Ends.

di asterilotos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La seguente storia era stata inizialmente pubblicata su Maiko, il mio account personale; ho provveduto a rimuoverla quando mi sono resa conto che violava i termini del regolamento, per cui se vi è sembrato di averla già notata in passato sotto un altro nome sapete perché.

Disclaimer:
Questa storia è la traduzione di "Ends." dell'autore asterilotos su AO3, scritta e pubblicata col suo permesso.

 
 


Capitolo 1
 


L’inverno giunse con ferocia. La neve turbinava nella notte scura come l’inchiostro; candidi fiocchi cadevano sulle ciglia e i suoi capelli, dello stesso colore del cielo sopra di lui. Kanda si coprì la testa con il cappuccio del mantello; stringeva la sacca calda del cibo take-away con una mano e lasciava l’altra libera, in caso avesse necessità di afferrare Mugen. Il vento sferzò particolarmente forte, gli punse la pelle e gli fece venire la pelle d’oca lungo le braccia. Serrò la mano libera in un pugno e si strinse ancora di più la cappa al petto.
Era sulla via del ritorno per Allen e Johnny, rintanati nel calore di un piccolo Motel nei sobborghi della Svezia. Avrebbe potuto essere il loro ventesimo nascondiglio, per quel che ne sapev; aveva perso il conto, ormai.
Non vedevano qualcuno dell’Ordine da quasi due mesi, anche se c’era mancato poco a quel confronto in Germania qualche settimana prima.
Dopo tutto ciò che avevano passato, non avrebbe certo permesso loro di prenderli così facilmente. Per nasconderli aveva trovato il buco più sudicio, dozzinale ed insospettabile a cui avrebbe mai potuto pensare; non c’era verso perché stessero in un posto che valesse un briciolo dei suoi dannati soldi. Non quando mammol- Allen, si corresse, stava combattendo un’eterna battaglia nel suo stesso corpo e l’Ordine ed i Noah sbucavano da ogni angolo per stanarli.
Kanda era stato incaricato dall’Ordine di trovare Allen Walker e Johnny Gill e riportarli immediatamente indietro. Li aveva scovati più di quattro mesi prima, ma non aveva la minima intenzione di fare rapporto al riguardo; al contrario, li aveva aiutati a fuggire dalle mortali controversie del mondo che erano accorse ad afferrarli.
Nascondersi in posti bui, Motel rovinati, bar e bordelli non aveva attirato l’attenzione di nessun Esorcista dell’Ordine, né Noah alcuno a cui potesse essere stato assegnato il suo medesimo incarico. La gente spesso scherzava su quanto fosse poco intelligente, eppure lo era stato abbastanza da aver evitato la loro cattura negli ultimi mesi.
Idioti.
Kanda non aveva mai avuto aspettative nella sua vita, non molte perlomeno. Il suo unico scopo era stato trovare quella persona. Dopo di allora… quella persona… Esalò un lungo respiro.
Alma.
Il nome ed i ricordi ancora gli pesavano sulle spalle come un fardello. Le cose erano migliorate, ammise; come si dice “il tempo lenisce le ferite”. Ciò non significava, però, che quelle ferite non si lasciassero dietro cicatrici ampie e deformi.
Quando aveva scoperto che Alma era stato quella persona per tutto il tempo, la sua unica ragione di vita si era compiuta al costo di perderlo nuovamente. Chi mai avrebbe pensato che fosse sempre stato colei che aveva a lungo cercato? Chi avrebbe mai pensato che la stessa, identica persona che tanto profondamente aveva amato nella sua vita passata fosse stata anche in questa? Eppure, indipendentemente da quale esistenza lui stesse vivendo, il finale era il medesimo ogni volta: avrebbe sempre perduto Alma.

«Amanti sfortunati.»
 «Cosa?» chiese Kanda con irritazione.
«Ho sentito mio fratello dirlo a Reever, una volta…» sospirò una molto più giovane Lenalee. «Pensi che sia vero? Che gli Esorcisti non possano amare? Che ogni loro possibilità di amore finirà in tragedia?» aggrottò le sopracciglia con preoccupazione e la sua bocca si piegò in una smorfia. «Lo pensi?»
Lenalee non era come lui. Aveva avuto una vita difficile e visto atrocità con i suoi grandi occhi espressivi, ma era buona; era in grado di andare avanti. Non era come lui.
Quei libri che leggeva nel tempo libero erano pieni di bellezza e contentezza. Non aveva alcuna importanza ciò che aveva visto del mondo devastato in cui vivevano, perché per lei non tutto era marcio. Non come per lui.

Gli Esorcisti non ottenevano la felicità; non erano persone, ma strumenti per l’Ordine. Eppure Lenalee credeva che ci fosse ancora dell’altro su quella terra.
Nonostante Kanda non si fosse mai aspettato che Komui potesse dire qualcosa di così negativo, per una volta si ritrovò d’accordo con quell’uomo eccentrico: l’amore finiva sempre in tragedia, soprattutto per gli Esorcisti.
Kanda voleva dire a Lenalee di crescere, di smettere di credere a quegli stupidi libri che leggeva e di affrontare la realtà. Eppure le parole che gli uscirono di bocca non erano nulla del genere.

«Tuo fratello dice un sacco di cose.» Lenalee lo guardò con espressione confusa e preoccupata. «L’idiota una volta mi ha detto che il ramen è più buono della soba.»
A ciò, lei rise. Lo sguardo cupo e pieno di dolore che aveva indossato fino ad un momento prima era sparito. Era strano quanto il suo sorriso e la sua risata potessero farlo sentire bene.
Si trovava d’accordo con Komui, tuttavia non riusciva a dirglielo. Lei era buona. Non era come lui e lui non avrebbe mai lasciato che lo fosse.


