Le Cronache del Servallo - la Furiosa guerra degli Dei

di Servallo Curioso
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dopo tanto tempo ***
Capitolo 2: *** La notte del tempio ***
Capitolo 3: *** Incontri inaspettati ***
Capitolo 4: *** Trasformazione ***
Capitolo 5: *** Il dio indifferente ***
Capitolo 6: *** Il piano perfetto ***
Capitolo 7: *** L'inferno alle porte del paradiso ***
Capitolo 8: *** Distruzione e conoscenza ***
Capitolo 9: *** Una corsa frenetica ***
Capitolo 10: *** Superstiti e Vittime ***
Capitolo 11: *** Preparativi ***
Capitolo 12: *** Partenza ***
Capitolo 13: *** Risultati utili ***
Capitolo 14: *** La città delle bambole ***
Capitolo 15: *** La dea enigmatica ***
Capitolo 16: *** Il figlio che supera gli altri ***
Capitolo 17: *** La furia nelle vene ***
Capitolo 18: *** Viaggi ***
Capitolo 19: *** Il margine della sicurezza ***
Capitolo 20: *** L'ibrido Perfetto ***
Capitolo 21: *** La forza della disperazione ***
Capitolo 22: *** Te lo Prometto! ***
Capitolo 23: *** Il primo passo verso la battaglia ***
Capitolo 24: *** Come bravi fratelli ***
Capitolo 25: *** Il corridoio delle anime ***
Capitolo 26: *** Fate silenzio, prego ***
Capitolo 27: *** In memoria dei morti ***



Capitolo 1
*** Dopo tanto tempo ***


Servallo:
La furiosa guerra degli Dei


Act.1 – La casta divina


Al principio, quando il mondo degli uomini si reggeva su un equilibrio precario, l'entità chiamata Padre plasmò delle creature capaci di mantenere l'ordine. Queste presero il nome di Dei. Ognuna delle identità, create per fini differenti, si sarebbe occupata di governare il continente preservandolo dalla distruzione. Ma, siccome sto qui a scrivere la loro fine, non furono in grado di portare a termine quel compito.
Io sono l'archivista, l'unico che ha le capacità di narrare tutta la storia nei suoi più segreti dettagli. Quando il Padre mi creò, lo fece con la chiara intenzione di rendermi un curioso che passa la sua esistenza ad accumulare informazioni sulla realtà. Un dio capace di osservare paziente lo scorrere degli eventi.
Evidentemente fallì: io amavo muovermi, sognavo di vivere le avventure che sentivo ed ero troppo curioso per passare la mia vita dietro una scrivania. È per questo che mi ritrovo ora a scrivere una storia ormai conclusa, in netto ritardo rispetto al momento in cui è successa.
Io sono l'archivista, io ho il diritto e il dovere di fare ciò

Capitolo 1 – Dopo tanto tempo.

Sono nato con un compito e devo decidermi a rispettarlo. Non posso decidere così liberamente come la gente crede.
Essere una divinità è forse più complicato che vivere una vita di stenti.

Era tanto che non uscivo dalle immense sale del Palazzo.
Mi trovavo in uno spazio grande e pieno d'aria solo da pochi minuti e già mi sentivo catapultato in un'altra realtà che non vedevo da tempo. Onestamente non sapevo neppure il nome di quel santuario. Non mi ero informato. Per me era solo importante essere lì.
Non riuscivo davvero a ricordare quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che avevo affrontato uno scontro. Mio padre mi aveva sempre detto che ero stato creato per tenere in ordine le carte, giocare con i documenti e badare alle parole stampate. Io mi occupavo dell'archivi: dagli eventi del passato remoto alle ultime vicende; ogni notizia passava attraverso me e io dovevo osservarla. Nient'altro.
Eppure non volevo che gli uomini mi ricordassero così. Già vedevo le loro facce mentre con ilarità pronunciavano in mio nome, facendomi sfottere persino dai loro piccoli figli tenuti in braccio dalle madri. No, non volevo, ma così era. Se la fortuna fosse girata dalla mia parte, non si sarebbero ricordati affatto di me, tanto meglio.
Ora però ero lì. Nelle rovine di un santuario da poco eretto. Intorno a me l'aria nebbiosa della montagna. Con le sue rocce spoglie, ripide e scivolose. Con la neve e il freddo.

Avevo pregato Revery di trovarmi un compito emozionante. Lei e il suo sottoposto non erano sembrati contrari fin dall'inizio, però dovevano pensarci. Non si trattava di uno strappo alla regola, dissi per convincerli, dovevo solo sgranchirmi un po' prima che il mio corpo diventasse gobbo per il lavoro.
“Senti, c'è una cosa piuttosto semplice”. Revery mi disse di Lorissy e di ciò che aveva trovato.
Il suo sottoposto era un marcantonio dai contorni spigolosi e dai rasati capelli rossicci. Il rossiccio era un colore che non mi era mai piaciuto, ero contento che se li fosse tagliati. Si vedevano appena, timidi e in gruppo, che crescevano di nuovo sulla testa di quel ragazzo incredibilmente alto e robusto. Non era un dio, poteva vantare solo dei compiti importanti, delle conoscenze tra le caste divine e dei poteri donatili dalla stessa Revery per premiarlo della sua fedeltà. Si diceva che, quando era tutto umano, quel Lorissy fosse un valoroso ma giusto combattente. Aveva messo al servizio degli dei i suoi poteri e combatteva i demoni e le creature maligne, benché le sue forze umane fossero appena necessarie per farlo sopravvivere, porgeva, inoltre, sempre i propri onori agli dei, soprattutto a quella Dea che ora lo aveva al suo capezzale.

Sentita la storia reputai pazzi entrambi: lui perché aveva affrontato senza timore cose che non riusciva a comprendere e lei perché lo aveva ritenuto degno di poteri divini. Ora capivo un po' meglio.
Brava la mia divinità, affiancarsi a un bel figliolo del genere, davvero brava. Avere desideri così maliziosi nei confronti di un guerriero umano, però, infangavano la divina essenza di cui era fatta. Ma chi sono io per additarla?
Tornando all'affare, Lorissy, il suo affabile sottoposto, aveva trovato un piccolo demone ed entrambi erano convinti che io potessi svolgere quella piccola missione al posto loro.
“Ti servirà a sgranchirti” disse Revery ridacchiando.
Con un gesto della mano, troppo sottile per i miei gusti, mi indicò il luogo. L'immagine del tempio apparve in una pozza vicino a lei. Anche se semplicemente riflessa in uno specchio d'acqua alle porte del regno divino, quell'immagine, mi donò abbastanza informazioni per andare con sicurezza senza perdermi in inutili spiegazioni. Grazie ai miei occhi, anche una piccola increspatura nell'acqua era sufficiente a fornirmi precise indicazioni.
Lei ancheggiò voltandosi e dandomi le spalle. Mi mostrò un'ultima volta la sua figura fisicamente gracile e piccola, troppo per sembrare la dea predisposta a proteggere l'ingresso al mondo divino, ma era solo un'illusione. Lei era forte, lo sapevo bene.

Stavo tentando di evitare i colpi più potenti. Tenendomi così a distanza non potevo sperare di ucciderlo con facilità ma almeno avevo salvo il mio corpo. Quel 'piccolo' demone trovato da Lorissy, era cresciuto molto velocemente e ora aveva preso le sembianze di un'enorme scimmia a tre teste. Tre odiose teste di scimmia, che urlano, sputano lingue a forma di serpente e urlano, più forte.
Lo svantaggio di essere una divinità da ufficio e archivio è quello di non avere una di quelle armi magiche che fanno sempre impallidire i nemici, o sospirare le fedeli. Potevo combattere solo con la mia magia divina, che era abbastanza per tenerlo a bada ma non possedeva capacità sceniche, fantastiche e segrete. Per questo dovevo combattere usando dei vecchi fogli di carta, riempiti di scritte ormai inutili. Erano, comunque, fogli speciali, intrisi del mio potere. Avevano assunto una strana forma, simile a quella di un uccello e volavano furiosi attorno al bersaglio.
Avevano assunto quella forma ed erano vivi e dai bordi affilati come spade. Volavano attorno al corpo della scimmia-cerbero senza però allontanarsi troppo da me. Era la mia magia, dopotutto, a tenerli in vita. Facevano giri veloci e turbinavano sul corpo del mostro tagliando, ferendolo e lacerandolo. Ma erano attacchi troppo leggeri per ucciderlo o metterlo in seria difficoltà.
Se solo avessi avuto una di quelle armi speciali.
Il mostro sbraitava e cercava di prendermi ma io mi dileguavo velocemente dopo ogni individuazione. Almeno i riflessi e l'agilità li avevo sviluppati.

Ormai però mi stavo stancando: tutta questa attività fisica non la potevo reggere, non ci ero abituato. Il grande Padre aveva detto che i poteri divini derivano dall'essenza stessa di una divinità. Al momento della nascita, il seme divino conferisce dei doni ed essi non posso cambiare in nessun modo durante il tempo. Mi aveva spiegato, anche, che alcuni dei vengono a conoscenza dei loro poteri un po' alla volta perché posseggono abilità assopite. Inizialmente ci avevo creduto molto in questa storia. Quando lavoravo negli archivi del grande Palazzo speravo sempre di scoprire, un giorno, di avere un potere che faceva impallidire le bolle di Chube o l'anello di Revery, invece adesso mi rendo conto che io sono proprio inferiore agli altri.
Mentre i miei uccelli lavoravano duramente decisi di mettere in pratica un altro dei trucchi che avevo imparato tra le carte dell'archivio. Richiamai a me decine di altri inutili documenti ed essi si unirono tra loro, compattando i pallidi o ingialliti fogli, fino a formare un lungo giavellotto solido fermo e sospeso davanti a me.
Lo afferrai sicuro e feci qualche passo in avanti, dandomi la spinta necessaria a lanciarlo. No, non ero portato per la lotta ma ero pur sempre un dio, questi giochetti umani per me erano uno scherzo.
Non fu la precisione a stupirmi ma la forza con la quale si conficcò nella spalla sinistra del robusto mostro.
Uno non era bastato, forse avevo bisogno di altri giavellotti.
Evitai le sue tre lingue serpentine pronte a vendicare l'offesa con uno scatto laterale e dopo essermi fermato ne creai altri tre. Di carta ne avevo pressoché infinita e potevo sprecarmi al tiro al bersaglio.
Ne scagliai uno e dopo pensai che mancava di forza, dopo il secondo pensai che era meglio lasciare perdere quella bestia e al terzo ritrovai la speranza di vincere.
Quattro lance conficcate nel corpo non erano bastate a ucciderlo, data anche la scarsa profondità delle ferite, ma avevo un piano di riserva. Anzi, era il piano principale fin dall'inizio.
Battendo tra loro i palmi delle mani lasciai che le mie armi perdessero consistenza, tornando semplici documenti sparsi, fogli dalle antiche scritte, che si andarono ad appoggiare sulla pelle della scimmia.
Il demone non capiva più cosa stava accadendo e io ero soddisfatto di ciò. Finalmente, pensai, non dovrò più evitare i suoi attacchi.
Attesi che gran parte della carta fosse aderita al corpo demoniaco e battei una seconda volta le mani tra loro, con maggiore forza, gridando un poco. Volevo dare enfasi al momento.
Questa volta i fogli, uno dopo l'altro, esplosero rilasciando la mia energia. Tutte le parti del corpo della scimmia dalle molte teste furono coinvolte nelle varie esplosioni.
Piegai appena le ginocchia, lasciandole imprecare verso la mia figura divina per lo sforzo mentre il mostro cadeva a terra rilasciando la sua energia purpurea come una nuvola di gas. Il suo corpo si sciolse, rivelando il seme originale dal quale era nato.


Ogni volta guardavo questi semi affascinato. Sembravano piccole pietre ovali, né dure né morbide: erano malleabili e dal color rosso o viola. L'ultima volta che ne avevo presa in mano una era successo molto tempo addietro, durante un mio viaggio quando ero appena nato, e come quella volta la distrussi.

Potevo finalmente posare il mio sedere su qualcosa di solito, che lo reggesse o sperare di stendermi per alleviare le pene. Avevo usato troppa energia, ero stanco e fuori dalla forma tipica nella quale ci si aspetta di vedere un dio. Il mio ruolo non era quello, lo sapevo benissimo, ma era veramente umiliante.
Ero debole e questo mi faceva sentire ancora più debole. Sempre di più, in un circolo di pensieri dove non si tocca mai il fondo. Non durò per sempre.
Dal nulla, letteralmente, comparve la sagoma della cuoca. Mi si avvicinò rassicurandomi.
“Sei stato molto bravo, tutto il tempo passato tra i libri ti ha insegnato qualcosa” disse.
Io annuii con il capo rialzandomi dal masso. Mi porse una sacca di seta che conteneva chissà quale pietanza. “Un tempo neppure potevi ambire a fare spettacoli del genere”.
Era troppo gentile e lo comprendevo molto bene. Ma lei credeva nelle sue parole così come credeva nella grazia divina. In qualsiasi momento mi dava conforto.
I miei capelli color corvo erano sempre ordine ma il mio sguardo smeraldino inizialmente vivo era ora stanco, sfinito. Lei invece, che si occupava del cibo per gli dei, aveva una lunga chioma mossa e cremisi che avvolgeva il corpo esile e dalla quale sbucavano due occhi azzurri e grandi.
“Sei venuta a vedere se ci riuscivo?”
Lei mi guardò piegando leggermente la testa di lato e rispose in maniera sarcastica. La sua slanciata sagoma si mosse un po' per guardarsi intorno.“Ovvio! Revery mi ha detto che eri andato da un demone. Ho pensato che il tuo nome e il termine 'Demone' nella stessa frase non fossero di buon auspicio”.
“Grazie, molto gentile” risposi. Non ero proprio in vena di battute. Già muovere la bocca per articolare poche parole mi sembrava uno sforzo enorme, figuriamoci se dovevo compiere espressioni complesse.
Lei però si offese del mio scarso senso dell'umorismo.
“Insomma. Sei nato così, per un ruolo, e non puoi pretendere di essere bravo in altri”. Giusto, che potevo pretendere?
Ciò che mi faceva più arrabbiare, con rispetto per il Grande Padre, era proprio il mio essere. Perché far nascere lei, Katyana dea dei dolci, così amante della cucina e Revery, dea della vigilanza, così vigile e attenta, mentre io, dio segretario, dovevo possedere un'indole così avventurosa che si trovava all'opposto del mio ruolo. Se il Grande Padre ci aveva creato così un motivo doveva pur esserci, eppure mi sfuggiva quale.
Voleva forse tormentarmi per l'eternità?

Dopo aver mangiato quella focaccia così buona e portatrice di tranquillità e energia, tornai al Palazzo.
Camminavo tra i corridoio sapendo di dovermi rinchiudere di nuovo dentro le mie stanze per tornare a essere una semplice segretaria.
Ma mentre percorrevo il più lungo corridoio dell'ala est feci un incontro inaspettato, o quasi. Appoggiata con i gomiti sul davanzale di una delle finestre c'era Chube. Guardava fuori, al di là dei vetri lucidi e puliti. Dalla serie di vetrate si poteva osservare la base del Palazzo, i suoi dintorni e i giardini, ma uno sguardo divino poteva arrivare più in là, fino al mondo umano.
Lei stava sicuramente osservando quel mondo: ne rimaneva sempre affascinata. Stranamente affascinata dagli uomini.
Il suo compito era quello di tenere il Palazzo in ordine. Un po' come una domestica divina, ma di sicuro non era considerabile tale. Tra tutti era forse la preferita degli umani, sia perché rappresentava anche l'innocenza e la forza d'animo, sia perché poteva mantenere calme le acque durante un viaggio in nave.
La tenevamo tutti in gran considerazione ed era una delle presenze più importanti.
I suoi lunghi capelli neri erano mossi solo sulle punte, a metà schiena, e in quel momento li aveva spostati dietro le orecchie affinché non la infastidissero mentre scrutava. Il sottile corpo era appena curvo per la posizione ed era coperto da un vestito intero, fatto di fiori e colori caldi, che terminava con una gonna spiegazzata fino alle ginocchia.
Si voltò verso di me poco prima che la raggiungessi, senza neppure il tempo di chiamarla. Sorrise e mi venne incontro, con il suo passo leggero.
“Ham! Sei tornato finalmente!” disse. Era felice, sorrideva, ma rimaneva sempre molto composta; quasi per la classe che aveva innata.
Io mi ero appena ripreso, le energie dovevano ancora ristabilirsi completamente, ma apparivo un po' meno sconvolto rispetto agli attimi successivi alla battaglia.
“Salve. Mi stavi aspettando?” chiesi.
Lei scosse la testa lasciando che i capelli le dondolassero appena. “No, però eravamo impazienti di vederti tornare. Revery mi ha detto che eri andato a caccia di un demone”.
“Revery parla sempre troppo” la interruppi mostrando un finto broncio che non resse a lungo.
Lei rise un poco, portandosi una mano davanti alla bocca per educazione. “Lei era un po' dubbiosa sulla tua riuscita, ma io lo sapevo fin dall'inizio che avresti vinto”. Le informazioni circolavano velocemente.
“Revery come fa a sapere che ho vinto?” chiesi. Se glielo aveva detto qualcuno era stata sempre la guardiana.
Lei scosse di nuovo il capo, mentre la sua pelle pallida risaltava in contrasto con la luce che entrava dai vetri. “Non me lo ha detto lei. Questo l'ho pensato io. Se sei tornato vuol dire che hai finito” rispose e rendendo il suo tono un po' più grave, imitando il mio timbro, aggiunse “Si finisce sempre un lavoro, dopo averlo iniziato”.
Era vero. Quella era una delle frasi che dicevo più spesso e anche stavolta si era rivelata vera. Al di là della scarsa considerazione che avevo di me e sulle improbabili possibilità di vittoria: io non me ne sarei andato senza aver finito il mio compito anche a costo di rimanerci secco. Lei mi conosceva abbastanza bene per dirlo.
“Hai ragione, ma non è stata una vittoria così entusiasmante. Io non sono portato per certe cose”.
“Ehi, un dio non deve sminuire la sua grandezza. Le tue abilità sono al pari degli altri. Non devi pensare però di poterle usare come loro, tu devi svilupparle in maniera personale, pensarle dimenticando come lo facciamo noi” si fermò per prendere respiro abbassando il capo, quando lo rialzò mi fissò dritto negli occhi. “Ora vai, il Grande Padre potrebbe punirti se non torni a lavoro”.
Disse con un tono tranquillo, gioioso. Non sembrava volermi mettere fretta.
“Si è arrabbiato per questo?” domandai leggermente preoccupato. Che lo sapesse, lo avevo dato per certo fin dal momento in cui ero uscito dal Palazzo; lui sa sempre tutto. Mi stupì, però, l'espressione con cui lei mi aveva avvertito.
“No. Ha ben altro a cui pensare. Nulla di grave, penso, ma è pur sempre altro”.
Annuii e la salutai in maniera affettuosa, poi, senza alcuna fretta, mi diressi verso le stanze a me predisposte.
C'era una nuova notizia che andava archiviata: Ham aveva sconfitto un demone scimmia.


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Capitolo 2
*** La notte del tempio ***


Capitolo 2 – La notte del tempio

Era scesa la notte e l'unica luce proveniva dalle sale inferiori del tempio di Porcias. Quel santuario emanava una luce debole di candele in profondità. Era il ritrovo dei fedeli del peccato, così chiamati, che di notte si riunivano per svolgere il Kō. Tra tutti i riti religiosi, quello, era il più estremo.
Arrivava al limite della decenza divina. I fedeli si riunivano e chiamavano la loro dea più amata, Manius, che giungeva tra di loro facendo iniziare il rituale. Il Kō si svolgeva sempre lontano dagli occhi indiscreti, sia umani che divini. I fedeli della dea sapevano di dover scegliere luoghi nascosti o protetti dalla sua sacra benedizione. Una sola volta riuscii a scorgere uno di questi riti, dalle vetrate del Palazzo. Dovetti far arrivare il mio sguardo molto lontano, in un luogo talmente segreto da rendere perfino agli dei difficile l'accesso. Non appena ebbi la possibilità di osservare cosa stava avvenendo al suo interno subito ritirai l'occhio per lo stupore. Ero sconvolto, la mia giovane grazia divina non era pronta a simili visioni.
Quelli non erano riti: erano giochi perversi dei più disparati, anche se, a quanto si dice, gran parte delle volte si limitassero a orgie dove la dea si mescolava agli uomini di ogni terra.
Io non avevo mai conosciuto quella dea, l'avevo solo vista più volte nel Palazzo e ogni volta mi lanciava delle strane occhiate, come se immaginasse chissà che cosa con me a fare da protagonista. Lei era la dea di tutto ciò: della perversione e delle passioni carnali e forse dell'amore in ogni sua possibile forma. Quando il grande padre la creo pensò proprio a questo ruolo. Un ruolo adatto all'inclinazione degli umani, per liberare i propri istinti e dedicarsi alla carne.
Lei, per assecondare la sua posizione, possedeva il potere di mutare, cambiare aspetto. Il suo volto e il suo corpo potevano trasformarsi in qualsiasi momento e, ascoltando quanto dicevano i più, in qualsiasi cosa. Non era però dedita alla guerra e questo potere lo usava solo per mutarsi in uomo, o in donna, secondo le occasioni. Però nelle varie occasioni in cui incontrava gli dei, il suo aspetto era sempre il solito.
Appariva come una donna giovane e bella, dal fisico asciutto, quasi atletico, e la pelle rosea. I capelli erano lunghi e lisci, di un castano brillante, mentre gli occhi di tinta scura mutavano in continuazione. Inoltre era sempre vestita da uomo. Portava stretti pantaloni di pelle, nera soprattutto, e camicie immacolate sbottonate in più punti. Personalmente non posso dire con certezza che questo fosse il suo aspetto originale e neppure se fosse il suo genere, se mai sia nata con un aspetto e un genere. Posso assicurare che io l'ho vista quasi sempre in questo modo o comunque, l'ho sempre vista con quello sguardo perverso che scruta ogni cosa.
Durante i rituali, che si dividevano secondo il sesso delle persone presenti, lei mutava in continuazione il suo aspetto.
In quel momento si era appena scelta un partner con per continuare da soli, lasciando il gruppo restante a continuare il gioco di gruppo, quando i suoi occhi si mossero immediatamente individuando qualcosa in uno degli angoli della stanza. La pelle si fece fredda e ruvida e tutto il suo corpo s'irrigidì; poi l'attacco.
Il braccio destro scattò verso quel punto, cercando il bersaglio tra le decine di corpi presenti. Da robusto arto umano dalla pelle chiara si trasformò in serpente dalle tinte smeraldine. Questo saettò giungendo senza fallo alla vittima.
Il panico si creò nella sala di pietra illuminata appena dalle torce e ornata da mille tappeti e pellicce per evitare il freddo contatto tra la pelle e le pareti o il pavimento. Le persone schizzarono agli angoli, lontani da tutti, sia da quel serpente che si era mosso fulmineamente tra loro sia dal corpo probabilmente colpito. Urla, grida, lacrime e sguardi terrorizzati. Perfino quella donna, che si trovava sotto il corpo della dea, era immobile e incredula.
Manius ritirò il braccio e riacquistò, alzandosi, l'aspetto tipico con cui era facile incontrarla, quello con il quale era ricordata sulle statue. Il suo corpo nudo era illuminato appena ma la sua voce risuonò chiara tra quelle mura.
Come osi arrivare fin qui, profanando uno dei riti in mio onore?” era irritata e furiosa, quello sguardo sempre leggero e malizioso era ora carico di rabbia.
La figura allora si alzò, distinguendosi dall'ammasso di corpi che continuava a muoversi per allontanarsi. La luce era poca e i suoi contorni erano sfuocati. Si poteva dire che forse era una donna. Mentre rispondeva provò a coprirsi usando una delle pellicce che si trovavano a terra. “Hai un occhio attento. Pensavo di potermi introdurre liberamente in questi... 'riti', ma a quanto pare mi hai scoperto subito” rise un poco rivelando un tono acuto e spiacevole.
La dea perse una parte della sua rabbia acquisendo un tono meno duro ma ugualmente serio. “Puzzi. Certi odori saltano subito al naso. Non ho bisogno degli occhi, basta seguire la tua scia”.
Hai anche un bel coraggio a dire questo” disse offesa quella figura. “Forse il tuo naso ci ha fatto l'abitudine ma questa stanza non è certo un giardino di rose”.
Chiudi quella bocca!” esclamò Manius interrompendola. “Forse il tuo naso ci ha fatto l'abitudine ma è il tuo alito a puzzare tanto, Raffaella”. La dea sapeva già che il rito era ormai rovinato. Dopo un evento del genere le era passata la voglia di continuare. “Adesso vattene”
Gli uomini e le donne presenti nella sala sbiancarono e tentarono di nascondersi, muovendosi in massa alle spalle della divinità.
Non sei molto gentile e comunque non posso andarmene: sono qui per parlarti”
Non ho parole da spendere per te”
La sagoma soffiò scaldandosi per il tono della padrona di casa. “Aspetta che io abbia finito, prima di agitarti tanto. Sono solo poche parole”.

