Faeria - Viaggio oltre l'immaginazione

di Ayla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Salve a tutti, questa è la prima storia originale che scrivo, spero possa essere di vostro interesse…

La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul Forum EFP, ‘Fairy and Spirits - Raccontami una Favola

 

Nick Efp= Ayla
Nick Forum= AylaSkylar
Titolo= Faeria – Viaggio oltre l’immaginazione
Pacchetto= Aria
Obbligo= Il protagonista deve avere un grande sogno, ossia viaggiare, ma per qualche motivo deve esserne impossibilitato (almeno all’inizio della storia)
Divieto= Il protagonista non deve conoscere i propri veri genitori
Bonus= Character death
Creatura= Totem (o spirito guida)
Luogo= Mercato

 

UNO

 

Una voce profonda e calma iniziò a narrare nel buio della notte: -Molti secoli fa, grazie ai portali, la Terra era in contatto con un mondo fantastico, completamente diverso: esso rispondeva al nome di Faeria. Essa era una terra fertile, rigogliosa; ricca di foreste, campi, fiumi e laghi; punteggiata da cittadine e grandi castelli occupati da re, regine, principi e principesse. Grazie ai portali gli umani che abitavano la Terra convivevano in armonia con gli abitanti di Faeria, come maghi, elfi, ninfe, amadriadi, trolls, draghi, centauri, unicorni e molte altre creature.
Le divinità di quel mondo magico amavano passeggiare tra quelle creture: Nimrodel dea della Natura e della Fertilità, Eöl dio delle Acque e della Memoria, Heturin protettore degli orfani, Adasser dio dell’Amore, Thiades dea dell’Illusione e fedele compagna di Adassèr ed infine Balcthel, sorella di Nimrodel, dea degli Inganni e della Guerra. Tute le divinità venivano adorate con doni e feste, ma solo una di loro non era soddisfatta: Balcthel; un giorno si stancò delle maggiori attenzioni che gli altri dei ricevevano rispetto a lei e decise di vendicarsi. Ella riuscì a raggruppare coloro che la veneravano e convincere con l’inganno altre creature a sottostare al suo controllo, la maggior parte di queste ultime erano umani. Nacque così una guerra alla quale parteciparono anche le divinità per tentare di riportare l’armonia rottasi.
Furono anni bui, molti morirono e Nimrodel, scoperto che sua sorella era la responsabile, in preda all’ira fece tremare la terra di Faeria e questo evento fece sorgere la catena montuosa degli Úroth che questo mondo a metà: Eosel e Faerieth. Gli elfi, amati dalla dea della Natura, vennero separati dai maghi, preferiti da Balcthel; mentre le altre creature si ritrovarono divise in modo casuale da una o dall’altra parte.
Inoltre, i faeriani che si erano insediati sulla Terra e gli umani che invece si erano trasferiti a Faeria, vennero riportati ai loro rispettivi mondi di appartenenza, Eöl fece scordare agli umani l’esistenza del mondo fantastico e i portali vennero chiusi, non ritenendo gli umani degni della magia. Infine gli dei si rifugiarono in un luogo sconosciuto di Faerieth in cui venne imprigionata Balcthel per le sue malefatte.
Fu così che Faeria divenne solo leggenda-.

 

L’uomo finì il suo racconto e rimboccò le coperte al piccolo ascoltatore.
-Voglio vedere anche io Faeria… Portami con te, nonno- disse il bambino facendosi piccolo piccolo sotto le coperte.
L’uomo emise una risata soffocata: -Forse un giorno… Ora è troppo presto- poi si mise a riflettere e gli fece segno di aspettare. Sparì per una manciata di secondi per riemergere da dietro la porta con un grosso libro in mano, alla vista di esso il piccolo sgranò gli occhi e di scatto si mise a sedere.
-Prima di partire voglio regalarti questo… Ci sono le informazioni che ho ottenuto nei miei viaggi a Faeria. Vedrai che quando sarai pronto ti tornerà utile- diede un buffetto sulla guancia del nipote e poi gli augurò la buona notte scoccandogli un leggero bacio sulla fronte.
Richiusa la porta dietro di sé una donna si avvicinò a lui: -Sei sicuro?- chiese preoccupata, ottenendo come risposta un sorriso e una raccomandazione per il bambino.
-Certo papà, lo proteggeremo. Come lo abbiamo fatto in passato lo faremo anche ora ed in futuro- assicurò una voce maschile alle loro spalle, i due si girarono trovandosi di fronte il marito della donna.
-State attenti, “lui” non lo deve trovare- aggiunse l’uomo più anziano prima di andarsene.

 

Dalen si svegliò di soprassalto e guardandosi intorno capì di trovarsi sul lettino dell’infermeria scolastica. Era successo di nuovo, stavolta più vicino all’ultimo attacco, cosa che lo preoccupava. Si alzò pigramente dal lettino, uscì dall’infermeria ringraziando e rassicurando l’infermiera di star bene e si avviò nei corridoi vuoti dell’edificio. Decise di rifugiarsi nei bagni per aspettare il suono della campanella che avrebbe decretato l’inizio della lezione successiva.
Appena entrato le superfici riflettenti gli mostrarono l’immagine di un ragazzo dalla folta capigliatura bruna e gli occhi stanchi. Quegli occhi che i suoi genitori tanto decantavano: due iridi blu come il mare profondo, arricchito da pagliuzze rosse e dorate.
Questi erano solo un motivo dei tanti per cui, sin da bambino, era sempre stato deriso e messo da parte dai suoi coetanei, un altro stava nel suo amore per Faeria. Mentre tutti i bambini desideravano di diventare chi medico, chi avvocato, chi attore, lui sognava solo di poter visitare in lungo ed in largo il mondo magico di cui suo nonno gli aveva sempre narrato.
Ripensò all’accaduto di quella mattina e di come i suoi attacchi, dapprima sporadici, si facessero sempre più ravvicinati: improvvisamente gli appariva di fronte un alce possente, completamente bianco e opalescente; contemporaneamente il suo corpo si pietrificava e con occhi impauriti seguiva l’animale che lo caricava, ma non appena arrivava il momento dell’impatto esso spariva, mentre lui cadeva in un sonno profondo pieno di immagini confuse e che faticava a ricordare.
Con un colpo la porta dei bagni si spalancò e il gruppetto di bulli, che sin da piccoli lo avevano preso di mira, si fiondò su di lui non appena lo videro. Lo afferrarono per le braccia e lo trascinarono fuori dall’edificio scolastico tenendogli la bocca tappata. I tentativi di liberarsi furono vani e giunsero al parchetto pieno di alberi vicino alla scuola.
Lo gettarono ai piedi della quercia secolare, simbolo della città; deridendolo cominciarono a prenderlo a calci e il ragazzo subiva, sperando che si sarebbero stufati presto.
Ad un certo punto quello che era a capo del gruppetto tirò fuori un grosso libro dalla borsa: era quello regalatogli dal nonno anni prima.
-Ma guarda cosa abbiamo qui- prese a dire il bulletto sfogliando il tomo -Il poppante tiene nel suo armadietto un libro per bambini scritto dal suo caro nonnetto pazzo-.
-Ridammelo! Altrimenti…- urlò Dalen rialzandosi.
L’altro lo guardò con fare di sfida: -Altrimenti cosa? Chiami un unicorno od una fatina a salvarti?- irruppe in una fragorosa risata di scherno e lanciò il libro ai suoi compagni che iniziarono a passarselo come fosse un pallone.
Dalen, disperato, scattò in piedi ma inutilmente tentava di riappropriarsi di ciò che era suo; arrabbiato si bloccò, pugni serrati e occhi fissi a terra.
Improvvisamente si levò il vento e cominciò a turbinare intorno a loro, più lui si arrabbiava e più il turbinio si faceva violento. I bulli si bloccarono per osservare terrorizzati quello che stava accadendo intorno a loro.
Dalen puntò gli occhi pieni d’ira sul capo, il quale vide le pagliuzze rosse e dorate illuminarsi, e cominciò ad avanzare verso di lui mentre quest’ultimo indietreggiava impaurito; poi vide nuovamente l’alce bianco sbucare da dietro un albero, ma il suo corpo non si immobilizzò, anzi, non si era mai sentito così vivo e continuò a camminare mentre le folate di vento si facevano sempre più violente.
Alla fine il bullo abbandonò il libro a terra e scappò a gambe levate, seguito dai suoi compagni; Dalen sentì la sua rabbia svanire lentamente, il vento si placò e, prima di vedere l’animale sparire nuovamente, con la coda dell’occhio notò una figura incappucciata che scomparve velocemente.
Sfinito crollò sulle ginocchia, poi raccolse il tomo, la borsa e si incamminò verso casa; la mente vuota. Aperta la porta della sua abitazione sua mamma e suo papà si diressero verso di lui visibilmente preoccupati: erano stati chiamati dalla scuola per via dello svenimento e perché non si era più presentato a lezione; poi notarono le ferite, che era piuttosto malmesso e lo tempestarono di domande che non ebbero risposta, per una manciata di minuti continuarono a fissarsi preoccupati, dopodiché il ragazzo raccontò tutto quello che era successo; quando nominò l’uomo misterioso l’espressione attenta dei genitori mutò, la madre allarmata gli chiese se quell’uomo lo avesse seguito mentre il padre si precipitò alla finestra. Dalen cercò di ricordare e affermò di non averlo più visto e lei tirò un sospiro di sollievo nel saperlo, il padre si sedette di nuovo sul divano accarezzando il tomo che il ragazzo teneva sulle gambe.
-Forse è meglio che tu sappia una cosa- disse serio il padre attirando su di sé gli occhi spalancati della moglie e del figlio. Al segnale della donna cominciò a parlare: -Dalen, ti chiedo di ascoltarmi fino alla fine, poi potrai fare tutte le domande che vorrai. Questo libro tuo nonno l’ha iniziato a scrivere poco dopo la tua nascita- fece una breve pausa -Tu sai che tuo nonno faceva la spola tra questo mondo e quello di Faeria solo grazie ad un permesso speciale-.
Dalen annuì: l’unico portale che era sfuggito a Nimrodel aveva permesso a suo nonno di vedere quel mondo incantato; l’unico modo per passarlo era essere un faeriano. Non aveva mai saputo né dove si trovasse il portale né che faeriano avesse acconsentito il passaggio a suo nonno.
-Quel permesso lo abbiamo dato io e tua madre… Noi veniamo da Faeria- continuò suo padre, Dalen sussultò, quello voleva dire che era nato nel mondo che aveva sempre sognato.
Sua madre sembrò leggergli nel pensiero perché gli disse: -Anche tu vieni da Faeria, ma noi non siamo i tuoi genitori- a quella frase il suo cervello si svuotò, non sapeva cosa pensare, per diciotto anni aveva creduto che quella fosse la sua famiglia ed ora crollava tutto.
Distrattamente ascoltò il resto della storia della donna che credeva fosse sua madre: -Dalen, nel mondo faeriano da anni c’è una nuova guerra. Noi e pochi altri abbiamo ritrovato quest’unico portale per salvarci- allungò una mano raggiungendo quella del marito -Noi due siamo stati fortunati a trovare subito Noiro, tuo nonno, che si prendesse cura di me, tuo padre e te-.
-Ma non solo i fuggitivi varcarono quel passaggio- continuò l’uomo: -Anche i seguaci di quel mostro lo hanno trovato, noi avevamo il compito di proteggerti e Noiro si offrì di aiutarci saltando tra questo e l’altro mondo per trovare una soluzione a questa guerra-.
Dalen era sconvolto, quando aveva sentito che il suo amato nonno era solo un semplice sconosciuto che lo aveva preso in cura, il suo cuore ebbe un sussulto; tutto quello che credeva così vero in realtà scoppiò come una bolla di sapone. La donna se ne accorse e con la mano libera strinse forte la sua: -Dalen, tesoro, non pensare che fosse tutta finzione. Noiro ti ha amato come fosse realmente tuo nonno e noi abbiamo sempre considerato te come nostro figlio. Per favore non odiarci, lo abbiamo dovuto fare per proteggerti- il ragazzo sentiva solo delusione perché la verità gli era stata celata per così tanto tempo.
-I miei genitori? I miei veri genitori dove sono?- chiese con lo sguardo perso nel vuoto.
I due adulti si guardarono e fu l’uomo ad iniziare a parlare, ma riuscì solo ad aprire la bocca perché improvvisamente uno scoppio rimbombò in strada. Scattarono in piedi, tutti e tre contemporaneamente, ed accorsero a vedere cosa stesse avvenendo.
Si stava scatenando l’inferno: il cielo si era oscurato, numerose figure nere fluttuavano in cielo. La gente si riversava in strada per capire, ma di fronte a quello spettacolo surreale, correva a mettersi al sicuro; solo in pochi continuavano a procedere decisi verso quegli uomini.
I genitori adottivi di Dalen si pararono davanti a lui e quest’ultimo notò un alone violaceo intorno alle loro mani: erano dei maghi; voltò la testa e si accorse che i pochi ostinati a procedere stavano riprendendo al loro forma faeriana, celata per molti, troppi anni.
Avvenne tutto in un attimo: i faeriani si gettarono sugli sconosciuti, iniziò una battaglia furibonda a suon di lampi ed incantesimi e Dalen non sapeva che fare di fronte a tutto ciò.
Una figura emerse dalla confusione, avanzando minaccioso verso il ragazzo e i due maghi, da sotto il cappuccio spuntava un sorriso sinistro.
-Vi ho trovato, traditori- disse egli con voce profonda; la donna spinse dietro di sé Dalen con fare protettivo.
Lo sconosciuto continuò a parlare: -Datemi il ragazzo e il mio padrone vi perdonerà, sarà un ottimo regalo- il mago si gettò su di lui con rabbia, urlandogli che non avrebbe mai acconsentito ed iniziò ad incalzarlo con un colpo dietro l’altro.
La donna afferrò il ragazzo per un braccio evitando gli incantesimi della battaglia e scappando in direzione del parco. Dalen aveva la mente piena di domande, cosa voleva dire con “traditori”? Chi erano quegli sconosciuti? Chi era lui realmente? Arrivati davanti alla quercia secolare dove solo poche ore prima era stato malmenato sentì un brivido lungo la schiena ma la voce della madre che lo stava chiamando lo ridestò dai suoi pensieri.
-Era di tua madre e voleva donarlo a te- disse lei mettendogli al collo un cordino a cui era appeso un piccolo cilindro in legno su cui vi era intagliato un alce dicendogli di tenerlo sempre con sé, poi si voltò verso il luogo dove imperversava la battaglia notando come essa si stava pericolosamente avvicinando alla loro posizione.
-Apri il portale. Ora- disse la donna con urgenza, Dalen si agitò, era così confuso, stavano accadendo troppe cose insieme.
-Io… Non so come si fa… Perché devo farlo io?- riuscì a dire il ragazzo in un filo di voce, lei protese le mani afferrando il volto di lui: -Dalen, sei un faeriano molto potente, sai come si fa e ne hai le capacità, è dentro di te. Non posso aprirlo io, devo lanciare un incantesimo per bloccare temporaneamente il portale. Non so quanto durerà, ma serve a dari tempo, devi trovare Noiro e fermare questa guerra assurda- gli scoccò un bacio sulla fronte e gli sussurrò che lui era l’unica loro speranza, prima di allontanarsi rivolgendogli un dolce sguardo di incoraggiamento.
Rassicurato, il giovane si girò verso la quercia, chiuse gli occhi stringendo il ciondolo.
Non accadde nulla.
Mentre i rumori della battaglia si facevano sempre più forti e vicini, Dalen cercò con gli occhi la madre adottiva, la donna, sorridendo, appoggiò una mano a terra erigendo una barriera tra loro due.
Un vortice nero si formò nel tronco dell’albero e ne venne risucchiato, l’ultima immagine fu quella della donna che lo salutava per poi correre a buttarsi nella mischia.

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Capitolo 2
*** Due ***


DUE

 

Una luce intensa fece percepire a Dalen un mondo luminoso dietro le palpebre serrate, quando sentì che cominciava a dargli fastidio si ridestò aprendo pigramente gli occhi. Era ancora scosso da tutti gli avvenimenti precedenti, lentamente un ronzio che risuonava nelle sue orecchie si tramutò in un insieme di suoni ovattati e gli ci volle un bel po’ per capire che non si trovava più nella sua città ma in un vicoletto a lui sconosciuto. I suoni ovattati presero sempre più forma e il ragazzo vi riconobbe i rumori inconfondibili e festosi del mercato, barcollante si alzò e uscì dal vicoletto vuoto, per essere investito da un tripudio di colori, odori ed urla dei mercanti che richiamavano i clienti alle loro bancarelle.
Improvvisamente si ricordò del libro di Noiro, febbricitante controllò di aver portato con sé la borsa e con sommo sollievo la trovò a fianco con all’interno il suo amato tomo; lo afferrò e sfogliandolo capitò su una pagina grazie alla quale comprese dove si trovava: nel più grande Mercato di Eosel, nella città di Zerkatt. A quel punto Dalen si immerse in esso, lasciandosi guidare dagli odori pungenti e delicati dei prodotti veduti, dai colori vivaci e dai suoni frastornanti.
Sollevò lo sguardo e vide che il cielo era di un azzurro limpidissimo, ma osservandolo meglio notò un effetto liquido in perpetuo e lento movimento, sembrava che ci fosse una barriera magica sulla cittadina. Era talmente perso da ciò che lo circondava che non si accorse di una figura incappucciata che, correndo, si scontrò contro di lui per poi cadere a terra rovinosamente sotto gli occhi di tutti.
Dalen alzò lo sguardo e con sua sorpresa, sotto al cappuccio si trovò a fissare due iridi rosse verso la pupilla e che tramutavano in dorato verso il contorno di esse; al di sotto degli occhi due simboli sinuosi, che ricordavano due “E” speculari, disegnavano le guance della figura che si rivelò essere una ragazza.
-Tu… Tu sei una…- furono le uniche parole che riuscì a formulare prima che la sconosciuta gli afferrasse il braccio sollevandolo di peso.
-Fermati ladra!- tuonò una voce dietro di lei, accompagnata dal rumore di ferraglia appartenente alle spade ed armature delle guardie reali.
La ragazza scattò, trascinando con sé anche il ragazzo in una fuga rocambolesca; come una gatta riusciva a sgusciare tra la gente senza alcuna fatica, contrariamente ai loro inseguitori. Improvvisamente lei voltò l’angolo portando dietro di sé anche Dalen, incappando in un vicolo cieco, la ragazza freneticamente si guardò intorno in cerca di una via d’uscita, non prestando attenzione alle domande del ragazzo sul suo conto. Ad un certo punto lei si voltò verso di lui, recuperò una borsetta e gliela mise tra le mani per poi piegare le labbra in un sorrisetto, portarsi due dita alla fronte mimando un saluto militare ed arrampicarsi sul muro di una casetta per saltare da un tetto all’altro. Il ragazzo la guardò stupito, cercò di chiamarla ma senza ottenere risposta; un rumore di ferraglia alle sue spalle, conosciuto poco prima, gli fece capire che era stato ingannato.


