La magia del sangue

di edwardchristopher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 - "Si torna a casa"


Ma dove sono finita? In questo posto non c’è anima viva e io ho sete. Come dovrei fare? Neanche uno scoiattolo, un coniglio … niente di niente. Saranno tutti morti? Chissà.
La mia macchina mi ha lasciato a piedi e adesso sono stranamente stanca. Non mangio da due giorni, ho bisogno di bere. Questa strada buia e nel bel mezzo di un bosco dovrebbe spaventarmi e forse un po’ è così, ma mi spaventa solo perché è deserta e io ho bisogno di qualcuno, mi basta qualsiasi essere vivente. Non fraintendetemi, preferisco di gran lunga gli umani, ma in questo caso, mi va bene qualsiasi cosa, qualsiasi cenno di vita.

Il rombo di una macchina alle mie spalle, mi fece spostare verso l’esterno della strada: finalmente qualcuno. Mi avvicinai all’autovettura, ormai ferma, dal lato del guidatore e bussai sul finestrino, in modo che l’uomo all’interno lo abbassasse.
Non ci vedevo più dalla fame, quindi mi avvicinai al guidatore e il mio istinto fece da sé.

La mia vecchia casa era sempre la stessa, dopo tanti anni, era rimasta sempre la stessa e quasi mi turbava questo particolare. Qualcuno deve abitarci, altrimenti non sarebbe stata così curata.
Avvicinandomi alla porta, notai la targhetta con su scritto “Harris” Beh, il cognome è ancora quello.
Una signora alta, con capelli corti scuri e con la pelle quasi color latte, mi aprì la porta.
«Paige?», chiesi con tono sorpreso. Come faceva a essere lì? Viva e vegeta dopo tutto questo tempo? Andai via proprio pensando che non ci fosse più nessun mio parente qui.
«Alice?», rispose lei altrettanto sorpresa.
«Come fai a stare ancora qui? Anche tu …»
«Ssshh. Entra, Jake è di là, perciò andiamo in camera.», mi interruppe lei con fare sospetto. Anche lei era come me, ne ero sicura, ma nessun’altro lo sapeva evidentemente.

«Cosa sta succedendo, Paige?», mi limitai a chiedere una volta entrate in camera.
«Non te l’ho detto, ma anche io sono ormai una … hai capito cosa.», risponde lei sottovoce.
«Sì, ho capito. Ma come, quando e, soprattutto, perché?», stavo per infuriarmi, come poteva esserlo anche lei?
«Logan, lui è stato. Venticinque anni fa stavo morendo e lui mi ha salvata. Qualche anno fa però, è stato ucciso e io e Jake siamo soli adesso.», rispose lei asciugandosi una lacrima nell’angolo dell’occhio prima ancor che cadesse.
«Chi? Logan? Ma io sapevo fosse morto già molto prima. Come è possibile?», continuai a chiedere per avere più informazioni.
«Non so niente di cosa sia successo quel giorno quando tutti dicevano che era morto, so solo che un paio di mesi dopo, è tornato e siamo restati insieme.», concluse lei con un sorriso nostalgico.
«Non capisco, ma va bene, ti credo.», risposi anche io con un sorriso.
«Tu cosa ci fai qui?», continuò Paige asciugandosi un’altra lacrima.
«Sono ritornata. Questo posto mi mancava e poi qui, tutti sono molto dolci, mi piacciono.», esclamai leccandomi involontariamente le labbra.
«Cosa? Oh no Alice, non puoi far male a questa gente!», affermò Paige quasi come fosse una minaccia.
«Io faccio quello che mi pare e, poi, chi me lo impedirebbe? Tu?», chiesi innervosita guardando con crudeltà la mia carissima pro-pro-pronipote.
«Ma è un piccolo paese, innocente. Non puoi divertirti altrove?», quasi mi pregò lei.
«Ho voglia di stare qui, adesso. Dovevo restare nella mia casa, ma a quanto pare è occupata.», dissi prima di alzarmi e indirizzarmi alla porta per uscire.
«Quindi dove andrai?», s’interessò Paige.
«Non lo so, deciderò per strada. Ci vediamo, nipote.», quindi uscii di casa e m’incamminai verso il centro del paese. La fame non era ancora passata.

