Le Relazioni Pericolose

di Le_sorelle_Laclos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oscar - Hyères ***
Capitolo 2: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 3: *** Oscar - Hyères ***
Capitolo 4: *** André - Hyères ***
Capitolo 5: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 6: *** Generale - Palazzo Jarjayes ***
Capitolo 7: *** Oscar - Hyères ***
Capitolo 8: *** Nonna Marie - Palazzo Jarjayes ***
Capitolo 9: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 10: *** Madame Marguerite - Versailles ***
Capitolo 11: *** Oscar - Lione ***
Capitolo 12: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 13: *** Oscar - Lione ***
Capitolo 14: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 15: *** Oscar - Dijion ***
Capitolo 16: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 17: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 18: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 19: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 20: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 21: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 22: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 23: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 24: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 25: *** Alain e non solo - Paris ***
Capitolo 26: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 27: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 28: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 29: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 30: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 31: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 32: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 33: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 34: *** Oscar - Paris ***
Capitolo 35: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 36: *** Oscar - ???? ***
Capitolo 37: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 38: *** Oscar - ??? ***
Capitolo 39: *** Alain - Paris ***
Capitolo 40: *** André - ??? ***
Capitolo 41: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 42: *** Oscar - Saint Cloud ***
Capitolo 43: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 44: *** Oscar - Saint Cloud ***
Capitolo 45: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 46: *** Oscar - Saint Cloud ***
Capitolo 47: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 48: *** Oscar - Palazzo Jarjayes ***
Capitolo 49: *** Josephine - Paris ***
Capitolo 50: *** Marie Antoinette - Versailles ***



Capitolo 1
*** Oscar - Hyères ***


1. Oscar

 

Hyères, 2 gennaio 1787

 

 

Josephine.

 

Per alcuni giorni il tuo nome è stata l’unica parola di questo foglio. Ogni volta che mi accingevo a scriverti non sapevo come continuare. Non perché non avessi cosa dirti, tutt’altro, ma sai che non amo mostrare il mio cuore; perfino alle tue ostinate insistenze l’ho piegato di rado, e soltanto in questi ultimi mesi.

Due cose mi hanno permesso di andare avanti, vincendo le mie ritrosie e il turbine di sentimenti che, come l’occhio di un ciclone, ha calmato ogni altra emozione intorno a me. La prima, il desiderio di avere vostre notizie. Tue, di nostra Madre, di Nonna Marie, delle sorelle; sia io che André ci chiediamo come vadano le cose a Parigi, se siete state obbedienti al mio consiglio e abbiate procurato lunghi viaggi sicuri, presso la campagna di Hortense o la Normandia degli zii o al sud; e se anche nostro Padre abbia convenuto che fosse la cosa migliore per tutti. Non ti chiedo se mi abbia perdonata, perché odio le domande retoriche tanto quanto gli auspici infondati; ma spero bene che non abbia coinvolto nessuna di voi nella sua ira.

Ho fatto in modo finora che non fossi rintracciabile, e che tu non avessi alcuna notizia sicura (se non la certezza che stiamo bene), proprio per dare a lui l’inconfutabile prova che non sei mia complice, che la mia partenza sia frutto unicamente di una mia scelta o, se preferisce, di una mia follia destinata a perdurare in eterno.

A distanza di settimane, tutti i motivi che mi hanno portato via da voi mi risultano più chiari.

Inizialmente, ero terrorizzata dall’aver visto André con un cappio pendente sul capo. La crudeltà delle corde che lo stringevano, lo stato delle sue ferite, gli abiti a pezzi, lo sai: tutto questo mi ha tolto in un istante ogni desiderio di combattere. Piuttosto, mi ha imposto con prepotenza la vocazione a prendermi cura di lui, in ogni modo possibile. Ricordi? Nemmeno un anno fa iniziammo una fitta corrispondenza con il tuo rimprovero che io non avessi preso a cuore la sua salute, dandomi pace per l’accecamento del suo occhio sinistro. Quel tuo rimprovero è stato costante per mesi: spesso mi hai tacciata d’essere cieca più di lui, e anche se forse non l’hai fatto in questi termini, è ciò che ricordo, ed era vero. Poi, però, ho rischiato di perderlo per sempre. Allora ho scelto di amarlo e di donarmi a lui così com’ero: con tutti i miei errori, e la mia piccolezza, e la difficoltà a fargli sapere quanto fosse importante per me.

 

Quanto tempo sembra passato, Josephine. Se mi vedessi adesso. Pensavo dovessi essere io a curare André, ma mi rendo conto che sia accaduto, che stia accadendo l’opposto. Ho un cuore sano, che non trema più. Teme per voi, naturalmente, e per la Francia, ma è qualcosa di molto diverso da prima. È come vivere su un terreno solido ogni giorno, senza poter mai cadere, qualunque cosa accada.

Ho durato fatica ad abituarmi a questa sorprendente euforia, già, euforia, un’ubriachezza costante nei giorni, che fa girare la testa eppure non toglie lucidità; ho perfino pensato di non meritarla, sulle prime; non di fronte a te, per esempio, o a sua Maestà, donne che meriterebbero la felicità completa e che non la trovano.

Vorrei che mi dessi anche notizie della Regina. La mia lettera deve averle procurato un dolore, ma nel mio solito egoismo ho fidato nella sua generosità, e so tuttora che non mi ha condannata, nonostante il mio addio così frettoloso, così indegno della mia venerazione nei suoi confronti.

E i miei soldati. Loro, forse, sono il mio vero rimpianto. Proprio quando avevo iniziato a capirli, a collaborare con loro, a sentirli amici, la mia vita è cambiata. Mi chiedo chi mi abbia sostituita nel mio incarico presso la Compagnia B, e mi auguro sia un uomo giusto e capace. Non mi aspetto tu vada a indagare, già troppe cose ti ho chiesto per me; ma se ti è giunta una voce sul loro nuovo Generale di Brigata, aggiungila alle altre notizie. Io e André te ne saremo grati.

A proposito di André: si è ristabilito del tutto, ormai. E qui vengo al secondo motivo per cui ti ho scritto. Abbiamo discusso a lungo, e siamo arrivati alla conclusione che non vogliamo vivere come clandestini. Esuli sì, ma non latitanti, perché non c’è colpa nell’aver scelto la libertà insieme. Ecco perché questa lettera reca il luogo in cui ci troviamo, e ti sarà possibile rispondervi. Intestala a Françoise Grandier. Io e André resteremo quaggiù, dove l’inverno reca un tenero calore tra le onde di un mare tranquillo, ancora qualche settimana. Puoi dirlo alla nostra famiglia, non ad altri.

 

Tua,

 

Oscar.

 

 

 

__________

Angolo delle autrici.

 

- Salve a tutti!

Dopo un ragionevole periodo di pausa (più lungo per noi che per le nostre due sorelle Jarjayes, a quanto sembra), torniamo con il nostro racconto epistolare Le amicizie pericolose, che è nato un annetto e mezzo fa alla domanda: “Cosa sarebbe successo se Oscar avesse avuto, tra le sorelle, un’alleata preziosa? Avrebbe capito come aprire il proprio cuore all’amore di André prima dei tragici fatti che li travolsero?”. La domanda era allettante e intrigante, e da tempo avevamo il desiderio di scrivere qualcosa insieme. Ma come conciliare i nostri stili così diversi?
Da qui l’idea di “giocare di ruolo”, prestando ciascuna la propria immaginazione e la propria scrittura a un personaggio preciso, e solo quello, sfruttando il genere dei romanzi epistolari di cui il nostro amatissimo Choderlos de Laclos è stato maestro, con il suo inimitabile
Les liaisons dangereuses del 1782.

 

 

Brevissimo riassunto: ci eravamo fermate, ad aprile scorso, al momento in cui Oscar, dopo l’episodio di Saint Antoine e già consapevolmente innamorata di André, decide di fuggire con lui lontano da casa. Abbiamo seguito il manga, per lo più, fino al bivio finale dove abbiamo deciso una nuova via. Ora siamo in un campo nuovo e inesplorato!

Nella storia passata le due voci principali dell’epistolario sono state quelle di Oscar (impersonata da VeronicaFranco) e Josephine (inventata e caratterizzata a tutto tondo da Pamina71); in quell’occasione abbiamo avuto come ospiti, che ancora ringraziamo con affetto, Sigfrido di Xanten (André), Lucy71 (Madame Marguerite) e il “Censore”, come lo chiama Pamina (il Generale Jarjayes). E stavolta? Lo scopriremo piano piano!

 

Grazie fin d’ora a chi vorrà seguire questo nostro gioco-racconto. Un abbraccio!



le Sorelle Laclos,

alias

Pamina71&VeronicaFranco

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Capitolo 2
*** Josephine - Paris ***


2. Josephine

 

 

 

 

Parigi, 20 gennaio 1787

 

 

Mia cara Françoise (ti chiamerò sempre così, d'ora in poi?) ,

 

 

non sai quanto piacere mi faccia avere infine notizie certe, e sapere dove ti trovi.

Debbo confessare che saperti a Hyères mi ha molto sorpresa. In tutta franchezza, pensavo vi sareste recati a Nord, per lasciare il paese verso l'Inghilterra o il Belgio.

E invece eccovi a Sud, a cercare il tepore delle coste provenzali. Devo dire che avete fatto bene. Potete passare nelle terre italiane al minimo sentore di problemi, e il clima è molto più favorevole anche per riprendervi dalle fatiche degli ultimi mesi.

Mi chiedi notizie della famiglia. Ebbene, non vi sono novità di rilievo, per ora. Nessuna di noi ha ancora deciso di recarsi verso altri luoghi. Né verso la Normandia, né verso alcun altro riparo. Parigi è una città apparentemente calma, ma nelle sue vie comincia a esservi ebollizione e fermento; presto, come un tino in cui si stia approntando il vino, le uve cominceranno a fermentare, traboccando e fumando. Lo so, lo sappiamo tutti. Eppure, ancora nulla si è mosso. Nostro padre non vuole lasciare i suoi incarichi, e nostra madre resiste imperterrita a fianco della Regina, anche ora che molti aristocratici le voltano le spalle per la misera situazione finanziaria della Corona.

Sua Maestà non solo non ti ha condannata, ma spesso chiede di te a nostra Madre. Che, sinora, le ha solo potuto dire che sei al sicuro, lontana.

Immagino che Maria Antonietta abbia avuto modo di supporre che dietro alla tua scomparsa, che qualcuno a Versailles ha chiamato fuga, vi siano motivi sentimentali. È una voce che aleggia, sebbene nessuno abbia avuto l'acume di collegarti ad André, troppo consueto vedervi insieme: si parla di nobili stranieri, di musicisti, di qualcuno incontrato a Parigi, cosa che ti mette al riparo dal fatto che a Corte si supponga la verità.

Credo che nemmeno la Regina abbia compreso, ma, dal punto di vista privilegiato di una vita amorosa difficile, ti capisce e forse invidia la tua forza nel compiere una simile scelta, a lei negata. In lei non vi è disprezzo, ma profonda comprensione femminile del tuo gesto.

 

Diverso l'atteggiamento di nostro padre. Per lui si è trattato di tradimento alla nostra famiglia e alla Corona. Ha blaterato di vendette e punizioni. La sua ira, funesta più di quanto fosse quella di Achille, non ha risparmiato nessuno. Per giorni ha accusato tutte noi di doppio gioco e, addirittura, fellonia. Come se non fossimo sorella o madre preoccupate per te, ma avversari politici che tramassero nell'ombra.

Solo ora inizia a rendersi conto che tutta la questione non è un punto d'onore, ma gira come una danza popolare attorno ai sentimenti. Cosa che, se possibile, lo rende ancora più furibondo. Per non averti istruita adeguatamente su questo punto.

Nostra Madre attende che rientri in sé. Serena e pacata come sempre. Le ho parlato. Mi ha detto che già una volta si sentì come in questi giorni, quando il marito decise di far vivere come un maschio la loro ultimogenita. Alla mia domanda su cosa intendesse, mi rispose che le pareva di vivere in un poema, con una serie di avvenimenti ineluttabili nella loro follia a governarne l'esistenza. Con il passare degli anni, questa sensazione si era attenuata. Ma ora le si è ripresentata, come se la tua partenza attuale fosse solo la conseguenza di quanto stabilito anni fa. Come Edipo, la tua strada è stata segnata dalla scelta del padre.

Questo pensiero la rattrista ma nello stesso tempo le è di conforto.

 

Chi invece ha sofferto le ire di nostro padre, sentendosi responsabile per l'accaduto, è stata la nonna di André. La settimana dopo la vostra partenza si è sentita male, forse per le accuse. Ora si è ripresa, ma per un paio di giorni è stata costretta a letto in uno stato di prostrazione che, ti confesso, mi aveva preoccupata. Ora sarà felicissima di avere queste vostre notizie.

 

Ero così lieta della tua lettera che mi sono recata in Caserma per avere notizie da darti. Al Cancello ho incontrato il Sergente (o quello che è, non mi chiedere il grado) Soisson, quello che affetta di essere burbero e invece mi è parso molto preoccupato per la sorte tua e, soprattutto, di André. Gli ho semplicemente riferito che state bene e che siete al sicuro. Mi ha detto che il nuovo Comandante è pigro e lassista. Si chiama La Rochejaques1 ed é un nipote del Generale Bouillet. Scherzando ha detto che, con la tua partenza, il loro lavoro è diminuito parecchio. Ma né lui né i commilitoni sembrano soddisfatti del cambio. Li ho uditi lamentarsi tra loro di La Rochejaques.

 

Ora ho soddisfatto tutte le tue curiosità. Tu soddisfa una delle mie. Mi hai chiesto di scrivere a te come Françoise Grandier. Avete dunque trovato un prete disposto a sposarvi?

Non ne parli, mentre citi con dovizia di particolari il solido terreno su cui ora poggi e che, devo dire, mi fa estremamente piacere che esista. Troppo a lungo la tua avita anomala ti ha fatto vivere pericolosamente in bilico. Non sentirti colpevole per aver infine guadagnato la felicità. Non ne sono gelosa, né lo é sua maestà. La felicità dovrebbe spettare a tutti. Che tu l'abbia avuta è per me motivo di gioia e gratitudine alla vita.

 

Non mi resta che abbracciarti forte. Appena possibile, scrivimi ancora.

Tua sorella Josephine.

 

 


1  In realtà Henry La Rochejacques fu un realista vandeano che morì a 22 anni nel 1794.

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Capitolo 3
*** Oscar - Hyères ***


3. Oscar

 

 

Hyères, 25 gennaio 1787

 

Cara sorella,

 

un poco mi solleva sapere che da parte di tutte voi non c’è condanna per la mia scelta. Di contro, non posso che soffrire per tutto il peso che vi stiamo dando, costringendovi di fatto a subire l’ira di nostro padre senza proteggervi. Speravo che il silenzio che ho tenuto finora bastasse a scagionarvi ai suoi occhi, ma mi sbagliavo.

L’ho ferito profondamente, ne sono consapevole. D’altronde, la fuga non sarebbe stata per me l’alternativa ideale, se solo André fosse stato in salute e avessi potuto sperare che mio padre accettasse la mia decisione senza incolpare lui. E ancora, se agli occhi del mondo la mia unione con un uomo del Terzo Stato fosse stata accolta serenamente, senza conseguenze nefaste per la sua persona.

Non è di me che mi curo, infatti. Che dicano tutto ciò che desiderano, sono adulta, la libertà di cui ho sempre goduto mi protegge. Ma che mai si arrivi a toccare André. Immagino che nostro padre abbia severamente vietato ai servitori di casa Jarjayes di lasciar trapelare la verità oltre le mura domestiche; ma la sparizione di André non dev’essere passata del tutto inosservata, e forse sarà questione di tempo prima che si sparga la notizia che è lui, l’uomo della mia… fuga.

Per questo ho preso le giuste misure. Quando la notizia sarà di pubblico dominio, non parleranno di un amante, ma di mio marito. Non mi sorprende che come mio attendente sia passato sempre inosservato, è un uomo discreto, elegante, compito; ma quando sarà il momento, accadrà a tutti ciò che è accaduto anche a me, ovvero unire i punti del disegno che il destino sembra aver tracciato, e rendersi conto che non poteva essere diversamente. Sempre insieme, sempre accanto, ovunque; sarebbe da sciocchi e ciechi non capire che questa soluzione era in serbo per noi fin dalla più tenera età.

Mio marito, Josephine. Françoise Grandier non è una copertura, ma la verità. È mio marito che mi stringe, nel pieno dei diritti, la notte; è mio marito che tengo per mano nella luce del giorno, da cui traggo forza e consigli.

Ci siamo sposati il 25 dicembre. Di fronte alle spiagge di Hyères, come saprai, c’è un piccolo arcipelago. Ci siamo imbarcati per Porquerolles il 20 dicembre: all’inizio era solo una parte del viaggio, proposta da André come una tappa piacevole, profumata di mare e di candida sabbia.

Non immaginavo che, una volta giunti laggiù, egli si sarebbe prodigato per cercare un prete e chiedere ai nostri albergatori, i signori Dubois, di farci da testimoni. Un azzardo, forse; tuttavia, eravamo abbastanza lontani da Parigi perché nessuno sapesse chi fossi, in luoghi resi esotici dal mare che li circonda, dove una certa forma di libertà è sottintesa; i volti di chi ci ha ospitato e sposato ci sono parsi gioviali e fidati; André deve aver offerto loro ben più della tassa di matrimonio, rendendo il tutto un vero e proprio affare. E poi, non abbiamo fatto il mio nome completo fino alla fine, quando il prete, tale Padre Xavier, ha dovuto chiederlo per trascriverlo sul registro. Quale sorpresa, per lui, scoprire che il mio primo nome è sempre stato Oscar; che i miei abiti usuali non erano di donna, ma di uomo; che le mie consuete mansioni erano militari, non muliebri. Questa scoperta l’ha destabilizzato molto più che la prospettiva di maritare una nobile a un popolano, e devo essergli apparsa come una creatura stravagante e infida, a giudicare dalle occhiate sospettose che mi lanciava. Mme Dubois, che aveva provveduto ad agghindarmi per l’occasione, si è sentita in dovere di assicurargli che fossi una donna a tutti gli effetti, come se non bastasse ciò che avevo dovuto mettere in mostra per colpa della scollatura.

Ridi? Spero di sì, almeno tu; giacché io non ho riso.

Pensavo a nostro padre; a voi, alla mia vita intera, a tutto ciò che sono sempre stata. Guardavo la mia gonna, le pieghe dell’abito, i guanti, la mantella, sentivo le forcine tirarmi i capelli e le scarpe stringere i piedi, facendomi anche male. Mi chiedevo quale follia mi avesse spinto a quella pagliacciata.

André, come leggendomi nel pensiero, mi si è accostato. Mi ha sollevato il viso, perché alzassi anche lo sguardo verso di lui. Ho avuto la sensazione d’essere trafitta, Josephine, come se una spada invisibile mi passasse lo stomaco da parte a parte. Se io avevo mille dubbi, lui non ne aveva nessuno. Il suo occhio vivo, verde come muschio, mi fissava con un tale ardore che ho creduto di poter dimenticare ogni cosa, dove fossimo, con chi, perché.

Allora siamo diventati marito e moglie. Allora ho capito che nessuno al mondo potrà mai separarci; né le malelingue, né l’ira del padre, né i doveri della vita antica.

Non ho altro dovere che verso di lui, adesso; e lui è libero da ogni altro obbligo che non sia amarmi.

Quanto posso essere possessiva, Josephine. Non ho mai gustato tanto profondamente l’idea che André fosse mio. Nemmeno quando, bambini, mi divertivo a trascinarlo ovunque per soddisfare i miei capricci; e lui mi lasciava fare con l’indulgenza che gli è innata, incurante che gli chiedessi imprese faticose o rischiose, di farsi quasi infilzare dal mio spadino inesperto, o cavalcare in due un destriero non destinato, ancora, a noi; arrampicarsi su rami sottili e altissimi, o nuotare dove non si toccava il fondo. Non me ne rendevo conto, allora; ma lui mi apparteneva tanto quanto io gli appartenevo. Perché sempre, quando tutto volgeva in pericolo, eccolo a riprendere in mano la situazione, a salvarmi dalle acque infide, medicarmi una ferita, calmare il cavallo e schivare i miei affondi maldestri. Rideva dei miei eccessi, non li frenava mai, li accoglieva, li risolveva.

Sto diventando vecchia, sorella mia. Mi bastano questi ricordi per sentirmi pungere il cuore a dolcezza e lacrime. È come aver scovato in me uno spazio sconosciuto, che non ho mai avuto l’ardire di abitare; nondimeno c’era, e mi attendeva, e in esso hanno trovato rifugio tutte le debolezze che negli anni ho negato e cacciato dalla mia coscienza. Posso dar loro voce, perché qualcuno giunge immediatamente ad accoglierle. E mi basta che egli le conosca e le accarezzi, per tornare forte. Sì, come avere sempre solida terra sotto i piedi…

 

Abbi fiducia in noi. Non permetteremo che siate ancora, tutte voi, bersaglio di accuse. Non è lontano il tempo in cui torneremo, e molto ci sarà d’aiuto conoscere da te gli sviluppi della situazione, sia quella familiare, sia quella generale. Non ho rinunciato al mio consiglio per voi, e spero che, se il clima di Parigi non si calmerà, vogliate seguirlo. Nel frattempo, però, prego che nostra madre sia serena e, con lei, Sua Maestà; che le nostre sorelle non mi biasimino per il mio egoismo; e, soprattutto, che la nostra Nonna Marie guarisca in fretta. Questa mia lettera non sarà sola. Ne allego una seconda, che spero potrà rassicurarla sulla nostra felicità e alleviare il dolore che le abbiamo causato.

Vi pensiamo intensamente.

 

Oscar Françoise

e André Grandier.

 

 

 

 

P.S.: Se mai ti trovassi a passare ancora per la Caserma, riferisci ad Alain e a tutti gli altri miei soldati il seguente messaggio: Il cuore è libero. Loro capiranno.

 

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Capitolo 4
*** André - Hyères ***


4. André
 
 
                                                                                                    Hyères, 25 gennaio 1787
 
 
 
Nonna mia carissima,
 
C’è una sola parola con cui posso iniziare questa lettera: perdonami.
 
Ma, ti scongiuro di credermi, non c'era altra via che potessi seguire se non quella di scomparire senza lasciarti nemmeno una parola e non c’è stato giorno in cui il pensiero della tua angustia non mi abbia rattristato.
 
Posso solo provare ad immaginare cosa hai vissuto, in queste settimane, senza mie notizie ed oppressa dall’ira che immagino il Generale abbia riversato su di te a causa mia.
 
So che sei stata male, e questo fatto si aggiunge come un peso ulteriore al fardello già greve di colpe che reco nei tuoi confronti. Non so se il tuo malanno sia in qualche modo riconducibile alla mia partenza ma, conoscendoti, qualcosa mi dice che è così: se la verità  fosse questa spero davvero con le notizie che sto per darti di farti ritrovare salute e serenità.
 
Sto bene e sono al sicuro. Ciascuna delle mie ferite, sia quelle fisiche, che quelle infinitamente più crudeli che martoriavano il mio cuore, si è rimarginata.
 
Oscar ed io ci siamo sposati, nonna.
 
Credo che tu sola al mondo possa comprendere la gioia che alberga nel mio cuore, in questo momento, perché  tu sola sai quanto cocciutamente l’ho amata da quando ho compreso che cosa significhi amare.
Sempre e comunque, malgrado ogni cosa, intorno a me, urlasse che il mio amore per lei era una follia.
 
Ma le follie, quelle d’amore quantomeno, non sempre conducono al dolore…
 
È  divenuta mia moglie il giorno di Natale, la magia dell’isola incantata che ci ha accolti nel suo abbraccio a renderla talmente bella da togliermi il fiato.
Ogni istante di quella cerimonia è impresso a fuoco nel mio cuore: i suoi abiti femminili, il suo viso reso pallido dall’emozione, il tumulto del mio cuore mentre attendevo il suo annuire, e le parole sacre che lo avrebbero sancito.
Lei mi ha confessato qualche ora dopo di essersi sentita protetta dalla sicurezza del nostro amore che riusciva a leggere sul mio viso ma io, ti assicuro, fino all’ultimo istante, prima che il parroco terminasse la sua benedizione, ho faticato a credere che fosse tutto vero: ci ho creduto solamente quando le sue mani hanno stretto le mie ed il suo sorriso ha illuminato ogni cosa.
Luminoso e vivo come non lo avevo visto mai, a renderla mia, fino all’ultimo dei nostri respiri.
 
So che con il mio comportamento ti ho recato dolore e so che molto ancora dovremo affrontare, quando il mondo scoprirà questa unione. So che ci attendono condanna e disprezzo ma so anche, con una solidità d’animo che mai ho posseduto prima, che nulla ho fatto di più giusto nella mia vita.
E se tu la vedessi, la tua Oscar, quanto è lieve e serena, nonna cara, quando cammina accanto a me nel tepore di questi tramonti invernali, le gote accese di rosa come le ali degli strani uccelli che popolano queste isole, ne sono certo, anche tu saresti felice.
 
Ti rinnovo il mio affetto, prima di terminare, unendo al mio abbraccio quello di mia moglie, che seduta accanto al fuoco a pochi passi da me sorride sorniona e un poco mi irride, dicendomi che mai prima d’ora mi ha visto così in difficoltà con le parole… 
 
Il tuo devotissimo nipote.
André.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
______________________
Angolo delle Autrici.
 
Era nell’aria, e finalmente ecco la voce di André a fianco di quella di Oscar! Stavolta ringraziamo immensamente Monica68 per avergli prestato parole e sentimenti, proseguendo con cura il cammino iniziato nella nostra scorsa ff da Sigfrido di Xanten. Il passaggio di staffetta da un autore a un’autrice ha marcato, nella nostra idea della storia, anche un cambiamento fondamentale nell’animo del nostro; non ci dilunghiamo su questo punto, lasciando la parola a chi avrà piacere di leggere e recensire. E grazie di cuore a chi, finora, è stato con noi!
 
Pamina71&VeronicaFranco

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Capitolo 5
*** Josephine - Paris ***


5. Josephine

 

 

 

 

Parigi, 14 febbraio 1787

 

 

Cara Madame Grandier,

 

 

come sono lieta di questa notizia che mi dai! Pensavo che mai ti avrei chiamata con questo appellativo. Madame.

Mi dispiace non essere stata presente alla cerimonia. Da come la descrivi deve essere stata un momento intimo e felice, a parte l'imbarazzo al momento delle firme. Nulla a che vedere con la cerimonia pomposa nella cappella di Palazzo Jarjayes che è toccata a tutte noi. Senza contare che mi consumo nella curiosità di sapere come fosse l'abito. Non ne descrivi la stoffa, né il colore. Ti limiti a quel commento sulla scollatura, che, francamente, conoscendoti, non indica nulla. Probabilmente sarebbe parsa castigata persino alla nonna di André.

E poi, il matrimonio su un'isola! Leggendolo in un romanzo mi sarebbe parso esagerato, e invece proprio tu e André, le persone più saldamente piantate coi piedi per terra tra tutte quelle che conosco, pragmatiche e solide, andate a organizzare le nozze la mattina di Natale in un'isoletta grossa come metà del parco di Palazzo Jarjayes!

Mi sono informata, sai? Fingendo di cercare un luogo per la villeggiatura. Mi hanno descritto palme e strani uccelli dalle lunghe gambe e dalle ali rosate. Un luogo da fiaba. Mi viene difficile immaginare qualcosa di più distante da una caserma muffosa e puzzolente.

 

Ho parlato a nostra madre delle tue nozze. Le ho detto che mi hai incaricata di informarla, e che le scriverai al più presto, che per ora hai sempre atteso temendo le ire di nostro padre. Lei ne è stata molto felice. Lieta di saperti infine con il cuore pacificato, e con la serenità di una sposa. Inoltre devo dire che per la sua fede è un sollievo saperti maritata piuttosto che immaginarti a vivere more uxorio.

Poco le importa che André sia roturier, che perderai il titolo, e di tutte le preoccupazioni che invece immagino affliggano nostro padre. Il quale al momento è ancora decisamente furibondo, ma ha smesso i suoi propositi giustizialisti. Se davvero tornerete a Parigi, come dite, non rischierete la vita. Non ha commentato con noi la notizia delle tue nozze, che gli ha dato nostra madre in separata sede. Non so cosa ne pensi; se per lui sia almeno una soluzione per sanare la vergogna o se sia un ulteriore affronto al sangue blu e al nome della casata, alla quale, per lui, hai cessato di appartenere lasciando Palazzo Jarjayes.

 

A questo proposito, ripeto quanto ti ho detto. Probabilmente perderai i beni che avresti dovuto ereditare. Ma puoi contare su di me. E su nostra madre. Bando all'orgoglio, se vi fossero difficoltà. Hai detto che potete essere autosufficienti, ma se dovessero insorgere dei problemi, non vi lasceremo languire.

 

Ho nuovamente compiuto la missione che mi hai affidato. Mi sono recata una volta ancora alla Caserma di Chaussée d'Antin ed ho atteso la libera uscita. Se dovesse capitare ancora, penseranno che ho una tresca con qualcuno dei soldati!

Ad ogni modo, ho veduto uscire il Sergente Soisson con alcuni ragazzi, un giovane lentigginoso che ha detto di chiamarsi François, e uno bassino, mi pare si chiamasse Lassalle. Ho spiegato che ero venuta a riportar loro un vostro messaggio.

Il cuore è libero.

Hanno compreso e mi hanno ringraziata. Poi mi hanno accompagnata presso una locanda non lontana, dove hanno voluto offrirmi del vino caldo speziato. Per la prima volta in vita mia mi sono sentita in imbarazzo sul serio. Sapevo dai tuoi racconti che hanno a mala pena di che mangiare, e mi hanno pagato la bevanda. Ora so come ti sentivi nei loro confronti.

Mi hanno raccontato l'episodio durante il quale hai pronunciato quella frase, secondo il loro punto di vista. Tu me ne avevi parlato, ora lo hanno fatto loro. Ho compreso dalle loro parole quanto davvero fosse stato importante il tuo gesto, il tuo modo di reagire alla punizione di quel grasso tacchino di Bouillé. Quanto quegli schiaffi, anziché allontanarli dalla tua persona, ti abbiano resa ai loro occhi differente dal resto degli alti ufficiali.

