Posso darti fiducia?

di Nereisi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** perchè tutte a me? ***
Capitolo 2: *** Incubo ***
Capitolo 3: *** la caduta della principessa ***
Capitolo 4: *** pensieri e congetture ***
Capitolo 5: *** profumo di verità ***
Capitolo 6: *** la matematica non è un'opinione ***
Capitolo 7: *** imprevisti e ospiti indesiderati ***
Capitolo 8: *** quel bacio rubato a tradimento - parte 1 ***
Capitolo 9: *** quel bacio rubato a tradimento - parte 2 ***
Capitolo 10: *** passato rivelato ***
Capitolo 11: *** decisioni ***
Capitolo 12: *** Punto d'arrivo, punto d'inizio ***



Capitolo 1
*** perchè tutte a me? ***


Edit del 27/10/13
Apporto la modifica che mi avevate chiesto, immettendo il capitolo con il codice dell’HTML.
A mia discolpa posso solo dire che questo era il mio primissimo capitolo mai postato in tutta la mia carriera di fanwriter, all’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse quel cavolo di codice!
Ripeto ancora una volta, giusto per scrupolo: questo primo capitolo è quasi uguale all’inizio dell’anime e manga perchè la causa scatenante di tutti gli eventi che leggerete in seguito è sempre quella: Usui che scopre il segreto di Misa.
Spero che questo piccolo cambiamento possa far aumentare i fan di questa storia, e anzi ringrazio coloro che non hanno fatto dietro-front subito al primo capitolo, perdendo gli occhi per leggerlo! Grazie a tutti! Ora potrete leggerlo decentemente :D
Ringrazio e saluto tutti coloro che sono già avanti nella lettura della mia storia e coloro che lasciano sempre commenti dolciosi <3
Baci baciotti
animelover
 
 
 
 
 
Maledizione, sono in ritardo!
 
Correvo a più non posso, mentre la borsa che usavo come zaino oscillava, seguendo il ritmo delle mie gambe e sbattendo sui miei fianchi.
Andavo quasi alla cieca, mentre il vento e la velocità mi scompigliavano i capelli facendomeli andare negli occhi.
 
<< Ehi, dove corri presidentessa? >>
<< Non eri tu che dicevi di non correre per i corridoi? >>
<< Scusate! E’  un'emergenza! >>
 
Li scansai, prima che potessero ribattere qualche cosa.
Però non potevo permettermi di dare il cattivo esempio! Rallentai un po’ il passo, mentre la gente si girava a guardarmi per vedere soltanto una massa di capelli corvini (i miei capelli corvini!) svolazzare giù per la tromba delle scale.
Proprio in quel momento andai a sbattere contro tre studenti.
Uno di loro si girò. aveva un' orecchino al lobo, i capelli biondi spettinati come nidi di quaglie.
 
<< Ma guarda chi c'è! La presidentessa del consiglio studentesco! >>
<< Ma come! Prima fate le regole e poi non le rispettate? >>  Il secondo a parlare era un ragazzo dai capelli neri raccolti in un codino, la camicia aperta.
A quel dettaglio mi impietrii.
 
<< Voi tre, vi avevo già detto di vestirvi in modo decoroso! >>
<< Presidentessa, non faccia la difficile! >> L'ultimo era un ragazzo un po’ strambo, non avevo molti dati su di lui. Sapevo soltanto che stava sempre con quei due e che stava creando problemi all'amministrazione scolastica.
 
<< Sai che ti dico, brunetta? Me ne infischio delle tue regole, visto che non le rispetti neppure tu! >>
 
Silenzio.
 
All'improvviso i tre persero la loro baldanza.
Uno strano vento gelido prese a soffiare mentre la stanza si oscurava e i miei occhi brillavano rosseggianti nel buio.
 
<< Come hai detto? >> i tre si raggomitolarono, piangendo come dei neonati << Ve ne infischiate delle regole? Fantastico! E’ proprio questo che vi caratterizza! Voi uomini sapete solo comportarvi da animali selvatici, a parte qualche eccezione, e pretendete che il mondo sia ai vostri piedi, è così?!? >> urla di terrore si sparsero per la scuola. I miei capelli iniziarono a svolazzare. << E’ per questo che sono diventata la prima presidente femmina in una scuola maschile: per lavare via la puzza di uomo! E ora, via quei piercing! >>
Urla di terrore si spersero per la suola quando tirai via a forza gli orecchini.
 
 
Qualche minuto dopo avevo ripreso a correre, mentre il mio ritardo diventava sempre più grande. Io, Misaki Aizawa, presidentessa del corpo studentesco e miglior studentessa di una scuola fino a poco tempo prima maschile, andavo verso casa per cambiarmi e andare al mio lavoro part-time che procurava per mia famiglia gran parte del suo sostentamento.
No, non eravamo poveri, solo che mio padre aveva abbandonato me, mia sorella e mia madre a noi stesse molti anni fa.
 
Corsi di sopra, facendo attenzione alle travi delle scale pericolanti.
Mi cambiai in fretta , mettendo sull'attaccapanni l'uniforme scolastica e indossando al suo posto il vestito da lavoro.
Un completo da maid.
Il mio lavoro: una maid in un maid cafè.
Il mio segreto più grande, che se fosse stato scoperto avrebbe provocato il crollo della mia reputazione e la pese in giro dei compagni. Non potevo permetterlo!
Ma la mia famiglia aveva bisogno di quei soldi e in fondo il lavoro mi piaceva.
 
Uscii di casa e mi avviai, prendendo la bici. Per fortuna era dietro l'angolo e la strada era poco trafficata.
Proprio mentre pensavo quelle cose, una moto mi passò di fianco mentre un ragazzo con una divisa che conoscevo fin troppo bene sgranava gli occhi, confusi, ma incredibilmente belli, spalancando la bocca.
 
Oh,no! NO!
 
All'incrocio girai più in fretta che potei, mentre la moto fu fermata del semaforo.
Se mi ha riconosciuta è la fine!
 
Conoscevo fin troppo bene quel ragazzo.
Usui Takumi, conosciuto come lo sterminatore di donne.
Al solo pensiero mi salì un moto di stizza. Come faceva un ragazzo ad essere così insensibile nei riguardi delle ragazze che rifiutava?
Finalmente raggiunsi il maid latte.
 
 
Dopo qualche ora di lavoro, era tempo di buttare la spazzatura e prepararmi per andare a casa a studiare.
Aprii la porta dandoci una fiancata, dato che avevo la mani occupate e mentre mi giravo vidi i tre teppisti della scuola fermarsi increduli a guardarmi mentre la loro mascella calava inesorabilmente a terra e i loro occhi mi percorrevano da capo a piedi. Finsi indifferenza giocando il tutto per tutto.
 
<< Buonasera padroni, ma l'ingresso è riservato al personale >>
<< Presidentessa? >>
 
Maledizione!
 
<< Mi dispiace, forse mi state confondendo con qualcuno. Il mio nome è- >>
<< Misa-chaaaaaaaaaan! Quando finisci di buttare la spazzatura dacci una mano con i tavoliiiiiiiii! >>
 
Perfetto. Tradita dal mio stesso capo.
 
<< Ma allora è vero! Allora, la nostra cara presidentessa fa la maid! Ma pensa un po’, così perfettina, così rigida... >>
<< Già.. ma devo ammettere che questo vestito le sta bene.. non è così? >>  mi prese il polso, stritolandomelo fino a farmi male.
<< Vedi di essere gentile con noi, visto che siamo i tuoi padroni, altrimenti.. niente mancia! >> il loro tono si fece lascivo, mentre nei loro occhi luccicava la bramosia.
In quel momento, dal nulla, arrivò un ragazzo che gli fece mollare la presa con una gomitata, mettendoli in fuga.
Si girò a guardarmi con quello sguardo sbarazzino... che a me segretamente piaceva... ma non potevo ammetterlo, non potevo essere debole.
<< Stai bene? >> mi chiese Usui.
<< Certo che sì... piuttosto, che ci fai qua? >>
<< Volevo accertarmi che fossi davvero tu. >>
<< E ora? hai intenzione di dirlo a tutti? >>
<< Mah, non so.... >> e, detto questo, se ne andò.
Ogni fibra del suo essere mi faceva capire che voleva solo mettermi alla prova, giocare con me; ma non ci cascai e non lo chiamai indietro. Lui parve sorprendersi, ma dopo qualche attimo se ne andò. Se ne andò e tutto il mio mondo iniziò a crollarmi addosso, riducendomi ad un mucchietto di cenere, mentre io mi chiedevo << PERCHE' TUTTE A ME?????? >>
 

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Capitolo 2
*** Incubo ***


  Spazio Autrice

Ebbene sì, finalmente ho scritto il secondo capitolo! Abbiate pietà se ci ho messo così tanto e vi ho las ciato sulle spine, ma è tempo di esami e la mamma incombe!
Vi ringrazio per la pazienza che avete dimostrato e per avermi aspettato senza accendere torce e prendere forconi. *si inchina* per favore, recensite l’altra mia storia perché vorrei dei pareri per sapere se piace o meno *si inginocchia* per favore!
Ringrazio i folli come satura-chan che hanno Vi auguro una buona lettura!
 
 
INCUBO
 
 
 

Entrai titubante in classe. Venticinque teste si girarono a guardarmi, uno strano ghigno sulla bocca. Si alzarono barcollando, come se fossero ubriachi, le mani trasformate in artigli che ghermivano l’aria davanti a loro, ovvero a pochi metri da me. Il professore di turno, il professor Haizune, si girò verso di me, il volto cereo.
 


<< Mi hai delusa Misaki…. >>
<< Ci hai presi in giro… >>
<< Non sei degna… >>
 
Le loro parole, dette in modo atono, mi ferirono più di qualsiasi offesa. Mi girai e feci per correre fuori dall’aula, ma mi trovai davanti proprio lui, Usui. Sul suo viso era disegnato un sorriso beffardo e gli occhi sembravano creati dal diavolo in persona.
 


<< Vieni, bambola… manchi soltanto tu alla mia collezione…  >>
 
Cercò di prendermi per la camicetta, ma fui veloce e gli lasciai in mano solo la giacca. Corsi per il corridoio ma sembrava non che non avesse fine. Vidi una luce e dopo molti sforzi e lacrime riuscii a raggiungerla. Il rettangolo di luce abbagliante mi inghiottì e mi ritrovai nel bagno della scuola. Mi appoggiai con il fiatone al lavandino.
 
Con che faccia posso presentarmi dai compagni del consiglio studentesco ora?
 
Smisi per un attimo di pensare. Da quando ero entrata in quel bagno sentivo che qualcosa non andava. Alzai gli occhi. Lo specchio mi ricambiò un’immagine atroce: non avevo più né la bocca né il naso, le orecchie erano sparite e al posto della mia solita nuvola di capelli corvini ora avevo solo un cranio lucido e calvo sul quale c’era scritta la parola “traditrice”. Caccia  un urlo con la mia bocca invisibile e sprofondai in un buco nero è profondo, chiazzato con le immagini dei volti dei miei amici e compagni che si infrangevano e si sgretolavano, distruggendo tutto ciò che ero riuscita a costruire in quegli anni. Ognuno di loro rideva di me.
I loro sghignazzi incontrollati mi soffocavano, stavo annegando nelle loro risate di scherno.
 
No, basta, non ce la faccio più..
 
Ora mi trovavo in una specie di fondale marino. Un tentacolo sbucato chissà dove si avvinghiò alla mia caviglia e cominciò a trascinare verso il fondo. I polmoni mi bruciavano.
 
Qualcuno mi aiuti… non resisterò a lungo… ho bisogno di aria…
 
Tutto intorno a me si fece nero
 
Basta… vi prego… non merito tutto questo…
 
Chiusi gli occhi in attesa della fine che sarebbe arrivata presto
 
Basta, fatelo smettere…basta… basta…ho detto basta…BASTA!
 
 
Mi alzai di scatto a sedere sul letto, madida di sudore e accaldata come non mai.
 
Dunque…era solo un sogno?
 
Appoggiai una mano sul petto, sentendo il cuore che batteva violentemente contro la cassa toracica. Cercai di recuperare il respiro incontrollato, mentre cercavo indizi per la camera (la mia era piuttosto spartana) che mi dessero un’idea di che giorno era. Girai lo sguardo verso il comodino. Sopra c’erano parecchi libi in equilibrio precario, il che mi ricordò che come al solito avevo studiato fino a tarda notte.
 
Accidenti che caldo… non resisto più!
 
Mi avviai verso la finestra con la testa che mi girava, aprii le tende e poi spalancai finestre e balconi. La luce si impossessò della mia camera, mentre l’aria primaverile mi scompigliava i capelli e mi svegliava del tutto.
 
Che incubo… ma…e se succedesse veramente così? No, non può essere, sto  diventando paranoica… è solo un lavoro, non una dichiarazione di guerra…
Ma non posso permettere  che lo sappiano tutti quanti.. non può, non deve diventare una notizia di dominio pubblico…devo parlare assolutamente con Usui.
Usui… bè, ieri sera m ha aiutato, ma avrei potuto benissimo farcela da sola!
Ma se gli parlo a scuola…oddio che faccio! Sto pianificando tutto neanche fosse un incontro ufficiale dell’ F.B.I.!!!
 
Entrai in doccia e il getto d’acqua si portò via le mie preoccupazioni, impedendomi di pensare per un po’ a catastrofi e affini.
 
 
 
Dopo essermi vestita, scesi in cucina. Sul tavolo era appoggiato un vassoio con un tentativo di colazione. Di fianco, due biglietti. Il primo, dalla grafia chiara e leggera, diceva:
 
“ cara Misaki, sono andata alla mostra di quadri per vedere se qualcuno voleva comprarne uno mio. Tranquilla, non preoccuparti per me, mi sono riguardata e ho preso le mie medicine. Sarò di ritorno stasera tardi. Almeno oggi che è sabato, stacca un po’ la spina e riposati, altrimenti ti ammalerai anche tu. Un bacione                 la tua mamma”
 
Il secondo dalla grafia un po’ più esuberante che interpretai come quella di mia sorella, recitava:
 
“ ehilà sorellina! Oggi sono per tutto il giorno in giro a caccia di concorsi da vincere. Voglio trovare una nuova presina, perché quella che avevamo l’ha bruciata la mamma tentando di prepararti la colazione. Cerca di uscire oggi, altrimenti ti cresceranno i funghi sulla testa! Ciao             Suzuna “
 
 
Perfetto. Tutti complottano di allontanarmi da casa prima della maggiore età!
Però devo ammettere che ho proprio voglia di uscire. Nessuno avrà da ridire se seguo i consigli, o meglio, gli ordini perentori della mia famiglia, giusto?
 
 
Mi preparai, mi misi i pattini a rotelle e uscii, nell’aria profumata di fiori.

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Capitolo 3
*** la caduta della principessa ***


 Spazio Autrice – LEGGETE PER FAVORE – IMPORTANTE!
 
Kon’ichiwa! Pensavo di non finirlo più questo capitolo!!! In questo periodo ho avuto molto da fare, tra vacanze, ripassi e letture. E per di più il liceo è alle porte!  *terrorizzata* quindi posterò i capitoli molto più lentamente. Abbiate pazienza!
 
Vorrei avere un vostro parere: stavo pensando di scrivere altre fanfiction, solo che ho le idee confuse e non so quale scrivere per prima. Le proposte sarebbero: inuyasha e kagome, ikuto e amu (shugo chara), edward e winry (fullmetal alchemist) e maka e soul (soul eater). Aspetto vostre risposte!
 
IMPORTANTE!!!! Fatemi sapere se volete che questo capitolo sia l’ultimo o se magari ve ne vanno bene un altro paio, magari con un bacio di mezzo.
 
Bene, vi ho trattenuti anche troppo, è ora di scoprire come torturerò Misa stavolta.
Muahuahua! *risata sadica*
 
Ringrazio tanto Ellis per le sue recensioni così piene d’entusiasmo e, ovviamente, tutti voi lettori che leggete le mie scempiaggini!!! Bacioni e…. ciack! Si gira!
 
 
La caduta della principessa
 
 
 
  • dai, non ti devi vergognare –
  • no –
  • l’abbiamo già fatto prima, non vedo perché tu ora non me lo voglia più permettere –
  • ho detto di no –
  • non fare la preziosa -
  • quale parte di “no” non capisci??? –
  • ma perché??? –
  • Non voglio neanche provare a pensare alle reazioni della gente che ci vedrà. –
  • Che tipo. E dire che ti sto anche aiutando. Dopo quello che mi hai detto poi… -
  • Non fare tanto l’offeso! E poi, è vero che ho detto che mi dovevi accompagnare a casa, ma intendevo nel quartiere… il resto della strada la conosco! –
  • Sì, e secondo te ti lascio andare a casa in quello stato??? Hai tutti i vestiti strappati! –
  • Sei stato tu a farmeli strappare, maniaco! –
  • Ma che dici? Sei impazzita? Hai fatto tutto da sola! -
 
Maledetto pervertito…se mi rimette le mani addosso giuro che gli stacco la testa! Tutta colpa di quei maledetti pattini!
 
Facciamo un passo indietro.
 
Usui mi stava accompagnando a casa, dato che mi ero persa nell’unica parte della città che non conoscevo. Lui faceva strada, tenendomi per mano, e io lo seguivo. O meglio, lui camminava spedito, trascinandomi, a causa dei pattini.
 
Ma guardalo…sembra un bambino al quale hanno appena regalato un nuovo giocattolo…
 
  • dai principessa, sbrigati! –
  • guarda che sei tu che mi stai trascinando! –
 
Ci fu un attimo di silenzio. Poi Usui si fermò.
 
  • senti…. tu devi tornare per forza a casa subito? –
  • beh… la mia famiglia oggi torna tardi quindi se torno adesso sarei da sola –
 
oddio! Perché glielo sto dicendo???
 
  • perché me lo chiedi? –
  • beh… io ora stavo pensando di andare in un posto… cioè, ci vado quasi tutti i giorni e se vuoi ti ci posso portare. –
  • ehi, usa il freno! Che razza di posto è? –
  • non ti preoccupare, non è né un posto sconcio, né uno popolato di yakuza –
  • allora di che cosa si tratta? –
  • è un posto dove vado per rilassarmi…. Se vuoi altri indizi, li avrai una volta arrivati lì –
 
mi fido?non mi fido?.....se avesse voluto farmi qualcosa, prima aveva un’occasione perfetta e non l’ha sfruttata. O è veramente tonto oppure mi devo ricredere su di lui. Senza dimenticare il fatto che ho passato il pomeriggio insieme e lui e mi sono anche divertita, e si è dimostrato anche gentile, oltre che abbastanza intelligente.
Ok. Glielo concedo. Ha il suo fascino. Vabbè, mi butto.
 
  • ok, va bene. –
  • non ti facevo così permissiva!-
  • cosa vorresti dire? Che sbruffone! –
 
alzò le mani in segno di resa
 
     -   scusa, scusa, dai non ti arrabbiare. Di qua, principess… -
  • alt, fermo lì. Prima di portarmi, lì mi spieghi perché diavolo continui a chiamarmi principessa? –
  • non so se ho voglia di dirtelo….  –
  • come no? Riguarda me, quindi è mio diritto sapere! –
  • ma se non te lo dico è per il tuo bene…altrimenti ti arrabbieresti….-
Il suo tono si addolcì e si abbassò fino a raggiungere la voce suadente di un perfetto playboy. Mi fissò con quel suo sguardo languido.
 
  • è inutile, con me i tuoi trucchi da quattro soldi non funzionano! E sai una cosa? Non verrò con te in quel posto finché non mi dirai il perché di quello stupido nomignolo! –
  • non dire così… potrei anche decidere di non aiutarti più a tornare a casa, sai?-
 
 
ecco, lo sapevo. Che tipo spregevole! E io che ho pensato per un momento che potesse essere un bravo ragazzo! Gli uomini sono tutti così… è inutile che mi illuda di trovare “quello giusto”…
 
mi sentii improvvisamente triste, senza sapere neanche il motivo di quella tristezza.
 
  • tanto… che me ne faccio dell’aiuto di uno come te! –
 
la sua faccia cambiò espressione. Sembrava qualcosa a metà tra lo stupore e l’offeso.
 
  • cosa? Uno come me? –
  • hai capito bene! –
  • perché mi dici una cosa del genere? –
  • non cercare di farmi la ramanzina! Voi uomini… siete tutti uguali! –
 
E corsi… voglio dire, pattinai via. Avevo un miscuglio di emozioni che mi turbinavano dentro… e i miei occhi non erano forti abbastanza da tenersi tutto dentro.
 
  • principessa! Aspetta! –
  • lasciami stare! –
 
Fuggii via con gli occhi lucidi. Ma non piansi. Solo una lacrima scese. Una sola.
 
nella testa di Usui
non andare! O almeno, non di là! Da quella parte c’è…
 
  • misakiiiiiiii! –
 
 
usui mi inseguì, gridando il mio nome. Non mi ero mai resa conto di quanto suonasse bello detto dalla sua voce… per in istante ebbi il desiderio che mi raggiungesse.
Gli gettai uno sguardo da dietro la spalla.
 
Caspita, che sprint! Mi sta alle calcagna! E dire che io ho i pattini!
 
  • scema! Girati! Guarda avanti! –
  • eeeh? A chi hai detto scema?? Razza di… -
  • attenta! –
  • ah! –
 
il respiro mi si mozzò in gola. Non mi sentivo più la terra sotto i piedi!!!
 