Maonis mi venne a svegliare prima che il sole sorgesse. Potevo dire che fosse ancora notte e il silenzio del Palazzo mi convinse di ciò.
La sua sagoma pelosa illuminata da una lanterna mi fece spaventare.
Il Grande Padre ti sta aspettando” mi disse solamente prima di mettersi a raccogliere i vari fogli e tomi sparsi a terra per ammucchiarli in un unico punto.
Se dovevo scrivere un riassunto delle vicende di Maonis mi sarei limitato a scrivere una storia dal titolo: “Il gatto grasso che imparò a parlare”. Alla fine era realmente così.
Era semplicemente un gatto troppo largo e lento per la sua specie, dal pelo nero e gli occhi cristallini. Sulla punta delle zampe aveva poi delle nuvole di bianco, sembravano degli schizzi di tintura sul pelo. Era una divinità anche lui ma nessuno se ne ricordava. Ricopriva il trono degli eccessi, però, ormai gli umani avevano preso l'abitudine di confondere questo ruolo con quelli già posseduti da Manius e arrivarono a dimenticarlo.
Maonis era comunque vivo e in pieno possesso dei suoi poteri. Era dispettoso e si mostrava agli uomini come un gatto affamato, smilzo e malridotto. Premiava chi si prendeva cura di lui e invece puniva chi lo allontanava, lo ignorava o sbeffeggiava. Alla fine, credo, possedesse dei poteri che andavano ben oltre il suo compito.
Rimaneva alla fine sempre un gatto, ruffiano e pigro, e passava gran parte del giorno a dormire nel Palazzo, soprattutto nelle mie stanze. Amava adagiarsi tra le pergamene e i libri rimanendo a farmi compagnia durante il lavoro. Io e lui eravamo in ottimi rapporti.
Quella notte mi ero addormentato sulla scrivania, usando un vecchio tomo ricoperto di pelliccia come cucino.
Se il Grande Padre voleva la mia presenza era per qualcosa di importante, forse voleva punirmi per il giorno precedente. Corsi tra le sale ancora mezzo addormentato e forse sbagliai strada più volte. Alla fine, comunque, giunsi davanti all'enorme cancello dalle porte celesti e piene di gemme incastonate, ognuna con un diverso colore brillante.
Il portone di apri da solo, lasciandomi entrare in una sala circolare. C'era un'aria strana, che inebriava la mia essenza. L'esistenza stessa di noi dei era confusa da quell'aria. La stanza era molto piccola, rotonda e decorata con figure divine sulla pietra. Sulla sinistra, subito dopo essere entrati c'era una sagoma. Era un cavallo, bello e perfetto, il cui corpo posteriore diventava quello di un serpente. Si ergeva sulla grande coda pronto a spaventare i nemici. Era il Servallo.
Alla destra, invece, c'era una sagoma diversa. Era un serpente, con le fauci spalancate e pronte a divorare una preda. Il suo corpo, circa a metà, si trasformava in una figura equina. Possedeva il corpo posteriore di un cavallo mentre busto e testa erano di serpente. Era il Servallo.
Nessuno poteva dire con certezza quale fosse la sua reale rappresentazione, noi sapevamo solo che il Servallo era nato dall'unione impura di un cavallo con una serpe. Come fosse il figlio era un mistero anche per noi divinità. Solo il nostro Grande Padre poteva saperlo e sospettavamo tacitamente tutti che lui stesso fosse il figlio di tale unione, custode di tutti i segreti del mondo.
Il pavimento era concavo, a formare una mezza sfera riempita d'acqua. Al centro c'era una piattaforma rialzata sulla quale dovevamo ogni volta salire.
Come al solito lo feci, cercando di bagnarmi il meno possibile. Appena fui sopra quell'altare, l'aria nebbiosa del santuario, si chiuse attorno a me raggiungendo lo spiraglio più profondo del mio spirito.
Hamuhamu” sospirò una voce. Quella parola risuonò nella mia mente.
Lui parlava con i suoi figli in maniere sempre diverse, per assecondare la loro natura. A Manius parlava tramite delle sensazioni, a Katyana tramite dei sapori e a me sembrava di leggere delle parole scritte, non che esse ci fossero veramente, ovvio.
Quello con cui mi aveva chiamato era il mio nome ancestrale, che usavamo solamente nelle occasioni solenni.
Non risposi: quel richiamo serviva a fare in modo che entrassi in contatto con lui.
Devi fare un piacere a me e ai tuoi fratelli” continuò. Io, a quel punto, mi rilassai, abbandonando l'agitazione iniziale. Ero sollevato dal sapere che non mi aveva chiamato per la mia lotta contro il demone.
Ditemi, Grande Padre”
Sta per accadere qualcosa. Devi abbandonare le tue stanze e sopravvivere”.
Perché questo, Grande Padre? Non riesco a capire”.
Attesi alcuni interminabili secondi la sua risposta.
Devi essere testimone degli eventi, Hamuhamu. Tu devi poter tornare e scrivere tutto ciò che hai visto”.
Sta per scoppiare una guerra, Grande Padre?”.
Non posso prevederlo, Hamuhamu. Neppure io posso vedere quello che accadrà con certezza. Il destino è mutevole. C'è un desiderio di vendetta, un antico rancore, che ha covato a lungo nel cuore del suo portatore e ora vuole risvegliarsi”.
Rimasi confuso. Non capivo cosa sarebbe potuto accadere. Forse stava per nascere un'altra inutile grande guerra tra gli uomini, cosa che io ogni volta dovevo osservare e descrivere con minuzia per gli archivi del Palazzo divino.
Mentre pensavo a queste cose, a capo chino, lui continuò: “Stai attento, Hamuhamu”.
A questo punto interruppe la nostra conversazione. Quando riaprii gli occhi, chiusi un attimo prima, mi trovai davanti alle porte di cristallo. Fuori dalla stanza circolare, con il portone ben chiuso. Nessuno poteva entrare senza essere chiamato.
Il Grande Padre non era né onnipotente né onnisciente, questo era certo. Lui era solo una creatura ancestrale, saggia e potente. Aveva creato noi dei, con i suoi poteri, per tenere sotto controllo il mondo affinché non cadesse nell'oblio del caos.
Rimasi paralizzato. Se un desiderio così grande stava per risvegliarsi, una cosa che lui non riusciva a controllare o prevedere, doveva trattarsi di qualcosa di grande e grave allo stesso tempo. Per un istante pensai che non solo gli uomini ne fossero coinvolti ma subito allontanai quell'idea.
Chi mai poteva puntare a noi dei?
Non avvertii nessuno, non ce n'era bisogno. Se il pericolo avesse riguardato gli altri allora il Grande Padre stesso li avrebbe chiamati. Io dovevo solo stare attento, ora. Scrutare l'orizzonte e informarmi su ogni cosa.
Corsi immediatamente verso le porte del Palazzo. La mia sagoma scivolava tra corridoi e saloni come se fosse una brezza leggera entrata da qualche apertura. Mi fermai solamente dopo aver superato il varco.
Il Palazzo divino, dalla facciata di pietra bianca si trovava su una montagna di roccia chiara, tinta di un grigio omogeneo. L'intera reggia era retta nel cielo dalla divina essenza stessa del Grande Padre e protetta da alcune leggere barriere. Non era raro, comunque, che alcuni demoni lo raggiungessero, approdando al molo di pietra.
Il molo era la parte più bassa del castello. Era un lungo braccio di pietra che conduceva a una strada in ripida salita, tra scalinate e piccoli santuari, alla fine della quale stava il Palazzo. Lo si poteva raggiungere usando dei portali magici o dei varchi casuali creati dalle distorsioni residue dopo un incantesimo di immane potenza. Qualsiasi strada, comunque, avrebbe condotto solo al molo di pietra; la stessa magia del Grande Padre rendeva quello l'unico approdo.
Dopo il molo c'era una lunga scalinata che seguiva inizialmente una linea retta e poi cambiava muovendosi appoggiata alle pareti rocciose. Dopo di essa c'era uno spiazzo, coperto di fiori e erba. Lì stava sempre Revery, colei che era incaricata di fare da guardiana e custode del regno divino. Nessuno poteva passare senza aver avuto il suo consenso.
Stava sempre appoggiata con la schiena a qualche colonna lucida e coperta di edera, oppure seduta ai piedi del grande e vecchio melo che stava ai margini del giardino. Sorrideva inizialmente chiedendo una presentazione agli estranei.
Io arrivai sulla cima dell'ultima scalinata, quella che portava alle porte del Palazzo dal quale ero appena uscito. Con una certa fretta raccolsi cinque sassolini da terra. Li strinsi con forza tra le mie mani infondendovi la mia energia affinché questi si trasformassero nei miei informatori. Quando aprii i palmi avevano assunto delle perfette forme sferiche, di diverse grandezze e iniziavano a mutarsi nella creatura finale. Cinque occhi.
Cinque bulbi oculati di colore azzurro che si sollevarono in aria e iniziarono a muoversi freneticamente. Erano appena diventati le mie spie.
Il Grande Padre mi aveva fatto questo dono. Mi aveva concesso la facoltà di avere occhi sempre vigili al mio servizio, nel verso senso del termine. Li avrei mandati nel mondo degli uomini a guardare dall'alto ogni cosa. Qualsiasi informazione raccolta si sarebbe aggiunta direttamente alla mia memoria. Seguendo un mio gesto, con il quale indicai ai miei tesori il mondo sottostante, i cinque osservatori scattarono verso il basso, sparendo presto dalla mia vista.
Pensai che forse nemmeno la guardiana si sarebbe accorta del loro passaggio.
Ora erano diretti in cinque luoghi diversi per guardare, nascosti, ogni cosa e poi spostarsi altrove. Si sarebbero fermati in alto, nel cielo, non tanto in alto da sfiorare le nubi ma neppure così bassi da farsi vedere dalle sentinelle delle torri. Loro sarebbero restati a metà e avrebbero monitorato tutto.
Dopo averli lasciati andare sorrisi. Ora nulla poteva accadere senza che io me ne accorgessi.

Nel frattempo al tempio di Porcias le cose sembravano essere alla svolta finale.
La notte stava perdendo le sue tinte nere, segno che si approssimava il sorgere del sole.
Il tempio era avvolto in uno strano silenzio. I fedeli erano tutti rimasti all'interno, protetti dalla benedizione di Manius. La dea, invece, aveva condotto il combattimento al fine di portare la propria avversaria all'esterno. Non voleva che i suoi servitori si danneggiassero in quello stupido scontro.
Facendosi inseguire, e lanciando rapide offese, aveva portato Raffaella nello spiazzo davanti al santuario.
Porcias si trovava in una radura ricoperta d'erba giallastra. Era piccolo e dalla base esagonale, sulla quale poi si sviluppava per una decina di metri d'altezza. Il grosso del complesso era sotterraneo, nelle sale adibite ai riti. La dea non ha mai richiesto dello sfarzo o delle decorazioni particolari, voleva solo essere in un luogo nascosto e riservato. C'erano le luci provenienti da qualche cittadina poco lontana, dalla quale venivano i fedeli, che si stava svegliando.
Manius sospirò. Quell'avversaria si era dimostrata coriacea e furba, e lei, che non amava il combattimento, era stata costretta a lottare troppo. Il suo braccio destro era diventato una frusta nera, sulla cui estremità era montata una punta, che ora sferzava l'aria nel vano tentativo di ferire quell'intrusa. Quando anche quella serie di colpi terminò, Raffaella poté finalmente fermarsi.
Guardandola adesso non sembrava più una donna. Il volto era spigoloso e chiaramente maschile, e il trucco pesante stava venendo via a causa del sudore. Anche il suo corpo, incredibilmente magro, assomigliava a quello di un uomo, comunque lei voleva che si usasse il femminile nei suoi riguardi. La pelliccia che aveva preso ora era legata intorno alla vita, per avere un minimo di decenza.
Raffaella era stata la dea del fallimento. Le persone si rivolgevano a lei affinché non portasse alla rovina i loro progetti. Alla fine, impazzì e, indifferentemente dai doni e dalle preghiere, si divertiva a distruggere qualsiasi cosa. Fu questo il motivo che portò il Grande Padre a cacciarla dal Palazzo. Io non riuscii a conoscerla ma non ho mai avuto nessun interesse nei suoi confronti.
Ora era in piedi, visibilmente stancata dallo scontro, ma con poche ferite.
Manius sembrava ancora carica di energie, immobile anche mentre la lunga frusta tornava a essere un semplice braccio. Aveva addosso il completo classico con il quale veniva alle riunioni divine, magicamente apparso sulle sue carni in qualche momento della lotta.
La dea era stupita di quanta forza potesse possedere un non-più-dio, cacciato dal pantheon. Alla fine, pensò, l'essenza divina continua a permeare il corpo rendendolo comunque potente. Non era al pari di un dio, se ne accorgeva, e se solo lei non avesse odiato così tanto il sangue e la lotta a questo punto la sua nemica sarebbe già caduta priva di vita in qualche punto del campo.
Durante lo scontro però avevano parlato, o meglio, la non-più-dea, era riuscita a dire ciò che voleva alla divinità protettrice del tempio.
La tua proposta non mi interessa” esclamò come fosse una risposta scontata. La sua avversaria sembrò comunque sorpresa.
Peccato, spero comunque di essere la benvenuta nei tuoi templi e nei...” il tono di Raffaella di fece più malizioso e provocante “...tuoi riti”.
Manius non si mosse, solo la sua bocca acquistò un'espressione contrariata, quasi disgustata. “Tu non sei mai stata la benvenuta e mai lo sarai!”
Peccato... tanto vale morire!” esclamò lanciandosi in un'ultima carica, facilmente prevedibile, verso la dea. Questa non si fece sorprendere né pensò troppo alla sua reazione: il suo braccio si portò in avanti in affondo trasformandosi in una lunga e resistente lancia che incontrò presto le carni della nemica in corsa. L'asta era lunga almeno cinque metri ma la dea teneva sollevato il braccio trasformato senza alcuna difficoltà, anche mentre il corpo di Raffaella scivolava lungo l'asse di legno verso Manius.
Ormai aveva vinto, in modo anche troppo facile. Uno scontro così arduo terminato in tale maniera? La dea si dimostrò sospettosa e furba rimanendo fuori dal santuario a scrutare, aspettandosi una trappola. Il tempo passava ma non accadeva niente. Lei lanciava le occhiate a quel corpo morto immobile e attorno a sé, scrutando l'erba mossa dal vento.
Era tutto talmente tranquillo che si convinse che non doveva trattarsi di una trappola.
Manius era comunque agitata, scossa fin nella più piccola piega della sua anima. Si accorse che era qualcosa di strano, troppo strano.
Ne avrebbe parlato con il Grande Padre.

Quando arrivò il mattino, con quel grande sole che compariva all'improvviso, Manius era già nella stanza circolare.
Il suo corpo era avvolto dalla nebbia e sentiva i messaggi del Grande Padre direttamente sulla pelle, come emozioni che invadevano il suo corpo. Forse comunque lui comunicava con la voce come a tutti, eravamo noi a 'sentirlo' in maniere differenti. Stavano parlando da qualche minuto e già si erano detti molte cose.
Amai, capisco quello che mi dici. Ho sentito dentro il tuo animo questa preoccupazione”.
Possibile che una divinità decaduta possegga tutto questo potere?” domandò lei.
La stessa essenza divina che permea una divinità è sede del potere. Anche se viene privata del titolo e della benedizione, una dea è sempre una dea”.
Credo che sarebbe opportuno stanarla e chiarire i conti”. Anche se la cosa la riguardava poco, o solo in parte, Manius, rispettava tutti i compiti divini tra cui anche il mantenimento della pace tra i mondi.
Credevo che tu l'avessi uccisa”
Lei rimase un po' stupita, quasi si aspettasse un'altra reazione. “Si, Grande Padre, ma sono convinta che fosse solo un corpo posseduto dal suo spirito”.
Ah!” sospirò il Grande Padre, allo stesso modo di un vecchio dopo che gli viene ricordata una cosa che già sapeva. “Avevo letto anche questo nel tuo animo”.

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Ringrazio per le recensioni ricevute.
Ringrazio Kanako91 per le correzioni e i complimenti. Sono sempre stato un po' poco attento a questi particolari ^o^ è un bene che qualcuno lo faccia notare.
Ringrazio anche Land of Dreams per aver inserito la storia tra le seguite ^o^
E ringrazio Cleo92 per i complimenti.

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Capitolo 3
*** Incontri inaspettati ***


Capitolo 3 – Incontri inaspettati

Era passato un intero giorno, ma i miei occhi non avevano scorto nulla di realmente interessante.
Il fatto che il Grande Padre mi avesse dato quel compito mi portava a essere irrequieto e sempre in movimento. Era ormai il primo pomeriggio, quasi l'ora di pranzare e io continuavo a girare errando tra le sale del Palazzo. Tenevo vivo il legame con gli osservatori ma era tutto inutile. Fu in quel momento, passando nel solito lungo corridoio a est, che la incontrai.
Quella dea stava camminando nella direzione contraria alla mia e me ne accorsi solo poco prima di passarle accanto. In quel momento alzai gli occhi e la fissai. Non sapevo come mi fosse preso, forse la sorpresa, mi portò a fermarmi seguendola con lo sguardo. Manius non ne fu molto felice.
Pure lei si fermò, “Cosa cerchi, ragazzino?” mi chiese. Io non sapevo proprio come rispondere.
Anche se i miei rapporti con altri dei erano stati rari, e ne conoscevo davvero pochi, nessuno si era rivolto a me (un dio!) con quel tono.
Sospirai lanciando uno sguardo fuori dalla vetrata, al di là del giardino. Un po' per vedere ciò che stava accendo nel mondo umano un po' per non incrociare il suo sguardo perverso. “Non voglio nulla da te, Manius” risposi con tono tranquillo, benché mi seccasse un simile affronto.
Lei scosse il capo, finalmente voltandosi. “Non ti ho chiesto cosa vuoi da me, Ham. È normale che al passaggio di una dea del mio calibro tu rimanga incantato” sorrise e io non capii se fosse una battuta “Ti ho chiesto cosa cerchi. Stai vagando come un cane randagio per il Palazzo”.
Rimasi in silenzio qualche secondo. Cosa potevo risponderle? Che cercavo un evento? Una risposta così non era degna neppure di essere pronunciata.
Allora?” mi domandò giocando con le dita con la lunga collana di perle che teneva al collo.
Mi girai lentamente, guardando sempre verso il mondo al di là del giardino.
Sto scrutando il mondo”.
Lei subito ribatté: “E questo ti crea così tanta agitazione?”.
No, è solo che il Grande Padre mi ha detto che sarebbe accaduto qualcosa”.
Che cosa?” in un attimo, le sue dita scivolarono via dalla collana lasciandola libera. “Cosa accadrà?”
Io scossi la testa alzando lo sguardo. “Non lo so. Mi ha detto che accadrà qualcosa di strano, qualcosa che riguarda un antico rancore. Neppure lui sapeva prevedere con certezza lo scorrere degli eventi”. Davanti a lei, in quel momento, mi ero improvvisamente sciolto, lasciando che le parole uscissero liberamente dalla mia bocca. “Io ho inviato degli osservatori ma non riesco a stare fermo, potrebbe accadere da un momento all'altro, qualsiasi cosa sia”.
Lei non mi lasciò finire. Ciò che volevo dire fu stroncato da un solo dito. Il suo indice sinistro si posò sulle mie labbra zittendole. “Non stare in attesa” mi disse con una voce molto più femminile del solito “se aspetti non accadrà mai. Rilassati ma stai in guardia, l'importante è che non ti colga di sorpresa, hai capito? Nel frattempo puoi anche dedicarti ad altro e non sei costretto a girovagare come un'anima in pena, cosa che non ti dona”.
Quel 'che non ti dona' risuonò un po' nelle mie orecchie. Avevo capito tutto ciò che aveva detto e in fin dei conti aveva ragione, ma non volevo assolutamente pensare a cosa mi donasse secondo la sua perversa visione delle cose. In quel momento quel pensiero riempì la mia testa.
Quindi vai a divertirti. Anzi, se ti va puoi anche passare a partecipare a qualche rito nei miei templi, sai?”. Mi ammiccò in maniera sarcastica, sapeva meglio di me la mia risposta.
Io scossi il capo e mi aiutai con le mani a far arrivare il messaggio. Non se ne parlava proprio. “No, grazie”, sorrisi in maniera imbarazzata. Solo il pensiero mi rendeva agitato.
Vabbè, se ti va sai dove trovarci. Ci vediamo, ragazzino!” io non risposi e la sua sagoma scivolò lungo il salone sparendo tra i giochi di luce che filtravano dalle vetrate.
Manius a quel puntò capì che i suoi sospetti erano fondati. Alla fine Raffaella non era stata un caso e la sua proposta iniziava ad avere un senso. Doveva subito parlarne con qualche divinità di cui si fidava.
Io rimasi lì, a guardare all'esterno. Sapevo di dover seguire i suoi consigli, eppure non ci riuscivo. Persino il mio sangue sembrava volermi lasciare questo chiaro messaggio: sta per accadere qualcosa. Per quanto mi agitassi le cose non sarebbero cambiate, tanto valeva distrarmi finché non fosse accaduto.

A mia insaputa, la cosa più interessante della giornata stava invece accadendo poco distante da me, alle porte del regno divino.
Un demone abbastanza potente e coraggioso, o folle, aveva osato profanare il suolo sacro. Aveva l'aspetto di un vecchio, avvolto in una raffinato mantello nero dai bordi rossi. La poca pelle visibile era di un colore candido, troppo.
Revery si alzò dalla sua comoda posizione sotto il melo chiedendo una presentazione. L'ospite non rispose. Lei allora lo domandò più forte: “Vogliate presentarvi o l'accesso vi sarà negato”.
Lui sorrise, sotto quel cappuccio. “Sono un viaggiatore solitario”.
Sembra che l'essenza stessa dei demoni fosse desiderosa di ricevere morte per mano divina, altrimenti non si spiega perché gran parte dei membri di questa razza si recasse alle porte del regno per entrare, oppure andasse a profanare i tempi. Avevano come la morbosa voglia di essere annientati da un dio, come se fosse l'unica cosa a poterli redimere.
Demone che bussi alla mia porta, vattene prima che decida di punirti”.
Tu non puoi uccidermi”. Lo dicevano tutti, anche un attimo prima di venire schiacciati da un'enorme pressa. Erano davvero folli, questi demoni.
L'anello divino che teneva al dito indice della mano destra iniziò a vibrare. Quella era l'arma di Revery; l'arma capace di controllare il vento. Con un gesto distratto puntò il demone scagliando la sua offensiva: un qualcosa di invisibile che di solito creava enormi buchi nel corpo della vittima, una cosa molto simile a dei proiettili di sola aria.
In quel caso, quel qualcosa, si infranse contro un qualcos'altro altrettanto invisibile, senza che il vecchio si muovesse. Probabilmente una barriera talmente forte da resistere all'assalto di un dio.
L'impatto creò solo un leggero movimento d'aria che fece dondolare i fiori del giardino.
A quel punto la dea si accorse che quel demone aveva qualcosa di diverso. Era più forte, stranamente forte. Anche se può sembrare una sciocchezza, il solo resistere a quel gesto distratto era un'impresa da eroi, non da corpi posseduti.
Capisci cosa intendo?”
Con quel sorriso innocente, Revery, evitò di rispondere. Si spostò i capelli color cenere dietro alle orecchie e si sistemò i piccoli occhiali sul naso. “Una barriera è uno scherzo. Chissà se resisterai a questo!” esclamò.
Smettila!” la interruppe la figura.
La dea si stizzì. Come osava quella bestia rivolgersi a lei con tanta confidenza? Ciò che Revery non notò era quella voce femminile, che aveva contrassegnato la frase. La donna alla fine si abbassò il cappuccio, stupendo forse la sua interlocutrice. Aveva un volto infantile, liscio e dagli occhi allegri di un vivace color oro. La bocca sorrideva mettendo in evidenza gli zigomi alti; tutt'intorno c'erano boccoli castani che dondolavano in continuazione. Adesso non sembrava più un demone.
Revery, per uccidere un nemico di tale calibro, avrebbe dovuto usare la sua piena forza e non solo un quinto di essa, come aveva fatto fin'ora.
Si morse il labbro inferiore senza però farsi troppo male, la guardiana, sorridendo appena alla fine.
Ora capisco perché i miei attacchi a prova di demone non ti avevano ferita, Elian”.
Elian, l'intrusa, ricambiò il ghigno. “Attacchi a prova di demone? Credevo fossero mosse per sopperire al caldo, non avrei mai pensato che le tue magie fossero così scarse”. Un gioco di provocazioni che avrebbero portato ben presto Revery sulla strada della rabbia accecante. Per ora si tratteneva, stringendo appena i pugni e rimanendo immobile.
Sono venuta per parlare con il Grande Padre. Questa volta dovrà accontentare le mie richieste”.
Revery inarcò le sopracciglia. “Altrimenti?” chiese infine.
Elian sorrise, come per prendersi gioco di lei, e rispose: “Perché altrimenti mi arrabbio”.
Elian era una divinità malvagia. Non bisogna inquadrarla come una padrona di demoni o qualcosa del genere, lei era solo ostile agli uomini e nel pantheon non era l'unica. Il suo compito era quello di regolare la vita delle donne, modificandone lo sviluppo o i cicli, e poi controllarne la gravidanza. Era però così dispettosa e sadica causare nelle vittime che attiravano la sua collera le peggiori cose. Si divertiva a influire sui cicli in maniera molto negativa, poteva far iniziare gravidanze fasulle o, peggio ancora, far nascere bambini morti. Il Grande Padre sopportava la presenza di una tale dea, ma l'aveva cacciata dal Palazzo e questo lei non sera riuscita ad accettarlo.
Si presentava spesso chiedendo udienze che terminavano sempre con un'ulteriore cacciata dal regno divino, anche se il più delle volte neppure avvenivano.
Revery aveva avuto molte volte a che fare con lei ma si era stupita, siccome ormai era moltissimo tempo che non compariva più ed era arrivata a pensare che Elian avesse gettato la spugna.
Il suono di passi sorprese entrambe. Gli dei hanno percezioni fuori dal comune ma si stupirono si sentire che qualcuno si era avvicinato tanto senza farsi scoprire. Elian guardò al di là della guardiana, sgranando gli occhi, puntando la scalinata che conduceva alla strada per il Palazzo, Revery si voltò un poco, visibilmente sorpresa.
Con delle scarpette rosse, molto graziose, la dea delle bolle le stava raggiungendo tenendo in mano un vassoio con tazzine e una brocca decorate tutti con il medesimo disegno di fiori rosa sulla ceramica bianca. Il vestito era sempre lo stesso, quel completo sbracciato che terminava con una svolazzante gonna. I suoi capelli, questa volta, erano anche sulle spalle e finivano inevitabilmente sul suo petto poco sviluppato. Si fermò raggiunto il giardino, sorrise innocentemente e le invitò entrambe con voce gentile: “Vi ho portato qualcosa da bere. È quasi ora di pranzo e il sole è molto alto. Penso che questa bevanda possa rinfrescare entrambe”.
Diceva tutto come se la cosa la riguardasse appena, senza sguardi ostili ma solo uno strano entusiasmo.
Le altre due si ripresero lentamente, continuando a domandarsi come fosse giunta fin lì senza fare rumore.
Siccome nessuno osava parlare, Chube giunse fino a un tavolino di pietra posto all'ombra del porticato, dove la dea era solita mangiare o leggere, e vi posò il vassoio. Il giardino di Revery era molto grazioso, oltre alla parte con i fiori e il melo possedeva, nella parte destra arrivando dal molo un porticato sorretto da alcune colonne bianche e posato a un alta parete rocciosa grigia e liscia. Quando il sole era troppo forte e neppure il melo poteva fare qualcosa, la dea si sedeva lì, oppure lo usava per leggere o rilassarsi.
Elian, il Grande Padre non ti darà udienza” aggiunse poi come se fosse una cosa naturale o uno pettegolezzo. Se Chube aveva detto una cosa simile significava che era vera. Probabilmente il Grande Padre si era accorto di lei e aveva già inviato una risposta.
L'intrusa sospirò più volte, trattenendo la rabbia ma acquisendo un'espressione comunque carica d'ira. Si rilassò di colpo, assumendo un tono sarcastico.
Tsè. Dovrà ascoltarmi, prima o poi. Tornerò fra qualche giorno”.
Revery le apparve davanti, come se fosse una sfida. “Sarà tutto inutile”.
Speralo, mia cara”. Rispose l'altra. Detto ciò si voltò di scatto e prese la strada che l'avrebbe condotta al mondo umano, senza nessun saluto o gesto particolare.
Chube scosse la testa chiamandola a gran voce: “Non vuoi una tazza di tè?” Ma Elian era già sparita altrove.

