Diario di un mago

di Fyan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Diario di un mago
Prefazione

Q
uando mio nipote venne ad abitare nella mia minuscola casetta in campagna ne fui sicuramente sorpreso. Sapevo molto bene che lui non mi aveva mai visto di buon occhio durante tutta l'infanzia e ritrovarmi un bambino lì sulla soglia - con quel mantello pesante di pioggia ed una misera saccoccia piena dei suoi pochi averi - mi fece pensare che forse avrei dovuto dargli più attenzione.
Era nato nella capitale, lontanissimo da questa campagna piena di fiori in cui vivo in solitaria. L'avevo visto rare volte: mia figlia aveva deciso che forse per me era meglio stargli lontano. Per lei sono sempre stato un vecchio strambo innamorato dello studio e dei libri.
Non posso darle alcun torto, povera figlia. Sua madre, mia moglie, era morta molto giovane e io ho lasciato crescere mia figlia da sola. Ho fatto la stessa cosa con suo figlio Joshua, mio nipote, che quella mattinata piovosa venne a bussare alla mia porta.
Lo vidi dal suo sguardo che mi odiava, quei piccoli e sottili occhi verde scuro mi scrutavano con astio al di sotto dei ciuffi scuri gonfi di pioggia: l'aveva sempre fatto. Eppure era venuto proprio da me. Doveva essere successo qualcosa di grave.
«Figliolo?» Ricordo che lo chiamai sbalordito, dopo aver lasciato di malavoglia i miei studi. Sì, l'avevo fatto attendere sotto la pioggia per qualche tempo, nemmeno me ne ero reso conto.
Attesi un momento lì, con la pioggia che scorreva sulle sue guance da bambino. Quanti anni poteva dimostrare? Sette, otto? Non ho mai davvero fatto caso al passare del tempo. La mia esitazione era così palpabile: lo stavo lasciando lì ad infradiciarsi.
«Non mi fai entrare, vecchio?» Furono le prime parole che mi rivolse dopo tanto tempo. «Sei anche peggiore di quello che diceva la mamma.»
Esitai qualche istante, spalancando subito la porta a quel bambino già così antipatico che era mio nipote. Lui era contento di entrare soltanto perché fuori si stava scatenando il temporale. Non era affatto un giorno per viaggiare quello, soprattutto per andare a trovare un vecchio parente come me che nemmeno gli piaceva. Sinceramente, avrei preferito che nemmeno venisse.
Cercai di immaginare subito quale fosse il problema, perché Joshua avesse viaggiato dalla capitale verso la mia casetta in campagna piena di libri. Lui rimaneva in silenzio, piuttosto a disagio, mentre si faceva spazio tra le pile di libri che avevo lasciato nel corridoio: non dava alcuna spiegazione. Ricordo che mi pianse il cuore a vedere le gocce d'acqua che cadevano dal mantello bagnato di Joshua sulla carta dei libri che avevo sparsi al suolo.
«Allora...» Cercai di rompere il ghiaccio, anche se dentro di me sentivo una voglia irrefrenabile di lasciare quel bambino a vedersela da solo, per poter tornare al mio studio in fondo al corridoio.
Joshua non rispose, lasciando cadere il mantello e la saccoccia per terra: le raccolsi subito. Non volevo che rovinassero ulteriormente le copertine dei libri.