Oddio, uno strapiombo!
 
Bè, strapiombo è un po’ troppo. Era un fosso con gli argini altissimi e, sul letto del canale, scorreva un rigagnolo puzzolente a dir poco schifoso e dall’inconfondibile odore. Agitai le gambe e sbattei le braccia come un uccello che spicca il volo. Non ho mai desiderato tanto saper volare…e dire che io soffro l’aereo…
 
Cado…!!!!!
 
Strizzai gli occhi e d’istinto raccolsi le gambe al petto. Sperai con tutto il cuore di non rompermi qualcosa. All’improvviso, qualcosa affiorò alle mie labbra…. un sussurro…Un nome….
 
  • ….Usui….-
  • Misaaaa! –
 
Spalancai gli occhi, mentre qualcosa o qualcuno si scatafasciavano su di me, cercando di abbracciarmi. Forse era qualcuno. “quel” qualcuno.
Cademmo rovinatamene sull’altra sponda del….fiume? e finimmo per grazia divina su un praticello dall’erba incolta…. A pochi metri da un ammasso di pietre.
 
La prima cosa che sentii fu…il canto degli uccellini? Oppure lo scroscio di quel fiumiciattolo non a norma? No….sentii…
 
  • IDIOTA! Sei matta? Perché sei corsa via così? Lo sai che mi sono spaventato? Avresti potuto farti molto male! –
 
Aprii a fatica gli occhi, perché il sole illuminava proprio a 90° sopra di me… e quello che vidi me lo ricorderò per sempre.
Lui era sopra di me, con le mani attorno al mio viso come per proteggerlo da un pericolo imminente. Vidi il volto di Usui illuminato dal sole, con i raggi che gli accarezzavano la pelle del volto rendendogliela quasi diamantina, mentre i capelli sembravano quasi una corona di luce d’oro attorno al suo capo. E i suoi occhi… così espressivi, così verdi….sembravano due pozzi di smeraldo, dentro ai quali ero riflessa una faccia.. la mia.
 
  • un angelo… -
  • eh? –
 
immediatamente, la creatura divina si dissolse, lasciando posto alla faccia di usui piena di graffi.
 
  • ah, niente…comunque, sei impazzito? Che modo è di arrivare così? Potevi spaccarmi la schiena, scemo! –
 
mi fissò con uno sguardo penetrante. Poi le sue spalle si rilassarono e tirò un sospiro di sollievo. Poi si avvicinò pericolosamente e appoggiò la sua fronte contro la mia.
 
  • ehi, ma che fai, maniaco! –
  • se hai ancora fiato per insultarmi significa che stai bene…-
 
si tirò su a sedere sui talloni e mi aiutò a rialzarmi sulle ginocchia, per poi abbracciarmi. Avvampai.
 
  • che stai facendo, togliti! –
  • è così che si parla a colui che ti ha salvato la vita? –
  • la vita! Esagerato! Al massimo mi sarei sporcata i vestiti di liquame! –
  • Ma che dici? Hai problemi con gli occhi? Guarda là sotto! –
 
feci come mi era stato detto e… rabbrividii: sul fondo del canale si potevano vedere dei pezzi di lamiera e mattoni rotti, oltre ad un’infinità di attrezzi edili.
 
  • ma…ma…ma che diavolo ci fanno quelle cose lì???
 
Mi sorrise.
 
  • mi dispiace principessa, ma qui non siamo nel tuo bel quartiere. Qui nessuno di cura di rispettare l’ambiente e perciò le persone che non sanno dove buttare scarti o altro hanno improvvisato un cassonetto non proprio legale. E tu ci stavi finendo dritta dentro. Prova ha immaginare cosa sarebbe potuto succedere se non fossi arrivato io. –
 
ebbi un singulto.
 
Nella testa di Usui
L’ha immaginato.
 
  • misaki… -
  • sì? –
  • ti spiacerebbe allentare la presa sul mio braccio? Mi stai bloccando la circolazione! –
 
guardai laddove terminava la mia mano. Era saldamente aggrappata al braccio di usui, neanche ce l’avessero saldata. ritirai la mano come se il suo arto avesse preso fuoco.
 
  • ah… sì… scusa… -
 
aaaah! Mamma mia che imbarazzo!
 
Nella testa di Usui
Mannaggia che forza!è tutto intorpidito! Sono sicuro che mi verrà un livido. E poi dicono che le femmine sono il gentil sesso… questa qui avrà minimo la cintura nera di judo! Dolce, piccola fanciulla indifesa!
 
Mi osservava con insistenza, mi scrutava.
 
Beh? Che vuole questo adesso? Non si aspetterà delle scuse!
….mmm…in fondo mi ha salvata… stavolta mi tocca…
 
Inghiottii la saliva
 
  • ehm… senti Usui… -
  • mmm? –
  • sì, beh, ecco, insomma…. Grazie…per… avermi salvata…-
 
nessuna risposta. Mi voltai. Il mio sguardo incontrò quello di Usui che mi fissava come se avessi appena enunciato la formula del moto perpetuo.
 
  • beh? Che c’è? ti ho ringraziato! Perché fai quella faccia? –
  • Misa-chan! –
  • ma che.. ah! Usui! –
 
mi aveva presa da dietro con le braccia, incrociandole sul mio ventre e alzandomi di peso per poi farmi sedere sulle sue gambe incrociate, ridendo come un matto accarezzandomi come una bimba sulla testa.
 
  • si può sapere che ti è preso tutto un tratto, pervertito? –
  • non credevo che potessi essere così umana, principessa! –
  • eeeeeh? Che intendi dire? –
  • prima, mi hai ringraziato…. eri tutta rossa! Sembravi un pomodoro! Allora anche tu sei una ragazza! –
 
 
nella testa di Usui
era davvero carina….
 
  • ma come ti permetti? Sei proprio senza speranza… -
 
scoppiammo a ridere.
Sentii il sollievo che dilagava nel mio corpo e la tensione che se ne andava. Tirai un sospiro di sollievo. Ero al sicuro. Il pericolo era passato. Mi rilassai.
E solo allora mi resi conto della posizione in cui eravamo.
Io, con la schiena appoggiata al suo torace e seduta sulle sue gambe e lui che ridacchiava con il mento appoggiato sulle mie spalle e la mano che mi accarezzata dolcemente i capelli.
Sentii il sangue fluire e la testa che mi girava. Iniziai ad agitarmi.
 
  • aiuto! Fammi scendere! Dai Usui, ti prego, non puoi immaginare che imbarazzo sia per me…. –
  • e perché? Tanto qua ci siamo solo io e te. –
 
o caspita, è vero! Aiuto! Mamma mia! Che cosa si fa in questi casi?????
 
Alzai un braccio per cercare di alzarmi, ma lui me l’acchiappò e le lo portò vicino al viso.
 
  • che fai? –
  • mmm…. Ti sei tagliata a quanto pare. –
  • cosa? –
 
non feci in tempo a esaminare la ferita che lui prese il dito e se lo ficcò in bocca, ciucciandolo.
 
  • ma sei scemo? –
  • lezione di scienze dell’altroieri: la saliva, se applicata sulle ferite, è un ottimo disinfettante, in mancanza dell’ordinario alcool. –
 
accidenti…ha ragione.
 
  • sembra che il flusso non voglia arrestarsi… e va bene, facciamo così allora. –
 
allungò la mano fino a prendere un lembo della mia camicetta (ormai ridotta a brandelli) e lo strappò con i denti per poi improvvisare una fasciatura.
 
  • nooooo! La mia camicetta! E adesso che dico a mamma? –
  • la verità: che sei caduta e che un angelo è intervenuto per proteggerti e ti ha pure prestato soccorso riaccompagnandoti perfino a casa. –
 
oddio, mi ha sentito!
 
  • soccorso! Esagerato! Mica morivo per quel graffietto! –
  • continui a fingerti dura fino alla morte, eh? Vabbè, controlliamo se ci sono altre ferite. –
 
fortunatamente, me la cavai con un cerotto sul naso.
 
  • graziosa! Ti dona proprio quel cerotto! –
  • smettila! Antipatico! –
  • dai che scherzavo! Vieni qua, ti aiuto ad alzarti che ce ne torniamo a casa. –
 
 
mi prese sotto le ascelle, sollevandomi senza il minimo sforzo, ma quando fui in piedi caddi di nuovo per terra.
 
  • che succede? –
  • non lo so, è come se non avessi più il senso dell’equilibrio! –
  • ma ti gira la testa? –
  • no, per niente! –
 
veramente è a causa tua che la mia testa gira come una giostra, accidentaccio!
 
  • può essere…. Alza un attimo la gamba –
  • perché? -   chiesi con sospetto
  • mmm, mamma mia che roba! Quando ti deciderai a fidarti di me? –
 
protestai sottovoce e mugugnando lo accontentai. Lui mi prese il piede e esaminò i pattini con occhio clinico.
 
  • mi spiace dirtelo, ma il tuo pattino destro è andato. Su quattro route che ci sono, tre sono fuori uso. –
  • noooo! E ora? Come torno a casa?? –
  • intanto, cerchiamo di tornare sull’asfalto, così almeno riesci a stare in piedi. –
  • va bene. –
 
 
dopo essere ritornati sull’altra sponda, provai a camminare, senza successo.
Provai e riprovai molte volte, ma il risultato rimase invariato.
 
  • usui… che devo fare? –
  • beh, se vuoi ti posso aiutare io, anche se dubito che acconsentirai. –
  • spara –
  • ti posso portare sulla schiena. –
 
 
silenzio.
 
  • neanche per sogno!! –
 
 
ed ecco il motivo per il quale stavamo discutendo così animatamente.
 
  • mmm… penso di aver capito la situazione. –
  • eh? Di che parli? –
  • del motivo per il quale sei sempre così diffidente. –
  • ah, sì? Sentiamo! –
  • non sono un grande  detective, ma visto il modo in cui ti comporti sempre così freddamente, penso che tu abbia subito un qualche tipo di trauma a causa del quale tu non ti fidi più dei ragazzi. Ho indovinato, principessa? –
 
e ammiccò con un sorriso ebete. Ero stupita.
 
Ma come ha fatto?
 
  • …centrato. –
  • Evvai, sono un genio! –
  • E non vuoi sapere che cosa mi è successo? –
  • No. Se un giorno ti fiderai di me, sarai tu a confidarti. –
  • Aspetta e spera. –
  • Sto aspettando. –
  • In che senso? –
  • Pensi che non me ne sia accorto? Tu ti fidi già di me! –
 
 
 Ma… ma…non è possibile!
 
  • ma se siamo stati insieme solo questo pomeriggio?!? –
 
dissi con una punta di amarezza nella voce
 
  • tranquilla, vi porrò rimedio subito. –
  • ah, sì? E come? –
  • ti starò appiccicato per sempre… e un giorno sarai tu a cercarmi. Intanto…–
  • eh? –
spalancai gli occhi. Usui mi aveva caricata sulle spalle, attaccandomi sulla sua schiena come una scimmietta.
 
  • usui! –
  • sst! –
 
mi azzittii.
 
  • cosa vuoi fare, ora? –
  • mmm? –
  • ti lasci portare a casa o vuoi portare quella maschera da dura per sempre? –
  • beh… io…. –
 
 
senza accorgermene la mia mano fece presa sulla sua camicia. Appoggiai la testa sulla sua schiena, sospirando.
 
  • muoviti. –
 
usui sorrise tra sé e sé.
 
  • dormi, sei stanca. –
 
nessuna risposta. Mi ero già accoccolata sul suo dorso, chiudendo gli occhi. Quella volta, sapevo di potermi fidare di lui.
 
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Mentre camminavo con misaki saldamente attaccata sulla schiena, La sentii parlare nel sonno.
 
  • usui… sei uno scemo…-
 
e con le braccia mi cinse il torace.
 
Però, che sorpresa! Alla fine avevo ragione.. è sempre la principessa di allora… e ha ancora bisogno di lei come io ho bisogno di lei…
 
  • sei uno scemo…..ma.. come.. come diavolo… fai… a vedermi dentro?...-
sorrisi. Senza lasciare la presa, voltai la testa e le diedi un bacio sulla fronte. Emise un suono simile a quello di un cucciolo disturbato durante il sonnellino e strofinò la guancia sulla mia spalla, per poi raggomitolarsi ancora di più sulla mia schiena.
 
  • dormi tranquilla, principessa. Il tuo angelo ti proteggerà –

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Capitolo 4
*** pensieri e congetture ***


 Spazio autrice
 
Okaerì minna-san! Bentornati nell’universo di kaichou wa maid sama! Sono veramente dispiaciuta di non aver aggiornato un bel cavolo di niente, purtroppo la scaga per gli esami era alle stelle…ma ce l’ho fatta! *faccina felice*
Bene, avevamo lasciato la nostra misaki mentre usciva di casa in pattini… ora vedrete quali insidie che il destino le ha preparato!
 
Lettore: ….guarda che sei tu la scrittrice!
Io: ….dettagli!
 
 
 Okay… dopo questo dialogo demenziale, direi che possiamo cominciare!
 
 
Pensieri e congetture
 
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Mmmm, che bella sensazione…
 
Pattinavo lentamente, non avevo nessuna fretta e mi godevo quel momento così piacevole. I raggi di sole mi accarezzavano la pelle e un vento leggero mi scompigliava i capelli. C’era un panorama stupendo: i fiori dei ciliegi ai lati del marciapiede facevano turbinare i loro petali delicati sulla brezza fine del pomeriggio. Era una scena da sogno. Non avevo preoccupazioni. Mi sentivo leggera come una piuma. Un pensiero orrendo mi fece rabbrividire.
 
Oddio.. non è che mi sento più leggera perché è la prima volta che parlo con quel don Giovanni da sola, vero?
Naaaaaa, doveva essere perché la doccia mi aveva purificata talmente tanto da togliermi anche un po’ di peso.
 
Quel sospetto del mio subconscio mi fece andare in iperventilazione. E non sapevo nemmeno il perché.
 
Beh, non è così male, dopotutto. Se non ha detto il mio segreto a tutta la scuola, deve avere per forza altri interessi, a parte le ragazze… un momento! E se stesse puntando me??? O peggio, se volesse ricattarmi?
 
Scacciai quelle supposizioni dalla testa. Volevo concedergli il beneficio del dubbio.
Per tenere la mente impegnata, mi misi a pattinare all’indietro. A pattinare veloce ero abbastanza brava e questo “numero” era il mio asso nella manica se per caso avessi partecipato ad una gara di roller. Purtroppo non ero ancora abbastanza brava a schivare le persone senza guardare, ma in quel momento sembrava che la città fosse disabitata. Somigliava ad una città fantasma. Stranamente, quel paragone non mi fece paura: la luce soffusa del tramonto donava un calore benefico che si avvicinava alla luce divina. Non potevo aver paura. Mi sentivo inspiegabilmente calma.
 
Un attimo! La luce del tramonto??? È già così tardi?? Come ho fatto a perdere così tanto tempo?? Devo tornare subito indietro!
 
Mi girai all’istante, ripristinando l’assetto iniziale. E fu come se un’incudine mi precipitasse sulla zucca.
 
Oh, no! Che razza di via è questa? Non può essere che mi sia persa! Conosco tutte le vie di questa dannata città, è impossibile che IO mi sia PERSA! 
 
IO e PERSA. Due parole che rifiutavo nella stessa frase.
 
A meno che… no… ti prego fai che non sia finita nella parte sud della città! È l’unica zona che non conosco bene ed inoltre è rinomata per essere un covo di poco di buono! Grrrrrr…Usui, è colpa tua se sono finita qui! Rimuginando su di te ho perso la cognizione del tempo……
 


<< Usui, me la pagherai!! >>
 
Arrabbiata, urlai verso il cielo, agitando i pugni.
 


<< Perché, che ti ho fatto, dolce principessa? >>
 
Quella voce! Mi girai di scatto. Eccolo lì.. colui che si divertiva ad entrare nella testa delle persone nei momenti meno opportuni… appoggiato su un palo della luce all’angolo della strada. Cosa credeva di fare con quel modo strafottente di sorridere per mettere in mostra i canini felini e la camicia quasi del tutto aperta sul petto sagomato di muscoli e quell’aria da figo da paura…..
 
Misaki: Aaaaa, mamma mia cosa vado a pensare! Cervello, smettila!
Cervello: mi dispiace ma devi prendertela solo con te stessa. Sei una femmina sedicenne con un’esplosione di ormoni in piena pubertà, quindi non dare a me la colpa dei tuoi istinti adolescenziali… e poi, che è un figo è un dato di fatto.
Misaki: zitto tu! Smettila di parlare nella mia testa! E poi non è per niente figo!
Cervello: ah, no? Allora perché ti luccicano gli occhi e ti sta uscendo la  bava? 
E poi, io SONO la tua testa, idiota. (nds, ci si può auto insultare nella propria mente??? Mistero…)
 
 


<< Adesso tu e io facciamo un discorsetto! Mettiti comodo, perché sarà una cosa abbastanza lunga! >>
<< Ma certo, principessa! >>
<< Senti, sono capace di farti soffrire più di quanto pensi, perciò non farmi arrabbiare!  >>
<< Va bene, va bene, calmati! Mamma mia quanto urli! Comunque non credo che sia questo il posto migliore per parlare…  andiamo via. >>
<< E da quando tu decidi per me?? >>
<< Da quando sei finita davanti ad uno strip club! >>
 
Coooosa??
 
La mia testa ruotò meccanicamente e a scatti, incrociando lo sguardo decisamente poco ortodosso di due uomini grandi come armadi che bloccavano l’accesso ad un locale con insegne al neon rosse, recanti la dicitura “ hot ‘n fun”
La mia mandibola precipitò a terra. Tornai a fissare Usui.
 


<< Mi sa che per questa volta mi tocca darti ragione…  >>
<< Questo quartiere è famoso per il girovagare di individui non proprio interessanti, quindi faresti meglio a fare qualcosa per quella scollatura. >>
<< In che senso? >>
<< Come in che senso??? Vuoi che ti faccia un disegnino?! >>
<<….ah! Dannazione!! >>
 
Nella testa di Usui
Ecco fino a che punto può arrivare l’ingenuità femminile…
 
Si mise a ghignare sotto i baffi, mentre le mie guance assunsero una colorazione porpora. Mi vergognavo profondamente della mia stupidità. Incrociai le braccia sul petto, cercando di coprirmi, ma lui fu più svelto e mi girò intorno con una specie di piroetta. Quando tornò al suo posto, avevo una sciarpa avvolta intorno al collo, che mi pendeva esattamente nel punto che doveva celare.
 


<< E questa? Da dove sbuca? >>
<< Non è importante. Ma mi spieghi perché diavolo non ti sei coperta, principessa? >>
<< Avevo solo questo addosso.. non pensavo che mi sarebbe servita la giacca, dopotutto è primavera inoltrata… >>


<< Ma guarda te…. >>
<< Cosa? >>
<< A scuola sei tanto temibile che sembri un demone, mentre adesso sei uno scricciolo di ragazza…. Che scherzi che fa il destino… >>
<< Come un demone???? Brutta moffetta bionda che non sei altro! E smettila di chiamarmi principessa! >>
 
Restò un attimo paralizzato, preso alla sprovvista dal mio insulto, se si poteva definire tale. Ci squadrammo per un lasso di tempo indeterminato. Poi si riscosse all’improvviso. E gli scappò una risata.
Era la prima volta che lo sentivo ridere. Era un suono strano. Non era né sgradevole, né piacevole. In quel frangente sembrava… una persona normale. Alzai lo sguardo. Non so perché, ma quel viso improvvisamente angelico, quasi da bambino, mi fece sorridere.
Alla fine mi misi a ridere anch’io. Era da molto che non mi lasciavo andare ad una risata liberatoria, e fu stranissimo condividere quel momento. Sembravamo due bambini delle elementari che si prendevano in giro con nomignoli stupidi e infantili. In quel momento mi chiesi se noi due saremmo mai potuto essere amici. Ci ritrovammo appoggiati alla ringhiera di una casa a ridere come matti, tenendoci la pancia dolorante per lo sforzo. Sembravamo davvero due poppanti alle prese con una barzelletta irresistibile. Si fermò per un momento, asciugandosi una lacrima dagli occhi verdi come smeraldi. Poi si mise a fissarmi e ricominciò a ridere.
 


<< Cosa c’è di tanto divertente? >>
<< Ma dico, ti sei guardata allo specchio prima di uscire? >>
<< Perché? >>
 
oddio, scommetto che ho della panna sul naso! O peggio, magari mi sono sbrodolata con la cola mentre la bevevo…se osa andare a dire in giro a dire che sono golosa, non basteranno due secoli di permanenza all’inferno per scordare quello che gli farò!
 
Si avvicinò e allungò la mano, verso il mio viso.
 
Allarme rosso! Attenzione! Stato di allerta! Una forma di vita basata sul carbonio corrispondente al cromosoma Y sta allungando le zampe verso di te!!IN UN VICOLO ALLA PERIFERIA DELLA CITTA’! TUTTO QUESTO E’ MOLTO POCO SICURO! Preparazione degli schemi di autodifesa!
 
Ripassai mentalmente tutte le mosse di judo che sapevo, mentre lo spirito cintura nera che risiedeva in me si animava.
All’improvviso la sua mano cambiò traiettoria, spiazzandomi per un secondo.
 
