Adventure Time - L'ora dell'avventura

di Ellery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una grande e nobile impresa ***
Capitolo 2: *** La Compagnia dell'Aspide ***
Capitolo 3: *** La locanda del Cerbiatto impennato ***
Capitolo 4: *** L'ennesima colazione ***
Capitolo 5: *** Sanromolo ***
Capitolo 6: *** Sventura! ***
Capitolo 7: *** Ufficio Background Tragici ***
Capitolo 8: *** La Cerimonia degli Oscar ***
Capitolo 9: *** La Foresta delle Voci ***
Capitolo 10: *** I Campi Elisi ***



Capitolo 1
*** Una grande e nobile impresa ***


I. Una grande e nobile impresa

 

C'era una volta, un po' di tempo fa, un regno governato da un re molto saggio. Stronzo, ma molto saggio. Il re, rimasto vedovo ormai da anni, non aveva altro sostegno che il figlio, ultimo erede della casata degli Ezhno. La cosa, naturalmente, non era fonte di stupore: con un cognome tanto impronunciabile, i sudditi non vedevano l'ora che si instaurasse una nuova famiglia reggente – possibilmente qualcuno che si chiamasse Giorgio o Giovanni o Luciano, sì che fosse facile rammentarlo.

Come detto, il re aveva un solo figlio: a trent'anni, però, il baldo giovane non era ancora sposato. Oltre a non ricevere adeguate avance dalle nobildonne, il suo stile sciatto e trasandato scoraggiava anche le affabili donzelle della borghesia. Si ostinava a tenere i capelli smodatamente lunghi, con un taglio che a noi ricorderebbe quello degli Indiani d'America; inoltre, si era fatto dipingere, tramite speciali tinte alchemiche, alcuni complicati disegni sul corpo: a detta sua, negli altri Stati andavano parecchio di moda ed erano simbolo di intelligenza e forza.

Non che il principe mancasse di queste caratteristiche: era alto, muscoloso e con un fisico ben proporzionato. Di bell'aspetto, senza dubbio, ma con un carattere troppo strano per interessare al gentil sesso: anziché dilettarsi in tenzoni medioevali, Iye preferiva passare il tempo nel suo laboratorio, a sperimentare e costruire. L'idea di buttarsi in politica e governare, ovviamente, non gli interessava affatto; al contrario, impegnava tutte le proprie risorse per diventare un ottimo inventore ed un bravo alchimista, come il suo vecchio mentore.

Un triste giorno, tuttavia, il re si ammalò ed Iye fu convocato immediatamente al suo capezzale.

Giunto nella stanza, ordinò ai servitori di lasciarli soli e si inginocchiò accanto allo sfarzoso letto, tendendo la mano per afferrare quella del padre:

“Eccomi. Mi avete fatto chiamare?” disse solo, sentendo le dita ossute intrecciarsi alle proprie.

“Figlio diletto, i miei giorni stanno per finire” la voce del sovrano era spenta ed apatica “Ben presto, il regno passerà nelle tue mani. Tu diventerai il nuovo re, Iye”

“Preferirei di no, grazie. Declino l'offerta”

“Nessuna offerta! È un obbligo, un impegno morale che devi onorare. Tuttavia, non puoi diventare re senza una adeguata consorte ed un curriculum degno di nota” il re tossì e sputò un fiotto di saliva sulle vicine coperte “Ah, vedi come sono ridotto? Figlio, ecco la mia ultima volontà: nella mia vita ho fatto tanti sbagli e desidero che tu vi ponga rimedio. Ho allontanato il nostro regno, cacciando i Kemonomimi dalle nostre terre. Ho impedito agli ambasciatori della Repubblica degli Androidi di chiedermi udienza, perché temevo che la loro forma di governo avrebbe distrutto la nostra felice Monarchia Assoluta Dove Nessuno Può Pensarla Diversamente” una pausa, come a racimolare le ultime forze “Ho esiliato gli storpi e gli invalidi, cacciandoli nei bassifondi e nelle periferie, impedendo loro di turbare la quiete degli onesti cittadini. Ora però, ad un passo dalla morte, mi rendo conto d'essere stato un sovrano egoista e vile; vorrei che tu rimediassi ai miei sbagli”

“Desiderate che riapra le porte della città ai poveri? Che consenta loro di vivere in armonia con il resto della popolazione, donando un lavoro ai disoccupati, riducendo le tasse, aprendo scuole pubbliche e bonificando i ghetti?” Iye sentì che quella era la strada giusta: il suo ingegno lo avrebbe aiutato a rimodernare la società, a riparare ogni torto e ristabilire l'equilibrio “Volete che accetti le idee democratiche degli Androidi? Che ristabilisca la pace con il regno dei Kemo e portare l'armonia nel continente di Narita?”

“Che scemenze! Certo che no!” il re spense immediatamente il suo entusiasmo “Voglio solo che ti sposi e che tu compia un viaggio”

“Un viaggio?”

“Come sai... il nostro mondo si compone di tre stati: il Regno degli Uomini, a ovest, prospero e florido e di cui sarai presto il monarca. La repubblica degli Androidi, a nord... un posto che nessuno di noi ha mai visitato perché non c'era motivo di visitarlo; insomma... chissenefrega di quello che pensano delle fottute macchine con sembianze umane”

“A me interessa! E... padre, perdonatemi, ma temo che fottuto non sia un termine appropriato ad un nobile come voi”

“Hai ragione, ma speravo mi fosse concesso almeno un turpiloquio in punto di morte!” il re si strinse nelle spalle, riprendendo poi “A est, infine, dopo le Brulle Regioni Inesplorate si estende l'Impero dei Kemo, ora governato dal perfido Ukuko”

“Credo si chiami Ukoku, ma non ne sono sicuro”

“Non è importante! Ecco quello che devi sapere: il malvagio Ukoko ha preso il potere con l'inganno e si è fatto proclamare imperatore. In realtà, ha instaurato una forma di dittatura, dove vige il terrore e la censura. Chi non la pensa come lui, viene imprigionato oppure bandito. Ma... prima di lui, vi era una famiglia reale retta e di sani principi: la stirpe degli Ash. Di questi, tuttavia, rimane soltanto un discendente, che Okuko tiene in vita per fingere che la sua presa di potere sia legale agli occhi della popolazione. Teme che uccidendo la giovane e prosperosa principessa, i sudditi si ribellerebbero e lui perderebbe ogni potere; per cui, la bella Kacey è prigioniera in una torre, sorvegliata giorno e notte da orribili scagnozzi, i membri della Yakuza”

“E dove sarebbe questa torre?”

“Sul monte Sasha , in cima ad un sentiero irto di pericoli. Si dice che molti prodi abbiano tentato di salvare la graziosa dama, ma senza successo. Tutti sono caduti e solo un menestrello è tornato per cantarne le gesta”

“Quindi, desiderate che io parta per salvare la principessa e poi la sposi?”

“Esatto. Inoltre, dovrai sconfiggere il malvagio Ubelardo e riportare la pace tra i nostri regni”

“Sono quasi sicuro che si chiami Ukoku” Iye trasse un profondo sospiro, sconfortato da quei continui errori. “In ogni caso, padre.. non vedo perchè tutto questo sbattimento! Potrei ottenere lo stesso effetto guadagnandomi il rispetto della nostra gente attraverso la diffusione della cultura, ridistribuendo le ricchezze, favorendo piani di igiene personale e...”

“I grandi re vengono ricordati per le grandi battaglie. Hai trent'anni e non hai neppure ucciso un cane a tre teste!”

“Perchè non esistono, padre.”

“Certo che esistono. Sul monte Sasha! È uno dei pericoli che dovrai affrontare per salvare la tua fidanzata” il re sollevò una mano, toccando la fronte del principe “Ora va, figlio mio! Prendi con te i migliori cavalieri e trotta verso il tuo destino! È la mia ultima volontà”

“Ma padre...”

Il re non rispose; dopo aver emesso un ultimo rantolo, chiuse gli occhi e, nel silenzio dell'austera camera, spirò.

 

Iye rimase al capezzale del genitore tutta la notte, trovando le forze per alzarsi soltanto al mattino. Il peso che gli gravava sulle spalle era immenso: non poteva sottrarsi alle ultime richieste di un moribondo, né fingere di non averle udite. A Prometheus, la capitale del Regno degli Uomini, la notizia della scomparsa del re si era diffusa immediatamente; il popolo mormorava inquieto, timoroso per il proprio avvenire: il principe Iye sarebbe stato in grado di guidarlo? O si sarebbe rivelato un tiranno? Probabilmente era un inetto incapace di gestire qualunque cosa: non era ancora sposato, né aveva mai mostrato interesse per il matrimonio! Inoltre, non aveva mai preso parte a guerre, conquiste, gesta eroiche. Sarebbe caduto preda delle trame dell'aristocrazia, che da troppo tempo sognava di prendere il potere? Oppure si sarebbe sistemato, avrebbe trovato moglie e generato un nuovo erede? Magari sarebbe partito per qualche epica battaglia, ma … se non avesse fatto ritorno, a chi sarebbe andato il governo del reame?

Tutti quegli interrogativi attanagliavano tanto le menti dei cittadini quanto quella del nuovo signore. Iye, dopo una notte insonne, si era ritrovato immediatamente preda della burocrazia: per le esequie del re, preferiva una pira funeraria o un corteo? La bara la voleva in legno di noce o di castagno? Maniglie dorate o argentate? Desiderava celebrare il rito in forma privata? Gradiva appoggiarsi alla gilda dei Druidi, a quella degli Oscuri Necromanti oppure ai Prescelti dei Sacri Eremiti? In tutto questo, doveva pensare anche all'incoronazione: non poteva procedere, perché il suo curriculum da paladino faceva acqua da tutte le parti! Era necessario che portasse a compimento una missione, prima di poter accedere al trono.

“Mio signore”

Sentì una mano bussare alla porta delle proprie stanze e vide una testa del menestrello di corte fare capolino oltre l'uscio.

Genji era un bravo ragazzo, ma dall'aspetto piuttosto bizzarro: i lunghi capelli castani erano nascosti da berrettini colorati, intonati a delle orribili camicie e bermuda attillate; gli occhi argentati spesso marcati da pesante trucco per sottolineare il suo essere trasgressivo. Inoltre, possedeva una passione sfrenata per la musica alternativa. Aveva ideato un genere innovativo, molto gradito tra gli adolescenti: anziché suonare il mandolino come di consueto, lo aveva girato e percosso, riducendolo ad una sorta di tamburo. Con delle ossa di pollo - quelle avanzate dai banchetti che era solito intrattenere – aveva creato dei piccoli e ruvidi plettri con cui pizzicare arditamente le corde degli strumenti. In breve, violini, arpe, cetre... erano diventati protagonisti di una musica alternativa e giovane.

“Accomodati” Iye gli indicò una poltrona accanto alla propria scrivania.

“Ho sentito che il re vi ha affidato una grande missione. È vero?”

“Purtroppo sì, amico mio. Devo recarmi a Kemolandia per s sconfiggere il malvagio Ukoku, salvare la principessa e sposarla.”

“Sembra un'impresa perigliosa. Dite, vi occorre mica un menestrello che canti le vostre gesta?”

“In fede, mi piacerebbe, ma non saprei a chi affidare il regno in mia assenza. Avevo pensato a te”

Genji lo guardò stupito:

“A me? Ma sono solo un cantante, un giullare. Non so nulla di come si governa!”

“Lo so, ma non posso lasciarlo a nessun altro.”

“Vi prego! Desidero venire. Il mio cuore batte d'ardore || Ho un'impresa da declamare || Non abbandonate un fedele servitore || Le vostre gesta potrei cantare

Era normale che Genji si lasciasse andare ad improvvisazioni, ma quell'abitudine si stava facendo sempre più frequente e seccante. Iye la trovava originale, mentre a palazzo si mormorava già di che gran scocciatura fosse un bardo capace di parlare solo in versi.

Il principe sospirò, sforzandosi di ragionare a mente lucida: Genji era un fido compagno e non se la sentiva di scacciarlo o, peggio, obbligarlo a rimanere a palazzo. Si massaggiò la fronte, come in cerca di una soluzione: avrebbe potuto nominarlo Sovrintendete ed ordinargli di regnare temporaneamente al posto suo. Oppure assecondare quel suo desiderio di avventura. IN questo caso, tuttavia, non avrebbe saputo a chi consegnare il reame.

Genji riprese la parola, quasi gli avesse letto nella mente:

“Potreste lasciarlo a Rin Walker!”

“Rin?” era un giovane aristocratico, dai modi affabili e ben voluto. Aveva collaborato più volte con Genji, nella stesura di poemi e sonetti: entrambi possedevano un udito invidiabile ed un talento per le composizioni artistiche. Malgrado la famiglia Walker osteggiasse tali passatempi, il promettente Rin si era costruito una carriera da bardo di successo: era l'idolo delle damigelle, il poeta più in voga del momento e tutti a Prometheus lo adoravano. “Ottima idea!” Iye annuì soddisfatto “è deciso. Verrai con me e lasceremo il regno a Rin. Convocalo immediatamente e, già che ci sei, riunisci tutti i cavalieri nella Sala della Tavola Rotonda. Dobbiamo prepararli alla missione”

 

***

 

La Tavola Rotonda, in realtà, era rettangolare. Era un normalissimo tavolo dove sedevano dodici dei migliori guerrieri del regno.

Messer Nasolungo, così chiamato per la prominente appendice nasale che non mancava mai di esplorare, gettò una occhiata agli altri presenti. Erano tutti uomini robusti, con i visi coperti da barbe ricce e baffi all'insù; indossavano le loro migliori armature ed alla cinta portavano spade tempestate di pietre preziose e riccamente lavorate. Ognuno recava, ricamato sul mantello, lo stemma della propria casata.

“Mi domando perché l'abbiano chiamata Sala della Tavola Rotonda” Messer Nasolungo si sporse verso il proprio vicino, un signore dall'aria accigliata e perennemente imbronciata “Messer Brontoloso, voi che ne pensate?”

“Semplicemente, il nome Sala della Tavola Rettangolare era troppo brutto per poter essere utilizzato” uno sbuffò completò quelle parole “Mi domando perché il principe ci abbia convocati qui”

“Beh, credo sia per via di una importante missione” Messer Chiacchieratroppo si intromise nella conversazione “Si dice che il re l'abbia affidata al principe, prima di morire”

“E si sa nulla in merito?”

“Niente di niente, solo...” lo schiudersi dell'alta porta interruppe quella conversazione.

Nella sala scese il silenzio ed Iye si affrettò a raggiungere il proprio scranno, a capotavola. Si mosse a disagio sulla seggiola, consapevole d'essere osservato: quegli uomini riponevano in lui ogni speranza ed ambizione. Forse, scegliere il completo color prugna non era stata una grande mossa.

Genji gli fu subito accanto, intonando delle note leggere con il suo strumento:

“Sottofondo” fu l'unica spiegazione che concesse.

“Signori, ben trovati” Iye attaccò, congiungendo le mani al petto, in un rispettabile saluto “Perdonate per l'urgente convocazione, ma devo mettervi al corrente di alcuni sviluppi”.

Uno schianto secco lo bloccò: l'ingresso si era nuovamente spalancato ed una figura snella e ben vestita attraversò in fretta la sala.

“Oh, scusate il ritardo!” Rin Walker prese alla sua destra, rivolgendogli un sorriso affabile “Iye! Come andiamo? Mi dispiace, sono rimasto bloccato all'incrocio tra la quinta e la sesta. Un ingorgo, come al solito... troppe carrozze e strade strette.”

“Tranquillo! Son cose che capitano” il principe riprese, come se nulla fosse “Tornando a noi” lasciò spaziare lo sguardo sugli astanti “Il mio augusto padre – che gli Dei lo abbiano in gloria – prima di morire mi ha affidato un compito a cui non posso sottrarmi. Richiedo, quindi, il vostro aiuto per poter adempiere a questa promessa”

“Diteci di che si tratta, Vostra Maestà!” Messer Cuordileone si alzò di scatto, battendosi il pugno sul cuore “Saremo pronti a seguirvi ovunque!”

“Ebbene, mio padre desiderava che mi sposassi e che riscattassi l'onore del nostro regno in una grande impresa: sconfiggere Ukoku dell'Impero Kemo e salvare la principessa Kacey, sì da poter ristabilire la pace tra i due regni con uno schifoso matrimonio combinato. So che sarà un'avventura pericolosa, complicata e che molti potrebbero non fare ritorno, ma...”

“Aspettate! Ci state chiedendo di seguirvi sino all'Impero Kemo, di batterci con Ukoku, di salire sul Monte Sasha e sconfiggere il sadico cane a tre teste per salvare una principessa e farvi convolare a nozze con ella?”

“Sì, è esattamente così” Iye finse di non notare lo sbigottimento correre sui volti dei cavalieri “In mia assenza, lascerò le redini del regno a Rin Walker”

Un pallido e poco convinto applauso si levò dall'assemblea, subito coperto dallo sbottare di Messer Brontoloso:

“Io temo di dover rinunciare, Vostra Maestà. Come saprete, diventerò presto zio e non posso abbandonare mio nipote in fasce”

Iye aggrottò la fronte:

“Voi non avete né fratelli, né sorelle...”

“Ed io sto per convolare a nozze. Non vorrete privarmi della mia luna di miele, vero?”

“Siete già sposato, Messer Nasolungo”

“Il mio cavallo si è azzoppato ed ho appuntamento con il maniscalco. Che disdetta non poter partecipare ad un atto così eroico”

“Tuttavia...”

“Mi sono fatto fare un certificato dal mio cerusico di fiducia! Ho la gotta!”

Nessuno, evidentemente, sembrava propenso ad accompagnarlo. Iye nascose il viso sconfortato: non vi era nulla che potesse convincere quegli uomini? Eppure erano i più coraggiosi del regno! A chi altro avrebbe potuto rivolgersi, se persino i suoi cavalieri gli voltavano le spalle? Pian piano, i guerrieri si alzarono e, dopo un cortese cenno di saluto, abbandonarono la sala.

Il cavaliere si finge coraggioso || Ma il suo cuore arde di viltà || Pensava d'essere forte e generoso || Dinanzi al pericolo lui fuggirà!

“Genji, capisco il tuo zelo, ma non è il momento” Iye risollevò il capo, spiando la stanza ormai deserta. Chi rimaneva, oltre a lui ed al menestrello? “Qualche idea?” domandò verso Rin, l'unico ancora seduto.