E mi è parso chiaro il perché di questa frase, come messaggio per i soldati.

Davvero credo che la tua permanenza in Caserma sia stata non solo movimentata ma colma di momenti pieni di significato.

 

Attendo con ansia altre tue notizie.

Ti abbraccio, Madame Grandier mia cara.

Josephine, la latrice di missive in codice

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Capitolo 6
*** Generale - Palazzo Jarjayes ***


6. Il Generale


Versailles, 20 febbraio 1788

 

Mia cara figlia,

Vi invio questa lettera per informarVi della difficile situazione in cui mi trovo in questo periodo.

Non Vi nascondo che, sebbene vengano ritenute di poco conto a corte, le voci di malcontento della popolazione sono sempre più insistenti; nelle ultime settimane si sono ripetuti gesti estremi di qualche farneticante popolano, spinto dalla fame e dal freddo a sobillare chiunque sia disposto ad ascoltarlo. Le mie giornate sono piene di riunioni, richieste, verifiche, interventi, tutte incentrate nel mettere un freno a questa situazione.

Il mio rincrescimento è acuito dall’indifferenza che dimostra l’alto comando, il quale non ascolta la mia voce che vorrebbe un immediato intervento verso questi balordi personaggi che non fanno altro che aizzare ed accrescere il disordine in città.

E a questo si aggiunga l’incompetenza dei miei sottoposti, riluttanti nell’eseguire le mie più semplici disposizioni per il ripristino della disciplina.

Insomma, mia cara figlia, ho di che preoccuparmi.

E in questa mia annaspante routine, cosa devo ancora venire a sentire, come lieta novella?

Due capitani che, nel chiuso del loro ufficio, sghignazzano sulla situazione della mia famiglia e di Vostra sorella, che hanno scoperto “felicemente” sposata, a godersi il sole vacanziero delle isole del Mediterraneo, in mano a quel traditore di un servo! E questi impudenti , tra una risata e un ammiccamento, commentano come questo sia stato svelato niente meno che da una vostra visita in caserma!

Quale disonore è piombato sul nome dei Jarjayers! E quale disappunto mi ha colto quando ho realizzato che non avrei potuto intervenire nei confronti di questi spudorati subalterni, per evitarmi ulteriore imbarazzo, e diffondere ancor di più queste notizie. Mon dieu!

Ora Vi chiedo, Vi impongo, così come ho preteso da tutti i membri della mia famiglia, di non rivelare più nulla sulla situazione di Vostra sorella e su ulteriori nuove spavalde decisioni di questa sciagurata coppia.

Non intendo chiederlo ulteriormente, ma sappiate che le mie conoscenze si estendono al di là del vostro e del loro sguardo. Avrete sentito di certo della formazione del nuovo corpo di spedizione di truppe in partenza la prossima estate per reprimere i tumulti scoppiati di recente sull’isola di Saint Domingue.

Bene, ho qui dinanzi a me la domanda di congedo richiesta dai due villeggianti di Hyères, ricevuta con scherno dal Generale Bouillé, loro comandante.


Accanto a questa, la richiesta di trasferimento nella colonia francese, dove i due potranno proseguire nella loro ricerca così salutare del viaggio, della canicola e dell’aria del mare, e consentiranno alla mia persona di limitare le proprie preoccupazioni.

Mia cara, un altro Vostro gesto sprovveduto mi darà il motivo per attuare senza indugi la scelta su quale documento far loro recapitare.

Vostro Padre, Generale Augustin François Reynier de Jarjayes.









_________

Angolo delle autrici.

E dopo la prima special guest, ecco che arriva immancabilmente la seconda... uno degli uomini della vita di Oscar, e bello tosto! Ringraziamo come l'altra volta il Censore per averci regalato, interpretandolo insieme a noi, il Generalissimo!

E grazie sempre a chi segue questo racconto a molte mani.

Pamina71&VeronicaFranco

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Capitolo 7
*** Oscar - Hyères ***


7. Oscar

Hyères, 21 febbraio 1787

 

 

Mia cara Madre,

 

 

Probabilmente avrei dovuto scrivervi già da molte settimane. Tuttavia ho atteso, e Josephine ve l’avrà riferito, perché nutrivo la pia illusione che tenervi all’oscuro dei luoghi del mio viaggio fosse una protezione nei vostri confronti, dal Padre o dalle malelingue della Corte. Mi sbagliavo, certamente, e l’ho appreso con rammarico.

Non avrei voluto che l’ira di nostro padre vi toccasse. Ho ancora in mente le vostre parole nell’ultima lettera che ho ricevuto da voi1 – l’unica, forse, in tantissimi anni, all’indomani del ricevimento in cui ho offerto di me uno spettacolo che voi definiste riprovevole, ma che nasceva da un’aperta ribellione a chi voleva compiere per me, ancora una volta, una scelta cruciale.

Non vi risposi allora, ma ripetei nel mio cuore le vostre parole, tutte le vostre parole, per giorni e giorni. Se sapeste per quanto tempo ho desiderato quelle vostre parole, quanto mi hanno pesato i vostri silenzi. Ho cercato spiegazioni a lungo, ma voi avevate fatto voto di tacere. Tacere, Madre! Dinanzi a qualunque cosa i vostri occhi vedessero, le vostre orecchie sentissero!

 

Vi ho immaginata i giorni successivi alla mia nascita. Cosa sarebbe accaduto se, anziché piegarvi alla decisione di mio Padre, vi foste opposta? Forse nulla; forse tutto. Forse sarei cresciuta devota all’obbedienza e all’accondiscendenza, qualità perfette per una buona futura moglie. Forse ho già avuto occasione di dirlo, ma non a voi, pertanto lo ripeterò qui. Io non rimpiango un solo giorno di spada. Ho vissuto intensamente, sì, perché i miei ideali sono nati con me e sono cresciuti nell’insegnamento di mio Padre. La mia libertà, ironia della sorte, era legata alla mia negazione d’essere donna; e se ciò non avesse fatto soffrire a lungo l’uomo che amo, lo rivendicherei con maggiore forza.

In fondo, se non fosse esistito l’ostacolo dovuto alle bizzarre decisioni di mio Padre e all’accettazione, voluta o meno che fosse, di chi lo circondava, io oggi non sarei quello che sono. E l’amore di André non sarebbe stato possibile, perché forse non l’avrei nemmeno conosciuto. Non sarebbe cresciuto alcun sentimento né nel suo, né nel mio cuore cieco. Con tutta probabilità, non avrei potuto scegliere l’uomo che avrei sposato, e ne avrei sofferto come troppe donne che conosco e che amo. Sarei stata docile come la fiammella di una candela rubata a un camino rigoglioso, e altrettanto precaria. Pertanto posso solo essere felice di ciò che è accaduto alla mia nascita, e di tutti i vostri silenzi. Accetto ciò che è stato. Accetto di vivere, forte di questo passato. Finalmente sento il cuore libero da ogni contraddizione, e posso scrivervi con una serenità che credevo perduta.

 

Mi scriveste, quell’unica volta, che speravate che mi salvassi dalla vita militare che mi metteva costantemente in pericolo, ma che non c’era bisogno che mi mettessi al sicuro accogliendo il giogo del matrimonio. Allo stesso tempo mi incoraggiaste, con una veemenza che non mi aspettavo da voi, a rendermi conto dell’amore dell’uomo che mi stava a fianco da una vita. Consacraste, ai miei occhi, l’amore di André, e lo faceste perfino a nome di mio Padre. “Se fosse stato nobile” lui l’avrebbe accolto come genero. Ma a voi non importava nulla che egli fosse nobile o meno. Come certi poeti italiani di qualche secolo fa, mi avete lasciato intendere che la nobiltà è designata soltanto dal valore di un uomo e dalla forza del suo amore. Un cuore gentile è l’unica caratteristica che rende un uomo nobile. Ricchezze, titoli, potere si sgretolano dinanzi alla nobiltà di un uomo gentile, e diventano fumo.

 

Voi sapete che ho sposato un uomo così. Josephine ve l’ha riferito, come desideravo. Ve lo scrivo anche di mio pugno, perché sappiate quale felicità era in serbo per me su questa Terra, sin da quel giorno in cui, mentre mi tenevate tra le braccia, un uomo decise di chiamarmi Oscar. Permetterglielo, tacere, inghiottire le obiezioni… mio Dio, Madre, se non l’aveste fatto, tanto valeva che non nascessi affatto. Sono felice non solo di essere nata, ma soprattutto d’essere nata da voi e da mio Padre.

Molto presto affronterò la sua ira, ve lo prometto. Non voglio che egli si rifugi ancora nella vostra pazienza, arrovellandosi nel pensiero di ciò che doveva essere e non è stato, o nei pentimenti, o nei nodi del suo cuore, che nessuno tranne voi riesce mai a comprendere del tutto. Avrà me come avversaria, ma vi giuro che non vedrà altro che gratitudine nei miei occhi. E se non sarò ostile io, che sono la causa di tanta rabbia, forse egli deporrà le armi e accetterà, come me e come voi, che l’unico bene in questa vita è la gioia di due anime che realizzano d’appartenersi e d’aver condiviso il mondo.

 

Con questo sentimento vi ho scritto, Madre mia. Il mio pensiero vi segue sempre, con devozione e amore. Quando vi vedrò, sarò la persona che avrei sempre dovuto essere.

 

 

Vostra

Oscar Françoise Grandier

 

 

1 La lettera di Mme Marguerite è la numero 25 del precedente epistolario (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3398825&i=1).

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Capitolo 8
*** Nonna Marie - Palazzo Jarjayes ***


8. Nonna Marie

 

 

Palazzo Jarjayes, 23 febbraio 1787

 

 

 

Caro André,

 

Ho letto varie volte la tua lettera, per cogliere ogni parola... ogni sfumatura delle tue parole. Devo ammettere che, in alcuni punti, qualche lacrima è scesa giù bagnando inevitabilmente la carta. Non dovete assolutamente pensare che i miei malanni fisici derivano dalla vostra fuga. André... sono vecchia. Tu mi vedi ancora nella tua mente, che corro e ti prendo a mestolate, che ti metto quasi sempre in punizione, mentre ad Oscar invece davo solo una carezza. Sapevo per certo che parte importante delle vostre malefatte era lei a farle. Non potevo punirla e tu sai bene il perché. Ancora ripenso ai vostri sguardi, dopo aver combinato una marachella. Lei sempre fiera e a testa alta, tale e quale a suo padre. Ma eri tu quello che mi colpivi, guardandoti. Il tuo sguardo già da allora era rivolto a lei... l'amavi già, di un amore forte e potente che niente e nessuno sarebbe riuscito a toglierti.

Più passavano gli anni e più il mio timore cresceva. Vederti così perso... innamorato, senza via d'uscita. Tante volte ho cercato di allontanarti da lei, non riuscendoci. Andavo incontro a dei mulini a vento, come quel cavaliere spagnolo dei romanzi. Non potevo fermare ciò che era già destinato. Non sono arrabbiata con voi, sono solo delusa da me stessa per non avervi aiutato. È questo ciò che preme la mia anima, il non essere stata lì con voi. Posso ben immaginare la bellezza della mia bambina, il giorno delle sue nozze, vestita con abiti femminili. Solo in un'occasione ho avuto modo di vederla vestita da donna. Era bella... una dea. Ma qualcosa mancava nel suo sguardo, qualcosa che sicuramente sarà comparso il giorno in cui vi siete dichiarati marito e moglie. L'amore che riempie il cuore e scalda l'anima.

 

Vi amo immensamente e non potrei fare altrimenti, siete i miei bambini. Ti chiedo solo una promessa, me lo devi André per tutto l'amore che ho per te. Rendi felice la mia bambina, di quella felicità che solo chi ha passato tanto può capire ed apprezza. Fa’ che il tuo amore colmi il vuoto che perennemente abitava nella sua anima. Vi sarò sempre vicina e non preoccupatevi per me, sono forte abbastanza per potermela cavare ancora.

 

Con affetto

la vostra nonna adorata

Marie

 

 

P.s. Aspetto con ansia altre vostre lettere.

 

 

_________________

Angolo delle Autrici.

Ed ecco la mitica Nonnina, new entry delle nostre Relazioni e inedita anche rispetto alla storia precedente! Un po’ acciaccata dalla vecchiaia, e per questo, forse, un po’ più morbida di quando corcava il povero André di mestolate, ma sempre piena d’amore per i suoi bambini… la penna è quella di Orny81, che ha accolto il nostro invito e ci ha regalato questo personaggio in tutta la sua tenerezza. Grazie di cuore a lei da parte nostra!

 

Pamina71&VeronicaFranco

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Josephine - Paris ***


Parigi, 28 febbraio 1787

 
Cara Madame Grandier, (quanto amo questo appellativo!)
 
 
ho atteso qualche giorno prima di scriverti, perché ho ricevuto una furibonda missiva da nostro padre, e temevo potesse far sorvegliare la mia posta.
In questi giorni è invece molto impegnato a causa di alcuni tafferugli scoppiati in varie zone della Francia. Non molto lontano da dove ti trovi, ho sentito. Dopo le rivolte di Lione dello scorso agosto, tutta la zona a sud credo sia parecchio in fermento.
Ma su questo sarai certamente più informata di me.
Ad ogni buon conto, mi ha scritto per rimproverarmi di essermi recata alla caserma di Chaussée D'Antin per far sapere di te e André ai soldati. Pare che qualche ufficiale di grado intermedio mi abbia veduta, e che abbia riportato a corte vostre notizie.
Quindi adesso a Versailles girano voci incontrollate sul fatto che hai lasciato la vita militare per fuggire con un roturier, ovviamente rinforzate dal fatto che Bouillé, cui sono giunte le vostre richieste di congedo, ne ha approfittato per irridere nostro padre.
Immagina dunque quale potesse essere il tono della sua lettera (del suo biglietto, direi quasi, tanto era corto), con il quale mi ha ingiunto di non metter mai più piede nella vostra vecchia Caserma. Come ben puoi immaginare, se mi conosci anche solo un pochettino, non mi sognerei mai di obbedire a un simile ordine. Mi sono guadagnata faticosamente la libertà da un marito opprimente, mai mi piegherò a rimetterla nuovamente nelle mani di nostro padre.
 
Quindi vi andrò ben presto, giusto per il gusto della disobbedienza. Non troppo presto, poiché temo che i soldati potrebbero interpretare male tale gesto, leggendolo come causato da un interesse verso qualcuno di loro, come spesso capita agli uomini, che si credono motivo e scopo di tutte le azioni femminili. Ma mi recherò in visita.
 
Sempre per mero spirito di contraddizione, mi guarderò bene da dare qualsivoglia risposta a nostro padre. Deve sapere che sono dalla tua parte, anzi, dalla vostra, sino alla fine. Non comprenderà mai come il tuo gesto mi riempia di gioia e persino di orgoglio. La tua sfida alle convenzioni è un gesto che va al di là della provocazione, è una conquista di quella libertà che spesso è preclusa alle donne.
Il nostro augusto genitore ha altresì interpretato come una scelta indisponente quella di andare verso le coste meridionali, calde e soleggiate. Infatti, nella sua missiva, farneticava di arruolarvi in un contingente diretto ai mari del sud. Questo ti dà la misura di quanto sia offeso e furibondo.
 
D'altra parte, sappiamo bene quanto le sue parole siano vane. Darebbe un braccio per riaverti a Palazzo, anche se non lo ammetterebbe mai, né con te né con me. Ma lo ha lasciato vagamente trapelare a nostra madre. Con lei ha sempre avuto una confidenza che nega al resto del mondo.
È una cosa che mi ha spesso incuriosita. Non credo dipenda dal fatto che è la moglie. O, meglio, non solo. È anche il suo temperamento, fintamente remissivo, taciturno e pacato, ma capace di accogliere le tempeste e placarle, in qualche modo. Come una di quelle rade riparate, dove il furore del mare arriva e non riesce a portare scompiglio alle navi che vi sono accolte.
È così che penso a nostra madre, e al suo modo di affrontare i marosi della vita.
E sai chi me la ricorda molto? André. Così come tu hai copiato molto dagli atteggiamenti di nostro padre; d'altro canto, era quello che voleva. Sei una piccola tempesta; e hai sposato il golfo che ti accoglie.
Se non pensassi di esser troppo vecchia, mi augurerei la stessa fortuna. Ma ho l'inesorabile tendenza a invaghirmi degli uomini sbagliati.
 
E con questa frase da anziana parente inacidita mi congedo, prima di diventare troppo sentimentale.
 
Come al solito, abbraccio forte te e anche tuo marito.
Josephine de Liancourt.
 
 
 
 
P. S. Ma della luna di miele non mi racconti nulla? 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Madame Marguerite - Versailles ***


10. Madame Marguerite

 

  

Versailles, 4 marzo 1787

 

 

Mia cara e amatissima Oscar,

per quanto tu dica, nulla potrà mai cancellare quello che è stato e le responsabilità e le colpe che ciascuno di noi porta addosso.

Le tue parole di assoluzione nei miei confronti, invece di confortarmi, mi hanno ancora di più fatto cadere nella disperazione per quello che ti ho fatto, ma soprattutto per quello che non ti ho fatto.

Non posso che straziarmi l'animo al pensiero di quella bambina che disperatamente cercava un appiglio, un segno di comprensione da parte di sua madre che, invece, non ha mai saputo offrirle altro che muti silenzi, segno evidente di una vigliacca connivenza con suo padre.

 

Dal 25 dicembre 1755, ho trascorso le mie notti insonni a pensare a te e al crudele destino che ci ha colpito entrambe.

Tu, piccolo essere indifeso, di cui nessuno è mai riuscito a prendere le parti per salvarti dalla follia di un uomo accecato dall'ira contro un altro destino beffardo, che si è preso gioco delle sue aspirazioni e delle sue ambizioni.

Io, madre degenere, spaventata e vile, che della splendida e ardita figlia ha dimostrato di non avere neanche la metà del coraggio.

 

La tua assoluzione non cancella le mie colpe né può togliermi quel peso che adombra il mio spirito, quel senso di malinconia e di tristezza per essere una donna tanto vigliacca.

Mia adorata.

Tu cerchi di negare la sofferenza che ti ha accompagnato nella vita, piena solo di doveri, di sacrifici di ogni genere, di sforzi fisici superiori a ogni umana sopportazione da parte di una fanciulla il cui corpo non era stato creato per reggere una spada, ma per abbracciare un figlio.

Vuoi forse respingere i ricordi delle percosse di tuo padre e dei suoi terribili castighi?

Mia dolce Oscar, vuoi ora farmi credere che anche quei miei imperdonabili silenzi hanno contribuito, insieme ai deliri di tuo padre, a renderti più felice di quello che avresti potuto essere crescendo e vivendo secondo la tua natura di donna?

Ebbene, non mi inganni.

 

Io non ti ho confortata come sarebbe stato mio dovere, ma ti ho sempre osservata, anche nei miei lunghi silenzi.

La durezza del tuo animo, lo sguardo severo, la stanchezza che ti segnava spesso il volto, non erano certo indice di serenità d'animo, tanto meno di felicità.

Eri talmente tanto concentrata nei tuoi doveri e nel tuo ruolo, da non esserti mai accorta dei sentimenti di quel ragazzo, che grazie a un Dio misericordioso ti è stato accanto offrendoti quelle parole e quelle attenzioni che non hai ricevuto da nessuno altro.

Non è questo il segno di quanto tu avessi l'animo e l'intelletto ottenebrati da quella tristezza che scivola spesso nella malinconia?

Forse è vero. Forse così sei scampata a un matrimonio imposto e infelice come spesso accade a noi donne.

O forse no.

Io, che vi ho osservato in silenzio, dal primo giorno che André entrò nella nostra casa, ho sempre pensato che voi due eravate due anime elette, nate in questi luoghi e in questa epoca, per stare insieme.

Tanto forte è stato da subito il vostro legame e la vostra intesa, d'avermi fatto subito pensare che voi eravate stati chiamati a completarvi e che una Volontà Superiore avesse così deciso di riparare in parte ai danni provocati dalle umane debolezze.

Sono convinta che comunque fosse andata, qualunque scelta avesse fatto per te tuo padre, il vostro amore si sarebbe comunque, in qualche modo, realizzato e compiuto, contro ogni convenzione e imposizione.

Voglio così bene a quel bambino che ha portato la luce nella tua miseranda esistenza, da averlo segretamente considerato il figlio maschio che non ho mai avuto. Ti prego di riferirglielo.

Ora, grazie al vostro matrimonio, André è diventato davvero figlio mio.

 

Di come abbia reagito tuo padre alla vostra fuga e alla notizia della vostra unione, non mi interessa affatto.

Ora a questa madre non resta altro compito che redimersi per tutte le sue colpe passate e finalmente opporsi a quell'uomo cocciuto e stupido.

 

La gioia di sapervi insieme felici e in buona salute, è accompagnata però dal rammarico di non aver potuto vedere la mia bellissima figlia sposa.

Di questo ti rimprovero.

Pensavo sapessi e ti avessi spiegato a sufficienza, nella mia ultima lettera, quanto fossi dalla vostra parte.

Se mi aveste chiamata per raggiungervi alla vostra festa nuziale, io non vi avrei certo traditi, rivelando ad alcuno la meta e lo scopo del mio viaggio.

Ma in fondo, non ti colpevolizzo per non esserti fidata di nessuno, considerato che davvero nessuno, io per prima, è mai stato leale con te.

Sono immensamente felice che questo giorno sia arrivato. Ho sempre saputo che era solo questione di tempo.

Anche di questo mi rammarico, figlia mia.

Avrei dovuto aprirti gli occhi sui sentimenti di André già molto tempo fa e spingerti a riconoscere dentro di te quello che già provavi per lui.

 

Non mi resta altro che benedire la vostra unione e farvi sapere che da parte mia avrete ogni aiuto possibile, morale e finanziario e che, per questo, sarei disposta anche all'estremo sacrificio.

Quando affronterai tuo padre, io sarò con te.

 

Che la felicità possa accompagnare tutte le vostre giornate insieme.

 

Con infinito affetto,

 

tua madre Marguerite

 

 

 

_________

Angolo delle autrici.

E diamo il bentornato a una guest star che già nella scorsa storia ci aveva donato una nobilissima Madame Marguerite: Lucy71! Grazie a lei anche stavolta, e a tutte voi di leggere e seguire questo racconto a molte mani!

Pamina71 e VeronicaFranco

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Capitolo 11
*** Oscar - Lione ***


11. Oscar


Lione, 15 marzo 1787
 
 
Sorella mia amata,
 
hai sentito le nubi di tempesta all’orizzonte? Hanno imperversato per qualche giorno, impetuose, davanti ai miei occhi.
Io e André abbiamo ricevuto la tua lettera quando eravamo ancora a Hyères; ma pochi giorni dopo ne sono arrivate altre due.
Due lettere che ci hanno riempito gli occhi. È stato così strano riceverle nello stesso giro di posta, una da casa, una da Versailles. Entrambe dalle donne che sono state nostre madri.
Sembravano, in certi passi, essere state scritte dalla stessa persona, perché erano colme dello stesso dolore, della stessa gioia, degli stessi rimpianti. Ma perfino i rimproveri sembravano carezze.
 
André ha avuto per la Nonna solo parole d’amore, di scuse, di preoccupazione. E dolcemente la Nonna ha risposto, rivelando quanto, negli anni, paventasse il sentimento che cresceva con noi, segreto, inconfessato, inconfessabile; ancor più inesorabile.
Nostra Madre ha risposto a me. Ho nascosto spine nelle parole che le ho rivolto, sai; una parte di me voleva ferirla, forse punirla per tutto ciò che è accaduto in tutti questi anni sotto i suoi occhi, senza che lei lo impedisse. Se è stato un male, è stato comunque un male necessario, ormai lo sappiamo bene, ce lo siamo dette così spesso; ma è stato come sentirmi ringhiare dentro una bestia ferita, mai accolta o ascoltata. Priva di costrizioni, ormai libera, quella belva dice che sono arrivata a questo punto con le mie forze, senza fidarmi di nessuno.
Che assurdità, non è vero. Io che mi sciolgo per una carezza di André, io che ho bisogno di lui come l’aria, l’acqua, il cibo, che non so lasciarlo un istante; io che ho avuto bisogno di te per capirlo, della tua pazienza, della tua forza agghindata a leggerezza; io che mi facevo vezzeggiare da Nonna Marie anche quando sapevo che non l’avrei meritato, e mi nutrivo non solo del suo latte, ma della sua adorazione; io che ho ricevuto dai nostri genitori ben più che un abito maschile, ma l’esempio di onestà, onore, generosità con chi ci è accanto, liberalità perfino, devozione a cause più grandi di noi.
Ho diritto di nutrire rancore, o la presunzione di essere libera da ogni debito per gli errori che i miei genitori umanamente hanno compiuto?
Ho pianto leggendo le parole di nostra madre che accettava le spine dei miei rimproveri e mi donava le rose della sua felicità per me. Immaginava di vedermi sposa, volentieri avrebbe presenziato alla cerimonia; e c’era tanto dolore nella sua semplice constatazione, tanta remissività alla mia durezza di figlia, che ho provato rimorso.
 
Tu mi scrivevi, l’ultima volta, di non temere l’ira di nostro padre, perché in realtà avrebbe desiderato riaverci a casa, entrambi me e André.
Come gli somiglio, dunque. Vorrei accogliere, e respingo; vorrei dire che amo, e serro le labbra in una smorfia di durezza. André mi mostra come schiudersi ed essere trasparenti, guida la mia voce e i miei gesti, e io mi sono abbandonata del tutto ai suoi insegnamenti. Ma forse sono una pessima allieva, o forse il tempo non è ancora sufficiente per rendermi morbida e delicata com’è lui – ammesso che io lo possa diventare.
 
In ogni caso, mi sono aggrappata alle parole e all’appoggio ricevuto da tutte e tre voi, nostre care donne, e ho parlato con André dell’eventualità di incontrare il Padre. Mi aspettavo che lui non volesse lasciarmi andare; invece mi ha preso le mani nelle sue, mi ha detto: “Andiamo, dev’essere ancora a Lione, come ha scritto Josephine”.
Io non sapevo se essere più felice di quella totale fiducia che mi mostrava e di quel sorriso limpido come un’alba, o temere per lui. “Lascia che sia io a incontrarlo e a parlargli, ti prego”, gli ho detto.
“È giusto così. Ma appena tu avrai finito di parlargli, sarò io a chiedergli udienza. Vedi, anch’io ho molto da dirgli”.
Il pensiero di loro due l’uno davanti all’altro mi ha spaventata davvero. Così poca fiducia, dunque, nutro nell’autocontrollo di nostro Padre? Sarebbe davvero in grado di agire oltre le minacce, di ferire oltre le parole? Il mio volto ha bruciato spesso dei suoi schiaffi; ma non siamo più bambini, e io non so davvero se i miei timori nascano dal retaggio della mia giovinezza e delle sue punizioni, o se vi sia motivo reale per preoccuparsi tanto. In un sogno confuso, lontano, mi apparve una volta un’immagine angosciante: la spada di mio Padre pendente sul mio capo, la parola “tradimento” sulle sue labbra e il dolore nelle lacrime nei suoi occhi. E il sogno continuò ancora peggio, perché a fermarlo era André, e parandosi di fronte a me, accettava il colpo che era destinato a uccidermi.
Prendimi in giro, ti prego, per questa mia fervida, romanzesca immaginazione; non ho la tua dimestichezza con simili letture, ma ricordo bene quando le citasti.
Ad ogni modo, non potevo tacere ad André la mia preoccupazione.
“Non posso lasciarti solo con lui”, gli ho detto.
“Allora nemmeno io ti lascerò sola con lui”, ha dichiarato, con semplicità.
“Devo farlo. E poi… sono pur sempre sua figlia. Non mi accadrà niente”.
“Ne sono convinto. Ma l’amore è strano, sai; quando si è feriti può diventare facilmente odio, e far sembrare un male bene. E arrivi a ferire per non essere ferito”.
Parlava con lo sguardo di chi sa. Ho ripensato proprio al sogno che ti ho raccontato. E poi alla mia durezza con nostra madre, ai miei rimorsi e a ciò che lo stesso André mi ha confidato: che a volte, quando sentiva di impazzire di dolore, poteva perfino arrivare a immaginare la mia morte. Aveva terrore di quei sentimenti, fomentati dal vizio di bere: vi mise fine per scoraggiarli.
 
Una cosa così aggressiva, per un uomo così forte e buono. Ma nemmeno un attimo l’ho biasimato. Quando me lo ha confidato eravamo uniti in un abbraccio, senza veli e senza difese. L’anima nuda si specchiava in un’altra anima nuda, e così ho accolto quel ricordo, ormai purificato e innocuo, come la cenere di un vecchio malefico fuoco, benefica per la terra e i suoi frutti.
Così sai qualcosa che non racconterei a nessun altro, e sebbene tu finga frivolezza, so che avrai cura di questo ricordo.
 
Siamo a Lione, Josephine. So dov’è nostro Padre. Non l’ho ancora incontrato, ma siamo pronti entrambi a varcare la soglia degli acquartieramenti del suo reggimento, domani, se egli non acconsentirà a incontrarci qui, nella locanda dove siamo alloggiati. Appena manderò questa lettera a te, scriveremo un biglietto per lui, per invitarlo.
 
