Misconception

di Sameko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One: Mess ***
Capitolo 2: *** Chapter Two: Over the Walls ***
Capitolo 3: *** Chapter Three: Step by Step ***



Capitolo 1
*** Chapter One: Mess ***



Chapter One: Mess
 


 

Quando si era reso conto di non contare nulla, era già troppo tardi.
Flug non era mai stata la tipica personalità ricca di autostima, intrepida, con imperfezioni che potevano essere mascherate facilmente, attraverso la pratica o la buona volontà. No, Flug rappresentava l'opposto rispetto ai canoni che in società caratterizzavano una persona realizzata, di successo, generalmente ben voluta da almeno una discreta cerchia di persone. Flug era insicuro, si inceppava a volte penosamente nelle sue stesse parole, la sicurezza di sé a volte non sapeva nemmeno dove stava di casa. Ed aveva difetti ed imperfezioni che non era in grado di mascherare efficacemente.
La sua invidiabile intelligenza era ciò che lo rendeva in qualche modo diverso dalla gente comune, dalla massa di volti anonimi in cui usava mescolarsi quando viveva in città, quando quel sacchetto perennemente sulla sua testa non era ancora divenuto per lui una seconda pelle. Ma ben sapeva Flug che, all'infuori del suo genio, c'era ben poco di lui che lo contraddistingueva da una persona comune.
Nonostante questo autodegradarsi e questa profonda mancanza di autostima, Flug era comunque stato in grado di ritagliarsi un presente nell’Organizzazione Black Hat, la più efficiente organizzazione criminale al mondo. Ed era lì che, fino ad ora, aveva potuto mettere in pratica le sue conoscenze facendo esattamente ciò che aveva sempre sognato di fare: creare, per servire uno scopo, per sentirsi importante.
Ed era così che aveva fatto la conoscenza del leader di quella prestigiosa organizzazione: Black Hat, una creatura demoniaca, un Eldritch per la precisione, la cui potenza e malvagità era eguagliata solo dal suo essere terribilmente lunatico ed incline a perdere la sua già incredibilmente ridotta pazienza.
Flug era convinto di essersi ormai abituato al carattere alcune volte intrattabile del suo principale, soprattutto dopo anni di lavoro sotto la sua leadership. Credeva bene, infatti, di aver imparato a svolgere il suo lavoro con diligenza e adeguarsi a ricevere apprezzamenti fin troppo rari per dare una gradevole spinta al suo ego, ma che aveva reputato sufficienti per un lungo periodo di tempo. Non era stato così, purtroppo.
Dalla parte di Black Hat aveva notato arrivare uno scomodo silenzio da qualche tempo in caso di invenzioni funzionanti e le solite sfuriate in caso di fallimento. Si suol dire che chi tace acconsente e che, dunque, il silenzio è un sinonimo di approvazione... ma vale in qualunque circostanza, in qualunque caso? Flug sarebbe stato più che pronto a mettere in dubbio quella credenza, a dimostrare quanto fosse infondata utilizzando come campione in esame il suo inconsapevole superiore. Tuttavia, aveva spinto da parte quel pensiero, di cui non aveva comunque ignorare la crescente molestia che gli causava. Ma aveva invenzioni e progetti da mandare avanti; perdersi in quei pensieri non gli avrebbe garantito alcun genere di progresso a lungo termine.
 
 
 
Poteva accadere che qualche eroe altamente sconsiderato, credendo di poter conquistare fama facile tra i suoi colleghi, provasse ad irrompere nella magione per sfidare, assicurare alla giustizia, o volentieri uccidere l’essere che aveva soggiogato il mondo più di una volta. Con i miglioramenti che Flug cercava di apportare regolarmente al sistema di sicurezza, quelle visite indesiderate erano divenute sempre meno frequenti, ma gli eroi cambiano continuamente ( pur restando in qualche modo tutti uguali ) e non è semplice come sembra restare al passo coi tempi.
Gli era parso una nuova leva questo tipo tutto sgargiante nella sua tuta in spandex, il cui pessimo gusto in fatto di costumi era disgraziatamente ben compensato dalla sua forza sovraumana. E Flug, grande nel cervello ma non nel corpo, aveva potuto contare solo sulle sue invenzioni nel momento in cui era avvenuta quell’irruzione e Black Hat non era stato presente in casa.
Demencia aveva affrontato la sconfitta solo dopo un’estenuante battaglia, al termine della quale era rimasto solo lui, Dottor Flug Slys, a rappresentare l’ultima linea di difesa del covo.
« E cosa vorresti fare con quella, Dottor Smilzo? Riempirmi di vernice? » Lo aveva beffeggiato l’eroe, riferendosi ovviamente alla pistola che lo scienziato stava impugnando contro di lui. « O è una pistola ad acqua? »
« Vedremo che fine farà la tua spavalderia fra poco… » Aveva mormorato sotto il proprio respiro Flug, il sacchetto sulla tua testa che aveva attutito largamente il suono della sua voce, rendendola quasi inudibile dal suo avversario, in piedi dall’altro lato del salone d’ingresso.
Prevedibilmente, l’eroe si era lasciato prendere in pieno dal colpo laser che gli aveva diretto contro, ricevendo la sorpresa di una cocente ustione che aveva bruciato spandex e pelle, ma non abbastanza in profondità da metterlo fuorigioco. Quel tipo era più resistente di quanto Flug avesse potuto dapprima anticipare.
Da lì in poi, aveva cercato di fronteggiarlo come meglio poteva, non armato sfortunatamente dell’arma più potente del suo arsenale nel laboratorio ( troppo lontano da raggiungere anche tentando una corsa disperata ).
Non era riuscito a neutralizzarlo, ma lo aveva tenuto impegnato per il tempo necessario a Black Hat per fare ritorno alla magione.
Il suo capo era stato livido in volto non appena aveva messo piede nell’atrio e aveva trovato un campo di battaglia assolutamente devastato, la sua assassina inerme e priva di coscienza in un cratere creatosi nel pavimento, la sua cavia da laboratorio pateticamente rannicchiata dietro un vaso troppo piccolo per nascondere un orso della sua stazza, e il suo scienziato che, ormai disarmato, stava per ricevere il colpo decisivo da parte dell’intruso in colori sgargianti e capelli ingellati.
I suoi tentacoli avevano raggiunto l’eroe ad una velocità non percepibile da qualunque occhio umano, si erano stretti attorno al corpo muscoloso dell’intruso e avevano cominciato a strappare molto, molto lentamente. Black Hat se l’era presa comoda quella volta, lasciando a terra un cadavere irriconoscibile una volta che aveva fatto ritirare i tentacoli e riacquistato un atteggiamento quanto più vicino al suo normale e sofisticato sé stesso.
Flug si era alzato faticosamente da terra a quel punto, troppo distratto fino ad allora dall’inumanità che il suo superiore non mancava mai di dimostrare nei confronti di un avversario, soprattutto se non lo riteneva degno del suo tempo.
« S-signore… grazie per e-essere intervenuto… mi avete- »
Un’occhiata di duro snervo da parte di Black Hat aveva fatto arrestare il suo esitante avvicinarsi.
« Ti dispiacerebbe spiegarmi come un simile insulto all’esistenza sia stato capace di superare il sistema di sicurezza da te messo a punto, Flug? »
Flug aveva deglutito silenziosamente, cercando di non rifuggire lo sguardo inflessibile del suo capo, che pretendeva ora delle risposte da chi era di sua competenza fornirle – ovvero, lui.
« Una f-falla, signore… » Aveva mormorato, con voce più flebile di quanto avesse voluto.
« Una falla nel tuo sistema di sicurezza? » Aveva indagato Black Hat, le sopracciglia che stavano disegnando due rigidi archi sopra le fessure che erano i suoi occhi.
« S-sì… » Aveva mormorato lo scienziato. Non aveva seriamente avuto una risposta migliore da fornire al suo superiore e aveva temuto, quindi, che Black Hat si sarebbe infuriato quel tanto che bastava per farlo assomigliare ad una mostruosa pentola a pressione.
L’Eldritch lo aveva studiato dall’alto della sua rispettabile altezza per parecchi secondi di fila e Flug aveva sentito il suo già debole e consumato coraggio spezzettarsi sotto quello sguardo impenetrabile.
« Va a darti una ripulita e torna immediatamente qui a sistemare questo macello, Flug. » Gli era stato comandato al termine di quello scrutare così oppressivo. Flug aveva a malapena assentito con la testa a quell’ordine.
Non aveva indugiato un secondo di più nell’atrio, dimentico in quel momento del povero 5.0.5 e della malamente ferita Demencia.
Aveva voluto dire solo una cosa al suo capo prima di essere interrotto:
Mi avete salvato la vita.
Grazie, Jefecito.
Ma non aveva potuto pronunciare nessuna di quelle parole di riconoscenza, nemmeno durante i giorni seguenti.
 
 
Non accadeva di rado che Black Hat, qualora avesse bisogno dei progetti di passate e recenti invenzioni, lo chiamasse tramite l’interfono per chiedere che gli venissero consegnati suddetti progetti direttamente sulla sua scrivania.
Appena ricevuto l’ordine dal suo capo, Flug si era affrettato a raccogliere le carte richieste e ad imboccare il corridoio che portava all’ufficio del suo superiore.
Giunto davanti alla porta designata, bussò tre volte, prima di ricevere il permesso di entrare.
Black Hat era seduto sulla sua poltrona, con le mani intrecciate davanti al volto e i gomiti appoggiati sulla scrivania, in una posa che riusciva ad essere intimidatoria nonostante la postura almeno apparentemente rilassata del demone. Il suo occhio visibile lo scrutò fermamente sin dal suo ingresso nel locale fino al suo fermarsi al cospetto del suo datore di lavoro. Era un’azione da cui lo scienziato aveva lentamente imparato a non restarne intimorito, visto che era una strategia come un’altra sfruttata dal demone per affermare la sua supremazia su chiunque si trovasse in sua presenza. E Flug sapeva che l’Eldritch era perfettamente capace di non sbattere le palpebre per parecchi minuti di fila – anche per ore molto probabilmente –, il che rendeva qualsiasi gara di sguardi già persa in partenza.
« I rapporti e i progetti che avevate richiesto, signore. » Dichiarò, stendendo sulla scrivania alcune delle carte del mucchio che aveva sottobraccio. Cercò di eliminare le grinze più evidenti prima di farle scivolare in direzione di Black Hat, così che potesse visionare da sé nel caso non fosse convinto della sua spiegazione. « I primi prototipi dei propulsori al plasma saranno pronti tra due settimane per essere testati, collaudati e in seguito mostrati al pubblico, sono fiducioso che una volta verificata la loro efficienza la produzione in massa procederà spedita. »
Si sfilò da sotto il braccio altri due fogli, ripeté gli stessi procedimenti e si accinse di nuovo a spiegare.
« Questi sono i progetti della vostra macchina per la clonazione, una volta ultimati i nuovi propulsori al plasma mi metterò all’opera per iniziare la costruzione del primo prototipo. » E fu il turno del suo ultimo foglio di venir messo ordinatamente in mostra. « E questo è un progetto secondario di cui ho ultimato la costruzione: è una pistola congelante a base di azoto liquido, una volta premuto il grilletto il congelamento di qualsiasi nemico è pressoché istantaneo. »
Terminata la sua spiegazione, Flug attese il responso del suo capo, le mani coperte dagli spessi guantoni in lattice che armeggiavano leggermente con le maniche del suo camice col trascorrere dei secondi. E cominciò a pensare, a temere, che aveva detto qualcosa di sbagliato, forse non si era spiegato bene, aveva fatto del suo meglio per non balbettare questa volta
« Dopo tutto il tempo che ti ho concesso per arrivare a dei risultati, quando chiedo di vedere i cosiddetti ‘risultati’, non è un aggeggio per granite ciò che mi aspetto venga ultimato. » Parlò a denti stretti Black Hat, il labbro superiore che metteva in mostra le zanne verdognole. « Ci sono delle scadenze da rispettare, lo sai? »
Lo scienziato tremò in modo impercettibile davanti al tono pericolosamente intransigente dell’Eldritch, venato da un’irritazione ancora contenuta ( forse, solo in via momentanea ). Quei suoi tremori, per fortuna abbastanza innocui, non gli impedirono di replicare dovutamente all’istigazione del suo capo.
« S-signore, ciascuno di questi progetti per p-poter essere messo sul mercato funzionante deve essere costruito e testato con la massima attenzione. »
Non era un irresponsabile o uno stupido, Flug sapeva che c’erano scadenze da rispettare, ma era anche vero che Black Hat non poteva pretendere che estraesse armi ed invenzioni già ultimate dalla manica – o dal cappello a cilindro del già citato Black Hat, già che c’erano. Ognuna di esse richiedeva progettazione, ricerche e tempo, soprattutto tempo, e già lui sacrificava spesso e volentieri le sue ore di sonno per portare avanti il lavoro. Se lavorava troppo frettolosamente e sotto pressione, la percentuale di incidenti in laboratorio o in sede di dimostrazione sarebbe aumentata in maniera vertiginosa – e Flug sapeva quanto la cattiva gestione fosse per lui dannosa.
« Ne sono consapevole, dottore. Come sono consapevole che questa azienda ha, bensì, bisogno di rinnovare il suo catalogo se si vuole evitare il fallimento. » Lo interruppe Black Hat, stringendo le palpebre scure fino a ridurre gli occhi a due minacciose fessure, come se con tale sguardo l’Eldritch lo stesse sfidando a replicargli di nuovo.
Flug sbatté le palpebre da dietro i suoi occhialoni, ringraziando il cielo che lo spessore di questi ultimi avrebbe in parte occultato il suo lieve nervosismo.
« Ma è anche vero che l’Organizzazione Black Hat è solita promuovere l’efficienza del prodotto. » Asserì, mantenendo un tono quanto più tranquillo e diplomatico possibile nonostante il suo attuale stato d’animo tutt’altro che pacato.
« Oh, prendiamo dunque come esempio l’efficienza del tuo sistema di sicurezza? »
Lo scienziato si sentì preso contropiede dal tono intriso di accusa e di una punta di derisione con cui il suo capo aveva ribattuto. Sul volto di Black Hat, tuttavia, vi era un’espressione freddamente distaccata, le sue labbra formavano una dura linea. Questa volta, sacchetto e occhialoni non avevano potuto nascondere il suo sbigottimento davanti a quel contrasto tanto stonato.
Ma lo sbigottimento lasciò presto spazio allo sdegno sul viso dell’inventore. Questo era stato un colpo basso, meschino, e Flug faticò davvero a sopprimere la risposta scortese che avrebbe altrimenti lasciato la sua bocca.
« Signore, con tutto il rispetto… se siete insoddisfatto delle mie prestazioni, potreste comunicarmelo direttamente, non tramite simili commenti- » Infantili. « -inappropriati. »
« Non ho alcunché da comunicare, Flug. » Dichiarò Black Hat, con quello sguardo di velata sfida. Non aveva battuto minimamente ciglio dopo quell’affermazione, il suo occhio visibile lo stava fissando con un’intensità che nessun mortale avrebbe mai potuto imprimere in un solo e disarmante sguardo.
Lo scienziato strinse vagamente le dita in due pugni, trovandosi incapace di sostenere quell’occhiata per più di pochi, miseri secondi. Ed ecco l’emergere dell’atteggiamento cocciuto ed intrattabile del suo principale, che indicava ( come sempre ) che la conversazione era giunta davanti ad un vicolo cieco. Se stavano così le cose, allora restare lì rappresentava solo una perdita di tempo – evidentemente, un dialogo civile non poteva essere portato avanti quando si trattava con certe personalità.
« Farei ritorno al laboratorio, con il vostro permesso. » Mormorò Flug, sperando che il demone non lo trattenesse oltre.
Black Hat lo occhieggiò ancora per qualche breve secondo, secondi in cui l’inventore non seppe decifrare il fiume di pensieri che avevano tutta l’aria di star invadendo la testa dell’Eldritch.
« Permesso acconsentito. »
Quando la voce piatta del suo capo tornò a farsi udire, fu come se Flug si fosse improvvisamente svegliato da una trance. Era stato così concentrato nel difficile compito di leggere qualcosa in quell’espressione illeggibile che tutto il resto era venuto meno; ma non aveva intenzione di costringere il demone a ripetersi una seconda volta. Raccolse sbrigativamente le carte che aveva posato sulla scrivania, rinunciando in partenza a rendere meno evidente la frettolosità del gesto, o anche solo a sopprimere i tremori delle sue stesse mani. Nel momento in cui lasciò l’ufficio, non dedicò una seconda occhiata al suo capo – non desiderava certo incontrare lo sguardo che era stato fisso sulla sua schiena durante tutto il breve tragitto dalla scrivania alla porta.
Finalmente nel corridoio vuoto, Flug rilasciò un flebile ma irritato gemito. Ci mancavano solo le lamentele, solo le lamentele in aggiunta alla mancanza di supporto, o gratitudine, o almeno apprezzamento. Aveva sempre cercato di metterci l’anima nei marchingegni che creava, in quelli che considerava un po’ inconsciamente come dei figli, gli unici che potrà probabilmente avere nell’arco di tutta la sua vita… ma Black Hat non sembrava vedere tutto ciò e, se lo avesse mai ipoteticamente visto, adesso certamente lo ignorava.
Cosa stava facendo di sbagliato? Dove stava sbagliando…?
Si portò una mano contro il viso, a massaggiarsi la radice del naso attraverso la carta per frenare l’insorgere di quei pensieri. Era troppo nervoso in questo momento per tornare immediatamente al laboratorio ed irritazione e lavoro, solitamente, non costituivano un’accoppiata vincente. Forse, non gli avrebbe fatto male passare per la cucina e prepararsi una tazza di caffè, o una tisana rilassante.
Fu allora che le sue orecchie captarono la voce del demone pronunciare il suo nome con quel caratteristico gorgogliare di vocali e consonanti che gli era ormai inconfondibile. La porta aveva reso ovattate le parole che seguirono, ma lo scienziato fu comunque in grado di riconoscere il tono colloquiale con cui erano state espresse. Black Hat stava parlando con qualcuno… di lui? Sì, aveva proprio sentito bene, non si era certamente sbagliato.
Nonostante l’ancora percepibile agitarsi dell’irritazione nel suo stomaco, non gli fu possibile frenare l'emergere di un’insana curiosità. Forse non avrebbe dovuto assecondarla, origliare in generale non era la cosa più educata da fare ( e dire che a Black Hat non avrebbe fatto piacere scoprirlo era un eufemismo ). Il suo corpo stava già propendendo per fare un deciso dietro front e la sua mente era un cinquanta e cinquanta tra l’assecondarlo e il tornare, invece, al laboratorio.
Con un sospiro, Flug decise di assecondare la sua inguaribile curiosità. Tanto valeva a questo punto, visto che due terzi di lui si erano già messi d’accordo in partenza.
Si voltò, facendo attenzione che il camice non frusciasse troppo contro i suoi vestiti, e si piegò davanti alla serratura della porta per accostarvi l’orecchio.
« Mh? Che dire di Flug? È uno scienziato, fa quello che gli scienziati si suppone facciano. » Disse Black Hat, in risposta ad un interrogativo che non aveva udito, ma di cui poteva facilmente intuire il contenuto sulla base di quella replica. « Che domanda insignificante, dovresti saperlo meglio di me in cosa consiste il suo impiego. »
Un lieve rumoreggiare proveniente da un telefono fu l'indicazione, per Flug, che l'interlocutore con cui il suo capo stava conversando doveva aver risposto in virtù di quel commento provocatorio.
« Chi penso sarebbe più meritevole del posto che Flug occupa? Stai forse implicando qualcosa? » Chiese l'Eldritch, con un ringhiare accennato, di avvertimento.
Altro lieve rumoreggiare, più concitato del precedente.
« Quindi, secondo te, dovrei liberarmi di lui per fare spazio a qualcun altro? » Domandò Black Hat, con un tono di nascente ma già ponderata riflessione. Come se stesse davvero prendendo l'idea in considerazione, come se ci stesse rimuginando perché il pensiero lo attraeva.
Per Flug fu difficile trarre un respiro nel modo più silenzioso possibile, il petto gli dolse leggermente nel farlo, come se un batuffolo di cotone si fosse malamente incastrato nel suo esatto centro.
« Oh, certo... licenzio Flug – o, meglio, riduco quel vermiciattolo in poltiglia – e assumerò qualcuno che pretenderà una paga minore per una produttività maggiore. Immagina le urla, eh eh. » Pianificò ad alta voce Black Hat, con un pizzico di contentezza nella voce un pelo più civettuola del normale. « Non male come suggerimento. »
Flug si sentì quasi mancare la terra sotto i piedi, le sue ginocchia furono vicine a cedere da un istante all’altro sotto il peso del suo corpo. In un attimo, il cuore aveva preso a battergli veloce nel petto, tanto veloce che lo sentì pulsare nei timpani delle orecchie. Non poté ascoltare oltre.
Si tirò su in piedi, stringendosi tremando le spalle mentre lasciava il corridoio dell'ala personale del suo superiore, le dita che massaggiavano tremolando la pelle improvvisamente sudaticcia al di sotto dei suoi multipli strati di vestiti.
La risatina finale di Black Hat gli risuonò nelle orecchie come un infernale, stridulo campanellino, mentre percorreva la magione per raggiungere il suo laboratorio, mentre entrava nel laboratorio, mentre si lasciava cadere sulla sua sedia con la testa fra le mani, contenendo a stento un singhiozzo affannato e stroncato dal terrore, un terrore che gli stava ora mangiando il ventre e la pelle.
Non sapeva che, se fosse rimasto più a lungo, se avesse indugiato maggiormente davanti a quella porta, avrebbe potuto udire il pungente sarcasmo e la disapprovazione impregnare successivamente la voce dell'Eldritch.
« Non ero per nulla serio, testa di polpo. Come se fosse anche lontanamente vantaggioso sostituire uno come Flug. E non è certo colpa mia se non riesci a capire il mio sarcasmo! »
Se solo fosse rimasto più a lungo, Flug lo avrebbe udito.
 
