Incontri difficili

di Reginafenice
(/viewuser.php?uid=1057053)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XII ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII parte prima ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII parte seconda ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Erano passati pochi mesi dall'ultima volta, ma Ross aveva deciso comunque di tornare a Nampara trascurando i suoi affari londinesi per ritrovare il calore della sua famiglia e l'asprezza selvaggia, propria del clima della Cornovaglia, che da sempre riusciva a risvegliarlo dal torpore di una Londra decisamente troppo grigia e statica per i suoi gusti.
Doveva riconoscere che non si aspettava una bufera così intensa a dargli il bentornato, ma mentre galoppava verso casa non riusciva a fare a meno di pensare a quanto i suoi due figli si sarebbero divertiti l'indomani mattina a giocare con la neve, meravigliandosi alla vista della spiaggia ricoperta da un intero manto di fiocchi bianchi e morbidi.
Jeremy cresceva ad un ritmo spaventoso e ogni volta che apriva la porta di casa provava una fitta al cuore nel vederlo così grande e maturo, dispiacendosi enormemente per aver speso tanto tempo lontano da lui e da sua sorella, la bellissima Clowance.
Rispetto al fratello, la piccola di casa Poldark aveva ereditato il carattere impulsivo del padre che, sommato alla testardaggine tipica di sua madre, la rendeva una bambina decisamente vivace e capricciosa ma comunque molto generosa nel dare una mano a chiunque ne avesse avuto bisogno.
Era molto orgoglioso di lei e di come la sua nascita lo avesse riscattato da un errore che, nonostante avesse da sempre deciso di ignorare, avrebbe bruciato silenziosamente in eterno come una cicatrice sul suo cuore.
Aveva quasi raggiunto la meta quando non poté fare a meno di notare una lussuosa carrozza ferma in mezzo al viale principale, completamente avvolta nell'oscurità.
Tentato dall'idea di proseguire con l'intento di arrivare a casa prima che la tempesta di neve si aggravasse, Ross cacciò via quel pensiero decidendo di ascoltare la voce della ragione che premeva affinché aiutasse i viaggiatori all'interno di quella carrozza cristallizzata dal ghiaccio, pertanto si avvicinò con cautela al conduttore del mezzo.
"Serve aiuto?" Gridò senza ricevere alcuna risposta.
"Posso darvi una mano a fare ripartire la carrozza?" Ma nessuna voce riusciva ad intromettersi in quella violenta tempesta di vento.
Allora Ross scese da cavallo e verificò la situazione, sperando che non fosse successo quello che in realtà temeva. Scosse l'uomo seduto immobile sul posto di guida, ma subito si rese conto che per lui non c'era più niente da fare, quindi decise di controllare se all'interno qualcuno fosse sopravvissuto.
Pensò che la bufera doveva aver intrappolato la carrozza già da qualche giorno in quel punto isolato, impedendo a chiunque di prestare soccorso e condannando quel pover uomo ad una morte orribile.
Non indugiò oltre e, sperando di trovare qualcuno ancora vivo, aprì con molta difficoltà lo sportello congelato e trovò una donna e un bambino avvinghiati l'uno all'altra come se stessero dormendo. Ross entrò nell'abitacolo e provò a sentire i loro polsi, ma soltanto quello del bambino, seppur debole, trasmetteva battiti vitali.
Quasi immediatamente il piccolo si svegliò e chiese aiuto a quello sconosciuto che si era ritrovato davanti, senza mostrare alcun segno di paura. "Puoi aiutarci ad uscire da qui?" Ross non ci pensò due volte e lo divincolò dalla presa della donna, poi per proteggerlo dal freddo decise di lasciargli addosso la pesante coperta che gli nascondeva quasi completamente il viso e che probabilmente la sua accompagnatrice aveva pensato potesse preservarlo dal gelo e salvarlo; scese dalla carrozza dirigendosi verso quei poveri cavalli infreddoliti che fortunatamente erano ancora vivi e li liberò dalle redini lasciandoli correre verso un riparo sicuro.
Recuperò il bambino e lo mise con sé sul suo cavallo, cercando di tenerlo sveglio con alcune domande, fino a quando non avrebbero raggiunto casa.
"Su, non devi più preoccuparti! Adesso ti porto al calduccio."
Il bambino annuì con grande stanchezza.
"Quanti anni hai?" Tentò di farlo parlare.
"Cinque anni."
"Ah, allora sei quanto la mia Clowence! Da dove vieni?"
Questa volta il bambino cercò di guardare indietro per trovare la sua carrozza.
"Dov'è Lily?"
"Chi è Lily?" Chiese incuriosito Ross.
Il piccolo indicò la carrozza alle loro spalle e allora Ross capì. Cercò di essere il più delicato possibile nel dirgli la verità.
"Purtroppo non c'è più, ma non devi preoccuparti, perché adesso lei sta molto meglio di quanto non stesse prima."
"Si…" disse con un tono non molto convinto il piccolo, non riuscendo più a trattenere le lacrime.
Ross lo strinse più forte e lo portò più vicino a sé, sperando che, una volta arrivato a casa, Demelza avrebbe saputo come rassicuralo.
Adesso era in grado di intravedere la luce proveniente dalle finestre della sua tanto amata dimora e quel piccolo bagliore riuscì a spingerlo a galoppare ancora più veloce per raggiungerla al più presto.
"Vedi? Quella è la mia casa, dove i miei figli e mia moglie ti daranno sicuramente un benvenuto migliore di quanto tu possa immaginarti."
"Voglio il mio papà!" Disse il piccolo piangendo.
"Cercheremo di trovarlo, ma per ora starai con noi. Guarda che non siamo male, sai? Come ti chiami?"
Scuotendo la testa rispose, "Non devo parlare con uno sconosciuto! Mio padre me lo dice sempre."
Ross sorrise a quelle parole, "Hai ragione. Allora me lo dirai quando ci conosceremo meglio. Va bene?"
Il bimbo lo scrutò con interesse, mantenendo però il suo cipiglio diffidente, nonostante avesse ancora le guance bagnate dalle lacrime.
Il suo arrivo a Nampara sarebbe stato una sorpresa per Demelza, in quanto era previsto tra non prima di tre settimane, perciò era ansioso di vedere la sua reazione e riabbracciarla dopo quel tragico momento in cui aveva scelto di stargli accanto nonostante lui stesse piangendo la morte della donna con cui l'aveva tradita.
Spesso, ripensando all'ultima volta che si erano visti, non poteva fare a meno di provare un grande senso di vergogna verso se stesso, in quanto non era riuscito a confessarle quanto la morte di Elizabeth lo avesse traumatizzato, non per il fatto di averla perduta per sempre ma per la possibilità che un giorno potesse perdere il vero amore della sua vita.
Era soprattutto la prospettiva di rimanere senza Demelza che gli aveva reso la morte della sua amica d'infanzia così difficile da superare.
Dalla sua bocca non sarebbero mai uscite parole di ringraziamento, questo Ross lo sapeva benissimo, ma avrebbe fatto in modo che lei lo capisse lo stesso e il suo ritorno anticipato a Nampara rientrava in questo progetto.
Il bambino aveva ceduto al sonno rannicchiato contro il petto di Ross, il quale a stento riusciva a trattenere l'emozione per essere finalmente arrivato.
Lasciò il suo fedele cavallo nella stalla, facendo attenzione a non svegliare quel piccolo essere che aveva tra le braccia, e si incamminò verso l'ingresso. Non fece in tempo a bussare alla porta che subito fu accolto da Jeremy e Clowance, disperati di riabbracciare il loro papà dopo mesi di lontananza.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Spinse il peso del corpo del bambino su un solo braccio, per poter fare cenno ai suoi figli con l'altro di non parlare, altrimenti avrebbero svegliato quello sconosciuto che aveva pensato bene di portare loro come regalo dal viaggio.
Inizialmente Clowance, offesa dal comportamento insolitamente freddo di Ross, pensò di disobbedire all'ordine per rimproverarlo come meritava, ma decise di non farlo e rimase in silenzio, dando sfoggio del suo lato da brava bambina.
Jeremy, invece, affascinato e incuriosito da quella novità, non riuscì a trattenersi e sussurrò, "Papà, ti abbiamo sentito arrivare. Perché non ce lo hai detto prima che saresti tornato così presto? Chi è lui?"
Ross rispose altrettanto a bassa voce "Volevo farvi una sorpresa!" Poi, indicando con gli occhi il piccolo, aggiunse, "E' una lunga storia. Ti dispiace se lo poggio sul tuo letto?"
Mentre saliva le scale per raggiungere la camera da letto di Jeremy si scontrò con Demelza, la quale esplose in un grido di gioia nel vedere suo marito così inaspettatamente davanti ai suoi occhi.
"Sangue di Giuda, Ross!" Non fece in tempo ad aggiungere altro che prontamente Clowance la zittì, "Shh! Mamma non vedi che quello lì sta dormendo?" Ross avrebbe dato qualsiasi cosa per baciare sua moglie, impaziente di sentire le labbra premere contro le sue, ma per il momento si limitò a stringerle la mano, con tutta la forza che il suo desiderio rendeva necessaria.
Demelza tornò indietro e si precipitò ad aprire la porta della stanza per rendere il passaggio più agevole per Ross.
Non appena la testolina del piccolo toccò il cuscino arrivò Garrick, anche lui curioso di conoscere il nuovo arrivato, e iniziò ad annusarlo. Ross pregò che per qualche strana ragione non si mettesse ad abbaiare proprio in quel momento e fortunatamente non lo fece.
Il viso del bambino era ancora infagottato in quel pesante manto di lana che in qualche modo lo aveva salvato, quindi decisero di aspettare ancora un po’ prima di toglierlo dal caldo a cui si era abituato.
"Lasciamolo riposare. Ha affrontato una cosa molto brutta" disse Ross rivolto principalmente ai due bambini. Tutti insieme si diressero fuori dalla stanza, socchiudendo silenziosamente la porta.
Scesero le scale e si riunirono nel salotto, finalmente liberi di parlare. Ross si guardò intorno cercando tracce di Prudie e quando non ne trovò neanche una, preferì non chiedere.
"Ross che cosa è successo?" Chiese Demelza, tutta affaccendata a preparare qualcosa di caldo da dare al piccolo sconosciuto.
"Sono morti tutti e lui è l'unico sopravvissuto alla bufera di neve. L'ho trovato miracolosamente vivo in una carrozza ormai irrecuperabile".
Si tolse giacca e cappello e sprofondò nella poltrona più vicina al camino.
"Santo cielo! Come è possibile?" Demelza si portò una mano alla bocca, estremamente dispiaciuta per quello che aveva appena sentito.
"Già. Spero che qualcuno si faccia vivo per cercarlo."
Clowance gattonò fino ai suoi stivali cercando di attirare la sua attenzione ma, anche se si accorse di lei, Ross fece finta di ignorarla per poter vedere la sua reazione. La piccola infatti non tardò ad esplodere, "Perché non mi vuoi parlare?"
Ross, allora, la prese con un gesto rapido in braccio e le baciò la fronte, "Come puoi pensare una cosa simile?"
Clowance si rassicurò e si strinse forte al suo papà, "Lo sai che Prudie non è più tornata da quando è andata a portare a zia Caroline una lettera della mamma? Forse non tornerà mai più."
Jeremy rise dell'ingenuità della sorella.
"Non crederle. E' solo stata trattenuta per qualche giorno dalla neve" aggiunse Demelza, mentre cercava di capire quale fosse l'umore di Ross in quel momento.
"Ti ha detto come si chiama?" Gli chiese dolcemente.
Ross scosse il capo, "Non ha voluto dirmelo. E' piuttosto furbo il ragazzo!"
"Ma non pensi che dovremmo saperlo subito?"
"Adesso non credo sia il caso di disturbarlo. Ci penseremo domani mattina, non è vero Jeremy?"
Il figlio maggiore annuì ma presto si pose il problema di dove avrebbe dormito se il suo letto era stato occupato da qualcun altro.
"Scusate, ma avete pensato a dove farmi dormire?"
Ross sopirò pesantemente al pensiero che avrebbe dovuto aspettare ancora un'altra notte prima di potersi rannicchiare nel suo letto affianco a Demelza.
"Credo non ti dispiacerà dormire con la mamma, solo per questa volta."
Demelza sorrise verso di lui, ricevendo in cambio un occhiolino malizioso.
"Vai Jeremy, prima che papà ci ripensi!" Lo spinse leggermente in avanti per avvicinarlo alle scale.
Intanto la piccola Clowance dormiva beatamente tra le braccia di Ross, sperando di rimanere così per sempre. Era molto affezionata al suo papà e, ogni volta che doveva separarsi da lui, non risparmiava le lacrime, tentando invano di convincerlo a restare.
Ross pensò a quel bambino e a quanto anche a lui mancasse suo padre, a come aveva dovuto sentirsi solo al momento del suo risveglio in quella fredda carrozza e fu felice di aver cercato di fargli sentire un po’ di calore paterno mentre lo aveva tenuto stretto sul suo cavallo.
Demelza si sedette su un bracciolo della poltrona e iniziò ad accarezzare i folti riccioli neri che ricoprivano la sua testa, in una maniera così dolce ma al tempo stesso seducente che Ross non riuscì a resistere, allungandosi per cercare le sue labbra. Quel bacio fu un ritorno a casa ancora più intenso di quanto si immaginava.
Facendo attenzione a non svegliare Clowance, Ross e Demelza si divisero lentamente conservando il sapore l'uno dell'altra, mentre i loro occhi comunicavano perfettamente senza bisogno di spiegarsi con le parole.
"Vado a metterla a letto" disse Ross.
Demelza annuì e a Ross parve di non averla mai vista così serena.
"Io controllo il piccolo che sta su e, se ha fame, gli darò un po’ di latte caldo."
Arrivata in camera di Jeremy, aprì la porta e trovò il bambino in preda ai deliri della febbre. Si rimproverò per non averci pensato prima e aver aspettato così tanto a salire per controllare in che condizioni stesse, ma presto si liberò da qualsiasi tipo di pensiero e si adoperò a prendere una bacinella di acqua fredda in cui intingere delle pezze da mettergli sulla fronte.
Ross si affacciò alla porta per capire quello che stava succedendo e, quando la situazione si fece chiara, iniziò anche lui a preoccuparsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Una volta avvicinatasi al bambino, Demelza provò una sensazione davvero strana, come se lo avesse in qualche modo già conosciuto. Decise di liberarlo dalla pesante coperta in cui era avvolto e subito si riaffacciò in lei, con ancora più violenza, la consapevolezza che quel viso le era dolorosamente familiare.

La poca luce proveniente dall’unica candela accesa nella stanza rese abbastanza difficile il compito di studiare i lineamenti del piccolo, quindi Demelza pensò bene di cacciare via quel pensiero così insistente e rimandare l’attenta analisi della sua fisionomia a un momento più opportuno.

Ross, intanto, aveva deciso di lasciare le cure del bambino nelle sapienti mani di sua moglie, scendendo giù per godere ancora un po’ del calore del camino. Rimase lì per molto tempo finché un rumore di passi dalle scale lo costrinse a ridestarsi dal sonno in cui era caduto.

“Ross, il bambino ha la febbre molto alta.” Demelza lo aveva appena raggiunto per cercare un consiglio su come procedere, costringendosi in tutti i modi a mascherare la preoccupazione riguardo alla reale identità del bambino.

Ross si alzò sbadigliando, “Fai quello che puoi per tenerlo in vita fino a domani mattina, quando Dwight potrà raggiungerci più facilemente.”

Demelza annuì e, incerta sul manifestare a Ross i sentimenti che aveva provato nel guardare il viso del bambino, indugiò prima di salire nuovamente le scale per prestargli tutte le cure necessarie.

Presto Ross si accorse della lotta interiore che la stava attanagliando e senza troppe cerimonie le chiese, “Cos’è che ti turba, Demelza?”

“Niente…” mentì lei, pentendosi immediatamente per non averlo reso partecipe di quel dubbio atroce che la stava tormentando.

Ross le si avvicinò e la baciò sulla fronte, sussurrandole poi all’orecchio, “Dopo tutto quello che è successo ultimamente, speravo solo di poterti riabbracciare e non lasciarti mai più.”

Demelza intuì a cosa si riferiva ma, nonostante quelle parole fossero piene di amore e desiderio, non poté fare a meno di pensare che ciò che Ross voleva davvero fosse trovare una consolazione per la morte di una donna che non sarebbe mai riuscito a dimenticare.

Spesso temeva che Elizabeth potesse riaffacciarsi come uno spettro sulla loro vita, distruggendo tutto quello che con grande sacrificio lei e Ross avevano cercato di ricostruire, e la prospettiva di perdere di nuovo la fiducia nell’amore che suo marito nutriva solo per lei la deprimeva enormemente.

“Si, Ross…” lo guardò con sospetto ed esasperazione al tempo stesso, sperando che per una volta lui riuscisse ad andare oltre il significato superficiale di quelle parole, ma il sorriso dolce che aveva sulle labbra la convinse che purtroppo quel momento non era ancora arrivato.

“Ti sentiresti più sollevata se ti aiutassi a badare al piccolo?”

Demelza impallidì. Avrebbe fatto di tutto pur di rimandare il momento dell’incontro tra i due al più tardi possibile, anche se questo avrebbe implicato trascorrere la notte con un peso insopportabile da custodire dentro tutto da sola.

“Dovresti riposare, dopo il lungo viaggio che hai affrontato. Non preoccuparti per me, ce la posso fare.”
“Allora non ti dispiace se vado a stendermi un po’ sul nostro letto?”

Demelza scosse la testa e si staccò dalla sua presa, intenzionata com’era a fare in modo che il bambino superasse la notte.

Ritornò in camera di Jeremy, trovando il piccolo estraneo addormentato, e pregò che il giorno arrivasse velocemente per poter mettere fine a quel dilemma che non le consentiva di trovare pace.

Si dondolò su una vecchia sedia nell’angolo, rimuginando su quanto il bambino somigliasse a Ross e come la sua età si avvicinasse pericolosamente a quella del figlio di George Warleggan, perciò se le sue ipotesi fossero state reali, cosa alquanto probabile, non immaginava in quale misura quella scoperta avrebbe potuto sconvolgere Ross. 

Era solo una formalità parlare tra di loro di Valentine Warleggan come effettivo figlio di George, perché, per quanto fosse difficile da accettare, ad ogni azione corrisponde una reazione e l’erede di Warleggan rappresentava esattamente la reazione all’azione sconsiderata che aveva reso Ross ed Elizabeth amanti per una notte, di cui l’unica testimone, zia Agatha, era morta senza poter rivelare quel segreto inconfessabile, così come la stessa Elizabeth aveva scelto di portarselo nella tomba.

Sussurri di una colpa non completamente riconosciuta le giungevano attraverso lo sguardo di Ross ogni volta che l’argomento veniva fuori, quando lui abbassava gli occhi per mascherare la vergogna che provava.

Il bambino si agitò nel letto, chiaramente in preda a incubi terribili, e cercò la mano di qualcuno che lo facesse sentire protetto, forse quella di sua madre, ormai irrecuperabilmente lontana per potergli stare vicino.

Demelza, combattuta tra il suo istinto materno che le diceva di esaudire il desiderio del piccolo e la paura che invece la pietrificava lì sulla sedia su ci era seduta da ore, aveva comunque deciso di prendersene cura come tanto tempo prima aveva fatto con l’altro figlio di Elizabeth, Geoffrey Charles, quando i suoi genitori non erano nelle condizioni di poterlo fare, perdendo in cambio della sua generosità la piccola Julia.

Di quante cose le era debitrice Elizabeth? Così tante che anche a distanza di anni la rabbia verso di lei non era ancora scomparsa, soprattutto perché, nelle poche occasioni in cui avevano avuto modo di incontrarsi dopo quella famosa notte di tradimenti, l’amante di suo marito non aveva mai mostrato il minimo rimorso per quello che le aveva fatto.

Tuttavia lei non si sarebbe tirata indietro nemmeno questa volta, curando in tutti i modi possibili quello che, con molta probabilità, era il frutto dell’adulterio di Ross.

“M-m-a…” sussurrò il bambino a Demelza, la quale gli strinse la manina così forte da consentirgli di dormire in maniera più tranquilla.

All’alba di una serena ma nevosa giornata di gennaio, Ross non perse tempo e dopo aver spiato dalla porta sua moglie addormentata in ginocchio vicino al letto del bambino, sfidò la neve in groppa al suo cavallo per raggiungere la casa in cui vivevano Dwight e Caroline.

Fu ricevuto subito dai valletti di casa Enys, uomini così cortesi che la vicinanza di Prudie nei paraggi gli fece rimpiangere il fatto di non essere mai riuscito a licenziarla e rimpiazzarla con un servo decisamente più serio e devoto di quanto lei non fosse mai stata da quando era al suo servizio.

“Capitano Ross, cosa ci fate da queste parti?” Chiese Prudie, stiracchiandosi sul sofà pregiatissimo che arredava il grande salone e approfittando dell’uva passa contenuta in una meravigliosa coppa d’argento appoggiata su un prezioso tavolino.

“Vedo che ti sei ambientata bene qui!" La punzecchiò Ross e poi aggiunse, “Chissà quanto rimpiangerai di non esserti trasferita qui prima, quando ritornerai a casa”.

Il simpatico siparietto fu interrotto da Caroline, con indosso una vestaglia di seta che nascondeva la camicia da notte rosa e in braccio il suo Horace.

“Ross, è sempre un piacere rivederti! Sei venuto per recuperare la tua serva?” Indicò Prudie, mentre Ross le baciava la mano.

“In realtà non è questo il motivo principale della mia visita” diede un’occhiataccia alla donna alla sua destra.

Caroline fece senno di seguirla in una stanza più appartata.

“Immagino tu voglia parlarne con Dwight…” avanzò lei, presa dall’espressione preoccupata sul viso di Ross.

“Già, devi scusarmi ma mi serve la sua consulenza medica al più presto.”

Caroline si allarmò, “Spero non abbia niente a che fare con i tuoi figli o, ancora peggio, con Demelza!”

Ross non capì perché si stesse agitando così tanto per Demelza e, invece di indagarne il motivo, decise di sorvolare su quel dettaglio, ”No, è per un bambino che ho raccolto ieri sera dalla strada. E’ una brutta storia, davvero.”

Ross e Caroline furono a loro volta interrotti da un Dwight molto più assonnato della moglie ma comunque vestito abbastanza decentemente da poter seguire Ross fino a Nampara, già pronto come era per via delle visite mattutine che i suoi pazienti richiedevano.

“Ross! E’ successo qualcosa?” Gli chiese meravigliato da quell’incontro inaspettato, avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla.

“Mi faresti la cortesia di venire immediatamente con me?”

Dwight cercò lo sguardo di sua moglie, sperando di capirne di più, ma Caroline alzò le spalle e ritornò su Ross con gli stessi occhi spaventati di prima.

“Certo, andiamo subito.” Disse il medico, intuendo che si trattava di una cosa piuttosto grave.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Mentre, galoppando verso Nampara, provavano a difendersi dal vento pungente che picchiava furiosamente sui loro volti, Ross ruppe il ghiaccio e con grande coraggio osò chiedere, “Dwight, come va tra te e Caroline dopo la morte di…” abbassò lo sguardo, come se si sentisse in colpa, concentrandosi sul pelo del suo cavallo.

“Puoi dirlo, sai? Puoi dire il suo nome.” La voce di Dwight era ferma ma tradiva una certa sofferenza.

“Sarah…” aggiunse Ross, tornando a guardare nella direzione del suo amico.

“Beh, è un dolore che anche tu conosci bene.”

Ross annuì tristemente ripensando alla sua Julia, scomparsa tra le sue braccia in una notte che sembrava un incubo, senza che Dwight potesse fare qualcosa per salvarla e per evitare che ogni volta il suo cuore sentisse una fitta lancinante al ricordo di quanto amore provava per lei.

“Voglio dire, mi è sembrato che Caroline l’abbia superato” si riferiva al fatto che Dwight non le aveva mai parlato prima della malattia cardiaca di Sarah, mettendola di fronte alla concreta possibilità di assistere alla morte di sua figlia senza prepararla adeguatamente prima che questa accadesse.

