberatorio. Il Serpente dalla Lingua d’Argento si era impossessato della chiave per aprire la serratura di una porta che sarebbe dovuta rimanere chiusa.

-Non devi avere paura di ciò che sei. Non devi sopprimere i tuoi istinti. Non sei tu ad essere sbagliata. Non devi permettere che coloro che ti circondano ti trasformino in ciò che non sei. Con me sarà diverso. Non ti metterò una catena al collo. Potrai sfogare tutto il tuo potere senza limiti.

Astrid guardò lo scettro che se ne stava ancora appeso ai rovi.

-No, non userò neanche quello. Non ne avrò bisogno. So che sei capace di fare la scelta giusta da sola.

Loki aprì le mani. Lasciò libere le braccia di Astrid, ma lei non si mosse. Rimase imbambolata, completamente succube di quel discorso, come se fosse stata ipnotizzata. Eppure lo scettro non si era avvicinato di un millimetro.

-Rifletti. – Fece lui, alzandosi in piedi.

Astrid gli afferrò una mano, per trattenerlo. Avrebbe voluto dirgli che si sbagliava, che aveva mancato il bersaglio, invece non riuscì a mentire. Lo sfidò e basta, con le sue sole iridi dorate, stringendo quella mano gelata che si stava tingendo di un blu oltremare, nella sua bollente che si era annerita come il carbone. Loki strappò la presa, sdegnato, ma prima che potesse proferire altra parola, schizzò all’indietro. Rotolò per molti metri, sfondando parecchi alberi. Un luccichio rimbalzò e andò a conficcarsi in un tronco. Il luccichio di uno scudo in vibranio, bianco, rosso e blu, con una stella nel centro.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Ordini dall'alto ***


Neve e Cenere | Marvel

24 . Ordini dall'alto

 

Lo scudo si staccò dal tronco e sfrecciò nella direzione opposta da quella da cui era arrivato. Astrid si voltò per seguire il suo tragitto. Capitan America lo afferrò al volo. Era in borghese, niente tuta, ma lo stesso ad Astrid apparve come il miraggio luminescente che l'aveva fatta delirare attimi prima. Strabuzzò gli occhi, mentre lo vedeva avvicinarsi in corsa.

-Cap... sei davvero tu?

-Certo che sono io! - Rispose Steve, piegandosi sul corpo mezzo disteso della ragazza. Le prese il viso tra le mani per controllare se stesse bene, perché non sembrava totalmente in sé.

-Quanto ci hai messo?

-Scusa, ero sull'Oceano Indiano qualche ora fa. Non ero esattamente in condizioni di poter fare più in fretta.

-Sull'Oceano Indiano? Che caspita ci facevi sull'Oceano Indiano? Sei andato a farti un tuffo?

Steve non rispose all'ironia. Aveva gli occhi puntati sull'enorme chiazza di sangue sulla maglia di lei.

-Non è niente. È solo saltato qualche punto. - fece Astrid, cercando di rialzarsi, ma una smorfia la tradì vergognosamente.

Steve si tolse la giacca, la felpa. Le cedette quest'ultima perchè si coprisse e lei l'accettò volentieri perché si sentiva strana, tremava e le pizzicavano i piedi, i muscoli a contatto con la neve si stavano intorpidendo. Il calore intrappolato nel tessuto le diede un immediato sollievo.

-Avanti, ti tengo io. Forza. Ma dobbiamo correre.

Steve si mise un suo braccio in spalla e la sollevò come un fuscello.

-Aspetta, lo scettro!

Si misero a correre, per quando Astrid riuscisse a fingere di non sentire il suo corpo dilaniarsi in due dal dolore. Si reggeva alle spalle forti, stringendo lo scettro in una mano e cercando di non sparare troppi vocaboli poco eleganti nell'orecchio sensibile del Capitano. Si chiese dove fosse finito Loki, non poteva essersi arreso così. D'un tratto, tra le fronde intrecciate si disperse una risata sardonica. Astrid si voltò all'indietro, ma non vide nessuno.

-Che c'è?

-Hai sentito?

Steve alzò lo sguardo in lontananza.

-Sì. Tra poco saranno qui. Sbrighiamoci.

Raggiunsero la motocicletta parcheggiata malamente dietro un rovo. Steve doveva averla abbandonata al volo per non farsi sentire. La raddrizzò nel senso inverso, ci salì sopra e la mise in moto. Astrid salì dietro. Un elicottero passò sulle loro teste perturbando la quiete delle fronde spoglie.
Steve accelerò, le ruote spinsero la neve e la terra in un turbine alle loro spalle. Sfrecciarono nel bosco, rimbalzando sulle dune, schivando i tronchi e gli arbusti. La ruota posteriore slittò alla curva di una strada sterrata che portava in centro città.

-Dove stiamo andando?? - Urlò Astrid nel vento.

Steve non rispose alla domanda. Guardava di continuo lo specchietto, aspettandosi di scorgere qualcuno dietro di loro. Provò a cambiare corsia, accelerò, ma nessuna delle auto in corsa alle loro spalle sembrava intenzionato a pedinarli. Dopo una decina di chilometri, svoltò e scesero verso una stradina secondaria. Si fermarono davanti ad un magazzino abbandonato. Astrid non gli chiese che cosa stessero facendo lì, ma quello sguardo torvo cominciò ad influenzarla. Steve capì di doverle una spiegazione.

-Mi chiedo perché non ci stiano inseguendo.

-Non è meglio così?

-No. È insolito e non promette nulla di buono.

-Forse non ci hanno visti.

-Riesci a scendere?

Astrid si aggrappò alle spalle del ragazzo e scavalcò, trattenendo il respiro. Si sedette ad una barriera jersey dimenticata in un angolo. Anche Steve scese. Notò la mano che Astrid aveva posato inconsciamente sul ventre.

-Non posso portarti in ospedale. Non ora. - disse, forse per scusarsi. Astrid lo guardò storto. - Hai bisogno di cure.

-Mi serve solo una fasciatura, tutto qui.

-Avresti dovuto cambiarla quando eri a casa, così non ti sarebbero saltati i punti.

-Mi sono dimenticata.

-No, non ti sei dimenticata. L'hai fatto di proposito.

-Che cosa vuoi insinuare? Che mi piace andarmene in giro in brandelli?

Steve macinò un commento sprezzante tra le labbra.

-Che cosa c'è?

-Finchè eri moribonda ti sono servito e poi hai dimenticato ogni sforzo che ho fatto per mantenerti in vita. Ma a te non importa, t'importa solo di te stessa e dell'impressione che devi fare sugli altri. Solo il fatto di mostrarti vulnerabile ti fa andare fuori di testa. È per questo che ti sei lasciata convincere da Loki e mi hai scavalcato di nuovo. Devi far vedere che sei più furba di tutti.

Astrid voltò lo sguardo da un'altra parte per non rispondere. Sbuffò dalle narici.

-Quindi è così? Mi hai mentito. Anche quando ti ho chiesto ti essere sincera lo hai fatto.

-Ancora con questa storia... - Brontolò lei.

-È sempre questa storia! Perché sei tu, è più forte di te! Non riesci mai a fare quello che ti dico! Mi piacerebbe che tu mi spiegassi perché, per quante volte io cerchi di salvarti, tu trovi sempre il modo per rimetterti in pericolo!

-Sono punti di vista. Io non la vedo così. Volevo raggiungervi, ho solo trovato una via d'uscita e l'ho seguita. Non farne una questione personale.

-Non è solo una questione personale, poteva succederti di tutto. Non puoi fidarti di Loki. Lo hai visto anche tu, ti stava...

-Mi ha salvato! Per ben tre volte! Quando sono arrivati quei soldati in casa mia e non ero più capace di muovermi, un uomo mi ha puntato una pistola contro la tempia e Loki lo ha fatto fuori! Di nuovo, in quella specie di laboratorio diretto dal tuo amato Fury, c'era uno scienziato psicopatico che voleva torturarmi e Loki si è presentato proprio prima che mi trasformasse in un automa! E la terza volta, quando mi sono trovata bloccata in un condotto dell'aria, lui era lì, mi ha tirato fuori! Come la vedi tu?!

-Dannazione, ragiona un momento! Uno come Loki non ti salva per un dovere morale, ma perché vuole qualcosa in cambio! Hai quasi ucciso Stark per colpa sua! Si può sapere che cosa ti serve per capire che è pericoloso?!

-Anch'io sono pericolosa. Anche tu lo sei. Lo siamo tutti.

-Ma lui è imprevedibile, è spietato! E non agisce per proteggere qualcuno che gli sta a cuore! Lui non rischierebbe la vita per una persona che ama, non impazzirebbe per stare dietro ad una pazza con istinti suicidi ed evidenti problemi di udito nonostante ci tenga! E io sono stanco di farti da balia, sono stanco di rimediare ai tuoi errori, sono stanco di patire le pene dell'inferno per te!

-E chi ti ha mai chiesto niente?

Steve non credeva alle sue orecchie. Si passò una mano sulla bocca per evitare di sbottare ulteriormente.

-Non te ne rendi nemmeno conto...

-Di cosa?

-Della gente che tiene a te, ecco di cosa! Non te ne frega niente di me, di Natasha... E di tutti gli altri! Ti importa solo... di Stark! - Sputò l'ultima frase lanciando un calcio al suolo, dal quale si sollevò una nuvola di polvere. Si spalmò i palmi sul viso. Poi, mani suoi fianchi, sguardo tra i piedi, sospirò pesantemente. - Adesso andiamo a casa. Ti dai una ripulita e ti medico. Di nuovo.

Astrid abbassò lo sguardo, mentre collezionava l'ennesima figura da stronza egoista. L'aveva fatto di nuovo. Questa volta però con la persona che se lo meritava di meno. Doveva farsi perdonare, fargli capire che le dispiaceva di essere una tale imbecille da trattare chiunque con sufficienza. Soprattutto lui, che aveva davvero fatto qualsiasi cosa e lei non le aveva mai mostrato uno straccio di gratitudine.
Steve si voltò di nuovo verso il suo volto, sforzandosi di rassegnarsi a quella situazione, al carattere complicato di quella creatura che aveva il potere incredibile di distruggere qualsiasi cosa e a tutto ciò che sarebbe successo di conseguenza. Gli toccava accettarla per com'era. Quando si voltò, tuttavia, accadde qualcosa di inaspettato. Diventò tutto un pezzo di ghiaccio. Le sue dita erano arrivate alla vita di lei senza nemmeno sapere come. Le braccia di lei gli cingevano il collo, le labbra di lei gli stampavano un bacio leggero sulla guancia.

-Grazie. - Disse Astrid, mentre lo stringeva.

Steve annuì imbarazzato.

-Torniamo a casa.

-Sì. - Rispose lei, senza però allontanarsi. Ci rimase ancora un po' avvinghiata a lui. Scoprì che le faceva bene. - Spero che valga come pace perchè credo che sia appena saltato anche l'ultimo punto.

***

-Odio queste scale. Me le sogno di notte. - Sbuffò Astrid incespicando all'entrata del condominio. Si appoggiava allo scettro, a cui avevano coperto la gemma con un sacchetto di carta per non dare nell'occhio. Almeno era utile a qualcosa di buono.

-Vuoi che ti prenda in braccio? - Propose Steve scherzando, sebbene lo avrebbe fatto sul serio.

-Vuoi che la mia dignità vada definitivamente a farsi fottere?

-Non ci sarebbe niente di male.

-Preferisco soffrire in silenzio.

-Allora evita di lamentarti. - Fece lui, qualche gradino più in alto, schernendola amichevolmente con un sorrisetto malandrino.

Astrid lo fulminò. Si staccò dal portone e si appropinquò verso lo scorrimano, masticando un'imprecazione.

-Ti ho capito, sai? Reciti la parte santarellino, ma sotto sotto sei uno stronzo anche tu... - Concentrata sui gradini, si scontrò contro un muro umano: Steve si era fermato senza avvisare. - Ehi!

Il Capitano voltò il capo e una mano verso di lei per fermarla, lo sguardo fisso verso il piano superiore dal quale rimbombava una voce femminile.

-Aspetta.

-Che c'è?

Astrid si alzò sulle punte per guardare. Una ragazza con un cestino di plastica tra le braccia stracolmo di panni da lavare, la spalla a tenere fermo il telefono all'orecchio, dondolava davanti alla porta di un appartamento che doveva essere il suo.

-È la mia vicina.

-Abbiamo paura delle vicine adesso?

-Non dobbiamo farci scoprire.

-È carina però.

-Tu dici?

-Sì. Se ti piacciono le bionde... Ha un gran bel culo. - Fece lei per punzecchiarlo.

Steve non riuscì a trattenere una smorfia sprezzante. Per un momento sentì parlare Stark.

-Faccio finta di non aver sentito.

-Perché? Non posso dire che ha un gran bel culo? Oh... Ti ho scandalizzato? Benvenuto nel 2014, Capitan America! Dal '45 la sessualità si è aperta a nuovi orizzonti.

-Non voglio più parlare di questo argomento, né dopo, né mai.

-Gesù... Non dirmi che sei uno di quei bigotti cattolici che vanno in chiesa tutte le domeniche e pregano prima di andare a dormire.

-Perché, tu non lo fai? - Fece lui con tono provocatorio.

-Ancora credi in un dio dopo tutto quello che hai visto?

-È proprio per quello che ho visto che prego che ci sia ancora un dio da qualche parte. Mettiti il cappuccio. Non farti riconoscere.

-Perché? Non vuoi farti vedere con un'altra davanti a lei?

-Dovresti esserti resa conto che da qualche mese il tuo volto è famoso quanto il mio.

-Se vuole un autografo glielo faccio volentieri.

Steve fece un respiro profondo per non perdere le staffe.

-Ufficialmente non dovresti trovarti qui. E io sto tradendo lo SHIELD. Quindi mettiti il cappuccio e non fiatare.

-Va bene, va bene. - Brontolò Astrid. Si richiuse nel cappuccio, sistemò qualche ciuffo di capelli davanti alla faccia. Salirono le scale.

-Ora ti devo lasciare... Va bene, ciao. - La vicina riattaccò. Rispose al saluto di Steve con un sorrisone. Poi si sentì in dovere di giustificarsi. - Mia zia... Soffre di insonnia. - Abbozzò una risata.

-Che cosa interessante. - Mugugnò Astrid tra i denti. Steve censurò il commento superando la sua voce.

-Ehy, emh... Sei vuoi... puoi usare la mia lavatrice. Costa meno di quella nel seminterrato.

-Ah, sì? - La bionda reclinò la testa da un lato. Aveva un sorriso dolce e gli occhi buoni. - Quanto costa?

-Un buon caffè?

Stavano amoreggiando spudoratamente ignorando la presenza della terza incomoda. Astrid provò la stessa sensazione di pesantezza che ti assale quando ti abbuffi di qualcosa di troppo dolce, quel groppone nello stomaco che ti fa pentire per il resto della giornata di essere stato tanto ingordo.

-Capitano... - Sussurrò Astrid alle sue spalle. Finse di tossire. - Mi sta venendo il diabete.

-Stai zitta. - La ammonì lui ventriloquo.

La vicina alzò un dito verso la ragazza. Strizzò le palpebre come per mettere a fuoco un ricordo.

-Ma tu sei...?

-Dobbiamo andare. Ci vediamo.

Steve afferrò un braccio di Astrid e la trascinò verso il suo appartamento.

-Certo che vi vedrete, abitate sullo stesso piano!

Appena furono dentro, la porta chiusa, Steve la spinse contro il muro con rabbia.

-Tu non riesci proprio a stare buona?!

-Ti piace, vero? - Lo stuzzicò lei.

-Io... Cosa...?!

-Sei una frana a flirtare.

-No, non è vero.

-Sì, lo sei!

Astrid si mise una mano davanti alla bocca per non ridergli sguaiatamente in faccia. Diede attenzione al canto della tromba che risuonava nel salone, proveniente dallo stereo che Steve doveva aver lasciato acceso.

-Capitano, mi sa che devi aggiornare la playlist!

Steve drizzò le orecchie. Era diventato serissimo.

-Non l'ho nemmeno acceso oggi...

Lentamente, con il suo scudo al braccio, il Capitano si incamminò verso il salone, seguendo la parete con la spalla. Poi, arrivato all'angolo, si appoggiò al muro, parzialmente sollevato.

-Non ricordo di averti dato le chiavi.

-Credi davvero che mi servano? - Fece la voce di Fury. Astrid sentì una stretta allo stomaco. - Mia moglie... mi ha cacciato via.

-Perché? Sei sposato?

-Ci sono parecchie cose che non sai di me.

-Lo so, Nick. È questo il problema.

Steve fece un passo avanti, accese la luce, ma ciò che vide lo fece bloccare su due piedi. Astrid si affacciò dall'angolino, dietro la schiena di Steve che la nascondeva. Riuscì a scorgere un Nicholas Fury sofferente che digitava tutto curvo sul touch-screen di un palmare. Egli lo voltò verso di loro. Una scritta si illuminava al centro:

"ORECCHIE OVUNQUE"

Steve si guardò attorno come se potesse scorgere le cimici che tappezzavano l'appartamento. Amareggiato, si trovò costretto a realizzare che niente di ciò che era successo in casa sua quella mattina non era stato affatto segreto.

-Mi dispiace di essere venuto qui, ma non sapevo proprio dove passare la notte. - Continuò Fury, mostrando un altro messaggio.

"SHIELD COMPROMESSO"

-Spero solo di non essere di disturbo per la tua amica.

Steve si irrigidì in un inconscio meccanismo di difesa. Strinse lo scudo.

-Non c'è più bisogno che vi nascondiate a me.

-Non so di cosa parli.

-Non sei bravo a mentire, Rogers.

"SULLIVAN È QUI"

Steve si voltò verso Astrid, ancora abbastanza confuso. Le disse con gli occhi che poteva mostrarsi, ormai non erano più un segreto. Quella sbucò titubante, come una bambina consapevole di aver combinato un grosso guaio.

-Da quanto tempo sai di noi?

-Abbastanza a lungo da potervi concedere un po' di libertà.

Astrid e Steve si lanciarono un'occhiata d'intesa. Ecco il motivo per cui nessuno li aveva inseguiti. Era stato Fury a ritirare la squadra di agenti incaricati.

-Perchè non hai detto niente?

"ORDINI DALL'ALTO"

-Ho pensato che vi meritaste la vostra privacy.

-Chi altri sa di tua moglie?

Fury si alzò in piedi. Sembrava camminare male, si teneva un fianco, come un superstite da un combattimento.

"VOI E IO"

-Solo... i miei amici.

-È questo che siamo? - Ribatté Steve rigido. Dovevano avere una questione in sospeso.

-Dipende da te. - Rispose Fury.

Non aggiunse altro perchè proprio in quel momento un razzo trapassò il muro e il petto del Comandante già ferito, poi un altro e un altro, a raffica. Fury si trovò a terra agonizzante.

Steve lo trascinò all'ingresso. Astrid era saltata dall'altra parte della stanza quando il primo bussolotto l'aveva sfiorata. Guardò Steve che scambiò l'occhiata prima che Fury aprisse il palmo per affidargli quella che sembrava una chiavetta USB.

-Non... fidarti... di nessuno.

Un secondo dopo, la porta venne sfondata. Da dietro la libreria, spuntò la vicina bionda impugnando una pistola a puntatore laser.

-Capitano! Sono l'agente 13, Squadra Speciale dello SHIELD.

-Chi? - Domandò uno Steve sempre più sconcertato e disorientato. Cercò lo sguardo si Astrid, la quale era distratta, guardava fuori dalla finestra.

-Ho l'ordine di proteggerti.

-Ordine di chi?!

-Suo.

La bionda si chinò verso il corpo di Fury disteso sul pavimento. Controllò il battito. Poi tirò fuori una ricetrasmittente dal pigiama, lo avvicinò alla bocca e con voce seriosa, mandò un messaggio alla squadra che doveva essere in posizione nei paraggi.

Steve cercò Astrid con gli occhi. Era sparita dall'ultimo posto in cui l'aveva lasciata. La finestra era spalancata. Si affacciò e la vide saltare e arrampicarsi sulla facciata dell'edificio di fronte con l'agilità di un gatto. Come fosse riuscita ad arrivarci, non gli era chiaro, ma non poteva lasciarla andare da sola. Afferrò lo scudo, prese la rincorsa e si fiondò dalla finestra, sfondando perfettamente quella dell'edificio mirato. La seguì attraverso i corridoi degli uffici, mentre lei correva parallelamente sui tetti, saltando sui muriccioli, scivolando sotto le barriere, schivando i camini. Il rumore che combinava il Capitano sotto i suoi piedi per sfondare le pareti in cartongesso, la spronava a non fermarsi, sebbene le gambe dell'uomo che stava facendo mangiare la polvere ad entrambi, spingessero più delle sue cedenti.

Quando si rese conto di averli alle calcagna, l'attentatore si lanciò dietro le spalle una manciata di sfere metalliche che rotolarono e raggiunsero i piedi di Astrid, la quale invece di frenare si gettò in avanti, mentre le microbombe esplodevano. Approfittando della propulsione dello scoppio, saltò dal terrazzo dal quale era balzato poco prima il terrorista mascherato. E mentre il suo corpo ancora galleggiava in aria, seguendo il moto della parabola, vide una macchia blu che la sorpassò sotto i suoi piedi e per poco non gli cadde addosso. Atterrò con una capriola giusto in tempo per vedere la mano metallica afferrare al volo lo scudo del Capitano. Una chioma di capelli scuri e malmessi, una maschera nera che copriva il volto dal naso al mento, un paio di occhi grigi e agghiaccianti, cerchiati da pittura nera sbiadita e un braccio bionico con una stella rossa timbrata sulla spalla...

Ritornò indietro, lo scudo, dritto contro gli addominali del proprietario che slittò all'indietro per la forza con cui gli era stato rilanciato. Astrid si alzò per inseguirlo ancora, appena lo vide saltare, ma quando si affacciò verso le strade, dell'uomo dal braccio d'argento non c'era più traccia. Il Capitano la raggiunse e constatò la medesima delusione frustrante. Poi la tirò giù dal bordo con uno strattone.

-Che ti è saltato in testa?! Che cosa pensavi di fare da sola, eh?! Ti rendi conto di in che condizioni sei?! Perchè diavolo non mi hai detto subito che avevi visto qualcuno?! Mi rispondi?! Hey, sto parlando con te!

Astrid sembrava persa. Non stava ribattendo, non stava giustificando alcun atto impulsivo. La sua attenzione era puntata verso il vuoto, in mezzo al paesaggio serale del quartiere, le strade illuminate dai lampioni, vuote, silenziose, statiche. Non stava parlando, non sapeva come spiegarlo nemmeno a sé stessa. Aveva solo intravisto un dettaglio che aveva sognato quando era quasi stata sul punto di non ritorno. Un dettaglio che aveva catturato la sua mente e aveva acceso la lampadina di una stanza rimasta al buio per dieci lunghi anni di amnesia. La sua lingua non era connessa al cervello per potersi difendere dalla rabbia del Capitano, il quale la guardava senza capire che cosa le stesse prendendo. Mentre il suo corpo straziato si afflosciò a terra e lei si ritrovò pancia in su ad annaspare, gli occhi puntati tra cielo buio e il volto corrucciato del Capitano, tutto ciò che riuscì ad articolare fu una sola breve affermazione di cui ancora si stava convincendo.

-Io, quello, lo conosco.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Tattiche di fuga ***


Nave e Cenere | Marvel

25 . Tattiche di fuga

 

Si mossero con cautela nell'ospedale. Astrid riuscì a passare inosservata, mimetizzandosi dietro una famiglia, tra una coppia di fratelli adolescenti che camminavano tutti imbronciati dietro i propri genitori. Una volta dentro, il Capitano salì verso il primo piano. Astrid gli andò dietro a passo meno spedito, fingendo di non essere assieme a lui e accertandosi ad ogni metro che nessuno li stesse osservando.

-Smettila di guardarti attorno in questo modo. Attirerai l'attenzione. - la rimproverò lui, a bassa voce, tirandola in un angolo nascosto.

-È pieno di soldati.

-Li ho visti anch'io.

Steve si affacciò al muro. Il corridoio brulicava di agenti dello SHIELD armati e imbracati. Molti circondavano la sala in cui Fury doveva essere stato portato d'urgenza.

-Lo stanno operando là dentro.

-Dobbiamo pensare alle tue ferite. Vieni.

Steve seguì un medico che si dirigeva verso l'ala speculare.

-Scusi?

L'uomo si voltò accigliato, continuando per il suo tragitto. Sembrava aver fretta.

-Sì? Ha bisogno?

-Lei è un chirurgo?

-Sì, sono un chirurgo...

Steve lo acchiappò violentemente da un braccio e lo spinse in una camera che si scoprì fosse un ambulatorio di scarsi metri quadri con un lettino, una scrivania, una libreria, alcuni poster di anatomia appesi agli spazi vuoti dei muri bianchi assieme a una moltitudine di disegni infantili, qualche attrezzo vario piazzato agli angoli, una pianta, uno scaffale con cassetti e ante di vetro da cui si poteva intravedere faldoni e libri vari.

-Ma... Ma cosa fa? Come si permette?! Mi lasci subito! - si ribellò l'uomo, che non sapeva ancora con chi aveva a che fare.

-Chiudi la porta. - ordinò Steve ad Astrid, ignorando completamente il balbettio indignato del dottore.

-Ma cosa fate? Cosa volete fare? Questo è sequestro di persona! Potrei denunciarvi!

-Lo faccia pure, ma prima deve ricucire il ventre della ragazza.

-Io non faccio proprio niente! Ora chiamo la sicurezza! - Si impuntò l'illustre chirurgo. Fece per prendere la porta, ma Astrid gli bloccò il passaggio con la sua persona, braccia conserte, sguardo severo.

Steve lo prese dal camice e lo appese alla porta per intimidirlo, alzandolo di venti centimetri da terra.

-Non amo ripetermi. Quindi vede di fare ciò che le dico. Adesso. - Lo rimise a terra solo quando lo vide spiantato.

-Mi serve un filo da sutura, un ago sterile e un anestetico locale...

-Li abbiamo. - Fece Astrid che nel frattempo aveva rovesciato mezzo scaffale. Agitò in aria le confezioni sigillate.

-Dove stanno gli anestetici?! - ruggì Steve.

-Potrei andare a recuperarli...

-Niente anestetici! - decretò Astrid affogando tra le trame della maglietta. La felpa che si era appena sporcata all'interno, la ripiegò velocemente e la appese alla sedia, la canottiera zuppa la appallottolò sulla scrivania. Rimase con la pancia e i solchi nella pelle incrostata e umida completamente scoperti.

-Buon dio! Come ti sei procurata quei tagli?! - Sbottò il dottore.

-Come "niente anestetici"? - domandò uno Steve avvampato, indeciso su dove guardare. Decise che il pavimento fosse meno rischioso.

-Devo rimanere vigile.

-Sei sicura?

-Sicura. - accertò lei. Guardò il chirurgo annichilito sotto l'imposizione del Capitano. - Allora, mi rattoppa?

-Sis-sisì... - Biascicò quello, sollevato di potersi allontanare dal muro di muscoli che lo schiacciava alla porta.

-Torno quando avrete finito. - informò Steve. Poi, non contento, rivolse all'uomo un'ultima fulminata e con voce intimidatoria, lo avvertì. - Non faccia l'errore di sottovalutarla. Ha ucciso dieci soldati speciali in meno di un'ora questa notte. A mani nude.

***

L'ago bucò per l'ultima volta la carne. Lo spago frizionò nel foro microscopico. La forbice tagliò l'eccesso. Astrid cercava di distrarsi, pensando a qualsiasi altra cosa che non fossero le mani del dottore, che non riusciva a vedere, ma che sentiva mentre facevano piccoli, ma precisi movimenti per assemblarle le viscere. In particolare, un borbottio aldilà della porta attirò la sua attenzione. Affinò l'udito e catturò un timbro femminile. Forse un'infermiera nei paraggi stava cercando il dottor "L. Devis", com'era scritto sul cartellino appuntato al taschino del camice verde. Si chiese per la decima volta se avesse chiuso a chiave la porta. In realtà, su quel lettino da cui aveva paura di cadere e da cui non vedeva l'ora di scendere, perché la sua mente ostinata la proiettava continuamente in un altro luogo e lei stava letteralmente lottando contro l'impulso di prendere per il collo quel poveruomo e distruggere l'intero ambulatorio. Ancora riusciva a sentire le vene sfrigolare come se il sangue si fosse trasformato in acido.

-Ho finito. - Disse il dottore, pulendosi le mani su una salvietta.

Astrid potè riaprire gli occhi e smettere di mordersi le labbra. Si toccò la pancia con le mani e la trovò rugosa e frastagliata. La sutura era completa e decisamente fatta meglio di quella precedente. Alzò la schiena faticando.

-Cerchi di non fare movimenti bruschi, altrimenti i punti salteranno di nuovo. L'ideale sarebbe un mesetto di riposo completo.

Astrid rise. Diete una pacca sulla spalla al dottore, al quale dopodichè, si tenne per scendere dal lettino.

-Continui a ripeterlo ai suoi pazienti.

-Ho capito chi è lei. È una di quegli esseri che c'entrano con il disastro di New York!

-È informato, dottor Davis. Mi dica, questa brillante intuizione le è venuta prima o dopo che il mio amico la appendesse alla porta come fosse uno di quei quadretti inquietanti? O ci ha meditato durante il tempo in cui trafficava sulle ferite che avrebbero dovuto dissanguarmi? - Lo pungolò Astrid, mentre pensava dove potesse trovare dei vestiti puliti.

-Durante. Penso... - Fece l'altro ignorando il motivo per cui stesse alla presa in giro. - Quell'uomo che stanno operando in sala, è dei vostri? Cosa gli è successo?

Astrid sospirò spazientita. Gli piaceva di più mentre faceva andare le mani e annodava la lingua. Per non parlare del fatto che ultimamente non sopportava gli uomini in camice.

-C'è un assassino a piede libero. Niente di cui deve preoccuparsi. Infondo non è all'ordine del giorno? - Gli fece un sorriso falso mentre tirava su la zip della felpa. - Stia tranquillo. Ci pensiamo noi.

-Lei è dei buoni, quindi?

-Emh... Certo. Siamo i buoni.

-Ah, bene.

-Sì... bene. - Astrid sperò che la finisse lì, ma la mente dell'uomo fu scosso da un atroce dubbio.

-Ma se lei è dei buoni, perché il suo amico ha detto che lei ha ucciso...

Un colpo secco in testa lo stese a terra e lo zittì temporaneamente. Nello stesso momento la porta si scontrandosi contro la schiena di Astrid: no, non l'aveva chiusa a chiave. Astrid si voltò e inquadrò una chioma fiammeggiante. Natasha guardò l'uomo a terra, la lampada da scrivania col fusto che ciondolava all'ingiù, rotto durante una botta violenta, in mano alla ragazza.

-Nat! - Astrid rimise l'arma contundente al suo posto, cercando di farla stare in piedi, ma dopo la terza volta che ricadde su sé stessa, la lasciò sdraiata. Finse disinvoltura. - Dov'è il Capitano?

-È stato trattenuto.

-Ah. E Fury? Come sta?

Natasha si morse la lingua. Fissò il volto ingenuo di Astrid che non sapeva nulla.

-Non... non ce l'ha fatta. - enunciò con gli occhi lucidi.

-Ah...

-Devi cambiarti. - fece bruscamente Natasha, deviando l'argomento. Entrò nella stanza, chiuse la porta alle sue spalle. - Non puoi andare in giro ricoperta di sangue. Mettiti questi. - Le porse una breve pila di indumenti ben piegati. E un paio di scarpe. - Spero siano della tua taglia.

-Dove li hai presi?

-Non chiedere. Non vorresti saperlo.

Astrid fece come le aveva consigliato, poiché stava cominciando a temere che chiunque avesse indossato per l'ultima volta quei vestiti, non fosse più in grado di rivendicarli. Si cambiò in fretta e si rese conto che il vecchio proprietario non aveva avuto poi dei gusti così spiacevoli. Avrebbe perdonato la taglia extralarge della maglia solo per la vistosa stampa del dragone argentato sul davanti. Le mancava giusto una catena al collo, il pizzetto, un po' di mosse da rapper...

-Sembro un gangster del ghetto. - Commentò la ragazza tra il deluso e il divertito, mentre si specchiava nella vetrina dello scaffale. Peccato fosse ancora riconoscibile.

-Ah, anche questi. - Natasha le aveva lanciato una cuffia di lana e un paio di enormi e tondi occhiali da vista. Astrid li guardò da un'angolazione all'altra inorridita.

-Io questi non li metto.

-Ogni soldato dello SHIELD ha la tua faccia come sfondo del proprio palmare. Se non vuoi che ti catturino prima di rimettere piede fuori da qui, ti tocca mascherarti. Avete già rischiato grosso a venire qui. - Ribattè Natasha grave, mentre spiava le strade dalla finestra.

-Gliel'ho detto anch'io che era un'idea stupida. Ma lui ha insistito a farmi medicare.

-Dovresti ringraziarlo... - La voce di Natasha si seccò, alla fine della frase, in uno sforzo: si era piegata sul corpo dell'uomo svenuto e lo rialzò da terra afferrandolo dalle braccia. - Aiutami con lui.

Astrid lo prese dalle gambe e riuscirono a farlo sedere dietro la scrivania. Il collo molle, sembrava stesse schiacciando un pisolino.

-Gli hai dato una bella botta, eh?

-Si stava prendendo troppe confidenze.

Rimaserò lì ad osservare il dottore svenuto, pendente su sé stesso in equilibrio precario. Dopo qualche secondo buono in cui si trovarono senza saper cosa farne di lui, Natasha si mise una mano nella tasca.

-Ti va una gomma?

L'altra accettò l'offerta, perché nel suo immaginario, con un chewingum in bocca sarebbe entrata meglio nella parte del gangster. Riprese il berretto e se lo schiacciò sul capo, infilò dentro i capelli e si mise gli occhiali che per sua sorpresa erano montati con delle lenti finte.

-Come sto? - Chiese, non troppo speranzosa.

-Sembri un ragazzo.

Astrid fece una smorfia amareggiata.

-Sei carino! - Esclamò Natasha, rimediando simpaticamente alla gaffe facendole un buffetto sul naso.

-Lasciamo perdere... Allora, qual è il piano? - Domandò Astrid, ma Natasha era già guizzata via: aveva messo il naso fuori dall'ambulatorio e si era incamminata nel corridoio. Astrid la rincorse e la vide dirigersi verso il Capitano, il quale si era fermato davanti al distributore automatico e guardava dubbioso il suo riflesso nel vetro. Quando Natasha le apparve alle spalle, la trascinò di peso nel gabbiotto degli infermieri. Astrid pensò che fosse impazzito. Ebbe l'impulso di correre verso di loro, ma si frenò per non dare nell'occhio. Si fece il corridoio passeggiando, anche perchè la gamba non era del tutto guarita. Quando entrò nella stanza, Natasha era con la schiena al muro, il volto crucciato del Capitano tanto vicino al suo, ma entrambi non parevano affatto rilassati. La guardarono colpevoli, quasi stessero parlando di qualcosa di grave e segreto. Steve cacciò le mani dalla russa quasi con rabbia.