 
La sua vita era stata rivoltata sottosopra da un giorno all'altro. Fino a poco prima di udire quelle parole, era stato ancora lo scienziato di Black Hat, il più grande villain che fosse mai esistito, una posizione ambitissima che era il Dottor Flug Slys a ricoprire con un silenzioso orgoglio, non qualcun altro. E ora... ora temeva per la sua vita, ora aveva paura di perdere la sua vita, e di non poter far niente per impedirlo.
Le notti erano insonni e le giornate erano stressanti, ogni qualvolta sentiva qualcuno avvicinarsi al laboratorio il suo respiro si inceppava dolorosamente e il suo intero corpo si tendeva come una corda sul limite di sfilacciarsi. Non importava fossero 5.0.5 o Demencia, il suo organismo reagiva sempre e comunque in quel modo finché uno dei due non compariva sulla soglia. Rare volte, era bensì Black Hat a fare il suo ingresso nel laboratorio… e l'aria, a quel punto, diveniva puro acido bruciante nei suoi polmoni.
Qualunque cosa stesse facendo, che fosse avvitare un bullone o miscelare sostanze chimiche in un'ampolla, Flug continuava a farla con un'automatica, metodica precisione, mentre i suoi sensi si proiettavano tutti sulla figura del suo capo, sulla consapevolezza della sua presenza, sul frusciare delle sue vesti e del cliccare dei tacchetti delle scarpe… tutti suoni che non potevano rivaleggiare col chiassoso battere del suo cuore angosciato ed impaurito.
Quando Black Hat se ne andava, spesso dopo aver scambiato poche parole con lui, lo scienziato si concedeva il lusso di sollevare la busta per asciugarsi il viso, cercando di regolarizzare il suo stesso respiro, mentre il malsano sollievo di averla scampata ancora una volta gli bagnava i sensi in ipertensione. Il suo stomaco rimaneva sempre un po’ annodato su sé stesso al termine di ogni visita, nodo che se era ora di pranzo o cena gli faceva passare l’appetito, che se era orario di riposo gli faceva ronzare il cervello sotto mille pensieri spasmodicamente agitati. Riprendere il lavoro dove lo aveva lasciato diveniva ogni volta sempre più difficile, costantemente più difficile.
Aveva paura di morire, non si vergognava nemmeno ad ammetterlo, o a dirlo ad alta voce qualora fosse da solo – e quella realtà diventava ancora più vivida quando quella confessione senza filtri lasciava le sue labbra tremule. E Flug non voleva morire, ma non poteva esattamente sperare di lasciare la villa indisturbato, Black Hat sarebbe andato su tutte le furie, lo avrebbe rincorso in capo al mondo, e una volta trovato – ed era certo che lo avrebbe trovato, perché nessuno poteva sperare di nascondersi per tutta la vita da Black Hat – lo avrebbe torturato spietatamente, e avrebbe indugiato nella tortura quanto più gli aggradava. A Flug non dispiaceva quando erano altri a divenire oggetto del divertimento del suo capo, m-ma lui… non voleva divenire lui stesso oggetto di quel sadismo agghiacciante, privo di una pietà che sarebbe stata inutile da invocare; Black Hat non aveva pietà per i suoi nemici e ne riservava ancora meno ai traditori.
Aveva paura di morire, e si stava scervellando per trovare un modo per scampare ad un destino che poteva diventare prossimo da un secondo all’altro.
Ed il punto di rottura era infine giunto prima di quanto credesse.
Stavano filmando una pubblicità per un nuovo prodotto, la presentazione stava andando bene, ma al momento della dimostrazione, nell’esatto momento in cui Black Hat aveva iniziato la dimostrazione, l’invenzione aveva avuto un malfunzionamento considerevole.
E l’ira dell’Eldritch non aveva tardato a scuotere l’aria del laboratorio.
« FLUUUG! DANNATO INCOMPETENTE! »
Flug sentì un paralizzante brivido lungo tutta la schiena in quel frangente e non badò alle risatine di Demencia, o al rannicchiarsi impaurito di 5.0.5.; badò solo all'incedere minaccioso, inevitabile, del più potente villain dell'universo, di cui si era attualmente attirato addosso le ire.
Oh no, o-oh no.
« S-signore i-io- io p-posso spiegare- »
In un battito di ciglia, Black Hat fu su di lui e gli artigliò il bavero del camice, i suoi piedi molli finirono a toccare terra solo con le punte.
« Spiegare COSA, Flug? Io vedo solo te e la tua solita inutilità espressa qui al suo massimo grado! »
I-inutilità? No, no, non poteva essere, Black Hat non stava mica p-pensando-!
« S-signore, l-la p-prego-! »
« Osi ancora ribattermi Flug? Vuoi MORIRE per caso?! »
Flug spalancò gli occhi, ogni centimetro del suo campo visivo traballante era occupato dall’espressione incollerita di Black Hat. L’occhio visibile dell’Eldritch era iniettato di rosso, un riflettersi di rubino si era rispecchiato sul vetro del monocolo, le zanne sporgevano da quelle labbra inumane come rasoi.
Il sacchetto divenne una scatola che non faceva filtrare ossigeno e Flug tremò incontrollatamente, i denti affilati del suo capo così pericolosamente vicini al suo viso avrebbero potuto strappargli la carne dalle ossa in un solo morso ed emanavano un inquietante alone verdastro a causa della saliva.
Un estenuante e lungo brivido gli attraversò la schiena, gli intirizzì la pelle e lo raggiunse in viso, dove le lacrime si accumularono in un attimo all’interno dei suoi occhialoni.
“ Mi vuole uccidere. ”
Quel pensiero era stato la goccia che aveva fatto traboccare il suo vaso di contenimento, riempito fino all’orlo dopo tutte le volte che credeva di aver avuto salva la vita, ma che ora poteva solo strabordare, perché il fato lo aveva finalmente raggiunto – e lo aveva fatto con la promessa di un dolore che aveva solo voluto rimandare e rimandare e rimandare ancora.
La paura si tramutò in terrore e Flug spinse con tutte le sue forze contro la presa delle mani di Black Hat.
Il demone miracolosamente lo lasciò e lo scienziato si ritrovò carponi a terra, in iperventilazione, le mani che a malapena lo reggevano da quanto tremavano – ma il resto del suo corpo non fu altrettanto impreparato.
Le sue gambe si mossero in autonomia, lo fecero filare via fuori dal laboratorio e giù nel corridoio, i piedi che a stento toccavano terra. Doveva fuggire, Black Hat lo voleva uccidere, lo avrebbe ucciso, lo avrebbe fatto sicuro, e lui non sapeva dove scappare, non sapeva come salvarsi, n-non c’era modo di s-salvarsi.
Aveva cercato di non fare passi falsi, aveva oh così disperatamente cercato di rendersi di nuovo indispensabile agli occhi del suo superiore, ma era stato tutto inutile, tutto i-inutile. Inutile come la sua solita i-inutilità...
Si era lasciato cadere a peso morto sulle sue ginocchia ad un certo punto, incurante di dove si trovasse, di dove il suo corpo in preda al panico lo avesse portato.
Respira, respira, respira – ma a cosa sarebbe servito respirare, quando aveva probabilmente fatto infuriare il suo capo per quella che era la volta decisiva, per quella che era la volta fatale? La volta fatale, la volta fatale, la volta in cui quegli artigli gli avrebbero tirato fuori le interiora, la volta in cui quei tentacoli lo avrebbero fatto a pezzi, la volta in cui il suo genio non lo avrebbe aiutato a salvarsi.
Una folata di vento, che gli gonfiò il camice e si infiltrò tra i suoi vestiti fino a gelargli la pelle sudaticcia, lo rese finalmente consapevole di dove si trovava: il tetto della magione.
Flug si strinse addosso i suoi indumenti da lavoro, con le mani che scavavano in profondità nei suoi avambracci, le lacrime che stavano bagnando le guance ed appiccicavano la carta al suo viso. Tutto ciò che poteva ormai fare era aspettare l'arrivo del demone, sperare che Black Hat non sarebbe stato dell'umore per prolungare le sue sofferenze.
Una parte dentro di lui protestò contro quel pensiero: non voleva morire in questo modo, non voleva morire soffrendo come un cane! Non era dignitoso andarsene così, non era dignitoso lasciare che fosse Black Hat a decidere del suo destino!
Ma non aveva molto tempo, non aveva più tempo.
Si alzò in piedi, raccogliendo le ultime forze rimastegli in corpo per avvicinarsi al limitare del tetto. Le uniche risorse che poteva utilizzare in un luogo del genere era l’altezza e la velocità di caduta del suo corpo. Forse era per questo che i suoi piedi lo avevano portato lì, forse perché inconsciamente aveva già deciso cosa doveva fare.
Un'altra folata di vento lo scosse non appena abbassò la testa, a fissare il giardino sul retro della magione che si estendeva sotto di lui. Erano... q-quanti metri potevano essere? Una cinquantina? Una settantina? Di meno? Da quell'altezza ogni cosa a livello del terreno gli sembrava piccola, piccolissima, minuscola. Aveva pilotato aerei in grado di giungere ad altezze molto più elevate di questa e aveva osservato decine di paesaggi senza mai sentire un principio di vertigini stringergli lo stomaco. M-ma adesso... adesso le sue caviglie erano divenute di gelatina, il suo stomaco sembrava essergli finito in gola, le lacrime sfocavano una vista già annebbiata e nauseata.
Era alto, e-era troppo a-alto... non poteva saltare, non riusciva a muoversi.
Lo scienziato piangente incassò la testa tra le spalle, seppellendo il viso nei suoi spessi guantoni. Nemmeno la prospettiva di una minore, quasi nulla sofferenza sembrava convincerlo a fare neanche un passettino.
Era finita.
Lui era finito.
« FLUG! »
Oh no, oh no, no no no nononono, lui non era pronto, non era p-pronto, NO-
Un tentacolo si avvolse fulmineo attorno alla sua vita e Flug strillò atterrito, il terreno gli mancò da sotto i piedi e venne strattonato all'indietro.
« No! N-no, no, no, mi lasci, mi lasci la p-prego, mi lasci vivere! »
Flug non aveva nemmeno prestato attenzione al tono con cui il suo nome era stato pronunciato, o neanche a come il tentacolo che lo stava reggendo non stesse applicando più della pressione necessaria a reggerlo adeguatamente e vincere il suo disordinato dimenarsi.
Quando l'appendice lo lasciò, l'inventore crollò a terra, mormorando suppliche incoerenti e sempre più prive di un senso logico man mano che i secondi scorrevano... e nulla era ancora successo.
Fu allora che Flug si accorse che qualcosa sembrava essere fuori posto in quella situazione, tanto fuori posto da lasciargli una sensazione di estraniamento lungo la schiena... la stessa sensazione che provi quando qualcuno ti sta fissando intensamente da un discreto margine di tempo.
Lo scienziato abbassò timorosamente le mani e con un timore ben più considerevole sollevò il capo: Black Hat lo stava osservando in silenzio dall'alto della sua rispettabile statura, le sopracciglia erano severamente calate sui suoi occhi in una percepibile confusione, le sue labbra leggermente sporgenti evidenziarono ancora di più il suo anomalo stato d'animo.
Flug sbatté gli occhi, strizzando le palpebre per schiarirsi la vista appannata. Non c'era più rabbia in quell'espressione, non c'era nemmeno una furia sanguinaria ad agitarsi all’interno degli occhi del demone, e lo scienziato si trovò in uno stato di inaspettato smarrimento nel notare l’assenza di entrambe.
« Flug, ma che diavolo...? » Gli domandò Black Hat con un vago sentore di sconcerto, davanti a cui Flug non seppe come reagire. Doveva essere lui quello che aveva il diritto di esternare una simile esclamazione, ma restò invece pietrificato nell'ammutolito silenzio che stava ostentando ormai da qualche secondo.
L'appena visibile confusione sul volto del suo superiore si irrigidì in uno dei suoi soliti cipigli, eccetto che non era il suo solito cipiglio; vi era una strana sfumatura a differenziarlo dai suoi simili, una sfumatura che Flug non colse completamente per quanto era sottile ed estranea sul viso inumano di Black Hat.
« Alzati, Flug. »
Lo scienziato ebbe un brivido quando la voce lievemente gorgogliante del suo capo lo distrasse da quel loro fissarsi.
Chinò d'istinto la testa, rattrappendosi un poco su sé stesso mentre un consistente timore si stava ancora agitando come una trottola impazzita all'altezza del suo petto. Non sapeva cosa stesse succedendo, non aveva assolutamente idea di cosa stesse succedendo, la sua mente da un accatastarsi di pensieri di morte e dolore era divenuta un muro bianco e anonimo.
« È un ordine. »
Flug tremolò leggermente, costringendosi comunque a rimettersi in piedi. Il suo respiro usciva a singhiozzi appena udibili dalle sue labbra e le sue dita erano come attaccate coi chiodi ai suoi avambracci. Era ora, era qui che Black Hat lo avrebbe ucciso, qui, in piedi come un condannato a morte, tutto perché lui non aveva avuto il coraggio necessario per salvare quel poco di dignità che ancora gli restava.
Una mano gli venne posata sulla schiena, quasi al centro delle scapole, e l'inventore sobbalzò distintamente, sopprimendo a stento un urletto intimorito. Si stupì allora di vedere il demone in piedi al suo fianco, con un silente comando nel suo sguardo di iniziare a camminare, rinforzato dal contatto di quella mano.
Flug deglutì piuttosto rumorosamente, il tremare delle sue labbra venne nascosto dalla carta del sacchetto stropicciato ed inumidito. Doveva obbedire, doveva solo obbedire, non c'era altra scelta che potesse prendere; la sua unica possibilità di scelta se l'era già giocata, lasciata già sfuggire in un momento di codardia, di debolezza.
Si lasciò condurre via da Black Hat, mantenendo il capo basso e il suo singhiozzare ridotto al minimo.
Scesero dal tetto in religioso silenzio, senza guardarsi l'un l'altro una volta di più.
 






