Kidnapped

di _Darkqueen_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Così fu quell'amore dal mancato finale, così splendido e vero da potervi ingannare"

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Un vestito bianco, delle ballerine, una collana e qualche goccia del mio profumo preferito. È tutto ciò che ho deciso di indossare per questa sera. Mio padre, poliziotto di secondo grado, è stato invitato alla festa di anniversario dei trent’anni in carica del suo comandante. Oggi è uno di quei giorni nei quali la nostra famiglia deve sembrare perfetta agli occhi di tutti e si sa, nessuna lo è, tantomeno la mia. I miei genitori si sono conosciuti quando erano adolescenti, al tempo dei capelli cotonati e dei vestiti fluorescenti, ad una festa scolastica dove il primo sguardo ha acceso la scintilla. Amore a prima vista. Col tempo sono cresciuti e hanno intrapreso strade diverse, ma nonostante gli alti e i bassi non hanno mai smesso di amarsi, come ogni film romantico si rispetti. Mio padre ha percorso la strada del poliziotto, mentre mia madre quella del medico; entrambi lavori che richiedono una parte fondamentale del proprio tempo, per questo si stupirono quando un giorno di metà aprile scoprirono di aspettare un bambino. Mi amarono dal primo istante e subito iniziò la ricerca del nome; fra tutti quelli che avrebbero potuto scegliere, scelsero quello più strano e particolare: Nausicaa. Nacqui cosi io, una bambina dai riccioli castani e paffutella.
Gli applausi sono la parte dominante dell’intero locale extra lussuoso, a quanto pare hanno parecchi soldi da vendere. Tavoli a cerchio, disposti per tutta la sala, decorati da una tovaglia di seta bianca e onorati da centrotavola a candela, i lampadari formati in una struttura pendente composta di cristalli e le mattonelle talmente lucide da poterci specchiare. Per non parlare del piccolo palco dal quale è appena sceso il comandante dopo il suo discorso di ringraziamento.
“Tutto qui, davvero?! Nessuna parte nel quale racconta la storia della sua vita e di quanti sacrifici abbia fatto per arrivare fino a qui?”. Mi volto alla mia destra, seduto accanto a me, il mio ragazzo che continua ad avere un’espressione stupita.
“Cosa ti aspettavi? La maggior parte delle persone qui presenti è venuta solo per cercare di avere un aumento nello stipendio e per questo” indico il calice di vino nelle mie mani “non certo per fingersi interessati alla sua vita”
Mi da ragione con un accenno di testa ed inizia ad avvicinarsi al mio viso. So già quello che vuole e lui sa già la risposta, per questo quando mi sposto facendo finire le sue labbra sulla mia guancia, sbuffa e mi guarda arrabbiato.
“Perché fai così? Davvero, non lo capisco proprio questo tuo atteggiamento!” mi dice per la milionesima volta
“Bryan lo sai, odio farlo in pubblico, ne abbiamo già parlato in innumerevoli occasioni, ma tu sei di coccio e contini a provarci. E poi a pochi tavoli da noi ci sono i miei genitori”. Uso tutta la calma possibile, ormai è sempre la stessa storia: si lamenta di questo mio difetto, mi dice che forse secondo lui è meglio chiuderla qua, se ne va lasciandomi sola e ritorna a chiedermi scusa dopo qualche oretta, il tempo di tradirmi, di sfogarsi e riprendere la sua facciata del perfetto ragazzo. Ormai è tutto un meccanismo, sia per me, sia per lui.
Ci siamo conosciuti all’ospedale, quando una bici mi ha investito e mi sono fratturata un dito. Brandon è il figlio del capo di mia madre che, guarda caso è mio coetaneo e mia madre non ha potuto non sfruttare l’occasione a suo vantaggio. Così quando ci vede chiacchierare insieme di fronte alle macchinette, a causa della mia incapacità di comprarmi delle patatine per colpa della mano fasciata, subito organizza una cena con entrambe le famiglie. Dopo quella sera ci furono altre uscite solo noi due: passeggiate nel parco, serate al cinema o al bowling, pizza e patatine, fin quando non ci baciammo per la prima volta nella sua macchina di fronte casa mia. Quello che provavo per lui non era neanche minimamente paragonabile all’amore, tuttavia mi ci fidanzai ugualmente per non complicare i rapporti fra mia madre e il suo capo. Col tempo capì anche lui che non eravamo compatibili, così di tacito accordo smettemmo mano mano di vederci, apparendo innamorati agli occhi dei nostri genitori.
