What happened to us di Natory28 (/viewuser.php?uid=137813)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
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Vorrei spendere due parole prima di lasciarvi alla storia. Innanzitutto vorrei iniziare col chiedervi scusa. Sono fermamente convinta che questa storia non sia un granché. Forse mi sono lasciata trasportare troppo dalla passione per questo sport, scivolando troppo nello specifico. Quello che mi auguro è che almeno la scrittura sia scorrevole e non vi tedi troppo.
Ora veniamo ad una specie di introduzione, ahimè necessaria.
Che cos'è il softball? Banalmente è uno sport di squadra, ma per chi, come me, ha speso una vita intera sui campi di terra rossa sa benissimo che è molto di più… una passione che ti brucia dentro.
A questo punto voi direte: questa è pazza? Effettivamente non è da escludere come ipotesi, ma considerando che sono nel mondo del softball dalla tenera età di dieci anni, prima come giocatrice - per diciassette anni - poi come arbitro - quest'anno è il quindicesimo anno - direi che so di quel che parlo, o almeno questa è la mia speranza ☺.
Credo di aver divagato, chiedo scusa anche per questo. Ritornando a bomba sulla definizione. Molti definiscono il softball come baseball femminile e non c'è definizione più sbagliata.
Se vi è mai capitato di vedere il film “Ragazze Vincenti” con Madonna, Geena Davis e Tom Hanks, quello tratta proprio del vero baseball femminile, anche se all'inizio c'è un parvenza di softball, quando il talent scout va a vedere la protagonista e sua sorella giocare, ma queste sono finezze.
Il softball è un altro sport, differisce in tutto e per tutto dal baseball, nel campo, nelle palline, nelle mazze e nelle sue regole, altra differenza è che il softball viene praticato sia da squadre femminili che maschili. L'unica cosa che accomuna il baseball e il softball sono: il numero di giocatori e lo scopo del gioco.
Veniamo alla spiegazione pallosa. Devo ammettere che non è per niente semplice spiegare in modo semplice e veloce questo sport, ma voglio provarci lo stesso.
Il gioco si suddivide in due fasi: difesa e attacco. Quando la squadra va in difesa i giocatori si schierano in campo - definito diamante - nei seguenti ruoli: lanciatore, ricevitore, prima base, seconda base, terza base, interbase, esterno sinistro, esterno centro ed esterno destro. Il lanciatore e il ricevitore sono dette ‘la batteria’ e rappresentano il fulcro della squadra. Quando invece la squadra ha il turno in attacco, in base all’ordine di battuta, ognuno dei componenti del team – uno alla volta - si presenta nel box del battitore destro o sinistro a seconda della peculiarità del giocatore (destro o mancino).
Al play ball dell'arbitro il lanciatore dovrà lanciare la palla al ricevitore, sarà poi compito dell'avversario alla battuta riuscire a colpirla mandandola più lontana possibile, per iniziare a correre sulle basi, prima, seconda, terza fino a ritornare a casa base, da dove è partito, per segnare il punto.
L'abilità di un buon ricevitore è quella di osservare bene la posizione del battitore prendendo nota dei suoi punti deboli, e chiamare i lanci - attraverso dei segnali concordati con il suo lanciatore - che lo possono mettere più in difficoltà.
L’arbitro giudica se il lancio è buono (strike) o no (ball). Il battitore ha tre strike per riuscire a colpire la palla, dopo dei quali è fuori (o meglio è out)… ma se il lanciatore non lancia strike, o l’arbitro non glieli chiama (cosa di cui vengo spesso accusata) dopo quattro ball, il battitore ottiene la prima base e da lì può cominciare il suo percorso per arrivare a punto, eventualmente spinto dall’operato dei suoi successivi compagni alla battuta.
Potrei scrivere pagine su pagine su questo sport, annoiandovi a morte… come probabilmente sto facendo ora, ma abbiate un po’ di pazienza ho quasi finito.
Una partita regolare dura sette riprese - anche chiamati inning – ognuna delle quali è costituita da un attacco e una difesa per squadra. Il cambio si effettua in seguito al raggiungimento di tre eliminazioni effettuate dalla squadra in difesa. A questo punto voi vi chiederete: come si effettuano le eliminazioni? Ok, domanda più che lecita, ma ora ve la faccio io una domanda: ce l'avete un anno intero?
Il regolamento del softball è di oltre 110 pagine quindi fate un po' voi. Comunque, brevemente, se una palla battuta viene presa al volo dalla difesa il battitore è eliminato. Se invece l’attacco colpisce il lancio e la palla tocca terra, per fare l’out la difesa dovrà prendere la palla e tirarla il più velocemente possibile al difensore che difende la base prima che il battitore riesca a raggiungerla.
Spero solo di non avervi ammazzato di noia con la mia 'breve' infarinatura dello sport.
L'ultima cosa che vorrei aggiungere è che ci sono volute ben due olimpiadi per far rientrare questo sport nei giochi olimpici, infatti dal 2008 ultima presenza, rientrerà proprio a Tokyo nel 2020.... e magari, chissà, sono una veggente e ho previsto il risultato.
Ultima precisazione: l’intera storia è descritta dal punto di vista di Lexa.
Ora, bando alle ciance. Buona lettura, ci si legge sotto.
Lory
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"ODDIO!", urlo svegliandomi di soprassalto.
Con un gesto inconscio tasto il mio corpo, quasi avessi paura per la mia incolumità. Sono madida di sudore, probabilmente ho avuto un incubo, che stranamente non lo ricordo.
Mi guardo spaesata attorno. Sono nella mia camera, ma trovo il letto vuoto. Non faccio in tempo a farmi domande che sento la sua voce… la voce della mia ragazza.
"Lex, dai, muoviti. Fra un'ora abbiamo la PITOLO1conferenza stampa e poi allenamento. E lo sai come la pensa la coach Anderson sui ritardatari...".
Sbuffo scuotendo la testa. Lo so eccome.
Indra Anderson coach della nazionale americana di softball. L'allenatrice più severa, ma anche più brava che io abbia mai avuto in tutta la mia carriera sportiva.
Mi alzo in tutta fretta e mi infilo in doccia. Nel giro di poco sono già pronta. Dopo aver dato il buongiorno a Costia - la mia ragazza - con un tenero bacio. Prendiamo la borsa e usciamo di casa.
Oltre ad essere compagne nella vita, lo siamo anche nello sport. Infatti, entrambe siamo state selezionate per far parte della nazionale statunitense che parteciperà alle prossime olimpiadi.
Ho sempre adorato giocare a softball, me ne sono letteralmente innamorata quando avevo solo sette anni, fu la mia migliore amica che mi convinse a provare, Clarke. Io e lei eravamo inseparabili all'epoca. Facevamo ogni cosa insieme, abbiamo vinto moltissimi campionati giovanili. Lei lanciava ed io ricevevo. Formavamo una batteria incredibile. Ci intentavamo alla perfezione. Adoravo giocare con lei, mi faceva sentire viva. Poi, però, di punto in bianco lei smise di giocare ed in poco tempo si allontano da me sempre di più, fino a scomparire per sempre dalla mia vita, senza nemmeno una parola.
Avevo solo quindici anni quando mi ritrovai da sola. Non ho mai capito perché se ne sia andata, perché abbia lasciato me, gli amici, la squadra e persino la città. Inutile dire che ho sofferto molto per la sua fuga - non saprei come definirla diversamente - da quel momento il softball è diventato la mia ragione via, il mio rifugio, la mia valvola di sfogo.
Ho avuto molto ragazze prima di Costia, più o meno importanti, ma il softball è sempre stato una costante nella mia vita. Come lo era Clarke prima che se ne andasse.
Mi ricordo ancora la frase del mio primo allenatore: "Ragazze, questo sport è particolare o lo ami o lo odi non ci sono via di mezzo".
E per me è stato indubbiamente amore. Grazie a questo sport sono entrata al college con una borsa ed ho incontrato Costia, ma nonostante la ami sento che mi manca qualcosa. Continuo ad essere più innamorata del softball che di lei e questo non è sano per nessuna delle due.
Scesa dalla macchina vengo distratta dai flash della stampa che mi abbagliano.
Costia mi abbraccia e sfiliamo per i fotografi come fossimo delle star - anche se in tuta da ginnastica - fino a quando le nostre compagne di squadra non ci raggiungono sotto i riflettori.
Che lo spettacolo abbia inizio!
Detesto tutto questo trambusto. Ho sempre odiato essere al centro dell'attenzione, ma anche questo fa parte del gioco.
I giornalisti non ci hanno dato tregua. Ci hanno subissato di domande riguardanti le olimpiadi, sulle aspettative, eventuali pronostici, le squadre avversarie da battere e così via. Solo una domanda, forse un pochino fuori tema, mi ha messo a disagio.
"Un'ultima domanda capitano Woods… ricorda ancora la sensazione che ha provato la prima volta che ha messo un guantone ed è scesa in campo?", le parole della giornalista mi trafiggono in modo completamente inaspettato.
Cosa ho provato? Amore, gioia, complicità, completezza, ma forse non era per lo sport in se.
"Ho sentito di appartenere a qualcosa per la prima volta in vita mia", rispondo mentendo solo a metà.
"Ok gente, grazie. La conferenza stampa è finita. Ora se volete scusarci, le ragazze devono allenarsi", sento la voce della coach riportarmi con i piedi per terra e mettere fine allo show.
Quando metto piede in campo tutto passa. Calpesto la terra rossa e torno a respirare. I pensieri assurdi della giornata svaniscono senza che io me ne renda conto.
"Anya, dai, lanciami una curva come si deve", sbuffo togliendomi la maschera.
"Carissimo comandante, nonché sorella, le mie palle curve sono imbattibili, ergo… sono tutte come si deve! Lo sai che è il drop in cui sono carente".
"Modestissima come al solito vedo... ma mi dispiace deluderti… oggi non mi sembri per niente in forma. Comunque ci sta, Indra ci sta massacrando".
"Beh, credo che anche lei abbia molti occhi puntati", puntualizza una cosa a cui io non avevo dato peso.
"Dai sister, facciamo gli ultimi lanci e poi per oggi abbiamo finito. In sequenza: drop, rise, screw, curva e cambio (*)".
"Agli ordini Heda!", esclama mettendosi sull'attenti.
Sbuffo alzando gli occhi al cielo. Detesto quando mi chiama così. Mi rimetto la maschera e poi scendo in posizione.
Finito l'allenamento mi fiondo in doccia, non so perché, ma oggi sono particolarmente distrutta. Resto sotto il flusso dell'acqua più tempo del dovuto, quando ritorno al mio armadietto sono rimaste solo Costia, Anya e Raven, le altre se sono già andate.
"Lexa, per favore, prima di andartene passa dal mio ufficio", dice la coach affacciandosi velocemente nello spogliatoio.
Le faccio un cenno di assenso e lei mi sorride chiudendo la porta. Il tono di Indra è stranamente gentile e la cosa mi insospettisce. A rimarcare il mio stato d'animo ci pensa Rae.
"Oh, oh, qualcuno è nei guai!", esclama mettendosi a ridere.
"E cosa te lo fa pensare?", le chiedo continuando ad asciugarmi.
"Dai Lex, la coach gentile?! È una cosa che non si è mai vista!", conferma mia sorella supportando la sua ragazza.
"Magari... ci stupisce tutte con effetti speciali e vuole solo farti i complimenti per la buona prova di oggi", interviene Costia dandomi un bacio, come a volermi tranquillizzare.
"Sì, non sarà niente di che", confermo senza realmente preoccuparmi.
Finisco di vestirmi, saluto le ragazze e dico a Costia di non aspettarmi.
Mentre mi dirigo verso l'ufficio della coach, una miriadi di pensieri mi affollano la mente, onestamente non so cosa aspettarmi e anche se prima ho minimizzato, il suo comportamento è stato insolito e preoccupante.
Arrivata alla porta esito un secondo, poi busso aspettando il suo benestare per entrare.
Quando entro nel suo ufficio una strana sensazione mi assale, quasi avessi un presentimento. Indra è di spalle, sta guardando fuori la finestra pensierosa, qualcosa sembra preoccuparla.
Ormai conosco questa donna da otto anni, dall'epoca del college è stata sempre la mia allenatrice. Per me lei è una seconda mamma, mi ha spronato a crescere, a maturare sia come persona che come giocatrice. È in tutto e per tutto il mio mentore. Lei conosce ogni cosa della mia vita, di quando ho cominciato, di Clarke, del dolore. Credo che dopo Anya, sia l'unica persona al mondo che mi conosce così bene, quasi meglio di me stessa.
"Coach voleva vedermi?", le chiedo retoricamente palesando la mia presenza.
"Lexa, siediti", il suo tono è basso.
Non riesco a capire cosa sia successo. Il suo tono grave mi preoccupa.
"Stamattina mi ha telefonato la mia amica, Nia Queen, della commissione olimpica...", lascia la frase in sospeso come se non trovasse le parole per continuare.
"Come ben sai le squadre che parteciperanno alle olimpiadi sono già note da tempo. Siccome ci conosciamo da un po', mi ha chiamato per segnalarmi i nomi delle giocatrici che dobbiamo tenere d’occhio, o per meglio dire ... quelle che ci daranno più grattacapi. E tra quelle ho letto un nome che non mi sarei mai aspettata di leggere".
"E sarebbe?", le chiedo incuriosita dal tono misterioso che si ostina a mantenere.
"Contro la nazionale giapponese avremmo il nostro bel da fare. Oltre Yukiko Ueno, come lanciatrice ci troveremo davanti Clarke... Clarke Griffin".
Quando sento il suo nome mi paralizzo completamente. Il cuore sembra volermi esplodere nel petto e il respiro mi viene meno. Non avrei mai pensato che i pensieri di stamattina fossero i precursori di tutto questo. Magari, anche l’incubo che ho avuto stanotte è una specie di presagio. Oh Gesù, ma che cavolo dico?
Non riesco ancora a capire come mi senta. I pensieri sembrano rincorrersi nella mia mente senza un filo logico.
Da un lato sarà bello poter finalmente rivedere Clarke, era la mia migliore amica, la mia compagna di squadra, la mia lanciatrice, la mia confidente... ma dall'altro… lei mi ha abbandonato senza un motivo, un perché. È andata via senza una parola, dileguandosi per sempre. Ora so dove si è rifugiata per tutto questi anni: in Giappone.
Non so perché, ma coltivo la remota speranza che possa spiegarmi ogni cosa, a partire da quello che le è successo arrivando all’oscura ragione per la quale se ne sia andata.
"Lexa... conosco bene i tuoi dubbi. Ti ho voluto avvisare prima di proposito, per darti il tempo di metabolizzare la cosa. Prenditi una settimana di riposo. Credo, che tu ne abbia bisogno, hai lavorato sodo… più di tutte".
"Coach, non credo sia necessario...", obietto senza convinzione.
"Io credo di sì Lexa. Su quel diamante dobbiamo essere al 100%. Abbiamo un sacco di occhi puntati per queste olimpiadi. Ho bisogno di sapere che posso contare su di te. Tu sei il capitano della squadra, tutte ti seguono. Sei un leader, un comandante. E quando affronteremo il Giappone, avremo bisogno proprio di questo: un comandante. Quando entrerai nel box di battuta e la Griffin ti lancerà la sua palla migliore dovrai essere in grado di fare quello che sai fare meglio, cioè sbattergliela fuori dalla recinzione".
Forse Indra ha ragione, devo prendermi una pausa. Magari potrei andare al raduno delle mie vecchie compagne di squadra… quello che avevo opportunamente cestinato, inventando la scusa banale di non aver tempo da perdere. Credo che invece mi farà bene andarci. In questo momento ho bisogno di fare chiarezza. Ho bisogno di capire ciò che provo.
"Ok, coach. Mi prenderò una settimana di riposo. Forse ha ragione lei. Ho bisogno di staccare un po' la spina", le dico dopo essermi alzata.
Il suo abbraccio improvviso ed inaspettato mi coglie di sorpresa. Ci metto qualche istante per ricambiarlo.
"Ora sparisci Woods, non voglio vederti più per almeno sette giorni!", esclama perentoria.
'Ah ecco, ora si che ti riconosco Indra', penso ridendo sotto i baffi.
(*) Sono tutti tipi di lanci. Gli effetti che un ottimo lanciatore utilizza per indurre il battitore a girare a vuoto.
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NOTE AUTRICE.
Lasciati i panni tristi e a tratti drammatici della oneshot di ieri ora si comincia con un'altra avventura.
Come ho già scritto prima, ho dei forti dubbi sul fatto che possa riscuotere il vostro interesse, vista la storia non credo che possa essere avvincente e accattivante come alcuni dei miei lavori precedenti lavori, ma voglio comunque condividerla con voi.
La storia è già finita, non è lunghissima appena 18 capitoli, tuttavia gli aggiornamenti non saranno veloci come al solito chiedo scusa, ma è veramente un brutto periodo
Detto questo mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate.
Credo di avervi rotto a sufficienza quindi vi auguro buona giornata.
Un abbraccio
Lory
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
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Dopo aver aggiornato, con una
mezza verità, sia
Costia che mia sorella - non menzionando minimamente Clarke e la sua
presenza
alle Olimpiadi – mi sono messa in viaggio verso la mia
vecchia università,
l'UCLA, dove l'indomani si sarebbe tenuto il raduno.
Da San Diego, in macchina, mi ci
sono volute circa due
ore per arrivare a Los Angeles. Il viaggio è stato
tranquillo, anche se i
pensieri non mi hanno dato tregua... ho rimuginato tutto il tempo su
Clarke,
sulla sua fuga e sulla sua strana ricomparsa.
Dopo aver fatto check-in in
albergo ed essermi un
po’ rinfrescata, avverto subito Harper - la mia ex seconda
base, nonché
responsabile di questo evento - del mio arrivo. Ancora un po’
e sviene sentendo
la mia voce, ma superato lo shock iniziale, la sua parlantina prende il sopravvento inondandomi di
informazioni. Devo
ammettere che un po’ mi è mancata la sua
esuberanza.
Alla fine del suo trattato di
benvenuto, Harper mi
informa che questa sera ha organizzato una serata all'insegna del
divertimento
allo Sky Bar sulla Sunset Boulevard.
"Comandante, se non sei troppo
stanca... le
ragazze muoiono dalla voglia di vederti".
"Harper, ci penso, ok? Ma non ti
garantisco
niente...".
"Senza impegno, comunque il tuo
nome è già sulla
lista... ciao comandante!".
Non faccio neanche in tempo a
salutarla che ha già
messo giù. Alzo gli occhi al cielo sbuffando divertita.
Infondo credo che Indra
abbia avuto una grande idea... forse sarà divertente.
Non ci metto molto a prepararmi.
Decido per un
pantalone nero aderente, con una camicia elegante dello stesso colore.
Mi
trucco senza esagerare. Giusto un po' di mascara e di eyeliner per
risaltare lo
sguardo. Mi infilo gli stivali con un leggero tacco. Ovviamente, come
tocco
finale, opto per la mia giacca di pelle lasciando i capelli sciolti da
vera bad
girl.
Mi guardo un attimo allo specchio
poi scoppio a
ridere, pensando a quanto la cosa sia ridicola. Di certo non devo fare
colpo su
nessuno. L'unica cosa di cui ho bisogno è staccare la spina
e divertirmi. E
contrariamente ai miei buoni propositi è proprio quello che
intendo fare.
Mezz'ora dopo sono davanti al
locale, il
parcheggiatore mi apre gentilmente lo sportello indicandomi l'ingresso.
L'istante
dopo è già sparito, sgommando via con la mia
macchina.
"Hollywood...", borbotto
scuotendo la
testa.
Quando entro la musica e
l'atmosfera mi coinvolgono
in un attimo. Da quando ci stiamo preparando per le Olimpiadi le uscite
così allegre sono state
proibite da Indra,
quindi io e le altre è un bel pezzo che non entriamo in un
locale del genere.
"Penso proprio che Indra non
intendesse questo
per staccare la spina...", sussurro tra me e me.
"Lexa... wow… sei in
gran forma
comandante", urla Harper venendomi ad abbracciare.
"Grazie Harper. Anche tu non sei
niente male...",
le dico facendola arrossire.
"Vieni, il nostro tavolo
è proprio laggiù a
bordo piscina. Ci siamo tutte, mancavi solo tu", mi trascina entusiasta
verso le altre.
Arriviamo al tavolo e mi ritrovo
a sorridere salutando
le mie ex compagne. Harper ha fatto un lavorone, è riuscita
a radunare tutta la
squadra: Echo, Zoe, Ontari, Emori, Niylah, Callie, Gale e Megan.
L'unica
persona che manca è proprio lei: Clarke.
Mi siedo accanto ad Echo e
comincio a fare conversazione.
Sbadatamente non mi accorgo del posto vuoto vicino a Niylah. Solo dopo
le
parole di Zoe realizzo che quel dettaglio non era poi così
irrilevante.
"Wow, con te comandante siamo al
gran
completo. Chi l'avrebbe mai detto che la nostra squadra, di giovani
sfigate,
avrebbe sfornato ben due atlete olimpiche... e Harper è
riuscita a farle
partecipare a questo evento. Un urrà per la nostra rossa",
propone Zoe
alzando il bicchiere.
Sgrano gli occhi alle sue parole
e quando alzo lo
sguardo incontro due iridi azzurre che non vedevo da tempo.
"Clarke...", sussurro incredula.
"Lexa...", mormora di rimando,
probabilmente sorpresa anche lei di vedermi.
Rimaniamo perse l'una nell'altra
per qualche
secondo.
"Vedo con piacere che ricordate
entrambe come
vi chiamate, fantastico! Ora, però, è il momento
di festeggiare",
interrompe il nostro momento Niylah con il suo solito tatto da elefante.
Lei, al contrario di Harper, non
mi è mancata per
niente. Comunque le sue parole mi ridestano dal torpore facendomi
distogliere
lo sguardo da quella che un tempo era la mia migliore amica, o forse
era qualcosa
in più...
Fortuna vuole che Harper, Echo e
Zoe mi
monopolizzano tutta la serata. Chiacchiero con loro, soddisfo tutte le
loro
curiosità e loro le mie, aggiornandomi un po' su quello che
hanno combinato in
tutti questi anni. Distratta dalla conversazione, forse bevo qualche
birra di
troppo.
Il mio cervello sembra spegnersi,
forse annebbiato
dal troppo alcol... ma onestamente non m'importa. Ogni tanto smettere
di
pensare può essere utile. Mi trascinano in pista e comincio
a muovermi a ritmo
di musica. Non mi accorgo neanche di chi ho intorno. Continuo ad
agitarmi come
se non ci fosse un domani.
So benissimo che questo
comportamento non è da me,
ma voglio cancellare i suoi occhi dalla mia testa e probabilmente non
solo da
lì. Una vena di rancore rischia di prendere il sopravvento
ed io non voglio che
accada. Proprio per questo non voglio pensare, non voglio sapere, non
voglio
capire. Voglio ballare, ubriacarmi e basta.
Le canzoni si susseguono e la
pista si riempie
sempre di più. Continuo a ballare, scambiando qualche
battuta con Echo, ma
l'istante dopo qualcuno mi afferra per il polso e mi trascina via.
Inizialmente
non vedo chi sia la persona responsabile del mio rapimento,
so solo che la sua presa è forte e decisa. Uscite dalla
folla riconosco la chioma bionda che mi sta trascinando in un posto
più isolato.
La musica si attenua coperta da
un fastidioso
ronzio nelle mie orecchie. Quando siamo lontane da tutti con un
strattone mi
libero dalla sua presa.
"Clarke... ma che
diavolo… perché mi hai
trascinato qui?".
"Sul serio Lexa? Dopo tutti
questi anni… è
questa la prima domanda che vuoi farmi?", ribatte quasi seccata.
Sospiro cercando di eliminare
l'influenza
dell'alcol sul mio cervello, ma è più difficile
del previsto. Perché la rabbia,
unita ad un insolito sarcasmo, si fa largo dentro di me esplodendo
senza
ritegno.
"No, hai ragione ce ne sarebbero
molte
altre... non so, ad esempio potresti dirmi perché cazzo te
ne sei andata, così,
di punto in bianco, senza nemmeno una parola? Perché non mi
hai più cercata?
Cosa diavolo ti ho fatto per meritare una cosa del genere…
cosa? Non sapevo
nemmeno se fossi ancora viva, se stessi bene… hai idea di
come mi sia sentita?
E poi ieri, dopo quasi una vita… dieci fottuti anni, la
coach mi chiama nel suo
ufficio e mi chiede se ho dei problemi ad affrontare il mio fantasma...
sì
perché, a quanto pare, la lanciatrice migliore che conosca
ora gioca per la
nazionale sbagliata… quella giapponese. Sai è
buffo Clarke, ho sempre pensato
che andare alle Olimpiadi fosse il nostro sogno…
però giocando insieme, non una
contro l’altra. Beh, in un certo senso si è
avverato... anche se diversamente
da come lo avevo immaginato...", mi lascio trasportare dai sentimenti
inveendo contro di lei.
Sta per ribattere, ma non gliene
dò la possibilità.
"No, Clarke, risparmia qualsiasi
parola.
Onestamente, non so se avrebbe più senso sapere il
perché... ho voltato pagina
e onestamente non voglio rivivere tutto quel dolore. Comunque, mi ha
fatto
piacere rivederti. Ci vediamo domani… e naturalmente a
Tokyo", concludo
cercando di essere spavalda, forse aiutata dal fatto di essere ubriaca.
Tuttavia il mio corpo non
è molto d'accordo e,
mentre cerco di andarmene, comincio a barcollare fino a che mi sento
mancare.
Non cado a terra
perché sento due braccia tenermi
stretta. Clarke, non so come, mi ha agguantato al volo. Mi sorregge con
forza e
senza sentire ulteriori proteste mi conduce fuori dal locale.
L'ultima cosa che ricordo è lei che mi
chiede in
che albergo alloggio, ma non credo di essere riuscita a dirglielo,
perché penso
di essere crollata nell’istante preciso in cui mi sono seduta
in macchina.
___________________________________________
NOTE AUTRICE.
Ed eccomi qui con il secondo capitolo.
Allora che ne pensate del loro incontro?
Credo che Lexa non
abbia fatto una gran mossa a bere così tanto. Ma credo che
sia stato scioccante
rivedere Clarke. Quindi non mi sento di criticarla tanto.
Ora chissà dove si
ritroverà al suo risveglio?
Volevo ringraziarvi per il vostro sostegno
anche in questa
avventura, come al solito è molto apprezzato.
Un abbraccio e alla prossima.
Lory
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
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Mi sveglio di
soprassalto, disturbata probabilmente da un altro incubo. La mia testa
dolente gira come se fosse una trottola.
'Accidenti
a me e a quando ho deciso di bere così tanto',
impreco con me stessa.
Apro gli
occhi e mi guardo intorno. Ma dove diavolo sono? Questa non
è la mia camera d'albergo.
Osservo la
parte del letto al mio fianco. Istintivamente poso la mano sulle
lenzuola e sento che sono calde, segno che qualcuno ha dormito al mio
fianco.
"Oh
cazzo...", impreco prendendomi la testa tra le mani e immaginando il
peggio.
Il rumore
sordo della porta del bagno mi fa alzare lo sguardo su di essa. Clarke
è intenta a tamponarsi i capelli, il suo corpo è
avvolto solo da un asciugamano striminzito.
I miei occhi
sono completamente ammagliati da lei, passano in rassegna il suo corpo,
memorizzando ogni sua curva. Il cuore comincia a tampellarmi nel petto
e rimango senza fiato. Poi la consapevolezza di aver passato la notte
con lei mi fa tremare. Non ricordo niente della scorsa notte,
ma come è possibile?
Il suo
sguardo incontra il mio ed un senso di inadeguatezza compare sul mio
volto.
"Prima che tu
vada in paranoia, non è successo niente... sei crollata tra
le mie braccia, tutto qui. Non sapevo dove alloggiassi,
così… ti ho portato nella mia stanza", mi dice
con tono basso, quasi si sentisse in dovere di giustificare le sue
gesta.
Un sospiro di
sollievo mi esce spontaneo. Onestamente non so neanche io
perché fossi così preoccupata, forse per Costia o
forse più semplicemente perché non ricordo nulla.
Abbasso lo
sguardo cercando di non farmi cogliere dall'imbarazzo.
"Clarke, non
mi ricordo niente di ieri sera. So solo che non avrei dovuto bere, non
è da me, di solito bevo al massimo un paio di birre. Se ho
detto o fatto qualcosa che non avrei dovuto ti chiedo scusa...",
affermo senza pensarci troppo.
Non dovrei
essere io a scusarmi, tutt'al più dovrebbe essere il
contrario, ma onestamente adesso non sono in vena di discutere... o
forse ho solo paura di sentire le sue ragioni.
Ancora
sovrappensiero scendo dal letto e, solo in quel preciso momento, mi
accorgo di essere solo in intimo. Il mio imbarazzo comincia a salire in
modo esponenziale. Fortuna vuole che Clarke sia girata di spalle
intenta a rovistare nell'armadio.
"Se te lo
stai chiedendo… ti ho tolto io i vestiti, perché
pensavo avresti dormito meglio. Comunque, non ho sbirciato se
è questo quello che ti preoccupa!", esclama, quasi mi avesse
letto nel pensiero.
"Lexa, ti ho
già vista nuda un milione di volte, ricordi? Facevamo la
doccia insieme! Anche se lo riconosco, eravamo solo ragazzine
all'epoca. Ieri, quando ti ho vista mi hai letteralmente tolto il
fiato. Sei diventata una bellissima donna", continua a dire girandosi
all'improvviso.