Che voglia prendermi per  i capelli? 
 
Invece no. Afferrò qualcosa tra i miei capelli, tirò e poi me lo mise davanti al naso. Erano petali di ciliegio. Probabilmente si erano impigliati mentre pattinavo all’indietro. Si rimise a ridere.
 


<< Ma insomma smettila! >>
<< Non so se hai visto che faccia avevi un secondo fa, ma sembrava che stessi per attaccarmi. Ti sembro forse uno stalker? >>
 
occhiataccia.
 


<< Eddai principessa, non dirmi che lo pensi davvero perché mi sento offeso! >>
<< Beh, forse hai ragione. In effetti da come ti comporti a scuola mi sei sembrato di più un pervertito. >>
<< E perché scusa? >>
<< Perché prima adeschi le ragazze poi le lasci e le fai piangere. Come se fosse solo un gioco, un passatempo. Solo un individuo senza cuore potrebbe farlo!! >>
<< Mi sa che hai perso gran parte della storia, principessa. >>
<< In che senso? >>
<< Io e le “ indifese ragazze” che dici tu non siamo mai stati insieme. Venivano LORO da me e io, semplicemente le respingevo. Non ho accettato nessuna delle loro dichiarazioni perché non sentivo niente di speciale tra loro e me. >>
 
Esitai per un attimo.
 
Non avrei mai pensato di vederla in quella maniera: l’avevo sempre immaginato come un sadico che si divertiva a far soffrire le ragazze; come la maggior parte degli uomini. Come… mio padre.
 
Mi rabbuiai, ed in un attimo la mia corazza anti – cromosoma Y si riattivò.
 


<< Va bene, però avresti potuto essere più gentile. E poi è impossibile che non te ne sia piaciuta nemmeno una. C’erano ragazze molto carine tra di loro. Un maschio qualunque sarebbe saltato addosso alla prima che capita. >>
<< E con questo? Io non sono un ragazzo qualunque. >>
<< Certo, certo. Vuoi farti prete per caso? Cos’hai che non va? Aspetta.. se fidanzato, vero? >>
<< No. Però mi sono innamorato. >>
<< Seee! Un uomo non si innamora. O almeno, non a questa età. Che persona è? Tipo Pamela Anderson? >>
 
mi fissò negli occhi e rispose
 
<< Tipo Xeena. >>
 
Ammutolii.
 
Oh. Oh mamma. No! Non può essere….! 
 


<< E’ Jane della terza G vero? Lo sapevo! Hahaha, con me non la fai franca! Ho sempre saputo che a quelli come te piacciono le bellezze esotiche e lei è americana!!! >>
 
nella testa di usui:
mi sbagliavo. L’ingenuità di questa ragazza non ha limiti. O lo fa apposta, oppure alle elezioni per il presidente del consiglio studentesco ha corrotto i prof.
 


<< Certo che sei un bel tipo, eh? >>
<< Perché? Aspetta… c’è qualche significato nascosto che dovrei cogliere? Un doppio senso? >>
<< Santi e madonne aiutatemi voi! Ma ti vuoi rilassare? Ti comporti come se fossi ad un esame dove ti fanno domande trabocchetto! >>
 
aiuto, perché sono così nervosa? Devo fare qualcosa…
 


<< Oh, mamma com’è tardi devo andare! A mamma verrà un infarto se non mi trova a casa! >>
<< Ok. >>
 
mi girai, pronta a pattinare verso casa. Mi fermai di botto.
 
<< Ehm… Usui? >>
<< Sì? >>
<< Io… io….ecco… mi sono persa >>
<< Eh? Perché bisbigli? >>
 
Arrossii di vergogna
 


<< Vedi.. io.. mi sono persa. Non conosco questa parte della città. >>
<< E quindi? >>
<< Beh, ecco…. Mi puoi riportare a casa? >>
 
Si girò, dandomi le spalle e incrociando le braccia in maniera teatrale. Poi mi sbirciò da sopra la spalla.
 


<< Non ho sentito. >>
<< Mi puoi riportare a casa… per… favore? >>
 
Si girò con un sorriso furbesco.
 


<< Ad una condizione, però! >>
<< E sarebbe? >>
<< Ti posso chiamare principessa? >>
<< E Perché? Come mai ci tieni tanto? >>
<< Niente domande. O così o nisba. >>
<< Oh… allora… va bene… >>
 
arrossii. Ancora una volta.
 


<< Allora… andiamo? >>
 
santo cielo, perché sono così agitata? Però è strano… anche se prima mi faceva arrabbiare, ora quel nomignolo mi rende felice… chissà perché…
 


<< Okay, principessa, il tuo castello è da questa parte. >>
<< Ora però stai esagerando con questa storia. Giuro che se lo racconti a scuola ti scuoio vivo. >>
<< Ma certo! Tutto quello che vuoi! >>
 
E, prendendomi per mano, mi fece strada.

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Capitolo 5
*** profumo di verità ***


Spazio Autrice

Chiedo perdono per il mega ritardo con cui ho aggiornato questa volta! Colpa d un virus che mi ha visto costretta a mandare il mio amato computer a riparare…
Prima di buttarvi a capofitto nel capitolo più atteso della storia, volevo dirvi che ho deciso di mandare avanti la storia.
 
L’amore trionfa sempre!
Ora che sono al liceo, spero che questo accada anche per me!
ma a voi non importa, giusto? Giusto.
*animelover è solo una macchina per fanfic*
 
Ocio, che dove ci sono i tratteggi, cambia il narratore!!!!
 
Inoltre, volevo ringraziarvi per le recensioni alle mie neonate fanfiction, che hanno ricevuto un sacco di voti positivi e di visite (sempre gradite).
Baci e abbracci a tutti gli accaniti lettori di questa fic! ( devo salutarvi uno per uno? )
                         animelover
 
 
profumo di verità
 
Era quasi sera.
Usui aveva camminato per tutto il tempo, portandomi sulle spalle, mentre io ero caduta in un sonno profondo. Mi sentivo protetta, al sicuro. Strinsi impercettibilmente la presa sulla sua maglietta, sperando che lui non se ne accorgesse e non si montasse la testa. Troppo tardi: sentivo che la pelle si tirava in un sorriso di vittoria.
Volevo digli di non fare lo sbruffone, ma l’atmosfera era così magica che non mi andava di rovinarla.
Nell’inconscio, mi sembrava che ci fosse qualcosa di familiare in tutto ciò. Ma forse era solo una mia impressione.
 
Cammina cammina, arrivammo ad una casupola diroccata…. La mia.
Arrossii d’istinto, imbarazzata.
Di solito non stavo a guardare “ l’esteriore “, ma questa era la prima volta che un ragazzo veniva a casa mia. (nda: sicura?)
In più, Usui non sapeva come entrare a casa mia.
Provai a parlare, ma dalla mia gola non uscì alcun suono, solo un sospiro.
 
Accidenti! Ora come faccio a dirgli che la chiave è sotto il vaso da fiori finti?
 
All’inizio mi ero addormentata solo perché questa dolce sensazione e il sollievo dopo il pericolo se ne era andato, ma ora avevo una vera spossatezza addosso.
Cercavo di tenere gli occhi semiaperti, ma in questa guerra vinsero le mie palpebre pesanti.
Sentivo il suo corpo muoversi, ma ero troppo stanca per guardare cosa stava combinando. Sperando che non scassinasse o rompesse nulla, mi congedai per un po’ dal mondo degli esseri senzienti per quello di Morfeo.
In quel momento non mi chiesi come faceva Usui a conoscere il posto dove vivevo.
 
-         - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
 
I miei passi si fermarono davanti ad una casa. O meglio: la casa.
Mi scappò un sorriso. Tale e quale a quella di otto anni fa.
Voltai la testa. Eccolo. Era impolverato e arrugginito, ma era sempre lui.
Lo scivolo giallo e rosso che assomigliava ad un mini castello.
 
*FLASHBACK*
 
- scendi, vado prima io! –
-         vediamo chi arriva prima! –
-         no, io sono una bambina! –
-         e allora? –
-         in un castello, il galateo dice che i cavalieri nobili e coraggiosi debbano sempre far passare per prime le principesse e salvarle sempre. Quindi, se tu sei il mio cavaliere, io sono la tua principessa. -
-         Agli ordini, principessa! –
 
*FINE FLASHBACK*
 
Detti uno sguardo alla creaturina aggrappata alle mie spalle.
 
Si addormenta sempre quando si sente al sicuro. Proprio come allora.
 
Girò la testa dall’altra parte. Sembrava così indifesa…
 
Vediamo se funziona ancora…
 
Iniziai a dondolarmi sul posto, canticchiando a mezza voce una ninna nanna.
Un gorgoglio nacque dalle sue corde vocali e divenne sempre più forte.
Frrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr…..
 
Sorrisi.
 
Fa le fusa. Non è cresciuta per niente. E se è rimasta così, le chiavi sono…
 
A colpo sicuro individuai un vaso di tulipani finti. Con una manovra un po’ azzardata, ressi Misa con una mano sola e con l’altra alzai il vaso.
 
Trovate.
 
Le infilai nella toppa e girai la chiave per due volte a sinistra, mentre il pomello una volta a destra. Quella casa era sempre uguale. Tutte le volti che entravi, sembrava di dover aprire una cassaforte.
 
Sullo stipite erano incise le tacche dell’altezza sue e di sua sorella.
Raggiunto il salotto, la distesi su un divano e mi accapigliai con un mobile recidivo che non ne voleva sapere di cedermi una coperta.
Dopo aver vinto il round, gliela misi addosso. Infine, mi avviai in cucina per preparargli una camomilla “con poco zucchero” come piace a lei.
 
Cercai per la cucina gli ingredienti, le tazzine e la teiera.
Mentre mi apprestavo a mettere il bollitore sul fornello a gas, il telefono squillò.
 
Che fare? Quando Misa si addormenta non la sveglia nemmeno un bulldozzer.. mi sa che devo rispondere per forza.
 
-         pronto? – dissi alzando la cornetta
-         ..pronto? scusi, non vorrei aver sbagliato numero… lei non è mia figlia, vero? –
-         No – dissi sorridendo – ma in un certo senso ha ragione. Lei è sua madre, vero? La mamma di Misa-chan. –
-         ….lei chi è? che cosa ci fa a casa mia? –
-         Ah, mi scusi, è vero. Sono un compagno di classe di sua figlia, si è trovata in difficoltà e ora l’ho accompagnata a casa. In questo momento sta dormendo, ma se vuole la sveglio. –
 
Dal telefono uscì una risata
 
-         credo che farai molta fatica ragazzo! Comunque sembri una persona perbene. Come ti chiami? –
-         Usui. –
-         mmm… mi ricorda qualcosa…- ci fu un attimo di silenzio - … bene, puoi riferire a mia figlia questo messaggio?  Dille che io e sua sorella torneremo a casa tra due giorni. –
-         posso sapere il motivo? –
-         vedi, devi sapere che sua sorella è appassionata di concorsi. Stavolta ne ha vinto uno che come premio dava l’ingresso gratis per due persone allo zoo. –
-         ok. Glielo dirò. –
-         va bene, grazie per tutto quello che hai fatto per mia figlia. Comunque… sei sicuro che non ci conosciamo? Ho come.. un qualcosa nella mia mente che mi dice che ti conosco. –
 
 
silenzio. Sospiro. Sorriso.
 
-         no, signora. L’ho conosciuta in questo preciso istante. –
-         mmm…. Ok… dà a Misa un abbraccio da parte nostra e salutacela, mi raccomando. –
-         sarà fatto. –
 
tuuu-tuuu-tuuu.
 
-         bene….. e adesso chi glielo dice? –
 
 
-         - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
 
 
Un odore dolce e speziato mi solleticò le narici.
Una mano mi spostò i capelli dal viso, per poi scendere prima verso il mio collo e poi sulla mia spalla, scuotendomi delicatamente. Era troppo grande per essere la mano di mia mamma. Callosa e rude, ma piacevole al tatto. Mi svegliai lentamente sotto il tocco delle carezze di quel palmo familiare e sconosciuto allo stesso tempo.
Aprii lentamente gli occhi e nel mio campo visivo intercettai subito l’angelo di poche ore fa.  Solo che stavolta non scomparì.
 
-         buongiorno principessa – disse Usui appoggiando una camomilla fumante sul tavolino. Le mie labbra si stirarono in un sorriso.
-         Ciao. –
 
Mi tirai su a sedere sul divano e lui si lasciò cadere di fianco a me. Solo mentre portavo la tazza alle labbra, notai quel particolare.
 
-         Usui… sai che tra tutte sei riuscito a prendere proprio la mia tazza? –
-         Mmm… - fece lui. Non mi stava ascoltando. Giocava distrattamente con i miei capelli. Io lo lasciavo fare, anche se ero un po’ imbarazzata. Ormai avevo deciso di fidarmi di lui.
 
Però è strano… mia sorella dice sempre che la mia tazza sembra un bicchiere… come avrà fatto a indovinare?
 
Ci rimuginai su per qualche secondo.
 
Mah, avrà avuto fortuna.
 
-         che buona questa camomilla! Proprio come piace a me! –
-         mmm… -
 
c’era qualcosa che non andava. Non mi guardava negli occhi, era pensieroso. E rispondeva mugugnando.
 
-         Usui… cos’hai? – staccò lo sguardo fisso sui miei capelli e puntò gli occhi dentro ai miei, trafiggendomi con lo sguardo.
-         Mentre dormivi…. Ha chiamato tua madre. –
 
Il mio cuore perse un battito.
 
-  non le hai detto quello che mi è successo, vero? Non voglio che si preoccupi inutilmente… ha già troppe cose a cui pensare, non voglio che sappia che sua
Figlia si è quasi rotta l’osso del collo! –
-         tranquilla, non le ho detto niente. Però ha detto…. – esitò per un attimo – ha detto che tua sorella ha vinto un qualche concorso e che torneranno a casa tra due giorni. - completò, tenendo lo sguardo basso.
-         …. – tirai un sospiro di sollievo
-         Meno male! Dalla tua faccia mi ero aspettata chissà che cosa! –
-         Ma non hai paura? –
-         No, anzi, sono felice per loro! Un giorno o l’altro dorò chiedere ad Azuna di vincere una casa nuova…. –
-         Perché? A me pare molto bella. Anche se un po’… come dire…antica? – azzardò.
-         Io direi che è più una trappola mortale! A proposito… sei già stato gambizzato dalle assi in entrata? – chiesi, spettandomi una risposta affermativa.
-         No, sono riuscito a evitarle tutte! – mi rispose, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
-         Rispondimi seriamente…. Hai qualche potere paranormale? Persino io, che ci abito, ogni tanto ci cado dentro! Che strano…. È come se conoscessi a menadito casa mia…. Buffo, non trovi? –
 
Respiro spezzato, seguito da colpi di tosse.
 
-         ma che dici?come potrei? –
-         hai ragione, scusami. –
mentre finivo di sorseggiare la camomilla, Usui gettò uno sguardo all’oroogio.
 
-         è tardi, io vado. – disse, alzandosi.
-         Ma è buio! E poi… -
 
Un rumore fortissimo mi interruppe e una luce bianca illuminò per un attimo il salotto.
Il grido che proruppe dalle mie labbra e la forza con cui mi aggrappai al suo braccio costrinsero Usui a fermarsi.
Mi accorsi di quello che avevo fatto e gli lasciai la manica, imbarazzata, simulando un sorriso.
 
-         ah…ehm…scusa, non è niente, vai pur… -
 
un altro rombo mi interruppe.
Un mugolio di paura riuscì a uscire dalla mia bocca, anche se cercavo di non dare a vedere che ero terrorizzata. Mi nascosi il viso dietro alle mano.
 
Che vergogna! Proprio davanti a lui! E dire che ormai sono una donna adulta… ho ancora paura di cose come questa!
 
 
…..ma che…?
 
Sentii un corpo scivolare tra me e il tessuto spugnoso del divanetto sul quale ero seduta. La coperta ci avvolse, mentre le sue braccia mi circondavano.
Troppo confusa e impaurita per spiccicare parola, semplicemente mi girai e affondai la faccia nel suo petto, piangendo silenziosamente.
 
 
-         - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
 
Abbracciai quel corpicino tremante.
 
-         paura dei tuoni. – non era una domanda.
 
Nascose ancora di più la faccia.
 
- avanti. Prendimi in giro. Dillo: sono una ragazza facile e una fifona. -   sorrisi.
- non è una colpa. Piuttosto… perché hai paura dei tuoni? –
 
Sorprendentemente si allungò ancora di più verso di me e allacciò le mani dietro la mia schiena, artigliando la coperta con le mani.
Si girò a guardare verso la finestra, sussultando ad ogni nuovo lampo, mentre la pioggia batteva sui vetri.
 
-         prometti di non ridere? –
-         avanti spara. –
 
esitò per un attimo. Poi mi guardò e si convinse.
 
-         è a causa…. Del mio primo amore… un ragazzino di cui non ricordo nemmeno il nome. –
 
il tempo si fermò. Ansimai e la spronai a continuare, mentre la curiosità e un dubbio che diventava certezza cresceva.
 
-         successe tutto otto anni fa. Ci siamo conosciuto quando eravamo piccoli e mio padre faceva ancora parte della mia famiglia. Eravamo vicini di casa, tutti i giorni stavamo insieme e giocavamo. Ci piacevamo a vicenda, ci completavamo. Lui aveva paura delle notti senza stelle, perché in una di quelle notti perse i suoi genitori in un incidente automobilistico. Si salvò per miracolo. –
 
cominciai a tremare, ma lei non se ne accorse.
 
-         era come…. Telepatia. Ogni volta che stavo male, anche se non glielo dicevo, lui prontamente correva da me. Se glielo chiedevo, rispondeva “me l’ha detto un uccellino”. E io ci cascavo sempre. –
 
rise.
 
- ed era sempre con lui che parlavo dei litigi fra i miei.
Poi, un giorno, successe. Mio padre sparì all’improvviso, lasciando sole me, mia mamma e Azuna,  che a quel tempo era poco più di una bimba. Quella sera stessa mia mamma decise di andare dalla nonna per “chiarirsi le idee”. Radunammo il minimo indispensabile e partimmo, senza tanti preamboli. Non mi permise nemmeno di salutarlo. Era una notte temporalesca e c’erano molti tuoni. Da qui la mia stupida fobia. Tre anni fa, mia mamma e io avevamo nostalgia di questa casa, che portava al suo interno ricordi spiacevoli, ma anche belli e di cui avevamo nostalgia. E siamo tornate. Sono andata subito a cercarlo, ma… lui non c’era più. Chiesi in giro, ma tutti mi dicevano che si era trasferito. Nessuno sapeva dove. Non lo rividi mai più. -  concluse.
 
Sprofondammo in un silenzio che sapeva tanto di attesa.
Dunque era questa, la verità?

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Capitolo 6
*** la matematica non è un'opinione ***


La Matematica non è un’opinione
 
 
Sbattei più volte le palpebre, mettendo a fuoco la stanza.
Avevo dormito molto bene quella notte, nonostante la posizione scomoda in cui ero costretta.
Mi strinsi più forte al corpo a cui ero abbracciata.
Eh, sì.
Perché se da una parte il buon senso mi diceva che non era normale aver dormito abbracciata ad un ragazzo che conoscevo a malapena, dall’altra ero pienamente consapevole della sua calda presenza e il mio istinto mi spingeva a fare totale affidamento su di lui.
Il mio naturale astio per gli uomini era svanito. O forse era meglio dire che con lui non funzionava.
Era speciale. Me lo sentivo dentro.
Sistemai meglio la coperta  che aveva lasciato le spalle di Usui esposte al freddo e appoggia la testa sul suo petto. Potevo sentire distintamente il battito del suo cuore.
Sentii che la presa delle sue braccia intorno alla mia schiena si rafforzò.
Non riuscivo a capire se era un riflesso condizionato nel sonno o se stava solo facendo finta di dormire.
Sta di fatto, che a dispetto dello spazio esiguo del divano, quella notte non mi ero mai svegliata per la paura di cadere.
Passai le dita tra i fili d’oro che erano i suoi capelli. Erano setosi e profumati. Avvicinai il viso per sentirne l’odore, e sentivo chiaramente il suo fiato sul collo e le labbra che mi sfioravano leggermente la pelle.
Realizzai in un solo istante che in quel momento gli appartenevo. E mi apparteneva.
Non mi ero mai sentita così vicina a qualcuno. I nostri cuore erano battito a battito, i respiri che si scontravano. Cercai di godermi quegli attimi e lo strinsi ancora di più, come se potesse scomparire da un momento all’altro.
 
Forse perché mi sentivo protetta, forse perché era ancora prestissimo e avevo ancora molto sonno; sta di fatto che mi addormentai di nuovo.
 
                                                               * * * * *
 
 
I sui capelli mi solleticavano il naso.
La sentii muoversi all’interno del mio abbraccio, ma senza volerne uscire.
Rafforzai la presa dietro la sua schiena, non si sa mai, sarebbe stata benissimo in grado di capitombolare per terra.
Si appoggiò al mio petto. Cercai di stare più fermo possibile, visto che un movimento brusco avrebbe potuto spezzare l’atmosfera magica venutasi a creare. Sorrisi, e le mie labbra quasi le toccarono la pelle.
 
È un po’ come provare ad avvicinare un gattino spaurito: piano e con dolcezza.
 