Come prevedevo si alza dalla sedia e per poco non la fa cadere, evitando di creare un frastuono che avrebbe portato l’attenzione su di noi. Una serie di camerieri esce improvvisamente dalla cucina, portando con sé la prima portata della serata: una mini porzione di quella che sarà probabilmente il primo più buono che io abbia mai mangiato. I camerieri al contrario di quello che mi aspettavo, sono vestiti in un modo molto casual, quasi inadatti al lusso della sala, l’unica cosa che li identifica sono le targhette con scritto i propri nomi. Penserei quasi che siano dei principianti, se non fosse per i loro movimenti agili e per la loro posizione che essi ricoprono: ognuno infatti è diretto ad un tavolo ben preciso.
“Signorina questo posto è occupato da qualcuno?”. Un cameriere dai capelli neri mi guarda in attesa della mia risposta con il braccio alzato a sorreggere il piatto.
Ci penso per un secondo. Probabilmente Bryan è già in buona compagnia “No è libero”. Il cameriere, poco più grande di me, si allontana e nel mentre non mi sfugge uno strano ghigno che mi rivolge. Confusa, abbasso la testa sul piatto che ho di fronte e, con uno strano presentimento, decido di non mangiarlo.
Intanto mi guardo intorno: al mio tavolo siamo rimasti io e una coppia sulla sessantina intenta a parlarsi, gli altri tavoli sono occupati da famiglie con bambini piccoli o adolescenti e coppie di varie età, tutte intente a mangiare il cibo portato con entusiasmo. Dev’essere veramente buono, ed io veramente paranoica.
Annoiata, decido di andare a prendere una boccata d’aria fresca sul terrazzo. Sono appena le dieci, ma sembra più tardi a causa dell’autunno che accorcia le giornate. Respiro a pieni polmoni e mi godo il panorama costellato di stelle. Ne sono sempre stata affascinata, corpi celesti che splendono di luce propria, capaci di farci sognare e alle quali affidiamo i nostri desideri più nascosti. È raro, dalle mie parti, riuscire a vederle, con tutta la luce e lo smog che riempie la città quasi non esistono, ma stasera, le stelle, non sono mai state più luminose.
Ritorno dentro dopo una decina di minuti e l’atmosfera è decisamente cambiata: il locale è riempito da una musica allegra e alcune persone stanno ballando in un lato non occupato dai tavoli della sala, mentre quelle sedute le incitano applaudendo le mani. Mi unisco a loro, sorridendo di come poi serata non sia stata poi tanto male.
Come si vuol dire: le ultime parole famose.
Un istante dopo le luci si spengono, la musica si ferma ed alcune urla di bambini risuonano per il locale. Cerco di raggiungere i miei genitori per capire cosa succede, ma un braccio mi tiene ferma dal polso. Mi mette una mano sulla bocca per non farmi urlare e successivamente il dolore di un ago sulla gamba. La vista mi si appanna e le orecchie fischiano. Svengo.
 
 
Ciao a tutti!
Probabilmente all'inizio parlerò totalmente da sola, ma chissene!
Questa è una delle mie prime storie, quindi non so che ne uscirà, spero bene!
E niente, spero che la storia vi piaccia e se è così lasciate un commento!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Un dolore lancinante alla testa mi fa risvegliare dal mio stato confusionale. Non mi è ancora ben chiaro quel che è successo. Una rapina? Tutto quel lusso… Un attentato? No, sono ancora viva, il che non so sia un bene. Provo a guardarmi intorno, ma ogni mio tentativo fallisce a causa del buio pesto che riempie la stanza. Né una finestra, né uno spiraglio di luce; a malapena distinguo la sedia a pochi centimetri da me. Inoltre ogni movimento mi causa dolore alla base del collo che deve essere rimasto abbassato per tutta la durata del mio svenimento. Alzo la mano per massaggiarmelo, ma scopro ben presto che è legata al manico della sedia, così come le caviglie. Fantastico, non poteva andarmi meglio!