Venne trascinato e scaraventato a terra nel salone del trono, all’interno dell’enorme castello; i soffitti erano così alti che lo sguardo si perdeva e si provava un sentimento di smarrimento misto ad inferiorità, i muri adornati con arazzi variopinti raffiguranti le gesta di qualche eroe leggendario, i soldati erano posti lungo tutto il perimetro della stanza e pochi dietro al prigioniero.
Da dietro la tenda pesante, che metteva in comunicazione il salone con il resto degli interni, emerse un uomo, alto, con fare regale, seguito da un piccolo capannello di persone a testa bassa, si sedette sul trono e posò il suo sguardo altero sui presenti.
Una delle guardie si inginocchiò di fronte al re spiegando che avevano trovato uno sconosciuto in compagnia della ragazza del mercato che, come Dalen sospettava, era una Úmarth. Un altro soldato si fece avanti con la borsa della faeriana, rivelando il contenuto che consisteva in cibo ed alcune erbe che il ragazzo non aveva mai visto prima.
Gli occhi severi del regnante fissarono quelli smarriti del prigioniero e, con voce tonante e dura, gli chiese chi fosse e da dove provenisse.
-Mi chiamo Dalen e vengo dalla Terra- disse lui ritrovando la sua sicurezza, aveva capito che da lì sarebbe iniziata la sua avventura e aveva intenzione di abbattere qualsiasi ostacolo, fosse esso un regnante o meno. L’uomo battè un pugno sul bracciolo del trono: -Bugiardo!- urlò -Sono millenni che i portali tra Faeria e la Terra sono stati sigillati! Nessun umano può attraversarli-.
-Io sono un faeriano! Faccio parte di quei pochi che in passato hanno trovato l’unico portale sfuggito alla dea Nimrodel scampando a questa guerra!-.
Il re si adirò ancor di più, sostenendo fermamente la sua tesi, un’altra guardia si avvicinò al regnante con in mano un oggetto molto familiare a Dalen: era il suo libro; si abbassò in un inchino sussurrando qualcosa all’uomo mentre glielo passava. Quest’ultimo prese a sfogliare il tomo, trovando molte informazioni sulla sua gente e Faeria, lo richiuse con un gesto secco, lo sguardo imperscrutabile.
-Lavori per lui? Sei una sua spia?- chiese duro, Dalen non capiva, “lui”? Chi era questo “lui” che anche i suoi genitori avevano nominato? Non ottenendo alcuna risposta, il re aprì bocca per formulare la sua sentenza, quando il portone d’ingresso si spalancò.
Una decina di guardie trascinarono a fatica la sconosciuta del mercato e la costrinsero ad inginocchiarsi a fianco del ragazzo, e le strapparono di dosso un’altra borsa nella quale trovarono altro cibo. Lei cercò di dimenarsi e nel farlo il cappuccio cadde sulle spalle liberando la folta e lunga capigliatura mora, le orecchie leggermente appuntite; puntò i suoi occhi bicolore rabbiosi sulla figura del re e storse la bocca in una smorfia di sdegno.
-Ma guarda chi è tornata a farci visita, la nostra ladruncola Eleswin. Hai deciso di trovarti un compagno di giochi?- disse il sovrano.
-Non ho mai visto questo ragazzo prima di oggi- rispose lei.
Soddisfatto, il re si alzò dal trono e tutti i presenti si misero sull’attenti: -Bene, allora direi di procedere. Io, re Leithan di Zerkatt accuso la ladra Eleswin di furto e la condanno ad essere portata domani mattina sui monti Úroth- poi si voltò verso il ragazzo -Inoltre, ordino che il prigioniero venga interrogato stanotte stessa, in quanto sospettato di spionaggio-.
Detto questo si ritirò, ma prima di vederlo sparire, Dalen urlò: -Io posso porre fine a questa guerra! So come fare! Ascoltatemi!- l’uomo si girò e subito dopo l’attenzione dei presenti venne catturata da un’apparizione: per un breve tempo, in mezzo alla sala comparve l’alce bianco. Un’ombra passò sul volto del re, ma svanì subito dopo e scrollando la testa sparì dietro al tendone. I due ragazzi vennero scaraventati nella stessa cella fredda ed umida, i soldati che li avevano accompagnati si allontanarono ridendo e scherzando tra loro.
La ragazza si lanciò verso le inferriate inveendo contro le guardie e promettendo di riuscire a scappare come sempre, ma non appena toccò le sbarre si ritrasse emettendo un grido di dolore.
-Dannazione… C’è una barriera antimagia- mugugnò a denti stretti, si andò a sedere in un angolo della cella premendo i palmi delle mani tra loro.
Dalen si mosse verso di lei per vedere come aiutarla, ma lei si mise sulla difensiva: -Non ti avvicinare!- gli urlò -Sei stato tu a far apparire quell’alce?- il ragazzo la guardò basito, quando accadeva sulla Terra nessuno a parte lui riusciva a vedere l’animale e quando lo stesso evento era accaduto nel castello, invece, sembrava che tutti lo avessero notato.
Nonostante la poca luce proveniente da alcune fiaccole e dalle piccole finestrelle sbarrate delle segrete, la Úmarth notò l’espressione stupita del giovane.
-Ehi, sto parlando con te… Sei stato tu?- richiese.
-L-l’hai visto? Non è stata un’allucinazione?- chiese Dalen.
-Ovvio che l’ho visto! Così come lo hanno visto tutti in quella stanza! Non passa di certo inosservato…- si bloccò perché si accorse del ciondolo che era scivolato fuori dalla maglia del suo interlocutore. Il ragazzo lo notò, si mise a sedere afferrando il ciondolo: -Ah, questo- distese le labbra in un sorriso amaro -A quanto pare inizialmente apparteneva a mia madre… Io l’ho ricevuto poco prima di trovarmi catapultato qui-.
-Non può essere…- sussurrò la sua compagna di cella -È un evento rarissimo e non si hanno notizie di un avvenimento simile recente…-.
Dalen le chiese di cosa stesse parlando e lei rispose che quello che indossava era un oggetto che apparteneva solo agli Hybris: figli delle ninfe e serviva loro per imparare a controllare i propri poteri; ma era raro trovarne uno poiché esse non erano in grado di innamorarsi, solo in pochissime occasioni avveniva e i loro figli erano molto potenti.
-Mia madre sarebbe una ninfa?- guardò l’alce inciso nel legno -E l’alce? Cosa significa?-.
La ragazza lo guardò basita: -Ma non ti hanno insegnato nulla? Tua madre ha rinunciato alla sua natura di ninfa per poterti dare alla luce. Il suo potere è passato a te e, siccome lei non è più in grado di insegnarti ad usarlo, ha creato questo amuleto con il tuo spirito guida equivalente al suo spirito di ninfa-.
Dalen ascoltava attentamente, per la prima volta non si sentiva l’emarginato della situazione, si sentiva a casa. O meglio, era finalmente a casa.
-L’alce, quindi, è lo spirito di mia madre? E cosa farebbe questo spirito guida?- era sempre più curioso.
-Mi hai preso per un libro di risposte?- chiese indispettita -Credo che ogni volta che appaia sia per aiutarti, per guidarti nel tuo cammino e forse per vegliare su di te mentre usi i tuoi poteri-.
Il giovane cominciava a capire: quando appariva voleva che ricordasse da dove venisse e quella volta del parco era per controllare che lui non perdesse il controllo. Strinse più forte il cilindro in legno, credendo che così facendo si avvicinasse alla madre.
-Credo che sulla Terra nessuno lo vedesse poiché quello non era il suo ambiente, appartiene a Faeria e qui si può manifestare in tutta la sua grandiosità- continuò la ragazza.
Il faeriano si rizzò: -Allora tu mi credi!- si sporse in avanti in trepida attesa.
Eleswin indietreggiò leggermente: -Certo che ti credo… A quanto pare le voci che giravano nel mio villaggio su alcuni faeriani scappati dall’altra parte erano vere…-.
-Quindi non pensi che io sia una spia- la incalzò.
-No, non lo penso e credo che anche il re se ne accorgerà. Tu sei un Hybris e quel tiranno non ti avrebbe tenuto con sé, bensì avrebbe prosciugato la tua energia per diventare più potente. La vostra specie possiede grandi poteri e chiunque ne sarebbe attratto, coloro che ti hanno portato via da qui hanno fatto bene-.
Calò il silenzio che ruppe Dalen dopo un bel po’: -Il re è sempre così severo?- la Úmarth sollevò lo sguardo chiedendogli a cosa si riferisse -Per un piccolo furto di cibo ti manda su uno dei monti Úroth. Da quello che so io, la dea Nimrodel ha riempito la catena montuosa di sue creature per evitare che gli eoseliani potessero mettere piede a Faerith. Non sono molto affettuose con gli estranei, non è esagerato?-.
Eleswin portò le ginocchia al petto, circondandole con le braccia: -Non per un Úmarth. Il nostro nome significa “mala sorte”, portiamo sventura a chiunque ci offra ospitalità. Viviamo relegati in piccole radure delle foreste, evitati da tutti e l’unico modo che abbiamo per sopravvivere è rubare nei villaggi vicini. Io sono stata incaricata di trovare approvvigionamenti a Zerkatt. Secondo tutte le altre creature l’unico modo che hanno per proteggersi è uccidere qualunque mezzo elfo maledetto-.
-È per via di quella leggenda?- Dalen ricordava le storie di suo nonno prima di andare a dormire, e quella non l’avrebbe mai scordata.

 

Dopo secoli di corteggiamento la dea Nimrodel e il dio delle Acque Eöl convolarono a nozze. Ci furono giorni e giorni di festeggiamenti, a tutti era gradita quell’unione tranne che alla dea della Guerra e degli Inganni Balcthel. Ella era gelosa di quella felicità e decise di fare alla sorella il suo “regalo” di nozze, andò dalla dea delle Illusioni Thiades e la sfidò, dicendole che lei non sarebbe mai riuscita a far apparire alcuna mortale più bella della dea della Natura. Poi andò dal dio dell’Amore Adasser insinuando che lui non sarebbe mai stato in grado di far innamorare un dio, come Eöl, di una semplice mortale. I due, ignari di essere caduti nella trappola della dea degli Inganni, fecero come era stato sfidato loro e il risultato ottenuto fu che il dio della Memoria si innamorasse sotto incantesimo di una delle creature più care alla sua sposa: di un elfo puro, a cui era stato proibito cadere tra braccia dell’amore per un qualsiasi essere diverso da loro, fosse anche un dio.
I due amanti si vedevano di nascosto, lontano da occhi indiscreti, ma un giorno Balcthel convinse la sorella a pedinare il marito, di cui tanto si fidava. Quando scoprì il tradimento andò su tutte le furie e si adirò ancor di più quando scoprì che l’elfo era incinta, il marito tentò di ottenere il perdono, ma non vi fu modo di farla ragionare. La dea si accinse a giustiziare la figlia ingrata, ma tempestivamente giunse Heturin, protettore degli orfani e amante dei bambini, per farla desistere proponendo di prendersi lui carico di quel bambino, definito “impuro”. Nimrodel accettò, ma non prima di lanciare una maledizione sugli elfi e la loro progenie: qualsiasi mezzo elfo avrebbe preso il nome di Úmarth; questi avrebbero portato sfortuna a chiunque altra specie li avesse tenuti con sé e le madri saranno costrette ad abbandonarli per non essere punite. Infine la dea lasciò il suo marchio indelebile per riconoscerli: due simboli sinuosi speculari simili a due “E”.


-Sì, è per colpa di quello stupido evento- la ragazza portò la mano sotto la casacca e tirò fuori una collana con un piccolo cristallo ovale -E questo fa parte della “magnanimità” di Nimrodel. Poteri grandiosi ma incapacità di gestirli, se non grazie a questi amuleti donatici dalle nostre madri-.
Passarono altre ore in completo silenzio e solitudine, il cielo fuori lentamente si stava tingendo dei colori della sera e da dietro le sbarre si poteva veder fare capolino la prima delle due lune di Faeria. Ad un certo punto Eleswin prese la parola: -Hai detto di sapere come porre fine a questa guerra… Quale sarebbe il tuo piano?-.
Dalen si grattò il collo imbarazzato: -Erm, non ho un piano. O meglio, la mia intenzione sarebbe cercare mio nonno e chiedergli se ha scoperto qualcosa-.
La ragazza lo guardò come se volesse incenerirlo sul momento: -Mi stai dicendo che non hai idea di cosa fare? Ci hai ingannati solo per essere sicuro di uscire di qui!-.
-Non ho ingannato nessuno! Forse in tutti questi anni ha trovato qualcosa-.
-Nel caso non lo trovassi? O se fosse morto? Cosa farai?- disse lei guardandolo negli occhi, severa.
-Io… Mi inventerò qualcosa, ma mi serve il mio libro e l’unico modo per riprenderlo è sperare che il re mi creda. Come hai fatto tu-.
Poco dopo arrivarono due guardie di fronte alla cella, chiamarono Dalen per portarlo al cospetto del re per essere interrogato da lui stesso. Il ragazzo si accodò alle guardie, prima lanciò uno sguardo a Eleswin, ma lei si era già girata dall’altra parte.
Percorsero corridoi diversi da quelli attraversati per raggiungere le carceri, arrivati di fronte ad un grande portone lo lasciarono entrare da solo, dopo aver bussato e ottenuto il consenso del governante. Il ragazzo si trovò catapultato in una stanza enorme in cui i muri erano ricoperti da immense librerie piene di libri e con al centro una riproduzione in scala del mondo di Faeria; il sovrano lo invitò ad accomodarsi di fianco a lui, su una sedia posta vicino al modellino.
Con fare cauto Dalen si sedette, guardandosi attorno ed aspettando di essere interpellato, poi notò che l’uomo teneva in mano il suo libro.
-Anche se sono il re di Zerkatt, sono comunque un uomo e come tale posso sbagliare. Ti chiedo scusa- il giovane guardò stupito il sovrano, il quale gli sorrideva dispiaciuto.
-Devi sapere che questa è un’isola serena all’interno della quale vive in armonia chi cerca rifugio dalla tirannia di Brax, un mago già potente di suo, ma che improvvisamente molti anni fa divenne ancora più forte, soggiogando quasi tutta Eosel. Del mio grande regno iniziale mi rimane solo ciò che hai visto all’interno delle mura. Grazie alla mia barriera magica e ai miei valorosi soldati la città resiste, ma sento che durerà ancora poco- fece una breve pausa e poi continuò -Proprio grazie a questo libro e a quella apparizione di prima, ho capito che tu non sei una persona qualunque. Tuo nonno era Noiro, vero?- a quel nome il giovane rizzò la schiena. Il re gli ridiede il tomo e la borsa, poi continuò a parlare spiegandogli che sfogliando il tomo si accorse di averlo già visto: anni prima era giunto un uomo accompagnato da un suo caro amico, era appena scoppiata la guerra e quest’ultimo cercava disperatamente un posto sicuro dove fare alloggiare il suo accompagnatore. Il governante accettò di ospitarlo; quando scoprì che stava raccogliendo le storie che il suo popolo si tramandava, gli chiese per chi lo stesse facendo e l’uomo si giustificò dicendo che erano per suo nipote, poiché se ne sarebbe dovuto andare presto e quello sarebbe stato il suo regalo. Col passare del tempo i due stabilirono un forte rapporto di fiducia e l’anziano rivelò la sua identità al re.
Dalen non sapeva cosa dire, per la prima volta in vita sua qualcuno aveva bisogno di lui e aveva una traccia di suo nonno: -Sapete dove fosse diretto?- il re fece segno di no con la testa, sapeva solamente che sarebbe dovuto andare lontano perché credeva di aver trovato ciò che avrebbe fermato la guerra. L’Hybris cercò di ottenere altri indizi e chiese se sapeva almeno dove trovare quel suo amico e la risposta lo spiazzò: -Il mio più caro amico era tuo padre-.
Quell’affermazione ebbe il potere di far scoppiare il suo cuore.
Non solo quello.
Uno scricchiolio fece rivolgere l’attenzione dei due verso una delle grandi finestre nella stanza, vistose crepe si stavano formando sulla barriera magica e penetrava una luce forte dalle fessure. Il re si alzò e chiamò le guardie, le quali entrarono in stanza poco prima che l’unico scudo della città esplose in minuscoli frammenti luminosi, mischiati ai pezzetti di vetro delle finestre. Si potevano sentire le urla dei cittadini fuori dal castello che scappavano in cerca di salvezza. Un boato poco lontano fece correre Dalen, il re e le guardie fuori dalla stanza: era crollato buona parte dei muri del castello e si poteva benissimo vedere cosa stesse accadendo fuori. Fiumi di figure scure imperversavano nel mercato più bello e grandioso di Eosel, buttando giù porzioni abbondanti di mura.
Con orrore l’Hybris osservava imponente la distruzione delle bancarelle, il fume nero veniva interrotto in certi punti da uno variopinto, composto dagli abitanti di Zerkatt che tentavano di resistere o mettersi in salvo. Una sfera luminosa atterrò poco lontano da loro, distruggendo un’altra buona parte del castello.
Ad un certo punto dal cielo arrivò un numeroso gruppo di maghi incappucciati e da esso se ne staccò uno, Re Leithan assunse una postura fiera di fronte allo sconosciuto. Il mago lentamente atterrò di fronte a loro, ridendo sinistramente.
-Finalmente ci incontriamo… Vostra maestà- disse lui con falsa riverenza, inchinandosi beffardamente.
Le guardie si misero davanti al sovrano come scudo.
Una di loro attaccò il mago, dopo di lei un’altra e un’altra ancora. Tutte si stavano mobilitando per dare tempo a Re Leithan di scappare.
Così fece, portando con sé il figlio del suo amico; lo trascinò fino a quella che era rimasto della sala del trono, l’unico sopravvissuto intatto era l’imponente trono che, silenzioso, osservava inerme quella feroce distruzione, raggiunsero il portone che ore prima l’aveva condotto in cella.
A quel ricordo gli venne in mente la Úmarth, ancora rinchiusa in cella. Doveva andare a salvarla.
Nel frattempo arrivò anche il mago, minaccioso. I due si fissarono dritti negli occhi e Dalen percepì chiaramente il nome sussurrato dal re a denti stretti: Brax. A quel nome l’interpellato sorrise malignamente, calò il cappuccio rivelando un volto per metà rovinato in modo raccapricciante da una crosta nerastra, i vasi erano canalini rosso fuoco e l’occhio interessato dalla malformazione completamente bianco. Brax spostò la sua attenzione verso di lui, guardandolo come se avesse notato qualcosa in lui.
Quel momento durò poco perché il re lanciò un incantesimo che colpì dritto al petto del nemico, prima egli che si riprendesse, il governatore fece un’ultima richiesta al ragazzo: -Voglio chiederti un favore, che chiesi anche a tuo nonno. In passato avevo una bellissima moglie e diciotto anni fa diede alla luce la nostra primogenita, purtroppo non la vidi mai poiché quello stesso giorno sparirono sia lei che la mia sposa. Ti prego, ritrovale-.
Dopo aver fatto cenno affermativo con la testa, Leithan lo spinse dietro la porta e con un gesto fece crollare parte del muro davanti.