Nel frattempo ascoltiamo le notizie dei disordini di queste zone, e mi sono venuti in mente proprio i miei soldati, che tu hai incontrato.
Un anno fa tuonavi contro di loro, temevi la loro rozzezza e biasimavi la mia morbidezza; ed eccoti, complice di roturiers che tendono allegramente ad alzare il gomito e davanti a una dama sanno essere impacciati come ragazzini. Con l’eccezione di Alain, forse, quando non esagera e non compensa in atteggiamenti rudi il proprio disagio. Ma lo sai, il nostro… Sergente, come lo chiami tu, ha una deliziosa sorella minore. Ti assicuro che vederlo parlare con lei è come scoprire un’altra persona. La gentilezza gli è innata; ben nascosta, come si addice a un uomo su cui pendano molte responsabilità, ma viva.
E così per tutti loro. Madri, padri, sorelle, fratelli, famiglie numerose, gli affetti dei miei soldati sono la vera misura della loro umanità. Essi soffrono fame e privazioni con un sorriso inconfondibile, quello del sacrificio. Per questo, forse, André si trovava così bene tra loro, e li ripensa con affetto. Per questo hanno saputo conquistare il mio cuore aristocratico.
D’altronde, tu ami i divertimenti da borghesia, non è così? Mi ricordo un certo ballo di sellai che mi descrivesti minutamente in quel di Bruxelles, durante il viaggio che facesti l’anno scorso con nostra nipote Loulou e nostra sorella Hortense, presso Mme Fleury. Quanto mi arrabbiai, allora. Ti rimproveravo in cuor mio l’avermi abbandonata nel turbine dei miei dolori; e non capivo quanto potesse essere importante, per te, trovare ristoro nei divertimenti. Anche tu soffrivi per amore. Il mio egoismo non mi permetteva di comprenderlo, e la tua gentilezza non me lo faceva intendere. Non ti sei mai appoggiata a me, anzi, quando ti ho chiesto di lasciare quello stolto di un Hulin, hai fatto in modo che tutto apparisse come tua idea, alla fine, a seguito di indagini, controlli, conferme. Immagino che come consigliera in materia amorosa ti sembrassi opportuna come una nevicata in agosto; ma mi prendo un piccolo merito, l’aver saputo, almeno in quell’occasione, offrirti un buon consiglio. Con la spada, lo ricorderai, me la sono cavata discretamente meglio per aiutarti contro il pericolo che era diventato tuo marito.
Dunque, e ti sembrerà forse la cosa più inaudita delle mie lettere, ti invito a seguire il divertimento. Ovviamente hai ragione, non credo sia salutare far sorgere voci malevole sulla tua pudicizia (certe cose, nel nostro mondo, è meglio che accadano dietro i paraventi e mai alla luce), o incoraggiare qualcuno di quei ragazzi a sentirsi blandito; ma ti ricordi, invitai i miei soldati alla mia festa di fidanzamento mancato; perché non trovare posto anche per loro, dunque, nei tuoi ricevimenti, se non ti sembrerà una sfida troppo grande per la nostra famiglia?
O è un consiglio bislacco, con cui ti chiedo ti aprire un chiavistello con una fucilata?
Oppure potresti aprire il tuo salotto, come molte illustri dame di Parigi; i miei soldati non sono dei letterati, ma amano interessarsi di politica, e forse potresti invitare anche Bernard e Rosalie Chatelet, così avrai occasione di conoscere il primo e il piacere di rivedere la seconda.
E in tutto ciò, avrai misura concreta di ciò che si muove nelle menti di tutti, e che sfocia nelle presenti rivolte.
 
Adesso basta, mi ritiro dai miei consigli. Ho tergiversato, ma è il momento di scrivere quel biglietto. Sappi che mi sento come se ti avessi appena parlato, alleggerita e confortata; pronta a rendere all’uomo che mi ha cresciuta ciò che ha creato.
Tua
 
Oscar Françoise Grandier
 
 
 

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Capitolo 12
*** Josephine - Paris ***


12. Josephine

  

 

Parigi, 10 marzo 1787

  

Cara Madame Grandier,

 

 

Che dirti? Sul fronte delle battaglie familiari, stante la partenza di nostro padre per il sud, tutto è fermo ed immoto.

Ho invece passato dei pomeriggi interessanti.

Senza tediarti sul come io abbia avuto modo di esservi invitata: mi sono recata alcune volte in Rue D’Auteuil, al 59. Ti dice qualcosa questo indirizzo? Dubito che tu non lo conosca, e sarai fiera delle mie nuove frequentazioni.

Mi sono dunque recata più volte da Madame Anne-Catherine de Ligniville Helvétius e debbo dire che per me è stata un’esperienza nuova. Mi sono sentita come una scolaretta, a udire grandi menti conversare di soggetti sui quali avrei faticato a mettere insieme più di due frasi. Eppure, vi si respirava un’aria talmente frizzante, quasi che le produzioni intellettuali di cotanti cervelli fuoriuscissero dai loro crani e rendessero l’atmosfera stimolante come quando si mettono le erbe essenziali nei profumatori.

Scrittori hanno letto le loro produzioni, Lavoisier, che ha avuto la gentilezza di riconoscermi, ha raccontato dettagli delle sue ultime scoperte, ma, soprattutto, molto si è parlato e discusso della situazione in cui versa la Francia.

Sono sicura che tu saresti stata entusiasta, al mio posto. Talvolta mi pareva quasi di rileggere alcune delle tue frasi, sull’uguaglianza delle persone, sui diritti, sulla possibilità di decidere per sé e per la propria vita. Mi sono immaginata te e André nello stesso salotto, certa che avreste avuto modo di dialogare su un piano di parità. Chissà, magari prima o poi succederà!

 

Ho avuto modo di parlare a lungo, soprattutto, con uno scrittore che avrai sicuramente udito nominare, Jean-Antoine Roucher. Non abbiamo avuto modo di discutere della sua opera più famosa, “Les mois”, perché ha avuto modo di raccontarmi diffusamente i problemi che sta avendo con Le Harpe per l’ammissione all’Academie Française. Non credevo che essere accettati richiedesse compromessi come quelli che mi ha raccontato. Pensa che gli è stato espressamente richiesto di smettere di pubblicare le Quattro lettere a Malesherbes di Rousseau, pena la perdita della poltrona. Ovviamente, non ha accondisceso.

È una persona che frequenteresti volentieri, credo. Molto diretta, molto sicura delle sue idee.

Abbiamo avuto modo di parlare a lungo, nel salotto di Madame Helvetius oppure al parco delle Tuileries, dove mi ha accompagnata per una passeggiata. E posso assicurarti che anche a me pare pieno di spirito ed intelligenza.

Credo anzi che mi stia facendo una leggera corte, cui, ad essere sincera, non disdegno di prestare attenzione.

Fa piacere suscitare l’interesse di un uomo di fine spirito, anziché quella dei soliti vanitosi che si vedono a corte (e nei miei salotti, a onor del vero).

 

Ora abbandono la penne, sto appunto per recarmi ad Auteuil.

Attendo tue notizie e ti abbraccio forte.

 

Josephine de Liancourt.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Oscar - Lione ***


13. Oscar

 

  

Lione, 19 marzo 1787

 

 

Il tuo silenzio, così raro, mi fa temere che tu abbia disapprovato ogni nostra mossa, e che ti sia già arrivata notizia di quanto accaduto a Lione dopo la mia ultima lettera.

 

Già. Non è accaduto quello che speravamo.

Era un azzardo, lo sapevamo bene, e al primo accenno di rifiuto di nostro Padre (mascherato da rigidissimo silenzio e dal ritorno del latore del nostro messaggio a mani vuote) il primo impulso per me è stato avverare la mia minaccia e presentarmi di fronte a lui.

André mi ha impedito un simile colpo di testa. Sai quanto può essere dolcemente persuasivo; egli sosteneva che la goccia scava la pietra, è una delle sue massime preferite, e che non avremmo ottenuto nulla a mettere nostro Padre con le spalle al muro. Se ci fossimo invece impegnati a rimanere dove eravamo, senza esporci alla vista degli altri Soldati e alle voci che nostro Padre tanto detesta, avremmo forse potuto smuovere le sue azioni.

Sarebbe stata senz’altro una strategia migliore; se solo Lione non fosse, come tu mi hai scritto, in fermento. Forse nemmeno volendo nostro Padre avrebbe potuto riceverci serenamente. Ma non credevamo che il nostro incontro, perché l’incontro c’è stato, avrebbe avuto un tale esito.

 

Eravamo alla Locanda ormai da due giorni e senza risposte, quand’ecco venire dalla piazza voci di folla. I tumulti possono ancora scuotermi il cuore, se mi risvegliano il ricordo angoscioso di Saint Antoine e del cappio destinato al collo di André. Dalla finestra potevamo vedere le file scomposte dei dimostranti inneggiare alla libertà, chiedere pane e giurare vendetta sui tiranni. Contemplavo la scena, e pensavo a molte cose: alla Regina troppe volte ignara di simili rimostranze, all’impegno vuoto dei Ministri che dovrebbero sanare il bilancio nazionale, alla reazione sdegnata dei nobili del Consiglio del Re a ogni proposta di riequilibrare la ricchezza; e infine, al bambino ucciso dal Duca di Germain ormai molti anni fa, vittima, vendicata dalla mia mano, della follia del Potere.

Guardavo ogni cosa da lontano, chiedendomi cosa ci riserva il futuro. È la corda che ci lega alla Francia, al di là dell’amor di patria e dell’affetto che nutriamo per voi. Siamo ancorati, sia io che André, al destino di ciò che amiamo e di chi amiamo. Nell’incertezza, ho cercato la mano di André mentre il mio sguardo contemplava ogni cosa; e ne ho ricevuto un abbraccio, ho sentito il suo calore cingermi le spalle e il suo petto mi ha offerto protezione.

Ho indugiato con gratitudine nella sua stretta. Sorridevo perfino, pensando che nonostante amassi abbandonarmi a lui, la verità era l’opposto; se fosse accaduta un’altra Saint Antoine, tra lui e gli aggressori avrei parato il mio corpo, e l’avrei difeso finché avessi avuto respiro.

 

Nel frattempo, qualcuno era salito su un’improvvisata tribuna, e aveva spento i furori più facili per incoraggiare all’ascolto. Un discorso pubblico di un uomo comune, ma quanto motivato!

Abbiamo provato il desiderio di ascoltarlo. Da lì non riuscivamo a sentirlo bene, così abbiamo deciso di uscire. Coperti dai nostri mantelli siamo scesi in piazza, e lì la voce ci ha raggiunti.

 

È molto diverso ascoltare il cuore di una piazza rispetto ai vivaci dibattiti di un salotto, se mai avrai occasione di frequentarne uno come ti suggerivo nella lettera scorsa, di cui non ho ancora ricevuto risposta.

Dicevo, salotti e discorsi pubblici. Si tratta di due modi diversi e complementari di fare politica. Se è vero, come dice Aristotele, che l’uomo è un animale politico, e vedo spesso tracce di questa verità a conferma, allora mi chiedo come mai siano estromessi dalla vera politica tutti gli uomini e le donne al di fuori del nostro rango. Hanno un tale desiderio di comprendere, di trovare soluzioni, di affiancare l’operato del Re e raddrizzare i torti dell’aristocrazia. Uno Stato illuminato: quanti vantaggi porterebbe alla gestione della cosa pubblica! Forse davvero il futuro è quello che la povera gente sogna: dialogo, apertura, equità.

 

André mi teneva stretta per mano, e dalla luce del suo sguardo, dalla piega soddisfatta delle sue labbra ho intuito quanta gioia gli procurassero quei discorsi di uguaglianza. L’anonimo oratore doveva essere un uomo istruito. Era semplice nei concetti, ed efficace. Forse un uomo di legge. I suoi abiti erano borghesi e sobri.

Ho provato la sensazione di un’appartenenza profonda. Ecco che per mia scelta ero come André, sua moglie, sua pari, sua compagna. Se lui era benvenuto in quel contesto, lo ero anch’io. Vestivo anch’io abiti semplici, come i suoi; i nostri mantelli erano privi di ornamenti. Nessuno avrebbe potuto dire di me che fossi nobile di nascita.

 

Gli uomini sono nati uguali.

 

Ascoltavo queste parole e fremevo tra le braccia di André. Non ho mai avuto difficoltà a pensarlo di noi due. I nostri studi, i nostri giochi, le nostre mansioni, tutto è stato parallelo. Ciò che apparteneva a me era anche suo. Non ho mai pensato, nemmeno un istante, che non fosse giusto, o che gli fossi superiore. Ma è stata l’unica eccezione per anni.

Quando allevai Rosalie, in cuor mio avevo l’orgoglio di fare di lei una dama raffinata, di mettere alla luce le sue qualità e avverare, dalle sue oscure origini, la sua nobiltà. La sentivo diversa, e la volevo rendere uguale a noi.

Poi vi furono i miei soldati. Erano diversi da me, ma volevo calarmi nei loro panni, comprenderli e abbattere i muri della nostra differenza sociale. Saint Antoine ha ruggito di sdegno contro questo desiderio, e rischiato di risucchiare André nel vortice dell’odio rivolto a me sola.

E invece, invece! Sentirsi il cuore battere di speranza per il futuro della Francia! Capire che non si può più restare fermi nell’Antico, che la mente dell’uomo ha riportato troppe conquiste per tollerare ancora l’attuale stato di cose! Ero lì insieme al mio uomo, piena negli occhi e nell’animo delle stesse speranze e della stessa forza che traboccavano dal suo petto, e da tutti i nostri vicini. La massa informe e imprevedibile, la sua furia spesso cieca e violenta, ammansita dall’anelito di libertà! La rabbia mista a coraggio! Noi tutti, fratelli…

 

Un drappello di soldati ha posto fine a quel momento rivelatore. Sono intervenuti in fretta, gridando a tutti di disperdersi. L’idillio si è sciolto, la paura si è diffusa come un morbo. Io e André ci siamo sentiti spingere e strattonare nella fuga scomposta dei primi. Ci siamo stretti l’uno all’altra, col cuore ghiacciato dalle stesse emozioni di Saint Antoine; ma quanto diversi, stavolta, gli aguzzini!

A poca distanza da noi, alcuni soldati si sono fatti avanti, malmenando uomini e donne che capitavano a tiro, senza distinzione. Ho sentito le braccia di André cingermi più forte e cercare di tirarmi via di lì, ma lo sdegno ha vinto ogni mia prudenza. Ho intimato a quegli uomini di fermarsi immediatamente: la gente che colpivano era disarmata. Attirati dalla mia voce, due soldati ci hanno notato. Ci sono venuti incontro estraendo le spade, mentre intorno a noi la gente si disperdeva spaventata.

André non voleva lasciarmi, l’ho sentito sussultare e ha tentato di coprirmi. Ma è stato naturale, per me, mettere mano alla spada che celavo sotto gli abiti e spingerlo di lato, per pararmi tra lui e loro. Prima che potessero agire, ho chiesto chi fosse il loro Comandante. Non rispondevano, e forse avrebbero osato alzare le mani su di noi, se io non avessi gridato il nome di mio Padre. E rivelandomi, e rivelando la spada che portavo, di colpo si è fatto silenzio intorno a me; eccomi al cospetto di tutti, popolo e soldati, col mio nome e il mio rango di un tempo, la mia arma viva alla luce del sole e tagliente come il vento gelido che ci sibilava alle orecchie. Questo, solo questo ha potuto fermarli; mentre André mi restava vicino con ossessiva attenzione, pronto a proteggermi se quegli uomini avessero deciso comunque di attaccare. Ci siamo fronteggiati in silenzio; infine, una voce ha rotto l’aria, ha colpito il mio cuore e frenato i soldati.

 

Il Padre. A cavallo, ci guardava. Il viso una maschera di marmo, gli occhi accesi come braci. Il vento scuoteva gli alberi, i suoi abiti, la criniera del suo cavallo; lui, immobile come una colonna.

Un’immagine simile è stampata nei miei ricordi di bambina, vivida come un soffitto di Versailles. L’allegoria del Potere, del Comando, della Guerra.

 

Per un attimo, i nostri sguardi sono stati uno solo. L’ira lo divorava, ma infittiva il suo silenzio.

I soldati, richiamati dai sottoufficiali, si sono messi sull’attenti. La gente comune intanto aveva fatto vuoto intorno a noi, e altri soldati la disperdevano in altri punti della piazza.

Il mondo si muoveva, e noi sempre fermi, io con la spada sguainata, abbassata, lui spettro solenne del mio passato.

André si è mosso. Si è fatto avanti, mi si è accostato fin quasi a coprirmi. A quel punto ho perso lo sguardo di mio Padre, ed entrambi si sono fronteggiati. La quiete consapevole di André era sconcertante, a fronte della tensione che sembrava di poter tagliare con la spada.

Non hanno parlato, non a voce: quanto dovevano dirsi è trapelato dagli sguardi. Quello di mio Padre gridava. Quello di André l’ho visto solo un istante dopo: caldo, determinato, paziente. La goccia contro la pietra.

 

Mio Padre ha intimato ai soldati di seguirlo. Un comando secco, violento. Ci ha voltato le spalle.

Allora mi sono resa conto che il cuore mi batteva all’impazzata. Avevo una mano stretta al braccio di André, senza ricordarmi quando l’avessi afferrato. L’altra reggeva saldamente la spada.

Eravamo stati graziati, o condannati?

Avevo freddo e avevo caldo.

André mi ha presa tra le braccia. Anche lui doveva essere scosso. Senza dire nulla, ha guidato dolcemente la mia mano, mi ha schiuso le dita e fatto riporre la spada nel fodero.

Mi ha portata al riparo, e mi sono accorta di grida lontane: i disordini erano nel pieno del loro corso. Non ho udito spari, per fortuna. Le misure forti scelte da mio Padre non comprendevano l’esecuzione sommaria dei manifestanti.

 

Arrestati i capi dei tumulti, nostro Padre ha concluso il suo mandato. Non ha cercato nessun altro contatto con noi. Un altro reggimento è giunto a Lione stamattina, il suo ha lasciato la città.

Non c’è più nulla che possiamo fare qui.

 

Ti farò avere nostre notizie al più presto, e un indirizzo sicuro a cui scrivermi.

 

 

Oscar

 

 

 

 

 

 

 

Chiediamo venia per il piccolo ritardo, e ringraziamo chi ci legge per la pazienza!


Una piccola comunicazione di servizio: la prossima settimana sarà festa, così le pubblicazioni delle nostre Sorelle riprenderanno regolarmente dopo la pausa pasquale, ovvero il venerdì 21 aprile. Un abbraccio a tutte!


Pamina71&VeronicaFranco

 

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Capitolo 14
*** Josephine - Paris ***


14. Josephine

 

 

Parigi, 24 marzo 1787

 

 

Cara Oscar,

 

 

Non ho ancora ricevuto tue notizie, né alcuna lettera da nostro padre. Comincio a preoccuparmi. Talvolta penso che possiate esservi incontrati e che debba essere successo qualcosa di terribile.

So che le lettere più velocemente di così non possono viaggiare, e che probabilmente le nostre si incroceranno (o almeno lo spero, vorrei davvero che tu mi avessi scritto), eppure mi piacerebbe sperare che tutto si stia risolvendo per il meglio.

 

Io qui conduco la mia solita vita, tra piccoli tè pomeridiani, alcune serate da ballo (anche se la stagione va verso la conclusione), e, ormai, anche alcune riunioni presso il Salotto di Madame Ligniville Helvétius. Contrariamente a quanto temessi, mi trovo bene, e ho smesso (perlomeno, ho quasi cessato, non ancora del tutto) di sentirmi una papera tra le aquile. Certo, mi rendo ancora perfettamente conto delle lacune culturali che mostro rispetto agli uomini e ad alcune delle donne presenti, eppure nessuno vuole metterle in evidenza. Anzi, se qualcosa non mi è chiaro, mi viene spiegato senza alcun atteggiamento di condiscendenza.

Tuttavia, la sensazione di inadeguatezza aleggia ancora sul mio animo e questo ha fatto sì che riprendessi in mano alcuni classici per rispolverarli, e (lo avresti mai detto) persino alcune letture proibite che nostro padre disapproverebbe in una maniera assoluta.

Monsieur Roucher sta pensando di tradurre un libro di un certo Adam Smith, La Richesse des Nations, e spesso me ne illustra alcune parti. Talvolta fatico a comprendere, ed occorre che passi attraverso esempi semplici, eppure sono affascinata da questa analisi del motivo per cui alcuni paesi stiano godendo di una recente e diffusa prosperità, come l’Inghilterra e l’Olanda.

 

Trascorro molto tempo, come ti dicevo nella lettera passata, con Monsieur Roucher. Si tratta di un lento avvicinamento, più che di un corteggiamento.

Parliamo, passeggiamo, beviamo un tè.

Il giorno successivo parliamo, passeggiamo, beviamo un tè.

E poi, ancora, parliamo, passeggiamo, beviamo un tè.

Ripetiamo i gesti con una quotidianità calma e pacifica. Quasi come due vecchi coniugi.

Eppure, non mi mancano gli assalti passionali, le grandi dichiarazioni sentimentali, la foga che richiede di esser contraccambiata sotto minaccia di togliersi la vita.

Per la prima volta, dopo molto tempo, sto bene con qualcuno, senza chiedere di più.

Monsieur Roucher mi ricorda molto le tazze di tè che beviamo insieme. Caldo, rasserenante, ristoratore, eppure rinvigorisce l’intelletto.

Chissà cosa penserai di queste mie parole. Che sono la solita, vuota ed egoista sorella. Quella che si infila in storie sentimentali senza alcun senno.

Probabilmente avresti ragione, ma è il solo modo che conosco per provare a riportare questa esistenza sul sentiero giusto.

 

Non ti chiedo consigli, attendo tue notizie e ti abbraccio forte.

 

Josephine de Liancourt.

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Capitolo 15
*** Oscar - Dijion ***


15. Oscar

 

Dijon, 24 marzo 1787

 

Mia cara Josephine,

 

non ho tue notizie ormai da molte settimane e questo mi preoccupa. Voglio sperare che il motivo siano i nostri spostamenti e non questioni più gravi, magari causate da ciò che è accaduto a Lione e dall’ira che abbiamo suscitato nell’animo di nostro Padre.

Avevamo dato disposizioni ai nostri osti di Hyères, prima della partenza, di conservare la nostra posta, affinché potessero inviarcela appena avessimo avuto un luogo abbastanza stabile dove riceverla.

Non so se l’abbiamo trovato, e onestamente vorrei avere uno spirito più euforico per godermi la bellezza della città in cui ci siamo fermati per il momento.

 

Dijon, con i suoi marciapiedi, i suoi antichi monumenti, l’aria che trasuda d’arte e poesia. Il luogo ideale per chi viaggia per curiosità e per rinnovare i propri orizzonti. Un’occasione in più per conoscere la nostra Francia e le sue molte sfumature. Una meta in più tra i ricordi del nostro nuovo tempo insieme.

Eppure sia io che André siamo come assorti. Non permettiamo alla malinconia di stringerci, né alle domande sul futuro di coglierci; ma a volte ci sorprendiamo a guardarci in silenzio, gli occhi pieni di pensieri che non conoscono parole. Ci confortiamo teneramente nel mutuo contatto e ci doniamo alla reciproca appartenenza, anima e corpo, per averne rassicurazione. Non togliamo nulla, nemmeno un istante al goderci l’un l’altra, dai modi più sereni e aperti a quelli più segreti e nostri. Amarsi ha cause molteplici; sperimentiamo insieme la gioia di non essere soli al mondo, d’aver provato timore e delusione insieme, e perfino… perfino d’avere nostalgia, in qualche modo.

Se non avessimo incontrato il Padre e non avessimo ottenuto il suo rifiuto, forse non ce ne saremmo accorti, presi com’eravamo dalla gioia delle nostre nozze. Ma la malinconia dovuta alle vostre lettere, tue, della Madre, della Nonna, e il desiderio di incontrare lui erano già un indizio sufficiente per farci comprendere questa piccola, banale verità.

Condividere la nostra felicità con voi o tenerla per noi? Di questo si tratta, dunque, e questa domanda è cresciuta in questi mesi di assenza: senza saperlo, ci siamo mossi anche per arrivare a una risposta.

 

Da un lato, l’anelito con cui questo viaggio è iniziato è ancora presente. Libertà, anzi, liberazione; avventura, scoperta; curiosità e bisogno di approfondire lo stato delle cose qui in Francia; certezza che la nostra felicità non potesse prodursi che lontano dalle censure del passato; tutto questo ci siamo dati come scopo e vantaggio del nostro girovagare.

Dall’altro, eccoci di comune accordo verso Nord. Dijon è più vicina a Parigi di quanto lo fosse Hyères. Non c’è più il vantaggio d’essere vicini al confine, né in fondo l’abbiamo mai cercato, giacché non era la fuga il motore del nostro viaggio.

Siamo come certe piccole imbarcazioni di pescatori, che navigano a vista per affrontare a terra le eventuali tempeste future. La nostra terra.

Che questa lettera ti raggiunga presto e riceva finalmente una risposta.

 

Oscar

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Capitolo 16
*** Josephine - Paris ***


16. Josephine

 

Parigi, 11 aprile 1787

 

Cara Oscar,

 

Quanto ero preoccupata nel non ricevere tue notizie nemmeno per la Pasqua!1 Temevo ti fosse accaduto qualcosa.

Solo ora, ricevendo più missive insieme, mi rendo conto di quanto i disservizi postali abbiano sfalsato le nostre comunicazioni. Tu temevi che io ti disapprovassi, o che già avessi tue notizie da altre fonti. Ma come, come potrei biasimarti? Sai benissimo che condivido i tuoi atti e le tue scelte.

Ora più che mai, dopo aver cominciato, come mi suggerivi tu con amabile lungimiranza, a frequentare un salotto. E mi ha aperto la mente e gli occhi scoprire che tu lo intendessi come atto politico, pensiero che mai mi era balenato eppure, ora che me lo hai fatto notare, la cosa mi pare talmente ovvia!

Avvicinarmi a certi personaggi, lasciarmi istruire dai loro discorsi, era un atto che recava in sé semi di ribellione ben più profondi di quanto credessi.

Semi che a quanto pare stanno fecondando l’intero suolo francese, da quello che mi dici.

Sono rimasta molto turbata da quanto mi hai scritto. Per vari motivi.

Mi ha davvero fatto una notevole impressione sentire descrivere una rivolta dall’interno, per così dire. Leggere la tua raffigurazione dell’oratore, della sua abilità nel sedare gli animi più accesi e nello stesso tempo nel sollevare i cuori verso l’uguaglianza è stata un’esperienza nuova, che mi ha resa curiosa di poterla provare.

Le tue considerazioni sulla regina e sui soldati mi hanno emozionata ancora di più. Sono le due facce della tua anima. Ami di sincero affetto colei che il popolo accusa di essere crudele, e nello stesso tempo sei affezionata ai tuoi poveri soldati, presi e scelti tra gli ultimi. Nel tuo animo già si è effettuata quella unione cui anelavi e che descrivevi nella lettera.

E, poi, l’incontro con nostro Padre.

Dire che mi abbia sconvolta non è sufficiente. Non solo per il tuo racconto, ma anche e soprattutto perché nel frattempo è rientrato alla Reggia, e io ho avuto agio di incontrarlo e conversare con lui. Solo ora mi rendo conto di quanto quella conversazione sia stata una finzione.

 

Io gli ho chiesto come fosse andata la missione, se fosse stata pericolosa. Lui ha minimizzato, dicendo che, a parte qualche scaramuccia, non vi erano stati episodi degni di nota. Su questo, debbo dire che è stato parzialmente sincero, confermando quanto hai scritto, sul fatto che avesse risparmiato i manifestanti dall’esecuzione sommaria. Non ha però accennato, neppure di sfuggita, al fatto di averti incontrata e all’episodio che vi ha messi di fronte. Suppongo supponesse che io sapessi qualcosa, visto che in fondo è al corrente delle nostre epistole.

Chissà se ha immaginato che io gli mentissi, o se ha compreso che davvero ero all’oscuro di tutto. Non che mi importi, essere ritenuta bugiarda. Eppure sento che, se potessi spiegargli quanto mi hai detto, forse potrei portarlo dalla tua parte. Forse, se vi vedeste in un’altra situazione, potreste chiarirvi. Sono convinta che un modo per mettere almeno parzialmente in comunione i vostri due mondi ci debba essere.

È furioso con te, soprattutto per il fatto che il tuo gesto lo abbia messo sotto gli occhi della corte in modo così imbarazzante. Eppure so che potrebbe mutare parere.

Ci ho pensato lungamente, anche sulla scorta di certi pensieri che Monsieur Roucher mi ha scritto in una lunga lettera in cui mi illustrava certe teorie sul modo in cui si forma il pensiero. Ebbene, ritornando indietro al modo in cui André è stato allevato, così identico al modo in cui tu sei stata educata, ripensando a come gli sia sempre stato concesso di rimanere con te, rimembrando il suo accesso a Corte, credo che nostro padre abbia di lui opinione più alta di quanto non sarebbe disposto ad ammettere. Certo, il fatto che André gli abbia in qualche modo rapito la figlia e l’erede (perdonami la frase) non lo aiuterà ad ammetterlo. Però, ora che le voci a corte si sono chetate, penso che potreste ritornare a Palazzo per provare a spiegarvi.

Magari, annunciandovi con un biglietto.

Siete ancora in tempo per arrivare per la Pentecoste2, entrambi sapete quanto nostro padre tenga a questa ricorrenza, con la messa solenne e le trombe suonate durante il culto. Se arrivaste il venerdì, potreste provare a chetarne l’animo, e io potrei aprirvi la strada parlandogli già sin d’ora.

 

Spero che questa mia lettera vi giunga in fretta, vorrei davvero che un incontro tra di voi fosse possibile. E poi, ho voglia di rivederti.

Aspetto tue notizie con ansia.

Josephine de Liancourt.

 

1 Nel 1787 cadde il giorno 8 aprile

2 27 maggio 1787

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Capitolo 17
*** Oscar - Paris ***


17. Oscar

Parigi, 1° maggio 1787
 

Cara Sorella.

Mi assicurerò personalmente che il messo che deve consegnarti questa lettera la ponga tra le mani di M. Valjean, se non proprio tra le tue. Ti chiederai perché non ci presentiamo in prima persona; bene, perché M. Valjean ci conosce, e non vorrei muovere le acque prima che sia il tempo. Sappiamo troppo bene, ormai, come vanno le cose con i servitori, anche se il tuo degno maggiordomo si è rivelato spesso più discreto di quanto ci si aspettasse da lui. Ma hai altre persone al tuo servizio, della cui fedeltà non sarei troppo sicura: così non ti metterò in difficoltà con il Padre, venendo in casa tua e mostrandomi come nulla fosse a occhi indiscreti. Almeno questa segretezza, abbiamo deciso di mantenerla.
Grande, tuttavia, è il desiderio di rivederti. Alloggiamo alla Locanda di ***, non troppo lontano dal Palazzo Reale. Raggiungici per cena. Da troppo tempo non ho una tua parola, e mi rincrescerebbe se tu mi avessi scritto inutilmente fino a oggi; ma non posso certo aspettare che le Poste mi rintraccino dopo tanto girovagare, non trovi?