«Amanti sfortunati, eh?» Kanda rise con amarezza. Gli si strinse lo stomaco.
Non avrebbe più dovuto avere una ragione per vivere; non avrebbe dovuto averne alcuna per continuare a respirare l’aria di quel mondo aspro. Eppure, c’era sempre una sensazione di fastidio a dilaniare la sua coscienza. Se avesse smesso di esistere, allora non sarebbe morto in pace. Sapeva il perché, ovviamente.
Allen fottuto Walker.
Il suo scopo di vita si era trasferito al ragazzo maledetto dai capelli argentei. L’ironia di ciò non gli passava inosservata.
Kanda odiava le persone come Allen. Quelli come lui, che poteva sorridere mentre il mondo gli bruciava attorno, così da poter imbrogliare coloro che amava persino quando le sue stesse interiora infiammavano con il resto del Creato.
Kanda odiava le persone come Allen perché ne aveva incontrata soltanto una così, prima: Alma.
L’uomo dai capelli scuri arrancava tra la neve ed il sottile strato di ghiaccio scricchiolava sotto i suoi stivali. Man mano che si avvicinò al Motel riuscì a distinguere la luce della camera che stavano occupando. Erano al terzo piano, vicini alla strada per scorgere chiunque potesse giungere a cercarli.
Dopo lo scontro che avevano di poco scampato in Germania dovevano essere ancora più prudenti. Quella era stata la prima volta in tanto tempo in cui Kanda aveva provato “paura”, se così poteva essere definita. Se gli Esorcisti in Germania avessero riferito all’Ordine che il Generale Kanda Yu stava nascondendo Allen Walker e Johnny Gill, era certo che gli avrebbero sguinzagliato dietro i migliori Esorcisti e sapeva che non avrebbe potuto proteggere i due idioti con l’intero Ordine alle calcagna.
Nemmeno una singola volta nella sua esistenza si era aspettato di vivere a quel modo. Lui pure era in fuga, seppur l’Ordine ancora non sapesse dei suoi crimini.
Kanda salì le scale per il terzo piano, oltrepassando nell’atrio gli strani personaggi con cui lo dividevano. Alcune prostitute e dei drogati andavano avanti ed indietro per i corridoi; non aveva bisogno di immaginare cosa stessero facendo o cosa stesse accadendo nelle loro stanze. Aveva già sentito tutto in precedenza, passando per la medesima hall e persino dalla sua stessa camera. I muri, sottili come carta pesta,  rendevano ogni cosa essenzialmente udibile; i gemiti ed i grugniti che si coglievano erano chiari come l’acqua ed ogni volta Kanda si ritrovava a premersi un cuscino sulla testa, sdegnato, per sopprimere il rumore.
Era inopportuno, eppure quello era il posto perfetto per nascondersi dall’Ordine. Nessuno avrebbe mai immaginato che potessero stare in un simile tugurio. Diamine, era da mesi che viveva in posti come quello ed ancora non riusciva a crederci lui stesso.
Kanda aprì la porta della loro stanza e se la richiuse alle spalle con un clic. Johnny saltò su dal letto e lo salutò allegramente; la mammo- Allen non gli rivolse nemmeno uno sguardo.
Appoggiò la borsa con il cibo sul piccolo tavolo traballante vicino alla parete; dopodiché si spogliò del cappotto da Esorcista e lo mise a cavallo di una sedia.
Johnny batté vivacemente le mani una volta ed annusò l’aroma delle pietanze che permeava l’aria. «Ha un buonissimo profumo! Grazie, Kanda!»
«Già.» grugnì.
Lanciò un’occhiata ad Allen, seduto da solo sul letto a due piazze a rimescolare le carte tra le proprie mani. Se fosse stato mesi addietro, il ragazzo avrebbe inalato il cibo ben prima che Kanda si fosse seduto al tavolo. Invece, ora era ora e Walker a malapena mangiava, in quei giorni.
Era chiaro che avesse pensieri per la testa. Ce li aveva sempre, ultimamente.
«Vuoi cenare, Allen?» chiese Johnny.
«Non ho molta fame.» Allen sorrise quel sorriso disgustosamente falso che non raggiungeva mai i suoi occhi. Kanda odiava quell’espressione; era così disonesta e dissimile da quelle del ragazzo che era stato.
Non era divenuto altro che falsi sorrisi.
Il giovane con gli occhiali gli pose la stessa domanda, ma Kanda declinò l’offerta. In tutta onestà, neppure lui era molto affamato. Non era certo perché non si trattasse della sua abituale soba o perché il cibo di quel Paese non fosse buono; in parte presumeva che la sua mancanza di appetito avesse qualcosa a che fare con i falsi sorrisi dello stupido ragazzo dai capelli argentei. Non c’era nulla di più nauseante delle persone che fingevano.
Kanda non aveva mai preso in considerazione di imparare il nome del dannato Moyashi. Eppure non solo lo aveva fatto, ma gli si era anche marchiato nella memoria; gli si era inciso sulla pelle dal giorno di quel loro scontro un anno prima.
C’erano stati i colpi affilati delle loro spade e pugni, ma niente aveva lacerato più profondamente delle parole che aveva rivolto ad Allen allora. “Se tu non fossi mai nato…”. Nulla lo faceva sentire male come il sapere di essere la ragione per cui Allen stava soffrendo in quell’inferno e non gioendo e sorridendo all’Ordine con Johnny e Lenalee e quello stupido di Lavi.
Ma Kanda aveva voluto Allen morto, a quel tempo, e perire lui stesso. Sapere che Alma era stato vivo e sofferente sotto i suoi stessi piedi per tutto quel tempo… Grazie a quella dannata mammoletta, Alma aveva finalmente trovato la pace.
Per qualche oscuro gioco del destino, ora la ragione di vita di Kanda ruotava attorno ad Allen Walker.
C’era stato un tempo in cui non gli sarebbe importato cosa fosse accaduto al maledetto Moyashi o a quel dannato mondo in cui vivevano; un tempo in cui aveva vissuto in una realtà in bianco e nero,  dove non aveva avuto amici né nemici ma soltanto un obbiettivo. Se non fosse stato per Allen, non lo avrebbe mai raggiunto.
Grazie a Walker aveva trovato quella persona, che era stata Alma per tutto il tempo, ed entrambi erano stati liberati. Grazie ad Allen, Alma era finalmente libero.
Per felicità di Kanda, Allen aveva gettato via la propria e l’aveva fatto senza esitazioni.
Era colpa sua se il Quattordicesimo si era risvegliato ed era suo dovere, ora, assicurarsi che il Noah non prendesse il controllo. Alcuni giorni erano difficili, terrificanti, e lui e Johnny dovevano aiutare il giovane a rimanere sano di mente e a tenere a bada Nea.
Kanda non poteva fare nulla contro le accuse di tradimento verso la mammoletta, ma sarebbe stato senz’altro lui a distruggere il Noah quando fosse emerso e a fermarlo dall’accelerare la distruzione del mondo.
Era tutta colpa sua, Allen ed il Quattordicesimo… E, per quando gli costasse ammetterlo, non odiava Allen Walker. Sarebbe stato meglio se lo avesse fatto, perché sarebbe stato molto più facile disprezzare e andarsene via da quella cazzo di situazione.
Non era certo di cosa provasse per Allen ed il più tempo passavano assieme, il più confuso lui diventava.
Quando Tiedoll gli aveva suggerito di diventare Generale, lui lo aveva fatto. Come Generale non avrebbe più dovuto prendere ordini da Komui, ma sarebbe stato sotto al comando diretto dei Cinque Grandi Generali. Li aveva visti alcuni giorni dopo che si era imbattuto in Tiedoll. L’incontro era avvenuto in Vaticano;l’architettura e le statue erano apparse grandiose e di un tempo lontano.
I Generali  gli avevano designato la missione di localizzare e trattenere Allen Walker e Johnny Gill. Piuttosto semplice; già li aveva trovati, ma non aveva lasciato che l’Ordine lo sapesse.
Tutto ciò che doveva fare era presentarsi al Quartier Generale una volta al mese, fare rapporto, prendere la paga e andarsene nuovamente. I suoi resoconti erano sempre gli stessi, nonostante quando li redigesse fornisse all’Ordine qualche informazione veritiera. Il più delle volte affermava di starli ancora cercando ma di avere una pista su Allen, unitosi ai Noah. Mezze verità, mezze verità.
Non avrebbe mai voluto salire di grado nell’Ordine, ma pareva essere l’unico modo per poter restare con la mammoletta e Johnny; l’unico per potersi accertare che mangiassero bene e dormissero e, più importante, che fossero al sicuro. Avrebbe, inoltre, ridotto la sua probabilità di diventare un Caduto, sicché avrebbe dovuto fare controlli mensili e non sarebbe andato “contro il volere di Dio”.
Alzò gli occhi al cielo. Quel mondo, i demoni, tutta la morte e la distruzione… se davvero esisteva un Dio, quello non era certo il suo volere. Se ci fosse stato un Dio, di sicuro non avrebbe lasciato che fosse l’Ordine a portare avanti quella sua volontà.