L’Hybris si trovò da solo con i rumori della battaglia all’esterno, dopo un momento di smarrimento si ricompose e corse verso le segrete dove era rinchiusa la faeriana.
Quando le raggiunse trovò che la lotta aveva provocato dei crolli anche lì sotto e febbricitante si mise a cercare la ragazza. Sentì un lamento, lo seguì e trovò la Úmarth incastrata sotto ad alcuni massi caduti all’interno della cella.
Non appena lei lo vide avvicinarsi alle sbarre, lo bloccò ricordandogli della barriera antimagia e insistette di mettersi in salvo. Dalen non volle sentir ragioni, l’avrebbe tirata fuori di lì a tutti i costi, solo non sapeva come.
Un leggero bagliore colto con la coda dell’occhio lo indusse a voltarsi, trovandosi di fronte il suo spirito guida: l’alce passò il suo sguardo da lui alle inferriate, poi si spostò verso esse. Il ragazzo, per la prima volta, capì cosa volesse dirgli e si concentrò.
Un venticello leggero si levò ed Eleswin guardò stupefatta ciò che stava avvenendo, ma richiamò il ragazzo capendo il suo intento: -Dalen, fermati! Ti ho detto che non puoi usare la magia. Vattene, mettiti in salvo. A nessuno importa una come me, ti porterei solo sfortuna-.
L’Hybris non accennò a fermarsi, anzi il vento cominciò a turbinare lentamente verso la cella: -Non ho alcuna intenzione di lasciarti qui. E poi io non uso la magia- il vento si fece più forte, roteando vorticosamente attorno alle sbarre piegandole ed infine strappandole via -Posso controllare un elemento della natura: il vento e non mi fermerò davanti a nulla-. Aiutò la ragazza a liberarsi dai massi e uscirono dalle carceri.
All’esterno era calato il buio e non era di certo un vantaggio per gli abitanti di Zerkatt, mentre lo era per i seguaci di Brax, il quale stava ingaggiando una lotta furibonda con il re.
La giovane tirò verso di sé Dalen, schivando un lampo e, come era successo quando si erano incontrati, sgusciò tra le genti e le macerie riuscendo ad uscire dalle mura.
Cominciarono a correre in mezzo ai campi, diretti verso la foresta che si intravedeva in lontananza.
Poi improvvisamente qualcosa colpì Dalen e svenì, privo di sensi.

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Capitolo 3
*** Tre ***


TRE

 

Aveva un mal di testa atroce e lentamente sollevò le palpebre pesanti. 
Dalen ebbe una sorta di deja-vu, solo che stavolta non si ritrovò a fissare un soffitto bianco in cemento, ma la stoffa nocciola di una tenda.  Gradualmente mise a fuoco un alone a fianco a sé e vide Eleswin che, con un’espressione angosciata, stava vegliando su di lui. Quando si accorse che si era ripreso, sollevata, si piegò su di lui chiedendogli come si sentiva e passò una mano sulla sua fronte. Dalen si trovò a pochi centimetri i suoi occhi rossi e gialli, arrossì e quando anche la Úmarth si accorse di essere troppo vicina, si allontanò imbarazzata. 
Improvvisamente al suo fianco, il giovane sentì qualcuno bofonchiare in segno di protesta, si voltò su un fianco trovandosi molto vicino il volto di uno sconosciuto arrabbiato. Spaventato si sedette di scatto, ebbe un giramento di testa e fu prontamente soccorso dalla ragazza, poi riportò lo sguardo sul suo vicino di letto e si accorse che si trattava di un ragazzino dalla corporatura esile, un buffo naso appuntito, come le orecchie, imbavagliato e legato come un salame.
Lo sconosciuto aggrottò le sopracciglia e prese a dimenarsi come un ossesso, cercando di sciogliere le corde.
-Ah, non ti preoccupare di lui… È solo un folletto tanto sciocco da intrufolarsi in un campo Úmarth e tentare di derubarci- dopo vari tentativi la creatura riuscì a liberarsi del bavaglio.
-Voi maledetti mezzi elfi non meritate di stare qui, non meritate nulla di ciò che avete- disse con voce stridula, Dalen si avvicinò ad essa e gli pungolò il naso: -Credevo che i folletti fossero più piccoli-. Quel commento fece arrabbiare di più il faeriano: -Bassi! Il termine giusto è “bassi”! E poi da dove verresti ragazzino! Nessuno ti ha insegnato che solo perché i nostri antenati adoravano andare in giro nella loro forma minuscola, non vuol dire che di norma i folletti siano bassi?- il ragazzo non riuscì a trattenersi dal ridere, trovava comico il modo in si adirava quella piccola creatura esile, cosa che fece attirare su di sé altri rimproveri da parte del folletto.
Si girò di scatto, in cerca del libro, ogni volta temeva di perderlo e non poteva permetterselo, Eleswin lo tranquillizzò facendogli vedere che era proprio al suo fianco. 
Ci fu ancora un po’ di confusione tra il trio quando una figura sollevò un lembo della tenda, entrando e facendo zittire tutti e tre: si trattava di un anziano muscoloso e pieno di tatuaggi; i capelli e la barba canuti e lunghi; in una mano, dalle dita lunghe e affusolate, teneva un lungo bastone nodoso, ricurvo alla fine dal quale pendevano foglie, fiori essiccati ed enormi bacche; anche lui sul volto possedeva il marchio caratteristico della sua specie. Eleswin abbassò lo sguardo, portando entrambe le mani sul cuore si inchinò e solo ad un verso incomprensibile del vecchio, lei si rialzò. Il ragazzo osservò rapito la scena.
-Vedo che il nostro Hybris si è ripreso. Il mio nome è Grosjierik, sono lo sciamano e il capo di questa piccola comunità, la nostra “Piccola Lacrima” ci ha raccontato di come tu l’abbia salvata nonostante la sua natura e ti abbia ingiustamente incastrato facendoti catturare- queste ultime parole le disse con tono di rimprovero verso la faeriana, che vergognandosi abbassò gli occhi.
-Ti ringrazio, Dalen- continuò l’anziano, poi si accucciò di fianco a lui prendendogli il ciondolo tra le mani e lo guardò negli occhi -Hai proprio i lineamenti di tuo padre, gli occhi di tua madre e il coraggio di entrambi. Noiro, Gherda e Locuy hanno fatto un buon lavoro nel proteggerti- Dalen sbarrò gli occhi, come faceva a conoscere suo nonno, i suoi genitori naturali ed adottivi? Ma aveva timore nel fare quella domanda, provava soggezione per quell’uomo. Lo sciamano sorrise, prese una delle bacche che portava con sé sul bastone, la premette in una ciotola facendo uscire un succo bluastro e gliela porse consigliandogli di bere il contenuto. L’Hybris obbedì e subito dopo sembrò recuperare un po’ delle forze, chiese quanto avesse dormito e gli venne risposto che era rimasto senza sensi per ben tre giorni; nel frattempo Zerkatt era stata rasa al suolo e i suoi abitanti erano stati presi prigionieri, compreso il re.
Grosjierik prese la parola: -Dalen, sento che hai paura di farmi una domanda… Sappi che puoi chiedermi qualsiasi cosa ed io cercherò di risponderti. Qui sei al sicuro e ti puoi fidare di noi-.
Allora il giovane prese coraggio e chiese: -Come fate a sapere chi fosse la mia famiglia adottiva? Conoscete i miei veri genitori? Dove sono? Sapete dove trovare Noiro? Avete parlato con lui? E Brax? Avete idea di come poterlo sconfiggere?-.
Ridendo lo sciamano lo bloccò: -Fai tante domande ragazzo. Per ora riposati, stasera partecipa alla festa dell’accoglienza e poi domani risponderò alle tue curiosità- fece un pausa prima di uscire -Ah, Eleswin, piccola Lacrima, noto con piacere che sei riuscita a catturare un folletto ladruncolo-.
La creatura, sentendosi nominare, si mise sulla difensiva, guardando con fare di sfida il capo Úmarth; quest’ultimo si avvicinò al primo: -Per espiare le tue colpe rimarrai legato fino a quando non implorerai perdono- infine uscì dalla tenda.
Ignorando le proteste del folletto, Dalen si volse verso Eleswin: -Piccola Lacrima?-.
-Probabilmente l’ha chiamata così perché è sempre stata una piagnucolona- si intromise con tono sprezzante la creatura, ricevendo un’occhiataccia gelida da parte della ragazza.
La faeriana guardò l’Hybris con sguardo perso in un qualche ricordo: -I monti Úroth sono valicabili solo dagli elfi grazie al favore positivo di Nimrodel. Lo fanno ogni anno per raggiungere il lago magico Rhawin di Eosel dove alimentano i loro poteri, che dopo un anno rischiano di perdere se non intraprendono quel viaggio. Alcuni di loro, però, approfittano per vedere anche il resto di Eosel e una parte va contro le regole della dea innamorandosi od unendosi ai maghi. Come risultato alcuni elfi tornano indietro dopo mesi per abbandonare ai bordi delle foreste i loro figli maledetti. Quando hanno trovato me, ancora in fasce, avevo un foglietto su cui era scritto il mio nome originale, Iris, ma venne cambiato durante la festa dell’accoglienza in Eleswin. Nella lingua antica di Faeria significa “Piccola lacrima” poiché il foglio su cui era ecritto il mio nome era impregnato delle lacrime che mia madre aveva versato per me, in più chi mi ha trovato narra che si potevano udire dei singhiozzi provenire dalla foresta, ma non riuscirono a capire a chi appartenessero. Grosjierik, allora, mi ha dato quel nome perchè voleva che ricordassi quanto mia madre in realtà avesse sofferto nel non potersi prendere cura di me-.
Il giovane le posò una mano sul braccio scusandosi per averle chiesto una cosa del genere, lei gli rivolse un sorriso amaro dicendogli di non farlo, tutti quelli come lei avevano alle spalle una storia simile, per cui lei non doveva essere trattata in modo speciale e sentirono dei piccoli singhiozzi provenire dall’angolo della tenda dove era presente il folletto. Quest’ultimo tirò sul col naso sottolineando il fatto che non stava piangendo, forse c’era della polvere che gli era entrata negli occhi, facendo ridacchiare i due ragazzi.
Quella sera la gente della piccola comunità si radunò intorno ad un falò acceso nel mezzo della radura in cui abitavano; adulti, anziani, ragazzi e bambini prendevano posto intorno alle fiamme, accompagnati dai motivetti allegri provenienti dagli strumenti di un gruppetto di Úmarth.
Dalen era rapito dallo spettacolo suggestivo che si presentava fuori dalla tenda, in cui aveva passato tutta la giornata. Il cielo nero e privo di nubi metteva mostra del suo glorioso insieme di stelle, che come piccole perle disegnavano intricate immagini completamente di verse dalle costellazioni a cui il ragazzo era abituato. Quei lontani minuscoli puntini bianchi circondavano le due lune lattescenti, la prima piccola e quasi completa, la seconda più grande e sferica. La luce lattiginosa, mista a quella tremolante e più decisa del fuoco, illuminava le fronde degli alberi che delimitavano l’area della radura, guardiani silenziosi della celebrazione che si sarebbe tenuta di lì a poco.
La faeriana fece cenno a Dalen di sedersi accanto a lei e al folletto legato ed imbavagliato per bene che, imbronciato, guardava la festa a cui era stato costretto a partecipare come spettatore. La musica spensierata si tramutò in solenne, tutti i presenti si alzarono i piedi mentre, da un varco formatosi tra la gente, lo sciamano Grosjierik, intonando un canto solenne, guidava la fila di mezzi elfi con ognuno in braccio un bimbo appena nato. Si sistemarono intorno al fuoco e il capo della comunità cominciò a narrare a tutti della nascita del primo Úmarth e di come fosse ingiusto che le colpe dei padri cadessero su quelle dei figli, continuò col dire che la loro specie non avrebbe mai demorso nel tentativo di mostrare a tutti che loro non erano diversi e che avrebbero accettato coloro che invece tutti avrebbero rifiutato. La cerimonia andò avanti con canti, preghiere ed offerte ad Heturin perché vegliasse sui nuovi nati e terminò con un canto melanconico e straziante in una lingua antica, che gli venne tradotto da un mezz’elfo lì vicino, esso parlava delle peripezie e soprusi sofferti dalla loro specie prima di trovare conforto in piccole aree delle foreste. Alla fine della cerimonia i neonati e le famiglie con i piccoli si ritirarono nelle loro tende, Grosjerik si sedette su un grande tronco tagliato e ad un suo cenno i musicisti ripresero a suonare motivetti allegri ed accattivanti, mentre le persone rimaste si alzarono cercando il proprio compagnio per dare inizio alle danze. Eleswin venne invitata da un giovane e per la prima volta l’Hybris la vide sorridere senza pensieri mentre si accingeva a ballare insieme ai suoi simili; il ragazzo si andò a sedere a fianco dello sciamano, osservando come alcuni ragazzi avevano tolto il bavaglio al folletto e divertiti lo stavano facendo bere qualcosa di sicuramente alcolico.
L’anziano si mise a ridere davanti a tutta quella vita e si accorse che invece il giovane era pensieroso, gli chiese se fosse qualcosa che non andava.
Dalen guardò il folletto ubriaco mentre si univa a cantare ballate a lui sconosciute e tentava di danzare nonostante fosse ancora legato: -Non capisco… A pochi passi da qui le terre sono dilaniate dalla guerra, la gente lì fuori soffre… E voi invece fate festa. Non dovreste pensare a come affrontare Brax?-.
Il vecchio sorrise comprensivo: -Hai ragione, la guerra uccide e fa del male. Ma se lasciamo che essa oscuri i nostri cuori allora il tiranno ha già vinto. Oggi è un giorno da celebrare, abbiamo accolto nuovi bambini salvandoli da morte certa, gli abbiamo dato un’opportunità in più per sopravvivere a questo mondo duro ed ostile- fece una pausa indicando la radura e i ragazzi che danzavano -Guardati intorno quanta vita, un giorno non ci saremo più mentre invece il mondo andrà avanti. Con o senza di noi la natura esisterà ancora, noi dobbiamo cogliere il nostro attimo e viverlo a pieno, non possiamo permettere che una sola persona egoista e malvagia ci tolga l’unico nostro tempo di esistere. L’arma migliore con cui dimostrare di non avere paura è continuare a comportarci come sempre, festeggiando e portando avanti le nostre tradizioni, ovviamente stando in allerta. Quando arriverà il momento di combattere ci troveranno pronti a rispondere-.
Dalen, ammirando i pensieri dell’uomo, si zittì ed osservò i suoi coetanei mentre festeggiavano; i suoi occhi trovarono la figura aggraziata di Eleswin mentre volteggiava, ridente, tra le braccia di un giovane, si sorprese nel capire che inconsciamente stava seguendo ogni suo singolo movimento. Il vecchio sciamano se ne accorse e sorridendo gli diede una pacca sulla schiena, notando come il ragazzo fosse arrossito a quella presa di coscienza.
La giovane Úmarth si avvicinò a Dalen e con un sorriso raggiante gli chiese di danzare con lei, inizialmente egli rifiutò sostenendo di non saper danzare, ma lei lo ignorò prendendolo per mano e trascinandolo nella mischia.
Il ragazzo, visibilmente imbarazzato, si guardò intorno, poi nel suo campo visivo entrò la mezz’elfo e come ipnotizzato la seguì mentre allegra volteggiava su se stessa. I suoi occhi incontrarono quelli rossi e gialli di lei, notando come la luce del falò li mettesse in evidenza; il gioco di luce ed ombra creatosi sul suo corpo la facevano confondere con le lingue di fuoco, si muoveva in modo sinuoso come esse e lui non poteva fare a meno di guardarla. Inebriato da tutta quell’allegria si lasciò trasportare dalle danze, dimenticandosi della guerra, di Brax, dei suoi genitori naturali e adottivi. Dimenticandosi di tutto ciò che era al di fuori di quella radura.