Dwight scosse la testa, “Crede di averlo fatto, ma in realtà cerca di non pensarci più di tanto.”

Ross decise di cambiare argomento, così gli introdusse la situazione che avrebbe trovato a casa sua.

“E’ già un miracolo che sia riuscito a sopravvivere alla tempesta e al freddo! Povero piccolo! Hai detto che sono morti tutti quelli che stavano con lui nella carrozza? Chissà cosa penseranno i suoi genitori, non avendo ancora avuto notizie di lui!”

“Quando avrai finito di visitarlo, proverò a raggiungere Truro per informarmi se lo stanno cercando. Penso che provenga da lì.” Disse Ross.

“Pensa che avrei voluto scriverti una lettera per implorarti di tronare perché avevo delle novità importanti da comunicarti che non riuscivo proprio a tenere solo per me.”

Dwight guardò l’amico in maniera piuttosto provocatoria, come se desiderasse che lui manifestasse la sua curiosità, ricoprendolo di domande.

“Sono qui, tutto per te. Avanti, parla!” Naturalmente non era riuscito a resistere.

Il medico si morse il labbro, come se cercasse di trattenere le parole nella sua bocca, “Mi dispiace ma, dopo averne parlato con Caroline, sono stato costretto al silenzio.”

“Ah! Grazie per avermi tentato, amico!” Ross fece finta di essere offeso ma scoppiò ben presto in una risata.

Avevano finalmente superato la staccionata che proteggeva la casa, pronti a raggiungere l’ingresso.

Aprì la porta una sorprendentemente vispa Clowance, che aveva approfittato dell’assenza di Prudie per ricevere gli ospiti godendo immensamente nel poterlo fare senza essere vista da sua madre.

“Buongiorno, zio Dwight!” Gli si lanciò letteralmente addosso per abbracciarlo e fece per essere presa in braccio, ma Dwight la allontanò gentilmente, pregando Ross di occuparsi di sua figlia, mentre lui saliva le scale per accedere alla zona notte.

Clowance non nascose la sua delusione continuando a seguire Dwight con lo sguardo, quando fu distratta dalla voce di Ross, “Vedi che finirò per ingelosirmi di Dwight se continui a guardarlo così” scherzò sollevandola da terra e portandola con sé in direzione della camera di Jeremy.

Lì trovò la porta chiusa e decise di rispettare la privacy del bambino mantenendo Clowance lontana, quindi la condusse di nuovo giù per le scale e attesero insieme informazioni da parte di Dwight o di Demelza, intrattenendosi in cucina con Jeremy e Garrick.

Non appena entrò nella stanza, Dwight riconobbe immediatamente il bambino, adesso seduto sul letto visibilmente ripreso, come Valentine Warleggan.

Demelza non nascose la sua felicità nel vederlo finalmente nella stanza, “Dwight, ti sono grata per essere venuto così presto. Mi sembra, però, che fortunatamente il peggio sia passato…” guardò Valentine decisamente rincuorata.

Dwight le rivolse un sorriso imbarazzato, “Lasciami controllare, ma sembra proprio che tu abbia ragione."

Non era molto bravo a fingere, per questo motivo Demelza non esitò neanche un momento a liberarlo da quel disagio.

“Non preoccuparti, penso di aver capito chi è.”

Il piccolo Valentine provò ad intromettersi nel discorso, “Mio padre, si starà chiedendo che fine ho fatto.”

Dwight gli sorrise, “Ti ricordi di me, piccolo? “

Il bimbo fece un cenno affermativo con la testa, “Ti ho visto il giorno in cui è morta la mia mamma.”

Demelza provò una grande tristezza nel sentirgli pronunciare quelle parole, dopotutto era solo un bambino di cinque anni solo e indifeso.

“Cercheremo di riportarti a casa molto presto, va bene?” Si allontanò da lui trascinandosi dietro un Dwight particolarmente sconvolto.

Rimasti da soli a parlare sottovoce sulle scale, così che Ross non potesse sentirli, Dwight e Demelza provarono a mettersi d’accordo su cosa dire a Ross.

“George Warleggan sarà furibondo quando verrà a sapere che suo figlio si trova qui!” Esclamò Dwight.

“Allora non immagini quanto sarà arrabbiato Ross Poldark quando scoprirà il nome del bambino!”

“Cosa possiamo dirgli a questo punto?”

Demelza sospirò pesantemente, lasciandosi sentire dall’orecchio attento di Clowance, la quale sgattaiolò in fretta e furia via dalla cucina per piombarsi di fronte a loro.

“E’ guarito?" Chiese impaziente.

Dwight lanciò un’occhiata a Demelza, facendole intendere che aveva trovato una soluzione abbastanza credibile per poter parlare a Ross del bambino senza necessariamente svelargli la sua vera identità.

“Quanto sei cresciuta Clowance!” La prese in braccio.

“Ma se mi hai vista appena una settimana fa!”

Ross li raggiunse, rimproverando la bambina per aver assillato il dottore, e chiese del piccolo.

“E’ un bambino molto delicato per questo ritengo sia stato molto fortunato a superare la notte e riprendersi così bene, quindi…” sperò con tutte le sue forze che quella spiegazione sarebbe stata sufficiente a soddisfare Ross.

“Sono felice che ce l’abbia fatta, ma siete riusciti a sapere come si chiama?”

Dwight impallidì e con tutto il coraggio che aveva in corpo mentì, “Si trova ancora in stato confusionale, perciò le informazioni che ci ha dato potrebbero non essere attendibili.”

“Cosa vi ha detto di così sconvolgente?” Questa volta Ross si rivolse a Demelza, perché aveva notato un certo inspiegabile disagio nell’atteggiamento del suo migliore amico ed era intenzionato a scoprirne la causa.

“Ross…” Demelza non riuscì ad aggiungere altro.  

Ross si precipitò su per le scale in camera di Jeremy per parlare con il diretto interessato, visto che tutti gli altri continuavano a volergli nascondere la verità.

Dwight fece del suo meglio per correre più veloce di lui e si piantò davanti alla porta, imponendogli di fermarsi.

“E’ necessario che non si agiti affinché guarisca del tutto.”

Ross non capiva, “Chi è, Dwight?”

Demelza li raggiunse e, mentre una silenziosa lacrima le scendeva lungo il viso, trovò soltanto la forza di dire, “Non ti farà piacere saperlo”.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Questa volta non sarebbe stato necessario che qualcuno si fosse intromesso tra lui e la porta per vietargli l'ingresso, dal momento che le parole che Ross aveva appena sentito pronunciare avevano sortito su di lui l'unico effetto che ognuno dei presenti si sarebbe potuto aspettare: lo avevano trasformato in una statua di ghiaccio e costretto ad un silenzio tombale.

Ma Dwight infranse la solennità di quel momento e azzardò un'ipotesi, "Potrei andare questa mattina stessa da Warleggan per comunicargli quanto è accaduto a suo figlio. Ho sentito dire che è rimasto bloccato a Trenwith a causa della neve".

Gli occhi chiari di Demelza cercarono invano quelli del marito, come a voler illuminare il buio profondo che riusciva a scorgervi, mentre contemporaneamente dalla sua bocca uscivano parole indirizzate al medico, in piedi sull'uscio della porta.

"Si, credo che sia la cosa più saggia da fare."

Incapace di trovare il benché minimo segno di assenso sul volto impassibile di Ross e affidandosi alle parole di Demelza, Dwight decise di entrare nella stanza per riferire al bambino la novità.

Fece per dare loro le spalle, quando una mano lo trattenne ancora per un po’.

"Non è successo nulla di grave..." Ross cercò goffamente di nascondere lo sconcerto che provava.

"Dwight, lo porteresti tu da suo padre?" Lo implorò Demelza.

"Purtroppo non è ancora nelle condizioni di spostarsi. Conto sulla tua pazienza ancora per un'altra notte, Demelza".

Dopo aver accompagnato Dwight alla porta, Ross decise di rinchiudersi nella sua camera per assorbire tutte le spiacevoli emozioni che quella scoperta gli aveva lasciato a gravare sullo stomaco.

Sapere che Velentine si trovava così vicino, dopo averlo evitato per tutti gli anni della sua ancora acerba esistenza, aveva risvegliato tremende battaglie interiori volte a scacciare qualsiasi ricordo associabile alla notte del suo concepimento.

Pensò alla sofferenza che aveva provato alla notizia della nascita di Geoffrey Charles, quando ancora non riusciva ad accettare l’idea che suo cugino avesse avuto tutto ciò che lui stesso desiderava e a quanto quel dolore non potesse essere nemmeno lontanamente paragonabile allo sconforto assoluto che lo aveva turbato il giorno della nascita di Valentine.

Ogni parto di Elizabeth, per motivi diversi, lo aveva segnato, trasformando continuamente il suo rapporto con lei: il primo, avvenuto poco dopo il matrimonio con Francis, lo aveva reso consapevole di aver perduto per sempre la ragazzina di cui era stato innamorato e che il tempo delle illusioni della gioventù aveva dovuto cedere il posto alla più grande delusione della sua vita; il secondo, invece, aveva  gettato una luce nuova sull’idea che aveva di Elizabeth, come se il desiderio che finalmente era riuscito ad appagare avesse svelato l’incantesimo e infranto il sortilegio che lo legava a lei, lasciandogli il ricordo di un sentimento ormai superato e la sensazione che nulla potesse riempire quell’immensa voragine che si era creata tra di loro; infine la nascita di Ursula, marchiata dalla morte, aveva imposto alla vita di Elizabeth un finale tragico e, contemporaneamente, aperto uno scenario nuovo sul suo futuro, un tempo in cui, per la prima volta, avrebbe vissuto con la certezza di poter fare a meno di lei.

Valentine, nel frattempo, dopo aver trascorso la maggior parte del tempo da solo nella stanza che gli era stata riservata, aveva trovato le forze necessarie per seguire il consiglio di Dwight e mettersi in piedi e, addirittura, scendere le scale.

Così, disorientato dal trovarsi in una casa sconosciuta, si trovò indeciso su quale direzione prendere per raggiungere il fuoco di cui sentiva un lieve calore sulle sue guanciotte pallide.

Demelza, bianca almeno quanto Valentine, si accorse subito di quell'incertezza e fece sì che lui potesse vederla e raggiungerla, "Ti farebbe bene sederti qui" indicò la panca bassa situata in mezzo al salotto, "e riscaldarti insieme a noi".

Cercò di risultare il più naturale possibile, ma l'assurdità della situazione le rendeva impossibile nascondere un certo imbarazzo nella voce.

Valentine si avvicinò alla panca, ai cui piedi Garrick aveva deciso di riposare, ancora troppo stanco per rimettersi a giocare con i suoi padroncini.

Prontamente Jeremy gli portò un vecchio plaid in segno di amicizia, avendo intuito dal suo colorito spento che ne avesse davvero bisogno.

"Tieni! Tanto a noi non serve." Disse Jeremy, studiando per alcuni secondi il piccolo viso del suo ospite, dopodiché corse da sua madre alla ricerca della sua approvazione.

Demelza rivolse a suo figlio un sorriso dolcissimo, "Bravo Jeremy! E' così che si fa!" Lo ricompensò con un sontuoso bacio sulla guancia.

Valentine distolse lo sguardo da quel momento così intimo tra madre e figlio, preferendo rivolgere la sua attenzione al pelosetto che era seduto ai suoi piedi.

Demelza si rese conto di aver involontariamente urtato la sensibilità del bambino, appena reduce dal trauma di aver perso la sua mamma ancora troppo giovane, quindi cercò di rimediare.

"Lo sai Jeremy che questo bambino si chiama Valentine?" Provò a far socializzare i due bambini, sperando che, inconsapevoli del legame che gli univa, potessero trovare piacevole passare un po’ di tempo a discutere insieme.

Il piccolo si sorprese nel sentire pronunciare il suo nome ma non riuscì a mantenere l'espressione meravigliata sul suo volto che Jeremy si avvicinò porgendogli la mano.

"Piacere, io mi chiamo Jeremy Poldark e questa..." si rivolse alla sorellina, stesa a pancia in giù sul tappeto, silenziosa come non mai, “...è  mia sorella Clowance."

Clowance, dal canto suo, rimase con la testa appoggiata sui gomiti, come se stesse sul punto di esaurire tutta la sua pazienza e sfogare, in un sonoro pianto, la rabbia che provava per la totale mancanza di attenzione che Dwight le aveva riservato quella mattina, preferendo occuparsi del nuovo arrivato.

Demelza, con grande stanchezza, prese in braccio la piccolina e la posò su un cuscino, proprio vicino a Jeremy e Valentine, incoraggiandola a intervenire nei loro discorsi.

Inizialmente Clowance mantenne il broncio, facendo perdere a sua madre tutte le speranze che nutriva per farla distrarre e poter raggiungere Ross, senza ritrovarsela dietro.

Quando Valentine abbandonò la sua timidezza e iniziò a parlare delle sue abitudini, l'attenzione di Clowance fu immediatamente catturata da un piccolo dettaglio, riferito al suo argomento preferito: le bambole.

Il piccolo Warleggan aveva, infatti, menzionato le bambole di sua sorella Ursula e i loro inquietante sguardo indagatore che incombeva su di lui ogni volta che passava dalla sua cameretta.

Demelza colse quindi l'occasione per lasciarli da soli.

Quando entrò nella sua camera da letto pensò di trovare Ross addormentato, invece si accorse che era seduto alla scrivania di fronte alla finestra, incupito a dismisura e concentrato sul foglio che sistematicamente macchiava con l'inchiostro della sua piuma d'oca, guidato dalla flebile luce di un’unica candela accesa.

"Perché non ne vuoi parlare?" Demelza era rimasta in piedi dietro di lui, con le mani adagiate sulle sue spalle larghe.

Ross distolse lo sguardo dalla lettera che stava scrivendo per voltarsi e incontrare il viso stanco di sua moglie che lo guardava come se non si aspettasse di sentire una risposta alla sua domanda, conoscendo piuttosto bene la sua riluttanza a toccare quell'argomento.

"Prima che Dwight se ne andasse, gli ho detto che avrei preferito informare George io stesso. Non mi piaceva l'idea di fare intervenire Dwight in una questione che non lo riguarda affatto, come se George potesse pensare che io sia troppo spaventato dalla sua reazione per poterlo affrontare personalmente."

Demelza inarcò le sopracciglia, "Penso che tutto questo coraggio, che non fai a meno di sbandierare quando si parla di George Warleggan, dovresti usarlo anche per ammettere di trovarti in una situazione difficile adesso che Valentine... "

Ross si alzò di scatto dalla sedia e si mise in piedi, deciso a fronteggiarla.

"Non nego il fatto che sapere di aver portato in casa il figlio del mio peggior nemico mi provochi una certa irritazione, ma..."

"Ma?" Lo interrogò Demelza.

"...ma non è per il motivo che immagini tu!" Ross, questa volta, decise di guardarla dritto negli occhi per dimostrarle che non aveva niente da temere, nemmeno la sua espressione dura alla ricerca disperata di sincerità da parte sua.

"Va bene, se sei così cocciuto da non voler riconoscere che stai soffrendo, non mi resta che lasciarti affogare nel tuo dolore. Stavo solo cercando di darti una mano."

"La questione è chiusa. Quando terminerò questa dannatissima lettera troverò la mia pace, Demelza"

"Non sarai in pace finché ti ostinerai a tenere la testa nascosta sotto terra. Ma non riesci a vedere quanto, nonostante tutto, io stia riuscendo a stare accanto a tuo... "

L'atmosfera iniziava decisamente a riscaldarsi.

"Non sei tenuta a farlo. Nessuno potrebbe pretendere una cosa simile da te."

"Perché? Credi che sia io la vittima in questa storia?"

Ross non riuscì più a reggere il suo sguardo.

"Sei tu la vittima, Ross. Sei la vittima del tuo continuo negare di aver sbagliato, quella notte, ad aver ceduto alla tua debolezza per Elizabeth. E questo non ti permette di andare avanti..."

Sentir nominare Elizabeth fu come un pugno nello stomaco, perché era anche verso di lei che Ross aveva provato un grande senso di colpa, che era riuscito a mitigare solo dopo essersi riconciliato con lei, congedandosi, una volta per tutte, dalle pretese illusorie di un amore tra di loro, durante quell' incontro inaspettato alla tomba di zia Agatha. Il suo più profondo dispiacere per Elizabeth stava, infatti, nell'averle proposto di avere un figlio da George per ingannarlo anche questa fingendo di partorire un mese in anticipo, con il terribile risultato di averla spinta a trovare la morte per redimere con la sua stessa vita una colpa che in realtà erano in due a condividere.

"Tu non puoi capire..."

"Si, invece! Ti farebbe soffrire troppo vedere con i tuoi stessi occhi quanto poco di Elizabeth c'è nel viso di vostro figlio!"

Ross la prese per un polso, in un gesto di grande rabbia, "Non è mio figlio!"

Demelza iniziò a piangere, accettando di essere uscita completamente sconfitta da quell'inutile battaglia e, quando Ross la lasciò libera dalla sua presa, a causa dell'intensità di tutte le emozioni che aveva provato sin dalla notte precedente, perse i sensi proprio di fronte ad un Ross tremendamente mortificato per averla trattata in quel modo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Quando Demelza si riprese dallo svenimento trovò le sue dita intrecciate in quelle di Ross, il quale aveva sperato inutilmente che con quel gesto avrebbe potuto convincerla ad abbandonare il rancore nei suoi confronti e perdonarlo più facilmente, una volta ripresa conoscenza.

Ben presto, infatti, le sue aspettative furono deluse dal momento che Demelza sfilò rapidamente le dita dalla sua presa, facendogli intuire che non aveva alcuna intenzione di riappacificarsi con lui. Si raddrizzò, alla ricerca di una posizione più confortevole, evitando qualsiasi forma di contatto.

“Ti sembra un atteggiamento maturo?” Chiese lui.

“Senti chi parla!” Rispose Demelza, decisa, questa volta, a non concedergli una vittoria facile.

Ross si passò una mano sul viso, “Non ho nessuna voglia di fare la guerra con te, Demelza. E sinceramente mi preoccupa il fatto che ti sia sentita male. Perciò, se non hai niente da obiettare, vado a riprendermi Prudie. Non puoi fare tutto da sola!”

Demelza fece per rispondere ma, quando intravide la testolina di Jeremy sbucare da dietro la porta semi aperta, preferì trattenersi.

“Entra pure…” lanciò un’occhiata di fuoco a Ross.

Jeremy avanzò lentamente verso il letto, fermandosi a qualche centimetro di distanza, poi sua madre gli tese una mano per incoraggiarlo a sedersi vicino a lei.

“Ho sentito che stavate litigando e poi, tutto d’un tratto, non ho sentito più niente e…”

“Non devi preoccuparti, tesoro. E’ tutto a posto, vedi?” Jeremy si tranquillizzò.

Mentre continuava a parlare con lui, Demelza si sporse leggermente in avanti per osservare Ross, il quale, nel frattempo, aveva chiuso in una busta la lettera appena redatta con l’intenzione di portarla a Trenwith.

“Jeremy, pensi tu alla mamma mentre io sono fuori?” Gli posò una mano sulla piccola spalla ma, prima di raggiungere la porta, la voce di Demelza lo costrinse a fermarsi.

“Forse faresti bene a non scendere, se non vuoi ritrovartelo davanti. Anzi, credo proprio che sarebbe meglio se ti rinchiudessi nella tua torre d’avorio, finché qualcuno non si deciderà a liberarti da questo impiccio…”

Ross evitò di rispondere alla sua provocazione, limitandosi a scrollare la testa in segno di disapprovazione, quindi si precipitò giù per le scale e, dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno, prese giacca e cappello e uscì in fretta da casa.

Si incamminò, in groppa al suo cavallo, verso la tenuta che ora apparteneva a George Warleggan, riuscendo con fatica, a tenere a bada i nervi mentre pensava a quanto sarebbe stato spiacevole dover ritornare ad avere a che fare con lui.

Mentre si avvicinava alla staccionata che delimitava i confini della proprietà, notò la luce di una lanterna che si faceva sempre più intensa, illuminando il suo profilo contro uno sfondo completamente buio.

Quando gli fu chiaro di chi si trattava, il fedele servitore di George prese a ridere sotto i baffi unti, una mano ferma sulla pistola che aveva nella cintura, “Chi si vede! Non siete un ospite gradito da queste parti, sapete?”

Con un vago ghigno ironico, Ross gli porse la lettera, “Lo immaginavo. Sono venuto solo per consegnare questa. E’ molto importante.” Desiderò con tutte le sue forze che quell’idiota facesse in modo di tenere la bocca chiusa.

“Perché, siete troppo codardo per consegnarla di persona?” Riprese a starnazzare, questa volta ancora più sonoramente di prima, mischiando le risate ad una tosse spaventosa, che finì per impietosire Ross e convincerlo a passare oltre quell’offesa.

“Vedremo chi tra noi due sarà quello più spaventato…” con una certa soddisfazione, rimontò sul suo cavallo, lasciandosi quel bifolco e tutte le sue ridicole insinuazioni alle spalle, per partire alla volta di casa Enys.

In lontananza, riconobbe la figura di Dwight che si faceva strada tra la neve a ritmo serrato, probabilmente ansioso di ritirarsi dalle sue ultime visite e rifugiarsi nella comodità di un salotto riscaldato apposta per lui. Ross gli andò incontro, raggiungendolo a pochi metri dal cancello principale.

Quella giornata aveva messo Dwight a dura prova, non tanto come medico quanto come amico, perché aveva compreso benissimo quanto fosse difficile per Ross avere a che fare con quella situazione e quanto potesse essere insopportabile il dover riaffrontare i fantasmi del passato, proprio quando ogni cosa sembrava rifiorire nella sua vita e indirizzarlo verso un meritato riscatto.

“Ross, il bambino si è sentito male?” Non appena lo individuò, gli urlò contro, sovrastando il suono impetuoso del vento, per sperare di farsi sentire.

“No, lui sta bene. E’ Demelza che mi ha fatto spaventare, in effetti credo che abbia bisogno dell’aiuto di Prudie. Sono venuto per liberarvi della sua presenza.”

Dwight annuì in maniera non del tutto convinta, “Cosa è successo? Non credi piuttosto che abbia bisogno del mio di aiuto, visto che…” rimase in silenzio per un po’ e poi ricominciò “Senti Ross, io te lo devo dire…” non fece in tempo a completare la frase che il cancello massiccio fu aperto, concedendogli una breve tregua, almeno fino a quando non avrebbe avuto l’occasione di valutare meglio la situazione con Caroline.

Invitò il suo amico a sistemarsi vicino al fuoco, intrattenendosi con lui per un po’, mentre qualcuno tentava di convincere Prudie a ricongiungersi col suo padrone, ma quasi immediatamente preferì lasciarlo da solo a contemplare le proiezioni di luce, create dalle candele degli opulenti lampadari di cristallo che scintillavano sopra la sua testa, per mettersi alla ricerca di sua moglie.

La trovò intenta ad imboccare Horace, seduta su una poltrona damascata proprio all’ingresso della loro camera da letto. Quando lei si accorse della sua presenza lasciò che il cagnolino scivolasse lungo le sue gambe.

Dwight le prese le mani calde, “Mia cara, temo di doverti scomodare per un po’. Ross è venuto a riprendersi Prudie, perché Demelza non si è sentita bene e crede che, condividendo con lei la fatica, possa rimettersi più facilmente, ma non ha fatto alcun accenno al…”

Caroline balzò in piedi, “Non riesco proprio a comprenderla a volte! Cosa aspetta a dirglielo?”

Insieme si incamminarono verso la sala in cui Dwight aveva lasciato Ross, trovandolo in piedi a discutere con Prudie. Attesero in silenzio fuori scena, nascosti dal drappo cremisi della tenda, per godersi quel momento esilarante prima di affrontare una questione particolarmente delicata.

All’ultima supplica di Prudie, affinché Ross le concedesse un’altra settimana di dolce far niente in quella casa così bella, Dwight si fece sfuggire una risata e, solo dopo una discreta gomitata da parte di sua moglie, ammise di aver fallito e uscì allo scoperto accompagnato da Caroline.