***

Quando finalmente mio nipote parlò, fu dopo qualche ora. L'avevo accolto in casa senza nessuna domanda e lui non aveva fatto alcuna richiesta. Mi infastidiva molto avercelo intorno, soprattutto per via di quello sguardo seccato che mi rivolgeva ogni volta che ero nei suoi paraggi. Come se fossi io l'ospite indesiderato!
Joshua non mi raccontò mai il suo viaggio, cosa avesse incontrato o se avesse sofferto la solitudine. Non mi ha mai confidato nostalgia o preoccupazioni: mi ha messo in faccia solo una cruda e seccante verità.
«Se ne sono andati.» Mi aveva detto: era chiaro che stesse parlando dei suoi genitori.
Pensai subito che qualche catastrofe si fosse abbattuta sulla loro ricca casa nella capitale. Che fossero morti in un incendio o una brutta malattia li avesse prosciugati. Eppure mi ero sbagliato.
«Non hanno denaro.» Il tono del bambino era cupo, forse per la prima volta sembrava davvero un piccolo di sette anni. «Non possono darmi da mangiare: volevano che stessi qui con te.»
Non sono una persona di molte parole e nemmeno in quell'occasione commentai. Mi limitai ad annuire cupamente, forse pensando egoisticamente che Joshua sarebbe stato un peso piuttosto seccante, che mi avrebbe cambiato la vita radicalmente e in peggio.
Mia figlia, la madre di Joshua, non era affatto come me. Io sedentario, lei instancabile viaggiatrice, io silenzioso ed introverso, lei inguaribile chiacchierona: mi ha fatto venire il malditesta così tante volte con i suoi vaneggiamenti. Aveva deciso di dedicarsi all'arte e suo marito l'aveva stupidamente assecondata. Glielo avevo detto molte volte che con quelle sue strambe idee sull'arte non avrebbe dato da mangiare alla sua famiglia. Forse se ne è resa conto troppo tardi.
Sinceramente, pensai che per Joshua quella sua lontananza dalla madre gli avrebbe fatto molto bene. Magari sarebbe diventato meno irritabile e cupo stando con me.

***

E così mi presi quel bambino in casa, da completo inesperto in materia.
Lui cresceva ed io me ne stavo sempre per conto mio nel mio studio; avevo anche cominciato a levare i miei libri dal corridoio perché Joshua era solito tornare a casa con gli stivali pieni di fango. Non avevo idea di dove andasse a giocare e nemmeno tanto mi interessava, ma non potevo sopportare di pulire quello che sporcava.
Parlavamo poco: c'era sempre fin troppa tensione tra di noi. Nessuno dei due sopportava l'altro e preferivamo di gran lunga evitarci tutto il giorno. Anche se lui continuava ad entrare nella mia stanza per lamentarsi di questo o di quello. Raramente mi occupavo della casa, che era sempre così sporca di polvere e di roba vecchia. A malapena mangiavo, così occupato dai miei interessi.
Joshua cambiò tutto: fui costretto ad assumere una domestica perché si prendesse cura di lui e cucinasse tre pasti al giorno, perché quel ragazzino sembrava un pozzo senza fondo.
Intanto gli anni passavano, lui diventava un giovane ed il suo carattere si definiva. Un pessimo carattere, a mio parere: contestava qualsiasi cosa, argomentava su tutto. Aveva preso dalla mamma, infatti: gli piaceva allontanarsi per osservare i luoghi vicini, le foreste ed i paesini vicini alla mia campagna. Spesso non tornava la sera, ma io ci facevo poco caso: era la domestica che mi rimproverava ogni volta.
Non mi accorsi di nulla nemmeno quella sera. Joshua aveva da poco compiuto sedici anni, usciva continuamente per passare il suo tempo coi ragazzi del paesino vicino. Il mattino dopo la domestica mi rimproverò per l'ennesima volta: mio nipote non era tornato a casa per la notte. Non tornò nemmeno per i cinque anni seguenti.