Sameko's side
Da dove partire con questo angolo autore, se non professando il mio amore per Villainous ( e per la Paperhat, ovvio )? :D Avevo scritto questa storia in estate, quando in rete giravano ancora i primi dieci corti, il fandom all'estero era davvero in rapida espansione e il mio entusiasmo era alle stelle. E niente, ho deciso di riprenderla in questo momento perché ho un piccolo blocco dello scrittore e pensavo che correggere qualcosa di già scritto avrebbe aiutato a sbloccarmi ( successo parzialmente raggiunto ). Non è nulla di speciale a livello di storyline, volevo scrivere qualcosa di semplice per prenderci un po' la mano con questi nuovi personaggi, ma spero che qualcuno possa comunque gradire. ^^"
Piccola nota: il personaggio con cui Black Hat stava parlando è una mia OC, che non farà nessuna apparizione in questa fanfiction, ma che probabilmente sfrutterò in futuro per una long, sempre se l'ispirazione vorrà. :)
Come avrete potuto intuire, ho già la storia completa sul mio computer e avviso che si concluderà con la pubblicazione del terzo ed ultimo capitolo. A quando il prossimo aggiornamento, quindi? Quando avrò voglia di correggere, ecco quando. ^^"
Alla prossima e baci!

Sameko
 

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Capitolo 2
*** Chapter Two: Over the Walls ***



Chapter Two: Over the Walls
 
 



« Siediti. »
Flug trattenne il respiro per un lungo ed estenuante secondo quando udì quel comando interrompere il silenzio con cui era stato accompagnato – scortato – nell'ufficio del suo capo. Strizzò le palpebre, deglutendo quanto più quietamente possibile e forzando le sue ginocchia a collaborare. Il risultato fu che si sedette sulla poltrona che solitamente spettava ai clienti con la rigidità propria di un androide, incapace anche solo di abbandonarsi alla morbidezza dello schienale.
Si voltò con un mezzo scatto a controllare i movimenti del suo superiore, di cui aveva appena udito il distinto frusciare delle vesti: Black Hat gli stava dando momentaneamente le spalle mentre si sfilava il proprio cappotto e si accingeva a lisciare le poche grinze che ne percorrevano il tessuto, i suoi movimenti misurati fin quasi a risultare snervanti.
Flug studiò incerto quel comportamento tanto posato e che stonava incredibilmente coi mille, angoscianti scenari che la sua mente aveva partorito su quel tetto e, ancor prima, nell’arco delle settimane precedenti.
Una piccola rotazione del collo del demone, il colletto della camicia frusciò contro la sua pelle cinerea rumoroso come un urlo, e Flug si ritrovò così a fissare la pupilla con cui Black Hat aveva preso a puntarlo.
Il cuore gli sobbalzò pesantemente nel petto e si girò tremando, stringendosi le mani tra le cosce con la testa incassata tra le spalle. Non poteva osservare il suo capo in quel modo e ovviamente pensare di non poter essere colto in flagrante. Era quasi impossibile attaccare alle spalle Black Hat, in tanti ci avevano provato ed altrettanti erano finiti sotto metri di terra, tra eroi e persone di scienza che l'Eldritch aveva assunto prima di lui – ed il medesimo discorso poteva essere applicato anche ad occhiate furtive, neanche quelle sarebbero rimaste inosservate quando si trattava di Black Hat.
Un ultimo frusciare e i passi cliccati del suo superiore tornarono ad essere l’unico suono che faceva da padrone nel locale.
Flug si mantenne rigidamente seduto su quella poltrona, tenendo sotto silenziosa osservazione i movimenti del suo capo finché quest’ultimo non si sistemò sull'altra poltrona disponibile, le braccia conserte e la gamba sinistra sofisticatamente accavallata sulla destra.
Flug restò interdetto da quell'atteggiamento, ancora prima che il suo capo aprisse bocca.
« Cosa è successo, dottore? »
Lo scienziato deglutì, trovando un fastidioso groppo in gola a rendergli impraticabile quell'azione tanto basilare. Strinse un poco di più le mani tra le gambe, a disagio sotto l'intenso sguardo del suo capo.
« Dottore, ti ho fatto una domanda. »
« N-non... pr-prolunghi la c-cosa... » Fu a stento in grado di balbettare.
Black Hat alzò lievemente un sopracciglio.
« Come? »
Flug strinse le palpebre.
« L-la p-prego, n-non mi t-trascini in qu-questo f-falso senso d-di t-tra-tranquillità... » Bisbigliò con maggior forza, la sua ultima dose di coraggio spesa tutta per esternare quella richiesta disperata. « S-sia ve-veloce... »
Grosse lacrime scivolarono da sotto i suoi occhialoni, inzuppando il sacchetto ormai bagnato. Veloce e indolore, veloce e i-indolore... solo questo chiedeva, solamente q-questo
« Di che diavolo stai parlando, Flug? » Fu la risposta di Black Hat, risposta che fece saltare i nervi già a pezzi ed oppressi dalla paura del povero scienziato.
« M-me lo merito, n-no? Mi meriterò di avere una morte dignitosa dopo anni di servizio! » Gridò con voce spezzata, il suo corpo fremente di nera indignazione. « O-oppure non contano nemmeno quelli per voi?! »
Era ormai un pasticcio tremante di lacrime, il suo cuore non aveva mai battuto ad un ritmo tanto disarmonizzato, nemmeno nell’aereo che lo aveva portato a sfondare il tetto della dimora di Black Hat e a fare il suo primo incontro con l’essere soprannaturale che sarebbe divenuto il suo nuovo datore di lavoro. Nelle orecchie sentiva solo un palpitare assordante e il disgusto poteva quasi assaporarlo in bocca ed usarlo per nutrire quell’improvviso e audace scatto di rabbia.
L’Eldritch lo fissò per un istante come se gli fosse magicamente apparso un folletto sulla spalla.
« Ferma un attimo, Flug- »
Lo scienziato non ritenne certo di doversi fermare.
« Per c-cosa? Per sentirmi dire quanto inutile sono stato anche poco prima di-- »
« FAI SILENZIO! »
Flug squittì miseramente udendo la voce del suo superiore perforargli le orecchie, rombargli dentro fino a stritolargli il cuore. Si zittì e si rannicchiò tremante come una foglia contro lo schienale, alzando le braccia per coprirsi il viso ed il petto ansante.
L'aura di agghiacciante potere che aveva stretto in viticci l'aria si ritirò quasi subito, lasciando al suo passaggio una fumosità appena percettibile. Black Hat era incline ad emettere quell'aura quando la sua forma terrena minacciava di dissolversi sotto l'impennarsi delle sue emozioni; Flug non aveva mai compreso in quale misura il suo capo fosse consapevole della cosa, ma certo era che lui poteva ormai ben percepire il sopraggiungere ed il retrocedere di quel potere dopo esservi stato esposto dozzine di volte. Rimase comunque raccolto su sé stesso, abbracciandosi il torace con una forza ormai sfasata dai continui picchi di terrore che stava vivendo.
« Flug... » Una pausa, come se il demone avesse voluto indugiare per qualche istante nella pronuncia del suo nome. « Non dirmi che mi hai preso in parola prima. »
Lo scienziato, suo malgrado, non si rilassò nel risentire quel tono relativamente posato.
« A-adesso, o f-fra due settimane n-non fa differenza... non ce la faccio più ad aspettare. » Mormorò, con voce flebile. Alzò esitando lo sguardo, a guardare il suo superiore in volto, come a voler smuovere in quell'essere un'umanità che sapeva non poteva esserci. « Lo faccia ora, lo faccia veloce, e non le sporcherò nemmeno la tappezzeria. »
Black Hat restò in silenzio dopo quella sua replica, come se stesse contemplando ciò che lui aveva detto, come se stesse valutando la posizione raccolta che aveva assunto in seguito a quella sfuriata.
Al termine di quell'ispezione, un'espressione di intensa serietà sostituì il cipiglio illeggibile dell'Eldritch.
« Mettiamo in chiaro due cose: uno, non ti ucciderò ora. Due, non ti ucciderò nemmeno fra due settimane, un mese, o qualunque lasso di tempo tu reputi ottimale. Adesso... » Il demone si interruppe, giusto per il tempo necessario a sciogliere l’intreccio delle proprie gambe ed inclinarsi leggermente verso di lui, le mani poggiate sulle cosce. « Ti consiglio caldamente di cominciare a spiegare, perché la mia pazienza ha un limite, e tu ne stai abusando fin troppo, Flug. »
Ma Flug si ritrovò privato delle parole per esaudire la richiesta che – sentiva – Black Hat gli aveva posto con una calma che un solo passo falso avrebbe potuto stracciare, visto quanto fragile come cartapesta ebbe la sensazione che fosse. Ciò che Black Hat gli aveva detto aveva poco senso nella sua mente già provata, e ogni senso che poteva assumere era legato a motivi di crudeltà e manipolazione emotiva. Non riusciva a credergli, non ci riusciva, non quando conosceva fin troppo bene la cattiva fama che circondava il suo principale. Ma perché non farla finita lì, perché continuare a mantenere intatta quella recita quando Flug la aveva già esposta e messa alla luce? Non era tipico del suo capo un simile atteggiamento e lo scienziato non fu in grado di arrovellarsi troppo intorno a quella riflessione, non con la distinta sensazione che i nervi del suo corpo stessero pizzicando sotto la sua pelle, come se fossero appena stati tirati fin quasi al loro punto di rottura ( che non era uno scenario tanto diverso da ciò che stava ora accadendo a tutto il suo essere, non ad una parte circoscritta ).
Deglutì Flug, la sua gola troppo secca e ancora stretta da quel groppo fastidioso, ma comunque in grado di operare come doveva.
« V-vorrei solo capire qual è il vostro gioco... » Era stato tutto ciò che, stancamente sconfitto, era riuscito a mormorare.
Black Hat rilasciò un sospiro visibilmente spazientito, che si consumò nell'aria con un accennato ringhiare a renderlo più rauco.
« Flug, dannazione, fa funzionare quell'ammasso di carne che hai dentro la testa! Se ti avessi voluto morto saresti già in una delle camere di tortura, o qui sul pavimento a contorcerti nel tuo sangue! » Lo scienziato si rattrappì tremolando, cercando di cacciare via le immagini orrende che gli avevano attraversato la mente mentre Black Hat parlava. Il suo capo parve abbassare un poco il tiro nel momento in cui riprese da dove si era interrotto. « Perché sei così fissato con questa idea? »
Flug si prese due secondi per ristabilizzare il suo respiro prima di rispondere.
« P-perché... v-voi... signore, non mi volete uccidere? »
« No, per l'ennesima volta. » Replicò Black Hat, come se fosse sull'orlo di una crisi di nervi. Il suono dell'interfono riempì di punto in bianco l'ufficio e l'Eldritch emise un altrettanto udibile ringhio mentre faceva per alzarsi e ricevere la chiamata dall’apparecchio sulla sua scrivania. « Ughhrr, e adesso cosa c'è? »
Flug rimase immobile sulla poltrona, così momentaneamente confuso da non badare nemmeno alla reazione innervosita del suo capo.
« Demencia, riferisci in fretta. » Brontolò burberamente il demone.
« Capo, un cliente sta attendendo all'ingresso per incontrarvi. Dice di avere un appuntamento. »
Un basso ringhio, seguito da una probabile sequela di maledizioni a giudicare dal tono con cui erano state pronunciate, gli rese ulteriormente noto il nervosismo e la seccatura del suo superiore.
« Fallo accomodare nella hall, comunicagli che lo riceverò a breve. » Ordinò, non trattenendosi dall'utilizzare un tono palesemente scocciato. « Fatto ciò, raggiungi in fretta il mio ufficio, hai il Dottor Flug in custodia fino ad ulteriori istruzioni. »
« Ricevuto, capo~ » Canticchiò Demencia, schioccando rumorosamente le labbra nella mimica del suono di un bacio.
Black Hat emise un suono disgustato prima di chiudere la comunicazione.
Flug si sporse un poco dalla sedia, guardando titubando la schiena leggermente incurvata del suo capo.
« S-signore...? »
« Questa conversazione non finisce qui, Flug. Continueremo più tardi. » Decretò severamente Black Hat, voltandosi in sua direzione con uno sguardo mortalmente serio. « Non fare niente di stupido mentre sei sotto la supervisione di Demencia, chiaro? »
Flug deglutì a fatica, riuscendo a stento ad assentire con la testa.
« S-sì, s-signore... »
 