“Caro Ross, Dwight mi ha accennato all’indisposizione di Demelza. E’ qualcosa di preoccupante?” Ross non l’aveva mai vista così nervosa.

“Non ha perso l’uso del sarcasmo, quindi sono sicuro che sta bene.” Guardò nella direzione di Dwight, come a voler cercare una sorta di spiegazione all’agitazione che percepiva in entrambi. Iniziò a sospettare che loro sapessero qualcosa che lui invece ignorava, qualcosa sulla salute di Demelza che, da quando era tornato, continuava a gravare nell’aria che respirava quando si trovava in loro compagnia e che cominciava ad allarmarlo.

A Caroline non sfuggì quell’espressione confusa, perciò si sedette al suo fianco, pregandolo di ascoltarla, “Mi dispiace moltissimo dover tradire la fiducia di un’amica, ma questo segreto doveva pur essere infranto prima o poi e, visto che lei stupidamente persiste a tenertelo nascosto…” si torturò le mani, sperando che Ross riuscisse a capire prima che potesse macchiarsi dell’onta di tradimento, quindi fece una pausa per prendere tempo.

Dwight la stava osservando attentamente, con una calma rassicurante negli occhi, mentre Prudie saltellava impaziente, appoggiata con un gomito sulla mensola del camino, in preda ad un’eccitazione incontenibile.

Ma Ross continuava a non capire.

Resosi conto della difficoltà in cui si trovava Caroline, il medico si assunse tutta la responsabilità del caso, preparandosi ad esordire, ma fu bloccato all’istante da un commento del tutto inaspettato da parte di Prudie.

“Insomma, quante storie! Ve lo dico io capitano Ross, la padrona aspetta un bambino e non ha voluto dirvelo. E questo è tutto!” Dwight la rimproverò con lo sguardo, ma non poteva negare il sollievo che provava e che leggeva negli occhi di Caroline, dopo aver ascoltato quelle parole da una bocca estranea all’accordo che invece vincolava le loro.

Ross scoppiò in una risata liberatoria, abbandonandosi contro lo schienale del divano su cui era seduto, “Perché mai non me lo hai detto prima?” Si rivolse a Dwight, poi continuò, “Per una volta, devo riconoscere l’utilità dell’intervento di Prudie. Altrimenti, saremmo andati avanti così almeno fino all’alba!”

La signora Paynter annuì, smoderatamente compiaciuta di se stessa.

Tuttavia, ben presto, fu chiara a tutti l’inclinazione malinconica che assunse l’espressione di Ross, come se soltanto allora fosse riuscito ad assimilare il contenuto reale della rivelazione di Prudie. A quel punto, infatti, le risate si dissolsero nell’eco prodotto dall’immensità dell’ambiente che ospitava tutti loro, cedendo il posto al silenzio, ritenuto la scelta più appropriata alla situazione.

Caroline arrossì mentre si accarezzava il ventre piatto, “Mi sento in dovere di liberare Dwight da qualsiasi colpa. Io e Demelza avevamo deciso di comunicarvi la notizia insieme, ma avere un marito medico non aiuta a celare i sintomi di una gravidanza, quindi ho dovuto ammetterlo prima del dovuto. Lei, invece, non aveva altra scelta se non quella di aspettare che tu tornassi da Londra. Solo, non capisco perché non l’abbia ancora fatto…”

‘Non ha avuto il coraggio di dirmelo…’ pensò tra sé e sé Ross, poi indirizzò a Caroline un sorriso incerto e si congratulò frettolosamente con Dwight, il quale ricambiò le felicitazioni, tendendogli la mano, in maniera così impercettibilmente imbarazzata che chiunque, ad eccezione di Ross, avrebbe avuto difficoltà a notare. Ma anche a Dwight non sfuggì il disagio che accompagnava i modi di Ross, il cui umore era cambiato radicalmente nel giro di pochi minuti.

Ross decise, pertanto, di togliere il disturbo, invitando Prudie a seguirlo senza fare troppe storie. La donna obbedì svogliatamente, avendo già intuito che, nello stato d’animo in cui si trovava il suo padrone, il viaggio di ritorno sarebbe stato alquanto difficile da sopportare per entrambi.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


La previsione di Prudie si rivelò corretta. Appena giunsero al meleto di Nampara, Ross sentì, infatti, quasi il dovere di scusarsi con lei per aver taciuto lungo tutto il tragitto, ignorando molte delle sue richieste di sapere come si fosse sentita Demelza nei giorni in cui lei non c’era stata, ma scelse di non farlo per il semplice motivo che non aveva ancora digerito l’amarezza causata dall’aver scoperto di essere stato messo all’oscuro di una cosa così importante proprio da sua moglie, per colpa di una stupida discussione e dei suoi capricci esagerati.

Dopo essere stata aiutata a smontare da cavallo, la donna si voltò verso di lui e con le mani sui fianchi espresse il suo personale punto di vista sulla questione, “Non capisco proprio perché ve la siate presa tanto! Siamo tutti felici, tranne voi. Persino i bambini non vedono l’ora che arrivi il piccolino…”

Ross la fulminò con lo sguardo, “Quindi anche Jeremy e Clowance lo sapevano?”

Prudie chinò il capo e, avendo percepito quanta frustrazione ci fosse nel suo tono di voce, alzò immediatamente i tacchi e si fiondò dentro casa, sperando di sfuggire ad altre domande a cui avrebbe preferito non rispondere.

Ross esitò un po’, poi entrò anche lui, trovando sua moglie in piedi nelle vicinanze del camino, impegnata a sistemare il disordine creato dai tre bambini. Non c’era niente da fare: nemmeno la stanchezza della gravidanza riusciva a frenare la sua indole energica.

Demelza si girò per recuperare un cuscino da terra e, quando si accorse della sua presenza, decise di continuare a comunicare con lui attraverso la tecnica che sapeva dargli più fastidio in assoluto: il sarcasmo.

“Almeno adesso potrò dare i miei consigli a qualcuno che sappia apprezzarli davvero…”

Ross si tolse il cappello e appese la giacca, poi si lasciò cadere su una poltrona, evitando di rivolgerle l’attenzione. Quell’ostentata indifferenza la irritò moltissimo. Si piantò proprio di fronte a lui, ispirandosi spudoratamente a sua figlia, l’unica vera esperta in quella nobile arte, per cercare di ottenere la sua considerazione.

Ross sollevò lo sguardo dal fuoco dinanzi a sé e finalmente la guardò, “C’è qualcosa che devi dirmi?”

Demelza si sentì vulnerabile difronte all’intensità che percepiva nei suoi occhi, che continuavano a guardarla come se l’avessero sorpresa a fare qualcosa di sbagliato. Allora estrasse dal grembiule una lettera e gliela porse, “Penso che ti interessi sapere cosa ha risposto George…”

Ross si alzò e prese, senza troppe cerimonie, la lettera dalla sua mano, “Non devi aggiungere altro?”

Quando l’unica spiegazione possibile a quell’atteggiamento si fece strada nella sua testa, Demelza fu percossa da un brivido. Avrebbe dovuto immaginare che Ross non avrebbe esitato un secondo a raccontare a Dwight del leggero malore che l’aveva colta nel pomeriggio e a cui lui stesso aveva assistito, inducendo il loro amico a preoccuparsi al punto da rivelargli la notizia della sua gravidanza, per il suo bene e per quello del bambino, senza rispettare una promessa che, in quella circostanza, sarebbe apparsa assolutamente indegna di considerazione a qualsiasi medico coscienzioso.

“No. Niente che mi sovvenga in questo momento…” mentì, ancora troppo arrabbiata per tentare una riconciliazione.

“Il mio ritorno si è rivelato un fiasco totale. Credo sia meglio togliere il disturbo e ripartire al più presto…” Ross non aveva intenzione di arrendersi, perciò tentò di strapparle la verità, minacciando di tornare a Londra.

Quelle parole la trafissero come lame, “Certo, è facile scappare dalle proprie responsabilità, aggrappandosi a scuse stupide!”

Ross le si avvicinò pericolosamente, tanto che Demelza riusciva a sentire il suo respiro sulla sua pelle; la prese per la vita, in una maniera così seducente che ogni sforzo per resistere all’impulso di baciarlo sembrava inutile.

“Quali responsabilità?” Domandò, sperando che questa volta sarebbe riuscito ad ottenere una risposta sincera, ma lei riuscì a divincolarsi dalla sua morsa, riappropriandosi delle sue facoltà mentali, messe a dura prova dalle labbra di Ross, così vicine e attraenti.

“Parlo di Valentine…”

“Io non ho nessuna responsabilità nei suoi confronti. Spetta a suo padre assumersele.”

Demelza lo guardò incredula poi, dopo aver fatto un respiro profondo, rispose di nuovo con sarcasmo, “Si, appunto.”

“Ad ogni modo, mi farebbe davvero piacere che, prima che Valentine se ne andasse, tu parlassi un po’ con lui…” cercò invano il suo sguardo. Ma Ross non la guardava, adesso che la sua attenzione era stata catturata interamente dalla lettera che aveva in mano e che bruciava almeno quanto i ceppi di legna nel fuoco del camino.

“Puoi andare a dormire, ora. Non vorrei che ti sentissi male di nuovo.” La osservò distrattamente, mentre si adoperava ad aprire la busta.

Prima di voltarsi per raggiungere le scale, Demelza sbuffò per esprimere il suo disappunto verso l’ordine appena impartitole, “Va bene, ma non credere che lo farò perché me lo hai detto tu!”

Rimasto da solo, Ross iniziò a leggere l’elegante, ma affettata, calligrafia di George:

Ross Poldark,

non avrei mai immaginato, nemmeno nei miei peggiori incubi, di dover sprecare ancora parte del mio preziosissimo tempo in faccende che ti vedono coinvolto. Non posso fare a meno di constatare, d’altronde, che non hai perso affatto l’abitudine di mettere le mani sulle cose che mi appartengono. Le circostanze impongono un mio immediato intervento, spero il più rapido possibile, affinché, dopo aver risolto questo spiacevole inconveniente, possa liberarmi di te definitivamente.

Non oso immaginare con quanta incuranza tu e la tua famiglia abbiate potuto trattare mio figlio, riservandogli uno squallido alloggio nella vostra catapecchia isolata, da sempre frequentata da uomini abietti e ubriaconi, per non parlare delle vostre abitudini popolane che lo avranno sicuramente scandalizzato. Dal momento che le cose stanno in questo modo, pretendo che mio figlio mi sia restituito da chi me l’ha portato via e con questo intendo dire che, entro domani mattina, mi aspetto di trovare Valentine qui a Trenwith.

                                                                                                                                       George Warleggan

Buttò la lettera tra le fiamme, osservandola mentre lentamente si contorceva e bruciava. George aveva deciso di ostentare tutta la sua arroganza, ma Ross non si soprese affatto, conoscendo fin troppo bene quale sentimento lo avesse spinto a sputare così tanto veleno sulla sua famiglia. Proprio per questo motivo c’era una parte di lui che non riusciva a biasimarlo, nonostante la cattiveria e la sfrontatezza di quelle parole, al pensiero di quanto dolorosi potessero essere stati i tentativi fatti da George per accettare Valentine come suo figlio. Mentre vagava per la stanza, interrogandosi su cosa fare, se cedere alla prepotenza di George oppure trovare il modo di riportare Valentine a casa senza dargliela vinta, il piccolo Jeremy, in camicia da notte, si mosse nella sua direzione.

“Jeremy, che ci fai ancora sveglio?”

“Volevo dirti una cosa, ma promettimi che non lo dirai alla mamma!” Sembrava molto sicuro di sé in quel momento.

Ross si accovacciò di fronte a lui, piegandosi sulle ginocchia, e gli sfiorò delicatamente il nasino, poi gli scostò un ciuffo ribelle dalla fronte, meravigliandosi di quanto i loro capelli fossero simili. Annuì ma non disse niente.

Allora Jeremy si sentì libero di procedere, “Sai, la mamma non può più arrabbiarsi come faceva prima, quando eravamo solo io e Clowence, adesso che…”

Ross lo bloccò, “Tesoro, non c’è bisogno che tu continui. Non voglio farti sentire in colpa per avermi confidato un segreto che conosco già.” Gli fece l’occhiolino e lo baciò sulla guancia.

“Se lo sai già, allora cerca di trattarla meglio di come hai fatto questa sera!”

La sensibilità di suo figlio non finiva mai di stupirlo. Gli promise che d’ora in avanti avrebbe cercato di non farla arrabbiare, così riuscì a tranquillizzarlo e a farlo tornare a letto.

Ma, per mantenere quella promessa, Ross sapeva fin troppo bene di dover fare un grande sacrificio, un enorme passo in avanti verso la propria paura, prima che fosse troppo tardi e che, con il tempo, avrebbe potuto rimpiangere il fatto di non aver colto quell’occasione per liberarsi una volta per tutte dalla schiavitù del passato.

Era arrivato, finalmente, il momento di conoscere Valentine.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Dopo aver riflettuto intensamente sulle conseguenze emotive che la sua incursione nella stanza del bambino avrebbe potuto suscitare sul suo già irrequieto stato d'animo, Ross decise comunque di correre il rischio e togliersi davanti quel pensiero.

Mentre trascinava con passi pesanti i suoi stivali lungo i gradini di legno, ricordò la rabbia che anni fa lo aveva spinto a correre a Trenwith per cercare di riappropriarsi dell'affetto di Elizabeth, proprio quando lei aveva deciso di concedersi al nemico, e con quanta violenza il desiderio avesse superato i confini della memoria per emergere oltre qualsiasi tentativo di reprimerlo.

Aveva rivendicato ogni centimetro della sua pelle, posseduto il suo corpo, ma non era riuscito a trovarsi in lei e lasciarsi alle spalle il risentimento che lo aveva portato a infrangere ogni sorta di legge morale per godere soltanto di quello che il sedicente amore per lei sarebbe stato in grado di offrirgli quella notte.

Le risposte a tutte le domande che sin dalla morte di Francis lo avevano tormentato arrivarono troppo tardi: Valentine era stato concepito durante un incontro sbagliato, frutto della sua ostinata riluttanza ad accettare l'idea di non poter mai più avere Elizabeth.

Appoggiò la fronte sulla vecchia porta che lo separava dal bambino, respirando profondamente per prendere fiato, con una mano gelida immobile sulla maniglia. Appena ebbe trovato il coraggio di superare l'ostacolo sperò di ritrovarlo addormentato, ma il piccolo sedeva in silenzio sul tappeto, con gli occhi pieni di lacrime.

Ross si accorse, guardandolo per la prima volta, che nessuna traccia di sua madre era presente sul viso di Valentine e questo lo colpì molto. Si sedette di fronte a lui, immerso nei suoi pensieri poi, quasi inconsciamente, si sporse in avanti per asciugare con le dita le sue piccole gote bagnate.

"Potremmo riempire una bottiglia di porto con tutte queste lacrime!" Un sorriso malinconico gli ricoprì il volto, mentre osservava la reazione del suo interlocutore.

Valentine gli lanciò uno sguardo cupo, "Di solito non sono uno che piange."

"Non credere che sia una debolezza. Anch'io piango, solo che mi nascondo così bene che gli altri non riescono mai a scoprirlo."

Valentine lo scrutava, indeciso se credergli o no.

"Quella signora dai capelli rossi è stata molto buona con me e anche i suoi figli sono gentili. Clowance, però, è troppo permalosa!"

Ross annuì, "Sono d'accordo con te. Anche tu hai una sorellina, non è vero?"

Valentine sembrò ritornare allo stato di tristezza in cui Ross lo aveva trovato, ma dopo qualche secondo deglutì e riprese a parlare.

"Si, Ursula. Lei è la preferita di mio padre. Poi ho anche un fratellastro che si chiama Geoffrey Charles. Lui, invece, era il preferito della mamma."

Ross comprese subito quello che il piccolo stava provando e un dolore profondo lo attraversò al pensiero di quanta solitudine lo avesse accompagnato sin dalla nascita.

"Ho mandato una lettera a tuo… padre"  il suono di quella parola lo metteva a disagio, "e lui mi hai chiesto di riportarti a Trenwith domani.” Chiesto era un eufemismo, pensò.

Valentine si strofinò gli occhietti gonfi dal pianto con le nocche, così Ross lo aiutò ad alzarsi e a mettersi a dormire, rimboccandogli le coperte come se lo stesse facendo per uno dei suoi figli. Sembrava molto fragile, un piccolo uccellino sperduto in un boschetto bellissimo e accogliente, tanto diverso dalla sfarzosa foresta in cui era sempre stato abituato a vivere, ma Ross percepiva in lui anche una strana felicità, dovuta al fatto di aver potuto scoprire un’altra parte del mondo, persino migliore di quella che conosceva già.

"Prima che tu te ne vada, vorrei farti una domanda…" gli trattenne alcune dita nella manina, col viso appoggiato sul cuscino rivolto verso di lui.

"Si?" Ross si irrigidì.

"Posso sapere come ti chiami?"

Tirò un sospirò di sollievo, "Ross Poldark"

"Bene, adesso ci conosciamo. Capisci che dovevo mantenere le distanze..."

Ross sorrise, ricordandosi del loro primo incontro, durante la tempesta di neve. Uscì dalla stanza decisamente più sollevato, dopo aver constatato che, alla fine, Valentine non era proprio il mostro che si era immaginato.

Però non riusciva ancora a liberarsi dal senso di estraneità che provava nei suoi confronti in quanto, nonostante Demelza avesse avuto ragione sul fatto che evitare di avvicinarsi a lui lo avrebbe fatto sentire addirittura peggio, adesso che lo aveva affrontato, gli era rimasto soltanto un sincero dispiacere nei confronti di un bambino che aveva avuto la sfortuna di nascere da un rapporto senza amore e di crescere con un uomo distrutto dal dubbio di poter non essere suo padre.

Chiuse la porta attento a non disturbare la quiete della casa, poi il desiderio di andare da Demelza lo liberò da qualsiasi riserva, inducendolo a sfidare il proprio orgoglio.

Si assicurò che i bambini dormissero nella stanza di Clowance ed entrò nella sua camera da letto.

Ebbe, a prima vista, l'impressione che Demelza si fosse addormentata, ma mentre si spogliava un rumore lo assicurò del contrario. Si infilò nelle coperte fingendo di credere che stesse dormendo e spense la candela, rifugiandosi nell'oscurità con gli occhi aperti e le braccia dietro la nuca.

Aspettò un altro segnale che potesse tradire Demelza, ma non arrivò niente a spezzare il silenzio della notte, soltanto i movimenti del suo corpo che si avvicinava a quello di sua moglie.

Demelza stinse gli occhi e trattenne il fiato, quando percepì la mano di Ross farsi strada verso il suo grembo. Le sue dita leggere e calde si muovevano intorno all'ombelico per accarezzare la creatura che piano piano vi cresceva dentro e, con la consapevolezza che Demelza fosse sveglia, iniziò a baciarle la spalla scoperta, fino a raggiungere il suo orecchio.

"Sai che la tua mamma è davvero testarda?" Sussurrò dolcemente.

Demelza si intenerì e decise di posare la sua mano su quella di Ross, il quale, nel frattempo, aveva assunto un' espressione vittoriosa sul volto, "Ah, allora forse ci si può ragionare..."

Il modo in cui si stava comportando, infatti, le fece capire che fosse dell'umore giusto per parlare dell'argomento. Si girò verso di lui e tenendosi stretta al suo petto iniziò a piangere, mentre le braccia di Ross sembravano volerla proteggere da qualsiasi timore.

"Ross..." singhiozzò.

Lui le prese il viso tra le mani e la costrinse a guardarlo negli occhi, "Perché non me lo hai detto quando sono tornato?"

"Come avrei potuto? Sapevo che quando avresti saputo di Valentine, ogni cosa sarebbe stata rovinata da emozioni spiacevoli."

"E tu credi ancora che io possa non esserne felice?"

Ross cercò l’acciarino per accendere una candela in modo da poter parlare chiaramente con lei, evitando ogni possibile fraintendimento.

"Prima di venire qui, sono stato da Valentine. Era molto triste e i suoi occhi trasmettevano una sofferenza spaventosa."

Si asciugò le lacrime e lo guardò meravigliata, attenta a non perdersi nulla di quella conversazione.

"Io...io credevo di poter rivedere qualcosa di sua madre in lui e questo mi spaventava. Ma tutto ciò che ho visto è stata l'immagine di un bambino che non mi appartiene e che non sarà mai veramente mio figlio. Credimi, Demelza."

"Forse non lo sentirai mai come tuo figlio, ma non puoi ignorare quanto ti somigli." Abbassò lo sguardo e proseguì, "Temevi di pensare a Elizabeth, dunque. Lo avevo immaginato..."

Ross parve non capire dove volesse andare a parare. La guardò con fare interrogativo.

"Hai detto che non volevi incontrare Valentine per paura di trovare una somiglianza con Elizabeth. Beh, speravo fossero ben altri i motivi..." specificò Demelza, avendo intuito la sua perplessità.

Riconobbe tracce della vecchia gelosia nel suo tono di voce, "Certo che ce ne sono altri di motivi, ma ripensare a quanto lei abbia sofferto, alla crudeltà di George verso..."

Demelza lo guardò scuotendo il capo, "Non ho mai preteso che mi chiedessi scusa, però non posso accettare che tu ti dispiaccia per quello che Elizabeth ha dovuto sopportare a causa della vostra incontinenza!"

Non aveva intenzione di litigare proprio in quel momento, quindi preferì non continuare il discorso.

Demelza si rigirò esasperata dal suo lato del letto, dandogli le spalle, "Non riuscirai mai a dimenticarla, non è vero?" Chiese tra i singhiozzi.

A quel punto Ross, dopo aver soffiato sulla fiamma appena accesa, la prese per il polso e la riportò dalla sua parte; con una leggera pressione si spostò su di lei e iniziò a sfiorarle il collo con le labbra, ricoprendola di baci appena fin sotto al seno.

Forse pensava che, dimostrando la sua totale devozione nei suoi confronti in quel modo, senza bisogno di impelagarsi in fiumi di parole, in cui avrebbe sicuramente potuto perdersi, sarebbe stato più facile riuscire a convincerla ad abbandonare ogni inutile gelosia, ma Demelza tentò di rendergli il compito molto difficile.

Ross si fermò per un istante, "Penso di averti fatto capire, in tutti questi anni, quanto mi vergogni per quello che ti ho fatto..."

Demelza gli accarezzò una guancia e fece scivolare le dita sulle sue labbra, in modo che Ross potesse baciarle.

"Si, ma non hai ancora risposto alla mia domanda" lentamente ogni forma di resistenza la stava abbandonando, lasciandola soltanto con il desiderio di godere di quel contatto.

"Per ora, ti prego di accontentarti di questo..."

Così, perso nella bellezza di Demelza e attratto come un magnete dal suo sguardo, non riuscì a dire altro e con un bacio colmo di passione mise fine ad ogni possibile discussione.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


George Warleggan aveva trascorso la notte insonne, preoccupato da mille pensieri riguardanti l’incontro che avrebbe avuto con suo figlio e Ross Poldark, per la prima volta insieme davanti ai suoi occhi, proprio in quella casa, pullulante di spiacevoli ricordi per entrambi. Era ancora così dannatamente difficile da sopportare l’umiliazione che provava ogni volta che si concentrava su Valentine, ma era stata la sua imprevista convivenza con Ross, in quei pochi giorni di burrasca, ad aver risvegliato in lui antichi sospetti, a lungo taciuti ma mai dimenticati, riguardo la sincerità del giuramento di Elizabeth che, concepito per mettere fine ai suoi angoscianti dubbi sulla paternità di Valentine, si era dimostrato tuttavia insufficiente a persuaderlo del tutto, accecato com’era dalla paura che fosse Ross il vero responsabile della rovina del suo matrimonio.