Già, il nostro viaggio è stato lungo. Dopo Dijon, ci siamo spostati a Troyes; poi a Sens; poi, Orléans; infine, eccoci a Parigi. Abbiamo tergiversato, prima di raggiungervi, per il nostro solito motivo: ascoltare. Le strade parlano meglio dei pulpiti. Torneremo sulla strada quando vi avremo rivisti tutti, sappilo; toccheremo il Nord della nostra Arras, la fatata Normandia e il suo mare, poi la costa fino a Brest, e giù verso La Rochelle, Bordeaux e i Pirenei. Un tuffo nella storia e nella geografia del nostro Paese, altre avventure per il nostro spirito e conoscenza per le nostre menti desiderose di risposte. Approfitteremo dei soldi che abbiamo da parte finché potremo, per questi viaggi così importanti ai nostri occhi. Dopo, abbiamo già pensato ai mestieri cui potremo dedicarci, e senza dubbio non c’è cosa che mi riesca meglio che la spada; così potrei guadagnarmi da vivere come maestro d’arme. André, con la sua precisione e abilità contabile, potrebbe essere un eccellente segretario e intendente, o un maestro. Ma basta scriverne, ti parleremo di tutto questo a voce, e sentiremo da te le novità.

Sono felice di essere tornata. L’aria ha ancora quell’odore inconfondibile. Qui siamo di nuovo piccoli punti di un microcosmo caotico e vivo. Siamo nel nostro elemento. Parigi è intorno a noi, e la Senna ci splende davanti agli occhi. Da quanto tempo non godevo della sua vista. Anche André è felice, so che non vede l’ora di incontrare la Nonna. Anch’io. E vorrei vedere nostra Madre, allo stesso modo. Ti chiederemo consiglio su come organizzare questi incontri___

Stavo per salutarti, ma André è tornato dalla sua passeggiata e mi ha riportato notizie dei nostri amici. Alain e François saranno in licenza solo oggi, e poi non potranno liberarsi per un’intera settimana. Ti dispiace, dunque, che lui li abbia invitati a cenare con noi stasera? Non dovrebbero causarti disturbo, so che già una volta avete condiviso la stessa tavola. E io ho troppo desiderio di rivederti, per chiederti di rimandare il nostro incontro. Vieni oggi; parleremo da sole, e André intratterrà i nostri amici al pianterreno. Li incroceremo solo durante la cena.

Ti aspettiamo.

Oscar





 

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Capitolo 18
*** Josephine - Paris ***


18. Josephine

Parigi, 2 maggio 1787

 

Cara Oscar,

Debbo dire che la serata di ieri è stata davvero anomala.

Come io non ho ricevuto molte delle tue lettere, così tu non hai ricevuto le mie, e non avevi idea di chi fosse Roucher. Nello stesso tempo io non avrei mai rinunziato a vederti dopo così tanto tempo. O, meglio, non avrei mai rinunziato a vederti moglie, a cercare di strapparti notizie sulla tua nuova vita, commenti sugli ultimi accadimenti, e persino a provare a farti arrossire con domande un poco imbarazzanti. Ma sei arrivata in maniera incredibilmente improvvisa, dopo i tuoi pellegrinaggi in tutto il regno. Ed io, come ho solo potuto accennarti rapidamente ieri, avevo già promesso di terminare il pomeriggio con Monsieur Roucher, quando il tuo messaggio mi è giunto. Lui inoltre non ha voluto sentire ragioni. Ha preteso di scortarmi, sia all'andata che soprattutto al ritorno, poiché le zone attorno a Parigi non sono affatto sicure la notte.

Il resto lo conosci, non è il caso di descrivere la serata a chi era presente. Ma lasciami dire che alcune cose mi hanno lasciata davvero stupefatta. In primo luogo la tua reazione sorpresa. Non credevo che ti saresti rintanata in un mutismo fatto di parole di circostanza. Ho per la prima volta potuto vedere come instauri i rapporti con qualcuno di cui non ti fidi. Non sei scortese, per nulla. Anzi, chiacchieri e con domande apparentemente banali giri attorno al nuovo arrivato come un cane da caccia di nostro padre. E lo hai fatto per un tempo abbastanza lungo, osservando, ascoltando e facendoti un'idea di Roucher, per decidere se fosse un amico o un nemico.

I tre uomini sono stati ben più diretti. Penso di poter dire che sono più istintivi e meno sospettosi, in generale. E quindi più rapidi nelle loro decisioni. André ha immediatamente deciso che gli era simpatico, e inoltre il tipo di argomentazioni era decisamente nelle sue corde. Sono felice di averli veduti parlare così amichevolmente e francamente tra di loro. Ho scoperto che tuo marito conosce davvero molte cose, si intende di politica e sa parlare molto bene. Non si troverebbe affatto a disagio nei salotti che frequenta Roucher. Penso davvero che dovreste accettare l'invito che vi ha rivolto e provare a venire ad Auteuil. E anche tu hai una buona dialettica, una volta che lasci sciogliere la patina di gelo che ti fa sospettare di tutti (anche se so che sospetti di lui temendo per il mio avvenire).

A proposito di gelo. Devo dire che vederti dopo il matrimonio mi ha reso felice. Sei davvero un'altra persona. Più serena, meno disposta a nasconderti, sorridi più spesso, lanci ad André delle occhiate meravigliose che raccontano tutto il vostro amore. Non sai quanto ne sia lieta. Ti ho persino sentita ridere alle battute discutibili di quell'odioso soldataccio che si chiama Alain! Voi due sembrate essergli sinceramente affezionati, soprattutto tuo marito, e francamente mi sono chiesta perché. Rude, sgraziato, ha rimbeccato Roucher con certe maniere da incolto da farmi alterare in più di un'occasione. Sembra molto sicuro del fatto suo, ma mi chiedo davvero su che basi possa parlare con tutta quella sicumera! Debbo dire che davanti alla caserma mi aveva fatto un'impressione decisamente migliore. Vedi come ci si sbaglia a volte? Preferisco il soldatino timido e taciturno, François.

Ora ti saluto, ho scritto fin troppo. Spero davvero che accettiate l'invito e veniate ad Auteuil.

La tua Josephine de Liancourt.

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Capitolo 19
*** Oscar - Paris ***


 

19. Oscar

Parigi, 2 maggio 1787, sera

 

Cara Sorella,

vorrei riprenderti per alcune cose poco urbane che hai scritto ieri, come il paragonarmi a un segugio sospettoso o gettare disprezzo su Alain solo perché ha replicato a modo suo a certi eccessi del tuo Roucher; se non fosse che la tua vezzosa ironia mi è mancata fin troppo, e ritrovare le tue parole sulla carta mi dà un senso di benvenuto molto particolare. E poterti rispondere la sera dopo aver ricevuto la tua lettera nel pomeriggio! No, ti abbuono ogni rimprovero, per ora.

Già, non sapevo nulla della tua nuova conoscenza. E tu dovevi immaginarlo, dacché ti ho scritto di non aver ricevuto una sola riga delle lettere che mi hai inviato mentre ero in viaggio.

Roucher, dunque. Lo conoscevo di fama, e l’ho incrociato a Palazzo in alcune occasioni, ne sono certa, quando Sua Maestà era ancora Delfino – credo che abbia mostrato la sua valenza di poeta già in occasione delle nozze dei Sovrani con un poema in loro onore, ai tempi molto ben accolto e spesso letto nei salotti di Corte con una certa ostentazione, da parte di nobili ben vogliosi di ingraziarsi il Re e la Regina. Non erano per te tempi molto felici, così non venisti spesso a Corte e non lo incontrasti allora, quando lo si vedeva spesso al fianco di Turgot; e io non ero tipo da indulgere in passatempi letterari trascurando i miei doveri, così ce lo siamo perso entrambe. Ma questo per dirti che Jean-Antoine Roucher non è l’ultimo sconosciuto del mondo, e mi fa piacere che, stavolta, anziché un azzimato damerino come Hulin tu abbia puntato su una mente. Inoltre, il tuo accompagnatore ha altre discrete frecce al proprio arco.

André mi assicura, da appassionato lettore di Rousseau, che Roucher ne sia stato grande amico, ed ecco perché hai visto mio marito tanto entusiasta in sua presenza: egli ha amato e ammirato quel Filosofo fin da ragazzo, e conoscere così da vicino chi lo seguì per lungo tempo e ne ha pubblicato parte dell’opera l’ha esaltato non poco. Figurati che, partiti voi e i nostri amici, è andato avanti a parlarmi fino a tarda ora dell’edizione delle Lettere a M. de Malesherbes curata da Roucher, continuando il discorso iniziato a tavola, ma con me sola come interlocutrice. A un certo punto, era tanto immerso nella questione da non accorgersi di quanto fosse tardi, e ho dovuto farglielo presente io. Non che mi lamenti della cosa: hai visto anche tu quanto André sappia essere piacevole e competente nel disquisire di politica e di filosofia, e sono felice che finalmente tu abbia modo di conoscerlo davvero, tramite il nuovo grado di parentela che vi unisce. Perciò ti dico fin d’ora che sì, verremo ad Auteuil domani pomeriggio, e tra noi due il più felice della cosa sarà proprio André.

Ma venendo al nocciolo della questione, l’ammetto, non sono stata immediatamente ben disposta verso Roucher; mi piacerà approfondirne la conoscenza, naturalmente, ma ho un pregiudizio nei suoi confronti che mi incoraggia a tener vivo il dubbio – il dubbio che quest’uomo non possa farti felice. Avevo immaginato un compagno meno anziano, per te. Tu porti i tuoi anni con una grazia tale da apparire ben più giovane; e Roucher è un uomo di principi energici e mente fervida, certo ti insegna molto e potrebbe insegnarne a me; ma proprio questo è il problema. È una persona imponente, per te che sei una farfalla gentile e deliziosa; forse è la solidità cui puoi appoggiarti, o forse è la roccia che non ti darà mai la dolcezza di un profumo. O forse nessuna di queste cose, e volerà più in alto di te, lasciandoti indietro. So che non dovrei dirti queste cose, dal momento che dopo tanto tempo ti ho vista con un amante decent di tutto rispetto; ma se tu hai usato gli sguardi tra me e André per misurare la nostra felicità, allora devo confessarti che l’ho fatto anch’io con voi. Lui ti rivolgeva occhiate solo per testare il tuo consenso. Tu glielo concedevi prontamente, ma i tuoi sguardi erano… annoiati, dietro il sorriso con cui ti beavi dei suoi alti discorsi. Non saprei come descriverli diversamente. I tuoi occhi vivaci vagavano con molta più cura sulle goffaggini di François, e lì si riempivano di tenerezza materna; poi si sono letteralmente accesi al sarcasmo di Alain quando Roucher si è messo a citare testi di Rousseau compresi di numero di pagina e numero di riga. Eri davvero indignata, non c’è che dire, e l’hai fatto ben notare al nostro amico – il quale, e questo lo faccio notare io a te, ha avuto la buona grazia di non replicare a una dama con la stessa supponenza che aveva usato per il tuo accompagnatore. Anzi, si è scusato, se ben ricorderai. La qual cosa, credo, ti ha indispettita ancora di più, perché ti ha tolto terreno per il duello verbale che eri prontissima a intraprendere.

Tirando le somme, più che ammirare Roucher e la sua eleganza da perfetto retore hai cercato la sfida con un uomo che, tutto sommato, non aveva senso osteggiare, poiché era chiaro fin dall’inizio che i due fossero su mondi impossibili da conciliare. Sarà il tuo sentimento per Roucher ad averti impedito di sorridere a battute di cui altrimenti avresti riso? Perché ti assicuro che, se Roucher fosse stato meno compreso della propria cultura, meno… superbo, posso dirlo?, avrebbe potuto attirare i miei due Soldati nei suoi discorsi, anziché farli sentire due perfetti idioti e scatenare, così, la loro reazione impacciata – passiva quella di François, aggressiva quella di Alain, in armonia con i loro diversi caratteri.
E per fortuna c’era André, o avremmo ricordato la serata come la più imbarazzante della nostra vita, dopo, ovviamente, il famoso ballo in cui mi divertii a scandalizzare la nostra famiglia e mezza Corte.

Ma chiudo questi discorsi per venire alla cosa più importante, che ieri non abbiamo potuto toccare per via di tutti questi imprevisti.

Io e André abbiamo pensato di scrivere alla Nonna e alla Madre per palesare il nostro ritorno. Avevamo immaginato di poter organizzare un incontro con loro all’insaputa del Padre, ma mi rendo conto, in realtà, che questo sarebbe ingiusto, oltre che ridicolo. L’alternativa sarebbe scrivere al Padre e informarlo, come già a Lione, della nostra presenza. E cosa accadrebbe, allora? Lo coglierebbe come l’ennesimo gesto di sfida? Oppure cercherebbe ancora di ignorarci, e peggiorerebbe ulteriormente i rapporti con tutte voi, sentendosi braccato in casa propria? Nostra Madre mi scrisse che se fossimo tornati ci avrebbe sostenuto, e so che ci favorirebbe un incontro anche adesso, senza preoccuparsi della reazione del Padre. Ma l’ultima cosa che voglio è rovinare il già precario equilibrio della nostra famiglia, e rompere ciò che si è già crepato più volte – la pazienza, se non l’orgoglio, di nostro Padre. Non voglio che lui pensi che siamo vigliacchi, a nasconderci a lui; ma nemmeno che pensi che vogliamo a tutti i costi che egli ci consideri, se non lo desidera.

Ti lascio questi dubbi. Domani, quando ci vedremo, forse avrai trovato una soluzione che concili la diplomazia con l’onestà, e ti sarò grata se mi offrirai il tuo punto di vista. Io e André, su questo argomento, siamo troppo diversi, e dopo Lione nemmeno tanto sicuri delle reciproche posizioni.

Partiremo da qui dopo pranzo. A domani, dunque. Buonanotte.

 

Oscar

 

 

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Capitolo 20
*** Josephine - Paris ***


20. Josephine


 

Parigi, 5 maggio 1787
 
Cara Oscar,
 
come sono felice di quanto ho veduto ieri!

Sono davvero sollevata dall'aver potuto far incontrare te con nostra Madre prima del grande giorno, quello della resa dai conti con il nostro temibile Padre! Presumevo che ne sarebbe stata felice, e che non avrebbe fatto obiezioni nel vederti con tuo marito. Ma forse non osavo immaginare che ti avrebbe accolta con tali manifestazioni di gioia. Né avrei potuto immaginare che tu ti saresti lasciata andare con lei a quelle effusioni che hai mostrato, per la prima volta dopo anni, credo. Hai infine osato mostrarle non solo il rispetto che le è dovuto, ma l'affetto che nutri, che tutte noi nutriamo per questa madre così schiva, così dolce, e così provata da talune scelte di suo marito. Ne concludo, quindi, che il matrimonio ti fa bene.

Ti fa bene nonostante certi comportamenti di tuo marito. So che non ami si tocchino certi argomenti, ma debbo dire che mi ha fatto un poco specie leggere che avete tirato tardi parlando di politica. Ma come? Non avete ancora raggiunto i sei mesi di matrimonio e già vi perdete in questa maniera? Oppure hai di già esaurito le forze del tuo povero maritino? Nel caso, spero proprio che oggi sua nonna abbia provveduto a dovere, con uno di quei dolci che riservava a lui e alla servitù, poveri e saporiti, ma troppo rustici per la nostra tavola. Direi che un clafoutis[1] ci starebbe benissimo. Se non ha provveduto lei, chiedilo tu alla vostra cuoca. Altrimenti ti manderò io la mia Clémentine, che è giustappunto originaria del Limousin, e le dirò di provvedere.

Peraltro, pensando proprio al lei, che è timida e gentile, mi è venuto in mente quel soldatino dell'altra sera, François. Direi che sarebbe proprio un marito adatto a lei. Sai quanto mi piace giocare a fare la sensale. Potresti trovare una scusa e farlo venire qui a casa nostra una volta in cui sarai in visita, e io provvederò a far sì che si incontrino. Sarebbe incredibilmente sentimentale, se dovessero piacersi e il matrimonio andasse in porto.

Strano, vero? Io, che ho avuto uno dei peggiori matrimoni dell'aristocrazia, pare che passi il mio tempo a tentare di accasare nobili e plebei. Il precettore avrebbe parlato di legge del contrappasso. Con gli occhialini sul naso aquilino, avrebbe pontificato a lungo su questa cosa. Te lo riesci ad immaginare?
E con questa immagine raccapricciante ti saluto, e aspetto notizie rapide dell'incontro tra André e sua nonna. Con affetto,


Josephine de Liancourt.


 
 
[1]             Dolce originario del Limousin, con ciliege o altra frutta annegate in un impasto simile a quello delle crépes e poi cotto al forno.

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Capitolo 21
*** Oscar - Paris ***


21. Oscar

 

Parigi, 6 maggio 1787

 

Oh, cara sorella, se non ti conoscessi abbastanza, ormai!

Qualcosa mi diceva che avresti fatto in modo di ritornare, a modo tuo naturalmente, sul mio racconto dell’entusiasmo di André l’altra sera: bada bene, si è parlato di filosofia, più che di politica, e ti potrei citare oltre a Rousseau gli antichi, Platone e Aristotele, il De republica e le forme di governo analizzate dagli storici d’età romana e tutto quanto possa servire a riflettere anche su questa nostra epoca. Si è parlato degli italiani da Campanella in poi, dei non-luoghi, ossia le Città Ideali che venivano chiamate, per la loro impossibilità a realizzarsi, appunto u-topie; eccetera, mi cheto perché sento già, a questo punto, i tuoi sonori sbadigli. Mi chiedo dunque, dopo quello che ho visto e sentito del tuo Roucher sia la sera a cena alla nostra Locanda, sia il giorno dopo al salotto di Auteuil, se tu non abbia già provato con lui il metodo dei clafoutis della tua Clémentine, giacché non mi pare un tipo molto, come dire, interessato ai fatti.

Per quanto riguarda il mio André, ti ringrazio dell’interessamento, ma non credo affatto ci sia bisogno di ricostituenti, né per lui né per me, e mi perdonerai se non entro nei dettagli: non saprei essere così impunemente leggera su certi argomenti come tu ti dimostri sempre e comunque, né traggo il tuo stesso gusto a parlarne. Ma ecco, mi auguro che dietro l’apparenza Roucher onori le tue aspettative, e qualora lui non te l’abbia fatto comprendere ancora, ti assicuro che la cultura e la capacità di un buon discorso non sono deterrenti, bensì incoraggiamenti a una conclusione dolce e intensa di qualunque serata, anche a ridosso dell’alba. Per quanto mi riguarda, almeno, ascoltare André e parlare con lui è sempre stato motivo di attrazione, anche quando meno me ne accorgevo, e la cosa adesso non ha fatto che amplificarsi a dismisura. Diffida dai rapporti in cui non ci si scambia alcuna parola profonda e impegnata, o da coloro che dicono che la passione si misura in quantità e non in qualità e varietà del tempo insieme. Io e André eravamo uniti e in sintonia da ben prima che un matrimonio ci legasse allo stesso letto, e tuttora osserviamo il mondo insieme con pari curiosità e amore. Se c’è una cosa per cui mi stupisco, e sono felice, è la possibilità di non annullarmi nel nostro amore e non ridurlo a un letto (sarebbe ben ridicolo, come annullare l’infinità di possibilità che esso ci offre), ma camminare al suo fianco a testa alta, uguale a lui: né più né meno.

E quando ho condiviso questi pensieri con André, significandogli questo mio stupore e questa gioia di scoperta, lui ha sentenziato: “L’amore, Oscar, si fa con le anime e con i corpi, dentro e fuori da un letto, toccandosi o solo guardandosi”.

Gli credo. Lui è testimonianza assoluta di questa verità. E non avrei potuto inchinarmi a nessun sentimento un minimo diverso da questo.

Perciò ti esorto a non parlare mai più di mio marito in termini così triviali e stimarlo come sai, come fai, per la persona bella e profonda che è.

Come in fondo ha fatto già nostra Madre, sì. Io sapevo, da quello che mi aveva scritto qualche tempo fa, che l’avrebbe ben accolto, ma ti confesso che non immaginavo nemmeno da parte sua un tale trasporto, la facilità di chiamare André “figlio”, l’assoluta mancanza di imbarazzo nel parlargli, chiedergli di lui. È sempre stata una donna dolce e remissiva, certamente; ma sembrava, stavolta come mai, libera dall’obbligo di compiacere, genuinamente allegra e felice; perfino con me. Sebbene le nostre lettere recassero le spine che ti confidai, e avessi sentito in cuor mio di non poter accogliere tardive scuse, o tardivi rimproveri, da parte sua, ieri ho saputo che non m’importava più nulla, e che speravo in quell’incontro e in quella serenità familiare con tutte le mie forze. Un cerchio si è chiuso, finalmente; e poco c’entra la situazione in sospeso con il Padre. Con nostra Madre, ormai, ogni cosa si è sciolta alla luce.

E la Nonna, oh, tu non eri ancora arrivata quando siamo passati per le cucine a darle un primo saluto – motivo per cui André ci ha raggiunte dopo, lasciando a me tutto l’agio di parlare con voi per prima e in privato. La Nonna, dicevo, appena ci ha visto ha avuto una sorpresa così forte che ci siamo preoccupati per la sua salute; si è appoggiata al tavolo, boccheggiava, poi ha travolto André e me con abbracci e baci che ci hanno soffocato, e lacrime, povera donna! Quando André è rimasto solo con lei, e le ha raccontato dei nostri viaggi e altri dettagli del matrimonio, sembra che lei non sia riuscita a smettere di singhiozzare; ma era felice, continuava a stringergli il braccio e stampargli baci sulla guancia come se fosse ancora un bambino. Queste cose me le ha narrate lui quando siamo ripartiti, e aveva gli occhi lucidi. So che, per quanto sia stato felice dell’accoglienza di nostra Madre, l’incontro con la Nonna era ciò che desiderava di più.

E così ieri è venuta con noi, complice il giorno libero concesso da nostra Madre dietro mia richiesta, come già sai. È stata molto felice che la portassimo a Parigi, dal momento che, vissuta a servizio tutta la vita più vicina a Versailles che altrove, la Capitale è sempre per lei un luogo nuovo e affascinante, capace di entusiasmarla come una ragazzina – e lei, lo sappiamo, è arzilla e vivace assai più di quanto permetterebbe la sua età.

È stata l’occasione per ritrovare la nostra città e constatare lo stato in cui versa. Abbiamo scelto appositamente un itinerario lontano dai quartieri più critici, per non dover correre rischi con lei accanto, ma ho portato con me la spada comunque, e così André. E ovunque, ormai, ci sono i semi del degrado. Elemosinanti, povera gente, bambini con volti spauriti e occhi enormi, enormi – queste cose le ho viste io, e André in segreto, mentre cercavamo di mostrare alla Nonna solo bellezze: l’Academie Française, i palazzi di Quai de Conti, l’Île de la Cité e il suo Medioevo sparso, per concludere con i Giardini delle Tuileries e il pomeriggio presso i negozi intorno al Palais Royal, zona in cui abbiamo anche pranzato. La Nonna ha imposto a entrambi un lungo giro per le sartorie, in cerca di tessuti e idee – indovina per cosa?

Perfino André ha cercato di dissuaderla dal pensiero di confezionarmi un nuovo abito – da donna, certo, cos’altro? – ma la sua risposta è stata lapidaria: “André, non fingere che non ti piacerebbe!”. Essermi sposata in abiti muliebri l’ha convinta ulteriormente sulla mia disponibilità a indossare quella roba; non credo, invece, che potrebbe interessarmi meno. “Vorrai pure farti bella per tuo marito!”, mi ha sussurrato poi, mentre lui ci precedeva per aprirci il portello della carrozza; e lì ho preso colore, perché avrei voluto dirle la banale verità, che gli abiti non sono mezzi seduttivi, perché… oh, lascia stare, non posso fornirti così su un piatto d’argento l’occasione di fare le tue considerazioni piccanti.

E in ogni caso, André ha detto che, sebbene gli abiti muliebri mi donino molto, in fin dei conti mi preferisce di gran lunga in abiti maschili. Questo lo rende immune da un’altra banalità, non trovi? Che una donna debba imbellettarsi a ogni costo perché un uomo l’apprezzi, e soffrire sui tacchi e nelle restrizioni di corsetti e panier.

Sembro una ragazzina anch’io, non è vero? Elogio il mio uomo come fosse il Sovrano di una Nazione illuminata, ma so che i suoi meriti, benché per me tanto più veri, sono sotto gli occhi di tutti, e così non pecco di esagerazione – forse un poco d’orgoglio, ma non me ne pento affatto.

Infine, ti completo il resoconto della giornata di ieri. Quando ormai stavamo per ricondurre la Nonna a casa, e siamo passati davanti alla nostra Locanda, vi abbiamo trovato due gradite nostre conoscenze: Alain, che forse a te suonerà al momento meno gradito, e la dolce Diane, sua sorella minore. In molto somiglia a Rosalie, sai? La stessa discrezione, la stessa umile freschezza. Ed è graziosa, molto; e soave, come uno zefiro. Se avessi visto l’affetto che riservava a suo fratello, avresti avuto certo solo approvazione – non già per lei, che sono sicura prenderesti subito in grande simpatia, quanto per lui. Di norma si può misurare la bellezza di qualcuno dalla qualità dell’amore che gli viene riservata, e dall’intensità. Diane ha per il fratello una sincera adorazione. E lui, dal suo canto, è stato tanto rude e impertinente con il tuo Roucher quanto devoto e protettivo verso di lei. Cambia il contesto e le persone, cara sorella, e scoprirai che ogni individuo è un’infinità di sfumature.

A proposito, mi dicevi di avere progetti per François: Santo Cielo! Non è ancora che un ragazzo, e ha un’intera famiglia di fratelli cui badare. Come credi potrebbe sostenere anche un matrimonio? Dammi retta, non immischiarti e lascia che le cose facciano il loro corso: a volte spingere gli eventi rischia di rallentarli, per un’inevitabile forza di ribellione che sorge spontanea negli animi, quando sentono di venir comandati. E per i più poveri il matrimonio sa essere un peso economico non da poco.

 

Quando ti rivedrò?

 

Oscar.

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Capitolo 22
*** Josephine - Paris ***


22. Josephine

 

Parigi, 10 maggio 1787

 

Cara Oscar,

 

Dimmi subito come sta André.

Ho ricevuto un messaggio di nostra madre, che sostiene sia tutto a posto, poco più di un graffio. Spero davvero sia così. Non che dubiti della buona fede di nostra Madre, ma non mi stupirebbe se, con lei per prima, tu avessi minimizzato per non farla preoccupare, e con lei la nonna di André. D'altra parte, nostra Madre è subito corsa a Palazzo dal marito, come giustamente doveva essere. Voi alloggiate altrove, quindi non credo abbia potuto constatare di persona le sue condizioni.

In ogni caso, ho già dato incarico al mio medico di passare da voi e poi di riferirmi esattamente, di modo che voi siate curati per il meglio ed io non abbia a rimanere nel dubbio. Oggi non ho modo di venire a visitarvi, ma provvederò senz'altro domani o il giorno seguente.

Se davvero non è nulla di grave o pernicioso, come mi dicono e spero, mi auguro tu provveda adeguatamente ad occuparti del ferito. Non solamente con l'aiuto di un buon medico e di un brodino di pollo, ma con la tua presenza e compagnia. Così forse (e qui mi attirerò le tue ire) passerà meno tempo a difendere i ribelli a parole, se tu ti occuperai di lui come merita.

A questo proposito, non posso davvero resistere alla tentazione di farti notare una cosa, che mi è venuta in mente dopo la tua ultima lettera. È una frivolezza, ma mi perdonerai se cerco di farti ridere in un tale frangente. Ridere e pensare.

Ordunque, tu hai scritto che ti preferisce in abiti maschili. Vogliamo dirla tutta? Non mi stupisce affatto. E, se proprio vuoi saperlo, non sarebbe il solo. Sei talmente abituata a vedere l'abbigliamento che nostro padre ti ha imposto come una mortificazione del tuo corpo da non renderti nemmeno conto quanto in realtà le culottes attirino gli sguardi maschili. Beh, certo, di solito i suddetti sguardi si trovano alle tue spalle, ma ti assicuro che ci sono. C'erano alla Reggia, li ho notati l'altra sera alla locanda. E tuo marito, tesoro, non fa eccezione. Anzi, ha sempre avuto agio di rimanere con te in casa, quando indossavi solo le camicie. Non mi pare assolutamente strano che ti preferisca così. Mi stupisce maggiormente che la gelosia non lo divori, a dire il vero.

E con questo ti lascio.

È una missiva breve, è vero, ma attendo soprattutto risposte da te.

Un abbraccio, e perdona la sciocchina di tua sorella,


Josephine de Liancourt.

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Capitolo 23
*** Oscar - Paris ***


23. Oscar


Parigi, 11 maggio 1787


André sta bene. Confermami tu, piuttosto, come sta nostro Padre. Nostra Madre mi ha scritto che non è in pericolo.
Vorrei essere lì con voi. E verrò da voi appena possibile, non importa cosa potrà dire il Padre in merito.

Oh, Josephine. Io sto bene, non serviva un medico per me. Quello che ci hai mandato stamani ha sconsigliato ad André di muoversi per qualche giorno, per permettere alla spalla di guarire. La stessa diagnosi dell’altro medico che l’ha visitato per primo. Che questo possa rassicurarti.

Non lo lascio un istante. Le tue raccomandazioni sono gentili, ma superflue. Penso a nostro Padre, ma non mi muoverò di qui finché André non si sarà ristabilito.

Dio mio, vorrei poterti scrivere con più calma. Perdonami, se questa lettera sembrerà un’accozzaglia di discorsi senza senso.

Ti ringrazio di aver tentato di farmi sorridere, con quelle sciocchezze sugli abiti maschili. Il tentativo non è andato a buon fine, ma per un attimo mi ha permesso di non pensare.