Io mi ero diretto verso le stanze di Katyana. Gli dei non provano fame, se non dopo un lungo digiuno, ma l'appetito li coglie tutti nella stessa maniera.
Come se manovrato da un perfetto orologio, il mio corpo, all'ora stabilità iniziò a brontolare costringendomi a cercare cibo.
La dea dei dolci aveva una serie di stanze candide, nella parte ovest del Palazzo. C'erano la sua camera, il suo salotto e l'unica cucina di tutto il regno divino. Possedeva anche un grande terrazzo, dove c'era un giardino segreto. Lì lei coltivava qualsiasi tipo di pianta che desse frutti utili, qualsiasi. Io l'avevo sempre creduto un giardino infinito ma lei mi contraddiceva ogni volta.
Quel giorno arrivai alle cucine dal grande arco che dava sul corridoio ovest, chiamandola. Lei era lì, in quella stanza, mentre sfornava qualche cosa. I miei occhi lo fissarono mentre mi rispondeva in qualche modo cordiale.
Sembra buono” commentai avvicinandomi. Aveva l'aspetto di una torta dal colore tra il giallo e il marrone, con pezzi di frutta giallastra ovunque sulla sua superficie, il tutto tenuto in una teglia rossa e logora.
Giù gli occhi e le mani, Ham. Questo è per oggi”. Non c'erano mai ricorrenze, anche perché nessuno sapeva con esattezza quando fossero nati gli dei. Lei preparava semplicemente ogni giorno qualcosa, perché amava farlo, e ce lo serviva. Se era per oggi non potevo contraddirla.
E per ora che cosa c'è?”
Lei sorrise, sapevo già che cosa significava. Mi avrebbe parlato di qualcosa di nuovo, originale, o che aveva provato per la prima volta. Aveva sempre quell'aria sognante mentre diceva quelle cose.
Ho provato una nuova ricetta. Devi provarla”.
Che cos'è?”.
Tu mangiala. Poi scoprirai”. Ridacchiò.

Il mattino seguente, alla buon'ora, mi risvegliai nel mio studio. Non ricordavo bene come ci fossi arrivato ma avevo chiara in mente l'immagine di me che passava la sua serata a scrutare l'orizzonte, ciò che stava al di là del giardino.
Tutto era tinto di uno strano bianco. Non era puro e lo si poteva ben notare, sembrava voler essere azzurro ma lo accennava appena.
Scesi dal letto ancora per metà addormentato, Maonis giunse silenzioso ai piedi del letto.
Non preoccuparti così tanto, dovresti rilassarti e aspettare”.
Appena sveglio non sono molto cordiale, neppure con gli animali divini.
Non sei la prima persona che lo dice, tanto lo sai benissimo che non farò altrimenti”.
Lui sbadigliò mostrandomi la sua grande bocca e poi saltò sul letto cercando un angolo morbido. Io andai a vestirmi.
Quando tornai nella mia camera da letto, ampia e con molti libri sparsi a terra, trovai una visione ben diversa da quella che mi sarei aspettato. A terrà c'era Maonis che chiedeva spiegazione e sul mio letto stava Manius, nel vano tentativo di zittire il gatto.
Sobbalzai per la sorpresa. “Cosa ci fai? Come sei entrata?”
Lei ghignò. “Ero qui anche prima, non mi hai visto?”
Iniziai ad avere uno strano sospetto che si confermò con la successiva esclamazione di Maonis.
Questa tizia mi ruba l'aspetto!” era pur sempre un gatto e ci teneva alla sua unicità. Dunque costei si era introdotta nella mia stanza fingendosi un altro dio. Con cui avevo anche parlato.
Tu volevi spiarlo” sospirò il micio rotolandosi a terra con fare indifferente.
Lei sbuffò stendendosi sul mio letto. “Tsè, figurati. Se devo vedere quelle cose, tanto vale che lo chiedo ai miei fedeli. Mica sono una segretaria”.
Forse per il fatto che mi ero appena svegliato, oppure per la provocazione che mi aveva appena lanciato, io risposi in maniera indispettita. “Certo, tu sei una ...”
Bada alle tue parole, ragazzino!” esclamò interrompendomi. Effettivamente me ne sarei pentito amaramente nel caso avessi terminato la frase. Provai così a tranquillizzarmi e pensare a qualche domanda meno rischiosa.
Perché sei qui?”
Sono venuta a darti delle informazioni. Eri tanto agitato che ho pensato fosse giusto informarti”.
Cosa sai?”
Lei sorrise perversamente, cambiando posizione e sedendosi infine sulla parte finale del materasso. Maonis stava ormai riposando, appisolato a terra.
Beh, sono successe varie cose: innanzitutto Raffaella, spero tu sappia chi è, mi ha assalito durante un rituale” nel dire questo la sua espressione muto, come se scoppiasse di rabbia. Il suo intervento forse l'aveva infastidita un poco. “Secondo, ieri Elian ha bussato alle porte del paradiso, desidera tornare armata fino ai denti” ridacchiò.
Mi grattai la nuca pensieroso. “Come sai queste cose?”
Dovrei essere cieca, sorda e stupida per non accorgermi di una fallita che si intrufola in un ”.
No, la seconda cosa” insistei.
Lei rise ancora, lasciandosi di nuovo cadere a corpo morto sul letto.
Vedi, ragazzino, basterebbe guardarsi intorno piuttosto che agitarsi tanto. Sono notizie che riecheggiano con forza tra le sale del Palazzo”. Aveva perfettamente ragione, se fossi stato più presente sarei anche potuto intervenire. Ora però come affrontare le due cose.
Adesso devi solo scegliere: scovare la fallita che gioca con le marionette oppure scoprire le intenzioni della dea caduta”. Era un bel problema. Perché sono accaduti entrambi i fatti? Mi chiesi. Se solo avessi qualche indizio in più. 'Desiderio di vendetta', entrambe le apparizioni ne avevano il sapore. Erano tutte e due presenze scacciate dal paradiso.
Ringraziai la dea delle informazioni, nel modo più educato possibile sparendo poi tra le altre stanze del Palazzo. Lasciandola lì, da sola in camera mia.

Stavo camminando per un corridoio centrale, circondato da porte e drappi su entrambi i lati, quando la sagoma di Lorissy mi venne contro. Non era sudato, né visibilmente agitato, pensai che comunque aveva fatto un lungo percorso correndo per raggiungermi. Nel momento in cui quel corpo immenso e forte mi si parò davanti ebbi un brivido che scomparve nel giro di alcuni secondi.
Hamuhamu” sospirò. Benché fosse stato pronunciato da una voce tanto grave mi sembrò che fosse il miglior suono del mondo. Non per sembrare incredibilmente stupido, ma chiunque avesse pronunciato quella parola, fosse anche stato un demone, io l'avrei apprezzato e mi sarei sentito pervaso da una strana eccitazione. Gli uomini, nel rivolgersi alle divinità usando sempre i loro nomi antichi, ma tra le caste divine questo non avviene mai; quindi sentire un mio simile, o quasi, trattarmi con tanto riguardo non potevo che sentirmi gioioso poiché rappresentava il rispetto provato nei miei confronti.
Dimmi, Lorissy”. Io non volevo concedergli un simile lusso, soprattutto perché avrebbe sminuito la mia divina essenza agli occhi di un mezzo dio.
Santus Porkias mi ha detto di chiamarla, ha una cosa da dirle” quel nome tanto strano non era altro che l'arcano di Revery.
Se riguarda l'apparizione di Elian ringraziala per la premura, ma sono già al corrente dei fatti”. Risposi con modo gentile.
Lui però era molto insistente, come se avesse l'intenzione di trascinarmi a forza. “Si tratta anche di altro. La mia padrona ha un compito da assegnarle”. Concluse.
Adesso sì che ero interessato. Dovevo subito seguirlo fino a lei.

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Oh, Kanako91, mi fa molto piacere (forse immagini quanto sia gratificante) che trovi le mie idee interessanti e originali. Il tuo appunto sul pezzo del santuario e gli occhi di Ham mi ha colpito e forse mettendola in quel modo potevo sviluppare la storia in modo diverso (dico così perchè in realtà a scrivere sono già alla fine del primo atto °o°) Beh, come si deduce da questo capitolo: Ham in realtà non lo sa dell'intervento di Raffaella. I  rituali sono svolti in luoghi talmente protetti o segreti che anche gli occhi del dio faticano a trovare. Il fatto che si metta a narrare cose che non conosce può essere giustificato in più modi (per esempio: essendo la storia al passato, può essere che lui stia narrando questa guerra una volta finita e dunque si sia informato sui fatti delle altre divinità; è un archivista dopo tutto xD); spero di non aver deluso o confuso le tue idee.

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Capitolo 4
*** Trasformazione ***


Capitolo 4 – Trasformazione

Devo chiederti un favore”. Sospirò appena mi vide vicino.
Io sorrisi anche se non avevo idea di cosa si trattasse. “Dimmi, Revery”.
Elian ieri è venuta a farmi visita e ha promesso che sarebbe tornata. Credo nasconda qualcosa e che questa sua lunga assenza negli ultimi tempi sia giustificata da un segreto pericoloso. Vorrei che tu andassi a cercare, vorrei che tu scoprissi il più possibile prima che ritorni, svelando in caso il suo piano segreto”. Il termine 'piano segreto' faceva molto cattivo dei racconti, ma in quel momento non ci pensai. Mi confuse però il fatto che mi volesse mandare a 'cercare' qualcosa di imprecisato.
Senza accettare o rifiutare domandai: “Perché non invii Lorissy?”.
Avevo una grande stima di Revery ma in quel momento, maliziosamente mi venne da pensare alla risposta “Perché non vorrei che il mio passatempo da letto si rovinasse”, invece ciò che disse ebbe un senso.
Lorissy da solo non può fronteggiare una dea del calibro di Elian, se mai fosse scoperto, e non possiede neppure le tue doti di ricerca. Ti accompagnerà, comunque”.
Mossi la mia mano in aria, facendole capire che quella compagnia non era molto gradita. “Da solo posso più che cavarmela”.
Due sono meglio di uno”. Rispose lei con estrema rapidità. Mi sembrò che questa frase la tenesse in serbo dall'inizio, dopo aver previsto le mie risposte. Non potei che acconsentire: mentre i miei osservatori concentravano le energie su Raffaella, provando a stanarla., io di persona mi sarei recato nel mondo a cercare l'altra. Un affare interessante, così da tenere sott'occhio entrambe. Prima di andarmene nelle mie stanze, per prendere il necessario per partire, posi un ultimo quesito: “Sei così preoccupata? Pensi che sia davvero necessario? Secondo me è una burla come sempre”.
Lei scosse la testa chinandola. “No. Questa volta era il suo spirito a mandare chiari messaggi e ci sono troppe coincidenze. Se poi ti accorgi che non è nulla tanto meglio”. Rialzò il volto verso di me sorridendo in modo gentile. Il suo era l'unico volto a cambiare espressione così rapidamente, passando dal cortese all'aggressivo, dal triste al gioioso.

Se dovevamo partire pensai che fosse meglio evitare rogne cercando un travestimento appropriato. Anche se lui era un semi-dio e io un dio segretario, entrambi avevamo fama tra gli uomini. Non potevamo nascondere i nostri volti per sempre e neppure stare distanti dalle città o i villaggi, per cui mi rivolsi all'unica persona che poteva aiutarmi.
"Che proposta buffa". commentò Manius quando sentì le mie parole. "E pensate davvero che io possa trasformarvi?". Lorissy sembrava avere dei dubbi ma io ne ero certo.
"Sì, puoi. Te ne prego, trasformaci in quel che vuoi ma cambia il nostro aspetto".
Lei ghignò, con aria perversa. "Posso anche mutarvi in una scimmia e un pettine?".
"No. Qualunque cosa, purché umana". risposi leggermente scocciato. non volevo inimicarmi quella dea, siccome era l'unica possibilità di salvezza, ma quel suo umorismo inappropriato mi infastidì.
"D'accordo". sospirò.
Io pensavo ci volesse condurre in qualche stanza per compiere alcuni strani riti o che ci avrebbe consegnato una pozione da bere invece, con mio stupore, le bastò posare la sua candida e liscia mano sui nostri volti per dare inizio alla trasformazione. Più tardi venni a sapere che non era comunque libera di mutare chiunque, differentemente da come si poteva pensare vedendo quella scena. Il suo potere aveva effetto solo sugli spiriti che accettavano la sua scelta, quindi mai e poi mai sarebbe riuscita a trasformare in lombrichi i suoi nemici.
Toccò prima Lorissy, accarezzandone i contorni della bocca in maniera maliziosa. Quando scostò le dita, mutò prima il corpo e poi la faccia. Il fisico però cambiò di poco, sembrò solo che i suoi muscoli diventassero ancora più precisi e scolpiti rispetto a come lo erano prima, perché a Manius piacevano in questo modo, mentre il volto si fece meno squadrato e perfino in mento sembrò più rotondeggiante. Gli occhi si assottigliarono diventando azzurri e la chioma si fece un poco più lunga e nera. La dea cambiò anche la sua pelle rendendola stranamente olivastra, mentre si tingeva il volto di un perverso sorriso. Io preferivo la versione originale.
Quando toccò a me, la dea, posò la sua mano sulla mia fronte dando inizio al medesimo rituale. Avvenne però qualcosa di strano: sentivo il mio corpo mutare in maniera disordinata, come se anche lei fosse indecisa su cosa farne di me; alla fine iniziai a sentire le forme delinearsi con chiarezza: ma erano forme che non mi piacevano.
Non ci misi molto a capire che si trattava di seni e dell'acquisizione di un nuovo sesso. Il volto si fece più ovale, liscio e con una lunga chioma bionda. Gli occhi rimasero gli stessi, del colore verde smeraldo di sempre. Quando tutto finì ebbi da protestare, giustamente.
"Manius! Mi hai trasformato in una donna!" esclamai ma lei non sembrò curarsene. Con un volto soddisfatto rispose:
"Una graziosa fanciulla vergine e suo fratello maggiore, un ragazzo bello e dall'aspetto più che virile". Non mi piacquero quelle descrizioni, nulla di più offensivo. Quando vide il mio volto corrugato continuò: "Non ti preoccupare, non voglio offendere la tua divina essenza. così vi maschererete meglio tra le genti". Fratello e sorella? Io e Lorissy non avevamo nulla in comune, come poteva pensare a un fratello e una sorella?
"Perché io non posso fare l'uomo e lui la donna?". domandai ingenuamente. Lei rise di gusto, come se nella sua mente fossero comparse chissà quali fantasie.
"Ma secondo te uno come Lorissy può fare la graziosa fanciulla?" sicuramente pensava anche il contrario: io non potevo ricoprire il ruolo di lui. "Non pensi, Lorissy?" chiese infine. Lui non rispose, arrossì appena e guardò a terra. non voleva certo mettersi contro una delle due divinità con delle parole sbagliate. Lei, vedendolo in difficoltà continuò. "Non pensi, allora?".
Decisi che era meglio se il discorso prendesse un'altra piega e parlai: "Manius, tornando ad affari più seri: c'è qualcosa che dobbiamo sapere su questi corpi, prima di partire?".
Lei mosse la sua testa in un gesto affermativo e ci spiegò quel che dobbiamo sapere. "Sono frutto della mia magia e un campo di anti-magia potrebbe annullare questa illusione. Inoltre vi è proibito usare i vostri poteri, la magia che scaturisce da voi interferirebbe con la mia". Ci pensò un po' ma non aveva nient'altro da dire e concluse con: "Questo è quanto".
Io però non potevo accettarlo. "Quindi significa che non potrò consultare i miei osservatori?".
Lei sembrò rifletterci ma convenne che la loro magia, legata direttamente alla mia mente, non era un pericolo ma che era meglio lasciare la loro consultazione a qualcun altro. Ci spiegò che nel caso in cui avessimo ripreso i nostri aspetti, mai più avremmo riacquisto le forme del travestimento se non con un altro incantesimo di Manius, cosa che non avrebbe avuto molta voglia di fare, suggerì.
Prima di partire, dunque, lasciai il compito a Maonis che tanto avrebbe dormito tutta la giornata, lo pregai di occuparsene e accettò.

Ero intenzionato a sparire prima che qualcuno potesse vedermi ma giunto nei pressi del giardino una sagoma mi si parò davanti. Il volto di Revery si sconvolse al solo pensiero che qualche estraneo era entrato e stava uscendo senza che lei se ne fosse accorta ma bastò un'occhiata per capire chi fossimo realmente. Tra gli dei fratelli, cosa che non valeva per quelli cacciati dal pantheon, c'è un legame particolare. Qualsiasi sia l'aspetto basta uno sguardo per sentire l'animo dell'altro, animo che lei colse. Non commentò l'aspetto di Lorissy, anche se ero sicuro che a lei piacesse nella sua forma originaria, mentre riguardo a me disse solo che ero 'una graziosa fanciulla' e che Manius aveva buon gusto, tutto aggiungendo che era la sua reale impressione e non voleva offendermi.
In un lampo me ne andai di lì prima che qualcun altro mi facesse notare il cambio di sesso.
Giungemmo in una radura, poco distanti da una città arroccata sulla montagna.
Pensandoci: non avevo la più pallida idea di dove cercare ma sicuramente avrei escogitato qualcosa, per non mettermi in cattiva luce davanti al mio compagno. Prima però di partire ci tenni a precisare due cose.
Lorissy, da questo momento il tuo nome è Nemp, mentre il mio diventa Aezia. Capito?”
Lui annuì con il capo pronto ad ascoltare la seconda cosa che dovevo dirgli. Rispetto alla precedente questa era la più seria e imbarazzante, senza escludere che sminuiva la mia stessa essenza divina.
Visto che occupi il ruolo di fratello maggiore e io in questo corpo sono impossibilitato a difendermi, toccherà a te proteggermi in ogni situazione entrando il più possibile nella parte”. Gli spiegai che in pubblico poteva toccarmi senza aver timore della mia collera o parlarmi come se io fossi veramente sua sorella minore, con tutto ciò che ne conseguiva. Lui sembrò capire e compiacersi all'idea di poterlo fare ma non diedi molto peso a questo.
Secondo gli scritti: Elian ha sempre trovato rifugio nelle aspre montagne a nord, oppure nel fortino in rovina di Knossa”. Erano più pensieri tra me e me, piuttosto che informazioni da smerciare con Lorissy, ma lui intervenne.
Non conosco Knossa”.
Io sorrisi, rendendomi conto che non ero da solo.
Knossa era una fortezza, a vederla sembra quasi una scatola da quanto è compatta e precisa. Si trova nelle ai piedi delle montagne aspre. Durante una delle tante guerre fu assediato e distrutto. La struttura resistette ma il suo interno si era trasformato in un cimitero. Il capitano che conquistò il fortino però inveiva spesso contro gli dei e bestemmiava frequentemente, così il Grande padre decise di punirlo trasformando il forte in una casa di spettri. Gli stessi morti che un tempo lo abitavano ora hanno la possibilità di infestarlo, è per questo che nessuno lo abita né si avvicina”. Terminata la spiegazione, che sembrava averlo affascinato, io ripresi fiato e sorrisi cercando di assumere l'aria più serena possibile.
Dunque ci dirigiamo là”. Commentò.
Io scossi leggermente la testa. “La direzione è quella, ma non possiamo certo entrare se non vogliamo rivelare la nostra presenza, dobbiamo solo cercare informazioni utili” conclusi. Lui si trovò d'accordo con me.
Decidemmo insieme di dirigerci verso un villaggio vicino, qualcosa di cui ignoravo il nome, e cercare una locanda dove dormire.
Appena entrati mi diressi velocemente verso la signora abbastanza vissuta che stava dietro al bancone ma dovetti fermarmi. Se una donzella è accompagnata da un uomo, visibilmente più anziano di lei, è norma che vada lui a parlare con gli estranei. Era una delle piccolezze che regolavano la vita degli umani, cose che però dovevo ricordarmi per non attirare l'attenzione. Tornai sui miei passi e lo sussurrai a Lorissy, il quale mi accompagnò dalla donna. Ero allibito dagli sguardi che il corpo creato da Manius attirava, come se tutti pensassero la medesima cosa.
Vorremmo una camera per la notte” disse.
Quella signora era abbastanza paffuta e sembrava stranamente incuriosita da me.
Oh, è tanto che non vedo una donzella così graziosa” commentò con un grande sorriso. Io feci finta di essere lusingato portandomi una mano sulla guancia che non voleva arrossire. “È la sua giovane sposa, signore?” domandò poi.
Lorissy rise, la sola idea era ridicola. “No, signora. Questa è mia sorella Aezia”.
Da dove provenite?” continuò. Sembrava affamata delle risposte.
Lui sospirò un poco, io allora mi feci avanti posando le mani sul bancone di legno. “Siamo in viaggio da alcuni giorni. Proveniamo da Sborch, un paesino sulla costa, ci siamo messi in viaggio per ritrovare il maggiore dei nostri fratelli che sembra vivere al di là delle montagne”. Ovviamente non esisteva nessun paese con quel nome ma la signora ci credette ugualmente, forse consapevole della sua ignoranza.
La donna rabbrividì prendendomi una mano. Sentivo la sua vecchia pelle rugosa e ruvida che toccava la mia. Pensai che da giovane era come tutte quelle ragazze che vedevo scivolare attorno a me con brocche di quale liquore da servire ai tavoli. Mentre io ragionavo su cose così sciocche lei mi riprese: “Fate attenzione, vi ci vorrà molta fortuna se volete passare! Si dice che una dea, anche se io penso sia solo una strega, abiti nei pressi delle montagne. Fate un giro più largo, ve ne prego”. Era una donna simpatica, dopotutto. Stava prendendo molto a cuore la nostra situazione. Tornammo poi sul discorso della stanza e ci disse il prezzo. La signora, dopo aver ricevuto una piccola quantità di monete, ci diede la chiave e le indicazioni per trovare la stanza e decidemmo di salire.
Hamuhamu, cosa pensi di fare adesso?”
Dormire”. Risposi schiettamente. Anche se avessimo chiesto a tutti i presenti nella locanda, nessuno poteva saperne nulla, quindi decisi che prima giungevamo nei pressi di Elian meglio sarebbe stato.
Lui rimase imbambolato ma non fece molte storie.
Quella stanza nella quale entrammo aveva due piccoli, scoprii più tardi che erano anche scomodi, letti agli antipodi della stanza. Il resto era vuoto se non fosse stato per un tavolino e una piccola cassettiera logora. Rimasi inorridito dalle condizioni del posto, l'odore che proveniva da quella stanza era il peggiore che avessi mai sentito e chissà per quale motivo.
Se volevamo spiare Elian dovevamo fingerci anonimi viandanti e, solitamente, quest'ultimi non sono ricchi. Pensai che sarebbe stato meglio passare tutta la mia vita a contare le lettere di un libro, piuttosto che dormire lì.