“In realtà... sì! Ho conosciuto un gruppo di mercenari, mentre facevo il tour nei bassifondi. Sai, quel paio di concerti che ho tenuto in periferia? Un grandissimo successo.” Rin applaudì da solo, visibilmente soddisfatto “Dovevate sentire le ammiratrici come urlavano. Una mi ha persino tirato un corpetto!”

“Si, emh.. non per interromperti, ma... questi mercenari?”

“Ah, si! Uno di loro è un mio grande fan. È venuto a chiedermi l'autografo e... niente, parlando mi ha raccontato che lavora in questo ambiente di disadattati: sono un po' cari, ma hanno fama di lanciarsi anche nelle imprese disperate”

Iye si fece immediatamente attento:

“Sapresti dove trovarli?”

“Naturalmente! Ti darò tutte le indicazioni a cena”
 

Il sovrano non si arrende a niente || Pur di salvare la sua regina bella || Si mette in affari con brutta gente

 



Angolino: buonasera! Mi butto in questa cosa, anche se questa cosa  un senso non ce l'ha.
é una ff che si rifà all'universo di Heavens Door's Yaoi - gioco di ruolo by chat - ed ai personaggi in esso contenuti.
Nello specifico, Iye (per gentile concessione della player) sarà il protagonista della storia. Perchè? Boh, forse perché questa ff nasce come parodia della sua XD
Pian piano introdurrò anche gli altri personaggi. Ad ora, abbiamo incontrato:
- Iye
- Genji
- Rin
- Kacey (che rimarrà la fugace visione di una donzella in difficoltà per tutto il tempo XD)

Nella speranza vi sia piaciuta,

E'ry / Shin

 

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Capitolo 2
*** La Compagnia dell'Aspide ***


II. La Compagnia dell'Aspide
 

Avevano varcato le porte della città di buon mattino, inoltrandosi nella periferia abitata dai ceti medio bassi. I mendicanti si accalcavano ai lati della strada, protendendo le mani callose in attesa di qualche moneta; i ladri tentavano di borseggiare i passanti, mentre meretrici d'ogni età si affollavano alla ricerca di clienti.

Il passaggio della piccola comitiva a cavallo, ovviamente, aveva destato sospetti e canzonature: quello era il nuovo sovrano? Perché indossava quell'orrendo abito turchese? Chi erano i due che lo seguivano? Un menestrello che non sapeva stare zitto e... oh, Rin Walker! Quello sì che era un figo. Valeva la pena cacciare un autografo.

“Firmereste la mia stampella, signor Walker?”

“Autografereste la borsa che ho appena scippato alla vecchia?”

“Vi prego, baciate mia figlia. Da grande, voglio diventi famosa come voi.”

Quei discorsi li inseguivano sin da quando avevano abbandonato la cinta muraria che separava i bassifondi dai quartieri borghesi ed aristocratici.

“Uff, così non si può!” sbottò Iye, notando che Rin si era fermato a benedire l'ennesimo fanciullo prodigio con la propria soave voce “Rin!” chiamò, indicando poi la strada “Noi ci avviamo. Raggiungici quando avrai finito”

Ottenne solo un cenno affermativo e si affrettò a spronare l'equino con un pungolare dei talloni.

Oh, disdetta che non son famoso || Si fossi più avvenente, gaudente e curioso || Invece m'han fatto strano e nulla è concesso || Neppure agognare al bel gentil sesso

“Genji, ti prego.”

Poco dopo una svolta, una minuta piazza si profilò davanti ai loro occhi: era un semplice spiazzo di terra battuta, al centro del quale si stagliava una misera casupola di legno. La porta era chiusa, così come le imposte dipinte di verde. Tuttavia, il fumo proveniente dal comignolo lasciava intendere che fosse abitata.

Iye scese da cavallo, affrettandosi verso l'ingresso. Batté un paio di volte le nocche, prima di annunciare:

“Sono Iye, il principe! Potete aprire, di grazia?”

“Parola d'ordine?” una voce profonda giunse dall'interno.

“Emh... non la so. Sono il principe, comunque”

“Parola d'ordine?”

“Vi ho detto che non la conosco. Sarei il futuro re e sto cercando dei mercenari che si fanno chiamare... la Compagnia dell'Aspide. Siete voi?”

“Aspide? Oh.. amh, sì. Aspettate”

Si udì lo scattare di un chiavistello e, poco dopo, sulla soglia apparve un giovane dai capelli bianchi e grandi occhi verdi. Un albino, probabilmente. Non era molto alto, ma snello e scattante. Il fisico era avvolto da una casacca di un rosa pallido, completata da pizzi e merletti; intonata ai pantaloni ed alle calze di seta bianca. Le scarpe, per finire, erano di cuoio lucido ed adornate di una elegante fibbia dorata. Se non fosse stato nei bassifondi, Iye lo avrebbe scambiato per il rampollo d'una famiglia aristocratica.

“Posso parlare con voi?” chiese, ma il ragazzo gli indicò un tavolo al centro della stanza. Due sedie erano libere, mentre l'ultima era occupata da un gigante nerboruto, dalle spalle scolpite e le braccia muscolose. Il volto squadrato era solcato da una barba ispida, mentre i capelli presentavano una insolita tonalità verde. Occhi del medesimo colore, ma con una insolita pupilla verticale; denti affilati, scoperti da un sorriso pomposo. Iye riconobbe immediatamente la sua natura: un Kemo, senza dubbio. Strano... suo padre non li aveva banditi tutti? Che ci faceva lì, quell'ibrido?

Scosse il capo: non era il momento di farsi prendere dai dubbi e dai pregiudizi. Quelle persone erano le sole che potessero aiutarlo.

Si accomodò, mentre Genji prendeva posto al suo fianco.

“Buongiorno” attaccò, squadrando il suo curioso interlocutore “Lasciate che mi presenti. Sono...”

Vostra Altezza, lo so. Non sono mica sordo” il mercenario si accarezzò il pizzetto “Cosa ci fate da queste parti? Credevo che i nobili non amassero mescolarsi alla plebaglia” un sogghigno, mentre una mano robusta batteva sul pianale di legno “Kim! Portaci qualcosa da bere, suvvia... che sia alcolico, mi raccomando”

L'albino sgattaiolò via, in direzione di una scarna cucina da cui riemerse con tre boccali di birra chiara.

“Dite, maestà... in cosa possiamo esservi utili?”

“Ebbene, sto reclutando avventurieri e combattenti per una nobile impresa. Mio padre, in punto di morte, mi ha chiesto di raggiungere l'Impero di Kemonomimi e di sconfiggere il perfido Ukoku che, a quanto pare, tiene segregata la principessa, nonché legittima erede al trono del regno”

“Una donzella da salvare, dunque? Mi piace!” l'uomo mimò un altro dei suoi inquietanti sogghigni “E poi... ho un conto aperto con quell'imbecille di Ukoku. Io ci sto!”

“è lui che vi ha esiliato?” Iye si gustò l'espressione sorpresa dell'altro per un lungo istante “Ho capito che siete un ibrido. Che ci fate a Prometheus? Mio padre...”

“Lo so... il re aveva scacciato tutti i Kemo. Che stronzo, eh?”

“State parlando di mio padre...”

“Questo non lo rende meno stronzo” di nuovo quel grattarsi la barba “Comunque, sì. Con Ukoku ho una questione che mi piacerebbe risolvere. Questo, ovviamente, non significa che lavorerò gratis”

“Immaginavo, signor... come vi dovrei chiamare?”

“Murdock. Stan Murdock. E questo” un cenno al compagno “è Kim. Un giovane piuttosto promettente e sveglio. Naturalmente, se la smettesse di vestirsi di rosa sarebbe meglio. Insomma, è complicato mimetizzarsi quando ti conci come un confetto”

Iye si guardò attorno deluso: si era aspettato di trovare una potente masnada, non una coppia di ubriaconi troppo intenti a scolarsi boccali di birra ed indossare completini vezzosi. Forse, però, quei due possedevano qualche talento segreto, qualche asso della manica che poteva fare al caso suo. Annuì piano, aggiungendo un:

“Siete tutti qui?”

Stan scosse il capo:

“In realtà, c'è qualcun...”

Non riuscì a terminare la frase. Un sordo bussare lo interruppe e lo costrinse a marciare verso l'uscio. Spalancò la porta, battendosi poi una mano sulla fronte:

“Non dirmi che lo hai fatto di nuovo!” ringhiò.

Iye si sporse all'indietro, dondolando sulla seggiola per poter scorgere l'ultimo arrivato: dimostrava poco meno di trent'anni, ma il viso affilato era solcato da un paio di occhiaie profonde. Le guance pallide erano scavate da una coppia di fossette, mentre le labbra strette erano atteggiate in un sorriso trionfante. Una massa di capelli neri, disordinati sulla fronte e rasati sulla nuca, accompagnava le sopracciglia sottili ed un unico occhio grigio, il sinistro. Il destro era coperto da una spessa fasciatura bianca. Anche il rispettivo braccio era mancante: la manica della camicia penzolava vuota, scivolata fuori dalla tasca del gilet color vinaccia. Un paio di pantaloni scuri e di alti stivali rifinivano l'abbigliamento, seminascosti da un mantello blu.

Il giovane portava qualcosa sulle spalle. Un sacco? No. Era un uomo privo di sensi: una figura massiccia, dai capelli dorati e la carnagione rosea e curata. Indossava abiti di ottima fattura ed eleganti: un completo di lana marrone, con scarponcini lucidi ed un panciotto ricamato con fili argentati.

“Shinji” colse la voce di Murdock farsi aspra “è il quarto questo mese!”

“Lo so!” lo storpio montò un broncio seccato “Posso tenerlo?”

“Direi di no”

Strinse maggiormente al suo bottino:

“Ti prego. Per favore... è quello giusto, me lo sento!”

“Dici sempre così...”

“Questa volta è diverso, ne sono sicuro”

“Beh, non possiamo mica lasciarlo sulla porta” Kim intervenne, indicando un basso divanetto, dai cui cuscini sbucavano ciuffi di imbottitura “Vieni dentro, portalo qui”

Iye seguì la scena in silenzio: i mercenari depositarono il ferito sul sofà, bagnandogli la fronte con dell'acqua fresca. Non riusciva a capacitarsi: Rin lo aveva davvero indirizzato a quei tre? Era solo quella la forza di cui disponeva? Ridicolo! Sarebbero morti subito, non appena messo piede fuori da Prometheus. Cercare la Compagnia dell'Aspide non era stata una grande idea, dopo tutto. Fece per alzarsi, ma la voce soave di Genji lo trattenne:

L'avventura sta per iniziare || Quattro prodi intenti a partire || Una donzella dovranno salvare || Pronti per lei persino a perire”

“Perire?” quella parola fu sufficiente a richiamare l'attenzione del mezzo serpente. Stan tornò ad accomodarsi al tavolo, tornando a montare un'espressione sicura “Allora, stavamo parlando del compenso. Missione rischio morte, dunque?”

“Beh, forse il bardo esagera...” Iye cercò inutilmente di rimediare.

Oh, quanti cavalieri mai più tornati || Sul monte Sasha rimasti feriti || Dal cane a tre teste furon divorati || Lamenti di vedove e pianti compiti ||”

“Splendido! Questo alza il compenso di un pochetto.”

“Io... pensavo di offrirvi ventimila monete”

Stan emise un fischio ammirato:

“A testa?”

“Mh... no, in totale”

Lo schiocco scontento delle labbra:

“A testa o non se ne fa nulla. Trenta prima della partenza e trenta a missione compiuta. Più un piccolo extra per rimborsare il nostro ospite” la mano del mercenario si mosse in direzione del divano “Dovremo una spiegazione a questo poveretto ed un risarcimento danni. Ve ne incaricherete voi”

Iniziava male, molto male, quell'avventura. In meno di due giorni, aveva perso la fiducia dei propri cavalieri, aveva insediato sul trono un bardo più interessato ad autografare cinture di castità che a governare e, per finire, si era affidato ad un gruppo di sbandati strozzini. Scosse piano il capo, aprendo la bocca e richiudendola poco dopo, interrotto da un basso lamento. Volse l'attenzione al sofà, dove il viandante si era tirato a sedere:

“Dove sono?” la voce forte, mentre gli occhi azzurri roteavano sui presenti “Chi siete?”

“Io ti ho salvato!” Shinji si accovacciò immediatamente accanto ai cuscini, cercando con l'unica mano quella dell'altro “Un... mh... un tizio poco raccomandabile ha cercato di rapinarti, ma... l'ho messo in fuga”

“Un tizio? Oh, ricordo qualcosa. Era basso, con un mantello blu notte e...”

Shinji si liberò immediatamente della cappa scura, lanciandola sotto al mobilio:

“Ti sbagli! È stato un signore alto, molto alto e... con i capelli viola e...” scosse le spalle, come a cancellare quegli ultimi farneticamenti “Va beh, l'importante è che tu stia bene. Stai bene, no?”

“Ho solo un gran mal di testa... come se qualcuno mi avesse colpito con un randello sulla nuca”

“Ah? No, no! È solo un'impressione. Vedrai che poi ti passa” un sospiro teatrale “Come ti chiami?”

“Heinrich”

“Awww”

“Von Stauffenberg”

“Awwww”

“Sono un medico e...”

“Awwwwww”

Iye scosse il capo. Ne aveva sin sopra i capelli di quel branco di pazzi! Per di più, il cognome del malcapitato gli sembrava stranamente familiare. Frugò nei cassetti della memoria, sino a recuperare l'indizio che cercava:

“Von Stauffenberg? Siete un nobile?”

“Beh, sì... ma nel tempo libero, cerco di dedicarmi ai poveri; ho una formazione da cerusico e... quando non ho nulla da fare – quindi sette giorni su sette, visto che sono aristocratico e non ho altra occupazione che stare in panciolle – preferisco dedicarmi ai bisognosi. Cerco di tenere dei prezzi vantaggiosi, così che tutti possano permettersi cure e medicinali”

“Capisco. Avevo sentito la vostra storia, ma stentavo a credere fosse vera. Si sussurrava fosse solo una leggenda”

“Awwwwwwwwwww”

Heinrich abbassò lo sguardo sullo storpio, che ancora gli stringeva le dita:

“Emh, che gli prende?” chiese solo, cercando spiegazioni tra gli astanti.

“Niente. Fa sempre così quando sequestra qualcuno; poi gli passa” Stan tornò a picchiettare sul tavolo con il fondo del boccale, per richiamare l'attenzione “Torniamo a noi. Sessantamila monete, dunque. Verremo tutti e tre. Anzi, tutti e quattro! Sono certo che il signor Von Staufqualcosa non si tirerà indietro davanti a quest'avventura”

“Veramente... io preferirei rimanere qui. Ho del lavoro da sbrigare e un figlio da crescere”

“SEI SPOSATO?” un grido terrorizzato risuonò nella stanza, mentre Shinji scattava in piedi e si allontanava bruscamente dal suo ospite.

“No, no... ho solo un figlio, che la madre ha pensato bene di abbandonare. Non posso certo lasciarlo qui”

“Certo che potete!” Heirich sembrava l'unica persona assennata, in quella strana combriccola: per nulla al mondo Iye lo avrebbe lasciato indietro. Un buon medico, inoltre, serviva sempre nelle spedizioni suicide: riduceva drasticamente le possibilità di tornare indietro in un sacco “Affideremo il vostro Raggio di Sole alle balie di corte. Sono molto in gamba, sapete? Non avete di che temere” sapeva di non essere stato abbastanza convincente “Inoltre, alla ricompensa aggiungerò altri ventimila soldi per voi, per gli studi di vostro figlio e come aiuto ai poveri. Che dite?”

“è una offerta gentilissima, maestà, ma dev...”

Una mano arrivò ad interrompere quelle parole: Shinji si era sporto, premendo le dita sulle labbra del biondo.

“Viene, viene!” tagliò corto lo storpio.

“Molto bene. È deciso” Stan si alzò, mimando un leggero applauso “Tra tre giorni partiremo alla volta dell'Impero. Viaggeremo leggeri, con lo stretto indispensabile: armi in abbondanza e cibo. Riempite tutti le otri di acqua e non lesinate con il vino, mi raccomando. Heirich porterà le sue pozioncine da medico. Un solo cambio di vestiti: se si sporcano le mutande, potete sempre girarle dentro-fuori” finse di non sentire le proteste degli altri “Kim, puoi portare il tuo set da manicure, se ci tieni. Shinji, niente collezione di saponette” concluse, stendendo la mano nel vuoto.

Iye gliela strinse con riluttanza.

“Abbiamo un accordo!” sentenziò, infine, mimando un altro sorriso appuntito “Preparatevi, Compagnia dell'Aspide! Che ora è?”

Un coro si levò dal centro della stanza:

“L'ora dell'avventura!”

 

Così si amplia la compagnia dei temerari || Quelli che non temono morte e pericoli || Le loro gesta raccolte nei diari || Saranno cantate per molti secoli”

 

Angolino: Dopo questa, vado a dormire XD
Personaggi citati:
Iye -> Il prode principe che vuol salvare donzelle.
Genji -> Gaudente menestrello
Kim -> il confetto della situazione
Stan -> Il capo della Compagnia dell'Aspide
Shinji -> il sequestratore anonimo
Heinrich -> quello che passava per caso
Rin -> quello che benedice giovani talenti per Maria de Filippi.

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Capitolo 3
*** La locanda del Cerbiatto impennato ***


III. La locanda del “Cerbiatto impennato”

 

Tre giorni più tardi

 

Iye e Genji raggiunsero nuovamente il covo dell'Aspide, punto di ritrovo per l'imminente partenza. Fermarono i cavalli, guardandosi attorno: la foschia mattutina impediva agli occhi di vedere chiaramente. L'umidità permeava dal terreno, arrivando a bagnare gli zoccoli, gli stivali e cadendo sui loro pesanti mantelli.

Seguendo le istruzioni, si erano caricati solo lo stretto indispensabile: una bisaccia con del cibo, un paio di borracce e qualche abito di ricambio. Il bardo aveva allacciato anche una tenda sul retro della sella, oltre al suo inseparabile mandolino.

Donde sono li prodi? È giunta l'ora || Cammino e pericoli attendon la compagnia || Non possiamo indugiar ancora || tosto calchiamo con li destrieri la via

“Sono piuttosto sicuro d'aver dimenticato qualcosa”

Solo una sensazione la che vi colpisce || La medesima che ogni viaggiator percepisce || Lo bagaglio giace in sella già pronto || L'avventura ormai...