Mi beai del suo tocco sui capelli, così delicato e leggero.
Conoscendola, aveva paura di svegliarmi.
Dopo un po’ smise, e mi abbracciò ancora più forte.
E poi si addormentò. Come un sasso.
 
Leggermente shockato dalla sua capacità soporifera, trattenei a stento una risata. Quella ragazza era proprio imprevedibile! Riusciva sempre a stupirmi!
La cullai per un po’, mettendo al loro posto i vari pezzi del puzzle che avevo in mente.
Dopo varie elucubrazioni, presi una decisione.
Era arrivato il momento di fare luce su questa faccenda.
 
 
                                               * * * * *
 
Il profumo intenso del caffé mi solleticò le narici. Ed era strano.
A casa mia non si preparava il caffé da otto anni.
Mi alzai, e non trovando Usui al mio fianco cominciai a preoccuparmi.
Poi, nell’aria si diffuse, misto a quello del caffé, l’aroma speziato della camomilla e Usui apparve all’entrata della camera reggendo due tazze.
Sorrise.
 
<< ohayo, ojou-sama. >> (NDA per coloro che non conoscono il giapponese: “ buongiorno principessa ” ) 
mi disse in quello che doveva essere l’imitazione di un inchino.
<< eddai, smettila! >> gli risposi mentre afferravo la  camomilla.
<< hai fatto una promessa e adesso la mantieni. >> ghignò lui.
<< uffa >> sbuffai.
<< parliamo d’altro. >> continuò lui << oggi è Domenica. >>
Lo fissai di sottecchi << e allora? >>
<< niente scuola. >>
<< non ti seguo. >>
Alzò gli occhi al cielo << ti ricordi la mia proposta di ieri? Il posto segreto? Ti va di andarci oggi? >>
 
Mi prese in contropiede
<< oddio…non so…. Oggi dovrei lavorare… >>
<< al maid latte? >>
<< sì… a proposito, non dirlo a nessuno! >>
<< mi pareva ovvio….comunque, perché non provi a chiedere un giorno di riposo? Scommetto che non sei mai andata in ferie. >>
Punta sul vivo, dovetti comunque ammettere che l’idea era buona; e ormai la curiosità mi stava divorando, perciò mi feci coraggio e composi sul telefono il numero del capo.
Sorpresa per la mia richiesta, all’inizio mi tempestò di domande, preoccupatissima; poi probabilmente capì qualcosa perché si affrettò a darmi il consenso mentre dalla cornetta usciva un fiume di fiorellini moe.
Appesi il ricevitore e feci l’ok a Usui.
<< tutto a posto! Sono libera come l’aria! >> dissi con un sorriso
<< allora cambiati e andiamo >> fece lui alzandosi
<< ancora nessun indizio sulla destinazione? >>
Si spazzò un poco i vestiti spiegazzati << se-gre-to! Lo scoprirai una volta arrivati >>
<< adesso fai anche  il misterioso? >>
<< e sbrigati! >>
<< arrivo, arrivo! >>
 
 
Poco dopo stavamo camminando fianco a fianco, diretti di nuovo verso l’area sud della città, il luogo dove ieri mi ero persa e dal quale Usui mi aveva salvato.
Durante il tragitto mi aprii ancora di più, semplicemente parlando del più e del meno in una maniera talmente naturale che persino io mi stupii. Sembrò apprezzare la mia parlantina. Ma non ci fu bisogno di risposte articolate da parte sua per farmi sentire a mio agio.
Mi bastava il suo sorriso e il modo in cui mi guardava per essere felice.
Il tempo scivolò via in fretta come sabbia dalle mani e ancora prima di accorgermene eravamo nel quartiere dove qualche ora prima Usui mi aveva salvato la vita.
Girammo l’angolo e ci infilammo in una stradina stretta stretta che sbucava su un campo incolto e spoglio. Al centro si alzava in una collinetta, sulla quale sommità c’era un capannone abbandonato.
Dal modo in cui accelerò il passo, capii che era la nostra destinazione.
Ci arrampicammo entrambi con agilità sul pendio e quando raggiungemmo la cima venimmo accolti da dei miagolii festanti.
Due gatti, ormai adulti ma nel pieno delle energie, trotterellavano verso di noi; uno bianco e l’altro nero e presero a strusciarsi sulla gambe di Usui, che li prese in braccio. Si voltò verso di me.
 
<< ti presento Shira e Kuro. >>
<< che carini! >> io adoravo i gatti. Anzi, per essere più precisi adoravo ogni forma di vita felina.
<< ma…. Hanno gli occhi di colore diverso! >>
 
Non mi ero sbagliata.
Infatti Shira aveva l’occhio destro verde e il sinistro giallo, mentre Kuro aveva l’occhio sinistro verde e il destro giallo.
 
<< sono fratelli. Comunque, questo posto non ti dice niente? >>
 
Mi voltai a squadralo, ma lui non aggiunse altro, quindi mi girai.
E trattenei il fiato.
 
Davanti ai miei occhi si spiegava il panorama della città vista dall’alto.
Magari d’inverno non sarebbe stato un granché, ma adesso era primavera e tutti i ciliegi sparsi qua e là facevano turbinare i loro petali fino al cielo, facendo di quel paesaggio ordinario uno spettacolo mozzafiato.
Balbettando siccome quel panorama mi aveva letteralmente mozzato il fiato, dissi
 
<< è… è bellissimo… >> il vento giocò con i miei capelli e mi gonfiò i vestiti.
Qualcosa affiorò alla mia memoria.
 
<< sai… ora che mi ci fai pensare… >> mi girai lentamente verso Usi, che mi fissava con un’espressione indecifrabile sul volto << io lo conosco questo posto… stavo cercando di arrivare qui ieri, ma mi sono persa… >>
 
Lo fronteggiai apertamente, sempre più confusa.
 
<< ci venivo con quel ragazzino… avevamo una gatta trovatella bianca e nera, che aveva gli occhi di colore diverso proprio come questi due gatti… >>
 
<< infatti Shira e Kuro sono i figli di Panda. >>
 
Silenzio.
 
 
<< ma io non ti ho detto il nome della gatta. >>
 
Lui non rispose.
 
<< come fai a conoscere il suo nome? E soprattutto: come fai a conoscere questo posto? >>
 
Pausa.
 
Incrociò le braccia al petto e si appoggiò con la schiena ad un albero. Un ghigno gli si dipinse sul volto.
<< me l’ha detto un uccellino. >>
 
E fu un flash.
 
 
<< scendi, vado prima io! >>
<< vediamo chi arriva prima! >>
<< no, io sono una bambina! >>
<< e allora? >>
<< in un castello, il galateo dice che i cavalieri nobili e coraggiosi debbano sempre far passare per prime le principesse e salvarle sempre. Quindi, se tu sei il mio cavaliere, io sono la tua principessa. >>

<< Agli ordini, principessa! >>
 
 
Spalancai gli occhi.
 
<< sei tu… >> Mormorai sconvolta
 
Si spiegava tutto.
La sintonia tra di noi, il fatto che conoscesse l’ubicazione della mia casa, le chiavi, la tazza, la camomilla, le trappole schivate in corridoio, la pace che mi pervadeva quando stavo con lui…
E uno scivolo giallo e rosso…
 
<< watashi no… ouji-sama… >> *
 
Gli occhi mi si fecero umidi quando mise giù Shira e Kuro e si inginocchiò davanti a me.
Prese la mia mano e la baciò.
 
<< okaeri, ojou-sama >> ** soffiò sulla mia pelle.
 
Il mio cuore perse un battito.
Erano otto anni che aspettavo quella frase.
E ora era arrivata.
Mi portai una mano alla bocca cercando di trattenere i singhiozzi, mentre mi buttavo tra le sue braccia. Mi sollevò in aria. Lo abbracciai.
 
<< mi sei mancato.. >>
In quelle tre parole erano condensati tutti i sentimenti e le emozioni dimenticati in quegli otto anni, e poi risvegliati in quei tre giorni
 
<< anche tu. >> e  in quelle due parole c’era tutta la gioia che stavo provando in quel momento.
 
 
                                                                      § § § § §
 
 
Dopo poco mi mise giù.
Ci guardammo negli occhi.
Cominciò ad avvicinarsi…. Sempre più vicino.. sempre più vicino…
 
Le labbra si schiusero, le pupille si dilatarono, gli sguardi si cercavano
Ero pronta? Non ne ero sicura.
Sapevo solo che appartenevamo l’uno all’altra.
Non mi curavo dei gatti che si strusciavano sulle nostra gambe, non mi curavo del vento che probabilmente mi stava sollevando la gonna… ok, magari di quello sì.
 Sempre più vicino…                                   una lentezza esasperante…
In quel momento….                                    Sospirai
Sempre più vicino….
C’era solo….                                               Chiusi gli occhi
Sempre più vicino…
Lui.
 
 
Il tocco gentile si posò morbidamente.
Sulla mia fronte.
Aprii gli occhi di scatto, sollevando gli occhi, sorpresa.
Era stato davvero inaspettato.
 
Probabilmente dovevo avere un’espressione davvero sbigottita, perché si mise a ridere.
Sfilò le mani dai miei capelli, lasciandoli ricadere sulle mie spalle, mentre io mi portavo la mani dove aveva appena posato le labbra.
 
<< ma guarda un po’! Misa-chan, mi stupisci! Che ti aspettavi? >>

Arrossii.
 
Maledetto, mi ha preso in giro!
 
Molto probabilmente aveva captato i miei pensieri, perché si affrettò a precisare
 
<< tranquilla, non ti ho preso in giro. Solo >> e si contrappose al sole, facendo di nuovo apparire l’angelo << voglio che tu mi baci pensando al me di adesso, non al me di allora. In sostanza… >>
 
Mi diede le spalle, mentre un sorriso mefistofelico gli di disegnava sulla faccia
 
<< … ti bacerò quando sarai innamorata di me. >>
 
Mi spiò da sopra la spalla.
 
<< detto questo, andiamo! >>
 
E si incamminò, lasciandomi indietro, completamente senza parole.
 
Mi sta provocando! Sa già benissimo la risposta! Ma non posso dargliela vinta!
 
Un misto di emozioni sfrecciarono attraverso si me: disappunto, sorpresa, ironia, voglia di rivincita.
E voglia di rivincita fu.
 
Lo raggiunsi a grandi falcate, gli artigliai la camicia e mi sollevai sulle punte, raggiungendo il suo viso.
Tornai per terra, cominciando una leggera corsetta giù per il pendio della collinetta.
Mi voltai, i capelli che mi svolazzavano intorno alla testa.
 
<< allora sbrigati a farmi innamorare! >>   urlai ad un Usui completamente spiazzato, che si teneva la guancia dove avevo appena appoggiato le labbra.
 
Poi chiuse gli occhi sorridendo e cominciò a inseguirmi.
 
<< cos’è? vuoi che cominci subito? >>
 
Quel giorno era per noi.
Era stato creato appositamente per noi.
Non saremmo più stati soli.
Mai più.
 
 
 
                                                  * * * * *
 
 
Scarpe nere e lucide calpestarono il suolo scolastico. Lunghi capelli rossi svolazzarono nel vento facendo ricadere i loro boccoli sulle spalle di una bellissima ragazza.
Portò la mano alla tasca, estraendone una foto che la ritraeva insieme ad un ragazzo dai capelli dorati e gli occhi di smeraldo.
 
<< takumi-kun…. >> mormorò.
 
 
Due lacrime caddero nel silenzio.
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
*spunt*
 
Ciao.
*coff*
 
Non so cosa dire.
 
*fugg*
 
XD è natooooo! Finalmente!
Dopo un’attesa durata più di un anno animelover finalmente è riuscita a partorire il capitolo!
*anf anf*
 
ok devo andare, ciao! Lasciatemi un commentino!
 
*rotola via*

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Capitolo 7
*** imprevisti e ospiti indesiderati ***


 
Imprevisti e ospiti indesiderati                                                                                                                                                                                      

 
 
 
 
Percorremmo la strada di casa mano nella mano.
Quel contatto di pelle su pelle non ci era nuovo, dato che eravamo abituati fin da piccoli a tare così vicini, ad essere così intimi; eppure, quel gesto così innocente e naturale, misto a tutte le nuove consapevolezze che il tempo, l’età e gli eventi appena accaduti avevano portato, risultava essere un contatto molto più elettrizzante, più vero e consapevole. Intendiamoci bene, non c’era niente di malizioso in tutto ciò; però tenerci la mano in quel modo era molto diverso dal darci la mano di quando eravamo piccoli. Donava sensazioni molto differenti.
 Mantenei comunque la lucidità. Non ero più una bambina! Ora ero la presidente del consiglio studentesco, ed era mio preciso dovere mantenere un contegno ; quindi mi imposi di non fissarlo; anche se, ogni tanto, contravvenivo io stessa a questa mia imposizione, permettendomi un’occhiatina di tanto in tanto.
E, puntualmente, ogni volta mi ritrovavo il ghigno di Usui che mi squadrava, come per dire “ beccata! ”  che mi faceva  avvampare ogni dannata volta.
 
Gli stetti con il fiato sul collo  tutto il tempo, ansiosa di farmi raccontare tutto quello che era successo in quegli anni di vuoto. 
Fu molto paziente, e io molto felice. Finalmente l’avevo ritrovato, avevo ritrovato la persona di cui mi potevo fidare, il mio principe. Rispose a tutte le mie domande. Mi raccontò dei suoi studi e della sue scuola a Tokio, ove si era trasferito quando io e la mia famiglia ce ne siamo andati da mia nonna, mi descrisse le sue amicizie e i suoi compagni di classe, alcuni veramente strampalati, mi mise al corrente persino dei suoi piccoli gesti quotidiani, che non erano cambiati molto dai tempi della tenera età.
Solo una cosa mi tacque: il motivo del suo trasferimento. Per quanto cercassi di saperlo, non mi rispondeva oppure cambiava argomento; cercando di non darlo a vedere.
Alla fine smisi di insistere. Se non voleva parlarne, ci sarà stato un motivo valido, no?
 
Verso l’ora di cena arrivammo a casa.
Riuscii con molto imbarazzo a chiedergli se  volesse fermarsi a mangiare, ma lui, con mia grande sorpresa e delusione, si rifiutò.
E restammo lì, sulla soglia di casa, in silenzio. Un silenzio alquanto imbarazzato, anche. Quel silenzio carico di una qualche aspettativa indefinita che avevo visto molto spesso nei film o letto nei libri.
 
Santo cielo, stiamo per baciarci! E se non lo faccio bene? E se faccio una faccia strana? E se sbattiamo coi denti o ci diamo una testata in fronte?? Mamma mia che imbarazzo!
 
Chiusi comunque gli occhi e sollevai leggermente il mento, cercando di non apparire sfacciata, ma… nulla accadde. Tentennai per un bel po’, poi decisi di aprire gli occhi, e restai accecata dal flash del telefonino di Usui, posto a qualche centimetro dal mio naso, che mi aveva appena scattato una foto. Mi sfregai le iridi doloranti da sopra le palpebre, poi mi girai verso di lui, furiosa.
 
<< Ma che ti salta in mente, idiota?! >> gli abbaiai
 
Per tutta risposta, lui baciò in modo misterioso il display del cellulare, sullo sfondo del quale campeggiava ora il primo piano del mio viso catturato poco prima, guardandomi con occhi maliziosi e bisbigliando un << Hei… che ti aspettavi? >>
 
Avvampai all’istante, memore delle mie precedenti azioni. Gli diedi uno spintone, strillando << C-Chi, io?! P-Proprio niente! >> in modo parecchio isterico.
Lui rise, arruffandomi leggermente i capelli, incurante delle maledizioni che gli stavo lanciando, prima di stringermi a sé con trasporto.
Mi arresi al suo comportamento, che di logico e coerente aveva ben poco. Per non dargli soddisfazione, però, invece di rispondere all’abbraccio mi aggrappai ai bordi della sua maglietta.
Restammo uniti per un po’.
 
<< Puzzi. >>
<< Oh, grazie. >>
<< No, sul serio. Fatti una doccia. >>
<< È un invito? Come sei audace! >> sogghignò
<< Scemo, intendevo a casa tua! >> risposi frettolosamente
<< Oh… mi cacci? >>
<< Sì, ti caccio. Aria, sciò, pussa via! >>
<< Cattiva. >>
<< Non sai quanto. >>
 
Ci ridemmo praticamente addosso, tenendoci la pancia con le lacrime agli occhi.
Sereni, ci salutammo sul cancello disastrato di casa mia e lui si incamminò verso il suo appartamento.
Restai a guardarlo dalla soglia finché non girò l’angolo, poi entrai e chiusi per bene la porta.
 
 
 
 
 
Il giorno seguente fui impegnata fino al limite del concepibile:  mi dovetti destreggiare fra verifiche, esami e doveri di presidente del consiglio studentesco.
Di solito svolgevo tutte queste cose con il massimo della solerzia e di buon grado; però alla fine mi lasciavano inevitabilmente senza forze.
Quel giorno, però, ero piena di un’energia talmente straripante da consentirmi di fare tutto senza il minimo sforzo. Che centrasse in qualche maniera un certo Takumi, su questo non c’era dubbio.
La seguiva dappertutto, fregandosene altamente dell’altrui opinione, lasciando gli altri studenti, che ben si ricordavano dell’astio che provava la presidentessa nei suoi confronti, a scrutarlo con tanto d’occhi mentre seguiva la sopraccitata presidentessa con serafica tranquillità e  un sorriso pacifico a illuminargli il volto.
Ma ciò che destò più scalpore non solo fu come il terribile pugno della giustizia del comitato disciplinare non solo lo lasciava fare, ma anche come appariva del tutto a suo agio in quella situazione, continuando a chiacchierare con se stessa, o meglio, con lui, conscia che era sempre dietro le sue spalle a seguirla.
Nemmeno si voltava, tanto era sicura della sua presenza.
Da tutti gli studenti, professori, bidelli e quant’altro, quello venne ricordato come il giorno in cui io, Misaki Aizawa, sorrisi per la prima volta.
Personalmente, trovai tutto ciò un tantino esagerato, ma quel giorno non mi preoccupai di niente e di nessuno se non di lui. Provavo un’eccitante ebbrezza a muovermi in continuazione parlando quasi sottovoce, gongolando del fatto che lui era costretto ad aumentare continuamente l’andatura per potermi stare vicino ed ascoltarmi; ma questo non lo dissi mai ad anima viva.
 
 
Talmente presa dal senso di potere e dai vari impegni che mi affollarono la mattina non mi accorsi del tempo che passava, tant’è che quando suonò la campanella che annunciava la fine della giornata scolastica mi bloccai nel bel mezzo del movimento che stavo compiendo, con un’espressione interdetta che scatenò l’ilarità del biodo ragazzo che mi aveva seguita tutto il tempo.
Un senso di calma mi pervase i nervi. Rilassai le spalle.
Potevo considerarmi in pausa, almeno per il momento.
 
<< Andiamo? >> Usui mi guardava dalla porta della classe, appoggiato svogliatamente contro di essa, il solito sorriso intrigante sul volto.
Dire che mi sentii inebriare da quel sorriso è dire poco.
<< Andiamo. >>
 
Lo affiancai, raggiungendo insieme a lui l’uscita.
Ci salutammo davanti ai cancelli, non consapevoli di essere spiati.
 
                                                                                   ***
 
 
Davvero, Misa-chan è cresciuta! Altro che bambina, adesso è una donna fatta e finita…. Ma sarà sempre la mia piccola Misa-chan.
 
 
Frugai qualche secondo nelle tasche dei pantaloni prima di riuscire a sentire il tintinnio familiare delle chiavi di casa nella mia mano.
Con gesti ormai meccanici, aprii la porta, lasciai cadere le suddette chiavi su un mobiletto di fiano alla porta, dal quale estrassi anche le pantofole da interno, appesi la giacca dell’uniforme sull’attaccapanni e mi levai la cravatta. Passando di fianco al divano per andare in cucina gliela lasciai sopra, poi raggiunsi il frigo e presi la bottiglia di latte giornaliera. Ne bevvi la metà, il resto era per Kuro e Shira, sarei passato da loro più tardi.
Sospirando mi aprii i primi bottoni della camicia e mi scompigliai i capelli, mentre l’intorpidimento prendeva possesso del mio corpo.
Il mio appartamento era molto spoglio, c’era giusto l’essenziale. A me piaceva così, in fondo; però a volte vorrei che fosse più rumoroso.
Ciabattai fino al letto, e mi ci sarei lasciato cadere sopra con molto piacere, se non  fu che il campanello annunciò l’arrivo di un ospite. Totalmente inatteso. E indesiderato, soprattutto.
Andai ad aprire, ma chi mi trovai di fronte mi fece salire l’istinto di sbattere la porta e barricarmi in casa.
 
<< Buongiorno, Takumi-kun. >>
Al di sotto di una voluminosa massa di capelli rossi, degli occhi verdi  intenso mi fissavano con falsa innocenza. La maglietta, fin troppo scollata, era di un colore fin troppo acceso, quasi un pugno in un occhio, secondo in fastidio soltanto dopo l’eco del ticchettare dei tacchi delle sue scarpe. Come al solito, quella tipa mi faceva venire in mente solo un aggettivo: esagerata.
<< Reina. Cosa ci fai tu qui? >>
<< Oh, niente di particolare. Passavo di qui e sono venuta a salutarti. >>
<< Non raccontarmi balle. Non ti avrei mai detto il mio domicilio. >>
<< Lo so, infatti ti ho pedinato. Alla fine me l’hai detto lo stesso, anche se non proprio di tua volontà… >>
 
Strinsi il pomello della porta. Ci aveva seguiti? Aveva visto Misa?
 