«Cosa desidera?», mi chiese la ragazza dietro il bancone del bar.
«Uno scotch.», risposi guardando altrove. Osservavo le varie persone presenti nel locale, alcuni sembravano simili a vecchi amici –e forse capisco il motivo-, altri invece non li avevo mai visti prima, cosa comprensibile. Un ragazzo, seduto ad un tavolo, continuava a fissarmi, comprensibile anche questo, ero abituata ai ragazzi che non facevo altro che guardarmi, alcuni ci provavano direttamente, altri rimanevano distanti. Questo, stranamente mi piaceva, perciò abbassai lo sguardo sorridendo, fingendo di essere imbarazzata ma interessata a lui. Come previsto, lui si alzò all’istante con un ghigno sul volto e si avvicinò al bancone.
«Ciao!», disse lui con il solito ghigno.
«Ciao.», risposi io con finto imbarazzo e portandomi il bicchiere di vetro alle labbra.
«Sei davvero una bella ragazza, lo sai?», continuò lui. Squallido, un tempo le ragazze si rimorchiavano in modo completamente diverso. La fame, però, mi fece stare al gioco.
«Oh, tante grazie, anche tu sei davvero carino.», esclamai sorseggiando lo scotch. Non mi era per niente difficile ingannare quello stolto.
«Ti va di uscire di qui e andare in un posto più tranquillo?», mi chiese con il suo sfacciato sorrisetto sul viso. Mi stava rendendo le cose molto più semplici del previsto, ma lui non se ne rendeva conto.
«Certo. Mi paghi tu quello che ho preso?», chiesi ammaliandolo con il mio sorriso.
«Sì, dolce donzella.», rispose lui ridacchiando. Bei tempi quelli in cui si usava parlare davvero così alle donne.

«Te l’ho già detto che sei bellissima?», chiese iniziando a baciarmi sul collo.
«Sì, già detto.», risposi io facendo finta che provavo piacere al suo tocco. In realtà, non era per niente dolce né delicato. Non avrei resistito ancora per molto.
«Te lo ripeto: sei bellissima.», esclamò sbattendomi con forza al muro e cercando di approfittare di me sbottonandomi la camicia che indossavo. La fame mi rendeva le cose terribilmente difficili, mi bastò quel gesto a farmi perdere il controllo.
«Sei squallido, stupido.», affermai spingendolo via leggermente. Lui mi guardò sorpreso.
«Come scusa?», esclamò avvicinandosi con fare minaccioso. Io abbassai lo sguardo fingendomi impaurita –questa recita era durata fin troppo. Alzai di scatto i miei occhi, adesso completamente neri e contornati da vene, e sfoderai i miei canini appuntiti, quindi mi fiondai sul suo collo e mi nutrii.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2 - "Non poteva essere reale"

Era tardo pomeriggio e decisi di incamminarmi per andare da un benzinaio a procurarmi della benzina per recuperare la mia macchina ancora in strada appena sulle “porte” di Lancaster.
«Ecco a te, sono 25$.», mi disse il benzinaio porgendomi un contenitore verde.
Dopo avergli dato i soldi necessari, mi voltai e m’incamminai verso la strada nel bosco, sperando di ritrovare la macchina ancora lì.
Passarono quindici minuti e finalmente riuscii a vederla in lontananza, mi era mancata. Purtroppo, qualcuno le girava attorno, la stava analizzando. Sapevo cosa avrebbe voluto fare, ma non glielo avrei permesso. Stronzo, la mia macchina non si tocca.
Iniziai a correre e in un attimo –in un vero attimo- mi ritrovai vicino il ragazzo. Divertiamoci un po’.
«Hey.», dissi appoggiando il contenitore a terra. Il ragazzo si girò di scatto, spaventato.
«Ma chi sei? Mi hai spaventato.», mi rispose lui. Io corsi subito dietro di lui, non era riuscito a vedermi –logicamente.
«Non è importante chi sono. Cosa stai facendo qui?», chiesi all’improvviso, si spaventò ancora una volta.
«Ma come diavolo hai fatto?», mi chiese questa volta lui, girandosi di scatto.
«Rispondi alla mia domanda.», gli chiesi di nuovo correndo dietro di lui.
«Io … niente, n -non stavo facendo niente di male.», balbettò voltandosi terrorizzato.
«Quindi non stavi cercando di rubarla?», chiesi ancora una volta.
«No … è una bella macchina e la stavo osservando.»
«Peccato, avrei potuto aiutarti.», continuai con finto dispiacere.
«Cosa?», mi chiese lui sorpreso. Non risposi.
«Beh, se la metti così … sì, stavo provando a rubarla. Come hai intenzione di …», non gli feci completare la frase che mi lanciai sul suo collo. Non avrebbe dovuto dirlo, che stupido.