La mattina dopo si svegliò con un grande mal di testa, ricordava di aver ballato per molto tempo e di essere crollato dal sonno da qualche parte, portò una mano davanti agli occhi per riparasi dalla luce forte del sole. Sentì il respiro leggero di qualcuno addormentato a vicino a lui, si girò sul fianco per vedere di chi si trattasse, con stupore di ritrovò davanti il volto di Eleswin e si accorse che inconsciamente si erano addormentati tenendosi per mano.
Arrossì e si sedette di scatto guardandosi intorno: la verdeggiante radura era coperta da Úmarth addormentati, alcuni ancora con una fiaschetta di qualche liquore in mano; poco lontano giaceva il folletto ronfante, il quale bofonchiava frasi senza senso.
Si alzò e tendendo l’orecchio avvertì il rumore di acqua poco lontano. Si dovette avventurare per un breve tratto nella foresta trovando un piccolo fiumiciattolo che passava per di lì.
Mise le mani a coppa per recuperare quel tanto di acqua fresca per buttarsela sul viso e ridestarsi del tutto, tenne ferme le mani sugli occhi a quel contatto rinfrescante fino a quando non sentì uno scrocchio, si mise sull’attenti e quando le tolse, liberando la vista, si trovò di fronte una creatura che lo fece saltare 
Aveva di fronte un animale più grande di un cavallo; aveva la testa di un cervo, leggermente più appiattito sul naso, con le grandi orecchie di lepre; la metà del corpo davanti assomigliava a quella di un cavallo, mentre quella dietro era costituita dalla metà posteriore di un canguro. Il manto era di un bruno scuro, pelo raso che risplendeva al contatto con la luce, disegnando muscoli forti e guizzanti; esso lo stava osservando mentre, calmo, approfittava del fiumiciattolo per abbeverarsi.
Una voce maschile dietro di lui, lo fece sussultare: -Non avere paura di lui, Hybris- disse Grosjierik divertito -È un Lecerguro, le uniche creature che non temono noi Úmarth, proprio come te. Lui è il compagno di Eleswin-.
Dalen si rivolse nuovamente verso la strana creatura, osservandola con occhi diversi: -Il compagno di Eleswin?-. 
Come se fosse stata chiamata, la ragazza sbucò da dietro gli alberi, ancora assonnata: -Secondo te come ho fatto a portarti qui? Di sicuro non mi faccio chilometri e chilometri con te in spalle privo di sensi… Ho chiamato Roth a darmi una mano- l’animale si avvicinò a lei per farsi accarezzare.
-Quindi lui sarebbe il tuo destriero?- chiese il ragazzo incuriosito.
-Roth non appartiene a nessuno, è lui che ha scelto di servire e fidarsi di Eleswin, e lo farà per tutto l’arco della sua vita- spiegò lo sciamano e capo degli Úmarth.
Passarono il resto del tempo a parlare della celebrazione della sera prima, mentre la mezz’elfo accarezzava e coccolava il lecerguro Roth. Dopo un po’ l’anziano propose ai due giovani di tornare all’accampamento, il lecerguro li accompagnò fino al confine tra alberi e radura, poi dopo averli osservati per un po’ si riemerse nella natura. L’Hybris chiese perché non li avesse seguiti oltre e la ragazza gli spiegò che la loro specie non ama essere circondati da molta gente, lo sopportano solo in casi di necessità ed inevitabili.
-Capo Grosjierik, ieri mi avevate detto che avreste risposto alle mie domande…- iniziò Dalen, ma venne subito bloccato da un cenno dell’interpellato.
-Ogni cosa a suo tempo… E ora è tempo di mangiare- rispose lui e il ragazzo chiese se davvero avessero dormito così tanto, allora il vecchio gli fece notare il sole alto e continuò: -Dopo quel genere di feste il corpo richiede molto per riposare e riprendere le attività importanti come il lavoro e gli allenamenti, e poi a stomaco pieno si ragiona meglio- fece l’occhiolino mentre gli abitanti del campo preparavano per il pranzo. Alcuni uomini stavano arrostendo la cacciagione, mentre alcune donne mischiavano in un grosso pentolone verdure e fiori sconosciuti a Dalen.
Lo sciamano si sedette accanto al folletto, arreso all’idea di dover rimanere legato, e fece accomodare a fianco a sé l’Hybris e la giovane Úmarth. Consumarono il pasto e Dalen rimase affascinato della grande ospitalità ricevuta, nessuno aveva fatto domande e lo avevano accolto sin da subito come uno di loro; aveva persino dimenticato e superato il tiro basso giocatogli dalla mezz’elfo solo qualche giorno prima.
Il capo sembrò avergli letto nel pensiero: -Noi siamo sempre ospitali con chi ne ha bisogno. Tu però sei un ospite ancor più benvoluto- il giovane non capiva -Hai salvato uno di noi, senza farti scrupoli su quale fosse la sua natura… In più non sei un Hybris qualunque, ma quell’Hybris che tutti aspettavano. Tu sei l’unica speranza di Faeria-.
Dalen continuava a non capire, cosa aveva lui di così speciale da essere addirittura considerato come unica speranza? Un bagliore fioco attirò l’attenzione di tutto il campo e da esso apparve l’alce bianco in tutta la sua gloriosità. Perché apparire ora? Cosa doveva fare? La gente esultò alla sua vista, si avvicinarono timorosi e quasi in venerazione; tutti tranne i bambini i quali subito corsero da lui per accarezzarlo e l’animale li lasciava fare. Improvvisamente uno scoppio in lontananza mise in allerta tutti i presenti, l’alce indirizzò il muso verso la fonte del rumore e poco dopo si levò in lontananza una colonna di fumo: un’altra cittadina era caduta nelle mani di Brax.
Per sciogliere la tensione e riportare la tranquillità nel campo, l’alce prese a giocare coi bambini, facendoli montare in groppa o saltando allegramente da una parte all’altra; riuscendo maestosamente nel suo intendo.
Grosjierik capì l’intento dello spirito guida: -Dalen, ragazzo questo vuol dire che è arrivato il momento che tu sappia da dove vieni- ottenne l’attenzione sua, della ragazza e persino del folletto, incuriosito da quella faccenda.
-Da dove iniziare…- l’uomo si fece pensieroso -Ecco. Le ninfe sono creature aggraziate che festose vivono nelle foreste o vicino alle acque, incapaci di comprendere un sentimento forte come l’amore verso un uomo. La loro madre è un’amadriade e nessuna di loro può allontanarsi dal luogo in cui sono nate, pena la morte; ma ci sono delle eccezioni in cui ciò è permesso. In rari casi nasce un bambino dal cuore nobile e puro, a cui il futuro prevede grandi cose e da adulto avrebbe ricevuto una moglie adatta a lui, ovvero una ninfa scelta dall’amadriade-.
-Ma è una cosa crudele. Come si fa a costringere una persona ad amare qualcuno?- interruppe Eleswin.
-Sciocca e piccola Úmarth- rispose il folletto -Nessuno lì fuori è libero di amare chi vuole, né l’umile contadino né i grandi regnanti che regolano le città di Eosel-.
Lo sciamano zittì entrambi, riprendendo il suo racconto: -Questo è un caso diverso. Un tempo lontano nacquero da una famiglia nobile due gemelli e venne interpellato un grande indovino riguardo il loro futuro. Egli riconobbe in uno dei due un gran cuore nobile e puro, con un futuro ridente davanti a sé, ma non disse quale possedesse quella singolare caratteristica. I genitori riconobbero il primogenito come il destinato. I due gemelli crebbero divenendo due uomini dall’aspetto amabile, ma diversi tra loro sia esteriormente che interiormente; il primogenito era amato dai nobili genitori, mentre al secondogenito rivolgevano meno attenzioni, quest’ultimo subiva silenziosamente ma ne approfittava per sgusciare dalla loro tenuta e vedere il mondo esterno. Arrivò il momento di cercar moglie per i figli e i due nobili, ricordando ciò che aveva detto l’indovino, partirono per la foresta lì vicino lasciando i poderi in mano ad essi. Questi si fidavano ciecamente l’uno dell’altra e riuscirono a gestire magistralmente le terre dei genitori, durante la loro assenza. Nel frattempo i due nobili raggiunsero il luogo abitato dalle ninfe e quando l’amadriade seppe della profezia dell’indovino, lusingata, promise di scegliere la ninfa più adatta a quel figlio dotato di tal rarità. Soddisfatti i due nobili tornarono a casa a proferire la lieta notizia. L’amadriade mantenne la sua promessa ed optò per una delle sue più giovani e belle figlie: una lunga e folta chioma accarezzava la pelle pallida della creatura, ondulati capelli fini raggiungevano la fine della schiena come un fiume nero lucente, lasciati sciolti ed adornati da semplici foglie e pochi fiori colorati; gli occhi azzurri come il cielo d’estate arricchiti da pagliuzze rosse e dorate scrutavano la foresta in cui viveva, attenti a scovare ogni suo segreto; le labbra rosse e carnose sempre piegate in un dolce sorriso pronto ad essere regalato ai viandanti. L’amadriade amava molto quella figlia, e per questo scelse proprio lei; la affidò ad una coppia di potenti maghi di cui si fidava, in quanto sempre rispettosi e gentili nei confronti delle ninfe, per accompagnarla dalla nobile famiglia. I nomi di quei due maghi erano Gherda e Locuy e il loro compito era anche quello di prendersi cura di lei, fino a quando non avrebbe imparato a vivere indipendentemente in quel mondo a lei nuovo-.
Dalen prestò ancora più attenzione al racconto: loro due erano i suoi genitori adottivi e forse stava cominciando a capire.
-Con l’intervento di Adasser, dio dell’Amore, il cuore della giovane ninfa venne reso capace di provare e comprendere un sentimento tanto nobile come l’amore vero; tuttavia nonostante egli fosse una divinità, ci sono occasioni in cui anche lui non è in grado di controllare il procedere degli eventi. La giovane ninfa venne così accompagnata alla tenuta della nobile famiglia. Venne presentata al primogenito il quale si innamorò perdutamente di lei a prima vista, mentre la fanciulla, invece, era attratta da tutto ciò che la circondava e che vedeva la prima volta. Il mago volle mostrarle i propri possedimenti e ricchezze per poter fare colpo su di lei, non riuscendoci, ma non demorse, riempiendola di abiti e gioielli, sperando di essere ricambiato in futuro. Un giorno la ninfa decise di uscire dal castello per poter vedere con i suoi occhi come si svolgeva la vita al di fuori di esso, si fece accompagnare da Gherda, ma raggiunto il mercato della piccola cittadina in cui abitavano vennero presi di mira da dei banditi. Nel frattempo il secondogenito tornò da un lungo viaggio e passando per quello stesso mercato accorse a salvare le due damigelle in pericolo, ma la ninfa non era una completa sprovveduta e sotto gli occhi stupefatti del giovane nobile e dei banditi, riuscì a farsi valere, aiutando la maga a metterli in fuga. Colpito da così tanto coraggio e forza egli si propose di accompagnare le due donne a visitare il mercato. Grazie a lui, la ninfa scoprì le piccole cose che rendevano speciale quel territorio, come i prodotti delle terre, le persone e le tradizioni; e senza accorgersene cominciò a provare un sentimento nuovo. Dal canto suo il ragazzo venne rapito anche dalla dolcezza della sconosciuta, oltre che dalla sua bellezza, e in breve si rese conto di essersi invaghito di lei-.
-Aspetta- interruppe Dalen -Adesser riuscì a far innamorare Eöl di quell’elfo, perché non convinse la ninfa ad innamorarsi del primogenito?-.
-Il dio dell’amore non costringe mai nessuno ad amare, lui pianta il seme di quel sentimento all’interno del cuore delle persone, terreno fertile che farà sbocciare il fiore solo nel momento giusto. Quella volta venne aiutato dalla dea dell’illusione e il dio delle acque si invaghì del bell’aspetto donato alla giovane elfo. Ma ora concentrati sulla storia se vuoi avere risposte alle tue domande- lo ammonì il vecchio -Quel giorno, però, i due scoprirono la vera identità dell’altro: lei era la promessa sposa del gemello del giovane che era accorso per salvarla. Il ragazzo si disperò, non voleva fare un torto al fratello innamorandosi della donna con cui avrebbe dovuto passare il resto della vita e decise di partire per un viaggio alla ricerca dell’indovino per sapere come comportarsi di lì in futuro. Dal canto suo, la giovane si chiese come potesse essersi innamorata di quel ragazzo, quando il cuore di una ninfa poteva battere solo per uno puro e nobile, per cui decise di provare a mettere da parte quei sentimenti, credendo di essersi sbagliata. Passarono mesi e la ragazza non si riteneva ancora pronta per un matrimonio, il giovane mago pazientemente aspettava, cosa che non erano disposti a fare invece i due genitori e premevano sulla fanciulla. Fecero così tante pressioni che ella alla fine cedette e il matrimonio venne fissato due settimane dopo a partire da quel giorno. In quegli stessi mesi il fratello gemello raggiunse l’indovino, gli spiegò la situazione e costui meravigliato, constatò che i due genitori fossero ciechi poiché il ragazzo dal cuore nobile e puro era lui e non l’altro fratello. Pochi giorni dopo arrivò all’indovino l’invito al matrimonio e il nobile mago decise di tornare di corsa a casa per fermare le nozze. Giunse in tempo dichiarando il suo amore alla ninfa, che confessò davanti a tutti di ricambiarlo; ci fu sgomento e confusione tra gli invitati, palesemente scandalizzati. Increduli i genitori dei gemelli cercarono di riportare l’ordine nella sala dei ricevimenti, chiedendo spiegazioni all’indovino, il quale rispose che il ragazzo adatto a lei non era il loro primogenito ma il secondo. Spiazzati, guardarono la nuova coppia ricongiungersi, felici. Il mago primogenito, però, si sentì preso in giro e con profonda delusione si sentì tradito da quel fratello che tanto adorava. Proprio da lui si era visto portar via l’amore più grande che avesse mai provato, avvertì ammontare dentro di sé la rabbia e si lasciò guidare da essa, distruggendo e uccidendo chiunque cercasse di mettersi tra lui e la giovane coppia. Ai due anziani genitori si spezzò il cuore nel vedere il proprio figlio agire in quel modo e dal dolore morirono. Gherda e Locuy presero con sé la ninfa ed il mago portandoli lontano da lì, nascondendoli tra noi Úmarth; fu così che conobbi i tuoi futuri genitori adottivi. Essi proteggerono la coppia dal fratello malvagio che aveva giurato vendetta contro di loro, contro tutti quelli che gli avevano promesso un futuro radioso. Dopo nove mesi, la ninfa perse i suoi poteri e la sua natura dando alla luce un bambino molto speciale… Tu, Dalen. Tuo padre era il fratello gemello di quell’uomo malvagio di nome Brax-.
All’Hybris mancò il terreno sotto i piedi, la testa gli vorticava come le prime volte in cui vedeva l’alce, lo stesso alce che ora si stava avvicinando cautamente a lui, ma si bloccò dopo pochi passi. Non ci poteva credere, ora che sapeva da dove veniva non voleva accettarlo. Il mostro che stava mettendo a ferro e fuoco quel mondo meraviglioso era suo zio… Gli si chiuse lo stomaco, un senso di nausea stava prendendo possesso del suo corpo. La voce ovattata e distante di Eleswin, che tentava di chiamarlo e farlo rinsavire, non riusciva a penetrare il muro che si stava creando attorno. Oltre alla nausea sentiva anche accrescere la rabbia, urgeva scaricare l’ira che lo opprimeva.
Il vento cominciò a turbinare in mezzo alla radura sempre più forte, non poteva accadere, non lì. Guardò disperato il suo spirito guida in cerca di aiuto, l’animale capì e galoppò verso di lui fermandosi volgendogli il fianco, il tutto sotto gli occhi spaventati e sgomenti della comunità.
Dalen porse in avanti una mano, temeva che al contatto con il manto candido sarebbe passato attraverso; invece trovò il pelo morbido dell’alce, saltò in groppa all’animale e si lasciò guidare in mezzo alla foresta, lontano da tutti e tutto.
Eleswin, urlò il suo nome, emise due brevi fischi acuti richiamando il suo lecerguro Roth, montò in groppa dando due leggeri colpi con la mano sul collo dell’animale, ma venne bloccata dal suo capo che le consigliò di non seguirlo, di lasciare che affrontasse da solo il suo passato e se stesso. La ragazza, impotente, osservò la figura del giovane Hybris sparire in mezzo agli alberi.

 

Dalen si fece guidare dall’alce, chiuse gli occhi e lasciò che gli unici suoni che entrassero nelle sue orecchie fossero il rumore degli zoccoli sul terreno e il fruscio delle piante che urtavano lui e l’animale. Non seppe per quanto tempo avessero galoppato né quanto lontani fossero dall’accampamento Úmarth, sapeva solo che si erano addentrati parecchio nella foresta: la vegetazione era fitta e solo pochi raggi solari oltrepassavano le folte chiome degli alberi. Il ragazzo scese dall’alce, procedendo silenzioso al suo fianco; era ancora arrabbiato, ma la galoppata furiosa lo aveva calmato leggermente. Camminando raggiunsero un piccolo specchio d’acqua, l’alce ne approfittò per accoccolarsi sulla riva; Dalen si sporse per prendere un po’ d’acqua e rinfrescarsi il viso, sperando che così facendo si calmasse. Appena la superficie d’acqua mostrò il suo riflesso egli ripensò alle parole di Grosjielik, cioè come assomigliasse ai suoi genitori, gli tornò in mente la storia di poco prima, dello sguardo di Brax quando l’aveva visto e di come la sua espressione cambiò per un secondo in una di chi gli sembrava aver riconosciuto una persona. Il ragazzo afferrò un sasso e lo gettò in acqua: ovvio che gli sembrasse di averlo già visto, aveva i lineamenti del gemello… Già, gemello… Si riguardò nuovamente nel piccolo stagno lucente e notò che effettivamente aveva una certa somiglianza con quello zio che non aveva scelto lui.
Continuando a fissare quel volto riflesso gli tornò in mente il sorriso sinistro di Brax, riemerse la rabbia e non cercò di domarla, lentamente si levò di nuovo il vento, divenne più forte, poi ancora più forte fino a vorticare all’impazzata nel mezzo dello stagno sollevando con sé anche acqua: stava creando una piccola tromba d’aria. Essa si ingrandiva ad ogni ondata di rabbia, ad ogni ricordo accumulati nei suoi diciotto anni, non tentò di ridimensionarla; stava pericolosamente raggiungendo l’altezza degli alberi, rischiando di rivelare a Brax la sua posizione. Non gli importava, gli alberi iniziarono a piegarsi verso la piccola tromba d’acqua, continuava a non volersi fermare.
L’alce si accorse che il suo protetto stava per perdere il controllo dei suoi poteri, lanciò un potente bramito per farlo desistere, senza successo; allora decise di caricarlo e lo colpì facendolo cadere in terra, lo vide raggomitolarsi su se stesso per poi scoppiare a piangere.
Dalen lasciò che le lacrime salate uscissero copiose, era un pianto liberatorio, singhiozzò sonoramente; avvertì l’animale accovacciarsi a fianco a lui, si aggrappò a lui continuando a piangere ed urlare che non era giusto, che avrebbe preferito non nascere se era colpa sua. Poi si addormentò sfinito. 
Si risvegliò quando il sole aveva già varcato buona parte della volta celeste. Si accorse di come l’alce fosse sempre rimasto accanto a lui, vegliandolo nel sonno; lo ringraziò e gli disse che era pronto a tornare nel campo Úmarth.
Lentamente l’animale lo guidò nella radura e trovò ad aspettarlo un intero villaggio in apprensione, appena lo videro tutti gli corsero incontro, sollevati nel vederlo sano e salvo; tra tutti si levò una voce angosciata che chiamò il suo nome: era Eleswin che rincuorata si fece strada tra i suoi simili, giunta davanti a lui gli si gettò al collo, abbracciandolo forte; tra la gente si sollevarono risatine imbarazzate e la ragazza, rendendosi conto del suo gesto, si allontanò repentinamente dal giovane, arrossendo ed alzando le braccia.
Dopo un po’ ci ripensò e gli mollò un pugno sulla spalla: -Questo per avermi fatto stare in pensiero per uno stupido come te- poi sbuffando si allontanò.
Lentamente si avvicinò il capo e sciamano Grosjielik e il ragazzo subito si inchinò come tutti gli altri, scusandosi per il suo comportamento: -Alzati- gli disse -L’importante è che tu impari ad accertarti per quello che sei. Non importa da dove vieni o che legami di sangue ti abbia, ciò che è importante è distinguersi da essi-.
Il ragazzo annuì promettendo di provarci con tutto se stesso, poi chiese: -Avete conosciuto Noiro?-.
Il vecchio sorrise: -Certo. Dopo la tua nascita, i tuoi genitori sono partiti da qui per una meta sconosciuta. Non volevano mettere ulteriormente a repentaglio la nostra vita rimanendo ancora qui. Insieme a loro partirono anche Gherda e Locuy. Da allora non li vidi mai più. Qualche anno dopo arrivò un uomo avanti con gli anni di nome Noiro, mi disse che i due maghi che si presero cura della ninfa ti avevano portato sulla Terra per salvarti da Brax. Non mi riferì altro, a parte che doveva andare dalle ninfe per scoprire un tassello che gli mancava-.
-E perché io sono così speciale?- incalzò il ragazzo.
-Non posso dirti tutto io… Vedrai che le ninfe sapranno darti più risposte- disse lui sorridendo.
All’improvviso un fischio acuto alle sue spalle lo fece votare.
-Allora! Sei pronto ad andare a trovare le tue care parenti ninfe?- esclamò Eleswin già in groppa di Roth, due borsoni legati alla sella e stava aspettando la sua risposta.
Dalen si avvicinò stupito: -Mi accompagneresti? Non temi di essere catturata per essere una Úmarth?- notò le labbra della ragazza incresparsi in un sorriso di sfida.
-Una volta qualcuno mi ha detto che non si sarebbe fermato davanti a nulla. Ebbene, mi ha inseg
nato che devo abbattere gli ostacoli davanti per ottenere ciò che voglio, no? E quello che voglio è far capire alla gente di Faeria che si sbagliano su noi Úmarth, salvandole- rispose lei. 
L’alce si avvicinò a Dalen per farlo salire in groppa.
-Aspettate! Ed io cosa farò qui, in mezzo al nulla?- urlò il folletto saltellando, per il fatto di essere ancora legato.
-Tu rimarrai qui ad espiare le tue colpe, legato come un salame- disse alzando un sopracciglio il capo.
Sul volto della creatura si dipinse un’espressione impaurita: -No vi prego! D’accordo! Imploro perdono! Ho sbagliato, adoro tutti voi Úmarth e non ruberò mai più in un vostro campo! Per favore, liberatemi, non voglio passare un altro minuto con queste corde! Non mi sento più le braccia e le gambe- piagnucolò lui.
Con un sorrisetto furbo il vecchio capo si rivolse ai due giovani e l’Hybris capì al volo: -Ci sarebbe un modo alternativo per espiare le tue colpe…- guardò la mezz’elfo.
-Nonono… So dove vuoi arrivare…- disse lei cercando si frenare le intenzioni del suo compagno di viaggio, ma alla sua muta richiesta rispose con un -E va bene… Se vuoi ottenere il nostro perdono dovrai venire con noi. Non sarai più legato a patto che ci aiuterai e non tenterai di scappare-.
Il folletto sorrise, poi però si rese conto di cosa volesse dire e la gioia scomparve dal suo viso: -Erm… Ripensandoci… Qui non sto tanto male… Di sicuro non devo arrivare praticamente nelle fauci del nemico- tentò di giustificare.
Grosjierik gli diede una spinta dietro la schiena facendogli quasi perdere l’equilibrio: -Troppo tardi, ordino che tu aiuti l’Hybris e Piccola Lacrima nel loro intento di fermare la guerra. Se ci riuscirai potrai considerarti libero-.
-Non sforzarlo troppo- disse Dalen -Si sa che i folletti sono tante parole e niente fatti, sono dei codardi di prima categoria- si ricordò di ciò che aveva letto nel suo inseparabile amico libro e decise di usarlo a suo favore per provocarlo, riuscendoci.
-Ragazzino impertinente! Lo hai letto in quel libro, vero? Ti dimostrerò che il tuo caro nonnino si sbagliava! Non sono un codardo!- sbraitò la creatura che a malapena arrivava al fianco del capo Úmarth, si avvicinò all’alce ma questo indietreggiò.
-Eh, no! Non sul mio lecerguro! Roth non si lascia cavalcare da qualcuno che non sia io! Perché non lo fai montare sul tuo candido alce?- disse infastidita Eleswin.
-Questo è il mio spirito guida e come hai visto non accetta nessun altro- ribattè lui.
Entrambi si voltarono verso il folletto. 
Alla fine lo slegarono e lo fecero montare su una specie di piccolo montone, legato alla sella del lecerguro, col pelo molto più lungo e la lingua che fuoriusciva arrivando a toccare quasi terra, l’andatura era un continuo ondulare che il folletto non gradiva di certo.
Ad ogni passo era un continuo lamento da parte della creatura.
-Oh povero piccolo folletto… Il mezzo non è di suo gradimento? Chi è il piagnucolone ora?- lo canzonò Eleswin, il ragazzo la riprese dicendole di non essere così aggressiva.
-Ecco… Ascolta il ragazzo… In fin dei conti ti piace, no? Eri così preoccupata quando… Ouch!- non riuscì a finire la frase perché la mezz’elfo aveva materializzato un ciottolo lanciandoglielo sul naso lungo ed appuntito.
-Ahia! Cosa fai? Il mio bellissimo naso! Mi ha fatto vincere molti premi per il più bel naso della mia cittadina!- reagì lui, massaggiandosi il naso.
-Taci folletto- lo liquidò lapidaria la ragazza.
La creatura si offese controbattendo: -Il folletto ha un nome… Seamsoors… Cara Piccola Lacrima-.
La Úmarth sbuffò per tutta risposta mentre Dalen si voltò verso di lui sorridendo: -Beh, benvenuto a bordo Seamsoors-.