«Era delizioso.» sospirò Johnny con soddisfazione, leccandosi le labbra e strofinandosi lo stomaco. Aveva finito di mangiare la cena che lui aveva portato e si era abbandonato sulla sedia. «Grazie ancora, Kanda. So che si congela, là fuori.»
«Non è stato niente.» rispose brevemente, scalzandosi gli stivali ed afferrando la coperta di riserva che era ripiegata sul bracciolo del lurido divano nella stanza, mentre si appoggiava alla finestra scheggiata dal vetro biancastro. Numerose molle del sofà erano rotte ed i cuscini sprofondavano verso il suo centro, ma ci aveva ugualmente dormito nelle ultime settimane. Nel frattempo, Johnny ed Allen avevano condiviso l’unico letto della camera.
Certamente vivevano con limitazioni, ma in qualche modo Kanda si sentiva più vivo di quanto non fosse stato in tanto tempo.
«Sì, grazie.» disse allora Allen, sollevando di un poco gli angoli della bocca. Non avrebbe mai tentato di fingere davanti a lui; probabilmente il giovane non confidava che lui gli avrebbe creduto, oppure non glie ne fregava nulla di ciò che lui pensava. Per qualche ragione, quel pensiero lo infastidiva.
Prima di sedersi nuovamente di fronte ad Allen sul materasso, Johnny si diede una rinfrescata e si lavò i denti in bagno. Erano entrambi a gambe incrociate sul letto a due piazze, ad iniziare un nuovo gioco di carte e a chiacchierare amabilmente tra loro. Andava spesso così.
Erano quasi sei mesi, ormai, da quando Kanda ed Allen si erano riuniti. La mammoletta era ancora l’ombra di se stesso, ma quantomeno non tentava più di fuggire da loro. Li voleva con sé. Beh, perlomeno Johnny.
La risatina del giovane dai capelli argentei lo strappò dai propri pensieri. Era una risata vuota. Quasi tutte lo erano, di quei tempi.
Kanda osservò i due continuare a parlottare di varie cose. Di solito, Johnny discuteva con Allen di alcune teorie che gli erano venute in mente. La loro amicizia gli ricordava quella che lui aveva avuto con Alma, prima che tutto fosse andato in malora.
Il compito attuale di Kanda non era farsi degli amici, tuttavia.
Aveva un unico motivo per accodarsi a Johnny e alla mammoletta: valeva a dire il Quattordicesimo. Non gli avrebbe permesso di prendere il controllo e, se fosse successo, sarebbe stato lui quello a porvi fine. Era stata colpa sua, dopotutto.
Come Alma, un giorno anche Allen sarebbe morto prima di lui. Era qualcosa che sapeva avrebbe dovuto affrontare e, nonostante vi si stesse preparando, non poteva dire di esserne pronto.
Dopo la loro partita, Johnny saltò giù dal letto e si stiracchiò. «Ho bisogno di una doccia.» sorrise radiosamente.
Quell’uomo è come un raggiò di luce splendente, pensò Kanda. Era più vecchio sia di mammoletta che di lui di qualche anno, ma aveva un’innocenza fanciullesca che nessuno di loro due aveva. Johnny canticchiò mentre recuperava il pigiama pulito ed un asciugamano, poi lasciò Kanda solo con Allen.
L’atmosfera era quieta, tranne per l’acqua della doccia che scorreva e le voci lontane delle persone nei corridoi e nelle stanze adiacenti. C’era qualcosa di inquietante nello stare da solo con Allen; non era neanche a causa della crudeltà in agguato nella mente del ragazzo, nonostante sospettasse che ciò fosse parte del motivo.
Il carattere della mammoletta gli aveva sempre dato sui nervi, ma perlomeno un tempo aveva reagito e si era difeso. Adesso era soltanto un guscio di falsi sorrisi e risate vuote. Quando diamine era divenuto così patetico?
«Potresti smetterla di fissarmi? Non sono il Quattordicesimo.» Allen lo stava osservando con quelle sue pozze d’argento.
«Tch. Non ti sto fissando.» rispose Kanda.
«Se non che lo stai facendo.» disse con frustrazione. La sua voce era più profonda, ora; molto più di quanto fosse stata quando si erano incontrati la prima volta.
«Non essere lusingato, mammoletta. Come se io potessi fissarti.»
«E nonostante ciò, lo stavi facendo.» Allen si avvolse la coperta attorno alle gambe stese. Diresse lo sguardo al soffitto come immerso nei propri pensieri. «Mi hai a malapena rivolto la parola da quando tu e Johnny mi avete raggiunto, mesi fa; ciò nonostante mi osservi sempre.»
Era vero. Mammoletta e lui avevano a stento parlato nei quasi sei mesi in cui avevano viaggiato assieme.
Non è che non volesse, no. Era che non riusciva.
Kanda non era mai stato uno di grandi conversazioni, né tanto meno qualcuno bravo a ringraziare. Ed il fatto era che lui non doveva solamente un “grazie” ad Allen. Gli doveva la vita.
Aveva gettato via la propria in modo tale che Alma e lui potessero vivere i loro ultimi istanti in pace, tuttavia non aveva chiesto nulla in cambio. Era l’unica persona che si sarebbe spinta così in là per amor suo e nemmeno erano così prossimi.
Kanda aprì bocca per pronunciare quella parola che tanto fremeva per dire da mesi. Grazie.
Seppe di essere apparso in conflitto con sé stesso quando il cipiglio di Allen si trasformò in un’espressione confusa.
Le parole erano sulla punta della sua lingua, eppure non riusciva a dirle. Kanda lasciò che la sua solita maschera gli tornasse in volto.
«Taci, Moyashi.»
Walker imprecò a bassa voce e gli diede le spalle.
Kanda si sdraiò sul divano e fissò il soffitto, le sue lunghe gambe che pendevano dal bracciolo. Nella sua testa vorticavano svariati pensieri. Si maledisse per non essere in grado di esprimerli; per non essere in grado di dire quella semplice, dannata parola.
La verità era che gli piaceva avere Allen e Johnny intorno. Era simile a quando era stato insieme ad Alma. Come era accaduto con lui, Kanda voleva… proteggerli, anche se fosse significato andare contro quel cosiddetto Dio e rischiare di divenire un Caduto.
Il fruscio delle lenzuola ed il cigolare del materasso lo strapparono dai propri pensieri.
Allen sedeva e lo guardava con un’espressione che non gli aveva visto addosso in tanto tempo. I suoi occhi erano pieni di determinazione.
Si schiarì la gola. «Grazie, Kanda.»
Le sue parole lo colsero di sorpresa e fu sicuro di avere indosso un’espressione idiota. Perché? Come…?
Com’era possibile che Allen riuscisse tanto facilmente ad esprimere ciò che gli passava per la testa, nonostante il demone che gli stava scombussolando il cervello? Era più di un anno che Allen lo aveva salvato, eppure non riusciva a dire quella semplice parola. Cazzo.
«Per cosa?»
Kanda indurì nuovamente l’espressione. Era sempre così facile, per lui, indossare una maschera di indifferenza, irritazione o rabbia. Teneva la gente alla larga. Eppure, di nuovo per la prima volta nella sua vita, non voleva allontanare certe persone; allo stesso tempo non riusciva ad impedirsi di vestire quella maledetta facciata.
«Per essere qui. Mi ero quasi arreso, ma…» Allen lasciò la frase in sospeso e sembrò quasi tornare ad essere il bambino che era stato quando si erano conosciuti.
«Dovresti dirlo a Johnny, questo.»
«L’ho fatto. Ma nemmeno tu sei obbligato a stare qui.»
Lui rimase in silenzio. Non riusciva a dire ciò che tanto disperatamente voleva.
Fissò intensamente Allen, ma il più giovane non cedette; sembrava determinato come era stato una volta, come quando si erano incontrati. Lo faceva sentire strano.
Un certo calore gli si diffuse nel petto; uno che vagamente ricordava di aver provato soltanto una volta in vita sua.
«So che rimanere bloccato qui con me non deve essere facile, per te. Per cui grazie per essere rimasto… il fatto che tu sia qui mi ha molto aiutato.»
Le parole di Allen riecheggiarono nella sua mente. Erano le stesse che lui stesso aveva pensato di dirgli così tante volte. Per qualche ragione, si sentì indifeso contro di esse; vulnerabile, persino. Quasi come se Allen gli avesse letto nel pensiero e avesse scelto quegli esatti termini per smuoverlo. Cosa che, effettivamente, avevano fatto.
Kanda si sentì come se qualcuno lo avesse colpito con forza ed il respiro gli si fosse mozzato nel petto. Strinse la mascella. Sperò che Allen non lo avesse notato, ma ne dubitava.
«Tch.» sputò, ma Allen aveva ancora un piccolo sorriso sul volto; era il primo che avesse genuinamente indossato in tanto tempo e, ancor più sorprendente, era diretto a lui. «Idiota.» disse ancora, per poi voltarsi sul divano e dargli le spalle.
Era facile spingerlo via e mai pronunciare ciò che intendeva dirgli. In quei momenti si odiava; odiava il non riuscire ad esprimere ciò che pensava. Chiuse gli occhi ed espirò profondamente.
Le parole di Allen gli vorticarono continuamente in testa e Kanda avvertì uno stupido sorriso allargarglisi sul viso.
Sono io quello che dovrebbe ringraziarti.