Passai la notte peggiore della mia vita. Inizialmente non riuscivo ad addormentarmi in quel luogo dal ribrezzo che sentivo, ma alla fine crollai in quel malefico letto. Al risveglio mi sembrò di aver dormito su un mucchio di pietre smussate. Lorissy invece si appisolò senza problemi.
Avevo portato con me un solo vestito, per il viaggio, è una veste molto leggera per la notte presa da Chube. Differentemente dal mio compagno che prima di dormire si era semplicemente spogliato e gettato sul letto. Quella mutazione di Manius era peggio di una maledizione, molte cose mi erano precluse e altre erano interdette.
Giurai di fargliela pagare in qualche modo al mio ritorno.
Mi resi ancor più consapevole di ciò, quando: dopo aver svegliato il semi dio, ero in procinto di vestirmi. Un attimo priva di lasciar cadere quella veste lilla a terra, mi resi conto che lui non poteva stare lì né tanto meno guardarmi. Benché il corpo non fosse mio mi creava estremo imbarazzo.
Lo feci preparare per primo e poi lo mandai fuori dalla camera mentre finivo di sistemarmi.
Io non avevo chissà quale abito. Sicuramente non mi sarei mai messo una di quelle scomode vesti femminili, così indossai un completo del tutto uguale a quello della dea che mi aveva trasformato.
Lorissy invece portava una specie di maglia crema con corte maniche e dei pantaloni di un marrone sbiadito. Ai piedi grossi stivali che non cambiava chissà da quanto.
Mancava ancora un paio d'ore all'alba e mi ero svegliato solo grazie all'orologio interno divino. Il villaggio sembrava ancora assopito sotto le calde braccia del sonno e decidemmo che era giusto partire. Essendo dei ci prendemmo anche la libertà di rubare un cavallo, dal brutto manto scuro, per velocizzare il nostro passo. Un giorno avremmo premiato quella gente per il dono che avevamo ricevuto, o meglio, che ci eravamo presi. Le montagne svettavano all'orizzonte e probabilmente avremmo incontrato un altro villaggio prima di giungere nella grande radura arida, dove sorgeva la fortezza.
Io non avevo ancora nessuna idea su come agire. 
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Per Cleo92: eh si, aggiorno in fretta perché sono avanti con la storia. Ho deciso di postare con regolarità un capitolo al giorno dopo averlo riletto, siccome io in questo momento sto scrivendo l'uncidesimo. 
Per Kanako91:  ecco, perché sono quasi tutte donne?
Mmm... vorrei darti una spiegazione razionale ma non c'è. Quando ho ideato il pantheon mi è venuto naturale inserire molti personaggi femminili, non so neppure io il motivo.Quando sono andato poi a buttare giù le idee della storia questa mia idea 'alternativa' mi ha offerto molti spunti e ho deciso di lasciarla. ^o^
Per l'organizzazione della storia io pensavo di dividerla in tre atti (inizio, svolgimento e fine xD). Per ora non c'è un numero di capitoli deciso, anche se ho già delle idee sulla lunghezza complessiva una volta terminata. Il primo atto  terminerà, anzi, è terminato ufficialmente con il decimo capitolo e il secondo dovrebbe concludersi al venticinquesimo, ma è tutto ancora da decidere.
Per qualsiasi  altra curiosità chiedi pure, anzi, chiunque voglia chiedere chieda pure xD A me fa sempre piacere rispondere ^^


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Capitolo 5
*** Il dio indifferente ***



Capitolo 5 – Il dio indifferente

Il Viaggio è sempre qualcosa di fantastico. In quell'occasione potei ammirare meglio gli ambienti che per anni avevo guardato dall'alto del Palazzo, oltre che entrare in confidenza con qualcuno che avevo sempre considerato inferiore ma che mi guardava con gli occhi di chi riesce solo ad ammirare ogni cosa.
Le praterie erano vaste: c'erano pochi alberi lungo la nostra strada battuta. Sembrava un enorme prato di erba secca, anche se quell'erba era tutt'altro che secca. Quella era Jalin: un'erba speciale che possedeva per qualche ragione quel colorito.
Il giallo sembrava aver preso possesso di tutto ciò che si poteva vedere, dai tetti, ai campi; perfino i profili dei monti sembravano assumere quella tinta così particolare. Pensai che alla fine, dopo tutta questa trafila di eventi, io ci sarei tornato. Ciò che ammiravo era solo la valle di Ardaterra, ma rispetto alle volte passate acquisiva qualcosa di meraviglioso.
Manius o Lorissy, probabilmente, non sentivano più tutte queste sensazioni, perché loro erano dei sempre in viaggio, abituati a ogni posto. Il mio cuore invece era meravigliato dalla stranezza e dalla bellezza delle terre sotto le montagne.
Il mio cuore: il cuore di un dio.

Per tutta la mattina eravamo andati di negozio in negozio, di fucina in fucina, di fattoria in fattoria cercando di accumulare informazioni. Il risultato era: niente.
Nessuno sapeva di Elian e l'unica cosa che scoprii, da una vecchia chiacchierona, è che le erbe gialle sono un ottimo rimedio per i disturbi intestinali. Scarso bottino.
Visitai anche le bettole, ma solo perché sapevo che Lorissy mi avrebbe protetto, e mi stupii della quantità di gente ubriaca che potevo trovare anche prima del mezzodì. Loro avrebbero spifferato qualcosa ma era incredibilmente difficile e umiliante avvicinarmi. Dovevo fare la giovane ragazza indifesa e ingenua per riuscire a cavare un ragno dal buco anche se quel ruolo lo sentii tremendamente imbarazzante.
Il mio compagno entrava prima di me, sistemandosi in un angolo isolato, così da potermi poi tenere d'occhio e intervenire da bravo cavaliere.
Quei luoghi erano comunque disgustosi. Lui era sempre circondato da fanciulle vogliose, che mai avevano visto un giovane tanto aitante, mentre io ero in mezzo a uomini ormai vissuti e puzzolenti che non avevano mai le informazioni che mi servivano.
Pensammo, dopo l'ennesimo fiasco, di avvicinarci ancora di più a Knossa, speranzosi di qualche risultato nei villaggi al confine.

Stava calando la sera per una seconda volta dalla mia partenza dal Palazzo.
Avevamo in mente l'idea di recarci in una locanda per passare una nuova notte e impiegare il terzo giorno per porre delle domande a giro, in maniera disinteressata. La cosa però, sembrò sfuggirci di mano.
Per tutto il giorno avevamo galoppato su quel cavallo particolarmente resistente e io avevo fatto il ruolo della donzella in difficoltà. Quel ruolo iniziava a piacermi, lasciarmi viziare così era terribilmente piacevole. Durante il tragitto incontrammo solo alcune piccole case che formavano una fattoria di modeste dimensioni. Dopo esserci fermati, cercammo una persona che potesse esserci utile. Trovammo una donna che portava una grande cesta coperta da un pezzo di stoffa. Le chiedemmo dove si trovava il villaggi più vicino, continuando verso nord e lei ci invitò in casa. Da quelle parti le persone sono molto accoglienti e sveglie. Mentre ci offriva dell'acqua per rinvigorirci ci disse che negli ultimi tempi giravano molte presenze oscure e le persone avevano molta paura. Ci spiegò anche che costoro però avevano qualcosa di minaccioso che traspirava dalla pelle, nulla di visibile però. La signora, che si era seduta vicino a me, mi portò una mano sulla spalla e mi disse che persino gli uomini sentivano il male che usciva da quelle bestie ed era per questo che di noi non aveva dubitato per nulla: noi non avevamo quest'aura. Mentre parlava pensai che anche Lorissy avesse capito di cosa si trattava: la dea Elian o i suoi sottoposti. Per una qualche fortuna il sesto senso degli uomini reagiva davanti a quell'energia così insopportabile. La donna non aveva nulla da offrirci, eppure provò a darci qualcosa ma rifiutammo. Pensai che anche lei si meritava un premio per la sua gentilezza.
Quando uscimmo incrociammo un'altra sagoma, avvolta in un mantello verdastro. Sembrava un giovane ma non riuscivo a intravederne il volto. La signora che ci aveva accompagnato fino alla soglia sorrise incrociando lo sguardo con il tipo. “Un altro viaggiatore” sussurrò.
Lui si fermò davanti a noi, individuandoci come compagni. Se anche lui era in viaggio, avevamo qualcosa in comunque e lui lo capì.
Non ci parlò, rimanendo immobile e attendendo di essere ricevuto dalla donna.

Ce ne andammo, incrociando per strada altre persone che venivano verso le case. Noi ci limitammo a sorridere e abbassare lo sguardo. Fu in quel momento che pensai che gli uomini avevano qualcosa di grande; forse la signora aveva riconosciuto anche noi con quello sguardo scuro e scrutatore.
Mentre tornavamo sulla via principale incrociammo un uomo dalla mantella verdastra. Era appiedato e dal cappuccio pesante scendevano ciocche colorate e di color castano.
Ci salutò con la mano e pensai che fosse un viandante; ricambiai appena.

Giungemmo infine alla città indicataci dalla signora. Ci aveva assicurato che era l'ultima sul nostro cammino.
Stavamo camminando in un lungo viale trafficato, ma c'era un individuo sospetto. Stava appostato sopra un carro abbandonato, ergendosi dall'ammasso di persone che passava sotto di lui. Aveva un lungo mantello scuro, molto povero di particolari, che sventolava lasciando intravedere il corpo.
Maglia, pantaloni, stivali. Nulla che potesse insospettire nessuno. Neanche il suo volto, un ovale perfetto punteggiato di lentiggini e ricoperto da una peluria scura, barba e capelli, aveva nulla di terrificante. Ma io sentivo in lui qualcosa di strano e Lorissy con me la stessa cosa. Era quella la sensazione che ci aveva spiegato la signora, ma la folla era troppo distratta.
Scrutava la folla in cerca della sua preda o del bersaglio e parve individuarlo proprio quando i suoi occhi caddero su di noi.
Ah! Una divinità. Che onore!” esclamò facendo fermare tutti coloro che stavano passeggiando. Gli sguardi erano soprattutto confusi, nessuno capiva il significato di quella frase. Urlava con lo sguardo fisso. “Mostrati a questa povera gente, che vergogna hai? Perché ti mascheri?” continuava a dire. Il nostro travestimento era quindi fallito.
Lorissy era sul punto di scattare, pronto alla lotta ma lo trattenni afferrandogli il polso. Forse era ubriaco o pazzo. Sicuramente qualcuno sarebbe andato a portarlo via, pensai. Invece nulla, continuava a urlare, inveire contro gli dei e fissarci. Non poteva cadere dopo un solo giorno, non era possibile.
Quell'uomo aprì il palmo e in esso fece comparire una specie di sfera infuocata. Un potere molto comune tra i maghi di secondo ordine, nulla di sconvolgente. Ora noi eravamo però privi di difese.
Facciamo un gioco: per ogni minuto che passa senza che ti riveli, io uccido un passante”.
Per la prima volta volse lo sguardo altrove e capii che aveva solo percepito la nostra presenza, senza capire dove si trovasse né chi fosse. Era un punto in più per noi, ma sicuramente non potevamo permettere a degli innocenti di finirci in mezzo.
Elian non era una stupida. Intorno al suo covo aveva piazzato dei maghi con il dono di sentire la nostra aura, così da potersi accorgere del nostro arrivo. Non capivo però perché costui voleva anche sapere quale divinità si fosse avvicinata. Sembrava anche dell'intenzione di affrontarla, cosa che sarebbe stata una follia per qualsiasi divinità. Stavo sudando, cosa assolutamente strana per un dio. Stringevo il polso di Lorissy con forza, senza che lui obiettasse. Mi guardava, attendendo una risposta ma non l'avrebbe ricevuta, non da me.
Un attimo prima che il mago lanciasse la sfera verso la folla impaurita chiamò un'ultima volta. “Fatti vedere dio!”.
Si possono dire molte cose degli dei, ma non che fossero tutti molto coraggiosi o che cercassero di proteggere gli uomini a tutti i costi. Io non ero così, assolutamente. Continuavo a trattenere Lorissy mentre il mago minacciava quella povera gente. Se mi fossi mostrato tutto il piano sarebbe saltato e le nostre possibilità di infiltrarci sarebbero diventate nulle, se invece fossi rimasto immobile sarebbe morto qualche innocente. Ero indeciso: fallire la missione o lasciare che qualche uomo morisse?
Perché urli tanto?” domandò qualcuno.
Il mago si tinse di rosso, era più che furioso mentre cercava colui che aveva parlato. Quella voce era stata tranquilla e pungente, come se volesse renderlo ridicolo alla folla. Io la riconobbi e mi sentii ancora più confuso.
Lasciando cadere il mantello il dio fece la sua comparsa, era alle nostre spalle e per avanzare ci fece strada passando tra me e Lorissy. Lo vidi scivolare tra noi, con un passo tranquillo, degno di un dio.
La sua presenza, poi, era accentuata dall'abbigliamento.
Le vesti divine, quelle più raffinate, di solito non vengono indossate da noi dei. Avere una corazza o meno è del tutto indifferente. Quei vestiti così raffinati servono solo per fare impressione. Lui però portava quel completo come se fosse uno straccio, con il passo distratto.
Con mia grande sorpresa, Arone era nella stessa strada dove ci trovavamo noi, e ci era appena passato affianco.
Indossava una veste verde lunga e ben visibile, coperta e stretta da una corazza platino con rifiniture dorate che faceva risaltare l'abito sottostante. L'armatura era piccola e leggera, ma copriva gran parte del suo corpo. Il busto era rifinito con decorazioni che sembravano dei cuori rovesciati i cui bordi erano irti di spine, colorati d'oro, e che creavano un disegno a catena lungo la parte frontale della corazza. Questo disegno partiva dal volto d'oro incastonato nel petto dell'armatura. Un volto femminile circondato da vari disegni simmetrici. Il centrale della corazza terminava all'altezza della vita, lasciando intravedere la veste verde che cadeva sui lati e sulle cosce. Gambe e braccia erano coperte da quest'armatura che le rendeva libere e all'apparenza snelle, senza ingombro. Le decorazioni della parte destra erano differenti da quella sinistra, e il particolare più evidente era la testa di leone posta sulla spalla sinistra, tutta tinta d'oro.
Non possedeva elmo, ma lasciava cadere i suoi appena mossi capelli verdastri sulla schiena e in parte sul petto dell'armatura. Anche lo sguardo era del colore delle chiome degli alberi, un colore momentaneo. Tutto era decorato da un mantello, lungo e del medesimo colore della veste, un verde scuro e brillante.
Arone era la divinità dei colori e delle combinazioni assurde. Aveva una vasta schiera di fedeli ovunque, in quanto lui, oltre a questo, era anche un amante della pace e della quiete dei prati fioriti.
Ovunque andasse lui cercava comunque di nascondersi dal chiasso per cercare la tranquillità di un bosco o di una campagna, perciò inizialmente non capii come fosse finito lì, nella strada più trafficata di quel borgo. Sorrideva.
Io avevo avuto l'onore di incontrarlo poche volte e ogni volta lui mi aveva degnato di scarse attenzioni. Si diceva che fosse interessato più al vero colore dell'animo delle cose, rispetto all'aspetto stesso, e che il suo sguardo cercasse in continuazione qualcosa di magnifico. Gli altri dei, così pieni di sé, non suscitavano il minimo interesse in lui.
Finalmente” ringhiò quel mago, inconsapevole di essere già morto. La folla fuggì, allontanandosi il più possibile dal mago e dal dio. Noi facemmo lo stesso per non farci notare troppo. Questa volta l'avevamo scampata. “Ora ti punirò per esserti avvicinato alle terre della somma Elian!” gridò ancora. Pensai che fosse molto sicuro di sé per dire quelle cose. Percepivo chiaramente il divario tra lui e il dio.
Arone sospirò, continuando a guardarsi intorno. Disse una sola parola sussurrata senza che nessuno riuscisse a sentirlo: “rosso”. In un attimo, seguendo gli ordini di quel termine, tutta la sua veste, il suo mantello, gli occhi e i capelli cambiarono colore tingendosi di diverse tonalità di rosso.
Qualcosa di magnifico, come una farfalla che muta le sue tinte sotto il sole. Rimasi incantato, lasciando andare Lorissy ormai immobile accanto a me.
Il dio sembrò sollevarsi appena e scivolò verso il suo nemico con estrema velocità.
Accadde tutto in rapidi secondi. Il mago provò a fuggire cercando uno scontro a distanza; il dio invece gli si era parato davanti. Un attimo e poi la fiamma. L'intero corpo del servitore di Elian si era ricoperto di fiamme e pochi attimi dopo cadeva a terra fumante e carbonizzato, privo della vita.
Era stato tutto molto veloce. Non che mi aspettassi di più ma volevo vedere Arone in azione. Nel Palazzo si diceva da sempre che era il più spettacolare tra gli dei.
Lui scese a terra, saltando giù da quel piano, e sorrise ancora. Non sembrava essere neppure toccato da ciò che aveva appena fatto, ma con una voce molto graziosa disse alla gente davanti a lui: “Mi scuso per il disturbo”. Camminò poi verso di noi. Pensai che era solo una coincidenza e gli sorrisi appena per fingere di essere la ragazzina estasiata dallo spettacolo e per sperare che capisse qualcosa. Sbandierare davanti a tutti la nostra identità sarebbe stato come scoprirsi davanti al mago, dunque speravo che lui se ne accorgesse senza dire nulla. Invece, l'unica cosa che fece, fu fermarsi un attimo e guardarmi con uno strano sguardo. Certo: aveva sempre quell'aria annoiata e distratta di chi cerca sempre il significato, ma in quel momento sembrò aver colto quella sfumatura con gioia. Sembrò aver trovato il senso e anch'io avevo riconosciuto la sua sagoma avvolta, di nuovo, nel mantello.
Capii che lui aveva capito ma non si curò di me e passò oltre. Aveva i suoi motivi e io avevo i miei che mi impedivano di chiedergli direttamente il perché. Il 'perché' se ne andasse senza aiutarci.
Abbassai il capo in silenzio, un poco deluso dalla sua reazione.
Fino a quel momento avevo pensato che tutti gli dei aiutano gli altri dei ma sicuramente mi sbagliavo. Gli dei sono come gli uomini, solo più potenti e viziati. Sbagliano come gli uomini, amano come gli uomini e odiano come gli uomini. Se tutto questo mi fosse stato più chiaro, solo un po', forse avrei compreso molte più cose di quante realmente ne capissi.

Passò un altro giorno.
Con Lorissy pensammo che quel travestimento si stava dimostrando obsoleto. Non potevamo combattere e non avevamo con noi neppure delle buone armi, senza contare che l'unico dio che avevamo incrociato ci aveva bellamente ignorato. Elian aveva creato una rete di guardie attorno al suo 'regno', che altro non era che una terra arida senza vita e ciò ci rendeva difficile avvicinarci. Avevamo intanto scoperto questo, ma dovevamo saperne di più, entrando nel suo covo.
Sorrisi, mentre ripensavo a tutto ciò osservando il sole che lentamente si faceva strada nel cielo scuro. L'alba era sempre un grande spettacolo.

I miei passi risuonarono nel tempio.
Ogni città ne ha almeno uno e questo era dedicato all'intero pantheon anche se venivano messi in risalto gli dei più utili al borgo. Appena entrato, però, mi sentii sperduto: non avevo mai messo piede in un luogo simile.
Mi avvicinai ai vari idoli posti in differenti punti del grande salone, ogni statua era fornita di un altare per le varie offerte. Guardandomi attorno decisi di rivolgermi all'unica divinità che sicuramente mi avrebbe ascoltato. Erano molte le divinità che probabilmente mi avrebbero fornito l'aiuto necessario, ma solo una mi avrebbe dato soccorso subito.
Mi avvicinai all'altare di Chube, osservando la sua statua sorridente e dall'aria innocente e graziosa. Sospirai più volte. Non avevo la più pallida idea di come si pregasse. Alla fine iniziai a biascicare le parole con cui la imploravo di entrare in contatto con me.
Come sei impacciata” sbottò una sacerdotessa che mi era apparsa accanto. Aveva l'aria di una donna sulla quarantina, ma ne dimostrava molti di meno. La veste sacerdotale, lunga e colorata di rosso, copriva ogni parte del suo corpo. Solo il suo volto era libero da quella morsa di stoffa.
I capelli erano neri, come i miei, e cadevano sui lati della faccia divisi da una riga perfetta. Davano l'idea di essere lunghissimi, ma osservandola meglio notai che arrivavano appena a metà della sua schiena. “Non sai proprio come si prega” continuò. La cosa non mi faceva affatto piacere, né tanto meno mi sembrava educato che una servitrice divina trattasse così i fedeli. Mi si chinò affianco, siccome mi ero inginocchiato all'altare di pietra, continuando: “Forse è per questo che gli dei non hanno mai ascoltato le tue suppliche”.
Come può dire una cosa simile! Cosa ne vuole sapere lei della mia vita?” risposi. La mia voce doveva essere stata troppo alta perché la sentii riecheggiare con forza tra le colonne e le guglie.
Mi scuso se le sono sembrava offensiva, ma ha proprio l'aria di una ragazza disperata”.
Io non dissi nulla. Se lo diceva doveva essere vero.
Ora seguimi: urli troppo, c'è un luogo del santuario dove potrò insegnarti come si compie una preghiera”. Benché fosse scortese, sembrava davvero intenzionata ad aiutarmi. Annuii con la testa e la ringraziai facendomi guidare fino a una stanza nascosta, accessibile a pochi.
Avevamo sceso delle scale e pensai fosse una specie di magazzino dove andavano gli oggetti vecchi. Per un attimo ebbi paura che volesse farmi del male. Pensai che fosse una maga di Elian che si era accorta della mia presenza.
Invece, appena giungemmo in una stanza ben illuminata, fece un profondo inchino. Una cosa che non avevo mai visto: la sua veste si allargo tutta, formando un enorme cerchio, mentre il suo corpo arrivava a toccare terra: tutto per del rispetto.
Cosa sta facendo?” domandai. Forse mi aveva riconosciuto, ma sarebbe stato ugualmente un problema. Mi finsi il più stupito possibile.
Mi scuso della scortesia, signorina” rispose rialzandosi. Il solo fatto che mi avesse chiamato in quel modo mi assicurava ancora la sicurezza dell'anonimato. “Ho dovuto inscenare quella ramanzina per nascondere il mio gesto agli occhi dei maghi”.
Maghi?”
Il santuario, come la città, si è riempita di maghi servitrici di Elian. Che il Grande Padre ci salvi dalla sua violenza” sembrava supplicare il cielo con quelle parole.
Perché mi ha portata qui, sacerdotessa?”
Lei sorrise appena. “Un uomo è entrato ieri in questo tempio. Inizialmente pensavo fosse un semplice viaggiatore che si era perduto, infatti rimaneva incappucciato nella sua mantella verde e immobile vicino all'ingresso. Quando mi avvicinai per sentire di poter essere d'aiuto lui mi guardò con degli occhi strani”. Mentre diceva questo inizio, con le sue mani gracili, a cercare tra le varie scatole e pergamene. “Quello sguardo aveva qualcosa di sovrannaturale e come se non bastasse mi consegnò delle cose. Prima di andarsene mi fece promettere di assicurarmi di consegnare questi oggetti ad una ragazza bionda un po' impacciata e a un bruno alto e robusto. Credo che la descrizione, senza offesa, sia veritiera riguardo a lei, signorina”.
Bionda e impacciata? Come poteva permettersi quell'uomo, che più tardi identificai con Arone, a dire cose del genere?
Il mio compagno si trova alla locanda, sono uscita soltanto io per venire a pregare, non mi aspettavo nulla del genere” commentai ed era la pura verità. Che un dio mi regalasse qualcosa per aiutarmi nel viaggio era l'ultima cosa che mi sarei aspettato.
Le chiesi come avesse capito che ero io la ragazza descritta dall'uomo e lei mi rispose che aveva sentito anche una descrizione del mio vestito.
Non vorrei essere offensiva: ma lei è l'unica ragazza in tutta la regione con i pantaloni”.
Io ci risi un poco e anche lei lo trovò molto divertente. Per una volta mi sentii più tranquillo.
Aveva finito di cercare ed estrasse due oggetti dalla forma allungata avvolti in rotoli di pelle.
Oggetti del genere non possono stare nel tempio” disse “ma questi sono speciali, benedetti da un dio e quindi hanno il diritto di rimanere in suolo sacro. Chiunque voi siate, usateli per riportare la tranquillità in questa terra” mi pregò.
Srotolandoli, ancora nel sotterraneo, mi accorsi che erano una spada dalla lama larga e rossastra e una lama più corta, che di poco superava il semplice pugnale. Quest'ultimo aveva una guardia e un'elsa verdi e decorati con alcuni semplici disegni. Sembrava anche che il metallo fosse stato lavorato male perché aveva delle imperfezioni nel filo. Ringraziai. Anche se avevo quella forma sentivo l'energia magica sprigionata dagli oggetti.
Sono armi di Kodunai” mi disse dopo alcuni attimi di silenzio. Io mi ero perso a cercare le imperfezioni del pugnale e quella frase mi colse di sorpresa. Kodunai era una divinità nascosta nei meandri della terra. Nessuno la vedeva e nessuno la pregava, perché lei non ascoltava nessuno.
Si dice che fosse un uomo, ma nessuno ne è sicuro. Passa la sua vita a creare armi di fattura divina e poi nascondere nei vari luoghi del mondo, senza nessun divertimento o scopo preciso. Crea e continua a creare. Probabilmente lo farà per sempre.
Il signore me le ha consegnate e io le consegno a voi”
Capisco” continuai. Quelle armi avevano un potere ben maggiore all'immaginazione. Si dice che un'arma di Kodunai sia capace di uccidere un dio con un solo fendente.
Stavo pensando a questo quando lei si inchinò di nuovo, ancora più profondamente però. “Non c'è dubbio che chi mi ha consegnato quelle armi sia una divinità o un suo intimo servitore: quindi se anche voi siete una divinità vi imploro di salvarci”.
Se fossi stato un servitore di Elian e Arone fosse stato un mago oscuro, la sacerdotessa a questo punto sarebbe già morta. Lei però aveva una strana aura e una speciale luce negli occhi. Mi piaceva tutto ciò.
Sorrisi e mi inchinai a mia volta, spingendola a rialzarsi. “Lei è stata molto gentile, sacerdotessa. Vorrei solo sapere il suo nome”
Mi chiamo Nima”.
Sacerdotessa Nima: io la ringrazio per quello che ha fatto”. Mi inchinai ancora, questa volta per dimostrare la mia riconoscenza. Una volta tornato nel regno divino anche Nima avrebbe ricevuto una ricompensa per i suoi gesti. 
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Ho inserito una piccola particina al primo capitolo ^o^ Credo che per ora basti a risolvere qualche incomprensione poi con il testo senza rivelare nulla xD Avevo anche intenzione, dal prossimo capitolo magari, di inserire una piccola finestra informativa sui vari dei comparsi fin'ora (magari un paio a capitolo) con poche informazioni essenziali *O*