“Ho capito il concetto, grazie!” Iye interruppe il menestrello con un secco sbuffo. Era certo d'aver scordato una cosa importante, forse vitale. Non legata alla spedizione, quello no, ma... comunque non di poco conto. Si mordicchiò il labbro inferiore, torturandolo involontariamente: aveva chiuso le persiane del palazzo? No, ma ci avrebbero pensato i servitori. Spento il fuoco nel caminetto? No, non aveva fatto neppure quello, ma gli sguatteri avrebbero provveduto. Lo spazzolino da denti? Era in una delle tasche esterne della bisaccia. Oh, aveva scordato il pettine, ma... poco male, tanto non lo usava mai.

“Dici che dovrei prendere qualcosa per la principessa? Sai, come dono di nozze.”

Nobile è il cavalier che giunge alla dama || Recando un prezioso scialle di lana || Oppur gioielli e pietre preziose || Che tosto sapran conquistare il suo cuore

“Sì, emh... io pensavo a qualcosa di più economico. Tipo dei cioccolatini o un mazzo di fiori...”

All'improvviso, quattro destrieri sbucarono dalla nebbia.

“Stanno arrivando” Iye osservò la Compagnia dell'Aspide sopraggiungere: tutti montavano destrieri nevrili e scattanti, persino il medico che sembrava a proprio agio. Il suo cavallo bianco aveva qualcosa di estremamente elegante e raffinato, che ben si sposava con la postura compita del nobile. Accanto a lui, ovviamente, trottava lo storpio su un cavallo nero e zoppo pure lui. Poco oltre, il massiccio roano di Stan e a chiudere quel convoglio, il pony dalle treccine dorate di Kim.

“Lui viene con quello?” si sentì in dovere di chiedere, ottenendo un cenno affermativo.

“Oh, sì! Kim ha una passione per i pony. Trova che siano carini e si diverte ad acconciargli la criniera.” replicò Murdock.

“Ma... non starà mai al passo dei nostri cavalli”

“Nessun problema! Abbiamo azzoppato apposta quello di Shinji, così andranno alla stessa velocità e non si perderanno di vista”

Aggrottò la fronte, non sapendo che pensare: di per sé, era un'idea idiota e geniale al tempo stesso. Non riusciva a comprendere quale delle due cose fosse maggiormente.

“Capisco” si limitò a replicare “Che strada intendete seguire? Dobbiamo passare attraverso le Brulle Regioni Inesplorate e, essendo inesplorate, nessuno sa cosa ci attende”

“E questo è il motivo del perché ho portato tre maglioni, un mantello pesante e uno leggero, un paio di camicie a maniche corte e le altre a maniche lunghe; pantaloni di tutte le lunghezze, sciarpe, guanti, berretto da neve e crema dopo sole” Shinji si intromise rapidamente “Potremmo trovare tanto un torbido deserto, quanto delle lande coperte di neve. Non intendo morire abbrustolito, né congelato”

“Sì, molto bene. Io ho portato solo un cambio di mutande” Stan tornò a riprendere la parola “Comunque, beh... il piano è molto semplice: cavalcheremo verso est e prima o poi arriveremo”

“Tutto qui?”

“Ovvio. Se volevate un piano ben articolato, dovevate darci più soldi, maestà”

“Vi pago sessantamila monete!”

“Sì, ma dovevate specificarlo nel contratto”

“Va beh, allora... possiam partire?”

“Ma certo!” Stan si mise in testa al piccolo convoglio, tallonando i fianchi del proprio destriero“Pronti? Che ora è?”

“L'ora dell'avventura!”

 

***

 

Cavalcarono per una abbondante mezz'ora, allontanandosi dalla periferia di Prometheus ed inoltrandosi nelle campagne circostanti. La foschia si era diradata, cedendo il posto ad un sole tiepido, i cui raggi indoravano i campi, i frutteti, i vicini boschi di conifere. Un'aria fresca spirava sulla pianura, correndo dai monti lontani e serpeggiando tra fattorie e vigneti, prima di tuffarsi tra le onde distanti del mare, oltre la città e l'orizzonte. La strada era un alternarsi di curve, rettilinei, osterie per viandanti e stalle dove far riposare i cavalli.

Iye marciava davanti, accanto a Murdock che, tuttavia, si era chiuso in un silenzio concentrato: forse stava scegliendo la via migliore e meno pericolosa oppure, semplicemente, stava pensando ai fatti suoi e non voleva essere disturbato. Appena dietro, Genji intonava canzoni gitane – inteso come “canzoni da gita”, che non avevano nulla a che vedere con i raminghi della zona:

Generale dietro la collina || Ci sta la notte crucca e assassina || E in mezzo a un prato c'è una contadina || Curva sul tramonto sembra una bambina

“Oh, che bella. Questa mi rammenta quando andavamo in gita con la scuola” Kim si pulì gli occhi commossi con un fazzoletto ricamato, ovviamente rosa come il completo che ancora si ostinava ad indossare “Non che io abbia studiato, ma... se fossi andato a scuola e se la mia scuola avesse organizzato visite guidate, beh... sulla carovana, avrei cantato questa canzone con i miei compagni di classe”

“Io comunque ho fame”

Tutti si voltarono in direzione di quella voce: Heinrich aveva educatamente alzato la mano, prima di parlare, ma poi si era deciso ad esternare quella richiesta.

“Ma... siamo partiti soltanto da mezz'ora!”

“Lo so, maestà, ma... vedete, non ho fatto colazione per paura che il viaggio mi mareasse. Noto, tuttavia, che non ho alcuna difficoltà nel cavalcare e per di più, quest'aria frizzantina mette appetito. Potremmo fermarci alla prossima locanda?”

Iye scosse il capo: non potevano permettersi ritardi. Le tappe fissate erano solo tre in tutta la giornata: pranzo, pausa pipì pomeridiana e cena. Sgarrare a solo trenta minuti dalla partenza poteva rivelarsi controproducente.

“Mi dispiace” disse “Temo dovrete aspettare mezzogio...”

Non riuscì a finire la frase. Una mano affusolata gli afferrò il bavero della camicia, strattonandolo con forza. Si ritrovò a fissare un unico occhio grigio, troppo vicino per poter essere evitato:

“Ha detto che ha fame” fu la replica “Quindi ci fermeremo a mangiare!”

“Che... ?” fissò l'altro confuso. Quello storpio si stava prendendo un po' troppe libertà: come si permetteva tanta confidenza? Lo sapeva che, in fin dei conti, era comunque il futuro re? Allontanò bruscamente le dita dal colletto della sua blusa “Portate rispetto! Sono il vostro principe, nonché finanziatore della spedizione. Non mi pare corretto che mi trattiate in questo modo”

“Me ne sbatto di quello che sei” Shinji lo stava ancora squadrando sbieco “Heinrich vuole fare colazione, quindi... faremo colazione!”

Batté nuovamente le palpebre, perplesso: imporre della disciplina a quegli uomini sembrava impossibile; forse solo Murdock aveva una tale autorità? Si rivolse al mezzo rettile:

“Fa sempre così?”

“Sì, purtroppo. Diventa difficile controllarlo quando si fissa.”

“Non capisco perchè si comporti in questo modo.”

“Nessuno lo sa. Ogni tanto rapisce gente a caso, la vizia sperando possa divenire l'amore della sua vita e poi, quando la cosa non funziona, se ne libera”

“Ossia?”

“Beh, dipende. A volte li getta nel fiume, altre volte nasconde i cadaveri a pezzi sotto le assi del pavimento. Una volta l'ho sorpreso a bollire un paio di dita nello stufato”

“Per gli Dei, che schifezza!”

“Affatto! Devo dire che il sapore era piuttosto interessante; forse avrei aggiunto solo un pizzico di sale in più”

 

***

 

La locanda si chiamava “Cerbiatto impennato”. Era una struttura piuttosto fatiscente, con un tetto in paglia che lasciava filtrare tutta l'umidità nella sala sottostante. Vi erano poche camere, che si affacciavano lungo un corridoio posteriore, mentre la stanza principale era adibita a refettorio. Oltre la porta in legno consumato, dei tavolini rotondi erano sparpagliati alla rinfusa, accompagnati da sedie spaiate. In fondo, un lungo e grezzo bancone, dove alcuni avventori stavano sorseggiando di buon mattino.

Heinrich puntò immediatamente un tavolo accanto all'unica finestra della sala.

“Mi sembra abbastanza appartato” disse, prendendo posto. Lo storpio si accomodò accanto a lui, allontanando con un calcio tutte le altre sedie.

“Trovatevi un altro tavolo!” quel ringhio costrinse i restanti membri a cercare una nuova sistemazione.

Sedettero poco più in là, ad una vecchia scrivania adibita, in qualche modo, a tavolo: una tovaglia a quadretti faceva bella vista, accompagnata da un cestino di pane raffermo e tovaglioli spiegazzati.

“Che tugurio” borbottò Kim, stendendo il fazzolettino rosa sulla seggiola, prima di posarvi il sedere “Non potevamo scegliere una locanda migliore?”

“Macché! La prossima è tra venticinque chilometri. Però, ha anche l'area rifornimento cavalli” Stan afferrò uno dei menù, tentando di decifrare quelle scritte affrettate “Colazione dolce o salata?” chiese infine.

“Latte e biscotti, capo?”

“Niente. Solo gallette di biada. Poi abbiamo... stufato di carote, stufato di zucchine, millefoglie alle foglie di bosco.”

“Frutti di bosco”

“No, no. Foglie... è segnato qui!” batté l'indice sul foglio spiegazzato “Poi c'è... torta alle radici, lasagna di corteccia e... diamine, non c'è nulla di commestibile per un essere umano?” il tono di voce si alzò immediatamente “Ehi, oste! Non c'è niente che non sia adatto ad una capra?”

La porta della cucina si schiuse a quelle parole ed un ragazzo minuto attraversò svelto il locale: tra i capelli castani sbucavano un paio di corna da cerbiatto.

“Chiedo scusa, signori, ma...”

“Che cazzo sei? Una mezza pecora?”

“Tecnicamente no, signore. Sono un cervo. Le pecore non hanno le corna, a parte gli arieti. Beh, quelli le hanno, ma sono arricciate e...”

“Si, si, come ti pare...” Stan lanciò una occhiata velenosa “Hai niente che di adatto per una colazione? Qualcosa che si addica a dei carnivori, grazie”

“Beh, io... beh, beh”

“Lo vedi che sei una pecora, allora? Piantala di belare e servici qualcosa”

“Beh, beh, beh”

Iye si prese la testa tra le mani, sconfortato. Volevano salvare la principessa Kacey, ma non riuscivano nemmeno ad ordinare una colazione decente. Quella spedizione assumeva sempre più i connotati di una tragedia. Sarebbero morti tutti, senza dubbio.

“Restiamo calmi!” scattò, alzandosi in piedi e troneggiando sulla scena “Oste, rasserenatevi! Come vi chiamate?”

“Sol”

Do mi sol do do sol mi do || do mi sol do do sol mi do || Se un buon musicista tu vuoi diventar || Quante scale e quanti arpeggi devi far

“Sta zitto, per favore!” mosse la destra in un cenno imperioso, mettendo a tacere il menestrello “Ebbene, non vi è bisogno di agitarsi tanto. Portateci quanto di meglio avete sul vostro menù. Sono certo che ai miei amici piaccia la buona e sana cucina”

“è tutto vegetariano, però... Sapete, sono un cervo e noi cervi non mangiamo altri cervi. O altri animali.”

“Non importa, ci accontenteremo. Vero, ragazzi?”

Ricevette solo delle occhiate storte:

“Io vorrei una bistecca”

“Io forse un uovo in camicia, condito con salsa al lampone ed una riduzione di liquore alle rose rosa”

Datemi di che mangiare || Non verdura salutare || Solo carne, pesce e vino || Per saziare il mio pancino

Fanculo, erano davvero una banda di disadattati! Non aveva senso insistere con loro. Riprese il controllo della situazione:

“Portateci una millefoglie di foglie e del succo di more da bere” c'era qualcosa che non quadrava, però. Che ci faceva un Kemo da quelle parti? “Perdonate la domanda indiscreta, ma... come mai siete nel Regno degli Uomini? Credevo che l'editto di mio padre avesse bandito tutti i Kemo”

“Molto bene, signori.” Sol era troppo educato per sputare sulla memoria del re morto; tanto più che era morto e, di conseguenza, insultarlo non sarebbe servito a molto “Oh, beh... in fede, non lo so nemmeno io.”

Lo videro sgattaiolare via, verso il tavolo successivo. Uno sbuffo scontento si levò dalle labbra di Murdock:

“Che posto della minchia. Nemmeno una tagliata al sangue.”

“Potremmo segare le gambe del locandiere, signore, e condirle con spezie ed aceto”

“Ecco una proposta che mi piace! Se non ti vestissi sempre come una femmina, saresti il mio preferito”

“Non direte sul serio, vero?” Iye tornò a massaggiarsi la fronte. “Per favore, cerchiamo di mantenere un comportamento educato e...”

Un urlo arrivò a stroncare quelle parole:

“Che cazzo significa che non hai niente da mangiare, capretto di merda?! Voglio una brioches alla crema, un the nero, un cappuccino e due piatti di paste alla panna! Ti riesce difficile capirlo?”

Una occhiata fu sufficiente a notare Shinji intento a scrollare il malcapitato Sol, mentre Heinrich sorrideva serafico, limitandosi ad un:

“Ah, vorrei anche della marmellata alle fragole”

“Non abbiamo mar...” un gemito strozzato.

“VUOLE DELLA MARMELLATA” e di nuovo lo storpio a strigliare il cameriere “Quindi ora andrai e la produrrai”

“Non è stagione di frag..”

“Fotte sega, falle crescere e alla svelta oppure avremo marmellata di cervo per colazione!”

Ci vuole Fiorentini || Le gallette e gli snackini

Iye si chiese se non fosse il caso di licenziarli tutti quanti.

 

 

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Capitolo 4
*** L'ennesima colazione ***


IV. L'ennesima colazione

 

Trottarono sino a metà mattino, quando Heinrich dichiarò d'aver bisogno d'una seconda colazione. Ignorare quella richiesta fu ovviamente impossibile.

“Bene, mi sembra un buon posto dove fermarci” Iye smontò da cavallo, consegnando le redini ad un pallido ed anonimo scudiero “Pare pulito, di bell'aspetto e sicuramente troveremo del cibo migliore” sentenziò, affrettandosi ad aprire la porta.

Le sue aspettative furono presto deluse: l'interno della locanda appariva immerso in una penombra inquietante. Alcune figure ammantate ed incappucciate sorseggiavano alcolici al bancone, mentre qualche dama di malaffare [Attendeva compagnia] ai tavoli uniti e malconci.

“Forse non è il posto adat...”

Non riuscì a finire quella frase: Shinji lo superò ad ampie falcate, inoltrandosi nella sala ed annusando l'aria chiusa.

“Lode al Dio Swiffer!” esclamò, rimboccandosi prontamente l'unica manica che gli rimaneva “Qui ci vuole una bella pulizia!” andò a spalancare sistematicamente tutte le imposte, permettendo al sole di filtrare. Non fece caso alle proteste degli altri avventori. Intonò una breve melodia e, nonostante la voce stonata, gli animaletti del bosco accorsero a quel richiamo.

“Forza, ragazzi... diamoci da fare!” aggiunse, appropriandosi di uno straccio e mettendosi a lustrare ogni superficie. I piccioni lo seguirono nell'impresa, spazzando con le code, mentre i ratti corsero a lavare i piatti con le loro zampette ruvide.

“Fa sempre così?” Iye gettò un'occhiata perplessa al mezzo serpente, che si limitò a stringersi nelle spalle.

“In realtà, è comodo. Il covo non è mai stato così pulito, come da quando c'è lui. È una specie di Cenerentola incazzosa. Molto utile, all'occorrenza”

“Io lo trovo adorabile” Heinrich scivolò verso una seggiola, prendendo posto, senza staccare lo sguardo dall'improvvisata domestica.

Anche gli altri seguirono il suo esempio, accomodandosi al tavolo.

Stan picchiò un pugno, seccato:

“Oste! Abbiamo fame!” sbottò, ma nessuno si fece vedere. Attese qualche attimo, prima di ritentare “Allora, oste! Il cibo, la colazione, la...”

Nulla, ancora silenzio.

La compagnia si guardò perplessa: possibile che il locandiere non fosse in servizio? Eppure gli altri clienti erano ben stati serviti.

“Che stranezza è mai questa? Kim, vai a controllare”

“Perché devo andarci io, capo?”

“Perché così ho deciso”

“Ma... i tizi al bancone mi guardano male e...”

“Così impari a vestirti di rosa”

Il confetto scivolò via, in un silenzio compito ed a capo chino. Si sforzò di ignorare i commenti che i buzzurri gli indirizzarono, sgattaiolando sino alla soglia della cucina. Posò l'orecchio sul battente, mettendosi in ascolto: dall'interno provenivano strani rumori, come di un violento percuotere.

Bum, Bum, Bum.

Si chiese se fosse il caso di tornare indietro, di scappare o spingere qualcun altro a controllare. In fondo, non era necessario che morisse proprio lui! Non a quattro capitoli dall'inizio della storia.

Tuttavia... se fosse scappato, Stan non lo avrebbe perdonato: lo avrebbe spedito a chiedere l'elemosina ai bordi della strada, magari vestito da caramella – cosa che, in effetti, non gli sarebbe dispiaciuta. Si decise, dunque, a spiare oltre l'uscio.

Sgranò gli occhi, non appena vide quanto stava accadendo: un giovane dai capelli blu stava in piedi sul tavolo, calpestando ortaggi, dolcetti e pagnotte. Tra le mani reggeva un paiolo rovesciato e lo batteva con l'ausilio di un mestolo di legno.

Il mio cuore batte per te || Bum, bum, bum || Voglio andare a vivere con te || Bum, bum, bum || E vedere il mare || Bum, bum, bum || Per sapere se l'acqua sa di sale!