Per tentare di alleggerire il suo umore, pensò di recarsi nella nursery, dove la piccola Ursula riposava indisturbata sotto le cure della sua nutrice, anche lei appisolata all’ombra della tenda della culla. Si avvicinò con discrezione alla bambina e la osservò respirare con una calma quasi surreale per lui, che in quel momento stava vivendo un incubo ad occhi aperti. Ursula era la cosa migliore che avesse potuto fare nella vita, malgrado il suo ingresso nel mondo avesse comportato la morte di Elizabeth, e nessun senso di colpa lo avrebbe mai convinto a cambiare l’atteggiamento idolatrante che ogni giorno sentiva di doverle riservare per cercare di dedicare un po’ di quell’affetto anche a Valentine.

Catherine, la bambinaia, si svegliò proprio quando George prese Ursula dalla culla e lo vide allontanarsi verso la finestra, con la piccola tra le braccia, quasi fosse un faro in mezzo al buio che lo circondava.

A Nampara, Ross si svegliò quando ogni traccia di neve sembrava volersi sciogliere sotto la pressione dei raggi di un sole beneaugurante ma ancora troppo timido, con la chioma rossa di Demelza sparsa sul suo petto nudo. Si staccò gentilmente da lei e, dopo aver indossato la vestaglia, si sedette sull’orlo del letto per contemplarla mentre dormiva, stringendosi  forte al cuscino dove solo alcuni secondi prima lui aveva appoggiato la testa. Così inebriata dal suo profumo, sembrava un angelo in estasi tanto che Ross pensò di trovarsi di fronte ad un’opera d’arte di una bellezza inestimabile e desiderò che quel momento durasse in eterno, fino a quando l’incanto non fu spezzato dal ricordo dell’impegno inderogabile che aveva con George.

Fece per alzarsi dal letto, quando Clowance e Jeremy, scortati sin lì dal fido Garrik, fecero irruzione.

“Sorpresa!” Strillò la piccolina.

“Shh! Stupida, non vedi che la mamma sta ancora dormendo?” Jeremy la rimproverò ma, immediatamente, si pentì di averlo fatto perché l’effetto prodotto dal suo rimprovero fu ancora più disastroso di quanto aveva previsto. Clowance, infatti, aveva iniziato a piagnucolare in una maniera così rumorosa che fu difficile persino per Ross tentare di farla smettere prima che Demelza si svegliasse. La prese in braccio, facendola saltellare un po’ sulle sue ginocchia per calmarla, mentre Jeremy con le orecchie tappate dalle manine guardava la scena aspettando che sua sorella smettesse di lagnarsi.

In tutto quel baccano, Demelza continuava a riposare beatamente, muovendosi impercettibilmente sotto il peso delle lenzuola, troppo stanca e assorta dai bellissimi ricordi della notte precedente per dare ascolto al chiasso intorno a lei.

Ross girò la bambina verso di sé, in modo che potesse vederla negli occhi, “E perché mai avreste voluto disturbarci così presto?”  Fece una smorfia talmente buffa che la piccola iniziò a ridere di gusto.

“Jeremy…” si voltò verso di lui, puntandogli un dito accusatorio, “mi ha detto che anche tu lo sai, non è vero?”

Ross l’avvicinò a sé, “E’ proprio così…e non vedo l’ora di conoscere il vostro fratellino o la vostra sorellina.”

Clowance tirò un sospiro di sollievo, “Lo sapevo che anche tu l’avresti presa male!”

Ross guardò Jeremy e insieme scoppiarono a ridere fragorosamente, lasciando interdetta la povera Clowance che era ancora convinta di non aver detto niente di così divertente in fin dei conti.

Una volta ripreso fiato, Ross si asciugò le lacrime dagli occhi e, con la complicità di suo figlio, decise di stuzzicarla un po’.

“Senti, tesoro: preferiresti un maschietto o una femminuccia?” La osservò mentre rifletteva sulla risposta.

“Ovviamente, se non è troppo tardi per rispedirlo indietro, preferirei un fratellino.” Ci pensò ancora un po’ su, “ Si, è meglio.”

“Non vorresti una bella sorellina tutta per te?”

Clowance gli mise le mani sulla bocca per zittirlo, “No, no e no!”

Questa volta Demelza non poté ignorare il volume della voci che le si agitavano intorno e, avendo ascoltato un po’ della conversazione che si stava tenendo sul suo letto, sorrise e decise di intervenire.

“Clowance, ne abbiamo già parlato…”

Tutti e tre si voltarono contemporaneamente nella sua direzione, visibilmente pentiti di non essere riusciti a evitare di disturbarla con le loro chiacchere mattutine. Clowance si mise un dito in bocca e abbassò lo sguardo come se fosse stata appena colta in flagrante, “Ma papà non vuole un’altra bambina. Gli basto io, non è vero?”

“Beh, questo papà non l’ha detto…” Jeremy si sedette vicinò a Ross, appoggiando la testolina sul suo braccio vigoroso ma, inaspettatamente, Demelza lo prese da dietro e lo sistemò sul lato del letto accanto al suo, sperando che gli altri due seguissero  il suo esempio e si sdraiassero insieme a loro.

“In realtà, amore mio, non sei l’unica bambina della mia vita...” Ross iniziò a puntellarsi indietro per raggiungere il cuscino, trattenendo Clowance tra le gambe, “Tu avevi una sorellina che si chiamava Julia. Anche se vive ormai da tanto tempo in cielo e tu e Jeremy non potrete mai conoscerla, lei condividerà sempre un pezzo del mio cuore con voi…” Cambiò subito tono di voce, per non rovinare quello splendido momento in famiglia con ricordi ancora troppo tristi da gestire per due bambini, “Quindi, che problema ci sarebbe se fosse un’altra femminuccia?”

Il suo ragionamento non faceva una piega, pensò Demelza.

“E va bene…” Clowance andò a carponi verso il fianco di Ross ma, prima di stendersi e abbracciarsi a lui, si fermò e gli confidò a bassa voce che avrebbe preferito comunque un fratellino.

“Ti abbiamo sentita!” Demelza si sollevò leggermente, sporgendosi oltre i suoi uomini, per pizzicarle una guancia.

Si trattava di una situazione diametralmente opposta a quanto succedeva a Trenwith, ma in quella scacchiera, divisa in due schieramenti contrapposti, c’era un pezzo che era stato dimenticato e che non riusciva a trovare una collocazione precisa né nell’uno né nell’altro.

Valentine occupava la mente di George come un problema fastidioso, una zavorra che si sarebbe sempre portato dietro e che avrebbe preferito risparmiarsi volentieri, ma abbandonarlo al suo destino sarebbe stato come riconoscere davanti a tutti la sua sconfitta, soprattutto davanti a Ross.

Il posto che Valentine impegnava nella vita di Ross non era poi così diverso. Per lui, infatti, era un argomento tabù, o meglio, una macchia sulla sua coscienza che preferiva ignorare piuttosto che adoperarsi per rimuoverla, ma era convinto che tornare indietro non sarebbe stato possibile e l’irreversibilità di quel processo non faceva altro che scoraggiarlo dal provarci.

Demelza, invece, non la pensava affatto così. Mossa dalla convinzione che sarebbe stato ingiusto negare il legame che univa un padre a suo figlio, riteneva che, anche se Valentine non avrebbe mai dovuto conoscere la verità, Ross aveva il dovere di fargli sentire la sua vicinanza nei momenti di maggiore bisogno. In conclusione, se per i Poldark si trattava di un’ombra dai contorni meno labili ma comunque ancora indefinita, per Warleggan era proprio il peso consistente che quell’ombra aveva nella sua vita reale a peggiorare le cose.

I bambini furono riaccompagnati da Ross nella loro cameretta, in modo che Prudie potesse aiutarli a vestirsi. Quando tornò da Demelza, la trovò in piedi ad aspettarlo, avvolta in uno scialle per ripararsi dagli spifferi; prendendola per la vita, la avvicinò a sé e le spiegò il motivo per cui, quella mattina, aveva una certa fretta di cambiarsi.

“E’ sempre il solito George, dunque. Speravo che la nascita della bambina lo avesse ammorbidito…”

“Non credo che cambierà mai, amore mio.” Si staccò da lei per cercare i suoi vestiti.

Demelza sembrava piuttosto pensierosa, mentre si scioglieva la treccia davanti allo specchio della toletta e iniziava a pettinarsi i capelli, “La perdita di Elizabeth deve essere stata un duro colpo per lui.”

“Non solo per lui…”

Si girò verso la porta, ma Ross se n’era già andato, lasciandole un sospetto che si faceva sempre più simile ad una certezza: neanche la morte avrebbe potuto far cessare quel conflitto che lei ed Elizabeth combattevano da anni dentro di lui e forse, a questo punto, era giunta l’ora di una ritirata, almeno da parte sua, visto che iniziava a sembrarle davvero impossibile poter vincere contro la forza di un ricordo ancora così vivo.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Demelza scese per fare colazione ma, prima di entrare in cucina, decise di affacciarsi oltre l’uscio della porta d’ingresso per gustarsi un po’ di quel calore che non si faceva sentire da parecchio tempo lì a Nampara.
Con una mano si adoperò a proteggere gli occhi dai potenti fasci di luce emanati dal sole, in modo da osservare più facilmente le foglioline d’erba che piano piano rispuntavano dalla terra e la bellezza di un cielo finalmente carico di nuvole candide e spumose. Da lontano riuscì a scorgere Ross che, insieme a Valentine, si affrettava a dirigere il suo cavallo verso Trenwith, ma aveva l’impressione che le cose sarebbero andate diversamente da come quella giornata raggiante sembrava volerle promettere.

Non si sarebbe di certo aspettata che George avrebbe consentito a Ross di riconsegnargli suo figlio senza spiegazioni e nemmeno Ross avrebbe fatto in modo che il suo comportamento assomigliasse a un disgustoso sgattaiolare furtivamente via da quella casa prima che qualcuno potesse sorprenderlo a restituire la “merce” del padrone, come se si trattasse di un criminale da quattro soldi.

Dalla cucina arrivò l’eco della voce di Prudie che la esortava a rientrare per evitare di prendere troppo freddo, permettendole di districarsi dal groviglio di quei pensieri. “Signora, il dottor Enys vi manda questa…” le lanciò una busta immacolata lungo il tavolo che le separava. Demelza sorrise, supponendo che Dwight le avesse mandato le sue scuse per non aver potuto avvertirla prima del fatto che Ross fosse a conoscenza di tutto. In realtà, la lettera conteneva un invito da parte di entrambi i coniugi a trascorrere una serata in loro compagnia a Killewarren, per festeggiare insieme la scoperta delle due gravidanze.

Si sedette, in preda alla nausea. Come avrebbe potuto sorridere e gioire dell’arrivo di una nuova vita in presenza di Dwight e Caroline, avendo al fianco un uomo che continuava a considerare la sua famiglia niente più che una distrazione dal dolore immenso di aver dovuto seppellire, insieme ad Elizabeth, la speranza di poter cambiare idea e redimersi dall’errore di essere tornato tra le sue braccia?

Si versò un bicchiere d’acqua,“Prudie, pensi che dovrei accettare quest’invito?”

La donna la guardò con un’espressione perplessa, “Sinceramente, non mi sembra che moriate dalla voglia di andarci…”

Demelza scosse la testa, stringendosi nel suo scialle di lana, “Oh, Prudie. E’ per colpa di Ross!” Posò una mano sulla sua pancia appena pronunciata e trasse un respiro profondo, “No, non se lo meritano. Puoi aiutarmi a preparare i bagagli? Staremo via per una notte.”

Valentine si accorse soltanto allora della cicatrice sul volto di Ross. Fino a quel momento, infatti, non aveva auto modo di farci troppo caso, ma non ne fu per niente intimidito. Cavalcarono in silenzio, ognuno assorto dai propri pensieri, per cercare di non enfatizzare troppo l’evidente freddezza che c’era tra di loro.

La casa sembrava la reliquia di un passato glorioso, defraudata però del suo volto familiare che per anni l’aveva  resa emblema assoluto della storia dei Poldark. Smontò da cavallo, inconsapevole di essere già l'oggetto di interesse di George, che dalla finestra dello studio osservava la scena stringendo i pugni contro il vetro opaco.

Valentine si aggrappò alle sue braccia per scendere giù, sulla ghiaia del sentiero che portava al portone principale, poi si voltò indietro per cercare lo sguardo di Ross.

“Eccoci arrivati. Sei felice di essere tornato a casa?”

Il bambino annuì in maniera incerta e fissò la porta senza fare nemmeno un passo in avanti per avvicinarsi. Ross capì il suo disagio e lo precedette, bussando con enfasi per farsi sentire.

Dopo qualche minuto aprì loro un anziano valletto in livrea, tutto incipriato e con indosso una parrucca polverosa.

“Come posso aiutarvi, signore?” Lo squadrò da capo a piedi fino a quando non si accorse del piccolo Valentine, nascosto dietro di lui. “Ah, capisco…” aggiunse, ritirandosi nell’ombra per consentire loro di entrare. Attesero nel salotto d’inverno dove il padrone era solito ricevere gli ospiti, ma l’aria di cordialità che si respirava quando la casa apparteneva ai Poldark era svanita completamente, lasciando il posto alla manieristica affettazione dell’accoglienza dei Warleggan.

Ross fissò assorto il bicchiere di brandy che aveva tra le mani, mentre Valentine prese a gironzolare lì intorno, ritrovandosi circondato da tutti quei mobili e quegli oggetti che per lui erano così ordinari, ma che di fatto possedevano un valore eccezionale: uno sfarzo che era diventato un’abitudine noiosa per lui. 

Ben presto lo stesso valletto che gli aveva ricevuti ricomparve improvvisamente nella stanza, “Il signor Warleggan vi chiede cortesemente di spostarvi nel suo studio.” Ross iniziò a seguirlo svogliatamente, ma il lacchè impedì a Valentine di procedere oltre, “No, padroncino. Per voi vostro padre ha disposto che rimaniate qui.”

Ross si intenerì nel vedere l’espressione dispiaciuta sul suo piccolo volto. Se fosse stato George non avrebbe esitato un secondo per riabbracciare suo figlio, dopo aver trascorso giorni interi senza sapere se fosse vivo o morto, ma la realtà gli ricordò che non poteva essere più diverso da lui, quindi, il suo atteggiamento risultò, anche in quell'occasione, parecchio incomprensibile ai suoi occhi. Ma forse dimenticava che Valentine non era propriamente suo figlio…

George lo accolse di spalle e, soltanto quando, con un brusco cenno della mano ebbe ordinato al servitore di lasciarlo solo col suo ospite, orientò il suo viso verso di lui. Fece una lunga pausa prima di parlare, come se stesse ancora decidendo cosa dire, infatti fu evidente che aveva appena cambiato idea quando finalmente aprì bocca, “Ti vedo in forma, Ross.”

Il suo interlocutore si avvicinò alla scrivania, “Non posso dire altrettanto di te…”

George lo guardò con aria di sfida, “Eppure credevo che l’avresti presa peggio tu. Sbagliavo a pensarlo?

“George…”

“No, di certo. Alla fine sei stato tu quello che ha perso di più, devo ammetterlo.”

Ross tentò di decifrare quella frase per cercare di trovarvi un senso meno offensivo, nonostante avesse afferrato sin dall'inizio ciò a cui alludeva.

“Al contrario, al momento mi reputo più che soddisfatto della mia vita.”

“Già, dimenticavo che hai sempre avuto delle ambizioni piuttosto modeste. Tranne quando si trattava di dover interferire nella vita degli altri, allora ciò che avevi non ti bastava più...”

La risatina nervosa che ottenne come risposta lo convinse che aveva colpito nel segno. Si accomodò sulla sua poltrona, invitando Ross a fare altrettanto.

“Tua figlia sta bene?” Chiese Ross, quasi vergognandosi di averlo fatto.

“E’ una vera Warleggan, lei. Non si lascia intimidire dalle prime difficoltà della vita, contrariamente a suo fratello. A proposito, vorrei sapere nello specifico per quale dannata ragione è stata necessaria la tua intromissione nella mia carrozza, circa due giorni fa.”

“Beh, se consideri dannata la ragione che mi ha portato a salvare la vita di tuo figlio…”

“Certo che no…” distolse lo sguardo da lui, concentrandosi sui fogli che aveva davanti, “ma mi domando se fosse proprio necessario portarlo a casa tua e non fare il sacrificio di avanzare per qualche chilometro, lasciandolo qui. Credi che non sappia perché hai preferito agire così? Continui a volermi provocare, anche adesso che non dovresti averne più motivo.”

“Era una notte gelida. Sarebbe morto se lo avessi spinto a resistere al freddo per raggiungere questa casa, quando Nampara era notevolmente più vicina e mia moglie avrebbe sicuramente arginato il rischio con più successo di quanto i tuoi servitori imbellettati avrebbero potuto fare. Dovresti essermi grato per averlo salvato, piuttosto.”

“Grato?”  

Un ospite inatteso bussò ripetutamente alla porta dello studio, costringendo George a recuperare la calma. Una testa dorata fece capolino nella stanza e non ci volle molto tempo affinché Ross riconoscesse suo nipote: Geoffrey Charles era tornato per trascorrere gli ultimi giorni di vacanza con i suoi parenti, prima di ritornare al collegio. Quando vide suo zio gli rivolse un sorriso colmo di nostalgia, “Zio Ross, che cosa ci fai qui?” Andò subito ad abbracciarlo.

“Ma l’ho appena visto, non ci posso credere! Mi è sembrato che si sia ripreso, no?” Si stava riferendo a Valentine, dopo aver ascoltato dalla voce di Ross la storia del suo salvataggio in extremis.

“Finalmente respira un po’ d’aria pura, ora che è tornato.” George lo fissò, facendogli capire chiaramente di non essere più il benvenuto. Allora Ross si alzò e mise un braccio attorno alla spalla del nipote, “Sei sempre più simile a tuo padre, lo sai?”

“Si, è vero. D’altronde nessuno di noi ha ereditato i geni della mamma…”

Calò un silenzio imbarazzante e Ross sentì l’urgente bisogno di andarsene. Prima di lasciare Trenwith però, Geoffrey Charles lo prese da parte e gli consegnò un piccolo foglio di carta, su cui era incisa la firma di Elizabeth.

“Quando la mamma è morta, ho ricevuto questo in eredità. Voleva che te lo consegnassi personalmente.”

Valentine aveva aspettato nella stanza di Ursula, ma le voci che finalmente riusciva a sentire lo portarono ad affacciarsi nel corridoio, trovando Ross e suo fratello intenti a borbottare tra di loro. Vide il suo salvatore afferrare qualcosa dalle mani del giovane al suo fianco e per pochi secondi intercettò il suo sguardo, ma fu nel giro di altrettanti secondi che lo vide scomparire dalla sua vista, forse per sempre.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo XII ***


Per quell’occasione Caroline aveva optato per un abito di seta color argento fermato in vita da una fascia di raso blu, ricamata con minuziosa cura da un paio di esperte mani francesi, mentre tra i capelli una spilla di turchesi e brillanti metteva in risalto l’intera raffinatezza dell’acconciatura.

Quando la vide scendere dalle scale, Dwight rimase sbalordito. Aveva già potuto apprezzare la bellezza dei suoi lineamenti, resi più dolci e morbidi dalla gravidanza, quando Caroline era incinta di Sarah, ma questa volta la luce che brillava nei suoi occhi per via della nuova vita che custodiva dentro le conferiva un aspetto decisamente irresistibile. Il ricordo della sua primogenita viaggiava parallelo a sentimenti contrastanti verso il nuovo bambino, in quanto la paura di soffrire ancora per un’eventuale perdita si insinuava subdolamente anche nei pensieri più felici, eppure sia lui che Caroline non intendevano per nessun motivo al mondo rinunciare alla speranza.

Caroline si avvicinò a suo marito e a Geoffry Charles, lasciandosi fare il baciamano da quest’ultimo e poi, una volta assicuratasi di aver infuso il suo carisma a sufficienza, si allontanò da loro, ansiosa di chiacchierare con la domestica riguardo gli ultimi ritocchi per la tavola.

L’orologio segnò le sette quando Ross e Demelza varcarono la soglia di Nampara, pronti a celebrare insieme ai loro amici un evento che, in un certo senso, li avrebbe uniti ancora di più nei mesi a venire. Demelza si aggrappò al braccio di Ross, lottando contro quella nausea persistente che l’aveva turbata sin dalla mattina, con indosso il suo abito migliore e un umore che non lasciava adito all’ottimismo.

“Sei piuttosto pallida, Demelza. Non ti sembra il caso di…” Si fermò.

“No, sto bene. Camminare un po’ mi aiuterà a superare la nausea, fidati ci sono già passata.” Gli rivolse un sorriso sincero, ma Ross continuava a guardarla con preoccupazione. Avrebbe preferito che Demelza rimanesse a casa, insieme a Jeremy e Clowance, ma sapere che l’invito proveniva dal suo caro amico Dwight gli permise di fidarsi di Demelza e continuare a camminare verso la tenuta, contando sul fatto che il medico avrebbe potuto intervenire in qualsiasi momento per aiutarla.

Fu una camminata difficile per lei, non tanto perché l’aria fresca della sera non sembrava riuscire a calmare le onde che si rincorrevano vertiginosamente nel suo stomaco, quanto piuttosto perché, a peggiorare la situazione, gravava su di lei anche un’altra tempesta emotiva causata da una recente scoperta che l’aveva sconvolta e incuriosita al tempo stesso. Aveva deciso di non dire niente a Ross, concedendogli ancora un po’ di tempo per rimediare a quella “dimenticanza”, nonostante la convinzione che nasconderla alla sua vista fosse stata una scelta intenzionale da parte sua, perchè il sigillo della lettera che aveva trovato nella tasca della sua giacca non era ancora stato distrutto, perciò nemmeno Ross sapeva cosa Elizabeth avesse voluto scrivergli.

Sotto i raggi di una luce lunare intensa e polverosa, lo osservò alquanto pensierosa.

‘Ross, perché continui ad evitare di parlarmi di lei? Potrei aiutarti ad elaborare il lutto, se me lo consentissi… Preferirei mille volte che tu fossi onesto con te stesso, riguardo i sentimenti che provi ancora per Elizabeth, piuttosto che vivere nell’ansia di vederti soffrire per qualcosa che nemmeno tu riesci ad esprimere con chiarezza. Ho bisogno di ritrovarti…’

I loro occhi si incontrarono e, come se Ross avesse intercettato i suoi pensieri, a Demelza parve di aver intravisto la sua bocca muoversi per iniziare un discorso. Peccato, però, che nel frattempo Horace avesse già avvertito i loro passi, informando i suoi padroni dell’arrivo dei nuovi ospiti con un abbaio rauco ma potente al punto giusto.

“Finalmente! Temevamo di doverti venire a prendere a Trenwith, Ross.”

“In quel caso non vi avrei mai perdonato per avermi sottratto ad un’altra ora di puro divertimento insieme a George…” Ross lasciò Demelza precederlo nell’ingresso, ma di quel poco che riusciva a scorgere dalla quella posizione, un dettaglio in particolare catturò subito la sua attenzione. Si avvicinò a Dwight, abbassando il tono della voce, “Non vorrei sbagliarmi, ma è proprio mio nipote quello che vedo chiacchierare con tua moglie lì in fondo?”

Il medico sorrise, porgendogli un bicchiere di porto, “Si, è proprio lui. Non penso che ti dispiaccia se gli ho chiesto di trattenersi un po’ con noi…”

Ross scosse la testa ma non disse nulla. Seguì Dwight lungo tutto il corridoio, pensando a quale piega avrebbe preso la serata visto che Geoffrey Charles, non potendo sospettare che suo zio avesse omesso a Demelza la parte del racconto che riguardava il loro incontro a Trenwith, quella mattina stessa in cui lui aveva riaccompagnato Valentine da George, avrebbe potuto involontariamente complicare le cose.

“Tuo nipote è davvero un ragazzo brillante! Non mi sorprende affatto che sia un Poldark.” Mentre si rivolgeva a Ross, Caroline ispezionò il ragazzo con attenzione, cercando di rintracciare nei suoi modi affascinanti qualcosa che le ricordasse Francis, anche se erano passati un bel po’ di anni da quando aveva avuto modo di conoscerlo.