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


Diario di un mago
Capitolo primo

J
oshua era andato via di casa e con lui aveva portato un libro dei miei. Avevo scoperto solo grazie alla governante delle piccole missioni di ricerca del ragazzo nelle mie librerie, perché non avevo mai controllato cosa facesse nella mia casa-biblioteca, quando c'era.
Quella impicciona di una domestica sapeva sempre i segreti di tutti, come se fosse dotata di mille occhi dietro quella testa bitorzoluta da vecchia e quella crocchia sempre disordinata con cui legava i capelli grigi segnati dall'età.
Joshua aveva portato con sé uno di quei vecchi libri che tenevo stipati nei meandri più oscuri delle mie librerie.
Era solo un libro in ottava, con la copertina di cuoio ancora intatta, perché effettivamente non l'avevo mai usato. Mi raccontò Joshua stesso come l'aveva trovato, ben cinque anni dopo. Venne a cercarmi appositamente, come se fossi diventato un suo vecchio amico. Come se quel libro che mi aveva tanto gentilmente preso in prestito fosse diventato la sua guida per l'età adulta e quelle occhiatacce che ci eravamo scambiati per lungo tempo non fossero mai esistite.
Era da un po', in effetti, che Joshua osservava la mia collezione: me l'ha detto lui stesso. Cercava di capire come mai io ne fossi così affascinato da lasciar da sola una figlia ed un nipote. Capì da solo come mai io passassi molto più tempo con l'inchiostro che con la gente fatta di carne ed ossa: io studiavo la magia. La maggior parte dei libri che conservavo erano intere enciclopedie sugli incantesimi: cura, evocazione, telecinesi. Ero anche diventato molto bravo nel corso del tempo ad esercitarmi, me ne vanto sempre con tutti.
Quindi il libro che Joshua aveva rubato spiegava la formulazione dei più oscuri incantesimi? Spiegava come viaggiare verso altri mondi o come ottenere la compulsione più efficiente possibile? No. Joshua odiava la magia per mia colpa. Non avrebbe mai potuto intraprendere la stessa via che avevo scelto.
Il libro che aveva portato con sé era completamente bianco, quando l'aveva trovato. Solo un mucchio di carta pulita tenuta insieme da una sovracoperta di cuoio.
Però non era rimasto bianco tutto il tempo.
Mio nipote era partito di pomeriggio: aveva preparato in fretta e furia le sue cose, nella stessa saccoccia che aveva portato con sé quando si era trasferito a casa mia. Aveva anche rubato qualche provvista dalla dispensa, pensando che probabilmente a me non sarebbe mai servita. La verità era che non aveva deciso su due piedi di andar via: erano successi eventi che nemmeno lui sapeva spiegarsi.
Quando per caso aveva aperto quel piccolo libro, forse l'unico che fosse accettabile per aspetto, si era già aspettato di trovarlo bianco perché era diverso dagli altri tomi consunti e pieni di appunti. Era intoccato. Eppure, non appena i suoi sottili occhi verdi si erano posati sulla prima pagina, come se fossero emerse dal fondo di un lago, erano uscite scritte delle parole.

L'annoiato ragazzo di città scorreva la collezione del vecchio parente. Il libro che capitò tra le sue mani gli parlò, raccontandogli una storia.

Joshua era rimasto basito ad osservare quelle lettere apparse per magia, credendo con convinzione che quello fosse una specie di oggetto maledetto: era stato sul punto di rimetterlo a posto, se il libro non avesse parlato nuovamente con il suo inchiostro.

Il nipote del mago era sorpreso e spaventato. Stava per rimettere il libro a posto, ma questo non voleva lasciarlo andare. Il ragazzo decise dunque di andar via. Non dalla stanza, non dalla biblioteca: via da quella casa una volta per tutte. Il libro aveva un compito per lui.

Se prima il giovane sedicenne era rimasto sorpreso, dopo quelle ennesime frasi ne rimase profondamente inquietato. Primo perché quel libro sembrava avercela proprio con lui e secondo perché aveva scritto di una decisione che lui non aveva preso. Che non era ancora avvenuta. Alla fine, quella casa a lui non piaceva nemmeno un po', vero? Perché non provare a seguire quello che era stato suggerito?
Nonostante mio nipote fosse un curiosone pieno di arroganza, non era uno sprovveduto. Non aveva creduto a quelle frasi così strane che sembravano avergli letto nel profondo: aveva lasciato quel libro sul suo scaffale e si era allontanato con il dubbio ad attanagliare i suoi pensieri.
I giorni si erano susseguiti. Joshua aveva continuato a passare davanti allo scaffale dove aveva lasciato il libro, come attirato dal suo strano incantesimo, ma con una determinata voglia di evitare quello che aveva letto. Aveva cercato più di una volta di distrarsi in modi più disparati, passando del tempo coi suoi amici dei villaggi vicini, ma inevitabilmente il suo sguardo era caduto sul dorso di quel libro. E se fosse apparsa qualche altra frase?
La mattina della sua partenza Joshua si era deciso ad aprire nuovamente quel libro misterioso, causa dei suoi continui arrovellamenti. La prima pagina era ancora come l'aveva lasciata: con quelle frasi fisse ad osservare il ragazzo.
«Non hai più niente da dire, eh?» Aveva mormorato il giovane, con un sorriso beffardo che però era fortemente influenzato dall'insicurezza. Proprio alla fine del suo commento, come se si fosse trattato di una conversazione, apparve un'altra frase, al centro della pagina, in lettere più grandi.