-Il piano, Rogers? - lo riprese Natasha.

-Qual è il posto più affollato in cui possiamo usare un computer e una connessione a Internet senza essere localizzati? - domandò l'altro, ragionando rapidamente.

-L'intercettazione è inevitabile, ma possiamo raggirarla. Ci serve una rete pubblica per disperdere facilmente il segnale.

-Il centro commerciale. - trovò Astrid. - È affollato e ci sono i negozi di elettronica e la WI-FI libera.

-Bene, muoviamoci.

***

-La prima regola di quando si scappa è non correre, ma camminare. - Informò la spia russa sottovoce. Camminavano tutti e tre in riga. Nonostante gli abiti anonimi nessuno dei tre si sentiva completamente mimetizzato all'ambiente.

-Com'è ironico... - borbottò Astrid che stava cercando di non ondeggiare troppo l'andatura da zoppa.

-Se corressi con queste scarpe me le perderei. - commentò Steve.

-Se corressi, con questa gamba me la perderei assieme all'apparato digerente. - rettificò Astrid pungente, alle sue spalle. Steve le lanciò un'occhiata seria. - Che c'è?

-Resta seduta qui. - le ordinò lui, davanti all'entrata dello store di elettronica: c'era un divanetto rosso che percorreva il plexiglass della vetrina.

-Ancora non hai imparato, eh, Cap? - lo schernì lei, che nel sedersi provò un piacevole sollievo in tutto il corpo.

-Abbassa la voce. E controlla se arriva qualcuno di losco.

-Sissignore.

Natasha si mise a smanettare davanti ad un pc portatile sul banco di prova, Steve a fianco che continuava a lanciare occhiate alla ragazza seduta dietro a un gruppetto di bambini chiassosi, tutti ammassati davanti al modello di un telefono di ultima generazione in esposizione.

-Sei tu che le hai dato quei vestiti? - sussurrò Steve a Natasha.

-Sì... Perché?

-Potevi trovarle qualcosa di meglio.

-La preferivi in mutande?

-Era in reggiseno, non in mutande. - la corresse puntigliosamente lui, evitando di rispondere.

-È uguale. Tanto tu ti imbarazzeresti anche con una caviglia.

-Non ha pudore.

-Sì, be', è un valore che si è piuttosto assottigliato nell'ultimo periodo.

-Si è denudata davanti a due uomini come se niente fosse!

-Un sacco di ragazze al giorno d'oggi si denudano davanti agli uomini senza vergognarsi. Alcune si fanno persino filmare...

-È increscioso.

-Rilassati. Stai facendo troppo rumore per nulla. Lei non si è nemmeno accorta di aver creato tutto questo scompiglio di emozioni dentro di te.

-Scompiglio di emozioni?

-Sì, sì... Continua a fare finta di niente. Io non me la bevo, Rogers. Le ho notate certe occhiate, certi comportamenti... All'inizio pensavo che fosse solo la premura del Capitano verso il membro più fragile, invece ti sei preso una bella cotta!

Steve alzò gli occhi verso la figura della ragazza che se ne stava con gli occhi aggrappati a chissà quale pensiero. Quando lei si accorse di essere fissata, non sviò lo sguardo, ma anzi, lo mantenne caparbiamente. E anche quelle poche ombre che passavano tra di loro non riuscirono a tagliare il filo che li unì per un istante breve, ma permanente come una fotografia. Solo un pensiero riuscì ad infiltrarsi in quel fulmineo legame. Fu spazzato via da un palpito oscuro e Astrid venne portata via dai soldati, in un momento di guarda abbassata, era di nuovo immobile su quel divano, fredda come il ghiaccio, aveva gli occhi blu della prigionia di un artefatto alieno. Steve esortò Natasha a sbrigarsi. Proprio in quel momento si accostò un capellone biondo dalla faccia rubiconda.

Astrid spiava la coppia da lontano, alternando l'attenzione alla massa di gente che affluiva nell'androne ampio, tappezzato di lucine natalizie, pupazzi colorati e sorridenti, campanelli e canzoncine allegre. Si voltò quando Natasha finse una risata e la vide mettere in atto una scenetta di copertura, mentre il Capitano forzava un sorriso, spingendo gli occhiali fasulli sulla gobba del naso. Si ricordò di averne un paio anche lei e che dovesse sembrare un'idiota conciata in quella maniera. Si ricordò della sua tuta, dei suoi pugnali, dei suoi poteri. Le venne un'irrefrenabile bisogno di fondere o bruciare qualcosa. Si guardò attorno, assicurandosi che nessuno potesse incuriosirsi, si aggrappò alla gamba del tavolo davanti a sé e la strinse con tutta la forza che aveva, concentrandosi sul pensiero più caldo e rabbioso che le veniva in mente. Ma prima di poter contemplare la forma delle sue dita sul metallo, Steve la fece alzare con un "andiamo" irrevocabile dei suoi.

-Ora che facciamo? - Domandò mentre annaspava, cercando di stare al passo nervoso degli altri due.

-Prendiamo in prestito una macchina.

-Per andare dove?

-Lo vedrai. - Rispose Steve, ovviando al rischio che qualche microfono registrasse le loro voci.

-Dovremo dividerci. - Constatò Natasha. - Siamo facilmente individuabili tutti e tre insieme. Qualcuno potrebbe averci già puntato.

-Non so se ci hanno puntato, ma di certo ci stanno cercando. Ne abbiamo due dietro, due ai lati, due diretti verso di noi.

Astrid inquadrò i due agenti in borghese, le pupille che scattavano leste da una parte all'altra studiando la zona, a caccia di volti. Girò il capo verso i banchi luminosi di una gioielleria, proprio mentre Steve portava un braccio al collo di Natasha e gli scagnozzi dello SHIELD corrotto passavano loro accanto senza calcolarli. Il Capitano si voltò discretamente per controllare che il trucco avesse funzionato. Dopodichè si diressero verso le scale mobili. Natasha mise piede per prima e scese di un gradino davanti a loro. Steve prese Astrid per mano per non perderla, perchè la fila dietro si addensava e lei sembrava piuttosto distratta, agitata.

-Tutto a posto?

Astrid annuii, ma non incrociò i suoi occhi.

-Le ferite?

-Sento un po' tirare.

-Ti fa male ancora?

-Poco.

In quel momento, la mano del Capitano si strinse. Era un segnale d'attenzione: un agente stava salendo le scale dalla parte opposta. Natasha gli voltò immediatamente le spalle. Guardò i compagni serissima.

-Svelti. Baciatevi.

-Cosa?! - Esclamarono Astrid e Steve all'unisono.

-Manifestazioni d'affetto in pubblico. Mettono la gente in imbarazzo.

La mano del Capitano si era fatta sudata, la morsa troppo serrata, ma Astrid la teneva ancora, seppur senza troppa convinzione. Si guardarono negli occhi lungamente, indecisi e terrorizzati da ciò che sarebbe potuto accadere negli attimi a venire.

-Al diavolo!

Natasha tagliò i tempi. Se avesse atteso che uno dei due facesse il primo passo, rischiava di morire di vecchiaia e false speranze. Allungò gli artigli e tirò la stampa del dragone verso di sé. Astrid dovette tenersi allo scorrimano per non capitombolare. Si ritrovò le labbra tenere e carnose della Russa tra le sue, una mano sulla nuca a premere dolcemente, invogliandola ad assaporare l'oleoso burrocacao alla ciliegia, misto allo zucchero della cicca intrappolato nelle rugosità della lingua.
Quando Natasha ruppe l'unione, i lunghi occhi verdi si allontanarono, brillando di un sottile sorriso burbesco. Il Capitano, sconvolto dalla saffica effusione scoppiata sotto il suo naso puritano senza preavviso, si era impietrito a bocca aperta. Anche ad Astrid ci volle qualche secondo per recuperare.

-Allora, Capitano... Sei imbarazzato?

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Trovare la propria strada ***


Neve e Cenere | MARVEL

56 . Trovare la propria strada


Una macchia fine volò dal finestrino, rotolando per qualche metro finchè non andò a schiacciarsi sotto le ruote di un camioncino che li seguiva. Steve seguì il percorso dallo specchietto retrovisore. Lanciò ad Astrid uno sguardo di rimprovero che solo la plastica rumorosa del pacchetto di patatine, che lei custodiva contro il ventre come un grosso uovo, potè coprire in quanto rumorosità. Gli aveva domandato ripetutamente se l’avesse pagato, davanti al bar della fermata di benzina, perché non era sicuro che avrebbe adottato la sua stessa politica: atteggiarsi da persone comuni e oneste anche con una taglia sulla testa, un po’ per scampare ai sospetti, un po' perché era giusto così. Lei, come di consueto ad una delle sue domande inutili, gli aveva risposto alzando gli occhi al cielo. Non era riuscito a non lasciarla andare, mentre lui faceva il pieno: la scusa del bagno era stata incontestabile. Era convinto che l’avesse fregato sotto gli occhi, ma nella mente sembrava non passasse neanche un dubbio o un ripensamento, nemmeno quando aveva abbassato il finestrino per affidare un paio occhiali alla Natura.

-Ti sembra normale?

-Che cosa?

-Lanciare cose dal finestrino.

Astrid fece spallucce. Imboccò una mano di patatine e continuò a masticare. Steve proprio non capiva come lei potesse prendere la cosa così alla leggera.

-La gente lo fa di continuo. Pacchetti di sigarette, fazzoletti, pezzi di carta, plastica…

-Bè, la gente sbaglia. Non è che se lo fanno tutti devi farlo anche tu.

Astrid poggiò la testa al finestrino proprio mentre la scritta bianca sulla sfondo azzurro del cartello “Welcome in New Jersey” piantato nel prato al bordo della strada, scivolò confusa alle loro spalle. Natasha si era separata da loro appena usciti dal centro commerciale. "Stanno cercando tre persone. Se ci separiamo sarà più difficile rintracciarci" aveva detto. Ed era svanita tra la folla con la sua infallibile tecnica di mimetizzazione. Astrid la maledisse per averla lasciata sola assieme al perfettino moralista, ora improvvisato naturalista.

-Mi sembra familiare quel cartello.

-Ci siamo già venuti. Quando è uscito il gigante dall’oceano e ha distrutto mezza cittadina sulla costa. Eravamo in New Jersey.

-Ah, giusto. Alla fine si ritorna sempre negli stessi posti.

-Spero sia solo una coincidenza.

-Lo spero anch’io. - Concordò lei, scrocchiando una patatina sotto i denti.

-Devi per forza mangiare quella roba?

-Ho fame. Tu hai mangiato? Io non mangio da stamattina, sai?

-Stai facendo briciole ovunque.

Astrid abbassò gli occhi e spolverò i pezzettini sulle gambe e sulla maglia che andarono irrimediabilmente a sovesciarsi sul tappetino. Steve trattenne il respiro.

-Pensavo che me lo dicessi perché il cibo spazzatura fa male, non perché sporco una macchina che hai rubato.

-L’ho presa in prestito.

-La riporterai indietro davvero? Credevo l’avresti abbandonata in un fossato.

-Lasceremo l'indirizzo al proprietario, così potrà ritrovarla.

-Sei proprio un perfettino.

-Si chiama "essere onesti".

-Se fossi così onesto mi avresti denunciato a Fury quando ti sono piombata in casa con la scena del crimine spalmata addosso. – Lo rimbeccò lei, riempendosi di nuovo la bocca.

Steve non rispose. Non poteva darle torto, era stata una debolezza, benché più tardi si fosse rilevata la scelta giusta. Astrid gli sventolò il pacchetto aperto sotto il naso. Il pungente odore salato gli intasò le narici. Trattenne a fatica una smorfia di disgusto.

-Ne vuoi una?

-No. Grazie. Sono a posto.

-Potevo prendere qualcos’altro, ma non mi hai dato tempo.

-Ci eravamo esposti troppo.

-Dovresti mangiare. Anche i supersoldati devono riprendere le forze, lo sai?

-Sono a posto, come ti ho detto.

-Mi sembri un po’ pallidino.

-Come mai ti preoccupi così tanto?

-Non mi sto preoccupando “così tanto”! Ti sto solo chiedendo se hai fame, perché non mi sembri in forma.

-È strano da parte tua.

-Cosa? Preoccuparmi per gli altri è strano da parte mia?! Mi ritengo offesa! – Puntigliò lei, incrociando le braccia, in una scenetta comica. Steve sorrise impercettibilmente.

-No… nel senso che non ti ho mai vista sotto questa luce.

-Perchè, sotto quale luce mi hai sempre vista, Capitano? – Fece lei, al limite dell’ironia, con voce più seria, più provocatoria. - Sotto quella della principessina in pericolo, o sotto quella della stronza di turno che pensa solo a sé stessa?

-Cosa?! No! Nessuna delle due!

-E quale allora?

-Intendevo solo che mi sembra strano che ti preoccupi per me! Non l’hai mai fatto o non l’ho mai notato. Tutto qui.

-Bè, non farti tanti castelli mentali… E poi ho un cuore anch’io, cosa credi?

-Non lo metto in dubbio!

Astrid infilò la mano nel sacchetto e scoprì che stesse per finire.

-Comunque anche tu sei un po’ strano, ultimamente.

-Io?

-Già. Ti sto studiando da un po’.

-Mi stai studiando?

-Mh-mh! Te l’hanno mai detto che sei un interessante oggetto di studio socio-psicologico?

-Per la verità nessuno mi aveva mai chiamato “oggetto di studio socio-psicologico” fin ora. - Steve la guardò e notò che aveva la stessa espressione di chi ne sa molto di più di quanto dia a vedere, di qualcuno che ha buttato lì una frase spiccatamente intelligente e ha timidamente tirato indietro la mano. - Parli come se avessi una laurea. Avevo capito che non eri mai andata a scuola.

-Ho sempre letto tanto. Nella scuola per gli orfani c'era una biblioteca molto ampia. È l’unica cosa che rimpiango da quando me ne sono andata.

-Ti piace la psicologia?

-Un po'. Non lo so. Cioè… Conosco qualcosa per ciò che ho letto in giornate di noia, ma non ci ho mai messo la testa seriamente. Ci sono capitata dentro solo perché la mia coinquilina studiava quelle cose. Mi usava come cavia per ripetere gli argomenti d'esame.

Steve non si addentrò oltre. Si limitò soltanto a indovinare chi fosse la coinquilina in questione. Tutto quel distacco dalla sua figura per poi parlare di particolari, faceva sembrare l'immagine distante e astratta. Quasi come se non fosse così fondamentale da dover approfondire, ma nemmeno così marginale da riuscire a sorvolare l’argomento. Tutto faceva capire che non fosse importante, ma un bagliore in quegli occhi lucidi, in cerca di un ricordo che non sarebbe più tornato in vita, la tradiva pietosamente.

-Era brava. Pur di pagarsi gli studi portava avanti due lavori. Doveva diventare una dottoressa, una psicologa o una ricercatrice un giorno, qualcosa di importante. Avrei potuto farlo anch’io, ma avevo altro per la testa.

-Non è troppo tardi per iniziare.

-Non ho finito nemmeno l’High School. E dalle suore non ci torno.

-Potresti prendere un diploma serale ed iscriverti al college.

-Lo terrò presente. Sarebbe la prima cosa buona che faccio nella vita.

-La prima?

-Non ho la vocazione da salvatrice, Capitano. Dovresti averlo capito da te già un po’ di tempo fa. Non sono tagliata per questo lavoro. E poi è nella mia indole combinare guai. Non posso farci niente. Il Sistema mi sta stretto. - Fece Astrid, un po' scherzosa, mentre si sistemava il bordo dei pantaloni sotto l'ombelico. La cicatrice che si era formata cominciava a non farsi più sentire, ma l’elastico dei jeans urtava fastidiosamente le garze.

-Io non ti vedo così. Sei stata molto brava nelle ultime missioni. A parte l’ultimo incidente…

-A parte quello… - Passò qualche secondo di gelo. - Sai niente di Stark?

-So che presto tornerà a casa. Starà da Pepper per un po’.

-Ah…

Astrid deglutì un grumo di delusione più grosso di quanto pensasse. Non si era mai reputata una persona gelosa. Non sapeva nemmeno perché avrebbe dovuto esserlo. Una notte non le dava il diritto di sentirti gelosa. Eppure percepì una leggera minaccia da parte di quella donna tutta tailleur e buona educazione. La immaginò accogliere il capo di Stark sulle sue cosce magre, tra le sue braccia materne. Le labbra di cui conosceva il sapore, la consistenza e il tocco, trovare consolazione in altre più delicate, curate, dolci, posate e rassicuranti rispetto ad un paio mangiucchiate, disordinate, volgari, secche e amare per l’alcol e altri vizi.

Steve lo aveva notato subito. Aveva notato che la luminosità del volto di Astrid si era spenta all’improvviso come una lampadina rotta, per lasciare spazio ad uno sguardo grigio e freddo. Strinse il volante tra le dita, quasi per volerlo staccare e piegare sotto la rabbia insolente che non poteva che reprimere.

-Tu mi credi, vero? Mi credi ancora? Sul fatto di non averlo congelato di mia volontà. – chiese lei quasi come se gli stesse chiedendo di non tradirla almeno lui, che era l’unica persona che le era rimasta dalla sua parte, oltre a Natasha. Steve ci pensò un istante. Voltò il capo verso il viso di una bambina che si aspettava solo una risposta affermativa.

-Non ho mai smesso di crederti.

Astrid percorse i lineamenti duri e concentrati dell’uomo, per capire se fosse la verità o le stesse dicendo solo quello che voleva sentirsi dire.

-Fury mi credeva. Mi ha coperta per tutto il tempo.

-Non devi sentirti in colpa anche per questo.

-Continuo a pensare che l’abbiano ucciso perchè qualcosa non quadrava anche a lui.

-Il tizio mascherato che lo ha ferito… Hai detto di conoscerlo.

Nella testa di Astrid si mostrarono di nuovo le immagini che aveva visto nel sogno comatoso. Esse si sovrapposero al ricordo di qualche ora prima. Gli occhi di pietra, i capelli scuri davanti al viso, il braccio d’argento, la stella rossa sulla spalla… E due parole…

“Come si dice?
H e i l  H y d r a . . . ”

-È solo un’impressione. – Affermò brusca, rendendosi conto che stava sudando. Non voleva mostrarsi preoccupata, altrimenti il Capitano avrebbe iniziato a farle domande alle quali non era pronta a rispondere.

-Pensi che lui e Loki non sono collegati?

-Veramente non avevo ragionato su questo particolare…

-Ragionaci adesso. Chi è che potrebbe trarre più vantaggio dalla morte di Fury? Se Loki vuole morto qualcuno, o vuole vendicarsi o divertirsi a dar fastidio, lo fa personalmente. Manda i suoi scagnozzi ipnotizzati solo per i piccoli ruoli.

-Qualcosa mi dice che Fury era più vicino allo “SHIELD corrotto” che ad un attacco da parte di Loki, sebbene non sappiamo niente su come agisce, su cosa pensa, su cosa vuole fare…

-E gli agenti che hanno mandato per catturarti? Non è una coincidenza che sia stata mandata una squadra speciale e poi un unico soldato potenziato, visto i risultati della prima.

-Che cosa hai saputo di loro?

-So che non è stato Fury a dare l’ordine.

-Quindi avevo ragione. Volevano spodestarlo perché poteva essere di intralcio. Dici che stanno cercando di fare fuori pure me?

-Farti fuori forse no. Catturarti, metterti in una cella di isolamento, probabile.

-Torturarmi, cancellarmi la memoria, trasformarmi in un’arma vivente…

-Io non volevo essere così tragico…

-È quello che vorrebbero fare tutti quelli che non sono come noi. Possederci, impossessarsi dei nostri poteri per i loro comodi. Soffrono di un ossessivo complesso di inferiorità. Non è solo paura la loro… è desiderio di potere, di distruzione. L’ho visto negli occhi dell’uomo per cui sono entrata a far parte del progetto Avengers, l’ho visto oggi in quelli di colui che mi avrebbe trasformato in una marionetta da guerra se Loki non si fosse messo in mezzo. – e mentre lo diceva, realizzò quante parole del dio avesse riutilizzato senza farlo apposta, quanta verità si racchiudeva in esse e il pensiero le regalò un brivido rischioso.

-E in Loki cos’hai visto? Avete avuto numerosi contatti. Mi piacerebbe sapere come mai viene sempre da te.

-Perché sono la pecora nera. E perché sa che mi voglio allontanare.

-Ti vuoi allontanare?

Astrid prese un respiro profondo.

-C’è una cosa che ho detto a Stark prima che succedesse tutto. È rimasta in sospeso, non l‘ho smentita e mi è rimasta qui.

-Cosa gli hai detto?

-Che siete solo un ripiego. – Confessò lei, gonfiando il petto come per prepararsi ad un contrattacco. Eppure Steve non parlò, quasi per accettarlo, comprensivo. – Non era esattamente quello che volevo dire.

-No, immagino. Avete litigato?

-Qualcosa del genere. Ormai siete la mia famiglia, è ovvio… Ma non tutti i membri della famiglia sono destinati a rimanere tutti insieme, nello stesso luogo, giusto?

-Giusto.

-Devo trovare la mia strada. Non so cosa farò dopo tutto questo. Insomma… scopriamo chi è il tizio mascherato, cosa succede all’interno dello SHIELD e che cosa sta combinando Loki. Li troviamo, li fermiamo, noi siamo liberi e tutti sono felici e contenti. Poi che facciamo?
 
-Tu cosa vuoi fare?

-Non lo so. Forse sparire… Tu? Continuerai a stare negli Avengers?

-È il mio lavoro.

Astrid lo fissò come se da quegli zigomi potessero fuoriuscirgli tutti i pensieri che stava censurando.

-È il tuo lavoro? Tutto qua? Sei riuscito ad inventarti solo questo?

-Volevi che ti dicessi che nemmeno io mi sento al mio posto?

-Sì. Così ti avrei contraddetto, dicendo che sei nato per questo lavoro, per combattere i criminali, rischiare la vita per il pianeta, eseguire la legge, fare ramanzine, gli autografi, i video educativi per i bambini…

-Tant’è che ho tradito lo SHIELD e mi sto per infiltrare in un luogo con interdizione militare, su una macchina rubata, assieme ad una criminale perseguitata dal governo.

-Okay, forse sei un tantino nei guai anche tu, ma tu sei Steve Rogers, Capitan America. Sei la giustizia fatta persona. Se tu sei fuori dagli schemi, allora sono gli schemi ad essere sbagliati!

Sul volto di Steve si aprì un sorriso silenzioso, pieno d’orgoglio.

-Perchè quella faccia?

-Niente. Solo... Non mi aspettavo che pensassi questa cosa di me.

-Stai scoprendo tante cose di me tutte insieme… e ti piacciono tutte… Attento, potresti innamorarti! – Scherzò lei.

Steve fu preso da un attacco di tosse improvviso mentre ridacchiava.

-Potevo prendere dell’acqua… - borbottò Astrid battendogli un palmo sulla schiena. - O del bourbon… che sarebbe stato di gran lunga meglio. - aggiunse a bassa voce.

-Grazie. È passato. – fece lui battendosi un pugno sul petto.

Svoltarono in una vietta sterrata e del tutto anonima. Ben presto scoprirono che fosse per la maggior parte in salita. L’assenza di cartelli fece capire a Steve che erano sulla strada giusta.

-Siamo quasi arrivati.

-Come fai a saperlo?

-Le basi militari sono installate solitamente lontano dai centri abitati e la via per arrivarci è lunga, tortuosa e senza indicazioni, così da scoraggiare i curiosi. Se è come credo, fra poco conoscerai la base in cui mi hanno addestrato.

E infatti, molti metri più tardi, Steve frenò di fronte ad un cartello che sembrava parecchio usurato dal tempo, ma ostinatamente minaccioso:

“LIMITE INVALICABILE
ZONA MILITARE
VIGILANZA ARMATA”

Astrid guardò Steve con un paio di occhi atterriti.

-Tranquilla, non ci spareranno. – assicurò Steve, facendo ripartire la macchina. - A meno che non farai briciole sul tappeto d’ingresso.

-Mi fai venire voglia di rovesciarti il sacchetto in testa. Ti chiamerò "Capitan Patatine".

Steve scosse la testa, ma non riuscì ad evitare di sorridere all’immagine buffa. Come le venivano certe idee? E come se non bastasse, percepiva lo sguardo attento di Astrid pesare sulla sua figura, come se lo stesse studiando, ancora.

-E adesso cosa c'è?

-Hai un bel sorriso, Capitano. Dovresti indossarlo più spesso. E levarti quell’aria arrogante da so-tutto-mì incazzato.

Steve non poteva tenere la testa voltata a lungo perché doveva assicurarsi che non capottassero nel fossato, ma si sarebbe volentieri lasciato scivolare nel tepore di quelle iridi ambrate, illuminatesi all’improvviso, invase da quel sorriso pieno che stava lì solo per lui, stampato su un viso che mai più avrebbe voluto rivedere imbrattato di sangue o solcato dalle lacrime. Pensò che nonostante tutto ciò che avrebbero trovato dentro quella base, nonostante tutto ciò che avrebbero scoperto, nonostante tutto ciò che era successo e che sarebbe accaduto di conseguenza, avrebbe fatto di tutto perché anche lei indossasse più spesso quella luce che lo riempiva di speranza, che gli donava un posto in quel tempo che non era suo, che dava un senso all’aver lasciato la sua vita, il suo mondo e il futuro che aveva immaginato congelati in un blocco di ghiaccio, senza poter dire loro addio. Ora tutto aveva un significato.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Fantasmi ***


AttenzioneMi sono accorta da poco di aver dimenticato di pubblicare alcuni capitoli tra il 22, "In trappola" e il 26, "Tu sei fuoco e sangue" e che quindi ho dovuto aggiungerli in seguito. Vi consiglio di tornare indietro a leggerli. Spero che possiate perdonare la mia disattenzione. Scusate. 


 
 

Neve e Cenere | MARVEL

57 . Fantasmi


La suola delle scarpe si infossava nell'erba ghiacciata. L'aria gelata era immobile e odorava di metallo, terra umida e pioggia. Il cortile era vuoto e silenzioso. La catena dei cancelli si era sfaldata come plastica sotto il taglio dello scudo di Vibranio.
Il Capitano, ora, camminava qualche metro più avanti. Si guardava attorno, ispezionando ogni forma degli edifici per annotare ogni cambiamento, con gli occhi di un ragazzino che torna a casa dopo tanto tempo. Astrid non aveva osato chiedere come si sentisse a ritornare fisicamente in un luogo che aveva lasciato ad arrugginire per una cinquantina d'anni. E lui non aveva accennato ad una condivisione. Lo spiò con la coda dell'occhio inchiodarsi davanti al fantasma impolverato di un'epoca spinta dal sentimento nazionale, dal profondo senso del dovere, dall'adrenalina provocata dall'intima speranza di un riscatto personale. Allora il suo animo andava in una direzione completamente diversa da quella di adesso. Allora lottava per un ideale che vedeva vivere e pulsare negli occhi dei suoi compagni. Adesso si guardava attorno e non vedeva altro che macerie e luoghi dimenticati, vessilli abbandonati. Per un momento rimasero entrambi fermi ad osservare un vuoto combaciante con la bolla di nulla che premeva sotto le costole per farsi più grande e inglobale sempre più materia viva. Quel posto era la metafora della sua vita, era la metafora di sé stesso.

Gli occhi di Steve sgusciarono dal terreno ad Astrid, la quale se ne stava con le mani in tasca a guardarsi i piedi, i ciuffi di capelli che spuntavano disperati da sotto la berretta di lana. Se li era tagliati così malamente da farli risultare perennemente spettinati, sebbene rimanessero in armonia con tutto quel suo fare trasandato. Così trasandato da infondere una nota di tenerezza. Non si preoccupava della sua bellezza, sembrava piuttosto che volesse nasconderla. Non un filo di colore sulle guance o sulle labbra tutt'altro che perfette, non un tratto di matita attorno alle ciglia, nulla a camuffare i solchi scuri per la mancanza di riposo. Era lì che disegnava nastri nella terra con la punta della scarpa, a scalciare sassi, a sospirare chissà per quale esasperante rimugino. Era esausta, ma non cedeva. Era bella, ma di una bellezza che bisbiglia, che un attimo prima nasconde lo sguardo tra i capelli e un attimo dopo si lascia guardare, inconsapevole di provocare un particolare effetto sulla mente di un uomo. Per lei, il suo corpo era solo uno strumento, come poteva essere un coltello, una pistola o uno scudo. Non era come Natasha. Non c'era niente di intenzionalmente sensuale nei suoi movimenti, niente di appariscente. Eppure era lì che dava noia all'erba con la punta delle scarpe, si grattava il naso con quelle sue unghie maciullate, alzava lo sguardo fugace in un biondo lampo di sole rifratto dalle iridi e Steve non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.

Stava scoprendo a poco a poco che cosa avesse sbagliato al principio, con lei e perché invece Stark aveva fatto centro subito. Al contrario di lui, che aveva immediatamente creato un muro per respingere tutto ciò che di lei non gli aggradava, Stark aveva raggirato le difese di lei, aveva adulato la sua forza, aveva sostenuto le sue convinzioni, aveva alimentato la sua sicurezza facendo perno sul suo ego. Era una tattica diabolica che la mentalità lineare del Capitano non avrebbe mai potuto prendere in considerazione.
Astrid e Stark adoravano giocare sporco. Era ovvio che lui sarebbe stato escluso fin da subito. Ed era per questo che era tutto sbagliato. Vedendo il mondo in bianco e nero, Steve aveva sempre detestato il tipo di persona che loro due rappresentavano. Stark aveva faticato per scendere dal groppo di disprezzo fermatoglisi in gola a primo acchito. Era stato un lavoraccio filtrare tutto ciò che si poteva salvare da un uomo eccentrico e vanesio come lui, corrotto dal denaro e dall'immagine di sé. Nonostante tutto, aveva trovato un cuore nobile, in fondo, molto in fondo. Aveva trovato un uomo sofferente, capace di amare e di sacrificarsi per gli altri. Che cosa avesse trovato in Astrid esattamente, non ne era sicuro. Ebbene, sentiva il bisogno di scoprirlo. Sapeva che c'era del buono in lei. Era solo persa, in cerca di stabilità, di una casa. Un po' come lui. Sapeva che alla fine fosse tutta una finzione anche la sua. Un po' come quella che cercava di crearsi lui attorno al suo vuoto interiore, per dare una giustificazione al proprio operare, perchè ogni tanto si votava convinto di essere seguito, trobando nessuno a ricalcare i suoi passi.

Non c'era più tempo per un'analisi introspettiva. Scavò nella tasca ed estrasse il dispositivo di tecnologia militare che gli aveva affidato Natasha prima di scappare per recuperare lo scettro e trovargli un posto più sicuro del materasso del divano. Lo agitò in aria perché gli facesse luce su dove iniziare a cercare.
Era un punto morto. Da qualsiasi angolazione lo indirizzasse, tutti i parametri rimanevano fermi sullo zero. Pensò che fosse rotto, eppure la presenza di Astrid veniva identificata sul display con un'ombra calda in contrasto col blu dello sfondo freddo.
Decise di lasciare i limiti delle tecnologie moderne dove stavano. Decise di ricorrere al fiuto, che non lo aveva mai deluso. Si guardò attorno e notò che qualcosa non quadrava. C'era un capanno schiacciato al centro del campo che non ricordava. Si incamminò a passo svelto per assicurarsi che fosse stato costruito più recentemente ed effettivamente le mura sembravano meno erose, le tubature leggermente meno imbrunite di tutte le altre nel campo. Vide l'ombra di Astrid seguirlo muta, in attesa di novità.

-Il regolamento dell'esercito proibisce lo stoccaggio di munizioni entro 150 metri dal campo. - Esordì Steve, parlando come se avesse letto un pannello informativo. Dalla faccia poco convinta della ragazza, comprese che stesse parlando con un linguaggio con cui non era in confidenza. - Questo edificio è nel posto sbagliato. - Spiegò poi, in parole povere. Prese la mira con lo scudo per scassinare la porta, ma Astrid lo fermò prima che potesse colpire.

-Faccio io.

Steve studiò la mano che si era interposta tra lui e il metallo. Assentì con un cenno della testa. Capì che una delle cose a cui Astrid stesse rimuginando era la necessità di mettersi alla prova, il bisogno di sapere se fosse tutto a posto dentro di lei. Non poteva negarglielo. Si fece da parte.

Astrid strinse l'asta della serratura più forte che poteva. Sul suo volto si incise una smorfia di sforzo. Chiuse gli occhi e nella sua testa si concretizzò l'immagine della gamba del tavolino del negozio di elettronica e le sue dita che affondavano nel materiale plastico. Ricordò le sbarre nel castello di Sokovia che si ammorbidivano roventi e si lasciavano modellare, ma poi all'improvviso, la memoria le fece un brutto scherzo, poiché le parve di udire un sibilo. E mentre cercava di concentrare le forze nella mano, udì la voce di Stark in un auricolare inesistente, le sue labbra si precipitarono calde lungo il suo orecchio... Scosse il collo per cacciarlo con gentilezza.

-Mi stai distraendo.

-Chi, io?

La voce cupa del Capitano le fece male, come un pugno nel petto. Allentò la presa e notò che sotto il suo palmo, il metallo si era deformato solo un poco, seguendo le guglie che aveva provocato la pressione delle sue dita. Scosse la testa.

-Mi distrai, se mi guardi così. - Recuperò lei, con una scusa finta e la voce infastidita dalla probabilità di un fallimento e dalla presenza asfissiante del Capitano che le stava addosso con ansia impaziente. Gli diede le spalle e ricominciò a stritolare il metallo come per strozzare la gola di qualcuno. E quando le apparvero un paio di occhi rossi e gonfi che la supplicavano straziati di fermarsi e le sue mani invece di riscaldarsi cominciarono a saldare la chiusura con uno strato di ghiaccio luccicante, cominciò ad imprecare, infischiandosene del giudizio del suo spettatore. Quando si rese conto della propria debolezza, cominciò a dare spallate e calci alla porta e a dare la colpa al destino.

-Spostati. - Fece il Capitano brusco. La spinse poco di lato e lei non ebbe il tempo di reagire che lo scudo andò a spezzare nettamente l'asta in due pezzi, i quali rimasero appesi ciondolando dalle estremità. Steve le lanciò una breve occhiata, mentre lei si teneva le mani nelle mani, arrabbiata con sé stessa, confusa e frustrata. Avevano perso tempo inutilmente.

Un alito freddo fuggì, schiantandosi contro le loro facce appena si aprì la porta. Si addentrarono nel locale buio seguendo delle scalette in discesa, guidati dalla luce esterna. Ora c'era un odore più pungente di umido e di aria stantia. Il Capitano cercò a tentoni un interruttore. Con uno schiocco metallico, luci al neon illuminarono una larga sala riempita da file di scrivanie vuote. Dal soffitto pendevano cavi aperti, su ogni piano orizzontale riposava una spessa coltre di polvere. Ma ciò che più catturava l'attenzione era lo stemma di un'aquila impressa sulla parete di fronte a loro.

-È lo SHIELD. - Affermò Astrid, pendendo ad un tono di domanda.