Il suo
sguardo intenso inchioda il mio corpo ormai alla sua mercé.
Mi sento esposta in un modo assurdo. Il mio viso si colora di
quell’imbarazzo che non dovrei provare. Perché
mi fa questo effetto? Dopo tutto questo tempo, dopo quello che mi ha
fatto… perché bramo il suo sguardo, le sue
attenzioni?
“Clarke,
perché fai così?”.
“Così
come? Non ti capisco”, finge innocenza.
“Mi
metti in imbarazzo! E ora… se hai finito con il
bagno…”, faccio un cenno con la testa per indicare
la porta, lasciando il discorso a metà.
“Sì,
ho finito. I capelli non li asciugo…”, ribatte
continuando a fissarmi.
Prima che
possa entrare nel bagno mi afferra il polso, attirandomi verso di lei,
obbligandomi a perdermi di nuovo nelle sue iridi azzurre. Il suo tocco
dolce, ma deciso mi increspa la pelle, una serie di brividi mi
attraversano il corpo e sento il cuore esplodermi nel petto. Che
diavolo mi succede?
“Scusa
per averti messo in imbarazzo, ma non è per questo che
dovrei scusarmi con te…”, sussurra ad un soffio
dalle mie labbra.
“E
per che cosa?”, le chiedo in un barlume di
lucidità.
“Per
averti lasciato… per essermene andata senza una parola, per
essere fuggita lontano, non avrei dovuto farlo! È il mio
rimpianto più grande. Se solo allora, avessi avuto il
coraggio che ho adesso le cose, forse, sarebbero diverse”,
mormora liberandomi il polso per poi allontanarsi da me, quasi avesse
preso la scossa.
Stavolta sono
io a fermarla prendendole la mano. Non so neanche io cosa sto facendo o
forse sì, lo so… voglio risposte. E le voglio
adesso!
“Io
proprio non ti capisco Clarke… parli di coraggio, ma a me
sembra che tu stia fuggendo… un’altra volta. Di
cosa parli? Quali cose sarebbero diverse?”, sbotto ritrovando
la mia sicurezza.
Il suo
sguardo ricade nel mio, i suoi occhi lucidi mi fanno vacillare non so
che cosa mi stia succedendo, non so esattamente cosa provo, ma in
questo momento l’unica cosa che vorrei fare è
stringere Clarke tra le mie braccia… ma non ci riesco.
Con un
strattone si libera dalla mia presa e si allontana da me.
“Lexa,
io… io non ci riesco, a parlarti in questo modo…
cioè, guardati… sei praticamente nuda, mi
distrai… e ora come ora non riuscirei ad essere lucida.
Quindi, te lo chiedo per favore, lascia perdere. E poi, adesso dobbiamo
prepararci. Abbiamo un raduno, ricordi? La domanda vera è
un’altra: riuscirà la grande Lexa Woods a riceve i
miei lanci? Sai, sono cambiate molte cose da
allora…”, mi dice con un sorriso che mi strappa
dieci anni di vita.
Senza
che io possa replicare sparisce come fosse Houdini. E dove diavolo
è andata adesso? Accidenti a te Clarke! Smettila di fuggire
via… da me. Non finisce qui Griffin, questa conversazione
è solo rimandata. Io voglio sapere che cosa ci è
successo, o meglio che cosa ci sta succedendo.
****
Credo di aver
stabilito un record, mi sono preparata talmente in fretta che nel giro
di un quarto d’ora facevo già pressioni a Clarke
per andare al campo.
Il viaggio in
macchina è stato silenzioso e pieno di imbarazzo, ma non mi
sarei aspettata niente di diverso dopo la conversazione che abbiamo
avuto nella sua stanza.
Una volta
arrivate, quando scendiamo dall'auto, suscitiamo un certo interesse
nelle nostre compagne. Ci guardano allibite, non si aspettavano di
certo che arrivassimo insieme, oppure è proprio il
contrario? Ah, chi se ne frega. Quello che voglio è giocare,
calpestare la terra rossa, indossare il guantone e magari fare qualche
fuoricampo.
Harper ha
pensato proprio a tutto per questo raduno. Ha organizzato una specie di
torneo con delle squadre del posto e nello spogliatoio ci ha fatto
trovare le divise e tutta l'attrezzatura.
"Sembra che
qualcuno si sia impegnata al massimo, vero comandante?", chiede con
retorica Echo riferendosi alla rossa.
"Beh, pare
proprio di sì. Harper queste divise sono stupende...",
ammetto facendole l’occhiolino.
Clarke
osserva la scena senza fiatare continuando a cambiarsi. Harper fa un
sorriso imbarazzato e poi comincia a descriverci il programma della
giornata.
Quando entro
in campo mi fermo un attimo e comincio a respirare a pieni polmoni.
"Vedo che le
vecchie abitudini sono difficili a morire...", sussurra Clarke
spuntandomi alle spalle.
"Già",
mormoro distrattamente.
"Lo faccio
sempre anche io, sai?!", dice prima di raggiungere le altre e
cominciare il riscaldamento.
Sospiro
cercando di sgombrare la mente, ma è più
difficile del previsto. Stare di nuovo vicina a Clarke mi gonfia il
cuore di gioia, poter giocare di nuovo insieme mi rende talmente felice
che potrei esplodere. Ma che cosa mi stai facendo Clarke? Dovrei
avercela a morte con te, invece l'unica cosa che vorrei fare
è quella di stringerti tra le braccia e non lasciarti
più. Scuoto la testa cercando di riprendere la
sanità mentale e comincio a correre.
Dopo aver
fatto gli esercizi di rito, controllo l'ora e con un semplice sguardo
capisco che Clarke è pronta per fare i lanci di
riscaldamento.
"Allora
Clarke, te li ricordi ancora i nostri segnali?", le dico con un sorriso
complice, mentre entriamo nel bullpen (*).
"Segnali?
Forse sono di memoria corta, ma a noi non bastava un semplice
sguardo…", ok… colpita e affondata!
"Comunque, mi
sa che ne dovremmo aggiungere uno...", aggiunge facendomi l'occhiolino
e dandomi un colpetto con i fianchi.
Il suo tocco
accennato mi scatena un brivido, deglutisco cercando di non farle
notare come ogni suo gesto vada dritto a segno.
"E sarebbe?",
le chiedo riprendendo il piglio del comandante.
"Se ti metti
in posizione te lo faccio vedere".
"Agli ordini
Griffin...".
Dieci secondi
dopo sono senza parole, mi ha lanciato una curva esterna che ha
tagliato il piatto (**) da una parte all'altra,
mantenendo una velocità ed una rotazione incredibile. 'Questa
palla è imbattibile…’, penso
tra me e me.
"Cazzo
Clarke, e questa da dove l'hai tirata fuori?", le domando ancora
incredula.
"Te
l’ho detto, molte cose sono cambiate. Il mio ex ma...
allenatore, mi ha cambiato completamente il modo di lanciare e mi ha
insegnato anche altro...", si lascia sfuggire qualcosa di troppo
recuperando in extremis.
Il tuo ex cosa
Clarke? Marito? Ti sei sposata? Con un giapponese? Questo spiegherebbe
molte cose.
Piantala
di pensare Lexa, pensa solo a giocare! Mi rimprovera la mia
vocina interna.
"Lo ammetto,
mi hai lasciato senza fiato", e non solo per il lancio.
"Dai Woods,
lo sai che mi ci vuole tempo per scaldarmi. Diamoci da fare...", mi
sprona riportandomi al dovere.
(*) Il bullpen
è l’area generale fuori dal campo in cui i
lanciatori effettuano I lanci di riscaldamento prima di entrare in
partita.
(**) Casa base è dove
la maggior parte del gioco si svolge, questa è comunemente
chiamata piatto di casa base. È,
ovviamente, la base più importante, è un
pentagono che determina la punta del diamante, ovvero del campo da
gioco. La zona di strike è determinata dalla proiezione in
altezza del pentagono incrociata con l’altezza del battitore
- limite basso ginocchio, limite alto sotto le ascelle.
__________
NOTE AUTRICE.
Ed ecco il terzo capitolo. Forse non vi
aspettavate un risveglio così, ma come dire non ho saputo
resistere. Le risposte arriveranno, ci vuole solo un po' di tempo.
Intanto cominciamo il raduno e
ripristiniamo un po' di gioco e delle sensazioni che comporta. Chiedo
scusa per le note a margine, ma per completezza ritengo che sia giusto
spiegare alcuni termini.
Per il resto che ne dite? Come ve lo
immaginavate il risveglio? Io curiosa...
Grazie per il vostro supporto.
Un abbraccio
Lory
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
___________________________________________
La giornata
passa in allegria. Ci divertiamo tutte un mondo. Io e Clarke ritroviamo
la nostra simbiosi, la nostra complicità e il suo Perfect
Game (*) ne è la
prova. Io riesco a fare un paio di fuoricampo (**)
e questo ci porta alla vittoria.
Nonostante le
premesse, sono contenta di essere, qui, a questo raduno, insieme alle
mie vecchie compagne, insieme a lei. Sto riprovando emozioni e
sentimenti che credevo persi, invece eccoli lì, mi stanno
letteralmente travolgendo con la loro intensità. E credo di
sapere anche chi sia la responsabile di tutto ciò.
Non so
perché mi sento in colpa a provare ciò che provo.
Penso a Costia, da quando sono qui l'avrò sentita si e no un
paio di volte. È vero non ho fatto niente di male... ancora,
ma i miei pensieri mi tradiscono. Non so come andranno le cose,
purtroppo o per fortuna, non ho il dono di vedere il futuro, ma ho
bisogno di far chiarezza. Ho bisogno di parlare con lei, come facevamo
una volta, senza filtri.
Finita
l'ultima partita della giornata mi sento insolitamente sfinita. Clarke
ci mette un attimo a farsi la doccia e ad uscire dallo spogliatoio. Io
invece sono più lenta, oltre lo sforzo fisico, tutto questo
pensare mi sta spremendo come un limone. Mi prendo il mio tempo e la
doccia, non so come, mi rigenera completamente.
Quando esco
dallo spogliatoio c'è solo Clarke che sta parlando al
telefono, in una lingua che credo sia giapponese. Delle altre non vi
è traccia, come al solito sono l'ultima.
Senza fare
troppo rumore, aspetto che finisca la conversazione. Ovviamente, non
capisco una singola parola, ma i toni non sono per niente calmi ne
tanto meno tranquilli. Clarke si accorge solo dopo un po' della mia
presenza e quando lo fa chiude subito la chiamata.
"Tutto ok?",
chiedo con un pizzico di retorica.
"A dire la
verità sì, adesso è tutto ok...",
replica con un sorriso che sembra illuminarla.
"Hai impegni
per stasera? Perché pensavo...", comincio spavalda, ma mi
areno sul finale.
"Pensavi...
di fare due chiacchiere", finisce lei.
"Sì,
qualcosa del genere", rispondo arrossendo senza volerlo.
"Ok, Woods.
Però, prima mi offri la cena. Direi che oggi me la sono
guadagnata", afferma prendendomi per mano e strappandomi un sorriso.
Stringo le
mie dita alle sue sentendomi di nuovo a casa. Perché
te ne sei andata Clarke? Perché? Sospiro,
cercando di godermi il momento, tralasciando le ennemila domande che
continuano a ripresentarsi nella mia testa.
****
Alla fine
finiamo in un fast food. Non so neanche io perché mi
stupisco tanto. Clarke ha sempre preferito il cibo spazzatura. Le mie
prediche sul cibo sano - quello da vera sportiva - non so quante volte
le abbia ignorate. Noto, con un pizzico di dispiacere, che questa cosa
non è cambiata per niente.
La osservo
divorare l'hamburger, rendendomi conto di quanto sia buffa. Cerco di
non sorridere, ma alla fine non resisto ed esplodo in una fragorosa
risata.
"Che
c'è?", mi chiede masticando l'ultimo boccone.
"Non
ricordavo quanto fossi buffa alle prese con un hamburger.
Così conciata fai concorrenza ad un clown...", la prendo
giro afferrando un tovagliolo.
"Grazie, sei
veramente carina...", replica fingendo ironia.
"Dai, vieni
qui che ti pulisco...", suggerisco cercando si smettere di ridere.
Si avvicina a
me, dandomi modo di osservarla più da vicino. Pensandoci,
avrei dovuto tacere e godermi lo spettacolo. Non credo che la mia sia
stata una gran mossa. La sua vicinanza mi fa quasi tremare la mano, per
non parlare del cuore che sembra impazzito.
Comincio a
pulire il suo viso con cura e dedizione, ma quando sento il suo respiro
ad un soffio dalle mie labbra, il mio volto prende fuoco.
Così decido di buttarmi sull'ironia per non farmi venire un
infarto.
"Tu lo sai
che l’hamburger si mangia con la bocca e non con il naso,
vero?", le chiedo sarcasticamente, picchiettando leggermente su quel
nasino arricciato, prima di allontanarmi di scatto.
"Sì,
me l'hanno detto Lexa... ma se avessi mangiato con la bocca non avrei
visto il tuo sorriso".
Ok, il mio
tentativo di celare le emozioni è appena andato in fumo,
infatti sento le guance andare in fiamme.
"Avevo
scordato quanto sei bella", continua facendomi avvampare sempre di
più.
"Clarke...",
provo a fermala prima che la situazione degeneri, ma le parole mi
muoiono in gola.
Abbasso lo
sguardo cercando rapidamente di cambiare discorso. Urge
azione evasiva!
"Allora, alla
fine ti sei sposata? In Giappone? Tuo marito immagino che sia asiatico.
Io credo che non riuscirei mai a imparare la lingua. Parlare il
giapponese non dev’essere semplice, figuriamoci poi
scriverlo, con tutti quegli ideogrammi… come che si
chiamano?", apro la bocca e le dò fiato, senza pensare
minimamente a quello che sto dicendo.
"Si chiamano
Kanji. Comunque sì, mi sono sposata in Giappone, con Akira,
il mio allenatore… e, per la cronaca, ora è il
mio EX marito”.
Sto per
commentare, ma lei è più veloce di me.
"Prima che la
tua bellissima testolina partorisca chissà quali congetture,
fammi spiegare...", annuisco alle sue parole dandole modo di continuare.
"Il motivo
per cui ho lasciato gli Stati Uniti... e te, è
perché l'azienda di mio padre è fallita. A mia
insaputa, e forse a quella della mamma, ha collezionato molti debiti,
soprattutto con il fisco, arrivando persino a farsi coinvolgere in una
truffa ai danni dello stato. Non potevamo rimanere perché
lui sarebbe finito in galera. Così un suo vecchio amico,
Yutaka, gli propose di ricominciare tutto da capo, in Giappone.
All'epoca avevo appena compiuto quindici anni, tu mi avevi appena
regalato questo... te lo ricordi?", prende fra le dita il ciondolo a
forma di cuore tenuto nascosto dalla sua maglia.
Le sue parole
mi travolgono come un treno in corse. Per un attimo ritorno a quel
giorno quando le dieti quel piccolo cuore che racchiudeva tutto il mio
affetto, ma che dico? Tutto il mio amore per lei.
Ricordo che quel giorno la feci piangere, lei che si vantava di non
aver mai versato una lacrima.
"Ho imparato
tutte queste cose solo dopo. L'unica cosa che mi dissero è
che avremmo fatto un viaggio e che non dovevo dirlo a nessuno, nemmeno
a te. Non mi hanno dato neanche il tempo di salutarti, di dirti addio,
di dirti quello che avrei dovuto dirti da tempo e che invece mi sono
tenuta dentro stupidamente per tutti quegli anni. Ricordo che ho pianto
talmente tanto che ho esaurito le lacrime. Per molti anni li ho odiati
con tutta me stessa. Per avermi portata in una nazione sconosciuta,
dove mi sentivo persa e non riuscivo nemmeno a comunicare... lontana da
te, dai miei amici, dall’amore. Mi hanno proibito di
contattarti, avevano la paura recondita di essere intercettati...", le
sue parole sono talmente intense che posso sentire la sua rabbia mista
ad una sofferenza indicibile.
I suoi occhi
diventano lucidi e senza pensarci le prendo la mano e la stringo nella
mia, quasi per darle la forza di continuare.
"E... intanto
il tempo passava. Ho ricominciato a giocare a softball e questo mi ha
letteralmente aiutato a sopravvivere. Non so perché, ma
giocando mi sentivo più vicino a te, Lexa. E in campo mi
sembrava quasi di vederti, lì, dietro al piatto di casa
base, con il tuo sorriso incoraggiante che mi incitavi a dare il
massimo. Grazie a questo sport, mi sono ambientata e lentamente ho
imparato la lingua. In qualche modo sono riuscita a finire gli studi,
ottenendo persino una borsa di studio, proprio come te Lexa...".
"Come fai a
saperlo? Della borsa di studio intendo...", le chiedo non capendo come
possa esserne a conoscenza.
"Adesso
sicuramente mi darai della stalker... ma dopo un po' il tuo volto ha
cominciato a diventare sempre più pallido e sbiadito nella
mia testa e non potevo permetterlo. Così ho cercato
qualsiasi informazione trovassi su di te. Internet, a volte, fa
miracoli. Ho seguito tutta la tua carriera, i tuoi successi e i
tuoi… amori...", la sua voce trema quando pronuncia l'ultima
parola.
Scuote la
testa come per liberarsi di pensieri inopportuni e, prima di
continuare, prende un grosso sospiro stringendomi più forte
la mano.
"Comunque in
tutta questa storia orribile almeno due lati positivi ci sono. Il primo
è che parlo fluentemente il giapponese, il secondo
è che continuo a giocare a softball. So cosa stai pensando:
magra consolazione...", mormora distogliendo il suo sguardo dalle
nostre mani intrecciate.
No
Clarke, non stavo pensando a quello, ma a quanto la vita sia stata
crudele con te, con noi… ma le parole mi rimangono
solo nella testa.
"Tornando al
mio ex marito, Akira, l'ho sposato solo per il passaporto. Il visto per
lo studio era scaduto e loro volevano a tutti costi che io giocassi in
nazionale... così si sono inventati questa pagliacciata per
rendere la cosa regolare. Siamo rimasti sposati per due anni, non
è mai stato un vero matrimonio, solo finzione. Il mio cuore
è sempre appartenuto ad una sola persona ed è
così ancora oggi. Tutto quello che ne ho ricavato da questa
unione, a parte il doppio passaporto, è che la mia firma si
è allungata. Ora devo firmare con li mio nome completo:
Clarke Griffin Wanheda".
Quando
finisce di parlare sono letteralmente scombussolata. La mia gola
è sempre più secca e il mio cuore galoppa sempre
più forte.
Dopo attimi
interminabili è sempre Clarke che spezza quel fastidioso
silenzio.
"Ora
è il tuo turno. Perché non mi parli di tua
sorella. Come sta Anya? Oppure se vuoi puoi parlarmi di Costia. Come vi
siete conosciute?".
Ok,
mi sento svenire, letteralmente. Non posso continuare queste
conversazione, l'intensità mi sta uccidendo.
"Non mi sento
bene, puoi portarmi in albergo per favore...", sussurro con un filo di
voce.
La sua
espressione diventa subito preoccupata e in men che non si dica ci
ritroviamo nella sua auto dirette verso il mio albergo.
Durante il
viaggio tiro giù il finestrino e lascio che l'aria mi sfiori
il volto. Le parole di Clarke continuano a rimbombarmi nella testa.
Tutto quello che so è che non voglio parlare di mia sorella,
ne tanto meno di Costia. Voglio capire il significato di tutto quello
che mi ha detto.
'Non
mi hanno dato neanche il tempo di salutarti, di dirti addio, di dirti
quello che avrei dovuto dirti da tempo... ho pianto talmente tanto che
ho esaurito le lacrime... mi hanno proibito di contattarti... il tuo
volto cominciava a diventare sempre più pallido e sbiadito
nella mia testa e non potevo permetterlo... il mio cuore è
sempre appartenuto ad una sola persona ed è così
ancora oggi'.
A chi
appartiene il tuo cuore Clarke? Io non ho dubbi riguardo al
mio… è sempre appartenuto a te e quando te ne se
andata si è spezzato. Ha ricominciato a battere quando ti ho
rivista.
(*) Il perfect
game è il termine con il quale
si definisce la partita di almeno sette inning in cui la lanciatrice
ottiene la vittoria senza concedere battute valide o basi su ball e
senza che lei o le proprie compagne commettano errori in campo; in
pratica, nessuno dei battitori avversari deve mai raggiungere la prima
base. Per definizione un perfect game deve essere
per forza una partita in cui l'attacco avversario rimane a zero, sia
nel punteggio che nel numero di battute valide.
(**) Il fuoricampo (home
run) è una battuta valida
che esce dalla recinzione grazie alla quale il battitore
può girare tutte le basi,
finendo a casa base e realizzando in tal modo un punto per la propria
squadra, oltre a "portare a casa" tutti i compagni che eventualmente si
fossero trovati già in base.
___________________________________________
NOTE
AUTRICE.
Ciao, dopo un weekend tra alti e bassi, pieno di emozioni contrastanti e non particolarmente felici, eccomi qui con un nuovo aggiornamento.
Diciamo
che la giornata sportiva è andata alla grande, la batteria
ha fatto sfaceli in tutti i senti☺!!! Poi lasciati i panni da
giocatrici siamo arrivate alla parte della confessione.
Che
dite? Per Lexa è stato una bella batosta... ma anche per
Clarke non deve essere stato semplice.
Commenti,
insulti, recriminazioni, va bene qualsiasi cosa ☺☺☺!!!
Come
al solito grazie per continuare a seguire.
Un
abbraccio
Lory
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
___________________________________________
L'aria mi
aiuta e quando arriviamo davanti all'ingresso dell'albergo il mio
istinto prende il sopravvento.
"Ti va di
salire? Non mi va di stare sola...", dico cercando di non far tremare
la voce.
"Non credo
sia il caso Lexa...", obietta con poca convinzione.
"Io credo di
sì. Ci sono altre cose da dire, che non sono ancora state
dette...", replico cercando un po' di risolutezza persa
chissà dove.
"Lexa...",
prova di nuovo a tirarsi indietro.
"Ti prego
Clarke...", la supplico, cercando di convincerla.
Alla fine
cede e, nel giro di poco, ci ritroviamo nella mia camera.
"Accomodati
pure. Ti va qualcosa da bere?", le chiedo avvicinandomi al frigobar.
Mi verso da
bere avendo bisogno di un po' di coraggio liquido.
"No, grazie.
E non dovresti bere neanche tu, visto quello che hai combinato ieri
notte", mi redarguisce con una piccola nota polemica.
"Infatti non
è da me bere così tanto... è solo che
mi ha sconvolto vederti. Ammetto di aver esagerato. Tranquilla, non
voglio ubriacarmi. È solo che ho la gola secca", dico
facendole un sorriso tirato.
Il silenzio
comincia ad essere imbarazzante. Butto giù d'un fiato il
liquido ambrato ancora nel bicchiere e mi giro verso di lei.
"Non voglio
parlare di Anya o Costia, voglio parlare di quello che ci è
successo, Clarke...", sospiro cercando le parole nella mia testa.
I suoi occhi
si fanno più larghi. Dio, come vorrei sapere a che
cosa sta pensando in questo momento.
Lei si mette
a sedere sul letto ed io comincio a passeggiare per la stanza nel vano
tentativo di calmare il mio cuore e i miei nervi.
"Quando te ne
sei andata ho sofferto molto. Ho pianto talmente tanto che i miei
genitori non sapevano più come fare. Pensa, persino Anya era
diventata dolce con me. Te la ricordi mia sorella, vero? Dolce lei,
tsè! Comunque non potevano aiutarmi, nessuno di loro poteva
farlo. Mi ero chiusa a riccio. Avevo appena perso la mia migliore
amica, la persona a cui tenevo di più al mondo e che...
sì... insomma... non è stato facile. Dopo la
disperazione è sopraggiunta la rabbia ed infine la
rassegnazione...", sospiro cercando di prendere fiato.
Clarke
abbassa lo sguardo sentendosi colpevole, ma non è stata
colpa sua, anche se per tanti anni io gliel'ho attribuita.
"Clarke, ora
so che non è dipeso da te. Mi dispiace per la tua
sofferenza, per la mia, per quello di cui ci hanno privato... ma da
quello che mi hai detto non avevi molte scelte... l'unica cosa che non
riesco a capire è perché tu abbia aspettato tutto
questo tempo. Perché non sei venuta cercarmi?".
"Lexa, non ho
potuto. Solo un anno e mezzo fa mio padre è riuscito a
risolvere tutti i suoi problemi con il fisco americano. E tu sembravi
felice allora, stai ancora con lei, qualcosa dovrà pure
significare per te. Non potevo piombare nella tua vita e avere delle
pretese... non sono mai stata brava con i sentimenti e tu lo sia...",
cerca di difendersi continuando a nascondersi dietro a delle scuse.
"Allora
dimmelo ora... a chi appartiene il tuo cuore? Perché io non
ho dubbi riguardo al mio, da quando te ne sei andata si è
spezzato. Ho continuato a giocare solo perché mi ricordava
te e quello che eravamo insieme. È vero ho avuto delle
storie, ma a nessuna di loro ho mai detto 'ti amo',
non sono mai riuscita a pronunciare quelle due parole perché
l'unica volta che avrei voluto dirle è stato quando ti ho
regalato il ciondolo... ma non ne ho avuto il coraggio", mormoro a
corto di fiato inchiodando i miei occhi nei suoi.
"A te Lexa,
il mio cuore è sempre appartenuto a te e lo sarà
sempre", dice con un filo di fiato distogliendo lo sguardo dal mio.
Mi avvicino a
lei - ancora seduta sul letto - e mi inginocchio ai sui piedi in modo
da portare il mio volto all'altezza del suo.
Le sfioro il
mento con la mano obbligandola a guardarmi.
"Ti amo
Clarke. Ti ho sempre amata e credo che lo farò per sempre.
Sei l'unica che mi fa battere forte il cuore... lo senti?", le prendo
una mano e la premo sul mio petto.
"Lexa... ora
non ho più paura di dirlo. Ti amo anche io da impazzire, ti
amo, ti amo, ti amo tanto".
Le prendo il
volto tra le mani e per un attimo mi perdo nel suo azzurro. Lentamente
mi avvicino fino a che le mie labbra sfiorano le sue. La bacio con
tutta la dolcezza di cui sono capace. Assaporo le sue labbra come se da
esse dipendesse la mia vita. La sua bocca cerca la mia, ritrovandosi in
perfetta simbiosi, come se fossero state create apposta. Sento dei
brividi attraversarmi tutto il corpo, mentre il cuore scalpita nel mio
petto.
Continuo a
baciarla, accarezzandole le labbra e quando le socchiude la mia lingua
si intrufola a cercare la sua. Sento una scossa quando assaggio il suo
sapore. La nostre lingue continuano ad accarezzarsi con lentezza e
devozione.
L'emozione
che sto provando mi inebria. Anche dopo tutti questi anni, la nostra
connessione è talmente forte che percepisco tutto il suo
amore per me. Quando sento delle gocce salate bagnarmi il volto,
capisco che Clarke sta piangendo... e senza indugiare mi stacco da lei.
Le asciugo le
lacrime con i pollici scontrandomi di nuovo con i suoi occhi. La sua
intensità è disarmante, mi toglie il fiato.
"Lexa... non
puoi capire da quanto tempo io desiderassi questo. Ho sognato il tuo
bacio milioni di volte...", alle sue parole sorrido baciandola di nuovo.
Poso la mia
fronte sulla sua chiudendo gli occhi, cercando di recuperare un po' di
fiato.
"Anche io
morivo dalla voglia di farlo. Anche se devo ammetterlo… i
miei sogni non erano tanto casti come i tuoi...", dico cercando di
alleggerire un po' l'intensità del momento.
Clarke si
stacca leggermente fingendo di essere scioccata dalle mie parole.
"Ma davvero
Woods? E non ti vergogni neanche un po'?".
Nego con la
testa, mi alzo in piedi e prima che lei riesca ad aggiungere qualcosa
mi sdraio sul suo corpo trascinandola sul materasso.
Poso le
braccia affianco al suo viso per non gravare con il mio peso su di lei
e mi perdo nel suo cielo azzurro. I miei occhi rimbalzano nei suoi come
se parlassero tra di loro.
"Lexa... tra
una settimana devo ritornare...", sussurra con la voce tremante.
Alzo un
sopracciglio invogliandola a continuare la frase. So benissimo dove
vuole arrivare.
"Non posso
rimanere... sono vincolata... almeno fino alle Olimpiadi".
"E dopo?", le
chiedo alzando un sopracciglio.
"Pensavo di
tornare e darti il tormento", ribatte azzeccando la risposta perfetta.
"Quindi il
problema non esiste. Quando ci incontreremo ai Giochi Olimpici stai pur
certa che butterò fuori la tua palla curva. Per quanto
riguarda questa settimana... è semplice: ti sequestro!
Abbiamo molti anni da recuperare... e suggerirei di cominciare subito",
le dico sfoderando tutta la mia malizia.
Le sue labbra
si incurvano in un sorriso che mi fa letteralmente impazzire. Senza
pensarci troppo la bacio facendomi guidare dalle emozioni.
Prima che
riesca ad approfondire il bacio, Clarke si stacca per prendere fiato.
"Ah…
comunque Woods, scordatelo! Non riuscirai mai a battere la mia palla
curva", afferma con un sorriso divertito stampato in faccia.