Il ragazzo viaggiò verso la foresta.
***

Se fossi stato un tutore più attento forse Joshua non sarebbe fuggito con tanta segretezza. Avrebbe forse provato a chiedere a me dei poteri misteriosi di quel manufatto trovato qualche giorno prima, senza prendere decisioni personalmente.
Come poteva, però, venire da me a chiedere spiegazioni? Non gli avevo mai parlato per quasi dieci anni: le nostre conversazioni non erano mai state così ricche e sinceramente a me non interessava sentire i racconti delle sue mirabolanti avventure in campagna.
Per questo motivo, quello sprovveduto di mio nipote, guidato dell'istinto di scoperta che aveva ereditato da sua madre, si mise in cammino verso la foresta più vicina, quella che probabilmente li libro voleva che raggiungesse.
Joshua non aveva idea di quello che avrebbe incontrato o come mai un libro lo stesse conducendo in un posto che era sicuramente disabitato e colmo di beste feroci. Ci sarebbero voluti due giorni di cammino: le foreste erano ben lontane dalla mia piccola campagna, tranquilla e assai lontana dai problemi del mondo. Forse mio nipote ne sapeva di più di quello che succedeva nelle città. Nella capitale del regno, nella vita vera dalla quale io mi ero allontanato. Forse sapeva davvero quello che stava facendo, in quali difficoltà si stava imbattendo, ma non gliel'ho mai chiesto.
Durante il suo cammino, Joshua aveva controllato più volte il libro, cercandone nuovi indizi o narrazioni. Ma quello si era limitato a descrivere quello che il giovane faceva, completando con dettagli il suo racconto.

***

Le foreste centrali del regno, quelle dove Joshua in questo mio racconto si stava dirigendo, avevano la fama di non essere il luogo più accogliente di queste terre: nessuno con un po' di senno ci si addentrava.
Era risaputo che non ci fosse alcun sentiero sicuro. Che il buio delle fronde altissime occultasse i predatori più feroci e che davvero nessuno abitasse quei posti, nemmeno la strega più folle e solitaria decideva di stabilirsi lì dentro.
Avevo fatto molti studi a riguardo, per capire cosa tenesse tutti alla larga da quel posto: la scusa degli animali selvatici non convinceva nemmeno me. Non sono mai stato un idiota credulone: ho sempre saputo che ci fosse qualcosa di più lì dentro. Qualcosa di losco forse?
Joshua fu l'inconsapevole volontario per le mie ricerche in quel posto incontaminato.
Quando giunse, due giorni dopo, al limitare della foresta, i suoi occhi verdi si alzarono quasi istintivamente ad osservare le cime altissime di quegli alberi, scuri e nient'affatto silenziosi. Si poteva udire, infatti, l'inconfondibile suono della natura selvaggia: ululati, trilli, versi lontani.
E qualcos'altro. Qualcosa che con la natura non aveva davvero nulla a che fare.
Joshua abbassò lo sguardo al libro, che ormai teneva sempre in pugno, come una fedele mappa. Erano apparse altre frasi a quella storia, ormai lunga già una decina di pagine.

Il ragazzo non aveva paura: aveva viaggiato da solo per due giorni impaziente di giungere alla sua meta. La foresta davanti a lui celava misteri: il libro desiderava entrarci.