 
. . .
Insomma... non era così che, fino a mezz'ora prima, si era aspettato si concludesse quella mattinata – di sicuro, non con lui che faceva ritorno illeso al laboratorio, sentendosi come se il cielo avesse deciso per una volta di miracolarlo. La certezza che lo aveva perseguitato per settimane si era oramai disciolta in un bagno di pensieri confusi, di domande che gli irrigidivano le spalle a causa della tensione che faticava a lasciare il suo corpo.
Avrebbe dovuto attendere almeno fino al termine del colloquio di Black Hat con quel cliente, ma nel frattempo non gli dispiaceva restare al sicuro con Demencia nel laboratorio, non impegnato nel lavoro o a guardarsi le spalle come se la morte stessa potesse fagocitarlo quando meno se lo aspettava. Sospettava che Black Hat si fosse persino scordato di quell'appuntamento, a giudicare dalla reazione seccata con cui aveva accolto la comunicazione di Demencia, un atteggiamento non proprio consono alla sua normale persona, ma non il più estraneo di cui il suo capo avesse dato prova quel giorno: il primato lo deteneva, a suo parere, il chiaro sforzo con cui Black Hat aveva cercato di essere quanto più paziente possibile nel dialogare con lui, un Flug molto diverso da quello con cui l’Eldritch era abituato a rapportarsi. Se ne rendeva conto solo adesso, a mente un po' più fredda e lucida, di come il suo superiore avrebbe potuto mostrarsi molto più intollerante, ma aveva evidentemente cercato di fare l'opposto. Non tutto era andato perfettamente liscio, Black Hat era pur sempre Black Hat, tuttavia lo sforzo c'era stato, e Flug lo aveva notato, seppur non subito. E, in fondo, non dovrebbe essere nemmeno tanto stupito dalla cosa, perché un buon rappresentante del male deve essere in grado di adattarsi alle varie situazioni e trarre il massimo vantaggio da ciascuna di esse. Perché, se l’eroe è versatile, il villain deve esserlo ancora di più – e Black Hat, il cattivo che era vissuto abbastanza per vedere il proprio eroe morto e sepolto, non faceva certo eccezione.
Sospirò Flug, sentendosi molto attentamente osservato e, per questo, altrettanto infastidito.
« Demencia, non è necessario che tu mi stia appiccicata in questo modo. »
La diretta interessata ridacchiò, i canini appuntiti messi lievemente in mostra.
« Black Hat mi ha detto di farti da baby sitter ed io la baby sitter farò! » Replicò civettuola lei, sdraiata sopra la scrivania con il mento fra le mani, i piedi che si muovevano a mezz’aria. « Sai come sono i bambini, Fluggy. Ti distrai un attimo e sono già con una fiala di ammoniaca alle labbra! »
E poi Demencia si avvicinò al suo viso, invadendo deliberatamente il suo spazio personale per sussurrargli qualcosa all’altezza dell’orecchio.
« E fidati quando ti dico che ha uno dei sapori più disgustosi che abbia mai assaggiato. »
Lo scienziato scelse volutamente di ignorare il commento con cui la ragazza lo aveva implicitamente paragonato ad un bambino, o di correggerla sul fatto che lui ( essendo solo un misero mortale ) avrebbe decisamente avuto altro di cui preoccuparsi nel caso avesse malauguratamente ingerito dell’ammoniaca. Tornò quindi sull'argomento più pressante, ovvero quello di riappropriarsi del suo agognato spazio personale.
« Sul serio, Demencia, lasciami respirare! Vai, vai- » Flug si interruppe, cercando di suggerire al più presto un passatempo che potesse tenerla occupata. « Va a giocare con Lil’ Jack! »
« L'ultima volta che ci ho provato ha cercato di mangiarmi… e lo sai che Black Hat non farebbe a pezzi il suo animaletto solo per tirarmi fuori. » Gli rispose con un accenno di delusione l'assassina, un leggero broncio a renderle più pronunciate le labbra – il buonsenso di non mettersi a giocare con un pitone reticolato di ben nove metri lo possedeva pure una come Demencia, a quanto pareva. « Inoltre, Black Hat mi ha dato degli ordini precisi! E nel mio cuor comanda uno soltanto~ »
« Hai mai preso in considerazione l’idea di non permettere che la tua vita graviti tutta intorno a Black Hat? » Le chiese con tono sarcasticamente esasperato Flug, procedendo a ristabilire lui stesso le giuste distanze con la sua collega.
« Perché, tu hai mai pensato di fare lo stesso? »
L’inventore si ritrovò a fissare momentaneamente basito il ghigno tagliente della ragazza-lucertola, riconoscendo silenziosamente che non aveva repliche con cui difendersi da quell’insinuazione tutt’altro che priva di fondamenta. Aveva sempre voluto l’approvazione di Black Hat più di qualunque altra cosa da quando lavorava lì… e la mancanza di approvazione era ciò che aveva fatto nascere quei suoi pensieri di inutilità, di sconforto, che nel momento in cui era giunto a temere per la sua vita avevano giocato la loro modesta parte nel far accrescere esponenzialmente le sue paranoie.
« Q-quella… quella è solo la mia vita lavorativa. » Provò comunque a salvarsi lo scienziato, rispondendo con molta meno convinzione di quanto avesse desiderato.
« Non sapevo esistesse una differenza tra la tua vita lavorativa e la tua vita privata, Fluggy. » Lo schernì l’assassina, strizzandogli un occhio con una complicità che sarebbe stata ben accompagnata da una gomitata d’intesa.
Le labbra di Flug si piegarono in una smorfia impacciata, che la ragazza non poté fortunatamente vedere con il sacchetto di mezzo, ma che fu purtroppo per lui in grado di intuire a giudicare dai suoi successivi risolini.
Prima che Demencia potesse completamente crogiolarsi nella schiacciante vittoria ottenuta in quello scambio di frecciatine, 5.0.5 fece la sua apparizione in laboratorio con un vassoio di pancake fumanti.
Aveva ancora lo stomaco un po’ sottosopra da tutte le forti emozioni che aveva vissuto, ma avrebbe mentito Flug se avesse detto che non era in vena di mettere qualcosa sotto i denti. Dopotutto, aveva saltato la colazione quella mattina, troppo in ansia per la presentazione di quel giorno per mangiare qualcosa ed essere assolutamente certo che non gli sarebbe rimasta sullo stomaco.
« Ohhh, 5.0.5, sei davvero il migliore! » Trillò Demencia, correndo ad abbracciare l’orso e sfilando nel frattempo due o tre pancake dal vassoio mentre il cuoco di casa non stava guardando.
Flug sorrise alla vista del grosso orsacchiottone, che doveva essersi dato molto da fare per preparargli una colazione tanto abbondante in così poco tempo.
Il tempo di posare il vassoio e 5.0.5 aveva già provveduto a raccoglierlo dalla sua sedia girevole e a stringerlo contro il suo corpo peloso, morbido e sempre incredibilmente profumato.
« Grazie piccolo, è un gesto davvero apprezzato. » Mormorò lo scienziato, sollevando la testa a guardare l’orso nei suoi grandi occhioni, in quel momento attraversati da un cristallino e profondo dispiacere. Era palese l’apprensione in quell’atteggiamento persino più disponibile del solito e non era piacevole per Flug vederlo così ansioso. « S-sto bene, 5.0.5. Credimi… »
Nonostante il suo tentare di rassicurarlo, si sentì stretto maggiormente contro il petto dell’orso, a contatto con la sua soffice pelliccia azzurra.
« V-vi ho fatto preoccupare così tanto…? » Si ritrovò a domandarsi, una volta compreso che l’adorabile esperimento non lo avrebbe lasciato tanto facilmente.
« Beh, , direi di sì, Flug. » Gli rispose Demencia, dopo essersi infilata in bocca i pancake rubati, per poi leccarsi soddisfatta le dita. 5.0.5 le rivolse uno sguardo seccato, accortosi ormai troppo tardi del furto che aveva subìto. « Hai dato di matto praticamente di fronte a tutti e, te lo giuro, non ho mai visto nemmeno il capo così tanto perplesso prima d’ora. »
« S-seriamente? » Non poté evitarsi di metterla in discussione Flug, cercando di giostrarsi come meglio gli riusciva tra le zampe dell’orso.
« Te l’ho appena giurato, Flug! » Ribadì Demencia, gettando con enfasi le braccia al cielo. « Ti è venuto dietro quasi immediatamente! E penso fosse andato a cercarti nelle tue stanze, perché quando io e 5.0.5 lo abbiamo raggiunto stava già andando nella direzione opposta. Lo abbiamo poi perso di vista, ma grazie alle telecamere nel suo ufficio abbiamo visto che eravate entrambi sul tetto. »
L’inventore allargò gli occhi, incredulo nell’apprendere di quanto Black Hat avesse effettivamente fatto anche dietro le quinte per… lui. Flug non pensava davvero che dietro a quei comportamenti non ci fosse stato un interesse prettamente materiale, non era capace di illudersi fino a quel punto… ma, malgrado ciò, una parte di lui si ritrovò comunque ad… ad ammirare, in un certo senso, la dedizione che il suo capo dimostrava sempre di possedere, una dedizione pura, che non aveva mai smesso di apprezzare nella figura di Black Hat e che, confessava, aveva tentato un po’ di emulare nel suo piccolo in passato.
« Ehi, cosa ti era preso comunque? »
La domanda di Demencia lo distrasse da quelle sue riflessioni, in un modo che per qualche motivo trovò quasi sgradevole… ma era una domanda legittima e sensata per cui la ragazza non meritava di essere rimproverata.
Flug trafficò distratto con le maniche del suo camice, non particolarmente a suo agio all’idea di dover rendere pubbliche le sue passate angosce. Decise che avrebbe risposto, questo sì, ma avrebbe omesso quanti più dettagli possibili dalla sua confessione.
« Io… io pensavo che… » Mormorò dapprima, rendendosi tuttavia conto che forse nemmeno 5.0.5 lo avrebbe sentito chiaramente se non avesse alzato la voce – e lo scienziato avrebbe volentieri evitato di ripetersi. « P-pensavo che Black Hat volesse… uccidermi… »
Suoni sorpresi – Demencia – e versi di sconcerto – 5.0.5 – vennero emessi contemporaneamente da entrambi i suoi interlocutori.
« Woah, Flug. La avevi pensata davvero estrema stavolta! » Esclamò l’assassina. « Se c’è qualcuno di cui Black Hat non vorrà mai liberarsi, quello sei proprio tu, ironicamente! »
Flug, ascoltando le parole delle sua collega, si mosse a disagio tra le zampe di 5.0.5, sentendosi come se avesse quasi pronunciato un’eresia. L’orso fu facilmente in grado di intuire il suo sconforto e lo scienziato gli fu grato per il nuovo, genuino abbraccio di consolazione in cui venne stretto. 5.0.5 era stato etichettato come ‘esperimento fallito’ nei file che lo riguardavano ma, a parer di Flug, 5.0.5 era tutto tranne che un esperimento fallito; era bensì un essere vivente, ed era paradossalmente il membro più umano dell’organizzazione, pur essendo a tutti gli effetti un animale.
L’espressione incredula di Demencia si mitigò visibilmente dopo quella prima, esterrefatta reazione. La ragazza si passò una mano dietro al collo, smuovendo un poco la lunga e fluente coda di cavallo nel processo, quasi come se avesse qualcosa dentro di lei ad intralciarla, a frenarla dall’esprimere qualunque concetto avesse in mente di esternare.
« Guarda, so che potrà sembrare assurdo detto da me, ma… ma, a volte, vorrei scambiarmi di posto con te solo per qualche ora, giusto per vedere cosa si prova ad essere importante come lo sei tu. »
Questa volta, Flug restò legittimamente a bocca aperta.
« Non… non dirai sul serio, Dem. Non è per nulla divertente essere me. »
« Però tu ricevi le sue attenzioni e vieni calcolato molto più di me… e di 5.0.5., ovviamente. E valuta tantissimo il tuo lavoro. Se un cattivo ha un problema con un nostro prodotto, stai pur certo che il capo continuerà a sostenere fino a prova contraria che il problema non è nel prodotto in sé, ma nel modo in cui viene utilizzato. » Ribatté prontamente Demencia, come se si fosse aspettata fin dall’inizio di ricevere una replica del genere. « Chiedilo direttamente a lui, se sei così tanto scettico. »
« E-eh, u-uh, Demencia… io non credo che dovrei mai nemmeno pensare di chiedere cose simili… » Rispose a fatica Flug, ancora incapace di assimilare quanto quelle osservazioni gli avevano appena riferito, alcune delle quali il suo cervello non riusciva nemmeno a figurarsele, figuriamoci ad accettarle. Sapeva che Demencia aveva sempre una visione tutta sua del mondo e di tutto ciò che le stava attorno – ma lui che riceveva attenzioni da Black Hat? Quali di tutte le interazioni che condivideva abitualmente col suo capo rientravano sotto la voce ‘ricevere attenzioni’?
« Flug e Demencia, nel mio ufficio e subito. »
Lo scienziato sobbalzò leggermente udendo la voce del demone espandersi dall’interfono in tutto il laboratorio e sollevò la testa quasi d’istinto, a gettare un rapido sguardo verso una delle telecamere installate nel vasto locale. Doveva essere stato un colloquio non troppo impegnativo, visto quando rapidamente sembrava essersi concluso.
« Pare che dovremo mangiarci i pancake per strada. » Considerò Demencia, con un sospiro rassegnato.
5.0.5. lo lasciò andare a quel punto, dandogli una leggera pacca sulla testa di incoraggiamento, mentre l’assassina si accingeva a raccogliere il vassoio con le cibarie.
« Non penso riuscirò a finirli, 5.0.5. » Disse Flug, con un lieve tono di scuse, ma il sorriso benevolo dell’orso lo tranquillizzò sul fatto che 5.0.5. non gli avrebbe nemmeno avanzato una pretesa simile.
« Oh, per quello non preoccuparti, Fluggy! Il mio pancino farà più che volentieri il lavoro sporco per te! » Lo ‘rassicurò’ ridendo Demencia, prima che la voce leggermente più impaziente del loro superiore – e leggermente più impaziente con Black era, in verità, tono sul limite di una pericolosa irritazione – tornò ad elevarsi sopra le loro teste.
« Quando dico subito, intendo all’istante. »
Fu chiaro a tutti e tre che quello sarebbe stato il primo ed ultimo richiamo che avrebbero ricevuto dal demone – e avrebbero fatto meglio a prestargli ascolto.
Demencia lo affiancò, rivolgendogli un sorriso a zanne scoperte.
« Pronto ad andare, fifoncello? »
Flug sospirò internamente, prima di assentire in risposta.
« Sì, Dem. »
Per quanto non stesse saltando dalla gioia alla prospettiva di dover riprendere quella conversazione con il suo capo, non poteva ovviamente rifiutarsi di farlo. E accidenti se sarebbe stato difficile riprendere quella conversazione, ora che gli altri due residenti di Black Hat Manor lo avevano fatto sentire come se avesse sbrigativamente condannato un innocente… e, nella sua testa, ‘Black Hat’ ed ‘innocente’ non avrebbero mai dovuto essere parole in grado di correlarsi.
Chissà quanto ancora quella giornata sarebbe potuta diventare fuori dal comune prima di cena.
 