Il baccano eccessivo obbligò Kim a turarsi le orecchie ed urlare:

“Ohi, siore! Siam viaggiatori ed aspettiamo la colazione! La seconda colazione, per l'esattezza”

Ohibò, non mi scocciare || Bum, bum, bum || Che la mia bella devo salutare || Bum, bum, bum || Ho tanto lavoro da sbrigare

Quello era pazzo, semplicemente. Possibile che i bardi, in quel diamine di reame, fossero tutti fuori di testa?

“Signore, vi prego...”

Dalla sala giunse un pallido lamento:

“Mi sta venendo mal di testa”

Seguito, ovviamente, dal volare di una sedia: lo scranno superò rapidamente la soglia della cucina, centrando in faccia l'improvvisato menestrello. Una manciata di secondi dopo, lo storpio si palesò sull'uscio, le labbra storte in un ringhio sadico:

“La vuoi piantare, avariato cagnotto? Stai turbando le delicate orecchie di Heinrich!”

“L'hai ucciso?” Kim osservò il giovane oste accasciato sul pavimento, con le dita strette attorno al naso sanguinante. Non sembrava avere una bella cera. Però respirava! E si lamentava. Per cui era morto, ma sopravvissuto.

“Lo ucciderò se non la smette!” un altro secco sibilo, mentre il cantante cercava di rimettersi faticosamente in piedi.

“Peddonate sinniori” le narici forzatamente tappate diedero una strana intonazione alla voce “Debbo eselcitalmi pel SanLomolo. Il fettival della cazzone”

“Che tu sia un cazzone era fuori di dubbio! Il mio am...” una pausa incerta, prima di proseguire “...ico è affamato. Portaci la colazione, stupido allocco!”

Kim si intromise, cercando di proteggere il proprietario:

“Credo stesse dicendo che vuole partecipare a Sanromolo. Il festival della canzone, sai?”

“Ah... va beh, cazzi suoi. Io voglio mangia...”

Shinji non riuscì a terminare le parole. Come un tornado, Genji attraversò la soglia, attratto dall'inevitabile richiamo dell'arte:

Siore, v'accompagno pure io || La voce vostra colgo narrare|| sento in me lo grande desio || d'andare sul palco a cantare

Oh, un bardo, che grande allegria || poter condividere l'amore per l'arte || tosto andiamo a casa mia || che a mezzodì insieme si parte

Mi chiamo Genji e son menestrello || E provengo da un paese assai bello || Il vostro nome, stimato collega? || Che siete pur proprietario di bottega!

Matriaco è il mio appellativo || Di questa terra son nativo || Son locandiere di professione || Ma da cantore tengo ragione

“Uno più scemo dell'altro” lo storpio tornò sui propri passi “Kim... pensaci tu qui”

“Che dovrei fare?” la voce lamentosa del confetto lo raggiunse, ma non vi fece troppo caso

“Improvvisa.”

“Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi...”

“Non in quel senso, capra infiocchettata! Improvvisa una colazione. E che sia buona...” afferrò un coltello dal banco di lavoro, rivolgendo la punta verso il petto altrui “O ci sarà il tuo cuore al sangue come piatto principale”

 

***

 

Heinrich si ritenne soddisfatto ed il gruppo si rimise in marcia: Iye viaggiava in testa, lambiccandosi il cervello. C'era qualcosa che non tornava. Ancora quella fastidiosa sensazione di vuoto, d'aver scordato un affare importante. La cosa peggiore, ovviamente, era il non poter chiedere consiglio a Genji: il menestrello si era ufficialmente licenziato, deciso a fondare con Matriaco una band di ben due persone e calcare il palco dell'Ariosto, noto teatro in quel di Sanromolo.

“Ora siamo senza bardo” il principe scoccò una occhiata al resto del gruppetto: rimanevano solo il mezzo serpente, l'uomo-confetto, lo storpio ed il medico con la passione per le colazioni. Nessuno di loro pareva incline al canto.

“Echissenefrega?” Shinji fu l'unico a produrre una risposta; insensata e scortese, ma comunque una risposta.

“Non posso stare senza un bardo. Chi canterà le mie nobili gesta?”

“Kim”

“Mh, non credo sia adatto. Ficcherebbe roba rosa ovunque. Insomma, non posso tornare al castello con una leggenda che parla di draghi lilla e cani a tre teste con i bigodini sulle orecchie”

“Ebbene, se ciò vi turba, principe” Stan si intromise, spronando il cavallo per affiancare quello di sua maestà “Faremo anche noi tappa a Sanromolo e vi troveremo un nuovo bardo”

“Mi sembra una buona idea, in effetti. E sia! Andremo a Sanromolo”.

Tornarono a spronare i cavalli, incuranti del polverone che si alzava dal retro degli zoccoli. Trottarono per una decina di minuti, prima che, da dietro una curva ad angolo, una compagnia di otto persone, tutte in sella a poderosi destrieri, si parò a sbarrare la loro strada:

“Oh, cazzo volete?” Stan apostrofò i nuovi giunti, squadrandoli per bene. Vi erano soltanto tre donne, di cui una con una voluminosa sciarpa che mal si intonava al calore del mattino. Ad un'altra mancava un occhio; la terza, infine, stava divorando uno sfilatino. Il resto del gruppo era composto da un assortito gruppo di giovani: uno dall'aria perennemente incazzata, uno pelato, uno con la faccia da cavallo; alle spalle di questi, vi era ragazzino con un osceno caschetto biondo ed un tipo dall'aria imbronciata e depressa.

“Quello ti somiglia” disse il mezzo pitone, indicando quest'ultimo allo storpio.

“Minchiate. Io sono più intelligente, si nota subito!” Shinji squadrò a propria volta il suo simile, cogliendo gli occhi affilati ricadere sulla figura alla propria destra. Si sporse immediatamente, per intercettare quello sguardo avido “Ehi tu! Te li cavo quegli occhietti da ratto, se non la pianti di fissarlo! Via, aria!” agitò l'unica mano nel nulla “Riprendete la vostra strada e levatevi dai piedi. Soprattutto tu, tizio con l'aria depressa. E smettila di fare pensieri impuri su Heinrich! Li sento, sai? Nella mia testa” si picchiettò una tempia, come a sottolineare il concetto “E si vede, comunque, che stai immaginando zozzerie.”

Fu il ragazzo con il caschetto biondo, tuttavia, a prendere la parola:

“Scusate se vi abbiamo importunato. Volevamo solo sapere... in che direzione è l'oceano?”

“Ah, aspettate. Turisti fai da te? ” Stan si intromise, ricevendo in cambio un assenso “No Alpitour? Ahi, ahi, ahi!” e indicò alle proprie spalle “Un giorno di cammino, più o meno.”

Lasciarono la compagnia degli otto libera di riprendere il cammino, ignorando i commenti ingenui sul grado di salinità dell'acqua marina.

“Di scemi è pieno il mondo” borbottò Murdock, sollevando in aria il pugno “In ogni caso, sembrano più entusiasti di noi. Tsk... non mi farò certo adombrare da quei dilettanti”

Una mano si alzò timidamente:

“Capo,che vuol dire adombrare?”

“Che vuoi che ne sappia? L'ho letto da qualche parte e mi sembrava un buon concetto. Ora piantala di far domande cretine e comportati da confetto!” la voce profonda tornò a tuonare, pronta a spronare i propri fedeli uomini “Animo, signori! Che ora è?”

“L'ora dell'avvent...”

“...di colazione!”

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Capitolo 5
*** Sanromolo ***


V. Sanromolo


Giunsero a Sanromolo soltato a tarda notte. Iye aveva passato il viaggio lambiccandosi nel dubbio: cosa si era dimenticato? Aveva ricontrollato il bagaglio e, con la sola eccezione del collutorio, aveva tutto il necessario. La mancanza di Genji, naturalmente, si era fatta sentire solo in questo frangente: avrebbe voluto interrogare il bardo, chiedergli se a lui venisse in mente qualcosa, ma... Genji se n'era andato con quello strano tizio dai capelli blu, convinto di poter sbancare al festival.
Il resto della compagnia, ovviamente, era più che lieta dell'assenza del menestrello: nessuno sentiva il bisogno di declamare rime, di comporre odi e filastrocche. A onor del vero, Kim ci aveva provato, ma era stato prontamente zittito da un'occhiataccia collettiva. Infine, quando Heinrich aveva dichiarato di preferire il silenzio, si era imposto di tenere la bocca chiusa.
“Eccoci qui!” Stan frenò il cavallo davanti ad una lussuosa locanda, dall'intonaco fresco e con i davanzali ricoperti di fiori “Entriamo e facciamoci dare delle stanze.”
“Mi sembra un posto un po' caruccio!” obiettò Iye, ma nessuno gli diede ascolto.
“Chissenefrega, maestà! Tanto pagate voi!”
Una amara sorpresa, tuttavia, li aspettava poco oltre l'ingresso dove un cameriere li accolse con un'espressione desolata e contrita: i signori desideravano pernottare? Erano sfortunati! Non rimanevano camere libere; desideravano provare nell'albergo accanto?
Furono, quindi, costretti a cambiare alloggio ma neppure nel successivo trovarono posto; né in quello dopo, né ancora più in là. Tutte le locande sembravano piene.
“Ohibò, ed ora che faremo? Sembra non ci sia spazio per noi!” Stan si grattò il pizzetto, pensieroso. Non sembrava esservi soluzione. Nel villaggio, non vi era neppure una stanza libera. Tutto pieno e prenotato.
“Pss...” un secco sibilo richiamò la sua attenzione. Stan scese di sella, guardandosi attorno con circospezione. Da dove proveniva quel rumore?
“Pssss” ancora quel sussurro.
Individuò la fonte qualche secondo dopo: un giovane mendicante giaceva a ridosso di un vecchio muro, stretto in un mantello cencioso.
“Ehi, compare...” la voce era stentata e roca.
“Non voglio comprare nessuna meridiana!” Stan anticipò il venditore ambulante, ancora prima che questi sfoggiasse la mercanzia.
“Davvero? Oh, peccato”
“Stiamo cercando alloggio, però. Puoi aiutarci?”
“Se non avete prenotato, sarà impossibile trovare qualcosa all'ultimo minuto. Tuttavia, conosco un tale che affitta una stalla. Potrebbe fare al caso vostro”
“Una stalla? Non credo sia adatta per un futuro re. Tuttavia, se non avete di meglio da offrirci...”
“è il massimo che posso fare. Scendete lungo questa via” l'uomo indicò una strettoia alle proprie spalle “Vi arriverete in meno di cinque minuti”
Stan gli rifilò una moneta come ringraziamento, prima di rivolgersi al gruppetto:
“Avete sentito? Da questa parte!” esclamò, anche se nessuno pareva propenso a seguirlo. Iye appariva perplesso, mentre Kim era preoccupato che delle zecche potessero assalirlo nel sonno. Heinrich, invece, fu l'unico ad esprimere ad alta voce i pensieri di tutti:
“Io preferirei dormire nell'albergo” disse solo, ottenendo un leggero scuotere del capo.
“Mi dispiace. Non c'è rimasta una sola camera in tutta Sanromolo. Temo dovrai accontentar...”
Non riuscì a finire la frase. Un alto grido spezzò la notte:
“AAAAHHH” una donna in camicia da notte si affacciò alla finestra della vicina locanda, sporgendosi verso il davanzale “Gaetano! Gaetano” urlava, protendendo le braccia nel vuoto, verso il corpo dell'amante, ormai spiaccicato per terra. Poco dopo, anche la sua candida figura volò oltre le imposte, schiantandosi sull'acciottolato “Gaetanooooo”
“Oh, forse dobbiamo salvarla” Iye fu l'unico a preoccuparsi, ma – al solito – nessuno fece troppo caso alle sue parole; gli occhi dei viaggiatori erano fissi proprio sulla finestra da cui i due amanti erano precipitati. Una bassa figura ammantata stava agitando l'unico braccio.
“Ha trovato una camera, dite?” Kim fece per avanzare di un passo, ma Stan lo trattenne immediatamente:
“Temo non sia per noi. Se non vuoi fare la fine di Gaetano, rimani qui” sussurrò, facendo poi un cenno al medico “C'è posto per te”
“PostA, vorrai dire”
“Kim, ci tieni a ritornare a casa sulle tue gambette da tacchino rosa? Allora stai zitto” una voce, dall'alto “Heinrich, vieni! C'è un letto comodo e anche una cena già pronta. Avevano anche un coniglietto, guarda!” l'unica mano sollevò un piccolo coniglio dal pelo arruffato “Ti piace? Potremmo adottarlo. O farlo in salmì, a tuo piacere”
“Oh, un pensiero molto carino, ma credo che potremmo restituirlo a Gaetano e consorte, non credi?” il nobile si spicciò a varcare la soglia dell'albergo, mentre le sue parole decretavano il volo del coniglietto verso il piano terra.
Ne ho vedute tante da raccontar || Giammai i conigli volar!” Kim improvvisò un motivetto, subito spento dallo sbuffare del capogruppo, che riprese prontamente in mano la situazione.
Era ora di rimettere ordine e guidare quel branco di pazzi – o quel che rimaneva – verso la stalla.
 
Quando la raggiunsero, si accorsero che era, in realtà, una semplice tettoia sotto cui giacevano solamente due animali. Il bue e l'asino li osservarono sconsolati.
“Muuu muuuu” disse il bue.
“Ihhhooo, Ihhhoooo” ragliò l'asino.
“Muuu mumumuuuu muuu”
“Ihhhoo ooohh Ihhhooo”
“Muuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu”
Per una più piacevole lettura, si riporta di seguito la traduzione:
“Oh, no... ancora turisti”
“Che seccatura. Dici che vorranno dormire di nuovo nella nostra mangiatoia?”
“Spero di no! È così... poco igienico”
“Già! Nessuno sembra interessarsi alla qualità del nostro cibo”
“Guarda il lato positivo: questi almeno non sono gravidi”
“Che si staranno dicendo?” chiese Kim, avanzando verso il centro della stalla. Non vi era nulla che potesse fare al caso loro: nemmeno un pagliericcio, ma solo una vecchia mangiatoia di legno e qualche cassetta rovesciata “è terribile” constatò “Come faremo a dormire?”
“Beh, nella mangiatoia!”
“MUUUUUU” (“te pareva” NdT)
“Faremo dei turni. Uno dormirà e gli altri due veglieranno. Inizia Kim perchè è il più giovane. E poi ci scalderà la mangiatoia, che ora è fredda gelida”
“Ah, grazie...”
Kim scavalcò il bordo in legno ruvido, adagiandosi sul fondo. Si raggomitolò, così da portare le ginocchia al petto e cercò una posizione comoda. Era quasi impossibile dormire con le schegge che pungevano la schiena ed il fetore dello sterco così intenso. Eppure, il fiato del bue e dell'asino era caldo e ristoratore.
“Ihhoooo ihhoooo” (“ecco che ci scambiano di nuovo per delle stufette” NdT)
“Muuuuuuuuu?” (“secondo te, arriveranno i soliti tre a portare i regali?” NdT)
“Ihooooooooo oooooh” (“Sì, eccoli !”)
Da dietro una curva, quasi richiamati dall'atmosfera familiare, tre stranieri giunsero a passo svelto. Indossavano delle vesti di ottima fattura: seta, probabilmente, intrecciata a fili dorati ed a perline lucide. Kim, naturalmente, notò subito lo splendore degli abiti:
“Che belli! Sapete se li fanno anche rosa?” domandò, quando il trio si accostò alla mangiatoia.
“Penso di sì. Li abbiamo presi su Magiexspress. Seleziona la voce “Vendita calda abito epifania oro incenso mirra economico trasporto libero stella cometa amen”. Tempi di consegna lunghi, ma buona fattura”
“Interessante!”
“Comunque, cari stranieri, vi portiamo dei doni per celebrare il lieto evento”
“Quale evento?” Stan si intromise, osservando le scatolette che i signori reggevano ancora.
“La nascita di vostro figlio”
“Emh...”
“Lo sappiamo, non siete una famiglia tradizionale; e, se posso dirlo, potevate sforzarvi di partorire un bambino e non un surrogato di confetto, ma... chi siamo noi per giudicare?” posarono i cofanetti per terra “Ecco a voi dei doni. Oro Saiwa, Incesto e Birra”
“Questa la prendo io!” Stan si appropriò rapidamente delle bottigliette di birra.
“E questi io!” i biscotti al cioccolato finirono tra le mani del principe.
Kim abbassò lo sguardo, osservando il dono rimanente:
“Io l'incesto non lo voglio” protestò “Non ho nemmeno un fratello con cui consumarlo!”
“Figlio unico?” chiesero i tre signori “Ahi, ahi, ahi!”
 