 


Note traduttore:
Buongiorno a tutti!
Ho finalmente ri-pubblicato il primo capitolo della storia su questo account e mi sono un po' messa il cuore in pace.
Avverto che non so quanto ci vorrà affiché, dopo il capitolo due, io riprenda a pubblicare i vari capitoli tradotti... Per ora sono in sessione d'esami, quindi non prometto nulla :/ Nei prossimi giorni vedrò comunque di correggere alcune cose nella traduzione che mi fanno un po' storcere il naso (più che altro perché differiscono un poco dall'opera originale).
Fatemi pure sapere cosa pensate della storia o se ci sono alcune parti tradotte che non vi convincono :)
Faccio presente che asterilotos al momento ha pubblicato sette capitoli e non so bene quando usciranno gli altri, per qui una volta raggiunto quel punto della storia l'attesa non dipenderà più da me.
Grazie per aver letto fin qui e alla prossima,
Maiko.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
Disclaimer:
Questa storia è la traduzione di "Ends." dell'autore asterilotos su AO3, scritta e pubblicata col suo permesso.




Capitolo 2
 


Era sdraiato sul soffice manto d’erba sotto il sole estivo, i cui vivaci raggi risplendevano così fulgidamente che poteva avvertirne il calore sulla pelle.
Le sue braccia erano tese verso lo sconfinato cielo; non sapeva cosa stesse tentando di afferrare, ma, se si fosse allungato abbastanza, forse quel qualcosa sarebbe divenuto tangibile.
Ad occhi altrui, quella particolare scena sarebbe apparsa bellissima e pittoresca, eppure lui l’avvertiva come incredibilmente malsana.
Percependo un capogiro, si afferrò la testa tra le mani ed emise un lamento al dolore lancinante che lo trafisse come fosse un coltello nel burro. La luce era divenuta troppo intensa e i suoi occhi faticavano a rimanere aperti.
Udì una risata infantile in lontananza. Non ci volle molto affinché il bambino s’innalzasse su di lui e lo scrutasse con grandi occhi luminosi.  «Che cosa ci fai qui?» chiese questi, la sua espressione un misto di curiosità e delizia.
«Io… io non lo so.» rispose, e rimase sorpreso dalla sua stessa voce: era un bambino pure lui? Non ricordava nulla, ma era certo di trovarsi in un posto a cui non apparteneva.
Così come prima era stata rivolta al cielo lontano, la sua mano si allungò verso quella che il ragazzino gli tendeva; le sue dita e le proprie si intrecciarono e fu aiutato ad alzarsi. Ora più vicino, osservò le fattezze dell’altro: lunghi capelli neri incorniciavano il suo volto paffutello… conosceva quel viso. I suoi capelli erano talmente diversi dalla propria e disordinata massa castana, che tanto era cresciuta durante gli anni di trasandatezza; non era certo della propria età, ma presunse avessero all’incirca gli stessi anni.
Conosceva quel ragazzino; non sapeva in che modo, ma lo conosceva.

«Non ti ho mai visto qui intorno, prima d’ora! Mi chiamo Mana.» un ampio sorriso si allargò sul suo volto. «Qual è il tuo nome?»
Il suo nome?
«Allen.» rispose istintivamente, ma non seppe perché avesse deciso di dire quel nome in particolare. Tutto ciò che sapeva era che era(1) il proprio, che qualcuno di speciale glielo aveva dato. Era il suo, ma allo stesso tempo non lo era.
Il ragazzino, Mana, aprì la bocca fino a formare una piccola “o”, come fosse incredulo. «È un bellissimo nome!» urlò, un po’ troppo entusiasta per qualcosa di così frivolo.
Prima che potesse ringraziarlo, Mana gli afferrò la mano e iniziò a correre; corsero per minuti interi fino a giungere a un giardino molto più bello del campo in cui si trovavano prima. Mana lo tirò affianco a sé a terra, dove si sdraiarono mano nella mano; Allen osservò lo stravagante bambino ridacchiare allegramente e, non seppe bene perché, ma iniziò a ridere anche lui. Rise così forte che gli dolsero i fianchi, ma non ebbe importanza: per la prima volta in vita sua trovò conforto nel fatto di non essere solo.
«Perché abbiamo corso?» indagò Allen una volta che riuscirono a riprendere fiato.
«La signorina Katerina non ci permette di passare del tempo con i bambini del vicinato.» affermò Mana come se stesse condividendo un’informazione ovviamente nota a tutti.
Ci?
«Mana, che fai qui fuori?» chiese qualcun’altro. Allen si voltò nella direzione della voce: era un ragazzino identico a Mana, se non per i capelli più corti; parve scorgerlo e assottigliò gli occhi. Si avvicinò, ma dai suoi movimenti era evidente che stesse agendo con cautela.
Mana gli strinse improvvisamente la mano e lo tirò su in piedi; il movimento fu talmente rapido da provocargli un secondo capogiro. «Lui è il mio nuovo amico, Allen.» Ricambiò la sua stretta, l’istinto che gli gridava di non lasciarlo andare. «E lui è mio fratello gemello, Nea!»
L’altro ignorò le presentazioni.
«La signorina Katerina ti sta cercando.» lo  informò. «Dovresti ritornare alla residenza prima che si arrabbi di più.»
«Aah!» Mana squittì con esagerata paura; lasciò la presa sulla sua mano e Allen avvertì immediatamente la mancanza del suo rassicurante calore. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva provato contatto umano?
«Allen.» Mana chiamò placidamente, con un piccolo sorriso sul volto. «Quella volta che ho riso con te… L’ho sentito anche io.» Non disse null’altro, ma qualcosa in quelle parole che gli si conficcò dolorosamente nel petto.
Si tese nuovamente verso di lui, per afferrare ancora una volta quel tepore, ma la sua mano incontrò aria vuota. Era già svanito.
Colto dal panico, corse ovunque pur di ritrovarlo: che cosa significava? Si voltò in ogni direzione, lo cercò freneticamente intorno; cercò l’uomo truccato da clown.
I suoi pensieri caotici si spezzarono nel momento in cui una mano gli afferrò il polso; si girò per trovare Nea lì a fissarlo: era un uomo, ora. Entrambi lo erano, ma Nea era più alto e marcato di lui; aveva un piccolo sorriso sul viso, ma non era confortante come quello di Mana. Allen comprese che quel sorriso non gli piaceva per niente.
«Dov’è Mana?» chiese, quasi in un sussurro.
«Allen,» Nea gli si fece più vicino e abbassò il tono della voce come se qualcun altro li stesse ascoltando, come se fosse il segreto più grande del mondo. «Non è perduto per sempre. Posso portarti da lui.»
In qualche modo, Allen sapeva che seguirlo era una cattiva idea. Pensò che, forse, il suo allontanarsi da Mana avrebbe dovuto essere definitivo; e una parte di lui gli disse che il loro incontro non era neppure realmente avvenuto.
Decise, contro ogni logica, che sarebbe andato ovunque Nea lo avrebbe portato, perché la necessità di rivedere Mana era bruciante. Aveva bisogno di sapere il significato di quello che gli aveva detto.
Lo seguì, studiando la sua schiena e le sue ampie spalle mentre gli camminava dietro: pareva essere fiducioso e orgoglioso, ma, più di ogni altra cosa, era sinistro.