 
Terminato quel colloquio fortunatamente breve, Black Hat era stato in grado di riconcentrarsi sul pressante problema che aveva dovuto lasciare in sospeso per prendersi cura del suo business: Flug, e qualunque cosa avesse fatto andare in panne persino una mente come la sua, ben al di sopra di quella che era la media degli esseri umani.
Da quando era riuscito ad estrapolare dal loro delirante dialogo, lo scienziato aveva – o aveva avuto, dipendeva tutto da quanto era riuscito a convincerlo – paura di morire, di essere ucciso da lui, e Black Hat non era in grado di spiegarsi il motivo di un pensiero tanto… tanto assurdo? Non che non gli fossero mai sfuggite minacce di morte o anche peggio, ma mai aveva avuto intenzione di rendere concrete quelle minacce. E Flug avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto sapere a questo punto della sua carriera che non aveva la vita da perdere a lavorare sotto di lui.
Tutta quella situazione era quasi irreale agli occhi dell’Eldritch, oltre che uno spreco di tempo in piena regola, visto che avevano dovuto interrompere la presentazione del loro nuovo prodotto senza nemmeno una dimostrazione – fortunatamente si era trattato di una pubblicità preregistrata, se fosse stata una live avrebbe preso a manrovesci Flug, altro che accompagnarlo giù da quel tetto e curarsi persino che non mettesse in atto altre genialate, a citato esempio quella che era stato in procinto di fare sul bordo di un palazzo di quattro piani.
Aveva pensato si sarebbe buttato, lo aveva pensato davvero per un istante, e il suo corpo era… lo aveva sentito divenire rigido, lo aveva sentito divenire di pietra, ma non una pietra dura come il diamante, una pietra dura come la più scarsa grafite… e lo aveva sentito debole, debole come se le sue enormi capacità avrebbero potuto non essere sufficienti in quella malaugurata circostanza. Aveva agito quasi senza pensare, lo aveva afferrato con i suoi tentacoli ed allontanato da quella posizione pericolosa, ma neanche allora, nemmeno quando lo aveva poggiato a terra davanti a sé, quella strana sensazione lo aveva lasciato. Diavolo, si era sentito e si sentiva tutt’ora come un genitore timoroso che faceva ritrarre la sua prole da un balcone troppo alto! Ma, tornando indietro, sapeva che non avrebbe esitato a farlo di nuovo; lasciare che accadesse avrebbe significato perdere Flug – e il demone non poteva permettersi di perdere Flug, non lo scienziato che ogni altro villain avrebbe pagato caro per avere al proprio servizio.
Per quanto non fosse assolutamente disposto a dare via una simile informazione con facilità, ammetteva che parte del suo successo – una parte più estesa di quanto volesse coscientemente riconoscere – lo doveva a quell’umano, quella stramba matassa di nervosismo ed insicurezza che il dottore era sempre stato. Non sarebbe stato semplice trovare un sostituto in una sfortunata eventualità… forse, non lo avrebbe mai trovato nemmeno un valido sostituto.
Un bussare insistente provenne dalla porta del suo ufficio, segno che i suoi due dipendenti avevano prestato ascolto al suo richiamo – una volta tanto.
Congedata Demencia e rimasto solo Flug nervosamente in piedi sulla soglia, Black Hat si preparò allo sforzo non solo mentale, ma anche fisico che avrebbe dovuto fare per giungere esattamente dove voleva: ripristinare la fiducia dell’inventore e così sperare nel non ripetersi, in futuro, di disguidi di un simile calibro.
Rispetto a come lo aveva lasciato prima di quel colloquio, il dottore sembrava visibilmente più rilassato, e all’Eldritch certo non dispiacque, perché un Flug non troppo ansioso era un Flug più incline ad ascoltare.
« Vieni avanti, Flug. »
Il suo dipendente esitò, un piede che sostò brevemente davanti all’altro, prima di fare quanto gli era stato detto e avvicinarsi alla sua scrivania. Tuttavia, Black Hat preferì lasciare la sua sedia ed abbandonare qualsiasi sentore di professionalità potesse assumere quell’imminente dialogo; non era tempo di discutere di affari, cataloghi di armi mortali e simili, di quelli si sarebbe parlato in un altro momento.
« Flug- » « S-signore- »
Entrambi si interruppero.
Black Hat si accigliò, momentaneamente interdetto mentre osservava lo strizzarsi degli occhi del mortale attraverso le lenti di quegli enormi occhialoni. Avevano… stavano per parlare quasi nello stesso istante? Questo sì che era un fatto… curioso.
Flug si ritrasse incassando un poco le spalle, ma il demone gli fece cenno con una mano di proseguire. Non si sarebbe certo lasciato sfuggire quell’unica volta in cui lo scienziato pareva davvero intenzionato a prendere parola.
Il suo sottoposto assentì, deglutendo sempre in maniera fin troppo rumorosa per non farsi chiaramente udire, ma Black Hat aveva smesso già da tempo di prestare troppa attenzione a quei suoni.
« Signore, mi scuso per i disagi che il mio recente comportamento vi ha sicuramente causato. Vi assicuro che simili equivoci non capiteranno mai più. »
« Specifica, Flug. Voglio sapere da cosa è stato dipeso questo equivoco di cui parli. » Gli intimò l’Eldritch, socchiudendo con un’inquisizione inconscia le palpebre, cosa che spinse lo scienziato a mettersi nuovamente sulla difensiva, ad arretrare in sua presenza – e si rese conto troppo tardi dell’errore. Dannazione, lui era un villain, un conquistatore e distruttore di mondi, non un… non un consulente di qualche genere! Come poteva destreggiarsi meglio di così in un campo che non era chiaramente il suo?
Ringhiò tra sé e sé, facendo tuttavia attenzione a rendere quel ringhio silenzioso e non visto, la tesa del cappello lo facilitò in quest'ultima. Cosa facevano gli esseri umani in momenti di questo tipo? Si… si mostravano dispiaciuti, comprensivi, empatici e… diavolo, si sentiva sempre più nauseato ad ogni parola che gli stava attraversando la testa. Black Hat non era normalmente nessuno di questi aggettivi, non sapeva nemmeno come pienamente fingerne uno di quella breve lista. Tralasciando quelle che sarebbero state palesi manifestazioni emotive – puah! – cos’altro c’era che poteva utilizzare a suo vantaggio? Contatto fisico, forse? Sì, con quello magari se la sarebbe cavata senza fare troppi sacrifici, visto che contatti fisici tra lui e il suo dipendente non erano poi così estranei.
Sollevò la mano e sfiorò dapprima la spalla di Flug, come se il suo corpo stesse esitando nel compiere quel gesto. Non appena gli artigli coperti dai guanti toccarono il tessuto del camice, le sue dita si poggiarono seguendo l’esempio, e fu allora che il suo scienziato si accorse del contatto.
« Flug, ti sarai reso sicuramente conto di quanto tutta questa situazione sia controproducente per l’organizzazione. » Gli parlò, fissando il mortale dritto in quei suoi occhi un poco più larghi del normale. « Devo essere certo che tu possa svolgere il lavoro che ti compete al meglio, devo potermi fidare di nuovo del tuo buonsenso senza dover necessariamente trascorrere intere giornate a tenerti d’occhio. Ci siamo capiti? » 
L’inventore annuì, sostenendo miracolosamente il suo sguardo invece di abbassare gli occhi come di solito faceva.
« Sì, signore. H-ha… ha perfettamente ragione. »
Black Hat non mutò la serietà della sua espressione. Strinse leggermente la spalla dell’umano, prima di interrompere quel contatto ed incrociare le braccia al petto.
« Quindi? » Spronò, cercando di suonare perentorio al punto giusto, senza risultare necessariamente oppressivo.
Flug cessò per qualche secondo di trafficare con le maniche del camice, il suo intero organismo pareva essersi immobilizzato, cosa che il demone osò definire aliena se si trattava di un tipo ansioso come il suo sottoposto.
« Vi a-avevo… vi avevo sentito parlare al telefono con qualcuno… »
La serietà facciale di Black Hat si frantumò.
« Tu COSA? »
Flug emise un debole squittio, le sue mani scattarono verso l’alto nel tentativo forse di placare la sua nascente IRA.
« Non v-volevo farlo, non volevo farlo, signore! N-non era m-mia intenzione…! »
« Tu hai ORIGLIATO una mia conversazione privata, insulso vermiciattolo?! » Ringhiò l’Eldritch scoprendo le zanne, ogni fibra del suo volto si deformò sotto l’accesso di rabbia che fece tremare tutta la metà superiore del suo corpo. « PER QUESTO NON NE VOLEVI PARLARE, EH?! »
« P-per f-favore signore, p-per favore, l-la prego… » Flug si fece piccolo piccolo sotto di lui, talmente piccolo da finire con l’assomigliare ad un roditore che era stato appena catturato per la coda da una trappola. « P-per favore, B-Black Hat--! »
Qualcosa dentro Black Hat si bloccò, si acquietò, arrestando il concretizzarsi della sua furia in un ruggito collerico. Il vedere Flug rattrappirsi tanto miserevolmente di fronte a lui fu memoria fin troppo vivida dei recenti avvenimenti e lo turbò, lo turbò in qualche modo, fino a spingerlo a dare le spalle allo scienziato per non avercelo più sotto gli occhi. Così non andava bene, così NON andava bene. Doveva arrivare a dei risultati, e anche se aveva tutte le ragioni per reagire a questa maniera, doveva astenersi dal farlo, per il bene della sanità mentale di Flug e, per diretta estensione, del successo della sua organizzazione.
Con un enorme sforzo di volontà, costrinse i suoi muscoli facciali a rilassarsi e le zanne a ritrarsi nella sua bocca, le mascelle gli fremettero rigide quando la richiuse. Abbassò le braccia, forzandole a restare contro i suoi fianchi, a lasciarle lì ciondolare una volta che fosse passato da assolutamente furioso ad almeno incredibilmente stizzito.
Rilasciato un ultimo, iracondo respiro, Black Hat raddrizzò la schiena e si voltò nuovamente verso l’inventore, che lo stava fissando con sguardo più stralunato che intimorito.
« Per favore cosa, Flug? » Gli domandò a denti stretti il demone, il ringhio che stava reprimendo delineò una smorfia stirata sul suo volto.
Lo scienziato lo guardò tremolando, prima di chinare la testa, ad evitare ad ogni costo il suo sguardo inquisitorio.
« Mi l-lasci spiegare, signore… è quanto voleva sin dall’inizio, v-vero? »
L’Eldritch rimase in silenzio, fiducioso nel fatto che Flug avrebbe recepito il suo implicito messaggio di sbrigarsi, se voleva evitare conseguenze più spiacevoli di un semplice scatto di rabbia. Il mortale ebbe il buonsenso di non deluderlo.
« E-era… era stato quel giorno in cui mi avevate convocato nel vostro ufficio… » Iniziò Flug, le dita che avevano ripreso a trafficare con le maniche ormai stropicciate del camice. « Stavo per andarmene, per ritornare al laboratorio… ma poi vi avevo s-sentito pronunciare il mio nome e n-non ho… non ci ho tanto riflettuto sopra, lo ammetto, e sono terribilmente dispiaciuto p-per questo… »
Lo scienziato si fermò, giusto il tempo per alzare timorosamente gli occhi in sua direzione, come se avesse sperato di trovare qualcosa… cosa, Black Hat non lo sapeva – e nemmeno gli interessava in questo momento saperlo.
Flug riprese immediatamente dopo quella breve pausa.
« Credevo vi voleste liberare di me, che voleste assumere un altro scienziato al mio posto, magari p-persino la persona con cui stavate parlando… e avevate detto che mi avreste… ‘r-ridotto in poltiglia’ una volta trovato u-un… un sostituto… »
Il silenzio scese tra di loro non appena l’inventore ebbe chiuso bocca, un silenzio che Black Hat sfruttò per ponderare su ciò che gli era stato riferito. Aveva compreso a quale conversazione Flug si stesse riferendo, ma stava attualmente cercando di ricordare la parte del discorso in cui aveva, in teoria, pronunciato quelle parole a detta dello scienziato. Tacle, quell’impertinente di una donna-polipo, lo aveva chiamato solo per una chiacchierata amichevole delle sue in quell’occasione, una di quelle rare chiacchierate che il demone aveva l’occasione di tenere con lei una volta ogni tanto – tutt’ora non aveva idea del perché continuasse a tenersi in contatto con lei… forse, perché gli mancava in fondo parlare con un membro della sua stessa specie? Per quanto sentimentale fosse quella ragione, non ne aveva di migliori purtroppo da fornirsi.
Era stato da parecchio comunque che non si sentivano, dunque Black Hat le aveva raccontato a grandi linee del progetto con cui si stava al momento dilettando ( la sua organizzazione ovviamente ) e del personale che aveva assunto. Le aveva parlato di Flug, , e Tacle non aveva esattamente perso tempo nel sondare il terreno e assicurarsi così della competenza del suo scienziato, suggerendogli persino di provare a cercare fra altre specie che avevano un quoziente intellettivo mediamente più alto rispetto a quello di un essere umano e… oh. Adesso ricordava.
« Fluuug. » Digrignò i denti il demone, quasi macinandoli tra loro dall’irritazione. « Ero sarcastico, SARCASTICO, dannazione. »
Prima quella svampita di Tacle e poi Flug? Possibile che nessuno fosse in grado di capire il suo sarcasmo?!
« O-oh… » Esclamò con un bisbiglio il suo sottoposto, strofinandosi vergognosamente un braccio. « Qu-questo è… imbarazzante… »
Black Hat si massaggiò la fronte con un rauco brontolio, perfettamente in accordo con quel commento, ma del tutto intenzionato a non esprimerlo ad alta voce. Una situazione già di per sé assurda era divenuta ancora più assurda, come diavolo era possibile?
Non aveva parole, davvero – o meglio, ne aveva, ma sarebbero state imprecazioni in lingue che avrebbero fatto sanguinare le orecchie del suo attuale interlocutore. Meglio sbollentare la sua incredulità con qualcosa di produttivo… avrebbe sempre potuto fare una visitina al quartier generale di un manipolo di eroi nella città a fianco, se meglio ci pensava.
Tuttavia, parole che non fossero imprecazioni doveva trovarle, se voleva chiudere questa faccenda e assicurarsi che episodi simili non ricapitassero più. Sfortunatamente, sapeva alla perfezione quali parole avrebbero fatto al caso suo.
« Flug, lo dirò una sola volta e non lo ripeterò più, quindi ti consiglio di aprire le orecchie. Il tuo ruolo qui è fondamentale, e se ti lasci traviare da simili distrazioni la macchina che è la nostra organizzazione inizia a non funzionare più come dovrebbe. Fissatelo in testa, perché non mi sentirai pronunciare un altro discorso motivazionale di questo calibro. »
Flug, forse inconsapevolmente, aveva inclinato la testa insacchettata da un lato, come a mostrare evidente curiosità di fronte al suo nuovo intervento. Black Hat stirò con molestia un angolo della bocca, levando gli occhi al soffitto.
Avrebbe preferito non giungere fino a questo grado di onestà, ma la situazione a suo oggettivo parere lo aveva richiesto – e quanti sforzi questa situazione gli aveva, obiettivamente, già richiesto di fare? Uno in più non avrebbe fatto granché differenza.
« Jefecito… »
Black Hat trovò facilmente gli occhi dell’altro quando riportò la sua attenzione sullo scienziato. Flug non lo chiamava tanto spesso in quel modo, ma ogni volta che lo faceva… l’Eldritch sentiva il suo corpo rispondere attivamente a quel nome, come se una lieve ed inaspettata scossa lo avesse destato da un leggero dormiveglia.
« Che c’è? »
Gli parve riluttante Flug, come se per l’umano si stesse rivelando incredibilmente difficile andare oltre l’appellativo con cui aveva richiamato la sua attenzione.
« I-io… » Vide lo scienziato strizzare forte le palpebre prima di proseguire. « G-grazie, Jefecito. »
Il demone fissò con pupilla inamovibile quello che poteva vedere dell’espressione grata del mortale.
« Non scambiare quanto ho fatto oggi per gentilezza, Flug. »
« Non lo f-farei mai, signore. » Lo ‘rassicurò’ Flug, il leggero scricchiolare della carta gli indicò che il dottore doveva aver piegato le labbra in un sorriso. « Ma, da dipendente a datore di lavoro, vi ringrazio comunque per il v-vostro impegno. Darò fondo a tutte le mie conoscenze per i prossimi incarichi. »
Black Hat gli rivolse un sorriso piatto, ma pur di un sorriso il suo si trattava.
« Dimostrami che ho utilizzato bene il mio tempo, dottore. »
Flug annuì con una lieve concitazione.
« Sarà fatto, Jefecito. »








Sameko's side
Secondo capitolo in arrivo finalmente! Non pensavo mi sarebbe occorso così tanto tempo per pubblicarlo, ma non avendo nessuna scadenza da rispettare me la sono proprio presa comoda. v.v
Per questo aggiornamento ho un paio di headcanon e note di cui parlare:
- la specie di Lil’ Jack non è stata ancora resa nota e mi sono quindi data da fare per tappare questo buco. Dopo qualche ricerca, la mia scelta è ricaduta dunque sul pitone reticolato ( non ho potuto resistere all’immagine mentale di Black Hat comodamente sistemato tra le spire di un bestione del genere ).
- Demencia ( da brava fangirl ) sa molto più di quanto lascia intendere e nessuno può convincermi del contrario. v.v
- Tacle, come avrete ben inteso, è il nome della mia OC a cui avevo accennato nel primo capitolo ed è una Eldritch esattamente come Black Hat.
E credo di aver detto tutto! ^^
Alla prossima con il terzo ed ultimo capitolo!
Baci!
 
 
Sameko
 

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Capitolo 3
*** Chapter Three: Step by Step ***



Chapter Three: Step by Step
 
 
 