“A me, invece, non smette mai di sorprendere il tuo debole per questa famiglia di scapestrati!” Ross scompigliò, con affetto, i capelli dorati di suo nipote, “E’ il nostro fascino selvaggio che ti ha conquistata, Caroline?”

“Credo di sì, ma continuo a pensare che il temperamento pacifico di Dwight sia più adatto a domare la mia personalità ribelle, per certi versi più simile alla vostra.”

Demelza, spogliatasi del suo mantello, fu infine libera di raggiungere gli altri, “Quindi io e Dwight possiamo stare tranquilli?” Quella domanda conteneva un monito all’apparenza ironico, ma Ross percepì nel suo tono di voce anche un fondo di vera preoccupazione, a prescindere da chi potesse essere la dama in questione.

Demelza spostò il suo sguardo da Ross a Geoffrey Charles, “Oh, nipote caro! Non sapevamo che fossi qui, che bello poterti rivedere! Da quanto tempo sei tornato?”

“Solo da questa mattina, zia Demelza. A proposito, vorrei farvi i miei più sentiti auguri per il prossimo cuginetto in arrivo. Siamo già un bell’esercito, ma un nuovo ingresso in famiglia non fa mai male, giusto?” Diede un’orgogliosa pacca sulla spalla di suo zio.

“Ti ringrazio tanto. Credo tu abbia già avuto modo di sapere quello che è successo a Valentine. Forse George te ne ha parlato…”

Ross tossì rumorosamente, “Ma perché menzionare certi nomi proprio adesso? Non so voi, ma io potrei rovinarmi l’appetito a parlare di George Warleggan!”

A quel punto i commensali iniziarono a prendere posto, tutti pienamente d’accordo con quanto appena detto da Ross. La cena trascorse tranquillamente, tra i piatti ripuliti dalle prelibatezze servite e i bicchieri sempre colmi fino all’orlo, anche se Demelza aveva lasciato quasi tutto, cedendo buona parte del suo arrosto al cagnolino elemosinante che strusciava insistentemente contro la sua gonna. Non appena prese a riempire il suo calice con dell’acqua, Caroline, seduta proprio di fronte a lei, le bloccò la mano per poter ammirare meglio l’anello che aveva addosso.

“Vediamo….Scommetto che si tratta di un regalo. Il colore della pietra è per caso un auspicio per il sesso del bambino?”

“Non lo so, dovresti chiederlo a chi lo ha scelto.”

Caroline si voltò verso di Ross, “E dunque?”

“Oh, no. Non è nient’altro che un omaggio a mia moglie. Ultimamente avevo parecchio da farmi perdonare…”

“Si certo, solo ultimamente. Io, invece, preferisco perdonare Dwight in altri modi.”

Geoffrey Charles nascose la sua reazione dietro il tovagliolo ricamato, mentre Demelza fissò imbarazzata il volto rosso fuoco del medico sedutole affianco. Soltanto Ross trovò il coraggio di rispondere alla malizia di Caroline e lo fece in perfetto stile Poldark, ovvero senza inutili giri di parole, “Beh, sappiamo tutti come vengono concepiti i bambini, Dwight. Non c’è bisogno di vergognarsi di questo, io per primo…”

“Emh, si Ross abbiamo capito!” Demelza si sistemò le pieghe del vestito, chiaramente a disagio. Questa volta era toccato a lei arrossire, ma quel lieve colorito porpora sugli zigomi le aveva conferito finalmente un aspetto sano e aveva fatto riaffiorare nella mente di Ross alcuni bellissimi ricordi dei loro primi mesi di matrimonio, quando fare l’amore era per lei ancora un’esperienza nuova, imbarazzante ed eccitante al tempo stesso.

“Sarebbe meglio cambiare argomento.” Suggerì Dwight, cercando in questo modo di rimproverare sia Caroline che Ross, ma sua moglie si era ormai lanciata nella provocazione.

“E’ stata una sorpresa per voi? Per me e Dwight, come sicuramente avrete capito, niente affatto.”

“Caroline, un po’ di contegno insomma! Lungi da me essere un bigotto ma qui c’è un ragazzo che sicuramente non apprezza la leggerezza che stai usando nel parlare di certe cose. Dobbiamo litigare di nuovo?”

Non si rese conto di averle fornito un altro assist, “Certo, amore mio. Ma convieni che poi dovremmo fare pace…”

Geoffrey Charles si alzò da tavola per avvicinarsi a Ross, “Mi dispiace dover rinunciare al dessert, ma anche questo è stato un ottimo modo per concludere la serata. Mi sono divertito talmente tanto ad ascoltarvi, signora Enys!" Successivamente si rivolse a Demelza, “Adesso, prima di andare, vorrei rispondere alla vostra domanda. Si, so tutto di Valentine e mi dispiace doverlo lasciare nelle grinfie dello zio George, ma devo partire immediatamente per Londra. Stamattina mi ha fatto piacere rivedere lo zio Ross a Trenwith, per questo conto sul fatto che ogni tanto possa farmi il favore di controllare come sta mio fratello, se non gli procura troppo fastidio...”

“Allora vi eravate già incontrati!” Demelza si rimproverò per non esserci arrivata prima: naturalmente la lettera di Elizabeth aveva viaggiato insieme a Geoffrey Charles da Londra fino a Trenwith per giungere direttamente nelle mani del suo destinatario.

Ma Ross, invece di intromettersi per tentare di risolvere la questione, lasciò parlare il nipote, preferendo concentrarsi sul disegno della tovaglia piuttosto che affrontare lo sguardo deluso di Demelza.

“Si, non lo sapevate? Sono arrivato a casa proprio quando lo zio Ross stava per andarsene. Abbiamo scambiato solo qualche parola.”

Dwight avvertì la tensione in corso tra Ross e Demelza, pertanto provò ad alleggerire l’atmosfera, ma con pessimi risultati, “Demelza, non penso sia poi così importante. Certamente Ross ha pensato che vi sareste rivisti presto, per cui sarebbe stato irrilevante…”

“ Comprendo che potrebbe sembrarti irrilevante, ma Ross sapeva benissimo perché fosse tanto importante che io lo sapessi, per questo ha sapientemente evitato di menzionarmelo, giusto?”

Ross si alzò in piedi e la pregò di seguirlo in camera da letto, scusandosi con gli altri per aver dovuto interrompere così bruscamente la serata, sicuro che i suoi amici, a differenza di Demelza, avrebbero capito senza bisogno di fare domande.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Quasi nello stesso istante in cui Demelza si precipitava alla porta per uscire a caricare la sua valigia sul calesse diretto a Killewarren, Ross nascondeva nella tasca della sua giacca l’eredità di Geoffrey Charles. Così, quando si ritrovò di fronte a sua moglie, ringraziò il cielo per avergli fatto compiere quell’azione con tanta celerità, pur non avendo nessuna idea di cosa potesse contenere quel misero pezzo di carta. Evitarono di scontrarsi per un soffio.

“Oh, sei già tornato!”

Ross prese la valigia dalle sue mani per evitare che si sforzasse inutilmente, cercando di apparire rilassato, “Andiamo da qualche parte, stasera?”

“Dwight e Caroline ci hanno invitati a cena, in effetti. Ma se non sei dell’umore adatto possiamo rimandare a un’altra volta…” Possibile che a Demelza non sfuggisse mai nulla? Le fece segno di rientrare in casa, poi la seguì e si richiuse la porta alle spalle.

“No, non è necessario. E’ andata meglio di quanto mi aspettassi a Trenwith.”

“Davvero?” Chiese lei in tono scettico.

Ross annuì, desiderando con tutto se stesso che si accontentasse di quella vaga rassicurazione, senza pretendere ulteriori dettagli che lo avrebbero potuto portare a raccontarle dell’incontro con Geoffrey Charles e, di conseguenza, all’ammissione di aver ricevuto dalle sue mani una lettera di Elizabeth.

“Mi chiedo se Valentine starà bene…”

“Dal mio punto di vista, molto meglio di sua sorella. Almeno lui non corre il rischio di ritrovarsi addosso la bava di George ogni volta che lo vede!”

“Ah si? Perché per te vuol dire stare bene vivere all’ombra di un affetto più grande? Rendersi conto della preferenza che George ha nei confronti di sua sorella e non avere nessuno che si prenda realmente cura di lui?”

Gli sbalzi d’umore, causati dagli ormoni della gravidanza, iniziavano a farsi sentire. Meglio cambiare argomento, pensò Ross. La prese per mano e la condusse in camera da letto, con un luccichio particolarmente eccitato negli occhi.

Demelza percepì il cuore batterle all’impazzata, mentre la mano di Ross le sfiorava gentilmente il polso. Eppure sentiva che quel muro invalicabile, che tante volte si era alzato tra di loro, aveva preso a crescere di nuovo.

“Devo darti una cosa che ho comprato un po’ di tempo fa a Londra. Speravo di consegnartela una volta tornato dal viaggio, ma viste le circostanze ho preferito rimandare.” Si sedette sul letto e mise una mano nella tasca interna della giacca, alla ricerca di una scatolina di velluto blu. Gliela offrì e aspettò di vedere la sua reazione.

Quando Demelza aprì lo scrigno, la luce dei suoi occhi si diffuse nelle sfaccettature di una pietra purissima incastonata in un anello d’oro: era un’acquamarina, proprio del colore delle sue iridi, circondata da piccoli zaffiri bianchi.

“Beh, non posso certo lamentarmi…” scelse di procedere con cautela, contenendo l’emozione suscitata non tanto dall’oggetto in sé quanto dal valore romantico che si celava in esso. A volte, infatti, pensava di essere troppo frettolosa nel giudicare suo marito, come se le venisse naturale giungere subito a delle conclusioni non proprio felici sul suo conto, ma mai come in quel momento avrebbe desiderato essere smentita clamorosamente. La delusione sarebbe stata comunque difficile da mandare giù, perciò preferì moderare la sua felicità e abbassare le aspettative. Si appoggiò ad una delle traverse di legno del letto a baldacchino e tese la scatolina a Ross, invitandolo a infilarle l’anello al dito.

“Devi ammettere, però, che il mio regalo per te è stato decisamente più originale…” gli disse. Lui le prese una mano candida e, senza alcuna difficoltà, inserì quel cerchio dorato nel suo anulare, poi spinse con una leggera pressione le labbra sulla sua pelle fresca e le massaggiò l’addome.

“Non avresti potuto scegliere di meglio, lo sai vero?”

In quel momento, Demelza avvertì un moto di grande affetto nei suoi confronti, infatti, proprio quando la mano di Ross iniziava ad allontanarsi per abbandonare la sua vita, una lacrima tradì la sua commozione brillando sul suo viso di porcellana. Gli prese di nuovo la mano e la rimise sulla sua pancia, abbassandosi per trovare le sue labbra e baciarlo con tenerezza, “Scusami, è solo che mi mancava tutto questo...Da quando sei tornato non ti riconosco più.”

“Perché dici così?”

Demelza aprì gli occhi, “Non fingere di non saperlo, Ross. E se hai paura che, ascoltando la verità, io possa rimanere ferita in qualche modo, allora sottovaluti la mia soglia del dolore.”

Ross si allontanò da lei, passandosi una mano tra i capelli, mentre con l’altra stringeva la lettera che custodiva in tasca, ancora sigillata e in attesa di essere letta. Prima o poi avrebbe dovuto farlo, se ne rendeva conto. Rimandare quel momento all’infinito sarebbe stato controproducente, perché lo avrebbe fatto sentire non soltanto colpevole nei confronti di Demelza ma anche ingiusto verso la memoria di Elizabeth.

“Per quanto assurdo ti possa sembrare, ti chiedo ancora una volta di avere pazienza con me. Sappi soltanto che i miei sentimenti per te non sono affatto cambiati, anzi credo di amarti ancora di più se possibile… Adesso però faremmo bene a prepararci, oppure renderemo Caroline ansiosa di poterci sostituire a tavola con Horace.”

A quel punto iniziò a togliersi la giacca e a sbottonarsi il panciotto per cambiarsi d’abito e indossare qualcosa di più appropriato per la cena. Demelza, invece, avvilita da quell’ennesimo rifiuto, rimase a osservarlo in silenzio e dopo qualche istante uscì dalla stanza, portandosi via gli indumenti che si era appena tolto di dosso e la speranza che quelle poche parole che le aveva rivolto potessero, almeno in parte, contenere una traccia di verità. Dalla sua Demelza aveva ancora una carta da giocare nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno: la carta della gelosia di Ross per Hugh Armitage, il giovane poeta che un tempo era riuscito con le sue parole a distrarla dalla solitudine, facendola sentire per la prima volta dopo tanti anni una persona importante e degna dell’ammirazione altrui. Anche se le circostanze che l'avevano spinta a cercare un rifugio temporaneo tra le braccia di Armitage, agli occhi di Ross, non avrebbero mai potuto competere con la complessità dei motivi che invece avevano portato lui a tradirla con Elizabeth, Demelza sapeva che una parte di lui non avrebbe mai perdonato se stesso per aver contribuito a rendere quella sintonia una vera e propria infatuazione.

A Killawarren i preparativi per la festa erano appena giunti a termine, quando Dwight udì una mano bussare freneticamente alla porta. Il suo primo pensiero fu che gli ospiti avessero anticipato l’appuntamento, ma presto si ricordò che Demelza, nella sua risposta all’invito, lo aveva avvisato che sarebbero arrivati con almeno un’ora di ritardo, specificando che Ross avrebbe potuto essere trattenuto più a lungo del previsto a causa di George Warleggan. Iniziò, allora, a temere che potesse trattarsi di qualcuno in cerca del suo aiuto ma, una volta aperto il portone, chi si ritrovò davanti non fu un paziente, né tantomeno qualcuno incaricato di cercare un medico per conto di altri, quanto piuttosto un affascinante adolescente giunto sin lì per salutare un vecchio amico di famiglia.

Geoffrey  Charles  Poldark si tolse il cappello in segno di riverenza e, dopo un breve inchino, fece il suo ingresso nella sala da ricevimento che era stata allestita per la serata, con un gusto così ricercato e alla moda che nessuno avrebbe mai potuto non riconoscere dietro il tocco inconfondibile di un’ esperta come Caroline.

“Fa un freddo assurdo lì fuori! Vi garantisco che non ho calcato sulla porta con tanta foga senza una ragione. In verità, non sono più abituato alle temperature rigide della Cornovaglia. Per voi è un bene o un male, dottore?”

Dwight gli sorrise, lieto che Geoffrey Charles avesse recuperato il suo spirito allegro, ricordandosi fin troppo bene l’espressione distrutta con cui lo aveva salutato il giorno del funerale di sua madre.

“Beh, io credo che non ci si possa dimenticare delle proprie origini. La pelle è un organo vivo che ricorda qualsiasi cosa, anche quelle che noi pensiamo di aver rimosso per sempre...”

“Grazie, avevo davvero bisogno di sentirmelo dire.”

Dwight lo invitò ad unirsi a loro per la cena, spiegandogli il motivo per cui avevano deciso di festeggiare quella sera insieme ai loro amici di Nampara. Il giovane accettò senza riserve, ben felice di poter scambiare una cena deprimente in compagnia di George con un invito a passare la serata insieme al suo zio preferito, ma informò Dwight che non avrebbe potuto trattenersi a lungo. Così, per ingannare l’attesa, non gli rimase altro che discutere ancora per un po’.

“E’ una vera noia il collegio! Per fortuna non manca molto alla fine dei mie studi, perché mi sono proprio stufato della vita accademica.”

“E quali sono i tuoi progetti per il futuro?”

Geoffrey Charles si sistemò il fazzoletto che aveva intorno al collo, "Beh, non mi dispiacerebbe viaggiare in giro per il mondo, almeno fino a quando potrò ingannare lo zio George…” si trattenne dal ridere.

“Già, è lui che finanzia i tuoi studi. Credevo che una volta raggiunta la maggiore età non fosse più tenuto a farlo, o sbaglio?”

“E’ per via di un debito d’onore che aveva con mia madre, credo.”

Seguì il silenzio, interrotto soltanto dal piacevole scoppiettare del fuoco che riscaldava la stanza. Di colpo un rumore di passi li portò istintivamente a girarsi dalla parte dell’ampia gradinata principale, lasciando entrambi senza parole di fronte ad una splendida aristocratica in dolce attesa che, quella sera, aveva scelto di manifestarsi sotto forma di un’autentica principessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


A Demelza sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Gli occhi di Ross l’avevano guardata con la stessa espressione colpevole di quel lontano pomeriggio, quando la rottura dell’ultima speranza di una relazione sincera tra di loro l’aveva portata ad allontanarsi da lui, cedendo al desiderio di provare se l’amore apparentemente semplice e senza segreti di Hugh Armitage sarebbe riuscito a riscaldarla dalla fredda negligenza affettiva a cui Ross l’aveva abituata.

Si arrampicò su per le scale con grande agilità, tanto che Ross fu costretto ad accelerare per tenere il passo. Lo strascico del suo vestito pareva la coda di una volpe che fuggiva da una battuta di caccia, ferita ma ancora impavida e sempre pronta a schivare i colpi del suo inseguitore.

La raggiunse in prossimità della porta della camera da letto che era stata riservata loro per la notte. Uno di fronte all’altra si osservarono in silenzio, entrambi incapaci di trovare le parole giuste per iniziare. Così Ross tentò di accarezzarle il gomito ma Demelza si scostò, rifugiandosi all’interno della stanza.

Continuare a tacere sarebbe stato comunque inutile, pensò Ross. Tanto valeva andare subito al nocciolo della questione, “Ti aspetti che ti dica qualcosa riguardo la lettera che hai trovato nella mia giacca…”

Demelza iniziò a slacciarsi il corpetto con fare nervoso, “Non dovrei?”

Dopo aver chiuso la porta, Ross fece un passo in avanti verso il letto sui cui era seduta. Non poteva biasimare la sua frustrazione, però in cuor suo sentiva di essere innocente, “Non potresti cercare di calmarti un pochino? So che è più forte di te, ma pensa al bambino...”

“Hai ragione. Possiamo affrontare la questione anche con la calma.” Convenne lei.

“D’accordo allora…” Ross spostò una sedia dal secretaire e vi si sedette in modo che Demelza potesse guardarlo negli occhi. Non sapendo cosa dire, alla fine scelse la via più facile e appropriata per esordire.

“Sono stato uno stupido. Se puoi perdonami, ma sappi che ho agito con le migliori intenzioni.”

Demelza inarcò un sopracciglio, “Non l’hai ancora letta. Mi domando come mai…”

“Non lo so nemmeno io… temo che mi faccia paura sapere cosa c’è scritto e riaprire alcune ferite del passato che potrebbero farti ancora del male. Non ti ho coinvolta in questa storia proprio perché non volevo che ti turbassi di nuovo per colpa di Elizabeth.”

Demelza lo guardò con occhi lucidi ma fermi, “E’ un po’ egoistico da parte tua, non trovi? Pretendere sempre di sapere cosa io possa pensare e sentirti libero di decidere per me, come se fosse scontato che io debba soffrire ogni volta che pronunci il nome di Elizabeth. Non ti è mai passato per il cervello che potessi essere tu il più sensibile dei due a certi argomenti?” Si alzò per sfilarsi la gonna, si sciolse i capelli e infine si mise addosso una vestaglia per poter continuare a parlare con lui in tutta comodità. Dapprima Ross si pose sulla difensiva contro quelle che il suo orgoglio aveva percepito come delle semplicistiche illazioni, ma poi gli bastò concentrarcisi su con maggiore umiltà per accorgersi che forse Demelza aveva ragione.

Certamente non era stata lei a non voler più parlare della morte di Julia, ad allontanare dalla sua mente il processo nel quale avrebbe potuto subire una condanna a morte, lasciando sua moglie vedova e incinta di un bambino a cui provvedere senza nemmeno l’ombra di un quattrino e a rinnegare a se stesso la notte in cui aveva ceduto alla sua lunga “devozione" per Elizabeth, finendo per incrinare irrimediabilmente le fondamenta su cui si basava il suo matrimonio. Per non parlare poi di Valentine e della sua presunta paternità, del tradimento di Demelza con Hugh Armitage e di quanto avesse sbagliato a non dare ascolto ai segnali che anticipavano ciò che inevitabilmente sarebbe successo tra di loro, senza sforzarsi nemmeno di vedere al di là della sua arroganza.

Si alzò e vagò per la stanza, sentendosi addosso lo sguardo impaziente di Demelza. A un certo punto tornò a sedersi, “E va bene, ammetto di essere stato ingiusto con te. Se ti fa piacere, riconosco anche di essere leggermente incline alla permalosità.”

Demelza abbozzò un sorriso, ma non disse nulla. Aspettò che Ross continuasse.

“Quindi perdonami per averti tenuta all’oscuro del mio incontro di questa mattina con Geoffrey Charles, per averti nascosto la lettera che lui mi ha dato e se puoi perdona anche la mia eccessiva suscettibilità a certi argomenti, come li chiami tu…”

“Se ti riferisci a Valentine, credo che tu stia facendo enormi progressi. Anche se ancora non ti senti pronto a includerlo nella tua vita, in qualsiasi ruolo tu deciderai di considerarlo nel futuro, sappi che ti stimo lo stesso per come ti sei comportato con lui. Mi aspettavo di peggio, a dire la verità!”

Ross si strinse nelle spalle, “Onestamente, me lo aspettavo anch’io. Ma non stavo pensando solo a lui…”

Demelza restò in apnea per un istante, convinta che Ross avesse finalmente deciso di abbandonare ogni riserva e confessarle la verità su ciò che la morte di Elizabeth avesse significato per lui. Si preparò a sentirgli dire tutte le parole che da mesi si ripeteva in testa, meravigliandosi di come neanche l’opzione più negativa potesse spaventarla.

“Armitage…”

Quel nome produsse su di lei un effetto del tutto inaspettato, proprio perché mai avrebbe immaginato di sentirlo pronunciare da Ross in maniera così improvvisa e diretta, o meglio perché aveva sempre sperato che potesse non accadere mai. Ecco, in questo senso avrebbe potuto comprendere più facilmente quanto fosse difficile per Ross rivangare il suo rapporto tormentato con Elizabeth, tradurre in parole i sentimenti che per anni aveva cercato di sopprimere con la speranza che con il tempo questi avrebbero potuto assumere sfumature così vaghe da consentirgli di dimenticarsi di essi e ricominciare da capo, attribuirsi la responsabilità dei propri errori e rifondare il suo matrimonio sulla promessa di aver imparato che il suo posto non sarebbe mai potuto essere da nessun’ altra parte.

“Adesso che sia lui che Elizabeth non ci sono più mi sembra di aver vissuto in un sogno. Siamo rimasti soltanto noi due e i nostri ricordi, Demelza. Ma cosa potrebbe ferirci di più del reciproco ricordo di avere sbagliato l’uno nei confronti dell’altra?”

Demelza lo raggiunse e si sedette sulle sue ginocchia, poi lo abbracciò con tenerezza, affondando il viso nel suo collo. Lui la allontanò per poterla vedere meglio negli occhi e, nel suo sguardo, trovò tutto il calore e la comprensione di cui aveva bisogno per comunicarle la verità.

“Quando torneremo a Nampara, ti prometto che leggerò quella lettera.”

Demelza scosse la testa contro il suo petto, “Le promesse non mi bastano più, Ross...”

“Lo so. E’ per questo che ti prego di ascoltarmi attentamente, perché preferirei evitare di ripetere questo discorso nel futuro…” Si sistemò sul letto e la pregò di unirsi a lui.

Demelza si accorse che l’espressione dei suoi occhi era cambiata. Ora la vulnerabilità sembrava aver preso il posto dell’orgoglio, in una lotta interiore che aveva visto il sacrificio per la libertà vincere sulla debolezza del diniego e della paura di essere felice.

“Purtroppo conosci benissimo la storia, ma credimi quando ti dico che quella notte sono stati i lunghi anni vissuti in assenza di Elizabeth a reclamare una vicinanza che credevo mi spettasse di diritto, nonostante sapessi che la sua non sarebbe stata una bussola capace di riportarmi veramente a casa. Quando pensavo a lei, nei momenti peggiori di quella guerra maledetta che ci aveva separati, mi illudevo che il suo amore mi avrebbe fatto dimenticare il dolore e la nostalgia. Eppure ogni volta che provavo ad afferrarla, ogni volta che mi aggrappavo alla speranza di sopravvivere soltanto per tornare in Cornovaglia e poterla rivedere, lei fuggiva da me, disorientandomi in ogni tentativo di raggiungerla…Quello che è successo dopo ne è la prova.”