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Capitolo 4
*** Quattro ***


QUATTRO

 

Viaggiarono per diversi giorni: le ninfe vivevano lontano dall’accampamento Úmarth e dietro alla città di Theru dove viveva Brax.
Lungo il tragitto la mezz’elfo e Dalen si alternarono nei turni di guardia: si accampavano dopo il tramonto e partivano prima dell’alba per poter sfruttare ogni momento buono e passare il minor numero di giorni allo scoperto. Cercarono di evitare le città che parteggiavano per Brax, le quali avevano deciso di cedere al tiranno sia per risparmiare la vita dei propri abitanti o sia per appoggio sincero, passando per le macerie circostanti o per le foreste.
I paesaggi che molto spesso attraversavano erano in antitesi tra loro: il cielo stellato e calmo della notte e quello azzurro soleggiato del giorno, cozzavano con le terre bruciate e i paesi distrutti, che avevano visto gente morire e presa prigioniera.
Ad un certo punto capirono di stare per giungere nell’area sotto il completo controllo di Brax perché una nebbiolina fredda e bassa copriva il terreno, il cielo coperto da una coltre oppressiva di nubi minacciose e dense. Arrivarono davanti alla città di Theru dove si vedeva il lontananza il castello nero di Brax che troneggiava imponente su quelle terre, il trio era costretto a passare per la città e cercare un varco nelle mura, poiché intorno vi erano campi e sarebbero stati avvistati in breve.
Si nascosero dietro ad una casa distrutta, doveva appartenere ad un contadino sfrattato poco tempo prima, perché trovarono un carro distrutto, del cibo ancora commenstibile e prodotti della terra raccolti da poco.
L’alce bianco sparì, il lecerguro Roth si accoccolò vicino ad alcune balle di fieno ed Eleswin diede una pacca sul fondoschiena dell’animale assomigliante ad un montone, il quale si mise a correre allegramente per i campi raggiungendo un piccolo gregge incustodito composto da altri capi della sua specie. Il folletto e Dalen guardarono la scena scioccati, facendole presente che non avrebbero avuto altro modo di viaggiare, lei con tutta tranquillità confessò di aver mentito nel dire che Roth non avrebbe accettato di portare in groppa più di una persona e che voleva divertirsi un po’ col folletto; quest’ultimo non prese bene la confessione gettandosi su di lei e cercando di colpirla con i suoi incantesimi per vendicarsi, prontamente schivati dalla ragazza.
Dopo che Dalen riuscì a fatica a porre fine alla litigata, discussero per trovare un modo per vagare per la città senza essere notati: li avrebbero scoperti subito con il marchio Úmarth di Eleswin. Nel frattempo notarono un gruppo di mercanti, gli animali da soma lenti trainavano carri colmi di mercanzie varie, ricevendo ogni tanto una frustata dal cocchiere per farli avanzare.
Il ragazzo tirò fuori il libro di suo nonno per cercare qualche idea e il suo sguardo venne catturato su un capitolo che trattava i folletti, una loro caratteristica attirò la sua attenzione: -Seamsoors… Voi folletti potete cambiare forma?- la creatura rispose fiero di sì e Dalen gli chiese se potevano farlo anche con gli oggetti e non solo loro stessi.
Seamsoors, offeso da così poca stima nei poteri dei folletti, rispose che potevano mutare l’aspetto di qualsiasi oggetto o persona; a questa notizia il ragazzo sorrise e guardò Eleswin, la quale in un batter d’occhio capì cosa stesse pensando e si rivolse verso il folletto indicando i segni sulle guance: -Quindi riusciresti a far sparire questi? Almeno temporaneamente? Così possiamo entrare nella città senza farmi riconoscere-.
Lui la guardò: -Posso farlo, ma non voglio sprecare i miei poteri per una Úmarth- incrociò le braccia sostenendo lo sguardo aggrottato della ragazza, però cambiò subito idea quando lei sollevò un angolo della bocca mostrandogli le corde -Ma siccome è un’emergenza posso fare un’eccezione, ma non potrò far scomparire le tue orecchie appuntite da elfo… Però come facciamo ad entrare senza destare sospetti? Non faranno sicuramente passare un trio composto da un folletto e due ragazzini strani-.
Dalen si guardò in giro e trovò il carro rotto del precedente proprietario, si voltò verso Seamsoors dicendogli che se lo avesse trasformato in uno nuovo, avrebbero potuto mischiarsi tra i mercanti ed entrare a Theru; dopo aver riflettuto per un attimo il folletto mutò l’aspetto del trasporto e del lecerguro facendolo apparire come un normale animale da soma; fece sparire i simboli della Úmarth; caricarono alcune provviste e partirono per confondersi con i venditori. Seamsoors fece per montare sul carro quando Eleswin lo afferò per il braccio tirandolo giù: -E tu? Non pensi che possano insospettirsi se un folletto si trova con dei mercanti? Non sopportate di prendere ordini da qualcuno che non sia il vostro regnante e di sicuro i venditori vi usano come loro schiavi-.
Lui abbassò colpevole lo sguardo: -Il mio paese e quello di altri folletti è stato conquistato da Brax e noi pur di non combattere abbiamo ceduto subito. Abbiamo scelto di diventare loro schiavi, ora non è più strano trovarci a servire qualcuno-.
La ragazza osservò dura la creatura e con tono sprezzante gli disse: -Poi parlate di noi Úmarth… Noi almeno non cediamo al tiranno, noi combattiamo… Voi siete solo dei codardi- abbassò lo sguardo all’altezza del suo -E ti dimostrerò che siamo meglio di voi… Portasfortuna o no- il folletto fece per dire qualcosa ma si zittì ancor prima di iniziare.
Il gracchiare improvviso proveniente da un corvo di passaggio fece capire che era ora di mettersi all’opera e velocemente si mischiarono tra i mercanti riuscendo a passare.
Vennero catapultati nella confusione del mercato di Thur, non era stupendo e grande come quello di Zerkatt, era il suo completo opposto: i colori vivaci del secondo venivano sostituiti da quelli cupi delle tende scure che delimitavano le postazioni dei venditori; i profumi non erano più quelli deliziosi, ma acri e pungenti della fuliggine proveniente dalle numerose fucine, lungo le viuzze, che producevano armi in grandi quantità; il mercato si sviluppava in una piccola piazzola, dove i carri prendevano il loro posto, e poi si espandeva lungo i stretti vicoli formati dalle abitazioni e che le bancarelle facevano apparire ancora più angusti; sembrava di immergersi in un mare cupo in tempesta da quanta gente vi partecipava; il clima non era quello tipico festoso, ma solo uno schiamazzo continuo di persone che trattavano prezzi od accusando l’altro di imbrogliare.
Le mura alte e scure rendevano maggiormente tenebroso tutto l’ambiente e poi in lontananza i tre avventurieri potevano ammirare il mostro di castello che Brax si era fatto costruire nel corso degli anni: una titanica costruzione lucente nera, scolpita nell’ematite, priva di torrioni ma spine enormi al loro posto; nessun essere avrebbe mai voluto essere portato al cospetto del tiranno all’interno del suo castello.
-Avete solo due ore di tempo per trovare un passaggio od un’apertura verso la foresta- disse Seamsoors mentre sistemavano la merce su un banco donato loro -Poi l’effetto dell’incantesimo svanirà e allora sarà stato tutto inutile-.
-Due ore?- esclamò sottovoce Dalen -Ti rendi conto di quanto è grande Thur?-.
Il folletto fece un gesto con la mano, incurante dell’appunto del ragazzo; Eleswin, però, non era convinta di quel “avete” detto da lui e la creatura ribattè che nel mentre che loro due sarebbero andati a bighellonare per la città, qualcuno doveva rimanere alla finta bancarella per non destare sospetti e se qualche curioso avesse chiesto dei suoi padroni, lui avrebbe risposto che si erano allontanati per cercare alcune erbe o che altro per le loro pozioni.
Concordando con il faeriano i due ragazzi si avventurarono per le vie del mercato, cercando un modo per avvicinarsi alle mura senza destare sospetti, quando ci riuscirono freneticamente perlustrarono ogni centimetro raggiungibile ma non ottennero nulla.
-Non potresti chiedere al tuo spirito guida se ci potrebbe gentilmente indicare dove cercare?- domandò la mezz’elfo continuando ad andare a tastoni.
-E così farci scoprire? No no, troveremo in qualche modo una via d’accesso- replicò il ragazzo.
Dopo un periodo indefinito di ricerche il gracchiare improvviso ed insistente di un corvo e un boato proveniente dal mercato attirò la loro attenzione, si voltarono e una colonna di fumo si elevò dalla zona in cui avevano lasciato il carretto, allarmati corsero in direzione del folletto. Improvvisamente una nebbiolina nerastra si fece strada tra le bancarelle e la confusione generata dall’esplosione, quando la ragazza se ne accorse si arrestò immediatamente.
-Corri- sussurrò mentre la nebbia plasmava forme filiformi dagli occhi piccoli color rubino, correndo gli chiese cosa fossero e lei spiegò che si trattava di Rivelatori: creature capaci di vedere oltre gli incantesimi mutaforme e rivelare le identità dei soggetti sottoposti ai loro occhi, questo era possibile perché erano frutto della magia proibita.
Scivolarono in mezzo alla gente, ma vennero quasi subito circondati dai rivelatori: -Bene, dì le tue ultime parole Hybris- sospirò frustrata Eleswin puntando i suoi occhi gialli e rossi verso la colonna i fumo. Tutto intorno a loro sembrò che il tempo si fosse fermato, nessuno osava muoversi, loro stessi non erano in grado di agire in alcun modo sotto i piccoli occhi esaminatori dei Rivelatori, i segni sulle guance della ragazza si ripresentarono. Dalla nebbiolina scura emerse una figura che gradualmente prendeva forma e con orrore i due ragazzi si trovarono di fronte Brax, un sorriso beffardo stampato sul volto sfigurato dal continuo uso della magia proibita, un corvo planò andando a posarsi sulla sua spalla.
Immerse il braccio ricoperto dalla raccapricciante crosta nera, sul quale i vasi sanguigni creavano un reticolato vermiglio, puntò il suo occhio blu mare su quelli di Dalen: -Hmm… Vediamo un po’ cosa abbiamo qui… Oh, quel folletto, Seamsoors, aveva ragione… Ecco uno sporco mezz’elfo maledetto e il figlio dei due impostori che mi hanno pugnalato alle spalle- i muscoli del viso si tesero in un sorriso folle mentre avvicinava il suo volto al ragazzo -Gli stessi che ho ucciso con grande piacere, una morte lunga e dolorosa-.
A quelle parole Eleswin ringhiò contro la creatura e Dalen sentì il sangue ribollire di rabbia, folate violente di aria piegavano le tende delle bancarelle il tiranno osservava soddisfatto la scena.
-Li ho torturati entrambi… Ma loro niente… Non hanno voluto dire dove ti avessero portato- afferrò il volto dell’Hybris che si sentiva impotente -Ho ucciso tua madre proprio mentre stava cercando di scappare con alcuni faeriani codardi- serrò la presa sulla mascella e le unghie grigie cominciarono a penetrare nella carne.
La furia del ragazzo aumentava sempre più, nella parte più interna ed oscura di sé sentiva di non volerla fermare, voleva fargliela pagare; osservando la sua reazione il tiranno rincarò la dose: -Poi arrivò il turno di tuo padre… Quel folle ha tentato di vendica sua moglie, la stessa donna che aveva promesso di diventare mia moglie e che invece mentì buttandosi tra le sue braccia-.
Stava accadendo la stessa cosa che era avvenuta nella foresta: voleva assecondare quella rabbia furente e nemmeno le urla di Eleswin riuscivano a farlo riprendere, la sua voce si perdeva nella furia del turbinio rabbioso del vento che stava iniziando a spazzare via le prime bancarelle.
-Dovevi vedere come soffriva… Come chiamava il nome della sua adorata donna e il tuo… Dalen- quel mostro stava ridendo, godendosi i ricordi che accompagnavano quelle parole velenose che gli stava vomitando addosso.
Mancava poco che l’Hybris cedesse completamente alla collera e all’odio, quando una luce abbagliante lanciò Brax lontano da lui e comparve in tutta la sua grandiosità l’alce bianco; con la sua comparsa vennero spazzati via i Rivelatori e riportò la calma all’interno del proprio protetto.
Eleswin colpì alcune guardie pronte a difendere il loro padrone e subito dopo emise due brevi fischi acuti. Dalen montò in groppa al suo spirito guida e in una manciata di secondi li raggiunse anche il lecerguro, l’alce e Brax si scambiarono una breve occhiata ed aprì un accesso alla base delle mura.
Finché scappavano verso la foresta sentirono alle loro spalle Brax ordinare ai suoi di seguirli.
Continuarono a correre senza mai guardarsi indietro.
Raggiunsero l’inizio della foresta ed un tonfo li fece voltare: il tiranno era atterrato a poca distanza, il corvo lo raggiunse ed assunse le sembianze di una donna alta, nerboruta dallo sguardo fiero ed ostile. Brax si preparò a lanciare un attacco, quando la donna lo bloccò e nel mentre una figura femminile apparve da dietro i ragazzi urlando: -Non ti farò passare Brax! E Balchtel, non osare permettere ai tuoi vili seguaci di toccarci! Sai benissimo quale sarebbe al tua pena!- detto questo mollò un pugno che fece tremare la terra sotto i piedi erigendo una barriera violacea, portando i nemici alla ritirata.
Ancora in groppa ai propri animali i due ragazzi si guardarono stupiti, la figura accorsa in loro aiuto si rivelò essere un’amadriade, protettrice di quella zona di foresta, fini fili di erba erano raccolti in una morbida treccia adornata da una miriade di fiori, la pelle rugosa come quella di un albero e lo sguardo dolce che lasciava trasparire anche una certa autorità.
Improvvisamente Eleswin cambiò repentinamente espressione divenendo infuriata, afferrò qualcosa dalla criniera di Roth e lo scaraventò a terra, da una nuvola di polvere esplosa nel punto in cui è atterrato comparve Seamsoors spaventato dalla ragazza che nel frattempo si era gettata su di lui cercando di rompere la difesa del folletto e riempirlo di pugni. Prontamente l’amadriade si frappose tra i due tuonando che non tollerava alcun genere di violenza e tentò di calmare gli animi, seduti opposti l’uno all’altra, lei sguardo aggrottato e lui afflitto fisso a terra, la donna prese la parola allargando le braccia: -Dalen, benvenuto a casa, ho avuto l’onore di conoscere tua madre e tuo padre e ti assicuro che sarebbero fieri di vedere come sei cresciuto- si avvicinò all’alce cominciando ad accarezzarlo dolcemente sul muso -Stai facendo un buon lavoro, pian piano imparerà a controllare sempre meglio i suoi poteri… Tornando a te Dalen, credo che ci sia qualcuno che vorrebbe rivederti- il ragazzo guardò dietro la faeriana tenendo il fiato sospeso, quando vide chi stava avanzando verso di lui si rilassò in un sorriso ampio. Corse verso Noiro abbracciandolo, era invecchiato molto rispetto a come se lo ricordava ma gli occhi curiosi come un bambino erano li stessi di sempre, sciolsero l’abbraccio e si scambiarono uno di quegli sguardi complici che erano soliti avere da quando era piccolo.
L’uomo notò sbucare dalla borsa di Dalen il suo libro e sorrise, quest’ultimo se ne accorse e lo tirò fuori mostrandoglielo, con espressione nostalgica prese a sfogliarlo: -Mi dispiace davvero, avrei voluto salvare almeno tuo padre, ma Brax è forte e lo è diventato ancora di più grazie a Balcthel… Tu sei la nostra unica speranza per salvare il mondo che hanno tentato di mettere in salvo i tuoi genitori- il ragazzo chiese in che modo avrebbe potuto farlo e perché proprio lui era così indispensabile.
-Balcthel è riuscita ad evadere dalla prigione in cui era stata rinchiusa e per vendicarsi approfittò della delusione e potenza di Brax per conquistare Eosel e poi passare a Faerith ponendo fine al comando di sua sorella. La magia proibita logora chi la usa dall’interno e gradualmente lo fa anche esteticamente, più il mago è potente e più a lungo lo corrode, la dea ha reso la sua resistenza e la sua potenza a livelli elevati e per farlo il tiranno ha pagato un prezzo cospicuo: ha rinunciato al suo cuore- tutti sobbalzarono, comprese le ninfe che leggiadre si muovevano da un albero all’altro o accarezzavano il candido alce -Dopo aver oscurato il suo cuore Balcthel glielo strappò dal petto per custodirlo dentro di sé; solo un pugnale particolare, in possesso degli dei, potrà purificarlo ed indebolire la dea, ma potrà essere impugnato esclusivamente da un Hybris-.
-Durante tutti questi anni ho cercato in tutta Faeria ma sei rimasto solo tu e se ti dovesse trovare sarebbe la fine. È una lotta contro il tempo ora che sanno che sei qui, Eosel è quasi completamente sotto il tiranno, raduneranno l’esercito più potente ed immenso che Faeria abbia mai visto e Balcthel affiancherà Brax al comando aiutandoli a valicare i monti Úroth, per marciare verso la residenza degli dei- intervenne il Noiro, determinati, i ragazzi chiesero cosa dovessero fare e l’amadriade diede loro le indicazioni per una grotta immersa nella foresta la quale li avrebbe condotti direttamente nelle vicinanze delle mura della Città di Cristallo, luogo abitato dagli elfi e dagli dei.
-Tenete questo- disse l’amadriade porgendo a Dalen una piccola sfera trasparente con all’interno una nebbiolina azzurra cosparsa da una miriade di puntini luminosi in perpetuo movimento -Portatela a Rikt e lui vi darà un qualcosa che Nimrodel perse secoli fa, vedrete che con quello vi consegnerà il pugnale-.
Eleswin e Dalen si prepararono a partire e il ragazzo chiese a Noiro se anche lui sarebbe andato con loro, ma con un sorriso l’anziano rifiutò affermando che ormai era vecchio e non voleva limitarli consigliando di portare con loro Seamsoors; la Úmarth rispose con un fermo no, ma lo sguardo di rimprovero dell’uomo le fece abbassare lo sguardo accettando la proposta.
Prima di andarsene il ragazzo si voltò verso il nonno adottivo: -Noiro, re Leithan di Zerkatt mi ha chiesto se riuscivo a trovare sua moglie e sua figlia, nei tuoi libri non ne parli… Nel frattempo hai trovato qualche informazione?- tutti i presenti si stupirono nel sentire quelle parole, nessuno aveva mai sentito parlare di una possibile moglie o figlia.
Noiro scosse la testa in diniego, dispiaciuto: -Nessuna traccia, nemmeno un piccolo indizio… Spero che tu possa avere più fortuna di me-.
L’Hybris sorrise sicuro: -Le troverò… Vedrai nonno, le porterò indietro-.
Il tragitto fu lungo e silenzioso, Dalen in testa assieme all’alce e Roth e gli altri due componenti dietro a braccia conserte, il folletto ruppe il silenzio: -È colpa tua se siamo in questa situazione, è risaputo che stare con un Úmarth porta sventura… Accidenti a me quando sono entrato nel vostro campo, tutto per rubare del misero cibo-.
Eleswin scoppiò: -Sventura? Noi portiamo sventura? Te la sei cercata tu entrando nel nostro campo! Io non ho scelto nulla, non ho scelto di nascere così!-.
Seamsoors sembrò pentito ma poco dopo ribattè: -Mi hanno minacciato! Sapevano chi eravamo! Quel corvo che hai sentito gracchiare nei campi era Balcthel, sono stato costretto a dire tutto-.
-Potevi combattere!-
-Sarei morto!-
-Avresti tentato di difendere Faeria! Non vuoi dare dignità al tuo popolo? O vorrete rimanere in eterno dei codardi?- a queste parole il folletto non seppe cosa rispondere e abbassò lo sguardo conscio del fatto che la mezz’elfo aveva ragione.
Raggiunsero la grotta indicata dall’amadriade e l’alce sparì, affrontata l’oscurità dell’entrata della grotta si trovarono di fronte ad un’immensa cavità con la sua città sotterranea, le case sfidavano la gravità, costruite una sull’altra in precario equilibrio o a diretto contatto con la dura roccia. Esse comunicavano tramite un gioco di ponti sospesi, la luce fioca di alcuni globi lucenti permetteva agli abitanti di vivere la loro quotidianità.
Scesero gli scalini ripidi mentre l’umidità invadevano i loro polmoni, raggiunsero un ponte che portava su un largo spiazzo pieno di trolls che scambiavano merci, creature piccole e massicce dalla pelle grigiastra, nasi bitorzoluti e grossi, occhi piccoli senza iridi e muschio e licheni che crescevano lungo i loro arti.
Il folletto osò uno sguardo sul vuoto sottostante al ponte e deglutì nell’accorgesi che non si riusciva a vedere il fondo, borbottò parole incomprensibili continuando ad avanzare seguito da un Roth intimorito. Arrivati allo spiazzo cominciarono a cercare il troll Rikt, ma a quel nome tutti quanti si giravano dall’altra parte oppure impauriti si guardavano intorno e dicevano di non conoscerlo, girarono a lungo fino al momento in qui un vecchio troll attirò la loro attenzione da dietro una casetta: -Hoo ssentiitoo chee cercate iiill graaandee Trooolll… Iooo ssooo dove trovarlo! Ssseguiiitemii- fece per partire ma il folletto lo fermò chiedendogli perché dovessero fidarsi di lui -Perchèèèè ioooo coooonosco lui e nooon tuttiii voooglionooo chee siii saappia che lui sia qui. Voooiii fiiiidarvii di me, ancheee tuuu follettooo straaanoo, pensavo voi foooste più piiiccoli- Seamsoors fece per protestare ma Dalen lo fermò, decisero di fidarsi e seguirlo lungo intricati incroci tra ponti e casette giungendo ad una casetta a due piani isolata e da cui usciva del fumo dall’odore acre.
-E così qui vive Rikt?- domandò l’Hybris.
-Shhhhhhhh! Nooo, noon dire suo noooomee! Diiiree che seeee tuuu dici nome sennzaaaaa suooo permessooo tu portare caaattiviii quiiiii… Luiiii essere Graaande Troll che può creaaaareee ooo trovaaaareee queeello che tu peeerso- il troll indicò l’uscio e poi si volatilizzò nell’ombra.
Bussarono e la porta si aprì da sola, i tre entrarono chiamando Rikt col suo epiteto di “Grande Troll”, non udirono risposta, poi imporvvisamente un rumore da in cima le scale li attirò e da essa scese saltellando il troll Rikt mentre annusava l’aria: -Io sentire odore di… Úmarth ssss! Cosa tu fare qui ssss! Tu volere derubare me e portarmi sventura ssss!- afferrò un osso di una qualche creatura sconosciuta, agitandolo di fronte a sé -Tu non portare sfortuna a me ssss! Io avere fatto sortilegio con pozione ssss, così tu non potere fare nulla sss-.
Allibiti il gruppetto vide il troll saltare davanti a loro muovendo a destra e a manca il grosso osso, Dalen parlò: -Tu sei Rikt, il Grande Troll che crea e trova ciò che è andato perduto?- egli si mise sull’attenti e fiutò nuovamente l’aria, mettendosi nuovamente sulla difensiva.
-Io essere quasi cieco, ma naso funzionare bene sss… Perchè folletto e ultimo Hybris essere qui? Ssss- si voltò e parve quasi che per un momento riuscisse a vederli, il ragazzo gli porse la sfera e lui l’afferrò delicatamente e una nuova luce illuminò i suoi occhi, spazzando via la nebbia -Io tornato a vedere per poco ssss… Questa essere di amadriade di Thur ssss? Ssssììì essere lei ssss… Esserci brutta guerra sopra ssss… Io non tornato lì da molto tempo ssss… Tu dovere ritrovare quello che dea della Natura perso tempo fa ssss… Lei così dare pugnale per fermare sorella e Brax ssss… Essi sono quasi su montiii… Loro cercare te ed io aiutare te e amici- sempre saltellando raggiunse il tavolo lì vicino, pieno di unguenti, ampolle vuote e piene di liquami, erbe e molti libri.
Il troll iniziò a rovistare nel mucchio bofonchiando frasi incomprensibili, scegliendo, prendendo, rimettendo giù erbe ed oggetti; ciò che aveva scelto, compresa la sfera, lo buttò in un grande calderone e intonò una sorta di nenia agitando in aria le mani, si bloccò non convinto del risultato e prese a fare avanti ed indietro freneticamente continuando a ripetere felicemente che aveva trovato.
I viaggiatori si scambiarono sguardi interrogativi, il troll si arrestò voltandosi verso di loro: -Voi ssss! Voi avete cosa preziosa per pagare me sss… voi dare me e io potere dare ciò che Nirmodel perso ssss… Io non fare nulla senza rendiconto ssss- il folletto alzò le mani affermando di non avere nulla con sé e anche gli altri non possedevano nulla di così prezioso da potergli donare, egli indicò Eleswin: -Tu sss! Tu dare me collana… Essere preziosa ssss… O animale sss… No animale no è troppo grande e io non riuscire a starci dietro ssss… Io volere ciondolo-.
La ragazza afferrò l’amuleto pregandolo di non prenderlo, altrimenti non sarebbe più stata in grado di controllare i suoi poteri e non voleva ferire od uccidere inconsapevolmente, il troll ridacchiò ammirando la bontà della ragazza e come le voci su loro fossero reali, si aggirò per la stanza cercando qualcosa da prendere in cambio, si fermò di fronte a Dalen annusandolo: -Cosa avere nella borsa ssss… Uuuhhh un libro ssss… Sai io in grado di capire cosa trattare libro ssss… Essere scritto da persona molto buona e curiosa ssss… Anche tu essere così e per te essere cosa preziosa ssss… Qui ha scritto cose del mondo sopra ssss… Tu dare me libro e io dare te oggetto ssss-.
Dalen indietreggiò, non voleva separarsi da quel tomo che aveva amato sin da subito e che lo aveva accompagnato durante la crescita e i periodi più tristi; guardò Eleswin e capì che la sua vita e quella di Faeria e della Terra erano in mano sua, addolorato afferrò il libro e lo porse al troll che contento lo aggiunse alla sua pila di libri, afferrò l’oggetto dal calderone e lo pose tra le mani di Dalen: si trattava di un cuore lucente in pietra rosso sangue. Non fecero in tempo a fare domande che Rikt sganasciando dalle risate prese una polvere e la gettò addosso a loro teletrasportandoli lontano da lì.
Le sue ultime parole ancora riecheggiavano: -Quel che ha perso ha ritrovato e chi da dove è nato non sa, ora scoprirà-.