« Allora, Hat… ho qui un paio di personaggi che potrebbero fare al caso tuo per, sai, quella… quella roba dell’organizzazione malvagia eccetera eccetera… »
« Black Hat Organization, se non ti dispiace. »
« , beh, dell’originalità del nome discuteremo in diversa sede. »
Black Hat levò gli occhi al cielo con un grugnito mentre attendeva che quella piaga irrispettosa di Tacle tornasse a dargli l’attenzione che meritava gli fosse dedicata, visto che aveva benevolmente deciso di utilizzare qualche minuto del suo tempo per qualunque messinscena l’altra Eldritch stesse mettendo in atto… ma erano già ben dieci secondi che dallo schermo con cui stavano comunicando proveniva solo rumore di carta che veniva spostata, rispostata e anche accartocciata, in aggiunta al lieve borbottare di Tacle di cui non riusciva a carpire neanche mezza parola.
« Se il tuo obiettivo era sprecare il mio tempo e guastarmi l’umore, ci stai riuscendo, donna. » Ringhiò leggermente il demone, battendo gli artigli contro il bracciolo della sua lussuosa poltrona, il suo occhio visibile si stava contraendo nell’osservare sempre lo stesso disordine in cui versava lo studio alias laboratorio alias discarica ambulante di Tacle – e poi quella si stupiva anche di non riuscire mai a trovare niente all’occorrenza.
La testa dell’interessata entrò nel campo visivo dello schermo, alcuni tentacoli che solitamente le ricadevano dietro la schiena le stavano adesso penzolando scompostamente davanti agli occhi.
« Non era mia intenzione, Hat. » Negò lei con sguardo torvo, prima di tornare alla sua precedente mansione – qualunque essa fosse. « Tra l’altro, mi sorprende che tu sia riuscito a far partire la comunicazione stavolta, vista la tua destrezza pari a quella di un nonno quando si tratta di queste cose. »
Il ringhio che Black Hat rilasciò fu decisamente più udibile ed innervosito rispetto al suo predecessore.
« Ti avverto, sto per chiudere la comunicazione- »
« Ho finito, sono pronta! » Annunciò la donna, appostandosi nuovamente sulla sua sedia girevole con un bel pacco di fogli sottobraccio. Una sistematina ai suoi occhiali a mezzaluna e tolti i tentacoli dal viso, Tacle si schiarì la voce sollevando il primo della pila. « Allora, questo tizio tutto corna è uno Zabrak specializzato in nanotecnologia e non si fa problemi ad eliminare un intruso o due se ti servisse una guardia del corpo aggiuntiva. Quest’altro è un Muun, biotecnologie e finanza, potrebbe anche fare un po’ del tuo lavoro d’ufficio ogni tanto… »
E Tacle continuò a mostrargli uno per uno i volti di tutti quei figuri, riassumendo in poche parole le loro specializzazioni e abilità, mentre il demone stava abilmente fingendo di ascoltare tutto ciò che lei aveva da dire.
« Oppure, sai che c’è? Potresti assumere me direttamente, visto che tanto sono tutti loro messi assieme. » Concluse la Eldritch dopo il ventesimo foglio, i restanti finirono da parte sulla scrivania in mezzo ad altre probabili scartoffie. « Quindi, che ne pensi? »
Un ghigno a zanne scoperte si allungò sul volto oh così compiaciuto di Black Hat.
« Penso che hai svolto queste ricerche per nulla, Tacle, visto che nessuno di questi ‘stimati’ signori è di mio interesse – e te non fai certo eccezione, non voglio qualcuno che si crede mio pari a lavorare sotto di me. » Dichiarò, godendosi l’espressione indispettita che fece capolino sul viso della donna. « E, comunque, anche io ho già qualcuno che si sa destreggiare in ciascuno di questi campi. »
« Sei proprio un ingrato. Ho sgobbato molto per trovare dei sostituti per il tuo terrestre. È così che mi ripaghi? » Sbuffò la sua interlocutrice e Black Hat non pensò nemmeno per un istante di trattenere il suo sghignazzare.
« Nessuno te lo aveva chiesto, Tacle. » Replicò e, questa volta, fu in grado di innervosirla abbastanza da farle mostrare per un breve secondo i canini in un muto ringhio. « Ora, se vuoi scusarmi, ho un appuntamento a cui non posso mancare. »
Gli occhi serpentini di Tacle si assottigliarono in risposta alla sua dichiarazione.
« Beh, se sei contento tu delle prestazioni inferiori del tuo umano, suppongo siamo contenti tutti. » Disse, in tono di vaga minaccia. « E la comunicazione te la chiudo in faccia io, Hat. »
« Non OSARE-! » La avvertì il demone, troppo tardi purtroppo per impedire alla Eldritch di fare esattamente ciò che aveva preannunciato. Maledizione a lui e alla sua incapacità di far funzionare decentemente almeno uno di questi aggeggi tecnologici.
Poteva solo sperare che quel suo appuntamento gli avrebbe fatto passare l’irritazione lasciategli addosso da quella conversazione – gliela avrebbe fatta vedere la prossima volta che si sarebbero contattati, oh se gliela avrebbe fatta vedere a quella donna-polipo. Ora, se solo Flug si fosse degnato di presentarsi in orario davanti al suo ufficio, sarebbe stato certamente un buon inizio.
Per fortuna, le cose erano tornate normali nella magione dopo quello sgradito incidente… tuttavia, soltanto per un limitato periodo di tempo – un periodo che, secondo la modestissima opinione del più potente essere che avesse mai messo piede sulla Terra, era stato relativamente… breve. Una parte di lui si chiedeva cosa fosse cambiato esattamente nella relazione che intratteneva con il suo scienziato, cosa dentro o al di fuori di lui avesse portato a quel mutamento nel loro modo di rapportarsi l’uno con l’altro. Nulla, sostanzialmente – e avrebbe risposto in questo modo, se solo non ci fosse stata quella voce di dissenso ad elevarsi timidamente dal suo animo, a contraddirlo su quella che avrebbe dovuto essere una risposta secca e priva di esitazioni.
Non gli era stato semplice accettare la presenza di quella vocina insolente, di ancora più tempo aveva necessitato per ammettere che avesse effettivamente ragione – ma non del tutto, eh, non del tutto, lui era ancora Black Hat, il villain definitivo, una perfetta macchina da guerra che sentiva lo stomaco formicolare ogni volta che contava i pochi minuti che lo separavano dall’arrivo dello scienziato nel suo ufficio… oh, dannazione. Questa sensazione corporale, questa impazienza, tutto questo era ridicolo… e, allo stesso tempo, non lo era. Non riusciva a forzare più indignazione di così in quel pensiero e, tantomeno, riusciva a dannarsi ancora di più di fronte a quella sua incapacità, non quando Flug era in ritardo di ben due minuti, che cosa diavolo stava combinando per farlo attendere in questo mod
Black Hat imprecò a bassa voce sotto il proprio respiro, massaggiandosi le meningi. Pensieri sotto controllo, pensieri sotto controllo, non dovevano vagare indisturbati in una maniera tanto indecente! Se Flug era in ritardo, era perché stava lavorando per lui, ed era giusto che lavorasse per lui, ma quei minuti che adesso erano diventati tre erano… erano pur sempre minuti che l’Eldritch apprezzava trascorrere con quell’umano impacciato, ma interessante come pochi.
Tre colpi precisamente scanditi alla porta del suo ufficio gli annunciarono l’arrivo tanto atteso dell’oggetto dei suoi attuali pensieri.
Il demone si schiarì brevemente la gola, sistemandosi il colletto del soprabito. La sua non tanto estesa pazienza era stata finalmente premiata.
« Entra, Flug. »
Appena ricevuto il permesso, il viso insacchettato dell’inventore fece capolino dal piccolo spazio che separava le due ante della porta – mingherlino com’era, Flug vi era passato in mezzo senza problemi.
« Buon pomeriggio, sign- »
« Sei in ritardo. » Non mancò di fargli notare Black Hat, facendogli nel frattempo segno di sedersi sulla sua solita poltrona, richiesta a cui lo scienziato obbedì immediatamente. « Pretendo che tratti con lo stesso rispetto le tue pause così come le tue ore di lavoro. »
« Lo so, signore. Ma, v-vede, mi mancavano giusto gli ultimi dieci pezzi per completare il nostro prossimo ordine e non potevo smettere quando ero ad un passo dal completare l’incarico. »
Black Hat sogghignò non visto nell’udire la replica dello scienziato, mentre gli dava le spalle per versare in una tazza l’acqua calda per un tè. Era ovviamente una piacevole notizia questa per lui, le ordinazioni dovevano essere sempre portate a termine entro un certo tempo limite, altrimenti la sua organizzazione avrebbe cominciato a perdere prestigio. Apprendere che Flug aveva ultimato quella fornitura con un largo anticipo lo rabbonì un poco e gli fece soprassedere sul ritardo riportato dal suo sottoposto.
Messa in ammollo la bustina di infuso di passiflora nella tazza – infuso che aveva scelto personalmente, così quell’irresponsabile di Flug sarebbe stato costretto a smettere di lavorare superato un certo orario –, fece fluttuare il recipiente in direzione dello scienziato, il quale lo accolse cautamente tra le sue mani.
« Grazie, signore. » Disse quest’ultimo, poggiandosi la tazza in grembo, in attesa probabilmente che si raffreddasse per portarsela alla bocca.
Black Hat gli rispose con un lieve cenno del mento, preparando per sé un martini. Durante i loro primi ritrovi pomeridiani di quel genere, era stato solito offrire a Flug del caffè, ma lo aveva presto sostituito con del tè quando si era reso conto delle quantità già eccessive con cui l’inventore consumava quella bevanda terrestre già all’infuori delle loro visite. Per quanto incredibilmente dotato e fuori dal comune, Flug restava pur sempre un essere umano, e non doveva trascurare quelli che erano i suoi bisogni primari. All’inizio, Black Hat lo aveva fatto per meglio assicurarsi di ottenere il massimo delle prestazioni dal suo dipendente. Ora, si curava effettivamente che Flug assumesse quei liquidi quotidianamente e ci teneva che Flug lo facesse – ed era strano per lui riferirsi a questo sentimento di aspettativa con un simile termine, ma si rendeva conto che non ce n’erano purtroppo di più adatti... o meno smielati.
Perché proprio infuso di passiflora tra tanti? Perché l’Eldritch sapeva che uno dei suoi precedenti scienziati utilizzava spesso infuso di passiflora – che doveva essere una pianta terrestre, secondo le sue informazioni? – come rimedio contro ansia e stress… o, almeno, lo aveva utilizzato, questo finché il demone non lo aveva tolto di mezzo in seguito ad un fallito tentativo di assassinio. Che nervi se solo ci ripensava
Preparato il suo cocktail, Black Hat si sedette sulla poltrona di fronte a quella di Flug, a sorseggiare quella miscela che pizzicava a malapena nella sua gola a prova di qualsiasi veleno, sostanza acida e ovviamente alcool – di quello era sicuro ce ne sarebbero voluti barili e barili prima che cominciasse a sentire anche un piccolo giramento di testa. Quanto meno, il sapore gli era gradito abbastanza da assumerlo ogni qualvolta lo desiderasse.
« Mi fa piacere sentire che ci sono progressi. » Disse, allontanando il bicchiere dalle labbra, un sorriso a malapena percepibile a farle incurvare.
Lo scienziato parve sorridere da sotto la busta, prima di alzare la suddetta busta e dare un primo assaggio al suo tè.
« Demencia fortunatamente è stata molto collaborativa, ostacolava il lavoro meno del solito. » Spiegò l’umano. « E… vorrebbe avere un’altra sua foto di profilo, da aggiungere alla sua collezione, sa… »
Black Hat emise un verso spazientito, roteando gli occhi.
« Non ne aveva già una? »
« Beh, c-certo, signore. Ma, da quanto ho capito, credo l’abbia rovinata cercando di fare un collage… » Gli rispose con una desolata difficoltà Flug, battendo nervosamente le dita contro la tazza che stava reggendo nel momento in cui un borbottio lasciò la bocca increspata del demone.
« La accontenterò solo se manterrà la buona condotta che ha avuto finora. »
L’inventore annuì, probabilmente sul punto di replicare, ma Black Hat lo interruppe.
« E se la smetterà di tendermi agguati per slinguazzarmi la guancia. »
Un suono strano si elevò dalle parti del suo dipendente, come se Flug avesse appena soppresso una risata.
« Intende i baci, signore? »
« Sì, quei… quelli. » Rispose il demone, gesticolando disgustato con la mano libera. « Sono assolutamente ripugnanti! »
Il suo sottoposto gli rivolse un discreto sguardo interrogativo.
« Non è una… cosa molto comune in altre specie? » Domandò con una scientifica curiosità nel suo tono di voce.
« In alcune, sì, lo è… ma gli esseri umani sono davvero appiccicosi. » Chiarì Black Hat, non sforzandosi minimamente di trattenere la smorfia sul suo volto. « Invadono continuamente lo spazio personale altrui persino tra estranei! »
Flug rilasciò una piccola risatina stavolta, ritraendosi solo un pochino quando l’Eldritch gli rivolse un’occhiata infastidita. Lo scienziato si schiarì imbarazzato la gola, rendendogli noto che aveva intenzione di riprendere parola.
« Penso abbia ragione sotto un certo punto di vista, signore. Siamo probabilmente una specie anomala, considerata la nostra generale socievolezza… invadiamo continuamente lo spazio personale altrui perché, uhm, è così che ci conosciamo tra di noi, c-come avrà sicuramente notato… ed è così anche che dimostriamo di avere dei sentimenti verso i nostri simili… e i baci sono, per gli esseri umani, un gesto di saluto, o una particolare manifestazione di affetto, amore… o-o entrambi… »
La voce dell’inventore si era fatta progressivamente più bassa man mano che forniva quei chiarimenti. Black Hat lo aveva ascoltato con un ostentato disinteresse mentre sorseggiava il suo martini, osservando con la coda dell’occhio come anche Flug avesse cominciato a fare lo stesso con il suo tè.
C’era di nuovo quel formicolio a livello del suo ventre, che il demone si era sforzato di ignorare con un atteggiamento apparentemente distaccato… ma non poteva trascurare come adesso quel formicolio si fosse esteso fino a raggiungere le sue dita artigliate – quelle della sua mano libera si stavano particolarmente contraendo dove le aveva appoggiate sulla coscia.
Era nervoso, per qualche motivo… ma non un nervoso causato dall’irritazione, no, la sua origine era ben diversa, ma… sconosciuta.
Continuandola a cercare e finendo con l’imputare la causa al graduale silenzio di Flug, cercò di farsi venire in mente una domanda che potesse spingerlo a riprendere da dove si erano interrotti.
« E… tu che ne pensi a riguardo? »
Non era suonato troppo convinto, ma confidava nel fatto che sarebbe stato sufficiente per raggiungere il suo scopo.
Lo scienziato sobbalzò impercettibilmente, una smorfia sul suo viso che fu facile per l’Eldritch da intuire, visto il raggrinzirsi della carta. Non altrettanto semplice, tuttavia, gli fu intuirne la natura.
« O-oh… io penso che s-sono davvero dei bei gesti, se provengono dalla giusta persona… non prendete d’esempio quelli di Demencia, l-lei tende ad esagerare… » Rispose sinceramente Flug – lo percepiva che era stato sincero –, cosa che gli fece alzare un sopracciglio in perplessità.
« Giusta persona? »
Il suo sottoposto annuì con un certo margine di esitanza e… imbarazzo, forse? Sembrava proprio così, il modo in cui i suoi occhi evitanti si guardavano un poco attorno, la lieve rigidità con cui teneva i gomiti un po’ più accostati al corpo…
Perché Flug era imbarazzato?
« Sì… una persona c-che ci tiene a m-me, intendo... » Mormorò quest’ultimo, con un sorprendente grado di sicurezza nonostante il suo atteggiamento tentennante.
Black Hat abbassò lo sguardo, battendo distrattamente gli artigli sul bracciolo della poltrona.
« Capisco. » Disse. Ma non capiva in verità… non del tutto, almeno. Come funzionava una qualunque relazione tra due normali esseri umani, com’era fatta una persona che tiene ad un’altra persona… questa era una cosa che Flug doveva spiegargli. « Quali caratteristiche deve avere questa persona? »
Il dottore parve essere stato preso in contropiede da quella domanda, a giudicare dallo strabuzzare insistente degli occhi.
« Beh, ecco… » Lo scienziato posò cautamente la tazza sul tavolino che divideva le due poltrone e alzò l’indice di una mano. « P-primo, questa persona d-dovrebbe essere disposta all’ascolto, n-nelle questioni comuni come nelle questioni più serie… è una cosa fondamentale… secondo… manifestazioni di interesse verso il… mio benestare… perché è questo che si fa in una relazione, ci si preoccupa l’uno dell’altro… e suppongo io darei molte preoccupazioni a chiunque, visto che n-non sono bravo a prendermi cura di me stesso… »
« Sei proprio pessimo sotto questo punto. » Commentò con un sorriso di lieve ironia Black Hat, strappando una breve risata all’inventore.
« Lo so, diventa un problema a volte. » Concordò con lui Flug, una volta che ebbe soppresso una seconda risata in favore del discorso che doveva ancora terminare. Un ultimo dito si era sommato ai precedenti due che aveva già alzato. « E… terzo… ci deve essere un sentimento s-sincero ad unirci, un sentimento vero e… e disinteressato. »
Il suo scienziato si interruppe nel momento in cui notò la sua espressione stranita.
« Oh… so c-che sono concetti difficili da comprendere fino in fondo e sono, obiettivamene, troppo complessi p-per essere riassunti in questo modo… se h-ha bisogno che m-mi ripeta, lo farò c-con piacere- »
« Non ce ne sarà bisogno, Flug. » Lo fermò Black Hat, alzando leggermente la mano libera a sottolineare quanto aveva detto. « Credo di aver… capito. »
Di certo, l’argomento gli era più chiaro rispetto a prima, tuttavia la sua mente stava ancora cercando di venirci a capo. Alcuni di quei ‘requisiti’ erano talmente semplici che persino un marmocchio avrebbe potuto soddisfarli, ma altri… altri sembravano quasi inconciliabili con la sua mentalità. Molte di queste nozioni gli sarebbero tornate sicuramente utili nella manipolazione di avversari pericolosi, avversari che la forza bruta da sola non avrebbe potuto sbaragliare – non che credesse che circostanze del genere si sarebbero realizzate tanto facilmente, nessuno era mai giunto nemmeno a sfiorare il vertice della sua pressoché infinita potenza –, ma potevano essere da lui sfruttate in maniera… differente?
Differente in che senso non lo sapeva. E, invece di cercare di afferrare il significato complessivo delle parole di Flug, la sua mente stava utilizzando quei tre punti cardine come metro di paragone.
“ Io… faccio tutte queste cose con… Flug? ”
Non ne era sicuro, non ne era per niente sicuro, i suoi pensieri erano piuttosto discordanti tra loro. Oltre a non essere sicuro, era anche confuso, quella conversazione lo aveva confuso, gli aveva ficcato in testa riflessioni che gli erano estranee. E c’era questa… sensazione di vuoto ora… una sensazione che gli stava rendendo pesante il petto, che stava in qualche modo appianando la sua confusione, ma nulla di ciò che restava al suo posto era… positivo. Era come se gli mancasse qualcosa… era come se volesse quel qualcosa con un ardire per ora debole, ma che sembrava essere destinato a crescere nel tempo… e non capiva che cos’era questa sensazione, non ricordava di averla mai sperimentata.
Mise giù il bicchiere mezzo vuoto del suo cocktail, resosi conto che non ne voleva più un goccio.
Non capiva, più si arrovellava su quella questione, più la risposta gli sfuggiva.
« Jefecito? »
Black Hat abbassò la testa, nascondendola dietro alle mani che intrecciò davanti al volto. Lo svolazzio che si agitava nel suo petto quando udiva quell'appellativo fu accompagnato da un intensificarsi di quella sensazione senza nome, unito ad un senso di riconoscimento, di appartenenza.
Quell’umano stava incasinando la sua mente ed il suo corpo, il demone ne era consapevole, ma non voleva cedere e restare nell’ignoranza completa di ciò che gli stava accadendo. Doveva sapere che cos’erano queste reazioni, cosa significavano, come farle sparire, o quanto meno conviverci.
« Flug, ho una domanda per te. » Annunciò e l’attenzione dello scienziato fu tutta su di lui nel momento in cui lo vide raddrizzare la schiena leggermente incurvata. Black Hat piegò le labbra in una smorfia che l’intreccio delle sue mani nascose alla vista del suo dipendente. Doveva porre un quesito che fosse abbastanza vago da non far pensare al dottore che lo riguardava personalmente e, allo stesso tempo, mirato ad ottenere le risposte che voleva. « Gli umani cosa sentono quando… manca loro qualcosa? »
Flug inclinò leggermente il capo in avanti, segno che stava ponderando il suo quesito.
« Mh… potrebbe essere più specifico, signore? Mi servono maggiori dettagli… »
Il demone ringhiò internamente. Avrebbe sempre potuto ritirare la domanda, ma forse adesso era troppo tardi per farlo.
« Quando sentono che manca loro qualcosa, ed è qualcosa che ritengono importante... e c'è pesantezza... » Abbassò una mano, serrandola in un pugno e battendosela contro il petto. « Qui. »
Lo scienziato sembrò osservare interessato la sua gestualità prima di accingersi a parlare.
« Uh... brama? »
Black Hat storse la bocca.
« Direi di no. » La avrebbe senza dubbio riconosciuta, se fosse stato quello il caso.
« Nostalgia? » Tentò ancora il suo sottoposto.
« Assolutamente no. » Quasi ringhiò l’Eldritch.
Per chi lo stava prendendo Flug? Per un idiota sentimentale?
Si costrinse a reprimere la replica irritata che stava per rifilare all’inventore, poiché una simile reazione avrebbe solo fatto saltare la sua copertura; non stavano parlando di lui dopotutto, per come aveva impostato all’inizio la conversazione, quello era un discorso generalizzato – e non concentrato sul singolo.
Il suo sottoposto si zittì dopo aver sentito lo sdegno sottostante il suo tono di voce. Trascorse qualche secondo, in cui Black Hat aveva quasi potuto percepire i pensieri dello scienziato rumoreggiare nel silenzio che era sceso su di loro.  
Flug alzò con riluttanza gli occhi, pollice ed indice che pizzicavano nervosi la manica sinistra del suo camice.
« Se non sono indiscreto, vi vorrei chiedere… È qualcosa c-che riguarda voi, Jefecito? »
« Sei molto indiscreto. » Confermò senza mezze misure Black Hat, contrariato da quella insinuazione e da come l’utilizzo di quel soprannome non lo avesse fatto sentire contrariato a sufficienza.
Strinse in un pugno una delle mani che aveva poggiato contro il ginocchio, gli artigli che minacciavano di lacerare la pelle del guanto che li ricopriva. Per quanto a volte fosse propenso a sottovalutarne l’acume, Flug non era stupido… se lo fosse stato, certo non lo avrebbe assunto come suo scienziato personale, di certo non dopo che quel suo aereo gli aveva sfondato il tetto qualche anno prima.
Che senso aveva a questo punto negarlo? Il suo dipendente aveva già fatto tutti i collegamenti necessari e, se si fosse ostinato a contraddirlo, chi aveva da rimetterci sarebbe stato solamente lui, che non avrebbe in questo modo ricevuto le delucidazioni di cui necessitava.
Rilassò quel pugno inclemente, rialzando il capo e notando in tempo il rispettivo rialzarsi di quello del dottore, non abbastanza rapido nel nascondere la soggezione con cui doveva aver osservato il suo gesto.
« Sì, Flug. Lo è. » Si arrese infine, cosa che parve far tranquillizzare lo scienziato nonostante il tono insofferente con cui aveva pronunciato quella confessione.
Flug annuì, l’armeggiare delle sue dita con le maniche ebbe un improvviso arresto.
« G-grazie per aver chiarito, signore. Mi ha semplificato il c-compito. » Disse, con un lieve sorriso che l’Eldritch fu capace di percepire solamente udendo la voce dell’altro. « Le… dispiace se le faccio a mia volta un’altra domanda? Al fine d-di rispondere alla sua, ovviamente. »
Il demone strinse lievemente le palpebre, non del tutto a suo agio con l’idea di aver rivelato a Flug una cosa che lo faceva sentire un po’ più esposto del solito – e Black Hat raramente si esponeva. L’inventore, tuttavia, dava l’impressione di apprezzare quella confidenza, i suoi occhi erano un poco strizzati dall’interesse all’interno degli occhialoni.
Assentì e il suo scienziato non aspettò per porgli il suo interrogativo.
« Quel qualcosa che vi manca… è un qualcosa che credete non potrete mai avere, o che potrete ottenere solo con tante difficoltà? »
Il demone strinse un poco le labbra, cercando di ritrovarsi nella descrizione che gli era stata fornita… e gli elementi che combaciavano c’erano eccome, soltanto che da solo non era stato in grado di analizzare quella sensazione con così tanta precisione.
« Suppongo…? » Disse, a metà tra una conferma ed ancora un permanente diniego.
« Questo vi provoca un certo grado di… f-frustrazione? » Chiese nuovamente il suo sottoposto, con un tono incalzante di cui Black Hat lo aveva sentito far uso solo in rare occasioni.
« Potrebbe certamente in futuro. »
Aveva a stento contenuto il sottile ringhiare nella sua voce alla prospettiva che quella percezione sconosciuta potesse causargli un disturbo così protratto nel tempo – già stava accadendo ora, vista la sua totale incapacità di autoanalisi e il dover ricorrere all’aiuto di qualcun altro per inquadrare il problema.
Flug annuì in comprensione, come se la sua testa avesse tutto ciò che era essenziale per mettere insieme i pezzi di un puzzle non così complesso.
« Ho la risposta, signore. » Annunciò quest’ultimo. « Voi siete insoddisfatto. »
« Inso… insoddiche? » Provò a ripetere il demone, le sopracciglia severamente inarcate, il labbro superiore arricciato a mostrare i denti in una smorfia. Perché gli suonava tanto strana quella parola sulla lingua?
« È un sentimento che nasce dall’inappagamento… siete convinto che non state facendo abbastanza, che non state ricevendo abbastanza in un determinato segmento della vostra vita, e ciò vi causa questo particolare tipo di sconforto. » Gli spiegò in dettaglio Flug, gesticolando brevemente con le mani.
L’espressione sul volto dell’Eldritch non mutò di una virgola.
« Come fai ad essere così sicuro che sia questa la risposta esatta? »
L’inventore spostò un poco le gambe, palesemente a disagio.
« P-perché… » Ci fu riluttanza persino maggiore nella voce dell’altro, ora ridotta quasi ad un mormorio. « È un sentimento con cui ho una certa familiarità… l’ho provato t-tante volte in passato… e, in un modo o nell’altro, m-mi ha sempre intralciato. »
Black Hat aggrottò le sopracciglia, osservando il lieve strofinare di uno dei talloni di Flug contro il pavimento. Quel dialogare pareva essere giunto ad un punto che entrambi sembravano intenzionati ad evitare di trattare.
Insoddisfazione era dunque il nome del suo malessere, un malessere del tutto nuovo per il demone immortale, di cui mai nella sua lunga esistenza aveva fatto esperienza, perché Black Hat aveva sempre ottenuto ogni cosa, raggiunto con successo ogni obiettivo; la questione era sempre girata intorno agli sforzi che doveva scegliere di impiegare nel suo raggiungimento e che avrebbero più o meno ridotto il suo tempo di attesa. Apprendere di questo sentimento ( come Flug lo chiamava ), fu come apprendere di una sconfitta che l’Eldritch non pensava di aver subìto. Aveva fallito, o stava fallendo in qualcosa, e quel concetto gli parve alieno e ripugnante.
« Si può curare? » Chiese impaziente, riappropriandosi quasi rudemente dell’attenzione dello scienziato.
Il dottore sobbalzò impercettibilmente, una mano che saettò rapida in alto davanti al petto – a cosa diavolo stava pensando Flug per apparire così trasalito?
« N-non è una malattia, s-signore. A volte, è solo un segnale d’avviso, di cui s-si dovrebbe tener conto. » Replicò semplicemente il suo sottoposto, trattando quella che lui stava cominciando a considerare una grave questione come se fosse una normalità inevitabile. « È sufficiente trattarla con la giusta attenzione per non f-farsi sopraffare da essa… ed arrivare così ad un traguardo c-che reputerete soddisfacente. È u-un’arma a doppio taglio, ma è p-possibile dominarla. »
« E tu l’hai dominata, Flug? » Non poté astenersi dall’indagare Black Hat.
Flug sembrò sul punto di rilasciare un sospiro, uno di quei sospiri pesanti, che sono indicazione di rammarico per una colpa passata.
« Non ancora… » Confessò, stringendo compattamente le mani l’una contro l’altra. « Ma c-certo starò più attento, considerando ciò di cui è stata indirettamente c-causa l’ultima volta... »
Il demone comprese senza difficoltà dove la mente dell’umano fosse andata a cacciarsi, quali memorie fosse probabilmente andato a ripescare, quale fosse quell’ultima volta che aveva implicitamente menzionato. Quella confessione fu ulteriore garante della volontà dello scienziato di imparare da quell’episodio dell’equivoco per non ripetere lo stesso errore in futuro. Flug, d’altronde, era sempre stato così: imparava, e lo faceva in fretta e con convinzione, una qualità superiore che alcuni esseri umani potevano solo sognarsi di possedere.
« Credo che la mia pausa sia terminata, signore. » Constatò timidamente il suo dipendente, guanto di gomma arrotolato per controllare l’ora sul suo orologio da polso.
Black Hat gli rivolse un cenno con il mento, segno che poteva alzarsi se lo desiderava e tornare al suo lavoro.
Non appena Flug si rimise in piedi e fece per raggiungere la porta, il demone evocò un tentacolo d’ombra con cui lo trattenne per una spalla.
« Il tuo tè, Flug. Bevilo. »
« Oh, c-certo, Jefecito. » Disse scusevole l’inventore, affrettandosi a finire la bevanda che aveva appoggiato precedentemente sul tavolino.
La vuotò tutta in pochi sorsi, probabilmente perché metà della tazza era già stata consumata, e la riappoggiò cautamente sul basso ripiano.
« G-grazie per la chiacchierata. » Sussurrò riconoscente Flug, segno che nonostante la serietà del loro dialogare quelli erano stati minuti di pausa graditi.
Black Hat incrociò le braccia, non proprio contro il petto, ma poco sopra il ventre, in uno svogliato tentativo volto a frenare il tenue formicolio che lo aveva lì colpito. Di questa sensazione di inusuale impazienza, di attesa nei confronti della presenza dell’altro e di benessere ogni qualvolta quell’attesa giungeva al suo termine, non ne avrebbe certamente parlato. Preferiva tenerselo per sé per adesso, in attesa che questa volta arrivasse da solo a vederci un po’ più chiaro.
« Stesso zelo di prima, dottore. »
Una raccomandazione forse un po’ superflua, ma era l’unica che desiderasse esprimere in questo momento.
« Ci può contare, Jefecito. » Sorrise Flug, un sorriso che fece divenire quel formicolio una piccola fitta, non una fitta insofferente, ma una che giunse a tirare insistentemente agli angoli della sua bocca.
Fu con un gesto di congedo che il demone salutò l’inventore, contando sulla copertura che la tesa del cappello poteva offrirgli per celare il proprio volto alla vista dell’altro.
Sentito il cliccare della maniglia della porta, si portò una mano in alto, a tastarsi le labbra di cui percepì la leggera curvatura. Era proprio quello che aveva pensato che fosse. E non se ne scandalizzò, non come durante le prime occasioni in cui era capitato.
E c’era come ogni volta quel desiderio insistente, quasi pressante, che stava cercando di corrompere almeno una piccola parte di lui affinché si decidesse a richiamare indietro Flug… e quello arrivava sempre vicino a fargli dolere il petto quando quelle visite si concludevano.
Era iniziato tutto lentamente e discretamente, con un lieve intorpidimento che era a malapena notabile. Era stato solo quando quelle percezioni insolite si erano fatte più evidenti e facili da riconoscere che Black Hat aveva realizzato, finalmente, che qualcosa non andava con il suo organismo. E questi sintomi insorgevano ogni volta che lo scienziato gli era appresso, ma anche nei momenti più vari e diversi fra loro, sia che stesse ricoprendo il suo ruolo di leader dell’organizzazione, sia che stesse facendo qualcosa che non concerneva il lavoro. In quei momenti, la sua abitudinaria indolenza cresceva, mentre mani e braccia gli prudevano per il bisogno di afferrare e stringere, non per uccidere, bensì per… per qualcosa che con la morte, la malvagità e la sua caratteristica spietatezza aveva ben poco a che fare. E queste erano parti essenziali del suo essere, le uniche che avrebbero dovuto accompagnare ogni sua azione, ma che in questi casi Black Hat era impossibilitato a ripescare.
Abbassata la mano dal proprio volto, si limitò ad attendere il ristabilirsi di un qualsivoglia equilibrio nel suo corpo, cosa che richiese da qualche minuto ad almeno una decina di essi.
Calmato il brulicare del suo stomaco e quell’istinto che pareva spingerlo senza demordere a cercare un legame fisico, si appoggiò contro lo schienale della poltrona, braccia mollemente conserte e i suoi occhi che fissavano il soffitto senza un particolare interesse.
Era tempo di capire fino in fondo cosa lo stesse rendendo insoddisfatto e di risolvere il problema alla radice.
 