Avrei potuto perdere uno dei due, o entrambi. Non so capacitarmi dell’assurdità dell’accaduto.
Santo Cielo, avevamo lasciato Parigi, lo scorso novembre, perché avevo rischiato di farmi strappare via il mio amore da una rivolta. Questo non mi ha certo impedito di credere nelle rivendicazioni del Popolo e appoggiarle, per tutto questo tempo; tuttora le appoggio. Ma allora provai unicamente il desiderio di proteggere la mia felicità e seminarla in un terreno sicuro. Lontano da sommosse, voci, condanne e pericoli di qualunque genere.

E ora che siamo tornati, che abbiamo appena ritrovato la nostra città e goduto dei più cari affetti, ora che era tempo di pensare seriamente al futuro e cominciare la nostra nuova vita insieme a voi, ecco che il Cielo mi ricorda quanto sono debole e fragile.

Avrei potuto perdere uno dei due, o entrambi. Mio padre, e mio marito.

E stavolta non per una rivendicazione di giustizia, né per un malinteso di una folla accecata dagli stenti. Stava accadendo per un intrigo, per macchinazioni oscure su cui voglio indagare al più presto.

Chi è stato a scatenare la sommossa? Perché tutti quegli uomini sono andati a manifestare direttamente al quartier generale di nostro Padre? E i ribelli, sapevano che il Generale Jarjayes non avrebbe mai dato ordine di aprire il fuoco?

Già, perché è questo che è accaduto! Una folla feroce si è riunita di fronte alla caserma di nostro Padre, gridando come di consueto parole come Libertà e Giustizia, contro i nobili, contro il potere reale. Abbiamo già visto tutto questo accadere, e proprio come a Lione, i soldati di nostro Padre si sono schierati per contenere la sommossa in modo non violento, senza assassinii. Noi non c’eravamo ancora, ma quando siamo arrivati la folla era in pieno fermento, senza che alcuno osasse sparare su di loro. I soldati cercavano di respingerli con le spade, piuttosto, con i corpi e con i numeri. In questo modo ci sono stati feriti, alcuni anche seri, ma nessun morto.

La notizia della sommossa ci ha raggiunto la sera stessa, il 9, mentre eravamo insieme ad Alain qui alla Locanda. Stavamo bevendo e discutendo insieme, quando François è entrato di corsa per avvisare il nostro amico di una mobilitazione straordinaria della Compagnia B. Io e André abbiamo subito chiesto cosa fosse successo. E dalle parole concitate di François abbiamo appreso che il disordine era scoppiato per le strade e aveva raggiunto senza errore la caserma del reggimento di nostro Padre. Di tanti luoghi, proprio quello. Si trova in ***, lungo la strada per Versailles; una marcia lunga per molti uomini e donne appiedati. Ma non ci è sembrato più così strano che l’obiettivo fosse quello, quando abbiamo appreso il resto.

Il 9 stesso, nel pomeriggio, un carico d’armi è stato portato in segreto in caserma, in attesa di rifornire altri reggimenti di Parigi, tra cui la stessa guardia metropolitana. Nostro Padre, ricorderai, ha il compito di occuparsi dei rifornimenti dell’esercito. Una coincidenza?

Bada, sorella, quando scrivo “ribelli” non intendo i popolani che hanno intrecciato scaramucce con i soldati. Mi riferisco a persone molto più insidiose. Ti racconto il seguito, e capirai meglio.

Quando Alain è partito insieme a François, io ero molto preoccupata, come puoi immaginare. Il mio primo impulso è stato correre alla porta dietro di loro, cercare il cavallo e partire per assicurarmi che nostro Padre stesse bene. Mi sono rinvenuta solo un attimo dopo, sulla soglia, quando André mi ha chiamata. Ho cercato il suo sguardo, trepidante. Ho temuto che frenasse il mio impeto, che consigliasse prudenza. Invece mi ha chiesto di andare a recuperare armi e mantelli al piano di sopra, mentre lui si sarebbe occupato dei cavalli. Mi ha dato appuntamento davanti alla Locanda, e dopo pochi istanti ci siamo ricongiunti. Tutto aveva un sapore familiare, come se fossimo tornati indietro nel tempo. Quante volte io mi lanciavo in un’impresa, e l’attenzione di André me la rendeva confortevole e sicura; quante volte ho potuto dare il meglio di me solo grazie alla sua presenza solida e costante al mio fianco.

Così ci siamo precipitati al luogo della sommossa, separatamente rispetto ai nostri soldati, ma ben decisi a fornire un aiuto, se fosse stato necessario. Ho pensato, sì, che avrei dovuto tenere André al sicuro; ma avevo addosso un timore crescente, che non sapevo spiegarmi e che metteva in secondo piano altri timori e altri ricordi.

Il presentimento è stato confermato all’arrivo. I soldati di nostro Padre combattevano per arginare i rivoltosi e gli ufficiali dei gradi maggiori li guidavano; ma dov’era lui? È sempre stato un condottiero, non si sarebbe mai limitato a dare ordini per poi nascondersi.

André ha avuto l’intuizione di percorrere il perimetro della caserma dall’esterno. Mi ha fatto cenno di seguirlo, e insieme abbiamo galoppato verso il lato est dell’edificio.

André aveva ragione. Di fronte a un’uscita secondaria, un gruppo di soldati era stato isolato ed era circondato, in quel momento, da un cerchio scuro di corpi e torce che si infittiva e si chiudeva su di loro. Gli uomini braccati da quel branco stavano combattendo all’ultimo sangue, erano quattro – per quanto in quel momento mi sia stato impossibile contare con precisione, soprattutto quando ho compreso che in mezzo a loro c’era nostro Padre.

Combatteva con ardore maggiore dei suoi compagni, feroce come un leone, rapido, efficace nei colpi – ne ha feriti molti; ma era evidente che il numero superiore di assalitori avrebbe avuto presto la meglio su di lui e sugli altri.

La mia ricerca angosciosa si è trasformata in assalto. Ho gridato ad André di stare indietro e ho spronato César. Credo che nessuno, nemmeno mio marito, avrebbe potuto fermarmi in quel momento. Avevo un cavallo, giungevo all’improvviso: sono stati dettagli vincenti, con i quali ho rotto l’inesorabile cerchio di morte che circondava nostro Padre e gli altri tre soldati. A spada sguainata ho disperso parte dei nemici, altri li ho feriti. Per un attimo ho ritrovato l’euforia fulminante dello scontro, il momento in cui non esiste altra ragione che l’istinto fisico di colpire e schivare, attaccare e difendersi; come l’acqua sulla battigia, o il fuoco sfiorato dal vento, come mio Padre mi ha insegnato, ho combattuto e ridotto all’impotenza chi voleva fargli del male.

Tuttavia, quegli uomini non erano soli. Dalla macchia sono emersi altri ribelli, pronti a dare man forte. Stavamo per essere accerchiati ancora, e mi sono trovata spalla a spalla con mio Padre. Ci siamo scambiati uno sguardo, uno soltanto, ed è stato d’intesa. Entrambi avevamo già calcolato il numero degli avversari, e conoscevamo la strategia vincente di pararci la schiena a vicenda per poter diventare un’unica creatura tutta offesa e ardimento, senza punti deboli. Io la conoscevo perché me l’ha insegnata lui. E lui non aveva negli occhi altro che furia di battaglia; non mi respingeva, non parlava, non mostrava alcuno stupore per la mia presenza.

Ci siamo battuti con tutte le nostre forze. E forse avremmo vinto, se i nuovi giunti non avessero avuto anche pistole cariche. Abbiamo udito il primo sparo, poi il secondo. Hanno colpito due dei nostri, che sono crollati al suolo. Le torce li aiutavano a distinguere i corpi degli avversari da quelli degli alleati. A un tratto, uno di loro mi ha afferrata per un braccio. Mi sono sentita scaraventare a terra, ho lottato per non farmi colpire dall’aggressore. L’ho trafitto.
In questo modo, però, nostro Padre era rimasto sguarnito. Ho avuto il tempo di rialzarmi in piedi, respingere un altro avversario; ho visto nostro Padre fare altrettanto; poi, con orrore, ho visto un uomo che puntava con sicurezza la pistola contro di lui; ho gridato, cercando di avvisarlo, gli sono andata incontro per fermare ciò che stava per accadere; poi ho udito lo sparo, ho visto lo schiocco infiammato della pistola e il suo maledetto fumo; e non so come, non so quando, ecco qualcuno pararsi tra il colpo e nostro Padre, abbracciarlo, spingerlo a terra e poi urlare di dolore, ferito al suo posto.

La comprensione è arrivata dopo che gli occhi avevano visto tutto. L’uomo che si era lanciato a salvare nostro Padre era il mio André. L’uomo che aveva sparato stava già caricando le sue vittime con un pugnale sguainato. Non ha potuto farlo, non c’è riuscito, io l’ho fermato – l’ho fermato.

Se fossi morta in quel momento, nel tentativo di difendere mio marito e mio padre da quei bastardi, l’avrei fatto con gioia. Ma non era così che era stato deciso.

Alain e gli altri sono arrivati all’improvviso, in molti, a cavallo. Credo di aver gridato di sollievo. Erano i miei soldati. Hanno subito sconvolto i ribelli, li hanno dispersi e rincorsi fino ai boschi. Alain, dal suo canto, ci ha trovato subito, mi è venuto accanto e ha agguantato l’ultimo dei ribelli prima che fuggisse. Io non ho più badato a niente, ho lasciato tutto nelle sue mani. Rifluita l’orda di avversari, sono crollata in ginocchio accanto a nostro Padre, che stava già assistendo André. Perdeva sangue, lui. Stringeva i denti e si teneva la spalla con espressione di dolore. Ho perso del tutto il controllo di me stessa. Ho cercato di prestargli le prime cure, di farlo sdraiare e riposare, china su di lui gli ho chiesto cosa sentisse, come potessi aiutarlo, e lo imploravo allo stesso tempo di resistere. A chiamare aiuto per lui è stato nostro Padre. Barcollando si è rimesso in piedi –perdona se non mi sono occupata anche di lui, ti giuro che ero come cieca – e ha ordinato immediatamente che chiamassero qualcuno. André ha cercato di alzarsi, l’ho sorretto io. Poteva camminare, ma era piuttosto debole per la ferita e il sangue che perdeva in abbondanza. Non ho accettato l’aiuto di altri per fargli raggiungere l’infermeria; l’ho tenuto forte, passandomi il suo braccio sulle spalle. Respirava con un poco di affanno, questo mi ha fatto tremare.

La sommossa, per fortuna, era già stata sedata, grazie all’intervento dei rinforzi. Siamo riusciti a dare ad André cure tempestive. Io non ho avuto pace finché non è stato medicato. Alain e François sono venuti con noi, ma non nostro Padre. Ha ordinato che il medico si occupasse innanzitutto di André, poi ha lasciato la stanza.

La pallottola ha causato a mio marito un grosso danno alla spalla, ma non ha intaccato l’articolazione né organi vitali. Per fortuna, lanciandosi a terra, ha evitato di rimanere ferito più seriamente. Se osserverà un perfetto riposo, potrebbe restargli alla fine soltanto una cicatrice.

Alain e François ci hanno riaccompagnato alla Locanda quella notte stessa.

Prima di andare ho cercato di vedere nostro Padre, di sapere come stava. Mi è stato riferito che in quel momento si trovava a colloquio con il Generale Bouillé. Ho creduto, sbagliando, che stesse bene, e ho ritenuto opportuno far riposare André immediatamente. Solo dalla lettera di nostra Madre ho saputo che in verità quella notte anche nostro Padre è stato congedato; e che nonostante non l’avesse dato a vedere, era ferito in più punti, e si teneva a stento in piedi. So che adesso è a riposo anche lui, ma dammi altri dettagli.

Scriverti dell’accaduto mi ha dato lucidità. Se prima ero affranta e preoccupata, ora sono furibonda. Dal momento che Alain ha arrestato uno dei ribelli, vorrò sapere ogni parola del suo interrogatorio. Qualcosa non mi piace in questa storia, a cominciare dalle armi che quegli uomini portavano con tanta disinvoltura. Questo non era affatto simile al tumulto di Saint Antoine né a quello di Lione, Josephine____

André si è svegliato. Ti lascio.


Oscar

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Capitolo 24
*** Josephine - Paris ***


24. Josephine

 

Parigi, 11 maggio 1787

 

Egregio Sergente De Soisson,

 

Vi scrivo con profondo senso di gratitudine, per ringraziarvi di quanto accaduto due giorni fa presso la Caserma di ***.

Vi prego di estendere questo mio pensiero a tutti i Vostri commilitoni, accorsi con così tanta sollecitudine e coraggio nel portare soccorso alla mia famiglia. Spero che nessuno di loro abbia riportato ferite gravi, in questa sortita. Dite loro che apprezzo enormemente quanto hanno fatto, e sappiate che se qualcuno di essi dovesse trovarsi nella necessità di cure superiori a quelle fornite dall'esercito, non esitate a contattarmi e provvederò personalmente.

Spero che non vogliate vedere questa mia offerta come un'elemosina che un'aristocratica fa cadere dall'alto, ma come il legittimo riconoscimento da chi è stato beneficiato, cioè la mia famiglia, verso i propri benefattori.

Perché questa è la situazione, a ben guardare.

Io ho seriamente rischiato di perdere in un solo momento ben tre dei miei parenti più stretti, tra cui mio padre e la sorella cui sono più legata. E non oso nemmeno immaginare in che stato sarebbe lei ora se avesse perduto il marito.

Dunque, questa mia lettera è a dir poco doverosa.

Tanto più doverosa in quanto, nell'ultima occasione in cui ho avuto modo di vedere Voi ed il Soldato François Armand, credo di essermi comportata in maniera poco riguardosa, direi supponente, come se voi soldati foste troppo giovani ed ingenui per comprendere i discorsi di Monsieur Roucher.

Ora, dopo l'episodio dell'altro giorno, pur essendomi solamente stato narrato, mi rendo conto che invece la vostra percezione degli eventi che stanno scuotendo la Francia è in realtà molto più precisa di quella che ho io.

Scoprire che qualcuno ha attentato di proposito alla caserma di mio padre, che lo ha fatto con cognizione di causa, sapendo che avrebbero trovato le armi, colpendo per uccidere pur di impadronirsi di ciò cui puntavano, mi ha davvero fatto rendere conto di quanto la mia conoscenza di ciò che sta accadendo sia esageratamente ottimistica e del tutto superficiale.

Spero che riusciate a comprendere in breve tempo come ciò sia potuto accadere. Il mio pensiero – ma è solo il pensiero di una donna avvezza unicamente agli intrighi di corte, e non alle cospirazioni – è che all'interno della caserma stessa, tra i ranghi dei sottufficiali o degli ufficiali al servizio del generale, vi sia un delatore. O, peggio, che le informazioni vengano da un superiore di mio padre.

Mia sorella mi ha detto che coloro che li hanno attaccati non erano ribelli male in arnese, ma qualcuno che andava a colpo sicuro… questo mi preoccupa terribilmente. Perché significherebbe che potrebbe accadere di nuovo.

E non è detto che la prossima volta ci potrebbe essere un vostro intervento. Questa volta siete giunti in tempo. Ma sarebbe ancora così?

Potrebbero impedirvi di intervenire. Potrebbe avvenire tutto all'improvviso.

Vi confesso tutta la mia preoccupazione. Ma non voglio tediarvi oltre. Questo avrebbe dovuto essere un semplice biglietto, ed è divenuto una missiva a tutti gli effetti.

Vi ringrazio ancora, con tutto il cuore.

 

Vi porgo i miei ossequi.

Josephine Duchessa de Liancourt.

 

 

La prossima settimana, per coincidenza con il Contest Love Day III, non pubblicheremo.

Il postino ripasserà il 21 luglio.

A presto!!!

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Capitolo 25
*** Alain e non solo - Paris ***


25. Alain (e non solo)

 

Parigi, 20 maggio 1787

 

Madame,

 

Non ho parole per esprimere il mio dispiacere per il fatto che io non fossi ad accogliere il Vostro servitore quando questi è giunto presso la nostra umile dimora. Tuttavia, auspico che la nostra vicina, che l’ha udito bussare al nostro uscio, e lo ha accolto al posto mio, abbia usato nei suoi confronti tutta la cordialità che si deve al più gradito dei visitatori; perciò confido nel fatto che il Vostro emissario abbia trovato ristoro e dignitosa accoglienza.

Madame Louise, donna di gran cuore, quasi una seconda Madre per me e mio fratello, al mio rientro a casa mi ha riferito le parole del messaggero e io posso solo sperare nella Vostra infinita gentilezza e bontà di cuore, perché la Vostra intenzione di prendermi a servizio non sia mutata a causa della mia assenza.

Farò in modo di trovarmi all’indirizzo indicatomi, nella dimora di rue *** domani stesso appena dopo l’alba e, se non sarà troppo tardi per accogliere la Vostra proposta, sarò onorata di servirVi con assoluta dedizione,  impegno e tutta la mia gratitudine.

Vi ringrazio infinitamente, per la Vostra generosità

Diane de Soisson

 

 

Non ho potuto sottrarmi alle insistenze di mia sorella Diane e ho infine ceduto, prestandomi a scrivere quanto sopra sotto dettatura e con il suo stretto controllo.

Tuttavia, sarebbe un vero peccato lasciare inutilizzato tutto questo bel foglio (che ho sottratto al nostro attuale comandante) perché, così come le parole, nemmeno la carta va sprecata (ho l’impressione che sul fatto che le parole non vadano sprecate qualcuno avrebbe bisogno davvero di riflettere a lungo; peraltro, qualcuno che Voi frequentate apparentemente con grande gradimento e trasporto). A riprova di questo, noto come una serata in presenza mia e del mio commilitone, con la possibilità di discutere e scambiare opinioni, non abbia sortito gli effetti che ha avuto invece il nostro intervento in occasione dei disordini alla Caserma di ***. Siamo gente del popolo, la maggior parte di noi non conosce la scrittura né sarebbe in grado di leggere i testi delle grandi menti illuminate con i quali voi vi dilettate a trascorrere il tempo combattendo il tedio, ma abbiamo un grande senso del Dovere e della Giustizia, così come sappiamo essere pieni di dignità nel nostro essere soldati. Nell’intervenire, eravamo mossi dalla volontà di essere uomini corretti, così come lo è stato chi ci ha comandato in passato e ci ha insegnato il nostro valore di uomini del popolo, fieri di esserlo. Poche, pochissime parole, ma forti, vibranti di una nobiltà d’animo che va oltre il blasone di sangue che si acquista con la nascita, come per uno scherzo del destino, ma che si può perdere insieme agli averi, quasi che il denaro potesse fluire dalle tasche, portando con sé il sangue.

Avete ascoltato il racconto di quanto accaduto e per voi si è trattato di un episodio tale da colpirvi profondamente; per noi non è stato che un intervento fra i tanti che ci impegnano quotidianamente per le vie di Parigi. Siamo uomini forti; nessuno dei miei compagni è rimasto gravemente ferito… e in ogni caso ce la caveremo, come abbiamo sempre fatto; a proposito… non vi scomodate a inviarci altri ciarlatani, perché già ne abbiamo abbastanza di quello che talvolta (ben di rado, a dire il vero) sopportiamo in caserma. Già una volta, in passato, avemmo a che fare con il medico della famiglia Jarjayes … e l’occasione portò non poco disordine in caserma.

Voi non mi dovete nulla, né a me, né ai miei commilitoni. Più che altro, dovete qualcosa a voi stessa: il concedervi di guardarci con occhi diversi, così come, forse, state già iniziando a fare.

Devo rendervi giustizia: forse avete veramente ascoltato le parole del Comandante, i suoi racconti ma non solo, e se davvero il vostro animo è turbato quanto leggo nella vostra missiva, allora ancor di più siete in debito con voi stessa.

D’altra parte siete la sorella del Comandante: non è possibile che siate davvero così diverse l’una dall’altra. Forse allora André non aveva torto … e avete diritto ad una possibilità.

Non posso che ringraziarvi per la promozione a Sergente: forse non siete a conoscenza del fatto che impedimenti legati ai quarti di nobiltà mi precludono qualsivoglia avanzamento di grado, a prescindere da quale possa mai essere il mio valore come soldato; tuttavia … la prenderò come un complimento.                       Lo spazio è davvero terminato. Alain

 

 

 

 

 

 

________________

Angolo delle autrici.

Carissime lettrici (ed eventuali lettori), con immenso piacere salutiamo e ringraziamo la nuova guest star del carteggio delle sorelle Jarjayes! Stavolta è arrivata la viva voce di Alain, che per l’occasione abbiamo affidato a *zan zan zan* mgrandier! Consapevoli di essere in una botte di ferro e di vino bòno, ve la regaliamo come lei l’ha regalata a noi!

Alla prossima missiva,

Pamina71 & VeronicaFranco

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Capitolo 26
*** Oscar - Paris ***


26. Oscar

 

Parigi, 1° giugno 1787

 

Mia cara sorella,

comincerò dalle cose piccole e finirò con le grandi.

Sei stata molto gentile a beneficiare la famiglia di Alain prendendo la piccola Diane a servizio. La sua presenza in casa tua è come un profumo nuovo, che ingentilisce l’aria e rende ogni cosa più serena. Ho notato quanto ti faccia piacere averla intorno; non mi sorprenderebbe che un giorno o l’altro le offrissi un tè in tua compagnia, indulgendo nel gusto di interrogarla fino a farla arrossire. Ma tutto ciò sa di familiare e la tua indole è sempre votata al bene altrui, così non ti ammonirò troppo a lasciarla respirare.

Le indagini sui mandanti dei ribelli sono a un punto morto. L’uomo che è stato arrestato (il suo nome è Danglars1) si rifiuta di parlare, o forse, come va dichiarando, non sa davvero nulla. Non sono a conoscenza dei metodi di persuasione con cui lo stanno interrogando, ma temo che stiano usando i peggiori. Questo non ci porta a nulla. La tortura è un mezzo vile, oltre che controproducente, di estorcere informazioni. Il dolore fisico costringe anche alla menzogna, pur di sfuggirgli; e se finora quell’uomo non ha parlato, ho idea che tra poco, per cavarsi d’impiccio e sopravvivere, dichiarerà falsità e invenzioni. Ho scritto al nuovo Comandante della Compagnia B e a D’Agout, sperando mi ascoltino; ma a dirigere gli interrogatori e le indagini è il Generale Bouillé, e il suo pugno è duro anche a sproposito, lo sappiamo bene. Mi sono consultata con Alain per sapere chi, tra i miei soldati, la pensa come me; e ho avuto la sorpresa di constatare che perfino lui, insieme agli altri, concorda con il mio punto di vista. Che l’uomo arrestato si senta un martire, un salvatore della patria, un ribelle, un criminale, non cambia la sostanza; picchiarlo e fargli del male non farà altro che indurire il suo cuore… “perché il cuore di un uomo è libero”. Alain, facendosi portavoce degli altri, me l’ha borbottato fingendo indifferenza, ma sapeva bene che avrei capito. Sono mie parole, e tutti loro le ricordano e le hanno fatte proprie.

Mi sono sembrati così lontani i tempi in cui mi minacciarono dopo avermi legata a un palo, salvo poi arrendersi alla mia autorità. Quella di allora era una bravata di ragazzini; quelle di oggi sono opinioni di uomini fatti e saggi, a dispetto della giovane età. Provo grande orgoglio per questo.

In tutto ciò, non fraintendermi sul fatto che io abbia perdonato a quel Danglars e ai suoi compagni l’azione in cui stavano per distruggere ogni cosa cui io tenga al mondo. Mi sono calmata nei suoi confronti soltanto perché André e nostro padre si sono ristabiliti quasi del tutto.

All’indomani dell’aggressione non ero in un così indulgente stato d’animo; invece adesso posso tornare a respirare. Per quanto riguarda André ti ringrazio per tutto il pensiero che hai avuto per lui. L’hai visto anche tu: a parte una certa debolezza dovuta alla convalescenza, è ormai in salute. Anzi, sembra che l’ennesima ferita gli abbia infuso in corpo un ardore di rinascita che ben concorda con questa primavera e la prossima estate. L’ultimo anno è stato molto rischioso e faticoso, per lui: l’occhio, le difficoltà alla vista, la vita militare, l’aggressione di Saint Antoine, i viaggi, e ora quest’altra… avventura; ma lui dice che non si sorprende di tante peripezie, giacché deve pur pagare alla benevolenza celeste la felicità che sta vivendo… grazie a me.

Ha anche il coraggio di scherzare. E non è servito a nulla rimproverarlo di un pensiero così assurdo, perché ha continuato: “E siccome sono infinitamente felice, chissà quanti guai ancora mi aspettano!”

Rideva, mentre lo diceva, e so che non crede veramente a un tale fatalismo. Ma perché fosse più chiaro, gli ho annunciato la pura verità: ogni sua sofferenza è la mia. Perciò farà bene a rimettersi totalmente e a non giocarmi mai più tiri del genere. Non mi dilungo su ciò che mi ha risposto: ma è così strano, così particolare ciò che accade tra noi, quando da uno scherzo si passa alla gravità, per scivolare ancora nell’oblio e rendersi conto che non si può sfuggire l’uno all’altra. Come le stelle gemelle, Castore e Polluce, destinate a un’esistenza perenne fianco a fianco2.

E ora… come continuare? Ho iniziato questa lettera con il pensiero di raccontarti cosa sia accaduto ieri sera, e sto continuando a differire il momento.

È una cosa importante, e sento di non riuscire ad esprimerla come mi riesce, ormai, parlare del mio amore per mio marito. È un altro sentimento, questo, profondo e radicato quanto l’altro, ma di natura assai diversa.

Tu sapevi, non è vero?, che nostro Padre ci ha convocato a casa, ieri pomeriggio. Una lettera, scritta di suo pugno con grafia ferma, segno di guarigione pressoché avvenuta, chiedeva informazioni sulla salute di André, e ci invitava a raggiungere la nostra casa di un tempo per la cena. Non abbiamo avuto molto tempo per riflettere. Anzi, quasi non abbiamo fatto parola l’una con l’altro sul significato di quell’invito. Immaginavamo dai toni della missiva che non ci sarebbe stata alcuna tempesta, e i fatti recenti mostravano, da parte nostra, un sincero attaccamento a nostro Padre e alla famiglia, che poteva ben disporre il cuore di un uomo fiero e capace di riconoscere la giustizia.

Io, ti confesso, speravo vivamente che André si vedesse riconosciuti da nostro Padre i suoi molti meriti. Con un poco di calcolo, mi dicevo che era impossibile che un uomo come il Generale Jarjayes serbasse rancore a chi gli ha, in poche parole, salvato la vita, dopo averlo servito fedelmente da quando era bambino. Non sarebbe stato mio Padre, altrimenti.

Ho immaginato che avrebbe voluto parlare prima di tutto con me. Invece no: ho dovuto attendere io. André si è presentato a testa alta, come era naturale. L’ho guardato varcare la soglia dello studio di nostro Padre, e quando è scomparso oltre la porta ho dovuto forzarmi per non accostarmi ad essa e ascoltare.

Hanno parlato a lungo. Le voci erano calme, ma anche se non avevo motivo di aspettarmi qualcosa di grave, non ho avuto pace finché la porta non si è riaperta di nuovo.

Allora è stato il mio turno. Subito ho cercato indizi nell’espressione di André, un attimo prima di entrare a mia volta; e mio marito ha sorriso con sicurezza, incoraggiandomi con lo sguardo ad andare.

Non potrò mai perdonarti per quello che è accaduto.”

Questo l’esordio, e nostro Padre non ha l’abitudine di lesinare sguardi, quando le sue parole pesano.

Tuttavia, è accaduto. Per quanto io abbia provato delusione e tristezza, niente ormai potrà cambiare.”

Ero come pietra. Avrei potuto già replicare molte cose, ma non me la sentivo. Era tornato, per alcuni istanti, il Signore e Padrone del mio mondo d’infanzia, colui che mi impartiva i precetti, le punizioni e le lodi. Non so se è così che ogni figlio percepisce l’uomo che l’ha cresciuto, ma per me è stato così, sulle prime; poi, poco a poco, si è fatta strada dentro di me una grande dolcezza, come se lo vedessi per la prima volta. Ai miei occhi è apparso stanco, antico, smarrito, e io di contro adulta, padrona delle mie scelte, non più legata ai suoi fili. Si faceva scudo di parole dure perché nei suoi occhi la commozione vibrava come foglie al vento d’autunno. Non mi ero mai accorta di quanta fragilità potessero nascondere quegli occhi un tempo terribili. Occhi che potevano chiudersi per sempre, e grazie ad André brillano ancora…

Soltanto uno sciocco si ostinerebbe a combattere la corrente quando tutto rema nella direzione contraria.”

Dolcezze non me ne aspettavo, e nemmeno parole gentili. Mi bastava già quello che stava dicendo, e sapere che non ci avrebbe più osteggiato. Che in qualche modo accettasse il nostro matrimonio. E la nostra presenza a palazzo, non era già un segno di uno scioglimento, di una catena rotta? Potevo dirmi felice e soddisfatta…

L’ho fatto per una vita intera. Ho remato contro ogni convenzione perché tu fossi il mio erede, la speranza della famiglia. Ma dovevo aspettarmelo, che la natura avrebbe vinto infine…”

Si è fermato. Non perché avesse concluso, ma perché non riusciva più a parlare. La commozione è un avversario arduo, Josephine!, piccolo, che divora i piedi dei colossi… e di donne adulte, fiere dell’educazione maschile ricevuta, fiere dell’amore scelto, fiere…

Oh, Josephine. Non è nel nostro modo di essere padre e figlio, figlia, l’abitudine di abbracciarsi. Non è mai accaduto. Fino a ieri, almeno. Né ho mai visto lacrime solcare il volto del Padre. Fino a ieri!

E sono davvero sua figlia, se non riesco a finire il mio racconto e devo fermarlo qui. Di esso, d’altronde, vedrai gli effetti molto presto. Stasera saremo a casa, a cena con tutti voi. Mio marito siederà al mio fianco come faceva già in altri tempi, non più per concessione ma per diritto acquisito, per merito, per amore di tutti, per gratitudine di tutti.

A presto, e non osare chiedermi di più quando saremo di persona: so che ti tenta l’idea di canzonarmi, ma non ci riuscirai stavolta, stanne certa.

Oscar

_____________

1. Nome mutuato da Il Conte di Montecristo, anche se con il Danglars fraudolento del romanzo di Dumas questo qui non c’entra proprio niente!