Il giorno seguente, il gruppo si riunì nella piazza principale, ove era stato montato un lungo palco adornato di fiori. I bardi si stavano già esibendo, strimpellando le loro note di prima mattina.
“Che strazio!” si lagnò Stan, tappandosi le orecchie con le grandi mani “Occorre per forza un nuovo menestrello, maestà? Non possiamo farne a meno?”
Ricevette solo uno scuotere del capo:
“Sono spiacente, ma qualcuno dovrà pur declamare le mie gesta!”
“Questa canzone è noiosa” la voce di Heinrich si fece strada, seguita poco dopo da un secco sibilo. Un coltello volò dritto in faccia al cantore, spaccandogli la fronte a metà.
“Oh, che peccato! Un altro concorrente che si ritira” il presentatore fece un cenno al concorrente successivo che, tuttavia, decise di abbandonare la competizione e salvare la propria pelle.
“Shinji, dovresti smetterla” Stan si abbassò verso lo storpio, sussurrando “Non puoi trucidare tutta Sanromolo.”
“Perché no? Stava infastidendo Heinrich”
“Beh, perché...”
Non riuscì a finire la frase; Iye gettò un grido, agitando immediatamente le braccia per richiamare l'attenzione:
“Al ladro! Mi hanno derubato! Al ladro!”
“Oh, cazz... che giornata di merda, parte proprio male” ringhiò il mezzo pitone, sollevando la mano destra “Compagnia dell'Aspide, andiamo! Che ora è?”
“L'ora di catturare il ladro!”
Partirono all'inseguimento, macinando velocemente metri. Il borseggiatore era scaltro, ma non così agile ed impacciato dal lungo mantello nero.
“Ti prenderemo!” gridò Stan al vedere l'individuo nascondersi all'interno del vicino mercato. Forse sperava di confondersi tra le bancarelle? Senza dubbio, ma aveva fatto male i propri conti. Senza dubbio, non conosceva le doti da perfetto lanciatore di trote di Shinji che, malgrado fosse privo di un braccio, si era allenato a fondo in quello sport estremo.
Gli occhi del pitone vagarono in fretta, alla ricerca di una bancarella che facesse al caso loro. Nessuno vendeva pesce, ma in compenso c'erano dei lunghi salami perfetti per lo scopo. Ne afferrò uno, tendendolo allo storpio:
“Avanti, lancialo!” incitò, ma senza successo.
Shinji stava scuotendo mestamente il capo:
“No”
“Perchè no?”
“Non è un pesce. È un salume. E poi... quel tizio non mi piace. Non soddisfa le mie aspettative: non è abbastanza alto e nemmeno muscoloso. Sicuramente puzza. Non lo voglio”
“Ti sembra il momento per questionare?”
“Capo! Datelo a me! Il salame dico...” Kim lo affiancò “Non quel salame a cui state pensando. Quello che tenete in mano. Insomma... quello lì”
“Avevo capito, razza di pervertito rosa! Tieni... fanne buon uso!”
Kim afferrò il salume e lo piegò a forma di boomerang, per poi scagliarlo verso il ladro. L'affettato roteò su sé stesso, mancando il bersaglio e tornando indietro.
“Accidenti! Riprovo!”
Il secondo lancio fu migliore: il salame calò dritto sulla nuca del borseggiatore, gettandolo a terra semisvenuto. La compagnia circondò immediatamente il malfattore, ma fu Stan a prendere immediatamente il controllo della situazione:
“Ehi tu!” esclamò, sferrando un calcio alla figura accasciata “Come ti chiami?”
“Ahi!” un lamento dal timbro spezzato.
“Ebbene, signor Ahi! Che hai da dire a tua discolpa?” un'altra pedata.
“Ahi!”
“Sai dire solo questo? Sei un Ahiatore?”
“No... Smettila di prendermi a calci. Mi fai male!” una mano scivolò a spostare il cappuccio, rivelando una chioma corta, di un biondo chiaro, quasi cenere. Gli occhi azzurri erano coperti da un sottile velo di lacrime, mentre il viso scavato appariva ormai sporco di polvere e terriccio. Sotto il mantello, gli abiti erano di fattura piuttosto semplice: un gilet color cielo ed una camicia, abbinati a pantaloni morbidi e stivali “Mi chiamo Etienne”
“E sei un ladro?”
“Nossignore!”
“Però stavi rubando”
“Beh, sì...”
“Quindi sei un ladro”
“Non di professione. Lo faccio solo per la mia famiglia. Ho un figlio disagiato, che si fuma erbette strane e si nutre di funghetti allucinogeni! Sono cose costose, che non posso permettermi con il misero stipendio da vigilante a tempo pieno in una bottega di fiori”
“Rubano anche i fiori da queste parti?”
“Oh, sì. Sono molto pregiati e...”
Stan sollevò una mano:
“Beh, non ci interessa. Hai rapinato il nostro sovrano, quindi ora sarai punito. Pena di morte? Tortura? Solletico per quattro giorni di fila?”
Lo sventurato si gettò a terra, congiungendo le mani:
“Oh, no! Vi prego... ho un figlio che ha ancora bisogno di me! Non posso morire || né troppo soffrire || perchè la mia vita || non è ancor finita!
“Oddei, un altro che parla in rima. Mi fai solo venire voglia di strapparti la lingua, sai?”
“Aspettate!” Iye avanzò al centro della scena a braccia spalancate “Ho una idea. Potremmo graziare questo poveraccio. Ho giusto bisogno di un bardo, rammentate? E, visto che il signor Etienne non se la cava così male, potrei assumerlo.” si rivolse all'uomo ancora inginocchiato “Sapete declamare poesie? Comporre ballate? Ninananne?”
“Posso provare, signore” fu la risposta.
“Ebbene, fateci sentire!”
La donzelletta vien dalla campagna || in sul calar del sole || col suo fascio dell'erba; e reca in mano || un mazzolin di rose e viole
“Una schifezza, perdonatemi. Non sapete fare di meglio?” il principe scosse il capo, insoddisfatto: non poteva certo assoldare un bardo incapace di produrre rime decenti. Insomma, chiunque avrebbe saputo abbinare “sole” e “viole”. No, non era adatto: occorreva qualcosa di più audace, versi così complessi da far impallidire le ballate dei suoi predecessori. Aggiunse quindi “Ritentate, avanti”
Dammi tre parole || Sole, cuore, amore
“Già meglio. Molto meglio! Orecchiabile, gradevole, ma... ancora non ci siamo. Osate di più”
Chi sei, Goku non lo sai || Però presto lo scoprirai || E poi tu scomparirai” l'intonazione era  più affascinante “Una nuova realtà || con le sue verità || scaverà nel tuo passato
“Avvincente! Davvero avvincente! Questo Sir Goku doveva essere davvero fortunato ad avere un'ode simile in suo onore. Mi piace. Pensate che con il nome “Iye” risulterebbe ugualmente avventurosa?
Iye, sei tu! Fantastico guerriero || Sceso come un fulmine dal cielo!
“Fantastica! Sei assunto.”
Una stretta di mano suggellò quel patto, proprio mente sul palco di Sanromolo stavano per esibirsi Genji e Matriaco. Nessuno, tuttavia, aveva in animo di ascoltarli; la compagnia aveva ben altro a cui pensare che alle strimpellate note di due bardi improvvisati! La principessa Kacey attendeva con ansia d'essere salvata; Iye aspettava di rammentare cosa avesse dimenticato; Etienne non vedeva l'ora di intraprendere la nuova carriera da cantautore, mentre Heinrich e Shinji desideravano soltanto un posto appartato dove scambiarsi pareri scientifici sulla coltivazione casalinga dei limoni, sul tempo giusto di cottura dell'uovo in camicia e sull'allevamento dei pargoli in coppie non convenzionali.
Stan alzò nuovamente la voce, pronto a richiamare all'ordine quel disastrato gruppetto di eroi:
“Ebbene miei prodi, ripartiamo! Che ora è?”
“L'ora dell'avventura!”

 

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Capitolo 6
*** Sventura! ***


VI. Sventura!
 

Lasciarono San Romolo il giorno seguente. Non aveva senso rimanere oltre. Un bardo, seppur abusivo, lo avevano trovato: Etienne Blanchard, infatti, non era iscritto all’Albo Professionale dei Bardi; ciò, tuttavia, non sminuiva affatto il suo talento. Abbassava soltanto il compenso, cosa che rendeva particolarmente felice Iye.

Cavalcare di primo mattino era, comunque, fastidioso: nessuno aveva dormito bene, tranne forse Heinrich e Shinji, nella loro privatissima camera d’albergo; gli altri si erano dovuti nuovamente accontentare della stalla e della mangiatoia, ora divisa tra quattro persone, con sommo dispiacere del bue e dell’asinello. Nonostante l’intenzione del principe di ripartire quanto prima, il gruppetto si era attardato per assistere alla finale di San Romolo, ritardando così di un altro giorno il viaggio.

«Hai fame?» Iye si sporse verso Heinrich, sospettoso. L’ultima cosa che desiderava era fermarsi per l’ennesima colazione del medico.

«No, grazie. Sto bene così.» fu la risposta, che gli strappò un sospiro sollevato. Bene, stranamente tutto sembrava filare lisc…

«ATTENZIONEEEEE!»

Un urlo dall’alto li costrinse a rialzare il capo. Fu tardi, però, perché potessero scongiurare la sciagura. Un pesante ramo, tranciato di netto, era caduto dai rami di un’alta quercia abbattendosi dritto sulla testa di Kim.
Il giovane avventuriero, caduto da cavallo, giaceva ora in un lago di sangue. Il ramo gli aveva fracassato il cranio, conducendolo ad una morte rapida ed indolore. Tanto rapida, in effetti, che quasi nessuno se ne accorse.

«Ecco, ci mancava anche questa…» sussurrò il principe a denti stretti, mentre la Compagnia dell’Aspide si stringeva attorno al compagno riverso a terra.

«è morto.» disse Henirich, dopo aver controllato il polso del malcapitato.

«Ne sei certo?» Murdock non ne era così sicuro. Insomma, ne aveva vista di gente morire, lui… era quasi sicuro che un ramo non potesse provocare la frattura contemporanea di cranio, vertebre, gambe e braccia. Eppure… di Kim non rimaneva un granché.

«Assolutamente.» fu la risposta del medico.

«Sicuro, sicuro?»

«Beh, sì. Non respira più. Ha la testa spaccata come un cocomero maturo. Direi che è morto.»

«Ah, peccato…» Stan si chinò sul corpo esanime del compagno, abbassandogli le palpebre con un gesto affettuoso «Addio Kim, ci mancherai tantissimo. Ora vai e insegna agli angeli a vestirsi di rosa.»

«Dobbiamo seppellirlo?» la voce di Shinji irruppe nella scena, con la solita nota annoiata «Perché… non ho portato le pale. Insomma, non pensavo fossero necessarie.»

«Beh, non possiamo lasciarlo in balia degli elementi, degli insetti e dei corvi…»

«Allora dovrete scavare con le mani.» replicò lo storpio, scrollando le spalle.

Quell’affermazione fu sufficiente perché Murdock cambiasse prontamente idea:
«Va beh, lasciamolo qui. Sarebbe un peccato sottrarlo agli avvoltoi, non credete? Anche loro hanno diritto di mangiare.»

Svariati cenni d’assenso supportarono quella affermazione.

«Bardo Etienne! Intona un’ode per la dipartita di questo valoroso uomo…»

Etienne si fece avanti, recuperando un mandolino che aveva sgraffignato ad un turista di Sanromolo.
«Questa di Kim è la storia vera || Che cadde contro un ramo a primavera …»

«Va bene, basta. Siamo tutti molto addolorati, ma…» Iye riprese la parola, sollevando un indice in  direzione del cielo «Non credo che i rami cadano così da soli! Men che meno se tranciati di netto. Scommetto che c’è un colpevole lassù.»

«Nel blu, dipinto di blu…»

«Bastaaaa… abbiamo capito, cazzo!» Murdock alzò lo sguardo, scorgendo una figura che veloce sgusciava tra le fronte in loro direzione «Ohi, tu! Hai visto cosa hai combinato? Vieni subito giù!»

La figura atterrò davanti al gruppo poco dopo. Si trattava di un giovane uomo piuttosto piazzato: le spalle robuste premevano sulla camicia a quadrettoni, mentre le gambe muscolose erano fasciate da pantaloni di pelle scura. I capelli, dei ciuffi neri completamente spettinati, contornavano un viso squadrato dove due piccoli occhi grigi facevano capolino. Delle orecchie antracite ed una coda folta spuntavano dai vestiti.

«Certo che tuo padre ha fatto davvero un gran bel lavoro di epurazione dei Kemo, eh? Ne incontriamo uno ogni due minuti.» scherzò il pitone, tornando poi al nuovo arrivato «Tu chi sei, tizio? Hai ucciso il nostro confett… volevo dire… il nostro amico rosa! Dovremmo ucciderti per questo, ma… sei carino, quindi dicci solo come ti chiami.»

«Sono Zero! Il boscaiolo che boscola in questi boschi.»

«Ah, divertente. Sei un boscolatore? D’accordo! Assunto!»

«Assunto per fare cosa?» Il taglialegna si grattò la fronte, perplesso.

«Per rimpiazzare Kim. Non possiamo rimanere senza mascotte e… ci servi.»

«Umh? Non sono mai stato una mascotte. Dite che fa curriculum?»

«Certo!»

«E che dovrei fare?»

«Vestirti di rosa e sparare cazzate a tutto spiano.»

«Sembra semplice, ma il rosa non mi dona molto»

«Non abbiamo altri colori…»

Murdock si avvicinò al pony di Kim, cavando dalla bisaccia una giacchetta rosa di tulle e un paio di bermuda color lilla. Li porse al boscaiolo che, ovviamente, tentò di infilarcisi senza successo. Uno Straaapp decretò la fine dei vestiti color confetto.

«Sono stretti per me…» fece notare Zero, ma Stan gli calcò in testa un cappello con le piume da tortorella.

«Stai benissimo, va là! Bene, possiamo ripartire, vero?» Stan montò a cavallo, indicando al nuovo arrivato il pony che brucava placido «Quello sarà il tuo nobile destriero.»

«Emh… è un po’ piccolo per me.»

«Arrangiati! Adattati un po’. Fammi capire sei l’ultimo arrivato e già vuoi privilegi? Prendi il pony e non rompere…»

«Ma…»

Murdock finse di non sentire ulteriori proteste. Sollevò il braccio, indicando l’orizzonte:
«Animo! Il cammino è ancora lungo e la principessa Kacey è ancora prigioniera da qualche parte laggiù in fondo! Mettiamoci in marcia e…»

«Non possiamo…» la voce di Heinrich arrivò a smorzare gli entusiasmi.

Oh, che palle! Cosa c’era ancora che non andava? Voleva un’altra colazione?
«Perché no?» si limitò a chiedere, mentre il medico indicava il corpo senza vita dello sfortunato:

«Dobbiamo registrarlo all’Ufficio Background Tragici.»

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Capitolo 7
*** Ufficio Background Tragici ***



VII. Ufficio Background Tragici
 
 
Fortunatamente, l’Ufficio Background Tragici era sulla strada. Non distava che un’ora di cammino dal punto in cui avevano lasciato Kim e, con un buon ritmo, riuscirono a raggiungerlo nella metà del tempo.
Murdock frenò il cavallo, consegnando le redini ad uno stalliere brufoloso ed invitando gli altri a fare altrettanto.

«Leviamoci di torno anche questo impiccio, suvvia!» disse, spingendo la porta «Speriamo di non metterci trop…»

Le parole gli morirono sulle labbra. L’UBT era saturo di gente. Le persone si spintonavano davanti ad una macchinetta che, a raffica, distribuiva dei numerini. La sala d’aspetto, composta da vecchie e cigolanti sedie, non presentava neppure un posto a sedere e molti si erano accomodati per terra, sui davanzali, sui portaombrelli. La maggioranza degli occhi era puntata su delle lavagnette dove degli sfortunati galoppini segnavano a mano la progressione dei numeri.

«Moriremo qui…» sussurrò Iye, scuotendo il capo «Dobbiamo proprio fermarci? Ho una principessa da salvare e…»

«Sì, è scritto nel regolamento.» Stan sbuffò, sfogliando un librone appoggiato accanto all’ingresso «Ecco qui. Punto cinque: ogni decesso, ogni background ritenuto tragico dovrà essere registrato presso l’ufficio competente. Pare dovremo fare tappa qui…»

«Ottimo. Potrei approfittarne per registrare anche il mio di Background!» esclamò Etienne, avvicinandosi ad una macchinetta e cavandone una coppia di numeri. Passò un foglietto a Stan:
«Io ho il millenovecentoquarantacinque e tu… il millenovecentoquarantasei.»

«Ottimo! Ora stanno servendo il… cinquantacinque?!» il pitone scosse il capo, incerto. Non era possibile! Ci avrebbero impiegato tutto il giorno! O forse… tutta la settimana. «Prendete dei biglietti anche voi!» ordinò al gruppo «Ci sparpaglieremo in file diverse e il primo che verrà servito denuncerà la scomparsa di Kim.»
 

***
 

Iye si accomodò nella prima fila, scrutando il proprio numero: millenovecentoquarantasette. Davanti a sé c’era un ragazzo con i capelli rosso fuoco, lunghi fino a metà della schiena. Indossava un semplice abito bianco, spiegazzato e logoro in alcuni punti.  Chissà perché si trovava lì… In effetti, avrebbe potuto chiederglielo, no? Fare conversazione sembrava essere l’unico modo per passare il tempo:
«Emh… Buongiorno» salutò, richiamando prontamente l’attenzione dell’altro «Sono il principe Iye e… è molto che aspettate?»

Il suddito produsse un profondo inchino, mentre la lunga chioma produceva uno Swisshhh da fare invidia alle migliori pubblicità per balsami e shampoo.
«Principe! Oh, anche voi qui? Quale tragedia vi ha colto?» domandò il ragazzo, puntando gli occhi verdi sul volto del sovrano «Sono Brett. Un umile, umilissimo, moltissimamemte umile vostro concittadino.»

«Oh, mh… ho perso un compagno di viaggio recentemente e devo denunciarne la scomparsa. E voi?»

«Ah, che dramma!» fu la risposta, mentre gli occhi di Brett rilucevano di gratitudine «Oh, Vostra Graziosità! Mi domandate delle mie sventure? Ebbene… sappiate che sono nato nelle vostre terre, ma… la mia infanzia fu toccata dalla morte precoce di mia madre. Mio padre si risposò con una matrigna cattiva.»

«Non mi dite. Vi misero a fare le faccende domestiche?»

«No! Peggio, molto peggio. La matrigna era una vecchiaccia orribile e convinse mio padre a non farmi più uscire di casa, a non farmi studiare, a non farmi incontrare con i miei amici. Mi chiusero in camera e a rotazione mi picchiavano con un battipanni chiodato. Passavo i giorni come una ameba a fissare il soffitto, quando…»

«Perché non siete fuggito dalla finestra?»

«Un momento, principe! Ora ci arrivo… Una sera, un ragazzino si affacciò alla mia finestra e mi disse di scappare. Però non ne ero convinto, allora rimasi ancora un po’ di giorni a casa… così, tanto per essere sicuro della scelta, insomma. Poi, alla fine, decisi di scappare…però, come capirete, tutta questa cosa va denunciata opportunamente. Insomma, credo sia un Background abbastanza tragico, che dite?»

«Assolutamente. Una domanda. Che numero avete?»

«Il cinquantasette»

«…da quanto siete qui?»

«Sei giorni, sedici ore e ventisette minuti.»

Cinquantasette.

La voce gracchiante di un’impiegata annunciò il numero. Brett produsse un inchino:
«Devo andare! Buona fortuna principe!»

 
***
 

Etienne si mosse a disagio, osservando il proprio numero. Ne mancavano ancora troppi. Avrebbe potuto declamare poesie per poter allietare l’attesa di tutti. Oppure… attaccare bottone con la persona davanti a sé. Squadrò attentamente la figura poco lontana: un uomo di bell’aspetto, dai folti capelli scuri. Possedeva dei tratti garbati, che ispiravano alla conversazione. Produsse un leggero colpo di tosse per richiamare l’attenzione dello straniero, ritrovandosi poco dopo a fissare degli occhi profondi e color zaffiro.