Comincio a
ridere e senza accorgermene mi ritrovo sotto di lei.
"Ora
Woods… stai zitta e baciami!".
"Agli
ordini comandante", le dico posando le mie labbra sulle sue.
___________________________________________
NOTE
AUTRICE.
E per
un attimo escludiamo il mondo e pensiamo solo a quanto l'amore sia
travolgente
e vitale.
Ok mi
scuso per la brevità del capitolo, ma non volevo mettere
troppa carne
al fuoco. Ora le confessioni sono finite... forse. Comunque le Clexa si
sono
chiarite abbandonandosi ai loro sentimenti. Vedremo poi le conseguenze
delle
loro gesta, ammesso che ce ne siano.
Che ne
dite del capitolo? E della storia?
Grazie
per continuare a seguirmi anche in questa avventura.
Un
abbraccio
Lory
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
___________________________________________
I giorni sono volati troppo
velocemente. Il nostro
amore ha preso il sopravvento e la lontananza e le rinunce di questi
anni hanno
fatto il resto. Di fatto oggi è il nostro ultimo giorno
insieme. E dopo chissà cosa
ne sarà di noi.
Il vedersi nei prossimi mesi
sarà impossibile, la
distanza e gli impegni con le rispettive nazionali sono a dir poco
proibitivi…
ma entrambe abbiamo un vincolo per le Olimpiadi e, purtroppo o per
fortuna, in
ambito sportivo siamo sempre state professionali tutte e due.
Devo ammettere che l'amore per
Clarke mi ha
letteralmente sopraffatta, mi ha fatto capire quanto io fossi
incompleta, di
quanto io stessi solo sopravvivendo.
Quei ridicoli sensi di colpa per
aver tradito
Costia - o meglio per il mio perdurare nel farlo - sono svaniti
rapidamente
come sono venuti. Inutile dire che al mio ritorno dovrò
mettere le cose in
chiaro con lei, ma ora non ci voglio pensare. Quello che voglio adesso
è
godermi in tutto e per tutto questa fuga d'amore, se così
posso definirla.
E così ho trascinato
Clarke ad uno dei miei
ristoranti preferiti di Los Angeles: il messicano. Effettivamente ha
fatto un
po' di storie, ma dopo qualche bacio si è lasciata
convincere.
Mentre aspettiamo quello che
abbiamo ordinato è più
forte di me, le prendo la mano stringendola nella mia e comincio a
giocare con
le sue dita. Il mio assiduo bisogno di toccarla, sentirla, è
quasi imbarazzante.
Lei sorride imporporando le sue guance come se, con quel gesto,
l'avessi
anticipata.
I nostri sguardi si cercano in
continuazione,
sembrano parlarsi senza dire una singola parola. Il silenzio ci isola
da tutto
il resto e, racchiuse nella nostra bolla, non ci accorgiamo dell'arrivo
del
cameriere che, con un velo di imbarazzo, ci serve le portate.
L'intensità del
momento è scemata, anche se non del
tutto. Clarke ne approfitta per far conversazione. Comincia a
raccontarmi com'è
la vita in Giappone, alcuni episodi divertenti, alcuni più
tristi. Il tempo sembra
sfuggirmi tra le dita, come i granelli di sabbia in una clessidra.
Le prendo di nuovo la mano non
curandomi della
gente che ci sta intorno e la stringo nella mia.
"Clarke... ho bisogno di amarti
un'ultima
volta, prima di lasciarti andare...", sussurro facendo rimbalzare i
miei
occhi dalle nostre mani intrecciate al suo azzurro intenso.
"E allora… dimmi
comandante? Cosa ci facciamo
ancora qui?", domanda retorica sfoderando il suo sorriso più
malizioso.
Pago il conto e la trascino
letteralmente fuori dal
locale. Schiaccio il pedale dell'acceleratore e guido come una pazza,
la
terribile fretta di arrivare in albergo e amarla mi fa sragionare.
Per tutto il viaggio sento il suo
sguardo su di me,
che mi manda letteralmente a fuoco. Sto letteralmente bruciando. Fosse
per me
accosterei la macchina qui, sul ciglio della strada, e
l’amerei con tutta me
stessa come se non ci fosse un domani… ma credo che non
sarebbe per niente
romantico. Per lenire il mio desiderio crescente comincio a toccare la
sua
coscia, lasciata libera dal suo abito estremamente corto. Il mio
bisogno
irrefrenabile di sentirla sotto le dita, mi fa tremare sempre di
più.
Quando sento la sua mano posarsi
sulla mia e
guidarmi verso la sua intimità deglutisco cominciando a
sudare. Cerco di non
distogliere gli occhi dalla strada, ma è sempre
più difficile. Soprattutto
quando, audacemente, mi infila la mano nei suoi slip. Oddio,
è bagnatissima! La sento gemere e per un attimo mi
giro a
guardarla.
La torturo per qualche altro
istante inebriandomi
dei suoi gemiti soffocati. Sentire l'effetto che ho su di lei mi fa
eccitare in
un modo che non credevo possibile.
Vedo l'ingresso dell'albergo ed
un sospiro di
sollievo mi esce spontaneo. La pazzia è dietro
l’angolo, il desiderio è
diventato ormai insostenibile. Ho bisogno
di lei, ora!
Mollo le chiavi al parcheggiatore
e quasi di corsa,
ridendo come due ragazzine, entriamo nella hall. Continuo a stringere
la mano
di Clarke, quasi avessi paura che, da un momento all'altro, lei possa
scappare
di nuovo.
Arrivate davanti all'ascensore
veniamo raggiunte da
due coppie una di mezza età e l'altra più o meno
della nostra.
Quando le porte si aprono, siamo
le prime ad
entrare. Trascino Clarke verso il fondo della cabina. Così
facendo ci
ritroviamo le altre persone di fronte a noi di spalle rivolte verso le
porte
dell’ascensore.
Sento le coppie scambiarsi
commenti fra di loro,
forse sono tutti un po’ alticci per la serata appena passata.
A dire la verità
non mi interessa più di tanto. Mi appoggio alla parete e
attiro Clarke sul mio
corpo. Sorpresa dal mio gesto si volta a guardarmi. E come tutte le
volte mi
perdo in quelle iridi stupende.
Non so cosa diavolo mi prenda, ma
l’irrefrenabile
voglia di toccarla mi annebbia la mente. La mia mano sfiora il retro
della sua
gamba fino a che non raggiungo il sedere. La vedo mordersi il labbro,
quasi si
sforzasse di trattenere un gemito. Quando schiude le labbra
è la fine, scosto
il perizoma e comincio ad accarezzarla. Sono completamente fuori di
testa, lo
so, ma continuo la mia esplorazione. I suoi umori mi bagnano le dita e
per me non
c’è più speranza. Le cingo un fianco
per tenere il suo corpo più stretto al
mio. Quando l'ascensore si ferma la sento sussultare. Salgono altre
persone, ma
io sono troppo concentrata su quello che sto facendo per darci peso. Le
mie
dita continuano ad esplorarla fino a che non raggiungono l'obiettivo.
Quando
faccio scivolare un dito dentro di lei le sfugge un piccolo urletto che
subito
maschera con una risatina fugace.
"Credo che qualcuno la
pagherà cara per questa
cosa...", sussurra in affanno ad un soffio dalle mie labbra.
"Ah sì? Non vedo
proprio l'ora...", le
dico con tutta l'audacia di cui sono capace.
Le sue guance diventano rosse e
più la guardo, cercando
di trattenersi, più mi fa impazzire. Continuo ad immergermi
in lei beandomi del
suo calore, della sua voglia, che scatena in me una libido pazzesca.
Infilo il
secondo dito e sorrido quando sento il suo corpo spingersi contro la
mia mano
sempre più insistente.
"La cosa sembra piacerti...",
sussurro al
suo orecchio, in modo che possa sentirmi solo lei.
"Se questo dannato ascensore non
arriva in
fretta... oddio... lo capiranno tutti quanto mi piace...", mormora fra
i
denti.
"Quanta fretta Griffin... ci
sarà tempo per
venire...", sogghigno prendendomi gioco di lei.
"Ti voglio troppo", replica lei
lasciando
cadere la testa sulla mia spalla.
L'ascensore arriva all'ultimo
piano annunciato da trillo
forte. Le porte si aprono e le altre persone cominciano ad uscire.
Evidentemente
anche loro hanno la camera al mio stesso piano.
'La
solita fortuna', penso.
Lentamente, sfilo le dita da
Clarke e le sfioro la
testa con un bacio. Attendiamo con poca pazienza che tutti siano scesi
e quando
è il nostro turno sento la mano di Clarke afferrare la mia e
trascinarmi verso
la camera.
Mi appoggia di fianco alla porta
e comincia a
perquisirmi il corpo - con palpate generose e decisamente poco caste -
per
trovare la tessera. Il suo modo di toccarmi, così audace e
provocante, mi manda
in estasi.
"Tasca destra", le suggerisco
quasi
ansimando.
"Non posso credere che tu l'abbia
fatto,
Lexa", mi dice mentre apre la porta per poi spingermi dentro con foga.
Sorrido del suo finto broncio. E
mi ritrovo in
mezzo alla stanza mentre lei si appresta a chiudere l’uscio
con un calcio.
Si appoggia alla porta e comincia
a guardarmi con
un'intensità che mi fa tremare. Sembra mi stia spogliando
con lo sguardo. Si
toglie i tacchi e li lascia cadere con un gesto teatrale. Il suo
sorriso
malizioso mi incendia. Fa qualche passo verso di me, mentre si scioglie
i capelli
ancora costretti in un chignon. Muove la chioma e io mi sento mancare. Ok, mi sembra di vedere la scena a
rallentatore.
"Ok Woods... credo proprio che
stanotte dovrai
fare gli straordinari...", mi dice spingendomi ad arretrare verso il
letto.
Si avventa sulle mie labbra
mentre comincia a
spogliarmi in fretta. Io faccio lo stesso. Il bacio diventa sempre
più intenso,
la sua lingua si intrufola nella mia bocca cercando quel contatto tanto
bramato. Sento il mio cuore esplodere ed una serie di brividi
pervadermi il
corpo.
Arrivate al letto mi spinge sul
materasso
mettendosi subito a cavalcioni su di me. Il suo corpo comincia ad
ondeggiare
sul mio, creando quella piacevole frizione tra i nostri sessi. Mi
prende le
mani intrecciando le nostre dita. Continua a fissarmi troneggiando su
di me, i
suoi occhi sono carichi di desiderio. Oddio,
è bellissima, voglio baciarla, adesso!
Provo a mettermi a sedere per
raggiungere le sue labbra,
ma lei con una mano mi obbliga a stare sdraiata. Scuotendo la testa.
"Questa è la tua
punizione mia cara
Woods...", sussurra cavalcandomi sempre più velocemente.
Mi sfugge un gemito, quando sento
le sue mani
torturarmi i seni. La sua bocca si avventa su un mio capezzolo e per me
è la
fine, gemo fuori controllo.
Afferro i suoi fianchi per
guidare i suoi
movimenti, non riesco più a resistere.
"Cazzo...", impreco in preda
all'estasi
più totale.
Quando Clarke intrufola le sue
dita tra le nostre
intimità raggiungo l'orgasmo tanto bramato. Il mio corpo
trema travolto
dall'apice appena raggiunto. Lei non si ferma, continua a muoversi
aumentando
il ritmo e senza preavviso mi penetra, facendomi scappare un piccolo
urlo. Si
spinge dentro di me raggiungendo il mio punto più sensibile
e quando la sento
urlare il mio nome vengo una seconda volta.
"Ti amo Lexa...", dice in
affanno,
crollando esausta sul mio corpo.
"Anche io amore...", replico
abbracciandola stretta a me, cullandoci fino alla fine del nostro
piacere.
Rimaniamo in quella posizione per
un tempo
infinito. Adoro sentire il sul corpo sul mio e il suo respiro
solleticarmi la
pelle.
"Clarke... devo dirti una
cosa...".
Si scosta leggermente per
guardarmi negli occhi,
appoggiando il gomito al cuscino per sorregge quel suo viso stupendo
con la
mano. Il suo sguardo eloquente mi invoglia a continuare.
"Ecco, io non so se sia corretto,
ma ci voglio
provare lo stesso… perché è quello che
sento...", distolgo lo sguardo a
corto di fiato.
"Lexa, puoi dirmi tutto quello
che vuoi... io
sono qui...", sussurra accarezzandomi il volto.
"Clarke... Koishiteru
(*)".
Sgrana gli occhi sorpresa. Noto
un velo di lacrime appannarle
lo sguardo fino a che una lacrima solitaria, abbattendo le barriere, le
riga il
viso. Questa volta sono io che le faccio una tenera carezza, spazzando
via
quella goccia salata che continua a bagnarle il volto. Avvicino le mie
labbra
alle sue e le sfioro per un tenero bacio.
"Lexa anche io desidero passare
il resto del
mia vita con te... solo che ora...".
"Non è il momento",
finisco la frase per
lei.
"Lexa, te lo giuro…
ritornerò da te. Ora che
ti ho ritrovato, non ho intenzione di perderti. Ti ho lasciato una
volta ed ho
commesso il più grande errore della mia vita... non ho
intenzione di
ripeterlo...", sussurra rimpossessandosi delle mie labbra.
Il suo bacio è carico
di promesse, speranze e di
amore, per me, per lei, per noi.
Il giorno dopo Clarke
è partita per Tokyo, ed io per
San Diego. Salutarla è stata veramente durissima,
probabilmente la cosa più
difficile che abbia mai fatto, ma la consapevolezza che ci vedremo
presto mi
riempie di speranza. La nostra felicità è solo
rimandata.
Ora, quello che mi preoccupa è
sistemare le cose in
sospeso. Devo parlare con Costia e anche al più presto.
(*) Koishiteru
è uno dei modi per dire ‘ti amo’ in
giapponese, ed è rivolta alla persona con la quale si vuole
passare il resto della propria vita insieme.
___________________________________________
NOTE
AUTRICE.
Eccomi qui
con il sesto capitolo. Se in quello scorso non volevo mettere troppa
carne al
fuoco, qui mi sa che ci siamo un po’ abbrustolite. La
temperatura è aumentata
trasportandoci in un turbine di passione repressa delle Clexa.
Perdonate la
vena poco sottile di cinquanta sfumature di nero, ma
all’epoca non ho saputo
resistere.
Ora si
rientra alla normalità e le prime conseguenze busseranno
alle porte, portando
un leggero disordine.
Se vi va,
fatemi sapere se vi è piaciuto, le vostre opinioni sono
sempre ben accette.
Grazie infinte per il supporto.
Un abbraccio
Lory
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
___________________________________________
Non è nemmeno un
giorno che sono rientrata a San
Diego e mi sento già fuori posto. La mia routine tutta d'un
tratto mi rende
insofferente, insoddisfatta. Mi manca Clarke, mi manca tanto e non sono
neanche
ventiquattrore che ci siamo salutate.
In tutto questo casino non sono
ancora riuscita a
parlare con Costia. Sembra ironico anche il solo pensarlo, ma da quando
sono tornata
la sento distante, sembra si stia allontanando da me, come se sapesse
già che
tra noi è tutto finito... e questo non fa altro che
aumentare il mio senso di
colpa.
Ho provato a parlare anche con
mia sorella, ma niente
da fare anche su quel fronte. Quando non ci sono gli allenamenti Raven
la
rapisce e non ce né più per nessuno.
Gli eventi mi si ritorcono
contro, in questo modo
non sono riuscita a confessare a nessuno tutto quello che mi passa per
il
cervello, ma soprattutto quello che ho combinato nell’ultima
settimana. Tutto
sommato è quasi meglio così, non ho poi tutta sta
fretta di far soffrire Costia
e prendere degli insulti da Anya.
Così mi ritrovo
distesa sul divano di casa a
rimuginare su quello che dovrei dire e su cosa dovrei fare, sono
talmente
assorta che il suono del campanello mi fa sussultare.
Quando vado ad aprire rimango
sorpresa e un po'
interdetta, vedendo la coach Anderson con una espressione truce
stampata sul viso.
Credo che sia la prima volta che
Indra si presenti
a casa mia e dalla sua faccia mi sa tanto che non sarà una
conversazione
piacevole.
"Salve coach... prego, si accodi".
"Lexa...", risponde a mo' di
saluto.
"Posso offrirle qualcosa da
bere?", le
chiedo facendo gli onori di casa.
"No grazie, però
potresti dirmi che diavolo
significa questa fotografia?", mi dice lanciando una foto sul tavolino
da caffè.
Mi avvicino per guardarla meglio
e quando mi rendo
conto della situazione ancora un po' e mi viene un infarto.
La foto ritrae me e Clarke al
ristorante, io le
stringo la mano guardandola con occhi sognanti. Accidenti
ai paparazzi, ero convinta di non essere più sotto i
riflettori, evidentemente mi sbagliavo.
Prima che riesca ad aprire bocca
Indra mi anticipa.
"Sbaglio o quella è
proprio Clarke Griffin... Wanheda,
la lanciatrice di punta della nazionale giapponese?!".
Annuisco non riuscendo a
spiccicare una sola
parola.
"E dimmi Lexa... per quale motivo
in questa
foto sembrate come due novelle spose? Quando ti ho dato una settimana
di riposo,
per pensare e metabolizzare il fatto di doverla affrontarla, non
intendo certo
questo!", sbotta irritata.
"Coach, onestamente, neanche io.
Non avrei mai
immaginato di incontrarla al raduno delle mie vecchie compagne... ma
è successo…
e… ecco… siamo riuscite a chiarirci", dico
mettendomi sulla difensiva.
"Magari avete fatto qualcosina in
più di un
semplice chiarimento, o sbaglio?! Io credo di no, ma l’hai
vista questa foto? Mi
sembra lampante... non ci vuole di certo un genio per capire che i
vostri
sguardi sono carichi d'amore. Hai una vaga idea di come la stampa ci
ricamerà
sopra? Per non parlare della commissione olimpica. Cavolo Lexa siete
avversarie
in una sfida mondiale. E anche il Giappone è in lizza per il
podio",
continua il suo rimproverò cercando di spiegarmi tutte e
conseguenze.
"Chi le ha dato questa foto? Chi
altro l'ha
vista?", le chiedo cedendo per un attimo al panico.
"Credo che ormai sia di dominio
pubblico e se
ti stai riferendo a Costia... o a tua sorella... beh, sì,
credo che l'abbiano
vista anche loro".
Adesso mi è chiaro il
comportamento di Costia e non
posso neanche biasimarla, avrei dovuto parlargliene prima, anche per
telefono,
ma non ne ho avuto il coraggio. Continuo a rimuginare sul mio assurdo
comportamento.
"Lexa...", mi richiama Indra
addolcendo un
po' il tono.
Le parole mi muoiono in gola, non
so veramente come
risponderle. Da una parte ha ragione lei, abbiamo lavorato duro per
queste Olimpiadi
e, con il mio comportamento, rischio di spaccare la squadra oltre che
beccarmi
una squalifica... ma dall'altro non posso rinnegare il mio amore per
Clarke,
nemmeno per il softball.
"Coach, non so cosa vuole che le
dica... sono
sempre stata la persona più professionale di questo mondo e
non ho intenzione
di cambiare ora. È vero, io la amo... io amo la lanciatrice
della nazionale
Giapponese e lei ama me, ma siamo abbastanza adulte e responsabili da
rispettare i nostri ruoli da avversarie. Sono sicura che lei
giocherà al
massimo delle sue possibilità come, del resto,
farò io...".
"E per quanto riguarda Costia?
Non ho mai
ostacolato la vostra relazione perché non ha mai intralciato
le vostre
prestazioni in campo... ma credo che questa cosa possa sortire una
spaccatura... Lexa, mancano solo quattro mesi alle Olimpiadi...", le
sue
parole trasudano preoccupazione.
"Parlerò con Costia,
Coach. Risolverò questa
cosa, ma la prego… non mi chieda di scegliere. Non
rinnegherò mai quello che
provo per Clarke".
Indra si avvicina a me e mi mette
le mani sulle
spalle, il suo gesto affettuoso mi sorprende.
"Non te lo chiederò...
ma tu sei il comandante
della squadra comportati come tale".
"Lo farò coach. Ha la
mia parola",
affermo con decisione.
"Mi fa piacere sentirlo. Per la
foto e la
stampa non ti preoccupare, ci penso io. Tu, però, non
farmene pentire...",
replica fingendo un tono minaccioso.
Annuisco semplicemente, prima di
vederla dirigersi verso
l’ingresso. L'accompagno e la saluto con un abbraccio carico
di speranza. Appena
chiudo la porta sospiro quasi mi fossi liberata di un peso, ma il
sollievo dura
poco... l'ansia di dover parlare con Costia si fa sempre più
pressante nella
mia mente.
"Devo parlare con lei...
subito!",
sussurro a me stessa.
****
Continuo a consumare il pavimento
del mio
appartamento, ho provato a chiamare Costia, ma mi devia sempre in
segreteria.
Lei non vive senza il suo telefono e sono più che certa che
mi stia evitando.
Ho provato anche con Anya e Raven, ma nemmeno loro sono raggiungibili.
Il tempo passa e la mia
frustrazione aumenta, così
afferro la mia giacca ed esco a cercarla. Provo in tutti i posti dove
andiamo
di solito.
È circa due ore che
giro e di lei nemmeno l'ombra.
Alla fine guido fino a Balboa Park, non so nemmeno io perché
non ci sono mai venuta
prima. Parcheggio la macchina ed entro. Giro per un po'
finché non mi imbatto
nel Japanese Garden. Sorrido quasi istericamente per l'ironia della
sorte.
Varco i cancelli anche se poco
convinta. E quasi
avessi avuto un presentimento mi imbatto in lei. Costia è ai
piedi di un
piccolo ruscello che attraversa l’intero giardino. Lei
è assorta nei suoi
pensieri e non si accorge della mia presenza. Ci metto più
del dovuto a far
qualche passo verso di lei... ma quando mi decido vedo arrivare Jenny,
la sua
ex, con in mano due bottiglie di birra.
'Non
sapevo che si potesse bere in questo posto…’, penso stupidamente per
non voler affrontare la realtà.
Jenny si siede al suo fianco e
l’abbraccia,
cullandola leggermente e dandole teneri baci sulla testa, quasi la
stesse
consolando.
La mia mente si riempie di
pensieri. Non so se andare
a disturbare questo momento intimo o girare i tacchi e dileguarmi. Il
pensiero
che Costia si stia facendo consolare dalla sua ex per colpa mia mi
affligge, ma
poi penso a Clarke, all'amore che provo per lei e che ho sempre provato
per
lei, e il senso di colpa si attenua.
Quando le vedo baciarsi
però qualcosa scatta in me.
Forse un refuso di gelosia ipocrita, visto come mi sono comportata
ultimamente,
non saprei giustificarlo altrimenti. Penso ad un'infinità di
scenari: è solo
una conseguenza per aver visto la foto mia e di Clarke o la loro storia
dura da
molto prima. L'impulso prende il sopravvento e mi avvicino palesando la
mia
presenza.
"Ehm... disturbo?", chiedo
ironicamente.
"Lexa?", replica Costia sgranando
gli
occhi.
"Beh, almeno ti ricordi come mi
chiamo... è
già qualcosa...", affermo con sarcasmo.
Sarei veramente da prendere a
schiaffi, non ho
nessun diritto di comportarmi così, sono io la prima ad aver
tradito.
Ciononostante non riesco a fermare questa specie di falsa.
"Fai poco la spiritosa... mi
sembra che tu
abbia già fatto abbastanza danni", sbotta Jenny fulminandomi.
"Vedo che comunque ci sei tu,
qui, a
consolarla...", rispondo acidamente, non so neanche io
perché continuo con
questa ipocrisia.
"Adesso basta voi due!", alza la
voce
Costia.
Un silenzio imbarazzante si
manifesta
all'improvviso e il disagio prende il sopravvento. Sospiro, cercando
una via di
fuga e la trovo in due occhi azzurri che compaiono nella mia mente.
"Costia, potrei parlarti... in
privato",
dico quasi in un sussurro.
"Non credo sia il caso...",
interviene Jenny.
"Non sono affari tuoi JC!",
sbotto
facendomi prendere dalla rabbia.
"J per favore ho bisogno di
parlare con lei, è
ok! Ti chiamo dopo", le dice, accarezzandole il volto.
Non so perché, ma
tutta questa dolcezza mi
infastidisce.
"Come vuoi", dice seccata dandole
un
dolce bacio sulla testa, poi si alza e se ne va.
Gli occhi di Costia osservano la
sua ex andare via,
quasi con apprensione. Ho come la sensazione che mi sfugga qualcosa, ma
non
riesco a capire che cosa.
Mi fa cenno di sedermi al suo
fianco e senza
indugiare lo faccio. Nessuna delle due emette un fiato per diverso
tempo, ci
limitiamo a guardare l'acqua scorrere. E lei che spezza il silenzio.
"Come sta Clarke?", mi chiede
atona.
La sua domanda non mi coglie di
sorpresa è solo il
suo tono arreso che mi fa sgranare gli occhi.
"Ho visto la foto Lex... ho visto
come la
guardi... non mi hai mai guardata così. Onestamente, mi ero
illusa che
potessimo costruire qualcosa insieme... ma ho sempre saputo che il tuo
cuore apparteneva
ad un’altra. Così, anche se non avrei mai voluto,
mi sono allontanata da te...
e sono tornata tra le braccia di Jenny", dice facendosi sfuggire una
lacrima.
"Costia... mi dispiace, mi
dispiace tanto. Non
avrei mai voluto farti del male, ma credimi io ci tengo molto a te. Non
ho
scuse, questo lo so. È solo che, quando lei…
quando Clarke se ne è andata, il
mio cuore si è spezzato e ho smesso di amare... di lasciarmi
andare e di aver
fiducia nelle persone. Non so se questo ti possa consolare, ma di te mi
sono
sempre fidata. E per un attimo ho creduto di potermi lasciare andare e
di
dimenticare... ma...".
"Ma lei è tornata...",
termina la frase
arrendendosi all'evidenza.
"Già", sussurro
appena, continuando a
fissare l'acqua.
"Almeno vi siete chiarite?", mi
chiede
sorprendendomi.
"Sì Cos, ci siamo
chiarite. Mi ha raccontato
il motivo della sua fuga... ora
è ritornata
a Tokyo...", replico trascurando i dettagli.
"Forse ci metterò un
po' a farmela passare, ma
nel profondo ti capisco. Jenny non si è mai arresa con me.
Un po' come tu con
Clarke", abbozzo un timido sorriso alle sue parole, senza
però emettere un
fiato.
"Promettimi un cosa Lex...
qualunque cosa
succeda, noi faremo il culo alla squadra giapponese, anche se a
capitanarla ci
sarà la tua ragazza!", esclama con enfasi.
'La
mia ragazza', sorrido a quel epiteto usato
proprio dalla mia
ex.
"Te lo prometto. E proprio a
questo proposito
mi sa che dobbiamo allenarci molto più duramente. Lei ha una
palla curva che è
micidiale...", le dico alzando un sopracciglio.
"Le palle curve sono la mia
specialità!",
dice mettendosi a ridere trascinando poi anche me.
Non avrei mai pensato di riuscire
ad aprirmi così
completamente con Costia, non dopo tutto quello che è
successo... ma sono
contenta di averlo fatto. Spero solo che un giorno possa perdonarmi per
averla
fatta soffrire. Non so perché ma, per la prima volta nella
mia vita, sono
fiduciosa, credo che questa conversazione abbia gettato le basi per
un'amicizia
che mi auguro sia duratura.
_______________
NOTE AUTRICE.
Buon mercoledì, eccomi qui con
un nuovo aggiornamento. Vi
chiedo scusa, se gli aggiornamenti non sono così frequenti,
ma in questa
periodo la mia testa è un po’ sulle nuvole, e per
quanto mi sforzi di essere
multitasking non riesco a star dietro a tutte le cose come vorrei.
Tornando alla storia, i primi scogli si
cominciano a
scorgere, e senza colpo ferire Lexa si trova ad affrontare le
conseguenze delle
sue azioni.
Ok, lo ammetto il bue
che dà del cornuto all’asino
me lo potevo risparmiare… ma non ho saputo
resistere.
Comunque, sembra che parlare con Costia
sia stata una buona
cosa, ora vedremo i prossimi step.
Allora, che ne pensate della storia? Della
sua evoluzione?
Vi sta deludendo?
Grazie comunque per il vostro supporto.
Probabilmente senza
di voi, questa storia non avrebbe ragione di esistere.
Un abbraccio
Lory
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
___________________________________________
Anche se non è stato
facile, mi sento molto meglio
dopo la chiacchierata con Costia. La mia visione ottimistica
è tornata ed uno
scorcio di felicità sembra voler far capolino nella mia
vita... e tutto questo
lo devo a Clarke.
Sembra quasi impossibile del
potere che ha su di
me, mi ha fatto soffrire tanto, per tutti questi anni, ma le
è bastato un
giorno per riportarmi al settimo cielo. Solo adesso mi rendo conto di
quanto io
sia dipendente da lei.
Ho speso tutti questi anni a
sopravvivere alla
continua ricerca di quel qualcosa che mi rendesse viva, non avevo
considerato
che, senza di lei, la mia ricerca fosse del tutto vana.