-Forse dove tutto è iniziato... - Aggiunse il Capitano, mentre scrutavano il luogo con passo cauto, attenti a dove mettevano i piedi, come se fossero appena entrati in un negozio di porcellane.

Astrid seguì il Capitano attraverso una porta gracchiante che si spalancò ad un'altra stanza, più piccola, nella quale si allungavano immensi scaffali vuoti. I suoi occhi voraci si fermarono a studiare una fotografia appesa al muro che la turbò ulteriormente.

-Assomiglia a Stark. - Osservò Steve al suo fianco, pungendola nel suo silenzio. Astrid non parlò. All'improvviso si sentì come in colpa che le fossero venuti quei pensieri in sua presenza. - È suo padre. Howard. Era... - continuò Steve, come per aggirare il discorso, come se non avesse capito perché si fosse pietrificata davanti a quel volto tanto familiare.

-Quella accanto chi è? - chiese l'altra, intuendo che potesse conoscere anche lei.

Steve rimane a fissare il viso della donna dall'uniforme stretta, la pettinatura retrò, il rossetto scuro e lo sguardo deciso, con aria severa, le sopracciglia in tensione. Non disse una parola, quasi per riprenderla per averglielo chiesto.

Astrid lasciò che la tensione cadesse nel silenzio. Non aveva la forza mentale di indurre una battaglia contro la staticità emotiva del Capitano. La sua attenzione ricadde su un ritaglio tra gli scaffali occupati solo da ragnatele.
Sentiva un fischio, uno spiffero d'aria, una leggera differenza di calore, come nella parete nella base dell'HYDRA a Sokovia, quando lei e Stark si erano infiltrati attraverso la finestra. Strizzò gli occhi con forza, fino quasi a farsi male. Doveva smetterla di pensare a qualsiasi cosa che potesse ricollegarsi a Stark. Forse avrebbe dovuto smettere di pensare direttamente. Aveva già fatto una figura pessima davanti al Capitano, non poteva svilirsi in quel modo.
Allungò la mano e capì di avere ragione sullo spiffero e anche sulla densità irregolare del muro aldilà dello scaffale. Il Capitano la raggiunse. Si guardarono e si capirono al volo. Le dita di Steve si infilarono nella fessura di legno, spinsero finchè lo scaffale non si tramutò in un ingresso segreto.

-Se stai già lavorando in un ufficio segreto... Perchè devi nascondere l'ascensore?

-Forse per nascondere informazioni ancora più segrete. - Propose Astrid. Puntò il dito verso un tastierino elettronico. - Guarda. Ci vuole un codice.

Steve estrasse di nuovo il marchingegno di ultimissima generazione di Natasha, con uno sbuffo dalle narici. Non sembrava contento di doverlo usare di nuovo. Avrebbe preferito di gran lunga la forza bruta che abbassarsi al nuovo millennio. Si sforzò di ammettere che fu di aiuto, dopo che Astrid dovette aiutarlo - o meglio, trattenerlo dal farlo esplodere a forza di raffiche di digitazioni assolutamente a caso - a ritracciare la sequenza temporale delle impronte digitali lasciate sui pulsanti del tastierino, attraverso una precisa funzionalità del dispositivo.

Nell'ascensore, rimasero rigidi, al centro della piazzola, senza allontanarsi né avvicinarsi, giocando ad evitare di incrociare la direzione dei corrispettivi sguardi. Entrambi tirarono un respiro di sollievo, quando l'ascensore si fermò al secondo livello interrato disponibile.

Li accolse un muro di buio intenso, bucato da rare spie luminose che schiarivano le forme di quelli che sembravano dei monitor di computer su una grande scrivania. Come entrarono, dopo pochi metri, si attivò il rumore di una ventola, le lampade iniziarono ad accendersi una fila dietro l'altra, seguendo i loro passi, da dietro le loro spalle fino a sopra quella che effettivamente era una scrivania: sosteneva un imponente monitor al centro e altri più piccoli ai lati, assieme ad un pannello tappezzato di bottoni e di spie esteso su tutto il piano obliquo davanti alla tastiera e ad una sedia d'ufficio ingrigita dalla polvere. Tutt'attorno a loro erano sistematicamente ordinate scatole grigie e rettangolari che assomigliavano ad enormi musicassette per via di quelle che sembravano bobine di nastro.

Astrid e il Capitano si guardavano attorno, uno più disorientato dell'altro. C'era un motivo per cui quel computer di tecnologia passata era stranamente isolato sottoterra e per raggiungerlo era servito un ascensore nascosto dietro uno scaffale.

-Che cos'è tutto questo? - sbottò Astrid.

-Me lo sto chiedendo pure io.

Astrid allungò il naso dietro la sedia per cercare qualcosa di più interessante ed effettivamente sul piano della scrivania, c'era un adattatore di prese USB, collegato ad un cavo grigio, pronto per l'uso.

-Cap...

Steve si cacciò una mano in tasca e le passò la chiavetta su cui era inciso il simbolo dello SHIELD. Astrid lo inserì in una delle fessure e all'improvviso, lungo il soffitto, si irradiarono i neon che erano rimasti dormienti, mostrando uno scenario ancora più vasto, una più estesa collezione di scatole le cui bobine iniziarono a muoversi a scatti in uno squittio continuo.

Sullo schermo principale apparve una scritta in verde, accompagnata da una voce elettronica che la leggeva:

"AVVIAMENTO SISTEMA?"

Astrid lanciò un'occhiata a Steve e dalla bocca spalancata e gli occhi scattanti e totalmente sconcertati apprese che doveva prendere lei le redini della situazione. Si avvicinò alla tastiera, senza avere un'idea precisa di ciò che avrebbe dovuto fare. D'istinto digitò la parola "YES".

-Una volta ho letto da qualche parte che dei vecchi modelli di computer si avviavano in questo modo. - Sentì la necessità di dirlo. Tutta orgogliosa, sorrise, quando si udì un'unica ventola azionarsi con più vigore, segno che era la risposta giusta.

-Fortuna che l'hai letto. - Commentò Steve freddo.

Sullo schermo si illuminò un'immagine indistinta. Un altoparlante emanò una voce diversa da quella di prima, più acuta e particolare, più umana. Entrambi si accorsero in quel momento della telecamera che si muoveva sulle loro teste. Prima verso quella del Capitano, poi verso quella di Astrid.

-Rogers, Steven. Nato nel 1918.
Sullivan, Astrid. Data di nascita non pervenuta.

Astrid emise uno sbuffo divertito.

-Iniziamo bene!

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Rivelazione ***


Neve e Cenere | MARVEL

28 . Rivelazione


-Ecco la prova che lo SHIELD mi tiene nascosto qualcosa. - Spiegò Astrid. - Questa registrazione è stata manomessa.

-Io non sono una registrazione, Fräulein! - Ribatté il computer con impertinenza. L'accento straniero era dominante. - Non sarò più l'uomo che il Capitano fece prigioniero nel 1945, ma io... esisto.

Su uno dei monitor più piccoli, si illuminò la faccia di un ometto imbronciato, la fronte sproporzionata rispetto al resto del volto, un paio di occhietti maligni. Astrid fece una smorfia confusa e disgustata allo stesso tempo. La rivolse il Capitano. Si grattò la testa. Non sapeva come porre la domanda, perché le faceva strano parlare di una macchina come se fosse una persona, ma la pose lo stesso, come l'era venuta.

-Voi due vi conoscete?

Il Capitano scese dalla piattaforma ai loro piedi e cominciò a passeggiare cercando di non inciampare tra i cavi in vista, osservando l'esercito di aggeggi che rumoreggiava tutt'attorno a loro. Fece un giro completo.

-Armin Zola. Uno scienziato tedesco che lavorava per un'organizzazione terroristica a braccetto coi Nazisti della Seconda Guerra Mondiale. È morto da anni.

-Primo errore. - Lo interruppe lo scienziato in scatola. - Io sono svizzero. Secondo: guardatevi intorno. Non sono mai stato tanto vivo! - Enunciò con enfasi fiera. La sua voce echeggiò per tutta la sala. Sembrava quasi che avesse una coscienza propria. - Nel 1972 mi diagnosticarono una malattia terminale. La scienza non poteva salvare il mio corpo. La mia mente, tuttavia, meritava di essere salvata in una banca dati su sessanta chilometri di nastro. Voi vi trovate nel mio cervello.

-Come sei arrivato qui? - Chiese il Capitano, indeciso se parlargli come si parla ad un uomo, ad un criminale o ad una macchina.

-Mai sentito parlare dell' "Operazione Paperclip"? Sono stato invitato. Alla fine della guerra, lo SHIELD reclutò scienziati tedeschi con capacità strategiche. Pensavano che potessi aiutare la loro causa. E ho aiutato anche la mia.

-L'Hydra è morta. Abbiamo distrutto l'ultima base a Sokovia. - Insistette il Capitano. La sua voce suonò non convinta. Troppi indizi dispersi nel tempo si riconducevano tutti ad un terribile presentimento. Anche il fatto che stesse parlando con un nemico che aveva creduto di aver sotterrato, non gli quadrava. Sfidò le sue certezze con quella frase, sfidò la sicurezza del dottore per capire dove potesse cedere, sperando che fosse tutto un bluff.

-Ho l'impressione che questi non muoiano mai. - Commentò Astrid amaramente. Scosse la testa, le nocche premute contro la scrivania. Nella sua testa provava ancora a far combaciare i tasselli smussati che si rincorrevano come una folata di vento fa volteggiare le foglie assieme alla polvere. Hydra... Hydra... Hydra... Continuava a saltare fuori come un fungo. Avevano distrutto la base di Sokovia, ma ancora tornava a battere pugno, come un cancro recidivo. Steve sapeva che dentro di lei si animava un conflitto confuso. Ricordava ancora - e le avrebbe ricordate per sempre - le ultime parole che lei aveva pronunciato stringendogli la mano, prima di svenire in un coma di poche infinite ore. Sapeva che c'entrasse qualcosa con tutto ciò che stavano per scoprire. Era curioso anche lui, ma temeva l'effetto che la rivelazione avrebbe avuto su di lei: Astrid non era capace far fronte allo sconvolgimento emotivo con equilibrio e saggezza.

-Tagli una testa... - iniziò Zola...

-Altre due spuntano fuori. - Recitò Astrid, finendo la frase con un fil di voce. Mentre Steve corrugò la fronte, lei trattenne la sua preoccupazione per sè. Non sapeva come le fosse uscito dalla bocca e la cosa stava iniziando ad acquisire una sfumatura inquietante.

-Dimostralo. - ordinò Steve. E ciò che ne seguì fu il suono dei circuiti e l'annuncio della voce di Zola: "Accesso archivio". Johann Schmidt, era ora in primo piano sullo schermo. L'esercito nazista alle sue spalle, la svastica che sventolava possente in un angolo dell'immagine.

-L'Hydra fu fondata sulla convinzione che un'umanità libera non fosse degna di fiducia. Quello di cui non ci eravamo resi conto era che portare via la libertà, genera resistenza. La guerra ci ha istruito molto. L'umanità doveva rinunciare alla propria libertà, volontariamente. Dopo la guerra, fu fondato lo SHIELD e io fui reclutato. La Nuova Hydra cresceva... Un bellissimo parassita.

Si susseguivano le figure di una squadriglia che faceva il saluto nazista e quello dell'Hydra, con i due pugni alzati, soldati armati che scendevano da una scialuppa, il manifesto dell'Hydra impersonificato da Teschio Rosso, bombardamenti, Capitan America in combattimento, subito dopo roghi in fiamme e la foto di Hitler che bruciava tra di esse. E poi ancora il Capitano seguito dai soldati, gli alleati che scortavano gli arresi con le mani in alto, i fucili spianati alle loro schiene. "Scienziati tedeschi reclutati dagli USA" era la notizia riportata sui giornali. Ed eccolo lì, minuto e fastidioso quanto una cimice, il dottor Zola tra le altre menti della scienza, ritratte in una foto in bianco e nero. Ma la cosa più sconcertante, era la faccia di Hoffmann in seconda fila.

-Per 70 anni l'Hydra ha segretamente fomentato crisi, scatenato guerre... e quando la storia non collaborava la storia veniva cambiata. - continuò ad illustrare il dottore.

E a quel punto apparvero stralci di video che riprendevano guerre, ribellioni, masse piegate da ideologie violente, i numeri dei tabelloni della borsa in calo vertiginoso... Quindi L'Hydra non era solo rinata dietro l'inconsapevolezza più dilagante, non dava solo il nome ad un'organizzazione terroristica parassitaria. L'Hydra aveva in mano l'ingranaggio del Sistema Mondiale, era alla base dei conflitti sociali, dei deficit monetari nazionali, aveva sotto controllo le decisioni governative. Ora il messaggio di Fury era chiaro. Era questo il significato del messaggio "SHIELD CORROTTO". Era grazie allo SHIELD che l'Hydra era riuscita a risollevarsi più potente di prima. Essa aveva architettato l'inganno più glorioso di tutti i tempi. Ma il Capitano non voleva ancora crederci. Se fosse stato vero, i suoi sforzi e il suo sacrificio erano stati totalmente vani.

-È impossibile. Lo SHIELD vi avrebbe fermati. - Protestò.

-Ci sarebbero stati... incidenti.

Ed ecco che rividero il volto di Howard Stark, appiccicato sulla prima pagina di un quotidiano che enunciava: "Howard e Maria Stark muoiono in un incidente stradale". Subito dopo quello di Nick Fury timbrato con la dichiarazione "Deceduto". E poi... una stella scura su una spalla argentata. L'uomo che li aveva attaccati a casa.

-È lui! - esclamò Astrid puntando lo schermo con l'indice.

-Quindi è un soldato dell'Hydra. - concluse Steve.

Astrid si avvicinò di più al vetro del monitor. Accanto all'uomo mascherato, c'era una bambina con una lunga veste bianca, i capelli spettinati, gli occhi come due sfere di luce, le mani chiuse a pugno, infuocate. Astrid sentì il cuore saltare un battito. Accanto all'assassino dell'Hydra, c'era una bambina che le assomigliava in modo impressionante. L'istinto le sussurrava che ci fosse un collegamento tra loro. Possibile che condividessero un legame di parentela? Possibile che fosse... sua nonna, o sua madre? Sarebbe stata la rivelazione più importante della sua vita. In quel momento decise che l'avrebbe cercata in capo al mondo. Avrebbe fatto qualunque cosa per trovarla, per conoscerla. L'avrebbe persino perdonata per averla abbandonata. Era pronta a farlo. Avrebbe capito il perché non avesse mai provato a contattarla in tutti quegli anni, avrebbe capito l'imbarazzo, la paura, la difficoltà nel tenere una bambina con le sue stesse capacità distruttive, avrebbe compreso perfino le difficoltà economiche, o nel peggiore dei casi, il rifiuto per una figlia non voluta. Sarebbe scesa a compromessi con il suo amor proprio: se avere una madre non era scritto nel suo destino, quanto meno aveva il diritto di ricevere risposte chiare, di sapere chi era veramente.

Uno schianto catapultò Astrid sul volto contratto del Capitano. Steve ritrasse il pugno dallo schermo sfondato. Gli lanciò un'occhiata così feroce che pareva volesse carbonizzargli la mano. Zola doveva aver colpito in pieno nell'orgoglio del Capitano. La macchia verde che si muoveva assieme al parlato, dal monitor più grande scivolò su uno dei piccoli.

-Come stavo dicendo...

-Cosa c'è sul drive?!

-Chi è la bambina? - Lo prevaricò Astrid.

-Non siamo venuti qui per questo. - La fermò Steve rigido.

-Chi è la bambina? - Ripetè Astrid alla macchina, ignorando l'obiezione del compare - E perchè non avete la mia data di nascita?!

-Entrambe le questioni sono collegate ad un'unica spiegazione, in quanto della bambina in questione non c'è sufficiente documentazione, nemmeno negli archivi dell'Hydra. Le sue informazioni di nascita sono state inserite dallo SHIELD manualmente, postumo al suo ritrovamento, dopo che riuscì a scappare dai laboratori di un'équipe di scienziati che lavoravano sulla produzione di soldati Potenziati e sullo studio di creature con poteri innati. Uno di loro era il dottor Hoffmann, il quale fece un grave errore di valutazione.

Steve si avvicinò anch'egli allo schermo, per vedere meglio. Astrid sussurrò, tremando.

-È lo scienziato che mi ha torturato...

-Il soggetto AX-TR1 era irascibile e intollerante allo stress di tipo psicofisico subito in laboratorio. L'ospedale abbandonato in cui si eseguivano tali esperimenti, andò distrutto assieme ai dati e a tutte le ricerche svolte sino a quel momento.

Le immagini dalle telecamere mostrarono un'esplosione. Fiamme e corpi ustionati, una bambina urlante. Un pentagramma di fuoco sulla parete...

-Qualcosa venne recuperato dallo SHIELD, tra cui alcuni documenti illeggibili e il corpo miracolosamente rimasto illeso del dottor Hoffmann, il quale si rifiutò di parlare fino all'ultimo e che in seguito fu arrestato per negligenza rispetto alle norme di sicurezza dello stabilimento abusivo. La bambina fu ritrovata molti anni dopo per strada, totalmente per caso, da un agente dello SHIELD in missione per reclutare creature paranormali in circolazione. La bambina si mostrò indisposta a collaborare, così venne abbondantemente sedata e al risveglio affermava di non avere alcun ricordo dell'accaduto. Senza memoria, per l'identificazione fu immediatamente necessario il test del DNA. Ma il responso risultò totalmente inconcludente. Non solo il DNA della bambina non era compatibile con nessuno dei cittadini Statunitensi, ma addirittura, del mondo. L'informazione, dunque doveva rimanere Top Secret. In sintesi, per l'anagrafe, Astrid Sullivan non è mai nata. La sua esistenza è una creazione dello SHIELD. Pertanto, la registrazione della sua data di nascita è a me ignota, poiché insussistente.

Astrid rimase a bocca aperta. Fogocitava con gli occhi ogni figura che le passava davanti, tra cui il dottor Hoffman, le fiale col siero, l'ospedale che l'aveva fatta svegliare di soprassalto tante di quelle notti da averne perso il conto... Sentì il petto e i nervi riempirsi di aghi e di spine. La sua bocca emise una frase tutta fatta di sibili.

-Sono io quella bambina...

-Astrid...

Steve le mise una mano sulla spalla e lei si scrollò per levarselo di mezzo con più forza di quella che entrambi avevano calcolato. Steve venne spinto all'indietro, non tanto per il colpo di gomito che gli arrivò in pancia, ma più per l'onda di energia emessa dal corpo di Astrid nello sforzo furioso, che come un vento bollente lo sferragliò lontano, facendolo slittare sul pavimento di schiena.

Il Capitano rimase qualche breve secondo immobile a fissare il soffitto, frastornato. Voleva rispondere al primo impulso di contrattaccare, un po' per frustrazione, un po' per sfogarsi anch'egli per tutto ciò che aveva sentito istanti prima dagli altoparlanti del computer.

Astrid si guardò le mani. Era stata lei? Sì, era stata lei. Stava succedendo di nuovo: non riusciva a controllarsi. Come la sua pazienza iniziava a mancare, la sua rabbia cominciava a straripare, le sue emozioni instabili si scatenavano involontariamente, senza freni. Non dipendeva da lei e ciò la spaventava. Ma la rabbia, per non essere riuscita del tutto a sfamare come voleva il suo bisogno di sapere, la stava divorando. Alcune domande erano state risolte, ma al posto di quelle ne erano sorte altre. Chi era veramente? Non era umana, ora ne aveva la convinzione. La sua vita era letteralmente una menzogna e persino il suo nome, assieme ai poteri che andavano e venivano e non riusciva a padroneggiare, non erano suoi. Inoltre, ora era di nuovo sola. Le era stato donato un piccolo spiraglio di speranza, una promessa a cui lei ci si era appesa con tutte le forze, per poi vedersela tolta in un soffio. Non avrebbe mai avuto una madre da riabbracciare. Non avrebbe mai avuto una casa in cui tornare. Era sola. E nessuno poteva capirla.

Il Capitano si rialzò rimandendo al suo posto, studiando il comportamento della ragazza, per capire se dovesse prepararsi a difendersi, mantenersi alla larga o fosse stato solo un raptus momentaneo.

Astrid incontrò la sua fronte contratta. No, nemmeno lui poteva capirla. Non erano fatti della stessa pasta, non avevano avuto lo stesso trascorso, nemmeno con tutta l'empatia del mondo sarebbe riuscito a capire che cosa le stesse succedendo, che cosa stesse provando. Poiché il Capitano l'avrebbe consolata, avrebbe cercato di farle vedere il lato positivo, le avrebbe consigliato di passarci sopra, ma lei non voleva consolazione, non voleva guardare il lato positivo, non voleva una vita nuova e passare sopra a quella vecchia. Voleva certezze, voleva il controllo, voleva riprendere il potere sulla sua esistenza. Ed era disperata. Tremendamente disperata. Nessuno poteva aiutarla. Forse solo una persona. L'unico che poteva conoscere e mostrarle le sue vere origini, colui che possedeva l'antidoto per estirparle la sua marcia e corrotta parte artificiale e restituirle i suoi ricordi, il suo passato. Così, in quel preciso istante, capì esattamente che cosa doveva fare. L'unico problema, era trovare il coraggio di farlo davvero. Era disposta a rischiare tutto per recuperare sé stessa?

-Cosa c'è nel drive?! - Gridò uno Steve spazientito.

-Il Progetto Insight richiede intuito. Così ho scritto un algoritmo.

-Che tipo di algoritmo? Cosa fa?

-La risposta alla tua domanda è avvincente. Malauguratamente, sarete troppo morti per sentirla.

La tasca di Steve vibrava convulsamente. Cacciò fuori il dispositivo e lesse il messaggio d'allarme sul display.

"AEREO NEMICO NON IDENTIFICATO.
MISSILE A CORTO RAGGIO."

Mancavano meno di 30 secondi e il conto alla rovescia continuava a scendere veloce. Doveva far qualcosa. Doveva trovare un riparo per limitare i danni, in fretta. Non avevano tempo per uscire e sarebbero potuti rimanere incastrati nell'ascensore. Inoltre, erano già sottoterra, quindi teoricamente avevano una possibilità in più di salvezza. Forse sotto la grata ai suoi piedi c'era spazio per due.

-Lo SHIELD ci sta attaccando. - Pronunciò il Capitano relativamente calmo, ma con abbastanza enfasi da far drizzare le orecchie di Astrid.

-Che cosa?!

-Temo che io abbia guadagnato tempo, Capitano.

Si piegò, strappò la grata dal pavimento.

-Ammettilo, è meglio così.

-Svelta! Corri!

-Siamo tutti e tre... fuori tempo.

I piedi di Astrid scattarono dopo pochi secondi di titubanza. A un metro dalle braccia del Capitano, riuscì a percepire il boato che frantumò i piani sopra le loro teste, il calore dell'esplosione che fondeva i cavi, i metalli, la plastica dei computer, ma non il Vibranio. Il Vibranio sulla sua testa l'avrebbe protetta, anche se non ne aveva bisogno. Mentre attorno a loro tutto tremava e crollava e tuonava, rannicchiata in quel piccolo spazio umido, sentì il braccio che non teneva lo scudo alzato sui loro capi, stringerla di più. Tra i fumi e la puzza di bruciato, distinse per un istante anche il profumo pungente del deodorante del Capitano. Era buono e rassicurante, sotto le macerie che velocemente li seppellivano vivi. Il pensiero positivo venne cacciato via all'istante, spodestato dai bagliori e dal bruciore del fuoco che le sfrigolava sulla pelle. Si ricordò della moca bollente che l'aveva tradita. Eppure non provava dolore. Era un pizzicore somigliante a quello che le intorpidiva i muscoli quando risucchiava energia. Pregò di non sbagliare. Allungò le braccia schiacciate al petto del Capitano, attorno alla vita e ai muscoli tesi che riusciva comunque a raffigurare col tatto, sopra la felpa morbida che si era già bruciacchiata.

Non stavano per morire, Astrid ne era certa. Perché entrambi erano impegnati a proteggere l'altro, dimenticandosi di sé stessi. Entrambi si stavano comportando da eroi. Sì, lo stava facendo anche lei. E in quel gesto si stava scusando per tutto il male che gli aveva procurato e che inevitabilmente gli avrebbe recato in futuro. Sperava che lo capisse. Lo strinse di più perché lo capisse. Lo stava difendendo dal fuoco come avrebbe dovuto difenderlo da sé stessa. E lo avrebbe fatto, lo avrebbe salvato da sé stessa. Non si sarebbe mai perdonata se l'anima giusta del Capitano venisse bruciata dal peccato, per colpa sua. Avrebbe compiuto l'unico ed ultimo atto di eroismo solo per lui, verso di lui, prima del grande tradimento.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Ci siamo sfiorati ***


Neve e Cenere | MARVEL

32 . Ci siamo sfiorati


Un opprimente odore di bruciato aleggiava soffocando l'aria tossica e pensante, colma di energia termica si scuoteva in un ballo scatenato, come un'aureola di fuoco attorno a loro, sulle loro teste.

Silenzio.

Tutto ciò che si udiva era lo scoppiettio del fuoco e il rumore dei ciottoli che rovinavano lungo i blocchi di cemento ammucchiati l'uno sopra l'altro sopra di loro.
Un soffio d'aria gelida le stuzzicava un orecchio. Una pietra bollente le schiacciava le gambe e la costringeva contro una parete più comoda. Provò a ritirare una mano, ma scoprì che era incastrata. Percepiva il fiato affannoso del Capitano alitare non distante dal suo naso. Stava soffrendo. Faceva troppo caldo per lui. L'aria era troppo rarefatta.

-Cap.

Il petto di Steve vibrò.

-Hey. Stai bene?

-È crollato tutto.

-Lo so. - rispose lui, sforzandosi. -Aiutami a spostare questi detriti.

Spinse con lo scudo l'enorme masso che li sovrastava, il quale andò a sbattere con un tonfo su un cumulo di macerie. Solo in quel momento Astrid capì che lo avesse tenuto lui, in equilibrio, fino a quel momento.

-Mi farebbe piacere poterti aiutare.

Steve strizzò le sopracciglia, interdetto.

-Come?

-Sono incastrata.

-Oh.

-Potresti...?

-Oh, sì. Scusami.

Steve staccò appena la schiena dal pezzo di cemento su cui appoggiava la spalla, per permettere ad Astrid di recuperare la mano dalla morsa dei suoi tricipiti e allontanarsi dal suo petto. Ma appena egli sollevò il gomito da sotto un mattone, avvertì una fitta lancinante al muscolo: una vite grossa quanto un dito gli si era conficcata nella carne.

-Stai sanguinando. - osservò Astrid con stupore esagerato. Da quando anche Capitan America poteva sanguinare?

-Cazzo. - sputò lui tra i denti, tirando il braccio per guardare meglio.

-Linguaggio, Cap. - lo rimbeccò lei arricciando un sorrisetto sardonico.

-Non è divertente. Toglimela.

Astrid pinzò l'estremo sporgente tra indice e pollice. Per sbaglio lo mosse nella direzione sbagliata e Steve trattenne il fiato. Ritirò la mano, l'attenzione risucchiata nella rientranza del tessuto muscolare da cui strabordava la bava rossa assorbita dal tessuto della felpa bucata.

-Forse non è una buona idea.

-Sbrigati.

Astrid respirò profondamente. Non era come quando si feriva lei. Quel braccio non era il suo e tutto quel sangue che scivolava fuori, spremuto da un dito di metallo arrugginito, non era un'immagine su cui solitamente si tratteneva ad analizzare. Fosse stato il suo braccio, non si sarebbe fatta scrupoli a strappare via qualsiasi cosa le avesse impedito i movimenti. Ma quello non era il suo braccio, non era il suo sangue, non era il suo dolore.

-Ci sto provando.

-Non ci stai provando, la stai fissando.

-È difficile, mi devo concentrare.

-Cosa c'è di difficile? La prendi e la strappi! Smettila di fare la bambina!

-Non faccio la bambina!

-È possibile che tu riesca a trovare del ludico anche in una situazione del genere?!

-Io non sto... trovando del ludico!

-E allora perchè non me la togli e basta?!

-Perchè ho paura di farti male! - e mentre ringhiava, la vite le rimase in mano. La guardò pendere tra le dita gocciolante sgranando gli occhi. La gettò via ripugnata.
Steve pigiò la testa contro la parete, si morse talmente forte le labbra che Astrid pensò che avrebbe iniziato a sanguinare anche dalla bocca. Gli premette la ferita con le mani affinché non si trasformasse in un'emorragia. Pensò a cosa potesse usare per trattenere il sangue: avrebbe potuto ricavare una fasciatura da un pezzo di maglietta. Allora prese un lembo tra i denti e fece per tirare.

-Che stai facendo?

-Ti medico. - Rispose lei, con un tono di ovvietà.

Steve scosse la testa piano.

-Non serve. - Sollevò il braccio infermo e le tolse gentilmente la maglia dalla bocca, sfiorandole un labbro. Astrid rimase a guardarlo come se fosse una creatura mitologica, esterrefatta da quel movimento tanto semplice da sembrare quasi accidentale, quanto intriso di un'estranea tenerezza.

-Ok. - continuò deciso. - Usciamo di qui. - Si alzò in piedi, per quanto permettesse il basso e precario tetto di sedimenti. Astrid sgusciò da sotto la lastra che le schiacciava le gambe, sperando di non causare una valanga. Accettò la mano del Capitano che l'aiutò ad alzarsi e non potè non notare che il foro nel muscolo si stava già riducendo. Si portò istintivamente la mano al ventre. Chissà se erano guarite anche le sue cicatrici?
Si fecero spazio tra i resti del soffitto e nel buio della notte che era già calato da un pezzo. Il languido bagliore dell'incendio asfissiato dalle polveri e dal ridotto ossigeno, non permetteva di vedere adeguatamente. Astrid per non rischiare di inciampare su un blocco di cemento, provò a far apparire una fiamma da una mano, ma dopo un primo breve istante di fulgore scintillante, i cristalli di ghiaccio che le uscirono per caso dalla punta delle dita, fagocitarono tutta l'energia rincorrendo i nervi della mano, fino alle vene del polso.

-Non è che hai qualcosa con cui far luce? - domandò Steve proprio in quel momento.

Astrid nascose immediatamente la mano dietro la schiena.

-Forse puoi usare il supercoso tecnologico che ti ha passato Natasha. Di sicuro avrà la torcia.

Steve sfilò il dispositivo militare dalla tasca e scoprì che fosse ancora integro. Se lo rigirò nella mano, senza essere sicuro di cosa fare. Alla fine lo passò ad Astrid.

-Fai tu. Non ci capisco niente.

-Cosa c'è di difficile? - borbottò lei, rifacendogli il verso. Toccò il simbolo della torcia sulla barra in alto del display e la luce a led sul retro illuminò un varco su cui si arrampicarono.

La tosse del Capitano persisteva incidendo il silenzio. Astrid provava come un senso di eccitante onnipotenza nel vederlo in difficoltà in una condizione estrema di cui lei non era succube. Sarebbe stato clamoroso scoprire che il punto debole di Capitan America fosse invece il suo punto forte. L'idea la faceva sentire come se avesse potuto tenere in mano il mondo.

-Tutto a posto, Cap? - chiese per camuffare il pensiero malato, quasi temendo che lo avesse sentito anche lui.

-Sì, sì. Vai avanti. Prima usciamo di qui, meglio è.

Una volta raggiunto il piano terra, Astrid non ebbe tempo nemmeno di voltarsi verso l'intera struttura del bunker crollata su se stessa come un castello di cartone fumante. Il Capitano si appropinquò a passo cadenzato verso il cancello.

-Aspetta. - farfugliò lei improvvisando una corsetta.

-Abbiamo perso troppo tempo.

Sempre di fretta. Sempre con i minuti contati. Dove sarebbero andati adesso? Secondo chi aveva lanciato il missile dovevano essere morti, era finita, perché diamine stavano di nuovo correndo?

-Dove andiamo? Steve, dove stiamo andando?

-Via da qui. - Rispose lui, secco. Superò la macchina senza nemmeno guardarla.

-E l'auto? La lasciamo qui?

-Verranno presto ad assicurarsi della nostra morte. Noterebbero le tracce fresce delle ruote nel fango e ci rintraccerebbero via satellite. A piedi saremo più lenti, ma il tempo che ci metteranno a cercare i nostri corpi nelle macerie ci darà un vantaggio.

-Okay. Ma dove andiamo?!

-Non lo so, va bene? Non lo so! - Esclamò lui, voltandosi nella sua direzione e gesticolando nervosamente. - Smettila di farmi domande!

Astrid si ammutolì. Si morse un labbro per la frustrazione. Non sapeva che rispondere, ma le bruciava permettergli di zittirla. Il fatto che fosse alterato non era una giustificazione sufficiente. Anche lei era incazzata, con sé stessa e con tutto ciò che stava succedendo, ma non se la stava prendendo con nessuno.

-Scusa. - sospirò lui strofinandosi la faccia con le mani.

Astrid sollevò il naso al cielo. All'improvviso l'aria si era fatta più umida e più densa. Una goccia la colpì dritta sulla fronte.

-Sta piovendo.

-Lo so. Sbrighiamoci prima che diventi un acquazzone.

E prima che la frase fosse evaporata dalla mente di entrambi, camminavano sulla statale rasentando il guardrail, zuppi dalla testa ai piedi. Astrid stretta nelle spalle, dietro la sagoma del Capitano che proseguiva due metri più avanti a passo spedito. Erano passati un paio di Quinjet e un elicottero dello SHIELD. Erano riusciti a scamparla per un pelo, imboscandosi sotto il ponte di una sopraelevata. Poi erano tornati a correre. Dovevano aver fatto sei chilometri e non erano abbastanza. Forse avrebbero marciato tutta la notte e il giorno dopo per trovare riparo sicuro e Astrid avrebbe scommesso qualsiasi cosa che non avevano i soldi nemmeno per mangiare. La carta di credito non potevano usarla, sempre per questione di tracciamento, non potevano contattare nessuno via telefono, a meno che non trovassero una cabina telefonica. E poi, a chi potevano chiedere aiuto? A Natasha? Dal momento che era ricercata anche lei e si erano separati per deconcentrare le ricerche, non potevano riconciliarsi a breve. Chi altro avrebbe rischiato la propria vita per loro? Quanto tempo sarebbe durata la loro latitanza? Quanto tempo ci avrebbero messo per trovarli? Quanto tempo ci sarebbe voluto per entrambi per fare un passo falso? Sapevano entrambi che la pace nella combinazione Astrid-Capitano era pericolosamente effimera.

-Fermati. - fece lei ad un certo punto.