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


Diario di un mago
Capitolo secondo

L
a foresta vista da fuori sembrava meno misteriosa ed inquietante di quello che le voci avevano sempre detto. Joshua fu piuttosto sorpreso di constatarlo, soprattutto perché si era aspettato di dover affrontare chissà quali pericoli, lui che non sapeva nemmeno tenere in mano una spada.
Molte volte mi sono chiesto, durante il suo racconto di cinque anni dopo, come mai avesse deciso di continuare a seguire quello che il libro gli comandava, se sapeva benissimo in cosa si stava imbattendo. La sua famiglia non è mai stata gente di guerra, quindi il ragazzo non aveva la minima idea di come difendersi, se fosse mai servito.
Decise, però, di inoltrarsi. La sua esitazione si era limitata all'udire di quei rumori estranei, che tanto gli ricordavano quelli che era solito udire dalla sua casa nella capitale, anche quelli erano ormai ricordi lontani. C'era qualcuno lì?
«Devo essere impazzito.»
Nonostante da fuori non fosse così minacciosa, all'interno Joshua ebbe molta difficoltà nel proseguire tra gli arbusti e la vegetazione: non c'erano sentieri e camminare era complesso, anche perché di luce non ne arrivava molta oltre le fronde. Ma a Joshua non importava: la sua attenzione era catturata da quei rumori umani, quel vocio così strano per una foresta. Cominciava già a sentire lo stomaco in subbuglio, immaginando quali uomini avrebbe potuto incontrare.
Il libro non lo voleva morto, no? Non poteva trattarsi di un covo di briganti. Beh, questo almeno era quello che sperava lui.

Eppure sembrava proprio che quella foresta stesse per attentare alla vita del giovane e sprovveduto viaggiatore, tanto incosciente da aver deciso di seguire le parole di un libro ed addentrarsi in quella foresta evitata anche dal più temerario dei guerrieri. Da quello che Joshua ne sapeva, nemmeno il re della capitale aveva mai mandato qualcuno a perlustrarla: alla fine era inutile rischiare tanto per un luogo abbandonato come quello.
Fu chiaro, dopo almeno un'ora di impervio cammino, il motivo per cui nessuno avesse mai visitato quel luogo. Joshua poté osservare una accampamento, piazzato proprio nel bel mezzo della foresta e con gli alberi a fare da pilastri per le baracche di legno.
Poco oltre un grande strapiombo dal quale provenivano rumori di picconi e catene: una miniera forse. Era un luogo poverissimo, decadente e sporco, ma la gente che vi abitava era anche peggio. «Muoviti, schiavo!» Disse qualcuno. Seguito dallo schiocco di una frusta, il rumore della catene, gemiti dolorosi.
Ecco spiegato il mistero: schiavisti. In quella maledetta foresta abitavano degli schiavisti! Avevo fatto molto bene a non avventurarmi da solo per studiarla: sono vecchio! Mi avrebbero ucciso in un battito di ciglia!
Joshua ne rimase invece molto turbato. Io da saggio mago sarei andato via subito: ci tengo alla mia vecchia pelle raggrinzita. Lui invece rimase lì, per osservare meglio, studiare i volti sofferenti di quegli schiavi. Era già abbastanza chiaro cosa volesse fare: quell'incosciente era davvero come sua madre.
I suoi occhi verdi si posarono nuovamente sulle pagine di quel libro, che non avevano fatto altro che narrare il suo cammino fino a quel momento. Non c'era ancora scritto nulla: forse la scelta di cosa fare stava solo a lui?
L'avrebbe capito chiunque che cercare di liberare quegli schiavi da solo era impossibile. Ma era proprio quello che Joshua aveva deciso di fare.

***

Ci fu una schiava che colpì molto il giovane, quando ebbe girato silenziosamente tutto attorno all'accampamento per convincersi davvero a rischiare così tanto. Era giovanissima, poteva avere soltanto tredici anni, povera anima. Il suo viso era sporco, le gote appena tondeggianti graffiate e sporche di sangue, a coprire le graziose lentiggini anche sul naso. Aveva due occhi grandi da cerbiatta, puntati costantemente verso il basso, a fissarsi le ferite sui polsi e le caviglie, per via delle corde. I capelli spettinati dovevano essere stati di un chiaro castano, ma erano sporchi di fango e terreno ed erano diventati per lo più una matassa sporca di scuro.
Ciò che convinse Joshua ad agire non furono tanto le condizioni di quella povera ragazza, ma la sua posizione: era stata lasciata legata ad un palo, lontana dalle abitazioni. Joshua se ne chiese il perché.
«Ti è piaciuto tentare la fuga, eh sgualdrina?» La risposta arrivò subito, come se il ragazzo l'avesse chiesta. La giovane schiava incassò la testa tra le spalle. «Rimarrai lì a morire di fame: sei talmente inutile che non serviresti nemmeno come puttana.»
Almeno quello era un sollievo, sebbene i pugni di Joshua si fossero stretti talmente forte da far diventare le nocche bianche. Non l'avrebbero trattata in quel modo, Joshua non poteva sopportarlo. Chissà, però, se già non avesse subito qualcosa.
Fu in quel momento che il libro parlò ancora: quando lo schiavista che aveva lasciato lì la giovane con le lentiggini si fu allontanato a frustare qualcun altro.