Conoscendo tutta la
verità non ce l'ho con lei, non
potrei, non è stata colpa sua, ma di suo padre. Analizzando
i fatti credo di
non essere arrabbiata nemmeno con Jake. Me ne rendo conto, tutto questo
è un
paradosso, considerando tutta la sofferenza che ho provato in seguito
alla fuga
di Clarke, ma commettere errori è umano ed io non voglio
portare rancore,
soprattutto ora che ci siamo ritrovate. La strada è ancora
molto lunga, ma sono
fiduciosa sul nostro amore.
Persa nei miei pensieri non mi
accorgo neanche di
essere arrivata a casa. Non metto neanche un piede dentro che una voce
- ben
nota - mi aggredisce.
"Di un po' Lex, ma ti ha dato di
volta il
cervello?".
"Ciao anche a te sorellona",
replico
presa alla sprovvista.
"Lex, se fossi in te non farei
tanto la
spiritosa", mi suggerisce Raven.
"Veramente non ci stavo proprio
pensando...
ciao Rae", fingo innocenza cercando di riprendere il controllo della
situazione.
"Allora ti suggerisco di
cominciare a parlare
sorellina e tra le tue frasi è meglio che non ci sia una
cosa tipo: 'Sono stata a letto con Clarke,
perché è da
una vita che sono innamorata di lei, e bla bla bla...'. Anche
perché non
vorrei ricordarti come eri dopo la sua scomparsa, se così la
vogliamo
chiamare", il tono minaccioso di Anya mi fa quasi sorridere.
Rimango in silenzio per un po'
cercando le parole
giuste per non scatenare ancora di più l'ira funesta di mia
sorella... ma tutto
sommato nemmeno la sua rabbia potrebbe farmi cambiare umore oggi.
"Quindi?", mi sollecita Rae.
"Quindi niente. Al raduno ho
incontrato
Clarke... ma ovviamente questo lo sapete già. Immagino
abbiate visto quella
foto... comunque abbiamo discusso, urlato e parlato… parlato
e poi ancora
parlato. Mi ha raccontato tutto quello che le è successo e
il motivo della sua fuga. Inutile
dire che all'inizio non
l'ho presa bene... ma ascoltando le sue ragioni ho capito il motivo per
il
quale se ne sia andata. E questo è quanto", dico stampandomi
un sorriso
sghembo sul volto.
"Che cosa vuol dire 'questo è quanto'. Vuoi farmi
credere che non ci sei andata a
letto?", sbotta seccata Anya.
"Non ho detto questo... ma
siccome non vuoi
sentirlo dire, evito di dirtelo, così magari non ti viene la
gastrite...",
replico con un piccola nota strafottente.
"Quindi… ci sei
andata?", si intromette
Raven.
"Sì, siamo state
insieme… tutta la settimana.
Io la amo e lei ama me. Dopo le Olimpiadi, finalmente potremmo stare
insieme...
in modo ufficiale!", esclamo con tono deciso.
"Io non ho proprio parole. Lex
sei diventata
completamente folle? Clarke ti ha ridotto uno straccio l'ultima volta,
ho avuto
paura che non ti riprendessi più... e, dopo dieci anni, si
ripresenta, ti fa
due moine ed è come se non fosse successo niente? Guarda
caso a pochi mesi
dalle Olimpiadi... proprio una strana coincidenza. E lo sai che non
credo alle
coincidenze. Lex, lo sanno tutti che tu sei la punta di diamante della
nostra squadra.
Mi pare ovvio che tutta questa storia sia un subdolo piano per
distrarti, dal
nostro vero obiettivo: vincere le Olimpiadi", il tono duro di Anya mi
fa
sussultare.
Le parole di mia sorella mi
trafiggono come una
lama, il mio cervello cerca di elaborarle, ma non ci riesce.
No,
no, mi rifiuto di credere che sia tutta una bugia, un bieca menzogna,
io non ci
credo. Clarke non è una bugiarda, è vera, lo
è sempre stata, i suoi sentimenti
per me sono reali. Quando abbiamo fatto l'amore, ho percepito il suo
coinvolgimento, il suo trasporto per me, non è una cosa che
puoi fingere, lo
vedi quando qualcuno ti ama, lo senti.
"Lexa...", mi richiama Anya.
"ANYA BASTA! Sono tutte cazzate
quelle che
stai dicendo. Nessuno distrae nessuno, con assurdi piani di seduzione.
Io e
Clarke ci siamo promesse che daremo il massimo ed è quello
che faremo. Non ti
azzardare neanche più a pensare una cosa del
genere… lei non è una bugiarda...
TU, NON SAI UN CAZZO E NON PUOI GIUDICARLA! Come ho fatto io per molto,
troppo tempo.
Clarke mi ama ed io amo lei. E QUESTO È QUANTO! Non ti sta
bene? Beh, Anya, immagino
che dovrai fartene una ragione", le urlo contro tutta la mia rabbia.
Lei e Raven rimangono
letteralmente sconvolte,
penso che sia la prima volta che mi abbiano visto in questo stato.
Nessuno può
infamare Clarke e passarla liscia, nemmeno io o mia sorella.
Faccio per andarmene da casa mia,
ma mia sorella mi
afferra per un polso trattenendomi. Mi giro verso di lei e non riesco a
decifrare la sua espressione. Ci guardiamo negli occhi per un tempo
indefinito.
Nessuna delle due riesce ad emettere un fiato. Quando il silenzio
comincia a
diventare pesante ci pensa Raven ad alleggerire la tensione.
"Ragazze, magari non sono affari
che mi
riguardino... beh, oddio, forse un po’ lo sono...", lascia la
frase in
sospeso per attirare la nostra attenzione, cosa che ottiene.
"Non mi guardate così,
prima o poi… spero che
quella zuccona di tua sorella, Lex, mi chieda di sposarla... ok, ok, lo
so, sto
divagando. Comunque, il punto è un altro... che ne dite di
calmarvi un po' e
parlarne con calma?", ci chiede con un tono divertito, notando gli
occhi
fuori dalle orbite di mia sorella.
Rae è una vera manna,
sa sempre cosa dire per
strapparti un sorriso, anche nelle situazioni più tese e
complicate, anche in
campo riesce a farlo, io non so davvero come faccia. Spesso mi sono
chiesta
come facesse a stare con quella scorbutica di mia sorella, ma quando si
guardano ho la mia risposta.
"Lex... mi sa che la tua futura
cognata abbia
ragione, ho esagerato. Mi dispiace sorellina".
"Anche io ho esagerato sis...",
ribatto
abbracciandola.
"Ti va di raccontarci tutto
quello che è
successo?", mi chiede Anya.
"Proprio tutto?", le domando di
rimando,
alzando un sopracciglio divertita.
"Oddio, no… puoi
tralasciare le parti vietate
ai minori, sinceramente... non mi interessano...".
"Parla per te tesoro, a me
interessano",
sbotta Raven sorridendo.
Anya la fulmina, ma dopo un po'
ci mettiamo a
ridere tutte e tre.
Rimaniamo nel mio appartamento
per ore. Comincio a
parlare a ruota libera di Clarke e di tutte quello che le è
successo in questi
anni. Racconto del raduno, della mia sbronza, del nostro litigio, della
sua
confessione, della mia confessione e della nostra partita insieme.
"Non ci credo, la voglio proprio
vedere questa
palla curva...", afferma ancora incredula Raven.
"Ho come l'impressione che la
vedrai tesoro...
e anche molto presto...", interviene Anya dandole un bacio.
"Piuttosto, con Costia?", mi
chiede
all'improvviso mia sorella.
"Le ho parlato prima,
è stata dura...
soprattutto perché l'ho trovata tra le braccia di Jessica.
Un disastro per il
mio ego! Comunque, siamo riuscite a parlare. Nonostante tutto sembra
abbia
capito le mie ragioni. Anche se credo voglia l'occasione di rifarsi con
Clarke,
magari facendole una serie infinita di fuoricampo... in tutta onesta la
vedo
dura, ma non me la sono sentita di contraddirla", affermo con un
piccolo
sorriso.
"Beh, abbiamo un vantaggio, tu
conosci i suoi
lanci, quindi ci alleneremo più duramente e gliela faremo
vedere noi. Non sarà
così semplice batterci, non è vero Heda?",
fulmino mia sorella quando
sento quel soprannome.
"Ok Lex, si è fatto
tardi e prima che tu
decida di trucidare la mia futura moglie, sarebbe meglio che io e la
zuccona togliessimo
il disturbo. Domani sarà una lunga giornata", puntualizza
Rae strappandoci
un sorriso.
Accompagno le ragazze alla porta
dando una pacca
giocosa a mia sorella ed un abbraccio a Raven.
Quando rimango sola mi ritrovo a
sorridere,
pensando all'intera giornata. Al suo inizio caotico, denso di problemi
e preoccupazioni
e alla sua fine, piena di speranza e allegria.
Rimango persa nei pensieri fino a
che il mio
sguardo non ricade sull'orologio. Mi viene quasi un accidente quando mi
accorgo
che è quasi l'una di notte. Velocemente mi preparo per la
notte e mi fiondo
sotto le coperte.
L'idea di chiamare Clarke per
darle la buonanotte
mi sfiora. Beh, oddio, proprio la
buonanotte no, visto che con il fuso orario a Tokyo sono più
o meno le sei di
sera. Mentre mi perdo nei miei sproloqui mentali il mio
cellulare comincia
a vibrare. Sul display ci sono due bellissimi occhioni azzurri che mi
guardano
ed io sorrido come una ragazzina, pensando a quanto siamo telepatiche.
"Clarke, ciao...", dico
semplicemente
sopraffatta dalla gioia di sentirla.
"Lexa...
dimmi che stai bene, ti prego?", il suo tono preoccupato mi
fa tremare.
"Sì, sto bene.
Perché me lo chiedi?".
"Ho
visto la foto... e purtroppo non solo l’unica che l'ha vista",
replica trasudando ansia da ogni singola sillaba.
Non so perché, ma
credo che la fine di questa giornata
abbia appena stravolto le mie previsioni.
_______________
NOTE AUTRICE.
Ehi ciao, spero abbiate passato un buon
week, comunque eccomi
qui con il capitolo 8 di questa storia.
Ok, come al solito le Ranya sono
fondamentali, se non ci
fossero bisognerebbe inventarle.
Il dubbio si insinua per circa due secondi
nella mente di
Lexa e poi sguaina la spada per difendere il suo amore, con eccessivo
zelo
forse, ma comunque c’è il suo perché.
Per Raven non ho commenti, se non puntuale
quando serve.
E poi c’è quella
chiamata… la chiamata di Clarke che può
essere il preludio di un problema… o forse no.
Come sempre grazie per il vostro supporto
e se vi va fatemi
sapere cosa ne pensate.
Un abbraccio
Lory
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
___________________________________________
"Clarke, mi stai spaventando...
che cosa è
successo?", le chiedo sempre più in ansia.
"Quello
che è successo qui non è importante! Lexa, voglio
solo sapere se stai bene e se
tra noi è tutto ok...".
"Ehi, io sto bene e sono ancora
follemente e
perdutamente innamorata di te... nessuna foto potrà mai
cambiare questo",
dico senza neanche pensaci, facendomi guidare dai miei sentimenti.
"Ho
paura, ho tanta paura che questa storia possa dividerci...",
replica con voce tremante.
"Clarke, mentirei se ti dicessi
che quella
foto non ha sollevato un polverone, ma ho già parlato con il
mio coach, con
Costia e mia sorella... ho messo in chiaro la mia
professionalità e la tua,
ma...", lascio la frase in sospeso cercando le parole più
adatte per continuare.
"Ma
cosa, Lexa?".
"Ma ho anche sottolineato il
fatto che non
sono disposta a rinnegare quello che provo per te, né ora
né mai... e che
davanti ad una scelta imposta scelgo e sceglierò sempre te
Clarke...", la
mia voce si attenua fino ad un lieve sussurro.
Il mio cuore ha preso il
sopravvento e ora si sta
esprimendo senza filtri.
"Lexa...
ti amo talmente tanto", sentire le sue parole mi manda
fuori di testa.
Dio,
come la vorrei qui!
"Anche io ti amo Clarke e non
voglio più
perderti... non potrei sopravvivere altrimenti...".
"Woods
adesso smettila! Mi stai facendo piangere. Da quando sei diventata
così dolce e
romantica?",
sdrammatizza cercando di alleggerire la
conversazione.
"Direi.. da quando ti ho
ritrovata", le
dico non mollando la presa.
"Insisti?".
"A quanto pare Clarke...".
Continuiamo a parlare di tutto e
di niente, ridendo
e scherzando, senza curarci minimamente dell'ora e del fatto che sia
una
chiamata intercontinentale.
Per un attimo rimaniamo in
silenzio ed è proprio in
quel momento che la mia mente viene sopraffatta di nuovo da quel dubbio
di
partenza rimasto inespresso.
"Clarke... perché hai
tanta paura? Che cosa ti
hanno detto?", le chiedo timorosa.
Il suo silenzio mi fa vacillare.
"Mi
hanno detto che tutta questa storia, il nostro improvviso ritrovamento,
doveva
finire in una bolla di sapone, che entrambe non potevamo assecondare
questo
tipo di sentimento in vista delle Olimpiadi. E fin qui, me lo aspettavo
un
discorso del genere, ma poi… sono andati un po' troppo sullo
specifico e questo
mi ha spaventato...".
"E cioè? Che cosa ti
hanno detto da spaventarti
così tanto?", le chiedo avida di conoscere ogni dettaglio.
"Che
il tuo amore per me non era reale... lui… mi ha detto che
dopo tutti questi
anni non potevi continuare ad amarmi, non così, era una
bieca menzogna per
poter rivivere il passato. E, magari, trarne dei vantaggi... per
studiarmi e
capire i miei punti di forza e le mie debolezze per potermi battere
negli
scontri diretti... visto che, è inutile negarlo, saremo
l’una contro l’altra in
campo",
dice quasi in affanno.
Ci metto un po' ad elaborare le
sue parole e
stranamente non vengo colta dalla rabbia. Ripenso alle parole di mia
sorella e
quasi mi viene da ridere.
"Clarke, tesoro... a questo mondo
non c’è
niente di più vero del mio amore per te. Probabilmente il
tuo ex marito è
ancora geloso, magari per lui non è stato solo un matrimonio
di facciata. Non
credere a quello che dice. Lui non mi conosce, tu invece si. Sei quella
che mi
conosce meglio. E quando dico che ti amo è perché
sei l'unica persona per cui
provi questo sentimento. Nel mio cuore ci sei sempre stata tu, solo tu
Clarke.
Non lasciare che ti portino via da me… ancora una volta. Ti
prego Clarke, abbi
fiducia in me, in noi. Vedrai che ce la caveremo...", parlo ancora una
volta facendomi trasportare dal sentimento.
"Oddio,
Lex, mi manchi da pazzi. Quanto vorrei che fossi qui, con me".
"Anche io vorrei essere
lì. Vorrei tanto
stringerti in un abbraccio, coccolarti, baciarti".
"Ok,
forse è meglio fermarsi qui. Ho come l'impressione che se
continui così non
riuscirò a prendere sonno!", esclama come se fosse
imbarazzata.
"Beh, vista l'ora e le immagini
di te nella
mia testa, non credo proprio che dormirò tanto
facilmente...", affermo con
un tono quasi frustrato.
"Che
stupida che sono, mi ero completamente dimenticata del fuso orario. Li,
a San
Diego, è tardissimo. Cavolo, scusami Lexa, scusami tanto.
Immagino che domani
avrai gli allenamenti? Forse ora è meglio che tu chiuda gli
occhi e ti metta a
dormire. Ci sentiamo appena possiamo, ok?",
ribatte mortificata.
"Forse hai ragione, anche se non
mi
dispiacerebbe affatto passare la notte insonne a causa tua...".
"Lexa!",
mi riprende.
"Ok, faccio la brava. Buonanotte
Clarke...".
"Buonanotte
Lexa. Ti amo".
"Ti amo anche io".
Metto giù e non posso
fare a meno di sorridere.
Probabilmente la gente ci metterà i bastoni tra le ruote, ma
io sono convinta
che riusciremo a stare insieme. Clarke è la mia forza e
quello che ci è
successo ha solo rafforzato il nostro rapporto. Niente e nessuno
potrà tenermi
lontana da lei.
****
I giorni sono passati
inesorabili, da quella famosa
telefonata sono già passati quattro lungi mesi. La mia testa
continua ad essere
affollata da assurdi pensieri. Spesso fatico a concentrarmi e il mio
rendimento
in campo ne risente.
Credo che le mie paure stiano
prendendo il
sopravvento… magari inconsciamente, ma è
così. Il fatto di non avere Clarke al
mio fianco mi destabilizza, mi rende inquieta.
Penso fermamente che sia dovuto
al fatto che mi
manchi da morire e che da quella famosa sera non siamo riuscite a
sentirci più
di tanto, si e no una decina di volte. Non mi basta, non mi basta
più. Mi manca
ogni cosa di lei, il suo sguardo, il suo sorriso, i suoi baci, le sue
carezze.
Credo di essere ad un passo dalla pazzia.
Fra meno di un mese partiamo per
le Olimpiadi.
Dovrei essere elettrizzata, il raggiungimento di un sogno che si
realizza, ma
non ci riesco.
L'unica nota positiva
è che finalmente rivedrò
Clarke, ma a pensarci bene non so quanto questo sia positivo. Durante
la
competizione saremo sotto gli occhi di tutti e a mala pena riusciremo a
scambiare qualche parola. Forse sarà molto peggio starle a
pochi metri e non
riuscire neanche a sfiorarla… o forse poterla semplicemente
ammirare mi darà la
forza per affrontare tutto questo.
"Dannazione, ma che mi prende?",
urlo al
vento.
Ho bisogno di staccare la spina,
anche solo per un
paio di giorni. È più di quattro mesi che ci
alleniamo come matte ed io
comincio ad essere stanca.
Quando entro nello spogliatoio,
non trovo nessuno.
La cosa non mi sorprende, sono sempre la prima ad arrivare e l'ultima
ad andare
via. Comincio a cambiarmi per la sessione odierna, quando in lontananza
sento
le voce delle mie compagne arrivare.
"Hai visto tesoro? È
giù qui, mi devi venti
dollari”, sento la voce di Anya complottare con Raven.
“Ehi Heda, scommettere
su di te, sono soldi facili.
Ci avrei giurato che tu fossi già qui", ironizza mia sorella.
"Anya, quante volte ti ho detto
che odio quel
nome?".
"Onestamente sorellina, non le ho
mai contate,
ma rassegnati… mi piace un sacco, quindi anche se lo odi
continuerò a chiamarti
così", sorride andando al suo armadietto prima di darmi il
tempo di
ribattere.
"Sei impossibile", sussurro
più a me
stessa che a lei.
Saluto Octavia, Raven e le altre,
poi mi fermo a
fare due chiacchiere con Costia. Le cose con lei vanno molto meglio,
non lo
credevo possibile, ma la nostra amicizia si sta rafforzando. Alla fine
è tornata
con la sua ex, Jessica, e sembra che questa volta sia quella buona. In
questo
periodo è solare, radiosa, sembra proprio felice e la cosa
non può che
riempirmi di gioia.
Tutte impegnate a chiacchierare
nessuna di noi si
accorge dell'arrivo della coach Anderson e del suo vice Black.
"Buongiorno ragazze", Indra
richiama la
nostra attenzione.
"Buongiorno Coach", rispondiamo
quasi all’unisono.
Un silenzio di tomba cala
improvvisamente nello
spogliatoio.
"Oggi l'allenamento
sarà una passeggiata,
faremo solo battuta. Ormai ci siamo quasi ragazze, fra qualche
settimana si
parte. Io e coach Black ci teniamo a dirvi quanto siamo soddisfatti ed
orgogliosi dei vostri sforzi. E per questo motivo abbiamo pensato di
darvi
qualche giorno libero. Vedetela come una sorta di ricompensa per il
vostro duro
lavoro".
Le grida di gioia delle mie
compagne rimbombano
nella stanza. Un timido sorriso compare anche sulle mie labbra. Credo
che Indra
abbia la dote nascosta di leggere nel pensiero... questi quattro giorni
ci
volevano proprio per allentare un po' la tensione. Spero solo che la
mia mente
si rilassi un po' e non si impantani ancora di più nei
pensieri, anche se,
onestamente, ne dubito.
"Forza ragazze andiamo e facciamo
del nostro
meglio", mi alzo in piedi spronando le altre.
Mentre passo vicino al coach le
sussurro un timido
grazie ricevendo in risposta un inaspettato sorriso.
L'allenamento, come previsto
dalla coach, è stato
indolore, ma come sempre estremamente utile. Rinforzare l'attacco
è una cosa
essenziale per mirare in alto.
Qualche ora dopo mi ritrovo nella
mia caffetteria
preferita, il Grounders, davanti ad una tazza fumante di
caffè.
Cazzeggio con il cellulare,
navigando sui social,
su internet, senza prestarvi veramente attenzione.
Il registro chiamate compare sul
display e il
contatto di Clarke è una forte tentazione. Scuoto la testa,
pensando al fatto
che non sia il caso chiamarla adesso.
'Adesso
a Tokyo è notte fonde...', continuo a ripetermi come se
fosse un mantra.
Neanche un secondo dopo mi arriva
una mail, proprio
di Clarke, come se in qualche modo avesse un filo diretto con i miei
pensieri.
Con una frenesia assurda la apro
e mi metto subito
a leggerla.
'Lexa,
non so neanche io
perché ho scelto
di scriverti una mail, forse perché è notte fonda
e non riesco a dormire.
Non ci crederai, ma sto contando
i
giorni, mi manchi ogni istante di più. Spesso mi trovo a
fissare il display del
mio cellulare, come se lo stessi ipnotizzando e per magia squillasse
per via di
una tua chiamata… altre invece cerco le tue foto e le guardo
quasi imbambolata,
solo così, per un attimo, ritorno a respirare.
Proprio oggi il team manager
della
squadra ci ha dato qualche giorno libero, quasi volesse ricompensarci
per
averci massacrato tutto questo tempo.
Inizialmente ero contenta, niente
allenamenti per quasi cinque giorni, poi però la gioia
è scomparsa.
Non farò altro che
pensare a te e
questo mi metterà ancora di più tristezza
addosso, come se non ne avessi già
abbastanza.
Così ho fatto la
pazzia.
Ti ricordi, quando a dodici anni
siamo andate a New York per la nostra prima trasferta importante? I
nostri
genitori erano terrorizzati all'idea di farci andare via senza di loro,
solo
noi due e il resto della squadra, ma io non ne avevo perché
tu eri al mio
fianco. Ricordo ancora l'albergo che la scuola ha prenotato e le notti
che
abbiamo passato a chiacchierare.
Beh, visto che mi hanno
severamente
vietato di vederti e mettere piede in California (cosa che avrei fatto
senza esitare
se solo avessi potuto), ho dovuto improvvisare. Così ho
prenotato il volo per
NY e una camera proprio in quel albergo di tanti anni fa. Tra qualche
ora parto.
Magari rivangare il passato mi farà sentire meglio, forse ti
sentirò meno
lontana. O forse sto solo impazzendo, qui, sola, a scriverti queste
cretinate.
Ma che dico? Io sono sempre stata pazza... sì, pazza di te.
Ti amo Lexa, talmente tanto mi
sento persa senza di te.
Tua,
Clarke'
Leggo e rileggo le sue parole
fino ad imprimerle
nel cervello. Decido di non risponderle subito e, facendomi trasportare
dall’impulsività,
prenoto il prossimo volo per New York. La fortuna è dalla
mia e se tutto va
bene domani mattina riuscirò ad abbracciare Clarke.
_______________
NOTE AUTRICE.
Ehi ciao, eccomi di nuovo con un nuovo
capitolo.
Alla fine tutta la preoccupazione di
Clarke si è dissolta
con le dolci e amorevoli rassicurazioni di Lexa. Tutto ok insomma, o
quasi.
Facciamo un salto temporale i loro
contatti non sono poi
così frequenti, Lexa accusa molto questa mancanza, ma a
quanto pare non è la
sola.
Una pausa prima delle Olimpiadi ci vuole o
sbaglio?
Chissà se Clarke
prenderà quel volo?
Voi che mi dite? Vi è piaciuto
il capitolo? Spero proprio di
sì.
Grazie per il vostro supporto e i vostri
commenti per me fondamentali.
Un abbraccio e alla prossima.
Lory
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
___________________________________________
Arrivo a New York intorno alle
undici di sera ora
della east coast. Non ci metto molto ad arrivare all'albergo della
nostra prima
avventura. Ricordo come se fosse ieri quando arrivai davanti
all'ingresso e
lessi il nome a voce alta: Arkadia. Ancora adesso dopo anni mi fa
sorridere
quel nome e non ne capisco il motivo.
Entro nella hall e rimango a
bocca aperta per il
lusso che mi trovo davanti. Anni fa assomigliava quasi ad
un’osteria, un hotel
scadente. Ora il livello è quasi degno del Palace. Noto, con
un po' di
rammarico, che molti lavori di ristrutturazione sono stati effettuati,
quasi mi
dispiace non ricreare l'atmosfera di tredici anni fa.
Una volta sistemata nella stanza,
mi faccio una
bella doccia e solo dopo decido di rispondere alla mail di Clarke, con
la
convinzione che la leggerà solo una volta atterrata.
'Clarke,
avrei tanto voluto risponderti
prima, ma non ci sono riuscita. Anche tu mi manchi da pazzi e anche io
sto
contando i giorni per poterti riabbracciare, per parlarti, baciarti,
toccarti.
La tua lontananza ha lasciato un vuoto incolmabile e mi sento in balia
di
questo sentimento che non mi fa ragionare.
Forse anche io sono pazza sai?!
Ricordo perfettamente quell’albergo e ricordo ogni momento,
ogni parola.
Ed è per questo che,
senza
pensarci un secondo, ho preso un volo e sono venuta qui, a New York,
proprio
all’Arkadia.
Clarke ricordi il nostro gioco,
fingevamo di essere famose, come le attrici di quella serie che ci
piaceva
tanto. Beh, io mi sono registrata con il nome di Alycia e pazzamente ti
sto
aspettando nella stanza numero 100. Ti amo da morire amore mio.
Tua
Lexa’
Ora non posso far altro
che aspettare con la speranza
che Clarke abbia veramente preso quel volo e che in questo momento stia
volando
proprio qui, da me. Dopo un rapido calcolo tra fuso orario e ore di
volo, mi
sono arresa all’idea che prima di domani non
l’avrei vista e senza accorgermene
sono caduta tra le braccia di Morfeo.
****
Un rumore ritmico mi sveglia,
sbatto le palpebre
frastornata. Ci metto un po' a realizzare che stanno bussando alla
porta.
Controllo velocemente l'ora e sono a dir poco sbalordita. Sono le otto
passate,
era un po' che non riuscivo a dormire così bene.
Il bussare diventa più
insistente. Bofonchiando
qualcosa mi affretto a scendere dal letto. Mi infilo velocemente una
tuta sopra
la maglietta che uso come pigiama e prima di aprire chiedo chi
è.
"Room service signorina Carey",
sento una
voce femminile da dietro la porta.
‘Strano,
non mi sembrava di aver ordinato il room service’,
penso tra me e me.
Quando apro la porta rimango di
sasso.
"Beh… signorina Alycia
Debnam Carey non mi fa
entrare? Le ho portato la colazione, e non vorrei mai che la sua
omelette si
raffreddi".
Sorrido riprendendomi dalla
sorpresa.
"Visto l’aumento di
temperatura, in questo
preciso momento, non credo proprio si possa raffreddare nulla, ma la
prego
signorina Eliza Taylor entri pure", replico stando al gioco.
Il mio sorriso si allarga sempre
di più, sono colta
da una improvvisa gioia a rivedere quei stupendi occhi azzurri. Dio, quanto mi sono mancati. Quanto mi è
mancata lei.
L'aiuto ad entrare con il carello
della colazione e
il suo trolley, nascosto dallo stipite della porta. Appena richiudo la
porta l'abbraccio
forte. La stringo talmente tanto, come se volessi avere la certezza che
lei
fosse davvero qui, tra le mie braccia, e che non fosse tutto un sogno.
Mi faccio inebriare dal profumo
dei suoi capelli
come fossi una drogata in crisi di astinenza. Beh, forse lo sono, sono
in
astinenza da lei e dal suo amore.
"Ancora non ci credo che tu sia
qui...",
sussurro allontanandomi leggermente per poterla guardare negli occhi.
"Quando ho letto la tua mail ero
appena
atterrata a New York. Credo di aver fatto impazzire il tassista, ogni
due secondi
gli dicevo di andare più veloce perché avevo
fretta. Anche se tutta questa
storia è una follia ho sperato tanto che tu fossi qui, ad
aspettarmi e, come
fai sempre, non mi hai deluso. Ti amo Lexa...".
"Lexa? Signorina forse
c'è uno sbaglio io mi
chiamo Alycia", ironizzo alzando un sopracciglio, non riuscendo a
gestire quel
groviglio di sentimenti che mi sta travolgendo.
"Oh... ha ragione, mi scusi, ma
dove ho la
testa. Mi sono confusa, ma lei somiglia terribilmente alla mia
ragazza... le
chiedo di perdonarmi", dice fingendo innocenza.
Sentire quelle parole mi fa
impazzire.
"La sua ragazza, eh?".
"Sì", annuisce con
fare provocante.
I suoi occhi si incatenano ai
miei e per un istante
smetto di respirare. Ok, vuoi giocare
Clarke... o meglio... Eliza, giochiamo!
"E mi dica, la sua ragazza
è gelosa?", le
chiedo maliziosamente.