La strada era un po' in pendenza. L'acqua sgorgava ai lati in superficiali torrenti e ristagnava in pozzanghere melmose. Astrid cercava di schivarle, ma puntualmente ci cascava dentro con un piede. Mancava solo che un camion li investisse con lo spruzzo delle ruote.
Aveva le gambe cedevoli, lo stomaco le si contorceva su sé stesso. I suoi muscoli e le sue ossa si stavano irrigidendo piano piano, perdendo sensibilità e trasformandola un blocco di marmo. Aveva forse... freddo? Era questo il significato di ciò che Samantha le diceva nelle serate d'inverno, prima che lei potesse abbracciarla per condividere il calore inumano del suo corpo, con l'amica? Era questo ciò di cui parlava la gente davanti ai pub, stringendosi nei cappotti, mentre le parole si condensavano in nuvole di vapore sotto i loro nasi?
La prima volta che l'aveva provato, fu quando era uscita dalla casa del Capitano assieme a Loki e all'improvviso si era sentita in modo insolito, a causa della sferzata di vento dicembrile che le aveva graffiato le braccia nude. La seconda, immediatamente consecutiva, quando era evasa dal Quartier Generale e aveva corso e rotolato nella neve, non abbastanza coperta. Entrambe le volte aveva sottovalutato la sensazione, ma adesso non ci riusciva, era più forte di lei, sebbene stesse soltanto piovendo. Che cosa le stava succedendo? Stava forse diventando... umana?!
Si aggrappò al metallo in cui si sentì sprofondare. Cominciava a girarle la testa. Sentiva la risata di Loki schernirla come nel bosco. Il Capitano si voltò per incitarla a camminare.

-Aspetta un attimo... Non mi sento bene.

-Vedi di muoverti. Non abbiamo tempo da sprecare per prendere fiato.

-Cap...

-Avanti, la strada è ancora lunga.

-Non ce la faccio.

-Sì che ce la fai. Andiamo!

-Non mi sento... Devo... Devo...

Si piegò sulla sutura e rigettò le ultime sillabe nella sterpaglia, avvolte dai succhi gastrici che avevano preso a pungerle lo stomaco, proprio davanti agli occhi di Steve, il quale aveva avanzato qualche passo incerto verso di lei, per poi rimanere impalato ad osservare la scena poco piacevole, incapace di agire.

-Merda. - Sussurrò Astrid, rendendosi conto della figura che aveva appena fatto. Sputò un ultimo grumo di saliva acida. Le veniva da piangere. Le veniva voglia di sbattere la testa contro il guardrail finchè non sarebbe svenuta. Voleva scomparire. Rivoleva i suoi poteri e vendicare la propria dignità su qualcuno.

-Hai finito?

La voce ammorbidita del Capitano la costrinse a ricomporsi, sebbene si sarebbe volentieri stesa a terra aspettando che venissero a darle il colpo di grazia. Si passò una manica sul muso. Annuì, mentendo. Col cavolo che era a posto! 

-Un attimo. Ho bisogno di un attimo solo.

Respira, pensava, respira, respira. Non vomitare di nuovo. Appoggiò il sedere alla barriera e fissò le scarpe fradice che non le fasciavano abbastanza i piedi, l'asfalto bagnato, il riflesso della sua nemesi. Chiuse gli occhi e portò la testa all'indietro, accogliendo la pioggia, accettando che l'universo le stesse crollando addosso pezzo per pezzo.

Steve non si muoveva. Durante gli allenamenti militari, i giovani soldati imparavano a non farsi intimidire dalle perturbazioni atmosferiche. Era l'idea del Superuomo temerario e inarrestabile che superava l'impervia forza del cielo tempestoso grazie alla tempra fisica e mentale.

Steve Rogers non aveva mai pensato di abbracciarla, la pioggia. L'aveva sempre sopportata a testa china, i denti stretti per il freddo e gli occhi socchiusi per il vento. Non aveva mai pensato di lasciarsi inzuppare intenzionalmente. Sollevò il capo come lei, strizzando le palpebre, verso il cielo buio e opaco. Non sapeva di preciso perchè lo stesse facendo. Forse si era lasciato convincere dall'espressione di assoluta assuefazione a Madre Natura che sembrava invitarlo muta.

Nell'appoggiarsi al guardrail, la sua mano incontrò per sbaglio quella di Astrid e lei, invece di scostarsi rifiutando il contatto, non si mosse, acconsentendogli di starle così inusualmente vicino. Anzi, osò di più. La strinse, poco dopo, come fosse l'ultimo appiglio disponibile per mantenersi in equilibrio. 

-Solo un attimo. - Sussurrò lei come un'eco, respirando l'atmosfera, mischiando la stretta leggera delle loro mani ai pizzichi freschi sulla fronte, sulle guance, sul naso, sulle labbra, al tamburrellio dei polpastrelli d'acqua sul terreno fangoso, sull'asfalto, sui vestiti.

Sparì tutto, per un lungo istante.
Il rumore delle vetture che sfrecciavano pericolosamente a un paio di metri da loro, scomparve Loki e la sua onnipresenza invisibile. Scomparve Stark, sebbene fosse la parte più difficile da ignorare. Scomparve lo Shield, scomparve anche l'Hydra. Rimasero solo loro due sotto la pioggia scrosciante.

L'acqua li lavò dello sporco, del sudore e del sangue, li lavò dell'incomunicabilità che li aveva distanziati dalla prima volta che Astrid aveva salito la scalinata della Torre Avengers assieme a Coulson e il Capitano le aveva chiuso la porta in faccia prima ancora di conoscere il suono della sua voce. Le loro menti non erano mai state capaci di percorrere lo stesso binario contemporaneamente ed ora si trovavano immersi nello stesso fiume di ostacoli. Probabilmente, in un universo parallelo, se i loro corpi non fossero mai stati usurpati dal progresso scientifico, non si sarebbero mai incontrati. Oppure, in uno scenario alternativo e del tutto improbabile, in cui le spalle di Capitan America non reggevano il peso della responsabilità di milioni di vite, sarebbero potuti fuggire lontano anche subito, come fanno le persone quando vogliono dimenticarsi di un brutto passato.

-Ci siamo sfiorati. - Dichiarò Steve con un filo di voce. - Non è così?

Astrid dischiuse di poco le ciglia. Dovette abbassare il capo poichè le lacrime che cadevano dal cielo non le permettevano di tenere gli occhi completamente aperti. Si asciugò il viso con la maglia, sebbene fosse del tutto inutile. Steve aveva ragione. Si erano sfiorati. Estratti entrambi dallo stesso mondo crudele e distruttivo, erano stati esiliati in uno appena apparentemente migliore. Cinquant'anni prima erano solo un ragazzo e una ragazzina, illusi di aver trovato il proprio compito nel meccanismo sociale, illusi dalla promessa di un futuro inesistente. Cinquant'anni dopo, combattevano contro gli stessi nemici, fianco a fianco, preclusi dalla possibilità di rimpatrio. Non era cambiato niente. Solo che questa volta sapevano che cosa li aspettava.

-Per poco. - Affermò lei, soffermandosi impavidamente sui lineamenti squadrati su cui scivolavano strisce d'acqua, come se ognuna di esse fosse un'estensione di sé, come se potesse percepire la ruvidità dell'ombra della barba rasata sotto i polpastrelli, come se avesse potuto annusare il profumo della sua pelle diluito nella soluzione salina che li accarezzava maternamente, trasformandoli in singoli elementi partecipanti all'unico esteso fenomeno naturale.

Si erano ritrovati senza essersi mai cercati. Forse erano la prova che il caso non esisteva. Forse erano l'eccezione alla regola. Eppure si erano sfiorati. E ora si tenevano per mano, sotto lo sfogo di un acquazzone. In fondo, avevano più cose in comune di quanto tenevano a dimostrare. In fondo, lui avrebbe potuto capirla. E lei avrebbe potuto lasciarsi andare al candido richiamo della lealtà, della pace, dell'etica, della vocazione all'altruismo. Avrebbe potuto annullarsi e dimenticarsi dei problemi personali, come faceva lui, per un bene superiore. Avrebbe potuto. Avrebbe voluto. Ma sapeva di non esserne capace e ciò le avrebbe fatto male. Avrebbe fatto male ad entrambi. Allora rimase lì, a stringergli la mano, procrastinando il momento in cui si sarebbero allontanati di nuovo, forse per la volta decisiva.

-Ho pensato a chi ci può aiutare.

-Sì?

-Sì. - Ripetè il Capitano, disegnando timidi cerchi sul dorso delle dita che non intendevano lasciare le sue.

-Bene. - sospirò Astrid.

-Ce la fai a camminare ancora un po'? La prossima stazione di servizio è a cinque chilometri.

-Ci provo.

-La proposta di prenderti in braccio è ancora valida.

-Non ci pensare nemmeno.

Steve emise uno sbuffo, una risata tiepida.

-Ci avrei scommesso che avresti risposto così.

-Dove hai pensato di andare?

-Da un mio amico. Si chiama Sam.

-Sam? Mi prendi in giro?

-No. - Stirò un sorriso breve. - Ti piacerà. È un tipo apposto. È un ex militare.

-Ah, perfetto. Allora è proprio il mio tipo. - Astrid prese il coraggio di staccarsi per prima. Si tirò su i pantaloni cadenti. - Andiamo. - fece, infine, brusca, incamminandosi senza aspettarlo, le mani in tasca. Poteva percepire ancora la presenza piacevole della stretta del Capitano sulla pelle, come se si fosse incollata una parte di lui addosso e se la stesse portando con sé.
Forse si era sopravvalutata, perchè in quel momento, capì che non sarebbe stata capace di tradirlo così facilmente come aveva pensato, non se ogni volta che avesse guardato le proprie mani, la nausea e il disprezzo verso sé stessa, avrebbe lasciato il posto ad una nuova sensazione di benessere, di sicurezza, di affetto, di speranza, come quello di un sorriso dagli occhi azzurri come la fiducia, come quello del calore che ti attende a casa.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Potere ***


Neve e Cenere | MARVEL

33 . Potere


La stazione di servizio offriva un piccolo bar non molto ambizioso. Entrarono appena il responsabile alla cassa si voltò di spalle. Era presente solo un uomo di mezza età, seduto al bancone, che stringeva un sigaro spento tra le labbra e gli occhi affondati nel giornale. Non c'erano cameriere né altri clienti.
Steve posò discretamente lo scudo dietro l'albero di Natale schiacciato in un angolo, tra vari gadget, souvenirs e le cartoline di auguri appese sugli alberelli girevoli, come aveva fatto prima di ritornare in ospedale: aveva nascosto lo scudo in un vicolo buio per muoversi con più facilità. Non era stata una buona idea andare a riprenderlo poichè era ingombrante e attirava troppo l'attenzione, ma almeno grazie ad esso erano sani e salvi.

Fu Astrid ad ordinare un solo toast e una bottiglia d'acqua, perchè tra i due aveva la faccia meno nota.
Quando si sedette al tavolo che aveva scelto Steve – in disparte, ma non troppo, perché potesse vedere chi arrivava - si scambiarono uno sguardo d'intesa, entrambi a disagio. L'ultima e l'unica volta che si erano seduti l'uno di fronte all'altro in un bar, era saltato tutto all'aria. 
Astrid addentò la sua metà di toast. Faticava a deglutire. Mentre Steve aveva già finito l'altra metà, lei era ancora lì a studiarne la farcitura.

-Mangia.

Perchè ogni suo invito suonava sempre come una costrizione?

-Mi si è chiuso lo stomaco.

Steve sbuffò dal naso. Incrociò le braccia e scrutò attento il mondo umido aldilà del vetro gocciolante.
Astrid abbassò lo sguardo sul formaggio filante che sarebbe stato più invitante se non avesse appena vomitato di fronte all'ultima persona davanti alla quale non avrebbe mai voluto vomitare. Doveva pensare a qualcos'altro.

-Ti si intravede la ferita. – informò con tono piatto mentre masticava un altro boccone controvoglia.

Steve sbirciò nel buco della felpa e tentò di coprirlo come poteva, stringendo il tessuto in una mano, poi tornò ai suoi pensieri gravosi. Diventava muto e distante ogni volta che il suo cervello era impegnato ad escogitare un piano. Così Astrid lo lasciò perdere, anche perché non aveva voglia di parlare. Voleva solo starsene lì a smangiucchiare la crosta di pane e a fissare il vuoto.

Per un attimo credette di aver sentito pronunciare un nome famoso. La sua attenzione si diresse all'improvviso verso lo schermo del televisore appeso alla parete. 
Il suo cuore emise un singulto: l'uomo che la telecamera inquadrava, portava un paio di occhiali da sole sul naso, nonostante fosse notte inoltrata e un pizzetto iconico sul mento. Era seguito da una donna con un'acconciatura rossiccia, tutta attorcigliata in uno chignon elaborato. Entrambi in abiti eleganti, stavano per salire su una limousine, prima che venissero assaliti dai giornalisti.

-C'è Stark in TV, c'è Stark in TV! - ripetè a voce serrata, battendo una mano sul tavolo. Steve si voltò quasi immediatamente.

Un piazzato bodyguard si mise tra la folla e i VIP per far passare questi ultimi.

-Tony Stark non rilascia dichiarazioni! - si ostinava a spiegare, benché la ressa non lo calcolasse più di tanto.

Inoltre, Tony Stark non era uno che amava mostrarsi vulnerabile al pubblico e sicuramente non l'avrebbe fatto stando in secondo piano. Schivò il bodyguard di Virginia Potts e fronteggiò le telecamere.

-Come ha detto lui, non lasciamo dichiarazioni. Se volete una conferenza, dovrò chiamare la mia segretaria. Ah, no, aspettate, è già qui. Come dici? - avvicinò l'orecchio alla donna alle sue spalle. Virginia scosse la testa seria, quasi scocciata. - Dice che sono impegnato tutta la settimana. – Riprese. Rise, poi, anche se non c'era molto da ridere. Doveva essere tornato alle cattive abitudini. Astrid sapeva bene che quando iniziava a comportarsi in quel modo significava solo che aveva ceduto alle lusinghe di molti bicchieri di troppo.

I giornalisti non si arresero. Anzi, qualcuno avanzò un microfono in più.

-Signor Stark, è vero che Loki, il famigerato Dio del Caos, colui che ha guidato la flotta aliena nella Battaglia di New York, è colpevole dell'aggressione per cui è stato ricoverato d'urgenza due giorni fa?

-Quell'essere senza spina dorsale, deve covare un disperato desiderio di vendetta nel miei confronti, per aver deciso di attaccarmi mentre non potevo difendermi. Ma.... com'è che diceva? - Sembrava stesse recitando un copione. Sembrava stesse cercando di ricordarsi un discorso che si era fatto scrivere per l'occasione o che gli avevano propinato per rispondere in modo adeguato, per non esporsi troppo. - Ah, sì... Ma il suo complesso di inferiorità, non mi fa paura e non farà paura nemmeno agli Avengers che torneranno riuniti e più uniti di prima! - Rise di nuovo, questa volta a crepapelle, talmente tanto che dovette tenersi alla portiera aperta del lungo veicolo alle sue spalle. A quel punto Astrid si aspettava che la guardia del corpo lo prendesse in braccio. Non doveva stare affatto bene per essersi ridotto in quello stato nonostante la presenza della sua donna.
Astrid pensò che gli facesse quasi pena. Per un attimo le venne il bizzarro ed egocentrico pensiero che stesse male per lei e ciò le fece un male tremendo, dritto in mezzo al petto.

Tuttavia non era finita. Le voci dei giornalisti si ammassarono l'una sull'altra, fameliche, inondando l'intervistato di domande calunnianti.

-È vero che è stato adescato e minacciato di morte dalla sua seguace Astrid Sullivan prima che attentasse alla sua vita? Per questo si trovava a casa sua? – chiese una giornalista.

-È stata davvero lei a sterminare i membri di una squadra speciale inviata appositamente per venire in suo soccorso per poi scappare e lasciarla agonizzante nel suo appartamento? – domandò l'altra.

-Può confermare con certezza che Sullivan si sia alleata con Loki e che complotti, dunque, con lui per conquistare la Terra e schiavizzare il nostro popolo? – infierì una voce maschile.

-Signor Stark, quindi Astrid Sullivan ha voltato le spalle agli Avengers. Dobbiamo considerarla una nemica alla pari del Dio? – continuò un'altra ancora.

Astrid strinse il bicchiere che aveva davanti. Trattenne il respiro, mentre la guardia del corpo si era messo di nuovo davanti a Stark per spingerlo indietro. Il miliardario non parlava. L'alcol che aveva in corpo non gli permetteva di rimanere concentrato. Tornò serio con difficoltà, mentre i flash sfavillavano e i giornalisti tendevano i microfoni verso la sua bocca, frementi di raccogliere qualsiasi succulenta news per il proprio articolo.

-Sì. È così. - Rispose prima che venisse spinto in macchina. Non aggiunse altro.

Astrid non si sarebbe aspettata una difesa articolata da parte sua. Si sarebbe accontentata di un "No comment". Invece era peggio di quanto avesse immaginato. 

Era stato un "sì" a confermare la sua colpevolezza. 
Fermo. Chiaro. Definitivo.
Un sì a tutte le accuse.
Una condanna totale per lei, un'assoluzione sicura per lui.

Non era possibile che credesse davvero che l'avesse quasi ucciso di proposito, eppure sembrava così sicuro di sé, nonostante la sbronza...

Steve lanciò un'occhiata ad Astrid e ciò che vide non gli piacque per niente. Il bicchiere le si era incollato al palmo, l'acqua al suo interno era diventato un blocco di ghiaccio. Dovette allontanare le mani dal tavolo perchè la brina stava prendendo possesso del piano strisciando tutt'attorno al braccio, raggiungendo il vetro della finestra appannata a lato della sua spalla. Lo sguardo fisso sull'immagine dell'uomo nello schermo, le iridi d'ambra che brillavano istericamente per l'ira repressa.

-Contieniti. Lo fa per tutelare Pepper. - la riprese, cercando di farla ragionare.

-E sé stesso.

-Non lo pensa sul serio.

-Che ne sai?

Il vetro si incrinò, il ghiaccio scoppiettò sotto la pressione della mano rabbiosa. Traditore, pensò Astrid. Come si permetteva quel vigliacco di metterla in cattiva luce davanti a tutto il mondo? Chi si credeva di essere? Alla fine era stato lui ad offrirle una serata, in qualche modo, romantica. Alla fine un quarto di colpa ricadeva su di lui. 
Lo ammazzo. Questa volta lo faccio sul serio. 
Lo pensò talmente forte che lo percepì anche il Capitano, il quale decise che fosse il momento di andare.

-Non qui. - Si pulì il muso con il tovagliolo. Si alzò per evitare che occhi indiscreti cadessero su di loro. Pagò con una banconota, lasciando il resto come mancia. Ringraziò e diede la buona nottata, da bravo cittadino.

Uscirono dal locale che aveva smesso di piovere. Una volante era accostata nel parcheggio a fari spenti. Steve alzò il cappuccio sulla testa tirò Astrid verso di sé per nascondere lo scudo.

-Non guardare nella loro direzione.

Ad Astrid non fregava niente degli sbirri. Aveva ancora la mano ghiacciata, pronta a spaccare il muso a Tony "FacciatostaStark. Aveva approfittato della sua ingenuità. Dopo tutte le nottate che avevano passato a bere e a confidarsi i segreti più reclusi, credeva di potersi fidare di lui e invece l'aveva solo usata. Non gliene importava niente di lei. A pensare a quanto si fosse dannata per lui le veniva ancora più voglia di strozzarlo.

Il suo occhio si fermò su un furgoncino dalla vernice usurata e arrugginita. Se il Capitano pensava di farsi tutta la strada rimanente a piedi, rischiava di essere la prima vittima delle sue nocche borchiate di stallattiti.

-Chiediamo a quei due se ci portano dal tuo amico.

Steve fece una faccia contrita. Avrebbe preferito continuare il viaggio per mezzi bubblici, mischiandosi ai civili, ma la gente li guardava con troppa curiosità. Il travestimento non era dei migliori. Soprattutto con lo scudo tra i piedi, che ancor meno passava inosservato per via della mancanza nel Capitano di una necessaria vena menzognera, che invece Astrid aveva assimilato piuttosto bene, un po' per indole e un po' per influenza di una certa Spia Russa.

-Guarda come sono conciati. È già tanto se hanno la TV a casa. Non hanno idea di chi siamo. Se ci mostriamo disinvolti, nessuno si allarmerà. – insistette lei. Ancor prima che Steve fosse convinto, aveva già battuto una dita sul finestrino.

Il vecchietto che era al volante li inquadrò strizzando le palpebre. Astrid salutò con tutta la tranquillità che non aveva. Chiese se stessero andando per la loro stessa direzione e se fossero disposti ad offrire loro un passaggio. In caso, avrebbero pagato i chilometri in più. Il vecchio ci pensò un momento, lanciò un'occhiata al ragazzo che si sforzava di non guardarsi troppo attorno in modo losco. Chiese il motivo per cui non avessero un veicolo proprio, dal momento in cui erano nel bel mezzo dell'autostrada. Astrid spiegò che erano dei semplici turisti, che viaggiavano tramite mezzi pubblici e che avrebbero dovuto aspettare altre due ore per tornare in albergo perchè avevano perso l'ultima corriera della notte. La faccia del vecchio non fece una grinza davanti alla recita della ragazza.

-Lui chi è? Il tuo ragazzo?

-Mio cugino.

-Non mi è nuova la sua faccia. E questo non mi piace.

-Glielo dicono tutti. Assomiglia a Capitan America, non trova? Non sa quante ragazze gli vanno dietro a scuola! Si porta dietro anche una riproduzione identica dello scudo. È un vero fanatico! - improvvisò, sussurrando l'ultima frase dietro la mano, come se non volesse farsi sentire dal diretto interessato.

-Non esagerare. - la rimbeccò Steve tra i denti, tirandole una manica.

La signora seduta dall'altro lato si sporse. Portava un nido di capelli ricci e informi con una spanna di ricrescita grigia, un paio di orecchini pacchiani che le arrivavano alle spalle tintinnando, l'ombretto viola che le arrivava fino alle sopracciglia, un neo sul labbro, l'ombra del baffo, il rossetto tra i denti storti. Masticava una gomma con aria superba. Steve si sentì scannerizzato a raggi X dalla testa ai piedi.

-Effettivamente... Vi assomigliate vagamente... Ma Capitan America è decisamente più palestrato, non ha il naso così storto e il mento così grosso. E quel giocattolo non è affatto la sua riproduzione più convincente! Ne ho comprato uno a mio nipote che era cento volte meglio! Dovresti evitare di tirartela troppo, ragazzo!

-Salite. - fece il vecchio con tono piuttosto contrariato. Accese il motore mentre i due ragazzi ubbidivano. Seguì una via alternativa all'autostrada, una stradina sterrata tutta curve a gomito che lui prendeva liberamente in velocità. Evidentemente doveva conoscerle a memoria e ciò era un bene se non fosse che i passeggeri sul sedile posteriore sballottavano da una parte all'altra come le palline di una maracas. La musica country alla radio e la voce sguaiata della signora che non azzeccava nè il ritmo nè una nota, accompagnava il tutto come un pugno nello stomaco.

Steve si teneva al sedile davanti con una mano e al poggiaschiena con l'altra, le gambe costrette in uno spazio troppo ridotto. Aveva la faccia concentrata di uno che cerca di far indietreggiare la nausea.

-Pensavo che fossi abituato ai vecchi modelli. - Lo punzecchiò Astrid.

-Sai com'è. Mi è bastato poco per adattarmi alla modernità. È difficile tornare indietro una volta provato il comfort di un'Audi.

-Sempre meglio la moto però, eh?

Astrid gli schiacciò un occhiolino. Steve alzò le sopracciglia come per confermare un'affermazione ovvia.

Il Capitano fece fermare il furgone due vie prima dalla destinazione. Avanzò dei soldi che la signora accettò volentieri ficcandoseli nel reggiseno leopardato e strabordante, con quelle sue lunghe unghie in gel fosforescente e interamente ricoperte di paillettes. Lui ed Astrid si fiondarono fuori dal veicolo quasi senza attendere che si fosse fermato completamente. Il furgone fece dietrofront, grattò una marcia, sgasò una nuvola nera di catrame e schizzò dalla parte opposta.

-Che personaggi che si incontrano per strada...

-Lei era una milfona trashissima.

-Una che?

-Niente, lascia stare. - sospirò Astrid, appigliandosi alla spalla buona del Capitano. - Mi fa male la schiena da morire. Non vedo l'ora di stendermi. Dove sta il tuo amico? 

-Di qua.

***
 

Samuel Wilson apparve sul pianerottolo con aria pesantemente assonnata e sorpresa. Portava un pigiama corto e forse fu per la temperatura rigida dell'esterno che fece entrare i due prima che il Capitano potesse spiegare perchè praticamente tutti coloro che conoscevano li volessero morti. 

-Mi spiace, scusami. Per la situazione in cui ti stiamo mettendo, per l'orario, per tutto... - aggiunse Steve corniciando il tutto con educazione.

-Sì, scusa che non siamo riusciti a prevedere quando ci avrebbero bombardato. - sottolineò Astrid evidenziando l'eccessiva cordialità del Capitano. Bevve un sorso del tè che Sam aveva preparato ad entrambi e a sé stesso. Ad un certo punto temette che il tepore della bevanda nel suo stomaco avrebbe potuto causare qualche danno, così posò la tazza sul tavolino a malincuore. Continuò a fissarla per il resto della conversazione. Sam si era proposto di preparare anche qualcosa da mangiare, ma Steve aveva rifiutato per educazione, dicendo che erano a posto. Ad Astrid tuttavia, quel mezzo toast spelluzzicato aveva messo un certo languorino. Adesso, dopo tutta quella strada, l'avrebbe divorato.

-Capisco. - fece infine il padrone di casa, dopo aver ascoltato il racconto dell'accaduto. - Non siete stati molto prudenti se vi siete portati dietro quello per tutto il tempo. - osservò, puntando lo scudo. 

-Abbiamo fatto il possibile... Nessuno sa che siamo qui. 

-Per ora. - ciancicò Astrid, mordicchiandosi un'unghia. 

-Non vogliamo essere un problema. 

-No, no, va bene. Vi ho accolti in casa volentieri. Avevo capito subito che era successo qualcosa, dalle vostre facce. Potete rimanere quanto avete bisogno. 

-Ce ne andremo appena riposeremo un po' e penseremo ad un piano. 

-Come volete... Penso che vogliate lavarvi e dormire almeno qualche ora prima di fare qualsiasi cosa vi venga in mente di fare domani. 

-Oddio, sì, grazie! - esultò Astrid incapace di trattenere l'emozione. 

-Ho una camera degli ospiti di sopra. C'è il bagno e tutto. Vi faccio fare il tour della casa così sapete come orientarvi. 

-Non c'è bisogno. - fece il Capitano alzandosi in piedi. - Se vuoi andare a dormire... noi ce la caviamo. Davvero, sei stato molto gentile. 

-Come volete. Allora... fate come foste a casa vostra...? - defilò Sam come domandando a sé stesso se si dicesse proprio in quel modo, come nei film. - Ma non toccate la crostata di fragole sul frigo. 

-Crostata di fragole. - ripetè Astrid spiritata, mentre Samuel Wilson spariva al piano di sopra, forse per assicurarsi che fosse tutto in ordine. 

-Avevo capito che ti si era chiuso lo stomaco. - evidenziò Steve camminando verso le scale. 

-Mi si è riaperto improvvisamente. Precisamente a "crostata di fragole". 

Steve la prese per un braccio. Un gesto che entrambi ricordavano bene, ma che ora aveva un sapore del tutto diverso. 

-Ricorda che potremmo essere sotto attacco in ogni istante. Siamo sempre in pericolo anche se ti sembra di essere al sicuro dentro quattro mura. E non possiamo permettere che rischi qualcun altro per noi. - chiarì con voce sommessa. 

-Ma lo stiamo facendo lo stesso. - sottolineò lei. 

-Lo so. Ma è necessario per ora. Tu non ti sei ancora ripresa. 

-Ah, quindi il problema sono io? 

-Voglio che tu dia il massimo nella battaglia che è alle porte. E per farlo devi essere in te stessa al cento per cento. Ho bisogno di te al mio fianco. 

Astrid annuì portandosi due dita sulla fronte. Stava diventando troppo serio. Quasi quasi sfiorava il sentimentale. 

-Sissignore! 

-Spero che tu non mi stia prendendo in giro. 

-Non potrei mai! - Fece Astrid esagerando il tono di scherno.

-Astrid. 

-Va bene, okay. Sono seria. - Prese un respiro profondo. - Ti ringrazio. - Disse, pensando alle parole di Natasha. Spiegò un sorriso senza troppo sentimento, un poco buffo, labbra in dentro e sopracciglia tirate. Come per dire: "va bene così?". 

-Spero vi vada bene. Se avete dei problemi ditemelo. Metto a posto la cucina e torno a dormire, se non vi dispiace. - proruppe Sam scendendo passando di fretta di fianco a loro. 

La camera era ben ordinata, non troppo arredata, la grande finestra avrebbe illuminato facilmente tutto lo spazio, di giorno. Il letto matrimoniale al centro della stanza spalmò i loro visi di un rosso imbarazzo. 

-Io dormo per terra. - decise Steve galante. 

-No, io dormo per terra. - ribattè Astrid. 

-Hai detto che avevi male alla schiena. 

-Si vede che me lo dovrò tenere.

Steve pensò che non l'avrebbe mai capita. Tuttavia c'era un motivo se Astrid non voleva più toccare un materasso, un motivo che nella sua testa risultava chiaro e ragionevole e forse non sarebbe più stato così se lo avesse esposto ad alta voce: la fobia di perdere di nuovo la testa se fosse stata troppo comoda a dormire. 

-Vado a chiedere se ha dei sacchi a pelo. Fatti una doccia intanto.

***
 

Astrid dovette giocare un po' con la temperatura dell'acqua per trovarne una che non la facesse rabbrividire o trasformare il bagno in una scultura di ghiaccio. Lei che era abituata ad aprire la manopola blu e a chiuderla a fine doccia, adesso si trovava a fare i conti con la manopola contraria per addolcire il violento getto glaciale che le mordeva la pelle, come un mazzo di lame acuminate che abusavano della sua nudità. Al tempo stesso, un getto troppo caldo, avrebbe mosso un meccanismo per cui la sua temperatura corporea sarebbe aumentata notevolmente e di tutta risposta, l'altra parte di sé avrebbe risucchiato tutta l'energia come una sanguisuga.

Doveva essere successo qualcosa di insolito quando Hoffmann le aveva iniettato il siero. I suoi poteri erano impazziti, come diventati incompatibili e il suo corpo, più confuso di lei su quale delle due identità fosse l'innata e quale l'artificiale, reagiva distruggendo sé stesso. Così, era costretta a sopportare i brividi e i denti battenti per non congelare tutto ciò che la circondava.

Si rimise gli abiti che aveva lasciato asciugare sul termosifone, sebbene avrebbe preferito cambiarsi con qualcosa che profumasse di detersivo floreale. Asciugò i capelli alla bell'è meglio strofinandoci sopra l'asciugamano, mentre giudicava che stessero crescendo troppo velocemente. Una spuntatita - o magari anche una rasata - gliel'avrebbe data volentieri. 

Si ritrovò a sorridere: Samantha non avrebbe approvato. 

La prima volta che si erano incontrate dal vivo, quando Astrid si era presentata al suo appartamento come nuova coinquilina, la sacca semi vuota in spalla e un biglietto con l'indirizzo tutto spiegazzato tra le dita, aveva i capelli legati in una bassa coda di cavallo, lunga fino a metà schiena. Samantha li portava a caschetto corvino. Perfettamente lisci e lucidi. Un ciocca arrotolata attorno all'orecchio, mostrando il gioiello appeso al lobo. 

Samantha aveva una vera passione per i capelli. Ogni volta che beccava Astrid non curarli adeguatamente - perchè lei, prima di conoscerla, li lavava deliberatamente con il bagnoschiuma o li pettinava ferocemente per togliere i nodi - a Sam veniva quasi un infarto. Le tirava le orecchie, chiedendosi come fosse possibile che quei capelli talmente maltrattati fossero riusciti a crescere tanto. Allora si proponeva di aiutarla.
Tant'è che per un po', era riuscita a farli diventare morbidi e addomesticabili.
Dopo un po' aveva preso d'abitudine usufruire di quella chioma abbondante per allenarsi in trecce e altre acconciature che Astrid slegava dopo averle sopportate per una mezz'ora - per non darle troppo dispiacere - con la scusa che non riusciva a dormirci. Ora erano di nuovo un cespuglio informe di steli nodosi. 
No, Samantha non avrebbe approvato per niente. 

Prese le sue garze ingarbugliate sul lavabo e considerò di non rimetterle. I punti non sembravano servire più. La pelle si era ricucita, sebbene fosse ancora arrossata nelle zone critiche. Aprì le ante dell'armadietto per trovare una forbice, afferrò le scarpe con due dita e uscì dal bagno. 

Steve era seduto sul letto, il volto afflitto, in mano un sacco a pelo. Si era tolto la felpa e ora la canottiera bianca metteva in bella mostra le braccia tornite, la minuscola ferita sul bicipite sinistro - appena macchiato di sangue secco e di polvere - proprio in mezzo alla piega del muscolo.
Le ci volle un istante per riprendersi dalla vista improvvisa di tutta quella pelle scoperta che pareva la superficie perfettamente levigata della scultura di un gladiatore.

-Ne ha solo uno. 

-Usalo tu. Io non posso scaldarmi. - Fece lei, sbrigativa. Lanciò le scarpe sul pavimento e si lasciò crollare a pancia all'aria sul materasso, abbandonandosi al suadente richiamo del riposo. 

Steve rimase impuntato sull'ultima accezione, le sopracciglia ricurve e dubbiose. 

-Non puoi scaldarti. - Ripeté come per cercare di capire che cosa si era perso di tanto ovvio. 

-È complicato. 

-E tu prova a spiegarmelo. 

Allora lei ci provò. Partì dal principio, dal fatto che prima che arrivasse il dottor Hoffman la forza tra i suoi due poteri era divisa equamente e che aveva il pieno controllo su entrambi, a parte quando veniva sopraffatta dalla rabbia, il che succedeva quando qualcuno provava a dominare la sua mente in qualche modo. Era il motivo per cui il laboratorio alla Torre era esploso, era il motivo per cui quella notte aveva distrutto il suo appartamento ed ogni sua speranza di poter redimere il suo nome. Perché era vero che quando si scatenava in piena lucidità poteva essere letale, era vero che le piaceva sfiorare il limite. La sfogava, la faceva sentire invincibile. Ora invece doveva trattenersi anche dal solo accendere una fiammella su un dito.
Più si avvicinava al freddo e più il freddo occupava una parte di sé sempre più ampia che lentamente diventava autonoma e non rispondeva più ai suoi ordini. 

-Ne hai paura? 

Astrid ci pensò su un momento. Fu una decisione difficile quella di ammettere di aver paura di qualcosa. Ma se quella paura non fosse legata solo a sé stessa, ma a coloro che gli stavano vicino? Era più plausibile. Putroppo era troppo orgogliosa per ammettere anche questo, perché avrebbe sottinteso un legame ancora più stretto tra di loro, perchè sarebbe suonata come un'apertura ulteriore e il loro rapporto stava da tempo diventando esageratamente sdolcinato.
Alzò lo sguardo verso quello in attesa del Capitano e poi lo riabbassò tra le dita che stropicciavano il bordo della maglia. 

Steve si alzò in piedi, accettando il suo mutismo. Ogni tanto si dimenticava che ad Astrid non piacesse esporsi così tanto. 

-Mi lavo io ora. Prova a dormire un po'.