Si bloccò un istante per deglutire, combattendo per non lasciare che l’emozione prendesse il sopravvento. Poi proseguì, avvicinandosi alla fronte di Demelza,  “Tu, invece, sei stata la bufera che mi ha svegliato da quel sogno, l'interprete perfetto del mio linguaggio, l'unica presenza che sia mai riuscita ad incastrarsi nel mio vuoto. Mi è costato parecchio capire che bisogni effimeri non possono competere con necessità vitali, così come la soddisfazione di un piacere un tempo negato non potrà mai essere confusa con l'intensità più autentica del mio amore profondissimo per te, ma ...”

“Ma sappiamo che ne è valsa la pena ....”

Ross annuì, “Chi avrebbe mai detto che quel soldato fradicio di pioggia, tornato dall’America per riabbracciare la sua famiglia, potesse sperare un giorno di trovare il vero amore della sua vita proprio dopo aver dovuto dire addio a quello che per anni credeva che lo fosse?”

“Hai davvero detto addio ad Elizabeth?” Chiese lei, sciogliendo nel frattempo il nodo del fazzoletto intorno al suo collo.

“Ho dato per scontato che lei ci sarebbe sempre stata nella mia vita, in un modo o nell’altro. Quindi accettare la realtà e vederla andare via così presto e così ingiustamente mi fa soffrire tuttora, non posso negarlo. Soffro per tutta la bellezza sprecata, per tutto l’amore che meritava e che non è mai riuscita ad avere, per i suoi figli e anche per me…”

Non era ancora riuscito a dimenticarla, dunque. Forse questo sfogo rappresentava per Ross una sorta di confessione aperta del suo amore verso Elizabeth, l’ammissione di un errore che avrebbe preferito non fare, scegliendo di rimanere affianco a lei, ma con cui avrebbe dovuto convivere per sempre.

Demelza si sollevò dal letto, sedendosi sulle ginocchia. Sembrava che potesse scoppiare a piangere da un momento all’altro, perciò Ross iniziò ad accarezzarle la schiena per calmarla.

“Sai Ross, quando sono tronata a Nampara dopo, beh…dopo averti tradito con Hugh, non ho mai rimpianto di aver scelto te. Ho voluto credere che quei semi che avevo piantato tanto tempo fa nel nostro giardino potessero fiorire di nuovo, nonostante non ci fosse proprio nessun segno di ripresa a farmi sperare in un miracolo…Ma mi è bastato guardarti negli occhi per capire che non mi ero sbagliata, perché forse da ingenua qual ero e quale sono ancora adesso ho creduto che anche tu non ti fossi pentito di essere rimasto accanto a me.”

“Avrei preferito farmi ammazzare in guerra, piuttosto che lasciarti per andare a vivere con Elizabeth.”

“Allora perché non riesci a superare il fatto di averla persa?”

“Perché perdere Elizabeth mi ha fatto capire quanto insopportabile sarebbe vivere senza di te!”

Si lasciò andare in un pianto liberatorio proprio davanti agli occhi di sua moglie, stravolto dalla portata del suo stesso dolore ma anche lieto di averle dimostrato con le lacrime quanto quell’amore profondissimo che le aveva dichiarato poco prima con le parole avesse davvero valore per lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Cara Demelza,

mi ritrovo qui, seduta nel giardino di Trenwith, a decidermi se continuare o meno a scriverti questa lettera. Fino ad ora non ho mai sentito il bisogno di chiederti perdono per aver desiderato con tutta me stessa che Ross ti lasciasse e si trasferisse qui da me, illudendomi che saremmo stati talmente abili da dimenticarci degli altri e ricominciare la nostra storia insieme dal punto esatto in cui io avevo deciso di interromperla. No, non ho mai pensato a nient’altro che al mio benessere quando speravo di vederlo attraversare questo cancello, entrare nella mia stanza e condividere con lui il resto dei miei giorni, appigliandomi all’affetto che lui non ha mai mancato di dimostrarmi soprattutto nei mesi successivi alla morte di Francis, quando sembrava che il nostro rapporto si fosse modificato così rapidamente e palesemente da farmi sperare persino in qualcosa di più.

Dopo quella notte, ogni sorta di apparenza tra di noi si è frantumata in mille pezzi, mostrandoci per come siamo sempre stati davvero… E adesso che ci conosciamo meglio non posso più nascondere l’invidia che per anni ho provato nei tuoi confronti, prima quando ho visto la felicità negli occhi di Ross per averti sposata e poi quando, la mattina del suo risveglio nel mio letto, l’ho vista scomparire in un brevissimo istante di panico dovuto alla paura di poterti perdere.

In realtà sono stata io l’unica ad aver perso qualcosa. Ho perso la mia battaglia anche per colpa della mia inettitudine, in quanto sono state le idee fallaci che hanno guidato le mie scelte a portarmi verso questa impietosa sconfitta.

Ma a prescindere dall’odio che giustamente provi verso di me, o meglio verso quello che un tempo sono stata per Ross, vorrei che tu sapessi che non ho mai dimenticato il coraggio con cui hai sfidato l’ira di Francis per curare mio figlio dall’epidemia che ha poi ucciso la tua bambina, salvandomi da un dolore a cui io non sarei mai riuscita a sopravvivere. Per questo mi appello di nuovo al tuo grande cuore, capace di fare miracoli, per chiederti un favore che tuttavia sento di non meritare.

Mi fido dell’indipendenza di Geoffrey Charles e non mi preoccupo affatto per il bambino che nascerà, perché so che non gli mancherà mai l’amore di suo padre, ma mi terrorizza l’idea di come potrà vivere Valentine senza di me, nel caso in cui io…

Non pretendo che Ross lo tratti come un figlio, certo, ma sarei felice che Valentine avesse qualcuno a cui rivolgersi quando vorrà trovare un po’ di umanità e un rifugio dal clima di sospetto in cui si abituerà a crescere, affinché possa imparare da lui a essere un uomo migliore di quello che George vorrebbe che diventasse. Il sangue che scorre nelle sue vene potrebbe essere lo stesso dei tuoi figli, Demelza e devi credimi quando ti dico che il dolore che entrambe abbiamo provato nel dover ammettere questa eventualità non sarà mai paragonabile a quello che vivrà Valentine sulla sua pelle, dovendo convivere con la freddezza di suo padre senza conoscercene il motivo.

Nessuno saprà mai la verità, ad eccezione di noi due…

Spero che questa lettera non giunga mai nelle tue mani, ma nel caso in cui non ci fosse alternativa mi auguro che il mio appello venga ascoltato dallo stesso cuore materno che un tempo ha curato il mio bambino e che tu possa godere senza riserve del privilegio assoluto di avere al tuo fianco un uomo come Ross. Con affetto, Elizabeth.

Demelza lesse la lettera tutto d’un fiato, come se volesse togliersi davanti quel pensiero il prima possibile. Ross aveva insistito affinché fosse lei a leggerla per prima, ma nessuno dei due poteva immaginare che fosse proprio quello lo scopo per cui era stata concepita. Si accorse dopo un po’ che alcune parti d’inchiostro erano state sbiadite dalle lacrime di Elizabeth, perciò il pensiero di quanto sacrificio le fosse costato prospettare la situazione in cui la sua storica rivale avrebbe toccato quella pergamena e posato gli occhi sulle parole che essa conteneva, mentre lei non c’era più, la fece sentire quasi in colpa per averla letta così velocemente. Decise, dunque, di concentrarsi su alcuni passaggi decisivi per comprendere meglio il senso di quella che inizialmente le era sembrata la supplica di una donna disperata, chiusa in una gabbia dorata da cui non si sarebbe potuta liberare mai più.

Per quanto fosse ancora convinta che durante la sua vita Elizabeth avesse cercato in tutti i modi di guadagnarsi l’ammirazione di Ross anche a costo di dimenticarsi del bene ricevuto da parte sua, mirando spudoratamente e incondizionatamente al primato assoluto nelle sue grazie, Demelza percepì un’incontestabile sincerità nella gratitudine che le aveva espresso alla fine di quella lettera.

Cosa avrebbe pensato allora se avesse saputo che fosse opera sua l’aver salvato anche la vita a Valentine? Forse avrebbe fatto finta di niente oppure si sarebbe nascosta dietro le accuse di George per paura di doverle di nuovo qualcosa, ne era convinta. Tuttavia riconobbe che non doveva essere stato facile per lei crescere un bambino nato dall’uomo sbagliato e per questo condannato ad un’eredità di rifiuto e indifferenza da parte del suo vero padre, commiserazione da parte di sua madre e disprezzo da quella dell’uomo che si era ritrovato costretto a fargli da genitore, quantomeno all’apparenza.

Elizabeth non avrebbe avuto scrupoli a rovinare la sua famiglia se solo Ross avesse deciso di trasferirsi a Trenwith, eppure aveva avuto il coraggio di nominare Jeremy e Clowance e appellarsi al fatto che il loro sangue fosse in parte quello di Valentine come se niente fosse, per sperare di ammorbidirla e convincerla ad avvicinare suo figlio a Ross.

No, quella non era soltanto la supplica di una donna disperata, ma  molto di più. Da madre poteva comprendere la paura che Elizabeth nutriva per il futuro di Valentine, soprattutto adesso che la situazione pronosticata nella lettera appariva piuttosto chiara agli occhi di tutti. Se avesse tentato la riconciliazione, come aveva cercato di fare anche prima di quel sollecito, lo avrebbe fatto soltanto per Ross e per salvare un bambino innocente dalle infauste conseguenze dell’avere George Warleggan come padre. Chi poteva capire meglio di lei quanto potesse essere faticoso riscattarsi dagli errori degli adulti? Lei, che suo padre era quasi riuscito a condannare ad un’esistenza fatta di violenza ed ignoranza, trattandola al pari di una bestia da soma, era stata riportata alla vita proprio grazie al gesto di gentilezza di uno sconosciuto.

Avrebbe fatto il possibile per non lasciare che Valentine si sentisse solo e inadeguato negli anni cruciali del suo sviluppo, ma sapeva che i suoi alti propositi d’interferire nella vita del piccolo Warleggan non avrebbero potuto evitare di scontrarsi con la dura resistenza di suo marito e soprattutto con l’ostilità di chi esercitava la paternità su di lui.

Scostò la tenda dalla finestra e guardò l’orizzonte attraverso il vetro pregno di umidità. Si era svegliata presto quella mattina per poter leggere la lettera senza essere disturbata dai suoi bambini, ma adesso sentiva di avere un bisogno disperato delle loro attenzioni e di quelle di Ross, il quale aveva seguito il suo esempio per mettersi a lavorare in giardino. Demelza si cambiò in fretta e scese giù per raggiungerlo, coprendosi per bene dal vento quasi primaverile che scuoteva con delicatezza la sua chioma vermiglia.

Si affacciò alla staccionata che recintava la aiuole di fragole, dove Ross stava raccogliendo i primi frutti da far gustare per colazione ai piccolini di casa.

“Sono sicuro che Clowance apprezzerà, anche se sono ancora un po’ acerbe.” Aprì il palmo della mano svelando alcune deliziose fragoline e le avvicinò al naso di Demelza, affinché potesse sentirne il profumo. Affidò alle sue cure il bottino appena raccolto e si asciugò la fronte sudata con la manica della camicia.

“Ho appena finito di leggere la lettera di Elizabeth.” Demelza si preparò ad una caterva di domande, ma Ross rimase impassibile, in attesa che fosse lei a raccontargli tutto.

“E’ stata un’esperienza davvero strana...”

“Cosa devo aspettarmi?” Chiese Ross, scavalcando la staccionata.

“Niente. Non aspettarti niente, perché non puoi leggerla. Era indirizzata soltanto a me.”

Non fece altre domande, ma spostò il suo sguardo malinconico sulla lettera che nel frattempo Demelza aveva tritato fuori dal grembiule, sollevando un braccio per cingerle le spalle.

“Ho sempre saputo che prima o poi Elizabeth avrebbe riconosciuto il tuo valore. E devo confessarti che sono felice che alla fine abbia deciso di fartelo capire, anche se a modo suo.”

“Come fai ad essere sicuro che si tratti di questo? Per quanto ne sai potrebbe essere l’esatto contrario.”

“Ne dubito, conoscendo Elizabeth. Sono sicuro che ti abbia scritto con tutto il rispetto che meriti.”

Certo, se lo diceva lui…

Ross parlava sempre come se la sua idea di Elizabeth fosse quella giusta e tutte le altre possibili interpretazioni del suo carattere fossero distorte da qualche sentimento ingombrante che non permetteva agli altri, Demelza compresa, di vedere quale genere di creatura sovrumana fosse in realtà quella donna. L’aveva sempre vista con la lente dell’adorazione, per cui ogni difetto tendeva ad essere minimizzato se confrontato con le virtù di cui faceva sfoggio dinanzi a lui, ma coloro che erano riusciti a inquadrarla per quella che era veramente sapevano che nemmeno lei era immune al rancore o all’invidia e che la perfezione era sempre stata lontanissima da tutto ciò che la riguardava. Probabilmente anche Ross lo aveva capito perché, qualunque cosa avesse svelato quella notte di passione tra di loro sulla vera natura del suo interesse per lei, aveva imparato che anche la perfezione poteva avere le sue pecche e i suoi limiti.

Iniziarono a procedere verso casa, quando Demelza sentì l’esigenza di condividere con lui un pensiero che, visto nell’ottica di ciò che aveva appena letto nella missiva di Elizabeth, le appariva infinitamente straziante, “Sarà che sono ancora più emotiva del solito quando sono incinta, ma non puoi capire quanto mi abbia commossa il fatto che lei non sia riuscita a vedere crescere i suoi figli. Credo che desiderasse tantissimo avere una bambina e poi, quando finalmente è arrivata Ursula, non le è stato concesso nemmeno il tempo di conoscerla e godersela.”

“Sta tranquilla che ci penseranno George e i suoi quattrini a Ursula e Valentine. Non avranno bisogno di niente che la famiglia Warleggan non possa dargli.”

Lottò duramente per non rispondergli a tono per evitare che potesse sfuggirle qualcosa, limitandosi soltanto a brontolare tra sé e sé qualche frase incomprensibile alle orecchie di Ross. Proprio mentre si accingevano ad entrare in casa, la carrozza dei Warleggan sfrecciò sotto i loro occhi dando loro soltanto il tempo di riconoscere la chioma ribelle del piccolo Valentine sporgersi oltre la portiera per osservare Garrick rincorrere un coniglio.

La tristezza che si leggeva negli occhi di Valentine la diceva lunga su quanto il denaro e il lusso di cui godeva fossero del tutto insufficienti a guarire la sua solitudine.

“Scusa tanto Ross, ma questa volta sono io a nutrire dei forti dubbi a riguardo…"

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Dal giorno in cui Ross e Demelza videro Valentine allontanarsi con la sua carrozza per affrontare quello che, considerato il numero di valigie sistemate sul retro dell’elegante diligenza laccata di nero, sarebbe stato un viaggio piuttosto lungo lontano da casa, l’inverno cedette definitivamente il posto alla più bella primavera che si fosse mai vista da quelle parti e anche la gravidanza di Demelza sembrò godere della stessa piacevolezza di quel clima meraviglioso.

Dwight e Caroline non furono altrettanto fortunati. Trascorsero gli ultimi mesi prima del parto in continua agitazione, dal momento che il bambino aveva dato l’impressione di voler nascere in anticipo, affliggendo spesso la povera Caroline con dolori simili a quelli del travaglio. Per fortuna il termine della gravidanza era previsto a fine luglio, circa un mese prima rispetto a quello di Demelza, ma ciò nonostante Caroline decise ugualmente di sfidare la sorte andando a Nampara per trascorrere insieme alla sua migliore amica l’ora del tè, condividendo con lei alcuni deliziosi pasticcini che si era fatta portare da Londra apposta per l’occasione e una notizia sconcertante che aveva appena avuto modo di scoprire dalle sue ben informate fonti londinesi.

Predisponendosi accuratamente al riparo dai raggi del sole cocente di luglio, Caroline iniziò a camminare verso l’ingresso della proprietà dei Poldark all’ombra del suo parasole color crema, con Horace che saltellando tentava di strapparle dalle mani il sacchetto pieno di dolciumi che penzolava provocatoriamente sopra la sua testa.

“Ti prego vitellino, ti prego! Cerca di finire il tuo latte in fretta!” Clowance si accorse subito dell’arrivo di Caroline ma, per quanto desiderasse ardentemente correrle dietro per abbracciarla, dovette trattenersi dal farlo in quanto Ross aveva pensato bene di affidarle il compito di nutrire tutti, ma proprio tutti, i vitellini della stalla. Così, sotto lo sguardo vigile e divertito di Ross, la piccola attese con grande sacrificio che anche l’ultimo vitellino avesse finito di mangiare prima di fiondarsi in giardino e salutare la sua madrina.

Ciò che a Caroline stupiva sempre di quella bambina era la sua capacità innata di mantenere un portamento da vera aristocratica anche nelle situazioni più umili, proprio come quella in cui l’aveva appena sorpresa, con i capelli spettinati che le ricadevano in boccoli dorati sulle spalle e le gote arrosate dallo sforzo che la rendevano ancora più simile alla sua mamma. Inutile dire quanto questo aspetto della sua personalità la rendesse immensamente orgogliosa della sua figlioccia.

“Oh, ma chi si vede! Una bambolina in fuga dai suoi doveri…”

Clowence dissentì fieramente, voltandosi indietro per cercare il sostegno del suo papà. Ross intervenne immediatamente, “Mi dispiace doverti deludere, Caroline, ma questa volta Clowance ha lavorato duramente fino alla fine.”

Caroline si finse meravigliata, “Ah, davvero? Allora presumo si meriti una ricompensa. Vediamo, ti vanno bene delle gelatine alla frutta?”

Prima di allontanarsi per andare ad avvertire la sua mamma dell’arrivo di Caroline, Clowance la ringraziò e le posò un delicato bacio sulla guancia. Guardandola correre verso casa, Ross non poté fare a meno di ammirare la sua bellezza e provare un grande moto di affetto per la sua piccola principessa.

Caroline se ne rese conto e per un po’ sfruttò la vulnerabilità di Ross per poterlo considerare sotto una luce diversa, “Che fortuna poter essere guardata così da un uomo! Devi essere davvero innamorato di lei…”

Ross annuì, porgendole un braccio per poterla accompagnare dentro casa, “Sono sicuro che tu abbia ricevuto sguardi ben più eloquenti di un altro tipo di sentimento dagli uomini. Lo sai, vero, che Dwight disapproverebbe moltissimo questa tua incursione a pochi giorni dal parto?”

“Vorresti dire che la mia presenza qui non è gradita?”

Il suo sguardo fintamente offeso lo fece sciogliere, “A lui, sicuramente no. Ma come potremmo noi non essersene deliziati?”

In cucina, Demelza sentì il bambino muoversi  energicamente nel suo grembo, mentre si piegava sul fuoco per mescolare il bollito di carne che avrebbe dovuto fare da ripieno all’impasto che aveva lasciato lievitare sotto un panno umido in previsione della cena. Prudie, infatti, aveva deciso di prendersi due settimane di riposo per guarire dalla lombalgia che l’aveva tormentata per un mese intero, concedendosi il lusso di dedicarsi dalla mattina alla sera al suo passatempo preferito, quando invece spettava a Demelza il diritto di oziare tutto il giorno nel suo letto.

Che natura completamente diversa che avevano! Ad ogni modo a Demelza non dispiaceva affatto tenersi impegnata e farsi aiutare da Jeremy e Clowance nelle faccende domestiche più divertenti e creative. Clowance non amava molto sporcarsi le mani ma, quando si trattava di dover fare da cavia agli esperimenti culinari della sua mamma, non si tirava mai indietro anche a costo di doversi guadagnare l’assaggio a furia di impastare la farina e sbattere le uova.

“Mamma, c’è zia Caroline in giardino!” Clowence fece la sua incursione in cucina col fiatone, sollevandosi in punta di piedi per avere una visuale più completa di ciò che era disposto sopra il tavolo, “Ha persino la pancia più grossa della tua! Ma perché questo nuovo cuginetto tarda tanto ad arrivare?”

“Mi meraviglia che tu sia così impaziente di avere un nuovo cuginetto ma non un nuovo fratellino!” Scherzò Demelza.

Clowence la guardò con gli occhi feriti di chi aveva appena ricevuto un rimprovero. Allora Demelza si rese conto di quel piccolo fraintendimento e fece il giro del tavolo per andare a rassicurarla, ma lei si gettò di slancio sulle sue gambe, sprofondando il viso nella morbida stoffa della sua gonna, “Non è vero, mamma! Io lo voglio il nuovo fratellino!”

Si chinò per abbracciarla, “Non ho mica detto che non lo vuoi! Lo so che sei una bambina buona e una sorellina adorabile, non preoccuparti. E grazie per avermi informata dell’arrivo di zia Caroline, tesoro. Potresti intrattenerla tu intanto che io mi sistemo?”

La bambina raccolse con entusiasmo l’invito e corse di nuovo da Caroline. La trovò intenta a conversare amorevolmente con Ross, mentre Jeremy, seduto a gambe incrociate in mezzo alla stanza, tentava inutilmente di fare da paciere tra i due cagnolini che si stavano litigando le briciole dei pasticcini sparse sul tappeto.

“Quindi per quanto tempo dovrai stare via a Londra, Ross?”

“Spero non per non più di un mese. Mi mortificherebbe terribilmente perdermi la nascita di mio figlio…”

“E’ comprensibile, ma credo che a Jeremy non dispiacerebbe prendere il tuo posto, dico bene caro?”

Il bambino si alzò da dove si trovava per andare a sedersi sulle ginocchia di suo padre, preso da un urgente bisogno di sentire la sua vicinanza. Ogni volta che Ross si recava a Londra per questioni di lavoro e lasciava a Demelza il controllo di Nampara, Jeremy sentiva la responsabilità di proteggere lei e la sua sorellina da qualsiasi pericolo e anche dalla solitudine di non avere accanto Ross, cercando di comportarsi come se fosse già un uomo. Per questo motivo l’assenza di suo padre incideva su di lui in maniera molto più profonda di quanto si potesse immaginare.

Jeremy sapeva nascondere bene la sua vulnerabilità, attingendo a tutto il coraggio che certamente non gli mancava per affrontare qualunque difficoltà con un sorriso trascinante e la compostezza propria di un combattente, ma sia Ross che Demelza erano in grado di leggergli dentro meglio di chiunque altro, pertanto quello che agli altri poteva apparire il ritratto della serenità per loro rappresentava soltanto una maschera.

Ross era sicuro che Jeremy sarebbe diventato un uomo migliore di lui, per l’equilibrio che riusciva a ristabilire in ogni circostanza, a dispetto del fatto che fosse ancora un bambino, e per la sua straordinaria sensibilità che nel futuro gli avrebbe permesso di entrare in empatia con gli altri, attraverso una diplomazia senz’altro migliore di quella che lui aveva cercato vanamente di esercitare nel corso della sua vita.

Così, con il piccolo Jeremy in braccio, Ross continuò a parlare del più e del meno, fino a quando Demelza non entrò nella stanza per unirsi a loro. Quando la vide, Caroline fece per alzarsi ma Demelza, consapevole più di tutti di quanto sacrificio le sarebbe costato abbandonare la posizione comoda in cui si trovava, la pregò di rimanere lì dov’era.

“Dobbiamo aspettarci l’annuncio a breve? Io e Clowance non vediamo l’ora di conoscerlo.” Indicò il ventre parecchio pronunciato.

Caroline le mandò un sorriso dal bordo della tazza di tè che stava sorseggiando, “Dovresti chiederlo a Dwight. E’ lui l’esperto nel settore, anche se non credo che manchi molto…”

“Sinceramente, io temo che possa nascere da un momento all’altro. Ma come ti è venuto in mente, Caroline? Ti ricordo che è già da un mese che il piccolo cerca di farti sapere quanto sia nervoso di venire alla luce!”