<< Cosa vuoi? >>
<< Ow, che scortese. Non mi fai entrare?  Non si fa attendere una signora sul pianerottolo di un appartamento, sai? >>
 
La guardai con durezza, ma mi feci da parte lo stesso.
<< I tuoi genitori sanno che sei qui? >>
<< In un certo senso… sì. >>
<< Non so cosa stai macchinando ma io non voglio saperne niente. >>
<< Io non sto macchinando proprio niente, Takumi-kun. >> disse di nuovo con quella sua finta innocenza << ti chiedo solo di ospitarmi per qualche giorno. >>
La fissai intensamente, ma non riuscii a leggere niente nei suoi occhi. Come al solito.
 
<< E sia. Ma sappi che lo faccio solo in nome della gratitudine che ho nei confronti di tuo padre. Se scopro che è all’oscuro del fatto che tu sei qui, te la farò pagare. >>
<< Oh, che cattivo, come mi fai paura! >>  mi scimmiottò.
 
La ignorai e mi levai la camicia, gettando anche quella sul divano.
 
<< La camera degli ospiti è la penultima a destra. Io adesso vado a farmi una doccia, non infastidirmi ulteriormente. Ho poca pazienza. >> e sbattei la porta del bagno, deciso a porre un confine tra me e quella vipera. Vederla mi aveva fatto venire in mente brutti ricordi e l’ira che credevo di aver seppellito riaffiorò prepotentemente.
Non volevo avere nulla a che fare con lei, proprio ora che avevo ritrovato la mia Misa, e per questo non la degnai nemmeno di un’attenzione.
Solo dopo avrei capito il mio errore; dovevo tenerla d’occhio eccome.
 
                                                                                    ***
 
La ragazza si vide sbattere in faccia la porta del bagno e appena l’ultimo spiraglio di luce generato dalla lampada del bagno scomparve dal suo volto, il suo viso perse tutto il self control e la sue espressione innocente si trasformo una smorfia di rabbia. Lasciò cadere la borsa sul divano vicino alla camicia e si mise a curiosare in giro, rovistando anche tra gli effetti personali del padrona di casa.
Chi era, chi eracolei?
Chi aveva osato portaglielo via?
 
Dopo un po’, si stufò di rovistare. Rimise tutto a posto e si spaparanzò sul divano, come se fosse a casa sua, massaggiandosi le caviglie per il prolungato sforzo sopra i tacchi. Non le importava del dolore, davanti a lui doveva essere sempre perfetta. Proprio in quel momento Usui Takumi fece la sua comparsa in accappatoio, le volute di vapore che ancora di levavano dal suo corpo a causa della doccia calda appena fatta, probabilmente protratta fino all’inverosimile per evitare di doverla vedere di nuovo.
La fulminò con lo sguardo per poi andare dritto in camera sua, premurandosi di chiudere con forza la porta.
Lei sopportò la sua occhiata con una sprezzante e noncurante.
Non sei la benvenuta ”  era il messaggio che le aveva lanciato. Non le importava, lo avrebbe ignorato.
 
Una volta sicura che non sarebbe uscito per un po’, si mise di nuovo alla ricerca, ma nel bel mezzo del parapiglia si distrasse ad ammirare la giacca della divisa appesa all’attaccapanni in entrata. Incantata, ne sfiorò la manica con le unghie curatissime, per poi avvicinarsi ed affondarci il viso, inspirandone in profumo.
 
<< Takumi-kun… >>
Poi sentì qualcosa di strano nelle cuciture del tessuto.
Sospettosa, girò la giacca e la aprì, facendo presentare davanti ai suoi occhi la parte interna. Sulla parte sinistra, nella posizione del cuore, campeggiava una tasca cucita malamente in un palese fai-da-te. Si notava l’impegno e la cura che erano state messe per creare quel maldestro lavoro di cucito, ma alcuni particolari saltavano all’occhio, rendendo impossibile giudicarla ben fatta.
Con l’eccitazione mista al dubbio, la rossa forzò l’apertura in velcro posta a ulteriore difesa contro eventuali perdite sbadate e sfilò dalla tasca il contenuto.
Tre foto.
La prima era fatta con una vecchia polaroid. Ritraeva una bambina su di uno scivolo, simile ad un castello. Era leggermente paffuta, ma in modo adorabile, e con le guance rosso ciliegia, un cerotto posto sul naso. Quest’ultimo, ed una smorfia infantile rivolta all’obbiettivo gliela resero simpatica. Era sgualcita, segno che era stata presa in mano più volte.
La seconda, più recente, ritraeva Usui Takumi e un uomo, suo padre, mentre si stringevano la mano. Sullo sfondo c’era anche lei, Reina, che non aveva nemmeno provato a nascondere l’ira guardando i due e la loro stretta di mano.
La sua presa aumentò leggermente, palesando il suo nervosismo.
 
All’ultima foto, sbiancò.
In primo piano non solo campeggiava Usui Takumi con il primo vero sorriso sincero che le avesse mai indirizzato (sebbene in realtà fosse rivolto all’obbiettivo), ma anche una ragazza! La sua attenzione si focalizzò subito su di lei.
I capelli scuri erano raccolti in due codina, le guance, imporporate, le erano stranamente familiari. Ma non erano questi particolari a darle più fastidio. No, ciò che la mandava totalmente in bestia era un particolare molto più grande.
Era vestita da maid.
E non solo! Mentre l’espressione del suo viso dava come a vedere che le pesasse la situazione, con il corpo era amabilmente appoggiata al ragazzo che, dal suo canto, la stringeva a sé come se fosse il bene più prezioso.
Non ci pensò due volte ad accartocciare con cattiveria la foto.
 
Dunque era lei! Era lei, COLEI!
 
Si infilò l’ultima foto in tasca, e cambiò l’ordine delle rimanenti due, facendo in modo che la prima fosse quella dove c’era anche lei, e richiuse la giacca, in modo da far aderire il taschino alla posizione del cuore.
 
Sentì la porta aprirsi.
Carezzò con aria malinconica la giacca prima di dirigersi alla fonte del rumore, la camera del padrone di casa.
 
<< Io non cucino per te, sia chiaro. >> la avvisò, vedendola sopraggiungere.
<< Come siamo freddi. Ti pare questo il modo di trattarmi? Dopotutto… >> gli si avvicinò pericolosamente << … sono la tua fidanzata. Vuoi riscaldare un po’ la temperatura? Se vuoi ci penso io… >> sussurrò ammiccante, facendo aderire i suoi voluminosi seni sul petto di lui, mal nascosto da una camicia semi aperta.
 
L’espressione di lui cambiò repentinamente, arrivando quasi a farla spaventare.
La spinse via e si diresse verso la cucina, pronunciando terribili parole di monito: << Se tu osi ancora dire o fare cose del genere, non risponderò delle mie azioni. Ricorda che se non sei già sul pianerottolo è merito del debito che ho con tuo padre. Ma se tu >> disse, imponendosi a fatica la calma << se tu mi farai ancora pensare al passato, e a quello che mi hai fatto, ti ritroverai in mezzo alla strada tanto velocemente da farti girare la testa. Ricordati delle mie parole. Non forzare la corda, e non impicciarti dei miei affari. Non voglio nemmeno accorgermi della tua presenza. Chiaro? >>
E scomparve dentro la cucina, lasciandola davanti alla porta della sua camera a fremere di rabbia, paura e frustrazione. Si assalì l’unghia del pollice coi denti, poco le importava se si fosse rovinato lo smalto.
Si diresse verso la camera degli ospiti e vi ci si chiuse dentro, sbattendo la porta. Cominciò a camminare avanti e indietro, il ticchettare delle proprie scarpe che la innervosiva ancora di più.
Si fermò, cacciò la mano in tasca ed estrasse la foto di Usui con la ragazza sconosciuta.
La fissò per un periodo interminabile.
La strinse tanto da far sbiancare le nocche e la foto, che fino a qualche minuto prima era la più curata delle tre che aveva trovato nel taschino, si riempì di ulteriori orecchie e spiegazzamenti.
Senza pensarci due volte, la strappò a metà, riponendole in due tasche separate, come a voler separare anche le persone ritratte in essa.
 
Afferrò con decisione il pomello della porta, una dura risolutezza impressa negli occhi verdi.
 

 
 
Angolino dei funghi
Buongiorno a tutti i lettori e le lettrici e, come al solito, scusate per il ritardo!
Stavolta non scriverò molto a parte i ringraziamenti per chi ha messo la storia nei preferiti, nelle seguite o nelle ricordate e per chi ha recensito, perché programmo di aggiornare piuttosto in fretta stavolta! In fretta per i miei standard, s’intende! (HUHUHU)
Grazie mille a chi continua a seguire questa ff, a chi non si è dato per vinto e anche a  chi mi ha minacciato di morte se non avessi aggiornato ( D: ), e grazie a chi non si è fermato alla terribile impostazione del primo capitolo, che farebbe fuggire a gambe levate chiunque (prima o poi lo modificherò, promesso!)!
Quindi… spero che abbiate fatto buone vacanze!
Ciao e al prossimo capitolo! :D

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Capitolo 8
*** quel bacio rubato a tradimento - parte 1 ***


QUEL BACIO RUBATO A TRADIMENTO – parte 1


 
 
Un nuovo vento soffiava sulla scuola.
Un vento allegro ma contenuto, proprio come colei che lo portava.
Io, Misaki Aizawa, camminavo spedita, la testa alta e un sorriso malcelato che mi sfuggiva dalle labbra, pace karmica e felicità venivano irradiate da ogni mio poro. Non sapevo spiegarmi perché, ma recentemente la mia vita aveva preso una piega fantastica: mi sentivo come se ogni cosa fosse andata al suo posto e tutto funzionasse a meraviglia.  Mi  sentivo  cambiata interiormente; o forse come se fosse rinata; fatto sta che sorrideva più spesso.
Non aveva più un’aura minacciosa, e nemmeno aveva perso la sua fiera autorevolezza o il mio polso fermo; ma i piccoli cambiamenti del mio carattere parevano influenzare tutta la scuola. Gli studenti non si aprivano più al mio passaggio, scostandosi intimoriti, anzi; adesso qualcuno mi salutava, magar anche solo con un cenno del capo; ma non si respirava più quell’aria di terrore quando passavo.
Persino con i miei collaboratori del comitato studentesco, che mi conoscevano più che dei normali alunni, sembrava fosse cambiato qualcosa: c’era più fiducia e rispetto nelle loro parole, al posto del solito pizzico di timore mal nascosto.
E ciò che stupiva tutti quanti era che questo cambiamento era dovuto ad una sola persona, la stessa persona che, solo fino a poco tempo prima, solo a sentirne il nome mi sarebbero saltati i nervi all’istante; mentre ora, calmo e serafico come se fosse in pace con il mondo, mi fluttuava dietro, mai distante più di un metro. A chi lo fermava trafelato per i corridoi per chiedergli quale tipo di esorcismo mi avesse praticato (maleducati), lui rispondeva con un’alzata di spalle, lasciando interdetto e senza parole l’interlocutore di turno.
Ogni tanto proferiva un  è proprio una bella giornata oggi, eh?
E io, incurante del fatto che mi aveva ripetuto quella frase almeno diciotto volte lo stesso giorno, rispondevo con un eh già, senza nemmeno voltarmi e emettendo ancora più aura positiva.
 
Si sarebbero prospettati giorni felici, se non fosse per qualcosa, o meglio, qualcuno, che aveva decisamente altri piani per i nostri protagonisti.
 
 
                                                                           *****
 
 
Reina era acquattata dietro a dei cespugli che decoravano il marciapiede davanti al quale si stagliava il cancello della scuola superiore Seika, in attesa. Aveva a malincuore deciso di rinunciare a tacchi e vestiti provocanti, optando per abiti più anonimi e adatti a ciò che stava per fare. Se fosse andato secondo i piani, nessuno l’avrebbe vista o riconosciuta, men che meno l’oggetto dei suoi pensieri.
Scrutava ansiosamente i cancelli della costruzione davanti a lei e, finalmente, udì il trillo della campanella  che annunciava la fine della giornata scolastica.
Dopo qualche minuto, una mandria indistinta di ragazzi e ragazze cominciò a uscire disordinatamente dai cancelli.
La ragazza aspettò. Sapeva che colui a cui era interessata se la prendeva sempre comoda.
 
Finalmente lo vide.
Era dietro a una ragazza dai lunghi capelli neri e il cipiglio serio ma in qualche modo dolce. Camminava con le braccia incrociate dietro la testa e le parlava, un sorriso serafico stampato in volto.
Lei gli rispondeva senza nemmeno girarsi e senza concedergli un centimetro, ma non faceva nemmeno nulla per accrescere la distanza.
Quando lui all’improvviso azzerò la distanza e le appoggiò il mento sulla testa facendo una faccia buffa, probabilmente prendendola in giro per la sua statura, lei protestò, ma alla fine lasciò stare. Sembrava quasi divertita dalla situazione, sebbene ostentasse in viso un’espressione ostinatamente stizzita.
Quell’espressione  fece scattare qualcosa in Reina. Tirò fuori dalla tasca della tuta la metà della foto che stava stringendo convulsamente per la rabbia provata a causa della sena che le si presentava davanti, e se la portò davanti agli occhi. C’era sicuramente qualcosa che non andava, il viso della maid nella foto e quello della ragazza dall’altra parte della strada erano troppo simili. Non poteva essere una coincidenza.  C’era qualcosa sotto.
 
Con un tremendo dubbio nel cuore, Reina continuò a pedinarli.
 
 
****
 
 
I suoi dubbi trovarono conferma quando la coppia si fermò davanti ad un maid-cafè. La scritta “Maid Latte” spiccava allegra sul muro di mattoni, e dalla vetrata si poteva vedere l’interno. C’erano molti clienti.
I due scomparvero in una viuzza laterale, e Reina immaginò il peggio; ma dopo qualche istante ricomparvero, Usui che veniva spinto malamente via per la schiena.
 
<< Ti ho già detto che fai anche troppo! Questa entrata è solo per il personale! Ora vai via, tornatene a casa! >>
<< Crudele Misa-chan. Che mai ti ho fatto di male? >>
<< Conoscendoti, hai sempre in mente qualcosa! Alieno del pianeta dei pervertiti! >>
 
E detto questo, con uno spintone lo ributtò sul marciapiede principale e scomparve di nuovo nel vicolo.
Questa volta, si sentì chiaramente la porta sbattere, forte e chiara.
 
Il ragazzo, lasciato solo sul lastricato, non diede nessuna impressione di volersene andare.
Perse un po’ di tempo passeggiando qua e là, scrutò la vetrina di un panificio, si sistemò  vestiti e, qualche minuto dopo, entrò dalla porta principale.
 
<< Bentornato padron- Ehi! Usui, ti avevo detto di andare via! >>
 
Reina digrignò i denti. Lo chiamava per nome! Quanto erano in confidenza?!
 
<< Dai Misa-chan, non parlagli così! È un cliente, dopotutto. >> una voce più matura e gentile si unì alla discussione << Buongiorno Takumi-kun, avevamo proprio bisogno di una mano in cucina, capiti a fagiolo! Sei disponibile? >>
<< In cambio voglio lo speciale frappè di Misa-chan. >>
<< Affare fatto, accomodati, entra pure. >>
<< COSA?! Dai capo, non puoi dire sul serio! >>
<< Che male c’è? Dove altro lo trovi un cuoco così bravo che lavora a frappè? >>
 
La porta si chiuse sul nascere di nuove lamentele, lasciando Reina da sola dall’altro lato della strada, rabbia e  irritazione che le corrodevano le vene.
Uscì decisa dal suo nascondiglio, attraversò la strada e si avvicinò con nonchalance al maid, fingendo di controllare il listino prezzi posto fuori dalla porta.
Prese coraggio e sbirciò l’interno del locale attraverso l’ampia vetrata.
Eccolo lì, il suo Usui. Aveva in mano un mestolo e indossava un vecchio grembiule che non gli rendeva affatto giustizia, stava parlando con una ragazza in costume da maid. Reina si spostò per guardarla meglio.
Era lei, la ragazza imbronciata di prima! La ragazza della foto!
 
Dunque si chiamava Misaki. Era una sua compagna di scuola, magari anche di classe!
Non sembrava essere troppo attratta da lui, ma sicuramente c’era qualcosa di intimo nel modo in cui lo guardava, quando non era impegnata a fare finta di essere arrabbiata. Perché fingeva, ne era assolutamente certa.
Senza contare il modo in cui la guardava lui. Aveva un che di tenero nello sguardo che le indirizzava che non le piaceva proprio per niente.
 
La rossa si guardò intorno, distratta da un vociare  che sopraggiungeva improvviso., e vide arrivare un chiassoso trio di ragazzi. Notò che indossavano la stessa divisa scolastica di Usui  e cercò, nel panico, un posto in cui nascondersi. Quando si accorse che non ce n’erano, recito un’improvvisata: fissando il listino prezzo con occhi tristi, come se non avesse abbastanza soldi, sospirò e girò l’angolo.
I tre non si insospettirono e entrarono senza problemi. Li accolse, di nuovo, la voce di quella Misaki.
 
<< Bentornat-  ANCORA VOI?! >>
<< Siamo tornati, presidentessa! >> ulularono come dei perfetti idioti. Un suono metallico riecheggiò nell’aria.
<< Trio dei cretini, non vi avevo detti di non chiamarmi così?! Sapete bene che se si scopre per me è finita! >>
<< Tranquilla Misa-chan, con noi il tuo segreto è al sicuro! >>  dissero in coro, con un tono di voce che insultava la virilità di ogni singolo uomo sulla faccia della Terra.
<< Oh, santo cielo…. >> sospirò irritata la ragazza.
 
La porta si richiuse per l’ennesima volta, proprio mentre dal locale la voce matura di prima ammoniva ‘Misa-chan’ a non prendere a vassoiate in testa i clienti.
 
Reina decise di aver visto abbastanza.
Si incamminò, riflettendo sulle notizie che aveva acquisito.
Dunque era una presidentessa… probabilmente del comitato studentesco della sua scuola. Doveva essere molto stimata e rispettata; e Reina non dovette faticare per immaginare il motivo per il quale la ragazza non voleva che il suo lavoro fosse di dominio pubblico.
E fu proprio quel motivo a farle allargare ancora di più il ghigno inquietante che le si era stampato in faccia.
 
                                                                                       *****
 
Come siamo arrivati a tutto ciò?!
 
<< Avanti Misa-chan, di ‘aaaaah’ >>
<< Smettila, stupido! Non dovremmo nemmeno essere qui! >>
 
Sul tetto della scuola, un divertito Usui cercava di imboccarmi con del riso al curry mentre io, imbarazzatissima, cercavo di eludere qualunque contatto visivo.
 
Quel giorno le mie amiche erano assenti e appena Usui lo aveva saputo aveva subito insistito per pranzare con me e, senza nemmeno aspettare la mia risposta, mi aveva trascinata sul tetto.
Non sapevo se essere arrabbiata, visto che era proibito andare sul tetto – sono la presidentessa del comitato disciplinare, e che diamine! Il mio lavoro è far rispettare le regole! -, oppure eccitata o in qualche modo felice, visto che eravamo solo noi due lì sopra; inoltre Usui mi aveva confidato che quello era il posto dove spesso andava per rilassarsi e pensare. Un po’ come un angolino segreto!
È la prima volta che qualcuno mi porta nl suo angolino segreto! – pensai, ma la situazione non si era affatto evoluta come avevo previsto, e continuava a peggiorare.
Infatti Usui stava diventando impaziente e continuava a sventolarmi sotto il naso il cucchiaio, tentando ogni tipo di compromesso pur di imboccarmi.
Alla fine cedetti e, controvoglia, aprii leggermente la bocca, guardando da un’altra parte. Potei comunque vedere sul suo viso un sorrisetto vittorioso che mi fece imporporare le guance. Mi affrettai a prendere fra le labbra il riso, voltandomi di lato per non farmi vedere mentre masticavo imbarazzata.
Deglutii.
 
<< Contento adesso? >> gli chiesi, girandomi.
 
Lui fece un’espressione stupita, che si trasformò subito in maliziosa.
 
<< Ma allora te le cerchi… >>
<< Eh? Cosa- >> interruppi brutalmente la frase quando mi ritrovai, dal nulla, il viso di Usui a pochi centimetri dal mio. Spalancai gli occhi, mentre lui chiuse i suoi (con mio rammarico) e si avvicinò ancora di più. Presa dal panico, strizzai gli occhi e mi congelai sul posto,  la mente completamente svuotata da ogni pensiero razionale. Sentii il suo fiato caldo sulle mie labbra, e poi qualcosa di umido sfiorarmi l’angolo della bocca.
Poi, nient’altro.
 
Aprii incerta gli occhi, trovandomi gli occhi furbi di Usui che mi fissavano. Lo squadrai, smarrita, vedendolo mandare giù qualcosa.
 
<< Chicco di riso. >> sentenziò lui.
 
 E io, semplicemente, morii d’imbarazzo.
Avvampai, mentre le mie guance andarono letteralmente in ebollizione. Lasciai che i capelli mi coprissero il viso, per non far vedere il rossore dilagante.
 