2. Ammiccatina a Ikeda Sensei: http://www.mangaeden.com/it/en-manga/versailles-no-bara/45/33/

_____________

Angolo delle autrici.

Care Lettrici e cari Lettori, agosto è arrivato ormai, e con esso le tanto sospirate vacanze! Il carteggio de Le relazioni pericolose si prende un mesetto di pausa… ci vediamo a settembre! Un abbraccio!


 

 

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Capitolo 27
*** Josephine - Paris ***


27. Josephine

 

Parigi, 18 giugno 1787

 

Mia cara Oscar,

 

Non ti scrivo da un po', ma ultimamente, avendoti veduta di persona con maggior frequenza, era venuto a mancare il motivo di continuare nella nostra corrispondenza.

Ma la settimana passata è stata particolarmente intensa, e non ho avuto modo di frequentare né te, né la tavola di palazzo Jarjayes. Una cosa non ho avuto modo di dirti personalmente, ed è il piacere che mi fa vedere te e tuo marito seduti a conversare con il nostro austero genitore. I suoi argomenti sono, purtroppo, sempre i soliti; raramente si allontana da ciò che ha a che fare con la sua vita militare, e voi due avete sufficientemente conoscenza dell'esercito per continuare la conversazione, che spesso, quando il suo uditorio è composto solamente da me e da nostra madre, si trasforma in monologo.

E, ancora purtroppo, negli ultimi tempi questi dettagli interessano anche noi due, essendo legati all'agguato cui è scampato insieme ad André.

 

So che anche la Guardia si interessa ancora del fatto. L'ho saputo dal tuo soldato Soisson, che è venuto ad attendere la sorella una sera in cui ha dovuto rimanere presso Palazzo Liancourt sino a tarda ora. Stanno ancora indagando sui complici, ma non ne vengono a capo. Immagino siano cose che saprai già, ma te le riferisco lo stesso nel caso non avessi avuto tutte le informazioni del caso.

Il soldato non è venuto da solo, ma con quei due che gli vanno spesso appresso, e lo trattano un poco come se fosse un capo. Debbo dire che quello rossino, che mi pare si chiami François, è davvero un tipetto gentile ed ammodo. Mi piace la sua timidezza e, ad essere sincera, me lo vedrei davvero fidanzato con la piccola Diane. Soffocata da un fratello così ingombrante, la vedrei proprio sposata ad un cuore gentile come François.

Lo so, adesso ti metterai a ridere delle mie prestazioni da sensale. Ma non posso farci nulla, non so resistere alla tentazione di “sistemare” gli altri, nonostante il mio matrimonio disastroso. O forse proprio a sua cagione.

Diane è molto carina, ed hai ragione a dire che ricorda Rosalie. Eppure, la vedo più debole di quanto fosse la tua protetta. Nonostante le sue lacrime, aveva la resistenza della canna al vento, che si piega alle avversità e poi si risolleva. E non vedo questo nella giovane Soisson. La vedo fragile, forse perché troppo protetta dal fratello. Una delusione sentimentale potrebbe distruggerla. Non credo sarebbe in grado di risollevarsi. Le ci vuole qualcuno di dolce e rispettoso, come il soldatino lentigginoso. Che è giovane, ma più saggio di quanto non appaia.

Il tuo suggerimento di un té non è male. Potrei parlare a Diane del soldatino e vedere come reagisce. Anzi, ho deciso. Oggi pomeriggio lo farò.

Adesso debbo proprio lasciarti, ho intenzione di dare una festa per il giorno di San Giovanni, ed è ora che cominci ad organizzare la cosa, debbo scegliere il tema, decidere gli invitati e valutare come addobbare Palazzo Liancourt.

Sei ovviamente invitata, insieme a tuo marito, anche se temo che vi defilerete.

 

Ti abbraccio.

Josephine de Liancourt.

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Capitolo 28
*** Oscar - Paris ***


28. Oscar

 

Parigi, 19 giugno 1787

 

 

Immagino che questa mia giungerà troppo tardi; avrai sicuramente già proposto il tè a Diane, tessuto una rete di domande apparentemente innocenti ma ben calibrate, ottenuta conferma del tuo giudizio su di lei; e la povera fanciulla non avrà idea dei tuoi progetti finché non farai in modo che lei e François si trovino l’uno davanti all’altra nelle cucine o nel cortile o nel giardino (ecco, quello potrebbe risultare la soluzione più romantica), e anche allora non sarà affatto finita: sbircerai l’esito delle tue trame con compiacimento, soprattutto quando entrambi arrossiranno e si scambieranno qualche parola impacciata. Scene che ho già visto in caserma l’anno scorso, all’ora delle visite, prima che un inferocito Soisson comparisse a scacciare François o qualunque altro intruso come mosche sul latte.

Devo ripetertelo? Un matrimonio sa essere molto gravoso per chi non possieda un reddito elevato. E la scintilla tra due anime non può scoccare a comando. Agisce, anzi, in modo imprevedibile e spietato. Dev’esserci qualche verso di poeta ad avallare queste mie parole, ma non me ne rammento in questo istante. O forse non è a un poeta che penso, ma a parole tristi e lapidarie di mio marito, quando parlando di Fersen rivelava in realtà il vicolo cieco dei propri stessi sentimenti. “Com’è potuto cadere in un amore così doloroso?”, si chiedeva.

Capisco in fondo la tua esigenza: alleggerire qualcosa che da sempre si è mostrata ostica, finanche temibile nella sua grandezza, quando non distruttiva. È vero che la maggior parte delle persone percorre la vita con semplicità, e il matrimonio appare una tappa obbligata di un percorso vessato da ben altre preoccupazioni che quelle sentimentali. La gente comune si sceglie, si sposa, fa figli; il mondo procede ozioso e regolare nonostante i tormenti di poche anime in cerca di ideali.

Mi sento d’improvviso sulle spine: per quanto io conosca la tua forza, non ho mai pensato al dolore del tuo passato con tale nitidezza. Sospetto, da quella mezza frase che hai scritto, e dalla tua ostinazione a rendere felici almeno gli altri, che sia tuttora molto arduo per te accettare quanto accaduto. Forse ora posso capirlo meglio e più a fondo. Mi permetto di porgerti queste parole perché sono scritte, potrai stracciarle e intimarmi di non ripeterle. Oppure lasciarle agire sulla tua coscienza, affinché tu possa tornare a cercare la tua propria felicità, e non già il riflesso di un pallido ideale negli idilli altrui. Te lo devi, io credo; e per Dio, il tempo non è ancora scaduto. O io stessa dovrei marcire nella solitudine, che di te sono poco più giovane.

A proposito e proprio per questo, sono lieta che tu coltivi l’arte di allestire feste. Non dubito del tuo gusto anche nella scelta degli ospiti, ma sai quanto io rifugga simili divertimenti. André, bene, André credo non li disdegnerebbe; forse potrei accontentarlo, magari per un’ora o poco più; se sarà presente Roucher, avrà anche qualcuno con cui scambiare qualche discorso. Io, già lo prevedo, mi tratterrò in un angolo ad aspettare che la cosa finisca. Nulla di personale, sorella mia, lo sai.

 

Cambiando argomento, so già tutto delle indagini, più altri dettagli che preferisco tacere al momento. La rete alle spalle dell’uomo arrestato si prospetta fitta e confusa, con molte comparse e pochi nomi sicuri. Ne verremo a capo, lo prometto, ma non so prevedere in quanto tempo. Penso al progetto del nostro lungo viaggio nel resto della Francia, e temo che l’estate trascorrerà tutta, prima che la questione sia risolta. Dovremo differire il viaggio alla prossima primavera. Per questo, André ha già cominciato a cercare impiego per questi mesi. Per carità, non dire nulla a nostro Padre, né a nostra Madre; donerebbero un appoggio generoso ai suoi progetti, silenzioso il primo, esplicita la seconda: ma André desidera trovare da solo il proprio cammino, e farlo in modo da non coinvolgere il passato e non incomodare nessuno.

Dal mio canto, ho ripreso gli addestramenti con la spada con una certa assiduità, approfittando delle licenze dei miei uomini. Con queste abilità potrei trovare un lavoro anch’io. E dopo?

Dopo non so. André dice che le cose avverranno da sé, per una semplice nostra ispirazione. Così sia.

 

Ti vedrò presto.

 

Oscar

 

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Capitolo 29
*** Josephine - Paris ***


29. Josephine

 

Parigi, 23 giugno 1787

 

Mia cara Oscar,

 

debbo confessarti che i preparativi per la festa di domani sono stati, e continuano ad essere, estenuanti.

Immagino che riderai di me se dico così, ma ti assicuro che tener testa ai fornitori per rendere la magione impeccabile, la cena indimenticabile, il mio abito spettacolare è un'impresa assai faticosa. Adoro le feste, ma sicuramente preferisco che sia qualcun altro a sobbarcarsi la fatica improba dell'allestimento.

Ceci dit, puoi ben immaginare quanto mi offenderesti se non ti presentassi o, peggio, se ti fermassi un'oretta come se io fossi un'estranea. Dai retta a tuo marito, fermatevi e godetevi la festa. Il cibo, le chiacchiere. Permettiti una buona volta di essere serena, anche tra la gente. Non hai più nulla da dimostrare, né a nostro padre, né a nessuno. Puoi infine presentarti alla società (alla città, al mondo, usa pure il termine che preferisci) senza timore di giudizio. Hai ottenuto dalla vita molto di ciò che desideravi. Siine felice. Siine fiera. E non nascondere questa fierezza. Anzi, sai che ti Dico? Questa volta non proverò nemmeno ad insistere per farti indossare un abito femminile. Vieni come sei solita abbigliarti, mostra le tue lunghe gambe nella divisa, e sii diversa dalle altre donne. Sii come sei abituata ad essere.

 

Per parlare d'altro, debbo dire che il tuo soldato Soisson è ben invadente. Spesso capita di trovarlo nella via ad attendere l'uscita della sorella. Non vorrei che queste sue vedette portassero maldicenze nei confronti di qualcuna delle ragazze a mio servizio. Non rispetto a me, dacché rimane sempre in attesa presso l'ingresso di servizio, però rimango responsabile di loro e della loro reputazione.

Eppure, l'altro giorno, proprio questa sua assidua attenzione nei confronti della sorella minore mi ha offerto una ghiotta occasione di esercitare il mio mestiere di sensale, così come lo chiami tu.

Stavo rientrando da un pomeriggio passato a cercare stoffe e nastri. Pioveva, anzi, diluviava come non succedeva da tempo. È stato quel giorno in cui poi ha grandinato. E lungo il marciapiede, ad un paio di porte di distanza dalla mia, ho visto Soisson e François avanzare fradici, controvento. Non ho resistito. Ho fatto fermare la carrozza ed ho detto loro di entrare in casa, dalla porta di servizio. Ho detto alla servitù di permetter loro di asciugarsi un poco, e di dar loro da mangiare.

Non il giardino sentimentale, ma comunque un inizio. E tra la gente, per di più, cosicché la timida Diane ha potuto ascoltare ed intervenire nella conversazione senza troppo arrossire. Come lo so? Me lo hanno riferito le altre cameriere. Io intanto ho chiesto al fratello di salire da me, per chiedere le ultime novità e gli sviluppi a proposito delle indagini.

È un tipo non privo di arguzia, lo debbo riconoscere. Se non fosse così insopportabilmente screanzato, sarebbe quasi piacevole passare del tempo in sua compagnia. Invece il suo atteggiamento un poco provocatorio, così come durante quella famosa cena, rende davvero difficile rimanere in sua compagnia. L'ho trattenuto per dar modo alla sorella, che mi pare un poco soverchiata dalla sua personalità così ingombrante, del tempo per farsi conoscere non solo per il suo bel visino. È una ragazza intelligente, saggia, pacata. Non piange, a differenza di Rosalie, eppure nel suo modo di fare vedo una fragilità ben maggiore. Devo avertelo già scritto. In lei vedo una donna che un uomo non adatto potrebbe spezzare. Una gracilità che la rende simile al cristallo. Attira gli sguardi, ma un gesto maldestro può mandarlo in frantumi.

 

Oh, ma guarda cosa scrivo! Sembro la prozia! Quindi ti lascio prima di farti inorridire del tutto.

Ti attendo domani. Senza fallo.

 

Ti abbraccio.

Josephine.

 

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Capitolo 30
*** Oscar - Paris ***


30. Oscar


Parigi, 25 giugno 1787


Mia cara Josephine,

non ci è stato possibile salutarti ieri sera per causa mia: un fastidioso malessere ha fatto sì che tornassimo al nostro alloggio (come ti accennavo ieri, abbiamo preso in affitto un piccolo appartamento, del quale si prende cura durante il giorno la sorella di François, il tuo preferito tra i miei soldati, dietro compenso).
No, non preoccuparti, non era niente di grave; soltanto un lieve capogiro, sparito molto in fretta. Colpa del tuo ricevimento, temo: v’era tanta e tanta gente, in quel benedetto tuo palazzo. Resto sempre molto sorpresa dal fatto che tu possa trarre divertimento dalla confusione, laddove io non faccio altro che rifuggirla per respirare un poco.

Devo comunque concederti che tu avessi ragione su un punto. Gli abiti.
Mi spiego subito. Ho indossato quello che desideravo, per amore di comodità ma, soprattutto, perché solo in abiti maschili mi sento me stessa; sono troppo disabituata alla cipria, alle scarpe scomode, alle scollature impudiche, e i miei capelli non tollerano costrizioni.
Qualcuno tra gli invitati, sì, mi ha seguita con lo sguardo, né più né meno di quando ero a Corte, e suscitavo già i pettegolezzi generali – qualcosa cui ho fatto l’abitudine così presto da farmi scivolare tutto addosso, voci sguardi malizia.
Ma quello che voglio dirti, tanto per dartela vinta una volta, è che è vero: André… André ha mal tollerato alcuni di quegli sguardi a me rivolti. E sebbene io non sia tale da aver bisogno di protezione né tantomeno dare piede libero ai complimenti, e ancora di più, sebbene sia impossibile che André pensi che io possa preferire le attenzioni di qualcun altro alle sue, c’era qualcosa, nel suo modo di starmi vicino, di ansioso. È stato molto più sollecito del solito a riconoscere il mio malessere, ed è stato lui a proporre che andassimo via, te lo giuro. E nemmeno quando siamo stati lontano dalla confusione, al riparo e in casa nostra, ha cambiato atteggiamento. Aveva bisogno che ci ritrovassimo soli, tanto e forse più di quanto io credessi.
E dire che aveva imbastito un interessante discorso con il tuo M. Roucher, alla fine del quale credo stessero perfino accordandosi per un lavoro editoriale; tuttavia, appena ha notato un uomo, credo un conte, avvicinarsi a me con il chiaro intento di attaccare discorso, è stato lesto a troncare ogni parola e mi si è avvicinato per chiedermi se stessi bene. Ero frastornata, come ho già detto, e silenziosa da qualche tempo per un lieve capogiro; così ho colto l’occasione e siamo tornati alla nostra intimità senza troppi indugi.

L’unico è stato quello di cercarti, ma nemmeno Roucher è stato in grado di dirci dove fossi in quel momento. Ho immaginato che tu fossi impegnata in faccende organizzative, che tra i servitori vi fossero stati problemi, che ci fosse bisogno di te altrove; così, confidando nella nostra informalità, ho lasciato detto semplicemente al tuo maggiordomo di porgerti i nostri saluti.
Sapevo, tanto, che oggi pomeriggio ti avrei trovata ad Auteuil, perché così ci aveva detto Roucher.

E invece non è stato così. Il tuo filosofo era a un tavolo a discutere con altre persone, di cui due dame; mi ha parlato di una tua indisposizione. È così? Non stai bene? Gradiresti che venissimo a farti visita in serata?


Oscar


P.S.: André mi prega di farti i complimenti per la deliziosa festa, la cui organizzazione impeccabile l’ha resa oltremodo piacevole. Confessa: come fratello è ben più gradevole di me.


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Capitolo 31
*** Josephine - Paris ***


31. Josephine

 

Parigi, 26 giugno 1787

 

Mia cara Oscar,

 

Sono davvero contenta che la festa sia piaciuta almeno ad André. Mi dispiace che tu abbia avuto un capogiro. Debbo dire però che la cosa mi stupisce parecchio. Di solito hai una salute di ferro! Spero che in questi mesi di viaggio tu non ti sia trascurata troppo. So che il tuo malessere è stato reale, perché so che con me non useresti mai quelle bugie da buona società che si è soliti propinare ai propri ospiti, come appunto quelle sui presunti malesseri.

Spero che tu stia davvero meglio, anche perché un capogiro non è davvero da te. Ah, sto diventando vecchia e mi ripeto come la zia Elodie!

La mia serata è stata invece anomala sotto molti punti di vista. È cominciata come sono solita iniziare le serate di ricevimento a casa mia.

Fretta, timore che qualcosa non fosse pronto, preoccupazione per come l'abito acquistato per l'occasione sarebbe stato accolto dalle altre dame, attenzione ai dettagli e tutte quelle piccole cose che per me le rendono interessanti. Devo dire che mi sono davvero goduta l'inizio della festa, i saluti, i sorrisi, le persone che arrivavano e le prime danze. Poi è accaduto qualcosa che mi ha quasi rovinato tutto. Ancora ora, a pensarci, mi viene una di quelle rabbie!

Come avrai notato, il mio egregio signor marito questa volta ha pensato bene di tenersi lontano dal ricevimento. Ma non per questo ha rinunciato a guastarmelo. Non riuscendo a seguire il rapido fluire delle sue nuove conquiste, non sapevo che tra le invitate vi fosse colei che al momento è la sua amante ufficiale. È arrivata al seguito della cognata, ed essendo giovane e da poco introdotta in società, non la conoscevo. D'altra parte, la rispettabilità della famiglia deponeva a suo favore. Non mi sarei certo aspettata che si rivolgesse a me in tono sarcastico, recapitandomi un biglietto dell'odioso consorte. Non sto a riferirti le frasi che vi erano vergate. Puoi immaginarle.

Sappi solo che tanto è bastato per precipitarmi in un grosso scoramento. Ecco perché non sei riuscita a trovarmi. Ho preferito lasciare la sala per qualche momento e rifugiarmi in un angolo a sfogare le mie lacrime. 

Mi sono rifugiata nello studiolo che era stato di quel prozio che si è fatto monaco in tarda età, un luogo ove sono sicura non vada mai nessuno. Volevo solo riprendermi in pace. Invece, ho ricevuto visite. Passato a salutare la sorella, si è perduto per il palazzo (perduto? o errante? Ma gli erranti non sono perduti1) il solito soldato Alain, nemesi delle mie ultime settimane. Che, incredibile a dirsi, ha saputo confortarmi. Mi si è seduto accanto, mi ha chiesto cosa avessi. Che avrei potuto dire? Ho scosso il capo. Allora ha compiuto un gesto estremamente personale, asciugandomi una lacrima col dorso dell'indice. “Vi si rovina il trucco”. Mai lo avrei immaginato da quel Gargantua, e la cosa mi ha fatta sorridere, anzi quasi ridere. 

Mi ha anche fatto un paio di complimenti per sollevarmi lo spirito. Non è compito solo con la sorella, allora. A quel punto ho trovato la forza di sollevarmi, scambiare ancora qualche frase con lui e rientrare alla festa, ma tu già eri scappata. 

Ed ecco perché ieri non ero ad Auteuil. Sai quanto il solo pensiero di mio marito mi stanchi. Ho dormito male, e molto poco. Ero esausta, troppo svuotata per passare un pomeriggio in compagnia di quelle teste pensanti che mi fanno ancora sentire inadeguata. Non credere che passare le giornate con Roucher sia una passeggiata, pare di trascorrerle col precettore! Ho preferito oziare.

So che mi perdonerai, se passerò a trovarti presto.

Ti abbraccio.

Josephine de Liancourt.

1 Chi riconosce la citazione?

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Capitolo 32
*** Oscar - Paris ***


32. Oscar


Parigi, 2 luglio 1787


Mia cara Josephine,

ti abbiamo attesa invano in questi giorni. È passata una settimana dall’ultima lettera che ci hai mandato con Diane all’indomani di San Giovanni, e sempre tramite Diane ti abbiamo lasciato detto che ti aspettavamo in qualunque momento avessi voluto; ho ritenuto che fosse meglio così, sospettando che la fanciulla si sarebbe interessata alla tua salute con tutta la dolcezza che le è propria, e questo ti avrebbe rincuorata. E comprendendo, inoltre, che tu non avessi bisogno né di consolazione, né di sollecitudini.
Non è consueto per te, infatti, desiderare la solitudine. Ma nemmeno dire ciò che non pensi. Quindi ti ho creduto e ti ho preso in parola. Non avresti mai rifiutato la nostra presenza, o anche solo la mia, se non avessi avuto veramente bisogno di tempo per te. Ho atteso, ho pazientato dunque, e pregato per la tua serenità, riflettendo molte volte sulle tue parole, rileggendole e immaginandole dette dalla tua viva voce. Quanti chiaroscuri, in quella tua voce sempre squillante. Perfino le lacrime hanno brillato tra le righe. Inaudito per come ti conosco, per come hai combattuto ogni dolore.

E mi rendo conto anche di come tu sia distaccata perfino nel raccontarmelo. Una serata “anomala”, dici, quasi le tue lacrime fossero una stravaganza non prevista, non voluta. E della quale si può narrare come di un fatto scientifico, come se versare acqua dagli occhi fosse qualcosa che capita di tanto in tanto come avere un capogiro o prendersi un raffreddore.

Ho provato a immaginare i sentimenti che hanno condotto a quelle lacrime, la rabbia, l’impotenza. Tanto tempo fa, stornammo il pericolo di tuo marito con un accordo familiare: io feci la mia parte, ma avrei voluto, sinceramente, far finire la questione in modo molto meno accomodante1 per quell’uomo. E renderti libera, soprattutto, se solo fosse stato possibile.

Ho chiesto ad André cosa sapesse in materia di divorzio.
Ecco, forse posso strapparti un sorriso: puoi immaginare la sua faccia, povero caro, alla mia domanda. È sbiancato per un istante, e non ti dico quale sollievo abbia mostrato nel comprendere che il mio interesse per la questione non riguardasse certo me e lui. Ovviamente l’ho canzonato a dovere.

Tornando a noi. Che razza di società è questa, che tollera che una donna subisca simili offese senza potersi separare dall’uomo che le provoca? La violenza, fisica o morale, deve rimanere impunita? Cosa c’è di sacro in un matrimonio così spietato? Non biasimo nostro Padre per la cattiva scelta del tuo partito, perché credo che non avesse misura sufficiente della depravazione che Liancourt avrebbe sviluppato con gli anni. E so che si duole ancora di quanto accaduto. Ma basterebbe così poco perché tu fossi felice; sciogliere il contratto; liberarti legalmente e formalmente; darti una vita senza quel cognome, tornare una Jarjayes; perché non chiedere l’intercessione di sua Maestà?

Oppure sfidare a duello quell’uomo e dargli una nuova, perfetta lezione. Di tutte le possibilità, credo sia la migliore. Mi occuperò io di questo, non temere. Nostro Padre non fu presente a suo tempo, fu io il maschio di famiglia in tua difesa; ebbene, lo sarò ancora. Quindi sorridi e togli potere a quell’uomo sulla tua serenità. Hai la tua forza, la tua bellezza, che gli anni non riescono a intaccare, il tuo spirito solare. Fattene scudo e lascia il resto a me.

A proposito. Nella passata lettera, mi hai raccontato di aver incontrato Alain, la tua… nemesi, come lo chiami tu, e anche come ciò sia avvenuto. Sono rimasta davvero sorpresa, credimi. Quanto tempo è passato dalla bravata del palo! Anche allora Alain mostrò una certa distorta galanteria, nonostante tutto, tirando in ballo proprio trucchi e capelli ben acconciati che, a detta sua, mi avrebbero restituito la bellezza: dev’essere una fissazione, dunque. Ma quel che più conta: vedi? Sa essere delicato e sensibile, sotto la scorza ruvida. E anch’io amo ripetermi, almeno su questo punto, perché conosco il suo valore e la sua nobiltà d’animo, e considero molto preziosa la sua amicizia per me e André. Ci sta aiutando molto per le indagini sui ribelli. Moltissimo. Non posso rivelarti di più, ma quando sarà il momento saprai ogni cosa.

No, non credo affatto che passare il tempo con Roucher sia semplice, te l’ho detto io per prima. Non perché parli di cose troppo difficili, ma perché ogni sua emozione risulta artefatta, filtrata dalla sua abilità di poeta, mimata, esposta come su una vetrina. È faticoso trattare con una persona simile. Non ha nulla della tua leggerezza e della tua genuinità, ma posso immaginare che gli opposti si attraggano. D’altronde, ho avuto esperienza che l’ombra e la luce, o l’acqua e il fuoco, possano incontrarsi sul campo condiviso dell’amore. E in fondo Roucher tiene molto a te; o quando ieri pomeriggio accompagnavo André ad Auteuil per concludere le trattative del suo nuovo lavoro (te ne avevo accennato per lettera; te ne parlerò di persona), non mi avrebbe chiesto tue notizie, più complete dei biglietti accomodanti che gli hai mandato in questi giorni senza incontrarlo. Sembrava davvero molto triste, privato della tua compagnia così a lungo. Non è l’unico.

Lasciati trovare, e se desideri liberarti del peso del tuo cuore, ricorri pure a me.


Oscar





___________________________

1. Riferimento al ferimento di Liancourt nelle fanfiction di Pamina71.

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Capitolo 33
*** Josephine - Paris ***


33. Josephine


Parigi, 3 luglio 1787
 
 
Mia cara Oscar,
la tua sollecitudine mi provoca sentimenti ambivalenti.
Da un lato sapere che tu stai per accorrere in mio aiuto, informandoti per il divorzio (mi figuro il dialogo tra voi due e la faccia che deve aver fatto André!) o pronta a passare alle vie di fatto mi scalda il cuore e mi fa sentire molto accudita ed amata.
Ma, d'altro canto, mi imbarazza quasi, e mi farebbe venire voglia di non raccontare quanto mi accade o come mi sento, per non costringervi ad agire in mia difesa. Una specie di pudore mi frena spesso, in questo senso. L'altra sera ho ceduto e mi sono lasciata cullare dalla relativa dolcezza di un bel pianto. Non sono la Lamballe, non lo faccio spesso, e tu lo sai. Ma stavolta ne avevo davvero bisogno. E avevo bisogno di raccontarlo, non solo il pianto ma anche la inattesa consolazione che lo ha seguito. Avevo semplicemente la necessità che qualcuno lo sapesse. Sul serio, non richiedo interventi.
Del divorzio, anzi della separazione, ho già esaminato tutte le sfumature, tutte le possibili conclusioni. E, da anni ormai, ho concluso che non conviene. Non conviene a me, non conviene alle donne. Si porta in tribunale un affare di famiglia in cui la parte femminile viene comunque esaminata, interrogata, indagata e, quale che sia la conclusione effettiva, infangata. A priori.
Non voglio questo. Per la mia dignità, per i miei figli. Meglio restare in questo vago limbo, in cui mio marito rimane per lunghi periodi lontano da palazzo, conduce la propria esistenza e tutto sommato io ho raggiunto un certo equilibrio negli affari della mia vita. E pazienza se talvolta si fa vivo e mi mette sottosopra questa parvenza di pace faticosamente raggiunta.
E in questi casi la presenza di Roucher mi pare, anche se ti parrò ingiusta, molesta. La sua saggezza, la sua saccenza è pesante come una gerla, da portare e sopportare. Ha sempre una soluzione saggia per tutto, anche per i momenti in cui la soluzione non c'è, o meglio non c'è altra soluzione che uno sfogo qualsiasi, un divertimento, una spesa, una festa, una piccola follia. Non quella ragionevole pacatezza che cerca di propinarmi e che non mi appartiene.
Un po' di leggerezza, ogni tanto. Non sempre e solo il peso della conoscenza e della ragione. Che poi lo dico a te, che della ragionevolezza hai fatto una bandiera. Ma tu sai invece quanto io sia differente. E quanto, a volte, lo sia anche tu. Ti ho vista, infiammarti di furia o di una qualche passione. Non sei tanto diversa da me, in fondo, come temperamento. Ma sei stata meglio domata.
E con questa ti lascio, altrimenti la prossima volta che mi vedrai mi passerai a fil di spada.
Sarò da te dopodomani, senza meno.
 
Ti abbraccio.
Josephine.

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Capitolo 34
*** Oscar - Paris ***


34. Oscar
 
 
Parigi, 5 luglio 1787
 
 
Josephine,
spero che questa mia ti raggiunga in tempo per fermarti, nel caso in cui tu stessi venendo da me come avevi promesso.
Non mi troverai in casa, infatti. Ci sono novità per le indagini sui ribelli. Io, André e i miei soldati ci stiamo dirigendo verso una pista e non sappiamo quando torneremo.
Aggiungo due parole sul resto. Aspetto di vederti di persona per dirti quanto detesti la tua rassegnazione. Mi rifiuto di accettarla. Che sia un uomo o una donna a subirla, una situazione così logorante è una tortura e un sopruso. Onore a te che brilli nonostante tutto, vuol dire che hai forza da vendere. Ma fino a quando? Il vaso è colmo. Non voglio più sentire che quell’uomo possa raggiungerti in quel modo e farti del male.
Non c’è bisogno che tu mi chieda interventi. Ho già deciso, tu restane fuori, perché non ci sia alcun fango a macchiarti. È la mia passionalità a parlare, o la mia ragione? Strano a dirsi: credo siano entrambe molto d’accordo, in questo frangente.
 

Oscar



 

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Capitolo 35
*** Josephine - Paris ***


35. Josephine

 

Parigi, 7 luglio 1787

 

Oscar,

 

non capisco. Pare quasi che nella tua ultima lettera tu abbia mentito. E questo mi preoccupa. Non starai tramando contro il Duca mio marito qualcosa di peggiore di quanto potessi immaginare, spero?

Eppure, mi sono informata, il Duca pare stia bene, vivendo la sua débauche come suo costume. Quindi sono davvero confusa.

 

Ora ti racconto come mi sia venuta l'idea di una tua menzogna, come sia l'unica possibilità che mi sia venuta in mente, nonostante sappia benissimo che non è nel tuo stile.