Si chiuse la porta alle spalle mentre si toglieva la canottiera. Astrid riuscì a intravedergli un bel pezzo di schiena, quasi del tutto per caso. 

Premette la testa sul cuscino annusando il profumo estraneo della federa. Per un momento sentì quello che impregnava le coperte alla Torre Avengers...
Chiuse gli occhi, dicendosi che se si fosse assopita per dieci minuti non sarebbe successo nulla. E quando si lasciò cullare dal tepore del letto affondò in un sonno buio, calmo, come non le capitava da tempo, proprio come ne aveva bisogno. 

Finchè non la sentì di nuovo quella risata, quel sussurro che la guidava a portare le sue mani verso il busto che giaceva accanto al suo e assaporare l'energia vitale che scorreva nei muscoli rilassati, nel cuore che pompava sempre più veloce per ovviare allo scompenso termico, mentre il paio di mani che l'avevano accarezzata e voluta con passione stritolavano le coperte, gli occhi lussuriosi che l'avevano spogliata prima ancora che lo facessero le dita esperte, si spalancavano ora atterriti e disperati, pietrificandosi in un'espressione assente, in un urlo di supplica, in un grido di terrore. 

Gli occhi di Stark... avevano paura di lei.
E adesso era lei ad avere paura di sé stessa.
Poichè aveva potuto fermarsi prima, ma non l'aveva fatto.

Il sussurro nell'orecchio l'aveva invitata a continuare, a non fermarsi alla superficie come aveva già fatto in passato con due criminali, a spingersi oltre, come col gigante di lava e impossessarsi del calore della sua anima. Aveva già ucciso un uomo senza provare scrupoli o sensi di colpa, perché lui se lo era meritato, perché lei aveva covato troppo rancore affinché venisse soppiantato dal perdono. Aveva provato piacere nel farlo. Un piacere fisico oltre che mentale. Quella sensazione la tormentava, ora, come per farle presente che avesse dimenticato un pezzo di sé da qualche parte, nel suo inconscio. 

Aveva paura. Era vero. Aveva paura del fatto che tutta quell'energia nuova che le sfrigolava nelle vene ogni volta che assaliva la sua vittima, la faceva sentire sempre più forte e inarrestabile, che una porzione insaziabile di sé ne richiedeva ancora e ancora e ancora e perciò non le era stato difficile seguire la tentazione seducente di quell'ordine sussurrato all'orecchio, quella notte.
Era sicura che si fosse sforzata almeno un po' di contrastarla, ma era stato troppo tardi. La sua fame era stata troppo intensa. Se fosse andata fino in fondo, il suo secondo più importante omicidio sarebbe stato del tutto intenzionale. 

Stark aveva ragione. 
Loki aveva ragione. 
Avevano ragione tutti. 
L'unica a non essersene accorta era lei.

Le parole del Dio degli Inganni avevano ora un significato. 
Era davvero la sua Natura. 
A lei piaceva uccidere. 
Perchè ciò le dava potere. 
E il potere la faceva sentire meglio dell'alcol. 
E ora ne aveva bisogno di nuovo.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Lo ucciderai ***


Neve e Cenere | MARVEL
 

34 . Lo ucciderai



Si svegliò di colpo, con il rumore della porta del bagno che si spalancava. Sollevò il busto e si mise seduta. Si sentì come se fosse stata scoperta a fare qualcosa di proibito.

-Scusa. Non volevo svegliarti. Ho fatto più piano che potevo, ma la maniglia scricchiola.

Astrid si passò una mano sul viso, sui capelli su cui si era formata una brina leggera. Si asciugò gli occhi.

-Stai bene?

-No. - Rispose lei tirando su col naso. Guardò le forbici sul comodino e pensò all'eventualità in cui si fosse fatta saltare le vene del braccio. Le piastrine avrebbero fatto in tempo a ricostruire i tessuti cellulari prima che morisse dissanguata?

Steve rimase sulla porta. Avrebbe voluto dire qualcosa per rassicurarla, ma non sapeva cosa. Muovere un primo passo verso di lei era sempre come lanciare un paio di dadi e sfidare la sorte.

-Non... Non devi vomitare, vero?

Astrid scosse la testa. No, non voleva vomitare. Voleva ammazzarsi di alcol. Chissà se Sam Wilson ne aveva un po', custodito nella bella credenza della sua cucina?

-Allora... chiudo un po' gli occhi. Almeno due o tre ore. - Informò lui, stendendo il sacco a pelo a terra.

Astrid prese le forbici, se le rigirò tra le dita, passando un polpastrello sulla punta acuminata. Pensò alla tuta che le aveva fatto Stark con tanta cura e che adesso lei non sapeva più dov'era, ai pugnali che ancor meno aveva presente dove li avesse lasciati. Si ricordò di quando una sera che erano tutti insieme, lei avesse fatto una battuta mirata al Capitano, sul fatto di non possedere delle armi proprie come tutti, raccontando di quanto facesse male prendere a pugni la gente anche con le nocche coperte, di quanto faticasse a mantenere le fiamme vive per non farsi colpire. Si ricordò di quando aveva trovato una coppia di coltelli impacchettati in una scatola sul suo letto, la sera prima di una delle ultime missioni prima di Sokovia. Un biglietto sul coperchio con scritto solo: "Altamente infiammabili". Ed eccoli lì. Lucenti. Eleganti. Letali. Potevano bruciare assieme a lei senza fondere. Forse fu quello il momento in cui aveva deciso che Tony Stark fosse davvero un tipo forte. Si ricordò di come il sorriso di sfida con cui aveva sfilato la mattina dopo, era stato oggetto di critica dalle leggi proibitive del Capitano, e di come fu spento quasi d'immediato sull'altro fronte, senza reazioni o commenti. Le venne in mente di quella stessa sera, quando Stark e lei si erano visti per incrociare i bicchieri, ne avevano parlato di sfuggita perché lui aveva subito cambiato discorso. Il Capitano non era stato felice di vederla sfoggiare un paio di armi personalizzate. Per questo aveva deciso di tenere il broncio ad entrambi per giorni - cosa che rientrava comunque nella norma - ma il fatto che ogni volta le frecciatine che lei lanciava sul regalo non andassero a finire dove voleva lei, quasi come se Stark cercasse di evitare il discorso, quasi come se ne fosse pentito, non le era andato giù.

Era così con Tony. Un sali e scendi di emozioni positive e negative, un dai e togli continuo, un concedersi e un ritrarsi estenuante. Questa volta però l'aveva fatta grossa. Non poteva fargliela passare così. Doveva farsi rispettare. Doveva fare in modo che le chiedesse scusa, doveva fargli rimangiare quel "sì". Voleva sentirlo pregare. Aveva lasciato che prendesse il suo corpo, intasasse il suo pensiero e ora anche che deturpasse il suo nome. Era di nuovo nuda, indifesa e con un'arrestabile voglia di dare fuoco a qualcosa.

Arrotolò la maglia attorno al seno e cominciò a tagliare i fili e a strapparli senza remore, per distrarsi dal piangere. Perchè aveva bisogno anche di quello. Aveva bisogno di piangere e di urlare, di spaccare qualcosa, ma allo stesso tempo doveva comportarsi bene davanti al Capitano: era totalmente ignaro di ciò che le girava per la testa e sarebbe stato meglio che rimanesse così.

-Se continui così peggiorerai le ferite.

-Sono guarite. - fece lei inacidita dal borbottio alle sue spalle.

-Se strappi i punti in quella maniera, rischi che si aprano di nuovo.

-E cosa dovrei fare?! - ruggì lei. Si accorse di avere gli occhi lucidi e abbassò lo sguardo sul ventre tagliuzzato e bucherellato come un brandello di carta da buttare.

-Farti aiutare... per esempio?

Astrid soppesò la risposta.

-Non voglio più chiedere aiuto a nessuno. Voglio fare da sola. Voglio stare da sola. Perché ogni volta che mi apro a qualcuno, rimango delusa. - Scosse la testa e continuò a tagliare e tirare e lanciare i frammenti di spago a terra. - Fanculo, sono un'idiota. - mugugnava a testa bassa - Fanculo, mi merito tutto quello che sta succedendo. Dio! Ma che idiota sono stata!

-Basta. - Steve afferrò la mano con cui si stava punendo, contrastando la protesta fisica. - Basta. - ripetè abbassando il tono.

Com'era arrivato davanti a lei? Non l'aveva visto. Le lacrime iniziavano ad ostruirle la vista. Controvoglia, Astrid si fece battere dalla gentilezza della voce e dalla stretta che a un certo punto si era ammorbidita per assomigliare a quella che si erano scambiati sotto la pioggia. Gli cedette le forbici. Due lacrime scivolarono dalle ciglia e vennero assorbite dal tessuto dei pantaloni. Astrid strizzo gli occhi, voltò il capo su una spalla. Non voleva che la vedesse in quello stato. Non da così vicino. Purtroppo era certa che Steve non avrebbe mollato, così decise di affrontare le iridi tanto temute e scoprì che la stessero analizzando, con un'espressione indecisa tra lo stupito, il divertito e l'intenerito.

-Che c'hai da guardarmi così?

-È strano. Credevo che tu non piangessi.

Astrid fece delle palpebre una fessura, contrasse le sopracciglia, spiegazzò il labbro superiore in una smorfia spezzante.

-Dico sul serio. - disse lui, ma era evidente che scherzasse.

-Pensavi che scoppiassi a piangere davanti a tutti come un'oca lagnosa? Se non lo dimostro, non vuol dire che non sia umana anch'io... - e mentre lo diceva, una parte di sé la stava prendendo in giro. Subito dopo, il sorriso tratteggiato che contrastava il broncio, soffocò la risata interna. Astrid abbassò lo sguardo di nuovo, sulle forbici nel pugno che premeva sul ginocchio. Steve si era piegato per avere il suo volto di fronte.

Non parlava più.

Attese.

Attese che Astrid dicesse qualcosa, che lo guardasse di nuovo. Perché lui non sapeva come prenderla, non l'aveva mai saputo. E aveva paura di fare qualsiasi cosa che potesse allontanarla da lui o che potesse farle pensare, anche solo per un momento, di detestarlo. Erano così fragili insieme. Erano così fragilmente instabili...

Astrid si rassegnò. Alzò gli occhi al cielo, sospirò rumorosamente e si buttò indietro con la schiena. 
Steve si prese un secondo per prendere coraggio. Studiò gli addominali completamente scoperti, la morbida piega che portava all'ombelico, disturbata dai segni di una lotta feroce, tremando davanti all'estrema disinvoltura della ragazza nell'esibire il proprio corpo senza pavoneggiarsi o vergognarsi. Si chiese se fosse davvero in lui il problema. Si piegò su di lei con cautela, cercando di non aggiungere del contatto superfluo. Sfilò uno per uno i nodi dello spago, ispezionando le cicatrici, titubante sullo sfiorarle con le dita o baciarle per tutta la lunghezza. Sperò che lei non si accorgesse del suo fiato sospeso.

Astrid dal canto suo, seguiva ogni gesto, domandandosi perchè il Capitano si ostinasse a pensare che meritasse le sue attenzioni. Seguì le grandi mani, le stesse che erano capaci di sollevare pesi immensi e allo stesso tempo di fare quei movimenti così accurati e delicati sulla sua pelle, come una volta faceva Samantha quando le intrecciava i capelli e le lasciava un piccolo bacio sulla testa, a metà tra l'affetto di una madre e quello di un'amante. Seguì la forma dei muscoli fino alla ferita pulita, di cui rimaneva un foro minuscolo e un alone arrossato che avrebbe voluto toccare per capire se fosse vero o fosse un disegno. Arrivò fino alle ciglia che scattavano da un centimetro all'altro delle sue cuciture, al naso che non era per nulla troppo adunco o storto o troppo appuntito, scese sul mento e notò che non fosse affatto troppo grosso o troppo squadrato. Poi decise di osare un po' di più, contornando con lo sguardo le labbra su cui mai aveva pensato di ricadere così a lungo. Quelle sì che avevano una forma strana. Forse perché quando non erano intente a dirle che cosa doveva e cosa non doveva fare, sembravano assopite.

La donna sul furgone avrebbe dovuto vederlo in pantaloni di tuta e canottiera, avrebbe dovuto vederlo la prima volta che lei lo aveva incrociato nella palestra e l'aveva fatta sentire sottile e microscopica soltanto con un'occhiata brutale. Avrebbe dovuto vederlo mentre era così dedito a curarsi di lei. Non avrebbe mai pensato che avesse qualcosa in meno del Capitan America originale. Perchè Capitan America non era solo l'immagine commerciale che appariva sulle riviste, con la divisa sgargiante che metteva in risalto i pettorali in tensione e le luci artificiali che illuminavano lo sguardo intraprendente. Capitan America era soprattutto gentilezza, bontà, onestà, amore. Era le mani che le accarezzavano il ventre con pudore, senza pensare di prendere il suo corpo senza consenso esplicito per soddisfare intimi desideri carnali, era lo sguardo che non si permetteva di sollevarsi verso il suo per accordare un pensiero sconcio. Capitan America era il rispetto in carne ed ossa. Forse con una puntina di impaccio che non guastava. Lui la vedeva come una persona. Non come un oggetto del desiderio. Non come un'arma da sferragliare in guerra. Non come uno strumento per perseguire i propri interessi. Forse non la vedeva più nemmeno come un'assassina o come una criminale o come qualcuno di cui sospettare.

Ma diamine, lei aveva quasi ucciso un suo amico. Aveva ucciso un uomo per puro godimento personale e lo avrebbe rifatto se l'occasione si fosse ripresentata. Era pronta per tradirlo e buttare all'aria tutto solo per sé stessa. Aveva pensato di fare seriamente le cose peggiori che si potesse immaginare su chi l'aveva fatta arrabbiare. E lui era lì che estraeva con attenzione quei pezzetti di spago dal suo corpo, respirando piano, quasi come se temesse di farle del male con un soffio.

Com'era diventato così? C'era un giorno in cui potesse fissare la data del cambiamento? Non se lo ricordava. Stark era sempre stato... ambiguo, ammiccante, provocante. Ma il Capitano? Era da quella mattina sanguinosa che la guardava in modo diverso o aveva iniziato precedentemente? Che provasse qualcosa per lei? Che fosse autentico? Che fosse un'infatuazione momentanea? E lei come aveva fatto a non accorgersene? E lui se n'era accorto? Era reale o solo una proiezione della sua mente esausta e confusa? 

-Ed ecco... l'ultimo. - informò Steve sollevando l'ultimo pezzetto con la forbice, usandola come una pinza. Le passò un dito sopra l'ombelico per togliere un capello e le fece il solletico senza volerlo.

Astrid contrasse di colpo gli addominali. Ridendo, si ritrovò a metà strada tra essere seduta e sdraiata. Il volto del Capitano era all'improvviso più vicino del previsto, giusto a qualche centimetro dal suo naso. Smise di ridere per studiare la curiosa reazione: le pupille del Capitano rotolarono sulle labbra trascurate di fronte a lui. Non fece niente per allontanarsi. E nemmeno lei.

"Baciatevi" aveva ordinato loro Natasha sulle scale mobili del centro commerciale. Certo. Forse loro due non se n'erano accorti, ma la spia russa non aveva perso un indizio. Astrid era sicura del fatto che, se lei e il Capitano si trovavano da soli in quel momento, non fosse prettamente per un motivo strategico, ma per una causa che Natasha aveva preso a cuore.

Lo sentiva anche in quel momento, il suo timbro vocale, spronarla a farlo, ad avvicinarsi, a conoscere fin dove il Capitano si sarebbe spinto, se l'avesse baciata con la cura con cui si maneggia un cristallo, con il garbo con cui l'aveva medicata la prima volta e adesso. Un pensiero malizioso la spinse a domandarsi che cosa sarebbe successo se lo avesse guidato contro il cuscino proprio in quel momento. Con quel poco che sapeva di lui, sulla sua relazione con le donne e col sesso, poteva aspettarsi di tutto. Si sarebbe intimorito? L'avrebbe lasciata fare o avrebbe fatto uscire la belva che era quando combatteva a mani nude? Si domandò se i suoi occhi potessero assorbire un'emozione più intensa di quella incerta dei suoi sorrisi spezzati, persi in una regione temporale a lui solo autorizzata.

Per una qualche ragione che non riuscì a focalizzare, le venne in mente come Stark le aveva subito messo le mani addosso, tagliando fuori i convenevoli, gli scervellamenti e tutto ciò che stava in mezzo, come se avesse capito esattamente che cosa volesse da lui, che casualmente proprio nello stesso frangente, combaciava con ciò che lui le aveva sempre chiesto implicitamente. Rievocò la lite e com'era andato a cercarla subito dopo, come l'aveva portata nel suo vecchio appartamento praticamente senza pianificare nulla, giusto perché facesse piacere a lei. E ora se lo immaginava mentre beveva come un dannato, fregandosene della compagnia, giusto per cancellare quella notte, le sue labbra, il suo corpo, il suo calore, calunniandola per punirsi, come faceva Astrid con sé stessa. Perchè alla fine gli faceva male doverla odiare, perché gli faceva male stare con una donna, magari una possibile compagna di vita, mentre sognava di fare l'amore con un'altra. Con tutta probabilità era solo una fantasia infondata, ma comunque strepitava per farla retrocedere.

Inoltre stavano accadendo tutte quelle cose con l'Hydra, con Loki... Non era il momento di lasciarsi andare di nuovo. E se le giustificazioni esterne non erano sufficienti, ce n'era una interna che avrebbe infierito volentieri: al posto della voce di Natasha e quella dei dubbi, si era sostituita quella della coscienza.

Per ogni cosa buona, ne fai una orribile, pensò Astrid, sgridando sé stessa. Hai intenzione di uccidere anche lui? Perché lui, lo ucciderai in questo modo, lo sai? Non ti servirà toccarlo, se non con un bacio. 

Lui non è Stark. 

Lui non si ubriacherà per te, né sembrerà averci provato. 

Lui non si vendicherà sulla tua reputazione. 

Lui assumerà ogni singola goccia dell'acido che gli donerai da bere finchè non si renderà conto che avessi premeditato la sua morte. 

E a quel punto, si lascerà morire. 

E la persona che prenderà il suo posto ti avrà cancellato completamente. 

Non hai il diritto di fargli questo. 

Vai via, prima che sia troppo tardi. 

Non promettergli niente di ciò che non puoi dargli.

Lo ucciderai.

-Non posso. - sussurrò Astrid a un millimetro dalla bocca del Capitano. Egli rimase appeso al silenzio ancora un poco, prima di realizzare. - Scusami - ripetè lei, allontanandosi. Ritirò le gambe da sotto il braccio di Steve. Come faceva sempre per scappare da una situazione a cui non sapeva far fronte, si avviò verso la porta. Affondò la maniglia con la mano.

-Stark... Per questo?

Astrid sentì una fitta al fegato. Si voltò verso il volto cupo dell'unico uomo da cui giorni prima non si sarebbe aspettata un sentimento tanto fragile nei suoi confronti. Fu come se le fosse arrivato addosso lo scudo, proprio tra le cicatrici. Con quello sguardo da cane bastonato, la stava accusando di avergli appena fatto un torto imperdonabile. 

Steve fece spallucce.

-Solo per sapere. Almeno so il perchè.

Doveva esserci per forza una spiegazione a tutto, secondo lui. E se lei semplicemente non voleva che succedesse nulla tra loro per non crearsi altre scocciature, per evitare qualcosa di spropositatamente stupido da addizionare ad un tempo scandito da costanti imprevedibilità? Avrebbe potuto minacciare i suoi piani. Avrebbe ferito ancora di più entrambi. C'era una spiegazione, ma lei non avrebbe mai confessato. Fu in quel momento che capì di volergli bene. Troppo bene, per approfittare di lui. E non poteva concederselo.

-Non essere stupido, Steve. - gli rifilò Astrid, cercando di rimanere impassibile. E si chiuse la porta alle spalle.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Insegnami ***


Neve e Cenere | MARVEL
 
35 . Insegnami
 

Whisky, whisky, whisky...

Samuel Wilson non si sarebbe mai accorto di avere una bottiglia in meno in casa. Qualsiasi alimento alcolico fosse stato nascosto nei reparti della cucina, sarebbe stato fatto fuori in men che non si dica.

Vodka, vino, birra.

Astrid Sullivan si affacciò in tutte le ante dello scaffale, sopra e sotto il lavandino e i fornelli, ma tra scatole di cereali, barattoli di legumi e di ravioli al sugo già pronti, le uniche bottiglie che trovò furono quella dell'olio, dell'aceto e della passata di pomodoro.

Dannazione, ma questo Sam si nutre solo di roba sana? Dev'essere una persona talmente noiosa!

Provò un tentativo disperato con il frigo. In fila nell'ultimo livello dell'anta erano incastrate una bottiglia di latte, una di acqua naturale e dell'aranciata.

Aranciata?! Ma che razza di ex militare è uno che beve aranciata e non ha nemmeno una fiaschetta di superalcolico in un cassetto?! Come diavolo fa uno che cerca di dimenticare di aver ammazzato delle persone e di averla scampata bella, senza alcol?!

Almeno nell'ultimo cassetto c'erano tre birre. Ma pensandoci bene, Astrid non aveva voglia di blanda e quasi analcolica birra.

Doveva cercare meglio. Era sicura che almeno del liquore doveva esserci da qualche parte. La gente ne regala spesso una bottiglia o due ai parenti o agli amici e non si sa mai che fine facciano, inglobatate nella vetrina del salotto e dimenticate. Riprovò negli stessi posti, spostando tutto di nuovo e finalmente... non le sembrava vero. Eccola lì, nascosta dalla fretta, a fianco ad una bottiglia di Orzata di origine italiana ancora sigillata - che Astrid scartò fin da subito - un contenitore in vetro e una targhetta con scritto "Brandy" con una stilografica. La baciò come fosse un miracolo. Tolse il tappo di sughero e l'etanolo danzò fuori dal recipiente, con un odore acre e raffermo, insolitamente forte. Lo assaggiò, sorseggiando a canna e il sapore indeciso le procurò una smorfia di disgusto. Era vecchio, ma non solo era vecchio: il riposo avrebbe dovuto renderlo più intenso e fascinoso, invece faceva proprio schifo. Chissà da quale baracchino saltava fuori? Non c'era scritto su nessuno dei lati del cartellino impiccato al collo della bottiglia. Si passò la lingua tra i denti per convincersi che non fosse poi tanto male. Bevve un altro sorso e le venne voglia di sputare tutto sul pavimento. Fece forza su sé stessa e ingoiò come fosse una medicina. Non era la collezione di Stark, era evidente. Dio, come le mancava! Quella porcheria era peggio della robaccia mediocre che poteva permettersi con i pochi spicci del vecchio lavoro.

Avrebbe voluto stare seduta a terra per scolarsi tutta quella sbobba orribile che non meritava essere chiamata col nome sull'etichetta, ma tracannare direttamente dalla bottiglia non permetteva sorsi molto lunghi e non era soddisfacente quanto una boccata piena. E poi non voleva rischiare di farsi scoprire immediatamente dal Capitano, nel caso in cui gli fosse venuto in mente di scendere per vedere che stesse combinando.

Era rimasta, schiena contro il muro, ad ascoltare i rumori lievi dei suoi passi nella stanza. Si erano silenziati poco dopo che era scappata. Ciò l'aveva, da una parte, sollevata perché non voleva la rincorresse per farsi dare una spiegazione che semplicemente non c'era. Dall'altra parte, le aveva lasciato un vuoto che nemmeno del cattivo Brandy era in grado di rabboccare.

Con tutta probabilità non sarebbe mai sceso. Non era così spavaldo da affrontarla dopo essersi fatto scoprire ed aver ricevuto un dissenso clamoroso. Era in Tony Stark andarle dietro e riprendere l'argomento, ma solo per ciò che gli interessava strettamente e quando era convinto di avere ragione, altrimenti avrebbe fatto spallucce e si sarebbe versato un bicchiere di whisky. Il Capitano era solito lanciarle occhiate e fare marcia indietro, trasformandosi in un muro impenetrabile. Si faceva rispettare solo qualcuno andava contro la sua autorità. Per le questioni più spicciole, come un bacio mancato, aveva una sorta di blocco. Lo stava imparando in quel momento.

C'era di nuovo troppo silenzio.
Per ogni veicolo che passava nelle vie vicine, tratteneva il respiro per ascoltare se si fermasse sotto casa, per far scendere una squadra armata che avrebbe portato via il Capitano e avrebbe ucciso lei a sangue freddo. Invece nessuna macchina si fermò davanti alla casa di Sam Wilson quella notte. Nessuna squadra speciale venne a far loro visita. Nella piccola villetta a schiera regnava la tranquillità più ordinaria. Un paio di gatti litigavano in un vicolo, la sirena di un'ambulanza schizzava storpiata dall'effetto della velocità sul suono. Niente di più eclatante.

Poggiò i gomiti sul piano da cucina e riempì il bicchiere fino all'orlo. Mandò giù tutto in una volta e poi di nuovo. Il vecchio e terribile Brandy cominciò subito a darle alla testa, come una botta contro un palo in fronte. Inevitabilmente, verso la metà del recipiente, si ritrovò con la schiena contro l'anta del forno e il sedere sul pavimento. La bottiglia premuta contro una tempia, iniziò a piangere quasi senza motivo. Benché di motivi ne avesse diversi, ma in quel momento non ce l'aveva con uno in particolare.

Se il Capitano l'avesse vista in quello stato le avrebbe tirato le orecchie. Le avrebbe strappato la bottiglia dalle mani e l'avrebbe trascinata fino in camera, costringendola a dormire.

Se Stark l'avesse vista in quello stato, le avrebbe tirato le orecchie... perché stava cercando di attentare alla propria vita ingerendo della robaccia scadente. Si sarebbe seduto di fronte a lei, avrebbe tirato fuori dalla tasca della giacca firmata la sua fiaschetta elegante, l'avrebbe portata alla bocca e gliel'avrebbe passata. Avrebbero parlato e riso come due dementi, avrebbero fatto l'amore sul tavolo della cucina, fregandosene dei coinquilini, o sarebbero rimasti a fingere di non essere attratti disperatamente l'uno dell'altro, fingendo che fosse solo il calore dell'alcol che stimolava un bisogno fisiologico. Solo ora si rendeva conto del perché di tutte quelle occhiate, di quelle allusioni maliziose che lei aveva tentato di ignorare per tutto il tempo. Se solo non avessero bevuto quella sera, nemmeno un sorso...
Neanche a lei l'alcol faceva un bell'effetto per i primi minuti. E ora stava svenendo. Lo sentiva scivolare via di nuovo dal suo corpo. Prosciugò di nuovo due bicchieri, uno dietro l'altro. Si asciugò le lacrime. Non sentiva più il suo pianto, non riusciva a controllarlo. Si tappò la bocca con la mano, ma i singhiozzi erano più forti della sua volontà brilla.

Sentiva la sua voce mentre buttava via tutto ciò che era solo loro, accartocciandolo e lanciandolo in un cestino festaiolo. Vedeva il suo sorriso mentre la scherniva, mentre si serviva da bere con quella sua nonchalance da uomo da palcoscenico: "Cosa pensavi che ci fosse tra noi? Amore? È stata solo una notte! Una cosa da niente! Ci siamo divertiti, tutto qui!"

Già... che cosa pensava che ci fosse tra loro? Era stata solo una notte, in fondo, nulla di più. Un'avventura. Una debolezza. Una sbandata. Si sarebbe risolto tutto senza più parlarne. O forse sarebbe accaduto ancora, ma sarebbe comunque rimasto nel contesto di una follia notturna.

"Aspetta, pensavi davvero che io fossi... innamorato... di te?! Sul serio?!"

Pensava davvero che si fosse innamorato di lei? Stark?! Nah... Forse provava una tenerezza, forse una simpatia, un'infatuazione passeggera, diluita dalla libidine rinchiusa nel vetro... Non amore. Non era così ingenua da crederci davvero.

E lei... cosa provava? Non era per lei l'amore, né tutte le smancerie che seguono. Eppure facevano così male quelle parole timbrate da quella voce che le mancava come l'alcol, anche solo immaginate. Perché continuava a pensare a lui? Ora doveva stare discretamente bene, era a casa con la sua donna, quindi perché qualsiasi cosa succedeva, in qualunque momento, continuava a tornare a lui? Forse si sentiva solo sola. Forse aveva solo bisogno di qualcuno con cui parlare la notte, quando non era capace di fidarsi della braccia del sonno, per paura che la trascinasse in luoghi oscuri in cui non voleva addentrarsi.

O magari... era il caso di ammetterlo. Tony Stark gli si era incastrato dentro. Le aveva dato ciò di cui non si aspettava di aver così bisogno da desiderarlo quando non c'era... per poi negare tutto.

Succede a volte, che alcune persone si inchiodano dentro di te e anche quando ti sfuggono, non riesci a liberartene. È un po' come se ti avessero legato delle catene alle costole per destinarti forzatamente a loro, con possessività, con presunzione e anche un pizzico di perfidia, costringendoti a seguirli nonostante ciò ti strappi via la vita. Tuttavia sai che per ribellarti potresti lacerarti il cuore, perciò continui a strisciare ai loro piedi, pregando che non facciano movimenti bruschi, pregando che non ti voltino le spalle, perché stai sanguinando e fai fatica a respirare, quando ti basterebbe un solo cenno per stare meglio, per sapere che non ti stai annichilendo inutilmente.

A volte capita che certe persone ti entrano dentro e si ritraggano dimenticandosi di qualcosa che trovi per caso e che impari a custodire fiducioso, rifiutandoti di realizzare che quel "qualcosa" è la causa del tuo male, giusto per trattenere ancora un frammento di loro, di voi, dentro di te.

È un veleno dolce, che sa di zucchero e di carezze, ma che ti uccide come un coltello può squarciarti in due nonostante l'anestesia dell'illusione non ti permetta di percepirlo.

La sua anestesia stava sbiadendo. Di nuovo. Riempì il bicchiere e si attaccò alla bottiglia, confusa, senza curarsi del fatto che un po' di quel Brandy insapore se l'era versato addosso. Non si allarmò neanche della presenza indesiderata che si era manifestata nell'angolo opposto della stanza e la fissava da qualche minuto, immobile e silenzioso come un elemento dell'arredamento.

Quando Astrid se ne accorse, raddrizzò la schiena come poteva, dal momento che era quasi sdraiata a terra. Stirò debolmente un angolo della bocca.

-Gradisci un po' di Brandy da poveri?

L'ombra sorrise all'invito.

-Prego. Non vorrei privartene.

Astrid mise a fuoco le ultime dita di superalcolico nel fondo del contenitore. Corrucciò le sopracciglia. Stava già finendo? Proprio quando iniziava ad essere quasi buono.

-Non gradisco in generale le inconsistenti bevande che si usano degustare sulla Terra. In aggiunta, non sono solito abbeverarmi che ai banchetti. Un bicchiere, non di più, di solito.

-Un altro astemio. Che palle! – sputò Astrid versandosi un altro sorso nello stomaco. Squadrò il Dio smeraldino mentre sorrideva con quell'incredibile solco lungo la bocca che doveva sembrare un sorriso, ma che dava i brividi persino a lei. – Allora? Sei venuto per prendermi in giro?

-Sono qui per aiutarti.

-Il buon samaritano! No, guarda... Sto bene come sto, grazie. – ribattè lei. E rise, pateticamente.

-Non fa per te metterti da parte. Questa resistenza ti consuma.

Astrid decise di stare al gioco per noia, per stanchezza, per curiosità, perché non aveva nulla da perdere. Si sfregò un occhio, sospirò per ricomporsi, ma gli veniva da ridere.

-Cosa mi consigli?

-Io posseggo qualcosa che brami con ardore. Tu la capacità di procurarmi ciò di cui necessito.

-Vuoi lo Scettro e il Tesseract per la fiala? Non puoi procurarteli da solo?

-Ahimè, lo avrei già fatto se sapessi dove essi vengono custoditi...

-E come faccio io a sapere dove stanno?

-I tuoi amici potrebbero.

-Vuoi che... faccia il doppiogioco?

Loki fece una faccia che sembrava celare la soluzione segreta, proibita e allo stesso tempo la più pericolosamente attraente. Affondò la schiena nel divano su cui si erano seduti Astrid e il Capitano poco più di due ore prima. Attorno a lui, tutto sembrava costruire un'ambientazione lugubre e raccapricciante. Persino un semplice divano sembrava una componente terrificante, grazie all'ombra che si spalmava tra le pieghe come per appropriarsi del territorio.

-Come faccio a sapere che ce l'hai ancora tu, la fiala, e che non l'hai buttata? Come faccio a sapere che non mi vuoi ingannare? – E mentre finiva l'ultima frase, nella mano del Dio era apparsa la fiala incriminata, il liquido scuro all'interno. Completamente intatta. - È un'illusione? - domandò lei scettica.

-Forse. Oppure potrei essere più onesto di quanto pensi. Sta a te decidere se fidarti della mia parola, come io della tua lealtà.

Astrid poggiò la bottiglia e il bicchiere sul pavimento, giocandoci col dito. Ci stava pensando davvero, come l'ultima volta. E non era la sbronza. Quella stava passando, lasciandole solo un alone di mal di testa. Stava pensando seriamente a come avrebbe dovuto muoversi per far funzionare tutto, per non essere scoperta. Lo scontro aperto e più temuto era inevitabile in ogni scenario alternativo.

-La tua anima non agogna altro. Io lo so.

-Prima che arrivassi, stavo provando ad accettarmi per ciò che sono e tu continui ad allettarmi per spingermi sulla strada sbagliata. – Il livello del Brandy sfiorò il bordo del bicchiere e rimase lì a sballottare nel suo moto centrifugo. Non era vero che ci stava provando, era una scusa. Era una bugia che voleva raccontare a sé stessa, a cui aveva intenzione di credere intensamente, senza praticarla davvero.

-Non è necessariamente sbagliato sentirsi attratti da un bisogno. E tu hai bisogno dei tuoi poteri. Non vedo dove possa regnare il male in ciò.

-Voglio anche la vendetta. Voglio anche farla pagare a Hoffmann... - e a Stark, voleva aggiungere, ma si fermò prima di renderlo ufficiale. Fece una smorfia mentre ammazzava il fegato, incurante delle anormali tempistiche di guarigione. – Mi piace rubare l'energia degli altri corpi per aumentare la mia, anche se questo può causare la loro morte. Non c'è proprio nulla di male in ciò. Proprio nulla. – Ironizzò, tutt'altro che divertita, fissando un punto vuoto, orripilata da sé stessa.

-Quindi hai convenuto che avessi ragione.

Il sorriso di Loki si illuminò nel buio come una serie di piccole lucide mattonelle bianche che facevano rimbalzare la fioca luce penetrante dalla finestra. Astrid si prese del tempo per rendersi conto che aveva definitivamente svilito la propria immagine. Gli aveva dato ragione senza nemmeno pensarci. Bevve per costringersi ad accettare il pensiero.

-Ti avevo avvertita. Tu non sei come loro. La tua Natura è differente.

-Come fai a sapere qual è... la mia Natura? – Era una domanda che si rimandava dalla prima volta che aveva sentito l'affermazione.

-Perchè è similare alla mia.

-È per quella cosa che succede quando ci tocchiamo?

-In parte.