Ringrazio le mie tre, uniche per ora, recensioniste (ma esiste?) che mi hanno dato un grande aiuto xD 
Kanako, per me è un po' come chiedere a una donna quanti anni ha xD Comunque ci ho messo una settimana per abbozzare gli eventi della trama fino al decimo capitolo e 16 giorni precisi per scrivere poi la vesrsione definitiva (speriamo) dei famosi dieci. 
Land of Dreams: Due bestie differenti che si chiamano entrambe Servallo? °° <--- eh si xD Come dice subito dopo, non si conosce il reale aspetto. L'unica informazione è che il Servallo è il figlio di serpente e cavallo xD
E Cleo, mi fa piacere che ti ha divertito xD Ha divertito anche me xD  


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Capitolo 6
*** Il piano perfetto ***


Capitolo 6 – Il piano perfetto

Il quarto giorno rimasi con Nima affinché mi fornisse tutte le informazioni che aveva.
Scoprii che i maghi di Elian formavano una rete attorno al fortino, ma dubitai che quella fosse la vera sede della dea. Ci avvertì di stare attenti perché nelle radure prima della fortezza non c'erano ripari ma solo erba alta. I maghi erano ben visibili, immobili in alcuni punti della pianura a svolgere il loro compito di sentinelle.
Nel sentirla parlare in questo modo mi ricordai degli osservatori e di ciò che in quel tempo avevano accumulato. Lanciai un'occhiata distratta verso l'alto, come se ciò servisse a apprendere ogni cosa dai miei occhi spioni. Pensai che Maonis stava sicuramente dormendo nelle mie stanze, sempre pronto a segnalare un problema.
Il nostro scopo, in quel momento, era acquisire informazioni riguardo i piani di Elian e ciò che accadeva dietro il forte. Nima mi fu davvero molto utile in quel senso.
Il borgo di Markentel, dove ci trovavamo in quel momento, era l'ultimo centro abitato prima della radura e di Knossa. La sacerdotessa ci disse che le sentinelle della dea arrivavano fino a queste vie, per perlustrarle. Lei non sapeva altro e quindi pensammo di dirigerci nella strada principale per raccogliere informazioni.
Lei ci fermò sulla soglia affermando che quella era la cosa più rischiosa e il metodo più facile per destare sospetto, e aveva ragione! Così propose una cosa inaspettata: la migliore e la peggiore idea possibile.
Potrei creare un fantoccio”.
Io e il mio compagno rimanemmo immobili a pensare.
Un fantoccio è un oggetto nel quale viene infusa una piccola parte di energia affinché inizi a emanare un'aura. Nelle accademie di magia i fantocci sono usati per affinare le abilità dei maghi di individuare i nemici. I maestri sono soliti nascondere dei fantocci in luoghi in cui siano difficili da ritrovare, come un gomitolo in un grande mercato cittadino o un sassolino nel bosco, per poi inviare i loro allievi a ritrovarli. L'unica cosa che rende questi oggetti rintracciabili è l'aura che emanano, anche se non sono realmente magici; gli studenti devono dunque fare ricorso alla loro percezione per individuarne la posizione precisa.
Allo stesso modo, i fantocci, sono utilizzati da un mago esperto durante le battaglie. Quando si nasconde crea moltissime aure fittizie così che il mago o stregone nemico non riesca a trovarlo e rimanga confuso.
In quel momento sembrò una lama pericolosamente affilata e immobile sopra le nostre teste.
Se un servitore di Elian si fosse mosso per la città sarebbe sicuramente riuscito a percepire l'aura del fantoccio ma a quel punto poteva fare due cose: poteva andare a cercare colui che emanava quell'energia cadendo nella nostra trappola o dare l'allarme e tornare dalla dea rovinando le nostre possibilità.
Non è una cosa facile” provai a dire. Nima però era desiderosa di aiutarci, per qualche ragione a me sconosciuta, e sembrò veramente intenzionata ad attuare questo piano.
Mi riprese subito: “Certo: potrebbe allarmarlo ma c'è una buona probabilità che venga a cercarlo. Anzi, ne sono quasi sicura” si passò una mano tra i lucidi capelli e continuò, “Sono maghi inesperti, fuggiti dalle accademie e entrati tra le sue losche file. Coloro che vengono mandati qua, nelle regioni più esterne, hanno pochissima esperienza e sono così curiosi o vogliosi di usare la magia che andranno di sicuro in cerca della fonte da cui proviene l'energia”.
Sperando in una battaglia in cui sfoderare le loro scarse abilità” aggiunse Lorissy.
Io scossi la testa ma capii che era l'unica possibilità che avevamo, nonché l'unica idea.
Accettai, aiutando la ragazza a preparare un fantoccio. Io non potevo emettere un'aura finché tenevo quel travestimento, cosa che avrei fatto ancora a lungo per non farmi riconoscere.

Il piano era incredibilmente semplice. Avremmo creato un fantoccio e avremmo pregato gli dei, parole di Nima, per far filare tutto liscio come l'olio.
Era ovvio fin dall'inizio che il fantoccio non sarebbe stato creato all'interno del tempio, per non destare maggiori sospetti e per non offendere le divinità con un gesto tanto meschino, ma in un luogo più anonimo. Scegliemmo sotto suggerimento della sacerdotessa il retrobottega di una fucina.
Dovevamo agire velocemente, senza perdere ulteriori giorni, e quindi subito dopo l'idea geniale ci mettemmo al lavoro.
Trovammo il luogo dove avremmo teso la trappola e preparammo il fantoccio applicando delle pergamene, sulle quali vi erano scritte formule magiche di Nima, a una cesta impagliata. Io mi sedetti alla fine del vicolo nel quale si trovava il retro della fucina e mi coprii con un mantello vecchio e puzzolente trovato lì vicino. Presi con me il cesto, poiché appena arrivato il mago pensasse che fossi io l'emanatore dell'energia. Lorissy si nascose invece in un angolo oscuro, sotto dei teli e delle scatole vecchie, pronto ad assalire il malcapitato alle spalle.
Dopo aver sistemato tutto aspettammo nelle nostre posizioni. Poteva passare anche un intero giorno senza nessuno ma la ragazza del santuario ci aveva assicurato che la città pullulava di queste spie infime.

Passò solo un'ora scarsa prima che qualcuno si affacciasse nel vicolo. Aveva dei lunghi capelli rossi che cadevano davanti agli occhi scuri. La pelle era pallida e indossava un lungo abito nero, simile a una mantella. Avanzava con passo indeciso. Aveva l'espressione di una persona sicura di sé, ma procedeva con circospezione e una dose di curiosità. Io ne sentivo solo i passi mentre si avvicinava.
Pensai che fosse una persona abbastanza sveglia.
Ehi tu!” esclamò fermandosi all'imboccatura della strada. Era dannatamente troppo lontano da Lorissy. “Parlo con te!” continuò. Avevamo adescato un mago, questo era certo, ma se non si fosse avvicinato ancora il piano sarebbe fallito.
Inizialmente feci finta di nulla ma poi pensai a un modo per attirarlo a me. Voltai appena la testa, mantenendo il volto all'oscuro, e fingendo una voce anziana dissi: “C'è qualcuno là dietro?”
Il mago soffiò. “Chi sei?” domandò scaldandosi.
Io feci finta di non sentire. “Come dici?” il mio tono di voce femminile tradiva leggermente la parte che mi ero scelto “Ormai sono vecchio... avvicinati giovane altrimenti non riuscirò a sentirti”
Lui invece urlò più forte. Nera veramente sveglio, sopra la media di quei maghi. “Ti ho chiesto chi sei, vecchio!”
Non capisco. Te ne prego avvicinati ancora un po'”. Per enfatizzare la mia vecchiaia tossii e caddi a terra dalla panca sulla quale mi ero seduto. “Sono vecchio” continuavo a ripetere. In realtà tremavo dal terrore di fallire. Un brivido di panico si fece strada lungo la mia schiena.
Lui sembrò essersi convinto e fece alcuni passi in avanti, verso di me. Con la coda dell'occhio lo osservavo approfittando del cappuccio e della penombra per non farmi vedere. Ancora uno, pensavo, ancora un passo.
Poi un'ombra scivolò fuori dalle casse e si abbatté sul mago con furia. Chiusi gli occhi per un istante e sentii un tonfo sordo. Riaprendoli notai il corpo del ragazzo steso a terra.
Lorissy l'aveva colpito con una piccola tavola di legno e per un attimo pensai che il giovane fosse morto. Il semi dio aveva attaccato con molta forza.
Lasciai cadere il mantello a terra scrollandomi la sensazione di sporco che aveva quella veste.
Il mio volto si rilassò e potei sospirare soddisfatto. Tutto era andato per il meglio; il peggio era passato.
Il passaggio successivo fu una sciocchezza in confronto a quello che avevamo appena fatto.
Tramite delle corde e un sigillo bloccammo mani e gambe della nostra vittima inibendo la sua energia magica. Nima ci aveva raggiunto per l'occasione, portandoci il sigillo inibitore prima che la nostra fonte di informazioni si svegliasse.
Con una striscia di stoffa impedimmo che potesse anche urlare e aspettammo.
Io ero la divinità che si occupava dell'archivio. Io acquisivo informazioni in continuazione e avevo molti mezzi per farlo. Non dovevo certo ricorrere alla violenza o alla tortura, ma dovetti mettere fine al travestimento.
Feci scivolare una mano sulla fronte del mago, mentre la sacerdotessa sullo sfondo ci chiedeva come avremmo agito adesso. Lo toccai, scostando i capelli e sentendone la pelle fredda e sudata. Lui ormai si era svegliato e mi fissava intimorito.
In un solo istante il mio corpo cambiò ancora. La pulzella indifesa che ero stato fino a quel momento scomparve lasciando il posto a Ham, la divinità che ero in realtà. Potei sentire di nuovo la libertà del mio potere e anche il terrore che apparve sul volto del mago davanti a me.
Nima era impallidita e si era inchinata chiedendo perdono per tutte le volte che si era rivolta a me con tono confidenziale, per quando era stata scortese e maleducata. Io le risposi che aveva già chiesto scusa per tutto ciò e quindi non ce n'era bisogno una seconda volta.
Quello era uno spettacolino inutile, mi dissi, fatto dagli uomini per farsi amici gli dei.
Era impressionata dal mio aspetto e lo fu ancora di più dopo la magia.
Cosa sta organizzando Elian?” chiesi. Non occorreva che il mago rispondesse, essendo anche impedito dal bavaglio, ma doveva solo pensarci. La risposta comparve nella sua mente e la mia mano la catturò illuminandosi di una fioca luce bianca.
Scoprire dagli oggetti è molto più facile: loro non provano emozioni. In quel momento la paura e l'agitazione del ragazzo confusero le idee e impiegai più tempo per acquisire le informazioni giuste.

Alla fine, però, allontanai la mano da quel giovane, asciugandomela con uno straccio. Era stata una pesca molto poco producente, mi aspettavo qualcosa di meglio, ma non potevo lamentarmi.
Elian ha usato la magia e i semi del male per creare qualcosa che va oltre al semplice mago. Vuole partorire dei combattenti pari agli dei e ha infoltito le sue file con questi esperimenti. Non sono venuto a conoscenza, comunque, di quali siano i risultati veri e propri né se muoverà battaglia al Palazzo. È solo una sentinella alla fine della gerarchia, è già tanto se conosce questo”. Il mio commento non mosse Lorissy che comprese sospirando, Nima invece fu colpita.

Partimmo l'alba del quinto giorno, salutando Nima e ringraziandola per i suoi servigi. Promise di mantenere il segreto e mi fornì un bellissimo mantello di seta azzurra con decorazioni dorate e un talismano che nascondesse, per una giornata al massimo, la mia energia divina.
Le armi che ci aveva donato Arone non ci erano servite, ma potevano rivelarsi utili più avanti. Galoppammo su due bei cavalli dal pelo corto e lucido che la sacerdotessa ci aveva fatto trovare fuori dalla locanda e scivolammo lungo la valle. Dalla mente del mago avevo rubato anche le informazioni riguardanti i turni e le zone protette.
Il pattugliamento era organizzato in modo da coprire le varie aree della prateria in maniera uguale ma le sentinelle si muovevano all'interno della loro zona lasciando dei corridoi liberi. La pianura era vastissima, dunque non potevano tenerla sotto controllo tutta in contemporanea. Ovviamente se fossimo stati privi di queste informazioni ci saremmo imbattuti in qualche mago, ma seguendo un percorso particolare, che scivolava tra le varie aree, giungemmo al forte nel pomeriggio.
Il sole aveva appena iniziato a calare e noi scendemmo da cavallo scivolando tra l'erba. Ci sembrò tutto stranamente silenzioso poiché pensavamo che Knossa fosse sorvegliata in maniera maggiore rispetto alla valle. Vedendo il silenzio e la strada libera pensai che Elian reputasse il suo sistema intricato di sentinelle talmente efficace da non richiedere protezione al nucleo del suo 'regno'.
Il fortino aveva qualcosa di magico e antico. Era perfettamente quadrato, come un piccolo scrigno che racchiude centinaia di segreti. Nei tempi remoti tutta la valle attorno al forte era colma di villaggi che lo rifornivano di cibo e altre vettovaglie, ora invece era tutto aspro e desolato.
L'erba gialla copriva ogni pezzetto di terra. Era erba innaturale, quella, apparsa dopo la maledizione della fortezza.
Le pareti erano alte e il soffitto era sigillato da un enorme tetto a cupola, tenuto in piedi in qualche modo che ignoro tutt'ora. Possedeva quattro torri di guardia ormai logorate dal tempo e dismesse, e piccole feritoie lungo tutto il secondo e terzo piano.
Ci impiegammo più di un'ora, però, per trovare una via di entrata. I portoni del cancello erano chiusi e non sembravano esserci altre vie d'accesso. Oltre a questo, nei rari momenti in cui disattivavo il potere del talismano e usavo la mia energia, non riuscivo a percepire aure rilevanti dal forte. C'erano delle presente deboli, pallide e nient'altro. Sembrava una trappola o un inganno.
Tremai all'idea che tutta quella fatica si rivelasse infine inutile.

Dopo un po', Lorissy mi propose di usare la sua forza divina per aprire un varco nelle mura. Io lo feci desistere poiché un gesto del genere avrebbe prodotto troppo rumore e danni. Pensai invece di entrare dalla torre est, dopo averla vista.
Il fortino era fatto in modo che le quattro torri puntassero quattro direzioni differenti, così si erano create la torre nord, la torre ovest, la torre sud e la torre est.
Provenendo da sud-ovest e proseguendo per nord-est, come avevamo fatto noi, si incontrava subito il portone maestoso di legno e metallo. Da lì si potevano vedere la torre sud e la torre ovest, mentre quasi sul lato opposto c'era la torre est. Quando ci passammo sotto potei notare che era quella nelle peggiori condizioni. L'assedio che aveva subito la fortezza aveva lasciato ben pochi segni ma quello era il più evidente: il tetto della torre era crollato e pensai che ci fosse un varco per passare.
Dovevamo arrivare così in alto, ma tramite i miei poteri non era un'impresa impossibile.
Feci allontanare Lorissy e evocai una grande nuvola di fogli, intrisi della mia maglia. Questi formarono un cucino compatto sul quale montare che ci avrebbe condotto in cielo, levitando.
Il mio compagno era dubbioso credendo che la carta non potesse reggerlo ma io lo rassicurai.
Più cose scopro... più informazioni acquisisco, Lorissy, più la mia magia diventa forte e la mia carta adattabile alle più disparate esigenze”.
Lui si convinse, ancora titubante, e insieme giungemmo lassù a svariate decine di metri da terra.
Scendemmo sulle macerie della torre, muovendoci verso la scalinata ancora parzialmente visibile.
La nuvola di carta svanì tornando a essere solo energia magica.

Scendemmo lungo tutta la torre e con un po' d'astuzia e un tocco di fortuna riuscimmo a muoverci senza incontrare nessuno. Non vedevo cadaveri, né gli spettri tanto famosi e tutto sembrava in ordine; fu questo a rendermi ancora più sospetto.
Scivolammo senza trovare nessuno ma per sicurezza, continuavo a fare capolino dietro ogni angolo per stare certo che la strada fosse vuota, finché giungemmo in un lungo corridoio.
Dovevamo aver camminato a lungo, ritrovandoci nel centro del forte. Il corridoio era contornato da due file parallele di colonne decorate appena; tra di loro passava un lungo tappeto di seta rossa e c'erano svariati stendardi e tele dello stesso colore appesi ovunque. Parte della luce proveniva da delle fessure poste sul soffitto, ma avvicinandosi il tramonto, gran parte dell'illuminazione era data dalle fiaccole magiche poste ovunque.
Forse siamo vicini alla sala del trono” suggerii al mio compagno e, infatti, poco dopo il corridoio si allargò fino a trasformarsi in una grande stanza dalla base rettangolare. Pensai che un tempo ci fosse una porta, per regolare l'afflusso della gente in quella parte della struttura, ma ora corridoio e sala erano collegati direttamente.
Il trono di pietra stava sul fondo, pulito ma con gli evidenti segni del tempo e della guerra passata, mentre tutt'intorno stavano statue e decorazioni varie salvatesi dalla furia dell'assedio. Era tutto molto silenzioso: troppo.
Sospirai preoccupato vedendo tutto così tenuto, come se fosse utilizzato ancora come reggia e non percependo nessuno spirito. Lorissy aveva invece un'aria sbalordita dalle decorazioni e dall'antico sfarzo che possedeva ancora la stanza, così che avanzò noncurante con gli occhi distratti.
Il talismano aveva ormai perso potere ma decisi di tenerlo ugualmente siccome lo trovavo esteticamente grazioso: era una perla rosa incastonata dalla forma sferica; il tutto era abbracciato da un anello metallico legato ad un filo, per formare il ciondolo.
Improvvisamente la luce sembrò mancare per un attimo e dall'alto arrivarono due fiammelle azzurre che rapide si abbatterono su di me e il mio aiutante.
Lui era troppo distratto per accorgersi di quella magia improvvisa, che ruppe il silenzio e la pace del salone, così difesi entrambi creando due piccoli scudi, formati da ammassi di fogli che si frapposero alle due fiamme. Durò un istante e la mia difesa resistette appena a quei colpi.
Cosa...?” provò a chiedere Lorissy ma io lo interruppi.
Stai attento. Era una trappola”. Lo dissi senza stupore. Avevo quasi sperato fin dall'inizio che lo fosse, come un bambino che aspetta il gioco meritato.
Finalmente un po' d'azione.
I battiti del mio cuore aumentarono mentre provavo a guardare le pareti e il soffitto, cercando il mio nemico. Lassù la luce arrivava appena, mentre noi eravamo ben visibili.
Non notai alcuna sagoma e provai uno strano senso di sconforto, quasi una paura. Il semi dio intanto aveva perso il suo aspetto riprendendo la forma originale.
Ero confuso da quella cosa. Il castello era vuoto e anche come trappola mi sembrò un po' poco. Era un po' come un mago solitario che ci aveva attaccato per noia.
Solo più tardi capii quel silenzio. Solo dopo venni a conoscenza del motivo per cui il fortino era vuoto.

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Ham, Il dio segretario della conoscenza (HamuHamu)
Ham bada a descrivere gli eventi più importanti e amministrare l'archivio di tutte le conoscenze accumulate nel tempo. Passa le giornate nello studio a scrivere e studiare i documenti.

Revery, la dea guerriera che protegge le porte del regno divino (Santus Porkias)
La Dea guerriera tiene d'occhio le porte del paradiso divino e combatte tramite il fedele anello magico. Nulla sfugge al suo occhio e amministra anche la giustizia e le dispute tra dei.

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I Can Die now.
Dopo gli errori dell capitolo precedente posso anche smettere di scrivere ç,ç Che vergogna. E pensare che l'avevo ricontrollato!
Come ho ricontrollato questo xD Ho evitato di andare avanti per rileggerlo stamani e stasera xD Speriamo bene! ^o^

Kanako, si sono al capitolo 4 xD

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Capitolo 7
*** L'inferno alle porte del paradiso ***


Capitolo 7 – L'inferno alle porte del paradiso

Era il quarto giorno dalla mia partenza.
Il Palazzo viveva nella tranquillità che lo caratterizzava. Nessuno si era più presentato alle porte del regno divino e Revery iniziava a pentirsi di aver mandato Lorissy e me in una missione dettata solo da un presentimento.
In una stanza candida, sfarzosa e con ampie tende bianche, stavano Chube e Katyana. Erano sedute attorno a un piccolo tavolo circolare che sembrava fatto di cristallo e decorato con disegni d'oro colato. Stavano assaporando una qualche bevanda fumante dentro piccole tazzine deliziose, colorate di azzurro e verde con disegni floreali.
Erano una di fronte all'altra, sorridenti e spensierate. Ormai il mezzodì era superato e loro erano pratiche di questi momenti in cui provavano una qualche nuovo di succo o tè.
Per un attimo il volto della divinità cuoca si fece cupo mentre posava la sua piccola tazza ormai vuota.
Cosa ti preoccupa?” domandò Chube. Aveva assunto dei tratti maturi sul volto e anche se il suo corpo non era molto formoso sembrava una donna fatta e finita. L'altra, che si apprestava a rispondere, aveva legato la chioma in due trecce che cadevano sul petto e aveva un volto molto più bambinesco.
Ho uno strano presentimento”. La mora si mosse un i capelli, per donare un po' di volume in più, mentre ascoltava quella frase. Sapeva che Katyana avrebbe continuato a parlare senza aver bisogno di essere incoraggiata e così fu. “Oggi mentre preparavo una torta ho avuto dei problemi con l'impasto. Dopo aver lasciato lievitare la forma ho notato che era piena di grumi. Non mi capita mai: è un cattivo presagio”.
Mi dispiace” commentò la dea delle bolle sorseggiando ancora quella bevanda. Nel presentargliela, Katyana, era stata un po' vaga, solo dopo averla assaggiata le aveva spiegato in cosa consistesse. Con una voce orgogliosa la dea spiegò: “È un infuso di erbe, solo che ho voluto inserire anche del succo di Mele provenienti dalle colline dell'est”. L'altra era rimasta molto colpita dal sapore dolce della bevanda e dal vivo colore giallo. Chube, ovviamente, ignorava la differenza tra le pregiate e rare mele dell'est e quelle dell'ovest, ma fece finta di comprendere e di gustare una prelibatezza.
Ora però quel succo passava in secondo piano.
Ham e Lorissy sono andati in missione”.
Katyana annuii con la testa. “Lo so. Cosa avrà in testa quello zuccone! Lui non è tagliato per fare la spia. Con quel compagno poi...”.
Chube si lasciò sfuggire un sorriso innocente e divertito. “Pensi che Lorissy non sia così abile?” domandò poi.
La rossa arrossì appena. “Non volevo dire questo; è solo che non mi sembra nemmeno lui tagliato per fare la spia. Ham almeno può fingere, ma Lorissy...” provò a trattenersi ma non ci riuscì, in compenso allungò il collo verso Chube e sussurrò “... è rozzo”.
La mora sorrise di nuovo. “Anche tu a volte lo sei” commentò scherzosa. L'altra però sembrò imbronciarsi un poco e così, Chube, cambiò il tono del discorso: “Comunque sicuramente porteranno a termine questo compito. Sono bravi entrambi”.
Katyana sbuffò. “Sono bravi entrambi, ma nei loro compiti! Non dovrebbero improvvisarsi informatori”.
Revery ha chiesto loro un favore. Sai come sono fatti”.
Tsè. Uomini! Ham non dice mai di no e l'altro... beh, non mi sorprenderei se al suo ritorno si sposasse con la sua dea protettrice” commentò. In realtà, fin dall'arrivo di Lorissy, la sua presenza l'aveva infastidita. Non credeva possibile che il loro rapporto così impuro potesse continuare nel Palazzo senza l'intervento del Grande Padre. Forse, c'era anche un pizzico di gelosia.
Chube aveva perso interesse. Il suo sguardo vagava perso nel liquido dolce della brocca che aveva davanti. Ci mise qualche interminabile secondo per rispondere. “Però, Ham, aveva bisogno di un po' d'azione. Non è sicuramente una missione rischiosa, anzi, si rivelerà solo una passeggiata molto probabilmente. Servirà solo a fargli prendere una boccata d'aria”.
Su questo hai ragione... però...”
Katyana stava per continuare quando Chube la interruppe: “Ho sentito che hanno richiesto un incantesimo di Manius per non farsi riconoscere. Ham è stato trasformato in una donna”.
Ben gli sta'” esclamò di risposta Katyana e dopo pochi secondi iniziarono a ridere entrambe.