Ieri sera è passato il solito Alain a recuperare la sorella. Oramai, sebbene sia la prima a sapere che non sarebbe abituale un simile comportamento nelle case aristocratiche, ti dirò che è invalsa l'abitudine di invitarlo a salire per un bicchiere di vino e due chiacchiere. Orbene, anche ieri questa piccola nuova abitudine è stata rispettata. Dopo un saluto rapido, la prima cosa che ho avuto premura di chiedere è stata appunto come stessero andando le indagini, perché il giorno prima avessero i soldati dovuto recarsi in tutta fretta appresso alla pista che stavi citando, e come mai fossero tornati così rapidamente.

Alain mi ha guardato con espressione vacua, e mi sono resa conto che non sapeva cosa dire. Non c'è stata nessuna missione, alcuna traccia da seguire, non avete avuto dritte da informatori o notizie nuove. Il povero ragazzo mi ha fatto tenerezza, preso a metà tra la lealtà a te ed André, che voleva in qualche modo coprire, e la sincerità che gli ha impedito di mentire (e forse nemmeno sapeva di ciò che mi avevi raccontato, il popolo direbbe che è caduto dal pero, facendosi anche parecchio male, secondo me) e ti ha tradito.

 

A questo punto ripeto ciò che ho detto all'inizio. Non capisco. Le tue ultime lettere mostrano verso di me grande affezione, quindi do per scontato che non hai voluto evitarmi per starmi lontano.

Esiste una sola possibilità. La pista c'è, ma riguarda altro. Le tue ultime righe, riguardo al cuore ed alla ragione che vogliono difendermi da un marito aggressivo, mi fanno pensare che tu lo stia seguendo, che tu stia preparando la vendetta, la punizione di cui hai parlato.

 

Ne abbiamo discusso, io ed Alain, e ti confesso che gli ho chiesto di seguirti, di riportarti alla ragione. Non fare pazzie. Sai a cosa andresti incontro. Lo sai. Eppure credo che tu non vi abbia riflettuto.

Te lo ripeto io. Il Duca di Liancourt è un aristocratico. Tu no, non più. Debbo rammentartelo? Sposando André hai perduto i privilegi feudali, la donna assume lo status del marito. Ci hai mai pensato?

Da un certo punto di vista, la tua nascita e la vecchia amicizia con Maria Antonietta ti possono proteggere. Ma un giudice severo potrebbe dimenticarsene. Quindi, ti prego, ti prego, ti prego. Non fare pazzie.

Promettimelo.

 

Josephine.

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Capitolo 36
*** Oscar - ???? ***


36. Oscar

 

8 luglio 1787

 

 

Ho mentito, è vero. Non volevo metterti in allarme, ma a quanto pare non ci sono riuscita.

Sulla nuova pista siamo soltanto io e André, a causa mia.

Alain ha ragione: le indagini sugli aggressori della caserma di nostro Padre sono arrivate a un punto morto, per quel che riguarda la vecchia pista. La situazione prometteva bene, all’inizio, come ti scrissi. Sembravamo aver trovato un aggancio, un riferimento. Dopo l’ennesimo interrogatorio, colui che catturammo la notte dell’attacco ci ha condotto in un palazzo del quartiere di Saint Antoine, luogo di ritrovo dei suoi compagni per la pianificazione dei loro assalti. Abbiamo indagato sul catasto, ma abbiamo scoperto che il nome sull’atto di proprietà appartiene a un uomo defunto da due anni. Il notaio che ha firmato l’atto si trova all’estero, in questo momento, a Londra. Lettere sono state mandate, solleciti per il suo ritorno, dall’attuale Comandante della Guarda di Parigi, l’uomo di cui avevi avuto notizie quando mi informai presso di te. Condivido l’opinione dei miei soldati che si tratti di un uomo dal giudizio approssimativo. Bisognerà fare a modo nostro.

Dunque: rassicurati. Non sono – ancora – sulle tracce di Liancourt, e le tue parole accorte fanno eco al buon senso di André, che non mi lascerebbe fare pazzie. E c’è sempre lui con me, che mi protegge – fin troppo. Saremo fuori alcuni giorni. Lascia pure le tue lettere a casa, avremo cura di farcele portare giornalmente. Sono molto in pensiero per te e sento la tua mancanza. Se ce ne fosse bisogno… lo sai.

 

Oscar

 

 

P.S.: Alain ha incontrato André. Tutto bene. Non c’è alcun bisogno che tu “gli chieda di seguirci”: lui non è un segugio, e noi non siamo prede da braccare. Accidenti, Josephine.

 

 

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Capitolo 37
*** Josephine - Paris ***


37. Josephine

 

Parigi, 14 luglio 1787

 

Mia cara Oscar,

 

ma che bel ringraziamento. Mi preoccupo per te e trovo il sistema per cercare di proteggerti e mi rinfacci di non essere una preda. Certo che sei un bel tipino insopportabile! A volte non so nemmeno perché mi preoccupo per te. No, sto mentendo, lo so. È affetto. E so anche che vale lo stesso per te, sebbene non sempre tu abbia la buona creanza di farlo sapere. Preferisci esprimerlo con la tua protettività e un agguato verso il Duca.

 

Devo dire che riconosco molto del tuo modo di fare nei gesti di Alain verso la sorella. Il prendersi carico nei piccoli gesti quotidiani, ma anche nei confronti di quello che potrà avvenire in futuro. Non sai quanto prenda male i miei accenni al fatto che la vedrei bene maritata con il timido François. Sono entrambi poco inclini alla confidenza, ma capaci di affezionarsi con sincerità, e dietro quei sorrisi fatti con lo sguardo rivolto in basso, dietro la pacata dolcezza vedo la determinazione a costruirsi un avvenire felice. Diane è una fanciulla graziosa, e non le mancheranno certo le avances di personaggi attenti solo al suo aspetto avvenente. Un fratello non ti può proteggere a vita. Un matrimonio con un uomo rispettabile, per quanto privo di mezzi, penso possa mettere una donna al riparo. Non sempre, non per tutte. Ma nelle giuste condizioni penso che questo possa valere.

 

Non devo certo dire a te che questi miei propositi non fanno piacere al fratello maggiore. Con me si contiene, e si limita a dire che non è il caso che mi dia tanto disturbo, che non è necessario questo interessamento, ma è palese il suo disappunto per la mia ingerenza. Cosa che vi accomuna, a quanto pare.

 

Quello che non avete in comune è invece la sfacciataggine. Tanto tu sei ritrosa nel modo di rapportarti alle persone, tanto ti chiudi a riccio quando qualcuno prova ad avvicinarsi troppo, altrettanto lui si ammanta di sfacciataggine quanto più vorrebbe avvicinarsi a qualcuno. Te lo racconto perché tutto ciò ha portato ad un episodio alquanto curioso (sebbene dubito che tu lo definirai così, quando e se lo racconterai a tuo marito). È molto significativo riguardo a quale strada abbiano preso le nostre frequentazioni, ma è un momento di quelli che tu non racconteresti mai, per cui se non ti va di leggere puoi saltare direttamente ai saluti.

 

Ieri sera, dopo un lungo scambio riguardante il matrimonio di Diane, il discorso è gradualmente scivolato su ciò che ognuno di noi si sarebbe atteso dalla vita, su cosa si sia davvero avverato, su quali aspettative ancora si nutrano. Stranamente, non si è parlato della Francia, delle aspirazioni del paese, ma tutto è rimasto molto circoscritto alle nostre persone. Una serie di confidenze molto private, quali non avrei creduto di scambiare con lui. La cosa deve avergli infuso un certo qual coraggio poiché, con la solita sbruffonaggine, mi ha chiesto un bacio. Tu lo avresti certamente preso a ceffoni. Io invece ho acconsentito. In fondo non me lo ha estorto, rubato. Me lo ha chiesto, in una maniera anche un poco goffa. Era quasi divertente. E mi sono divertita io nel dargli una risposta che lo spiazzasse.

- Certamente – Gli ho detto. - Altrimenti potreste andare in giro a vantarvi che Madame De Liancourt vi ha rifiutato un bacio1.

 

So che mi giudicherai frivola, ma è stato un innocuo gioco divertente. E non mi divertivo da un po', se devo essere sincera sino in fondo.

 

La tua irriverente Josephine.

 


1 Questa non è mia. L'ho letta in “Point de Lendemain”, di Vivant Denon, un racconto delizioso del 1777, in cui il narratore, tutto sommato ignaro delle “regole” dell'amore libertino dell'epoca, riceve esattamente questa risposta, che mi pare un geniale condensato del Settecento Francese.

 

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Capitolo 38
*** Oscar - ??? ***


38. Oscar


15 luglio 1787


Credo che più che essere una caratteristica che ci accomuna (e pure noiosa, se ben interpreto i tuoi toni), l’ammonimento a non fare per Diane più di quanto il buon gusto suggerirebbe sia un giusto appello a limitare la tua tirannide. Potrai esercitarla sui tuoi figli, ma Diane non ti appartiene. Lavora per te, ma non ti appartiene. Il fatto che tu ti diverta ad accasarla non va più a tuo onore e merito. Chi si trova in una posizione di potere (come te, che sei di rango molto più elevato di lei) deve sempre ricordare che l’accondiscendenza di chi dipende da lui non risiede spesso nella sincera adesione alle sue decisioni, ma alla necessità dei servitori. Nonna Marie non poté opporsi, quando nostro padre volle fare di me un maschio; André non poté opporsi, quando gli fu detto di starmi accanto per anni e anni senza provare alcun sentimento che travalicasse le differenze sociali. Diane è ignara dei tuoi giochi su di lei, Alain ne è ben consapevole, invece. E se fossi in te, non lo tratterei da “bel fusto” (mi pare furono queste le tue parole) cui insegnare come si sta al mondo, perché il suo mondo non è il tuo; e perché lui è tutore della ragazza e suo parente stretto, non tu. E sa meglio di te cosa sia meglio per lei.

Oh, anche a lui piace giocare, lo so bene. Quando mi attaccò a un palo stava giocando; non stava giocando quando ci salvò poche settimane fa, e non giocherà nemmeno se la situazione in cui vorresti mettere sua sorella si rivelasse pericolosa. Le persone hanno sentimenti, Josephine. Non sono trastulli con cui civettare e inscenare quadretti leziosi. Vorrei che tu lo capissi, e che ti decidessi a cercare di più che un sollievo temporaneo ai tuoi dolori. Che li prendessi sul serio, una buona volta, e mettessi da parte i tuoi frizzi e lazzi per affrontare la realtà.

Io credo che tu ti sia data per vinta. Per questo oscilli tra consolazioni di questo tipo. Mi rendo conto che sia trascorso troppo tempo dal primo campanello di allarme, tempo in cui molte soluzioni di comodo hanno insabbiato la gravità della situazione. Liancourt è stato sufficientemente lontano, dedito ai propri piaceri, come una minaccia ammorbata dai propri stessi vizi, non proprio invisibile, ma fino ad oggi innocuo.

Innocuo. Mi chiedo come si possa definire innocuo uno così. E come abbiamo potuto tutti noi, ciechi, accontentarci del compromesso. Potresti ben dire: cosa vuoi adesso? I miei figli sono ormai cresciuti, e ti accorgi solo adesso di quanto male abbia patito?

Sì, solo adesso posso farlo. Adesso ho capito fino in fondo cosa significhi appartenere a qualcuno per legge, come donna. Se questo qualcuno non fosse André, preferirei mor

Smetti di giocare e combatti per la tua felicità, dannazione.



Oscar

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Capitolo 39
*** Alain - Paris ***


39. Alain

 

 

 

André,

ho fatto un casino.

Preferirei parlartene direttamente – sai bene quanto io possa detestare le smancerie su carta – ma mi rendo conto di non poter aspettare il tuo ritorno e mi auguro che tu possa essermi d’aiuto in qualche modo, anche se temo che, leggendo dell’accaduto, tu finisca per rifilarmi una delle tue paternali da uomo saggio, avveduto e, soprattutto, noiosamente ragionevole. Quelle di quando le cose ti giravano sempre per il verso sbagliato e non vedevi possibilità che prendessero la giusta piega; di quando eri capace di tenere lo sguardo incollato al pavimento per settimane, forse perché sollevandolo, ti avrebbe fatto troppo male guardarti attorno… Sempre ammesso che tu non decida di fare i bagagli, per correre a metterci una pezza prima che sia troppo tardi!

Insomma, per andare al punto… l’ho baciata.

LEI.

Proprio quella a cui stai pensando.

Ma questo, paradossalmente, non è la cosa più grave; il problema è che non è neanche andata come avrei fatto di solito, prendendo ciò che volevo, forte di me e del mio poterlo fare, sempre e in qualunque situazione.

No! Neanche per sogno! Io le ho chiesto un bacio!

Per un istante, al suo acconsentire, ho creduto si trattasse di un gioco da salotto; mi sono chiesto se tra i nobili non si facesse così, tra un pasticcino e un liquore; eppure, amico mio, non era un gioco. Forse è iniziato come tale… ma è diventato ben altro. Credimi.

Ho ancora il segno delle sue unghie conficcate sulla nuca e …

Se non mi fossi accorto dei passi di mia sorella, pronta per lasciare il servizio, non so cosa sarebbe potuto accadere. La forza di un fulmine ci ha divisi, in quel momento, ma quella di un fuoco ci aveva divorati già prima.

Questo è il punto: tornerò in quella dimora, perché lo faccio regolarmente per il bene di mia sorella; ma non posso permettermi di procurarle un simile danno, quando finalmente la vedo radiosa come nemmeno speravo di poterla mai vedere, per questo impiego che adora e che la rende tanto felice.

Me lo dico da solo: sono un idiota.

Ma tu sbrigati a tornare da lì. Cosa mai potrebbe trattenerti così misteriosamente lontano da Parigi?

 

Alain

 

 

 

 

__________

Angolo delle autrici.

 

E ri-diamo il benvenuto a mgrandier per averci regalato una nuova perla di Alain in questo nostro “gioco delle parti”! Grazie di cuore a lei e a tutt* voi che leggete le peripezie delle nostre tribolate sorelle!

 

Pamina71 (per Josephine) & VeronicaFranco (per Oscar)

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Capitolo 40
*** André - ??? ***


40. André

 

 

 

Alain, amico mio.

Non ho di certo dovuto rileggere la tua lettera, per comprendere a quale LEI tu ti riferissi. Vorrei dirti che le tue parole mi sorprendono, ma mentirei: ho visto i tuoi occhi la prima volta che si sono posati su di lei, ed ho avuto la certezza assoluta che questo casino tu l’avresti combinato.

Ci sono due anime che si agitano in me per risponderti in questo momento, e temo che dovrò dar voce ad entrambe, per quanto forte esse gridano.

La prima appartiene all’uomo saggio che tu ricordi così bene, quello che non alzava lo sguardo per timore di vedere ciò che gli era ogni giorno più difficile da tollerare. Questa voce ti direbbe pacatamente di allontanarti da lei in ogni modo, ché troppo vi divide e troppo vi è in gioco: vi separano status e leggi, un matrimonio, il suo, che già troppo le causa sofferenze. Vi separano il bene di Diane che presso la sua casa ha trovato un impiego sicuro e, forse, un futuro di serenità ed affetto. Vi separa la ragione, la prudenza, il buon senso che, ne sono certo, tu possiedi malgrado il fuoco che spesso ti divora cuore e pensieri.

L’altra voce appartiene all’uomo che sono ora, che ha smarrito ogni saggezza e ogni pazienza nell’Empireo del suo amore. Il profumo dei suoi capelli lo ammalia, le stelle dei suoi occhi lo accecano ancora più di com’era prima. Quest’uomo folle d’amore non può fare altro che urlarti di ignorare ogni legge, se il tuo cuore ha già dettato la propria; e spronarti a correre da lei, ora, subito, incurante di tutto.

Credimi, amico, non posso che essere onesto con te, e non lo sarei se non ti dicessi che oggi più che mai sono certo che l’amore abbia la forza per vincere su tutto, sempre e comunque. Amore, già. Altrimenti perché chiederesti il mio aiuto? Tu vuoi vederla ancora, toccarla, parlarle. Sapresti vietartelo?

Vedi? Non ti sono di aiuto, temo…

Rispondere alla tua ultima domanda mi è altrettanto difficile: cosa mai potrebbe trattenermi misteriosamente lontano da Parigi? Non credo tu possa immaginarlo, amico mio… perché, a tratti, anche io faccio fatica a credere che sia vero.

È talmente meraviglioso e spaventoso al tempo stesso che non so davvero come fare a dirtelo, non so nemmeno se dovrei perché non ne abbiamo la certezza assoluta, anzi no, io ne sono certo, ma Oscar è così confusa e spaventata… Ne è felice anche lei, ma… ed io non voglio contrariarla o preoccuparla ulteriormente, e allora… non trovo le parole, Alain, perdonami. È che faccio fatica a convincermi che non è soltanto un sogno.

A volte mi sveglio nel cuore della notte, il respiro affannoso per la gioia e lo stupore, e mi domando se è proprio vero, se davvero è successo, e quando… ma mai, ti assicuro, mi sarei immaginato che la vita mi concedesse una gioia così intensa. Devo cercarla nel buio, e sentire il tepore della sua pelle ed il respiro lieve del suo sonno. E posare la mano sul suo grembo, per convincermi che...

Sì, Alain, hai capito benissimo.

Oscar attende un figlio.

 

 

Andrè.

 

____________

Angolo delle Autrici.

E poteva il nostro Grandier non rispondere all’accorato appello dell’amico? Diamo con gioia il bentornata alla squisita Monica68 nei panni (anzi, nella penna!) del sempre più felice André! Grazie a lei e, ancora una volta, a tutt* voi che seguite questo epistolario giocoso. Un abbraccio!

Pamina71 & VeronicaFranco

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Capitolo 41
*** Josephine - Paris ***


41. Josephine

 

Parigi, 18 luglio 1787

 

Ma davvero devo venire a sapere le cose in questa maniera?

Ma non ti vergogni?

Ho impiegato settimane, mesi di fatica per convincerti a seguire i tuoi sentimenti. Con piacere, devo ammetterlo, perché come dici tu ho lo spirito della sensale e perché mi pareva la cosa giusta da fare. Ho sinceramente gioito delle tue nozze, e della tua felicità.

E mi chiedevo, pur senza assillarti con la domanda diretta come avrebbe fatto una delle sorelle di nostro padre, se e quando avresti avuto la benedizione di un figlio.

Ma mi sarei aspettata che me lo comunicassi tu direttamente, se non a voce almeno con una lettera.

E invece devo venirlo a sapere da uno dei tuoi ex soldati! Mi fa una di quelle rabbie1! Mi fa sentire messa da parte, dopo tutto l'interessamento che avevo messo nei tuoi confronti!

Ora, capisco bene che tu possa essere spaventata da questa novità, per la quale nessuno ti ha mai preparata. Ti hanno istruita a morire in guerra, non certo a crescere un bambino. Eppure, non avrei mai detto che avrei trovato qualcosa in grado di terrorizzarti sul serio. E, invece, eccolo, quel qualcosa. Una gravidanza. Il grande soldato messo nel sacco da un bambino. Anzi, dall'ipotesi di un bambino.

Sempre che la tua fuga non nasconda qualcosa di peggio, e che tu ti trovassi fuori Parigi per altri motivi ed abbia dovuto fermarti per timore che la gravidanza si interrompa. Eppure, mi pare troppo presto perché un dottore ti metta a riposo. Sempre che tu non abbia fatto da sola e non ti sia fermata per aver veduto del sangue, o aver avuto dolori.

Come vedi, mi preoccupo anche se tu ti sei comportata malissimo nei miei confronti.

Né si sarebbe comportato meglio Alain, se non lo avessi colto in flagrante con una domanda diretta, alla quale ha cercato di evitare una risposta, sebbene poi abbia capitolato di fronte alle mie insistenze.

Bella combriccola di pessimi cospiratori siete!

 

Io invece cospiro, anzi tramo, alla luce del sole e ve lo dico tranquillamente. Diane e François si trovano benissimo insieme, lui è venuto per accompagnarla a casa in uno dei giorni in cui Alain era fuori. E ho avuto agio di osservare come si comportano quando sono insieme. Non ho dubbi: si piacciono. Quindi continuerò con i miei tentativi da sensale.

Non provare a darmi contro, non dopo quello che hai osato farmi.

 

Rispondimi in fretta e vedi di farmi passare l'irritazione che ho nei tuoi confronti. La tua giustificazione dovrà essere più che buona, come diceva il tuo precettore.

Ricordatelo.

 

Josephine

 

1 So che è un'espressione non proprio corretta, ma viene da un vecchio film e mi pare renda bene l'idea di Josephine e della sua ira.

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Capitolo 42
*** Oscar - Saint Cloud ***


42. Oscar



 

Saint-Cloud, 19 luglio 1787


No, non avresti saputo le cose in questa maniera, se solo qualcuno non si fosse confidato, e qualcun altro non avesse tradito il segreto, e qualcun’altra non avesse chiesto con insistenza (e posso immaginare quanta)! Se solo tu avessi saputo aspettare (ma la pazienza non è una tua dote), avresti saputo tutto nel modo migliore. E per prima, superando nell’ordine perfino nostra Madre, nostro Padre e Nonna Marie. Ma a che pro aspettare, vero? L’hai saputo per prima in ogni caso, estorcendo l’informazione.

Erano mesi che non mi arrabbiavo con André. Per colpa di questa situazione abbiamo avuto una discussione, poco fa. E così sono venuta a sapere anch’io più di quanto tu abbia voluto farmi intendere. O meglio, ho avuto conferma di una sensazione nata alla lettura della tua penultima lettera, e posso immaginare di aver avuto ragione. Ti ho già rimproverata, ma forse rimproverare una volta non basta.

Come hai potuto minimizzare ciò che è accaduto fra te e Alain? Con me, soprattutto? Perché diamine devi recitare la parte della nobildonna annoiata, quando potresti ben ammettere che c’è fra voi qualcosa, forse molto, molto giovane ancora, che è scoccato come una freccia e ti ha trafitta? Prima credevo che in fondo, sì, volessi usare Alain per dimenticare. Ma questa volta non si tratta di Hulin, né di Roucher. Ti sei imbattuta in un uomo assai diverso, assai più vero. E certamente imprevedibile, non è così? Non è tale da poter essere imbrigliato nelle tue trame, né da rassegnarsi a pendere dalle tue labbra. È giovane, pertanto potresti avere su di lui un ascendente di un certo tipo, che ti farà sentire sicura e libera; ma per quanto giovane, è già un uomo, e non si farà mai comandare. Sarà alla pari con te, perché non teme il rango né le imposizioni. Credo che tu ormai sappia bene quanto sia libero il suo spirito.

Più ci penso e più mi rendo conto che fosse inevitabile. Di più: auspicabile. Ma certo, mi dico, tu e lui insieme. Un uomo così per te! E per questo mi arrabbio di più: come hai potuto trattarlo da cicisbeo, e descrivermi dei vostri incontri come di semplici passatempi… divertimenti? Non sono io che devo vergognarmi, ma tu!, per questo tuo atteggiamento sempre caotico e irriverente, irrispettoso anche di te stessa.

Già, hai ragione, non sono brava a chiedere scusa, e in fondo non credo di doverlo fare. Siamo a Saint-Cloud, ai margini del boschetto. Abbiamo preso in affitto una piccola casa in questo borgo. Ho chiesto ad André di vivere per un poco in ritiro da tutto, quando all’ennesima nausea e all’ennesimo capogiro il Dottore ha valutato l’ipotesi che io possa…

Il malessere durante la tua festa, a San Giovanni, è stato l’inizio, dunque.

Non temere, non ho avuto perdite, non ho altri fastidi che leggere nausee al mattino. Dormo moltissimo, anche se in modo discontinuo. Per le indagini sui ribelli sono in contatto con Alain, ma la mia assenza sta causando un certo rilassamento, a quanto pare, nelle ricerche. Il Comandante della Compagnia B non ha davvero nerbo! Non posso lasciare nostro Padre invendicato, se ripenso a ciò che stava rischiando insieme ad André…

E invece sono qui a cercare di riprendere la calma. Hai detto bene. Sono sempre stata pronta a morire, non a far nascere un bambino. E il fatto che abbiamo allevato Rosalie non conta. Era già grande, una ragazza. E non era figlia mia. Non era figlia di André.

Come ho potuto lamentarmi con lui per il fatto che si sia confidato con Alain, santo cielo? È stato il motivo del nostro litigio di poco fa, al seguito del quale ho afferrato la penna per incolparti anche di questo. Ma la colpa è solo mia, sono io che sto limitando la sua felicità. È impazzito, Josephine. Non l’ho mai visto così felice. E capisco che stia morendo dal desiderio di gioirne con i suoi cari. Se non gli avessi chiesto discrezione, l’avrebbe già saputo quantomeno Nonna Marie.

Ma l’imprevisto va considerato. Cosa accadrebbe, se non fosse vero? Quanta delusione proverebbe André, provereste tutti? E cosa accadrà quando la creatura nascerà?

Non sono ingenua, sapevo che sarebbe potuto succedere da quando ho condiviso il letto con André per la prima volta. E mi dicevo che non avevo paura di nulla, perché lui era con me. Ora non faccio che chiedermi cosa farò, come potrò confortare mio marito se qualcosa, qualunque cosa dovesse andare storta.

Ti rimprovero di non avere il coraggio di vivere il tuo nuovo amore. Ma anch’io sento di non avere abbastanza coraggio per vivere questa felicità fino in fondo.

Ho bisogno di stare da sola con André. Mi sembra di essere piena di spine, non faccio che dargli dispiaceri e preoccupazioni. Ma devo riuscire a farglielo capire, a fargli capire quanto amore ho per lui nonostante il mio cuore così imperfetto. Devo poter credere che tutto questo andrà bene, e che saremo felici… tutti e tre.

Dio mio, lo sento. È entrato nella stanza, è alle mie spalle mentre scrivo. Sta aspettando che finisca la mia lettera per te. Devo lasciarti, Josephine.


Osc_____





_____________
Angolo delle Autrici.

Carissime e carissimi, questa è l’ultima lettera del 2017! Ci ritroveremo con l’anno nuovo: le Sorelle Jarjayes tornano su questi schermi ogni venerdì dal 12 gennaio in poi!
Tantissimi auguri a voi di Buone Feste!

Le Sorelle Laclos, alias VeronicaFranco&Pamina71

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Capitolo 43
*** Josephine - Paris ***


43. Josephine

 

Parigi, 23 luglio 1787

 

Mia cara Oscar,

 

ho atteso qualche giorno per scriverti, perché ho voluto pensare un pochino a quanto mi hai detto.

Mi hai fatto una predica, e Dio sa quante ne abbia ricevute da te negli ultimi anni. Ma questa volta hai colto nel segno. Non tanto riguardo a quanto mi accusi di fare, anche se lo so di mostrarmi talvolta più frivola di quanto non sia in realtà, ma riguardo a quanto provo. Hai ragione. Stavolta mi pare stia nascendo in me qualcosa di nuovo. È ancora ad uno stato embrionale, larvale, quasi, ma mi pare sia molto più forte di quanto io abbia provato fino ad ora e molto più reale.

Non è un caso che questo sentimento sia nato con una persona al di fuori della mia cerchia abituale, della quale ero davvero stufa. Ho bisogno di aria nuova, di gente nuova. E non basta andare in villeggiatura, perché comunque anche lì non frequenterei altro che aristocratici, amici di amici, conoscenti di conoscenti, amici di conoscenti, e ritornerei nello stesso girone infernale della vanità. Meglio restare qui e sentire cosa hanno da dire questi tuoi soldati. Alain, certo, ma anche François, e sua sorella che, a differenza delle cameriere a servizio da più tempo, non dice solamente quello che immagina potrebbe piacermi, ma anche quello che ritiene giusto.

 

Tu mi accusi di essere irriverente. Ma sai che è solo un modo di pormi di fronte al mondo, talmente radicato che lo uso persino con te. D'altra parte, cosa dovrei fare? Inalberare sul volto quel sorriso triste che si vede sulla bocca di parecchie mogli? Hai presente quale intendo? Quel sorriso sostanzialmente triste che si trova sulle labbra della Joconde di Leonardo1. Ecco, tutto vorrei tranne che avere quell'espressione. Preferisco parere leggera, svagata, che ammettere al mondo di non essere felice.

 

Bene, l'ho detto. Ora lo sai, sei pregata di non farmi più il sermoncino su questa cosa. Quanto alla presunta relazione con Alain, non so che dirti, al momento. Non posso prevedere quali strade percorrerà, se sarà una relazione seria e fortunata od una delle mie relazioni pericolose. E forse nemmeno voglio saperlo. Preferisco viverla, e definirla solo in un secondo tempo.

 

Di sicuro non sarà angosciante come la relazione col mio terribile marito.

La scorsa sera mi ha causato uno spavento dei più terribili.

Si è palesato in casa senza preavviso alcuno, bussando con violenza a tarda ora. Io ero sola, già ritirata nelle mie stanze. Non so se credesse di sorprendermi con qualcuno o se intendesse solamente spaventarmi (e, detto tra noi, ci è riuscito parecchio bene).

È arrivato, ha sbraitato che quel palazzo era pur sempre cosa sua, ed è ripartito. Io ne ho ricavato un incredibile spavento, ed una notte insonne.

Capisci bene come io preferisca tentare di essere lieta, od almeno di simulare allegria.

 

Ti abbraccio e ti lascio alla tua felicità vera. Verrò a farti visita a breve.

 

Ti abbraccio forte.

 

Josephine di Liancourt.

 

 

1 All'epoca si trovava a Versailles, nel premier salon de la petite galerie.

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Capitolo 44
*** Oscar - Saint Cloud ***


44. Oscar

 


Saint Cloud, 25 agosto 1787


Sei venuta, abbiamo parlato, ma ci sono cose che avrei voluto discutere meglio con te. Il tuo trasferimento, per esempio, in un’altra casa. So bene che lì è tutto il tuo mondo, in quel palazzo dove hai soggiornato per anni, cresciuto i tuoi figli finché non è venuto per loro il momento dello studio, del collegio, dell’Accademia, organizzato le feste che ti allietano tanto l’animo.