I vestiti sono ancora al loro posto, almeno hanno avuto la decenza di non approfittarsi di me quando ero inconscia. Non so se esserne sollevata o spaventata di quello che mi potranno fare una volta che si accorgeranno che sono sveglia. Ma per il momento sono sola e non sento rumori provenire dall’esterno, quindi non mi ci preoccupo più di tanto.
Alle elementari facevamo un gioco nel quale ognuno si immaginava da grande. Chi il pilota, chi l’astronauta, chi con i figli, chi sposato. Quando arrivava il mio turno facevo scena muta. Capitava che i miei compagni mi incoraggiassero a parlare, fin quando, scocciati, passavano al prossimo bambino. Semplicemente tutto ciò che vedevo del mio futuro era un enorme vuoto e ne avevo cosi paura che solo parlarne mi metteva i brividi. Ho imparato quindi ad affrontare le situazioni passo passo, senza affrettare niente, lasciandomi semplicemente trasportare dal corso degli eventi.
Il cigolio di una porta mi fa risalire. Alle mie spalle un fascio di luce illumina la stanza, accecandomi gli occhi per un istante. Il rumore dei passi va di pari passo con l’allungamento dell’ombra posta sul muro di fronte a me. Improvvisamente divento immobile e trattengo il respiro, ripetendomi che così non potrà vedermi.  Ovviamente inutilmente.
L’ombra si ferma, i passi cessano ed una presenza si abbassa alle mie spalle per sussurrarmi all’orecchio “Signorina questo posto è occupato da qualcuno?” La mia mente mi riporta a quelle che saranno state poche ore prima e subito l’immagine del cameriere mi si ripresenta nella testa. Apro ancora di più, se mi è possibile, gli occhi ricordandomi la cattiva impressione che mi fece.
Senza darmi il tempo di elaborare una possibile risposta, si siede sulla sedia accanto alla mia e mi osserva. I suoi occhi puntati addosso, non solo sul viso, ma anche sul restante corpo, mi incutono fastidio ma anche terrore. Lui deve essersene accorto poiché ghigna soddisfatto ed alza una mano per accarezzare la parte delle gambe lasciate scoperte dal vestito.
Le sue dita risalgono e riscendono un paio di volte, fino a fermarsi e impiantarmi le sue unghie dentro la pelle. I miei occhi si inumidiscono all’istante e la paura si imprime dentro di me facendomi urlare e invocare aiuto con tutta la voce possibile. Cerco di liberarmi dimenandomi sulla sedia, cosa che non fa che aumentare il rossore sulle braccia e le caviglie.
Improvvisamente un suono sordo riempie la stanza e le mie urla cessano. Ci metto qualche secondo per realizzare che mi ha dato uno schiaffo, ed anche bello forte. “Zitta! È inutile che urli, non c’è anima viva prima dei cinquanta chilometri da qui.” Mi dice con estrema freddezza e leggermente arrabbiato. La sua mano lascia la mia gamba dove sono presenti evidenti segni rossi. Di questo passo diventerò un pelle rossa.
Lo guardo arrabbiata con ancora le lacrime che rigano la mia guancia; le parole sembrano boccate nella parte più bassa della gola, come se ci fosse qualcosa ad ostruirle. Lui mantiene il mio sguardo per qualche secondo, nel quale la freddezza e l’irrilevanza sono dominanti.
Il suono di un telefono lo distrae facendolo uscire cosi come è entrato. Fortunatamente per me si dimentica di chiudere la porta, cosi che il buio non ritorna a farmi visita. Faccio il punto della situazione. Sono rinchiusa in una stanza, probabilmente uno scantinato data la mancanza di finestre, il mio rapinatore è il cameriere che mi ha servito, non so se credere a quello che ha detto, anche se mi sembrava abbastanza tranquillo e non sento macchine all’esterno e per ultimo non per importanza, o forse sì, sono completamente legata ad una sedia. Devo pensare ed in fretta.
Difficilmente riesco a girarmi e dare le spalle al muro: lo scantinato è completamente vuoto fatta eccezione per le due sedie e nessun oggetto appuntito capace di liberarmi rientra nel mio campo visivo. Sono in trappola. Vado nel panico ed inizio a non capirci più niente. Corde. Schiaffi. Graffi. Legata. Spaventata. Sola. Tutto si sovrappone e l’ossigeno inizia a diminuire.