 
Era un pomeriggio sorprendentemente tranquillo nel laboratorio, uno di quei pomeriggi in cui Flug aveva piacere di rimboccarsi le maniche e gettarsi a capofitto in uno dei suoi progetti.
Il grande locale era silenzioso, solo i rumori degli attrezzi che spostava potevano essere uditi in quella piacevole quiete. 5.0.5. non era lì con lui ad osservare incuriosito il suo lavoro. Nemmeno Demencia era presente, come al solito, a guardare per toccare e rompere spesse volte qualcosa. Non poteva non chiedersi dove fossero andati a finire quei due, ma probabilmente l'orso stava solo cercando di rassettare la vasta magione tra un dispetto e l'altro perpetrategli da Demencia ( normale anche quello ).
L'atmosfera era così pacifica che Flug sentì proprio il bisogno di rilasciare un sospiro contento – giornate di questo tipo potevano solo far bene ogni tanto.
Aveva giusto le mani immerse nei circuiti del pannello di controllo di un nuovo marchingegno, le sue dita sottili che si destreggiavano abilmente fra i cavetti, quando aveva avuto la distinta sensazione di essere osservato – e solitamente, in un luogo come Black Hat Manor, quella sensazione si rivelava essere sempre corretta.
Voltò un poco la testa per controllarsi le spalle e fu così che scoprì l'identità del suo visitatore, nientedimeno che Black Hat in persona.
« Buon pomeriggio, signore. » Lo salutò Flug, sorpreso dentro di sé di vedere il suo capo da quelle parti.
« Buon pomeriggio, dottore. » Gli rispose Black Hat con un breve cenno del capo, voce impersonale e analitica. « Come procedono le cose? »
Oh... era qui solo per controllare i suoi progressi, a quanto pareva. Non che ciò gli recasse alcun disturbo, ma Flug aveva creduto fosse un altro il motivo di quella visita, dato che raramente aveva visto il suo superiore raggiungerlo in laboratorio ad un simile orario. Non che il demone avesse una tabella precisa, ma comunque...
« Procede tutto liscio, signore. Con le migliori probabilità, questo sarà pronto domani. » Replicò Flug al termine di quelle considerazioni mentali, battendo con dolcezza una mano a lato del pannello di controllo.
Black Hat a malapena annuì, limitandosi a confermargli che quanto aveva detto era stato ascoltato.
Lo scienziato indugiò per un secondo di più con lo sguardo, ad osservare il volto e, in generale, l'attuale atteggiamento dell'Eldritch: il suo occhio visibile stava vagando lungo le componenti d'arredo del laboratorio e sul macchinario su cui stava lavorando, evitando tuttavia di concentrarsi troppo su di lui. Sembrava stesse cercando di proposito di volgere lo sguardo altrove e Flug trovò bizzarro quel fatto; non ricordava di aver mai visto Black Hat comportarsi in quel modo, doveva essere la prima volta in anni di servizio. Il suo capo pareva quasi preda di un leggero disagio, a giudicare anche da come non era in posizione frontale che era attualmente posto, ma piuttosto rivolto con il corpo verso un lato.
L'inventore riconobbe comunque che la presenza dell’altro non doveva essere ragione di distrazione: il suo capo era lì e doveva pertanto continuare come se nulla fosse, cosa che visto il silenzio del suo superiore non gli risultò difficile… a risultargli difficile fu, tuttavia, riuscire a frenare la curiosità che quell’apparizione inattesa aveva fatto emergere nel suo animo. Non voleva esattamente importunare l’Eldritch, se c’era una cosa che Black Hat odiava era dover rispondere delle sue azioni a qualcuno, visto che credeva non a torto di essere il solo capo di sé stesso – e Flug non poteva contestare quella convinzione assolutamente fondata.
Controllando un’ultima volta i circuiti, si rese conto che uno del mucchio si era sfilacciato e doveva essere ovviamente sostituito. Separando il filo danneggiato da quelli funzionanti, si alzò dalla sua posizione china per andare a prendere delle pinze dal bancone. Ne scelse un paio con un’apertura relativamente ridotta, visto che il suo doveva essere un lavoro di precisione. Facendo per voltarsi, il suo gomito aveva a stento sfiorato un qualcosa che prima non c’era che subito l’inventore si era ritratto di fronte al verificarsi di quel contatto. Black Hat sostava improvvisamente in quel punto, come se in quei due secondi che gli erano occorsi per scegliere l’arnese si fosse vaporizzato nell’aria per poi ricomparire lì ( cosa che probabilmente aveva fatto ).
Flug alzò il capo, a cercare nell’occhio del demone una spiegazione per tutto questo, che fosse il desiderio di giocargli un piccolo spavento o altro. Quell’iride stava contraccambiando il suo sguardo, con un’intensità potente, ma… altalenante… come se fosse successo qualcosa di sbagliato in quel momento, qualcosa che non era previsto accadesse…?
Si rese conto solo allora di come una delle sue mani si era andata a poggiare nell’incavo del collo del demone, il colletto alto l’unica barriera tra il lattice dei suoi guantoni e la pelle cinerea che vi era al di sotto. Flug la allontanò, le dita gli tremolarono un poco, così come il respiro che aveva rilasciato e che doveva essere stato chiaramente udito dal demone. O-oh dio… lui aveva solo voluto allontanare quello che aveva percepito come un oggetto estraneo ed inaspettato… non pensava minimamente c-che
« M-mi scusi, signore, non v-vi avevo visto- »
« Flug. »
Flug sbatté le palpebre.
« S-sì… signore? » Replicò, preso in contropiede da quell’interruzione.
Un angolo della bocca di Black Hat si irrigidì impercettibilmente.
« Potresti… rifarlo? »
Lo scienziato fu più confuso di prima.
« Che cosa, signore? »
« La mano, Flug. » Specificò l’Eldritch, quasi impaziente… o, forse, agitato? Era difficile dirlo, visto quanto improbabile gli sembrasse la seconda opzione, ma nondimeno Flug obbedì alla richiesta che gli era stata mossa.
Alzò la mano e la rimise con una certa soggezione a lato del collo coperto del suo superiore. C’era un tenue battito sotto le sue dita, che non aveva nemmeno percepito qualche secondo prima, e l’inventore sapeva perfettamente a cosa appartenevano i battiti percepiti in quel punto nel corpo di un umano… ma Black Hat non era umano, e restò dunque disorientato da quella percezione.
Quel pulsare contro i suoi polpastrelli si fece ben più percepibile man mano che i secondi passavano e Flug rimase sempre più sbalordito da quella scoperta.
Quando si decise a distogliere lo sguardo da quel punto, il volto del demone era ben più vicino di quanto lo ricordasse.
L’inventore allargò un poco gli occhi, incerto da quella vicinanza, i battiti nel suo petto che si erano fatti ben più rapidi, esattamente come quelli che continuavano a solleticargli le dita. E Flug aveva capito, aveva capito prima che quella distanza si annullasse, prima della pressione che sentì attraverso il sacchetto sulle proprie labbra schiuse, e il poggiarsi di una mano guantata sul suo petto immobile.
Quando quel premere svanì, lo scienziato rilasciò un sospiro meravigliato. Era… senza parole… erano stati pochi secondi, ma pochi secondi in cui credeva di aver sfiorato il cielo.
La mano sul suo torace scivolò via incerta, gli artigli coperti dai guanti raschiarono leggermente contro la sua pelle persino attraverso i vestiti.
Black Hat aveva l’occhio visibile puntato altrove, la palpebra scura severamente calata su di esso. Nonostante quello sguardo torvo, le guance del demone erano spolverate da un alone di verde – e una reazione fisica del genere non poteva essere male interpretata in nessun caso.
« Jefecito…? »
Quel cipiglio divenne ancora più marcato, così come il verde sul volto del suo capo.
« C-che c’è? »
Flug sorrise leggermente udendo il lieve balbettio che aveva scosso la voce dell’altro. Questa era la conferma più grande che potesse ricevere: Black Hat era davvero imbarazzato, magari anche dubbioso su quale sarebbe stato il suo responso di fronte a quel gesto. E quello, da solo, era stato più eloquente di mille parole, che avrebbero potuto essere sussurrate al suo orecchio, ma che invece gli erano state trasmesse attraverso quel delicato premere di labbra.
Si sentì come intenerito da tutta quella situazione e quasi in dovere di far procedere oltre le cose – per Black Hat doveva già essere stato uno sforzo immane giungere fino a quel punto di sua spontanea volontà.
Si accinse a muovere la mano da dove la aveva lasciata posata nell’incavo del collo del demone, ma non prima di aver lanciato uno sguardo di timida attesa in direzione dell’altro.
« Posso? »
Un leggero grugnito fu la risposta che ottenne, l’unica che gli serviva in fondo.
Circondò il collo del suo superiore con un braccio, portandolo gentilmente vicino a sé, mentre con l’altra mano aveva tirato su la busta per scoprire la metà inferiore del proprio volto. Aveva compiuto quel passo con una certa rigidità, le dita avevano tremato per una frazione di secondo intorno alla carta, ma aveva soppresso più che poteva quelle reazioni: questo era un qualcosa che lui voleva fare, che desiderava portare a termine, nonostante sapesse che avrebbe comportato l’inevitabile esposizione di quelle sue brutte cicatrici.
L’occhio del suo capo si era fatto leggermente più largo del normale e lo fissava come in uno stato di inespresso sbigottimento.
« V-vuole continuare, Jefecito? » Si sentì in dovere di chiedere, per sincerarsi del fatto che era un progresso che voleva non solo lui, ma che volevano entrambi.
Lo sguardo di Black Hat si abbassò visibilmente e Flug lo sentì posarsi sulle sue stesse labbra, che l’attesa stava rendendo sempre più vulnerabili davanti al mordicchiare nervoso dei suoi stessi denti. Prima che quei segnali di insicurezza potessero manifestarsi, il demone aveva emesso un leggero borbottio.
« Per c-chi mi hai preso, Flug? Sono perfettamente sicuro di quello che sto facendo! »
Il dottore sorrise, apprezzando silenziosamente come il rossore verdastro sul volto dell’Eldritch avesse assunto una sfumatura persino più scura. Ciononostante, non si sarebbe mai azzardato a commentare quel fatto ad alta voce, mai nella sua vita.
Si alzò sulle punte per raggiungere il livello della bocca dell’altro, le loro labbra si sfiorarono leggermente, un respiro era la distanza esigua che lo separava da un punto di non ritorno che non credeva avrebbe un giorno prevaricato. Eppure, eccolo lì, un tipo ansioso e modesto come lui, che stava effettivamente guidando quell’orrore cosmico del suo datore di lavoro nell’inizio di un qualcosa di molto diverso rispetto a quanto, fino ad allora, avevano condiviso… e Flug, da parta sua, stava amando ogni istante di questo memorabile momento.
Quando poggiò le labbra su quelle di Black Hat, trovò quelle dell’altro schiuse, come se fossero state pronte in un certo senso ad accogliere le sue. Spostò la mano in basso, a farla adagiare sulla schiena del demone, ad attirarlo dolcemente verso di sé, ed il suo superiore lo lasciò fare, si lasciò accompagnare in quello che doveva essere per lui un mondo sconosciuto, in cui Flug non stava tuttavia faticando a tirarlo dentro. E lo scienziato poteva percepire l’accortezza con cui il suo capo stava cercando di non ferirlo con i denti affilati che dimoravano all’interno della sua bocca.
Sollevò brevemente le palpebre, solo per incontrare immediatamente lo sguardo folgorato di Black Hat.
« Signore… c-chiuda gli occhi… » Mormorò, interrompendo il bacio per il tempo necessario a fornire quel cortese consiglio. Ed ebbe la certezza che il suo capo lo aveva accettato di buon grado quando lo vide metterlo subito in pratica.
Ogni volta che le sue labbra carezzavano quelle del demone, sentiva un lieve ronzare provenire dalla gola di Black Hat, vibrazioni che poteva avvertire persino nella propria. Trovò quei suoni ironicamente simili a quelli di un gatto che, coccolato, faceva le fusa in segno di apprezzamento, e quell’immagine spinse Flug a tracciare la mandibola dell’Eldritch in una timida carezza. Un brivido si diramò sotto le dita che aveva appoggiato sulla schiena del suo partner, l’intensità di quel ronzare crebbe a dismisura.
Le mani del suo capo, rimaste dapprima a mezz’aria, scivolarono quindi lungo i suoi fianchi, a cingerli ed accarezzare il resto del suo corpo in un modo che gli provocò piacevoli brividi lungo la schiena – e si chiese, con una vaga meraviglia, fino a che punto Black Hat fosse consapevole di quello che stava facendo in completa autonomia.
Quando si separarono, Flug era ormai a corto di fiato, le sue guance erano bollenti a contatto con la carta, le labbra umide e dischiuse per prendere brevi sospiri esagitati. Si sarebbe volentieri tolto il camice da quanto si sentiva febbrilmente eccitato. Aveva baciato il suo capo, aveva baciato Black Hat, e non se ne pentiva minimamente!
. . .
Quella realizzazione, in effetti, ci mise un po’ a sedimentarsi nel suo cervello ancora ammaliato e non completamente pensante.
Aveva baciato Black Hat?! O-oh dio, oh d-dio, aveva baciato Black Hat, lo aveva proprio fatto, lo aveva dannatamente fatto!
Fece schizzare lo sguardo in alto, verso il volto del demone, molto tentato nel frattempo dal pensiero di rimettere le mani al loro posto lungo i suoi fianchi che Black Hat stava ancora CINGENDO, oooh cielo sacro santo!
Non sapeva cosa si fosse aspettato di vedere, ma certo il lieve sorriso che stava graziando le labbra del suo capo cancellò almeno la metà della tempesta di timori che gli avevano stretto il cuore. Era un sorriso sereno, benevolo, che non sfigurava su quei lineamenti inumani.
« Molto meglio di quelli di Demencia. » Commentò Black Hat, in un sussurro arricchito da un pizzico di ironia.
Flug si sentì un po’ preso in contropiede da quel commento, ma parte del suo restante nervosismo svanì non appena si sentì abbastanza a suo agio per rilasciare una breve risatina.
« Ve lo a-avevo detto di non prendere ad esempio i suoi, Jefecito. »
Un angolo della bocca del demone si inclinò verso l’altro, esponendo leggermente i denti affilati all’interno.
Il dottore ricambiò imbarazzato quel sorriso. Resosi conto che la sua mano sostava ancora sul profilo della mandibola del suo capo, fece per abbassarla discretamente, ma quando sentì Black Hat emettere ancora quel ronzare sotto lo sfiorare delle sue dita, Flug si oppose a quella sua prima intenzione. Decise di osare, e tracciò qualche volta di più quel punto. Si sorprese di vedere Black Hat inclinare la testa da un lato ad assecondare i suoi tocchi, l’occhio visibile placidamente semichiuso.
« È in questo modo che ho deciso di risolvere la mia… insoddisfazione. » Mormorò dopo parecchi secondi il demone, con voce quasi sospirata, più fluida e meno roca del normale. « …va bene? »
Flug annuì, il pollice che strofinò leggermente sulla guancia del suo superiore.
« Sì, Jefecito. » Replicò. « Sono felice che mi abbiate preso così tanto in parola. »
Le sopracciglia di Black Hat calarono scompostamente sui suoi occhi mentre distoglieva lo sguardo.
« Dovevo risolvere il problema, no? » Fu un borbottio più simile ad un mugugno.
L’inventore annuì comprensivo, sorridendo internamente. Black Hat restava pur sempre Black Hat, e la faccia era la prima cosa che il demone aveva sempre tentato di salvare, persino nelle situazioni più critiche.
« Penso ci siate riuscito con successo, Jefe chulo. »
Il cipiglio sul volto del suo capo si rilassò lievemente, come ad indicargli che quella considerazione non aveva avuto un effetto sgradevole su di lui. E Flug, da parte sua, si sentì certamente rassicurato da ciò, da questa novità che non pareva essere preannuncio, per una volta, di sventure e peripezie. Davvero un piacevole cambiamento, a detta sua.
 