Alla fine raggiunsero il margine della scogliera su cui Allen non aveva saputo di star camminando; annaspò dinanzi al vasto mare, parecchi chilometri sotto a dove loro si trovavano: si stendeva a perdita d’occhio. Nea indicò ad Est, verso una piccola e desolata isola che si stagliava contro il blu e sulla quale campeggiava un piccolo faro solitario.
«Là. Mana è là.» disse Nea.
Allen ingoiò la bile che gli era salita alla gola e gettò un’occhiata alle proprie mani: una era normale e l’altra era orrenda, rossa e sfigurata. Quella vista lo addolorò, per qualche motivo che non poté dire, e, nonostante non ci fosse, poté fiutare l’odore ferroso del sangue.
«Non è chi pensi lui sia, lo sai.» Nea aggrottò le sopracciglia per un istante, prima che un ghigno tornasse ad ornare il suo bel viso. «Non preoccuparti, non ci vorrà ancora molto.» Allen non seppe perché la sua affermazione lo fece sentire così a disagio, ma capì che, qualunque cosa essa significasse, si trattava di una promessa. “Corri” gli ordinava la sua coscienza, ma le sue gambe erano pesanti e non riusciva a muoverle.
Prima che avesse il tempo di realizzarlo, Nea lo agguantò per la maglia e lo spinse oltre il baratro. Allen cadde verso il mare nero sotto di lui; voleva gridare, ma non trovò la voce per farlo. Nuovamente allungò le mani verso lo sporco cielo blu, tentando di scoprire un appiglio a cui afferrarsi per non cadere ancora più giù.
L’unica cosa che udiva, mentre cadeva, erano le aspre sferzate del vento sul suo viso.
Si schiantò sull’acqua con un impatto così forte che il respiro gli si mozzò in gola.
Tentò di risalire in superficie; aveva bisogno di respirare, ma come un’ancora sprofondava e sprofondava nell’abisso scuro. Ancora una volta provò a fuggire, ma l’acqua salata gli bruciò gli occhi e non riuscì più a vedere. Si agitò disperatamente verso il firmamento, però il mare era infinito e la superficie troppo lontana per essere raggiunta.
Voleva gridare in cerca di aiuto; voleva poter sentire nuovamente il calore di un tocco umano, ma pensò che, probabilmente, il suo fosse un desiderio vano.

 

La luce gli offuscò la vista; era talmente luminosa da fargli male.
Dov’era?
Chi era?
Un peso gli vincolava le braccia e una confusa figura si stagliava sopra di lui; la persona lo stava chiamando, ma non riusciva a comprendere cosa dicesse chiaramente, né a frenare le lacrime salate che gli scivolavano lungo le guance. Assottigliò gli occhi per mettere a fuoco l’individuo che lo sovrastava; era un uomo che gli parve familiare, ma non riuscì a ricordare chi fosse: i suoi capelli scuri erano legati in una coda alta e due lunghi ciuffi erano liberi di scivolargli ai lati delle gote, di fianco alla frangia.
Le sue dita fremettero per toccargli il viso, soltanto per accertarsi che fosse vero. Gli ricordò di quando si era teso verso il cielo; tranne che, quando la sua mano si posò sul volto dell’uomo, capì che era tanto reale e tangibile. La persona dai capelli scuri sobbalzò al tocco, ma permise alla sua mano curiosa di posarsi sulla sua guancia; era così caldo. Allen chiuse brevemente gli occhi e si beò del contatto umano.
L’espressione dell’uomo rimase rigida, nonostante vi fosse una nota di preoccupazione sul suo viso; lo sconosciuto non parlò, però cercò nei suoi occhi come se stesse tentando di trovarvi qualcosa.
È preoccupato per me?
Allen gli carezzò cautamente la morbida pelle della guancia con il pollice.
«Che cazzo fai, Moyashi!» ringhiò l’altro, schiaffeggiandogli via la mano.
Moyashi.
La parola straniera fece scattare qualcosa nella sua testa e una cascata di ricordi gli piovve addosso: era Allen Walker, un ex Esorcista dell’Ordine Oscuro; era in fuga per tradimento; un Noah abitava la sua mente e aspettava il momento per assumere il controllo del suo corpo. L’uomo sopra di lui era Kanda, qualcuno che non aveva mai potuto definire se fosse amico o nemico; eppure, solo un attimo prima aveva disperatamente teso la mano verso di lui, e l’intero gesto era stato molto più personale di quanto avrebbe dovuto essere con un amico o un nemico… e Kanda lo aveva lasciato fare!
Allen si ritrasse così velocemente che sbatté la schiena contro la testata del letto, che a sua volta colpì rumorosamente il muro; era come se la sola vista di Kanda lo avesse scottato. L’unica cosa che davvero bruciava, però, era il suo viso per la vergogna.
«Idiota! P-Per-perché- Perché mi guardavi mentre dormivo?!» gridò in un tentativo di apparire furioso, ma era così imbarazzato che non ci riuscì.
«Ti agitavi nel sonno, idiota!» spiegò l’Esorcista. «Credevo che il Quattordicesimo stesse prendendo il controllo.» Il Quattordicesimo; Nea. Le immagini del sogno gli vorticarono nella mente, infiniti bagliori che gli fecero dolere il petto. Si portò una mano alla fronte. Se si era trattato di un sogno, perché era sembrato così reale?
«Oi…» disse Kanda con cautela e la sua voce improvvisa quasi lo spaventò; poi comprese che l’uomo era lì con lui e non era solo e per qualche motivo questo fatto lo consolò. Diversamente da Lenalee o Lavi e dagli altri, a Kanda non importava di lui e non avrebbe cercato di confortarlo o qualcosa del genere. Non voleva più pensare a Nea o Mana ed era certo che il più grande non gli avrebbe posto domande. Sospirò.
«Non farlo più. È stato inquietante svegliarsi con la tua stupida faccia davanti…» borbottò, strofinandosi gli occhi: per qualche ragione bruciavano.
Erano passate alcune notti da quando aveva ringraziato Kanda per essere restato; non era sicuro di cosa gli fosse preso, quel giorno, ma era stato qualcosa che aveva voluto dirgli da molto tempo. Sapeva che l’altro non aveva nessun obbligo di essere lì, ma aveva il sospetto che ciò che era accaduto ad Alma avesse qualcosa a che fare con il motivo per il quale era rimasto. Parte di lui pensava ci fosse un’ulteriore ragione che ancora non riusciva a comprendere del tutto; forse Kanda lo compativa? Si sentiva in colpa? Sperò davvero non fosse così; se qualcuno avesse dovuto sentirsi responsabile, era proprio lui; perché non aveva potuto salvare Alma.
«Tch. Immagina come mi sia sentito io quando mi hai accarezzato la faccia.» ribatté l’altro accigliandosi. Allen sgranò gli occhi e il suo viso avvampò per l’imbarazzo. «Sta zitto!» si allungò istintivamente per afferrare un cuscino e glielo tirò in faccia.
«Stupida mammoletta! Te la farò pagare!» Il viso del moro si contorse per l’irritazione e tornarono ad azzuffarsi, scambiandosi pugni ed insulti a destra e a manca. Kanda si gettò in avanti e lo costrinse contro il materasso, bloccandogli le braccia con le mani e affondando le ginocchia nelle sue cosce. Allen lo trapassò con lo sguardo da sotto di lui e cercò di dimenarsi dalla sua presa.
«Non fai più il forte ora, eh Moyashi?» ghignò Kanda.
D’un tratto Allen realizzò quanto fossero fisicamente vicini, con i visi soltanto a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro; poteva avvertire il respiro caldo di Kanda, che sapeva di un qualche dentifricio alla menta che avevano comprato durante i loro spostamenti. Si voltò dall’altra parte quando non fu più in grado di sostenere lo sguardo cobalto dell’altro. Sapeva che Kanda lo avrebbe ucciso se si fosse scusato un’altra volta ma ancora si sentiva male per quanto era accaduto ad Alma; nessuno di loro si era meritato la sofferenza che avevano patito.
Ancora si chiedeva del vero motivo per il quale l’uomo fosse lì, ma per qualche ragione aveva paura di conoscere la verità. Se fosse stato la stessa persona di quando si era unito all’Ordine, probabilmente avrebbe cercato di capirla. Non era più quell’Allen, però: ora era l’involucro per un Noah, qualcuno a cui tutti parevano dare più valore che a lui.
«Levati, stronzo.» scalpitò.
«Debole.» replicò il più grande, senza spostarsi. Nonostante Allen non riuscisse a vedere la sua espressione, poteva praticamente percepire la confusione che emanava.
Dove diavolo è Johnny? Se l’uomo con gli occhiali fosse stato lì, si sarebbe evitato questa scomoda situazione. Come se l’avesse evocato, la porta si aprì e Johnny entrò.
«Ho portato del cibo-» lo scienziato si fermò sui propri passi e lasciò cadere la borsa di alimenti che stava reggendo. Per un attimo Allen si chiese cosa lo avesse spaventato, poi si ricordò… Era certo di come tutto ciò dovesse apparire. Il suo viso bruciò: Kanda era sopra di lui, a bloccarlo contro il materasso.
«Mi dispiace!» squittì Johnny, scuotendo la testa freneticamente da una parte e dall’altra come se stesse cercando di scacciare le immagini dalla sua mente.
«Ti dispiace?» gli fece eco Kanda, ignaro di cosa stesse accadendo.
Vallo a capire, pensò Allen. Si contorse dalla sua presa e lo spinse via, facendolo cadere duramente al suolo. Sorprendentemente Kanda rimase lì, ma, fedele alla sua natura, lo insultò e calciò nello stinco. Allen suppose che, nonostante si stesse comportando in quel modo, probabilmente anche Kanda era un po’ in imbarazzo.
«Questo idiota voleva fare a pugni!» Finse una risata, atto molto più semplice che spiegare la reale situazione. Era già abbastanza brutto che Johnny li avesse trovati in quella posizione, ma sarebbe stato peggio se fosse venuto a sapere che ci era finito perché gli aveva accarezzato il viso!
E sarebbe stato ancora peggiore se entrambi avessero scoperto che Nea lo aveva nuovamente visitato nel sonno e che se non fosse stato per Kanda… Nea aveva quasi preso il sopravvento. Di nuovo.
Johnny rise. «Dovete fare attenzione! Non vorrete farvi male.»
«Certo che no!» Allen si affrettò al suo fianco e lo aiutò a raccogliere i filoni di pane che aveva lasciato cadere al suolo.
«Ugh, siete irritanti. Mangiamo e basta.» interruppe Kanda. Per una volta Allen fu grato del suo caratteraccio, perché era quasi sul punto di morire dalla vergogna. «E con “mangiare” non intendo quella schifezza che hai fatto cadere!»
 