Un milione di anni fa, o forse due, c’era chi guardava il tempo e le stelle… Tutto il caos presente nella mia testa lasciò spazio alla canzoncina della buonanotte di mia madre che mi cantò all’età di otto anni quando il mio pesciolino morì. Ero andata, come ogni mattina, a dargli da mangiare. Me ne prendevo sempre cura, era il mio bambino, ne ero affezionata. Quel giorno il suo cibo non tocco l’acqua, ma bensì il pavimento sul quale l’avevo fatto cadere quando l’avevo visto a galla con gli occhi chiusi. Non una sola lacrima usci dai miei occhi. Il respiro pero iniziava a diventare sempre più affannato. Mi trovò così mia madre, in piedi davanti la boccia quasi senza fiato. Cercò di calmarmi con l’unico modo che conosceva, che risultò essere il più efficace. Quella fu solo la prima di una serie di sofferenze.
La canticchio nella mia testa prendendo grosse boccate d’aria fino a che, mano a mano, non mi calmo definitivamente. Devo riuscirmi a liberarmi, in un modo o nell’altro. Un’idea mi balena nella testa e non so se prenderla in considerazione viste già le mie condizioni fisiche. Al diavolo!
Mi alzo portando la sedia con me. Prendo la rincorsa. Uno. Due. Tre. Sbatto violentemente contro il muro. Niente. La sedia è ancora intatta. Ci riprovo. Uno. Due. Tre. “Aaah!” Si spezza una parte della gamba della sedia. Un’ultima volta. Uno. Due. Tre. Con forza. Crash!
La sedia si rompe e le corde scivolano slegandomi gli arti. Un dolore alla schiena accompagna tutta la mia camminata verso la porta. Non c’è traccia del rapinatore. Nessun rumore. Percorro il piccolo corridoio che porta alle scale. Avevo ragione, è un seminterrato. Le salgo, una ad una, fino ad arrivare in cima dove una porta mi blocca. È chiusa. “Merda!” Ci deve essere un modo per uscire da qui.
Le voci mi arrivano ovattate, ma mano mano prendono sempre più forma. Pensa in fretta! Pensa in fretta! Scendo dalle scale e prendo il corridoio opposto alla stanza dov’ero rinchiusa, appiattendomi al muro. La porta si apre con uno stridulo. Piccole parole indicano che sta per terminare la sua chiamata. Scende le scale. Mi passa affianco. Trattengo il respiro. Va dal lato opposto al mio.
Tutto succede velocemente poi. Faccio le scale di corsa e attraverso la porta nel momento in cui lo sento imprecare per la mia scomparsa. Corro per tutto il salone che separa la porta di casa e la apro. Sento altri passi oltre al mio e corro, corro, corro, ancora più veloce. Mi fermo solo quando non mi ritrovo nel bosco inoltrato che circonda circolarmente l’abitazione. Sono libera.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


“Tesoro sveglia, è pronta la colazione” dice mia madre mentre apre le persiane. Ancora con gli occhi chiusi mugugno qualcosa e mi rimetto a dormire. “Devi alzarti, su, le ferite fanno male” mi scuote leggermente e la guardo “Le… ferite?” Il suo volto assume un’espressione malvagia “Ma come, te ne sei già dimenticata? Se vuoi te lo faccio ricordare” Ed improvvisamente degli occhi neri prendono il sopravvento su quelli verdi di mia madre.
Apro gli occhi e scatto in avanti. Uno scoiattolo a pochi metri da me corre nascondendosi dietro un albero lasciando incustodita la sua ghianda. Caccio un lungo sospiro. Era un sogno. Un fottuto sogno. Mi alzo e pulisco quel che ne rimane del vestito, ormai non più bianco. I polsi e le caviglie mi duolono ancora, mentre i tagli alla gamba sembrano essere già guariti, o almeno smettono di sanguinare. Alcuni raggi di sole filtrano fra i rami degli alberi, segno che è mattina.