«Anche voi in coda, eh?» disse, mimando un sorriso incoraggiante a cui l’altro replicò con cortesia.

«Già. Passato difficile?»

«A chi lo dite!» Etienne sfoggiò un sorriso mesto. «Il mio passato è stato particolarmente tragico, in effetti. Il vostro?»

«Un po’. Sono dispiaciuto per voi. Volete parlarne?»

Naturalmente! Voleva sempre parlarne! Non perdeva mai occasione per raccontare a tutti della propria storia triste e deludente.
«Grazie. Mi sentirei sicuramente meglio, se potessi sfogarmi.» Etienne cavò un fazzoletto dal taschino, soffiandosi vigorosamente il naso «Vedete, mia moglie è morta! Mi sono ritrovato da solo a dover crescere mio figlio ed a combattere contro il disprezzo della società. Mio suocero non mi capisce e sono così  solo. Ether… mia moglie… è morta! E mio figlio si fa di funghetti allucinogeni di nascosto, ovviamente, per ovviare al dolore della perdita. Sono così disperato…»

«Capisco… mi dispiace molto.»

«Anche a me! E pensate che non sono più riuscito a risposarmi, perché il mio cuore batte ancora per Ether.»

«Chi è Ether?»

«Mia moglie morta!»

«Davvero è morta? Che sfortuna.»

«Già! Come siete gentile a piangere con me la sorte sciagurata della mia famiglia. Come vi chiamate, signore?»

«Akihiko. Voi?»

«Sono Etienne… ma potete chiamarmi: “Sfortunato cuore infranto per la moglie morta prematuramente”.»

«Perdonate, una curiosità… come mai siete in coda a questo sportello, allora?»

Etienne guardò l’altro perplesso:
«Non è quello per i Background Tragici questo?»

«No! Questo è dedicato a Malattie Rare e Misteriose.»

«Ah, cazzo.» Etienne guardò la fila accanto alla propria, tanto lunga da uscire dalla porta principale, girare due volte attorno al palazzo e fermarsi giusto accanto alla rimessa per i cavalli «Quindi… devo rifare la coda?»

«Già»
 
 
***
 

Shinji raggiunse lo sportello, sfoggiando un sorriso sicuro sul viso imbrattato di sangue. Uccidere il resto delle persone in coda era stata una mossa geniale. Scavalcò l’ultimo cadavere, pulendo le suole sul pavimento, prima di affacciarsi al bancone, davanti ad una impiegata di mezza età.

«Desiderate, signor…?»

«Shinji»

«Capisco…»

«Capite cosa?»

La donna lo fissò da sopra il bordo di un paio di spessi occhiali:
«Vi manca un braccio?»

«E anche un occhio.»

«Dovete denunciarne la scomparsa?»

«Immagino di sì. L’ho perso un po’ di tempo fa e non l’ho più ritrovato.»

«Bene.» aveva una voce nasale quella signora, asciutta e seccata «Avete compilato il modulo apposito?»

«No, anche perché non so usare la sinistra per scrivere.»

«Capisco. Impossibilitato a compilare il modulo perché non mancino.»

« Appunto» Shinji si grattò appena il capo, incerto… c’era qualcosa che gli sfuggiva.

«Molto bene. Il vostro Background Tragico comprende un incidente con conseguente mutilazione, quindi?»

«Sì.»

«Firmate qui…»

Shinji impugnò la piuma d’oca e la intinse nel calamaio. Tracciò una X sull’apposito spazio, riponendo poi la penna e spiando l’impiegata:
«Gliel’ho detto che non so scrivere con la sinistra»

«Va bene così. Avete altro da dichiarare signor Shinji?»

Batté le palpebre. Doveva denunciare altri Background Tragici?
«No.» rispose, dopo qualche attimo di incertezza.

L’impiegata gli consegnò un foglio timbrato, prima di annunciare a gran voce:
«Il prossimo!»

 
***
 

Heinrich si sentì battere su una spalla. Si volse, incrociando lo sguardo con quello affranto di un giovane uomo dai curiosi capelli rosa.
«Prego?» chiese solo, mentre l’altro tirava su col naso.

«Perdonatemi… che numero avete?»

«Millenovecentoquarantanove.»

«Capisco… io ho il duemilacinque. Che dovete fare allo sportello?»

«Registrare il decesso di un nostro compagno di viaggio.»

Il ragazzo sospirò:
«Ah, come siete fortunato! Io, invece… devo denunciare una storia ben più lunga. Io sono nato da un tradimento, capite? Sono un figlio bastardo, come tre quarti dei presenti in sala senza dubbio; tuttavia, mio padre desiderava liberarsi dia di me che di mia madre; lei mi ha portato via, salvandomi la vita. Non ho mai conosciuto il mio vero padre. Poi, quando ero bambino… un brutto giorno quattro uomini ammantati e incappucciati e irriconoscibili mi aggredirono e io persi la vista…»

«Davvero? Quindi siete… cieco?»

«No. In realtà, lo dico solo per percepire la pensione di indennità. Sapete com’è… di questi tempi, uno deve anche sapersi arrangiare.» l’uomo fece una pausa, per poi riprendere vivacemente «Inoltre, beh… visto che ero triste per questa cosa, decisi di provare ad assumere qualche erbetta di quella buona. Non so se capite…»

«Vi sto seguendo, certo!»

«Solo che rischiai di morire, capite? Tutto per aver fumato qualche cannetta di troppo. Ah, me tapino!»


«Avete davvero avuto un’infanzia tragica signor…?»

«Ichigo…»

«I capelli rosa fanno parte di questo doloroso cammino?»

«No. Mi piacevano e li ho fatti rosa. Non credete mi donino? Sono di un colore così virile…»

«Sì, mh… davvero. Sentite, visto che avete avuto un’infanzia così deplorevole… se volete, vi cedo il mio numero. Non è molto, ma è quanto di meglio posso fare per aiutarv…»

Heinrich non riuscì a finire la frase. Ichigo sostituì velocemente i due tagliandini, appropriandosi di quello con il numero inferiore e producendo un mezzo inchino:
«Grazie signore! Gli Dei vi benedicano…»
 

***
 

Zero scrutò l’ora sulla clessidra appesa al muro che, fatalità, non segnava affatto lo scorrere del tempo. In effetti, una clessidra che non può essere ruotata non serve a molto. Sbuffò piano, riabbassando lo sguardo sulla fila davanti a sé, annoiato. Perché si era lasciato coinvolgere in quella storia? Non sarebbe stato meglio farsi arrestare per omicidio? Scrollò le spalle, fissando pigramente le persone davanti a sé. Vi erano una coppia di vedove affrante, due contadini mutilati, una sfilza infinita di orfanelli e un curioso tizio dall’aria misteriosa ed oscura.

«Scusate…» disse infine, avvicinandosi «Anche voi dovete registrare un Background Tragico?»

«Che? No, assolutamente… io devo rapinare le poste.»

«Allora perché siete qui?» Zero lo fissò perplesso. Quel tipo non sembrava avere tutte le rotelle a posto, poco ma sicuro.

«Non è un ufficio postale?»

«No. È l’Ufficio Background Tragici.»

«Ah, cazzo. L’enorme coda all’esterno mi aveva tratto in inganno. Grazie infinite, eh…»

«Non c’è di che.»
 

***
 

Heinrich sgranò gli occhi al sentire il racconto raccapricciante dell’ennesima vedova che lo avvicinava. La signora reggeva due bambini evidentemente abbandonati. Le sue mani callose sottolineavano anni e anni di duro lavoro.
«Oh, povera donna.» disse, tendendo il proprio biglietto «Ecco, prendete questo! È il numero duemilacinquecentoventidue, ma non posso fare altro per voi»
Ottenne in cambio un sorriso stentato ed un nuovo tagliandino: duemilaottocentotrentasei.
 

***
 

Stan spiò con aria vittoriosa lo sportello. Mancavano soltanto tre persone e poi sarebbe stato il suo turno. Sorrise, trionfante, gettando una occhiata alle proprie spalle, dove un ragazzo dai corti capelli scuri stava pazientemente aspettando. Era un giovane di bell’aspetto, con la zazzera nera ben pettinata, alto e muscoloso. Gli occhi, svegli ed intelligenti, presentavano un taglio affilato ed elegante.

«Ecco… se Shinji non fosse monco e fosse un po’ più alto, penso vi assomiglierebbe.» si lasciò sfuggire, catturando immediatamente le attenzioni dell’altro.

«Perdonate, non ho affettato. A chi vi riferite?»

«Oh, nulla… ad un mio compagno di viaggio. Vi assomiglia, sapete? Un pochettino. Solo che… mentre voi siete prestante e di bell’aspetto… lui è un nanetto storpio che sembra abbia il ciclo tutti i giorni della sua vita.»

«Un bel problema…»

«Una piaga al culo, onestamente. Come vi chiamate, a proposito? Magari siete imparentato con quel disgraziato?»

«Mieczyslaw Manur»

«Eh?»

«Mieczyslaw Manur»

«Nel dubbio, a soreta!»

«Ma no! È il mio nome… Mieczyslaw Manur.»

«Perdonate… ma vostra madre cosa si era fumata quando vi ha chiamato così?»

«Ah, che domanda bizzarra! Me lo chiedono tutti, sapete?»

Stan scrollò le spalle. Certo, il nome di per sé era una tragedia, ma sarebbe bastato perché venisse accolto come un Background Tragico?
«Scusate signor.. Mickey Mouse…»

«Mieczyslaw Manur!»

«Quello che è… cosa dovete registrare all’Ufficio Background Tragici?»

«Oh, vi ingannate! Questo è soltanto lo sportello “Nomi impronunciabili ed affini”. Temo abbiate sbagliato fila…»

Stan sgattaiolò via di corsa. Merda! Doveva ricominciare tutto da capo!
 

***
 

Heinrich passò un fazzoletto all’uomo davanti a sé, ormai sepolto da una montagna di lacrime.
«Via, signor Eisen, ci sono cose peggiori?»

«Ma non capite? Mi hanno buttato nella spazzatura appena nato. Mio padre adottivo si faceva di erbette e ci picchiava perché ci scambiava per sacconi da allenamento. È stata una infanzia orribile, la mia! Voi non potete capire cosa significhi essere usato come sacco da boxe. E poi mio padre ha tentato il suicidio dopo che la mamma ci ha allontanati da lui. Si è accorto che i sacchi veri alla decathlon costavano troppo e… allora ha cercato di uccidersi perché non aveva più nessuno da usare come sacco e… e…»

«Va bene, ho capito…» il biondo cavò il proprio numero dalla tasca «Prendete. Posso fare solo questo per voi. Datemi il vostro numero.»
Si ritrovò in un attimo ad essere il quattromilacentoventidue.
 

***
 

Iye si accasciò sulla prima sedia libera. Erano passate quarantotto ore, ventisei minuti e sette secondi da quando aveva messo piede all’Ufficio Background Tragici. Alla fine, però, ce l’aveva fatta. Era riuscito a registrare il decesso di Kim con successo! Strinse avidamente la pergamena tra le mani, leggendola ancora una volta. Era fatta! Ora avrebbero potuto riprendere il cammino e…

Sgranò gli occhi al notare la mancanza di marca da bollo, timbro e firma dell’impiegato; senza questi, il documento non era da considerarsi valido.

Si alzò a fatica, trascinandosi verso la macchinetta che dispensava i ticket. Ne prese uno, fissando il numero stampato a caratteri cubitali: ottomilasettecentoventisei.

«A che numero siamo?» chiese ad una signora poco lontana.

«Millenovecentosessanta»

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Capitolo 8
*** La Cerimonia degli Oscar ***


VIII. La Cerimonia degli Oscar


• La storia partecipa al "COWT: Lande di fandom"
• Settimana: Prima
• Prompt: Cerimonia
• Numero Parole: 2155


Lasciarono l’ufficio Background Tragici soltanto due giorni più tardi. Con grande fatica, Iye era riuscito nell’impresa: aveva inserito il decesso di Kim tra gli ultimi venti peggiori eventi dell’anno. Aveva ottenuto tutte le marche da bollo, timbri e firme possibili.
Spronò il cavallo, spingendolo su un sentiero che, dal bosco, saliva ad angolo verso una collinetta erbosa, gettando una rapida occhiata alle proprie spalle. La Compagnia dell’Aspide lo seguiva d’appresso, i volti scuri in viso.

«Abbiamo perso davvero troppo tempo.» sussurrò il principe, stringendo nervosamente le briglie «A quest’ora, avremmo potuto essere già in vista della torre in cui la bella Kacey è tenuta prigioniera.»

«Siete sicuro che sia in una torre?» domandò Zero, slacciando il colletto di pizzo che lo stava soffocando «Perché magari è in una capanna in mezzo al bosco.»

«Che sciocchezze! Le damigelle in difficoltà sono tenute prigioniere in una torre. Lo sanno tutti. E poi è scritto nel “Manuale del perfetto eroe”, quindi deve essere per forza così.»

I destrieri frattanto avevano intrapreso la stradicciola che, inerpicandosi su per il pendio, si infilava dritta in piccolo villaggio di basse casette in paglia e mattoni. Dal centro del paesino, si levava un gran fragore: musica assordante, luci colorate e un intenso battere di mani e di piedi.

«Ollallà, che succede?» Etienne si sporse lungo il collo del proprio destriero, cercando di spiare oltre una stretta curva, che i cavalli superarono poco dopo.
Al centro di uno spiazzo era stato montato un palco di legno sopra cui un giovanotto dai capelli rossi gridava a gran voce in un megafono:

«Venghino signori, venghino! La cerimonia degli Oscar Ventordicimiladiciotto sta per iniziare! Chi saranno i fortunati che riceveranno gli ambitissimi premi di quest’anno?»

Iye aggrottò la fronte. Ci mancava soltanto quello! Una festicciola ridicola imbastita da contadinotti per passare il tempo; ecco come quegli stolti impiegavano il tempo! Anziché zappare, si votavano a vicenda e discutevano su chi dovesse vincere il premio di “Miglior coltivatore di carote” dell’anno. Scosse il capo, scettico: non aveva senso fermarsi da quelle parti, dove sicuramente nessuno sarebbe stato disposto a dar loro retta; erano tutti troppo impegnati a scambiarsi pareri, ad imbustare cartoncini in un’urna, a sgomitare per poter proporre nuove candidature. Senza dubbio, non avrebbero trovato né una locanda decente dove passare la notte, né un’osteria da poco dove chiedere un pranzo e tanto meno una rimessa dove far riposare i cavalli.

«Andiamocene.» sentenziò, fissando il gruppetto «Non c’è nulla che possa interessar…»

Non riuscì a completare la frase perché Heinrich era già smontato di sella e si stava avvicinando al palco:
«Sono proprio curioso di vedere in cosa consiste questa cerimonia. È la prima volta che assisto ad un tale evento. Passatempi plebei tanto interessanti non se ne vedono nella capitale. Non trovate, principe?»

«No, affatto! Non intendo rimanere e…»

Riconobbe la vocetta stridula prima ancora di intercettare l’unico occhio del suo nuovo interlocutore:
«Heinrich vuole assistere allo spettacolo! Quindi assisteremo. Capito?»

Un ringhio finale e lo sguardo da tagliagole furono sufficienti perché il principe lasciasse cadere l’argomento.
«Va bene…» acconsentì Iye con uno sbuffo, scendendo a propria volta dalle staffe «Speriamo non sia una cosa troppo lunga.» borbottò, scorgendo dei movimenti furtivi alla propria destra. Fece appena in tempo a voltarsi, per notare che Zero e Etienne si stavano fiondando verso il palco, entrambi decisi a candidarsi agli Oscar.
 
***
 
Etienne raggiunse per primo il banchetto iscrizioni:
«Voglio candidarmi per la categoria Drama!» esclamò, mentre il presentatore recuperava un pesante faldone da sotto il tavolo.

«Non sarà facile, signor…come vi chiamate?»

«Etienne! Voi?»

«Io sono Valenthino. Sono l’organizzatore, il presentatore, il segretario, il pubblico, insomma… il tuttofare della Cerimonia degli Oscar.» il giovane sorrise cortese, sfogliando in fretta il grosso raccoglitore, fino a trovare una scheda ancora bianca «Come vedete, abbiamo già dodicimila iscritti a questa categoria, ma… se desiderate partecipare, devo chiedervi se siete in possesso di un Background Tragico regolarmente certficato.»

Il bardo cavò una pergamena da sotto il giustacuore:
«Ecco qua!» esclamò, porgendola all’altro «Fresco fresco di registrazione. Perché sapete… mia moglie, Ether, è morta! Sono rimasto solo con un figlio piccolo che si spinella. Fuma le radici dei funghetti in gran segreto. Ho intrapreso questo viaggio per salvarlo.» una pausa, mentre un fazzoletto compariva abile nella mancina «O meglio… in realtà, l’ho intrapreso perché mi hanno costretto, ma…» si soffiò il naso «Pensare a mio figlio mi dà speranza e conforto e…»

«Mh, capisco. Non fate così, suvvia. Certo, la vostra storia è molto tragica…»

«Tragicissima!»

«…non so se basterà, tuttavia...»

«è così tragica che non saprei come altro descriverla …»

«Perché concorrono background davvero terribili e…»

«Lo so, comprendete il mio dolore, ora? Ether è morta!»

«Firmate qui, signor Etienne…e buona fortuna.»

Il bardo vergò rapidamente una sigla, sbuffando un semplice:
«Grazie, ma… come potete parlarmi di fortuna?! Me tapino, la mia vita è stata così orribile. Ether è…»

«Morta, d’accordo. Vi chiameremo non appena estrarremo il vincitore. Il prossimo!»
 
***

Zero attese pazientemente il proprio turno. Si presentò al banchetto soltanto mezz’ora più tardi, quando la fila di aspiranti assassini fu completamente smaltita. Passò un foglio già compilato all’organizzatore, che mimò una smorfia sorpresa:
«Volete candidarvi come miglior boscaiolo?» si sentì domandare.

«Assolutamente!» il giovane stirò le labbra in un sorriso orgoglioso «Sono un eccellente boscaiolo, sapete? Anche se… recentemente, mentre potavo una pianta, ho accidentalmente ucciso un uomo.»

«Davvero? Mh… sapete, potreste concorrere per la categoria “Best omicida ventordicimiladiciotto”, che ne dite?»