-Mi è successa anche toccando il Gigante e anche quando Wanda è entrata nella mia mente...

-E quando hai carbonizzato in modo esemplare quella manciata di vili esseri umani.

Astrid deglutì un grumo più amaro degli altri.

-È la stessa cosa che ti permette di diventare invisibile e di far apparire cose dal nulla?

Loki si piegò in avanti, i gomiti sulle ginocchia, i palmi l'uno di fronte all'altro. Un laccio di fili dorati e luminescenti fluì dai polpastrelli e si intrecciò in uno scarabocchio nell'aria. Astrid schivò il bicchiere e gattonò verso di lui per guardare meglio. Non aveva mai visto una cosa del genere. Era diverso dal potere della Strega... Non sapeva in cosa, ma era diverso. Lo sentiva... Come se si fosse insediato sotto la sua pelle, lo sentiva muoversi come un branco di sottili serpenti tra i muscoli e le ossa. Era una sensazione strana e anche piuttosto viscida, insidiosa, ma quel gomitolo di luce era meraviglioso da guardare mentre si attorcigliava su sé stesso come fosse vivo. Voleva toccarlo e scoprire se fosse fluido come appariva o fosse costituito di pura energia.

-Cos'è?

-Noi lo chiamiamo seiðr. E fa molto di più di farti diventare invisibile o far apparire oggetti dal nulla.

-Come fai a farlo?

-Non è qualcosa che si fa. O ce l'hai e sai usarlo o ce l'hai, ma non hai le capacità di plasmarlo, oppure non ce l'hai e basta. Un esperto maestro di Arti Magiche ti insegnerà come usufruire di ogni sua espansione. Ti serve solo un adeguato addestramento.

-Aspetta, aspetta, aspetta... Mi stai prendendo in giro, vero? Tu non stai dicendo sul serio. Io ho davvero quella cosa dentro di me!

-Osserva tu stessa.

Le offrì un palmo vuoto. Astrid comprese più tardi che Loki stesse attendendo che lei avvicinasse la sua mano. La cosa non la convinceva, ma si lasciò incuriosire. Come previsto, nel momento in cui le loro dita si toccarono, la pelle di entrambi mutò di colore, spellata da un sottile bagliore dorato. Eccolo. Era quello. Non vi aveva mai dato piena attenzione, ma era lì, era dentro di lei, ce l'aveva anche lei.

Astrid ritirò il braccio prima che si ricoprisse di squame di carbone e venature di lava. Il ghiaccio non ci mise molto a rivoltarsi contro il bollore. Con l'antidoto non sarebbe successo. Con l'antidoto non si sarebbe sentita così abbattuta da tutto ciò che le stava capitando. Tuttavia, le parole del dottor Hoffmann erano chiare: una parte di sé sarebbe svanita. Astrid pensò che se fosse veramente come diceva Loki, forse quella parte che avrebbe perso con il siero, sarebbe potuta essere soppiantata dal potere nuovo che avrebbe sviluppato.

Un altro passo verso la fiala. Un altro passo verso sé stessa. Un ampio passo lontano da tutti i problemi.

-Ho capito cos'eri la prima volta che ti sei mostrata a me per il tuo vero aspetto, senza intenzione. I nostri seiðr interferiscono tra loro e a contatto con un essere che deriva dal nostro stesso Regno di appartenenza, annullandosi, come meccanismo di difesa.

-No, no, no... - Astrid scosse la testa - I-io non sto capendo niente. Cosa vuol dire che mi sono mostrata a te per il mio... vero aspetto?! Cosa vuol dire Regno di appartenenza? Cosa sono?!

-Avrai ogni risposta a tempo debito. – sancì Loki alzandosi in piedi. Si spolverò la tunica, fece qualche passo nella stanza. Astrid seguì il suo mantello con la coda dell'occhio. Avrebbe voluto urlare. - Potresti diventare molto di più di ciò che eri prima. Potresti fare cose che non avresti mai immaginato.

-Insegnami... - sussurrò Astrid, con un filo di voce, senza poter frenare la lingua, come se le fosse uscito dal petto e da ogni singolo centimetro del suo corpo.

-Non basteranno lo Scettro e il Manufatto per questo...

Astrid alzò in alto lo sguardo, verso le iridi cucite dal gelo, invidiandole come si invidia un'arma di assoluta potenza e bellezza, desiderandola per sé. Loki sapeva vendersi bene. Adesso aveva davvero qualcosa che lei agognava con tutta l'anima.

A volte capita anche che ti lasci sopraffare dal dolore solo perché non hai la forza di tirare dalla tua parte le catene che ti impediscono di correre o di cacciarti due dita in gola e vomitare il veleno che ti indebolisce. Altre volte devi fare un gesto estremo per tornare di proprietà di te stesso. Quelle volte devi farti un male atroce per dimenticare il dolore che ti affligge.

A volte devi distruggerti per poterti vendicare.

-Che cosa devo fare?

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Benzina ***


Neve e Cenere | MARVEL
 
36 . Benzina
 

Sette ore dopo.

Sitwell non voleva stare fermo al suo posto. Navigava da un lato all'altro del sedile, un po' accostandosi sulla spalla di Natasha e un po' a quella di Astrid. Ad una curva si sentì autorizzato ad appoggiare una mano sulla coscia della seconda.

-Mi scusi. Non era mia intenzione. - blaterò l'uomo, ricomponendosi.

-Tenga le mani dove devono stare, altrimenti gliele trasformo in un paio di moncherini carbonizzati. - sibilò Astrid fulminandolo con gli occhi.

Lo sguardo sorvegliante del Capitano intercettò le iridi di brace dallo specchietto e scappò via, per non rimanerci incastrato.

Natasha allungò un braccio e le diede un pizzico sul ginocchio. Un cenno col mento e i dischi smeraldini che avevano afferrato ogni dettaglio nelle ore precedenti, adesso attendevano che la loro curiosità venisse soddisfatta.

Astrid era corsa in cucina appena aveva sentito bussare alla porta e la sua voce riecheggiare tra le mura di casa, ma ora stava iniziando a scocciarla. Si erano riuniti da poco più di quattro ore e già cominciava a sperare che si dividessero di nuovo. Aveva iniziato ad assillarla appena usciti dalla base militare di Fort Meade, poi sul tetto del palazzo dal quale Sitwell era partito per farsi un giretto sulla giostra del panico in caduta libera, e ora stava ricominciando. Non le era bastato il muro repulsivo che si erano creati entrambi gli interessati. Scoprire il motivo per cui Astrid facesse finta che non fosse successo niente e per cui il Capitano fingesse di non darvi importanza stava diventando un'ossessione. La fuga di occhiate, gli occhi bassi, la tensione palpabile e soprattutto l'espressione amareggiata che appariva sul volto di Astrid quando qualcosa non era andato come voleva lei, si stavano imponendo sulla forza di resistere alla tentazione di chiedere ed indagare.

Una smorfia era apparsa su quel viso infantile, fermo in un'adolescenza eterna e cicatrizzato in una malinconia fin troppo matura. Un angolo del labbro appeso al disgusto, che chiunque avrebbe potuto interpretare come l'incrinatura dell'umore di chi ce l'ha col mondo per politica o perché ha dormito poco. Natasha non si sarebbe fermata ad una conclusione così sbrigativa. Era da tempo che non la vedeva in quel modo, più o meno da quando aveva messo piede alla Torre. E se da un lato non sembrava niente di speciale, dall'altro, si aggiungevano un paio di occhi cerulei più feriti del solito, sommersi in un nuovo eco sofferente. L'atteggiamento distaccato e quasi estraneo che si rifilavano lei e il Capitano dava ancora più importanza alla sua intuizione. Per questo la Vedova ci si era aggrappata con sentimento e non era intenzionata a lasciarla andare.

Astrid corrucciò le sopracciglia, sul punto di afferrare a mano piena il cranio di Sitwell e spiaccicarlo contro il retro del sedile finchè non avesse sfogato tutta la pazienza che la stava abbandonando. Mancò poco che le rispondesse come aveva parlato al proprietario del corpo che le separava. Serrò i denti perché non le sfuggissero parole scortesi. Non serviva che Astrid emettesse particolari suoni affinchè facesse intendere che era sufficiente, anzi che era necessario che il gioco terminasse proprio in quel momento, poiché lei non lo avrebbe sostenuto ulteriormente.

-Che succede là dietro? - chiese Sam con sospetto.

Natasha si portò avanti col busto.

-Stavo pensando che i nostri due musoni qui presenti, si stanno comportando in modo più strano del solito e...

-Non insistere, Natasha. - fece Steve tagliente, quasi meschino.

Il sorriso furbesco di Natasha si spense in modo definitivo. Lanciò la schiena contro il sedile, braccia conserte, ingoiò la sconfitta. Erano più cocciuti del previsto. Eppure, in qualche modo aveva avuto la sua conferma. Era successo qualcosa e prima o poi sarebbe saltato fuori.

All'intromissione definitiva del Capitano, Astrid provò di nuovo quella fitta al ventre della notte precedente. L'alcol non era mai stato un buon anestetico per lei. Percepiva ancora le mani leggere percorrere le sue cicatrici come su una stoffa pregiata, invece che sulla pelle di una premeditante disertrice. Si stava maledicendo per avergli permesso di avvicinarsi a lei così nocivamente. Decisamente il Capitano non sarebbe mai stata la vendetta adeguata. Era stata saggia a non usarlo come valvola di sfogo. Quel piccolo immenso "niente" che era accaduto quella notte gli aveva recato più danni del previsto. E adesso ce l'aveva con lei perché non era stata disposta ad illuderlo. Dannazione, era precipitata in una fiction d'amore?

Basta. Basta. Doveva scoprire dov'era finito il Tesseract e lo Scettro, recuperarli e portarli a Loki per riavere i suoi maledetti poteri. Era quello il suo obbiettivo. Non poteva lasciarsi distrarre dal fatto che il Capitano aveva ripreso a trattarla come un'intrusa nonostante fosse tornata in camera con la coda tra le gambe ed era rimasta ad osservarlo nel buio, sperando che fosse sveglio anche lui, fantasticando di scusarsi, compiangendo il fatto che gli avesse fatto intendere qualcosa che non c'era. Non poteva lasciare che i suoi intenti venissero scavalcati dalla delusione che l'aveva costretta a fingere di dormire quando la voce di Steve non l'aveva svegliata, facendole capire che avesse deciso di ignorarla completamente. Era inutile che si sentisse così demoralizzata. Parlargli non avrebbe cambiato il suo bersaglio. L'avrebbe mosso solo più lontano. Doveva far terminare l'era in cui si lasciava convincere dai buoni propositi e dalle buone maniere. Aveva perso troppo tempo con le sciocchezze. Tesseract, Scettro, poteri. Tutto il resto non contava.

Qualcosa di pesante atterrò sul tettuccio dell'auto con un tonfo, piegandolo proprio sulla testa di Sitwell. Il parabrezza posteriore venne sfondato da una mano di metallo. Natasha spinse Astrid con un calcio contro la portiera, tirò Sitwell verso di sé. Una presa disumana afferrò e tirò il braccio di Astrid all'indietro. Natasha sfilò la pistola e iniziò a sparare mirando alla sagoma immaginaria del proprietario del braccio bionico, il quale effettivamente decise di farlo uscire dall'abitacolo, ma senza allentare la presa. Astrid si vide sgusciare fuori dal veicolo come uno dei tanti pezzi di vetro che schizzarono via con lei. Venne scaraventata contro il parabrezza dell'automobile che li seguiva, il cui conducente fece un paio di curve spaventate per togliersela dalla visuale. Astrid si aggrappò ai bordi della carrozzeria, ma uno schianto la fece balzare in aria e picchiare di nuovo la schiena, questa volta su qualcosa di meno flessibile: l'asfalto. Fece una capriola di lato mentre un clacson le urlava di spostarsi. Si alzò in piedi disorientata e senza fiato, schiacciandosi contro l'estremità della strada. Fece appena in tempo a vedere il lato del camion che stava per investirla, sfrecciare a un palmo dal suo naso.

Alzò lo sguardo: nel traffico, parecchi metri più avanti l'auto di Sam Wilson rotolava come un cartoccio di carta stagnola. Saltò sul guardrail di cemento per acquisire una visuale maggiore. Un dito di vento le sfiorò lo spazio tra il naso e le labbra scivolando su dell'umido fresco. Sul dorso della sua mano rimase una striscia di sangue. Rosso, come la stella sul braccio lucente del soldato dall'Hydra che era sceso da un furgone blindato impugnando un mostro di arma, probabilmente un lanciarazzi. Mirava ora verso il Capitano e la Vedova. Le gambe di Astrid iniziarono una corsa furiosa. Negli occhi il riflesse dell'esplosione che proiettò il Capitano in un moto parabolico, verso l'alto e poi precipitosamente giù dalla sopraelevata. Quattro agenti seguivano il mascherato, sparando a raffica verso Natasha e Sam.

Astrid trovò il suo vantaggio: poteva attaccarli alle spalle. Richiamò le fiamme dalla mano, ritrovandosi con un pugno di ghiaccio compatto quanto la pietra. Si era totalmente dimenticata della disfunzione dei suoi poteri. Non aveva mai combattuto con il suo lato glaciale, non sapeva se sarebbe durato a lungo, ma non aveva altra scelta.

Ghiaccio contro metallo. Vediamo chi resiste di più.

Saltò sul tettuccio di un'auto in corsa e balzò al momento giusto, addosso al soldato a sinistra dei due in mezzo al quartetto in linea. La testa del primo uomo schizzò all'indietro battendo contro la pancia del SUV cappottato che tagliava la strada. Astrid scivolò sotto le gambe del secondo e prima che potesse voltarsi, gli assestò un calcio alla schiena forte abbastanza perché la sprovvista gli facesse perdere il controllo dell'arma che lei gli sbattè sulla nuca dalla parte dell'impugnatura. Un proiettile colpì la tempia del terzo alle sue spalle. Astrid lo vide accasciarsi ai suoi piedi dopo aver udito il colpo. Non lo aveva visto, doveva ammetterlo. Grazie, Nat. Una sferragliata di proiettili colpì il telaio della macchina alla sua sinistra rimbalzando sul suo braccio. Ruzzolò per trovare riparo dietro l'auto capottata, mentre le scintille e i bussoli fischiavano e tintinnavano come campanelle. Erano saltati fuori altri soldati. Ce n'erano troppi.

Un'altra detonazione sollevò una nuvola di combustione proprio dove Astrid avrebbe giurato di vedere sparire una chioma fiammante. Alzò il capo per cercare il volto di Natasha. Allungò il collo, ma non la vide. Il rumore dei proiettili schizzò poco distante dalla sua testa e si dovette abbassare. Cazzo. Stavano venendo verso di lei. Nessuno le avrebbe coperto le spalle. Avrebbe potuto ricoprire tutta la pelle di ghiaccio, ma gli ematomi che le si stavano formando sulla pelle non la rassicuravano sul possibile esito. Inoltre, ora che era ferma e il livello di adrenalina si stava abbassando, accusava un dolore penetrante al braccio sinistro. Premette una mano sul punto incriminato e capì che era stata fortunata perché quel proiettile avrebbe potuto colpirla più a destra, verso le costole e i polmoni, invece si era conficcato sopra il gomito.

Aveva bisogno di armi. Armi a distanza. I pugni non bastavano. Aveva bisogno del fuoco.

Il Soldato dell'Hydra apparve da una barricata a qualche metro da lei: puntò di sotto, riparato dal guardrail. Solitario. Isolato.

Era la sua occasione. Doveva provarci.

Strinse i pugni ricoperti da spuntoni, scattò in piedi e cominciò a correre tra le auto ferme, testa bassa, pregando di non essere colpita un'altra volta dai guizzi di metallo che trapassavano l'aria, inseguendola senza tregua.

Il soldato mascherato la inquadrò con calma, strappandosi la maschera che gli proteggeva la vista e lanciandola a terra. Si voltò senza allarmarsi, leggermente infastidito nel realizzare di non averla fatta fuori al primo colpo. Sollevò l'arma verso di lei. Astrid non smise di correre, ma capì in quel momento che non aveva scampo. Bastava un colpo, solo uno. Quegli occhi così plumbei, assenti, rimpinzati di verità fasulle e di obbiettivi inconsistenti... li aveva già visti. E lei sapeva che non l'avrebbe mancata. Il Soldato d'Inverno non mancava mai l'obiettivo. Il Soldato d'Inverno non falliva mai la sua missione.

Accadde in una pulsazione.

Nel momento in cui Astrid pensò di saltare sul guardrail e buttarsi di sotto, un'auto che stava superando decise di scoppiare, invadendo l'aria di un alito ardente. L'onda d'urto lanciò lei e il veicolo in aria.

Astrid smise di respirare, travolta dalla gravità. Il suo corpo si schiantò contro la carcassa di un autobus rivoltato e atterrò sull'asfalto ricoperto di residui spinosi, fiacca, come un fantoccio.

Per un momento percepì il terreno sciogliersi e accogliere il suo corpo nelle profondità della Terra, avvolgerla in un vortice senza luce e cullarla, mentre tutto girava e perdeva colore e perdeva forma e perdeva senso.

Forzò le palpebre a rimanere aperte, le braccia a sollevarla e le gambe a mantenerla in piedi, mentre si rendeva conto che le ombre e le urla che distingueva faticosamente fossero dei civili che scappavano, poiché arrivavano al suo cervello separatamente, come in un film montato con l'audio o il video in ritardo.

Si appoggiò con la schiena al tetto del bus, mentre il suo cuore pompava sangue nelle orecchie con un ritmo da corsa campestre. Sentiva le estremità delle dita insolitamente rigide e insensibili. Allo tesso tempo la pelle le pizzicava come se qualcosa poco distante da lei stesse andando a fuoco.

Il suo naturale radar termico percepì del movimento all'interno del bus. Forse qualcuno era rimasto intrappolato. Non potè assicurarsene poiché un istante più tardi, il bus era sotto attacco dalla manciata di soldati che si era lasciata alle spalle e dovette darsela a gambe. Si riparò dietro un muretto e osservò il parabrezza posteriore del mezzo sgretolarsi di colpo, partorendo la figura del Capitano, il quale rotolò protetto dallo scudo.

Con la coda dell'occhio notò un riflesso argenteo che era atterrato su un'auto. Si voltò appena in tempo per capire che ce l'avesse con lei. Astrid si alzò in piedi con previsione, ma non bastò. Alle sue spalle tuonò una detonazione che la raggiunse e la spinse in avanti. Astrid ruzzolò sull'asfalto assieme al fumo e ai pezzi di ferro, di cemento e di plastica che si schiantavano al suolo come lapilli di un vulcano. Lasciò che il caldo abbraccio dell'incendio le percorresse il corpo mordicchiandole la pelle. Sollevò lo sguardò verso gli stivali neri del soldato che, caricando l'arma, si addentrava nel caos, pensando che con lei avesse finito.

Gettò uno sguardo al Capitano che se la stava cavando da solo e si trascinò verso un luogo piu protetto: dietro un cassonetto rivoltato. E proprio mentre si rialzava, mise a fuoco un oggetto interessante: una tanica di circa quattro litri nascosta tra gli steli d'erba selvatica, dietro il parapetto di ferro contro cui si era accartocciata un'automobile abbandonata. Si rimise in piedi, raccolse il contenitore da terra e parò le spalle con il muro di sostenimento della sopraelevata. Svitò i tappo nero e osservò il liquido al suo interno. Non c'era bisogno che avvicinasse il naso per capire che fosse... benzina.

Il Capitano le filò accanto come un razzo. Appena si accorse di lei, si fermò a guardarla.

-Che stai facendo?!

Cercò di non pensare al fatto che sarebbe sicuramente finita a chiappe per aria un'altra volta. Non sapeva se sarebbe stata una buona idea, ma era l'unica che aveva.

-Pausa doccia.

Astrid sollevò la tanica sulla testa e lasciò che il luquido la lavasse. Se lo buttò sul petto, sulle braccia, sulle gambe.

Più fuoco, più calore, meno ghiaccio.

Scosse i capelli, lanciò la tanica e si asciugò la faccia con la mano meno bagnata. Schioccò due dita, due volte, perché la prima non funzionò. La scintilla dell'attrito alimentò le fiamme che presero a scatenarsi sulle braccia. Emise una risata isterica e si mise a correre.

-Gesù, quella ragazza è completamente pazza! - fece la voce di Sam calando dal cielo, a fianco di un Capitano esterrefatto.

-Sì. Lo so.

Esplosioni, spari, frastuoni indecifrabili si sovrapponevano l'uno sull'altro. Lo sgommare di pneumatici, l'infrangersi di vetri, lo scoppiettio del fuoco, l'ammaccamento del metallo. Allarmi perpetui, sirene di volanti, urla, richieste di aiuto. Figure impazzite che zigzagavano nel traffico, ammassandosi e disperdendosi tra il fumo e i veicoli incustoditi. Il Soldato d'Inverno era in mezzo al disastro confuso, fiutando il territorio come una bestia cacciatrice. Cercava la sua vittima imbracciando il lanciarazzi, ma la Vedova si era nascosta bene.

O forse no.

Il Soldato saltò sul cofano di una macchina. Mirò. Sicuro.

L'aveva trovata.

Il Capitano fece uno scatto piu veloce e gli fu addosso. Astrid si infilò tra di loro per mettere i bastoni tra le ruote all'Hydra. Schivò un pugno di metallo massiccio, che graffiò l'aria, piegandosi sulle ginocchia. Gli scivolò tra le gambe fregandogli un coltello dalla cinta. Glielo avrebbe conficcato nel collo se lui non si fosse voltato più velocemente sporgendo il gomito appuntito che andò a colpire il dorso del braccio della ragazza. Il proiettile vibrò nel muscolo. Astrid strinse i denti, mentre andava a sbattere contro il finestrino di un'auto. Si scaraventò di nuovo su di lui, mentre il Capitano lo attaccava dall'altro lato.

Il soldato dell'Hydra non si fece intimorire. Assestò un pugno di piombo contro la mascella del Capitano, rilanciò lo scudo al proprietario, il quale slittò all'indietro con i piedi. Si scrollò la ragazza dalle spalle, la sollevò da terra come un ramoscello e la spinse contro il furgone alle sue spalle. Astrid riuscì ad infilare un ginocchio per tenerlo a distanza, sebbene servisse a poco. Premeva il coltello contro pomo d'Adamo dell'uomo, mentre la mano d'argento strozzava le sue giugulari.

Astrid sentì il sangue affluire tutto in testa, le dita perdere vigore, il coltello scorrere dal suo palmo e rimbalzare al suolo, dove i suoi piedi non arrivavano. Afferrò il braccio freddo con entrambe le mani. Nessuna vibrazione trapassava le squame di metallo, solo quella degli elettroni nei circuiti: Vibranio. Non sarebbe riuscita a deformarlo nemmeno nel pieno dei poteri.

Le fiamme interne si spensero per la mancanza di ossigeno. Quelle che si nutrivano della benzina e del tessuto combusto, danzavano incontenibili in mezzo alla linea dei loro sguardi.

Emergeva ora, più vivida, tra i ricordi annebbiati da un'aura azzurra, la sagoma di un soldato silenzioso. Ciuffi lunghi e scuri davanti al volto, uno sguardo che incuteva timore e tristezza allo stesso tempo, un braccio lucente, una stella vermiglia sulla spalla... Le urla che sentiva negli incubi ricorrenti non erano solo le sue. Un altro strazio echeggiava nel buio. Un ringhio di dolore e di accettazione. Una forza senza memoria per cui ribellarsi. Uno sguardo senza dimora. Un Soldato senza nome.

-Soldat... - le uscì mentre soffocava.

Un bagliore, uno scatto di palpebra, uno spasmo incerto tra le sopracciglia. Ecco quale fu la risposta. Un istante di incertezza. Solo uno. Brevissimo. Praticamente impercettibile. Dopodichè la mano di Vibranio rinnovò la stretta. La testa di Astrid colpì la carrozzeria solida più brutalmente, e ancora e ancora e ancora...

Gli occhi vuoti la vedevano senza guardarla. Non la riconoscevano. Era passato troppo tempo. Quante volte ti hanno resettato ancora?

Una colluttazione metallica annunciò una tregua. Astrid incontrò di nuovo il suolo. Tossì esasperatamente, mentre la vista ritornava più omogenea, lo sciame di puntini neri si dissolse. La gola le pulsava come se le fosse rimasta incastrata una pallina da ping-pong nel dotto respiratorio e le si fosse legato attorno un collare in cuoio.

-Fatti da parte. A lui penso io! - esclamò il Capitano mentre se lo portava via con una presa al collo.

Fatti da parte.

Le faceva salire un tale nervoso quando la trattava come se fosse inutile... Dovette accontentarsi di guardare i due Soldati combattere, ruminando l'insoddisfazione. Si era unito anche Sam con la sua armatura alata. Mancava qualcuno: Natasha. Dov'era? Si era nascosa. Forse era ferita, aveva bisogno di soccorso. Cominciò a cercarla tra le vetture, salì sul tetto di una macchina e chiamò il suo nome, finchè il rombo di un branco di furgoni scuri non la distrassero. Non era finita. Qualcuno le sparò addosso.

Astrid balzò a terra. Richiamò le fiamme e andò loro incontro, virando la direzione dei proiettili con ondate di calore quando lo slalom tra le macchine la esponeva agli spari. Si gettò su un uomo che sporgeva da un veicolo e lo buttò a terra. Entrò dalla portiera aperta, mentre ancora il furgone viaggiava. Tibrò la faccia di un uomo con le nocche e gli sfilò l'arma dalle mani. Si arrampicò sul tetto e sparò a sua volta contro il conducente e tutt'attorno a lei, abbattendo diversi agenti. Il sangue che schizzava dal petto o dalle braccia, crollavano all'indietro come pupazzi. Il veicolo virò di colpo contro un palo. Atterrò malamente, mentre la benzina le consumava ancora i vestiti. I soldati la cerchiarono, intimandola ad abbassare l'arma, le canne puntate.

L'esercito dell'Hydra sembrava più valoroso e temerario di quello dello SHIELD. Ma comunque rimanevano un branco di illusi.

Astrid strinse i pugni e canalizzò l'energia per espanderla fuori dal suo corpo tutta in una volta. Un cerchio di fiamme si espanse dai suoi piedi e andò a spalancare il placcaggio con un'onda esplosiva. Tutti gli agenti vennero catapultati all'indietro con impetuosità. Le piaceva un sacco fare quella mossa, ma le costava una quantità di energia spropositata. Soprattutto ora che stava calando e la temperatura del sangue iniziava ad abbassarsi vertiginosamente.

Prima che potesse riprendere le forze, un potente getto d'acqua la prese in pieno. Astrid cercò di mantenere la stabilità verticale incrociando le braccia davanti al volto, mentre il ghiaccio tornava alla ribalta sostituendo la benzina incendiata e conquistava ancora più spazio, creando una parete concava in cristallo che la riparava dalla violenza del getto. Quando essa smise di spingere, quasi cadde in avanti. Aveva le braccia incollate e dovette far forza contraria per separarle. I frammenti di ghiaccio si sparpagliarono a terra come granelli di diamante.

Si guardò attorno per capire da dove provenisse l'attacco. Una fulminea pressione al collo le fece alzare un braccio verso la freccetta che pendeva dalla sua pelle. La staccò e notò il lungo ago sulla cui punta sgocciolava del liquido blu vivace. Hoffmann. Maledetto.

Fu ancora più certa che fosse il siero quando le sue dita smisero di stringere il dardo soporifero. Con lo sguardo seguì il precipitare della coda colorata, a rallentatore, stupita che non sentisse alcun dolore, nemmeno quello al gomito. Tutti i nervi del suo corpo avevano smesso di funzionare. 
Astrid si accasciò al cedimento delle gambe. Non percepì nemmeno il pavimento ruvido contro la faccia.

Un gruppo di ombre l'accerchiò mormorando parole confuse.

Le immagini si sdoppiarono per poi riunirsi, sdoppiarsi di nuovo e sfocarsi.

Macchie di colori rappresentavano gli indumenti del Capitano inginocchiato, tragicamente arreso. Che cos'era successo? La sua lingua era troppo pesante per articolare la domanda.

Si lasciò trasportare mollemente sul furgone mentre si assopiva, chiedendosi perché solo lei si sentisse così spossata, mentre gli altri erano ancora vigili e gli occhi del Capitano avevano ancora forza di condividere questioni impegnative.

Chiuse le palpebre. La testa poggiata alla parete dura. Anche respirare stava diventando un lavoro esigente.

Smise di lottare.

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Fino alla fine ***


Neve e Cenere | MARVEL

37 . Fino alla fine


La diga si ergeva dividendo il fiume e il bosco spoglio che vibrava nella nebbia sembrava volerle stare alla larga, secco e cupo. L'acqua sgorgava impetuosa, ma era troppo lontana perchè l'orecchio potesse catturarne il pieno fragore. Il letto di cemento si allungava per chilometri accogliendo la scia del serpente cristallino che vi adagiava, ma l'occhio di Steve non seguiva la sua forma per catturarne i dettagli, non si arrampicava sulle punte dei rami o sulle cime dei palazzi della città che scompariva all'orizzonte, per apprezzarne la malinconia delle sfumature invernali e imprimerla posticipatamente su un foglio. Esso vagava indeciso sul paesaggio come un uccello assonnato. Dondolava tra due tempi come il pendolo di un orologio rotto.

Steve se ne stava in piedi, le mani nelle tasche, la giacca che sbatteva nell'alito glaciale sputato da un cielo torbido e insicuro. Se ne stava in piedi e nulla avrebbe perturbato la sua immobilità, se non un nome o un volto che sarebbe dovuto rimanere rinchiuso in una cassaforte eternamente buia, assieme alle fotografie astratte che aveva dovuto archiviare. Un tassello di quel puzzle di immagini gli era stato rubato di nascosto e quando aveva potuto stringerlo di nuovo tra le mani era apparso il danno, l'increspatura, lo squarcio, la macchia indelebile che avrebbe reso quel tassello inutilizzabile, mai più quello di prima. Cosa fa più male, perdere per sempre una parte di te stesso o ritrovarne un frammento scoprendo che non c'è più nulla di te in esso?

-Dovresti metterti una sciarpa attorno a quel collo. – Natasha fermò i piedi a qualche centimetro da lui. Non si preoccupò del suo silenzio. Sapeva che i suoi pensieri pesavano di più di un'infermità assolutamente banale come un raffreddore. Allineò una spalla alla sua e iniziò a fissare la foschia, imitando lo sguardo perso, braccia conserte. - Come stai?

Steve sembrava aver perso la parola. Gli fu difficile accettare di staccarsi dalla contemplazione. Sollevò le spalle. Sospirò rumorosamente con naso. Era il suo modo per non essere scortese con un "come vuoi che stia?", come per paura che esprimere la propria sofferenza potesse turbare troppo l'ecosistema emotivo esterno.

-La tua spalla?

-Passerà. Sono stata peggio.

Steve emise uno sbuffo faticoso.

-Astrid?

-È calata in un sonno profondo dopo la morfina.

-Morfina?

-Aveva un proiettile nel braccio e continuava ad agitarsi. Pare che abbiano dovuto somministrarle una dose da cavallo. Si sveglierà tra un paio d'ore.

-Non possiamo aspettare che si svegli.

La frase suonò più come una lotta interiore che come una costatazione necessaria.

-Non puoi sempre fare quello che vorresti, Steve. Non continuare a giustificarti. Se non può più controllare i poteri non possiamo portarla con noi. Rischierebbe troppo. L'hai detto anche tu.

-È per il suo bene. - Ripetè Steve, tra sé e sé, per convincersi. Ma non bastò. - Quando si sveglierà penserà che l'abbiamo messa da parte.

-Allora la scena in cui l'hai portata in braccio è meglio tralasciarla.

Steve si mise a ridere, ma fu una risata breve. Fredda. Come l'aria che trafiggeva i polmoni. Ustionante. Come la pelle che ardeva ancora contro la sua, nella sua mente, spingendo verso pensieri proibiti.

-Clint arriverà a momenti. I gemelli sono in gamba. Avrà tutta la protezione e la distrazione che le serve.

-Thor?

-Evanescente, come il fratello. Dev'essere di famiglia andare e venire. - Natasha fece scorrere alcuni secondi di meditazione nei quali catturò il filo di un discorso temuto. - Stai pensando a Loki.

-Hanno portato qui il Tesseract e lo Scettro. Non è saggio tenere tre elementi nel mirino di Loki troppo vicini.

-Credi che Loki stia dando la caccia anche a lei?

-Astrid non si è resa completamente inaccessibile alle sue provocazioni. Loki non si farà problemi ad usarla di nuovo. E temo che lei non opporrà molta resistenza.

Entrambi attesero che l'altro aggiungesse qualcosa. Natasha ritenne necessario lasciarlo sfogarsi. Aveva bisogno di parlare. Steve poggiò i gomiti alla ringhiera.

-Mi fa paura. Ancora dopo tutto questo tempo non la capisco, non riesco a prevederla. E anche quando sembra aprirsi a me, quei brevi istanti prima di ritirarsi di nuovo, è come se... la sfiorassi. E basta. Non sono entrato in lei abbastanza. Sono rimasto in superficie. Come se i miei insegnamenti non valessero a niente. Come se non facessi altro che brontolare e le mie parole non avessero significato. Ho provato ad essere gentile, ad osservarla, ad ascoltarla, non ci riesco. Ho paura che faccia un errore fatale e io non sia lì a farle capire che sta sbagliando.

-Confido che faccia la scelta giusta, in ogni caso.

-Non basta confidare, Natasha. È troppo propensa a trasgredire, ad agire in modo ambiguo...

-Non ti piacerà sentirlo, ma a volte bisogna fare dei compromessi. E Astrid lo sa.

Steve staccò l'attenzione dal panorama per leggere le iridi della donna che come quelle di una negromante muta, avevano già conosciuto tutto ciò che c'era da sapere, ma tenendosi per sé la chiarezza del futuro. La guardò senza chiedere, come entrando in punta di piedi in una stanza fosca.

-Quello che hai detto, sul fatto che non riuscite a capirvi, non è poi così strano. C'è un'altissima probabilità che non vi capirete mai. Non è come noi, Steve. Non ragiona come noi. Non ha le nostre stesse priorità. Dovresti averlo capito da tempo il perchè. La differenza sul campo di combattimento si affina, ma... come con Thor... non viaggiamo sugli stessi binari. Devi imparare a lasciarla andare anche se non condividi la sua visione delle cose. Perchè è probabile che lei abbia l'occhio più lungo del tuo e abbia già trovato una strategia che tu non avresti mai avuto il coraggio di intraprendere. Perché è normale, siamo esseri umani cresciuti sulla Terra. Il Potenziamento non ci ha resi più diversi da ciò che eravamo precedentemente. Loro hanno... una mentalità diversa. È intrinseca nel loro essere. Non è colpa nostra, non è colpa loro. C'è qualcosa che incoraggia Astrid ad agire fuori dagli schemi perché è spinta da qualcosa che la porta più in là rispetto a dove possiamo arrivare noi. Ci sono forze inimmaginabili che nemmeno con le più sofisticate tecnologie possiamo controllare o quanto meno comprendere. Astrid ne risente parecchio. Non è destinata a stare qui con noi per sempre. Non abbiamo il diritto di legarla in un posto a cui non appartiene o a cui non si sente appartenuta. E non abbiamo la forza necessaria per riuscirci. Fury mi ha avvertita su di lei prima di farla entrare nel progetto Avengers. Mi ha avvertita che prima o poi sarebbe arrivato il momento della verità per lei e che in qualsiasi momento avrebbe potuto intraprendere una via differente dalla nostra. È sempre stato un rischio tenerla accanto a noi, ma solo perché non la conoscevamo. Ora sappiamo che ha un cuore più grande di quello che vuole far credere. Confido che faccia la scelta giusta. Fury scommette ancora su di lei. Così farò anch'io. E non dovresti smettere nemmeno tu. Qualunque cosa accada. Anche se dovesse voltarci le spalle. Perché non lo farà mai realmente. I tuoi sentimenti lo sanno. Lascia che ti guidino. Non ti inganneranno.