"Estremamente gelosa, poi se
considera il
fatto che sono mesi che non ci vediamo... credo che sia anche peggio.
Ancora mi
scusi, ma mi sono fatta prendere dalla voglia irrefrenabile di...
beh... ecco..
sì… di stare con la mia ragazza".
"Credo che questa sia una delle
serendipità
della vita che la rendono unica. Anche io sto aspettando la mia
ragazza, per
farle una sorpresa e anche io non la vedo da mesi e non vedo l'ora di
baciarla... ma il destino ha voluto che qui, in questo preciso momento,
ci
fossimo noi due: Alycia ed Eliza... e chi siamo noi per metterci contro
al destino?",
le domando lasciandomi prendere dall'ilarità del momento.
"Ha ragione non possiamo metterci
contro il
destino, sarebbe contro natura, non trova?".
"Quindi, a meno che lei non mi
fermi... io
adesso la bacerò", affermo sfoderando tutta la mia audacia.
"Non aspettavo altro", sussurra
ad un
soffio dalle mie labbra.
Mi mette una mano dietro la nuca
e mi attira a se
posando la sua bocca sulla mia. La mancanza di quel dolce contatto,
troppo a
lungo negato, mi fa agire senza freni. Infatti il bacio si incendia in
un
istante, esprimendo tutta la nostra passione.
Clarke trattiene il fiato, mentre
faccio scivolare
le mie mani sul suo corpo. Le mie labbra continuano a cercare le sue
con
insistenza, quasi ne dipendesse la mia stessa esistenza.
Continuo a baciarla facendomi
trascinare dalla
voglia di lei. Accarezzo la sua bocca con la lingua facendola gemere.
Adoro
sentire la sua voce in preda al piacere. In affanno scendo sul suo
collo
assaporando ogni centimetro della sua pelle. Quando incontro la sua
camicia, comincio
a sbottonarla, senza ritegno, bisognosa di toccare tutto il suo corpo.
"Dio, mi se mancata da
morire...",
sospiro tra un bacio e l'altro.
"Anche tu amore mio", ansima.
Lentamente la faccio
indietreggiare verso il letto.
"Ho come l'impressione che la
colazione si
raffredderà", sussurra prima di mettersi a ridere.
"Credo anche io", confermo
sorridendo a
mia volta.
Mi perdo nel suo sguardo e lei
nel mio. Il sorriso
sulle nostre labbra sparisce in un istante, travolto dalla passione che
ci
avvolge in un modo che non credevo possibile. La temperatura aumenta
incendiando
i nostri corpi, come il nostro irrefrenabile desiderio l’una
dell’altra.
I suoi occhi non perdono un
attimo i miei, mentre
comincia a levarmi i vestiti.
Le sue mani afferrano i lembi
della mia maglietta e
con un mio piccolo aiuto la ritrovo a terra a far compagnia alla sua
camicia.
Il suo sguardo compiaciuto e sempre più voglioso si sofferma
sul mio seno
libero da costrizioni. La sua mano scivola delicatamente su di esso per
una
timida e distratta carezza. I miei capezzoli si induriscono
all'istante. È
sconvolgente il potere che ha su di me. Non ho mai provato nulla di
più
intenso, solo con Clarke mi sento così in balia delle
emozioni. Bramo i suoi
baci, il suo tocco, il suo calore, il suo modo di amarmi.
Le sue mani scivolano
più in basso fino ad arrivare
ai pantaloni della tuta. Gioca un po' con l'elastico, facendomi penare
più del
necessario, poi si abbassa in modo da accompagnare la discesa di questo
indumento, ormai diventato superfluo. Le sue dita sfiorano la mia pelle
che al
passaggio si increspa senza ritegno. Dei brividi incontrollati
cominciano ad
invadermi il corpo. Socchiudo gli occhi, perdendo per un attimo
l'azzurro che
mi sta ammaliando, per godermi appieno la sensazione delle sue mani su
di me.
Alzo le gambe una alla volta per
liberarmi dei
pantaloni, calciandoli non so dove, riconcentrandomi su quello sguardo
e quel
tocco che mi stanno facendo impazzire. Ora sono balia di lei, la sua
tortura mi
toglie il fiato.
"Clarke...", sospiro in affanno.
Quando risale le sue mani si
soffermano sul mio
sedere che strizzano a dovere facendomi quasi sussultare. La sua lenta
seduzione mi sta facendo impazzire. È quasi frustrante
questa sua dolce
tortura.
Le sue labbra si arricciano in un
sorriso
divertito, quasi potesse godere di questa mia sofferenza.
"Ti stia divertendo vero Clarke?".
"Non puoi capire quanto, Lexa",
sentire
le sue parole mi spronano ad agire.
"Ok, ora
però… mi diverto io! Credo che tu sia
ancora troppo vestita... e bisogna provvedere".
Alza un sopracciglio come per
dire 'e che cosa sta aspettando amore mio?'.
L'attiro più vicina a
me afferrando i passanti dei
suoi jeans. Questa volta sono io che la guardo intensamente, facendo
rimbalzare
i miei occhi nei suoi. Con estrema lentezza comincio a slacciarle i
bottoni uno
ad uno. Il suo respiro si fa più pesante quando sfioro la
sua intimità,
costretta ancora nel suo intimo. Sentire la sua eccitazione bagnare il
tessuto
mi manda letteralmente in estasi.
Arrivata all'ultimo bottone le
sfilo i pantaloni
portandomi dietro anche il suo perizoma. Quando arrivo in fondo la
faccio
sedere sul letto e mettendomi in ginocchio l'aiuto a rimuoverli
completamente. Le
accarezzo le gambe partendo dalle caviglie. Il mio tocco le fa
increspare la
pelle. Comincio a baciare il suo interno coscia, continuando a
fissarla.
Clarke divarica ancora di
più le gambe esponendosi
completamente. Continua a guardarmi quasi in affanno. Appoggia le mani
leggermente indietro sul materasso per sostenere il suo corpo. La sento
gemere
quando raggiungo il suo centro si piacere. Mi lascio inebriare dal suo
sapore,
lo assaporo con foga cominciando a leccare la sua apertura calda e
bagnata. Gli
umori di Clarke sono come una droga per me, come i suoi ansiti
strozzati.
Il caldo aumenta sempre di
più. Sto bruciando. Mi
lascio guidare dall'istinto e mentre la mia lingua continua a succhiare
instancabile, le posiziono le gambe sulle mie spalle in modo da
affondare
meglio dentro di lei. Le mie mani stringono la presa sui suoi glutei
per
dettare il ritmo delle spinte.
Le sue urla di piacere mi fanno
quasi venire, la
sento contorcersi contro la mia bocca. La continuo a baciare, succhiare
e
mordere dolcemente, fino a quando non sento una sua mano intrecciarsi
tra i
miei capelli.
"Ti prego Lexa...", mugola a
corto di
fiato.
Sorrido poco prima di penetrarla
con la lingua e
portarla all'apice con poche spinte. Stringo il suo corpo fremente
accompagnandola nella discesa.
Non ci mette molto a riprendersi
e, non so come, ma
nel giro di poco mi trovo nuda sdraiata sotto il suo corpo.
"Ora mia cara Alycia è
il tuo turno",
dice con quella voce roca che mi fa impazzire.
"Fa di me quello che vuoi,
Eliza",
sussurro con un leggero sorriso.
Inutile dire che la colazione
è diventata la nostra
cena. Infatti ci siamo amate tutto il giorno, rimanendo l'una attaccata
l'altra, esplorando ogni parte della stanza, bagno, pavimento, divano.
Fortuna
che ho ben pensato di mettere alla porta il cartello di non disturbare
se non
sarebbe stato molto imbarazzante.
I restanti giorni di quella
vacanza li abbiamo passanti
uscendo pochissimo da quelle quattro mura. Solo qualche volta per cena,
ma il
room service è stato il più gettonato.
Soprattutto per evitare eventuali
paparazzi in agguato.
Passare quei pochi giorni a
parlare, coccolarci e a
fare l'amore, mi ha fatto capire quanto io non riesca più a
vivere senza di
lei.
Ora sta dormendo beatamente tra
le mie braccia ed
io non faccio altro che guardarla, accarezzandole dolcemente la
schiena. L'idea
che fra poche ore ci dovremmo di nuovo salutare mi spezza il cuore.
Il nostro rapporto è
strano. Siamo state lontano
per dieci anni, la sua fuga lontano da me, il mio dolore, il non sapere
cosa le
era successo, cosa ci era successo... poi è bastato un solo
giorno, un
chiarimento e il sentimento per lei - forse sepolto per evitare di
soffrire - è
riemerso più forte di prima.
È bizzarro, non ho mai
creduto nella anima gemella,
ma sono convinta che Clarke sia la mia. La amo talmente tanto che il
mio cuore
rischia di esplodere. La cosa che adoro di lei è il suo
sguardo, quando annego nei
suoi splendidi occhi riesco a sentire il suo amore, il suo
coinvolgimento, la
sua intensità. Solo lei riesce a farmi sentire viva.
"Grazie di esistere... Clarke",
sussurro
prima di posare un tenero bacio sulle sue labbra.
La sento mugolare e dopo
un'istante vedo i suoi
occhioni fissarmi.
"Ti amo", sussurra sfiorandomi le
labbra.
"Anche io, tanto", le dico
stringendola
forte.
"Dobbiamo alzarci vero?", domanda
conoscendo già la risposta.
"Purtroppo sì.
Dobbiamo tornare alle nostre
vite", sussurro cercando di limitare la tristezza, inutile dire che
faccio
un pessimo lavoro.
Clarke mi prende il viso fra le
mani e mi obbliga a
guardarla.
"Lexa, tra circa un mese la
nostre vita
saranno un tutt'uno. Manca poco amore...".
Le sue labbra toccano le mie e ci
abbandoniamo in
un bacio carico di promesse. Quasi fosse diventato il nostro saluto.
Rimaniamo
perse in quella dolce coccola fino a che non abbiamo fiato nei polmoni
e siamo
costrette a staccarci.
"Clarke... c'è una
cosa che devo
chiederti", le dico abbassando lo sguardo.
"Cosa?".
"Alle Olimpiadi... mi devi
promettere che,
qualsiasi cosa succeda, tu giocherai per vincere", le dico cercando di
nuovo i suoi occhi.
Inizialmente sembra sorpresa
dalla mia richiesta,
ma l'istante dopo mi accarezza il volto con un sorriso.
"Solo se lo prometterai anche tu,
tesoro...", replica con dolcezza.
Sorrido alle sue parole. Clarke,
non è cambiata
affatto, è sempre stata così, farebbe di tutto
per le persone che ama, persino
farle vincere. Per questo le ho fatto promettere una cosa del genere.
"Che ne dici se aumentiamo la
posta?",
suggerisce dopo un istante.
"E sarebbe?".
"Chiunque vinca, avrà
la possibilità di
chiedere qualsiasi cosa all'altra.
Che ne dici?", il suo entusiasmo è quasi contagioso.
"Qualsiasi? Ci sto. Allora, siamo
intesi?", le domando allungando una mano per sancire l'accordo.
"Ci puoi giurare! Sto
già pensando a cosa
chiederti", mi stringe la mano nella sua attirandomi poi verso di lei
per
tapparmi la bocca con un bacio.
"Non essere così
sicura della tua vittoria,
mia cara... ho intenzione di battermi con le unghie e con i denti",
sussurro contro le sue labbra, accentuando il finto tono minaccioso.
"L'importante è
crederci Lexa. Adesso sta
zitta e baciami. Abbiamo ancora un'ora e non ho certo intenzione di
sprecare
tempo a parlare...".
"Sissignora", sorrido
impossessandomi
delle sue labbra.
Siamo rimaste insieme fino a che
il taxi di Clarke
non è arrivato all'albergo per portarmela via di nuovo.
Questa volta però sono
molto più fiduciosa. Forse
sarò un'illusa, ma la speranza di un nostro futuro insieme
non sembra così
tanto irrealizzabile.
Dai
Lexa, ora concentrati... hai un obiettivo da raggiungere: vincere le
Olimpiadi.
_______________
NOTE AUTRICE.
Ed eccomi di nuovo qui con
l’appuntamento della domenica.
A quanto pare Clarke ha preso
l’aereo, ma diciamoci la
verità… nessuno aveva dei dubbi al riguardo o
sbaglio?
Diciamo che le Clexa hanno preso una
boccata d’ossigeno, ora
il focus sarà solo uno vincere le Olimpiadi e per entrambe
la posta in palio è
alta.
Nel prossimo capitolo si parte per Tokyo e
fiamma olimpica
arriviamo…
Come sempre grazie infinite per continuare
a leggermi.
Un abbraccio e alla prossima.
Lory
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
___________________________________________
Siamo
appena atterrate all’aeroporto Haneda, a Tokyo,
dopo un volo di circa dodici ore. Lo ammetto, sono letteralmente
distrutta, il
jet-lag comincia a farsi sentire… ma anche tutto il caos di
questo posto non è
di aiuto.
Non
credo di aver mai visto così tante persone in vita
mia. La coach Anderson, essendoci già stata, ci aveva
avvisate della caoticità
del paese del Sol Levante. Inizialmente, pensavo stesse esagerando, ma
dal
formichiere di persone che mi ritrovo davanti, mi sono dovuta ricredere.
Tra
tutti quei volti, dai tratti asiatici e non, la mia
mente sembra ossessionata, impegnata in una ricerca quasi spasmodica di
un paio
di occhi azzurri - dei suoi occhi azzurri - di quello sguardo che mi fa
sempre
tremare per la sua intensità. Mi rendo conto di quanto sia
vana e fuori luogo
la mia speranza di incontrare Clarke, ma il mio cuore sembra fuori
controllo,
scalpita nel mio petto, al solo pensiero di quanto siamo vicine in
questo
momento.
Scuoto
la testa cercando di eliminare questi assurdi vaneggiamenti.
Da oggi, fino alla fine dei giochi, non potremmo scambiarci
più di un saluto
cordiale, dovremmo mantenere le distanze, sembrare quasi
sconosciute… e questo
sarà decisamente difficile, soprattutto per me, che
già ora avrei voglia di
stringerla in un abbraccio e non lasciarla più andare.
Purtroppo
o per fortuna, i miei pensieri vengono
bruscamente interrotti dalla gomitata di mia sorella.
“Gesù
Lex, piantala di pensare alla bionda! Già Tokyo è
un paese pieno di smog e nebbia, se ti ci metti pure tu - con il fumo
che ti
esce dal cervello - non ce la faremo mai ad arrivare sane e salve
all’hotel!”,
esclama con il suo sarcasmo pungente, mettendosi poi a ridere.
“Divertente
An, divertente… ma se fossi in te riderei
poco”, l’avverto seccata dalla sua battuta.
“E
perché scusa?! Hai una faccia talmente comica in
questo momento che sei letteralmente esilarante”, replica
ridendo sempre più
forte.
“Ma
davvero? Ho come l’impressione che quel sorriso di
passerà in fretta …”, le dico
imbastendo la mia vendetta.
Per
un attimo sembra sorpresa dalla mia velata minaccia
ma, ciò nonostante, la sua risata non si ferma continuando
così a deridermi
senza ritegno.
‘Ok
An, l’hai voluto tu…’,
penso
tra me e me.
“Beh,
credo che dovrai abituarti sister… sull’aereo, la
coach mi ha detto che sei in camera con me!”, il mio tono
canzonatorio è
lampante.
Anya
smette di ridere sbiancando di colpo, probabilmente
colta da un panico improvviso. Ancora un po’ e si strozza da
sola. Questa volta
sono io a prendermi gioco di lei. Comincio a ridere come una matta
attirando
l’attenzione dei passanti.
“Dimmi
che scherzi Lex?”, nego con la testa continuando a
divertirmi a sue spese.
“No,
non può essere… e adesso chi la sente
Rae?”, domanda
più a se stessa che a me.
“Credo
tu… visto e considerato che è proprio alle tue
spalle!
Ciao cognatina…”, commento continuando a ridere.
“Cosa
mi sono persa? Perché Lexa sta ridendo in quel
modo?”,
chiede Raven.
Mia
sorella continua a rimbalzare lo sguardo da me alla
sua ragazza senza riuscir ad aprire bocca. Finalmente sono riuscita a
farla
tacere. Credo di aver stabilito un record!
Per
sua fortuna veniamo interrotte dal comitato
organizzativo dell’evento, il quale ci accoglie in pompa
magna quasi fossimo
delle star televisive. Dopo aver recuperato i bagagli, veniamo condotte
all’albergo
dove alloggeremo per tutta la durata dell’evento.
Alla
distribuzione delle camere c’è una specie di
sommossa popolare, ma tutto sommato mi aspettavo anche di peggio. Come
al
solito Indra riesce a calmare gli animi con parole puntuali e
strategiche,
ricordandoci il nostro obiettivo comune che esula completamente dalla
baldoria
e il cazzeggio, ma è decisamente focalizzato sul dare il
massimo per ottenere
la vittoria.
"Dai
An, metti via il broncio… cerca di pensare a
dove siamo e quanti sforzi abbiamo fatto per arrivarci. E se non ti
basta…
pensa al fatto che domani sfileremo davanti a migliaia di persone
dentro un
gigantesco stadio olimpico... io sono letteralmente elettrizzata",
mormoro
dandole una gomitata per tirarla un po’ su di morale.
La
sua smorfia delusa mi fa quasi tenerezza. È ironico
anche il solo pensarlo perché tenerezza
e mia sorella non le ho mai nemmeno
pensate nella stessa frase, ma devo ammettere che in questi anni
è cambiata
parecchio, soprattutto con l’arrivo di Raven.
Così, mossa da compassione
ritento.
"Sister,
seriamente... io ho bisogno che mi tieni
d'occhio. Non ho idea di come reagirò rivedendo Clarke. E
solo tu mi puoi tenere
con la testa attaccata al collo ed i piedi ben piantati a terra".
"Se
la metti così Lex, non posso certo deludere la
mia sorellina. Dai, andiamo! Ho un bisogno disperato di una doccia",
sbuffa fingendo un tono di sopportazione.
Con
un ghigno sulle labbra, mi avvolge un braccio sulle
spalle stringendomi in modo protettivo per poi spronarmi a seguirla.
Scuoto la
testa lasciandomi guidare da quel raro momento di dolcezza di Anya e
senza
esitare mi lascio cullare dal suo abbraccio fino alla nostra camera.
****
Il
mattino seguente è arrivato fin troppo presto. La luce
del giorno e alcuni rumori sordi mi hanno letteralmente investito
obbligandomi
a svegliarmi. Non credo di aver mai fatto così tanta fatica
ad alzarmi in vita
mia. Il jet-lag e le ore di fuso mi hanno completamente frastornata. Se
bevessi,
questo sarebbe facilmente paragonabile al dopo sbornia: sonno elevato
all'ennesima potenza e rincoglionimento totale.
In
tutto questo trambusto mi sento comunque sollevata,
nel pensare al programma odierno. Al pomeriggio: allenamento leggero
per
prendere confidenza con il campo e le condizioni climatiche del posto.
Mentre
alla sera: parteciperemo alla cerimonia di apertura dell'evento.
Dopo
una rapida doccia mi sento quasi rigenerata,
nonostante ciò, i miei occhi continuano a vagare sulla mia
figura riflessa allo
specchio. Sembro quasi persa, come in cerca di quella confidenza,
quella
sicurezza, per affrontare questo tipo di sfida.
Eppure
è sempre stato il mio sogno, arrivare alle Olimpiadi
e giocare al meglio per portare a casa la medaglia d'oro…
tuttavia, ora
vacillo.
Il
groviglio di emozioni che mi assale, sta sgretolando
via via tutte le mie certezze. Non voglio dare la colpa o il merito a
nessuno,
ma sono convinta che l'amore per Clarke sia la causa delle mie
insicurezze. Ora
il softball non è più al primo posto,
c'è solo lei e i suoi bellissimi occhi
azzurri. Credo che il fatto di essere avversarie, nel nostro sogno
comune, non
giovi al mio stato d’animo… per niente.
Con
una mano pulisco il vapore, in continuo aumento,
sullo specchio e invece di vedere il mio riflesso immagino quello di Clarke che mi
sorride. Forse sto
diventando pazza, ma il suo viso sorridente mi fa stare meglio, quasi
fosse un
antidolorifico per tutti i pensieri scomodi nella mia testa.
"Andrà
tutto bene… il nostro sogno sta per avverarsi
Clarke... poi, finalmente, potremo iniziare la nostra avventura...
insieme…",
sussurro più a me stessa che all'immagine riflessa solo
nella mia testa.
"Ok
comandante è il momento di darsi da fare!",
dico a voce alta.
"Lexa,
che cavolo stai facendo in quel bagno? Tu lo
sai che non hai una singola vero? Beh, se non esci subito, sfondo la
porta...
me la sto facendo sotto", sento urlare la voce di mia sorella sfoderare
le
sue solite buone maniere… sì, da scaricatrice di
porto.
Velocemente
avvolgo il corpo in un telo e, prendendo un
asciugamano, esco dal bagno.
"Tutto
tuo sister".
"Era
ora...", brontola arrabbiata entrando come
una furia e chiudendosi la porta alle spalle.
Sorrido
pensando al fatto che tutta la tenerezza di ieri
sera si sia completamente dissolta.
___________
NOTE AUTRICE.
Ok si cominciano
le olimpiadi. Siete pronte?
Onestamente ho
molto poco da dire su questo capitolo,
innanzi tutto mi scuso, so che questo ed il prossimo con
l'inaugurazione dei
giochi saranno di passaggio, ma secondo erano necessari ai fini della
storia,
vi chiedo solo po' di pazienza e lo scontro arriverà.
Molto
probabilmente non vi interesserà, ma volevo
condividere con voi un video. il riassunto di una delle più
belle partite che
abbia mai arbitrato. È stato nel 2016 all'europeo under 19 a
Barcellona
(partita molto importante la vincente è passata direttamente
in finale).
Proprio l'altra
sera non so come o perché me la sono
riguardata tutta, e come mio solito ho cominciato a criticarmi, quella
palla
avrei potuto chiamarla, potevo abbassarmi di più, e
così via. Nonostante
questo, ricordo ancora tutte le sensazioni, ero tesissima, mi sono
rintanata
nello spogliatoio molto prima del solito, per trovare la concentrazione
necessaria e, a detta di mia moglie forse di parte, ci sono riuscita.
Quando ho
messo piede in campo, la tachicardia è andata alle stelle e
il solito tremore
al primo play ball ha dato inizio a quella esperienza che non credo
dimenticherò facilmente.
Questa partita
è stata divertente, coinvolgente, intensa,
difficile, ma sono riuscita a mantenere la concentrazione alta per
tutto il
tempo. Avere mia moglie sugli spalti mi ha aiutato notevolmente, come
sempre
del resto. Quando sono uscita dallo spogliatoio, non potevo far a meno
di
sorridere, entusiasta di aver fatto del mio meglio.
Ok, credo di
avervi tediato anche troppo, ma se avete 10
minuti da buttare via, date uno sguardo al video. Altra
curiosità... se ve lo
state chiedendo quella dietro al ricevitore, con la divisa rossa e i
pantaloni
blu bardata come un giocatore di football, sono io.
EChJW
2016 - Great
Britain - Czech Republic - Condensed game
Grazie, per non
mandarmi a quel paese.
Un
abbraccio
Lory
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
___________________________________________
Ci
siamo, oggi 24 luglio 2020 comincia questa avventura.
Io e le mie compagne siamo già allo stadio olimpico di
Tokyo, pronte a sfilare,
con indosso i colori della nostra nazione, insieme a tutti gli altri
atleti che
parteciperanno al più importante evento per uno sportivo: le
Olimpiadi.
Anche
se è sera, le luci ed i colori sgargianti rendono
l'atmosfera luminosa e spumeggiante. Mi guardo intorno rapita da ogni
suono, da
ogni sfumatura, quasi fossi una bambina il giorno di Natale. E forse
è proprio così.
Ci
danno il via e il corteo comincia ad avanzare, saluto
la folla che ci acclama, consapevole del fatto che probabilmente non
conosco
nessuno, ma non m'importa.
L'emozione
che sto provando in questo momento è
inebriante, è talmente coinvolgente che fatico a
comprenderla. Senza pensarci
troppo mi lascio trascinare da essa spegnendo il cervello.
Quando
arriviamo nei pressi del braciere olimpico, tutti
disposti per nazione e disciplina, uno spettacolare gioco pirotecnico
comincia,
seguito poi da uno spettacolo giapponese suggestivo coadiuvate dalle
mascotte
dell'evento: Goku, Naruto e altri famosi manga della cultura nipponica.
Mentre
mi perdo in quella atmosfera trainante, l'ultimo
tedoforo fa il suo ingresso nello stadio, fiero di portare la torcia
olimpica,
scatenando ancora di più le grida e gli applausi della folla
in delirio.
Nonostante
la forte emozione, il mio sguardo vaga alla
ricerca della sola persona con cui voglio condividere questo momento.
Le
squadre di casa chiudono il cerchio degli atleti, ci metto un po' ad
individuare il suo sguardo, ma quanto lo faccio, Clarke mi sta
già guardando
con un piccolo sorriso.
Una
serie di brividi continua ad invadermi facendomi
battere forte il cuore. Mi perdo in quel azzurro escludendo tutto il
mondo
intorno a noi. Nonostante ci siano migliaia e migliaia di persone, in
questo
momento ci siamo solo io e lei, chiuse nella nostra bolla per goderci
questo
momento emozionante.
Senza
pensarci tanto le mimo un 'ti amo', consapevole del
fatto che, da quella distanza, avrebbe fatto un’estrema
fatica a catturarlo, ma
quando il labiale mi ritorna indietro il mio sorriso si allarga.
Persa
in un altro pianeta non mi accorgo dell'arrivo
della gomitata di mia sorella.
"Ahia...
Anya, ma sei impazzita?", le ringhio
contro, un po' per il dolore un po' per aver spezzato il gioco di
sguardi con
Clarke.
"No,
sto solo facendo quello che mi hai chiesto. Ti
tengo d'occhio. E visto che ti devo tenere con i piedi per terra e la
testa
attaccata al collo, ho pensato di fare esplodere la mongolfiera con cui
stavi
volando via da qui", afferma sorridendo divertita per avermi colta con
le
mani, o meglio gli occhi, nel sacco.
"Ok,
ok, hai ragione. Godiamoci la fine della
cerimonia che da domani si fa sul serio".
Ci
scambiamo un cinque d'intesa e, senza indugiare oltre
su quegli occhi azzurri, riporto la mia attenzione sulla fiaccola.
Una
volta terminata la cerimonia di apertura e una lauta
cena, è già più di un'ora che siamo
tutte riunite in una sala meeting del
nostro albergo ad ascoltare coach Anderson.
"Allora
ragazze, sono passati ben dodici anni e tre
olimpiadi prima che il softball potesse rientrare nei giochi olimpici.
L'ultima
volta la nostra nazionale ha perso proprio con il Giappone,
è mia forte
convinzione prendermi la rivincita. Voi che dite?".
"Sì,
coach", urliamo in coro.
"Come
ogni torneo olimpico le squadre da affrontare
sono sette. Ovviamente oltre il Giappone, ci sono anche l'Australia, il
Canada
e la Cina che non dobbiamo - in nessun modo - sottovalutare. E poi ci
sono la
Cina Taipei, il Venezuela e i Paesi Bassi che sono un vera e proprio
incognita.
Non sono riuscita a ottenere nessun tipo di informazione al riguardo e
questo
non è un buon segno. Io, Gustus e lo staff tecnico
approfitteremo delle partite
di qualificazione per studiare un po' le nostre avversarie. Chiunque
volesse
dare un supporto, dopo gli allenamenti, può offrirsi
volontaria".
Ovviamente
il mio braccino è il primo e l'unico ad
alzarsi.
"Coach,
in qualità di comandante della squadra mi
sembra il minimo...", affermo con convinzione.
"Beh,
Lexa, non avevo nessun dubbio. Come, del
resto, non ne avevo che le tue compagne non si sarebbero minimamente
disturbate
a prendere questa incombenza. Ritornando al torneo... le qualificazioni
si
svolgeranno in un girone all'italiana. L’idea non mi fa
impazzire, ma in questo
modo incontreremo tutte le squadre e così potremmo studiare
le loro strategie.
Come tutte voi sapete, dobbiamo arrivare tra le prime quattro per
accedere alle
semifinali. Ragazze, dobbiamo farci valere e giocare al massimo delle
nostre
possibilità. Non mi stancherò mai di ripeterlo:
ogni partita è a se, la palla è
tonda e può succedere di tutto. Quindi non voglio, per
nessuna ragione, vedervi
prendere la gara sottogamba. È tutto chiaro?", il tono di
Indra si
infervora sull'ultima frase, so bene quando ci tenga all'etica e alla
sportività.
"Detto
questo. Le prossime quattro gare sono fissate
per mezzogiorno…”, a quelle parole subito un
brusio di disapprovazione si leva
nella stanza, ma come previsto la coach lo seda subito.
Indra
oltre ad essere la migliore allenatrice che abbia
mai avuto è un mentore. Le voglio molto bene, mi ha
insegnato tanto e non parlo
solo di softball.
“Ragazze,
mi rendo conto che sia un orario infelice e
molto sfavorevole, la temperatura non è certo da
sottovalutare, ma non possiamo
farci niente... se non stringere i denti. Quindi, considerando
l’orario… vi
voglio pronte a partire per le nove. Tutto chiaro?".