Gli schiavisti facevano paura ma la paura negli occhi del giovane viaggiatore non superava la sua determinazione. C'era qualcuno che poteva salvare, una piccola azione di compassione, un'innocente vita salvata da un terribile destino. Stava solo a lui agire: la ragazza attendeva a sguardo basso. Era l'occasione giusta.

E così seguì una tesissima attesa.
L'idea di liberare quella povera ragazza era delle più nobili, seppur impossibile a mio parere, ma trovare l'occasione giusta per agire non era poi così semplice: nonostante il palo a cui fosse stata legata si trovasse lontano dalle gabbie, dalle catapecchie e quella specie di miniera, uno schiavista di tanto in tanto passava a farsi beffe delle prigioniera o a sputarle in faccia. Non facendo altro che aumentare la tensione e la rabbia del mio giovane nipote.
Arrivò la sera quando si presentò l'occasione giusta: gli schiavisti si erano riuniti per la cena, che Joshua intelligentemente aveva atteso, pazientemente nascosto dietro ai cespugli per molto più di qualche ora. Inutile dire che le sue ginocchia avrebbero potuto urlare di dolore per via di tutto quel tempo piegate.

«Hey?»
Fu solo un sussurro: la ragazza alzò il viso sporco e ferito per cercare la fonte della voce. Non disse nulla, con un sopraccigglio alzato, come se temesse di essersi inventata quel richiamo. «Sto per liberarti.» Joshua uscì piano allo scoperto, anche se rimase piuttosto ingobbito per non farsi vedere.
«Scappa, va via!» Fu la risposta della ragazza, che per timore si fece indietro, come ad evitare di contagiare una brutta malattia a quel giovane arrivato dalla foresta.
Joshua non la stette a sentire, anzi, si avvicinò a lei e rapido cominciò a slegare con perizia i nodi della corda che le teneva legati i polsi dietro la schiena e contro il palo.
«Devi essere silenziosa, ti porto via.» Ribadì quello a bassa voce. I suoi occhi si alzavano in continuazione in direzione del falò della cena. Di certo gli stomaci di entrambi brontolarono per la fame a sentire il profumo di arrosto che aleggiava in quel campo orribile.
«Sei strano.» Commentò la ragazza con le lentiggini, di punto in bianco, mentre insieme al suo salvatore si allontanava pian piano verso posti più sicuri.
«Perché?»
Non ci fu alcuna risposta.
Joshua avrebbe tanto voluto aggiungere qualcosa e lo avrebbe fatto, se alzando gli occhi non avesse incrociato lo sguardo di uno degli schiavisti.
«UN INTRUSO, PRENDETELO!»

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***


Diario di un mago
Capitolo terzo

F
orse sembrerà assai strano che io conosca così tanti particolari di questa storia, a partire dalle frasi dette da Joshua fino alle più accurate descrizioni degli ambienti. Vi starete dicendo: è impossibile che Joshua abbia raccontato ogni dettaglio, a distanza di cinque anni dagli avvenimenti.
Ma vi sbagliate. È proprio da lui che sono venuto a conoscenza di tutte le particolarità del viaggio, solo che non è stato propriamente lui a raccontare.