Caroline si limitò a scrollare le spalle, “Beh, io e il mio bambino avevamo bisogno di una passeggiata fuori porta, diciamo così. Mi ha promesso che si comporterà bene, non preoccuparti. Avete avuto notizie di George Warleggan di recente?”

“Dal tuo tono di voce, deduco che tu sappia qualcosa che invece noi non conosciamo, ho indovinato?” Ross andò dritto al sodo, sicuro che Caroline stesse cercando di stimolare la loro curiosità girando intorno al nocciolo della questione.

Intanto anche Clowance aveva deciso di riscuotere la sua dose giornaliera di coccole, acciambellandosi ai piedi della sua mamma per lasciarsi accarezzare i capelli, mentre lei, con l’altra mano appoggiata sul suo pancione, incoraggiava il bambino a concedercele una tregua allo scalpitio che percepiva regolarmente sin dall’arrivo di Caroline.

“Pare che abbia deciso di ridurre notevolmente l’eredità di suo figlio per andare ad arricchire la dote della piccola Ursula. Molti hanno visto dietro a questo gesto una sorta di affronto nei confronti di Valentine, ma nessuno riesce a spiegarsene il motivo.”

“Per me si tratta solo di un ignobile pettegolezzo.” Ross guardò Demelza, sapendo esattamente a cosa stesse pensando.

“Può darsi, ma sono già quattro mesi che Valentine vive praticamente da solo a Londra, mentre suo padre se ne sta felice e beato qui a Trenwith, senza curarsi di lui. A volte penso che George si comporti con lui proprio come ha fatto con tuo nipote, Ross. Quasi come se non fosse suo figlio, ma l’eredità lasciatagli da qualcun altro...”

Attese una risposta, ma dal silenzio che arrivò capì che non c’era più motivo di continuare quel discorso. Si alzò dalla poltrona e lasciò che Clowance le riportasse Horace al guinzaglio, “Avete visto che non è successo niente? Il mio bambino è molto più disciplinato di quanto credevate...”

Detto questo, se ne andò, lasciando Demelza piuttosto preoccupata per quanto appena sentito e Ross in preda ai suoi sensi di colpa per aver sottovalutato la gravità della situazione. Cenarono tutti insieme per salutare Ross prima della sua partenza, in quella che fu una cena serena ma contraddistinta da un forte sentimento di tristezza da parte di tutti.

La riunione che lo aspettava a Londra gli avrebbe permesso di trovare una scusa per avvicinarsi a Valentine senza correre il rischio di incontrare George, ma certamente Ross non poteva immaginare che, in quelle poche settimane che avrebbe dovuto spendere lontano dalla sua amata Cornovaglia, il piccolo Warleggan sarebbe tornato a Trenwith ancor prima del previsto.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Sophie Enys decise di nascere in una splendida giornata di fine luglio, battezzata da un sole senza ombre che brillava nel cielo di mezzogiorno come il vessillo di una battaglia appena vinta. Nelle ultime settimane, Dwight intimò a Caroline di ascoltarlo senza fare tutto di testa sua, impedendole di prendersi delle libertà rischiose sia per la sua vita che per quella della bambina, proprio come quando era andata a trovare Ross e Demelza per puro spirito di contraddizione nei confronti dei limiti che le erano stati imposti a causa dell'eccessiva stravaganza dei suoi capricci. La nascita della piccola filò liscia grazie all'assistenza del suo papà che, dopo essersi liberato dei panni del medico scrupoloso, fu molto felice di poter recuperare la sua identità di uomo per commuoversi alla vista del miracolo che stringeva tra le mani: l'amore per Sophie aveva finalmente alleviato il dolore per la perdita di Sarah e gli aveva regalato la promessa di una vita più completa e felice.

E se, raramente, Caroline si concedeva di piangere, questa volta l’appagamento totale che provò per l’arrivo di Sophie insieme al privilegio di potersi considerare di nuovo madre, dopo ore di sforzo fisico estremo e mesi di paure, riuscirono a rilevare tutta la sua segreta fragilità, rendendola una donna dalle mille e inaspettate sfaccettature.

A Nampara, Demelza ricevette la lieta notizia in una lettera scritta dal pugno emozionato di Dwight e decise subito di pianificare una visita per conoscere la neonata con Jeremy e Clowance, anche loro smaniosi di incontrarla per la prima volta. Naturalmente avrebbe aspettato che Caroline si fosse ripresa dalla fatica del parto prima di andare a Killewarren e congratularsi con entrambi i genitori, ma stranamente questa volta prestò ascolto alla prudenza che le diceva di mettere da parte la testardaggine, evitando di progettare una lunga camminata sin lì e rischiare decisamente troppo al nono mese di gravidanza. Ross, infatti, non ne sarebbe stato per niente contento, visti i precedenti di Demelza, e forse non le avrebbe consentito nemmeno di usare il calesse, preferendo di gran lunga che rimandasse la visita a dopo la nascita del loro bambino. Ma come potevano lei e i piccoli perdersi un evento del genere? E dopotutto chi poteva informarlo di questa scappatella tutto sommato priva di azzardi, dal momento che Ross si trovava ancora a Londra e non sarebbe tornato prima di un paio di settimane?

In realtà, Ross aveva già finito di adempiere ai suoi doveri politici nella settimana della nascita di Sophie e, ignaro della situazione, aveva fissato un impegno molto importante per il giorno precedente alla sua ripartenza, più che convinto che il piccolo si sarebbe degnato di aspettare il suo ritorno per nascere. Fu così che si recò presso la residenza londinese dei Warleggan, dove sapeva di trovare Valentine, per accertarsi delle sue condizioni psicologiche e salutarlo semplicemente da amico, offrendogli una compagnia che sperava potesse fargli piacere.

“Il padrone non comprende il motivo della vostra visita, signore.” Fu questa la risposta che ottenne, una volta annunciato il suo nome, ma per fortuna Ross non specificò chi desiderasse incontrare come forma di precauzione, nonostante nella sua testa avesse dato per scontato che George non fosse presente.

“Può comunicare al suo padrone che ho sbagliato indirizzo. Generalmente non tratto con i villani travestiti da signori…”

George, che si trovava nelle vicinanze, ebbe modo di ascoltare tutto, ragion per cui decise di mettere da parte il valletto e presentarsi davanti a lui per sfidarlo personalmente ancora una volta.

Non appena udì i suoi passi, Ross fece una smorfia, come se fosse sicuro che gli sarebbe apparso davanti da un momento all’altro. L’orgoglio dei Warleggan non avrebbe consentito che Ross se ne andasse senza una sua replica.

“Sai benissimo che questa è casa mia, che cosa ci fai qui? Credevo che avessimo chiarito tutto qualche mese fa.”

“Infatti, sei tu a non essere ancora abbastanza chiaro in quello che fai. Circolano delle voci sul tuo rapporto con Valentine che faresti bene a smentire e tu sai bene quanto alla gente piaccia ricamare su certe cose…”

George capì immediatamente a cosa si riferiva, “Quello che si dice in giro è completamente falso, quindi, se sei venuto per ascoltare una smentita ufficiale eccoti accontentato! Valentine è il mio erede a tutti gli effetti, poi se questo ti faccia piacere o meno non saprei dirlo con esattezza...Anzi, spero proprio che ti roda.”

Ross lo squadrò con disprezzo e fece per andarsene, quando George lo trattenne per chiedergli un’ultima cosa, “Tu cosa avresti fatto al posto mio, Ross?”
Ross si girò per poterlo guardare dritto negli occhi, “In questo caso non tocca a me rispondere a questa domanda. Tu hai già dimostrato di sapere quale fosse la cosa più giusta da fare, ma hai sbagliato il metodo e continui ad applicarlo nella peggiore maniera possibile. Chiediti piuttosto cosa penserebbe Elizabeth di come ti stai comportando con suo figlio, lasciandolo crescere lontano dall’unico genitore vivente che gli sia rimasto, sempre se scegli di continuare a credere in questa verità, e forse troverai la soluzione. Addio, George.”

Il piccolo Valentine, completamente all’oscuro di quanto fosse accaduto una settimana prima a kilometri di distanza da dove si trovava ormai da tempo, aveva convinto la sua governante a lasciarlo correre in giardino per giocare con qualche ramoscello secco a modi spada, mentre intorno lui vibrava una leggerezza che però non sembrava rispecchiare per nulla la sua vita. Da quando aveva fatto ritorno a Trenwith le lunghe giornate estive scorrevano tutte uguali, tranne che per qualche sporadico momento in cui poteva evadere dalle letture e dagli esercizi di scrittura per respirare un po’ di libertà. Quella domenica rappresentò un’eccezione davvero straordinaria, siccome il cancello era rimasto aperto e in quel momento nessuno si stava occupando di lui, Valentine ne approfittò per spingersi oltre e sfidare le regole.

Cercò di ricordarsi la strada che portava a quella proprietà dal nome buffo in cui aveva trascorso un paio di notti dopo l’incidente di gennaio, ma dovette fare molta attenzione a non scegliere il sentiero sbagliato per non perdersi, dal momento che l’aveva sempre percorsa in carrozza o sulla sella del cavallo di Ross, quell’ultima volta in cui lo aveva visto prima che lo riportasse da suo padre. Camminando lungo il sentiero, Valentine sorrise al pensiero che presto avrebbe potuto trovarsi di nuovo lì a parlare con Jeremy, rincorrere Garrick, sentire il calore di una vera famiglia e ovviamente provare quel bellissimo senso di semplicità e confidenza che la sola vicinanza di Ross e Demelza gli procurava.

La sua memoria non lo tradì, infatti non tardò ad arrivare a destinazione ma la timidezza lo frenò dal presentarsi immediatamente alla porta, rendendolo un lontano spettatore di quella meravigliosa immagine che aveva davanti. Garrick avvertì la sua presenza e iniziò a scodinzolare senza muoversi dall’angolino fresco di erba che con tanta fatica era riuscito a scovarsi. Valentine lo salutò con la mano e il desiderio di accarezzarlo gli diede il coraggio di avvicinarsi pian piano a lui anche perché, nel punto in cui il cane si trovava, non rischiava di essere visto con troppa facilità. Tuttavia, a un certo punto, l’ombra di tre viaggiatori che si preparavano a montare su un calesse per andare chissà dove sbucò improvvisa da un’uscita laterale della casa, un fatto questo che Valentine non aveva messo in conto, perciò il suo primo istinto fu di scappare e nascondersi dietro un albero.

“Tesoro, dove stai andando? Faremo tardi per vedere la piccolina…” Demelza, pronta per prendere il controllo delle redini del calesse con Jeremy seduto al suo fianco, non riuscì a frenare Clowance e convincerla a unirsi a loro per partire subito per Killewarren.

“Ho pensato, mamma, che a zia Caroline farebbe piacere mangiare qualcuna delle nostre mele.” Corse ancora più veloce verso il meleto, “Spero che Sophie sia dolce e succosa proprio come loro!” Gridò affinché potesse sentirla, inconsapevole che Valentine si trovasse proprio dietro l’albero a cui aveva mirato.

Clowance si fermò di colpo per prendere fiato, ma era ormai troppo vicina per non accorgersi di lui.

“Oh…” Lo vide rigirarsi tra le mani il ramoscello di legno che aveva portato con sé da Trenwith, con lo sguardo timido ma non eccessivamente spaventato.

“Tu sei Valentine, vero? Perché ti sei nascosto?”

Il piccolo si finse sicuro di sé, “Non mi sono nascosto. Avevo soltanto voglia di stare qui per un po’.”

Clowance inclinò il viso e sorrise, “Non c’è bisogno di inventarsi scuse. Per me puoi anche uscire allo scoperto se ti va…”

Aveva già avuto modo di conoscere quella capricciosa ma graziosa bambina dagli occhi blu, quindi decise di fidarsi di lei. Lentamente si espose all’attenzione degli altri due, continuando a osservare Clowance che racimolava da terra le mele migliori da portare alla puerpera.

Distratta da altro, Demelza non notò subito Valentine, al contrario di Jeremy che, impaziente di raggiungere sua sorella per scoprire chi fosse quel bambino che riusciva a scorgere da lontano, provò a liberarsi dal posto in cui era seduto ma, prima che potesse mettere il piede sul suolo reso secco dal sole, sua madre lo invitò a restare lì dov’era.

“Ma non hai visto chi c’è con Clowance? Potrebbe essere spaventata…”

Dopo aver messo a fuoco l’immagine di Clowance china a raccogliere le mele, Demelza dubitò che sua figlia potesse essere spaventata da come si stava comportando data la stessa allegria e naturalezza di sempre. Eppure quel bambino che le stava affianco, indeciso se aiutarla o meno, aveva l’aria di essere il figlio di un nobile e non di un semplice minatore o contadino che viveva da quelle parti.

“Mi aiuti a portarle fin lì, per favore?” Indicò il calesse da dove la sua mamma la guardava incuriosita, in attesa di una spiegazione.

Valentine annuì e insieme raggiunsero Demelza e Jeremy, quest’ultimo piacevolmente colpito dal fatto che si trattasse di Valentine.

“Buongiorno signora. Ciao Jeremy!”

Demelza rimase a bocca aperta, poi recuperò la facoltà di parola per chiedergli, “Valentine, ti sei perso? Tuo padre sa che sei qui?”

“Ho fatto due passi e mi sono ritrovato qui per caso. Mio padre è a Londra, quindi non lo sa.”

Demelza non sapeva cosa fare, non potendo dargli un passaggio perché era già in ritardo per l’appuntamento con Dwight e Caroline. L’unica soluzione che le si presentò in mente fu quella di prenderlo con sé e portarlo a Killewarren, dopo aver detto a Prudie di informare la tata che Valentine era al sicuro con lei e poi, una volta finita la visita, sarebbe stata lei stessa a riportarlo a Trenwith.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo XVII parte prima ***


Ross trascorse l’ultima settimana lontano da casa spostandosi da Londra in Cornovaglia ma fermandosi prima a Flamouth, in qualità di ospite di Verity e della sua adorabile famiglia. Almeno aveva ottenuto qualcosa da George, una rassicurazione che gli bastava per credere che avrebbe mantenuto la sua parola, evitando di manifestare pubblicamente il sospetto che nutriva verso Valentine. Questo gli rese più leggero il pensare a quel bambino, senza provare un profondo disgusto per l’ingiustizia che suo padre avrebbe potuto commettere nei suoi confronti, ma evitò di addentrarsi troppo nei meandri della riflessione sull’attuale condizione di Valentine in quanto sentiva che era una cosa che non lo riguardava e che, in fondo, sarebbe stato meglio così.

Il giorno in cui Ross partì per tornare dalla sua famiglia a Nampara fu proprio quello in cui Velentine, Jeremy, Clowance e Demelza si allontanarono da lì per andare a Killewarren. Lungo il tragitto Clowance e Valentine, seduti sul retro del calesse, ebbero modo di conoscersi meglio e questo a Demelza non dispiacque per niente, al contrario ne fu molto lusingata. In questo modo sentiva che, in maniera del tutto naturale, si stavano già ponendo le basi per poter rispettare la promessa morale fatta ad Elizabeth, coinvolgendo Valentine nel loro piccolo mondo, caratterizzato in primo luogo dalla semplicità ma anche da tanti altri valori che lui non avrebbe mai potuto scoprire altrimenti.

Caroline riuscì ad avvistare da lontano quel gruppetto variegato di individui e, quando finalmente arrivarono tutti sani e salvi a destinazione, corse loro incontro, dimostrando quanto si fosse ripresa velocemente dal parto a solo poche settimane di distanza. La piccola che aveva in braccio rimase perfettamente immobile e tranquilla nella sua copertina leggera, nonostante il movimento della sua mamma e il chiasso provocato dai bambini che si divertivano a farsi i dispetti tra di loro mentre scendevano dal calesse.

“Sophie, hai visto che esiste qualcuno ancora più avventato di tua madre? Guarda, è proprio qui davanti ai tuoi occhi e porta in grembo il tuo cuginetto, che mi auguro aspetti giusto il ritorno del suo papà per nascere…”

Jeremy, sua sorella e Valentine accerchiarono Caroline per tentare di vedere la bambina, sollevandosi in punta di piedi, ma non riuscirono a concludere nulla fino a quando non toccò a Caroline abbassarsi per mostrare loro Sophie in tutta la sua sofisticata bellezza.

“Mi sa che ha ereditato il carattere di Dwight. Guarda come dorme serena!”

Demelza si avvicinò e ammirò la bambina con un sorriso di tenerezza, “Finalmente avete di nuovo una creatura da amare e questo vale tutta la sofferenza del lutto che purtroppo c’è stato. Per quanto mi riguarda, invece, posso già intuire da chi abbia preso questo piccolo pulcino che si agita in continuazione da…Ahi, credo mi abbia sentita!” Si toccò la pancia, cercando di respirare regolarmente per tollerare l’acuta fitta di dolore che stava provando in quel momento.

“Va tutto bene, Demelza?”

“Sì, non è niente. Mi sto riprendendo, non preoccuparti e non dirlo assolutamente a Dwight! Altrimenti mi obbligherebbe a passare la notte qui e questa volta non posso proprio permettermelo….” Posò una mano sulla spalla di Valentine.

 “Hai notato chi si è unito a noi per vedere la nuova arrivata?”

Caroline spostò il suo sguardo allarmato da Demelza al piccolo Warleggan, “A dire il vero, me ne sono accorta solo dopo un po’. D’altronde si confonde bene tra Jeremy e Clowance, tanto che potrebbe essere scambiato addirittura per un Poldark, con tutti quei riccioli neri! Comunque, penso che anche Sophie abbia apprezzato il tuo gesto, caro Valentine.”

Non aggiunse nient’altro, guardandosi bene dal commettere qualche altra gaffe di cui si sarebbe potuta pentire amaramente, quindi invitò tutti quanti a raggiungerla all’interno della villa dove Dwight la stava aspettando, accovacciato ai piedi di una libreria mastodontica sul punto di finire di impacchettare i regalini che aveva acquistato per i piccoli ospiti.

Nascose i due libri di favole appena incartati dietro la schiena, così che Jeremy e Clowance non li vedessero subito, ma una volta voltatosi verso la porta si rese conto della presenza di Valentine e decise di ritardare ulteriormente il momento della consegna per riflettere meglio su come procedere dal momento che non aveva un volume anche per lui.

Allora lasciò che scivolassero sulla superficie di un tavolino che gli si stava proprio accanto e successivamente andò a salutarli, “Chi di voi mi da un bacio sulla guancia per primo si becca una bella ricompensa!”

Ovviamente fu Clowance l’unica a crederci e quindi anche l’unica a fiondarsi senza esitazioni su di lui, lasciandosi alle spalle tutti gli altri poveri scettici che avevano voluto perdere la loro occasione di vittoria. Dwight la prese in braccio e piano piano si inserì nell’allegra brigata capitanata da sua moglie, “Beh, visto che Clowance ha vinto, mi pare sia giusto che riscuota il suo premio…” E ricambiò il suo bacio, deludendola visibilmente.

Demelza, dopo aver scherzato sul fatto che Clowance fosse già una bambina abbastanza viziata a causa della debolezza che suo padre nutriva per lei e sottolineato che provocarla in quel modo avrebbe soltanto gettato aria sul fuoco, trovò sollievo al dolore che continuava a percuoterla accomodandosi sul morbido sofà che arredava la stanza, seguita a ruota da Caroline, anche lei desiderosa di riposarsi un po’ e di cedere la bambina a qualcun altro.

Caroline approfittò della situazione per chiederle un favore, “Demelza, la terresti tu per un po’? Non sembra, ma questa signorina pesa davvero tanto per essere una neonata!” Si massaggiò i muscoli delle braccia doloranti e poi contemplò Sophie sorridere beatamente, presa da sogni che sperava potessero essere i più belli possibili.

Demelza accolse tra le sue braccia la piccola Sophie e la cullò dolcemente, pregustandosi il momento in cui avrebbe dondolato il suo bambino. Quel gesto così intimo e familiare risvegliò in lei vecchi ricordi di momenti unici condivisi con Ross e si meravigliò di quanto le mancasse avere suo marito al suo fianco, ma riconobbe anche che, se Ross non fosse stato lì dov’era, lei non avrebbe potuto essere seduta su quel divano a coccolare Sophie, i suoi bambini si sarebbero annoiati a morte e Valentine non avrebbe avuto modo di liberarsi, anche solo per un paio di ore, dalla sua solitudine quotidiana. Tutto sommato poteva dirsi soddisfatta di essere riuscita nella sua impresa senza problemi, sfatando i pregiudizi che sicuramente avrebbero portato Ross a pensare che sarebbe stato meglio che lei non fosse uscita di casa.

“Beh, cosa ne pensate di Sophie?” Chiese Dwight ai tre piccoli marmocchi di cui aveva magneticamente catturato l’attenzione con i suoi modi affabili e gentili, per quanto ancora lievemente impacciati.

“Io penso che sia dolce e succosa come le mele che ho raccolto per lei da Nampara.” Disse Clowance, convinta che sarebbe stata Sophie la prima ad addentare quelle delizie. Demelza fece fatica a non ridere dell’ingenua sicurezza di sua figlia.

“Io, invece, sono sicuro che sarà una bambina molto più silenziosa di Clowance. Mi ricordo ancora quando frignava ogni ora perché voleva mangiare, menomale che quei tempi sono passati!”

Caroline decise di intervenire, “Jeremy, preparati perché presto quell’inferno ricomincerà da capo e forse anche Clowance capirà come si nutrono i neonati. I bambini non sono poi tanto diversi dai vitellini a cui hai dato da mangiare quel giorno in cui vi ho fatto visita, tesoro.”

Infine Dwight si rivolse a Valentine, “E a te come è sembrata?”

Il piccolo Warleggan esitò un istante, forse intimidito dalla cordialità che si respirava in quella casa, tanto diversa dalla rigida disciplina a cui era abituato, secondo cui doveva avere il permesso prima di parlare con una persona più grande di lui, “Non lo so, i bambini appena nati sono molto fragili. Ursula, la mia sorellina, mi dava sempre l’impressione di essere troppo delicata, come se potesse rompersi anche solo sfiorandola. All’inizio, infatti, soltanto papà poteva avvicinarsi a lei…”

Gli adulti furono scossi dalle parole che avevano sentito pronunciare da un bimbo di quasi sei anni, già vittima del trauma provocato dalla morte della sua mamma e dalla nascita prematura di Ursula, per non parlare delle fobie che George aveva contribuito a trasmettergli. Per mitigare l’inquietudine che fortunatamente i bambini non erano riusciti a percepire, Dwight stabilì che era arrivato il momento dei regali.

“Ho per voi dei piccoli doni che Sophie ha pensato di farvi per ringraziarvi della vostra visita, ma devo essere onesto nel dirvi che non ne ho per tutti e che si tratta di due libri di favole…”

“Non importa. Io posso avere tutto quello che desidero ogni giorno.”

Stranamente fu Clowance ad opporsi in maniera categorica alla risposta di Valantine, “No, non è giusto. Noi possiamo leggerlo insieme, vero Jeremy? Tua sorella è ancora troppo piccola per farlo, quindi quando ci incontreremo di nuovo tu ci racconterai quale favola ti è piaciuta di più.” Suo fratello annuì, completamente in armonia con il suo pensiero. L’enorme generosità che entrambi avevano dimostrato verso un bambino notevolmente più privilegiato di loro riempì d’orgoglio il cuore materno di Demelza.

Restituita la bambina ai suoi legittimi proprietari, i quattro pellegrini presero congedo dalla famiglia per dirigersi nuovamente a casa. Demelza avrebbe dovuto lasciare i suoi figli a Nampara per poi riaccompagnare Valentine a Trenwith, ma la sosta da Dwight e Caroline si era rivelata più lunga di quanto immaginato e il cielo soleggiato del pomeriggio aveva ormai iniziato a scurirsi per cedere il posto alla sera. Le contrazioni che aveva avvertito all’andata si erano rivelate sopportabili e irregolari, con pause piuttosto lunghe l’una dall’altra e ciò le aveva fatto sperare che fosse inutile ricorrere all’aiuto di Dwight, distruggendo tutti i piani che si era fatta per perdere tempo ad essere monitorata da lui. 