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Capitolo 5
*** Cinque ***


CINQUE

 

I tre faeriani e Roth atterrarono all’interno di una biblioteca immensa, interamente costruita in cristallo bianco, toccando terra persero l’equilibrio Seamsoors urtò la libreria dietro di sé facendogli crollare in testa una serie di pesanti tomi, Eleswin atterrò rovinosamente sopra una statua in cristallo frantumandola in mille pezze, Dalen cadde sopra un lungo tavolo dove scoprì esserci degli elfi che leggevano quei vecchi tomi e Roth si ritrovò catapultato in un vaso pieno di fiori.
Si scatenò il caos: elfi che accorrevano a vedere cosa stesse accadendo, altri che parlottavano incuriositi o sbalorditi nel veder altre specie lì dentro, quando videro una Úmarth nel loro territorio repentinamente si gettarono su di lei, che sgusciava via, cercando di afferrarla, Roth che galoppava al loro inseguimento per difendere la sua compagna, comparve l’alce e tutti gli elfi si spaventarono correndo avanti ed indietro temendo che stesse arrivando la loro fine.
Una voce femminile tuonò “silenzio”, che prese ad echeggiare nel salone fino a morire; i presenti crearono un varco dal quale emerse un elfo donna, custode di quel luogo, i capelli argentei ricadevano sulle spalle e un diadema semplice le circondava la nuca.
Il suo sguardo autoritario passò su ogni suo simile: -Siamo nella biblioteca sacra della Città di Cristallo, chi osa profanare questo luogo?- le vennero indicati il trio e furiosa avanzò verso essi, i suoi occhi adirati da dorati divennero rossi, si posarono sulla Úmarth e sul suo amuleto, per un attimo sul suo volto si posò un’ombra di sbalordimento, ma passò subito; si rivolse agli altri elfi assicurando che da quel momento i poi se ne sarebbe occupata personalmente, con tono pacato intimidì il trio a seguirla nei suoi appartamenti.
Giunti a destinazione la donna chiuse dietro di sé le porte e con occhi umidi disse a fil di voce solo una parola: Iris, ad essa Eleswin trasalì e con un misto di incredulità ed emozione sussurrò un “mamma” prima di gettarsi tra le sue braccia, fu un abbraccio riempito da lacrime di gioia, le mani della madre accarezzavano ogni singolo centimetro di quella figlia alla quale aveva rinunciato per sempre, scoccò sonori baci sul suo viso spazzando via i ricordi strazianti della separazione e i suoi occhi colmi di lacrime osservavano la ragazza che era diventata; continuava a ripeterle come le dispiacesse, come non volesse lasciarla ma se lo avesse fatto sarebbe stata una disgrazia per entrambe, come la sognasse e pensasse ogni singolo giorno.
La Úmarth era inebriata dalla felicità di aver ritrovato sua madre e ridendo le disse che il suo nome non era più Iris, ma Eleswin e seppur significasse “Piccola Lacrima” voleva tenere quel nome per ricordare l’enorme sacrificio della la donna che sorridendo accettò di chiamarla così.
L’elfo si presentò col nome di Glamis e che si trovavano all’interno della Città di Cristallo, costruita appositamente per gli elfi da Nimrodel in modo che essi non si mischiassero con le altre specie; spiegò che la Biblioteca di cui era custode era il passaggio tra Faerith e il castello degli dei e per quello era considerata sacra, il suo ruolo è quello di impedire ad estranei o ai poco meritevoli di oltrepassare il portone d’oro che ne avrebbe garantito l’accesso.
Dalen le raccontò da dove venisse, di come Brax avesse intenzione di mettere a ferro e fuoco l’intera Faeria aiutato da Balcthel; raccontò dei suoi genitori, di come fosse l’ultimo Hybris rimasto, delle ninfe, dei trolls e del cuore datogli da Rikt; la pregò di fargli incontrare gli dei per avere quel pugnale col quale purificare il cuore del tiranno e far tornare la pace sui due mondi e chiedere alla dea della Natura di togliere la maledizione ingiusta dei mezzi elfi.
Glamis, che stava ammirando ed accarezzando il manto candido e opalescente dell’alce, sobbalzò al nome di Zerkatt, ma poi si ricompose guardando la figlia e accarezzandole il volto, sospirò e disse che non era facile incontrare gli dei, soprattutto Nimrodel e dovevano dimostrare di esserne all’altezza, di non bramare altro se non la salvezza dei faeriani e dei terrestri, deciso il ragazzo disse che sarebbe disposto a sottoporsi a quella prova anche subito, ma lei consigliò di aspettare e li invitò a cenare con lei in quanto dovevano essere affamati.
Dopo un bagno rigenerante e aver indossato abiti nuovi e puliti l’elfo accompagnò Dalen ed il folletto in una stanza con una grande tavolata imbandita, piena di succulente portate che fecero venire l'acquolina ai due, Glaimis li invitò a sedere mentre aspettavano sua figlia.
Eleswin entrò nella stanza poco dopo e Dalen rimase rapito dalla sua bellezza: un vestito regale nero ed azzurro le accarezzava il corpo asciutto ed aggraziato, i capelli raccolti in una bassa crocchia morbida e il suo viso non più coperto da terra e stanchezza metteva in risalto i suoi due simboli e i suoi occhi dorati e rossi ridenti; sentendosi osservata da lui arrossì ed abbassò lo sguardo, quando si guardavano era l’unico momento in cui la ragazza lasciava trasparire il suo lato dolce e femminile, lasciando da parte quello duro e guerriero quotidiano.
Si sedette a fianco a lui e la madre si complimentò per quanto fosse bella: -Non è vero Dalen?- chiese ridendo per aver notato l’interesse del ragazzo, che tossì imbarazzato sentendosi preso in causa.
-S-sei molto bella stasera E-eleswin- riuscì a dire arrossendo come un pomodoro e facendo diventare bordò anche la ragazza che fu capace di rispondere solo con un grazie.
Con una smorfia disgustata Seamsoors chiese a Glamis se per lei non era un problema ospitare un folletto, un Hybris e a maggior ragione un mezz’elfo maledetto; la donna sorrise assicurando che essendo la custode del luogo nessuno poteva entrare nei suoi appartamenti a parte la servitù e solo col suo permesso ed inoltre gli dei si fidavano di lei per cui non controllavano i suoi movimenti, lì erano paradossalmente al sicuro.
Timidamente la ragazza chiese di suo padre e il volto della madre si rabbuiò chiedendole se ne era davvero sicura perché la risposta potrebbe non piacerle, la ragazza annuì confermando la sua richiesta, con un sospiro iniziò: -Anni fa decisi di scappare dalla mia mansione, ero giovane e non sopportavo più il peso di questo lavoro. Partii per un viaggio e conobbi un uomo fantastico, dolce e gentile, mi vergogno a dirlo ma mi innamorai a prima vista ed utilizzai un incantesimo proibito per nascondere la mia natura elfica… Non mi avrebbe mai accettato sapendo chi ero in realtà… Ci sposammo dopo poco e speravo di poter vivere così per sempre, sarei stata disposta anche a sopportare la magia proibita che lentamente mi stava logorando dall’interno, poi nascesti tu e venni riportata alla realtà… Quanto sono stata crudele, egoista ed arrogante, credevo di poter cambiare le cose ed invece tutto quello che ho ottenuto è stato ferire mio marito e impedire a mia figlia di avere una famiglia- Dalen comprese subito dove stesse andando a parare il discorso di Glamis -Piccola mia, tuo padre è un grande re, lui è Re Leithan di Zerkatt-.
Calò un silenzio gelido, Eleswin si alzò facendo crollare con un tonfo la sedia: -Non può essere lui! Ci siamo scontrati più volte e non mi ha mai riconosciuto… Anzi ha provato più volte ad incarcerarmi nonostante cercassi solo cibo per far sopravvivere la mia gente… Ha persino tentato di uccidermi dandomi in pasto alle belve dei monti Úroth! Non può essere mio padre- la madre tentò di aprire bocca per spiegare ma la ragazza uscì dalla stanza, l’elfo fece per alzarsi ma Dalen le disse che sarebbe andato lui, sorvolò sulla battuttina del folletto e andò a cercarla.
Dopo svariati tentativi la trovò sul terrazzino che dava sul lungo parco che portava fino al castello titanico in cristallo bianco dove abitavano gli dei, reso luminescente dalla luce lattea delle due lune piene, si avvicinò e si mise a guardare le piccole fatine che giocavano con le lucciole.
-Non voglio credere che sia re Leithan… lui odia gli Úmarth- esordì lei.
-Non puoi biasimarlo più di tanto, purtroppo Nimrodel ha fatto in modo che tutti vi odiassero- ribattè Dalen portando il volto all’altezza di quello della ragazza e notò che era rigato dalle lacrime.
-Mi ha condannato a morte, Dalen… Mio padre mi voleva morta, come posso accettare una cosa del genere?- riprese a singhiozzare ed il ragazzo l’abbracciò per consolarla.
-Vuoi fare a gara? Io ho uno zio tiranno che ha ucciso i miei genitori e sta collaborando con la dea degli Inganni e della Guerra per uccidermi e comandare sulla Terra e Faeria… Ho dovuto dar via l’unica cosa a cui tenevo di più per avere in cambio un cuore in pietra che non capisco a cosa mi possa servire- tentò di non dare peso a queste parole, che invece gli facevano male, riuscendo a far tornare il sorriso ad Eleswin.
-Hai ragione, vinci tu- rise lei, tirando su col naso ed allontanandosi leggermente fissandolo con i suoi occhi oro e rossi che ricordavano molto le fiamme calde di un falò, lo stesso calore che Dalen sentì pervadergli il cuore -Grazie Dalen, so cosa ti costa dire tutto questo-.
Lui la strinse più a sé: -Eleswin… Ti prometto che farò in modo che Nimrodel tolga la maledizione su di voi, che mi voglia ascoltare o no- lei spalancò incredula gli occhi, puntando le sue iridi in quelle blu mare dell’Hybris, notando come le pagliuzze rosse e dorate si stessero illuminando; piegando la bocca in un sorriso si sporse verso di lui mettendosi sulle punte dei piedi, le labbra lontano un soffio l’una dall’altra quando la porta alle loro spalle si aprì.
I due ragazzi si separarono all’istante: -Ops scusate… Non volevo disturbarvi… Seamsoors si è addormentato con tutto quello che ha mangiato e l’alce e Roth stavano giocando insieme… Così ho pensato di venirti a cercare… O per gli dei- disse Glamis sorridendo imbarazzata, la Úmarth alzò le mani affermando che non aveva interrotto nulla e con una gomitata allo stomaco convinse l’Hybris a dire lo stesso, allora la donna si avvicinò posando una mano sulla guancia della ragazza.
-Volevo solamente dirti che non devi incolpare tuo padre, è solo a causa mia se hai sofferto tutto ciò e ti chiedo scusa… Lui non poteva riconoscerti, assomigli più a lui che a me, di mio hai preso solo entrambi i colori degli occhi, in più devi riconoscergli che è un uomo addolorato dalla perdita delle due persone più importanti della sua vita ed accecato dal desiderio di ritrovarle… Ma ti assicuro che ti amerà in quanto sua figlia- si rivolse a Dalen allarmata -In quanto a te, domani mattina verrai con me nei giardini e ti spiegherò come entrare in completo contatto con il tuo spirito guida… Ho potuto avvertire l’energia che vi collega, ma non è abbastanza forte per affrontare gli dei e la battaglia, tu non sei ancora in grado di controllare a pieno i tuoi poteri, l’alce fa fatica a comunicare con te perché ogni volta crei un muro tra voi due e abbiamo poco tempo-.
-Cosa vuol dire poco tempo? Abbiamo passato solo mezza giornata qui… Brax non riuscirà a radunare un esercito così potente ed attraversare i monti Úroth così in fretta- fece presente il ragazzo.
Glamis abbassò lo sguardo: -Brax ha Balchtel e la magia proibita dalla sua parte, potrà radunare quanti uomini vorrebbe anche solo con uno schiocco di dita, ora che sa che sei vivo vorrà estrarre la tua energia magica il prima possibile, le creature di Nimrodel non hanno scampo con la dea così forte, se riuscirai ad arrivare al cospetto di Nimrodel non sarà facile convincerla… Ti sembrerà restarci per poco quando in realtà passeranno giorni. Se non impari subito a governare i tuoi poteri, non avremo scampo- fece una pausa guardando verso il castello -Domani mattina ai giardini e dovrai impegnarti, la porta d’oro sarà accessibile solo quando una delle due lune comincia a calare cioè domani sera- detto ciò si ritirò.
La mattina dopo Dalen trovò Eleswin, Seamsoors e Glamis ad attenderlo fuori dalla sua camera, pronti per l’allenamto; attraversarono il labirinto di corridoi vuoti fino a raggiungere un maestoso giardino variopinto che sembrava essere spuntato da un quadro di un abile pittore.
Roth e l’alce stavano allegramente giocando e quando videro arrivare il gruppo si ricomposero e Glamis prese la parola: -Quello che dobbiamo fare oggi è evitare che tu crea un muro tra te e il tuo spirito guida… Per prima cosa fammi vedere di cosa sei capace-.
Dalen provò a concentrarsi e controllare il vento ma non ci riuscì, non accadde nulla: -Non riesco… Ma prima ce la facevo… Non capisco- le raccontò di come quando era arrabbiato od era disperato riusciva a creare delle potenti trombe d’aria, ma a comando non ce la faceva.
L’elfo ascoltava attentamente, analizzò le sue parole e gli spiegò che erano le sue emozioni che non permettevano all’animale di aiutarlo, lui non può intervenire se non è direttamente lui a chiederglielo, cosa che fa inconsciamente quando comincia a perdere il controllo arrabbiandosi, preoccupata disse che ci vorrebbe più tempo di quello che avevano a disposizione ma avrebbe fatto tutto ciò che avrebbe potuto.