Torniamo al campo di schiavi, però. I due giovani nella foresta si erano appena fatti scoprire come degli allocchi dai carcerieri. Chiunque ci avrebbe pensato prima un bel po' di volte prima di mettersi così tanto a rischio. Evidentemente mio nipote non aveva pensato abbastanza, perché si era ritrovato a correre a perdifiato verso nord, accompagnato da una magrissima ragazzina senza forza e dagli assai fastidiosi cespugli che intralciavano la loro corsa.
Più di una volta Joshua rischiò di rovinare al suolo, con gli schiavisti che li inseguivano puntando contro i fucili. Di scoppi da arma da fuoco se ne sentivano molti, sugli alberi attorno: era una fortuna che almeno i due giovani avessero deciso di correre in modo sconnesso per evitare i proiettili.
Sono sicuro che dovessero avere il cuore a mille quei due piccoli ed incoscienti fuggitivi, perché l'udire di quei forti scoppi di polvere da sparo a ben poca distanza dalla loro testa doveva fargli venire in mente che forse la fuga in quel modo non fosse un'idea così geniale. Al posto loro mi sarei arreso con le mani alzate e non perché la mia schiena mi avrebbe supplicato di fermarmi e nemmeno i dolori alle ossa: avrebbero finito per uccidermi se avessi continuato e comunque non c'era poi tanta speranza di riuscire a seminare quei malvagi schiavisti.
Successe infatti l'inevitabile: un proiettile di fucile colpì alla coscia la giovane schiava, che con un urlo di dolore rovinò a terra sporcandosi ancora di più quel bel visino graffiato. Joshua si voltò immediatamente al suo richiamo, rallentando la corsa: l'aveva già superata ed aveva creduto che potesse esserle appena dietro, ma lei non era poi così abituata a correre con quel corpo gracilino e lui non ci aveva pensato proprio.
«No!» Esclamò preso dal panico, un'espressione tesa negli occhi verdi. Bastò quella esitazione e subito gli schiavisti gli furono addosso.

Joshua e quella sua giovane amica erano riusciti nemmeno ad arrivare così lontano dal campo di prigionia. Era piccoli, stanchi e i loro inseguitori armati di fucili. Davvero pensavate che se la sarebbero cavata con così poco?
Quando gli schiavisti riuscirono a raggiungere mio nipote, avevano già catturato nuovamente la ragazza. Non si sarebbero di certo lasciati sfuggire due ulteriori braccia per il lavoro.
Senza difficoltà, i due fuggitivi vennero incatenati e riportati nell'accampamento schiavista. Joshua scalciò e si lamentò tutto il tempo, tanto che gli uomini furono costretti a portarlo di peso dentro una di quelle celle di isolamento.
La ragazza con le lentiggini fu rinchiusa in quella accanto: si era beccata un proiettile nella gamba che gli schiavisti avevano rimosso con malagrazia. Doveva essere bastato come punizione, perché nessuno nominò più il palo dove era stata lasciata a morire di fame qualche ora prima.

«Ti fa male?»
Dopo quell'inutile tentativo di salvataggio Joshua si era sentito infinitamente in colpa. Non solo non era riuscito a salvare quella giovane e ferita ragazza per regalarle la libertà, ma era diventato uno schiavo a sua volta e ciò lo faceva ribollire di rabbia, oltretutto. Per fortuna gli schiavisti non si erano accorti del piccolo libro che lui teneva nella tasca interna della casacca di pelle, altrimenti Joshua sarebbe stato perso.
La giovane schiava non rispose subito alla domanda rabbuiata di mio nipote: aveva lo sguardo basso e le mani che premevano sulla ferita dell'arma da fuoco. Sembrava arrabbiata, oltre che dolorante ed afflitta.
«Certo che fa male!» Sbottò poi, alzando finalmente quei due grandi occhi da cerbiatta verso il giovane. Erano umidi di pianto e pieni di disperazione, esattamente come la sua voce rotta. «Sei pazzo! Sei un cretino!»
Joshua si irrigidì, incapace di levare lo sguardo dalla giovane. Aveva combinato un bel pasticcio, anche se i suoi intenti erano stati lodevoli. La giovane non aggiunse altro, ritirandosi in un silenzioso pianto, nascosto tra i lunghi capelli arruffati, un pianto che a mio nipote nonostante fosse piuttosto infervorato, strinse il cuore.
«Prego, eh.» Le disse a rabbuiato, un po' offeso.
La ragazza non rispose, ma terminò pian piano il suo sfogo. Lo sguardo ancora non ricambiava quello di Joshua.
«Mi chiamo Joshua.» Continuò il giovane. Stava cercando in tutti i modi di non pensare che quel maledetto libricino lo avesse guidato verso la prigionia. Che io stesso lo avessi guidato verso la prigionia, perché quel libro era appartenuto della mia biblioteca ed era ovviamente incantato.
«Tu?»