"Si,
coach", ancora una volta ci ritroviamo a
rispondere all'unisono.
Dopo
averci fornito il calendario delle partire, ci dà la
buonanotte. Prima di abbandonare la sala, scorro velocemente le partite
fino a
che non trovo quella che cerco: Giappone - USA.
Un
brivido mi corre lungo la schiena. Il pensiero di
trovarmi faccia a faccia con Clarke, non sarà per niente
semplice... ma tutto
sommato ho ancora tre giorni per metabolizzare la cosa. Adesso devo
pensare a
quello che ha detto la Coach: una partita
alla volta.
Nonostante
nella mia mente quelle poche parole persistano
a ripetersi in loop, il pensiero che sarà più
dura del previsto non mi
abbandona.
"Lexa,
posso parlarti un momento?", la voce di
Indra mi riporta sulla terra ferma.
“Certo
coach”, replico facendo un cenno alle altre di
proseguire senza di me.
Mi
chiede di sedermi e io lo faccio senza esitare.
"Magari
la mia domanda ti risulterà banale, ma ho
bisogno di sapere la verità... come ti senti?", un
po’ me l’aspettavo una
domanda del genere, ma a conti fatti non so proprio come risponderle.
"Coach...",
provo inutilmente a dar fiato ai
miei pensieri.
"Lexa,
è un po' che ti osservo e sembri distratta.
Ora, sappiamo benissimo quale sia la ragione, o meglio, la causa della
tua
distrazione e lungi da me nel voler minimizzare la cosa, soprattutto
dopo quello
che hai sofferto... ma Lexa, abbiamo faticato molto per essere
qui… per portare
a casa un risultato. Magari adesso non ti sembrerà
importante, ma fra diversi
anni, voltandoti indietro, potresti rimpiangere il fatto di non aver
dato il
massimo", sussurra l'ultima frase distogliendo lo sguardo dal mio,
probabilmente vagando nei suoi ricordi.
Le
sue parole hanno un effetto devastante su di me. Continuo
a fissare il suo volto quasi avvolto dal rimorso. Forse lei ha dei
rimpianti,
non mi ha mai raccontato della sua carriera. So solo che è
stata una atleta
bravissima e che è entrata nella Hall of Fame di questo
sport... ma nella
realtà dei fatti non so a che cosa abbia dovuto rinunciare.
Magari
lo scopo di questa chiacchierata era proprio quello
di spronarmi a rimanere concentrata, ma in quelle poche parole appena
dette ho
carpito molto di più di una lezione di vita. Grazie Indra.
"Coach,
ha ragione sono distratta, ma le prometto
che non sprecherò questa occasione di dimostrare quello che
valgo. Darò tutto,
farò del mio meglio, per lei, per la squadra, anche per
Clarke, ma soprattutto
lo farò per me stessa".
"Era
questo che volevo sentire Lexa. Questo è
l'atteggiamento giusto di un comandante", replica soddisfatta.
"Grazie
Coach... per tutto".
"E
di cosa?! La mia porta è sempre aperta... ora vai
a riposare domani comincia l'avventura. E ti garantisco che non
sarà una
passeggiata, per niente! Buonanotte".
Le
faccio un cenno e solo quando esco dalla sala sospiro
come se avessi trattenuto il fiato tutto il tempo.
Indra
ha ragione è il momento di far vedere chi siamo.
Ora si comincia a fare sul serio ed io non vedo l'ora.
___________
NOTE AUTRICE.
Ehi eccomi di nuovo con un nuovo capitolo.
Che ne dite? Direi che Anya ha preso il
suo ruolo in modo modo serio
e professionale ☺☺!!
Ora si parte veramente, per il primo
scontro diretto c'è ancora un pochino da aspettare, ma
abbiate fede che il casino sta per arrivare!!!
Grazie per il supporto e per la pazienza.
Una abbraccio
Lory
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
___________________________________________
Afferro
il mio telefono e senza pensarci apro
l'applicazione Note. Ne creo una
nuova apportando la data odierna. E comincio a digitare i tasti in modo
frenetico senza soffermarmi sulla corretta forma di stesura, non
è quello che
mi interessa, quello di cui mi importa è liberare la mente
da tutte le emozioni
che ho provato oggi.
25/07/2020
- GIORNO 1
La
prima giornata olimpica è letteralmente volata. Abbiamo
sconfitto il Venezuela,
tutto sommato pensavo ci dessero molti più problemi, ma
così non è stato. Kelly
ha lanciato una signora partita ed io mi sono accontentata di giocare
solo in
attacco. Ho parlato con il coach e mi ha detto che mi vuole preservare
per
partite più difficili e lo stesso dicasi per Anya.
Ho
provato una miriadi di emozioni, una più forte dell'altra.
Quando ho messo
piede in campo e ho calpestato la terra rossa proprio vicino al simbolo
olimpico, il cuore ha cominciato a battermi nel petto. Sembrava
impazzito ed io
con lui... ma il ritmo è decisamente aumentato quando ho
visto due occhi
azzurri guardarmi dagli spalti.
Nonostante
sentissi il suo costante sguardo su di me, sono riuscita a mantenere la
concentrazione alta per tutta la durata della partita, volevo
impressionarla,
volevo che fosse fiera di me ed io di me stessa.
Quando
al primo turno di battuta ho colpito la palla, una scarica di
adrenalina mi ha invaso
il corpo, mettendomi le ali hai piedi.
Era
da un po' che non mi sentivo così e credo che Clarke abbia
la sua parte di
merito in tutto questo.
Oggi,
dopo aver giocato la partita e fatto un minimo di defaticamento post
gara, mi
sono trattenuta allo stadio con Indra e Gustus, per guardare Giappone
vs
Australia, o meglio per guardare Clarke. Lo so che non avrei dovuto -
lei è una
mia avversaria e, anche se nessuno lo sa, è anche la mia
ragazza - ma mi sono
ritrovata a fare il tifo per lei.
L'Australia
è stato un osso duro, ma lei ha lanciato alla grande. Ha
concesso pochissimo
alle avversarie e, grazie all'attacco nipponico, sono riuscite a
portare a casa
la vittoria all'ultimo inning.
Nei
momenti più critici cercava conforto nel mio sguardo e,
nonostante la folla, il
suo azzurro riusciva a perdersi nel mio verde.
Sono
veramente contenta e orgogliosa della mia ragazza. Ha dimostrato di
essere
un'atleta spettacolare... ma devo ammettere che quando la ricevitrice
Fujimoto
è andata ad abbracciarla a fine partita, stavo per entrare
in campo per
separarle. So benissimo che sia del tutto normale esultare con le
proprio
compagne di squadra, ma un moto di gelosia mi ha fatto perdere il senno
per un
istante. Infatti, è bastato un sguardo truce di Indra per
riportarmi in
careggiata.
Tirando
le somme la prima giornata è stata molto bella e
coinvolgente. A parte certi
impulsi che dovrò tenere a bada. Non so veramente
perché mi sia preoccupata
così tanto, credo proprio che tutto andrà per il
meglio.
Ora
è meglio riposarsi, domani sarà una giornata
impegnativa. Noi giochiamo contro
l'Australia e Clarke contro la Cina Taipei, sono entrambe partite
difficili e
non possiamo farci sconti, ma come si dice… quando il gioco
si fa duro, i duri
cominciano a giocare... parola del comandante.
Senza
rendermene conto diventa la mia routine per
questa competizione. Sera dopo sera, quando rientro in camera, prima di
dormire
annoto tutto quello che sia successo nell'arco della giornata: l'esito
delle
partite di entrambe - elogiando particolarmente le doti della mia
ragazza - le
emozioni provate dentro e fuori dal campo e senza accorgermene ogni
sera cado
con il cellulare ancora stretto tra le mani.
Sono
già passati tre giorni dall'inizio delle Olimpiadi
e, avendo vinto tutte le partite finora disputate, siamo a punteggio
pieno a
pari merito con la squadra di casa.
Domani
c'è il primo scontro diretto. Sono più che
sicura che domani Clarke rimarrà in panchina, dopo aver
praticamente vinto da
sola la partita di oggi con uno spettacolare 'perfect
game' credo che un po' di riposo le possa giovare... ma
onestamente di quel Wanheda mi fido poco.
Forse
sono prevenuta è pur sempre il suo ex marito,
o forse il mio istinto ha nasato che sia una persona subdola. Non lo
so. Comunque,
visto il risultato, lasciare riposare la mia lanciatrice di punta - e
non lo
dico perché tutto questo andrebbe a nostro vantaggio - nel
girone all'italiana
una sconfitta non significa niente, sarebbe una strategia vincente.
"Lexa,
che ne diresti di spegnere quella cazzo
di luce? Se non ti dispiace io vorrei dormire, sono letteralmente
distrutta!",
impreca con la voce impastata mia sorella.
"Certo
An, scusa. Notte", replico
spegnendo subito l'ab-jour.
Immediatamente
chiudo gli occhi e l'istante dopo
vedo due occhi azzurri fissarmi. Il suo sguardo triste mi cattura come
sempre,
ma c'è qualcosa di diverso. Ci metto un po', ma poi le noto,
delle piccole
lacrime scendere sul suo viso, appannando quel azzurro una volta
limpido.
Inutile
dire che il mio sonno non è per niente
rilassato, ne tanto meno riposante.
Quando
mi sveglio la mattina seguente mi sento uno
straccio. Continuo a pensare e a ripensare al sogno, o
meglio… all'incubo. Non
so davvero dargli un significato e forse non lo voglio neanche. Magari
è solo
la tensione, l'agitazione per la gara di oggi.
Ahhh
Lexa, smettila di rimuginare! Adesso ti alzi in piedi, ti fai una bella
doccia e
ti carichi a dovere per oggi... ogni cosa andrà per il
meglio.
Quelle
parole continuano a rimbombarmi nella testa,
mi arrendo a questo massacro mentale anche se non ne sono del tutto
convinta.
Credo
che presto i nodi verranno al pettine. Solo
che non ho idea di quali siano questi nodi.
****
Mi
trascino a colazione con una miriadi di pensieri
che mi incasinano il cervello. Continuo a pensare al sogno, a Clarke,
ai suoi
occhi in lacrime, al suo sguardo triste quasi sofferente, non riesco a
capire
cosa il mio subconscio cerchi di dirmi e il mio non capire mi rende
particolarmente
tesa e nevrotica.
Cerco
di fare l'indifferente, ma chi mi conosce
bene, sa che c'è qualcosa che non va. Sia Costia che mia
sorella hanno sondato
il campo, ma ovviamente mi sono chiusa a riccio, tagliando corto e
minimizzando
come il mio solito.
Mi
ci è voluto tutto il tempo della colazione e
quello del viaggio verso lo stadio per cercare di staccare la spina, ma
alla
fine sono riuscita a concentrarmi solo sulla partita che di
lì a poco sarebbe
iniziata.
Durante
la fase di riscaldamento - da sempre la mia
preferita - sono riuscita a dar sfogo a tutta la mia tensione. Ho
spento il
cervello e mi sono concentrata solo sulla preparazione della gara.
Il
sorriso soddisfatto di Indra, alla fine del mio batting
practice (*), mi ha confermato che
stessi facendo un buon lavoro. Nonostante ciò, quando la
squadra Giapponese ha
fatto il suo ingresso in campo, ho vacillato ricercando quello sguardo
che mi
ha tormentato tutta la notte.
C'è
voluto più del dovuto per individuare Clarke,
ma quando l'ho vista il suo sorriso ha spazzato via ogni mia singola
preoccupazione. Per non parlare del suo augurio nel saluto pre-partita.
"In
bocca al lupo A... Alycia", quella
sua indecisione tenera e disarmante mi riempie di gioia.
"Anche
a te... Eliza. Che vinca la
migliore!", replico ammiccandole.
Mentre
mi appresto a tornare nel dugout (**)
mi volto un'ultima volta a
guardarla con un sorriso consapevole sul viso. So benissimo che avrebbe
voluto
dirmi un'altra parola al posto di Alycia, che inizia sempre con A, ma
in questo
contesto è troppo compromettente. Quindi, 'in
bocca al lupo Amore', sussurro a me stessa prima di mettermi
in modalità
partita ed escludere tutto il resto.
La
gara non dura molto, vinciamo senza problemi.
Complice il fatto che, come previsto, Clarke non entra in gioco, ma
rimane in
panchina a guardare la disfatta della sua squadra.
La
strategia del coach giapponese è molto chiara,
il primo scontro diretto l'ha preso come una partita di allenamento, ha
preferito giochicchiare e riservarsi per i quarti di finale. Per una
persona
come me la sua scelta è abbastanza discutibile. Ogni volta
che scendo in campo
e metto piede sulla terra rossa dò sempre il massimo in ogni
circostanza. È la
mia indole agonistica, rispettosa del gioco e delle avversarie che me
lo
impone... ma questa sono io, e poi continuo a pensare che il coach
Wanheda non
sia quel mostro di bravura che tutti dipingono.
Alla fine
dell'opera la giornata per noi è stata
positiva, ora siamo in testa alla classifica e, sulla carta, le
prossime
partite non dovrebbero essere poi troppo difficili, ma come dice sempre
Coach
Anderson: 'la palla
è tonda' e quindi
tutto può succedere.
(*)
Il batting
practice è chiamato così il
riscaldamento pre partita di battuta, dove a turno uno alla volta le
componenti della squadra – con le altre compagne sparse in
difesa – vanno a battere i lanci del coach.
(**)
Il dugout
è l'area della panchina di una squadra, localizzata in
territorio di foul tra casa base e la prima o la terza base. Il foul
è quella zona di campo esterna alle linee del diamante. Se
la palla termina in foul non è giocabile.
___________
NOTE AUTRICE.
Ok l’Olimpiade è
partita veramente.
Sembra procedere tutto per il meglio per
Lexa e le sue
compagne, tuttavia il subconscio del comandante è un
po’ irrequieto. Tanto
rumore per nulla come direbbe Shakespeare o c’è
dell'altro.
Se vi state preoccupando per lo scontro
diretto, non fatelo,
ci sarà e ci sarà eccome.
Grazie ancora per il vostro supporto e per
non avermi
mandato ancora a quel paese.
Un abbraccio
Lory
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
___________________________________________
I giorni continuano a volare in
modo
impressionante, quasi qualcuno avesse premuto il tasto di avanzamento
veloce. Così,
senza rendermene conto, ci ritroviamo già alle fasi finali
delle Olimpiadi.
Ancora non ci credo, ma siamo
riuscite ad arrivare
prime nel girone di qualificazione, riuscendo a battere anche la Cina,
la Cina
Taipei e l'Olanda. Insieme a noi accedono alla fase finale, in ordine
di
classifica: il Giappone, l'Australia e il Canada.
Sono contenta e molto orgogliosa
della mia Clarke,
ha fatto un bellissimo torneo, senza mai risparmiarsi. L'unica nota
negativa è
che le nostre squadre si dovranno scontrare prima del previsto, per
giocarsi il
posto in finale.
Infatti, le semifinali sono
stabilite. Si incontrano
la prima e la seconda e la terza e la quarta del girone di
qualificazione. Poi
la perdente dell'incontro tra prima e seconda e la vincente
dell'incontro tra
terza e quarta si incontrano nella cosiddetta finale di recupero, la
partita
nella quale la vincente accede alla finale per l'oro e la perdente si
aggiudica
la medaglia di bronzo.
Quindi dubito fortemente che
Wanheda ci lasci
vincere facile... anche se, in tutta franchezza, non lo vorrei neanche.
Con tutti questi pensieri in
testa mi ritrovo a
vagare nei tunnel infiniti dello stadio alla ricerca disperata dello
spogliatoio. Ebbene si, sono un comandante smemorato. Infatti, dopo la
doccia
ho lasciato la giacca della tuta nell'armadietto, cosa di cui non mi
sarei
nemmeno accorta se sugli spalti non si fosse alzato un venticello a dir
poco gelato.
Sto per svoltare l'angolo quando
sento delle voci
in lontananza discutere animatamente. La curiosità
è un mio grossissimo difetto
e anche questa volta non fa eccezione. Infatti invece di continuare per
la mia
strada, rimango nascosta senza farmi vedere, affacciandomi giusto un
po’ per dare
un’occhiata e capire che cosa stesse succedendo.
Rimango di stucco quando vedo
Clarke, la mia Clarke, litigare con
il suo coach in
modo molto enfatico. Lei è di spalle non riesco a vedere il
suo viso, mentre
lui lo vedo anche troppo bene, ha quel ghigno strafottente stampato sul
viso
che mi piacerebbe tanto prendere a pugni. Provo ad origliare, ma la
lontananza
non me lo consente. Le uniche parole che riesco ad intercettare sono in
giapponese, e questo contribuisce notevolmente ad aumentare i miei
livelli di
frustrazione e preoccupazione.
Quando lo vedo prenderla per un
braccio e avvicinarsi
al suo spazio vitale faccio un passo per intervenire uscendo dal mio
nascondiglio, ma non vado oltre. Forse lui si accorge della mia
presenza – non
ne ho idea - ma
poco importa visto che
nell'istante in cui le sue labbra si posano su quelle della mia Clarke, il mondo mi crolla addosso.
Mi
ci vuole circa un secondo per correre via di lì, incurante
di farlo in modo
silenzioso. Mentre mi allontano alcune lacrime cominciano a bagnarmi il
volto ed
un senso di disperazione si fa largo nel mio cuore.
Quanto arrivo nello spogliatoio,
mi chiudo la porta
alle spalle e, facendomi cogliere da una rabbia spropositata, comincio
a
prendere a pugni l'armadietto, ma smetto dopo un paio di
colpi… il dolore, la
tristezza, l’angoscia e la delusione, sono talmente intense,
travolgenti, che
mi fanno scivolare a terra avvolta dai singhiozzi.
"Perché Clarke?
Perché mi hai fatto
questo?", mormoro tra una lacrima e l'altra.
Rimango seduta per terra con le
ginocchia strette
al petto per un tempo che non so quantificare. L'unica cosa che so
è che quando
mi rialzo, dopo aver esaurito ogni mia singola lacrima, mi sento
stanca,
spossata ed inerme.
Mi sciacquo la faccia cercando,
ingenuamente, di
lavar via anche il dolore, ma ovviamente è fatica sprecata.
Mentre strofino il
volto su una salvietta, il rumore sordo della porta che sbatte mi mette
in
allarme.
Quando mi giro mi scontro con
l'unica persona che
non avrei mai voluto incontrare.
"Signorina Woods, la stavo
cercando. Ho
bisogno di parlare con lei in merito a certi avvenimenti accaduti...",
il
suo accento giapponese lo tradisce.
Il mio lato razionale, mi dice di
lasciar perdere e
di uscire più in fretta di subito da questo
spogliatoio… purtroppo per me, dò
retta al mio lato impulsivo e rabbioso.
"Considerando il fatto che io e
lei non
dovremmo scambiarci più di un semplice saluto - tanto meno
negli spogliatoi riservati
a noi… atlete donna - deve essere una cosa di vitale
importanza?! Quindi,
evitiamo i falsi convenevoli e arrivi subito al punto coach Wanheda. La
mia
squadra mi sta aspettando", lo sprono a parlare, con un tono gelido ed
incurante, facendo fondo a tutto il mio aplomb per non saltargli
addosso e
pestarlo di botte.
"Vedo che sei una persona
diretta, tanto
meglio. Non ti dispiace se ti do del tu, vero? Beh, immagino di
no”.
‘Quest’uomo
– se così lo vogliamo definire –
è veramente impressionante, la sua arroganza
non ha limite’,
penso tra me e me.
“Dicevo…
circolano foto e voci che tu e MIA
moglie abbiate intrapreso una
relazione. Ora, oltre ad essere una cosa estremamente poco etica a
livello
sportivo, la trovo estremamente degradante per la mia persona, visto e
considerato che per lo stato giapponese siamo ancora marito e moglie.
Onestamente
non mi interessa sapere se le voci siano vere o no, il mio vuole solo
essere un
avvertimento. Sono sicuro che ci hai visto prima, quindi sai che non ti
sto
mettendo. Posso immaginare quello che ti abbia detto Clarke, ma
qualsiasi cosa
sia… devi sapere che è una bugiarda
patologica...", dice con freddezza e
disprezzo.
Sento quelle parole, assurde per
le mie orecchie, rimarcare
il fatto che Clarke sia ancora sua
moglie, l'unica cosa che riesco a fare è stringere le mani a
pugno per la
rabbia che sta imperversando dentro di me. Dio,
come lo vorrei picchiare!
Come può dire tutte
quelle menzogne su Clarke? Lei
è una persona vera, non è una bugiarda, non
può avermi preso in giro. Questa è
tutta una montatura per farmi perdere le staffe. No, non ci voglio
credere, non
è vero. Non voglio cadere nella sua trappola. Accidenti a me
e al mio essere
sbadata, se non avessi dimenticato la giacca della tuta, non sarei qui,
non
avrei visto quel dannato bacio.
Quel bacio... il bacio a cui ho
assistito, può essere
la prova per la tesi che cerca di dimostrare questo arrogante figlio di
puttana... ma se così fosse io e Clarke, il nostro
ritrovamento, le parole
dette, i sentimenti provati, il nostro amore, sarebbe tutto falso, ogni
cosa,
ogni gesto, ogni parola. E per cosa poi? Per farmi perdere la
concentrazione e
agevolare la loro vittoria in questa competizione mondiale? No, non
può essere
tutto una bugia, non può. Scuoto la testa cercando di
polverizzare tutti questi
assurdi pensieri, ma la voce di Wanheda me lo impedisce.
"Se la cosa ti può
consolare, lei è molto
brava a prendersi gioco delle persone. Non per niente è
figlia di un
personaggio che dovrebbe stare in galera per frode fiscale. Credo che
Clarke
abbia ereditato il gene da suo padre. Comunque, ti ho rubato fin troppo
tempo e
credo di aver esulato un po' dal discorso. Quello che volevo dirti -
oltre ad
augurarti buona fortuna per domani - è di stare lontano da mia moglie. Ora se vuoi scusarmi devo
tornare alle mie faccende. A
domani signorina Woods", afferma sempre più spocchioso e
sicuro di se.
"Non così in fretta
coach Wanheda", il
mio tono gelido lo fa desistere dall'andarsene.
Non ho idea di cosa mi prenda e
da dove esca tutto
questa sicurezza.
"Non le secca vero se le
dò del tu?! Beh,
oddio, ad essere onesta mi interessa proprio poco se la cosa la
infastidisce o
meno e poi come potrebbe? Tu hai appena fatto la stessa cosa! Tornando
a noi.
Punto primo. Chi ti credi di essere per venire qui ad infamarmi con
queste
accuse, eh? Tu non sai niente di me e del mio rapporto con ‘TUA’ moglie...", enfatizzo
l'aggettivo mimando con le virgolette.
"Pensavo che il Giappone - e di
conseguenza il
popolo del sol levante - si fosse evoluto e avesse abbandonato i vecchi
stereotipi tradizionalisti come quello della Geisha. Inutile dire che
mi
sbagliavo, devo ammettere che la cosa mi delude molto, ma credo che me
ne farò
una ragione. Comunque non è un segreto che io e Clarke
Griffin abbiamo un
trascorso, ma non vedo il motivo perché tu, debba infamare
me e lei per questo motivo.
Punto secondo. Non sei certo tu che puoi dirmi quello che posso o non
posso fare,
fino a prova contraria esiste il libero arbitro. O forse la vostra
monarchia
vuole impedire pure quello? Beh, se fosse così, questo
è un altro motivo per
cui sono fiera di essere americana...", dico sfoderando il mio tono
più tagliente
e acido che non ammette repliche.
Mi avvicino a lui di qualche
passo con fare intimidatorio.
"Punto terzo. Il tuo augurio puoi
infilartelo
in quel posto, visto è considerato che è fasullo
tanto quanto te. Ora, se mi
vuoi scusare o altro da fare che ascoltare un povero giapponese
represso",
continuo a parlare, dosando bene il tono di voce.
Prima di uscire dalla porta
incontro il suo sguardo
e, per mia grossa soddisfazione, la sua arroganza e strafottenza
è sparita,
lasciando posto al timore. Credo che il mio discorso abbia colto nel
segno, ed
è proprio quello che volevo, ma non è abbastanza.
Appena fuori dalla porta mi giro
un'ultima volta
per finire l'opera.
"Chatto shite kurete arigatō! (Grazie per la chiacchierata!) E buona
fortuna anche a te, Wanheda. La palla curva di Clarke va quasi sempre a
segno", mimo le virgolette
sull'ultima parola per enfatizzare il concetto.
Mi allontano in fretta, ma senza
correre. Quando
esco dai tunnel, vedo Indra e Gustus che guardano ancora la partita
sugli
spalti, ma delle mie compagne neanche l'ombra. Così, prima
di perdere tutta
l'adrenalina accumulata e crollare in mezzo a tutta quella gente. Invio
un
messaggio alla coach e mi avvio all'uscita della struttura. Chiamo un
taxi e mi
faccio portare in albergo. Fortuna vuole che mia sorella non ci sia,
domani
abbiamo l'unico giorno di riposo prima di cominciare la fase finale,
quindi
probabilmente sarà fuori con Raven e le altre a fare un giro.
Nel programma per il nostro
giorno di riposo è prevista
una visita della città, ma io non sono per niente
dell'umore. Credo proprio che
me ne starò chiusa in questa stanza d'albergo a
commiserarmi. Se è vera anche
solo un parola di quello che mi ha detto quello stronzo, Clarke mi ha
sempre
presa in giro fin dall'inizio. E anche solo il dubbio fa
male… male da morire.
"CAZZO! BASTA! Non ci voglio
più
pensare!", impreco ad alta voce.
Come un automa mi fiondo in
doccia convinta in
qualche modo di eliminare gli ultimi eventi. Mentre il getto comincia a
bagnarmi, sento le lacrime confondersi con l'acqua. Piango in modo
disperato,
come non facevo da tempo. Il pensiero va a quando avevo quindici anni e
la mia
migliore amica mi aveva appena lasciato per sparire per sempre dalla
mia vita.
Le stesse lacrime, la stessa disperazione.
*****
Non so come, ma sono riuscita a
far finta di
niente, evitando così l’interrogatorio di mia
sorella, sia la sera quando è
rientrata che questa mattina, quando voleva a tutti costi tirarmi
giù dal letto
per andare a visitare Tokyo assieme alle altre... ma a volte dimentico
il
potere della sofferenza.
Infatti, visto i postumi sul mio
viso, credo che
sia stata Anya a mollare la presa dandomi quello spazio necessario di
cui ora
ho un estremo bisogno. Credo che sia la persona che mi consce meglio in
assoluto, ieri mattina avrei detto dopo Clarke, ma ora non ne sono
più tanto
sicura.
Rimane il fatto che ora sono qui,
sola, in questa
fredda stanza d'albergo a rimuginare su tutto e su niente.
Stanotte non ho chiuso occhio. Mi
sono girata nel
letto, quasi fosse inseguita dai tutti i miei demoni. La mia
disperazione e il
mio sconforto sembrano non volermi dare tregua.
In un momento di pura follia ho
quasi pensato di
chiamare Clarke e chiederle spiegazioni, ma poi ci ho rinunciato, non
servirebbe a nulla. Ammesso e non concesso che tutte le parole - uscite
dalla
bocca di quel figlio di puttana - siano immense cazzate, rimane la
questione
del bacio. Non posso negarlo a me stessa. Lei lo ha baciato. E poco
importa se
era o meno a conoscenza della mia presenza li, rimane il fatto che le
sue
labbra hanno baciato quelle di qualcun'altro.
Continuo a perdermi nei meandri
del mio cervello
fino a che esausta non cedo alla stanchezza. Non so per quale santo in
paradiso, ma riesco a dormire quasi tutto il giorno, recuperando gran
parte
delle forze.
Dopo aver fatto la doccia ed
essere scesa per
cenare, quando rientro ritrovo mia sorella con uno sguardo truce sul
viso.
'Ecco,
ci siamo...',
penso tra me e me.
"Allora, sorellina spero che tu
oggi ti sia
riposata, perché adesso - in un modo o nell'altro - mi dirai
che cavolo ti è
successo...", il suo tono minaccioso mi farebbe ridere se fossimo in un
altro contesto, ma ora… non mi sembra proprio il caso.
Sospiro chiudendomi la porta la
porta alle spalle.
"Forse, è meglio se ti
siedi. E giuro su Dio…
che se ti sento dire - anche solo una volta - 'io
te l'avevo detto…' smetto di parlare all'istante",
stavolta sono io ad avvertirla, puntandole un dito contro.
Mentre fa il segno di resa
alzando le mani,
comincio a vuotare il sacco.
Ci vuole un bel po’ e
tutta la mia volontà d'animo,
ma riesco a non versare nemmeno una lacrima mentre le racconto per filo
e per
segno tutto quello che mi è capitato.
Alla fine del discorso
però, ho qualche segno di
cedimento.
“E questo è
quanto…”, sussurro cercando di darmi un
tono.
Mia sorella non dice una parola l’unica
cosa che fa
è abbracciarmi. Senza esitare mi nascondo tra le sue braccia
come se ne valesse
della mia vita ed inizio a tremare. Sento di nuovo gli occhi pizzicarmi
e non
mi sforzo più di trattenere le lacrime, sarebbe inutile.
Così, dò di nuovo
sfogo alla mia tristezza piangendo sulla spalla di Anya.
________
NOTE AUTRICE.
Ed eccomi qui con un nuovo capitolo.