Passarono la giornata a far capire all’Hybris come canalizzare i suoi sentimenti, a come rafforzarne alcuni rispetto ad altri, a comunicare con il suo spirito guida e senza accorgersene arrivò la sera e lui era solo in grado di sollevare un venticello leggero. Improvvisamente dei corni lontani attirarono l’attenzione del gruppo e Glamis con uno schiocco di dita creò uno specchio che riflettè ciò che si poteva vedere da una delle enormi torri della Biblioteca: una fila intera di fiaccole illuminò il profilo degli Úroth e come un fiume in piena si riversarono lungo i fianchi.
L’elfo guardò in cielo osservando come la luna più grande, che stava sorgendo, avesse già perso un piccolo spicchio, guardò Dalen con gli occhi di chi aveva un’ultima speranza e gli comunicò che era arrivata l’ora di attraversare il varco verso gli dei.
Arrivato davanti la porta dorata Dalen sentì che tutta la sicurezza provata si volatilizzò in un attimo, trasalì quando sentì il peso della mano di Glamis sulla sua spalla.
-Cerca di fare tesoro di quello che hai imparato e chiedi aiuto… Non sei da solo anche se solo tu potrai attraversare questa porta- disse Glamis passando lo sguardo dal ragazzo all’alce.
-Come solo lui può attraversarla?- domandò sua figlia -Perchè non anche noi?-.
-Io non mi lamento- disse Seamsoors, immediatamente fulminato dallo sguardo della ragazza.
-In quanto custode posso vedere all’interno del suo cuore e lui è l’unico in grado di affrontare gli dei- ribattè l’elfo sollevando le braccia, i suoi occhi da dorati divennero rossi e pronunciando un incantesimo in una lingua mai sentita prima aprì lentamente la porta pesante dorata, oltre la quel non ci fu il lungo parco, ma solo una grande luce luminosa.
Ritrovato il coraggio, l’Hybris guardò i suoi compagni di avventura, si rivolse verso l’alce e avanzò verso la luce; improvvisamente la voce di Eleswin lo fece voltare e la osservò mentre gli correva incontro, lei gli gettò le braccia al collo e posò le labbra sulle sue, fu un contatto leggero ma che fece perdere un battito al cuore di Dalen, la faeriana si allontanò sorridendo, ritornando a fianco della madre: -Vedi di tornare intero- sussurrò portandosi due dita alla fronte ed allontanandole mimando un saluto militare.
Il ragazzo non fece in tempo a risponderle che repentinamente le porte si richiusero con un tonfo, lasciandolo all’interno della luce assieme al suo spirito guida.
Davanti a quella porta Eleswin ripensò per un attimo al veloce bacio scambiato e al sentimento che l’aveva travolta, sorrise alla madre posando la mano sull’elsa della spada, ancora nel suo fodero, pronta ad essere sguainata e che sua madre le aveva donato quella mattina perché una volta apparteneva a suo padre. Sospirando il folletto si sollevò le maniche guardando le espressioni sbigottite delle due: -Che c’è? Oramai ho capito che devo buttarmi in battaglia sebbene non voglia. Dimostrerò che noi folletti sappiamo superare la nostra codardia-.

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Capitolo 6
*** Sei ***


SEI

 

Camminò in quell’ambiente luminoso e disorientante per un tempo che a Dalen sembrò infinito fino a quando essa si dissipò facendolo trovare direttamente davanti al portone titanico del castello che si aprì da sola facendolo entrare in una lunga sala completamente bianca, con solo qualche sfumatura azzurra, un immenso tappeto lo guidò alla parete frontale dove una scalinata conduceva ai sei troni enormi, ognuno occupato da una divinità, eccetto uno: quello di Balchtel.
Al centro sedevano Nimrodel ed Eöl; a fianco della dea della Natura si trovava il trono vuoto di Balcthel e quello vicino ancora era occupato da Heturin; a fianco del dio delle Acque e della Memoria sedevano Thiades e il suo compagno Adasser.
Tutti lo osservavano mentre avanzava verso di loro, Nimrodel lo guardava con un misto di furia e stupore mentre gli altri erano ammirati, Dalen aveva la pancia sottosopra, non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe affrontato le divinità in persona.
-Cosa ci fai qui, mortale! Come hai fatto ad attraversare la Città di Cristallo e convincere la custode a passare! Quella piccola traditrice… Le ho dato una seconda possibilità, mi sono fidata e mi ringrazia così- tuonò la dea della Natura alzandosi dal trono.
Eöl provò a farla sedere nuovamente, invitandola ad ascoltare ciò che il ragazzo aveva da dire, ma non ottenne i risultato sperato. È
L’Hybris stette con la schiena dritta, non facendo trasparire paura o altro finché la dea gli si avvicinava minacciosa: -Non sono stato io a convincere la custode, ma il mio cuore… È stato quello a farmi ritenere degno di varcare quell’uscio. Contrariamente a ciò che pensate Glamis è un’ottima custode ed un’ottima madre- ci fu un vociare alle spalle di Nimrodel che la fece infuriare ancora di più.
-Degno? Degno di cosa? So cosa cerchi… Quello che vogliono tutti, ricchezze e potere… Voi mortali siete così fragili e deboli ed infidi… Ti schiaccerò e ti farò pentire di avermi affrontato- prima che potesse far qualcosa l’alce si frappose tra i due ed Heturin corse a fermarla reclamando il suo diritto di intervenire in quanto il ragazzo fosse orfano e quindi suo protetto, gli la possibilità di parlare, nel mentre che lui riportò a sedere la dea.
-Sono qui per chiedere il vostro aiuto… Brax, un mago potente, è in combutta con Balcthel per conquistare l’intera Faeria e distruggere voi, in modo poi da poter regnare qui e anche sulla Terra da cui arrivo… Vostra sorella ha reso più forte il tiranno strappandogli il cuore, che custodisce lei stessa, e questo l’ha resa più potente perché ha come alleato un mago che non si fa scrupoli nell’usare la magia proibita-.
-Non vedo come posso aiutarti… Mia sorella non è un problema, l’ho battuta una volta e lo farò un’altra volta. Basta solo che arrivi qui e la ributterò nella prigione da dove è evasa- dichiarò Nimrodel.
-E i faeriani che stanno combattendo per la loro terra?- ripensò a tutte quelle città rese al suolo e alle persona conosciute -Stanno morendo per salvarla! Non vi importa di loro? Vi adorano con feste e doni… Loro credono in voi-.
Thiades fece per dire la sua ma venne sormontata dalla voce di Nimrodel: -I faeriani se la sono cercata… È un modo per espiare le loro colpe, finché non toccheranno la Città di Cristallo è di mia competenza. Ti ripeto che a Balcthel ci penso io… Se non vuoi pentirtene sparisci dalla mia reggia-.
Il ragazzo non voleva mollare e recuperò il cuore di pietra rossa mostrandolo alle divinità: -Questo è vostro dea della Natura! Lo avete perso secoli fa e ve lo rendo in cambio del pugnale che mi permetterà di purificare il cuore di Brax- lei lo guardò irrompendo in una fragorosa risata di scherno
dicendogli che un dio non ha un cuore come i meri mortali.
Dalen non sapeva più che inventarsi, non aveva letto nulla del genere sul libro di suo nonno e non aveva più la possibilità di consultarlo, ricordò le parole di Glamis e cercò l’alce per chiedere aiuto. Mentre la dea rideva le altre divinità guardarono con stupore la scena che si stava svolgendo davanti a loro: l’animale opalescente si posizionò davanti al ragazzo e gradualmente scomparve, trasformandosi in un venticello leggero, ma che lentamente si faceva sempre più forte fino a vorticare su se stesso e formare una piccola tromba d’aria bianca di fronte a loro.
Nimrodel non credeva ai suoi occhi, furiosa si alzò: -Mi sfidi? Ebbene sarai accontentato… Ma prima… Svegliati- gli soffiò addosso una polvere strana che fece svenire Dalen.


Il cinguettio degli uccelli e la morbidezza sotto di lui lo fece svegliare e guardandosi intorno si accorse di trovarsi nella sua stanza. Scattò in piedi, non poteva essere stato tutto un sogno, si guardò allo specchio, i suoi occhi erano di un blu normale, non aveva nessun graffio… Sentì l’angoscia invadergli il corpo, non voleva che fosse quella la verità.
Scese le scale trovando Gherda e Locuy alla prese coi fornelli, li chiamò per nome e loro si stupirono chiedendogli perché non li chiamasse “mamma” e “papà” nonostante avessero concordato di farlo anche se erano solo dei genitori adottivi.
Dopo un po’ li raggiunse anche Noiro e Dalen gli chiese come faceva ad essere lì e non a Faeria, lui lo guardò confuso non sapendo di cosa stesse parlando.
-Nonno, Faeria, il libro che mi avevi regalato e che avevi scritto tu… Non te lo ricordi? Saltavi da una dimensione all’altra per cercare di porre fine al terrore di Brax… io sono un Hybris- lui scoppiò a ridere e il ragazzo non capiva.
-Stai parlando di quel vecchio romanzo che ho scritto tempo fa? Ho sempre sospettato che tu avessi un punto debole per il genere fantasy ma non credevo che potessi arrivare addirittura a crederci-
-Ma i miei veri genitori… Loro sono…-
-Dalen, loro sono morti ancora tempo fa in un incidente stradale quando eri piccolo, mi dispiace- intervenne la madre.
Non poteva essere vero, afferrò il ciondolo mostrandolo alla famiglia: -E questo? Da dove viene?- il padre lo guardò sorridendo dicendogli che glielo avevano regalato pochi giorni prima al suo compleanno. Il campanello di casa suonò e il ragazzo andò ad aprire: si trovò di fronte Eleswin, ma con aspetto umano e abiti moderni; la ragazza gli si buttò tra le braccia scoccandogli un bacio sulla guancia ed entrò in casa tenendolo per mano.
I genitori l’accolsero a braccia aperte, dicendo che non vedevano l’ora di incontrare la ragazza del loro figlio, Dalen osservava, ma c’era qualcosa che non andava, lo sentiva, gli sembrava tutto così troppo perfetto. Anche se da un lato stava cominciando ad apprezzare quella possibile quotidianità normale e tranquilla.
Udì un sibilo fuori dalla porta di casa e corse fuori, trovò di fronte a sé l’alce opalescente che bramiva verso di lui, stava cercando di comunicargli qualcosa: non era quello il suo posto. Una voce lo fece voltare: la sua “famiglia” lo stava chiamando, indicandogli di tornare da loro, ma più loro cercavano di convincerlo più indietreggiava.
Improvvisamente tutto intorno si fermò, come messo in pausa e apparvero Nimrodel, Thiades ed Adssèr: era opera loro, volevano bloccarlo lì dentro.
-Non vorresti rimanere qui? Avresti una famiglia, una ragazza che ti ama, saresti amato e rispettato da tutti… Dimentica e lascia che Thiades si prenda cura di te, tu chiedi e lei esaudirà tutti i tuoi desideri- disse Nimrodel con falsa comprensione, per un momento Dalen fu tentato a cedere, poteva avere tutto ciò che voleva, non doveva più rischiare di morire, poi però il contatto col pelo candido e morbido del suo animale guida gli fece tornare in mente Eleswin, la “sua” Eleswin e non la copia falsa che aveva davanti.
-No! Io ho già una famiglia ed una ragazza che amo con tutto me stesso! Non le cambierò con nulla al mondo!- urlò e scatenò la furia della dea, stava per colpirlo quando due possenti braccia lo presero e trascinarono nel buio.

 

Atterrò sul pavimento nero e guardandosi intorno non vedeva altro che oscurità, poi si girò e vide Heturin ed Eöl, il secondo si avvicinò a lui indicandogli un punto lontano: -Vuoi sapere cosa ha perso la mia amata Nimrodel? Allora guarda, ti condurrò in un ricordo lontano nel tempo e che ormai ha seppellito- l’oscurità cominciò a prendere colore e forma: una bambina dalla lunga chioma verde stava giocando con dei piccoli fiori, facendoli volteggiare raggruppandoli e dividendoli, la giovane risata argentina riempiva il buio circostante.
Dalen si avvicinò cauto, non sapeva se poteva essere visto oppure no, istintivamente non voleva spaventare la bambina che capì essere Nimrodel ancor prima che diventasse una dea, cercò i due dei ma non li vide più: erano solo loro due.
Finché avanzava sentiva la voce della bambina intonare filastrocche, si chinò a fianco senza farsi notare, osservando come lei cantasse di ogni singola creatura che avrebbe popolato la futura Faeria e Terra, come giocasse con legnetti che assumevano le loro sembianze, poi l’alce bianco fece la sua apparizione e la bambina gli corse incontro accarezzandolo e parlandogli dolcemente: poteva vederlo e sentirlo, guardando il suo spirito capì cosa doveva fare.
-Ti piacciono queste creature?- chiese alla bambina porgendogli quei legnetti con le sembianze dei faeriani, lei annuì -Se ti dicessi che potrai creare questo mondo mi farai una promessa?-.
-Potrò fare quello che voglio?- chiese la piccola, raggiunta poi da altri bambini in cui riconobbe gli altri dei.
-Tu e gli altri potrete creare un mondo pieno di vita e gioia, aiutandovi gli uni con gli altri avrete le capacità di guidarlo. Ma prima, Nimrodel, dovrai promettermi una cosa- recuperò il cuore di pietra rossa e lo donò alla bambina -Dovrai amare tutte le creature in modo uguale, senza alcuna distinzione. Promesso?- la piccola annuì e il suo spirito guida aprì un vortice bianco.
Continuando a guardare quei bambini montò sull’alce ed attraversò il portale.