<< Ehi… che ti aspettavi? >> mi chiese, e tutto ciò seppe terribilmente come di un crudele déjà-vu.
 
Mi sentii presa in giro e gli occhi mi si inumidirono pericolosamente. Presi a torturarmi nervosamente una ciocca di capelli.
 
<< Già… che mi aspettavo? Ha… haha…. >> la frase mi scappò fuori dalle labbra con un tono decisamente troppo acuto e spezzato.
<< Misa? >>
Non risposi.
<< Misa… girati. >> rimasi immobile, tranne la mia mano, che si attorcigliava i capelli intorno alle dita sempre più velocemente; almeno fino a quando Usui me l’afferrò, costringendomi a girarmi.
Sobbalzò alla vista del mio viso infuocato e dei miei occhi sempre più liquidi, mentre io cercavo in ogni modo di non incrociare il suo sguardo.
 
<< Misaki. Guardami. >>
 
Ma perché vuole sempre il contrario di quello che voglio io?!
 
Ma il tono tradiva l’urgenza; e io mi girai.
Mi trovai davanti, di nuovo, i suoi smeraldi vicinissimi al mio viso, troppo vicini per non danneggiare il mio apparato cardio-circolatorio; ma stavolta non vi era nessuna espressione maliziosa sul suo volto.
Mi fissava intensamente, serio, quasi a chiedermi in permesso  che, lo ammetto, non tardai a dargli.
Stavolta la mia mente non era svuotata, anzi: era piena, piena di Usui, dei suoi occhi, dei suoi capelli che mi solleticavano la fronte, delle sue mani calde che si erano posizionate chissà quando sulle mie guance.
Chiusi gli occhi, aspettando, stavolta assolutamente fiduciosa.
Sentii la punta del suo naso sfiorare la mia, e mi scappò una risatina divertita.
 
È così che deve essere.
 
Il brusco rumore della porta che brutalmente si spalancava mi strappò dall’universo in cui un certo alieno del pianeta del pervertiti mi aveva portato, riportandomi alla realtà.
Mi girai di scatto, staccandomi da lui, spaventata che qualcuno ci avesse visti.
 
Sulla porta stava il mio vice, gli occhi che guizzavano qua e là per non dover necessariamente realizzare il significato della scena che gli si presentava davanti agli occhi, titubante; per poi marciare deciso verso di noi. Ligio al dovere com’era, non mancò di salutare tutti e due, prima di fissarmi seriamente e pronunciare, con un tono grave, tendendomi una bista sgualcta:
 
<< Presidente, abbiamo un problema. >>
 
Non capii di che stesse parlando finché non aprii la busta.
E il mondo mi crollò addosso.
 
<< Non è possibile… >>

 
 
Angolino dei Funghi
Ben trovati! Finalmente ho aggiornato, ne? *me osserva speranzosa la folla di lettori che la fissa male*
Daiii! Secondo i miei standard ho fatto presto! T^T
Sono brava a rovinare le situazioni romantiche, vero? :3 *si ripara dalle pallottole vaganti*
Dai, non arrabbiatevi, ho un paio di notizie succulente per voi!
La prima è che ci stiamo avviando alla fine. Cosa pensate abbia escogitato la perfida Reina? Occhio alle donne gelose, sono molto pericolose!
La seconda è che ho deciso, almeno per qualche tempo, di mettere da parte le altre ff in corso per concentrarmi solo su di questa. E che cavolo, sono più di due anni che è in corso, ormai vi sto facendo disperare! Testimoni anche le recensioni, sono calate pericolosamente! *nonfatecasoaimessaggisubliminali*
 
Quindi… FORSE fra due settimane dovrei aggiornare di nuovo, ma non ci sperate troppo!
Baci
animelover

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Capitolo 9
*** quel bacio rubato a tradimento - parte 2 ***


QUEL BACIO RUBATO A TRADIMENTO – parte 2
 
 
 
In quel periodo la mia vita aveva preso una piega fantastica.
Mi sentivo rinata, in pace col mondo, felice come non mai.
Ma la felicità è un cosa tanto potente quanto fragile.
Nel mio caso, era bastata una busta per mandarla in mille pezzi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Guardai interrogativamente il mio vice, che mi fissava di rimando con un’espressione poco incline al sarcasmo.
 
Deve essere qualcosa di davvero grave.
 
Presi la busta che mi stava porgendo. Ispezionandola appresi che era anonima, e sul retro, scritto con una calligrafia un po’ sbavata stava scritto “per il comitato studentesco”.
Guardai Usui, e lui si strinse nelle spalle, dandomi conferma che nemmeno lui ne sapeva qualcosa.
 
<< L’ho trovata poco fa nella cassetta dei consigli. >>
 
La cassetta dei consigli era un’anonima scatola di cartone posta all’entrata della scuola, nella quale gli alunni potevano mettere in forma scritta i loro consigli per migliorare la scuola, lamentele, suggerimenti e così via. Una volta al mese la cassetta veniva portata nell’ufficio del comitato studentesco, dove veniva aperta, dopodiché leggevamo il contenuto e ne discutevamo insieme. La maggior parte delle volte trovavamo solo cose superficiali, ma ogni tanto c’era anche qualcosa di serio ed interessante.
 
Curiosa, rovesciai il contenuto della busta nel mio grembo e ne uscirono quella che sembrava il retro di una foto strappata e una breve lettera. Decisi di leggere prima la lettera che, come notai, era anonima.
 
"Conosco il segreto della presidentessa. Se non volete che renda pubblica l'altra metà della foto, il ragazzo in questa metà di fotografia dovrà girarle al largo."
 
Sbiancai.
Strinsi la lettera talmente forte che le mie dita persero colore.
Conosceva il mio segreto? Chi era? E perché fare una cosa del genere?
Senza perdere altro tempo, afferrai decisa la metà di fotografia e la voltai.
Con mio sommo orrore e raccapriccio, era un’istantanea che conoscevo fin troppo bene.
Nella metà che tenevo in mano in quel momento c’era Usui, insieme ad un’altra persona, una ragazza di cui si intravedevano solamente un po’ di capelli corvini e un vestito nero.
La paura mi colpì come una stilettata.
Era la foto che avevo dovuto fare con Usui il giorno che mi aveva battuta a carte al cafè. Non dovetti nemmeno pensarci su per  capire che nell’altra metà, ora in mano a questo anonimo ricattatore, c’ero io in costume da maid.
 
Se quella foto venisse resa pubblica, la mia vita sarebbe finita.
 
Presi a tremare incontrollata.
 
<< Dove hai detto che l’hai trovata? >>  chiesi con voce malferma
<< Nella cassetta. Ho pensato di portargliela subito, visto che si parlava di lei e di un suo segreto. >>
 
Alzai la testa di scatto, terrorizzata dal pensiero che avesse potuto leggerla e, in qualche modo, capire la mia colpa; ma lui alzò le mani in segno di scusa.
 
<< Mi dispiace averla letta… solo che oggi era il mio turno di cernita dei consigli. >> si scusò imbarazzato << Comunque se è un segreto così terribile non lo voglio nemmeno sapere! >> concluse, con un’espressione tragicomica.
Tirai un sospiro di sollievo. << No, anzi, penso che sia stato un bene se l’hai trovata tu. Se fosse finita in mano di altri… non voglio nemmeno pensarci. Ah, e grazie per avermela portata subito. >>
<< Di niente, si figuri. Beh, io ora andrei… >> disse, accennando qualche passo verso la porta.
 
Lo lasciai andare, immersa nei miei pensieri.
Chi poteva essere stato? Qualcuno che conosceva il mio segreto, certo. Il trio degli stupidi? No, troppo idioti per architettare un piano simile…. E poi, anche se non lo volevo ammettere, sapevo che potevo fidarmi di loro. Non mi venivano in mente altre persone.
E poi, qual era la richiesta? Che Usui girasse al largo  da me?
Persa nei mei pensieri, non vidi la faccia di Usui colorarsi con un’ombra cupa; ma sentii molto chiaramente la sua mano sui miei capelli che, accarezzandomi, tentava di confortarmi.
Mi rilassai leggermente al tocco della sua mano, ma poi, un pensiero sfrecciò attraverso la mia mente.
Un pensiero che mi fece alzare di scatto e allontanare da Usui.
 
<< Questa foto… ce l’avevi solo tu! >>
<< Misa, aspetta, non saltare a conclusioni affrettate… >>
 
Ma io non lo ascoltavo. Con terrore, capii che tutti gli indizi combaciavano. Lui era a conoscenza del mio segreto, lui poteva aver messo quella lettera nella cassetta e soprattutto, lui e solo lui aveva quella foto.
E io che non lo volevo nemmeno prendere fra i possibili sospetti.
 
<>
<< Non lo so… dimmelo tu. >> risposi freddamente. Lui rimase spiazzato, un’espressione ferita in volto.
<< Dove hai messo la foto che ci hanno scattato quel giorno? Dov’è il tuo famoso tesoro? DOV’E’?! >>
<< Calmati! Ok, è un po’ imbarazzante come cosa, ma se mi accusi così non ho scelta… >> disse armeggiando con i bottoni della giacca << La porto sempre con me, guard- >> si interruppe di botto.
Aveva tirato fuori da una taschina interna, cucita con impaccio tenero, due foto che, a quanto pare, non erano la cosa che cercava.
 
<< Non c’è…. >>  mormorò sottovoce, leggermente scioccato << Ma chi può aver…? >>
 
Non resistetti un secondo di più. Ancora una sillaba e gli sarei scoppiata a piangere lì davanti su due piedi.
Girai i tacchi e marciai a passo spedito giù per le scale, ignorando il tono devastante con cui la voce di Usui chiamava disperatamente il mio nome.
 
 
 
                                                                               ***
 
Passai il resto della giornata cercando di evitare il più possibile Usui.
Quando non c’era lezione, mi barricavo nell’ufficio del comitato studentesco, ordinando ai miei sottoposti di non far passare nemmeno l’aria dalla porta, seppellendomi sotto un mucchio di documenti e scartoffie per cercare di dimenticare. E di dimenticarlo.
Sentivo le lacrime che mi salivano, anche se non scendevano. Almeno non mi sono dovuta far vedere in uno stato pietoso dai miei colleghi.
L’ansia saliva a ogni secondo e non riuscivo a impedirmi di pensare a tutto quello che era successo, tutto ciò che avevamo passato, la faccia che mi diventava sempre più calda.  A volte pensavo che no, non era possibile, qualcosa non quadrava, non ne aveva motivo; e mi tornava un leggero sorriso; ma subito dopo ripensavo ai fatti e alle prove oggettive e riprecipitavo nello sconforto.
Qualche singhiozzo riusciva a scappare dalle mie labbra, e allora potevo vedere il mio vice farsi pensieroso e camminare su e giù per la stanza, indeciso se consolarmi in qualche modo o se lasciarmi per i fatti miei. Alla fine optò per un’offerta di pace in forma di caffè, preso alla macchinetta in dotazione alla scuola, con ben due cucchiaini di zucchero.
Apprezzando il pensiero, gli abbozzai un sorriso, grata.
Mi appoggiò una mano su una spalla, impacciato; probabilmente cercando di confortarmi. Tentò una carezza, ma desistette, levando la mano; poi ci ripensò e la riappoggiò, tentando un timido sorriso di incoraggiamento; per poi ritirare di nuovo la mano portandola a palmo aperto verso la testa, in crisi totale su come comportarsi.
Le labbra mi si incresparono in un piccolo sorriso. Ispirava tenerezza, con quella sua timidezza impacciata.
Mormorai un “grazie” al labiale, per poi portare le labbra al bicchierino di plastica per sorbire il caffè, che mi riempì le narici del suo aroma intenso.
Mi annuì, sollevato, per poi cominciare a marciare davanti alla porta, gettando sguardi in cagnesco al di la del vetro.
Provai a lavorare, ma avevo in testa troppi pensieri e mi arresi, lasciandomi semplicemente cadere mollemente sullo schienale della sedia. I miei compagni non fecero alcun commento, lavorando in silenzio.  Probabilmente avevano intuito qualcosa ma non facevano domande, e di questo gliene fui immensamente grata.
Passò così il resto della giornata.
Il trillo della campanella arrivò come un segnale di liberazione, ma al contempo stesso mi strinse le viscere: se lo conoscevo almeno un po’, avrebbe provato a  fermarmi.
 
Scesi le scale con il cuore in gola.
Ero sola. E non volevo incontrarlo. Per niente al mondo.
Mi aggregai alla massa di studenti che stava uscendo dal cancello, riversandosi in strada. Mi imposi la calma, cercando di mischiarmi con le altre ragazze; per poi correre come una forsennata appena fuori dal suolo scolastico. Non avevo messo in conto che lui conoscesse la strada per casa mia; così, quando mi sentii afferrare per il polso, non pensai subito che poteva essere lui.
Ma quando mi girai e lo vidi, il groppo di ansia che mi si era accumulato dentro durante la giornata mi salì in gola ed esplose, inumidendomi gli occhi e facendomi salire una leggera nausea.
 
<< Misa! Aspetta, non scappare, dobbiamo parlare, hai frainteso! >>
<< Cosa ho frainteso?! Cosa?! Solo tu avevi quella foto, tu e nessun altro! >> strillai, la voce incrinata e resa un po’ roca dal pianto << Cosa credi, che mi faccia piacere pensare a te in quel modo?! NO CHE NON MI PIACE! Io non voglio crederci, non voglio nemmeno pensarlo, ma tu… le prove…  tu avevi la mia fiducia! >> delirai, mente giravo la testa per non fargli vedere le mie lacrime.
 
Non dovetti aspettare molto prima che mi tirasse addosso a sé, stringendomi in un abbraccio caldo e sicuro che, per quanto assurdo possa sembrare, mi era mancato, per quella mezza giornata.
 
<< Misa… tu lo sai che non sono stato io vero? >> risposi con un singhiozzo soffocato a quella che sembrava più un’affermazione che una domanda.
Sentii una mano premere ancora di più il mio viso contro il suo petto, facendomi affondare ancora di più nella sua maglietta, incurante dei possibili moccoli o lacrime che avrebbero potuto sporcarlo.
Rimasi così, abbracciata a lui come un cucciolo spaurito.
In fondo al mio cuore sapevo che lui non c’entrava nulla, ma avevo una tale paura di fidarmi di nuovo di un ragazzo dopo tanto tempo, che al primo segno di tradimento sono corsa via senza voltarmi, per non rimanere ferita ancora di più in futuro, senza nemmeno fermarmi a controllare l’evidenza.
 
 
 
<< Oh, ma bene. Vedo che il mio messaggio dopotutto non è arrivato. O forse lo stai ignorando, chissà. >>
 
Una voce tagliente mi arrivò alle orecchie, distintamente carica d’odio. Sentii Usui irrigidirsi improvvisamente per poi stringermi ancora di più contro di sé, possessivo.
Alzai la testa e vidi l’ira lampeggiare nei suoi occhi, un’ira talmente intensa da spaventarmi. Stava fissando qualcosa dietro di me, un’espressione dura in volto.
 
<< Sei tu… >> masticò, digrignando leggermente i denti.
 
Facendomi strada nell’abbraccio di Usui, mi girai.
Davanti a me stava una ragazza sconosciuta, altera e visibilmente incazzata.
Aveva capelli rossi e ricci smossi dal leggero vento, vestiti provocanti e tacchi vertiginosi laccati dello stesso colore dei capelli. Incrociò le braccia sotto al seno, puntando il suo sguardo malevolo su di me.
 
<< Chi è? >> chiesi a Usui, alzando la testa. Non mi rispose, continuava a fissarla, stringendomi convulsamente. << Chi sei? >> le chiesi, allora, girandomi verso di lei.
Mi rivolse uno sguardo ironico e arrogante, carico di disprezzo.
 
<sgualdrina. >> sputò con cattiveria << Quello che  io voglio sapere è chi ti credi di essere per abbracciarlo. >>
 
Rimasi freddata sul posto da quelle parole.
Il mio istinto battagliero prorompette, impetuoso.
 
<< Ma come ti permetti?! Che vuo- >>
<< Reina. >> una voce alle mie spalle, incredibilmente fredda e carica di disprezzo, mi interruppe. Mi zittii, riconoscendo la voce di Usui. Non l’avevo mai sentito con quel tono, aveva un che di assassino. << Sei stata tu. >> accusò, puntando gli occhi nei suoi.
<< Di cosa stai parlando, Takumi-kun? >> chiese lei con falsa innocenza << Oh… di questa? >> e mentre lo diceva, sfilò dalla tasca della giacca la metà di una foto strappata e accartocciata.
E io, d’istinto,  sapevo di che foto si trattava ancora prima che la  lisciasse con malagrazia e me la mostrasse.
Era la parte mancante della foto con me e Usui.
 
<< Come fai ad averla?! >> le urlai, terrorizzata. Quella ragazza aveva un che di infido  che mi atterriva, speravo che se ne andasse il prima possibile.
<< Semplice. L’ho presa. >> rispose maligna, ancheggiando verso di noi.
<< Non dire balle >> si intromise Usui, trattenendosi a fatica << L’hai rubata. Probabilmente a casa mia. Ladra. Avrei fatto meglio a lasciarti in mezzo alla strada, è quello il posto per le persone come te. >>
 
<< Ma mi dici chi è?! >> confusa ed esasperata, esplosi  << In che senso è a casa tua?! E perché ha la nostra foto?! >>
<< Zitta, sgualdrina. Non alzare la voce con me. >> mi parlò con astio Reina, avvicinandosi repentinamente, fino a essere ad un soffio da noi << Io prendo quello che voglio a casa sua, e non devo certo dare spiegazioni a te. >> disse, puntando i suoi occhi verdi nei miei. Erano diversi dagli occhi verdi di Usui, erano più malevoli e oscuri.
 
Usui sciolse l’abbraccio e fece per pararsi a mia protezione contro la rossa, che approfittò del momento per artigliare la sua cravatta con le unghie smaltate della stessa tonalità di tacchi e capelli. Usui, spiazzato, non seppe reagire per tempo.
Reina mi lanciò uno sguardo sprezzante, prima di premere prepotentemente le labbra su quelle di Usui, baciandolo.
Spalancai gli occhi, incredula, mentre una stilettata mi affondava nel cuore.
Il contatto non durò molto, Usui la spinse via quasi subito, strofinandosi le labbra con disgusto, nel tentativo di togliersi dalla bocca le tracce del rossetto con cui l’aveva sporcato.
Lei finse di non fare caso al gesto di lui e atterrò con eleganza calcolata sulle decolleté, lanciandomi uno sguardo penetrante.
 
<< Io  posso farlo. E posso anche stabilirmi permanentemente a casa sua, se voglio. >> disse, portandosi una ciocca dietro l’orecchio e guardandomi dall’alto in basso. <<  Perché lui è MIO, è il mio fidanzato, e tu non sei nulla. >> 
 
 
 
 
 
 

Angolino dei Funghi
Alla fine ce l’ho fatta! E dire che avevo in mente di farlo molto più corto… mah!
Ho aggiornato ad una velocità allucinante, perciò mi merito qualche ricompensa, no? *me speranzosa*
Non so che dire… ah, si! Nel prossimo capitolo sveleremo il passato di Usui e della misteriosa Reina… fatemi sapere nei commenti che ne pensate, magari qualcuno di voi riesce a beccarla!
Ci vediamo fra due settimane
Baci
Animelover

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Capitolo 10
*** passato rivelato ***


Passato rivelato
 
 



<< Il... il tuo fidanzato? >> balbettai sconvolta
<< Hai capito bene. Meno male, dato il tuo quoziente intellettivo temevo di dover stare tutta la giornata a spiegartelo. >> mi soffiò, maligna.
 
Mentre le sue parole mi si conficcavano nella pelle come mille aghi incandescenti, la mia razionalità era messa a dura prova.
Avevo solo l’imbarazzo della scelta.
Tristezza, rabbia, stupore, sconforto e mille altre emozioni si facevano largo sgomitando nel mio cervello tentando di prendere il sopravvento.
Emozioni che furono del tutto annullate quando un’ombra scura calò sui miei occhi  e due solide braccia mi avvolsero.
 
<< Non è vero, non le credere. >>  annuii contro la sua maglietta.
Non le credevo, infatti. Avevo notato l’odio e il disgusto con cui Usui se l’era tolta di dosso.
Avevo solo una spropositata voglia di farla a pezzi.
Ho già detto che sono un tantino gelosa? No? Oh, beh.
 
Vedendoci insieme, alle labbra della rossa salì un ringhio. << Non osare abbracciarlo! >>
Mi voltai con un’insolita sicurezza << E’ lui che mi sta abbracciando. >>
Strinse i pugni << Allora allontanati, sgualdrina. >>
 
Ma ormai non avevo più paura.
Alzai il mento in segno di sfida. Incrociai le braccia, facendo aderire ancora di più la schiena al petto di Usui che, per tutta risposta, appoggiò il mento sulla mia testa e mi strinse forte, scoprendo i denti, possessivo.
Con lui al mio fianco, mi sentivo invincibile.
 
La fronteggiammo, uniti.
Gli occhi di lei fiammeggiavano di rabbia, lanciando lampi d’odio in mia direzione.
 
<< Sgualdrina. >> sibilò << Io ti distruggo! >> gridò, facendo un passo avanti
<< Reina! >> al suono del suo nome pronunciato da quelle labbra, la ragazza si pietrificò sul posto. Come se si fosse accorta troppo tardi di quello che aveva detto, i suoi occhi si riempirono di paura e incluse, finalmente e con fatica, Usui nel suo campo visivo.
 