Tuttavia, arrivata in prossimità di Nampara, iniziò a sospettare che la cosa fosse davvero più seria del previsto, dal momento che il dolore aumentava d’intensità ad un ritmo preoccupante e non aveva nessuno che potesse proseguire fino a Trenwith al posto suo, nemmeno quella matta di Prudie che la sera continuava a fingersi malata, nonostante fosse guarita da un pezzo, insistendo nel credere che con le tenebre le sue povere ossa non sarebbero mai riuscite a reggerla in piedi. Perciò, con tutto il coraggio che aveva in corpo, Demelza esortò Jeremy e Clowance a scendere giù e filare dritti a casa in attesa che lei tornasse da loro.

Jeremy si voltò verso di lei e, nell’oscurità di quella sera, riuscì a leggere correttamente l’espressione di sofferenza celata dal suo solito sorriso rassicurante, “Ti sei stancata troppo, mamma. Non andare a Trenwith, Valentine può rimanere con noi per questa notte.”

“L’ho promesso alla sua governante. Cosa succederebbe se suo padre venisse a sapere di questo cambio di programma? Vai, Jeremy, e non temere per me.” Così, una volta assicuratasi che i due fossero entrati dentro, riprese le redini del calesse e guidò il suo cavallo nella direzione prestabilita, pregando affinché si trattasse, nella migliore delle ipotesi, di un falso allarme o se non altro di una gestibilissima e innocua fase di pre-travaglio.

La luce delle candele che filtrava attraverso le tende delle finestre raggiunse Ross, il quale non ci mise molto a convincere Darkie a galoppare più veloce per arrivare subito a casa. Erano passati meno di dieci minuti da quando Demelza e Valentine erano partiti, ma Jeremy ancora non si rassegnava ad accettare le promesse di sua madre e aspettò di vederla tornare il più presto possibile.

Per un momento credette di aver sentito il suo cavallo, ma quando ricordò di non aver udito il rumore delle ruote del calesse perse ogni speranza, “Clowance, secondo te cosa dovremmo fare? Smettila di leggere quel libro e cerchiamo di ragionare insieme!” La bambina chiuse il volume e si alzò da terra, leggermente assonnata e con la testa per niente occupata da quello che sarebbe potuto succedere alla sua mamma, ma obbedì comunque all’ordine del fratello.

Nel frattempo, sistemata Darkie nella stalla, Ross si accorse della mancanza dell’altro cavallo e del calesse, di cui rimaneva soltanto un telo che generalmente veniva usato per proteggerlo dalla polvere o dalla pioggia. Eppure doveva esserci per forza qualcuno dentro casa…

Bussò alla porta cercando di mantenere la calma, ma i bambini, evidentemente spaventati, rimasero fermi con le mani strette l’una nell’altra senza proferire parola. A quel punto Ross fu costretto ad alzare la voce per farsi sentire, “Prudie? Mi puoi aprire, per favore? Demelza, cosa diavolo è successo? Dove siete finiti tutti quanti?”

Lentamente la porta si aprì, svelando le faccine tese dei due bambini, “Papà, scusaci ma voi ci dite sempre di non aprire a nessuno se non siete in casa. Siamo contentissimi che tu sia tornato!” Jeremy lo abbracciò così forte che Ross faticò parecchio a tranquillizzarlo e dovette contemporaneamente accarezzare la testolina di Clowance che, pur non avendo capito la portata della preoccupazione di suo fratello, incominciò a piangere come una fontana, stringendosi all’altra gamba di Ross.

“Dov’è la mamma, Jeremy? Ti prego, non dirmi che ha preso il calesse…” Il piccolo diede un’occhiata a sua sorella, incerto su come procedere. Ross capì da quel tentennamento che aveva indovinato e che quella pazza di sua moglie era finita nuovamente nei guai.

“E’ da sola o c’è Prudie con lei?”

“Non è da sola, ma non penso che la persona che sta con lei possa aiutarla. La mamma non stava bene quando ci ha lasciati, anzi respirava in maniera strana e a volte si lamentava. Lo so che ti arrabbierai se ti dico cosa abbiamo fatto questo pomeriggio…” Ross scosse la testa, in attesa di ulteriori dettagli.

Jeremy proseguì, “Beh, siamo andati a trovare la piccola Sophie con il calesse. Abbiamo tardato a partire perché c’è stato un incontro inaspettato che ci ha fatto molto piacere, forse se ti dicessi di chi sto parlando tu non la penseresti allo stesso modo.”

“Chi è?”

Clowance sentì il dovere di raccontare personalmente quella parte della storia che l’aveva vista protagonista più di tutti gli altri, “E’ Valentine. Mentre io andavo a raccogliere un po’ di frutta da portare agli zii, lui si era nascosto dietro un albero di mele. E’ stata la mamma a chiedergli se voleva venire con noi e io penso che abbia fatto bene!”

“E adesso, che fine hanno fatto?” Si tenne per sé le considerazioni in merito al fatto che Demelza avesse sbagliato clamorosamente ad incoraggiare Valentine a seguirli.

“Lo ha riportato a casa sua, perché ha detto che se no suo padre si sarebbe preoccupato per lui.”

Ross pensò a rimanere lucido e a non lasciarsi prendere dal panico, “Vado a riprendermela. Voi siete due bambini coraggiosi e molto più saggi di vostra madre, quindi non abbiate paura e rimanete nella stanza di Prudie con Garrick. Torneremo insieme, ve lo prometto.”

I bambini gli dimostrarono di aver capito perfettamente e, dopo aver dato loro un bacio sulla fronte, Ross uscì di nuovo per prendere Darkie e andare alla ricerca di Demelza, fiducioso che Jeremy avesse ingigantito la cosa. Si diresse verso Trenwith con una sensazione mista di paura e rabbia, per una serie di motivi che non avrebbe mancato sicuramente di rimarcare a Demelza sulla strada di ritorno per Nampara.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo XVII parte seconda ***


Valentine e Demelza riuscirono ad arrivare al cancello che proteggeva l’antica casa dei Poldark con estrema difficoltà, tanto per lei quanto per lui, che non capiva a cosa fosse dovuto il dolore che la portava a stringere sempre più forte le redini del calesse, combinando quel gesto a delle urla soffocate, chiaramente trattenendosi dal lamentarsi ad alta voce per non farlo spaventare. Demelza fermò il cavallo e fece sì che il calesse si arrestasse proprio di fronte all’elegante inferriata dell’edificio, ma si accorse di avere le gambe bagnate e dovette riconoscere di essersi cacciata davvero in un bel pasticcio.

“Valentine, credo che tra poco potremmo non essere più soltanto noi due qui sopra…”

Il bambino immaginò che si stesse riferendo al piccolino che stava nella sua pancia, “Posso chiamare la mia balia e dirle di aiutarti oppure dimmi tu cosa posso fare. Ma non trattenerti dal voler urlare per me, se ti fa stare meglio fallo pure!”

Demelza trovò la forza di sorridere, “Grazie, tesoro. Credo che la cosa migliore da fare sia avvisare qualcuno lì dentro che c’è una donna che sta per partorire e poi, se ti va, correre a Nampara per ordinare a Prudie di alzarsi da quel maledetto letto e avvisare Dwight di venire immediatamente. Ti ricordi di lui, vero?”

Valentine non se lo fece ripetere due volte, si precipitò dentro casa spiegando tutto a Catherine, la bambinaia assunta da George per badare principalmente a Ursula, la quale corse subito a preparare la stanza degli ospiti per poter accogliere Demelza. Poi dispose che le cameriere preparassero acqua calda e asciugamani puliti e successivamente si fece accompagnare nel punto esatto in cui si trovava la partoriente da un Valentine sagacemente provvisto di torcia.

Demelza fu lieta di vedere una donna accorrere in suo aiuto e iniziò a tranquillizzarsi. Questo era realmente l’ultimo scenario che avrebbe mai potuto immaginarsi per la nascita del suo quarto figlio.

“Catherine ti aiuterà, fidati di lei. E’ bravissima con noi, quindi ti lascio in mani sicure. Vado…”

Tenendosi appoggiata alla balia, Demelza fece un passò in avanti verso di lui, “Non lasciarti mai prendere dallo sconforto, perché tu sei un bambino molto speciale e potrai contare sempre su di me. Grazie per tutto quello che stai facendo per noi, Valentine.”

Ross si trovava ormai a metà strada quando intravide davanti a sé una figura particolarmente bassa avvicinarsi con in mano una flebile luce per illuminare il suo cammino. Andava a passo svelto, come se scappasse da qualcosa o cercasse disperatamente qualcuno per essere soccorso.

“Serve aiuto?” Urlò per farsi sentire.

“Sì, ma tu chi sei?”

“Piuttosto, dimmi tu chi sei…” Ross strinse gli occhi, cercando di capire se la voce che aveva sentito appartenesse davvero a quello che credeva un bambino.

Finalmente arrivò il momento in cui furono abbastanza vicini da riconoscersi a vicenda. Rimasero immobili a fissarsi, poi Valentine accennò un sorriso, “Ciao Ross, credevo che non ti avrei mai più rivisto…”

Ross scese da cavallo e si avvicinò ancora di più al piccolo, “Almeno ho trovato uno dei due! Cosa ci fai qui da solo e dov’è mia moglie?”

“Mi ha mandato da Prudie per dirle di avvertire il medico. Lei è una donna forte, ha anche provato a resistere ma poi ho dovuto chiamare Catherine perché stava troppo male.”

“O mio Dio! C’è per caso quell’imbecille di Tom Harry a controllare Trenwith, questa sera?”

“No, è ancora a Londra con mio padre.”

Ross soffiò sulla fiamma che Valentine aveva con sé e, dopo avergli accarezzato la guancia, lo fece montare sulla sella e insieme corsero a Killewarren.

Demelza era pronta a partorire suo figlio, sdraiata sul letto di quella famosa stanza in cui lei e Ross avevano trascorso il primo Natale della loro vita coniugale. Nei momenti di tregua il ricordo della felicità di quel giorno, quando era incinta di Julia e del sollievo provato dopo aver annunciato a Ross la sua seconda gravidanza, in un’atmosfera natalizia tristemente più cupa della precedente, contribuì a ricaricare le sue energie in attesa di conoscere il nuovo bambino. Era ai suoi figli e a Ross che pensava durante le fasi più acute del travaglio, all’amore immenso che provava per loro.

Si contorse nel letto e afferrò con forza le lenzuola, mentre la dolce Catherine faceva del suo meglio per incoraggiarla a non mollare, tenendole spesso la mano. Da lontano riusciva a sentire il pianto di Ursula, cui forse mancava la sua adorata tata, nonostante qualcun altro la stesse accudendo nella sua cameretta. Sebbene le due situazioni non fossero paragonabili, Demelza ripensò alla notte in cui Elizabeth morì dando alla luce proprio quella piccolina che singhiozzava da lontano. La storia del parto prematuro di Elizabeth aveva delle falle piuttosto evidenti, ma rimaneva il fatto che la sua morte fosse un evento indicibilmente tragico e immaginare di poter subire la stessa sorte la fece spaventare parecchio.

“Signora, mi da il permesso di controllare a che punto siamo? Sono stata una levatrice in passato e ne capisco di queste cose. Lei mi sta dando l’impressione di voler aspettare prima di iniziare a spingere, ma se il bimbo vuole nascere…”

Demelza scosse la testa, “Mi scusi, ma preferirei aspettare che arrivi il mio amico. Avere un viso conosciuto mi aiuterebbe di più a calmarmi, però non pensi che non mi fidi di lei, anzi la ringrazio davvero…ahi, accidenti! Ma non so per quanto ancora posso andare avanti così!”

Dwight arrivò giusto in tempo perché la scorta di sopportazione di Demelza non si esaurisse completamente. Il medico fu l’unico ad essere ammesso nella stanza, mentre Ross e Valentine dovettero aspettare nel corridoio. Pochi istanti dopo, il medico aprì la porta e la socchiuse nuovamente per parlare con Ross, “Hai sposato una donna testarda, amico mio!” Si rivoltò le maniche della camicia per poter procedere più comodamente all’assistenza della sua paziente.

“Lei sa che sono qui?”

“Dai, sbrigati ad entrare! Tra non molto sarai di nuovo padre…”

Dwight rimase con Valentine e lo esortò ad andare nella camera di Ursula, ma lui protestò per rimanere. Allora Ross gli disse che sarebbe tornato da lui non appena avesse finito di parlare con Demelza. Anche lui fu sommerso da tanti ricordi, memorie dolorose di un’ultima notte trascorsa in quella stanza con il peso della responsabilità di avere un altro figlio da crescere e il dubbio di non aver ancora smesso di desiderare la moglie di suo cugino.

Inizialmente, Demelza non lo vide perché teneva gli occhi chiusi per rilassarsi. Catherine gli cedette il posto e allora, temendo di rimanere sola, aprì istantaneamente gli occhi provando un incredulo piacere nel riconoscere l’uomo che le stava accanto, “Ross…lo so quello che pensi. Hai tutto il diritto di essere furioso con me.” Si inumidì le labbra secche con la lingua e pregò l’anziana governante di darle un bicchiere d’acqua.

Ross le sistemò i capelli scompigliati e la baciò intensamente sulla bocca, “Tu non immagini quante cose spiacevoli vorrei dirti, ma adesso hai una scusa più che sufficiente a convincermi di rimandare a un momento più opportuno.”

Demelza cercò la sua mano e intrecciò le dita nelle sue, “Ti amo, Ross.”

“Ci credo, perché so di amarti allo stesso identico modo. Coraggio, c’è una nuova vita che freme di nascere e tu glielo stai impedendo…”

Dwight fu costretto a interrompere i loro prolungati scambi di effusioni per evitare che il feto ne risentisse, “Ora devi andare. Ci penso io a questi due!”

Ross e Demelza si guardarono per un’ultima volta sorridendosi a vicenda, poi lui tornò da Valentine e lei consentì finalmente a Dwight di intervenire per aiutarla a partorire, dal momento che le spinte erano diventate ormai inevitabili.

Valentine finse di non accorgersi che Ross stava piangendo, mentre si accomodava accanto a lui su un divanetto attaccato alla parete del corridoio.

“Come sta?” Chiese il piccolo.

“Meglio di quanto mi aspettassi, grazie a Dio! Dobbiamo tutto a te, Valentine.”

“Ho semplicemente ricambiato il favore che tu mi hai fatto e quindi adesso siamo pari. Se mio padre non ti ha nemmeno ringraziato per avermi salvato la vita, tocca a me rimediare ai suoi errori. Penso che anche la mia mamma lo avrebbe fatto.”

Elizabeth, quel nome risuonava in continuazione nella testa di Ross da quando aveva nuovamente messo piede nella casa in cui l’aveva vista per l’ultima volta. Tuttavia, l’immagine di Elizabeth che custodiva ancora dentro di sé non aveva niente a che vedere con il suo corpo inerme adagiato su un letto di morte, tutt’altro: era un’immagine senza tempo e senza spazio, costruita sul ricordo della freschezza indimenticabile del primo amore e della bellezza che purtroppo aveva portato via con sé. Ross, come Valentine, aveva dovuto dire addio a sua madre quando era ancora un bambino e vivere facendo a meno di una delle figure più importanti della sua vita, ma di certo non aveva avuto anche la sfortuna di avere un padre come George.

Di fatto, Valentine aveva già una vita molto diversa da quella che lui aveva vissuto, eppure l’esperienza di avere un padre come Joshua gli era valsa tutto il prezzo della povertà , se confrontata a un’esistenza patinata e vuota di contenuti fondamentali, come la generosità, il rispetto, la clemenza e l’amore. Come sarebbe diventato da grande quel bambino? Se in lui scorreva il suo stesso sangue e quello di Elizabeth, almeno in teoria, non avrebbe dovuto preoccuparsi più di tanto, ma la sensibilità dei bambini risente dell’influenza degli adulti che stanno loro accanto, non deriva soltanto dalla genetica.

“Un tempo io e tua madre eravamo molto amici, poi siamo addirittura diventati parenti. Ti dico questo perché se ti interessa sapere qualcosa di più su di lei io potrei raccontarti delle storie, nelle rare occasioni che avremo di incontrarci in futuro. Penso che tu abbia capito che io e tuo padre non andiamo per niente d’accordo…”

Il bambino annuì, tenendo gli occhi bassi, “Sì, lo so. Quando domani saprà cosa ho fatto si arrabbierà moltissimo con me e con Catherine.”

“Deve proprio saperlo?” Gli fece l’occhiolino.

Ci fu un silenzio improvviso che allarmò entrambi. In realtà Demelza era stata discreta nel manifestare il dolore atroce che stava affrontando, ma Ross sapeva precisamente quale significato attribuire a quella quiete. Dwight, infatti, apparse poco tempo dopo sereno e felice, accompagnato dalle urla del neonato che aveva aiutato a far nascere.

Ross scattò in piedi, mordendosi le labbra per trattenere l’emozione, “Allora?”

“Credo che Clowance non ne sarà entusiasta. Posso congratularmi con il papà della bellissima bambina che è appena nata?”

Valentine rimase seduto sul divanetto, con un’espressione di sollievo enorme. Dwight si intrattenne di nuovo con lui intanto che il neo papà andava a conoscere la sua piccolina.

“Dwight te l’ha detto?” Demelza si illuminò in viso nel vederlo entrare lì dentro.

“Cosa posso dire? E’ una vera Poldark, nata casualmente nella più antica casa rappresentativa della mia famiglia. Posso salutarla oppure la vuoi tenere tutta per te?”

Demelza aveva un’aria pacifica ed esausta al tempo stesso, pur rimanendo incantevole come sempre. Consegnò la bambina al suo papà, invitandolo a sedersi vicino a lei.

“Mi dispiace che i bambini non possano vederla subito. Sarei molto felice se tu andassi a prenderli…”

"Valentine mi ha detto che George dovrebbe tornare domani, quindi perchè no?"

Ross sfiorò con un dito il nasino di sua figlia, accorgendosi di quanto già gli somigliasse. Questa analogia non sfuggì neanche a Demelza, “Suppongo che tu stia godendo immensamente in questo momento. Dopo Clowance, bramavi una femminuccia identica a te, negalo se ne hai il coraggio!”

“Hai detto bene, mi compiaccio immensamente di questa cosa. Ma come faccio a non amare anche una bambina che è identica alla donna che amo oltre ogni cosa al mondo?”

“Ed io un bambino che è spiccicato a suo padre. Jeremy sarà sempre la mia gioia…”

Demelza sospirò e appoggiò la testa sulla sua spalla, “Valentine è straordinario, Ross. Spero che tu lo riconosca, dopo quello che è successo.”

“Sfortunatamente è impossibile cambiare quello che sarà il corso della sua vita, lo sai..”

Demelza si lasciò sfuggire una lacrima amara, “Non oso chiedere tanto, ma posso dirti che cercherò in qualsiasi modo di aiutarlo qualora ne avesse bisogno. Per quanto possa sembrarti impossibile.”

Ross sorrise sarcasticamente, “No, non ho bisogno di garanzie per sapere che quando ti ostini a fare una cosa, nemmeno la ragione può farti cambiare idea...” La baciò con intenso trasporto, dimenticandosi di tutta l’angoscia che aveva provato una volta scoperto il suo folle piano e le conseguenze che ne erano scaturite.

“Ti va che sia lui il primo a vedere nostra figlia?” Come c'era da aspettarsi la sua risposta fu affermativa, dunque Ross rimise la neonata tra le braccia di Demelza, sforzandosi di staccarsi da lei, ormai perdutamente innamorato di quel pulcino.

“Aspetta, non le abbiamo ancora dato un nome!” Ross si fermò sull’uscio della porta.

“Io sono del parere che possa provarci anche lui. Chiamalo, potrebbe proporre qualcosa di inaspettato.”

Ross lanciò un’occhiata nel corridoio, pur rimanendo nella stanza. Vide che Valentine aveva cambiato completamente il suo stato d’animo e questo lo indusse a nutrire per lui un affetto che non aveva mai provato prima.

“A Demelza farebbe piacere presentarti la nostra bambina.” Gli fece segno di avvicinarsi e, quando il piccolo si ritrovò a un passo da lui, lo prese per mano per introdurlo nella stanza. Quel semplice gesto inondò Ross e Valentine di un’inaspettata felicità.

“Ciao, avvicinati ancora di più…da lì non riesci a vederla bene.” Demelza allungò una mano per convincerlo a sfidare la sua paura e toccare la neonata, per dimostrargli che avrebbe superato quella prova egregiamente, senza forzature ma con la più ferma convinzione che, in pochi istanti, lei sarebbe riuscita a fargli cambiare idea su quanto aveva detto a Killewarren.

La dolcezza con cui Demelza si rivolse a lui lo spinse a fidarsi di lei e a sistemarsi sul letto per apprezzare meglio l’incanto del prodotto del loro amore, “Quindi ci è andata bene, per fortuna!” Posò un bacio sulla fronte della bambina, come se fosse sua sorella.

“Certo! Soltanto per merito tuo, Valentine. Sei ancora troppo piccolo per capire quanto sia importante quello che hai fatto in modo che accadesse oggi, in questa casa fonte di ricordi infelici e meravigiosi al tempo stesso…”

Valentine si rivolse a Ross, “Spero di avere la fortuna di incontrarvi di nuovo. Salutatemi Clowance e Jeremy e dite loro che mi hanno dato tanto nel poco tempo in cui ci siamo conosciuti e che mi piacerebbe che mantenessero una buona opinione di me, anche se non dovessimo vederci per mesi o addirittura per anni.” Fece per andarsene, ma Ross lo fermò.

“Questa piccola peste non ha ancora un nome. A te come piacerebbe che si chiamasse?”

Valentine si portò un dito alla bocca, riflettendo attentamente su cosa dire, “Quando ho aperto il libro che mi ha dato Clowance, sono stato catturato subito dal titolo di una favola. Magari è un segno, non lo so, ma ha qualcosa a che vedere con il nome della mia mamma, in un certo senso…”

Ross sbiancò per l’eventuale reazione di Demelza, sicuro che non avrebbe mai accettato di chiamare sua figlia come l’amante di suo marito. Tuttavia, Demelza non si scompose e incoraggiò Valentine a continuare.

“La storia si intitola: ‘La rosa di Isabella’ "

Demelza contemplò la creatura che aveva in braccio e dichiarò con entusiasmo, “Sì, Isabella è una bellissima variante di Elizabeth e io amo le rose, non è vero Ross? Mi ricordano una vecchia canzone che, tanto tempo fa, dedicai all’unica persona di cui mi sono davvero innamorata nella mia vita.”

“Isabella Rose suona bene.” Disse Ross, emozionato e quasi sul punto di piangere di nuovo.

Da quello sguardo lucido, Demelza riuscì a capire cosa stesse pensando e sentì il bisogno di dargli una spiegazione, “Ross, nella vita tutto si trasforma. Per te questo nome sarà l’inizio di una definitiva forma di accettazione e di evoluzione dell’amore che provavi per lei, mentre per noi sarà la conferma del sentimento che ci legherà per sempre e che, grazie alle tempeste più burrascose che abbiamo superato, si è fortificato sempre di più. Se ci pensi, Isabella Rose è la sintesi perfetta della nostra storia d'amore.”

L’indomani sarebbe stato un ritorno alla routine per Valentine, ma l’aver vissuto quell’episodio così eccitante e ricevuto tanti onori da parte di due persone di cui provava una stima smisurata lo spinse a vedere con ottimismo il suo domani. Il tempo non avrebbe mai cancellato il cambiamento emotivo che la sua vita aveva subito grazie a quei due individui: la neve dell’inverno si era arresa al calore del sole, portatore di una sconosciuta primavera, e il fiore che Ross aveva trovato a limite della morte in una fredda carrozza nel mese di gennaio aveva finalmente iniziato a sbocciare, innaffiato da un amore di cui non aveva mai sentito parlare prima di allora.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3737473