«Non saprei. Pensate che un solo morto – pure accidentale – possa essere considerato valido?»

«Sì, senza dubbio. Partecipate, vi prego! Sarebbe la prima volta che non assistiamo ad una storia intrisa di uccisioni per vendetta, di famiglie distrutte e cadaveri sepolti nell’orto del vicino. Vi aggiungo immediatamente.»

A nulla valsero le successive proteste di Zero: non aveva speranze come boscaiolo, ma forse avrebbe potuto scalare le vette del successo come miglior assassino in circolazione.
 
***
 
La Cerimonia degli Oscar ebbe inizio soltanto nella tarda serata. Il palco si illuminò d’immenso quando una doppia fila di moccoli venne accesa, accompagnata dal sottofondo di fisarmoniche, flauti e violini scordati. Il ragazzo coi capelli rossi si improvvisò, ovviamente, anche presentatore. Giunse vestito d’uno splendido abito fatto di sacchi di patate e lustrini, acquistato presso una famosa bancarella orientale, dove la rassicurante scritta “vendita calda vestito economico perline dorate delle donne” svettava tra la merce.

«Benvenuti a tutti!» tuonò Valenthino dall’alto del palcoscenico «Diamo il via a questa splendida “Notte degli Oscar ventordicimiladiciotto”! Un bell’applauso ai partecipanti!»

Un lungo codazzo di concorrenti salì le strette scalette di legno, arrivando a circondare il conduttore, che proseguì imperterrito:
«Cominciamo con le premiazioni. La prima categoria in lista è quella di “Gnocco dell’anno” e il premio vaaaa…»

Rullo di tamburi e attimo di suspance.

«Allo gnocco fritto della signora Carliseeee!»

Un boato si alzò dal pubblico, mentre tra i concorrenti serpeggiavano già insinuazioni e commenti increduli:
«Ma come? Credevo d’essere io il più gnocco!»

«Tu? Non farmi ridere! Hai le orecchie a sventola.»

«Ha parlato quello senza incisivi!»

«Comunque, lo gnocco fritto è delizioso! Non così delizioso da vincere un Oscar, ma diamine…»

«Non diciamo fesserie! La piadina romagnola è meglio dello gnocco fritto!»

«Beh, quando ci sarà la categoria della miglior piadina potrai dire la tua…»

Valenthino riuscì a riportare il silenzio soltanto dopo aver gridato a gran voce nel megafono:
«Seconda categoria! Premio per il più dotato! Il premio va a…»

Un altro rullo di tamburi, seguito dall’annuncio:
«Il signor Cullen! Congratulazioni!»

Un uomo enorme sgomitò tra i concorrenti, facendone volare un paio giù dal palco e un altro paio dritti sullo gnocco fritto della signora Carlise. Cullen si eresse in tutta la sua statura. In effetti, non si eresse soltanto la statura in quel frangente. Il vincitore apparve, dunque, come una gigantesca montagna di muscoli, tanto imponente da strappare camicia e pantaloni, facendo saltare le blande cuciture del tutto. Cullen si ritrovò a sfoggiare anzitempo un perizoma leopardato, sotto cui si intravedeva una prominenza alquanto ambigua.

«Cavolo, siete veramente dotato!» esclamò Valenthino, senza riuscire a distogliere lo sguardo da “quelle parti”.

«Eh sì…e non avete ancora visto niente.»

«Quanto sarà?»

«Di misura base sono ventotto centimetri, ma… dovete sapere che cresce a piacere.»

«Ho quasi timore a domandarvelo…»

«Beh, se ci fate caso… è già arrivato a trentacinque, mentre parliamo. Tra poco sarà almeno ottanta centimetri. Il suo massimo, comunque, è stato di tre metri e trenta.»

«Cazzo!»

Cullen sorrise, strappando il premio dalle mani dell’incredulo presentatore:
«è proprio il caso di dirlo!»
 
***
 
Dieci minuti più tardi, Valenthino riuscì a riprendersi dallo shock ed a proseguire nella premiazione. Recuperò la scaletta, controllando l’Oscar successivo.
«Ora,» attaccò rapidamente «Il premio per la storia più drammatica! L’ Oscar Drama va a… Rin!»

Un altro boato dalla folla:
«Chi?»

«Ma chi è questo?»

«Neanche partecipa!»

«è un concorrente?»

Il conduttore si corresse immediatamente:
«Scusate, ho sbagliato. Volevo dire Ran! Anzi Run. Ah…» scosse meglio il foglio, cercando di leggere oltre le infide piegoline della carta «Potevano scegliersi dei nomi meno uguali, uff…» sbuffò, scorgendo infine la giusta vocale «La E di Empoli! REN!»

«Uhhh ho vintooooo!» un  giovane sollevò le mani al cielo, balzando immediatamente in avanti per ricevere la statuetta dorata, raffigurante un uomo che si pugnalava da solo «Sono commosso, grazie! Vorrei dedicare questa vittoria alla mia famiglia, anche se… mia madre mi ha abbandonato e mio padre mi pestava allegramente ogni giorno! Grazie mamma e papà. È grazie a voi se ora ho questo premio. Vi adoro!»

«Un applauso al signor Ren che…» Valenthino venne nuovamente interrotto: un concorrente si era staccato dal gruppo, strisciando a carponi sino al centro del palco «Signor Etienne, per favore… non fate così.» provò a dire lo sfortunato conduttore, mentre il bardo si batteva il petto con i pugni:

«Oh no! Ho perduto Ether e ora anche questo! Nemmeno questa gioia nella morte della mia adorata moglie; nemmeno nel figlio cannaiolo…»

«Potrete ritentare l’anno prossimo, suvvia. Non è il caso di farne un …»

«Oh, che dramma! Nemmeno sufficiente a vincere, sob! Come sono tormentato!»

Un paio di gorilla agguantarono Etienne, trascinandolo via dal palco, mentre Ren continuava nell’infinita lista dei ringraziamenti:
«Voglio dedicare questa vittoria a tutti coloro che mi sono sempre stati vicini e che ho accidentalmente ucciso nel corso del mio Background Tragico e…»

Un altro bodyguard si premurò di allontanare anche lui.
 
***
 
«Non abbiamo vinto o sbaglio?» Stan sbuffò, incrociando le braccia al petto come a ripararsi dall’umidità serale «Riusciremo a guadagnare almeno qualche spicciolo da tutta questa messa in scena?»

Il principe scosse il capo, sconsolato:
«Temo sia soltanto l’ennesima perdita ti tempo. È proprio una stupidata questa cerimonia.»

«A me piace.» aggiunse Heinrich, stringendo meglio le caviglie dello storpio, che si era giusto appollaiato sulle sue spalle «A te piace, Shinji?»

Questi si limitò a increspare le labbra in un sorriso secco:
«A me piace quello che piace a te.» sentenziò, lanciando poi un’occhiata in tralice a Stan ed Iye «A tutti piace ciò che piace a te, Heinrich. Non siete d’accordo voi due?»

«Assolutamente.» sussurrò Stan.

«D’accordissimo!» concluse il principe.

Ai due non rimase che tornare ad assistere in silenzio allo spettacolo.
 
***
 
Valenthino abbassò lo sguardo: rimaneva soltanto una categoria da premiare. Il trofeo di “Best Assassino” regnava solitario sul vicino tavolino. La statuetta raffigurava un uomo intento a trucidarne un altro a colpi di mazza ferrata; un po’ cruda come scena, ma certamente efficace.

«Il premio va…» attaccò il presentatore, scorrendo poi rapidamente l’infinita lista di nomi «Al signor Zero!»

Un paio di moccoli vennero immediatamente puntati verso il boscaiolo, che si schermò il viso con una mano.

«ABBIAMO VINTO!» la voce di Stan sovrastò per un attimo gli applausi del pubblico, mentre Zero avanzava titubante:

«Ho vinto davvero?» chiese incerto.

«Naturalmente!» chiocciò Valenthino «Erano anni che cercavamo una storia così avvincente come la vostra, signor Zero. Insomma, ne avevamo le tasche piene di giovani rampolli che si vendicano della famiglia trucidando i genitori, gli zii, i cugini di terzo e quarto grado ed i compagni delle elementari. Il suo racconto è stato avvincente! Uccidere un uomo per sbaglio mentre si pota una pianta… sublime! Abbandonare il corpo agli avvoltoi, poi… un vero tocco di classe. Congratulazioni… questa è per voi» il conduttore tese la statuetta dorata, accompagnata da una busta voluminosa.
 
***
 
 Stan requisì la busta non appena il boscaiolo scese dal palco. La aprì, frugando avidamente al suo interno. Ne cavò una pergamena che gettò a terra senza neppure leggere:
«Dove sono i soldoni?» chiese sconcertato, quando le sue dita si ritrovarono soltanto a stringere dei cartoncini colorati «Buoni pasto? Ma che cazzo… voglio soldi, non buoni pasto!» gridò, gettandoli al suolo.

Iye fu abbastanza svelto da recuperarne uno. Non riuscì, tuttavia, a decifrarne la dicitura.

«Che significa? Che razza di locale è questo?» domandò, mentre sul bigliettino capeggiava un’unica scritta, vergata in inchiostro dorato.

“Buono pasto. Valido per una consumazione presso il Ϩ√‾ 121"

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Capitolo 9
*** La Foresta delle Voci ***


IX. La Foresta delle Voci


• La storia partecipa al "COWT: Lande di fandom"
• Settimana: Seconda
• Prompt: Voce (Missione 1)
• Numero Parole: 2386


«La Foresta delle Voci» scandì Iye, osservando un cartello consumato dal tempo; la scritta sbiadita si leggeva appena, ormai coperta da muffe di vario genere. 

Avevano ripreso il cammino, fermandosi soltanto ottemperare alle infinite richieste di Heinrich circa colazioni, pranzi di lavoro e banchetti luculliani. Il tempo perduto alla Cerimonia degli Oscar ed all’Ufficio Background tragici era, comunque, eccessivo; dovevano assolutamente recuperarlo!

«Non sono sicuro che sia una buona idea passare di qua, principe.» intervenne Zero, dall’alto del suo malmesso pony «Ricordo che circolavano strane voci su questo posto.»

«Ovviamente! Si chiama Foresta delle Voci, no? Qualcosa dovrà pur significare!» intervenne Stan, spazientito e stanco di cavalcare «Non lasciatevi ingannare dall’aspetto sinistro, dai rami spettrali e dagli ululati che fendono questa inquietante nebbiolina. Sono sicuro che è una scorciatoia.» sentenziò il capo spedizione, spronando il proprio destriero ad entrare nella selva.

Gli altri lo seguirono meno ottimisti, ma comunque desiderosi di raggiungere quanto prima la prossima tappa.

In effetti, la Foresta delle Voci, possedeva un’aura inquietante: gli alberi protendevano i rami come mani ossute. Non vi era neppure una foglia, né un limpido corso d’acqua. I cespugli erano ridotti a striminziti arbusti di rovi, mentre funghi giallognoli e maleodoranti spuntavano dalle radici scoperte. Il terreno fangoso rallentava l’avanzata degli equini, che poco dopo rifiutarono di muoversi.

«Ecco! Ci mancava solo lo sciopero dei Nobili Destrieri!» sbuffò il principe, smontando di sella. 

Quella zona non era certo la migliore per accamparsi, ma che speranze avevano? In fondo, senza cavalli non potevano andare da nessuna parte; e percepiva già un leggero borbottare dei loro stomaci perennemente affamati. Presto, Heinrich avrebbe comunque protestato per avere la sua terza colazione e Shinji avrebbe minacciato di morte tutti quanti, se non l’avessero ascoltato. Tanto valeva, quindi, anticipare la sosta.

Si guardò attorno, sforzandosi di intravedere oltre il velo della foschia umida che saliva dal terreno. Sembravano essere le uniche forme di vita – intelligente o non – in quel bosco abbandonato. Non si udiva il frinire degli insetti, né il canto degli uccelli. Solo l’ululare selvaggio della brezza e dei tonfi allarmanti, che giungevano da una direzione non ben definita.

Iye gettò la propria bisaccia, sedendosi sul mantello. C’era qualcosa di melmoso e putrido nel suolo. Attese che gli altri facessero lo stesso: Stan posò le chiappe direttamente su una pozzanghera. Etienne e Zero fecero lo stesso, accomodandosi sulle cappe scure. Shinji cavò dallo zaino un doppio telo impermeabile, tre coperte e della calcina da spargere a terra per una migliore disinfezione.

«Bene… e adesso che cosa facciamo?» domandò il sovrano, mentre Heinrich cavava una barretta energetica dalla borsa.

«Mangiamo!» risposero gli altri in coro. Non fecero nemmeno in tempo a recuperare le bisacce, che una voce rimbombò nell’aria:

«Iyyeeeeee.»

«Ohibò, chi mi chiama?» scattò il principe, guardandosi nervosamente attorno.

«Siamo noiiii….»

«Noi chi?»

«Noiiii…»

Batté le palpebre incerto. Chi lo cercava? Alla prima voce se n’era unita una seconda ed una terza… era diventate, infine, un coro.

«Chi siete?» Stan scattò in piedi, sguainando la spada «Vili felloni, fatevi vedere se ne avete il coraggio!»

«Non possiamo.» Voce Uno riprese a parlare «Non siamo altro che spiriti, ormai. Siamo i fantasmi degli esuli e dei banditi dal regno. La voce dei pg bannati.»

Cinque paia di occhi si puntarono immediatamente sul principe:
«Quanti ne avete bannati, Iye?» 

«Mh… un po’.»

«Non potrete lasciare questa foresta. Ora che siete qui, pagherete per tutti gli esili che ci avete fatto subire. Voi ed i vostri amici!»

«Amici?» Stan sollevò le mani, in un cenno arrendevole «Oh, vacci piano con le parole! Non siamo amici. Neanche un po’. Lavoriamo soltanto insieme e…»

«Va beh, allora: “Voi ed i vostri dipendenti”. Così va meglio?» gracchiò Voce Uno.

«Non siamo nemmeno dipendenti…»

«”Voi ed i vostri liberi professionisti”. Che ne dite, ora?»

«Perfetto!» confermò Murdock con un cenno del capo «Prego, vocina inquietante. Prosegui pure.»

«Ebbene… ora cadrete anche voi in errore, nelle stesse tentazioni che ci hanno portati alla perdizione!»

Iye balzò in avanti, menando un fendente con il lungo stocco: 
«Mostrati a me!» gridò «Combatti da uomo!»

«Non posso…» Voce Uno tuonò nuovamente, facendo vibrare i rami spogli «Non possiedo un corpo. Non sono nemmeno riuscito a completare la scheda, quel giorno! Mi avete bandito prima che potessi scegliere un prestavolto! Prima che potessi compilare il background o chiedere informazioni alle guide!» un alone biancastro si palesò al centro dello spiazzo in cui si erano accampato «Io sono… Nome Non Consono!»

«Nome Non Consono?»

«Sì! Ed ora, grazie alla mia aura potentissima, indurrò anche voi a voler cambiare nome!» una risata malefica fece eco a quelle parole «Mi avete cacciato, principe! Non mi avete nemmeno lasciato una possibilità per redimermi… ed ora, la vendetta sarà crudele!» 

«Come vi chiamavate, prima d’essere esiliato?» domandò Iye, cercando di colpire il fantasma che galleggiava ancora nell’aria. Fu tutto inutile: la punta della spada cadde nel vuoto.

«Ero… Cignostar Sexy.»

«E… fatemi capire. A voi questo sembrava un nome adatto?»

«Certo! Siete soltanto una manica di invidiosi!» lo spettro emise un alto lamento, richiamando a sé altre anime senza volto. Un coro di voci che si accavallavano, fastidiose come il gracchiare di un corvo. Eppure, quell’inquietante cantilena conteneva dei messaggi subliminali, che gli avventurieri non tardarono a percepire:

«Cambia nome anche tu.» dicevano.

«Diventa un powerplayer come me…»

«Sono Tentativo Di Raggiro Di Un Precedente Ban.»

«Doppio Pg!»

«Sono miss Viola Zione del Regolamento! Sarei stata una nobildonna gentile e garbata, se voi non mi aveste scacciato tanto prontamente!»

Iye si tappò le orecchie. Era impossibile resistere a quella avances. La cantilena penetrava sin nella sua mente, spingendolo a cadere in errore. Forse avrebbe potuto modificare la propria storia e renderla più accattivante: generare omicidi inutili, scegliere parole inconcludenti, molestare piante di lampone per il solo gusto di farlo. Oppure, poteva cambiare nome! E chiamarsi Legolassino92.

No! Doveva resistere a quelle tentazioni, doveva allontanare la perdizione e ripristinare l’ordine. Occorreva combattere contro quel maleficio che le anime avevano sollevato. Guardò gli altri:

«Tappatevi le orecchie!» ordinò, cercando di superare le urla disperate dei bannati.

«Voglio farmi un doppio non autorizzato!» esclamò Stan, mentre una sfumatura rossastra andava impossessandosi delle sue iridi. Oh, no! Se la trasformazione si fosse compiuta, sarebbe stato troppo tardi.

Il principe si lanciò in avanti, premendogli le mani sulle orecchie:
«Fai come me!» urlò verso il capitano «Non devi ascoltare!» ripeté.

Stan se le turò immediatamente, spezzando così l’incantesimo. La tinta scarlatta defluì dal suo sguardo, via via che il mezzo serpente recuperava lucidità.

«Devi dirlo agli altri! Dobbiamo salvarli prima che sia troppo tardi.» comandò Iye, scattando in direzione di Etienne. Il bardo aveva iniziato ad ululare ad una invisibile luna piena. 

«Auuuuuuu» stava dicendo, cercando di grattarsi la testa con un piede.

«Dannazione! Sta mutando in una razza non consona!» esclamò Iye, spingendo Etienne con una spallata. Lo fece ruzzolare a terra e quel gesto secco bastò per riportarlo alla realtà. Il cantore premette i palmi contro i padiglioni auricolari, salvandosi da esilio certo. 

Frattanto, Stan era riuscito a far ragionare Zero ed a convincerlo che “Stella del Firmamento” non fosse un nome adatto, oltre che poco virile. Heinrich, infine, aveva già provveduto a se stesso: essendo infinitamente più intelligente degli altri membri della compagnia, aveva immediatamente intuito il pericolo e si era costruito dei graziosi paraorecchie con dei rami ed i gambi delle Amanita phalloides che crescevano nei dintorni.