-I miei sentimenti... Non so se i miei sentimenti abbiano un ruolo fondamentale in questo discorso.

Natasha non infierì. Lasciò passare una folata di vento che spazzasse via un po' di quell'amaro che stavano assaggiando insieme. Chiuse la zip del giubbino fino al mento e si strinse nelle spalle. Steve aggrottò la fronte. Tra tutto, quel "qui con noi" gli si era conficcato dentro come una scheggia di legno provocandoli un male che non aveva previsto.

-C'è altro c'è che Astrid deve ancora sapere?

-Solo il motivo per cui Loki potrebbe avere un'ossessione per lei come l'ha avuta l'Hydra.

Lo sguardo di Steve si illuminò di un'emozione estremamente negativa.

-Non mi aiuti in questo modo.

-Steve...

-Ha bisogno di più protezione. È senza poteri. Non posso abbandonarla con questo pensiero.

-Steve, lo stai facendo di nuovo.

-Che cosa vuoi che faccia? Rimanere a guardare mentre Loki se la porta via?

-È una lotta in cui non possiamo competere. – Natasha si morse la lingua, ma al diavolo, doveva dire ciò che pensava. – Soprattutto se sarà lei a decidere di andarsene.

La faccia di Steve assorbì tutta la grigia disillusione che gli si gonfiò nel petto.

-Quindi era questo ciò che volevi dirmi dall'inizio. Tu credi che ci tradirà. Lo farà davvero. E sei tranquilla mentre lo affermi.

-Non ho detto che ci tradirà. Ho detto che potrebbe scegliere di prendere una via diversa dalla nostra.

-Se permetti, hai detto che potrebbe decidere di scappare con Loki. Il che, a maturazione degli eventi trascorsi, è ritenuto come tradimento.

Natasha sospirò sonoramente.

-Forse c'è un altro motivo per cui non vi capite.

-Ah, sì? E cioè? – ruggì lui.

-Non sei abbastanza aperto mentalmente.

-Non sono...? Perché, tu che sei così aperta, ti senti nel giusto? Quindi tu le permetteresti di passare dal lato del nemico? Accetteresti di trovartela contro in una guerra?

-Non sarebbe piacevole, ma... potrei accettarlo... se crede sia meglio per lei.

Steve fece crollare le braccia sui fianchi.

-Lo pensi davvero?

-Non puoi controllare la volontà degli altri.

Steve si strofinò gli occhi con le dita di una mano.

-Non posso credere che tu lo stia dicendo davvero. Non posso credere che Fury stia totalmente ignorando il problema.

-Cosa vorresti fare? Incatenarla ad una sedia?

-Sì, se c'è bisogno.

-Non hai mai pensato che Thor e Loki possano essere la risposta alle sue domande?

-Perché Loki? Perché non Thor che è dalla nostra parte? Cosa c'è che non va nello scegliere la parte dei buoni?

-Forse perché Loki sa più cose di suo fratello. Ho parlato con lui prima che spiccasse il volo dal Quartier Generale. Mi ha detto un sacco di cose interessanti. Loki ha una cultura molto ampia e mi ha confidato di aver iniziato ad avere dei sospetti sulla natura dei poteri di Astrid dalla volta del Gigante, ma che non si è mai soffermato più di tanto a pensarci. È possibile che Loki ne sappia di più. Comunque... Non è una questione accertata. Sono solo delle ipotesi. È anche vero che Astrid si è mostrata molto curiosa... Con questo non ti sto dicendo che non lotterò per tenerla al nostro fianco. Ti sto solo dicendo che quando arriverà il momento, se arriverà, non ci sarà molto da fare. Dovremo anche essere pronti a combatterla. Dovrai prepararti.

Steve non si lasciò persuadere dal ragionamento della Vedova. Non poteva immaginare che Astrid avrebbe scelto un infimo, crudele, psicotico individuo piuttosto che i suoi amici. Piuttosto che lui. E non poteva pensare all'idea che sarebbe stato il solo a dare il sangue per tenersela con sé.

-Nel migliore dei casi diventerà evanescente anche lei. Devi fartene una ragione.

Steve annuii guardandosi le scarpe. Il pavimento era una tela su cui si apriva una sequenza di scenari vissuti e volatili, come in un sogno.

-Devo scrivere di ricordarmelo. Oramai è una ricorrenza che i pezzi della mia vita scompaiano nel nulla.

Natasha permise al dolore intriso in quelle parole di penetrarle nelle ossa ed evaporare nel gelo come una nuvola di vapore. È spropositatamente complesso dimenticare il passato se sei costretto a soffocare una felicità che non può avere presente. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa per confortarlo, ma sapeva che qualsiasi convenzionalità sarebbe morta lì su quel ponte. Inutile, banale, fastidiosa.

-A cosa pensi adesso?

-Che abbiamo una missione su cui focalizzarci. Al resto penseremo più tardi.

Ora Steve voleva accantonare il pensiero di Astrid e concentrarsi su Bucky. Ma il pensiero della mente e del corpo di Bucky nelle mani dell'Hydra lo riconducevano di nuovo ad Astrid e al fatto che si conoscevano perché entrambi erano stati fatti prigionieri, dilaniati, manipolati, cancellati, imboccati di false realtà e gli stimolava all'improvviso una rabbia produttiva. Ok, era un buon incentivo. Doveva mantenersi su quello.

-Questa storia terminerà oggi. - fece Natasha, assecondando un comune sentimento di vendetta dopo aver notato le nocche sbiancate dei pugni del compare.

-L'Hydra terminerà oggi. Non questa storia, no. Mi toccherà raccoglierne i resti, uno ad uno. Questa storia è solo al principio.

-Non è quello che facciamo sempre? Raccogliere i resti? Siamo bravi in questo.

-Questa volta no. Questa volta cambierà ogni cosa. – enunciò Steve deciso, pensando a l'unica cosa che poteva essere ancora in grado di salvare, l'unica cosa che potesse dargli una speranza, l'unica cosa che poteva spronarlo ad andare fino in fondo. Non più Astrid. Era il suo passato felice, la leggerezza delle risate nelle sere d'estate, la compagnia di un complice a cui raccontare i propri problemi e le proprie conquiste, la protezione di un fratello nei momenti peggiori e migliori, il sostegno di un fido compagno di avventure, sventure e battaglie, il sorriso del suo unico vero amico, il suo Bucky. Sarebbe andato contro chiunque per lui. Non poteva lasciarselo scappare ora che sapeva che era ancora vivo. Non lui. Tamburellò il pugno sulla sbarra orizzontale che faceva da parapetto. Si sarebbe scontrato contro di lui di nuovo, a volti scoperti. Entro qualche ora, quel pugno avrebbe incontrato il suo. Si sarebbero fatti male. Molto male. Ma doveva farlo per lui. Perché Bucky avrebbe fatto lo stesso.
 

"Io sarò con te.

Fino alla fine."

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Formicolii ***


Neve e Cenere | MARVEL

38 . Formicolii


Qualcuno parlava al suo orecchio. O forse era un'altra allucinazione, perché quando roteò il capo non vide nessuno. Le scoppiava la testa e si sentiva ubriaca. Sarebbe dovuto passare, ma quella nebbia era persistente come lo spuntone nel gomito e le ammaccature a tutto il resto del corpo. Richiuse gli occhi e si sentì strattonata da una parte all'altra, come rinchiusa in una cassa trascinata dalle onde del mare. La voce del Capitano e di Natasha, suoni senza senso che si mischiavano a quelli del sogno e tutto sembrava fosse accaduto e tutto sembrava immaginato e nulla era certo. Era tutto un intenso brusio tagliato da un fischio acuto intermittente, un afflosciarsi ad un suolo instabile, un abbandonarsi a spinte violente, un sonno pesante e uno superficiale in continua alternanza, pace e tormenta, respiri e spaventi. Qualcuno si affacciava di tanto intanto, tra le figure e i bagliori e le ombre. Una serie di volti offuscati ed echi di voci incoerenti.

Quando riuscì a percepire l'ossigeno nei polmoni e si rese conto che poteva muovere le mani e i piedi o tenerli fermi senza che tutto attorno a lei si scatenasse in modo anomalo, capì che si era svegliata da un riposo indotto.

La prima cosa che le venne in mente era l'immagine del Soldato che la strangolava rabbiosamente sbattendola come un fuscello, da una parte all'altra sulla strada, contro le vetture. Il soffitto era dello stesso colore dei suoi occhi. Incerto. Ignoto. Angosciante.

La luce che illuminava la stanza era tenue e calda, come una premura amichevole.

C'era calma.

Troppa calma.

Si alzò di scatto con la schiena. Portò subito una mano al collare medico che le fasciava il collo provocandole prurito e cercò l'apertura alla cieca mentre osservava la stanza per trovare una telecamera. Ma a quanto pare nessuno la stava osservando. Bussò con una nocca alla parete alle sue spalle ed essa suonò piena. Nessuno dall'altra parte la stava attendendo. Dunque, era sola come appariva.

Il collare prese il suo posto sul lettino. Mise i pedi a terra proprio mentre un paio di teste stavano passando aldilà della porta chiusa. Astrid le vide attraverso il vetro. Si paralizzò per non attirare l'attenzione. Poi, passo felpato, rasentando il muro, si approssimò alla porta. Affondò la maniglia senza far rumore scoprendo che la serratura era aperta e diede un'occhiata discreta nel corridoio.

Non c'erano soldati a fare la guardia e ciò le risultò alquanto strano. Con cautela sfilò il corpo fuori, convinta che avrebbe potuto far scattare il sensore a raggi X di una qualche trappola mortale o che potesse essere assalita da un momento all'altro da qualche soldato nascosto nell'ombra. Invece non accadde nulla. Continuò a girarsi e a tenere d'occhio gli angoli delle pareti, mentre si addentrava in quello che definitivamente poteva essere un altro covo dell'Hydra. Eppure nessuno pareva volerla confinare in una zona precisa per controllarla. Che la stessero testando? Arrivò alla conclusione di dover trovare la via più veloce per uscire altrimenti sarebbe impazzita. Non si permise di abbassare la guardia nemmeno per un istante. Le sembrava troppo strano che fosse sola e in libertà.

Udì un vociare sommesso e decise di seguirlo. Forse l'avrebbe portata all'uscita o a informazioni utili. Si dannò per non avere un'arma con sé e di non aver nemmeno cercato un oggetto contundente con cui difendersi. Ultimamente era diventata la sua costante. Per scacciare la tensione, pensò che tuttavia un po' di esercizio fisico non le avrebbe fatto male. Non poteva nascondersi sempre dietro alle armi. Di sicuro facevano comodo, ma la Vedova l'aveva introdotta al corpo a corpo non per nulla. Poteva sentire la sua voce mentre le consigliava di considerare la condizione di stallo in cui si trovava come un esame di verifica delle sue capacità combattive. La ferita all'orgoglio che le aveva lasciato Loki riguardo alla sua mancanza di tecnica era ancora lì che si faceva ricordare.

E I suoi poteri ancora non si ridestavano. Lo sapeva, questa volta, lo sentiva dall'interno, senza dover provare ad accenderli. Aveva iniziato a farci caso alla differenza. C'era qualcosa quando aveva i suoi poteri, che l'accompagnava, che la guidava, quasi come se l'energia cinetica degli atomi attorno a lei provocasse un suono. Un ronzio sottile, come quando dimentichi la fiamma accesa dei fornelli così bassa da udirne solo un debole fischio. Una percezione così fine di cui il tuo cervello si abitua in fretta, ma di cui ti accorgi dell'assenza quando vai a cercarlo e non lo trovi. Era tutto fermo. Immobile. Si sentiva come rinchiusa in una bolla in Vibranio o come se non vivesse più nel suo corpo. Si sentiva alienata da tutto ciò che toccava. Nemmeno l'aria pesava come prima. Era ignota, anonima, non le diceva niente. A volte, nel buio, le capitava di non accendere la luce e orientarsi grazie alla posizione degli oggetti che riusciva a localizzare tramite la differenza di densità dello spazio degli oggetti stessi. Lo stesso succedeva per i corpi vivi che le si avvicinavano. Anzi, in quel caso era più semplice perché il calore emanato era un punto di riferimento più consistente e più veloce da cogliere. Era qualcosa che l'aveva sempre facilitata negli scontri: le permetteva di prevedere gli attacchi alle spalle o di sentire ciò che non arrivava alla vista. Se ci avesse iniziato a farci più attenzione, avrebbe vinto molto più spesso.

Adesso anche nella luce le sembrava di camminare con una benda sugli occhi. Ora che ci pensava, avesse percepito il missile balistico che aveva fatto quasi saltare in aria lei e il Capitano, avrebbero potuto guadagnare molto più tempo. Non ci era riuscita perchè non aveva i poteri.

Era frustrante doversi concentrare su un solo senso, ma era ancora più frustrante pensare che non avesse mai realizzato quanta importanza avesse il suo senso termo-tattile anche per cose così basilari come muoversi.

Doveva riavere i suoi poteri al più presto, a qualsiasi costo. Non poteva aspettare che l'effetto del veleno che circolava ancora nelle sue vene sfiatasse. Non si sarebbe mai sentita tranquilla finchè non si fosse aggiustata.

Appiccicò la schiena alla parete appena capì di aver trovato la fonte del brusio. Si affacciò all'angolo della parete. Una sagoma si spostò davanti ai suoi occhi: una donna. Era appena uscita da una tenda in plastica che doveva supplire l'entrata di un'altra stanza. Fortunatamente le dava le spalle e Astrid potè osservarla meglio. Aveva in mano un telefono, portava i capelli corti e scuri raccolti in una familiare crocchia dietro alla nuca. Non indossava una divisa, ma aveva tutta l'aria di essere un soldato. L'espressione severa e, soprattutto, la pistola nel fodero appeso al fianco le davano l'aria di essere un sodato. Astrid non sapeva se l'avrebbe accolta con un'espressione confusa, ma pacifica o le avrebbe sparato una pallottola in fronte senza esitare. Era meglio non rischiare. Forse avrebbe fatto meglio a cambiare direzione all'istante. Aspettare che se ne andasse, non sembrava una cattiva idea, ma di sicuro non le avrebbe fatto guadagnare tempo. Non sapeva esattamente da cosa stesse scappando, ma il tempo è sempre contro di te quando ti trovi in campo nemico.

Nonostante tutto, non mosse un muscolo. Perché dietro quella tenda di plastica poteva esserci una stanza vuota - come quella che aveva sorpassato qualche minuto prima e che ospitava un lettino disfatto, alcuni macchinari da ospedale e un tavolo con delle sedie in disordine - come invece poteva celarsi qualcosa di molto interessante. Non era certa se fosse istinto o solo azzardata curiosità, ma sapeva che doveva accertarsi che non ci fosse nulla di speciale. Oltretutto la donna sembrava sola. Doveva solo attirarla nella sua direzione, tenderle una trappola. Così Astrid cercò con gli occhi un'insenatura in cui nascondersi e qualcosa con cui fare rumore. Una coppia di tubi di metallo si arrampicavano sulla parete accanto a lei. Diede loro un calcio, forte abbastanza per farli vibrare tra di loro. Il suono si propagò rimbombando tra le pareti umide e lei corse per incastrarsi dietro un piccolo dislivello del muro, proprio di fronte ad una diramazione poco illuminata del corridoio. Come calcolato, l'agente apparve con le braccia distese davanti al volto e la pistola puntata. Astrid trattenne il respiro finchè quella non si voltò verso il buio, per vedere se ci fosse qualcuno nascosto proprio lì. Invece era dietro di lei. Astrid l'afferrò con una presa al collo. Per lo spavento, l'agente fece partire un colpo. La pallottola andò a rimbalzare contro la parete.

Maledizione, pensò Astrid. Lo sparo avrebbe attirato qualcun altro. Strinse le braccia con più forza, accompagnando il corpo della donna dolcemente verso il pavimento, ma quella non voleva mollare: continuava a lottare agitando le spalle, le unghie conficcate nella carne dell'aggreditrice. La pistola scivolò a terra, ma le gambe ancora scalciavano irrequiete. 

Ben presto capì che la soldatessa non aveva sparato per caso. Era stato il frutto di un lucida, rapida e precisa decisione: una richiesta di aiuto. Astrid sapeva che le avrebbe dato filo da torcere finchè qualcuno non sarebbe accorso. E difatti, quando Astrid stava iniziando a pensare di accorciare i tempi cercando di ridestare la sua fame di energia, mentre stringeva i denti, combattendo contro la massa muscolare più pesante e sviluppata della sua preda, mentre le parve che un leggerissimo pizzicore stava prendendo a risalire verso il suo petto dalle sue braccia, esattamente quando si disse che non era abbastanza, che avrebbe dovuto mollarla lì e scappare, magari spararle in fronte con la sua stessa pistola e svignarsela, quel qualcuno era già arrivato. 

Un paio di stivali si fecero avanti silenziosi. Una punta lucida la minacciava proprio davanti al naso.

-Lascia la presa, Astrid. Lasciala.

Astrid esitò. Riconobbe la voce, ma non alzò gli occhi. Esitò perché ancora una volta i suoi piani non andavano in porto e voleva sfogarsi in qualche modo, prendersela con qualcuno, ma ancora doveva comportarsi eticamente. Forse poteva ancora cavarsela se fosse riuscita a ricavare un po' di energia per sé, un po' per riprendere le forze e magari per essere certa che tutto sommato dentro di lei tutto funzionava. Solo un pochino. Le sarebbe bastato giusto un secondo in più a stringere quel corpo così caldo e così ricco di prospettive. Non le avrebbe spezzato il collo. Voleva solo poter sentire qualcosa, una scossa, una pulsazione, un piccolo flusso di energie pizzicarle le membra e inebriarle il cervello. Solo un po'... solo un po'... ancora...

-Dannazione, Astrid! Lasciala!

Le braccia di Astrid scattarono quasi in automatico. L'agente prese un respiro colmo di ossigeno e di paura. Si fiondò sulla pistola. Clint, che aveva messo via la freccia nella faretra, allungò una mano sulla canna e gliela fece abbassare.

-Non ce n'è bisogno. È con noi. Astrid era solo spaventata perché non sapeva dov'era, giusto? – concluse, guardandola a metà tra il gentile e il perplesso.

-Se... – rispose con un leggero affanno dovuto allo sforzo. L'agente e lei si scambiarono un paio di occhiate diffidenti.

-Sei quella svenuta? Astrid. Accidenti... Mi hai quasi uccisa... – fece quella, la voce rauca. Tossì, massaggiandosi la gola. Non ripose la pistola nel fodero. La teneva ancora in mano, la presa ben salda.

-E tu sei...

-L'agente Hill. Maria Hill.

-Scusa. – biascicò Astrid, senza sfiorare lo sguardo di nessuno dei due. Adesso, associando il suo volto a quello di Fury se la ricordava meglio.

-È tutto a posto. – la rassicurò Clint appoggiandole una mano sulla spalla come faceva il Capitano. Annuì fissandola nelle pupille, aspettandosi che almeno rispecchiasse il movimento. Astrid lo fece, solo per farlo smettere di starle così appiccicato. - Andiamo di là. Ti siedi. Bevi un po' d'acqua. Ti spiego tutto.

Astrid lo seguì, mentre l'agente seguiva lei, forse per assicurarsi che non facesse altre mosse azzardate. La fantomatica stanza con una tenta al posto della porta non era molto grande, ma c'era spazio per tutto ciò che bastava per allestire un rifugio temporaneo, una base rudimentale per chi come loro doveva stare attento a non farsi vedere troppo in giro. Ascoltò la voce di Clint mentre le raccontava dove fossero finiti tutti e cos'era accaduto mentre lei dormiva pesantemente, gli occhi puntati nel bicchiere di plastica che scricchiolava, torturata dalle dita rapaci. L'acqua non sostituì la sua sete segreta, ma quanto meno ne allontanò il pensiero. Quando si avvicinò per riempirlo di nuovo, il bottiglione del distributore traballò un poco instabile. Constatò che non fosse il caso di mostrarsi troppo delusa dal fatto che il Capitano e Natasha se ne fossero andati senza lasciarle istruzioni. D'altronde non era la sola. Clint sbadigliò, si strizzò le palpebre tra le dita.

-Oh, Dio... Ci vorrebbe un caffè in questo momento.

-Che ci facciamo qui? Dovremmo aspettare che rientrino? - fece Astrid che immaginò di uscire da quella cava per quel caffè.

-Stiamo di guardia.

-A cosa?

Clint ci pensò su un istante.

-A quelli. - puntò due grosse valigie argentate adagiate sul grande tavolo. Ad Astrid quasi venne un colpo. Il bicchiere di plastica si accartocciò nel palmo. Guardò Clint come per chiedere il consenso. Poi avanzò con passo timoroso. Si voltò di nuovo verso Clint e quello le scambiò uno sguardo incerto. Non sembrava a suo agio. Si stringeva nelle braccia conserte e occupava un piccolo spazio contro una grande cassa piena, forse, di armi o di qualche macchinario dello SHIELD. Ogni tanto alzava il naso verso le uscite e i solari, quasi come se avesse scorto un'ombra. Erano in troppo pochi a custodire due oggetti così preziosi e pericolosi. E Astrid ci era così vicina. Sarebbe stato talmente semplice. Le sarebbe bastato rimanere da sola con loro e avrebbe potuto portarseli via. Sollevò la mano sulla valigetta più piccola. L'accarezzò, passando le dita nelle rifiniture. La osservava come se dalla superficie potesse ammirarne il contenuto. Avrebbe voluto aprirla, ma sotto la maniglia era situato un lucchetto elettronico. 

-Che c'è dentro? - lo sapeva già, ma volle chiederlo lo stesso, per fingersi ingenua. Si staccò immediatamente appena Clint gli venne vicino, come ad aver spezzato l'atmosfera mistica della sua ossessione.

-Sai già cosa contengono. E non sono autorizzato ad aprirle.

-Lo scettro e il Tesseract. - rispose Astrid in tono sommesso, cercando di non far notare la sua agitazione. Strinse i pugni e i denti per rimanere ferma al suo posto.

-Sarebbe meglio che non ne parlassimo troppo ad alta voce. Qualcuno potrebbe avere le orecchie lunghe.

-Se Loki sapesse dove sono li avrebbe già presi. - ribattè lei, per provare l'opinione dell'altro.

-Se non lo sa, potrebbe scoprirlo presto. E... non da solo. Ricordiamocelo. - Astrid deglutì. Sapeva che intendesse dire: spie, traditori. Erano ovunque in quel momento. Una era proprio davanti a lui.

-Come fa il Tesseract ad essere qui? Non era sparito?

-Siamo riusciti a rintracciare chi l'aveva confiscato.

-Chi è stato?

-Gli scagnozzi di un certo dottor Hoffmann. A quanto pare era un infiltrato dell'Hydra da decenni.

Astrid sentì una scossa di rivalsa percorrerle il braccio destro e tutta la schiena.

-E dov'è adesso?

-Disperso. Si è volatilizzato.

-Com'è possibile?

-Non lo so nemmeno io. Quando si parla dell'Hydra non si è mai abbastanza preparati alle sorprese.

La tenda si mosse con un fruscio gommoso.

-Clint? Vieni un attimo. - lo chiamò l'agente che era rimasta fuori. Quello si scusò e le andò incontro. 

Astrid rimase impalata di fronte alle valigette. Fissò il tastierino, immaginando quale potesse essere la combinazione giusta. Se avesse avuto i suoi poteri avrebbe potuto scassinarle in men che non si dica. Infilò la mano nella maniglia, la strinse più forte che poteva. Immaginò di bruciarla, di sciogliere il materiale di cui era fatta, di farne scoppiare i circuiti. Sotto il suo palmo, facendosi spazio tra le dita, iniziò ad elevarsi una sottile colonna di fumo, troppo debole perché si tramutasse in fuoco, ma abbastanza per alimentare una speranza esasperata. Forse ci sarebbe riuscita. Forse poteva riacquisire i poteri senza dover chiedere aiuto al nemico.

Una scossa al nervo del braccio la fece urlare e indietreggiare di qualche passo. Le dita della mano iniziarono a contorcersi come impazzite. Scintille e un nastro rosso danzavano tutt'attorno al muscolo come a volerla incatenare. Astrid fece forza contraria ringhiando dal dolore. Davanti a lei, la Strega. Le iridi lucenti di un rosso scarlatto, una smorfia avversa.

-Non provarci neanche.

-Ti sei fatta un giretto tra i miei pensieri, non è così? - sputò Astrid con scherno e disprezzo.

-Perchè ne sei così terrorizzata? Hai qualcosa da nascondere?

-Non sono affari che ti riguardano.

-Lo sono, se possono mettere a rischio la vita di mio fratello.

Astrid tirò il braccio verso di sè per liberarsi. Wanda impuntò i piedi, dal momento in cui il gesto improvviso la fece scivolare in avanti di qualche centimetro. Rispose allo stesso modo, ma Astrid le diede un altro strattone, più forte di quello di prima. Wanda agitò le braccia per riconquistare forza sulla sua posizione. Per un momento si sentì come se fosse lei quella legata.

-Okay. Lo ammetto. L'ho fatto. Ho guardato nella tua mente anche se non avrei dovuto. Ma mi ha chiarito molte cose.

-Che cosa hai fatto?! - Astrid si divincolò di nuovo. 

-È successo quando Stark ha invocato il tuo nome. Ho sentito degli urli nella sua testa. Ho sentito il suo dolore. Allora ho sbirciato nella tua e sono rimasta disgustata. Ho visto quel... farabutto sussurrarti all'orecchio e tu... tu non lo scacciavi. Gli permettevi di persuaderti con la sua mentalità malata. - Astrid digrignò i denti, mentre la Strega continuava a parlare. - Non capivo. Quella volta alla Stark Tower, ho visto quella donna, ho sentito la tua sofferenza e ho pensato che la tua reazione non fosse altro che paura. Pensavo che fosse un istinto di difesa, pensavo fosse per lei o per qualche altra cosa nel tuo del passato, ma... 

-Ma? - la stuzzicò Astrid, cercando una scappatoia.

-Ma mi sbagliavo. - e in quel momento, nell'istante di tempo di un pensiero, il laccio rosso la percosse, l'avvolse completamente, busto e gambe, e la immobilizzò. La Strega teneva le mani appese all'aria, come infilate nei fori di una rete, le dita arricciate attorno alle corde del suo potere tanto elegante quanto letale. - Mi sbagliavo. - ripetè. - Solo ora mi rendo conto che c'è altro nella tua anima: brama di potere, distruzione. Tu non vuoi salvarci. Tu ci condannerai. Ci brucerai vivi e ci guarderai bruciare solo per assicurarti di non essere inferiore, per riempire il tuo ego. Non hai pietà per nessuno quando si tratta di te. Ne hai solo per te stessa. Tu non sei come noi. Sei come lui. Siete due mostri. Meritate di morire da soli, lontani da tutto ciò che di bello potreste far appassire soltanto sfiorandolo. Avevi ragione a volertene andare, questo mondo non ti vuole. E nemmeno noi.

Astrid stirò un sorriso con un solo angolo della bocca.

-Lo so che sei senza poteri. Non credere di farmi impressione.

-A chi vuoi raccontare questa storiella? Non ti crederà nessuno.

-No, hai ragione. Sei stata brava ad ingannare tutti. Il Capitano è diventato il tuo zerbino. Natasha ti difende a spada tratta. Hai tutti dalla tua parte. Io sono l'unica a sapere la verità. Lascerò che se ne accorgano da soli di cosa sei, appena farai un passo falso... Probabilmente Stark è l'unico che ha capito.

Eccolo lì, il suo punto debole, infilzato con uno spillo e abbandonato a straripare emorragico. Eccolo lì che veniva usato contro di lei con maestria. 

-Che cosa ne sai di lui? - bisbigliò Astrid tra i denti.

-Per quale motivo credi che non sia qui? Ti sta evitando. Ha paura di te. E fa bene ad averne!

-Non volevo ucciderlo. È stato Loki ad avermi ipnotizzato.

-Sì. E dopo questo ti sei alleata con lui.

-È stato temporaneo. Dovevo scappare in qualche modo. Non potevo starmene in disparte ad aspettare.

-E cosa volevi fare con quella? - domandò Wanda facendo un cenno col capo verso il tavolo, verso la valigia. Un filo sanguineo pulsava tra le scaglie delle iridi brune con intenso desiderio di conoscenza. Era pronta ad aprire i suoi pensieri come un libro. Era pronta a leggerli e trarne le conclusioni senza dover aspettare che Astrid aprisse bocca. O forse lo aveva già fatto. Forse era già troppo tardi.

-Wanda... ma che fai? - irruppe la voce di Pietro che entrava dalla tenda, ma la gemella non accennò a lasciare la presa. Astrid rimase imperturbabile, quasi come se potesse evitare che entrasse in lei evitando di pensare. Forse si stava lasciando suggestionare, ma sentiva formicolare la testa, la vista le si annebbiò ad un tratto.

-Siete impossibili vuoi due! Non vi si può lasciare sole un secondo! - esplose Clint afferrando un braccio della Strega. La stringa vermiglia si allungò all'improvviso e svanì come un respiro. Astrid barcollò all'indietro. Sembrava che le pareti avessero iniziato a girare. C'era qualcosa che non andava.

-Ma che vi prende?! - esclamò Burton di nuovo, scuotendo il braccio di Wanda e puntando Astrid, la quale sbatteva le palpebre in modo inconsueto.

Wanda si ammutolì contrariata, mordendosi le labbra. Astrid si sedette sul cassone riprendendo fiato. Le tremavano le mani, non sentiva i polpastrelli. Cosa diavolo le stava succedendo?

-Diamoci una calmata, per l'amor di Dio! - continuò l'uomo alterato. - Abbiamo già abbastanza problemi, non creiamone altri! - poi si soffermò sul volto della ragazza che stava impallidendo. - Tu è meglio che vai a riposarti ancora un po'. Avanti. 

-Sto bene. Sta passando. - mentì Astrid buttando indietro la testa, gli occhi chiusi. Si massaggiò la nuca. Il formicolio non smetteva di brulicare. Non era qualcosa di nuovo, ma era la prima volta che lo percepiva così forte. Lo sentiva spingersi sotto la pelle, simile a come quando assorbiva energia. All'improvviso i piedi e le ginocchia iniziarono a vibrare. Si accorse di non essere più qualcosa che veniva dal suo interno quando anche la cassa cominciò a muoversi come se qualcosa al suo interno lottasse per uscire. Sollevò il capo e si rese conto che se n'erano accorti anche gli altri.

Il pavimento aveva iniziato a tremare. 

-Che cos'è? - chiese Wanda. 

-Il terremoto? - chiese Pietro. 

-Stiamo calmi, è un'edificio antisismico. - informò Clint tutto impegnato a maneggiare l'orologio da polso che emanava un bip allarmante. - Cazzo. - farfugliò. Sfilò l'arco dalla spalla. Astrid scattò in piedi. - Ragazzo-flash, con me!

Wanda si voltò verso il fratello appena in tempo per vedere la scia dei suoi colori schizzare via.

-Rimanete qui! Fate la guardia! - ordinò il Falco che teneva la tenda per far passare il ragazzo, il quale era già alle sue spalle. Astrid e Wanda si guardarono negli occhi. - Se quando torno vi trovo a bisticciare, vi lego ad un palo finchè non imparate a socializzare. - le avvertì, sebbene non completamente convinto che fosse una buona idea lasciarle sole. Adesso non poteva pensare a loro.

-Clint! Che sta succedendo?! - scattò Maria Hill appena li vide uscire di fretta.

-Non lo so. Ma ho un cattivo presentimento. - rispose quello iniziando una corsetta nel corridoio. - Chiama i rinforzi. Sveglia Stark dalla pennichella e dici a Banner di muovere il culetto dal suo laboratorio e richiamare l'altro.

-E il Capitano?

-Senti Fury. Io e Scheggia andiamo a fare un giro di pattuglia.

-Hey! Veramente avevo scelto un nome più figo! - protestò il ragazzo, mentre si avviavano in direzione del ponte, lasciando indietro l'agente Hill.

-Ah, sì? Sarebbe? - domandò l'altro con sottile interesse, dopo essere riuscito a spalancare il portone di metallo e aver messo piedi fuori. La luce esterna li investì come uno schiaffo in faccia. E prima che il più giovane potesse rispondere, si bloccarono entrambi davanti allo scenario incredibile apparso aldilà della diga. Clint fece un sospiro preoccupato. - Muoviamoci. In fretta. - Esortò il ragazzo con una pacca sulla spalla e tornò a correre. Pietro stirò un sorrisetto beffardo prima di caricare e sfrecciargli di lato per farlo innervosire.

-È la mia specialità.

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Solo un'ossessione ***


Neve e Cenere | MARVEL

39 . Solo un'ossessione
 

L'etichetta umida che stuzzicava con un unghia si staccava con troppa facilità per dargli soddisfazione. Il colore del vetro della bottiglia di birra gli dava un fastidio estetico. Ambra. Un giallo opaco e spento. Troppo scuro rispetto a quello a cui il suo cervello continuava a rimandarlo, ciononostante lo faceva lo stesso. Era lì a giudicarlo assieme a tutte le frustrazioni che gravavano sulla sua schiena come un'ombra inquieta, appiccicate come quell'etichetta dalla colla dissolta dall'umidità che si prestava al gioco senza resistenza. Avrebbe voluto staccarseli ad uno ad uno i suoi incubi, grattandoli via come stava facendo con l'etichetta di quella bottiglia, anche a costo di strapparsi la pelle. Solo non sapeva come fare. Avrebbe voluto anche far sparire quel colore dalla sua vista. Si stava trattenendo dallo spingere la bottiglia giù dal bancone da quando il barman gliel'aveva portata. Avrebbe fatto finta che fosse stato un incidente e avrebbe ordinato qualcosa di decisamente più forte. Se solo Rhodey non gli avesse proibito qualsiasi tipo di superalcolico... Lo aveva trascinato in quel bar assordante pieno di adolescenti perché, secondo lui, respirare un po' d'aria giovanile gli avrebbe fatto bene. Ma nessuno sapeva quanto lui potesse ripugnare gli adolescenti, soprattutto quelli della generazione che stava crescendo. Non c'era nulla che potesse eguagliare il suo disgusto verso quei piccoli delinquenti incastrati in un'età incerta ed estrema, travolti dagli ormoni e da un mondo da abbattere con schiamazzi molesti, la bocca sporca di parolacce e di vizi idealizzati, la testa imbrattata di colori chimici e sogni distorti. Forse solo i bambini potevano equiparare. Lagnosi, piscioni e eccessivamente bisognosi di attenzione. Non li sopportava. Facevano troppo rumore. Si agitavano e si comportavano come se tutto fosse un'esibizione. Una carovana gli era passata dietro intonando a pieni polmoni un canto sconcio. Qualcuno si era scontrato contro il suo sgabello e per un attimo aveva temuto di cadere e di ritrovarsi calpestato da tutte quelle scarpe di basso costo che avevano conosciuto chissà quale scuola di basso livello o viale malfamato. Tony Stark non aveva mai voluto figli e non aveva mai pensato di volerne in futuro perché era certo che gli avrebbero rovinato la vita. Forse perché lui, la sua adolescenza, non l'aveva mai superata.