 
Kanda non era certo di come fossero finiti in un bar del distretto a luci rosse. Un momento prima stava mangiando una deliziosa soba in un ristorante giapponese che avevano prodigiosamente trovato in città; quello dopo, Johnny aveva deciso che avrebbero dovuto festeggiare la loro “amicizia in sviluppo” bevendo in un bar. Kanda aveva rifiutato, ma mammoletta e l’altro avevano iniziato ad andarsene senza di lui! Non avrebbe potuto lasciarli vagare da soli perché quei due idioti si sarebbero sicuramente cacciati nei guai.
E ora eccolo lì, con tre quarti di boccale di birra(2) a chiedersi come diavolo fosse finito a vivere la sua vita secondo due deficienti.
Il bar era enorme e pieno di clienti fino all’orlo. Era una struttura inusuale: c’erano morbidi divani rossi con ognuno il proprio tavolo. Kanda riteneva che i sofà fossero un’aggiunta ridicola da avere in un bar; avrebbe dovuto essere un posto dove potersi inebriare, dove gli ubriachi sarebbero stati molto goffi e avrebbero rovesciato i loro drink sulla tappezzeria.
Non lo sorprese come Johnny, velocemente esaltato dall’alcool, incespicò per sedersi su quelle cose orrende e commentò “quanto carini!” fossero. E non era quella la parte peggiore: c’erano cameriere che servivano ai clienti sia bevande sia la loro stessa compagnia; senza contare che lo facevano con veramente pochi vestiti addosso. Considerato il suo sorprendente amore per le donne, non c’era da chiedersi il perché Johnny avesse scelto proprio quel posto.
Lo scienziato era in mezzo a due delle signorine su uno dei divani, mentre Moyashi e lui sedevano su quello antistante. Con la coda dell’occhio notò che Allen sembrava fuori posto e molto più silenzioso di quanto già non fosse stato negli ultimi giorni; nonostante fosse fisicamente lì, era evidente che la sua mente fosse da tutt’altra parte. Preso in considerazione il suo apprendistato sotto Cross, Kanda suppose che un posto del genere lo lasciasse del tutto indifferente. Nondimeno si chiese se ci fosse dell’altro.
Con Johnny occupato erano in pratica solo loro due, di nuovo. Erano passati giorni da quando Allen lo aveva ringraziato, eppure ancora non era riuscito ad avere con lui una conversazione degna di tale nome; sapeva che quella era la sua occasione per dire finalmente qualcosa, ma come sempre le parole gli si erano bloccate sulla punta della lingua e rifiutavano ostinatamente di uscire dalle sue labbra.
Ritornò con la mente al quella mattina. Vedere il ragazzo contorcersi nel sonno gli aveva provocato un’indefinibile fitta allo stomaco: era stato certo che il Quattordicesimo stesse avendo il sopravvento; lo aveva visto nel modo in cui la sua pelle si era fatta più scura e le sue ciocche avevano iniziato ad arricciarsi. Era sicuro che le lacrime che aveva visto scivolare dai suoi occhi fossero di Allen. Pareva nuovamente vicino a perdere la battaglia contro Nea, ma com’era riuscito a vincere quella volta? Avrebbe vinto anche la successiva? Tuttora era un mistero, quanto il ragazzo fosse sul ciglio di arrendersi; eppure, più il tempo passava più Kanda trovava difficile allungare la mano verso Mugen.
Avrebbe mentito se avesse detto di non aver provato sollievo quando l’idiota era ritornato in sé. C’era ancora tanto di non detto, tra di loro, e ancora doveva porre rimedio a quella situazione.
Kanda bevve un sorso di birra, inabile a lasciar vagare i pensieri nella propria mente. Lanciò un’occhiata ad Allen e lo vide rimescolare le carte da gioco che Johnny gli aveva procurato.
Il più giovane si sentì osservato ed i suoi occhi curiosi si spostarono su di lui; Kanda fu sul punto di cacciare fuori le parole a forza dalla morsa dei denti, ma, prima che potesse dire alcunché, una cameriera si gettò sul Moyashi.
«Ciao, dolcezza!» urlò in tono troppo alto; il suo seno lo stava pressoché soffocando, ma il ragazzo non si curò di spingerla via. Alla fine gli si tolse di dosso; lasciò vagare le mani sul suo petto e l’altro arrossì vistosamente. «Vuoi qualcosa da mangiare?» chiese, ma lui declinò.
La ragazza non se ne andò; al contrario continuò a parlargli e giocare con le candide ciocche dei suoi capelli e, cosa peggiore, lui la assecondò! Lei rideva delle sue osservazioni su Johnny, asfissiato dalle donne ed in procinto di affogare nella birra, ridacchiò a qualunque stupidaggine lui dicesse. Chi avrebbe mai detto che Allen avesse un simile talento? Ovviamente, tutto ciò incitò la ragazza a farsi avanti con ancor più insistenza.
Kanda era irritato: non le era chiaro che stavano per avere una conversazione?
Nonostante ciò provò a essere paziente, perché l’ultima volta che aveva detto a una cameriera ficcanaso di “stare zitta” Lenalee gli aveva tirato una gomitata nello stomaco. Per cui aspettò che la donna cessasse il suo parlare, dato che se le avesse detto di “sparire” mammoletta e Johnny ne avrebbero sicuramente fatto un dramma e gli avrebbero fatto(3) la ramanzina sul trattar meglio le persone… un’altra volta. Forse era il drink che stava facendo effetto, ma era determinato ad ingoiare il rospo e parlare con quel maledetto ragazzino.
Così aspettò. E aspettò. E aspettò.
Non era certo di quanto tempo fosse passato, ma era già al secondo boccale quando si rese conto che Walker gli si era avvicinato: le loro cosce si toccavano e le spalle si sfioravano appena. Come se avesse avverto la sua confusione, Allen borbottò qualcosa di un po’ troppo veloce affinché lui potesse afferrarlo. Perché il Moyashi era così irrequieto? Lanciò uno sguardo alla sua destra e capì perfettamente il motivo: la giovane cameriera che aveva conversato con lui fino a quel momento aveva deciso che il tempo per le chiacchiere era finito. Si mosse carponi verso di lui, sfoggiando per bene il generoso seno, gli poggiò una mano sulla coscia e vi tracciò piccoli cerchi per poi iniziare a risalire e risalire…