Pulendomi con il dorso della mano qualche goccia di sangue vicino le labbra, salii nella mia bellissima Audi R8 blu come la notte. Il rombo del motore mi fece chiudere gli occhi per assaporare la sua delicatezza ma nello stesso tempo la sua superiorità.

Erano ormai le sei del pomeriggio e non sapevo ancora dove sarei andata a dormire quella notte o quelle successive. Avrei potuto affittarmi una camera in un motel ma non sarebbe stato un alloggio adatto a me.
Paige. Una vampira. Logan. Stupido con un bel nome. Non avrebbe dovuto trasformarla. La casa, così sarebbe rimasta libera e io non avrei avuto quei problemi.
Ma forse una soluzione c’era, la più adatta ad una come me. Chissà se era ancora libera.
Continuai per quella strada fino a svoltare in una stradina nel bosco.
Un grande cancello di ferro antico mi sbarrò la strada all’improvviso. Scesi dalla macchina e bussai al citofono. Dopo un paio di minuti il cancello si aprì senza che nessuno mi chiese chi fossi tramite l’apparecchio elettronico. Questo, mi fece capire che, purtroppo, qualcuno abitava ancora in quell’antica casa.

«Prego, si accomodi.», mi disse un maggiordomo facendomi entrare.
Era sempre la stessa, solo più nuova e, ovviamente, più pulita. L’uomo pelato mi fece strada e mi fece accomodare in una stanza che tempo fa costituiva la stanza per il tè. Chiusi gli occhi a quel ricordo e inspirai profondamente. Quasi non riuscivo a crede che mi facesse ancora male. Non ero la ragazza di 18 anni sensibile come una volta.
«La giovane signorina Harris. Che piacere!», un ragazzo alto, occhi verdi e capelli rossi si avvicinò con un sorriso smagliante sul volto.
Non poteva essere reale.
John. Era davvero lui. Come lo era nel 1874. Non riuscivo a crederci, perché lui sarebbe dovuto essere morto. Mi ero persa un bel po’ di passaggi direi. Ma mi era mancato, perciò gli lanciai le mani al collo e lo abbracciai.
«Hey, hey, buona tigre. Il contegno dove è andato a finire?», esclamò lui ridendo e staccandosi dall’abbraccio.
«Non m’importa un fico secco del contegno adesso. Mi sei mancato, John.», dissi io con un gran bel sorriso, senza farmi prendere troppo dall’emozione. Pensavo di essere cambiata, e invece qualcosa della vecchia Alice c’era ancora.
«Perché sei ancora qui? Non dirmi che sei diventato anche tu …», provai a continuare ma mi interruppe.
«Sono un ventitreenne da centotrentanove anni. Trai tu l’unica conclusione possibile.», concluse sedendosi sulla poltrona di fianco al divano, con un’espressione sul volto per niente contenta.
«Dannazione. Chi è stato? Gli spacco la faccia in questo preciso instante!», ero furiosa. Lui non lo avrebbe mai voluto, non avrebbe mai voluto vivere così e soprattutto vivere per tanto tempo. Non che odiasse i vampiri, perché grazie a me era riuscito ad accettarli, ma non li preferiva agli essere umani.
«Uno, è una donna; secondo, ci ho già pensato io.», mi rispose con un piccolo ghigno sul volto.
«Anche se non avrei voluto farlo, la rabbia, però, era troppa e non potevo fargliela passare liscia.», il ghigno era scomparso, sostituito dal rimorso.
«Chiunque sia stata se lo meritava, perciò non demoralizzarti per ciò che hai fatto perché non ce n’è bisogno. È giusto quello che hai fatto.», provai a calmarlo. Prima di essere un vampiro, non avrebbe mai fatto male a qualcuno.
«Ma … non è da me, Alice. Io non avrei mai fatto una cosa del genere. Questo non sono io davvero.», esclamò alzando lo sguardo che incontrò il mio, era a pezzi.
«Sei sempre lo stesso, John. Sempre il solito sensibile e innocente ragazzo di prima. Sei solo più forte, più veloce e bevi sangue per nutrirti. Non ci sono molte differenze, vedi?», affermai io con una leggera risata.
«E tu sei la solita spiritosa di prima.», disse ridendo.
«Mi sei mancata anche tu, Alice.», continuò appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia e sorridendomi. Era davvero bello.
«A chi non mancherei?», risposi scherzosa.
«Quella sensibile, a quanto pare, non c’è più.», ribatté lui ridacchiando leggermente e tornando indietro con la schiena.
«Sono cambiata un bel po’, mi dicono.», dissi abbozzando un sorriso.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3 - "Nulla è come prima"