 
Aveva faticato tanto – e stava faticando tutt’ora – per contenere i suoni eccitati che avevano minacciato tutto il tempo di sfuggire al suo controllo, un enorme e stirato sorriso era rimasto stampato per due minuti netti sul suo viso, col risultato che ora le facevano male gran parte dei muscoli facciali.
Cosa non avrebbe dato per una postazione migliore, ma si sa che chi si accontenta ha almeno la possibilità di godere di perle come quella a cui aveva assistito.
Si tappò la bocca con una mano, soffocando l’ennesimo dei risolini. Oh, quante cose avrebbe potuto fare con gli scatti che aveva raccolto oggi e non vedeva l’ora di mostrare tutto a 5.0.5. – povero orso, gli avrebbe sicuramente provocato un mezzo infarto.
Sfilò cautamente l’obiettivo della macchina fotografica dalle grate del condotto d’aria in cui lo aveva fatto passare, arretrando nel frattempo mooolto silenziosamente, più silenziosamente che poté… finché, prima che potesse impedirlo, vide la cinturina della fotocamera strisciare anch’essa da oltre la grata e rimbalzare su ognuna delle palette d’acciaio che la componevano.
Dling! Dling! Dling! Dling! DLING!
Se la morte avesse potuto essere contraddistinta da un suono, Demencia era certa sarebbe stato quello.
« DEMENCIAAAAAAAAAA! »
E anche quello ovviamente, quello del ruggito irato di Black Hat che scosse la Terra e i pianeti del Sistema Solare almeno fino a Saturno.
Fortuna che la buona vecchia mimetizzazione si rivelava sempre utile, soprattutto se sei un’ossessiva fangirl che deve correre ai ripari dal suo stesso idolo che oh dio, oh no, quello era uno dei suoi tentacoli, stava strisciando nella conduttura, oh no, ohnoOHNOO-
« FLUG AIUTOOO- » 







Sameko's side
E fu così che passò un altro mese tra festività e impegni vari, ma perlomeno posso finalmente archiviare questa fanfiction. ^^
La vera e propria Paperhat, come avete visto, era particolarmente concentrata in questo capitolo; ho cercato di rendere la cosa quanto più fluida possibile, per una storia che era stata pensata per essere breve penso di non aver raggiunto un cattivo risultato. Lascio a voi il parere finale. ;)
Il personaggio all'inizio era la "famosa" OC di cui vi avevo accennato nei capitoli precedenti. Non era nei miei programmi una sua apparizione in questa fanfiction, Tacle è un personaggio che ho creato in funzione di un'altra storia che scriverò probabilmente in futuro ( non ha il classico ruolo della rivale in amore, giusto per essere chiari ).  Poiché c'è stato dell'interesse da parte di qualcuno di voi, i miei piani sono leggermente cambiati in fase di correzione. :) Piccola chicca, nella scelta del suo nome ho cercato di rispettare la tradizione della serie che vuole che i nomi dei personaggi derivino da una loro distintiva caratteristica. Il suo nome, dunque, deriva da "tentacle" (= tentacolo) e i tentacoli sono infatti una parte prominente del suo character design. Avendo protagonisti che si chiamano rispettivamente "cappello nero", "incidente aereo" e "demenza", un nome troppo altisonante credo che sarebbe parso troppo fuori luogo. XD
Altri dettagli sparsi qua e là sono tutti altri miei headcanon ( tipo l'abilità di Demencia di mimetizzarsi come i camaleonti ). Quasi dimenticavo, le razze aliene a cui ho fatto riferimento provengono dall'universo di Star Wars. ^^"
In conclusione, vi ringrazio per avermi seguito in questa piccola avventura, è stato un viaggio breve ma mi sono comunque divertita! ^^
A presto e baci!


Sameko

 

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