Allen squittì e gli saltò pressappoco in grembo, versandogli addosso ciò che rimaneva del suo drink.
«Cazzo!» ringhiò Kanda: l’alcool gli si era rovesciato sul cavallo dei pantaloni ed era dannatamente freddo. Balzò in piedi per evitare che il cappotto assorbisse anche il resto della birra.(4) «Idiota, che stai facendo!»
«Kanda, ti chiedo scusa.» Allen gli tirò dei fazzolettini a caso. «È solo che lei-»
«Oh, tesoro, mi dispiace!» disse la cameriera, avvicinandosi poi carponi per cercare di asciugarlo; le sue mani lo accarezzarono quasi nel medesimo modo(5) e lui gliele schiaffò via.
«Sparisci!» urlò aspramente e la donna si rimpicciolì sotto la sua occhiataccia e fuggì via. Strappò dalle mani di Allen ciò che rimaneva dei fazzoletti e cercò di tamponarsi i calzoni. Ne aveva avuto abbastanza di quel posto, ora; chi se ne fregava di parlare con l’idiota, l’unica sua intenzione adesso era ritornare al motel. Non fosse stato per l’alcool nel suo organismo, avrebbe tagliato a metà uno di quegli orrendi divani.
«Pensavo fossi abituato a questa merda.» borbottò, sempre asciugandosi i pantaloni.
«Succedeva sempre a Cross(6), non a me!» Allen sbuffò e si erse in tutta la sua altezza, non che avesse potuto essere chiamata tale: era sempre più basso di lui e ancora una Mammoletta.
«Come vuoi. Andiamocene da questo posto e basta.»
«Uh, Kanda…»
«Cosa?» sollecitò, ma la sua domanda ebbe subito risposta quando gettò un’occhiata al luogo che Allen stava indicando: né Johnny né le donne con cui si era seduto si trovavano più lì. «Dove diavolo è andato?»
Il ragazzo fece spallucce e fece per incamminarsi nella direzione opposta, ma Kanda lo afferrò velocemente per il braccio e se lo tirò dietro nel bel mezzo della folla; se non se lo fosse tenuto vicino, quasi certamente quello stupido marmocchio si sarebbe perso e sarebbe finito a farsi accarezzare da altri ubriachi.
Come ho potuto non vedere che Johnny se ne stava andando? Era stato così preso nell’aspettare che la cameriera si levasse per avere quella tanto attesa conversazione col Moyashi, che si era dimenticato totalmente dell’altro uomo. Imprecò a bassa voce: era stato così imprudente! Stare con quei due era come badare a degli stupidi bambini e lui odiava i mocciosi. Cercò di pensare alla serata e a quando fosse stata l’ultima volta che avevano visto lo scienziato.
Avevano perlustrato l’intero bar due volte senza successo: Johnny era sparito.
«Credo che quella là sia una delle donne che erano con lui prima.» Allen indicò una signorina con i capelli corti e più alta di lui; Kanda fece per dirigersi verso di lei, ma l’altro lo fermò e gli lanciò un’occhiata quasi incredula. «Uh… È meglio che le parli io.»
«Tks. Fai come vuoi(7).»
Da lontano osservò Walker approcciare la donna con quel suo sorriso disgustosamente falso in volto. Si scambiarono quattro parole per qualche attimo, poi il ragazzo impallidì e corse verso l’uscita; Kanda lo seguì, urtando alcuni uomini ubriachi nel processo. Si affrettarono in un vicolo situato tra il bar e qualche altro edificio. Era perlopiù immerso nell’oscurità, eccetto che per un singolo lampione appeso al muro che illuminava in maniera inquietante il ridotto spazio; sotto quella luce intravidero una figura sdraiata a terra che si stava tenendo i fianchi.
«Johnny!» esclamò Allen correndo verso l’uomo che, se non per gli occhiali e i boxer a strisce blu e bianche, era completamente nudo. Lo fece sollevare in posizione seduta e gli diede dei colpetti sul viso per svegliarlo; un rivolo di sangue gli scivolava lungo il viso. Johnny socchiuse finalmente gli occhi, anche se parve non metterli del tutto a fuoco.
«Allen! Che ci fai qui!» urlò con apparente eccitazione, per poi alzare lo sguardo su di lui ed indicarlo. «Wow, anche Kanda!»
«Che diavolo è successo, Moyashi?»
«È Allen.» corresse il ragazzo dai capelli argentei per la prima volta in tutto giorno. «E la donna con cui ho parlato ha detto che ha giocato d’azzardo con alcune persone. Deve aver perso tutto.»
«Perché spogliarlo e gettarlo qua dietro? » la sua espressione si contorse nell’insofferenza, ma era solo una facciata: lo irritava non essere venuto a sapere prima che alcuni idioti avessero deciso di attaccare Johnny. Era stata colpa sua, esattamente come il risveglio del Quattordicesimo; continuava a prendere decisioni sbagliate e a rovinare la vita di altre persone: quella di Alma, di Allen e ora quella di Johnny. Strinse i pugni.
«L'hanno sbattuto fuori perché era senza vestiti.»
«Sono stati quei matti a levarglieli.»
«Lo so, Kanda.» rispose Allen seccatamente.
«Va bene. Sbrighiamoci a prenderli a calci in culo e recuperiamo i suoi vestiti.»
«Non possiamo.»
«E perché diavolo no?!»
«La donna ha detto che sono scappati non appena Johnny ha menzionato di avere amici armati.»
«Cosa facciamo, quindi?» chiese, appoggiandosi al freddo muro di mattoni.
Allen non rispose, preoccupandosi invece di proferire parole confortanti allo scienziato e ad accarezzargli i capelli in maniera rassicurante. Kanda fu un po’ sorpreso dalla differenza con la quale Allen li trattava: con Johnny era molto più gentile, al contrario dei modi bruschi e insolenti che adottava in sua presenza. Doveva gradire molto la sua vicinanza e amare davvero averlo intorno. Gli voleva sicuramente parecchio bene(8)…
Kanda distolse lo sguardo: per qualche ragione gli era difficile guardare.
Forse aveva giudicato male Allen Walker. Non conosceva veramente nulla di lui, tantomeno come ragionasse; non sapeva niente.
«Ehi, dammi il tuo cappotto.» disse improvvisamente l’altro.
«Col cavolo!» lo trapassò con lo sguardo, ma il ragazzo si limitò ad avvicinarsi e a fissarlo con sfida. Era molto più serio che prima: quanto era successo a Johnny l’aveva fatto arrabbiare e si stava sfogando con lui.