<< Takumi-kun… >> mormorò, spaventata, tentando di allungare la mano verso di lui.
 
Usui affilò lo sguardo.
La sua mano si arrestò a metà strada.
 
<< Ti avevo avvertito. Stavolta nemmeno il debito che ho con tuo padre potrebbe fermarmi. >> mi strinse un po’ meno, dandomi la possibilità di sistemarmi meglio nel suo abbraccio, aspettando che continuasse.
Lui prese fiato.  << Sparisci. Non farti più vedere. Se succederà di nuovo, posso assicurarti che tuo padre lo verrà a sapere. >>
 
Reina ci fissò, sconvolta, come se le avessimo tirato uno schiaffo in pieno viso.
Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, indirizzandomi uno sguardo di odio puro.
Probabilmente, se avesse potuto, mi avrebbe uccisa all’istante.
Girò i tacchi e scappò via, i capelli al vento.
 
 
Solo quando se ne fu andata mi accorsi di quanto tenevo rigide le spalle e le rilassai, scoprendole indolenzite. Sentii che anche Usui rilassava i muscoli, lasciandosi sfuggire un tormentato sospiro di sollievo.
Mi accorsi che tremava e mi venne naturale, quasi d’istinto, girarmi e abbracciarlo, affondando il viso nel suo petto. Come se non aspettasse altro, lui mi lanciò le braccia oltre le spalle, avviluppandomi e stringendomi a sé.
Sebbene mi avesse tenuto stretta durante tutta la durata dello scontro con Reina, questo tipo di contatto fisico aveva tutto un altro significato. C’era un bisogno di sentirsi, di aversi, di respirarsi.
Faticavo a respirare, tanto ci stringevamo a vicenda; eppure continuavo a stringere sempre di più, con tutta la forza che avevo, quasi che ci volessimo fondere, inglobandoci a vicenda.
Tutti i pensieri se ne andarono, tutte le mie preoccupazioni si dispersero.
Lo sconforto e i dubbi di quando avevo sospettato di lui, la rabbia e la paura dell’incontro con Reina… tutto fu spazzato via.
Solo quando sentii la schiena scricchiolare mi lasciai sfuggire un flebile lamento di dolore, e Usui si affrettò a lasciarmi, mormorando una  sequela di scuse.
 
<< Tranquillo, è tutto a posto. >>
 
Cadde il silenzio.
 
<< Mi dispiace… per… per tutto. Non volevo che accadesse, soprattutto non davanti a te… >>
 
Quello che accadde in seguito, se qualcuno mi chiedesse come e perché accadde, non glielo saprei spiegare, e il solo pensiero riesce ancora a farmi andare a fuoco il viso.
 
So solo che successe; e, il cielo mi fulmini, benedirò quel momento per tutta la mia vita.
 
Semplicemente raggiunsi con timidezza il suo viso, accarezzandolo; per poi alzarmi sulle punte dei piedi e sfiorare le sue labbra con le mie.
Era il mio primo bacio, non sapevo cos’altro dovessi far; eppure lui restò immobile e non si mosse, se non per portare una mano ad intrecciarsi nei miei capelli.
Una volta che quel tenue contatto fu interrotto, mi riabbassai e tornai a terra; ma nemmeno per un secondo i nostri occhi interruppero il contatto visivo.
Quello che avevo fatto, fino a qualche giorno prima, mi avrebbe fatto morire di vergogna.
L’esigua distanza e il nostro guardarci fisso, fino a qualche giorno prima, mi avrebbe fatto arrossire violentemente.
Ma in quel momento no.
In quel momento, tutto ciò era semplice, chiaro; era semplicemente giusto.
 
Prima che potesse aprire la bocca, lo anticipai. << Non hai nulla di cui ti debba scusare. Ma hai molte cosa che mi devi raccontare. >>
Mi fissò, leggermente stupito; per poi aprirsi nel primo vero sorriso da quando quella storia era cominciata, guardandomi dolcemente. << Hai ragione. >>
Mi prese la mano e, di muto accordo, ci dirigemmo al nostro rifugio, insieme.
 
 
 
                                                                           ***
 
Non badando alla nuvola di polvere che si alzò al mio movimento, mi lasciai cadere su un vecchio cuscino posto alla bell’e meglio sotto ad un albero. Dietro di me sentivo chiaramente i miagolii estatici di Kuro e Shira, che incitavano Usui a sbrigarsi mentre versava nei piattini del cibo per gatti.
Sulla collina spirava una brezza gentile, che giocava scherzosamente con i miei capelli. Era un venticello rilassante, a cui mi abbandonai con un sospiro.
Quella calma sarebbe stata perfetta, se non avessi avuto una fame da lupi. A pranzo non avevo mangiato quasi niente  e le emozioni provate di certo non mi avevano aiutato a riempire lo stomaco; ma ora non avevo proprio tempo di pensare al cibo.
Dei passi ovattati sull’erba mi annunciarono l’arrivo di Usui.
Continuai a tenere lo sguardo fisso sull’orizzonte mentre lo sentivo accucciarsi al mio fianco. Mi passò un braccio intorno alle spalle e io mi appoggiai sulla sua clavicola, sempre in silenzio.
Venimmo raggiunto da Kuro e Shira – almeno loro a pancia piena – che si lasciarono cadere sulle nostre ginocchia con dei miagolii soddisfatti, prendendo a fare le fusa non appena le nostre dita raggiunsero i loro punti preferiti. Anche se non erano gatti domestici avevano comunque uno splendido mantello, liscio e morbido, e si comportavano da veri padroni di casa; micetti viziati che non potevi fare a meno di accarezzare ed amare.
 
Non avevo idea di coma cominciare il discorso.
Ad essere sincera, avevo pensato di lasciare che fosse lui a parlarmene, ma ora la situazione stava cominciando a farsi pesante.
Fortunatamente, proprio quando stavo per aprire la bocca e ripetere la domanda, Usui cominciò a parlare.
 
<< E’ successo tutto dopo l’incidente dei miei genitori. A quanto pare, quella notte tempestosa non si era accontentata di portare via la mia famiglia. >>  dal modo in cui strinse le dita, capii che quello che stava per dirmi non lo tirava fuori da molto tempo. In un certo senso, mi inquietai.
<< Dopo quella terribile notte, rimasi chiuso in casa per una settimana, la sola compagnia che avevo era una vicina di casa che, oltre a prepararmi da mangiare e assicurarsi che stavo bene, non faceva molto altro; ma non la biasimo. Ero io che mi ero chiuso in me stesso, le poche volte in cui tentava di rivolgermi qualche parola di conforto le rispondevo col silenzio. Alla fine, aveva rinunciato a parlarmi. Le sono comunque molto grato per essermi rimasta accanto. Non era amica dei miei genitori o cose simili ma, nel momento del bisogno, lei si è offerta volontaria per starmi vicino. >>
<< E’ stato un bel gesto. >>
<< Già. Ogni settimana la vado a trovare, giusto per farle un po’ di compagnia. >> il tono con cui lo disse non mi piacque per niente, ma tentai comunque.
<< Immagino che sarà molto felice di vederti… >>
Sorrise, amaro. << Purtroppo no. È morta. Io posso vederla, ma lei non può vedere me.
Mi pietrificai, mortificata, ma lui mi strinse a sé. << Non preoccuparti. >>
 
Kuro si stiracchiò in maniera inverosimile, allungandosi sulla schiena e spingendo fuori la linguetta rosea. Shira, più tranquilla, sistemò meglio il musetto candido sulle zampine, continuando a dormire pacificamente.
Usui gettò uno sguardo dolce ai felini sonnecchianti, dispensando grattini e carezze.
 
<< Dopo quella settimana fui assegnato ad un’anziana zia di mio padre. Per quel motivo, mi dovetti traferire. Non ebbi nemmeno il tempo di salutarti ma, se devo essere sincero, ero talmente staccato dal mondo reale che non me ne accorsi. >> si girò verso di me << Scusa. >>
 
Lo guardai interrogativa; poi mi ricordai. Era dalla sua misteriosa sparizione che derivava la mia paura dei tuoni.
 
<< Scemo, non preoccuparti per simili stupidaggini. >> borbottai.
Ridacchiò divertito, per poi riprendere a parlare.
 
<< Dalla zia non fu poi così male come temevo, anzi. Era molto calorosa e gentile, con lei la mia coscienza tornò lentamente a galla. Era una persona molto allegra e vivace per la sua età. >>
Anche se non avevo la più pallida idea di chi era questa fantomatica zietta, mi fu subito simpatica. Provai un enorme senso di gratitudine verso di lei.
 
<< Quindi ti ha fatto stare meglio? >>
Indeciso se ridere o meno, mi rispose << Se per “stare meglio” intendi farmi ingozzare di crostate alla pera, allora sì, mi ha fatto stare meglio. >> concluse con una risata.
La sua ilarità svegliò dal placido sonno i due felini, che innalzarono feroci miagolii di protesta, reclamando altre coccole per placare la loro terribile furia.
 
<< E poi? >> chiesi.
Tirò un sospiro rassegnato, continuando a fissare la città che si stendeva sotto di noi.
 
<< Non durò molto. L’esigua pensione della zia non bastava a mantenerci tutti e due, se non con parecchi sacrifici. A me non importava doverli fare, ma mi sentivo in colpa per la zia…. Quindi, cominciai a cercare un lavoro part-time. Fu in quel periodo che conobbi Michitaka-san… e sua figlia; Reina. >>
 
Un brivido gelido mi corse giù per la schiena, mentre stringevo convulsamente i pugni.
Non replicai, anche se sapevo che lui si aspettava un qualche tipo di reazione da parte mia; ma quando capì che non avevo nessuna intenzione di farlo, si rassegnò a continuare.
 
<< Lui era il mio datore di lavoro. Se devo essere sincero, ho avuto un grandissimo colpo di fortuna, ad aver trovato lavoro da lui. In realtà è stato tutto merito della zia: appena ha scoperto quello che stavo cercando di fare, ha iniziato a spargere la voce fra amici e conoscenti. Era completamente d’accordo! Diceva che ero un uomo, ormai, giovane e forte e che ormai lei aveva fatto il suo tempo! >>
 
Rise, sinceramente divertito, e io lo imitai poco dopo.
Che donna interessante!
 
<< Alla fine, tanto cercare diede i suoi risultati, e Michitaka-san mi assunse. Era il dirigente di un’azienda, e io divenni il suo assistente. >>
<< Assistente? >> chiesi io
<< Già. >> rispose << Anche se, in verità, non facevo poi molto. Preparavo il caffè, facevo fotocopie, portavo documenti da una parte all’altra del palazzo… >>
<< Come un galoppino insomma! >> lo presi in giro
<< Galoppino d’élite, prego >> s’impomatò lui << Ero pur sempre alle dirette dipendenze del gran capo, cosa credi! >> disse,  portandosi elegantemente la mano al petto.
<< Si, certo, certo… >> lo blandii io.
 
Cercò di fare il permaloso, però lo spronai a continuare.
 
<<  Beh… in sintesi… un giorno stavo portando dei fascicoli, ma qualcuno mi è venuto addosso e sono caduti. Raccogliendoli, li ho guardati, e ho notato che qualcosa non andava. L’ho fatto notare al capo e, a quanto pare, ho sgamato un dipendente che rubava soldi all’azienda. >>
<< Però! >> esclamai, ammirata << Hai fatto il colpaccio! >>
<< Già. >> confermò. << Però… non furono tutti benefici, ciò che quel “colpaccio” mi portò. Già prima non riuscivo a togliermi Reina di dosso… da quel momento non mi lasciava in pace nemmeno per un attimo. Purtroppo, si era innamorata di me. Io però… non potevo ricambiarla… >> mormorò, prendendomi la mano nella sua.
Io arrossii e non risposi, limitandomi a ricambiare leggermente la sua stretta senza guardarlo negli occhi.
 
<< Preparati, ora arriva la parte pesante >> cercò di scherzare lui. Io mi feci subito più attenta.
Prese un bel respiro e continuò.
 
<< Da quel momento in poi, fu come se all’improvviso un riflettore fosse costantemente puntato su di me. Michitaka-san mi osservava sempre e sua figlia non era da meno; ma da quell’episodio, ogni mia qualità (alcune non sapevo nemmeno di avercele), ogni mia azione, ogni mio commento era vagliato e preso in considerazione da lui. Non so come, ma riuscii ad aiutare un consiglio che si è poi rivelato fortuito per la buona riuscita di un affare. E sai qual è la cosa buffa? >> chiese, ironico << Che io nemmeno so che cosa ho detto di così strabiliante! Io non sono di certo un esperto in transazioni o affari mediatici, al massimo sono bravo in matematica, ma più di questo non sono! >> si stava sfogando con un sarcasmo che non era per niente da lui, ma in qualche modo, sentivo che ne aveva bisogno; perciò mi feci più vicina per fargli sentire il mio appoggio e lo incitai a continuare.
Si passò una mano sul viso, frustrato.
 
<< Da quel momento in poi, divenni una sorta di consigliere, per Michitaka-san. Sinceramente, non so cosa gli passasse per la testa. Un liceale come consigliere. Bah. Certo, quell’uomo ha un intelletto sopraffino  e ha tutto il mio rispetto, ma quando mi fu proposta quella mansione non potei che pensare che fosse un po’ fuori con i sentimenti, ma siccome prevedeva un salario più alto, accettai. Non ero proprio nella posizione di poter fare lo schizzinoso. E da lì, le cose non fecero che peggiorare. O migliorare, a seconda dei punti di vista.
Michitaka-san, ormai, mi chiedeva consigli su qualsiasi cosa. Io gli rispondevo come potevo e, non so se per qualche congiunzione astrale o cosa, non sbagliavo mai. Ed io avevo solo buttato lì una risposta! >> ridacchiò un po’ istericamente.
 
Non sapevo che rispondere perciò mi limitai al silenzio. Diamine, la storia che mi stava raccontando aveva dell’assurdo! Come si fa a commentare qualcosa del genere?
 
<< Ma non era solo questo. Michitaka-san è molto intelligente e acuto. Ha notato che Reina non mi staccava gli occhi di dosso, e… mi chiese di sposarla. >>
 
Sgranai gli occhi, scioccata. Avevo sentito bene?
Sposarsi?
Aveva chiesto a un ragazzo liceale di sposarsi? Con sua figlia? Una matrimonio combinato? A quest’età? In quest’epoca?
Ero rimasta senza parole, in più uno strano sentimento mi si era annidato in gola, impedendomi di esprimere qualsivoglia giudizio. Per la prima volta, conobbi la paura.
Non di un pericolo fisico.
La paura che lui avesse potuto accettare quella proposta.
Non sarebbe più tornato da me. Non ci saremmo più rivisti. Non avremmo più potuto…. Anzi, non avremmo proprio potuto ri-conoscerci…
La tensione mi attanagliò le viscere.
 
<< Io… >> rizzai subito le orecchie << Io non gli ho risposto. >>
 
In qualche modo, questa risposta non mi dette soddisfazione.
Usui sembrò capire questa mia amarezza, e cercò il mio sguardo.
 
<< Cerca di capire. Ero confuso. Non sapevo se abitavi ancora qui, non sapevo se ti ricordavi chi ero, non sapevo se provavi le stesse cose. Ma, soprattutto, non sapevo se ti avrei mai rivista. La zia è anziana e, se per qualche caso sfortunato, a lei fosse successo qualcosa, io sarei stato incapace di mantenermi. Un ragazzo di sedici anni, minorenne, solo al mondo.
Invece, se avessi accettato, avrei avuto un futuro assicurato e, fino al giorno in cui avrei preso le redini dell’azienda, sarei stato mantenuto. Ed avrei pure trovato subito moglie.
Era conveniente. Molto. Ma tu eri sempre presente nei miei pensieri e, allo stesso modo, non volevo pensare alla possibilità che accadesse qualcosa alla zia. È l’unico parente che mi resta. Perciò, gli chiesi di darmi tempo. Lui accettò.
Passarono quasi sei mesi, durante i quali Michitaka-san e Reina vennero spesso a trovare me e la zia a casa. Fecero amicizia, e vennero così a scoprire la nostra situazione precaria. Poi, ci fu un periodo di stallo. >> riprese fiato << In quel lasso di tempo, come è ovvio, frequentavo la scuola e, da qualche tempo, avevo notato una ragazza molto carina. >>
 
Cosa?! Un’altra? E questa che vuole?!
Strinsi impercettibilmente i pugni, irritata.
Usui cercò il mio sguardo << Ti assomigliava tantissimo. Era quasi identica a te. >>
Sgranai gli occhi, voltandomi rapidamente verso di lui, che continuava a fissarmi.
 
<< Sì, è vero. Mi piaceva. Ma solo perché mi ricordava te. Non aveva il tuo carattere, a malapena ci parlavo; ma ogni volta che la vedevo camminare da dietro la nostalgia mi arpionava il cuore. >>
 
Arrossii.
Come fa a dire cose così imbarazzanti senza nessun problema?! Se avessi dovuto dirlo io sarei morta di vergogna…
 
Usui interruppe violentemente il filo dei miei pensieri. << Reina lo notò. Oh, se lo notò. D’altronde, quella strega non mi lasciava in pace un attimo. >> pronunciò, secco. Ora non cercava più il mio sguardo, ma anzi: in faccia gli si era disegnata un’espressione di profondo disprezzo.
Realizzai che Reina era l’unica per la quale lui si irritasse così. Doveva aver fatto qualcosa di terribile. Mi misi ad ascoltare attentamente.
 
<< Reina, folle di gelosia, prese di mira questa ragazza. Dispetti, ricatti, mettere in giro delle brutte voci sul suo conto; non le risparmiava nulla. Alla fine, la poverina cambiò scuola. >> digrignò i denti per un attimo << Non mi trattenni. Non con lei. Non solo perché aveva commesso una cattiveria ingiustificata, ma anche e soprattutto perché era come se avesse cercato di fare del male a te. >> mi circondò le spalle con un braccio, protettivo. << Andai dal padre e gli raccontai tutto. Michitaka-san mi credette subito, non so perché. Forse tutta quella fiducia che avevo guadagnato con gli affari serviva finalmente a qualcosa. Convocò Reina, per sentire le sue ragioni e, quando apprese che aveva agito così per via dei suoi sentimenti nei miei confronti, mi chiese se provavo anche io qualcosa nei confronti di sua figlia. >> stavolta non esitò. << Gli dissi a chiare lettere che per sua figlia non provavo assolutamente niente. Tutta la mia indecisione era sparita: se il prezzo da pagare per avere un futuro assicurato era sposare quella vipera, beh, avrei preferito cento volte vivere precariamente!
Michitaka-san però, come ti ho già detto era un uomo molto acuto. Lui intuì che c’era dell’altro. Questa è solo una mia supposizione, ma forse aveva capito che nel mio cuore c’era già qualcuno. E fece una cosa meravigliosa, per la quale gli sarò eternamente debitore.
Mi sciolse dal vincolo del matrimonio, continuando nel contempo a mantenermi… e non solo quello… >> Cercò di nuovo il mio sguardo, prendendomi al contempo la mano << Mi permise di tornare a casa mia. Mi permise di tornare da te. >>
 
I suoi occhi si fecero lucidi.
 << Se ora sono qui con te… lo devo a lui. >> Mi fissò a fatica, mentre la prima lacrima gli sfuggiva dalle ciglia e si infrangeva sulle dita della mia mano, che si era portato alla guancia << Mi sei mancata, Misaki. Mi sei mancata da morire. >>
 
Non resistetti più.
Mi ero trattenuta per tutta la durata del suo discorso, cercando di non interromperlo.
Il concetto, ribadito costantemente e senza alcuna vergogna, che lui per tutto quel tempo aveva pensato a me, e a me soltanto, mi era disceso fin nel profondo dell’anima, sciogliendo ogni mia inibizione.
Senza più nessuna vergogna, con il bisogno impellente di sentirlo vicino a me, sulla mia pelle, gli nascosi il viso nel mio petto, stringendolo forte, forte, forte, cercando di fargli sentire quello che stavo provando. Lui ricambiò l’abbraccio, avvinghiandosi ancora di più a me, i primi singulti del pianto che gli facevano tremare sommessamente e leggermente le spalle.
Come qualche ora prima, quando ci eravamo stretti l’uno all’altra come se volessimo diventare una cosa sola, così in quel frangente ci stringemmo come se la nostra vita fosse dipesa da quel gesto.
E in un certo senso era così.
 
Gli carezzai il capo, il un modo che trascendeva sia l’amoroso sia il materno, semplicemente troppo felice per pensare ad altro.
 
<< Usui… Mi sei mancato anche tu, Usui… >>
 
E, di nuovo, senza malizia, senza premeditazione, con l’unico istinto di verificare che lui era lì, era lì, con me, abbassai il capo. Lui alzò il viso, e i nostri sguardi si persero l’uno negli occhi dell’altra, i miei capelli che ci facevano da cortina. Eravamo tagliati fuori da ogni interferenza del mondo esterno, persi l’uno dentro l’altra.
 
Il nostro bacio fu il ricongiungimento di due anime che non sapevano che non si sarebbero lasciate.
Mai più.
 