Alla domanda la giovane alzò le spalle, puntando però lo sguardo verso gli schiavisti accampati attorno al fuoco qualche metro più in là.
«Tu, sgualdrina, schiava.» Rispose con amarezza, ma anche un po' di ostilità. Non ce l'aveva un nome: era così che la chiamavano da quando era nata.
«Tua madre non ti ha dato un nome?» Il tono di Joshua era colpito, anche un po' rancoroso nei confronti degli schiavisti. Era evidente che a nessuno importasse di dare dei nomi agli schiavi e che forse la madre di quella ragazza non aveva vissuto troppo a lungo per potergliene dare uno.
«Non tutti sono fortunati come te, Joshua. Sono schiava da quando sono nata, nessuno si è preso la briga di darmi un nome.»
«Non hai mai provato a dartelo tu un nome?» Incalzò lui.
«A che serve? Non lo userebbe nessuno.»
Con quella frase, la giovane schiava mise a tacere il ragazzo, che continuò ad osservare la sua compagna di schiavitù cercando una frase adatta con cui rispondere, come se stesse cercando di avercela vinta con lei, solo per buon cuore. Ci mise qualche minuto, però, perché l'ostilità di lei era davvero intimorente.

«Ti chiamerei io col tuo nome.» Decise dunque di rispondere, puntando lo sguardo agli schiavisti, rabbuiato.
La giovane sospirò soltanto, poi si appoggiò con la schiena alle sbarre della sua cella, osservando con invidia i divertimenti, il cibo e i boccali di alcol che danzavano oltre le sbarre della sua gabbia. Gli uomini fuori stavano facendo qualche battuta sulla fallimentare fuga dei due giovani, deridendoli come solo gli schiavisti sapevano fare.
«Come mai sei venuto qui? Ti sei cacciato da solo nei guai.» Fu lei a rompere nuovamente il silenzio.
«Ti sembrerà strano...»
«Sei già strano.» Lo interruppe lei.
Joshua la guardò male, ma tirò fuori furtivamente il libro dalla tasca della casacca per mostrarlo alla giovane. Ancora non l'aveva consultato da quando si era fatto catturare.
«Ho seguito quello che c'è scritto qui. Mi ci ha portato con le parole da te. Voleva che ti aiutassi a scappare.»
Lo sguardo di lei si alzò finalmente ad osservare quel piccolo libro. Poi alzò un sopracciglio, con palese derisione.
«Non so leggere.» Disse. «E non ti credo, che stupidaggine.»

***

Incapace di convincere la giovane schiava ad ascoltarlo, Joshua decise di non incalzare ancora troppo. Si spallò contro le barre della sua cella, lanciando di tanto in tanto sguardi furtivi agli schiavisti. Aveva tirato fuori nuovamente il piccolo libricino, cercando da esso sostegno.
Notò che tutte le sue peripezie erano state annotate sulle pagine che lui aveva notato bianche, compresi i dialoghi con quella schiava. Vederli scritti lo fece sospirare di rabbia e delusione, soprattutto perché la giovane non aveva più parlato con lui, dopo averlo apostrofato con pochissimo tatto.
«Perché non mi aiuti, avanti.» Mormorò piano piano, per evitare che la schiava stessa lo sentisse. Non voleva essere chiamato un cretino ancora una volta.
Anche se Joshua aveva ritenuto libro un oggetto spietato perché ingiustamente aveva contribuito a farlo catturare, delle lettere apparvero ancora, sulla pagina bianca perché potessero aiutarlo. Non furono sole, per la prima volta: ad accompagnarle un bel disegno in bianco e nero della scena che Joshua stava vivendo proprio in quel momento. Le due celle, i due giovani all'interno e gli schiavisti che banchettavano allegri.

Il giovane era in trappola, anche se ingiustamente per li suo cuore nobile. Schernito da chi avrebbe dovuto supportarlo, non sapeva cosa fare, eppure il libro vedeva e prevedeva: la giovane non si fidava perché non sapeva leggere. Bastava mostrarle le prove. Il giovane avventuriero mostrò i disegni del libro alla giovane compagna. Lei li avrebbe di certo compresi.

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