«Dove dormirai stanotte? Si è fatto tardi.», mi chiese John guardando l’orologio che aveva al polso.
«In realtà, avevo intenzione di rimanere a dormire qui. Ero venuta a controllare se la casa era libera, visto che la mia è occupata da Paige, vampira pivella.», risposi facendo una smorfia di disprezzo.
«Per me puoi rimanere, anzi, mi faresti un favore. Sono solo con George e così potremmo passare del tempo insieme, se a te va.», propose sorridendo amichevolmente.
«Ovvio che rimango, dove me ne vado altrimenti? Non c’era bisogno di chiedere!», risi.
«Ti faccio preparare la stanza allora. Bentornata a casa!», esclamò lui con un grosso sorriso sul volto. Mi era mancato così tanto.

«Buongiorno.», mi salutò John appena mi vide entrare in cucina.
«Buongiorno.», ricambiai prendendo il latte dal frigo.
«Dormito bene?», chiese sedendosi al tavolo circolare nel centro della stanza.
«Molto bene, grazie.», sorrisi sedendomi al suo fianco.
«Mi fa piacere.», quindi si avvicinò al mio viso e mi baciò la guancia dolcemente.
«Stamattina non ci sono a casa. Tra pochissimo esco.», lo informai bevendo un altro po’ di latte dal contenitore, successivamente mi alzai e lo rimisi al suo posto.
«E dove vai? Potrei portarti ad esplorare il posto.», propose con il suo solito dolce sorriso.
«Vado a scuola, vorrei conoscere i ragazzi di questo paese. Qui ci sono cresciuta, perciò lo conosco abbastanza bene. Poi ho fame, il latte non mi basta.», dissi con un sorriso malizioso sul volto.
«Hai intenzione di uccidere per fame? Tu, la mia Alice?», chiese sbalordito.
«Io ho già ucciso per fame. Dopo tutto questo tempo come pretendi che non mi nutrissi di umani? È questa la mia natura, non posso farne a meno.», spiegai dirigendomi al portone di casa per uscire.
«Non posso crederci, Alice. Cosa ti è successo? E poi in una scuola, perché?», continuò John. Non riusciva a crederci ed era comprensibile. Tempo fa, insieme a lui, mi nutrivo solo di animali, perché lui non lo accettava. Sapeva cos’ero ma non voleva che facessi del male a persone innocenti. Io avevo imparato a controllarmi, era tutto più semplice quando c’era lui, ma adesso …
«Non mi va di spiegarti tutto. È tardi e devo andare. A dopo.», quindi uscii di casa e richiusi il portone alle mie spalle, quest’ultimo, però, si riaprì quasi subito.
John mi raggiunse e mi fece voltare prendendomi per un braccio.
«Alice, devi spiegarmi tutto. Cosa è successo?», mi chiese ancora una volta con occhi penetranti.
«Sto facendo tardi, devo andare.», liberai il mio braccio e mi voltai per entrare in macchina. John mi bloccò ancora una volta, facendomi appoggiare con la schiena alla macchina.
«Smettila di fare la dura e a scuola puoi andarci domani.», esclamò, i suoi occhi così terribilmente fantastici.
«Ma io ho fame ora e se non mi permetti di andare, potrei sbranare il tuo caro maggiordomo.», esclamai con sguardo duro. Doveva lasciarmi andare e non mi andava di spiegare nulla a nessuno.
John rimase a bocca aperta e allentò la presa sul braccio. Entrai in macchina e andai via.