Nel frattempo, durante il tardo pomeriggio, era giunta al Palazzo anche un'altra divinità. Era quasi un mese che non tornava su suolo sacro, siccome era partita per fare un viaggio verso le terre ai confini est per cercare nuove opere da leggere. Era Krost, la dea delle parole scritte. Per lei ogni avventura può diventare storia e ogni storia può diventare avventura. Viaggiava in continuazione in cerca di nuovi trattati, romanzi, biografie o anche semplici racconti.
Io e lei avevamo un buon rapporto, entrambi sempre circondati da pagine e fogli, solo che lei vagava nel mondo per trovarli e io invece ammuffivo nelle mie stanze.
Krost era una donna dalle forme morbide e corporatura in carne, a dispetto dei fisici asciutti di tutto il pantheon, e possedeva un volto sempre sorridente e paffuto. La chioma riccia e castana cadeva sul suo corpo danzando a ogni movimento.
Aveva un ottimo rapporto anche con Manius, poiché tra le sue opere preferite figuravano i racconti erotici o trattati su quell'argomento. Spesso la stessa dea della passione scriveva qualcosa che la intrattenesse durante i lunghi viaggi per terra e per mare di Krost e quest'ultima ne rimaneva sempre soddisfatta.
Era tornata per riposarsi alcuni giorni, dopo aver fatto scorta di nuovi resoconti e racconti esotici sulle selvagge e misteriose terre dell'estremo est. Sorrideva soddisfatta mentre scivolava per i corridoi.
Durante la sua avanzata trionfante incrociò Maonis, che era stranamente uscito dalle sue stanze.
Ciao, Maonis! Come va?” chiese perennemente allegra.
Krost, qual buon vento. Hai fatto un piacevole viaggio mi auguro. Qui tutto scorre quieto ma se cerchi Ham, mi dispiace, non è in casa”. Il gatto sorrise sotto i baffi, passando ronfante tra le gambe della dea.
Lei si inginocchiò per accarezzarlo. “Come dici? Dove può essere mai il mio caro amico?” il suo sguardo andò al soffitto. Era una delle sue caratteristiche: quando parlava, tendeva a distogliere lo sguardo puntando il cielo.
La guardiana delle porte del paradiso lo ha mandato in missione assieme a Lorissy, il suo schiavetto. Sembra che ultimamente si siano risvegliati antichi rancori che hanno scosso leggermente il pantheon, ma secondo me sono preoccupazioni inutili. Fuochi di paglia”.
Maonis non le mandava certo a dire a nessuno. Giustificandosi con la sua natura felina era schietto e meschino nei confronti di chi non gli andava a genio.
Dimmi tutto, mio caro” sospirò lei lievemente preoccupata.
Fu così che spiegò alla divinità che aveva davanti gli eventi accaduti, come il ritorno di Raffaella o il giurar battaglia di Elian e questa sembrò capire. I suoi occhi fissarono il micio.
Spero non sia davvero nulla di grave” commentò levando gli occhi alla volta.
Si alzò, ma prima di congedarsi dal compagno animale disse un'ultima cosa, forse riferita più a sé stessa che a Maonis. “I momenti che odio di più di una guerra sono la quiete prima della battaglia e il silenzio che segue. Se deve accadere qualcosa che accada alla svelta”. Tornò sui suoi passi.
Decise di dirigersi verso le stanze che le appartenevano, per riposarsi.

All'alba del quinto giorno dalla mia partenza, l'aria tremava in maniera innaturale.
Sembrò che il clima di calma respirato fino al giorno prima fosse solo un ricordo. Tutte le divinità si svegliarono confuse, turbate. I loro sensi erano all'erta anche se nulla accadeva realmente.
Era forse un'illusione ma tutti si mossero attenti.
Revery era posata alla sua solita postazione. Il Grande Padre le aveva dato un dono particolare: lei non doveva infatti dormire. Quella in cui cadeva era una trance dalla quale era pronta a svegliarsi in qualsiasi momento.
Annusava l'aria. Gli altri reagivano solo inconsciamente a quegli stimoli ma lei invece ci ragionava sopra: ricordando tutte le volte che quel sentore aveva appestato le stanze del Palazzo. Come sempre, pensò, gli uomini si daranno battaglia. Era sempre così: quell'aria pungente preannunciava sempre una battaglia. Gli dei chiamavano senso divino quello che permetteva loro di sentire quella presenza impalpabile, anche se in realtà erano le volontà di sangue e di violenza a sprigionare quell'energia che arrivava persino nel Palazzo.
Camminò fino a sporgersi da un parapetto che chiudeva il giardino su un fianco. Da quella posizione lanciò più volte gli occhi nel mondo ma non notò nulla di strano. Le solite cose, solite schermaglie.
Fu all'arrivo del pomeriggio inoltrato, quando il sole iniziava a farsi evidentemente basso all'orizzonte ma non abbastanza da far cessare la luce, che la battaglia ebbe inizio. Revery, che si era assopita nella noia del suo compito, si scosse scostandosi dal muro al quale era appoggiata con uno scatto. Balzò fino all'ingresso del giardino.
Sentì quell'aria farsi sempre più opprimente, come se avvolgesse il suo corpo in una bolla e sgranò gli occhi. Puntava la scalinata d'ingresso e sentiva i passi, le aure; sentiva l'arrivo di varie presenze.
Aspettava agitandosi. La mano destra tremava appena e sulla fronte scesero alcune gocce di sudore freddo.
Si maledì stringendo i denti: la sua esperienza e la sua abilità le fecero subito capire che sarebbe stato meglio avvertire tutti fin dall'inizio di quell'odore di guerra che aleggiava; ora era troppo tardi.
In un istante tutto le fu chiaro. Appena vide la sagoma di Elian affacciarsi dalla rapida scalinata, seguita da infinite ombre, Revery colse subito il significato del presagio.
Gli uomini non si sarebbero dati battaglia quel giorno, perché spettava agli dei affrontare uno scontro ancor peggiore.
Deglutì provando a contare le sagome. Troppe: forse un centinaio. Continuavano a uscire dal tunnel, salendo le scale con finta calma, seguendo la loro dea.
La guardiana si scosse un'ultima volta, assumendo un aspetto sicuro e parandosi davanti a quella folla minacciosa. Non avevano ancora sguainato le armi e i loro volti erano pacati sotto i cappucci neri, ma emanavano un'energia sinistra.
Fermati” esclamò portandosi una mano sulla fronte. Con un gesto poco delicato si spostò la corta chioma cenere dietro le orecchie perfette. “Vuoi dare una festa, Elian?”
Quell'atteggiamento sembrò fare presa sulle ombre che tremarono un poco. La dea del ciclo fece segno di tranquillizzarsi.
Sì: una festa rumorosa. Vuoi unirti a noi?” domandò sorridendo appena, mostrando però una cosa che apparve molto simile a un ghigno diabolico. Si scagliarono sguardi rancorosi per alcuni istanti e l'aria parve incendiarsi. Quel momento fu interrotto solo da un'azione di Elian, che stanca di aspettare, fece un passo oltre la soglia delle scale, intenzionata a far partire il suo folle assalto.
Revery fece scattare la sua mano insieme al braccio al suo seguito. L'anello vibrò e il suo movimento stava a significare che la dea doveva placare la sua avanzata.
Torna da dove sei arrivata insieme ai tuoi compagni. Questo suolo non può essere calpestato da creature come te”.
Allora scacciami come sai fare solo tu. I miei servitori fremono dalla voglia di vedere la tua forza”.
Pensandoci adesso, dubito che i suoi servitori fossero davvero contenti di vedere l'ira della guardiana siccome rischiavano la loro stessa vita, ma Revery non ci pensò.
Li accontento subito”.
Un attimo prima del suo attacco, quella folla di mantelli tremò e salto in avanti in un'offensiva totale e disorganizzata. Alla dea bastò un solo gesto debole per frenare la loro corsa. Si creò una corrente, simile a un muro invalicabile, che respinse tutti quegli uomini facendoli cadere sparpagliati sulla scalinata.
Gli occhi della dea andarono ai pochi che riuscirono a cadere in equilibrio e che scattarono di nuovo come se la loro vita dipendesse da quello. Il resto delle ombre si rialzò ognuno seguendo il proprio ritmo, scagliando un secondo assalto.
Per una seconda volta si creo un muro, poi un'altra volta ancora e ancora. Per quanto forte spingesse quegli adepti demoniaci sembravano decisi a superarla, continuando a correre anche a costo di cadere altre mille volte rovinosamente al suolo.
Elian si era fatta indietro, circondata da quattro figure di diversa stazza. Non interveniva poiché aspettava che la furia dei suoi maghi riuscisse a fare una breccia. Bastava che uno mago superasse quel muro di vento per fare in modo che la dea dovesse curarsi di inseguirlo, lasciando gli altri liberi di proseguire.
Era sicura di questo, Elian, perché sapeva quanto fosse fedele al proprio compito l'altra dea.

Dopo il quarto muro d'aria, Revery, volle approfittare di un attimo di quiete per scagliare un colpo ben più pericoloso.
Schioccò le dita e in un secondo centinaia di proiettili magici si scagliarono verso quel branco di ombre. Erano partiti tutti dal corpo della dea o dall'area subito nei pressi di essa ed erano in realtà delle sfere di vento manipolate dalla magia. Ogni sfera vorticava su se stessa a gran velocità e si muoveva come una freccia impazzita seguendo una traiettoria imprevedibile e rapida.
Quello stormo di attacchi creò una serie di fischi cui susseguì il fragore dell'impatto e delle urla.
La dea aveva scagliato le sue sfere di vento alla cieca, indirizzandoli comunque tutti nella zona dove si trovava quel gruppo di invasori. Sul suo volto apparve un sorriso vedendo l'assalto riuscito e molti di quei corpi riversi a terra, agonizzanti o morti.
Non fu una gloria di lunga durata, comunque. Altri erano sopravvissuti e si scagliarono nuovamente all'attacco. Ancora e ancora. Era un fiume di corpi che avanzava verso la dea. In battaglia li avrebbe certamente abbattuti tutti, ma in quel momento non riusciva a tenere tutte quelle sagome a bada.

Dopo alcuni assalti falliti fu una di quelle sagome a farsi avanti in maniera indipendente. Era rapida, molto di più delle altre e ciò stava a significare che era anche più forte. Grazie alla velocità acquisita, arrivata davanti alla dea, riuscì a scagliare un pugno abbastanza forte da spingerla a terra. Il suono dell'impatto era stato spaventoso ma Revery era riuscita a difendersi efficacemente.
Non sarà un guerriero corrotto a uccidermi!” esclamò. Si accorse solo in quell'istante di essere caduta con il sedere a terra. Per alzarsi sarebbe bastato un attimo me in quello stesso lasso di tempo i suoi nemici sarebbero passati.
Sopra di lei apparve un'altra sagoma avvolta dalla mantella.
Riuscì a vedere il suo volto tinto di scuro e dai capelli castani molto corti. Gli occhi erano iniettati di sangue e persino il suo sorriso aveva qualcosa di sinistro.
Fu una distrazione inutile quella di lasciarsi atterrare in quel modo ma quei nemici non le avevano dato il tempo di attaccare efficacemente: tenendola occupata per tutto il tempo dello scontro.
La nuova figura scagliò su di lei una sfera infuocata dallo scarso potere ma che all'impatto rilasciò un'esplosione di fiamme che atterrò del tutto la divinità.
Rimase stesa al suolo con gli occhi rivolti al cielo.
Per la prima volta in tutta la sua esistenza aveva fallito. Il fiume di corpi passò oltre con veloci balzi e scatti improvvisi. Nessuno osava attaccarla, o forse nessuno la notava più.
Avrebbe voluto morire lì piuttosto che rialzarsi e dover accettare quella sconfitta, per quanto misera e giustificata. Il suo onore era andato in frantumi e pensò che anche la sua credibilità lo fosse.
Era stata troppo sicura di sé e ora doveva pentirsene.
Però non pianse e non lasciò neppure che la disperazione offuscasse la sua mente.
Si rialzò di scatto e con gli occhi ancora lucidi lanciò una folata di vento con una potenza tale da danneggiare perfino l'ingresso del giardino e la soglia delle scale.
Coloro che non erano ancora passati dovevano vedersela con la furia smisurata di Revery che adesso si scagliava in una serie di assalti.
I getti d'aria con i quali sbaragliò quelle file, uccidendo gran parte dei maghi e scagliandone altri al di sotto del molo, erano di una potenza impressionante. Le mattonelle del piano, i gradini delle scale e perfino la roccia grigia del castello venivano scalfiti e danneggiati.
La dea volle usare il potere del suo anello fino al limite pur di redimersi.

Elian era già passata oltre, e le sue quattro sentinelle anche.
Sapeva che la dea era forte, forse anche per lei, ma sapeva anche che la sua potenza si sarebbe mostrata solo nella lotta individuale, contro un solo o pochi nemici. Aveva previsto la sua riuscita sperando proprio in questo: nell'assalto spavaldo e incosciente dei suoi maghi. Il piano di attaccarla in gruppo, di continuò, si era rivelato vincente.
La diga era stata distrutta e il fiume era riuscito a passare.
Cosa le importava delle vittime che contavano le sue file: gran parte di quella gente erano illusi dalla dea, dotati di poteri maligni che non erano in grado di utilizzare e lanciati nella battaglia con il solo scopo di essere sacrificati.
Ma mentre si compiaceva di questo, percorrendo di corsa l'ultimo tratto prima del Palazzo, sentì un grido.
Era un urlo che riecheggiò con forza in ogni luogo della fortezza divina partendo dal giardino, attraversando ogni fessura e spiffero. La guardiana aveva lanciato il suo segnale: il castello era invaso.


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Katyana, la dea dei dolci e delle cose dolcificate (Switty-kitty)
Cuoca dell'intero pantheon, lei si occupa della creazione di nuovi e sofisticati cibi da proporre ai compagni. Lei è anche la patrona di tutte quelle storie mielose che garbano solo a lei.

Chube, la divinità delle bolle e della schiuma (Chube-Chan)
Lei è colei che tiene pulito il regno divino e si occupa di alleviare le pene altrui. I suoi poteri sono appunto legati alle bolle e alla schiuma. Combatte solo se necessario e non si arrabbia mai.

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Non ho molto da dire. 
Kanako, ho iniziato il 5 xD

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Capitolo 8
*** Distruzione e conoscenza ***


Capitolo 8 – Distruzione e conoscenza

Scrutavo verso l'alto mentre il mio compagno correva verso di me.
Quando mi fu vicino chinò appena il capo. Non disse nulla né fece alcun segno. Per me era sufficiente che si facesse da parte.
In quel momento mi sentivo abbastanza forte da tenere sotto controllo tutta la situazione.
All'improvviso una voce proveniente dal soffitto mi sorprese.
È già tutto terminato?” chiese. Era un timbro a me sconosciuto; rauco e fastidioso.
La sagoma che ci aveva attaccato si trovava davvero lassù. Nel soffitto della stanza, solo che non riuscivo a vederla. La sua voce riecheggiò più volte fino a disperdersi e ciò non mi aiutò a capire dove si trovasse di preciso.
Allora?” chiese poi insistente.
Fermai Lorissy prima che aprisse bocca: lui non era certo un tipo adatto a dialogare.
Di cosa stai parlando?” domandai senza perdere la calma.
Lui bisbigliò qualcosa che non capii, probabilmente un'imprecazione. e poi continuò: “Tu non sei un dio? Eppure emani un'aura simile alla somma Elian”.
Non paragonarmi a lei!”
Ehi, calmati: era solo un'osservazione. Comunque tu vieni dal Palazzo, no? Dovresti sapere di cosa sto parlando”. Quella sagoma rimase poi in silenzio per qualche attimo “Allora: è già tutto finito?”
Strinsi i pugni concentrandomi. Se c'era qualche mago lassù, dovevo per forza percepirlo.
Parlavo solo per perdere tempo, ma la sua aura era inesistente.
Lo sapevo: è stata una cosa da pazzi, hanno già finito”.
Cosa succede al Palazzo?” chiese Lorissy facendosi avanti.
L'ombra rise. “Come? Aspettate un attimo....” rise ancora, con sempre più gusto, come se godesse all'idea che noi fossimo ignari di ciò. “...Non sapete nulla?”.
Sbuffai e appoggiai la mia schiena al semi dio. Guardai per un'ultima volta il soffitto ma non ce ne fu bisogno: quell'ombra si gettò davanti a noi, piazzandosi davanti all'ingresso del corridoio dal quale eravamo passati, come se non volesse farci andare via.
Che succede al Palazzo? Dimmelo!” dissi con tono minaccioso.
Ci misi poco a inquadrarlo: occhi scuri e grandi, pelle pallida quasi cadaverica e capelli crespi e di un colore simile alla pece. Il suo corpo era magro, troppo magro; per un attimo mi parve che la pelle nuda del busto potesse sparire sotto le ossa ben visibili a ogni respiro.
Ciò che però mi fece strabuzzare gli occhi erano le otto braccia di strana natura che mostrava con orgoglio. Fuoriuscivano dalla sua schiena, proprio in una posizione vicina a quella delle due reali; possedevano uno strano colore che sfumava dal viola al rosso e avevano l'aspetto di arti scarnificati. A prima vista sembrava pelle viva, muscolo puro lasciato scoperto ma poi ci si accorgeva che era carne putrida e maledetta.
Le usava come gambe, perfino, data la loro lunghezza. A occhio e croce pensai che fossero almeno due metri, o abbastanza da non far lui toccare terra con i piedi.
La sua frase spinosa fece breccia dentro di me ancora di più del suo inusuale aspetto. Con un ghigno malefico, tipico solo di un servitore di Elian,mi rispose.
Il Palazzo è morto”.
Un brivido mi attraversò la schiena. I nostri due volti rimasero paralizzati. Morto, mi ripetei, per quale motivo? Mi convinsi che quel pazzo stesse solo mentendo. Ma ora le cose iniziavano a farsi chiare, comprensibili.
Lui dondolò muovendosi su quelle lunghe e anormali braccia demoniache. Avanzò verso di noi un poco sospirando eccitato. “Elian è partita oggi pomeriggio, ora penso sia tutto finito”.
Di pomeriggio: mentre io e il semi dio stavamo provando a entrare. Eravamo talmente euforici per la prossima riuscita del piano che non abbiamo fatto caso ai nostri sensi. L'aria puzzava di battaglia fin dalla mattina, però, nessuno aveva dato peso a quel segno.
Ora capivo perché Knossa era vuota, lo capii in un lungo attimo abbracciato dallo sconforto: Elian era partita e con sé il suo esercito. Ciò che prima si trovava qui ora calpestava la terra divina.
Con una leggera gomitata attirai l'attenzione di Lorissy. Lo guardai serio in volto mentre dentro di me crollava ogni speranza: alla fine avevamo fallito.
Dobbiamo tornare a Palazzo”. Sospirai.
Lui annuii pienamente d'accordo ma lo sconosciuto scosse la testa. “Ora siete miei ospiti; perché non giochiamo un po'?”
Non abbiamo tempo” risposi ma lui ci si parò davanti camminando ancora su due di quelle braccia e parandoci la strada con le restanti sei.
Non accetterò un rifiuto” sorrise.
Dopo un solo istante, il suo corpo su bersagliato da centinaia di lame di carta e colpito da un violento pugno. Il risultato fu che il servitore di Elian si ritrovò scagliato indietro di parecchi metri e cadde violentemente a terra mentre una moltitudine di fogli prima affilati come coltelli tornava ad assumere la consistenza originaria.
Se l'esercito della strega era di questo livello il Palazzo è ancora intero: anzi, Non saranno riusciti neppure a superare il giardino” commentò Lorissy mentre sgranchiva le dita usate nell'attacco.
Quella bestia però si rialzò ridendo malignamente.
Il suo corpo era ricoperto da un'aura purpurea e maleodorante. Capii immediatamente di cosa si trattava: quello era il seme demoniaco. Elian doveva aver giocato in maniera veramente strana in quel fortino per riuscire a impiantare il seme di un demone all'interno di un mago umano.
La cosa mi ripugnò, ma in quel momento non potevo distrarmi. Quella creatura ormai non più umana rimarginò le ferite mentre i miei fogli, uno dopo l'altro, cadevano danzando al suolo privi di vita. Persino il pugno di Lorissy sembrò non aver sortito nessun effetto.
Un dio scartina e un mezzo-dio. Dreni non si farà sconfiggere da questi due!” gridò rialzandosi sulle sue svariate braccia come per mostrare la grandezza che lo contraddistingueva.
Rise subito dopo con quella sua voce veramente fastidiosa.
Lorissy mi guardò con aria confusa e io provai a spiegare brevemente la situazione.
Questo qui non è un semplice mago. È probabile che la sua dea l'abbia fornito di particolari poteri”. Non c'era molto da comprendere, pensai sospirando.
Lui soffiò prima di lanciarsi in una seconda offensiva barbara.
Corse semplicemente verso quell'adepto della dea del ciclo e provò a colpirlo con un altro pugno, questa volta più forte a causa della spinta che si era dato. Dreni dondolò un poco indietreggiando appena e da quattro delle sei braccia libere scagliò altrettante sfere di natura oscura dirette verso il mio compagno.
Sembravano seguire traiettorie del tutto irregolari quando alla fine convogliarono tutte sul corpo di Lorissy. Non posso dire con certezza quanto grave fosse il danno subito, so solo che l'impatto fu abbastanza potente da farlo cadere a terra parecchi metri indietro. Era quasi tornato accanto a me dalla spinta ricevuta.
Si rialzò ma io fermai un'altra possibile iniziativa.
Sei indubbiamente forte e avrai anche dei poteri segreti che ti ha donato Revery ma questo nemico ti pareggia” deglutii prima di continuare la frase amareggiato “O forse ti supera”.
Mi doleva ammetterlo ma quel Dreni emanava un'energia corrotta e malvagia ma allo stesso tempo ampia e pericolosamente potente. Non potevo sapere fin dove si era spinta con i suoi esperimenti e quindi pensai che fosse meglio studiarne un po' i limiti le capacità con qualche attacco mirato a tale scopo.

Provai con dei colpi che con precisione seguivano il suo corpo con l'intenzione di colpirlo, con gli assalti da più direzioni, perfino con attacchi ad area e trappole improvvisate. Il semi dio provò a supportarmi ma aveva capacità ben più limitate delle mie. La mia carta era plasmabile e adattabile a qualsiasi scopo e strategia mentre lui poteva solo contare su quella forza sovrumana.
Il mago corrotto sopravvisse indenne a tutti i miei attacchi. Dove non riuscì a pararli, riuscì a guarire le ferite ricevute.
Mi prese uno strano senso di sconforto quando pensai che Elian avesse con sé altre creature di quel calibro. Il Palazzo era in pericolo. Forse il mio arrivo non sarebbe servito a nulla ma dovevo sperare. Mi dissi che il Palazzo aveva combattenti che superavano di gran lunga me o il mio accompagnatore e dunque, di sicuro, sapevano come affrontare la situazione.
Gridai mentre facevo qualche passo in avanti, verso il mostro. Gridai, mentre un turbine di fogli si alzava attorno a me verso il cielo. Era un muro tagliente e impenetrabile: io ero isolato e protetto standone dentro. Per un attimo mi sentii sicuro, ma tutto svanì in pochi istanti. Fermai quel vortice lasciando che tutte le mie armi dondolassero verso al suolo. Era stato uno sfogo, non un attacco e Dreni lo capì. Ero riuscito comunque a disperdere armi in tutta la stanza, lui non colse questa sfumatura.
Lorissy era fermo, da una parte, forse a pensare. Sapeva che in quel momento io ero il protagonista e non doveva intervenire, soprattutto perché i miei attacchi lo mettevano a rischio.
Era immobile vicino a me, ghignante e sicuro di sopravvivere contro di noi. Mi chiesi come poteva un uomo mostrare tanta sicurezza davanti a un dio: una creatura superiore, dalle origini ignote. Mi parve come una spavalda formica che voleva affrontare l'elefante a testa alta: una formica terribilmente forte, dovetti ammettere.
Non potevo perdere altro tempo. Non potevo.
Mentre il mio braccio scivolava per indicare il loro bersaglio, la mia fedele carta scattò come formidabili lame. I fogli si piegarono a formare tanti pugnali.
Tagliarono l'aria sibilando e andarono verso quel folle. Vorticarono, feroci, attorno alle sue maledette braccia. Gira, gira, gira. Un girotondo di carta.
Lui granò gli occhi.
No caro mio, pensai soddisfatto ignorando il rigolo di sudore che cadeva dalla mia fronte, non lo farai anche stavolta! L'avevo incastrato.
Notai la sua espressione cambiare dopo il primo assalto; dopo che saltò via il primo dei tanti arti demoniaci. No, mio caro, continuavo a ringhiare dentro la mia testa.
I miei fogli, gli stessi che prima erano state lame, ora erano diventati fazzoletti che fasciarono la ferita rilasciando la mia energia superiore e cicatrizzando il taglio. Finché rimanevano quelli, lui non avrebbe rigenerato quel dannato braccio!
Goduria e fatica.
Vederlo finalmente cedere dopo un'ora di interminabile lotta era qualcosa che riempiva il mio corpo di una strana eccitazione. C'era anche quella dannata fatica, a impedirmi di sentire appieno la gioia che mi scorreva nel sangue.
Controllare una serie di attacchi così precisi era qualcosa di troppo grande anche per me.
Dovevo indirizzare alcuni fogli taglienti ai suoi arti e altri a tamponarli. Il corpo vero era intoccabile, ovviamente. Avevo capito che quelle braccia emanavano l'aura tanto temuta, stessa aura che ricopriva il corpo di Dreni come uno scudo di metallo.
Lorissy era fermo accanto a me, non aveva un ruolo: io non avevo programmato un suo intervento.
Tagliai anche il secondo, tamponato.
Tagliai il terzo, all'altezza del gomito e non più a quella della spalla, tamponato.
Tagliai anche il quarto e il quinto, tamponandoli con l'energia rimanente.
Poi il buio iniziò a prendersi il suo spazio all'interno della mia visuale. Sbattei più volte le palpebre.
Come un pugnale che mi trafiggeva il petto, la consapevolezza di aver raggiunto il limite mi uccise. In un istante, un solo istante,:sentii la terra sparire sotto i miei piedi e vidi il mio corpo sprofondare.
Mancavano tre braccia, ma io ero sfinito e pur di mantenere quell'incanto attivo mi piegai sulle ginocchia grondante di sudore.
A Lorissy bastò una mia occhiata priva di forze per capire cosa doveva fare: approfittare del momento ovviamente.
Arrivò davanti al mago in un attimo e in un attimo lo colpì con forza, facendolo traballare stordito.
Dreni non era stupido: l'avevo capito fin dall'inizio e avevo anche che riusciva ad adattarsi a qualsiasi situazione. Così: con tre sole braccia rimanenti, le tre più in basso, riprese la lotta.
Mentre si faceva dentro di me il verme della consapevolezza, una consapevolezza molesta e fastidiosa, lo scontro tra i due faceva tremare l'aria.
Violenti pugni e calci che si scontravano con emissioni di energia oscura e mortale.
Lanciai uno sguardo alla situazione, come se fossi in grado di permettermelo, aggiungerei.
La mia vista lesse qualcosa. Al di là delle luci improvvise, delle urla e di quel fastidioso odore di fumo che stava impestando la stanza, c'era qualcosa che mi parve indecifrabile.
Un punto debole, forse, o una caratteristica comune a tutti.
Il mio attacco era finito e fu come respirare l'aria fresca di un prato in fiore. Dovevo solo tenere quella carta appiccicata sul suo lurido corpo, niente di più. In realtà: era una cosa veramente faticosa, ma nulla in confronto a ciò che avevo appena affrontato.
Dopo un ultimo bagliore Lorissy si allontanò definitivamente. Lanciava continuamente occhiate a me, in ginocchio al suolo, e il suo nemico, ferito e indebolito dalla mia tattica. Lo leggevo nei suoi occhi, era confuso.
Cosa doveva fare?
Avrei pagato per poter rispondere. Anche io, un dio, mi chiedevo la medesima cosa.
Poi gli ultimi tasselli del mio piano furono sistemati, le ultime idee e la speranza di arrivare al Palazzo mi donarono un ultimo lampo di energia.
Dannato dio!” bestemmiò Dreni “Questi stupidi talismani bruciano!” imprecò varie parole incomprensibili e continuò “Ti faccio fuori se non me li levi immediatamente!”. Era vero, tutto vero.
Con un piccolo sforzò mi assalì con una semplice sfera magica. Un globo nero che si diresse verso di me velocemente. Era umiliante essere bersagliato da un attacco così scarso, ma in quel momento bastava a uccidermi.
L'energia che mi inondò per un secondo mi permise di muovermi, scivolare sui fogli dispersi su tutto il terreno, evitando quell'attacco. Allo stesso modo, prima che quell'ispirazione finisse, lanciai un'altra raffica di lame contro tutto il corpo del mio nemico.
Era come trattenere il respiro troppo al lungo, mi mancava l'aria e la forza di spingermi oltre.
Combattevo contro l'idea di abbandonare tutto e cadere in un sonno ristoratore, un'idea così sublime e morbida che sembrava la via migliore.
Vincere e perdere. Erano cose del tutto secondarie. Lasciarmi andare al sonno, era l'unica possibilità.
Corrugai la fronte: sapevo che non potevo mollare adesso, non adesso.
Con quella raffica, disperata, pensai davvero di mettere fine alla lotta: ma fallii. Dreni lanciò un grido seguito dall'immagine della sua aura che si allarga all'improvviso, creando una raffica di vento capace di tenere a bada il mio attacco, di respingerlo perfino. Da dove trovasse tutta questa forza lo ignoro. Aveva superato il mio essere divinità, questo era ovvio.
Dallo stormo di fogli però apparve un corpo e le mie convinzioni si rivelarono esatte.
La sagoma atletica e perfetta di Lorissy, con il suo grande torace, emerse tra le lame senza vita che avevo lanciato, avventandosi contro il mago. Avevo imparato molto presto cosa era il 'periodo vuoto'.