Il casino tanto atteso è
arrivato. Le cose non si mettono
bene per Lexa, la sua sconfinata fiducia vacilla e non è
proprio il momento più
propizio considerando che ci sono le semifinali alle porte.
Voi che ne pensate? A che gioco sta
giocando Wanheda?
Vi chiedo scusa per la frase in giapponese
è frutto di
google translator.
Grazie per il supporto e per non mandarmi
a quel paese.
Un abbraccio
Lory
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
___________________________________________
Il mattino seguente arriva anche
troppo presto per
i miei gusti. La sveglia suona senza pietà. La prima gara di
semifinale è
prevista alle 9:30. Lo sfogo della sera precedente ha fatto il suo
corso,
lasciando spazio ad una rabbia sconfinata ed inusuale, almeno per i
miei
standard.
Anya, non fiata, non dice una
parola né con me, né
con le altre. Mi lascia il mio spazio ed io non potrei esserle
più grata. Ciò
nonostante sento il suo sguardo che mi segue con preoccupazione. Fa
tanto la
dura, ma sotto sotto mi vuole bene la mia sorellona. Il pensiero mi fa
sorridere e in tutto questo marasma è una piacevole
novità.
Dopo aver fatto colazione, un po'
più esigua del
solito, ci dirigiamo al campo - come una settimana a questa parte - con
il
trasporto messo a disposizione dall'organizzazione.
Rapidamente ci prepariamo
indossando la divisa e
gli spikes(*) ed entriamo in campo
per fare riscaldamento.
Solita routine, soliti esercizi,
nulla di strano.
La concentrazione prende il sopravvento, sminuendo la collera. Anche se
sono quasi
certa che si stia nascondendo da qualche parte dentro di me.
Dopo aver fatto un veloce batting
practice, ci
scaldiamo il braccio e facciamo un po' di difesa. Poi io ed Anya ci
rintaniamo
nel bullpen ed iniziamo il suo riscaldamento. Infatti
toccherà proprio a mia
sorella lanciare in questa partita. Naturalmente sono orgogliosa di
lei, ma a
volte è un po' ingestibile e quando si mette in testa una
cosa non è così
semplice farle cambiare idea.
Effettuiamo il warm-up(**) e lei sembra stranamente
concentrata, lancia le palle che le chiamo
senza protestare, il che è veramente insolito, ma non ci
faccio tanto
caso.
Quando rientriamo in campo l'aria
diventa
improvvisamente pesante. La squadra giapponese fa il suo ingresso e
tutta la
rabbia he latitava dentro di me risorge in un attimo.
Il mio sguardo corre subito su
Clarke che quando mi
vede sorride, ma io non riesco a fare lo stesso. La incenerisco con la
mia
freddezza, tanto da farle scomparire subito il buon umore. Poi i miei
occhi si
fissano su Wanheda. Anche il suo ghigno compiaciuto svanisce subito,
quando si
imbatte nella mia determinazione.
"A noi due piccolo stronzo",
sussurro tra
me e me.
Dopo gli inni nazionali e il
saluto di pre-partita
- nel quale ho evitato accuratamente Clarke - l'arbitro da inizio alla
gara.
Partiamo in difesa e non abbiamo
molti problemi a
chiudere il primo turno, Anya è partita alla grande e questo
mi fa ben sperare.
Essendo il lead-off(***)
della squadra, la prima ad entrare nel box di battuta ad
inizio partita sono io. Quindi, dopo essermi tolta l'attrezzatura di
protezione
che uso a ricevere, afferro la mazza e faccio qualche swing(****) di riscaldamento.
La lanciatrice avversaria
è proprio lei, Clarke, ma
non mi sarei aspettata niente di diverso. Il mio sguardo è
sempre più
focalizzato su quello che devo fare. Prendo il tempo sul lancio,
osservando con
cura e dedizione la sua meccanica di rilascio della palla. Quando
l'arbitro mi
chiama avanzo con passo deciso e sicuro inchiodando il mio sguardo
– freddo e
distaccato - su Clarke.
Dopo aver preso i segnali da
Gustus - il coach di
terza - mi sistemo nel box del battitore prendendo bene la distanza dal
piatto
e buttando una rapida occhiata al ricevitore Fujimoto. A volte,
conoscere la
posizione del catcher ti semplifica notevolmente la vita in battuta.
Una volta pronta, sento la voce
dell'arbitro
chiamare il 'play ball'.
I miei sensi si acutizzano, il
cuore comincia a
tampellarmi nel petto come un tamburo, ho l'adrenalina a mille. Il mio
sguardo
è fisso su Clarke, o meglio… sulla sua mano di
lancio, dove a breve vedrò
comparire quella palla gialla che dovrò colpire con tutta la
mia forza.
Cerco di regolarizzare il respiro
ed un proiettile
giallo passa radente il mio colpo.
"Ball, inside", sento la voce
dell'arbitro giudicare il lancio.
Quando Fujimoto restituisce la
palla a Clarke butto
l'occhio verso Gustus, il segnale è sempre quello: battere
forte. E così ho
intenzione di fare.
'La
prima palla che mi ha tirato è stata una veloce che non
è entrata nel filo
interno, io chiamerei una curva o un rise adesso',
penso preparandomi al prossimo lancio.
La vedo rilasciare la palla e
l'effetto è
straordinario. ‘Una curva’,
ottimo
penso. Adoro le palle curve da battere. Sento i muscoli tendersi,
comincio a
girare la mazza anticipando la sua direzione in modo da colpirla e
mandarla
dove voglio. Al momento dell'impatto sento una scarica
d’adrenalina irradiarmi
tutto il corpo. Le mie gambe, i miei fianchi seguono lo giro di mazza
dando
alla battuta una maggiore potenza.
Batto una linea che fischia ad un
soffio dal viso
di Clarke. Lei fa in tempo a mala pena a spostarsi per non prenderla in
faccia,
facendo passare la mia battuta bucando così la difesa.
Intanto, io non perdo
tempo. Getto la mazza per terra e comincio a correre come il vento.
Passo la
prima base senza problemi quando raggiungo la seconda, vedo l'esterno
centro correre
per prendere la palla, così guardo Gustus che mi fa cenno di
proseguire, arrivo
sulla terza e lui continua a sbracciarsi per farmi proseguire. Corro,
come se
avessi le ali hai piedi, verso casa base. Lì nei pressi del
piatto, vedo
Fujimoto pronta a ricevere la palla per poi toccarmi ed eliminarmi. Non
sarà un
arrivo facile, ma sono intenzionata a segnare. Mentre corro verso casa
butto un
sguardo verso Clarke ed una rabbia impressionante torna a farsi largo
dentro di
me. Scivolo per conquistare il punto, ma lo scontro con il ricevitore
è duro,
forse troppo. Lei nella toccata perde la palla e l'arbitro mi giudica
salva.
L'arrivo è stato
stretto, ma la rabbia mi ha spinto
ad entrare duramente e questo non è da me. Se l'arbitro
avesse percepito la mia
piccola forma di dolo, avrebbe potuto espellermi.
Mi rialzo scrollandomi la terra
rossa dalla divisa.
E mi scuso subito con il ricevitore, che accusa il colpo.
Al mio gesto sento lo sguardo di
Clarke bruciarmi
addosso. Quando incrocio i suoi occhi sono sgranati ed increduli, ma so
benissimo che quella espressione sbigottita non sia per il punto
subito, ma piuttosto
per il mio comportamento al limite del legale. Infondo la mia battuta
poteva
farle male, male sul serio. Per non parlare dello scontro con Fujimoto.
In tutto il mio rimuginare,
mentre sto rientro nel dugout,
sento la voce della coach Anderson richiamare l'attenzione dell'arbitro.
"Arbitro, tempo! Ho una
sostituzione",
sento solo dire prima che la sua voce scemi in lontananza.
Quando Indra entra in panchina
è fumante di rabbia
e, purtroppo, credo di sapere chi l’abbia causata.
"Woods puoi andare a farti la
doccia. Blake
entri al suo posto!", esclama con quel tono che non ammette repliche.
Nel dugout non vola un mosca. Io
prendo il mio
guantone e la mia giacchetta e lascio la panchina per dirigermi negli
spogliatoi.
Non avrebbe avuto senso
obiettare. Il mio
comportamento è stato pessimo, mi sono lasciata guidare
dalla rabbia e non
avrei mai dovuto, soprattutto considerando l'importanza della gara.
Impreco contro me stessa per
essere stata così
stupida. Per quanto io possa essere arrabbiata con Clarke, per quello
che mi ha
fatto, non dovevo arrivare a tanto. Le ho
quasi fatto del male fisico e perché cosa?
Mi infilo sotto la doccia
cercando di sgombrare la
mente. Rimango sotto il getto per un tempo che non riesco a
quantificare.
Ovviamente mi perdo l'intera
partita e forse è
meglio così. Non sarei riuscita a guardare in faccia nessuna
delle mie
compagne, per non parlare delle mie avversarie.
Finito di vestirmi esco dallo
spogliatoio, proprio
quando gli schiamazzi delle mie compagne mi fanno sussultare.
"Lex, siamo in finale!", urla mia
sorella
venendomi ad abbracciare.
"Sono... contenta", riesco a
balbettare
timidamente.
"Anche senza di te, comandante,
siamo riuscite
ad imporci... 4 a 1", enfatizza Rae.
"Sì effettivamente,
è stata una bella partita.
Io sono riuscita a fare anche un doppio. Tu come stai piuttosto?", mi
chiede Costia.
"Meglio. Grazie Cos...", sussurro
appena.
"Ragazze, mi volevo scusare con
tutte voi per
il mio comportamento. Forse la tensione mi ha dato alla testa",
continuo a
dire ancora mortificata dall'accaduto.
"Vi prometto che non
capiterà più!",
affermo con più convinzione.
"Ci puoi giurare comandante.
Anche perché
ricevere tua sorella è veramente un lavoraccio… e
te lo lascio più che
volentieri", puntualizza Octavia strappandomi un sorriso.
"Ehi, non mi sembravi poi
così contrariata
quando abbiamo eliminato al piatto l'ultima giapponese?", obietta
impettita Anya.
Il teatrino scatena una risata
generale allentando
tutta la tensione accumulata.
Dopo qualche altra chiacchiera,
saluto le ragazze e
vado alla ricerca della coach Anderson. La mia ricerca dura poco, visto
che
svoltato l'angolo la trovo ad aspettarmi con il suo sguardo truce e
severo
stampato sul volto.
"Non ci sono scuse per il mio
comportamento
coach. Le prometto che non accadrà più", dico
volendo anticipare il suo
rimprovero.
"Lexa, non ti voglio mentire, mi
hai
fortemente deluso. Quello che hai fatto è molto grave. Io
non ti ho insegnato a
giocare in quella maniera. La sportività e il rispetto sono
alla base di ogni
sport e un'atleta - degno di questo nome - non può
atteggiarsi in maniera
differente, è un modo di rapportarsi, una pratica necessaria
per essere un
persona migliore… sono regole che vanno sempre rispettate!",
le sue parole
colpiscono duro, aumentando notevolmente il mio rammarico e il mio
senso di
colpa.
Rimango in silenzio con la testa
bassa aspettando
con pazienza il coraggio di replicare, ma Indra non me ne dà
la possibilità.
"Ora, non so bene cosa ti sia
successo, ma
vedi di risolvere qualsiasi problema tu abbia. Domani, in finale, ti
voglio al
massimo. Nonostante il tuo comportamento non voglio escluderti. In
fondo è
anche merito tuo, se alla fine siamo arrivate fin qui. Ma bada Lexa...
cerca di
non farmi pentire della mia decisione”.
"Grazie coach, farò di
tutto per non
deluderla", le dico cercando di essere convincente.
"Adesso va… vai a
riposarti. Oggi è meglio che
non rimani qui, allo stadio".
Le faccio un cenno di saluto
dirigendomi verso
l'uscita della struttura.
Quando sto per uscire sento una
voce famigliare
urlare proprio dietro l'angolo. Curiosa mi affaccio e, anche se non
dovrei,
origlio.
"Adesso mi dici che cazzo hai
combinato?".
"Clarke, prima cosa smettila di
urlarmi
contro, seconda cosa… non so davvero di cosa diavolo tu stai
parlando. Sto
semplicemente tirando l'acqua al mio mulino. A mali estremi, estremi
rimedi", ribatte con la voce più irritante del solito, quel
verme di
Wanheda.
"Sì, come no. Tu sei
il solito innocente...",
sbuffa contrariata Clarke.
"Adesso piantala e vai a
riposarti. Abbiamo
un'altra gara nel pomeriggio e se fossi in te ce la metterei tutta. Ti
ricordi
cosa succederà se non arriviamo in finale, vero?".
Non
capisco, che cosa possa succedere se il Giappone non arriva in finale?
L’harakiri mi risulta essere una pratica per i samurai, non
per le giocatrici
di softball.
"Certo che me lo ricordo Akira,
non fai altro
che ricordarmelo!", sbotta sempre più alterata Clarke.
La vedo allontanarsi a grandi
passi, subito seguita
da Wanheda, li guardo scomparire fino a che non sento lo sbattere forte
di una
porta.
Rimugino per un attimo sulla
conversazione appena
udita, anche se mi ha incuriosito, decido di non darci poi
così tanta
importanza.
Ho bisogno di rilassarmi,
riposare e di staccare la
presa e, pensare a qualunque cosa riguardi Clarke, non è
salutare… ne tantomeno
rilassante.
Chiamo un taxi e mi faccio riaccompagnare in
albergo. Non ci metto molto a ritrovarmi con la faccia schiacciata
contro il
cuscino e ci metto ancora meno a farmi abbracciare da Morfeo in un
sonno
incredibilmente calmo e tranquillo.
(*) Gli Spikes
sono le tipiche scarpe sportive, utilizzate dalle giocatrici di
softball, dotate di tacchetti in metallo sulla suola per evitare di
scivolare sul campo da gioco.
(**)
Il Warm-up
è riscaldamento pre partita. Generalmente la batteria si
prende 20-30 minuti per scaldare il braccio del lanciatore provando, in
quel lasso di tempo, tutti gli effetti.
(***)
Il Lead-off
è il primo battitore nell’ordine di battuta ad
entrare nel box, la sua caratteristica principale è quella
di essere molto veloce e di aver un maggior numero di arrivi in base.
(****)
Lo Swing
è il giro di mazza, che il battitore effettua per colpire la
palla.
___________
NOTE
AUTRICE.
Ed
eccomi qui, con un nuovo capitolo.
Lo
scontro tanto atteso sembra leggermente tosto. Lexa ha dato ascolto
alla sua rabbia e questo la reagire in un modo un pochino fuori dai
suoi standard (per usare un eufemismo).
Intanto
volente o nolente gli Stati Uniti sono in finale, mentre il Giappone
dovrà sconfiggere l’Australia per aggiudicarsela.
A
giudicare dall’ultima conversazione origliata tra Wanheda e
Clarke qualcosa sotto c’è… ma cosa?
Voi
che ne pensate? Cosa ci sarà mai sotto? Vi è
piaciuto il capitolo?
Mancano
solo tre capitoli alla fine, nel prossimo molto cose saranno
più chiare e altre no.
Grazie
mille per il vostro supporto.
Un
abbraccio
Lory
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
___________________________________________
Non so bene quanto tempo rimango
avvolta in quel
sonno, ma so che quello stato di temporanea tranquillità e
rilassatezza
svanisce in un secondo quando la voce, stridula e perseverante, di mia
sorella
decide di irrompere nella mia quiete.
"Coraggio bella addormentata,
è ora di alzarsi
sono già le nove di sera passate...".
'Le
nove di sera?',
ripeto mentalmente ancora incredula di aver
dormito tanto.
"Eh già... magari
stavi aspettando il bacio
della tua principessa per svegliarti...", continua provocandomi.
"Anya, piantala di dire
fesserie!", la
rimprovero per la sua battuta fuori luogo.
"Piuttosto... come
è... chi...", balbetto
non riuscendo a finire la frase.
"Beh, nonostante sia
terribilmente incazzata
con lei, per quello che ti ha fatto, devo ammettere che ha lanciato una
signora
partita contro l'Australia... e...", mi tiene sulle spine con un
sorriso
divertito sulle labbra.
Accidenti
a te e alle tue dannate pause Anya, ti odio quando fai così!
"E?"
"Il Giappone ha battuto
l’Australia all'ultimo
inning 4 a 3. Domani ce le ritroveremo in finale, per tua somma gioia".
Sento le parole di mia sorella,
valutando di non
rispondere alle sue provocazioni… non avrebbe senso.
Nonostante quello che è
successo sono contenta per Clarke, se lo merita, anche lei ha fatto dei
sacrifici per arrivare fino a qui ed è giusto che abbia la
sua ricompensa.
Ripenso alla conversazione
origliata di sfuggita
ieri. Le parole pungenti di Wanheda che avvertivano, o meglio
minacciavano,
Clarke. Sul momento non ci ho dato peso, o meglio… volevo
assolutamente
sgombrare la mente e passare oltre, soprattutto dopo il mio
comportamento, ma
analizzando bene le parole di quello stronzo, sembra lampante che ci
sia
qualcosa sotto. Cosa sarebbe successo se
Clarke non avesse vinto la finale contro l'Australia?
La mia mente comincia a fare dei
voli pindarici.
Penso ad un complotto, ad una falsa, ad un ricatto, solo per difendere
l'onore
della mia bionda, ma poi le
immagini
del bacio con il suo presunto ex marito e le parole acide e velenose
dello
stesso subdolo uomo ritornano ad echeggiare nella mia testa, scatenando
di
nuovo quel risentimento e quel dolore per un attimo assopito.
"Terra chiama Lexa, terra chiama
Lexa…
rispondi Lexa", vedo la mano di mia sorella muoversi davanti alla mia
faccia per ridestarmi dai pensieri.
"Che c'è?", replico
più acida del dovuto.
"Beh, pensavo ti fossi
riaddormentata... con
gli occhi aperti questa volta!", esclama mettendosi a ridere.
"Divertente An, molto
divertente".
"Io lo trovo divertentissimo.
Anche se
ultimamente sei un bersaglio troppo facile. Comunque sorellina, le
ragazze si
riuniscono nella hall, per festeggiare la finale...", la guardo storta
sapendo benissimo come finiscono sempre le loro feste.
"Non guardarmi così.
Parteciperà anche lo staff
tecnico, quindi anche Indra, Gustus, Jasper e Monty. Quindi
sarà una cosa molto
controllata e soprattutto priva di alcool. Anche se una scossa alcolica
secondo
me ti farebbe bene...", dice mentre si prepara ad uscire.
Scuoto la testa per le sue
continue prese in giro.
Mia sorella non cambierà mai, ma in fondo le voglio bene e
so che la cosa è
reciproca.
"Comunque non insisto Lex, se te
la senti noi
siamo giù... io vado", dice aprendo la porta e salutandomi.
Mentre la saluto, mi alzo per
andare in bagno, ma
mi blocco di colpo sentendo di nuovo le parole di Anya.
"O forse no... e tu che diavolo
ci fai
qui?", la sento dire.
"Devo parlare con Lexa...", sento
la sua
voce è perdo un battito.
"Clarke, credo che tu abbia
già fatto
abbastanza danni. E, onestamente, non mi sembra proprio il caso che tu
ne
faccia altri… e potrebbe succedere solo quello se tu, ora,
parlassi con mia
sorella... e poi scusa, mi sembra che sia contro il regolamento del
torneo, o
sbaglio forse? Non fraternizzare con le avversarie", le sciorina ogni
singola parola con astio e acidità.
'La
modalità protettiva di sorella maggiore è attiva
e pungente…',
penso tra me e me. Sorriderei se non fossi completamente paralizzata
dalla
situazione.
"Non me ne frega un cazzo del
regolamento
Anya. L'unica cosa di cui mi importa è Lexa. Voglio chiarire
alcune cose. Il
fatto che oggi mi abbia quasi staccato la testa e il suo atteggiamento
in
campo, mi hanno fatto pensare che ci sia qualcosa che non vada... e
purtroppo
temo di conoscerne benissimo la ragione", ribatte alzando la voce.
"Clarke...", prova di nuovo mia
sorella,
ma io non la lascio finire.
"Anya, va bene, falla entrare",
le dico
quasi apaticamente.
Mia sorella si scosta e la fa
entrare. Lo sguardo
deciso di Clarke mi fa tremare. Per un attimo penso che non sia stata
poi una
grande idea quella di acconsentire a parlarle, ma poi il momento di
disagio se
ne va lasciando spazio alla collera che, purtroppo, trova terreno
fertile.
Mi lascio guidare dal
risentimento e dal dolore. I
miei occhi diventano freddi e distanti, sembrano volerla punire per
quello che
mi ha fatto. E forse è veramente così.
Mi sento così tradita
da lei. Non so più se credere
alle sue parole. Non so se mi abbia preso in giro tutto questo tempo,
non so se
quando ha detto di amarmi lo provava veramente e tutti questi dubbi mi
fanno
male, un male assurdo. Vederla baciare il suo ex - o quello che
è - è stato un
colpo al cuore. L'evidente realtà che mi ha svegliato da un
bellissimo sogno.
"Come vuoi Lex, ma credo che
rimarrò ad assistere...
non voglio più doverti raccattare con il cucchiaio", afferma
mia sorella
fulminando la bionda.
Clarke sgrana gli occhi forse
incredula nel sentire
quelle parole sputate addosso con acido risentimento.
"An, tranquilla, è ok.
Vai pure a divertirti.
Io ti raggiungo fra poco. Penso che non ci metteremo molto", le dico
addolcendo il tono come a volerla rassicurare.
Bofonchia il suo dissenso per un
po', ma poi cede e
ci lascia sole.
Il silenzio cala nella stanza,
l'unica cosa che si
sente sono i nostri respiri. Continuiamo a fissarci intensamente, quasi
volessimo leggerci l'un l'altra, ma quello che troviamo è
solo una barriera che
ci separa.
Non sopportando più
questo disagio - a tratti
imbarazzante e scomodo - mi volto verso la finestra allacciando le mani
dietro
la schiena. Non esito un istante di più, apro la bocca e le
dò fiato.
"Volevi parlarmi? Parla, ti
ascolto!",
dico lapidaria.
Sento i suoi sospiri riecheggiare
nella stanza, la
tentazione di girarmi per poterla guardare ancora negli occhi
è tanta, ma non
cedo. Ho paura che il suo sguardo mi legga dentro, legga i miei dubbi,
i miei
tormenti e non lo sopporterei, non un'altra volta. Mi sono
già fatta prendere
in giro abbastanza da lei e dal suo presunto ex marito.
"Che cosa ti ha detto Akira?", mi
domanda
con titubanza.
"Chi? Intendi dire tuo marito?",
la
sbeffeggio girandomi a guardarla.
"Il mio ex", puntualizza.
"Beh, Clarke, credo che dovresti
parlare con
lui e chiarire un po' la vostra posizione. Non per smontare la tua
tesi, ma
vedi... lui sostiene di essere ancora tuo marito e non è
questa la cosa
peggiore... mi ha detto, in modo convincente, che il tuo
riavvicinamento a me
sia stato solo una falsa, volta - solo ed esclusivamente - a distrarmi
dalle
Olimpiadi", le spiego continuando a deriderla in modo quasi offensivo.
Per un attimo il suo sgomento la
lascia senza
parole, ma il coraggio che da sempre la contraddistingue la obbliga a
difendersi.
"E tu gli hai creduto?".
"Diciamo che questa conversazione
ha solo
buttato benzina sul fuoco. Ha confermato solo quello che ho visto con i
miei
stessi occhi...", le grido contro, quasi infastidita dalla sua
negazione
dell'evidenza.
La sua espressione confusa
è quasi esilarante. Davvero non ha
idea di quello a cui mi
riferisco? O fa solo la finta tonta?
"Ti ho vista Clarke... ti ho
vista mentre lo
baciavi...", mormoro con rabbia.
"Stavo uscendo da quel dannato
spogliatoio,
quando ho sentito delle voci discutere... sono stata sempre una persona
curiosa
- cosa che maledirò per sempre da questo momento in avanti -
così mi sono
affacciata e vi ho visto parlare... ovviamente non ho capito nulla, del
giapponese conosco solo poche parole e credo che a questo punto sia
meglio
così... ma so cosa ho visto. Vi siete baciati e questo ha
fatto male,
terribilmente. E ammettiamo, per assurdo, che tutte le parole del tuo
caro
Akira fossero solo menzogne, nella mia mente rimane il fatto che tu lo
abbia
baciato. E per quanto abbia provato a giustificare la cosa non ci
riesco,
quello che so è che mi sento tradita… tradita da
te, Clarke", le parole mi
escono dalla bocca senza controllo anche se la rabbia si tramuta via
via in un
dolore lancinante.
Mi volto di nuovo verso la
finestra per non cedere
alle emozioni che mi stanno travolgendo. Non voglio farmi vedere
debole, non
devo. I miei occhi cominciano ad inumidirsi, ma trattengo le lacrime,
non
voglio cedere di nuovo al pianto.
Sento i suoi passi e, anche se
non la vedo, lo so
che si sta avvicinando. Vorrei mantenere le distanze, ma non riesco a
muovermi.
"Impulsiva come sei non posso che
giustificare
il tuo comportamento di oggi... anche se, in tutta franchezza, non lo
condivido...", sospira mentre mi affianca, perdendosi con lo sguardo
all'orizzonte, proprio come me.
"Avresti dovuto affrontarmi.
Chiedermi cosa
diavolo stesse succedendo, invece di rovinare la tua reputazione con
quella
pagliacciata in campo", il suo tono rabbioso scema in uno arreso,
facendomi pentire di ogni mia singola azione.
Ha ragione lei. Avrei dovuto
parlarle e non saltare
subito alle conclusione. Mi sono comportata da immatura, non ho
guardato oltre
il mio naso. Anche se l'evidenza dei fatti sembra essere lampante,
Clarke
meritava il beneficio del dubbio.
"A questo punto non so se abbia
più senso
dirti quello che sia veramente successo, non penso crederesti ad una
mia
singola parola...", dice sempre più arresa.
"Mettimi alla prova", dico di
getto,
voltandomi verso di lei.
Chiude gli occhi sospirando
pesantemente, come se cercasse
le parole per iniziare.
"Le cose hanno cominciato ad
essere tese
quando sono rientrata in Giappone la prima volta, dopo il raduno.
L'uscita
della foto ha scatenato una specie di caos generale. Onestamente non so
davvero
cosa diavolo sia preso ad Akira. È sempre stata una persona
gentile, a modo, un
po' con tutti, ma soprattutto con me. Il nostro rapporto è
sempre stato basato
su un reciproco accordo: nessun coinvolgimento emotivo. Siamo sempre
stati
buoni amici, ma qualcosa in lui è cambiato. Non so cosa
l'abbia fatto scattare.
Forse i ritmi serrati, le esigenze del management della squadra, le
pressioni
del governo per la competizioni olimpica, ma è diventato
un'altra persona,
aggressiva e subdola. Non so, magari il fatto di vedermi felice ha
innescato
una specie di ossessione morbosa nei miei confronti. Non lo so
veramente. So
solo che ha oltrepassato ogni limite... con te dicendoti solo Dio sa
che cosa e
con me facendomi... quello che mi ha fatto...".
Vengo rapita dalle sue parole
dette d'un fiato.
L'idea che possa essere tutta una menzogna, non mi passa neanche per
l'anticamera del cervello. Posso sentire il suo rammarico - a tratti la
sua
umiliazione - in ogni sillaba pronunciata con voce tremante ed incerta.
Vorrei
dissipare il suo tormento con un gesto o una parola di conforto, ma non
saprei
cosa fare. Credo che a soffrire non sia stata solo io in tutta questa
storia.
Continuo ad osservarla senza dire nulla. Ha ancora gli occhi chiusi e
continua
a sospirare, come se il mondo le gravasse sulle spalle.
"È vero, l'ho baciato.
I tuoi occhi non ti
hanno ingannato...", afferma aprendo di scatto i suoi ricercando subito
i
miei.
"E a conti fatti lo rifarei...",
a quelle
parole vedo una lacrima rigarle il volto.
‘Diamine
perché?’, continuo a chiedermi.
(continua…)
___________
NOTE
AUTRICE.
Ciao
a tutte. Rieccomi qui di nuovo.
Lo
so che ora mi odiate, effettivamente troncare il
capitolo così non è stato molto bello, ma
è stato quasi necessario.
Comunque
il chiarimento è in corso, voi che ne
pensate? Per quale assurda ragione Clarke ha baciato Akira, e sarebbe
disposta
pure a rifarlo?
Siamo
a meno 2 e anche questa avventura sarà
finita, devo ammettere che un po’ mi dispiace.
Grazie
per il vostro sostegno, come sempre vitale.
Un
abbraccio.. e buona festa della donna 😉
Lory
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
___________________________________________
Dal
capitolo precedente:
"È
vero, l'ho baciato. I tuoi occhi non ti hanno ingannato...", afferma
aprendo di scatto i suoi ricercando subito i miei.
"E a
conti fatti lo rifarei...", a quelle parole vedo una lacrima rigarle il
volto.
‘Diamine
perché?’,
continuo a chiedermi.
******
"Mi ha detto che
ti avrebbe rovinato la carriera se non lo avessi
fatto... ed io non potevo di certo permetterlo. So quanto ci tieni al
softball...".
'Tengo
più
a te..', sussurro nella
mia mente incapace di dirlo a voce alta.