«Quindi lei è la signorina Alice Harris? Appena iscritta in questo liceo, giusto?», mi chiese il preside dell’istituto. Eravamo nel suo ufficio, arredato in modo moderno e tecnologico: mura grigie, sedie e tavolo di metallo, divanetto di pelle nera e cristalliera dello stesso colore. Un ambiente non molto accogliente in realtà.
«Sì, sono io, molto piacere.», mi presentai porgendogli la mano.
«Bene, allora mi segua, l’accompagnerò nella sua aula, la lezione è già cominciata. Alla sua conclusione venga pure da me così le mostrerò il suo armadietto.», mi informò molto educato.
«Va bene, grazie.», risposi seguendolo fuori dall’ufficio.

«Mrs Cooper, mi scuso per l’interruzione. Sono qui per presentarle la sua nuova alunna: Alice Harris.», affermò il preside.
«Ora sono costretto ad andare, benvenuta signorina. A lei le presentazioni.», quindi uscì dalla classe con uno spaventoso sorriso sul volto.
«Bene, presentati pure Alice.», m’incoraggiò la professoressa. Cosa avrei dovuto dire?
«Ehm … mi chiamo Alice Harris e abito qui con mio zio a causa della perdita dei miei genitori in un incedente in barca …», mentii abilmente.
«Oh, mi dispiace cara. Da dove vieni?», mi chiese compassionevole.
«Sono nata qui, ma insieme ai miei, per lavoro, mi ero trasferita a New York.», continuai a mentire. Be’, in mia difesa specifico che venivo davvero da New York.
«Ho capito. Bene, adesso puoi accomodarti al tuo posto, lì in fondo, di fianco alla signorina Brooks.», disse indicandomi un banco libero vicino una ragazza con capelli di un biondo mielato, molto scuri. Più mi avvicinavo, più notavo i suoi occhi azzurri e la sua pelle chiara. Una volta seduta si voltò verso di me con un sorrise e disse: «Piacere, sono Isabella Brooks.»
«Molto piacere.», risposi con lo stesso sorriso, questa volta finto, ero stanca di sorridere. I suoi occhi erano come le nuvole durante un temporale invernale, altro che azzurri. La luce che rifletteva su di essi, però, ogni tanto lasciava intravedere qualche sfumatura celeste.
«Io, invece, sono la professoressa di Storia e Geografia, il mio nome è Glenda Cooper.», si presentò la donna alla cattedra con fare amichevole, ma i suoi piccoli occhi costantemente arrabbiati la tradirono.

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Ehilà ragazzi e ragazze, non avevo alcuna intenzione di scrivere note autore a piè di pagina ma oggi mi sono sentita quasi obbligata a farlo. Ho solo voglia di informarvi che la storia che pian pianino sto avendo il coraggio di pubblicare è una storia risalente a quando ero una piccola e ingenua ragazzina di quindici anni. Più di una volta mi è saltata in mente l'idea di riscriverla da capo prima di pubblicarla, ma poi ho deciso di lasciarla così, come fosse un ricordo della me di tanti anni fa, come fosse un diario segreto da lasciare immacolato. Forse per voi non sarà nient'altro che un modo per trascorrere il tempo, ma per me è diventato un modo per ritornare al passato per qualche attimo...
Buon divertimento.
KDM

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