Ma non è l’unico palazzo di Parigi. Non posso agire per aiutarti, per il momento, se non chiedere un colloquio con Liancourt, scrivere a nostro padre perché mi affianchi. Forse lo farebbe. Ma non è questo il punto, come sappiamo. Abbiamo già provato a parlare con lui, a usare le maniere forti, a spaventarlo. Il risultato è che egli ha covato per anni il rancore che ora ti riversa addosso. Qualcosa è cambiato, se una sua amante può venire così spudoratamente al tuo cospetto, se lui stesso può permettersi di inveire contro di te.

Hai mai pensato che qualcuno dei tuoi servitori gli fosse fedele più che a te? In questo senso spero bene che le tue relazioni pericolose siano state accorte e attente. Specie adesso, che un uomo mio amico è riuscito a farti brillare gli occhi. L’ho notato: il solo accennare al suo nome ti accende. Minimizzi sempre, sulla carta! Ma di persona… non ti ho mai vista in questo modo. Inquieta, anche nella gioia: mi guardavi con disappunto perché il mio stato non è ancora così evidente, pregustavi il pranzo in famiglia con il quale riveleremo tutto ai nostri cari, e un poco hai alleggerito anche me dal timore di ciò che accadrà; ma c’era sempre lui, nei tuoi pensieri. E l’altro. Eri diversa, irraggiungibile. In bilico, come sull’orlo di un burrone, incerta se cadrai o se volerai.

Ebbene, credo che sia il momento di volare. Lascia quella casa e trasferisciti in una che sia intestata a nostro padre, o a una delle nostre sorelle. E non dirmi, come hai fatto ieri cambiando subito argomento, che non sei vigliacca, che non ti rassegnerai a lasciare ciò che hai di caro, il quadro di Mme Vigée-Le Brun alla parete della sala da pranzo, o la statuetta di Afrodite ed Eros sul mobile del salottino, gli angoli del tuo letto, il modo in cui sono orientate le finestre e il giardino. Sono cose che puoi portare con te o ritrovare altrove. “Non posso vivere come un’ospite, voglio una casa mia” hai detto, e lo capisco; ma finché quella casa sarà anche sua, non ci sarà speranza che ti lasci stare. Rinnova la servitù, porta con te Diane e chi reputi leale; ricomincia. Magari in campagna, vicino a Palazzo Jarjayes.

Sai bene che non amo le soluzioni di compromesso. Detesto Liancourt e voglio che ti lasci in pace. Ma ho un buon consigliere, che mi esorta a trovare un nuovo modo di affrontare la questione, e ha gioco facile, dal momento che adesso ho una responsabilità diversa, molto più gravosa.

Già, non mi sento ancora serena. Stare qui, lontano da ciò che affligge tutti voi, senza assistere alla guarigione di nostro padre o sostenerti nella tua liberazione, senza dire a nessuno, nemmeno a nostra Madre e a Nonna Marie, quello che accadrà tra pochi mesi, è un pungolo che mi impedisce di rilassarmi. Fa bene a me e ad André stare soli, passeggiare, prenderci cura l’uno dell’altra. Ma devo trovare il coraggio di uscire allo scoperto. D’altronde, se avessimo davvero voluto vivere isolati, non saremmo tornati qui, e avremmo proseguito il viaggio che sognavamo.

Chissà se lo riprenderemo mai, quel viaggio.

Dunque, sta bene. Parla con nostra Madre e organizza questo pranzo. Vorrei che fosse informale, solo le nostre sorelle, senza i loro mariti e i figli, e nostro Padre, e la Nonna, che per l’occasione vorrò che sieda a tavola con noi.

Dopo… l’annuncio, diremo che c’è necessità che tu viva altrove. Nessuno di loro ti volterà mai le spalle. Lo sai.

Abbi cura di te e stai attenta. Rispondimi il prima possibile.



Oscar

 

 

 

 

 

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Capitolo 45
*** Josephine - Paris ***


45. Josephine

 

Parigi, 3 settembre 1787

 

Mia cara Oscar,

 

Vorrei chiarire che non sono arrabbiata con te, anche se la mia ultima risposta dell'altro giorno farebbe pensare così.

O, meglio, un poco arrabbiata lo sono. Mi innervosisce che talvolta tu abbia una tale sollecitudine da fratello maggiore, lasciatelo dire. E non credere che non sappia che lo fai per sincero affetto. Non dimenticherò mai il tuo intervento contro il Duca mio marito di alcuni anni fa. Tuttavia a tratti mi pare quasi esagerato.

Come succede ultimamente. Credi non abbia notato che le ronde della Guardia passano dinanzi a casa mia con una certa qual maggiore frequenza? E non ho potuto che darmi una ed una sola spiegazione. Che un certo ex comandante abbia utilizzato parte dell'ascendente che ancora ha su alcuni soldati semplici per chiedere di allungare talvolta il loro giro.

Non ho chiesto conferma, ma non penso di sbagliare.

E poi, andare da nostro padre durante il pranzo per dirgli che sei preoccupata per me! Sei riuscita ad allarmare lui, che ostenta un militaresco sangue freddo in ogni occasione, quindi immagino che tu abbia dipinto la situazione a tinte fosche. Quindi adesso immagino di avere alla spalle anche qualche suo scagnozzo. O forse no, sarebbe più nel suo stile appiopparlo al Duca, cosa che invece non mi dispiacerebbe affatto.

 

Pover'uomo, nostro padre, ricevere due notizie di tale portata lo stesso giorno, e mentre ancora è convalescente. Perché la notizia della tua gravidanza lo ha scosso un tantino, credo che tu te ne sia accorta. Credo che a livello razionale avesse messo in conto la nascita di un possibile nipotino (non offenderti, non voglio essere volgare) di sangue non aristocratico. Ma credo anche che in cuor suo pensasse (scusa) che sei troppo vecchia, e che forse avrebbe potuto scampare la questione. Invece, lo hai sorpreso con la notizia. Tu eri molto presa dagli assalti affettuosi della nonna di André e di nostra madre, ma io l’ho potuto osservare. Un poco rigido, non appena ha ricevuto la novella. Poi si è ammorbidito, ha sorriso. E poi ha avuto quel sorrisetto di quando gli balena in capo una delle sue balzane idee. State all'erta. A mio parere, potrebbe arrivare da voi con la proposta che, nel caso fosse un maschio, potrebbe diventare l'erede del casato, e tutto il corollario delle sue solite manfrine. Mettetelo in conto ed abbiate già una risposta pronta. Con lui, meglio essere preparati.

La nonna di André mi ha sorpreso: non è svenuta, anzi, pareva aver perso una decina di anni. Ma lei, come nostra madre, mi ha dato l'impressione di aspettarselo. Forse hanno subodorato qualcosa con la vostra sparizione, forse hanno semplicemente fatto calcoli calendario alla mano. In fondo, sono entrambe parecchio esperte dell'argomento.

Sono contenta, ma in fondo non ne sono per nulla stupita, che nostra madre non abbia storto il naso riguardo alla genealogia del piccolo. Le ho parlato in serata, sa che lo crescerete bene, e si è lasciata scappare che un'educazione borghese potrebbe essere meglio di altre. Lascio a te cogliere i sottintesi di questa frase. Però è un pochino preoccupata per la tua salute.

Come la nonna, sa benissimo che sei (e su questo perdonami, ma non ti farò dimenticare questa espressione finché vivrai) una primipara attempata (quanto vorrei vedere la tua faccia ora!) ed i rischi che questo comporta (questi invece preoccupano anche me).

Sappi quindi che diverrai presto una sorvegliata speciale delle due terribili donne. Preparati. Possono essere peggio del Generale, te lo garantisco.

Non mi ha invece stupito la relativa calma e freddezza delle nostre sorelle, a parte Hortense, naturalmente.

Ma, tutto sommato, meglio così. Almeno non hanno urlato allo scandalo. Sappiamo bene che spettegoleranno tra loro, ma all'esterno proteggeranno il buon nome della famiglia, almeno così credono. Spero tu non sia stata ferita dal loro tiepido agire. Ma non credo, sei forte e sai reagire.

 

Ti lascio, ma tra due giorni sarò lì con nostra madre e la nonna di André. E mi divertirò alle tue spalle. Voglio proprio vedere se l'algido comandante riuscirà a resistere alle due levatrici. Io scommetto di no.

Un abbraccio.

 

Josephine di Liancourt.

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Capitolo 46
*** Oscar - Saint Cloud ***


46. Oscar
 
Saint Cloud, 4 settembre 1787
 

 
Se cercavi un modo per convincermi a lasciare quest’eremo, l’hai trovato. Se domani verrete a cercarmi,  tu e le nostre terribili donne, non mi troverete.

Torniamo a palazzo. È stata una lunga discussione, quella mia e di André. Io sostenevo che non potevo approfittare dell’offerta dei nostri genitori così a cuor leggero, dopo aver spregiato la nostra casa e deciso di viaggiare lontano. Lui replicava che, per quanto egoistico il pensiero potesse essere, palazzo Jarjayes è l’unico luogo in cui io possa stare davvero al sicuro (non Parigi, sentito?), accudita da più persone, una più qualificata dell’altra a prendersi cura delle necessità di una… primipara attempata, e immersa nella serenità della casa in cui siamo cresciuti. Ebbene, nessuno ha per me il potere persuasivo di André; e dunque, concluso il nostro ritiro, stiamo preparandoci per tornare a casa.

Non che non mi aspetti di trovarvi già pronte, riunite in comitato. Vi sto semplicemente facilitando le cose, visto?
Mi auguro dunque che tu trascorra molto tempo con noi, e in futuro con tuo nipote. Al sicuro anche tu.

A proposito. Cosa accadrebbe se anche io mostrassi la stessa tendenza di nostra madre a scombinare i piani ereditieri di nostro padre? Parlate di un maschio, eppure c’è anche la possibilità che nasca femmina.

Non so come mi sento a riguardo. L’idea di generare è di per sé ancora straniante; se non sentissi che qualcosa è cambiato, in me, e non vedessi sul mio corpo minimi segnali dell’accaduto, continuerei a pensare che si tratti di un sogno. Mi farà bene essere trascinata dai vostri entusiasmi, e non pensare. Fingere, come voi, che io sia adatta a ciò che mi aspetta. Farà bene ad André poter esternare la sua gioia, e ricevere l’onore che spetta al genero del Conte Jarjayes. Con buona pace delle nostre sorelle.

A proposito. Sai chi ha proposto di allungare il percorso delle ronde della Guardia cittadina in modo da passare più spesso dalle tue parti?
Non dirmi che non lo sospetti. Ammetto di aver avuto la mia parte nel raccogliere la proposta; ma tutto è partito da Alain.

No, non prendertela con me. Non gli ho detto nulla di ciò che tu hai confidato a me. Ma puoi ben immaginare che Diane abbia udito dalla servitù della sortita di tuo marito in casa, delle urla, delle minacce. Così Alain ha parlato con me, e poi ai suoi compagni. Certo, deve suonare convincente fare qualcosa per te in nome mio, piuttosto che in nome suo. Sono certa che egli tenga del tutto segreta la vostra situazione anche con loro. Scelta prudente e saggia.

Nostro padre, poi, ha dato il suo apporto alla tua protezione, hai indovinato.

A questo proposito, nuove piste si stanno aprendo per l’indagine sui suoi attentatori; se il Cielo vorrà, avremo presto le notizie che vogliamo. Bouillé, infatti, stanco di aspettare risvolti, si è inserito personalmente nelle ricerche; non dubito che sarà implacabile, dato che avrebbe potuto benissimo trovarsi lui al posto di nostro padre.

A domani, dunque. A casa.
 


Oscar

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Capitolo 47
*** Josephine - Paris ***


47. Josephine

 

Parigi, 10 ottobre 1787

 

Oscar,

 

 

Oh, mio Dio, avevi ragione, avevi ragione, avevi ragione!

Se solo, e solo, ti avessi dato retta! Non penso ad altro, in questi giorni, in queste notti stanche per troppo lunghe sere1.

Se solo, se solo avessi lasciato Palazzo Liancourt tutto questo non sarebbe accaduto.

Invece adesso sono in enormi ambasce, ed Alain si trova a doversi nascondere. Se solo ci avessi pensato un poco prima, ma non avrei mai e poi mai immaginato che l'arrivo di mio marito avrebbe procurato simili conseguenze. Temevo per me, sinceramente credevo che mi avrebbe tolto agi ed oggetti, avevo persino messo in conto che potesse rovinare la mia reputazione, mai avrei pensato di assistere alla sua fine, ed a dover difendere qualcuno dalla colpa di avermi protetta.

Non ho avuto modo di raccontarti a voce, ma ora posso dirti che è stata un'esperienza davvero terrificante. Come fai ad essere parte di un duello? Già assistervi è spaventoso. Non so con esattezza come sia cominciato. Il Duca era in casa, era entrato come ultimamente faceva con frequenza ed aveva assunto quel tono saccente e sardonico con cui mi si rivolgeva. Ero nervosa, il suo modo di fare mi aveva resa tremolante, parevo quasi quella mammoletta di Madame Lamballe. Era evidente che mi stava sopraffacendo, e le cameriere si erano ritirate dietro suo ordine, con aria impaurita.

Le Cmeriere, ma non Diane. La sua gratitudine nei miei confronti a volte è quasi palpabile. Si è allontanata, per chiamare il cocchiere, mi ha detto in seguito. Ma da una finestra ha veduto passare la ronda. Tra i soldati c'era suo fratello, ma questo già lo sai.

I militari sono entrati, gli hanno intimato di lasciarmi stare. Lui ha risposto sprezzante, tirando in ballo i diritti di marito, di padrone di casa, di aristocratico.

Alain non ha retto quell'elenco di privilegi. Ha sfoderato la spada e hanno inziziato a fronteggiarsi. Il primo assalto è stato del Duca. Poi non sono in grado di descriverti cosa sia avvenuto. Tu parleresti di affondi, finte, difese. Io ho solo veduto due uomini lottare come mai mi era accaduto. Hanno rovesciato sedie, si sono inseguiti, hanno sfasciato un tavolino in legno di rosa utilizzandolo come rialzo. Poi sono usciti dal salotto, troppo angusto, ed hanno iniziato a affrontarsi nel corridoio. Che, come ben sai, si allarga in prossimità dello scalone. Lì hanno continuato a duellare. Il suono dei colpi risuonava nell'ambiente marmoreo in modo sinistro. Poi si sono avvicinati alla scala.

Un piede in fallo, e la tragedia si era consumata.

Un aristocratico morto ai piedi delle scale, un soldato accusato costretto a lasciare in fretta la mia dimora e Parigi. E, mai l'avrei detto, la mia famiglia che nasconde al mondo colui che viene ritenuto l'assassino di mio marito.

 

Debbo ancora realizzare che sia accaduto.

Sono ancora scossa, confusa. Se lo sono io, chissà come si sente Alain?

Questa lettera non mi è servita solo per raccontare a te, ma per chiarire a me stessa l'accaduto.

 

Verrò a Palazzo Jarjayes domani.

Un abbraccio.

Josephine 

 

 

1 Non è mia. Credits agli Ustmamò, “Malinconici”, 1993

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Capitolo 48
*** Oscar - Palazzo Jarjayes ***


48. Oscar

 

 

 

Versailles, 11 ottobre 1787

 

Mia Josephine,

non c’è alcuna gioia nell’aver avuto ragione.

E sono furiosa con me stessa, per non averti imposto la soluzione.

Non avevo alcun affetto fraterno nei confronti di Liancourt, lo sai. Troppo a lungo ti ha tormentata e maltrattata, se non resa oggetto di violenza già nei primi tempi, quando credeva di poter sottomettere l’intera nostra famiglia vantando i suoi diritti coniugali. Era un uomo privo di onore e di coscienza, e ora dovrà rendere conto dei suoi peccati a un Tribunale assai più congruo e giusto di quelli del mondo. Non ne gioisco, perché una vita è stata cancellata – persone più mistiche di me potrebbero vedere in quello scivolare, in quel cadere male, un intervento dall’Alto, giacché non è così scontato morire in situazioni simili –; non ne gioisco perché siamo ancora su questa terra, dove l’ingiustizia inquina i tribunali degli uomini, e colui che è colpevole solo di aver preso le tue difese e aver cercato di proteggerti è in procinto di ricevere una pena capitale.

Rango” è una parola disgustosa. “Privilegi” lo è ancora di più. Lo scrivo qui, ma lo griderò al mondo intero, a chiunque verrà a ribadire che era un Duca, dunque la sua morte dev’essere vendicata; che era tuo marito, dunque aveva diritto di picchiarti e spaventarti e urlare contro di te, o anche solo di farti impazzire lentamente, come solo i perfidi come lui sanno fare, pungendoti giorno dopo giorno col veleno delle frecciatine e degli insulti.

Perché la sorte è così ambigua, dannazione? Perché laddove libera, dall’altro incatena?

Non posso rimanere qui immobile ad aspettare risposte. Qualcosa dev’essere fatto, i veri diritti devono essere garantiti. Coloro che non hanno colpa devono essere scagionati. Coloro che erano prigionieri devono poter godere di aria libera.

Sai, sorella mia? Mi viene in mente quel gioco che facevamo da bambine. A te, infatti, non importava che fossi ufficialmente un maschio e mi fossero destinati giochi da maschio. Un giorno, quando mi chiedesti di giocare con te e io protestai che non volevo prestarmi a pettinare e vestire le bambole, tu mi facesti un sorriso (quello che nel tempo avresti affinato e affilato, con gli angoli delle labbra all’insù) con gli occhi brillanti come argento vivo, e rispondesti: “Chi ha parlato di bambole? Guarda che anche le bambine sanno fare giochi divertenti”.

Da allora giocammo molte volte insieme. Sempre allo stesso modo – sembrava che tu avessi una notevole predisposizione a cose come indagini, verità taciute, verità scoperte.

Mi hai insegnato come rendere evidenti dei segreti che non si potevano esprimere.
Vorrei che tu immaginassi, per trovare dolcezza e sollievo nel tuo cuore, che fossimo ancora bambine; e che ciò che vedi non sia ciò che è realmente.

 

Ti stringo forte, e ti aspetto.

 

 

Oscar

 

 

[se, a seguito delle ultime parole scritte da Oscar, Josephine coglierà il suggerimento, la si vedrà accostare il foglio a una candela, e trepidante aspettare che dal foglio emergano, per il calore così prossimo, altre parole tracciate con inchiostro invisibile, ottenuto con latte o succo di cipolla o salgemma. Una nuova lettera apparirà così in palinsesto]

Abbiamo nascosto Alain a Saint Cloud, nella capanna di un guardiacaccia prossimo alla dimora che avevamo preso in affitto. Non può restarvi per molto – d’altronde, non appena la situazione si facesse pericolosa, so che non esiterebbe a fuggire.

André è andato a trovarlo ieri, gli ha portato cibo, abiti e coperte. Non è potuto rimanere con lui a lungo per non destare sospetti. Me ne rincresce.

Hanno parlato. Non è pentito, Alain, di ciò che ha fatto. Quando André ha cercato di consolarlo, lui ha replicato con fierezza: “Almeno so che lei è libera, adesso”.

E ripenso a te, a come sembri sempre prendere le distanze dai sentimenti più profondi, e ridere e alleggerire ciò che ha ben altro peso. Cerco di immaginare come sarebbe vederti insieme a lui, a sorridere come non fai da tempo, da quando eravamo bambine.

Prego per la vostra felicità e per la sua salvezza. Prima che la sentenza sia emessa, agirò. Forse ho una soluzione, non semplice e non scontata, ma vale la pena di tentare.

 

 

 

_____________

Angolo delle Autrici (solo di VF, per stavolta!).

Salve! La questione posta da alcune lettrici negli scorsi capitoli, ovvero se non sia rischioso scrivere “troppo” nelle lettere e rischiare di mettere nei guai il povero Alain, mi ha portato a due tipi di riflessioni/risposte:

1. è un po’ sottinteso come “patto narrativo” tra autrici e lettrici il fatto che, in fondo, queste lettere non possano essere intercettate;

2. già, che succederebbe se venissero intercettate? E se si cercasse un modo perché ciò non comporti rischi per il fuggiasco? Le possibilità sono infinite! Da qui mi è venuto in mente lo spunto per questa lettera, in cui Oscar sfrutta l’inchiostro simpatico per le notizie più pericolose (una simulazione con il mio fidato programma Paint è in fondo a questa nota). L’inchiostro simpatico era conosciuto fin dal Medioevo, e si otteneva con diversi tipi di misture e succhi naturali. Una vivacissima Josephine bambina potrebbe averlo letto in un libro, o scoperto dai discorsi degli adulti, e l’immagine delle due sorelle che giocano insieme “alle spie” o “a guardie e ladri” mi è piaciuta immensamente.

Inoltre, mi ha dato la possibilità di omaggiare una caratteristica della mia partner di scrittura Pamina71: quella di regalarci storie a tema “giallo” e “thriller”, creando un vero e proprio marchio di fabbrica e rinnovando in modo originale l’universo immaginativo di Lady Oscar.

Questo perché stiamo arrivando alla fine di queste Relazioni, e un po’ presa dalla malinconia e un po’ dalla gratitudine, approfitto del fatto che oggi l’epistola tocchi a me e, per una volta, firmo l’Angolo Autrici da sola. Quindi…

GRAZIE, Pamina71! E grazie, Ospiti e Lettrici che “in ruolo” o fuori ruolo avete arricchito il nostro gioco di scrittura!

 

vostra

VeronicaFranco

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Capitolo 49
*** Josephine - Paris ***


49. Josephine

 

Parigi, 13 ottobre 1787

 

Oscar,

 

 

A volte ci sono azioni che strappano il cuore dalle costole. Come questo saluto, questo addio. E' partito.

E non mi importa che questa missiva cada in mani sbagliate. Tanto non vi saranno né nomi, né luoghi. Non vale la pena di giocare. Francamente, non ne avrei la forza. Sono affranta e scoraggiata.

 

So che tu ed André avete fatto il possibile e anche l'impossibile per aiutarci. Solo grazie a voi lui è ora sano e salvo, o perlomeno lo sarà a breve. Il viaggio non è troppo lungo, né troppo pericoloso. Spero che, una volta giunto a destinazione, non si dia troppo alle danze1. Non so come farò ad avere sue notizie, né come potranno averle sua madre e sua sorella. Ho però il dubbio che tu abbia invece ben chiara una soluzione a questo problema. Sempre che la tua soluzione non sia semplicemente l'assenza di comunicazione, cosa che mi parrebbe molto nel tuo stile.

 

L'addio è stato davvero straziante, anche se è un termine abusato, ultimamente. Ma non saprei come altro descrivere quello che ho provato. Sapere che qualcuno deve fuggire a causa mia, per aver difeso me. Me, e non sarebbe stato necessario se io meglio avessi ponderato i consigli che ho ricevuto. Qualcuno cui mi sono affezionata, qualcuno cui stavo per donare, e forse cui ho già donato il mio cuore. Qualcuno che donava refrigerio alla mia mente confusa, una mente che torna sempre sugli stessi pensieri. Una mente che a volte vorrei stappare come il fondo di una clessidra, per poter scolar via i pensieri dalle orecchie, per fermare una buona volta questa ottusa trottola dove le immagini si ripetono sempre uguali.

E qualcuno che ha una famiglia che manteneva, che ora sarà in ambasce per la sua sorte e priva di sostentamento (lo accetteranno da me? Forse se sarai tu a proporlo).

 

Quanto sono stupida! Avevo trovato una delle persone migliori tra quelle che avrei potuto infine amare, e le mie colpe lo esiliano. Non riesco a farmene una ragione. Non voglio neppure, ad essere sincera.

 

Ora ti lascio, prima che le mie lagne mi rendano invisa. Preferisco farmi un pianterello in pace.

 

Fammi sapere se avrai notizie. E grazie, grazie, mille volte grazie per ciò che hai fatto.

 

Un abbraccio (lacrimoso).

Josephine.

 

 

Nota delle autrici:

Stavolta tocca a me ringraziare VeronicaFranco per gli stimoli che mi dà. Le sono grata per questa esperienza che mi sta facendo crescere moltissimo come scrittrice. La sua esperienza che così largamente condivide è semplicemente meravigliosa.

E, ora a noi! E' vero che “Le Relazioni pericolose” volgono al termine. Ma non temete, si tratta semplicemente della fine della seconda parte. Il tempo di organizzarci, e saremo di nuovo da voi con il terzo libro.

Alla prossima settimana, con una sorpresa!

 

Come fa Josephine, vi abbraccio forte.

Pamina71

 

1 Abbiamo pensato di spedirlo a Branle-Le-Comte, nelle fiandre. Branle è anche il nome di una è una danza rinascimentale nata in Francia, cosa che ci permette alcuni gioci di parole.

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Capitolo 50
*** Marie Antoinette - Versailles ***


50. Maria Antonietta


A Oscar François De Jarjayes – Grandier
Versailles, 5 novembre 1787
 
                Non avrei tardato così tanto a scrivervi, se non avessi atteso chiarimenti più soddisfacenti[1] riguardo la situazione che ben conoscete e che riguarda vostra sorella Josephine, alla quale rinnovo il mio affetto per lo spiacevole evento che l’ha colpita. Vi assicuro che nessuno condivide sinceramente quanto me la vostra tristezza[2], poiché nulla è dimenticato delle tante prove di lealtà e dell’ottima reputazione[3] della famiglia Jarjayes, sin dai tempi di vostro nonno, ancor oggi di vostro padre e infine con voi.
 
Chissà che un giorno il Delfino non possa scrivere lo stesso a qualcuno che tutti desideriamo conoscere appena sarà in grado di venire alla reggia. Ci farebbe del bene un altro piccolo francese o una piccola francese, che i miei figli possano considerare di famiglia, come ben sapete.
 
Ho anche avuto l’ardire di raccontare di voi e della vostra nuova situazione al Re, che si unisce a me nelle congratulazioni e nelle preoccupazioni.
Egli è rimasto molto colpito da alcune delle vostre riflessioni sui recenti avvenimenti, e poiché si recherà presto al Parlamento per discutere alcune questioni diplomatiche e alcune concessioni che i nostri sudditi chiedono a gran voce da tempo[4], mi ha assicurato che prenderà una decisione anche riguardo al soldato coinvolto nella vicenda di vostra sorella e (il fu) vostro cognato.
 
La Principessa di Lamballe e la mia cara cognata, Madame Elisabeth, sono con me nel chiedere clemenza e comprensione. Sua Maestà è un sovrano giusto, e come ho già avuto modo di dirgli durante il nostro colloquio a riguardo, essere generosi con il proprio popolo è il dovere di chi governa una grande nazione. Si è detto d’accordo con me.
 
Nel frattempo assicuratevi che vostra sorella non faccia gesti che le possano nuocere, trascinata dalla tristezza. Fate molta attenzione anche voi, e lo dico giacché vi conosco: attendete notizie ufficiali prima di cercare il vostro soldato, che i soldati, sotto la saggia guida del Comandante Girodelle, non riescono a trovare.  
 
In questo periodo sarò molto occupata ad accogliere il Principe Georges de Hesse – Darmstadt[5]. Non meravigliatevi se al posto di missive riceverete inviti ufficiali a corte. Per voi e per le persone che vi amano.
 
Vi ringrazio per il vostro interesse per i miei figli, e vi mando i loro saluti. I due principi stanno bene, la mia Maria Teresa ha il morbillo, ma i medici si dicono tranquilli e anche io lo sono[6].
 
Voi conoscete, Oscar, l’amicizia che a voi mi legherà sempre[7], e vi abbraccio.


 
Firma
 
 
 
[1] Inizio della lettera alla principessa di Wurtemberg, 27 giugno 1783.
[2] Inizio della lettera alla principessa Hesse-Darmstadt, 18 gennaio 1786.
[3] Frase tratta dalla lettera al Re Gustavo di Svezia, 19 settembre 1783. La frase di riferisce a Fersen.
[4] Riferimento a quanto scritto da Maria Antonietta al fratello Joseph II il 23 novembre 1787: il giorno 19 il Re si recò al Parlamento per far rientrare i francesi presenti in Turchia (all’epoca Joseph era in guerra contro gli Ottomani) e per concedere il diritto di matrimonio e battesimo ai protestanti. Si occupò in quell’occasione anche di un paio di esili “correttivi” verso chi gli aveva mancato di rispetto, prontamente addolciti dall’intervento della Regina (anche se questa sembrava aver capito le cattive intenzioni dei protagonisti).
[5] L’11 dicembre 1787 era sicuramente già partito, poiché nella lettera di quel giorno alla principessa Hesse-Darmstadt scrive di averlo rivisto volentieri. 
[6] Senza riferimento ai medici, che ho aggiunto io, la rougeole di Marie Thérèse e la sua degenza tranquilla appaiono sia nella lettera al fratello sia in quella alla principessa H-D, rispettivamente del 23 novembre e 11 dicembre 1787.
[7] Fine della lettera alla principessa Hesse-Darmstadt, 11 dicembre 1787.
Tutte le lettere provengono da: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1121835/f10.image  
 
 
 
________________
 
Angolo delle Autrici.
 
Come sempre accade, è una buona cosa che le storie si fermino, o quantomeno si prendano una pausa ogni tanto. Questa lettera, che chiude momentaneamente i carteggi delle Sorelle Jarjayes ed è firmata proprio da sua maestà Maria Antonietta (ultima speranza di Oscar nell’ormai compromessa situazione di Alain), la dobbiamo interamente a ColettedeJarjayes, nuova guest star della nostra storia! A lei dobbiamo anche tutti gli spunti alle lettere reali citate in nota e la cura dei dettagli legati alla vita della Regina. La ringraziamo di cuore per aver accolto la nostra proposta in questo immaginario “casting”, e con lei anche i nostri precedenti ospiti: il Censore (Generale), Monica68 (André), Mgrandier (Alain), Lucy71 (Mme Marguerite), Orny81 (Nanny). Senza di loro questa storia non sarebbe stata così corale e stimolante per noi.
L’ultimo grandissimo grazie va a chi ci ha seguito ed è stato con noi fino a questo momento.

Jo e Alain, Oscar e André, la stessa Regina, il Generale, Madame, Nanny avranno davvero tante cose a cui pensare nei prossimi mesi; ma li ritroveremo tutti al prossimo giro di lettere, aspettateci!
Un abbraccio enorme e a presto!

Pamina71 (che gioca Josephine) & VeronicaFranco (che gioca Oscar)
 

 

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