«Non possiamo riportarlo al motel in questo stato!» il più giovane era poco meno che ad un soffio dal suo viso, pronto a litigare soltanto per la sua giacca.
«Dagli i tuoi vestiti, allora!»
Allen lanciò un’occhiata ai propri abiti: al suo contrario, l’idiota aveva optato per non indossare il soprabito invernale; era vestito, invece, solo di una camicia bianca abbottonata e dei pantaloni marroni. Magro com’era, era un miracolo che non già fosse morto assiderato.
«Così sarei io quello nudo, razza di maniaco!»
Kanda brontolò a bassa voce e si sfilò il cappotto. Fece in modo di tirarlo alla mammoletta con più forza del necessario, guadagnandosi un insulto come risposta; il più giovane non ne fece un dramma e si affrettò al fianco del quattrocchi per aiutarlo ad infilarsi la giacca. Alzò poi lo sguardo su di lui con una certa aria compiaciuta; Kanda aveva il desiderio di togliergli quell’espressione dal viso con un pugno.
«Non è stato così difficile, vero?»
«Certo, certo, fottuto Moyashi. Sbrighiamoci ad andarcene prima che decida di lasciarvi entrambi qui.» disse iniziando ad allontanarsi da loro.
Walker, con un ubriaco Johnny che gli pendeva da una spalla, arrancò dietro di lui. Quasi rischiò di farlo cadere, ma riuscì ad afferrarlo prima che finisse dritto per terra. «Un piccolo aiuto?»
Kanda gemette di frustrazione e si portò l’altro braccio di Johnny attorno alla spalla; l’uomo li usò per supportare il proprio peso ma continuò imperterrito a inciampare ad ogni passo.
«V-voi… sciete i miei migliori amisci!» canticchiò allegramente. Kanda ebbe quasi un conato di vomito al forte odore di alcool che uscì dalla sua bocca.
Arrancarono fino al motel guadagnandosi strane occhiate da chi vagava per la città la notte. Faceva più freddo di quanto non avesse fatto prima e lui bofonchiava a bassa voce perché il cavallo dei suoi pantaloni era ancora gelido a causa di quella birra che l’idiota gli aveva rovesciato addosso; e Johnny cantava di nuovo atrocemente.
«Penso che Kanda abbia fatto la pipì, perché i suoi pantaloni sono bagnati!» disse l’uomo, sporgendosi verso Allen come per rivelargli un segreto ma, in pratica, gridando. Il ragazzo dai capelli candidi rise.
«Non mi sono pisciato addosso!» urlò lui. «E perché diavolo ridi, mammoletta. Sei tu quello ad avermela rovesciata addosso cercando di sedersi sul mio cazzo di grembo!»(9)
L’ilarità di Allen si smorzò.
«Nei tuoi sogni, stupido Kanda.»
Allungò la gamba da dietro Johnny e calciò Allen nello stinco. Il movimento li fece sbilanciare e finirono per cadere a terra; le loro gambe erano un groviglio sconnesso e Johnny aveva pestato la faccia dritta al suolo.
«Cazzo!»
«Ottimo lavoro, demente.» disse Allen levandoselo di dosso; immediatamente aiutarono l’altro ad alzarsi e questi, da prima intontito, iniziò a ridere incontrollatamente. Il ragazzo lo guardò con confusione a causa della sua reazione, ma finì per fare la medesima cosa. Kanda invece non era idiota come loro, per cui non si unì nella loro pazzia, però… si ritrovò a sorridere.
Forse la serata non era così terribile.
Il ritorno al motel fu silenzioso una volta che Johnny ebbe perso i sensi. Kanda decise che, forse, camminare con l’uomo ubriaco sorretto tra loro non era un buon momento per avere una conversazione decente con Walker. Una volta ritornati nella loro stanza scaricarono lo scienziato sul letto e aiutò Allen a mettergli il pigiama; dopodiché andò a farsi una doccia per lavarsi quella dannata birra dagli abiti.
Stette lì seduto nella cabina per alcuni minuti, lasciando che l’acqua bollente sciacquasse via la puzza di alcool dal suo corpo.
C’era stato qualcosa a cui aveva continuato a pensare per tutta la sera: lo scopo per cui si era aggregato a Johnny e al Moyashi era stato uccidere il Quattordicesimo; ciononostante, quella notte era uscito con loro e a dirla tutta si era un pochino, in parte divertito. E per tutto il tempo non ci aveva pensato, né aveva considerato i Noah o l’Ordine. Non ci aveva pensato per nulla, tanto da lasciare che Johnny se la svignasse. E per la prima volta Kanda si rese conto di avere paura: non avrebbe dovuto gradire questo tempo trascorso con loro, eppure era lì a chiedersi come sarebbe stata la vita se il mondo intero non fosse stato sulle loro tracce.
Il calore dell’acqua lenì i suoi muscoli stanchi. Non voleva pensare più a nulla di ciò, ma tanto era ormai cambiato; non avrebbe dovuto apprezzare la loro compagnia perché la vicinanza avrebbe portato disgrazie. Avere qualcosa significava anche accettare il rischio di perderlo.
Ritornò in stanza minuti dopo e vi trovò Allen seduto sul pavimento a giocherellare con la sua mano maledetta. Non si scambiarono parole o sguardi, cosa di cui fu grato; a essere onesto la serata lo aveva sfiancato e l’ultima cosa che voleva era entrare nel discorso di ciò che rimaneva non detto.
Le persone credevano che Kanda fosse stupido e ignaro dei sentimenti altrui, ma lui sapeva di essere più intelligente di quello che mostrava; ecco perché non poteva fare altro che rimuginare sul ricordo di Allen che allungava il braccio verso di lui. Perché era sembrato così minaccioso?
Johnny diceva che, a volte, Allen accennava ai propri sogni ma non entrava mai nel merito di ciò che effettivamente accadeva; sapeva che succedeva abbastanza da continuare a tormentarlo anche da sveglio. Era sempre lì a combattere la sua battaglia, anche in stato d’incoscienza.
Kanda bramava essere in grado di entrare nella testa della mammoletta e prendere a calci in culo Nea personalmente. Invece era chiuso fuori e in bilico su una linea fatta di “potere o non potere”: uccidere Nea, non uccidere Allen.
Era certo, però, che non avrebbe potuto fare una cosa senza l’altra.

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