Quindi se ne stava tutto stretto nel giubbino di pelle, occupando meno spazio possibile, alzava il capo ogni volta che si avvicinava qualcuno, per squadrarlo di sottecchi, e poi nascondere lo sguardo di nuovo nei suoi pensieri oscuri, i capelli che non volevano rientrare nel ciuffo che aveva tirato indietro con il pettine prima di uscire di casa e gli cadevano davanti scomposti e stanchi, come lui. 

E quella bottiglia proprio non voleva saperne di cambiare colore. Non sapeva perché ne fosse così ossessionato. Alla fine ne aveva tante di ossessioni, una in più non avrebbe dovuto cambiargli la vita. Eppure questa volta non era lo stesso. Avere l'ossessione per le sue armature era normale. Sentire il bisogno di andarle a rivisitare e maneggiare ogni giorno e ogni volta che gli veniva in mente che poteva modificare e migliorare qualcosa, era normale. Anche l'ordine e il rimettere le cose esattamente al posto in cui erano, nella stessa inclinazione e rotazione, era normale per lui. L'ossessione di venire assalito dalla massa, l'ossessione di avere sempre la sua armatura vicina, l'ossessione di venire risucchiato in un buco nero o in una caduta libera senza poter azionare i propulsori, l'ossessione di venire soffocato mentre dormiva, l'ossessione di perdere il controllo, l'ossessione di non riuscire a salvare le persone che amava, l'ossessione di venire abbandonato, erano tutte cose normali per lui. Lo perseguitavano da anni, non erano più una novità. Erano parte di lui. Ma l'ossessione per una persona, quello non era normale. Non era mai stato ossessionato da una donna in particolare. Aveva sempre amato le belle donne, era stato innamorato di Pepper per un periodo intenso e ancora si diceva di amarla, ma quello che provava da qualche tempo per un'altra non era amore, non poteva esserlo. Era un'ossessione. Non solo. Era una delle ossessioni più malate che avesse mai avuto. Quello non era normale. Ma non poteva farci niente. Si sentiva bloccato in quella bolla oscura che lo deglutiva lentamente, mischiandolo in una bile di persecuzione, ansia e tachicardia ostinata.

Come si girava, non poteva far a meno di immaginarla in mezzo a quei giovani vulcani, nonostante i suoi tentativi vani di schivare la società come la peste, dopo aver ceduto agli inviti insistenti di giocare al biliardo e mentre si piegava con l'asta sul tavolo, mostrando a tutti i ragazzi - e forse anche ragazze - che le stavano attorno come avvoltoi, le sue favolose fossette di Venere. E poco importava se non avesse fatto nemmeno una buca perché con quel suo modo di fare che aveva, con cui all'inizio sembrava solo camminare in equilibrio sul bordo del gioco, e poi solo alla fine capivi che avesse mosso lei le pedine per tutto il tempo, se non sapeva giocare nessuno se lo sarebbe ricordato, anzi qualcuno avrebbe potuto persino pensare che lo facesse apposta.

Oppire, se la immaginava seduta su una sedia mentre guardava gli altri giocare, ignorando le avances di tutti quelli che le facevano l'occhiolino e la stuzzicavano, incosapevole di risucchiare tutta la luce della sala con le ambre dorate dei suoi occhi, con quei suoi capelli tutti alla rinfusa davanti alla faccia e i suoi vestiti vecchi e le sue pose svaccate e le sue guance tonde da bambina e le sue labbra martoriate, ma dalla forma perfetta, dal sapore di birra e di paradiso.

Non era ubriaco. Ne era certo, anche se i lunghi sorsi ravvicinati che faceva non lo avrebbero mantenuto sobrio ancora per molto. Lo era stato la notte prima per calmare il cervello. Aveva provato ad annacquarlo per bene, così che potesse smettere di farla apparire ovunque, tra tutto quel marasma di gente che gli sottraeva ossigeno. Ad un certo punto era scappato in bagno, lasciando Pepper – che tanto se la sarebbe cavata egregiamente anche da sola a mostrare il suo stupendo corpo nel suo nuovo abito firmato Valentino e quel sorriso posato da first lady - per rincorrere come un forsennato una ragazzetta dai jeans strappati e le maniere brute, sgomitando tra politici, impresari e tutti gli altri miliardari del suo stesso rango che lo avevano insultato, ma con contegno. 

All'inizio, la sua apparizione gli aveva graffiato la schiena di un brivido freddo. Poi, quando lei gli aveva voltato le spalle con aria delusa, era stato colto da un senso di vuoto e disadattamento, di panico. Allora si era messo a cercarla. Non era nemmeno sicuro di volerle parlare e di cosa le avrebbe detto in tal caso. Per il momento aveva deciso giusto di andarle dietro per sapere dove si stesse dirigendo, per capire se avesse intenzione di fare qualche cazzata delle sue o fosse tornata per finire il lavoro da sicaria. In quel caso sarebbe stata una trappola e lui ci sarebbe cascato completamente, ma non poteva permettersi di perderla d'occhio tra tutta quella gente più o meno innocente. E quando in quel bagno lussuoso non aveva trovato nessuno, tranne un altro vecchio lecchino venuto a svuotarsi la vescica come un comune essere mortale, si era sentito ancora più vuoto di prima. E purtroppo non era stato difficile capire cosa gli stava succedendo. Trovò la sua immagine allo specchio e capì che non stesse affatto bene. Il fondotinta che Pepper gli aveva tamponato sotto gli occhi copriva solo in parte le occhiaie che ogni notte diventavano più viola e sempre più preoccupanti. Inoltre, il colore della sua pelle non era mai stato tanto pallido e aveva iniziato a pescare i primi inammissibili capelli bianchi. 

Stava male. E ci stava invecchiando nel suo malessere. Non era bastato il trascorso non lontano degli attacchi d'ansia. Era sempre stato lì, latente. Non si era mai ripreso, anzi, stava cadendo ancora più in basso. Stava impazzendo. La sua nuova ossessione lo stava divorando. In un primo momento aveva ricollegato l'evento all'effetto delle medicine e al trauma. Tuttavia, quando si era ripetuto e si era insinuato anche nel sonno, aveva iniziato a capire che stesse esagerando, che stava ingigantendo la situazione, che la sua mente lo stava disintegrando e avrebbe disintegrato tutto ciò che stava ricostruendo per riprendersi in mano la sua vita e ristabilire un sano rapporto con Pepper. Doveva darsi una regolata. Era solo suggestione. Ma in realtà il motivo della sua ossessione era che da quella notte non sarebbe più tornato in sé. E non era solo per quegli artigli che gli affondavano nel petto ogni volta che chiudeva gli occhi, non era solo per quegli occhi tanto freddi e sconosciuti, di un blu spaventoso, che vedeva alle sue spalle in ogni suo riflesso.

Nick gli aveva riferito di Loki, dei soldati uccisi, che lei si atteggiava da colpevole, che era scomparsa com'era scomparsa l'auto con cui erano arrivati fino al suo vecchio appartamento e non era rintracciabile. Si diceva di sapere tutto di lei, che la capiva, ma c'erano momenti in cui tornava a domandarsi se non fosse tutta un'illusione. E se lei gli avesse mentito per tutto il tempo? E se fosse già caduto in una trappola premeditata? Tutte quelle domande lo confondevano ancora di più perché non era possibile che per tutti quei mesi avesse solo finto di essere loro amica, che la simpatia che aveva per lui fosse tutta una recita. Che cosa doveva pensare? Cosa pensava lei di lui, di quella situazione? Si stava tormentando anche lei, come faceva con ogni suo cruccio o davvero aveva girato le spalle a tutti, davvero aveva voltato le spalle a lui? Forse avrebbe dovuto lasciarla andare, quella sera. Forse si era fatto un'idea sbagliata su di lei per tutto il tempo. Perché doveva essere così maledettamente complicata? Perché doveva essere così chiusa e individualista? Un attimo prima era convinto di conoscerla bene e un attimo dopo non lo sapeva più. Un attimo prima era certo di quello che fosse successo e l'attimo dopo aveva già distrutto tutte le teorie per un singolo dettaglio, in nome di quei frangenti di ilarità, di quei sorrisi che gli parevano così sinceri, di quelle battute stupide, di quei lucidi e gioviali pomeriggi passati a chiacchierare tutti insieme, di quello sguardo che gli rifilava pieno di parole che poteva capire solo lui e di quello annebbiato di quando la baciava... Sentiva che le avrebbe perdonato qualsiasi cosa in nome di tutto ciò che, di lei, lo aveva fatto sentire di nuovo un ragazzino e allo stesso tempo gli aveva fatto ritrovare un motivo per rimanere in piedi, con la testa sulle spalle, di tutto ciò che, di lei, lo faceva sentire inadatto, ma estremamente grato di aver scelto lui tra tutti quelli che poteva avere ai suoi piedi se solo avesse avuto interesse nel trovarsi un uomo.

Si prese il capo tra le mani e si strinse i capelli. Com'era coglione. Come sperava che non avesse visto lo schifo di intervista della notte precedente, perché lui l'aveva risentita per sbaglio alla radio e avrebbe voluto sbattere la testa contro il muro. Si sentiva così in colpa per aver detto quella stronzata ai microfoni. Ma era arrabbiato e ferito e confuso e così ubriaco... Alla luce del giorno era chiaro che Astrid si stesse comportando in modo ambiguo solo per paura. Era fatta così. Nessuno sapeva esattamente perché non ragionasse come una persona ragionevole, forse non lo sapeva nemmeno lei. Astrid non aveva in testa una precisa linea divisoria tra il bene e il male. Se esisteva una leggera sfumatura tra i due estremi, lei si fiondava nel mezzo. Era così e tutti avrebbero dovuto accettarlo. Lui l'aveva fatto. Anzi, a dirla tutta era una particolarità che lo ammaliava. Non lo avrebbe mai detto ad alta voce, perché era consapevole che potesse suonare come una cosa da psicopatici, ma aveva un debole per quell'aura oscura e proibita che le veleggiava attorno. E alla fine quell'infatuazione totalmente irrazionale gli si era ritorta contro.

Si strofinò gli occhi, mentre la birra non faceva l'effetto desiderato. Anzi, stava peggiorando la situazione. Sentiva la voce di Rhodey nell'orecchio, che andava avanti a parlare di un'avventura che aveva avuto assieme ad un collega in missione. Non si impegnava ad ascoltare perché con la testa era da tutt'altra parte e comunque la terribile musica commerciale che esplodeva a tutto volume negli altoparlanti seminati del pub ostacolava ogni tipo di conversazione. Premette le labbra sul bordo della bottiglia e si scolò un altro sorso incosciente.

-Tony?

Si sfregò le labbra e voltò il capo verso l'amico che lo guardava con una faccia stupita e attendeva.

-Mi stai ascoltando?

-Certo. Il tuo amico. In quella missione.

-Sì? Cosa faceva il mio amico?

-Non lo so, ne stavi parlando tu, non io.

-Non hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto.

-Mi sono perso un momento.

-Tony, tu è tutta la vita che ti perdi.

Tony si prese il ponte del naso tra le dita, strizzò gli occhi.

-Sei stanco. Lo capisco. Ne vuoi parlare?

-Se ne parlo potrebbe venirmi da vomitare, quindi... no.

Rhodey sospirò pesantemente.

-Non so come dirtelo... Dovresti davvero prendere in considerazione di parlare con qualcuno di professionale. Se continui così...

-Non andrò da un cazzo di strizzacervelli, Rhodes.

-È per te che lo dico.

-Grazie. Ma no, grazie. – e finì la birra in un sorso sotto gli occhi del compare. – E smettila di guardarmi come un barbone alcolizzato.

-Hai bisogno di aiuto. Te ne rendi conto, vero?

-Sto bene.

-No, non è così. Non è affatto così. Non ti reggi in piedi. Sei sempre distratto. Non dormi...

-È stata Pepper a dirti che non dormo?

-Non serve che me lo dica qualcuno che non dormi. Si vede. - lì fece una pausa, titubando. Poi si decise. – Comunque sì, me l'ha detto lei. Mi ha detto anche che non mangi e che ieri notte l'hai fatta svergognare davanti a mezza New York.

-Da quando vi sentite?

-Non cambiare argomento. È preoccupata per te. Mi ha chiesto aiuto.

-È per questo che siamo qui? Perché te l'ha chiesto lei? Perché ho bisogno di assistenza come un malato terminale? Ti sembro un malato terminale, Rhodey?

-Tony. Ascoltami. Non fare come tuo solito. Fatti aiutare. Hai un problema serio.

-Il mio disturbo da stress post traumatico, sì, sì... ci sono già dentro a questa merda da un po', Rhodey. Smettila di ripetermelo. Non cambierà niente ripetermelo.

-Dici che lo sai, che ci sei dentro, ma non fai niente a riguardo. Non prendi mai la cosa seriamente.

-Passerà. Era passata. Passerà di nuovo.

-Già..  Ti vedevo bene prima. Davvero, Tony. Era da un po' che non ti vedevo così... Capisco che te la sei vista brutta, ma... prova a ritrovare quello che ti aveva fatto riprendere le energie l'ultima volta, okay?

Tony accennò una risata, testa bassa. Come poteva dirgli che ciò che gli aveva fatto riprendere le energie era anche quella che gliele aveva sottratte, letteralmente?

La tasca della giacca vibrò. Tony scavò con la mano e sfilò il telefono e lo guardò alienato. Non sapeva perché fosse lì. Non prendeva in mano il telefono da quando aveva dovuto recuperare Astrid da una delle sue crisi contro il mondo. Da quella sera. Aveva persino pensato di averlo perso, invece era stato per tutto il tempo nella sua tasca.

-Non rispondi?

Le spalle di Tony fecero un saltello indifferente.

-Rispondi. Potrebbe essere importante.

-Saranno le solite stronzate di Fury. – e buttò il dispositivo sul bancone con noncuranza.

-Stronzate? Tipo una missione?

-Ti prego, mi sembri Rogers. – lo ammonì Tony sprezzante, una mano alzata.

-Che cosa fai con quella mano?

-Chiedo un rinforzo.

-Hai appena tracannato una birra come se fosse acqua.

-E allora?

-Metti giù questa mano. – lo obbligò Rhodey, abbassandogli fisicamente il braccio sul bancone.

-Non sei mio padre. – ribattè Tony ostile.

-No, sono tuo amico. E non voglio vederti collassato a terra sul pavimento di un pub. E sono sicuro che neanche i tuoi amici Avengers vorrebbero.

-Sono un adulto, Rhodey, e so decidere sulla mia vita.

-Non sembra. Ti atteggi da bambino. Come ogni volta che devi affrontare una situazione difficile. Perché tutto per te dev'essere facile, appena c'è una salita ti abbatti.

In quel momento il telefono vibrò una seconda volta. Rhodey fissò lo schermo su cui brillava un numero non salvato. Poi guardò Tony che non aveva affatto aria di voler rispondere.

-Quante volte ancora farai finta di niente?

-Finchè capiranno che sono ancora in convalescenza.

-Devo rispondere io?

-Non fare il bambino. – lo schernì Tony con le stesse parole dell'amico.

-Vuoi rispondere per piacere?

Tony prese in mano il telefono e lo portò all'orecchio.

-Sì, pronto, parla la segreteria di Tony Stark con la voce di Tony Stark per informarla che Tony Stark non è disponibile al momento. Prego, non lasciate messaggi perchè tanto li farò cancellare prima di ascoltarli, grazie.

Rhodey spalancò la bocca. Capì solo qualche istante dopo che non avesse risposto davvero, ma aveva semplicemente premuto il bottone rosso.

-Sei proprio uno stronzo, lasciatelo dire.

Tony stirò un sorrisetto meschino, mentre si portava la bottiglia alla bocca. Come si ricordò che fosse vuota la posò pesantemente, con un ringhio di rabbia.

-I tuoi amici hanno bisogno di aiuto e tu te ne stai qui con le mani in mano. Come fai a non vergognarti?

-Pensavo fossi mio amico, Rhodey. - borbottò Tony contro gli attacchi che sentiva di ricevere gratuitamente.

-E io pensavo avessi un cuore. Invece tutto ciò che ti interessa è crogiolarti nella tua sofferenza e aspettare che qualcuno ti compatisca. Rifiuti ogni aiuto. Cosa vuoi che faccia? Forse farei bene a lasciarti qui a distruggerti il fegato. Perderei meno tempo.

-E allora perché stai ancora qui?

-Perché ti voglio bene. Quindi adesso ti comporti da adulto e richiami quel numero.

Tony sbuffò. Più volte. Alzò gli occhi verso quelli di Rhodey che non avrebbero ammesso un "no" come risposta, quindi afferrò il cellulare e scorse col dito nel registro chiamate, trovando, oltre al numero privato, anche quello del Capitano. Aveva provato a rintracciarlo un paio di volte. Gli aveva lasciato persino un messaggio:

 

Rogers: 

Tony,

spero tu stia meglio. Fatti vivo.

Steve.

 

Dalla macchina da scrivere agli SMS! Che progressi! Di sicuro doveva averlo aiutato qualcuno. Comunque era il solito melodrammatico, non c'era niente da fare. Chi è che si firmava e andava a capo dopo l'intestazione come nelle lettere nel ventunesimo secolo? Gli venne da ridere, ma Rhodey stava ancora aspettando che si comportasse da adulto. Così ingoiò a fatica l'impulso di darsi il colpo di grazia con la cartella dei messaggi che portava il nome della sua ossessione vivente, e cliccò sull'ultima chiamata persa. Dall'altra parte squillò un paio di volte, mentre a lui tremava la mano. Gli tremava la mano perché sapeva che rispondere alla missione significava vedere lei. E per un attimo ebbe il raptus di lanciare il telefono contro lo scaffale degli alcolici e scappare dal locale, piantando lì Rhodey e il suo fare paterno, ma quello non era un comportamento da adulto. Era un comportamento da Tony Stark in preda al panico. Tira fuori le palle, continuava a ripetersi in testa. È solo una ragazzina. Solo una ragazzina. Ti ha solo catturato al lazo e ti ha quasi ucciso e potrebbe provarci di nuovo e riuscirci perché tu glielo lasceresti fare, ma è... solo una ragazzina. Solo una rag...

-Stark! – esclamò la voce di donna dall'altra parte della cornetta e lui sobbalzò sullo sgabello. Raddrizzò la schiena e si diede un tono.

-Nick? Hai cambiato voce? Cos'è, una nuova tattica per non farsi riconoscere?

-Poche parole, Stark, non abbiamo tempo per scherzare. Ti voglio all'indirizzo che ti mando adesso, entro cinque minuti.

-Che succede?

-Come che succede? Dove sei?

-Informazione privata.

-Va bè, comunque sbrigati. Abbiamo bisogno di te qui. Ciao.

-Ma come, non mi spieghi niente? Neanche un piccolo spoiler?

-Non lo sappiamo nemmeno noi. Abbiamo sentito la terra tremare come un terremoto. Probabilmente c'entra Loki.

-Il Capitano è lì?

-No. Non ho sue notizie e di Natasha da ore. Thor è impossibile da contattare. Banner è non si sa dove sia, quindi vedi di portare il culo qui almeno tu e molto in fretta, Stark!

-Uououoh, riposo agente! Potresti parlare con un fantasma se non fossi stato graziato dalla Dea Bendata! Un po' di rispetto per i feriti di guerra!

-Possiamo contare su di te, Stark? - chiese l'altra placando il tono sicuramente per non dare di matto.

Tony guardò per l'ultima volta Rhodey che stava sorseggiando la sua birra e fingeva di non essere attento alla conversazione. I suoi critici occhi neri si posarono su di lui con pretesa. Tony deglutì.

-Sì. Contate su di me.

-Grande. Ti mando l'indirizzo. Hai tre minuti. – e chiuse la chiamata prima che lui le chiedesse dove fossero finiti quei due minuti in meno.

-Quindi? – chiese Rhodey che con quella bottiglia sembrava lo stesse sfidando. – Hai una missione? Sembrava piuttosto urgente.

-Lo è.

-E allora perché sei ancora seduto qui?

Tony ci pensò ancora per un attimo, fissando il telefono tra le mani e l'indirizzo, prendendo fiato, realizzando che stesse andando incontro al suo suicidio. Poi scese di scatto, facendo traballare lo sgabello. Si sistemò la giacca e i capelli, cercando in un riflesso immaginario.

-Sei pronto? – gli chiese Rhodey, a metà tra il serio e la presa in giro.

-No. Ma devo farlo, giusto?

-Sì, devi.

-Bene. È stato un piacere averla come supporto morale, Tenente Colonnello James Rupert Rhodes. I suoi anni di servizio hanno reso onore alla patria. - e gli rifilò un discreto e rapido saluto militare. Doveva essere qualcosa di comico per distogliere l'attenzione dal suo disagio, ma ebbe la forte impressione che non gli fosse uscito bene.

-Vai, ti stanno aspettando. – fece l'altro offrendogli ancora una buona fetta della sua pazienza. – Ti devo accompagnare alla porta?

-No, credo di farcela. – ribattè Tony, ma non si schiodò da dov'era.

Rhodey sbuffò bonariamente. Lasciò qualche dollaro sul bancone e portò un braccio attorno al collo di Tony, spingendolo verso la porta. Dovette convincerlo ancora sul ciglio, poiché tentò di nuovo di trovare delle scuse, parlando senza respiro, ignorando la sua voce che gli diceva "Andrà tutto bene. Respira. Con calma. Nessun buco nero si aprirà su New York oggi. Sì, te lo prometto" e doveva trattenersi dal ridere. Tony non era sicuro. Non era sicuro per niente. Sentiva il panico salire e l'ossigeno mancare sebbene fossero all'esterno, finchè il viale non riempì di urla. All'improvviso tutt'attorno a loro traballava come lo sgabello del bar. Le pentole appese al baldacchino di un minimarket non lontano cominciarono a tamburellare e a sbatacchiare tra di loro e si accesero sirene e la gente sui marciapiedi iniziò una corsa impazzita in cerca di un riparo. Qualcosa glo disse che fosse il terremoto di cui aveva parlato Hill.

Tony controllò l'indirizzo. Era a mezz'ora di strada se avesse preso l'auto. In via aerea ci avrebbe messo meno della metà del tempo. In velocità turbo meno di un quarto. E lui aveva solo mezzo minuto.  Era l'ora di indossare l'armatura.

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Ora o mai più ***


Volevo informarvi che ho creato una pagina Instagram multifandom in cui tratto delle mie storie e di vari disagi (tra cui il mondo di Wattpad).
Cercatemi, sono:
@nadjavillain 


+*. Buona lettura .*+

__________________________________________________________


Neve e Cenere | MARVEL

40 . Ora o mai più


La Strega stava immobile come un cane da guardia, studiava la ladra con occhio attento, i piedi ben saldi al pavimento, i muscoli rigidi e pronti a rispondere, gli occhi ben truccati stretti in due fessure intimorenti.

Astrid invece non era concentrata su di lei. Quel tremolio del terreno e i pizzicori, se li ricordava da quella volta che aveva steso il gigante. Anche se non tutto le tornava perfettamente, iniziò a pensare che un certo Dio stesse agendo senza il suo ausilio. Da una parte era un sollievo, perchè almeno non sarebbe dovuta vagare per chissà dove per trovarlo. Le sarebbe bastato pronunciare il suo nome, probabilmente, e Loki sarebbe apparso alle sue spalle come sempre, pronto per compiere lo scambio accordato. Doveva solo disfarsi della Strega e correre verso l'uscita. Ma come?

Una spina nel fianco. Ecco cos'era. E la sua voce fastidiosa. Non poté fare altro che pensare al Capitano. La sua faccia da tutore apprensivo rivitalizzò l'immortale senso di colpa che le tentacolava nello stomaco come un verme solitario. Se fosse stato presente, le sarebbe rimasto appiccicato per tutto il tempo, come faceva sempre. Eppure non era lì. Forse stava iniziando a stancarsi di lei. Forse si era stancato di esasperarsi. Forse si era rassegnato. Forse era il principio di un allontanamento. Doveva essersi trovato davanti ad una scelta e quella volta non era stata lei. Il che, in quel momento, le faceva molto comodo, ma l'idea le scatenò una sensazione indesiderata, come di vuotezza, come di perdita. Era davvero pronta a trovarsi di nuovo sola?

Il terreno si scosse di nuovo per un breve istante, una scossa più violenta e improvvisa. I neon che schiarivano la parte del salone dove non arrivava la luce naturale, occhieggiarono. Le valige sul tavolo e le sedie emisero un gracidio assieme ad una simultaneità di scricchiolii, tintinnii e lamenti metallici, come se tutto l'edificio si stesse torcendo su sé stesso.

-Antisismico, eh? - borbottò Astrid sollevando lo sguardo verso la luce che filtrava dalle vetrate che d'un tratto si stava spegnendo, come se davanti al sole si fosse sdraiato uno spesso manto opaco. Astrid e Wanda si guardarono per la prima volta senza competitività.

-Questo non è normale.

-Manca solo che un mostro di dieci metri sbuchi dal pavimento. - ironizzò Astrid convinta che non fosse possibile perchè Loki, per richiamare quel coso aveva avuto bisogno del Tesseract e quello era davanti a loro, racchiuso in una valigia a lucchetto elettronico.

-Come quello che era addormentato nella Torre Avengers?

Astrid saltò in piedi. Wanda fece un passo indietro.

-Che c'è?

-Addormentato?

-Sì, addormentato.

-Come fai a dire che era addormentato?

-Perchè... sognava...

Non si soffermò sul fatto che una creatura così stupida e animale fosse in grado di sognare. Il motivo per cui potesse ancora farlo era più rilevante. Perchè non ci aveva mai pensato? Perchè avevano dato per scontato che ormai quel bestione fosse innocuo? Come avevano fatto a non pensare che poteva tornare utile a quello psicopatico intergalattico? Loki aveva sempre saputo dove lo tenevano nascosto ed era andato a richiamarlo proprio quando la difensiva era dispersa. Un piano diabolico. Un piano perfetto. Forse nato per caso, ma c'era un motivo se Loki, che sapeva pazientemente nascondersi nel dubbio e nella falsa quiete, cadeva sempre in piedi. Che errore idiota avevano fatto! Non erano caduti nel tranello, ci si erano tuffati a capofitto! Com'era che il Capitano si era lasciato sfuggire un dettaglio così pericoloso?

D'un tratto si sentì il portone sbattere. Due paia di piedi correre. Pietro apparve con una folata di vento, i capelli argentati tutti spettinati, una faccia sconvolta.

-Tutti fuori! Uscite tutti! - urlava la voce di Clint rimbombando nel corridoio. Astrid e Wanda si affacciarono nel corridoio. Wanda la precedette.

-Avevi detto che era antisismico.

-Antisismico, non anti-trivella.

Astrid agganciò lo sguardo del Falco che entrò nella stanza con grande fretta. Era esattamente come aveva intuito.

-Quant'è vicino? - chiese.

-Molto.

-Vi ha visti?

-Non ancora. E non possiamo attirarlo qui. Portiamo tutto fuori.

Prese una valigia. L'altra la prese Astrid che dovette contenere il proprio compiacimento perchè Wanda le lanciò un'occhiataccia. Uscirono sul ponte mentre si sistemavano gli auricolari. Il cielo era diventato scuro, le nuvole pesanti si addensavano con una velocità impressionante. A fondersi con esse erano i colori sbavati della città che si stava sbriciolando. Una maestosa colonna di fumo si alzava sulla moltitudine di grattacieli. Astrid avrebbe giurato di vederci anche delle fiamme.

-Via! Nel bosco, presto!

Iniziarono a correre lungo il ponte della diga. Era fatto di cemento, progettato per resistere alle elevate pressioni dell'acqua, ma ad ogni scossa diventava come uno di quei percorsi sospesi nel vuoto e sembrava minacciare di sgretolarsi sotto i loro piedi da un momento all'altro. Seguirono una stradina tra gli alberi che costeggiava la diga e portava verso la città.

Astrid alzò il capo verso il cielo torvo nel momento sbagliato. Aveva notato un rumore e una macchiolina rossa che li inseguiva nel cielo. Si sforzò di ignorarla, non era momento per scene da film sentimentale. Inoltre era già senza fiato dopo poco che correvano, per questo motivo non riusciva a stare dietro al gruppo e la valigia pesava più di quanto avesse pensato. Dovette rallentare per recuperare il respiro, ma la macchiolina rossa ronzava sulle loro teste e lei non poteva attirare l'attenzione. Così riprese il ritmo, anche se con più difficoltà, fingendo di non sentire di dover sputare una bile sanguinea derivante direttamente dalla milza. Stava pensando di avere una gran voglia di stendersi, quando si accorse che Clint si era fermato per aspettarla.

-Sto bene, andiamo. – ansimò lei, strizzandosi il fianco sinistro con la mano libera.

-Dai a me quella. - Fece lui e prima che Astrid potesse protestare, la valigia era già passata nella sua mano. Dopodichè tornarono a muoversi ad una velocità più ragionevole. Tutti tranne Pietro che aveva già fatto tutta la lunghezza del bosco e ritorno due volte. Così Clint lo aveva mandato a perlustrare i dintorni per scovare qualche "amico" nascosto.

-Sembra pulito. – aveva detto la sua voce nell'auricolare.

-Confermo. Nessuno anche da quassù. Tutto bene là sotto? - fece la voce di Stark all'improvviso. Nessuna entrata di scena teatrale? Astrid se ne stupì alquanto.

-Sì. Tutto perfettamente. – rispose Clint con una leggera punta di sarcasmo.

Tutto perfettamente, ripetè Astrid tra sé e sé. Dovette fermarsi di nuovo, le mani sulle ginocchia. Non ne poteva più di stare così, spossata, debole. Ogni volta che si muoveva scopriva qualcosa che la affaticava o che la rallentava. Un tonfo affondò nell'erba alle sue spalle e lei sapeva già che avrebbe fatto meglio a correre più veloce di prima, nonostante le stesse venendo un infarto o un attacco di asma o entrambi in simultanea. Non si voltò nemmeno per guardarlo. Sentiva che volesse iniziare una conversazione, ma lei non voleva che le parlasse, non voleva nemmeno sentire la sua voce e anche se solo le avesse chiesto se stava bene, probabilmente gli avrebbe tirato un pugno. Fortunatamente qualcun altro salvò entrambi dall'imbarazzo. Una scia bianca spaccò il cielo torbido con un lampo e un boato esplosivo. La scarica elettrica si schiantò proprio sul tetto dell'edificio da cui erano usciti. Una piccola sagoma scura apparve dallo sfumare del fascio di luce. In quel momento ad Astrid venne in mente che probabilmente Stark era atterrato per non prendersi il fulmine in testa, non per parlarle.

-Barbie è tornata dal parrucchiere! - esclamò Iron Man. Astrid trovò il suo tentativo di fare il solito simpaticone nonostante tutto, più irritante e fuori luogo del solito.

-Non avevamo detto di non farci vedere vicino alla diga per non attirare il gigante? - evidenziò Pietro. La faccia contrariata di Clint e il suo sbuffo spazientito parlavano da soli.

Un ruggito rauco dettò silenzio sotto le fronde e nei petti di ognuno. Gli sguardi di tutti si incrociarono confusamente cercando la fonte del verso del mostro.

-Okay. – fece Clint impugnando l'arco che si aprì con uno scatto. - Rimettiamo il cucciolo in gabbia.

Iron Man lo bloccò subito.

-Se posso dire la mia, Barton, non sei stato molto efficace l'ultima volta.

-Non c'era bisogno che lo sottolineassi, Stark.

-È per dire che tu e Testa Calda sareste più utili allontanando i giocattolini dal campo di battaglia che facendo le belle statuine e rischiando di condannare tutti ad un futuro infelice.

A "Testa Calda" Astrid trattenne il respiro. Quel fare finta di niente suonava così tristemente patetico. 

-Mi dispiace lasciarvi andare da soli, ragazzi. - fece Clint ai gemelli. In realtà aveva già considerato l'idea di rimanere. Sebbene non fosse abituato a tirarsi indietro facilmente, doveva riconoscere che Stark avesse ragione.

-Ce la caveremo. – assicurò Pietro rivolgendo lo sguardo verso la sorella che invece era impegnata a torturare Astrid con lo sguardo, contrariata dalla decisione appena presa.

-Fate attenzione. – si raccomandò Clint mentre Iron Man spiccava il volo e Pietro prendeva in braccio Wanda per poi sfrecciare via come un razzo.

-Non ce la faranno. – commentò Astrid. Non era il pessimismo a parlare, tutti sapevano che l'unica a poter fermare il gigante era lei.

-Ascolta, l'importante adesso è che lo distraggano e lo allontanino dalla città. Noi abbiamo un compito diverso. – spiegò Clint mentre caricava una pistola. – Tieni. Devi difenderti.

Astrid impugnò l'arma senza fiatare. La fissò come si fissa la chiave della propria gabbia. Fu come un'illuminazione. In quell'istante capì che cosa doveva fare e non poteva ragionarci a lungo altrimenti non avrebbe più trovato il coraggio. Ora o mai più, si disse. Così, mentre Clint le dava le spalle e sbirciava tra gli alberi, spiegando che cosa avrebbero fatto nel frattempo, ovvero aspettare l'agente Hill che li avrebbe raggiunti col fuoristrada, Astrid lo colpì sulla nuca con la coda dell'impugnatura.

-Scusa. – biascicò mentre il corpo dell'uomo con cui giocava a "chi ne fa fuori di più", del compagno che si fermava ad aspettarla e che gli aveva appena fornito un'arma perché non aveva dubbi su di lei, si accasciava a terra senza sensi, tradito vilmente. Astrid si pietrificò davanti alla scena perchè una parte di sé urlava terrorizzata dal fatto che aveva appena concretizzato i propri pensieri e di quanto veloce e facile era stato scavalcare i freni inibitori. Quanto avrebbe rischiato se avesse detto che non era stata lei? Alla fine Clint non l'aveva vista in faccia mentre lo stendeva. Forse avrebbe dovuto trascinarlo in un posto più nascosto e sicuro, forse avrebbe dovuto dire a qualcuno che si era sentito male. Si accorse che ci stava pensando troppo quando udì il rombo di un motore. Doveva essere l'agente Hill. In pochi secondi sarebbe scesa e avrebbe chiesto di Barton o lo avrebbe visto disteso ai suoi piedi e da lì Astrid non sarebbe più scappata. Non poteva assolutamente farsi vedere. Quindi afferrò le valigie e scattò nella direzione opposta.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3712934