 
 
 
 

Angolino autrice
Ma bene! Finalmente ci rivediamo!
Questo è stato un capitolo fitto di dialoghi, anzi, di monologhi, ma è stato un capitolo importante per capire il passato di Takumi.
Spero vi sia piaciuto!
Ci avviciniamo alla fine, a occhio e croce mancano quattro capitoli, MA! Ho in serbo una sorpresa per voi lettori…. Hehehe, dovrete aspettare però!
Come al solito, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la mia storia fra le preferite/seguite/ricordate e invito a lasciare un commentino, che fanno sempre piacere!
Al prossimo capitolo!
animelover

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Capitolo 11
*** decisioni ***


Capitolo 11 – Decisioni







Il cancelletto di casa si richiuse dietro di me con un acuto cigolio. 
Usui, dall’altra parte dell’inferriata, mi guardò con un sorrisetto interrogativo e io gli risposi con una smorfia, rimarcando sulla tacita decisione di non farlo entrare.  Avevo avuto abbastanza emozioni per quel giorno, se ne avessi sperimentate di altre probabilmente mi sarebbe scoppiato il cuore ed avrei avuto un infarto. 
Sbuffò, non seppi dire se perché divertito o rassegnato,  e si appoggiò stancamente con i gomiti sul cancello fissando per  terra. 

- Cosa hai intenzione di fare riguardo a Reina? – 

Indurii lo sguardo. Solo sentire il suo nome mi irritava.
Mi mordicchiai leggermente il labbro inferiore, combattuta, per poi occhieggiare verso le ampie spalle ed il collo di Usui. Sembravano così irrigiditi. Mi venne  improvvisamente voglia di fargli un massaggio.

- Non lo so. Tu cosa ne pensi? Tu la conosci. Sarebbe in grado di mettere in pratica le sue minacce? –
Usui ci pensò un attimo, tirandosi su ma continuando a guardare verso le mie scarpe. Si massaggiò il collo, la fronte corrugata. – Purtroppo, credo di sì. –
Stavolta fu il mio turno di abbassare lo sguardo, preoccupata. Sembrava che ci fossimo innamorati ciascuno delle scarpe dell’altro.
Stemmo in silenzio per un po’; lui aspettando una mia risposta. Io pensando a cosa dirgli.

Ero tremendamente combattuta. 
Da una parte il mio orgoglio e la mia reputazione a scuola, che sarebbero andati irrimediabilmente in mille pezzi se il mio impiego part-time fosse stato reso pubblico. Non solo, ma probabilmente anche la borsa di studio per l’università che stavo puntando da quando entrai nella scuola sarebbe stata incerta. Sapevo già quello che Usui mi avrebbe detto se gli avessi esposto le mie preoccupazioni: “ Non ti possono giudicare come persona solo dal lavoro che fai ” oppure “ Sanno che ti impegni e studi moltissimo, premieranno le tue fatiche ”. Il problema è che i pregiudizi e la diffidenza verso il diverso propri della cultura giapponese mi erano nemici e molto probabilmente, se i miei professori fossero venuti a conoscenza del mio segreto, la mia affidabilità e efficienza a scuola non li avrebbe rassicurati sul mio conto, anzi: li avrebbe inquietati ancora di più. 

Dall’altra parte, però, i bisogni della mia famiglia erano la priorità. Mai, nemmeno per un giorno, durante il lavoro ho scordato che stavo facendo tutto quello per loro. 
Non c’è spazio per tanti giri di parole: siamo poveri. Senza il mio stipendio avremmo dovuto saltare addirittura dei pasti per arrivare a fine mese. La casa cadeva a pezzi.
Non eravamo certamente nella situazione di poter fare a meno dei soldi che portavo a casa, ma anche se Reina fosse venuta a conoscenza della  condizione non credo che si sarebbe fatta qualche scrupolo nel continuare a perpetrare le sue minacce. 

- Non posso smettere di lavorare. Per quanto desideri andare all’università e per quanto mi terrorizzi l’idea che il mio segreto venga divulgato a scuola, in ballo non ci sono solo io. C’è anche la mia famiglia. –
Usui annuì. – Capisco. – 
Mi strinsi nelle spalle – Alla fine saranno solo delle brutte voci su di me. Se non ci do peso me la posso cavare da sola. -  

- E a me non pensi? – 
- Eh? – Alzai lo sguardo e lo guardai, confusa. Fece una smorfia che avrebbe dovuto essere offesa e incrociò le braccia, guardandomi dal suo metro e ottanta di altezza, a metà tra il severo e il rassegnato. 

- Ora che ci siamo ritrovati credevo che ti saresti lasciata aiutare da me, come un tempo… perché vuoi fare tutto da sola? – mi rimproverò.
Arrossii leggermente. – N-non è che non voglio che mi aiuti… - Borbottai deviando lo sguardo  - E’ che non mi è venuta in mente questa possibilità. Sono sempre stata abituata a assumermi in prima persona tutti i possibili rischi delle decisioni che prendevo e non ho mai voluto coinvolgere mia mamma o mia sorella. – 
- Lo immaginavo. – sospirò – Ma per una volta che ne dici di farti aiutare? –
- Dipende da come vuoi aiutare. – una risposta ermetica, lo ammetto, ma volevo valutare con attenzione quello che aveva da dire prima di decidere qualsiasi cosa.





Dopo che ebbe finito di esporre il suo folle piano, lo guardai con occhi nuovi. 
Certo, ci siamo persi di vista per un sacco di tempo ma non sapevo che avesse maturato certe caratteristiche. 
Da quand’era che era diventato un pirla?

- Non se ne parla. –
- Avanti Misa-chan. –
- “Misa-chan” un tubo.  Ti rendi conto della pazzia che hai appena detto? –
- Dai, non farti pregare come ogni sacrosanta volta. Lo sai anche tu che è la cosa più conveniente da fare . – 
- Sì ma… - 
- Ma un corno. Vorrei ricordarti che non vai di mezzo solo tu. – 
Mi zittii immediatamente.
Con quell’argomentazione aveva toccato un nervo scoperto molto delicato.
Lo guardai attentamente per qualche secondo, facendo finta di soppesare la proposta quando in realtà avevo già preso la mia decisione. Aveva ragione su tutti i punti: sebbene fosse folle, era la cosa migliore da fare e avrebbe giovato anche alla mia famiglia.
L’unico ostacolo era il mio stupido orgoglio.
Mi costrinsi a deglutire quel tremendo groppone in gola che avevo e con la bocca secca biascicai un verso d’assenso a malapena udibile.
Mi ritrovai improvvisamente attirata verso il cancello dalle braccia di Usui, che mi circondarono le spalle e mi strinsero nella loro calda presa. Affondò una mano nei miei capelli posando il palmo sulla mia nuca, come a sostenerlo. 

Le sue labbra raggiunsero il mio orecchio sussurrando flebilmente qualcosa che mi lasciò senza fiato: - Questo è niente rispetto a quello che farei per te, se potessi. –

Non avevo mai provato così tante emozioni contrastanti tutte in una volta.
Avrei voluto che la terra si aprisse per inghiottirmi, eppure sentivo che quelle parole mi avevano dato come una scossa che serpeggiò lungo tutta la mia spina dorsale. Improvvisamente i problemi che mi affliggevano non sembravano più così grandi e tremendi. Sentivo la faccia in fiamme, il cuore leggero e le gambe deboli. 
Era tutto così diverso rispetto a quello che era successo sulla collina. Lì tutto era avvenuto in modo così spontaneo e naturale da ambedue le parti che sembrava permeato da una perfezione tutta sua.
In quel momento invece ero perfettamente cosciente di me stessa e per questo  tutto era più imbarazzante.
Capii che il mio orgoglio era per davvero il mio peggior nemico dopo Reina, perché fu a causa sua se non ricambiai la stretta. Mi limitai a restare tra le sue braccia come un baccalà, spingendo di più il viso contro il suo petto per crogiolarmi in quel calore così rassicurante ed allo stesso tempo così destabilizzante.

Infine, Usui si staccò, allontanandosi da me, facendosi scivolare alcune ciocche dei miei capelli sulle dita fino a che non ricaddero sulle mie spalle.
Mi sorrise mentre si voltava. - Ciao. – 


- Ciao… - gli sussurrai.

Lo guardai allontanarsi nella luce del tramonto mentre uno strana stretta calda mi prendeva il cuore.



“Oh.”  Pensai, mentre realizzavo di essere irrimediabilmente innamorata di Usui Takumi.






Angolo Autrice
ciao a tutti, scusate se scrivo in maniera spiccia ma ho fretta e poco tempo, sono riuscita a scrivere solo questo piccolo pezzo nel mezzo della mole di lavoro di cui la scuola mi ha caricato, chiedo venia
mi dispiace se il capitolo di oggi è corto, ma potete considerarlo come uno di transazione. 
Ci stiamo avvicinando alla fine: infatti, questa storia conterà di un altro capitolo e di un epilogo, prima di concludersi. 
Saluto e ringrazio tutti quelli che recensiscono o mettono la storia tra le preferite eccetera eccetera, ci vediamo al prossimo capitolo
baci
animelover

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Capitolo 12
*** Punto d'arrivo, punto d'inizio ***


Capitolo 12: Punto d’arrivo, punto d’inizio.
 

 
 


Il giorno dopo, al termine delle lezioni, io e Usui ci dirigemmo al Maid Café. Durante il cammino, quando fummo abbastanza lontani dalla scuola, Usui mi prese la mano. Gliela strinsi in risposta, traendo coraggio da quel contatto.
“Hai… hai già provveduto?” Chiesi io, titubante.
Usui sorrise senza nemmeno distogliere lo sguardo dalla strada. “Oh sì. Ed è successa un’altra cosa ieri, mi sono dimenticato di dirtelo. Una bella cosa.”
Mi irrigidii. “C’entra Reina?”
Lui ghignò, mefistofelico. “Oh sì.
Lo squadrai con la coda dell’occhio. Quando aveva quella smorfia maligna sul muso non capivo mai cosa gli passasse per la testa. “Posso sapere di cosa si tratta o devo aspettare che piova dal cielo l’illuminazione divina?” Gli chiesi con fare irritato. Ero già più che stressata, non mi serviva certo un altro imprevisto che mi pendesse sulla testa.
“Ovviamente la seconda, Misa-chan. Che divertimento ci sarebbe altrimenti?” Sogghignò lui.
Sbuffai con fare esasperato e non risposi.
Una volta arrivati al Café, il mio capo ci accolse con il suo solito fare gentile. “Oh, Misa! Entra, entra! Come mai qui? Oggi non sei di turno.”
Io e Usui ci scambiammo uno sguardo d’intesa. “Ecco…” Rispondemmo all’unisono con fare cospiratorio. “Dobbiamo parlarti.”
“Uhm?” Il mio capo inclinò la testa, confusa e leggermente preoccupata. “Va bene, possiamo andare a parlare nel retro, non ci sono troppi clienti. Le altre ragazze se la caveranno. È successo qualcosa di grave?”
Io allungai la mano libera e afferrai accoratamente quella di Satsuki, la dolce e comprensiva proprietaria che mi conosceva da anni e a cui avevo sempre voluto bene e che me ne voleva a sua volta. “Satsuki, io… noi… abbiamo bisogno del tuo aiuto.”
La sua espressione si fece dapprima sorpresa, poi seria e risoluta. “Venite,” disse, facendoci strada, “A quanto pare avete un po’ di cose da raccontarmi.”
  
 
 
 
 
A racconto finito, Satsuki rivolse ad entrambi un sorriso smagliante. “Contate su di me!” Esclamò. “Diamine, è così eccitante! Sembra di stare dentro ad uno sceneggiato!” Ridacchiò giocherellando con i lacci del grembiule.
“Satsuki-chan?” Chiamò una voce dalla cucina.
“Sì, Honoka?” Rispose Satsuki. “Siamo nel retro!”
La testa di Honoka, una delle nostre cameriere, spuntò dalla porta. “Ehm… c’è una tizia coi capelli rossi fuori dalla porta del locale ed è parecchio inquietante. Non entra, sta solo sulla vetrina a fissare l’interno e sta mettendo ansia ai clienti. Anche a me se devo essere sincera. Che faccio?”
Satsuki si girò verso di noi. “Può essere che sia lei?”
“Probabile.” Rispose Usui. Ci fissò entrambe. “Ci sono problemi ad attuare il piano ora?”
Io e Satsuki scuotemmo la testa. “È molto prima di quello che avevo pensato, ma visto che siamo in ballo, balliamo.” Dissi io, risoluta. Usui ghignò. “Apriamo le danze.”
 
 
 
Io mi nascosi dietro ad un bancone dal quale riuscivo a vedere bene la vetrata mentre Satsuki usciva dal negozio per andare a fronteggiare Reina in strada.
“Mi scusi, potrebbe andare da un’altra parte per favore? Sta infastidendo i miei clienti.”
Reina la squadrò da capo a piedi. “Quello che faccio non è un problema tuo, questo marciapiede è pubblico.”
Strinsi i pugni. Stronza maleducata. Satsuki, tuttavia, non perse la calma. “Diventa un problema mio quando i miei affari ne risentono. Se continua a spaventare i clienti è negativo per la mia attività.”
La rossa sbuffò con superiorità. “Inutile che mi parli come se fossi chissà quale autorità. Piuttosto, renditi utile: tira fuori la tua amichetta, dovunque si stia nascondendo. So che è qui, l’ho vista entrare.”
Il mio capo tirò fuori la poker face più palese del mondo. “La mia amichetta? E chi sarebbe?” Ripeté, inclinando la testa come per cercare di capire meglio. Io mi morsi le labbra per trattenere le risate.
Reina si spazientì velocemente, tirando fuori dalla tasca l’altra metà della foto che aveva strappato, sventolandola davanti al naso del mio capo. “Questa sgualdrinella qui. So che lavora qui e so che è qui in questo momento. Dille di venire fuori.” All’insulto, Satsuki sembrò perdere la calma ma ricompose subito la sua faccia di bronzo. “Oh? Purtroppo non posso aiutarla. Questa ragazza non lavora qui.”
Reina diventò paonazza dalla rabbia. “Pensi di prendermi in giro, razza di-“
“Ma,” La interruppe Satsuki, sorridendo con fare mefistofelico, “Forse so chi potrebbe aiutarla. Usui-kun?” Chiamò, sporgendosi leggermente dentro alla porta del locale.
Senza farsi attendere, Usui sbucò fuori dal retro con indosso gli stessi abiti che usava quando veniva a dare una mano in cucina. In brevi falcate raggiunse la porta e la lasciò aperta appositamente per farmi sentire il resto della recita.
“Reina. Ti avevo detto che non volevo più vederti. Che ci fai ancora qui?”
“Umpf! Inutile che fai il grosso, so che quella sgualdrinella è lì dentro. Falla venire qui o la andrò a prendere io.”
Usui si parò davanti alla porta. “Se continui a disturbare sul mio posto di lavoro chiamo la polizia. Lo sai che lo farò.”
Reina strabuzzò gli occhi. “Il TUO posto di lavoro?”
“Già.” Si intromise Satsuki. “Ho chiamato Usui perché è il nostro cuoco. In quanto alla ragazza, è la sua fidanzata. Viene spesso qui, ma non è una mia impiegata.”
“Ma non fatemi ridere! E questa allora da dove salta fuori?” Ribatté la stronza, sventolando di nuovo la foto strappata. “È stata scattata in questo locale, non tentate di fregarmi!”
Usui non si fece scappare l’opportunità e fece scattare il braccio, strappando la foto dalle grinfie di quella serpe. Reina gridò indignata, vedendosi la sua unica arma di ricatto svanire da sotto il naso. “Ridammela!”
Usui sembrava seriamente sul punto di colpire qualcosa. “Tu hai rubato una mia proprietà, me la sono semplicemente ripresa. Non ti preoccupare, ho fatto presente anche questo nella mail che ho spedito a tuo padre questa mattina. Credo che a breve avrai sue notizie.” Disse, tetro. “E a proposito della ragazza nella foto… Satsuki-chan te l’ha già detto e tu lo sai già: è la mia ragazza. Quello che non sai è che questa foto è stata scattata durante un giorno particolare: io e Misa abbiamo partecipato in un gioco contro le altre cameriere del Maid Latte e come premio ho potuto far vestire Misa con la loro uniforme.” Lisciò la foto con le mani, ignorando la faccia stralunata di Reina. “Ci tenevo molto a questa foto. Tu l’hai rubata, tradendo la mia fiducia, l’hai strappata, spiegazzata e hai tentato di usarla per ricattare la mia ragazza.” Alzo gli occhi sulla sua interlocutrice. “Ho già detto che ho riferito tutto a tuo padre?” Concluse, glaciale.
“I-io… tu non puoi-“ Balbettò Reina, sconfitta su tutti i fronti.
“Oh, lui può, eccome se può.” La intercettò Satsuki. “E visto che anche lei può, potrebbe levarsi dalle scatole? Le assicuro che non ci vuole niente a far arrivare una pattuglia, c’è una stazione di polizia proprio qui vicino.”
Proprio in quel momento, il cellulare di Reina inizio a squillare. Quando vide il nome del mittente della chiamata, la ragazza sbiancò, lanciò un’ultima occhiata ai ghigni Usui e Satsuki e scappò via.
 
 
 
 Quando i due improvvisati attori rientrarono, non persi tempo e uscii dal mio nascondiglio correndo verso di loro, abbracciandoli entrambi. “Non avete idea della voglia che avevo di uscire a dirgliene quattro!”
“A chi lo dici. Mi prudevano le mani ogni volta che apriva la bocca!” Concordò Satsuki.
Presi la mano a Usui, che mi sorrise. “Ce l’abbiamo fatta!”
“Sì” Disse lui. “Ora dobbiamo solo essere cauti nell’immediato futuro e questa storia verrà dimenticata facilmente. Come concordato, tu smetterai di lavorare per il momento e io prenderò il tuo posto, dando una mano in cucina part-time. Sarebbe meglio non rischiare, ma se proprio devi comunque venire qui potremo sempre usare la scusa che stai tenendo d’occhio il tuo ragazzo che lavora in un Maid Cafè, circondato da belle ragazze. Anche se sai che ho occhi solo per te.” Mi fece un occhiolino. Io arrossii.
“Molto probabilmente non si arrenderà così facilmente e tornerà subito alla carica,” continuò lui, “Ma basta che non possa mai vederti o farti una foto mentre sei vestita da Maid. Se non torna a casa da sola, prima o poi suo padre manderà qualcuno a prenderla con la forza. Ora che non ha più la foto non ha più niente con cui ricattarti, perciò cercherà di procurarsi altre prove con ogni mezzo, ma non potrà rimanere qui a lungo. Dobbiamo solo aspettare finché non se ne andrà.” Concluse soddisfatto.
“A proposito della foto… è un peccato che l’abbia ridotta così.” Mormorò Satsuki.
Io sospirai. Quella foto era super imbarazzante e aveva portato solo guai. Forse era un bene che avesse fatto quella fine!
“Oh non ti preoccupare!” Esclamò allegro Usui.
I miei campanelli di allarme si accesero. Quel tono non mi piaceva per niente. Alzai lentamente gli occhi verso Usui e lo trovai che mi fissava con un ghignetto demoniaco sul volto. Io indietreggiai, dando ascolto al mio istinto di sopravvivenza, ma Usui mi passò un braccio intorno ai fianchi e mi attirò a sé sotto gli occhi di tutti.
“In fondo, possiamo sempre rifarla!”
Misaki Ayuzawa, 16 anni. Causa della morte: imbarazzo.
 
 
 
 
 
 
 
Note autrice: E così è finalmente giunto alla fine questo viaggio durato anni. Volevo giusto aggiungere due righe a questo capitolo finale per dire un paio di cose: come si sarà sicuramente visto, questo capitolo è in ritardo di anni. È molto più breve di quello che doveva essere e scritto frettolosamente e coi piedi. È così perché l’unica cosa che mi serviva era finalmente dare una conclusione a questa storia, in corso da anni. Questa è stata la mia prima fanfiction e che fino a oggi fosse ancora in corso era qualcosa che mi dava un fastidio allucinante ed era una zavorra per i miei progetti futuri. D’altro canto, a questa ff non ci ho mai tenuto particolarmente, non ha mai avuto molto successo e persino lo scorso capitolo in 4 anni non se l’è mai cagato nessuno nonostante le numerose visite. Questo dovrà pur dire qualcosa, di certo a me ha trasmesso una disperazione allucinante e un senso di “ma chi me lo fa fare” che in tutti questi anni mi impediva di scrivere. Sono cambiata molto, è cambiato il mio nick, è cambiato il mio modo di scrivere, i miei gusti, la mia personalità. Questa ff è troppo bambinesca, troppo legata alla me bimbominchia quattordicenne per non cringiare ogni volta che tentavo di aprirla per concluderla.
Alla fine della fiera, questa fanfiction è stata aggiornata molto saltuariamente, a distanza di anni a volte e si potrebbe benissimo prendere come esempio per il mio stile di scrittura durante gli anni. Se rileggo i primi capitoli, i più recenti o anche questo l’unica reazione è il vomito.
Volevo solo finalmente spuntare la casella “completa” e chiudere questo capitolo della mia vita che mi ha pesato sulla coscienza per troppo tempo. Spero possiate capire, anche se probabilmente sto parlando con il nulla.
D’ora in poi mi concentrerò su altri progetti molto più ambiziosi di questa fic.
Grazie a chiunque abbia letto finora, ne avete avuto di coraggio!
Nereisi

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