"Nonostante
tutto, quando ho sfiorato le sue labbra non ho
resistito a lungo e l’ho respinto l'istante seguente. Il
disagio e il senso di
colpa mi hanno travolto in un attimo. Ed è stato in quel
momento che mi ha
detto dell'accordo che aveva stipulato con il management a mia
insaputa".
"Che accordo?",
mormoro quelle parole senza nemmeno ragionare
sul resto.
"Beh, il carico
da undici... se non fossimo arrivate in finale per
qualsiasi ragione, il mio contratto sportivo mi vincolava a stare in
Giappone
per altri tre anni. E ti assicuro che il regime nipponico è
veramente ferreo.
Non sono concesse rescissioni dei contratti, a meno che tu non deceda",
afferma arresa per essere stata risucchiata in questo calderone
dittatoriale.
Rimango
inorridita e scioccata. Adesso è tutto più
chiaro, persino la
conversazione che ho sentito oggi prima di lasciare lo stadio. Ho
sempre
pensato che quel Wanheda fosse un bastardo, inutile dire che avevo
ragione.
Sto per dire
qualcosa, ma le parole mi muoiono in gola, l'intera
faccenda è più grossa di quello che mi aspettassi
e non so cosa fare o cosa
dire per rimediare al mio comportamento da bimba capricciosa.
"Pensa, durante
la preparazione per le Olimpiadi avevano parlato
persino di doping. Io mi sono sempre rifiutata, lo sai come la penso a
riguardo... ma hai visto il fisico delle mie compagne? Beh, non so
proprio se
loro la pensino come me", continua a dire riportando lo sguardo sulla
finestra.
"Non so
veramente che dire...", mi lascio sfuggire sopraffatta
dall'intera situazione.
Clarke si gira
verso di me obbligandomi a fare la stessa cosa. Mi perdo
nel suo azzurro, velato dalle lacrime e mi maledico per aver pensato,
anche
solo un'istante, che il nostro amore fosse solo una bugia.
"Dimmi che mi
credi... e che...".
"Ti amo Clarke",
sussurro non lasciandole finire la frase.
"Ti credo... non
avrei mai dovuto dubitare di te... sono stata una
stupida... ti prego, perdonami", sospiro ad un soffio dalle sue labbra.
"Stupida, eh? Ti
amo Lexa, ti ho sempre amato e credo proprio che
ti dovrai rassegnare... perché ti amerò per
sempre", mormora sfiorando le
mie labbra con le sue.
Sorrido contro
la sua bocca mentre il bacio diventa sempre più esigente.
Ci lasciamo trasportare dal nostro sentimento che ci culla e ci avvolge
completamente
escludendo il mondo intero. Siamo solo noi due. Due semplici ragazze
che si
amano l'un l'latra e che troppe volte sono state boicottate dagli
eventi della
vita.
Probabilmente
non dovremmo, lo so, sono consapevole che stiamo
infrangendo le regole, ma non mi importa. Ora è di questo
che ho bisogno... di
lei, ho bisogno del suo amore, ho bisogno di amarla.
"Resta con me
stanotte?", sussurro appena.
"Credevo non me
lo chiedessi più", sorride spingendomi
all'indietro.
Mi ritrovo ad
indietreggiare finché non sento una superficie sbattere
contro le mie gambe. Stacco velocemente le labbra dalle sue per vedere
dove
siamo finite. Quando guardo in basso trovo il letto e senza
accorgermene mi
ritrovo distesa sul materasso con Clarke a cavalcioni su di me.
L'attiro a me
bisognosa di catturare nuovamente le sue labbra in un
bacio appassionato, inizia ad ondeggiare il bacino spingendo la sua
intimità
contro la mia. E la stanza riecheggia dei nostri gemiti incontrollati.
Facciamo l'amore
concedendoci più volte l'una all'altra.
Mi lascio
travolgere da Clarke e dal nostro amore raggiungendo più
volte
il cielo con un dito. Finché esausta non cado addormentata
tra le sue braccia.
****
Mi sveglio la
mattina seguente e di Clarke non vi è traccia. Per un
secondo penso che la notte scorsa sia stata solo frutto della mia
fantasia, ma
poi noto che sono completamente nuda sotto il lenzuolo e che sul
comodino c'è
un foglio di carta ripiegato con su scritto il mio nome.
Anya russa al
mio fianco, non ricordo nemmeno di averla sentita
rientrare. Senza fare troppo rumore afferro il biglietto e lentamente
lo apro.
Quasi avessi timore di leggerlo.
‘Buongiorno
amore mio,
mi
dispiace non essere lì, ancora stretta tra le tue braccia,
per risvegliarmi
insieme a te, ma sono dovuta rientrare. Anche se abbiamo infranto le
regole,
non potrei essere più felice di aver vissuto questo momento
insieme. Sai, non
vedo l’ora che arrivi stasera, che questa dannata olimpiade
finisca. Ho voglia
di urlare al mondo che ti amo, di gridare a tutti che sei la mia
ragazza,
l’amore della mia vita. Dopo stasera, finalmente, saremo
libere di stare
insieme, ovviamente fino a quando tu non ti stancherai di me. Dio, non
sai
quanto avrei voluto svegliarti con un bacio, invece di sgattaiolare via
come
una ladra, ma dormivi talmente bene che non me la sono
sentita… e poi
conoscendomi, con te sveglia, non sarei più riuscita ad
andarmene. Così mi
ritrovo a scriverti questo biglietto, che sta diventando più
l’enciclopedia
Treccani, per ricordarti ancora una volta che sei la persona
più importante
della mia vita. Ti amo da morire e, non mi importa se la vita ci
metterà ancora
i bastoni tra le ruote, sono sicura che riusciremo a superare ogni cosa
stando
unite. Adesso e meglio che ti saluti sul serio. Sono certa che non ne
avrai
bisogno amore mio, ma ti faccio il mio più grande in bocca
al lupo per oggi.
Metticela tutta amore mio, io farò lo stesso. Ricordi la
scommessa? Immagino di
sì. Allora che vinca la migliore.
Tua per
sempre.
Clarke’
Sorrido
soffermandomi sull’ultima frase.
“Anche
io sono tua Clarke adesso ne ho la certezza…”,
sussurro a me
stessa.
Con una
ritrovata energia mi avvolgo il lenzuolo al corpo e sgattaiolo
in bagno per la mia routine mattutina. Oggi è un grande
giorno. L’idea di
coronare finalmente il mio sogno di conquistare una medaglia olimpica
mi
elettrizza, ma non è questo a farmi esplodere di
gioia… è Clarke il motivo
della mia immensa felicità. Il fato ci ha voluto separare
quando non sapevamo
ancora cosa significassimo l’una per l’altra, ma
poi ci ha fatto rincontrare e
questo mi dà speranza. Sono stanca di sopravvivere voglio
vivere, ed è tempo di
farlo con Clarke.
“Amore
mio preparati, non sarà per niente facile battermi, ho
intenzione
di vincere la scommessa”, sussurro alla mia immagine riflessa
nel vetro.
“Lexa,
ma con chi stai parlando? Ti muovi?! Devo venire in bagno”,
sento
Anya urlare dalla stanza interrompendo i miei vaneggiamenti.
“Con
nessuno, non parlo con nessuno. Adesso esco”, replico
cercando di
sbrigarmi.
“Perfetto…
mia sorella è pazza!”, la sento brontolare.
Eh
già
sister sono pazza, pazza d’amore per la mia bionda.
****
La giornata
scorre veloce, contrariamente alle mie aspettative. Indra ci
tiene impegnate tutto il giorno. Prima con un leggero allenamento poi
con delle
riunioni tattiche.
La mia
concentrazione è a mille, anche se sono tesa ed agitata in
attesa
di cominciare la finale. Ci manca poco, infatti siamo già
tutte pronte e fra
poco metteremo i piedi sulla terra rossa.
Indipendentemente
dal tipo di partita o dalla sua importanza, sono
sempre nervosa prima di una gara. L'emozione e la foga di far bene
prendono il
sopravvento producendomi una scarica di adrenalina esagerata. Oggi
però, tutto
questo groviglio di eccitazione è ad un livello che fatico a
contenere.
Ovviamente, non
so come andrà a finire, ma la sensazione che questo
momento chiuderà un'epoca è impresso a chiare
lettere nella mia testa. Quello
che verrà dopo nessuno può saperlo, ma il solo
pensare al mio futuro con Clarke
mette il resto in secondo piano. Lei è quello che voglio e
che è sempre mancato
nella mia vita: il mio unico e vero amore.
"Lex
è il momento, smettila di sognare ad occhi aperti...", in
modo burbero Anya mi riporta con i piedi per terra e, anche se odio
quando fa
così, la ringrazio mentalmente per avermi ricordato che
abbiamo una partita da
vincere.
Chiamo a
raccolta le ragazze e comincio a parlare.
"È
inutile che vi dica cose ovvie, siamo in finale ragazze, dopo
molte fatiche abbiamo raggiunto insieme questo traguardo. Ora, non ci
rimane
che una cosa da fare... far vedere al mondo quanto sono toste le
ragazze
americane. Siete con me?".
Un urlo carico
di assenso si leva nello spogliatoio.
"Woods, mi hai
tolto le parole di bocca...", la voce
orgogliosa della coach Anderson mi coglie di sorpresa.
"E ora ragazze.
In campo...", aggiunge poi.
Gli schiamazzi
continuano ancora per qualche istante, giusto il tempo di
prendere l'attrezzatura e lasciare lo spogliatoio.
___________
NOTE AUTRICE.
E poi ditemi che non vi voglio bene eh?! Eccoci al
penultimo capitolo. Fra un po’ ci liberemo anche di questa
storia sob :(!
Comunque ridendo
e scherzando abbiamo chiarito il misunderstanding e
abbiamo capito le ragioni di Clarke.
Domanda voi come
vi sareste comportate al posto di Clarke?
Ridendo e
scherzando siamo arrivati alla finalissima. Pronte per il vero
scontro finale?
Grazie come
sempre a tutte voi che continuate a seguirmi.
Un abbraccio.
Lory
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
___________________________________________
Quando metto piede in campo noto
subito lo stadio
pieno. Migliaia di persone urlano e ci acclamano. Il frastuono
è talmente
intenso che mi stordisce. Così, immediatamente, decido di
mettermi in modalità
partita ed escludere il mondo, attingendo dalla mia concentrazione per
non
farmi distrarre dal pubblico.
Tuttavia quando le giapponesi
fanno il loro
ingresso sulla terra rossa, non posso fare a meno di cercare Clarke e,
quando
trovo i suoi occhi cercare i miei, senza pensarci troppo, le sorrido.
Il nostro
momento dura poco, ma la consapevolezza che ne avremmo molti altri mi
fa
esplodere di gioia.
Finito il riscaldamento sento il
mio cuore battere
come un forsennato. Ci siamo, si comincia. Inni nazionali, saluto e poi
il play
ball.
Anche questa volta cominciamo in
difesa, ma questa
volta nel cerchio di lancio ci sarà Kelly. Una tattica ben
congegnata dalla
coach Anderson. Le nostre avversarie hanno giocato una partita in
più e quindi
sono più stanche, alla battuta saranno più
impulsive e meno riflessive. Kelly è
una lanciatrice molto veloce e di potenza, con cui le asiatiche non si
sono
ancora scontrate, quindi le possiamo indurre più facilmente
a girare la mazza,
ma non credo faranno molte valide.
Gli inning si susseguono veloci.
Il punteggio è
ancora 0-0. Siamo alla fine del quarto, a metà partita.
Raven in battuta e
Clarke nel cerchio di lancio. I suoi lanci ci hanno tenuto a zero fino
adesso,
non abbiamo visto palla, ma si vede che comincia ad accusare la fatica.
La
conosco bene e quando comincia a perdere tempo tra un lancio e l'altro
e segno
che stia centellinando le forze.
Prima palla: strike in mezzo al
piatto. Seconda:
ball esterna. Terza palla: un bellissimo rise che Rae gira a vuoto. La
quarta
palla arriva e l'arbitro la giudica troppo interna. Clarke ha
rischiato, le
palle interne sono quelle che Rae preferisce. Le lancia un altro ball
portandosi sul conto pieno: 3 ball e 2 strike.
La prossima palla è
decisiva. Clarke rilascia la
palla e vedo la scena come se fosse a rallentatore. Potrei sbagliare,
ma mi
sembra una veloce interna, Raven gira la mazza e piazza una rimbalzante
che
passa il terza base e sta per passare anche l'interbase, ma con un
tuffo il
difensore riesce a fermare la palla e a tirare in prima per provare
l'eliminazione.
Rae sfreccia sul sacchetto un instante prima dell'arrivo della pallina,
aggiudicandosi la prima valida della partita.
La nostra panchina esplode in un
boato di
esultanza, caricandosi ancora di più per il possibile punto
del pareggio
arrivato in base.
Poi è la volta di
Costia entrare nel box di
battuta. Si avvia per arrivare a destinazione e vedo lo sguardo di
Clarke per
un attimo cercare il mio, per poi occuparsi di incenerire quello di
Costia. Mi
sembra quasi di assistere alla sfida dell'O.K. Corral. Un mezzogiorno
di fuoco
un po' alternativo visto che invece di esserci delle pistole ci sono
una
pallina e una mazza, ma l'aria è molto tesa e palpabile come
se entrambe
impugnassero un'arma.
Io osservo tutto quasi in prima
linea, vista che la
prossima nell'ordine di battuta sono io e mi sto scaldando nell'on-deck(*). Butto l'occhio su Gustus che fa il
segnale a Costia. La tattica e abbastanza prevedibile, le ha detto di
fare una
smorzata di sacrificio per far avanzare Raven in seconda, ma se fatto
bene un
bunt(**) piazzato è il
miglior
attacco, con zero eliminati ed un corridore in prima.
La smorfia di dissenso di Costia
mi fa quasi
sorridere. Solo io e poche altre persine sappiamo benissimo che Cos
odia fare i
bunt, nonostante ciò è una maestra nel farli.
Costia si mette in posizione
dichiarando alla
squadra avversaria le sue intenzioni e la difesa si posiziona di
conseguenza.
Il prima base e il terza base fanno qualche passo avvicinandosi al
piatto di
casa base aspettandosi un palla corta.
Clarke lancia la palla e Costia
si sposta,
ricevendo il primo ball. Il secondo lancio è una dritta in
mezzo e la mia
compagna di squadra la spinge leggermente spiazzando il prima base, che
si era
avvicinano troppo. Costia avanza verso la prima spingendo Raven in
seconda. La
palla carambola oltre il difensore in una zona dove solo Clarke riesce
a
raccoglierla. Dopo aver dato un'occhiata in seconda e aver constatato
che Rae
fosse quasi arrivata decide di sparare in prima facendo il primo out,
ma il
gioco continua, infatti Raven gira la seconda e corre come un fulmine
conquistando anche la terza cogliendo tutti di sorpresa.
Wanheda chiede tempo all'arbitro
per poter parlare
con la sua difesa. Osservo con estrema attenzione ogni sua mossa, dire
che mi
fido poco di quel l'uomo sarebbe un eufemismo. La mossa più
intelligente, in
questo momento, sarebbe quella di sostituire Clarke, lo noterebbe anche
un
cieco che è esausta. Invece lei rimane in partita con un
eliminato corridore in
terza e me alla battuta. La cosa si fa interessante. Coraggio,
ora tocca a me!
Mentre mi avvicino al box respiro
a pieni polmoni,
guardo Clarke negli occhi cercando di escludere tutto il resto. La mia
concentrazione mi isola completamente, non sento nulla se non il
battito del
mio cuore che riecheggia impazzito nella mia testa. Guardo Gustus e
come
segnale ho una volata di sacrificio, prevedibile anche questo, ma
più che
giustificato visto la situazione. Faccio il segnale di conferma e mi
sistemo
nel box. Dopo aver preso la misura dal piatto stringo le mani sulla
mazza, non
troppo ne troppo poco. Sono pronta. Rivolgo lo sguardo verso Clarke e
attendo
che mi faccia vedere la palla. La prima è un ball, la lascio
passare. La
seconda è una curva che taglia il piatto, mi coglie di
sorpresa e giro a vuoto.
Mi aspettavo di tutto, ma non quell'effetto.
Chiedo tempo all'arbitro ed esco
dal box per un
istante. Respiro, guardando la mazza davanti a me come se in qualche
modo mi
aiutasse a ritrovare tutta la mia determinazione. Ed è
così, i miei muscoli si
tendono mettendosi di nuovo in posizione. I miei occhi si spostano
sulla mano
di Clarke e quando vedono il giallo della palla comparire sembrano
quasi
ipnotizzati a seguire la traiettoria della palla. Bassa
e leggermente esterna, non ci voglio credere, la mia preferita.
Carico il giro con tutta la mia potenza e quando colpisco la palla
stringo più
forte l'impugnatura accompagnando lo swing fino in fondo per spingerla
con ogni
fibra del mio corpo. La palla si alza velocemente, sembra lunga, sembra
fuori,
infatti esce dalla recinzione, dietro all'esterno sinistro che non
può nulla
per prenderla. Quando passo la prima esulto battendo le mani,
rallentando la
corsa. Faccio il giro delle basi e quando sto per arrivare a casa base
le mie
compagne sono tutte lì a festeggiarmi. Tocco il piatto
portando la mia squadra
in vantaggio sul 2-0.
Quando entro nel dugout vedo il
coach Wanheda
sostituire Clarke. Scuoto la testa pensando al fatto che il genio
avrebbe
dovuto farlo prima, non è certo colpa di Clarke se sono
riuscita a cacciarla
fuori... probabilmente è molto stanca e non è
riuscita a controllare il lancio
come avrebbe dovuto.
Al cambio della lanciatrice
giapponese, Indra
risponde facendo entrare Anya al posto di Kelly. Mi metto subito
d'accordo con
mia sorella dicendo di non brontolare perché le avrei
chiamato molti effetti.
"Lex perché non porti
le tue chiappe dietro al
piatto e chiudiamo una volta per tutte questa partita?", mi dice con il
suo solito atteggiamento da strafottente, ma sotto sotto so che
è agitatissima.
Non l'ho mai vista
così tanto spesso cercare lo
sguardo di Raven, in terza base, tra un lancio e l'altro.
Nonostante sembri annaspare un
po' con i primi
battitori che affronta, dopo ingrana non facendogli veder palla fino
all'ultimo
inning.
Nell'ultima ripresa Wanheda si
gioca il tutto e per
tutto. Ha già un eliminato. Fa rientrare Clarke e la mette
alla battuta. Lei
come lanciatrice è sempre stata anomala, oltre ad avere
molti effetti e una
potenza di lancio invidiabile, ha sempre avuto un'impressionante media
battuta.
Quando mette piede nel box di
battuta ci guardiamo
per un istante.
"Lexa".
"Clarke", ci diciamo a mo' di
saluto.
E un timido sorrido compare sui
nostri volti. La
sua presenza all'attacco un po' mi sorprende, ma non mi faccio certo
intimidire. E così chiamo i lanci che so per certo lei odi.
Non voglio per
nessun modo agevolarla.
Il primo lancio è un
filo alto che però non entra
nella zona di strike. Il secondo è un curva interna che la
lascia un po'
interdetta. Un ball e uno strike.
"Vedo che ti ricordi le palle che
detesto...", sussurra con un strano sorriso sulle labbra.
"Non avrai mica pensato che ti
avrei reso la
vita facile?", le domando con retorica.
"Ci sarei rimasta male
altrimenti. Allora che
aspetti? Fammi vedere quello che sai fare", mi sprona ritornando
concentrata su mia sorella.
"L'hai voluto tu", mormoro,
facendo il
segnale a mia sorella.
Chiamo una palla veloce interna,
il lancio che
Clarke odia di più in assoluto, ma che è anche il
punto di forza di Anya.
Quando mia sorella rilascia la
palla, la posizione
di Clarke cambia. Non faccio in tempo a realizzare la cosa che la mazza
gira
con una velocità impressionante incocciando la palla.
La battuta è forte, la
palla si alza in aria e
velocemente va oltre alla recinzione. Il mio sguardo incredulo rimane
stampato
sul viso per tutto il tempo in cui Clarke ci impiega a fare il giro
delle basi.
"Lexa, chiudi la bocca se no ti
entreranno gli
insetti!", afferma, con un tono soddisfatto pestando il piatto e
dimezzando così il nostro vantaggio.
Continuo a guardarla esterrefatta
mentre seguita
dalla sue compagne rientra in panchina.
Questa volta è Indra a
chiamare tempo per poter
conferire con noi. Ci raduniamo nel cerchio di lancio tutte in attesa
della
cazziata della coach, che però non arriva.
"Ragazze, siamo ad un passo,
lasciate perdere
il punto, non ci interessa. Ora voglio giochi semplici. Abbiamo ancora
due out
da fare. Anya, Lexa, giocate d'astuzia. La Griffin era troppo
imprevedibile da
gestire, ma le altre le conosciamo bene. Rae, Octavia, Lauren e Costia,
aggredite la palla e giocate in prima. Jessy, Stacey, Vichy, voi dovete
essere
più aggressive, non voglio doppi ragazze perciò
diamoci dentro. Qui le
mani", afferma spronandoci a mettere le nostre mani sulla sua.
"DURE!", urliamo in coro
l'istante
seguente.
Ripreso il gioco la prima a
mettere piede nel box è
Fujimoto. Batte la prima palla che viaggia verso Stacey che non ha
difficoltà a
prenderla al volo. Siamo a due out. Ne manca solo uno per conquistare
l'oro
olimpico.
Ovviamente non può
essere tutto così semplice.
Guardo il prossimo battitore e mi accorgo che sia Emoto, la
più forte del
line-up giapponese. Alzo gli occhi al cielo pensando alla strategia per
gestire
questa battitrice mancina. Sfiga delle sfighe, in questo torneo Anya ha
sempre
avuto la peggio contro di lei.
Le chiacchiere stanno a zero, non
posso distrarla
perché non parla inglese e il mio giapponese è
veramente scarso, quindi, è
meglio tacere e cercare di tirare fuori un coniglio dal cilindro di mia
sorella.
'Pensa,
Lexa, pensa...', mi ripeto mentalmente.
'Emoto
adora le curve, ma non gradisce le palle veloci interne e i drop.
Proviamo a
giocarcela sui fili...', mormoro ancora con me stessa.
Chiamo la prima palla, veloce
interna. L'avversaria
la giudica fuori quindi non gira, quando la palla mi entra nel guanto
lo muovo
in modo fluido e quasi impercettibile posizionandolo leggermente
all'interno
della zona.
"Strike", sento la voce
dell'arbitro
chiamare.
Sorrido pensando che il mio
framing(***) sia stato efficace. Ora
ci
vogliono altre due palle. Chiamo un drop che coglie di sorpresa Emoto e
gira a
vuoto. Ne manca uno. Chiamo un'altra palla interna, ma questa volta la
giapponese anticipa il lancio e la colpisce forte. Parte una linea
rasente il
terreno verso la terza. Non so come, ma Rae si tuffa e la prende al
volo.
"Abbiamo vinto", sussurro ancora
incredula.
Ci pensano le mie compagne a far
un gran casino
andando tutte a festeggiare Raven ancora a terra con il guanto
sollevato per
far vedere a tutti dell'incredibile presa compiuta.
La panchina invade il campo.
Cominciamo a saltare
tutte insieme cantando come della matte 'We
are the Champions'. Solo dopo mi accorgo degli sguardi tristi
e sconfortati
delle nostre avversarie. Ci metto un po' a trovare lo sguardo di cui ho
bisogno, ma poi, eccoli lì, quegli occhi azzurri di cui non
potrei più fare a
meno. Clarke mi sta fissando con un timido sorriso sulle labbra.
Mima un 'ti
amo' con le labbra senza destare troppi sospetti. E io faccio
lo stesso. Mi
lascio trasportare dall'emozione che mi sta avvolgendo ancora carica
dell'adrenalina in corpo, se solo potessi correi da lei, la bacerei
davanti al
mondo intero, ma i nostri sforzi di trattenerci tutto questo tempo
sarebbero
stati vani. Quindi, continuo a sorridere facendomi trasportare
dall'entusiasmo
delle mie compagne di squadra, fino a che l'organizzazione non ci
chiede di
sistemarci per la premiazione.
L'Australia viene premiata per
prima con la
medaglia di bronzo, poi tocca al Giappone con quella d'argento.
Trattengo a stento
le lacrime quando mettono la medaglia a Clarke. In fondo abbiamo
raggiunto il
nostro obiettivo: giocare alle Olimpiadi e vincere una medaglia. Poi
tocca a
noi una alla volta ci mettono la medaglia d'oro e, per la prima volta
in vita
mia, vedo mia sorella piangere. Credo che la prenderò per il
culo a vita per
questo suo attimo di debolezza. Quando arriva il mio momento,
l'emozione è
incontenibile. Ringrazio il rappresentante della manifestazione che mi
premia e
subito dopo cerco Clarke e mi imbatto nel suo sguardo orgoglioso e
fiero.
Ed così che mi sento
orgogliosa e fiera, di aver
raggiunto il mio obbiettivo per cui ho lavorato tutti questi anni
versando
sudore e fatica, ma soprattutto per aver trovato il mio unico e grande
amore,
Clarke, che nonostante tutte le difficoltà sta vivendo
questo momento di pura
gioia al mio fianco.
Mi giro verso di lei e con le
labbra le mimo un 'grazie di esistere'.
Cantiamo tutte insieme l'inno
nazionale e proprio
in quel preciso momento mi rendo conto che questa avventura olimpica
sia
finita, ma che fra pochissimo comincerà un'avventura ben
più importante: la mia
vita con Clarke.
Amore
mio, hai perso la scommessa… non c’è
storia… ti toccherà passare il resto della tua
vita con me!
****
Sono passati dieci anni da quel
giorno ed io e
Clarke non ci siamo più separate. Ci siamo sposate, lei
insegna il giapponese
all’università, io invece sono diventata avvocato.
Il nostro rapporto è
cresciuto insieme, quasi fosse ripartito dalla nostra adolescenza. Ci
siamo
riscoperte l'un l'altra, amandoci ogni giorno sempre di più.
Non abbiamo più
partecipato a competizioni olimpiche, nonostante Indra spingesse per
averci,
tuttavia non abbiamo lasciato il mondo del softball. Ora alleniamo
insieme una
squadra giovanile, dove gioca nostra figlia, Maggie, che ha solo 8
anni.
Vederla crescere e giocare
proprio allo stesso
gioco che ha fatto incontrare ed innamorare le proprie mamme, con lo
stesso
impegno ed entusiasmo, ti riempie di gioia. Chi se lo sarebbe mai
aspettato...
dopo tutto quello che ci era successo non avrei mai pensato di avere
una
seconda chance, invece eccoci qui, insieme, con una figlia che sta
crescendo e
che ci ricorda ogni giorno quanto siamo fortunate.
"Ehi tesoro dobbiamo andare,
abbiamo la prima
partita di campionato e Maggie non sta più nella pelle", la
voce di mia
moglie mi ridesta ed io non posso far altro che sorridere.
"Andiamo", le dico baciandola.
Ho solo una
parola per te, Clarke: grazie.
(*)
Essere on-deck
(generalmente tradotto come "in attesa") significa essere
il prossimo nell'ordine di battuta. Nei giochi professionali, il
battitore che è on deck aspetta in una zona del territorio
di foul chiamata cerchio d'attesa.
(**)
Il bunt
o smorzata è una particolare tecnica di attacco, effettuata
dal giocatore in battuta che colpisce intenzionalmente la palla con
poca forza, in modo da tenerla vicina alla casa base e consentire un
avanzamento sulle basi delle proprie compagne, o sorprendere la difesa
avversaria e raggiungere la prima base.
(***)
Il Framing
è l’abilità preziosa di un ricevitore
che riesce a trasformare un lancio sugli angoli in uno strike
“chiamato”.
___________
NOTE AUTRICE.
E siamo arrivate in fondo anche a questa
storia. Tutte le
volte devo ammettere che un po’ mi dispiace, ma sono anche
contenta di averla
finita.
Spero che vi sia piaciuta, spero di non
aver illuso le
aspettative, il rischio c’è sempre e dire che mi
dispiacerebbe sarebbe un
eufemismo. Ammetto che non sia stata una di quelle storie profonde ed
impegnative, ma era partita come una one shot, che però si
è allungata.
Ringrazio il sito EFP, Wattpad, e AO3, per
avermi permesso
di pubblicare la storia… ma soprattutto ringrazio tutte voi
che vi siete prese
la briga di leggere, seguire, preferire o ricordare e commentare, la
mia storia.
Alcune di voi sono diventate una piacevole costante, una certezza. Le
vostre
parole - spesso e volentieri - mi aiutano tantissimo a proseguire
queste
storie, voi non ne avete nemmeno idea di quando siete indispensabili.
Al solito sto scivolando nel melenso
quindi è meglio
fermarsi qui.
Ora mi dedicherò corpo
ed anima a Something Called Love, credo mi manchino veramente
pochi
capitoli alla fine. Poi però mi sa che debba smettere per un
po’. Quest’anno
oltre al lavoro sono molto impegnata anche a livello arbitrale. Oltre
al lavoro
anche il softball mi farà impazzire quest’anno.
Infatti, per stare in tema ho
due competizione Europee, l’europeo Under19 solo che questa
volta gioco in casa
invece di Barcellona è in Friuli e la Premier Cup a
Forlì, in quest’ultima
dovrò sostenere anche l’esame per diventare
arbitro internazionale, e sto già
tremando. Credo di avervi già annoiato a sufficienza.
Spero di rileggervi presto.
Un grande abbraccio
Lory
|
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