 

Atterrò nuovamente nel castello e sia lui che Nimrodel si ripresero con una profonda boccata d’aria, sembrava che entrambi fossero rimasti senza fiato troppo a lungo.
Lei guardò intensamente lui e l’alce, lo sguardo era di chi aveva riscoperto una cosa incredibile e sollevò la mano osservando il cuore in pietra rosso.
-Nimrodel… Tu non hai perso il tuo cuore fisico, ma l’amore che avevi promesso di provare per ogni singola creatura, non diventare come Balcthel- disse Dalen con lo stesso tono che aveva usato con la lei bambina.
La dea si alzò, lo sguardo duro e furioso di prima venne sostituito da uno dolce e sereno, il cuore si librò in aria e si tramutò un un pugnale dorato, lo diede all’Hybris: -Vai, compi il tuo dovere e quando Balcthel tornerà farò in modo che riceva la punizione che le spetta. Invece che una prigione l’attenderà una dimensione dove sarà sola fino a quando non si pentirà. Ma ti avverto, tuo zio è troppo consumato dalla magia proibita e purificare il suo cuore vorrà dire ucciderlo- il ragazzo afferrò l’oggetto annuendo, da una parte era intimorito, non aveva mai ucciso nessuno.
Sorridendo Nimrodel battè le mani catapultandolo nel pieno della battaglia che aveva come palcoscenico le terre di Faerith, la Città di Cristallo era lontana e intorno a lui c’erano solo i rumori delle spade che si incrociavano l’una con l’altra.
Schivò i fendenti, non sapeva combattere quindi optò per la fuga e cercare i suoi compagni, istintivamente parò un colpo dall’alto e vide che dall’altra parte della spada si trovava il re di Zerkatt, l’espressione sofferente di chi stava combattendo contro se stesso.
-Hybris!- urlò non appena lo riconobbe -Vattene! Brax è diventato ancora più forte, ha costretto anche chi non voleva stare dalla sua parte a combattere per lui- lanciò un altro fendente che venne prontamente parato.
-Non me ne vado, so come salvarvi e lo farò. Ho trovato vostra figlia e vostra moglie, vi assicuro che finita la guerra ve le riporterò- Dalen girò su se stesso liberandosi del re e corse alla ricerca di Eleswin e Glamis, poco più il là trovò Seamsoors in groppa a Roth mentre combatteva a suon di incantesimi il suo avversario.
-Dalen!- urlò -Temevano di non vederti mai più, sono due settimane che non ti facevi più vivo. Abbiamo temuto il peggio- lanciò un altro incantesimo col quale si liberò del nemico, lo fece salire in groppa del lecerguro, schivando e colpendo chiunque gli si parasse davanti.
-Due settimane? Ma se…- poi si ricordò delle parole di Glamis, il tempo nel mondo degli dei scorreva diversamente rispetto a lì.
Vennero colpiti da una palla luminosa, i due caddero dal dorso di Roth che si parò davanti, due braccia esili afferrarono Dalen che tentò di liberarsi, venne trascinato lontano da Seamsoors e il lecerguro, dietro ad un cumulo di macerie, mollò un pugno che venne bloccato dall’aggressore che riconobbe poco dopo: era Eleswin, preoccupata e sollevata allo stesso tempo.
-Accidenti come ti dimenavi, mi saluti così dopo due interminabili settimane?- chiese lei, lui l’abbracciò più forte che poteva, la strinse fino a farla protestare che non respirava più, ridendo sciolse l’abbraccio e si avvicinò per baciarla quando lo bloccò -Non ora, Hibrys… Prima finiamo questa guerra e poi potrai rimediare alla tua assenza… Ora dobbiamo farti avvicinare a Balcthel e Brax- raggiunsero la madre della Úmarth che stava mettendo a terra l’avversario.
Orgogliosa di Dalen per aver recuperato il pugnale, disse che bisognava cercare Brax per indebolirlo, fatto quello anche Balcthel sarebbe diventata più debole, dopodichè aiutò la figlia a fare strada in mezzo alla battaglia, non ci fu bisogno di cercare molto perché fu il tiranno a trovare loro.
Con un colpo spazzò lontano le due donne e gli lanciò contro lampi e palle infuocate, Dalen chiamò in aiuto l’alce ed una raffica di vento accompagnato da polvere bianca arrivò in suo soccorso allontanando gli incantesimi dell’uomo.
Continuarono a colpire e rispondere per un pezzo, fino a quando Dalen, deciso a concludere l’incontro plasmò col vento arco e freccia, mirò e colpì lo zio dritto al petto, nel punto in cui una volta batteva il cuore, con un grido di dolore si inginocchiò e repentinamente il ragazzo creò una cupola d’aria sotto il quale lo imprigionò; nel frattempo atterrò il corvo che prese le sembianze di Balcthel con lo sguardo sfigurato in una smorfia di dolore e furia.
-Come osi!- urlò brandendo la sua spada enorme e larga, lo caricò preparandosi ad abbassare l’arma su di lui, dal nulla comparve Eleswin che con la sua spada parò il colpo salvando l’Hybris.
-Veditela con qualcuno del tuo livello- le urlò la mezz’elfo.
-Brutta Úmarth arrogante, tu uno sporco miscuglio maledetto, non sei n’è una maga n’è un elfo… Ma non ti preoccupare porrò fine alla tua miserabile vita- si preparò a dare un altro colpo.
Eleswin spinse indietro Dalen: -Ora stammi lontano, solo quando avrò ottenuto la completa attenzione di Balcthel potrai colpirla- il ragazzo gli chiese cosa intendesse, ma non gli rispose lo salutò imitando i militari, afferrò il suo amuleto e lo strappò via, gettandolo lontano.
Un’onda d’urto colpì l’intero campo di battaglia mettendo in ginocchio tutti i combattenti, gli occhi puntati sulla ragazza che sollevò la spada, gli occhi completamente dorati, senza più iride, i segni sulle guance si illuminarono; la dea della Guerra si rialzò leccandosi il labbro superiore.
Si scontrarono, spada contro spada, nessuna si risparmiava, Eleswin materializzò dei rampicanti che crebbero rapidamente lungo le gambe della divinità, la colpì approfittando della situazione riuscendo a farle solo un graffio. Continuarono a battersi fino a quando la Úmarth portò Balcthel nelle vicinanze di Dalen, la divinità gli stava dando le spalle e lui lo interpretò come il segnale; affondò con rabbia il pugnale nella carne della dea, lì dove c’era il cuore di suo zio.
Un urlo squarciò l’aria, la dea si dimenò liberandosi dal pugnale, la ragazza riportò la sua attenzione su di lei, l’Hybris affondò una seconda volta il pugnale, ripensando ai suoi genitori. 
Il tempo sembrò fermarsi, tutti erano immobili col fiato sospeso.
Balcthel si inginocchiò e Dalen si voltò verso lo zio, ancora intrappolato, lo vide contorcersi dal dolore, un rivolo di sangue scese da un angolo della bocca, i loro occhi si trovarono, la malformazione dovuta alla magia proibita sparì, egli gli sorrise mentre gradualmente spariva, l’alce si avvicinò a lui e lo guardò abbassando il muso, Brax mimò un “grazie” con le labbra e sparì con un espressione felice e finalmente libera.
L’incantesimo di controllo sparì e tutti si guardarono per un breve periodo, poi si abbracciarono, nemici ed amici, capendo che la guerra era finita; i seguaci di Brax sparirono inseme a lui.
-Ce l’abbiamo fatta! Eleswin, è tutto finito!- Dalen non ottenne risposta, si voltò verso Balcthel che, stremata, si lasciò cadere sul fianco rivelando l’orrenda scoperta che il ragazzo non avrebbe mai voluto fare: la Úmarth giaceva riversa a terra, un terribile squarcio a livello dell’addome che perdeva copiosamente sangue.
Disperato l’Hybris si gettò su di lei, prese tra le braccia il corpo di lei, scosso da tremiti: -Nonono, non ti azzardare a lasciarmi Eleswin, non farlo… Non puoi, io ti amo- sentì le lacrime pizzicargli gli occhi e scendere copiose.
Lentamente la ragazza aprì le palpebre che sentiva sempre più pesanti: -Ehi Dalen, non piangere… Ce l’hai fatta, no?- si sforzò di sorridere, ma tossì sputando sangue.
-No… Ce l’abbiamo fatta… Anche tu hai salvato Faeira e la Terra-.
-Bene… Ti amo, Dalen- a queste parole spirò tra le sue braccia.

A quel punto Dalen non si trattenne e dopo un urlo liberatorio iniziò a piangere; a breve venne raggiunto anche da Roth che si accucciò a fianco della sua compagna d’avventura, dandole brevi leccate al volto; singhiozzando si avvicinò anche Seamsoors ammettendo che si pentiva di aver trattato male lei e la sua specie; il ragazzo sentì una mano sulla spalla e vide Glamis piangere lacrime argentee, ella si abbassò accarezzando quella figlia che aveva perso, ritrovato e perso di nuovo definitivamente.
Una voce maschile chiamò la donna ed alzando lo sguardo videro l’espressione confusa di re Leithan, l’elfo si alzò e si buttò tra le sue braccia piangendo e sfogandosi; non ci fu bisogno di parole, il re di Zerkatt capì al volo che quella ragazzina con cui si era affrontato più e più volte altri non era che sua figlia e che lo scherzo del destino aveva messo sulla sua strada, l’aveva avuta sempre davanti e lui non se ne era mai accorto; strinse più forte a sé la moglie lasciando che il dolore prendesse il sopravvento, lo stesso che colpiva tutti non solo gli umili, ma anche i regnanti.
I presenti, uno ad uno, si unirono al lutto, vergognandosi di come avevano trattato quella gente, tra essi emersero anche le varie tribù Úmarth, che nell’ombra stavano aiutando durante la battaglia, si inchinarono davanti al corpo senza vita, ancora stretto tra le braccia di Dalen.
Dal nulla si palesò Nimrodel, seguita a ruota dalle altre divinità, impaurita Balcthel osservò la sorella che la osservava con sguardo accusatorio ed ordinò ad Heturin ed Adasser di legarla e non farla scappare, poi si avvicinò ad Eleswin: -Questa Úmarth ha mostrato più valore di altri messi insieme, l’aldilà ti accoglierà con grandi feste e la tua impresa verrà narrata in eterno- si alzò -A nome mio e di tutti gli dei ti ringrazio per aver posto fine alla guerra e verrai ricompensato con le ricchezze più rare di Faeria-.
-Non voglio alcun ringraziamento od oggetti preziosi- disse Dalen con voce roca.
-E allora cosa vuoi come premio?- chiese stupita Nimrodel.
-Voglio solo avere indietro Eleswin e che tu tolga la maledizione sui mezzi elfi… Questa è la mia unica richiesta-.
La dea si inginocchiò a fianco a lui: -Mi dispiace, ma persino per noi divinità la morte è invincibile, non possiamo riportare in vita qualcuno che ha varcato i cancelli dell’aldilà- Eöl schiarì la voce facendo venire in mente una cosa alla moglie -A meno che non ci sia qualcuno disposto a morire al posto suo… Una vita per un’altra vita, è l’equilibrio che va mantenuto-.
-Prendete me- disse Glamis -Se questo servirà a riportare mia figlia sarò ben felice di fare cambio con lei- ma venne ripresa dal marito offrendosi lui al suo posto, Nimrodel li guardò stupefatta commentando quanto fosse forte l’amore di un genitore.
A ruota uno ad uno si offrirono di prendere il posto della ragazza, colpendo gli dei come una semplice persona possa suscitare tanta unione.
-Nessuno di voi morirà- parlò il folletto -Sarò io a prendere il suo posto-.
Dalen lo bloccò: -No! Ti rendi conto cosa implicherebbe questo?- Seamsoors lo guardò ed annuì, determinato come non mai.
-Sono sempre stato un codardo nella mia vita, non posso permettere che per lei si sacrifichi il padre o la madre o il suo lecerguro o il ragazzo che ama… Sarò io… E quando si riprenderà dille una cosa “Ti ho dimostrato che non sono un codardo”- con un sorriso si rivolse a Nimrodel che capì.
La dea giunse le mani con quelle del marito creando un cerchio luminoso, Seamsoors ci camminò dentro e svanendo lentamente salutò coloro che sono stati suoi compagni di avventura.
Eleswin boccheggiò e tossì prima di aprire gli occhi e sentirsi stringere da braccia forti, le stesse che aveva imparato ad amare: -Piano… Non vorrai uccidermi di nuovo- ridendo i due si separarono, venne raggiunta dai suoi genitori che la presero tra le braccia, coccolandola e baciandola.
Nimrodel osservava soddisfatta la scena: -Io dichiaro che da ora ognuno è libero di amare chi vuole e che i mezzi elfi non siano più maledetti- pronunciata questa frase i simboli sparirono dalle gote degli Úmarth che festeggiarono felici -Con questo ritengo che siamo pari Hybris- i due si scambiarono un sorriso e le divinità sparirono.
La mezzo elfo si guardò intorno non trovando il folletto, Dalen, allora, le riportò l’accaduto e le sue ultime parole; lei scoppiò a ridere, ma era una risata amara alla quale si mescolarono lacrime di tristezza.

 

Una luce intensa fece percepire a Dalen un mondo luminoso dietro le palpebre serrate, quando sentì che cominciava a dargli fastidio si ridestò aprendo pigramente gli occhi.
Erano passate alcune settimane da tutti gli avvenimenti precedenti e si sentiva ancora frastornato dal sonno, lentamente il ronzio di sottofondo si tramutò in un insieme di suoni ovattati e gli ci volle un bel po’ per riprendersi definitivamente.
I suoni ovattati presero sempre più forma e il ragazzo vi riconobbe i rumori inconfondibili e festosi del mercato, pigramente si alzò dal letto ed uscì sul terrazzino, per essere investito da un tripudio di colori, odori ed urla dei mercanti che richiamavano i clienti alle loro bancarelle.
Si ricordò del libro di Noiro e con nostalgia si chiedeva se Rikt si stesse prendendo cura di esso al posto suo, si stropicciò gli occhi guardando ciò che si trovava sotto al suo terrazzino: il più grande Mercato di Faeria, ospitato dalla città di Zerkatt. A quel punto Dalen si vestì in fretta e furia, corse fuori dal castello e si immerse in esso, lasciandosi guidare dagli odori pungenti e delicati dei prodotti veduti, dai colori vivaci e dai suoni frastornanti.
Sollevò lo sguardo e vide che il cielo era di un azzurro limpidissimo, senza l’ombra di una nuvola. Era talmente perso da ciò che lo circondava che non si accorse di una figura incappucciata che, correndo, si scontrò contro di lui per poi cadere a terra rovinosamente sotto gli occhi di tutti.
Dalen alzò lo sguardo e con sua sorpresa, sotto al cappuccio si trovò a fissare due iridi rosse verso la pupilla e che tramutavano in giallo verso il contorno di esse, le labbra carnose piegate in un dolce sorriso.
-Stai ancora scappando dai tuoi?- chiese divertito Dalen aiutando la ragazza ad alzarsi.
-Non ho voglia di restare chiusa nel castello ad apprendere come si balla a corte se fuori c’è il mercato più grandioso che ci sia. Ora che non devo più rubare per vivere posso godermelo a pieno- rispose Eleswin prendendolo sottobraccio.

Dopo la battaglia, Nimrodel riaprì i portali ma impose una condizione su essi: siccome gli umani non erano pronti ad accogliere il mondo di Faeria nel loro, fu permesso solo ai faeriani di passare tra i due mondi rimanendo discreti, mentre solo gli umani più temerari e meritevoli avrebbero potuto oltrepassare quei varchi.
Inoltre le divinità, persino Balcthel sotto la stretta sorveglianza di Heturin, aiutarono i faeriani a ricostruire le città, ridandogli la stessa grandiosità che avevano prima, se non di più; i monti Úroth vennero distrutti, cancellando la divisione tra Eosel e Faerith; la Città di Cristallo rimase ma non fu esclusivamente per gli elfi ed era il luogo che ospitava la biblioteca più grande e fornita di tutta Faeria. Infine gli dei ripresero a camminare e dialogare con i mortali, i quali li coinvolsero nella loro vita quotidiana maggiormente a prima.
Dalen ed Eleswin passeggiarono tra le bancarelle e i mercanti, felici per il ritorno della regina e della principessa di Zerkatt offrivano a tutti piccoli assaggi dei loro prodotti. Stanchi di camminare nella folla, arrivarono a palazzo dove vennero accolti da Gherda, Locuy e Noiro, tornati per rimanere a Faeria e aiutare nella ricostruzione.

Il gruppetto si incamminò verso il grande giardino retrostante il castello, lì trovarono i due regnanti guardare Roth e l’alce che non l’aveva più abbandonato nonostante avesse ormai imparato ad usare i suoi poteri, tanto è che li utilizzava per aiutare a ricostruire le città.
Il re e la regina accolsero a braccia aperte il ragazzo e condussero i presenti nello stanzone del trono, dove enormi finestre davano sul mercato di Zerkatt.
-Grazie a te Faeria è tornata a vivere… Come padre voglio ringraziarti per aver fatto tornare a battere il mio cuore, fermatosi anni fa- diede un lieve bacio alla moglie e accarezzò la guancia della figlia -Qualsiasi sia la ricompensa che chiedi, sarò ben felice di dartela… Non baderò a spese-.
-Non voglio niente di prezioso- rispose Dalen guardando dolcemente Eleswin -Solo una risposta da parte di una persona- il re e Locuy lo guardarono confuso, mentre Glamis, Gherda e Noiro sorrisero.
Il ragazzo si avvicinò alla ragazza prendendole le mani tra le sue: -Eleswin, vorresti farmi l’onore di restare al mio fianco e viaggiare con me scoprendo tutto quello che Faeria ha da offrirci?- lei lo guardò con un sorriso ampio e lo abbracciò continuando a ripetere “sì”, lui l’allontanò e pose le sue labbra su quelle della ragazza dandole un bacio pieno di amore.
-Suppongo che dovrò accettare la cosa- si arrese re Leithan, la moglie rise stringendosi al suo braccio.
-Tranquillo papà- disse la figlia separandosi da Dalen -Torneremo quando sarà il nostro turno di regnare- i presenti cominciarono a ridere, felici.

Eleswin e Dalen si affacciarono dal finestrone, guardando la grande statua dedicata al primo folletto che ebbe il coraggio di sacrificarsi per la loro felicità: Seamsoors, poi con lo sguardo di chi era pronto ad affrontare le nuove avventure che si sarebbero presentate, volsero gli occhi all’orizzonte di quella terra magica conosciuta come Faeria.

 

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