Inizio a camminare con una meta non precisa, ma in direzione opposta alla casetta di legno. Tanti crac crac risuonano ad ogni mio passo ogni qual volta calpesto una foglia. Dopo la mia pseudo fuga di ieri, tutta l’adrenalina presente nel mio corpo mi ha abbandonato lasciandomi esausta e con le gambe tremanti. Il tempo di trovare un posto comodo accanto ad un albero e mi sono addormentata profondamente nel tardo pomeriggio. Posso dire di non aver mai dormito così tanto, ma soprattutto cosi scomodamente. Eppure Katniss faceva sembrare così facile dormire su un albero. Improvvisamente mi ritrovo a faccia a terra e il ginocchio scorticato. Se ci si mettono anche i sassi contro la mia libertà, davvero non so cosa ne sarà di me.
E chi l’avrebbe mai detto che da un giorno all’altro la mia vita cambiasse così radicalmente. A quest’ora ieri ero a fare colazione con una delle mie amiche prima di entrare all’università. Come mi mancano i cornetti al cioccolato! L’università un po’ meno invece, come darmi torto. Diciamo che la scelta non è stata propriamente frutto del mio sacco. Mi affascinava molto l’indirizzo biologie marine; i miei genitori non la pensavano allo stesso modo. Ovviamente venendo entrambi da professioni abbastanza importanti nella società volvano per me un futuro degno di loro figlia. La scelta è ricaduta su giurisprudenza. Bella tosta. Nonostante ciò me la cavicchio, se la vogliamo mettere così.
Una luce più forte attira la mia attenzione, ridestandomi dai miei pensieri. Proviene da poco più avanti da dove mi trovo io. La raggiungo con una piccola corsetta ed il sole mi acceca gli occhi. Non ci sono né alberi né foglie in questa parte di bosco, sembra quasi di trovarmi in un luogo diverso dal quale fino a poco fa mi trovavo. Un risolino improvviso esce dalle mie labbra, senza prima avvisare il mio cervello. Un altro risolino, ancora e ancora, fino a trasformarsi in una vera e propria risata. Il sole mi ha sempre messo di buon umore e vederlo ora, dopo svariate ore passate in oscurità, mi ha fatto liberare di tutta la tensione che avevo accumulato. Con ancora il sorriso sulle labbra, mi stendo, chiudo gli occhi e mi beo della sensazione di calore che trasmette.
Un lampo di coscienza fa scoppiare, però, la bolla di illusione nella quale accidentalmente mi ero rinchiusa. Non sono libera, non completamente. Una paura improvvisa che il mio rapinatore possa trovarmi da un momento all’altro mi mette in agitazione. Scatto in piedi e con tutti i sensi in allerta. Devo andarmene da qui. Riprendo il cammino seguendo la direzione di prima.
Dopo vari minuti passati sotto il sole, la mancanza d’acqua inizia a farsi sentire. In questo momento mi sembra qualcosa di così irraggiungibile, un miraggio. Un luccichio poco distante da me mi distrae da i miei bisogni primari. Corro subito verso di esso, attirata da una possibile uscita. Quando capisco da cosa si tratta tutte le mie possibilità vanno in frantumi come vetro.
Metallo, acciaio e un’altezza di almeno cinque metri mi separa dalla mia agognata libertà. Una spessa recinzione circonda la parte del bosco visibile ai miei occhi. Non ho dubbi che lo circondi interamente. In teoria lo dovrei scavalcare ed il gioco è fatto. In pratica quel pazzo che mi ha rapito, non contento, ha messo vari fili al di sopra di essa. Potrebbero essere elettrificati. Magari sono spenti.
Nel mentre penso sul da farsi, un passerotto, volando da queste parti, va ad appoggiarsi proprio su quei maledetti fili. Inizialmente non succede niente, tanto che mi inizio a preparare mentalmente ad una bella scavalcata. Cinque secondi dopo il passerotto, abbrustolito, giace per terra senza vita. Un urletto esce dalla mia gola e mi allontano continuando ad osservarlo, quasi ipnotizzata. Smetto solo quando sento la bile risalire su per fare la sua uscita. Con l’espressione fra il disgusto e il terrorizzato, mi giro avvicinandomi al bosco, dal quale volevo tanto uscire prima.
Un unico pensiero affolla la mia testa mentre guardo, ai confini del bosco, la casetta di legno dalla quale esce un rivolo di fumo: sono fottuta.

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