Da bambino, innocente ma già sui tomi antichi, lo chiesi al Grande Padre.
Perché non possiamo lanciare magie a ripetizione?” chiesi ingenuamente.
Lui mi inondò di una piacevole sensazione, come la risata di un vecchio, e disse: “Lanciare incantesimi è come soffiare forte: non puoi soffiare per sempre e tra un soffio e l'altro occorre inspirare”.
Vale anche per le divinità?”
Nessuno è escluso” concluse.
Il respiro, tra una magia e l'altra era il periodo vuoto, un tempo brevissimo nel quale non potevi lanciare nessun incanto o manifestazione innaturale.
Era un tempo veramente breve, quasi come quello che ci si impiega a inspirare, ma in quel momento si protrasse abbastanza al lungo da permettere al mio compagno di scagliare l'ultima offensiva.
Un fendente argentato che si conficcò nel corpo del mago tagliandolo a metà.
Sangue, uno strano verso, sudore. Lorissy rimase qualche secondo immobile mentre io mi eclissavo. Non avevo la forza di chiedere aiuto e lui se ne accorse troppo tardi. Dopo alcuni secondi di meritato riposo si voltò per cercarmi.
Non so come fossi in quel momento ma lui sbarrò gli occhi terrorizzato.

Avevamo vinto?
Non potevo rispondermi. Il buio che era stato fino a quel momento una cornice si fece strada annebbiandomi la visuale. Sospirai e finalmente mi abbandonai a quel sonno.
Solo il rumore di passi lontani che non mi appartenevano più.
Non avevo più problemi, ora.

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Capitolo 9
*** Una corsa frenetica ***


Capitolo 9 – Una corsa frenetica.

Un rombo dopo l'altro, la successione delle urla e le scintille che si accendevano ormai in tutta la strada prima della porta.
Il Palazzo stava subendo un grave colpo.
Tutte le divinità presenti stavano agendo contro quello sciame color nero che, frenetico, si agitava lungo tutta la scalinata e le rocce grigie.
Ormai la cosa sembrava protrarsi a lungo e non c'era dubbio che alcuni fossero riusciti a penetrare all'interno della struttura. Chube era riuscita a contarne quattro in tutto, ma lei adesso aveva altro da fare.
Da quando Revery si era allontanata dal giardino, scivolando dietro alla dea Elian, toccava a Chube e Manius, le due in quel momento presenti, difendere il portone.
La dea della passione aveva i suoi trucchi e con incredibile velocità e grazia cambiava il suo aspetto. Si muoveva sinuosa tra i maghi come un felino gigante, poi si alzò in volo come drago e infine divenne una splendida donna le cui braccia erano però lunghe catene ricoperte di lame e spine.
Chube, invece, teneva fisso lo sguardo e colpiva. Bolla dopo bolla.
In un attimo creava una serie di bolle di sapone di differente grandezza, poi, schioccando le dita, le faceva scoppiare. Il fragore dell'esplosione risuonava ovunque e la sua forza bastava a distruggere ampie porzioni di dura roccia, assieme a qualche mago.
La dea delle bolle non si arrabbiava mai, o mai nessuno l'aveva vista arrabbiarsi. Rimaneva pacata, con il suo sguardo pensieroso e maturo, anche durante il più aspro conflitto.
Qualche spavaldo adepto di Elian aveva provato ad aggirare il castello, saltando o arrampicandosi fino al grande tetto con lo scopo di trovare un accesso.
La parte superiore del Palazzo era formata da un semplice tetto spiovente dalla base rettangolare. Si sviluppava in lunghezza coprendo con le sue tegole turchesi tutte le stanze e i corridoio di quella struttura. Poi c'erano delle torri, principalmente ornamentali, con tetti conici e fiabeschi.
Coloro che arrivavano fin lì incontravano Maonis avvolto dalle fiamme e pronto ad affondare i suoi artigli incandescenti in qualsiasi assalitore ostile. Era piccolo e pochi si ricordavano di lui, quindi: insieme alla sorprendente velocità del dio felino, c'era il fattore sorpresa di questi adepti un po' ignoranti.

All'interno, tra i corridoi, si sentiva il rumore delle spade che si scontrano, tra scintille e energie astiose.
Nel corridoio ovest, illuminati da un sole che tardava a calare, Katyana aveva fermato uno dei più furbi: un topolino che si era spinto troppo oltre. Né il sofisticato pavimento dalla tinta rosea e uniforme, né le pareti bianche decorate con colonne e vetrate erano imbrattate di sangue. Neppure i drappi sul lato est avevano assorbito tra le loro pieghe una goccia di quel liquido rosso.
La dea doveva ammettere che quell'uomo era forte. Lei, dea dei dolci, era molto brava sia con la magia sia con le armi. La grande mannaia incantata che impugnava sembrava ridere, gioire, a ogni movimento perfetto della divinità.
Aveva iniziato lanciando dei pugnali di splendida fattura che, con grande dispiacere, avevano mancato il bersaglio. “Troppo rapido” aveva sospirato.
Poi lo aveva tenuto a bada con la magia, senza che lui si degnasse di presentarsi o mostrarsi interessato. Sembrava che l'intruso volesse solo superarla senza curarsene troppo.
Katyana aveva lanciato i suoi attacchi con il miele, un'arma fin troppo pericolosa secondo lei, e con altre cibarie a sua disposizione.
Il risultato era stato perdere tempo. Quel piccolo topo aveva una tecnica perfetta: l'unione di forza e rapidità. La sua lancia affondava in continuazione avvicinandosi pericolosamente al bersaglio: e se non riusciva a colpirla tornava alla posizione iniziale, come un serpente dopo lo scatto.
Lei non aveva mai visto di buon occhio le lance e adesso iniziava perfino a provare qualcosa simile all'odio nei loro confronti.
Erano molto più temibili di quanto la gente pensasse.

Un giorno: mentre assaporavano dei biscotti salati raffreddati appena, Revery le aveva raccontato qualcosa su quell'arma. Lei non ricordava come erano entrati nell'argomento ma la guardiana uscì con questa spiegazione: “La lancia è tra le peggiori avversarie se usata a dovere, sai? La gente pensa che l'affondo di lancia sia evitabile con nulla e che una volta lanciato il primo assalto il lanciere diventi indifeso; nulla di più falso. Vedi, Katyana: evitare una lancia è difficilissimo. Se provi a correre in cerchio attorno a lui, il lanciere, prevederà le tue mosse e riuscirà a colpirti. Se invece fai degli scatti rapidi e imprevedibili: il lanciere lancerà l'affondo quando, alla fine di uno scatto, freni e ti prepari a farne un altro. La lancia ci mette pochissimo a raggiungerti ed è insidiosa. Se entri nel suo raggio d'azione, basta solo un secondo di immobilità, e come un serpente saetterà verso di te trafiggendoti”.
A Katyana non era sembrato educato parlare di armi durante una merenda così sfiziosa ma l'ascoltò attentamente.

Ora quelle nozioni le erano tornate utili.
La lancia sembrava davvero un serpente pronto ad attaccare e lei si guardava bene dall'avvicinarsi troppo. Sapeva bene, comunque, che indietreggiando avrebbe lasciato la strada libera a quell'essere.
Fissò per l'ennesima volta il volto di quel nemico.
Aveva dei riccioli rossi, come i suoi, che cadevano attorno alla testa piccola e allungata. Il naso era troppo grande ma gli occhi possedevano una bellissima tinta chiara, tra il verde e il giallo.
Il mantello l'aveva lasciato cadere all'inizio dello scontro con le armi, un attimo prima di far comparire quella dannata lancia dal nulla.
Aveva scoperto un fisico gracile, coperto da dei pantaloni di pelle eccessivamente stretti e una maglia sbracciata bianca. Un completo semplice. Dopotutto era la sua abilità a renderlo spaventoso non il suo aspetto.
La dea deglutì prima dell'ennesimo attacco: uno scatto in avanti e la lama tenuta verticale parallela al volto. Poi il sibilare della lancia, un balzo all'indietro e il respiro che diventa sempre più affannoso.
Non aveva idee, non aveva più trucchi.
Quella lancia aveva perforato i suoi getti mielosi con incredibile facilità, eppure era così semplice: una punta di metallo legata sopra un asta lunga e ben levigata dal colore chiaro. Anche la mannaia della divinità era di fattura semplice, ma lei non se n'era mai curata. Lo sfarzo lo lasciava ad altri personaggi del Palazzo.
Quel giorno non aveva voluto mettersi i soliti abiti interi, con le lunghe gonne svolazzanti e i disegni di frutta o fiori. Dopo averne provato uno bianco, la cui gonna era ricamati con rosei fiori di pesco, decise di sistemarsi in maniera differente. Aveva percepito qualcosa nell'aria e si sentiva stranamente bloccata e impacciata con quegli abiti. Aveva messo una camicetta color crema e un paio di pantaloni che arrivavano appena sotto le ginocchia, di un vivo marrone. Questi ultimi gli erano stati regalati da Chube, tempo addietro, ma era sempre stata restia dall'indossarli.
Nessuno tanto al Palazzo si sconvolgeva nel vedere una donna in pantaloni.
Il suono dello stivale nero che impattava pesantemente al suolo era il segnale di un nuovo affondo.
Socchiudendo gli occhi indietreggiò ancora una volta.
Sapeva di dover pensare a qualcosa pur di sconfiggerlo ma la sua mente era vuota.
Zero idee, zero opzioni.

In un salone poco distante, inizialmente ideato come sala da ballo ma mai usato, si stava consumando un'altra battaglia.
Differentemente dal salone ovest, il pavimento della stanza era coperto da una quantità inimmaginabile di sangue. Krost non era una dea portata alla lotta e questo lo sapeva molto bene. Con me non condivideva quindi solo la passione per le letture e i viaggi.
Il suo avversario aveva uno strano ghigno malefico stampato sul volto.
Le ciocche ricciole e nere creavano una cornice spinosa attorno a quel volto incredibilmente aggressivo. Lo sguardo tinto di rosso e circondato da ciglia molto lunghe. Labbra, sottili e rosee come la pelle.
Indossava solo dei pantaloni neri di pelle e una canotta sbracciata del medesimo colore.
La donna in nero, la voleva chiamare Krost e se mai avesse scritto una storia al riguardo l'avrebbe davvero soprannominata così. L'unica cosa veramente pericolosa era la falce: una semplice lama a mezzaluna piazzata su un'asta di legno duro.
La dea era coperta di ferite, con lo sguardo stordito e apparentemente priva di idee su come agire.
Cos'hai, dea: senti la morte ormai prossima?” chiese con tono di sfida.
Krost non si scompose.
Non mi arrenderò!” esclamò.
Tsè. Puoi attaccarmi tutte le volte che vuoi, ma la tua pancia e i tuoi pugni non posso spaventarmi” commentò perfida l'intrusa. Inizialmente non ottenne risposta e perciò imbracciò l'arma, che aveva distrattamente posato sulle spalle, brandendola minacciosa. Un colpo finale, pensò sicura, e poi potrà vantarsi di aver ucciso una dea. L'idea la faceva già eccitare, ma tutto fu stroncato da una frase della moribonda.
Sembrava reggersi appena sulle gambe e aveva ancora la forza per parlare. Ine, l'adepta di Elian, dovette ammettere che erano fatti di pasta dura gli dei.
Per.. perché siete qui?” chiese.
Ine sbuffò: non era tipa da spiegazioni. “Un attacco, no? Cosa c'è da sapere?”
Voi... avete... scatenato... l'inferno... solo...” quella dea procedeva troppo lentamente.
Sì” la interruppe l'intrusa “Noi abbiamo scatenato l'inferno solo per questo. Per dimostrarvi che anche noi uomini possiamo competere con gli dei!” esclamò, senza accorgersene.
Elian crede in noi. Ha detto che un mondo governato da uomini è migliore di quello governato da dei. Lei vuole donarci il potere per comandare su questo modo: giudicarlo, amministrarlo. Senza dover dipendere da voi, umani montati, e alla vostra misericordia”.
Krost non credette alle parole che aveva sentito. Uomini montati? Con quale coraggio una traditrice dei suoi simili chiamava una divinità in questo modo?
La risposta giunse quasi subito, giusto il tempo per notare lo sguardo offeso sul volto della dea.
Ah, giusto. Voi siete ancora sotto la campana di vetro” commentò con un filo di disgusto “Nati dei e morti da dei. Beh, credo fareste meglio a chiedere la verità al vostro amato padre”.
Non sai dirmi altro?” sembrò che improvvisamente la dea si fosse ripresa.
Cosa?”
Non hai altre informazioni? Insomma; la tua convinzione mi sembra così ingenua da farmi ridere” continuò. Le gambe avevano smesso di tremare, la voce era tornata forte e persino il corpo tornava ad assumere una posizione eretta.
Tutta una finta, una stupida trappola. Era troppo tardi per capirlo.
Le ferite di Krost si rimarginarono in pochi istanti e la sua pelle ritornò pulita e candida liberandosi del sangue. Quel sangue che aveva coperto il suolo del salone come una macchia cremisi e che ora diventava scuro.
Ine sgranò gli occhi: davanti a sé si apriva un lago nero seppia, come un baratro che conduce all'inferno, come un'enorme goccia di inchiostro. Era una trappola sì, una trappola molto semplice.
La dea sbuffò massaggiandosi il dorso del collo indolenzito.
Ascoltami bene, donna in nero: sei molto bella ma le tue abilità sono veramente deludenti; sei veloce, certo, ma non basta per renderti un'avversaria temibile”. L'espressione di Krost era incredibilmente rilassata mentre diceva quelle cose. “E poi, mia cara, se credi davvero che una divinità meschina come Elian faccia queste cose per gli uomini... beh, come dire: sei un'illusa”.
Schioccò le dita con gusto facendo sì che da quel mare di inchiostro si alzasse una punta, un corno, diretto verso la giovane.
Fu un attimo e quell'enorme cono nero e improvvisamente solido passò il busto di Ine da parte a parte, lasciandola sbalordita.
La dea sospirò leggermente delusa: “Se mai scriverò una storia su di te, o su quest'incontro, mi premurerò di renderti più potente, d'accordo?”.
Non ottenne nessuna risposta e nella stanza scese il silenzio.
Prima di uscire, però, sentì il rumore della corsa, i sospiri degli inseguitori e degli inseguiti.
Capì che non c'era tempo per ripulire il salone: doveva tornare a lottare.

Katyana aveva finalmente terminato l'incontro. A lei il sangue non piaceva molto, anzi, ogni volta che lo vedeva aveva gli incubi e non riusciva a cucinare bene per la settimana successiva.
Lei era una tipa impulsiva, semplice e educata, sicuramente non violenta o guerrafondaia.
Aveva chiuso gli occhi al suo avversario e si era rilassata un attimo, con lo sguardo perso. Ora però era il momento di ripartire, rapidi, per salvare il Palazzo.
Aveva provato un ultimo disperato assalto contro quella lancia, la dea dei dolci. Era stata una corsa più rapida possibile verso il giovane guerriero che aveva davanti. La grande mannaia sempre parallela al volto, gli occhi puntati sul bersaglio e poi lo scatto di quella famelica lancia.
Questa volta aveva agito d'istinto, lasciandosi andare a ciò che il suo corpo voleva fare.
Usò la spada per deviare la traiettoria dell'arma, con un colpetto che le permise di far passare la lancia lungo il suo fianco destro.
La spada fu una guida per l'arma nemica e per lei ora bastava seguire l'asta, come se fosse una strada per il tesoro. Sembrava facile da come l'aveva pensato ma fare un'azione del genere era tra le mosse più difficili che potesse immaginare.
Un passo: un altro passo ed era giunta davanti a lui. Dopo un colpo, nessun urlo né un'imprecazione. Solo il tonfo sordo del corpo sul pavimento e la sagoma della dea eretta, in piedi accanto al giovane riverso a terra.
Sangue, troppo sangue per cucinare ancora. Non sarebbe riuscita a dormire per almeno un mese: ne era certa.

Krost aveva seguito quei passi finché il suono non era terminato. Sapeva che c'era qualcuno fermo nel corridoio principale e a lei bastava solo girare l'angolo per vederlo.
Il corridoio centrale del Palazzo era il più grande di tutta la struttura. Tutte le altre stanze, strade o corridoi minori, davano sbocco su quell'immensa via.
Krost si trovava proprio in uno di questi vicoli interni della reggia, un corridoio più piccolo su cui si affacciavano stanze minori e che conduceva fino al grande corridoio Est.
Sospirava, cercando di capire cosa dicessero le presenze ferme. Bisbigli, sussurri. Nulla che lei potesse comprendere.
Poi un grido, una voce che riconobbe: Revery.
Senza pensarci due volte uscì dal suo sicuro nascondiglio facendosi avanti.
La dea era ferma, al centro dell'ampia strada, immobilizzata da centinaia di fili appena visibili. La dea viaggiatrice delle storie vedeva il solco che creavano stringendo attorno al gracile corpo della guardiana, creando ferite sempre più profonde, e li riconosceva di sfuggita grazie alla luce che per un attimo si rifletteva su di loro.
Tremò. Davanti a Revery c'era un uomo, che portava una piccola coda dove aveva legato i capelli neri troppo lunghi e un completo già visto.
La solita maglia, i soliti pantaloni di pelle: sembrò che tutti gli invasori portassero un'uniforme di colore nero.
La dea della vigilanza non era riuscita a fare niente, a quanto pare, contro l'infida tecnica del ragazzo e Krost non aveva la minima idea di come fare. Le cose però accaddero molto velocemente, senza che la dea dovesse pensarci troppo sopra. Il giovane assassino l'aveva scorta ma era preoccupato da qualcos'altro. Qualcosa che rapida si abbatté su di lui.
Le azioni si susseguirono troppo velocemente per essere scorte con chiarezza, infatti: prima i fili lasciarono la presa, tagliati da qualcosa; poi la pesante mannaia si mosse ferendo alla spalla il giovane con un fendente e infine un altro rapido attacco che non permise all'intruso di reagire.
Con un affondo, Katyana, aveva sistemato anche questo nemico.
Avrebbe anche rinunciato al sonno se era per salvare una sua sorella dalla morte.
Il corpo di Revery cadde a terra, ormai stremato da quella tecnica tanto perfida e dolorosa. Tutto il suo corpo portava le ferite inferte dal servitore di Elian e lei era esausta.
Con tutta probabilità quei fili erano intrisi di veleno, o conducevano l'energia magica del bastardo fino a lei” commentò Krost attirando l'attenzione della cuoca.
Katyana non disse nulla: perfino la sua predica sul linguaggio consono a un dio in quel momento aveva perso importanza.
Aiutò la dea della scrittura e delle storie a caricarsi il magro corpo della guardiana sulle spalle sperando affinché si riprendesse.
Poi un sospirò: l'ultima frase di colei che credeva avere più colpe. Con un filo di voce, Revery disse: “La maledetta... vuole la sala circolare”. Chiuse gli occhi infine mentre nuovi passi frettolosi presero a riecheggiare per tutto il Palazzo.

Manius era grata a Chube dell'aiuto che le aveva dato con la sua magia e rimanevano pochi invasori da abbattere ormai. Il sole aveva preso a calare all'orizzonte sintomo che giungeva la sera e la notte.
I superstiti dell'assalto erano duri a morire: reagivano con prontezza e riuscivano a lanciare offensive pericolose. La dea era cosciente del fatto che: se non fosse stata già così stanca quelli sarebbero stati solo degli insetti fastidiosi. Ora erano però soldati d'élite da non sottovalutare.
Era giunta anche un'altra divinità in loro soccorso: Nelunis; la dea della battaglia e delle cose infiammabili.
Aveva un temperamento ribelle e sanguigno e non rispettava tutti gli dei allo stesso modo: aveva scelto lei quali fossero quelli meritevoli di rispetto e quali no e per questo non era simpatica a tutti.
Per una qualche coincidenza, anch'essa stava tornando al Palazzo e giunse subito dopo lo scoppio dell'attacco. Aveva lasciato Revery libera di inseguire la dea nemica occupandosi dell'ingresso e quando il fiume si era prosciugato era corsa verso il portone.
Era una ragazzina minuta, leggermente più bassa rispetto alle altre divinità e la sua carnagione era dorata. La cosa che amava più di sé, dopo gli occhi scuri ma tendenti al rosso, erano i lunghi capelli castani che lasciava sciolti lungo la schiena.
Il suo corpo, reso dalle battaglie una perfetta macchina da guerra, era ricoperto da una semi armatura a piastre leggera. La parte inferiore si limitava a un para stinchi e stivali a piastre, lasciando scoperti i pantaloni di pelle bianca. Quella corazza del dio fabbro aveva decorazioni che ricordavano le ali degli uccelli e brilla sempre di una tinta argentea che la rende un lavoro troppo raffinato per essere stato fatto da semplici umani.
Con sé teneva il piccolo scudo, quasi buckler, che le lasciava libera la mano e una spada semplice e sempre lucida che era costretta a portare foderata lungo la schiena a causa della sua lunghezza, o della limitata statura di lei.

Nella battaglia non si era risparmiata: ogni suo fendente aveva rilasciato voraci lingue di fuoco che cercavano le proprie vittime prima di esaurirsi e il fedele scudo l'aveva protetta da magie e armi senza sporcarsi.
Una piccola furia con un potere immenso.
Io avevo avuto pochi contatti con lei e mi aveva sempre trattato con simpatia, come se fossi una figura divertente, ma com'era venuta spariva e non riuscivo mai a instaurare un vero rapporto. Era sempre in viaggio, per arruolarsi in qualche esercito e dare battaglia o scontrarsi per conto proprio contro bestie feroci.
Fu lei ad accogliere Lorissy, quando arrivò al giardino al calar del sole.
Mi portava in braccio, usando tutte le sue forze, mentre io riaprivo lentamente gli occhi.
Non potevo avere risveglio peggiore: il Palazzo era messo a ferro e fuoco. Benché le perdite fossero state nulle, per il momento, la struttura aveva i chiari segni dell'assedio. Uno spettacolo raccapricciante, ai miei occhi, che metteva in ombra il mare di corpi che si protraeva fino al portone.
Tremai e il mio compagno mi posò a terra, sotto il melo ancora intatto.
La sua chioma dondolava scossa dal lieve vento, ignara di tutto. Era un essere fortunato a non soffrire le pene di noi divinità o degli uomini.
Volevo addormentarmi ancora, per dimenticare di nuovo tutto.