«Tappatevi le orecchie! Non ascoltate le voci!» ordinò nuovamente il principe, accorgendosi tardi di un dettaglio: Shinji si era rannicchiato sul suo telo impermeabile e stava premendo la mancina contro il rispettivo padiglione, ma… essendo sprovvisto del braccio destro, non poteva chiudersi anche l’altro orecchio «Aiutatelo!» sentenziò velocemente «Turategli le orecchie.»

«E con cosa?» domandò Zero.

«Con i piedi!» esclamò Stan, consapevole d’aver avuto un colpo di genio.

«Giusto!» fece eco Etienne. 

Era, però, troppo tardi: l’unico occhio dello storpio era ormai completamente rosso. SHinji tese le labbra in uno stretto sorriso:
«Mi dispiace.» disse in un ultimo sussurro «Io ho un braccio solo…».

La sconcertante rivelazione spiazzò gli altri membri. Come potevano essere stati così egoisti? Non si erano preoccupati di salvare un compagno di viaggio che… per quanto fosse affabile come un velociraptor a digiuno da tre giorni… era comunque un amico fidato. Beh, quasi amico e poco fidato, ma questo non riduceva il peso della loro colpa.

«Oh, no!» ruggì il principe, mentre le anime dei pg bannati si accalcavano attorno alla loro vittima «è troppo tardi! L’abbiamo perso per sempre.»

«No, non ancora!» Etienne scattò verso il suo nobile destriero, cavando dalla bisaccia il mandolino tascabile. Pizzicò le corde, lasciandole vibrare di una dolce melodia «Con il potere della musica, io vi sconfiggerò, malefiche voci!» si schiarì la voce, prima di attaccare:

«Questa di Ether è la storia vera
Che morì in un vicolo a primavera
Ma il vento che la vide così bella
Dal marciapiede la portò su di una stella
Sola e senza il ricordo di un dolore
Vivevi senza il sogno d’un amore
Ma…
»

«Ma qualcosa di più allegro, cazzo?» ringhiò Stan, pentendosi immediatamente di quelle parole. La canzone strappalacrime stava funzionando! Le anime tormentate si erano riunite attorno ad Etienne e lo stavano ascoltando. Le loro voci ingannevoli si erano spente del tutto, lasciando il posto ad un silenzio rotto solo dai sospiri e dai singhiozzi.

«Continua Etienne! Li stai soggiogando.» Iye frugò immediatamente nella bisaccia, alla ricerca di… qualcosa. Non sapeva nemmeno lui cosa, ma era certo che avrebbe trovato qualcosa di utile. Insomma, nessuno parte per una pericolosa spedizione senza un talismano, una bacchetta magica… qualcosa per sigillare i morti nel loro reame oscuro! D’altronde, è la prassi: in qualunque avventura che si rispetti c’è un capitolo dedicato alle defunte anime tormentate che tornano in vita, no? Era da sconsiderati viaggiare senza nemmeno un amuleto scaccia-fantasmi. Alla fine, le sue dita raccolsero un corto scettro rosa; sul manico vi erano incastonate delle pietre preziose, mentre sulla punta – simile al becco di un pappagallo – splendeva un rubino grosso come un uovo. Iye strinse con forza l’impugnatura, sollevandosi davanti agli spiriti:

«Sparite, mostri!» esclamò, mentre un turbine di scintille dorate sgorgava dallo scettro «Tornate prigionieri nella dimensione dei bannati!» 

Lasciò calare il bastone sulle teste invisibili dei fantasmi. Li sentì gemere di disperazione e cercare di sfuggire alla magia, ma ormai era impossibile per loro districarsi dalle catene argentate che li avviluppavano, riportandoli nell’aldilà. 

Iye si accasciò al suolo, osservando lo scettro:
«Chissà questo da dove spunta…» si disse, mentre l’oggetto svaniva con incredibile rapidità, perdendosi in una miriade di piccoli spruzzi rosati. «Addio, bastone magico! Grazie per averci salvato…»

«Veramente, vi ho salvati io.» intervenne Etienne, ma nessuno gli badò.

«Grazie bastone magico! Addio, addio…» salutarono gli altri in coro, prima di tornare a concentrarsi sull’ultimo problema da risolvere: Shinji non era ancora rinsavito, anzi. Si era disteso sulla cerata e stava fissando il cielo grigio con l’unico occhio ormai interamente rosso.

«Nome Non Consono.» ripeteva, come in una strana litania «Voglio essere un powerplayer di professione. E creare disturbo, sì…. E chiamarmi Limoncello Conturbante.»

«Non temete!» Etienne si fece avanti con il mandolino «Lo guarirò io:

«All’ombra di un alto fagiolo,
stava fumando il mio figliuolo
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso
Venne alla spiaggia un mariuolo
Con lo sguardo da cannaiolo
E chiese a Demian da fumare
Perché voleva un po’ sballare
»

«Voglio crearmi un doppio non autorizzato. È così… trasgressivo infrangere il regolamento!»

«Non sta funzionando!» squittì Zero, strappandosi i capelli per la disperazione «Prova ancora, Etienne!»

«Reame mio che stai sulla collina,
disteso come un vecchio addormentato
…»

«Oh, potrei spargere in giro voci off sul conto del principe. Potrei diventare un metagamer rinomato. Magari, potrei usare Johnny Depp come prestavolto.»

«So io quello che ci vuole!» intervenne Stan, spingendo Heinrich e indicando Shinji «Bacialo!»

«Che cosa?!» il medico scosse piano il capo «Non mi sembra il caso. Prima di tutto, non è un metodo scientificamente provato di rottura della ipnosi. Inoltre…»

«Scientificamente provato? Mi pigli per il culo?» ringhiò il pitone, trascinandolo avanti fino a farlo inginocchiare «Come la mettiamo con Biancaneve? E la Bella Addormentata nel Bosco? D’accordo… lui non è tanto bello, ma… siamo in un bosco. Potrebbe funzionare.»

«In verità, Aurora non dormiva in un bosco e…»

A nulla valsero le proteste del biondo. Iye, stanco di sentirli battibeccare, si fece avanti:
«Bacialo subito! È il tuo principe che te lo comanda.» ordinò.

Il medico scosse mestamente le spalle:
«D’accordo, altezza; ma non sono sicuro che funzionerà.»

Heinrich si chinò, posando le labbra su quelle dello storpio. Attese qualche attimo, prima di ritrarsi e dondolare mestamente il capo:
«Visto?» disse «Non succede niente!»

«è perché devi metterci più trasporto, cazzo! Non si è mai visto un “bacio del vero amore” tanto insipido.»

«Beh, nelle fiabe che hai citato, il bacio è esattamente così.» rimbeccò Heinrich, mentre Stan si faceva avanti, accucciandosi accanto a lui:

«è perché sono delle storielle per bambini, opportunamente censurate. Che razza di bacio è, se non ci metti un po’ di trasporto? Spostati, ti faccio vedere!» sbottò, agguantando le spalle del moretto e sollevandolo piano «Prima di tutto, lo devi guardare negli occhi. Così, vedi? Sguardo lungo e penetrante, anche se lui di occhio ce n’ha uno solo. Lo baci… un bel bacio profondo.» Stan appoggiò con forza le labbra su quelle di Shinji, prima di risollevare il capo «E poi ci ficchi anche la lingua…»

Un ceffone raggiunse la guancia barbuta del pitone. La sberla fu tanto potente da fargli ruotare la faccia, saltare via dei tappi di cerume e gocciolare sangue dal naso. Il mezzo pitone abbassò rapidamente lo sguardo. 

Shinji lo stava fissando con l’aria di chi vuole strappare una gola a morsi:
«Non ti azzardare mai più.» ringhiò, rialzandosi in fretta. Si spazzolò i vestiti, recuperando il suo adorato telo impermeabile e prendendo a piegarlo con meticolosa attenzione. 

«Stan stava solo cercando di salvarti.» intervenne Iye, cercando di placare gli animi. «Sei stato ipnotizzato dai fantasmi e… volevi farti bannare.»

«Meglio bannato che baciato da quella sottospecie di rettile con l’alito puzzolente.» sbottò Shinji di rimando «Datemi spazzolino, dentifricio e un collutorio, cazzo. E dateli anche a lui» ordinò, indicando Stan «Credetemi, ne ha bisogno più di chiunque altro.»

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Capitolo 10
*** I Campi Elisi ***


X. I Campi Elisi



• La storia partecipa al "COWT: Lande di fandom"
• Settimana: Quarta
• Prompt: Morte - Team Langley
• Numero Parole: 1383




Il cammino era ripreso rapidamente, dopo l’ennesimo ritardo. Iye iniziava a credere che non sarebbero mai arrivati dalla bella Kacey. O, qualora vi fossero giunti, lei sarebbe stata vecchia ed attraente quanto un frigorifero.

«Che palle!» sbottò, spronando il destriero  a proseguire lungo il cammino. Dopo la Foresta delle Voci, si erano indirizzati attraverso una vasta prateria. L’erba fresca dondolava cullata dal vento, occultando piccoli stagni dove le rane gracidavano impazienti. Papaveri e margherite costellavano il campo di tenui colori, donando al paesaggio una sfumatura frizzante e rassicurante. «Quanto manca?!»

«Se non lo sapete voi, principe…» replicò Stan, affiancandolo. Il mezzo rettile si sollevò sulle staffe, scrutando l’orizzonte. Non si intravedeva nulla, se non il prato verdeggiante che si estendeva fino all’orizzonte. Dove erano finiti? «Siamo sicuri d’essere ancora vivi?» domandò, infine.

In effetti, in quel posto non vi era nessun altro. C’erano soltanto loro e le rane e quella distesa infinita di arbusti. Non si vedevano né boschi, né montagne in lontananza.

«No, non siete vivi.» una voce profonda li raggiunse, mentre una figura di nero vestita si palesava giusto davanti ai loro cavalli. Possedeva le fattezze di uno scheletro: le dita ossute stringevano una falce ricurva, la cui lama era coperta di sangue. Un mantello color pece copriva il resto del corpo, di cui era visibile soltanto il cranio con le orbite oculari vuote.

«Tu! Chi sei? Come osi intralciare il nostro cammino?!­» Iye sfoderò prontamente la spada, mentre l’estraneo indietreggiava di un passo.

«Non sto intralciando niente… e mettete via quella spada. Cosa pensate possa farmi? Sono la Morte! Non posso mica automorire…»

La sconcertante verità di quell’unica frase spinse Iye a riporre l’arma ed a farsi più attento:
«La Morte?» chiese piano «Che ci fate qui? Volete unirvi anche voi alla spedizione per salvare la principessa Kacey?»

In fondo, un buffone in più o in meno non avrebbe fatto la differenza. Anche se… che compenso si poteva offrire alla Morte? Magari un tributo di anime. Avrebbe ceduto volentieri quella dello storpio che, da due ore a questa parte, non aveva fatto altro che lamentarsi del terreno fangoso, degli zoccoli sporchi, della scomodità della sella… Oppure quella del bardo Etienne: in fondo, era intonato, ma… le sue canzoni ruotavano ormai tutte attorno all’argomento “Moglie morta”; dopo un po’, risultavano noiose.

«No.» replicò la Morte «Sono qui per farvi da guida nei Campi Elisi. Vi piacciono?»

«Emh… cosa sarebbero questi Campi Elisi?»

«In fede, non lo so nemmeno io. Sono dei prati dove si raccolgono le anime dei defunti. E… basta. Passano lì l’eternità, spiaggiati al sole.»

«E perché siamo qui?»

«Perché siete morti»

«Ma ne siete sicura, signora Morte? A me sembrava fossimo vivi fino al capitolo scorso.»

«Ah, davvero?»  la Morte cavò una pergamena da sotto il lungo mantello, scorrendo velocemente un elenco. Si batté, poco dopo, una mano sulla fronte «Per tutte le lapidi! Avete ragione… stavo cercando un gruppo di cavalieri diretti al mare, ma… li avete mica visti?»

«Mah… se sono quegli sfigati che abbiamo incontrato al capitolo quattro… stavano marciando verso est.
»
«Capisco. Beh, mi dispiace per l’increscioso errore…» la Morte si grattò il capo, perplessa «Desiderate essere risarciti? Penso di potervi regalare un paio d’anni in più, purché mi perdoniate.»

«Un paio d’anni?» Stan si fece subito attento «Un paio d’anni a testa?»

«No, in totale.»

«A testa o non se ne fa niente!» gracchiò il capo spedizione, sputandosi poi su una mano «Affare fatto, allora?»

«Veramente, non credo di…»

Non le diede il tempo di finire. Stan balzò di sella, avvicinandosi alla Morte e tirandole una pacca tanto violenta da far tintinnare tutte le duecentosei ossa:
«Mi piaci! Mi ricordi una delle mie ex… magra come un chiodo anche lei. Sembrava uno scheletro…» aggiunse, rivolgendo un sorriso soddisfatto alla Morte «Senza offesa, eh…»

«Figuratevi…» la Morte squadrò ancora il gruppetto. Doveva rispedire indietro quei sei prodi… anzi, no! Quei cinque prodi e quei sei cavalli. Perché c’era un cavallo in più? Sellato, per giunta… ma sprovvisto di cavaliere. «Mh… sbaglio o manca qualcuno lì?» chiese, puntando la sella con l’indice affilato.

«Oh, cavolo!» Iye scosse il capo. Possibile che capitassero tutte a lui? Di quel passo, non sarebbero mai giunti dalla bella Kacey!

Heinrich si sporse lungo il collo del destriero, sorridendo con la sua solita flemma aristocratica e tedesca:
«Che succede, principe?»

 «Abbiamo perso il bardo.»
 

***
 

Etienne corse a perdifiato attraverso l’immensa prateria. Se quelli erano i Campi Elisi, allora forse c’era una speranza. Doveva assolutamente ritrovarla, per dedicarle una canzone e ricordarle, per l’ennesima volta, quanto l’amava.
Agguantò la cetra, sfilandola dalla custodia e pizzicando velocemente le corde:

«Ether…è morta! È morta!
E non sa tornare…
Ether è morta! È morta…
Ma la vado a trovare.
Ether è morta… mi saprà aspettare!»

Non accadde nulla. Forse aveva sbagliato canzone:

«Dammi tre parole, sole, cuore, Ether…»

Niente, neppure con quella. Accidenti, erano davvero difficili gli spiriti da quelle parti!

«Le bionde trecce e gli occhi azzurri e poi
Le tue calzette rosse… e l’innocenza sulle gote tue
Due arance ancor più rosse.»

Ancora silenzio. Ether non gli rispondeva! Possibile che si fosse dimenticata di lui? Che non volesse più vederlo? Che nemmeno uno scherzo del destino poteva farli riabbracciare? Abbandonò la piccola arpa al suolo, accasciandosi sul bordo di uno stagno. Osservò la propria immagine riflessa: il volto distrutto dal dolore e dalla preoccupazione, le speranze infrante sul fondo dello sguardo ormai arreso. Non avrebbe mai più rivisto l’amata moglie e…

«Oh, cielo! Mio marito! Nasconditi nell’armadio, presto!»

Rialzò immediatamente il capo al cogliere quella voce. Ether era lì accanto, immersa sino alle spalle nell’acqua fresca della pozza. Accanto a lei, un giovane virgulto con dei pettorali simili a delle colline ed una ispida barba da latin lover.

Etienne li squadrò attentamente: a giudicare dalla luce azzurrina che emanavano, erano indubbiamente due fantasmi. Due fantasmi nudi che si trastullavano in uno stagno.

«Ether…» sussurrò, la voce spezzata dal pianto. «Mi hai tradito con questo bamboccione… morto! Io mi struggo per la tua fine, e tu mi cornifichi nell’aldilà?»

«Posso spiegare!» pigolò Ether, nuotando verso di lui «Non è come sembra!  Ebbene sì, io amo Sir Giangiacomo Romualdo, Conte degli Impuri Pensieri, ma… devi sapere che è una relazione nata soltanto di recente e ultraterrena! Non ti ho mai tradito, mentre ero in vita… se non col pensiero, ovviamente.» Ether mimò un leggero sorriso «Perché, si… insomma, Rin Walker è proprio un bel figliolo e un giretto con lui me lo farei volentieri.»

«Ma… ma… come puoi dire una cosa del genere?! Sono un uomo finito. Mia moglie morta mi ha tradito! Come farò a dirlo a Demian?»

«Eti, tesoro… non è il caso di farne un dramma. Non vorresti rifarti una vita, dopo la mia morte? Insomma, se trovassi una bella signorina da corteggiare… ti tratterresti soltanto per amore del mio ricordo?»

«Naturalmente!»

Ether scosse il capo. Quello era pazzo:
«Ma per favore! Senti… tra noi non potrebbe comunque funzionare. Io sono morta e tu sei vivo. È giusto che ci rifacciamo entrambi una vita, d’accordo?»

«Ma … come farò ad andare avanti? A dimenticarti?»

«Non lo so. Non è un problema mio. Piuttosto…» Ether si tolse un anello dall’indice, poggiandolo nelle mani di Etienne «Questo è il rubino della mia famiglia. Me lo ha dato mio padre, poco prima che ci sposassimo…»

Etienne fissò sbalordito la grossa pietra, incastonata su una base d’oro massiccio:
«E voleva che lo avessi io?» domandò, infine, mentre la moglie morta scuoteva velocemente il capo.

«Niente affatto! Figuriamoci… mio padre ti odia. Per cui, desidero che glielo riporti, così almeno avrà un ricordo della figlia defunta.»

«Ah…» Etienne ripose l’anello nella tasca dei pantaloni «Per me, invece? Niente ricordo?»

Ether sorrise:
«Ti ho già lasciato Demian. Non ti basta?»

«Io…»

«Bel ricordo di merda, il figlio cannaiolo.» Stan irruppe nella scena, agguantando il bardo per un braccio e caricandolo in spalla «Vogliate scusarci, madama! Noi abbiamo un viaggio da riprendere, voi il vostro fantasmagorico amante da sbaciucchiarvi e… diamine, siamo in ritardo!» esclamò il mezzo pitone, osservando i compagni già in sella ai loro destrieri. «Andiamo, uomini! Un periglioso cammino ci attende… Che ora è?­»

«L’ora dell’avventura!» esclamarono gli altri in coro, mentre Heinrich puntualizzava prontamente:

«L’ora dell’avventura in ritardo! Già che è tardi… facciamo colazione?»
 

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