Non andrai oltre!” esclamò Revery spalancando le braccia.
Si era destata nell'ultimo tratto di strada, sgusciando via dalle braccia di Krost e sparendo tra l'intricato complesso di corridoi e stanze.
Sapeva di dover fare presto, di dover essere veloce. Forzando le sue gambe a non cedere, la dea si era mossa fino a giungere davanti alla sala circolare.
Dava le spalle all'immenso portone, fissando quella figura snella e aggressiva che aveva davanti.
Elian sbuffò impaziente. “Non costringermi a ucciderti, guardiana!” sputò verso quest'ultima, ormai priva di energie sufficienti per combattere.
Fatti da parte e fammi entrare” urlò feroce poi allungando il proprio braccio verso la ragazza, per spingerla su un lato così che non ingombrasse la strada.
Revery però si mosse appena, resistendo a quel gesto.
Lo sguardo vuoto cadde lentamente verso il pavimento. “Ho detto che non passerai” sospirò con un filo di voce.
Katyana e Krost stavano giungendo in quel momento, ma davanti a loro si parò un ragazzino. Aveva dei cortissimi capelli neri, che mostravano appena i riccioli. Il volto era magro, allungato e dipinto con un ghigno maligno. Gli occhi dorati saettavano agitati, come se dovesse carpire ogni cosa.
La pelle era di un vivo color ebano, tinta che la cuoca non aveva mai visto.
Krost sembrava non essere sorpresa ma si fermò ugualmente: se era lì era sicuramente un adepto della dea del ciclo, quindi un nemico da temere.
Le due sorelle si scambiarono un'occhiata fugace prima che la dea dei dolci partisse con il suo attacco: un fendente in corsa. Qualcosa di semplice solo per scoprire le capacità dell'uomo.
Il tonfo del metallo che batte contro altro metallo. Stupore.
Benché la mannaia fosse caduta sulla spalla del giovane con una forza tale da portare via il braccio, quest'ultimo era immobile e soprattutto incolume. Con un dito si grattava il fianco del naso mentre la sua espressione mutò da malefica a infastidita. Rimase fermo e con quel volto anche al secondo attacco, e al terzo e a tutti quelli che seguirono.
L'arma incantata batteva su qualcosa di altrettanto resistente rendendo l'assalto vano.
Era forse una magia? La dea rimasta indietro non riusciva a capire: in tutti i suoi viaggi non aveva mai visto nulla di simile. Quel ragazzo dalla figura smilza non pronunciava formule, ne faceva gesti con le mani che indicassero un incantesimo. Non possedeva neppure una qualche armatura magica sotto le vesti, perché a ogni colpo la tunica ornamentale che indossava si era squarciata lasciando scoperti lembi di pelle intatti.
Dopo l'ultimo attacco, la lunga veste nera ornata da decorazioni rosse e dorate dell'invasore era irrimediabilmente rovinata.
Avete finito?” domandò disinteressato.
Le due non risposero. Dovevano passare quell'ultimo ostacolo per raggiungere Elian.

Questa divinità, intanto, continuava a guardare il corpo di Revery, che andava lentamente cadendo al suolo. La guardiana si era appoggiata a una delle colonne ornamentali del portone pur di rimanere in piedi.
Non aveva mai avuto molta pazienta e ora, che era davanti allo scrigno contenente tutti i tesori da lei desiderati, ne aveva ancora di meno. Soffiò un'ultima volta avanzando minacciosa.
Poi il suono di un campanello e la dea si fermò. Tremò e socchiuse gli occhi sperando in un'illusione dovuta all'eccitazione.
Invece c'era davvero qualcun altro: una donna, snella e vestita di bianco.
Aveva una veste che terminava in una corta gonna formata da due strati sovrapposti, entrambi ondulati da sembrare quasi increspati. La veste sbracciata, che lasciava vedere una generosa scollatura, andava poi a stringersi all'altezza della vita, aderendo alla pelle. Le sue braccia erano coperte da strisce di tessuto, del medesimo colore candido del resto. Essi erano legati sotto la spalla da dei lacci, formando deliziosi nodi, e terminavano con ampie maniche di pizzo.
Le gambe erano scoperte e indossava solo due stivali eleganti e immacolati che giungevano fino al ginocchio.
La pelle era candida e il suo viso era avvolto da una lucente e lunga chioma castana, leggermente ondulata, con dei riflessi biondi. La cosa che più colpiva di lei, però, era il volto: sopra gli occhi portava una raffinata maschera simile a una farfalla rosea, le cui ali spuntavano ai lati della faccia perfettamente ovale.
Una presenza angelica e demoniaca allo stesso tempo. La figlia prediletta, dicevano tutti.
Portava in mano un piccolo bastone cerimoniale terminante con una campana in miniatura.
A ogni passo quest'ultima suonava.
Elian deglutì con forza, indietreggiando. Quella nuova dea veniva da uno dei due corridoi laterali, che si incontravano davanti al portone.
La sua voce severa risuonò vigorosa tra le pareti di quel tratto di strada.
Elian: non hai il diritto di stare qui!” esordì minacciosa. L'altra però parve capire. Digrignò i denti furiosa. C'era quasi, mancava così poco alla soluzione, alla vittoria.
Sakroi, la dea dei principi divini, era sempre stata lì: vicino alla sala circolare. Lei non si mostrava mai, né aveva grandi contatti con gli uomini. Badava al rispetto del Grande Padre e predicava cose che pochi stavano ormai ad ascoltare.
Elian era spaventata. Non che il potere di questa dea appena arrivata fosse incredibile, ma lei era stanca e Sakroi fresca di riposo. Non c'era possibilità di battaglia.
Tu profani dei luoghi sacri, traditrice” continuò suonando con forza la sua campanella.
Da quell'oggetto si propagò una brezza violenta che colpì solamente Elian, lanciandola molti metri indietro senza che potesse reagire.
Il corpo della dea si scontrò contro il giovane moro ancora fermo davanti a Krost e Katyana.
Sakroi avanzò con tranquillità, sapendo che la sua nemica era priva delle forze necessarie per combattere. La maschera ne copriva completamente gli occhi: si diceva che fosse cieca fin dalla nascita e avesse sviluppato un altro modo per percepire il mondo.
Passo dopo passo giunse fino ai due che si stavano rialzando.
Sei una bastarda” ringhiò il giovane ma prima che potesse scattare la sua protettrice lo fermò.
Dobbiamo ritirarci” soffiò imbarazzata. Il suo assalto era fallito. L'attacco da lei studiato si era scontrato con una muraglia troppo grande. “Abbiamo fatto la nostra parte” continuò.
Il suo servitore era già sparito.
In un istante, dopo che Sakroi fece vibrare per la seconda volta il suo scettro, il giovane era stato scagliato via. Talmente lontano e con talmente tanta forza da aver attraversato il vuoto corridoio centrale cadendo come un sacco di sassi davanti all'ingresso della struttura.
Un attimo dopo, anche la dea che aveva scatenato tutto quell'inferno fu da lui. A terra, dolorante. Benché il giovane possedesse ancora molte energie non potevano più combattere: erano circondati da dei furiosi.
Afferrandolo per un polso lo avvertì. Dovevano fuggire.
Un balzo, una breve corsa e poi il salto nel vuoto. Giù attraversando le nubi.
Sparirono sotto il palazzo.
Erano stati due fulmini a scappare.

Li hai fatti fuggire!” gridò Sakroi giungendo al portone. Lì, sulla soglia c'era Arone, di un vivo color blu, in tutte le sue sfumature.
Non è il benvenuto che mi aspettavo” rispose sorridendo. Lui non era il tipo da alterarsi per un rimprovero di così poco conto.
Ti sono passati accanto e tu non hai fatto nulla” continuò la dea.
Intanto anche Krost e Katyana avevano percorso tutto il corridoi ormai stanche per vedere la fine degli invasori, la prima aveva anche caricato sulle proprie spalle la guardiana pur di non lasciarla sola. Alle spalle del dio, invece, arrivava Lorissy e Nelunis; poco più giù stavano Manius e Chube accanto a me seduto sulla pietra. Avevo provato a salire, per giungere alla struttura ma ero troppo debole.
La due divinità mi avevano portato in un piccolo balcone, facendomi sedere su una sedia bianca e all'apparenza di cristallo, salvatasi dalla battaglia furiosa.
Non li ho visti” sorrise di nuovo il dio dei colori.
Con un balzo anche Maonis giunse nello spiazzo davanti all'ingresso.
Sakroi sembrò colorarsi di rosso, ma anziché esplodere in una discussione furiosa, sospirò un “Finiamola qui” e tornò nel Palazzo, con passo tranquillo.

Era calata ormai la sera e forse quella notte di quiete mi avrebbe fatto recuperare abbastanza energie. Non parlai, non ne avevo la forza, ma provai a sorridere prima di sprofondare nelle tenebre del sonno.

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Manius, la dea delle perversioni e del peccato carnale. (AmaiMirai)
La dea Manius la si può trovare sempre in luoghi malfamati, dove si svolgono riti poco puri e orgiastici. Ama tramutarsi in un aitante ragazzo con cui compiere i gesti da lei tanto amati.

Raffaella, la divinità fallita del fallimento (Foolishy)
Raffaella era la divinità del fallimento, ed è fallita. Inoltre si pensa che fosse un uomo e non si capisce bene perché non volesse ammetterlo. Alla fine è stata cacciata dal pantheon per la sua inutilità.

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Rispondiamo a Kanako.
Manius e Arone sono apparsi, Raffaella apparirà xD Comunque Dreni è morto per un colpo di spada, la stessa spada ovviamente che ha donato Arone al gruppo xD
Per la questione: è passata veramente un'ora? Lì c'erano solo Ham, un mago ormai morto e Lorissy, dunque occorre fidarci dell'archivista. Soprattutto perché lui lo dice come dato di fatto, non come impressione personale ^^
Per la cosa del bianco e nero sono perfettamente d'accordo con te. Solo che questa storia è narrata in prima persona e guarda caso colui che narra e in una delle due parti, quindi è lui stesso a vedere la netta divisione (Noi siamo i buoni, Elian è la cattiva). xD Ma tutto può caambiare. Muah!
Manca un capitolo e termina il primo atto *O* Gioite xD


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Capitolo 10
*** Superstiti e Vittime ***


Capitolo 10 – Superstiti e vittime

Mi svegliò la luce. Le finestre della stanza lasciavano entrare troppa luce, pensai alzando la testa.
Riconobbi la stanza candida ma stranamente ordinata. Il mio primo pensiero fu: che lo studio nel quale dormivo era stato ordinato da qualcuno durante la notte.
Avevo varie sale a mia disposizione, gran parte delle quali ricolme di libri già letti e studiati, ma ne preferivo solo una: e non era quella. Io avevo spostato il letto nello studio con la grande scrivania, così da dovermi spostare il meno possibile per lavorare e studiare. Anche il tempo di attraversare una sala è troppo se si deve ordinare e archiviare qualsiasi cosa.
La stanza dove mi trovavo però era troppo esposta alla luce.
Mentre mi rendevo conto di essere sveglio, sbadigliando un'ultima volta, vidi sul letto Maonis.
Aveva una posa elegante: si era accomodato allungandosi senza sembrare un comune gatto. I suoi occhi mi fissavano e accennò un sorriso.
“Ben tornato in questo mondo, Ham, il regno dei sogni è stato piacevole?” chiese vivace.
Ero stranamente intontito e mi misi a fissare un punto senza motivo. Dopo una lunga dormita questa era la mia solita reazione.
“Su, gatto. È passata una sola notte, non fare tutte queste scene”.
Provai ad alzarmi ma non riuscii a fare altro che sedermi sul bordo del materasso, con le gambe penzoloni.
“Quattro” mi corresse lui.
“Quattro cosa?”
“Quattro notti”
Sgranai gli occhi. “Così tanto?”
Lui si alzò e mi si avvicinò, strusciandosi contro la mia schiena. A volte pensavo che il suo corpo agisse in modo a sé stante mentre la mente elaborava parole. “Eri stanco. Tu non devi combattere, lo sai. Quel combattimento contro il mago ti ha fatto arrivare al limite!”
“Come lo sai?” che sciocco che ero. In quattro intere giornate, di sicuro, tutto il Palazzo era venuto a sapere del mio combattimento. “Lascia perdere” continuai, impedendo una qualsiasi risposta.
“Devo dirti delle cose. Ti tuoi osservatori hanno accumulato una quantità di notizie non indifferente”.
Io però lo ignorai. Mi alzai ignorando il dolore alla testa dovuto a quel gesto troppo rapido e mi diressi verso un tavolino in legno chiaro. “Questi sono dei Torii?” chiesi osservando estasiato quei piccoli doni.
Il gatto sbuffò, mostrandosi indignato perché non lo stavo ad ascoltare, ma mi rispose ugualmente. “Si. Si sono tutti preoccupati”.
I Torii erano oggetti preziosi. Come da buon studioso, sapevo che il termine in origine significava 'lacrima della terra'. Nell'antichità erano infatti gioielli 'poveri' poiché fabbricati con argilla o metalli di scarso valore. Ciò che li rendeva speciali, secondo le credenze, era il rituale secondo il quale il creatore dell'oggetto doveva versare almeno una sua lacrima durante la fabbricazione dello stesso. La lacrima serviva a rendere il gioiello prezioso e a benedirlo con le buone volontà di chi lo aveva prodotto.
L'usanza alla fine mutò: era chi regalava il Torii a dover versare una sua lacrima sull'oggetto così da proteggere colui che lo riceveva, inoltre esso non era obbligatoriamente un gioiello, ma qualsiasi oggetto. I sacerdoti e i credenti facevano Torii alle persone malate o a quelle che partivano per un lungo viaggio e si legge anche di alcuni Torii prodotti dagli dei e regalati agli uomini.
Tutte le mie divinità più amiche dovevano essersi preoccupate molto, per aver perso del tempo prezioso a confezionarne uno.
“Chi me li ha portati?” chiesi con lo sguardo sognante.
Lui saltò giù da letto, attraversò la stanza, e salto su una delle quattro sede impagliate vicino al tavolino. Alzandosi sulle zampe posteriori, infine, arrivò mi indicò un bracciale formato da dei fili rossi e gialli, intrecciati abilmente gli uni con gli altri. Una cosa semplice ma veramente bella. “Questo è di Chube” sospirò passando a un altro oggetto.
Quest'ultimo era così lontano da costringerlo a saltare sul tavolo per raggiungerlo. Era una piccola pietra legata a un filo grigio così da formare una collana. La pietra aveva una forma ovale e allungata, benché irregolare e scheggiata su un lato. Era fredda al tatto, incolore e trasparente.
“Questa pietra te l'ha portata Manius”. C'era poi un sacchetto che emanava un buonissimo odore di pane e erbe, vicino al quale si trovava una pietra di una tinta verdastra e opaca; la forma era cubica, benché smussata sugli angoli e non perfetta, siccome era stata madre natura a fabbricarla e non un artigiano. “È di Katyana vero?”
Il Gatto annuii con la testa.
Dietro al tavolo, sotto la finestra, era posato il pugnale sacro che avevo ricevuto dalla sacerdotessa, ma la cosa non era importante.
Maonis mi avvicinò poi un talismano di argilla laccata che aveva le sembianze di un volto animale.
Era impreciso e esteticamente brutto ma sorrisi, notando che per la prima volta gli occhi del felino cercavano di sfuggire ai miei.
“Questo me lo ha fatto il mio gattaccio preferito?” esclamai afferrandolo. Lo presi in collo, stringendolo a me. Non sembrò gradire, inizialmente, tirando fuori gli artigli e divincolandosi. Smise quasi subito, però, quasi a ricordarsi che ero reduce da una situazione critica.
Me lo concesse, per quella volta.
“Ti adoro, Maonis” commentai.
Mi presentò poi il Torii di Krost: una penna piccola e perfetta, di chissà quale uccello, completamente bianca e adatta a scrivere. Infine toccò a un mazzolino di fiori, dalle varie tinte, legati insieme con un fiocco rosso.
“Ah” sbottò il micio tornando libero sul piano del tavolo “Questo è di una sacerdotessa. Mi sembra che si trovi in qualche tempio minore attorno a Knossa. Sono andato a prenderlo personalmente” sospirò.
Io rimasi imbambolato. Accanto ai fiori c'era il talismano che avevo ricevuto in regalo durante il viaggio in quella regione.
“Si chiama Nima?” chiesi.
“Cosa vuoi che ne sappia” rispose lui fingendo disinteresse. I regali umani non avevano un vero valore, secondo lui, ma sapevo che lo diceva solo perché era ancora rancoroso verso quella razza che lo aveva dimenticato. “Poco prima di fare una messa in onore di tutto il Palazzo si è recata a un piccolo altare e ti ha rivolto una preghiera e regalato questo. Diceva di averti sognato ferito mentre camminavi verso una fortezza in fiamme”.
Nima aveva davvero fatto questo? Mi chiesi. Era sorprendente: una donna aveva percepito il mio stato. Allora era vero che gli uomini instaurano un legame invisibile con il dio che incontrano, mi dissi.
“Come fai a sapere tutto questo?”
“Osservatori” rispose “I tuoi”
I fiori avevano un significato ben preciso.
Mentre lui scherzava sullo spavento della giovane una volta scoperto che i fiori erano scomparsi, io pensavo alla gentilezza e alla premura con la quale erano stati confezionati.
Quei fiori si sarebbero seccati, sarebbero presto morti: come a significare l'effimera esistenza umana e lo scarso aiuto che può dare la benedizione di una donna a un dio. Erano però solo cose secondarie: quel regalo era forse il più prezioso. Una sacerdotessa aveva sognato me, un dio che gli uomini mettono in secondo piano.
Fu un'emozione incredibile.
“C'è anche il dono di Lorissy”. La voce di Maonis mi risvegliò dai miei pensieri.
Avvolto in un panno color della notte c'era un pugnale semplice ma lucido e brillante. Una cosa splendida ma per me inutile. Era riposto in un fodero di cuoio decorato appena con alcuni disegni geometrici.
Mentre lo estraevo e ne guardavo la perfetta sagoma il gatto continuò: “Ha detto che il fodero è il suo Torii mentre il pugnale è da parte di Revery. Sono cosciente che li ha confezionati entrambi lui ma ha avuto un bel pensiero”. Il fodero, colui che si limita a contenere l'arma, era il semi dio, l'arma così bella e lucente era la dea.
“Perché sei sicuro? Non può averlo fatto lei?” domandai indignato.
Il felino scosse la testa.
“Revery è messa peggio di te. Tu non lo sai, ma ha combattuto molto duramente esaurendo tutte le proprie forze. Era ferita e priva di energie quando abbiamo iniziato a curarla ed è ancora in pessime condizioni”.
Questa informazione mi colpì con forza, facendomi indietreggiare. Alla fine, la battaglia era stata veramente dura per tutti. Questa cruda realtà mi infastidì.
Maonis mi riprese alla svelta. “Se stai meglio puoi andarla a trovare, è nelle sue stanze”.
“Vado subito!” esclamai correndo verso la porta.
Con uno scatto degno della sua razza l'animale mi si parò davanti.
“Prima vestiti” soffiò.
Oggettivamente: non era educato presentarmi in pigiama.

Camminai a passo svelto verso le stanze della guardiana. Non le aveva mai usate, che io ricordi, poiché viveva perennemente al giardino. Non ero nelle condizioni di correre, cosa che avrei però fatto volentieri, e attraversai di fretta il corridoio Est, sempre così maestoso.
Il Palazzo era il corpo del Grande Padre, a quanto dicevano gli scritti, dunque i danni riportati su di esso arrivavano direttamente all'anima del mio creatore. Nei giorni successivi all'assalto, però, si erano tutti dati da fare per ricostruire le parti danneggiate e donare alla struttura il suo aspetto splendido e solenne.
Sui lati del Palazzo c'erano due giardini, uno cui si accedeva dal corridoio Est e uno cui si accedeva dal corridoio Ovest. Erano curati e belli, incastonati tra le pareti della dimora divina su tre lati. Neppure gli invasori erano arrivati lì.
Da una delle ampie finestre vidi una figura cara, la cui pelle abbronzata risplendeva al sole.
Uscii subito in quello spazio fatto di erba curata e aiuole soleggiate.
“Valanz!” esclamai.
Lei si voltò verso di me con un'aria terribilmente seria.
Il suo caschetto corvino dondolò un poco dopo il gesto rapido della portatrice e lo sguardo nero si concentrò su di me.
“Ciao, Ham” rispose con scarso entusiasmo.
Rapidamente ne scorsi il motivo.
La sua figura aveva perso quella perfezione divina: le mancava il braccio sinistro.
Il busto era fasciato e coperto da una vestaglia leggera, che rendeva ben visibile quella menomazione. Dopo avermi appena sorriso mi raccontò della battaglia, di come aveva combattuto pur non essendo capace a farlo e dei danni subiti.
Mi sentii incredibilmente triste e debole. La mia missione doveva evitare quello ma si era rivelata un fallimento.
Lei era la dea dei rimpianti e degli eventi passati. La nostalgia, la malinconia e la gioia che scaturiscono dai ricordi sono sotto sua amministrazione. In realtà, tutte queste cose vengono da sé, ma lei dovrebbe occuparsi di lenire le depressioni e impedire agli esseri umani di incamminarsi verso un baratro pericoloso.
Lei si occupa anche dei rimpianti, in particolare quelli dei morti. Lei guida le anime in pena alla quiete distraendole con la sua melodia e i suoi racconti o risolvendo le loro questioni in sospeso.
“Non è possibile curarla, Ham” continuò “Neppure un dio può fare questo”.
Sentivo la sua disperazione quasi palpabile. Pregai affinché lei stessa non prendesse quella via che precludeva agli uomini pur di salvarli.
“Non c'è modo di recuperarlo?”
“Dovresti saperlo” rispose.
In effetti in tutta la mia memoria non figurava neppure una volta una divinità che rigenerava un arto amputato. Mi venne in mente Dreni, quel mago con le otto braccia che guarivano in continuazione, e mi chiesi se fosse possibile attuare una cosa simile su di lei.
Mentre rimuginavo su quello, cambiai discorso raccontandole di quando Manius mi aveva trasformato in donna. Le dissi molte cose e aggiunsi anche particolari inesistenti pur di farla divertire e sembrai riuscirci.
Ridacchiando, con lo sguardo un po' più vivo, mi accompagnò fino alla guardiana.

Era stesa nel letto, immobile e serena. Sembrava fingere ed essere pronta ad alzarsi in qualsiasi momento. Invece era caduta in un sonno profondo, dovuto alle ferite e alla stanchezza.
Lorissy era seduto al suo capezzale, con lo sguardo perso. L'inquietudine che traspirava dal suo volto sembrava vagamente palpabile e, avvicinandomi, appoggiai la mia mano sulla sua forte spalla per fargli sentire la mia comprensione. Capivo la sua preoccupazione, anche io, pur nascondendolo, ero in pensiero per una delle mie sorelle.
Miun mi salutò con una smorfia alla quale ricambiai in silenzio. Lei era la dea dai perfetti boccoli castani, lo scarso appetito e gli occhiali dalla montatura rettangolare che le davano un'aria affascinante. I suoi occhi azzurri sembravano scoprire i segreti di ogni cosa.
Lei era vestita in una lunga veste bianca, dalle ampie maniche, poiché diceva che la aiutava nel suo compito: la cura.
Miun era la divinità delle allusioni e della guarigione, anche se in comune queste due cose non avevano nulla. Lei incontrava spesso i guaritori, alchimisti o sacerdoti, per discutere su nuovi metodi curativi e altre cose simili. La sua essenza, la sua energia, sembrava essere stata creata con lo scopo di mantenere la vita. Le bastava imporre le mani su un corpo per trasmettere la sua magia di guarigione che faceva sparire le ferite o distruggeva i veleni. Anche lei, comunque, aveva dei limiti come tutti noi. Le sue conoscenze e abilità non potevano curare all'istante tutto così come non riportavano in vita i morti.
“È in uno stato di sonno molto particolare, nulla può svegliarla adesso” mi sussurrò avvicinandosi. “Ha sforzato il suo spirito e lo ha portato ben oltre la soglia normale. Non mi vengono in mente metodi certi per curarla, soprattutto perché è una cosa rara se non unica. Sto però adattando una strategia medica comune, che ripristina le sue funzioni fisiche, mentre cerco un modo per richiamarne lo spirito”.
Io rimasi in silenzio. Mi era difficile capire quello che aveva detto.
Poi chiesi: “Ma non è uno stato simile a quello in cui ero io?”
Miun scosse immediatamente la testa. “Assolutamente. Io non ho neppure fatto niente per te, poiché era quasi scontato che ti riprendessi dopo del riposo prolungato. Per lei è diverso: il suo spirito si è esaurito e non conosco modo di farlo rinascere”. Tutto mi fu chiaro.
Aveva usato davvero così tanto le sue energie, la dea? Oppure era stato un maleficio di Elian?
Non sapevo darmi pace. Le parole della guaritrice divina significavano chiaramente una cosa: un corpo privo di spirito è come una pianta. Non si muove, non parla, non mangia.
Anche un dio può ridursi così miseramente.
Strinsi i pugni e dopo aver consegnato il mio Torii, un fiore di carta reso resistente come il metallo, me ne andai pronto a ripartire velocemente.
Decisi che dopo aver ringraziato Nima, con qualche dono, mi sarei dedicato alla ricerca di un metodo per guarire Revery. Mi convinsi che a Miun era sfuggito qualcosa, che magari era all'oscuro di quale arte miracolosa di alcune tribù orientali o del deserto.
Illudendomi continuavo a camminare, pronto a tornare nelle mie stanze.

Appena entrai nel mio studio incontrai Chube.
Mi abbracciò in maniera innaturale, troppo affettuosa per il suo solito modo contenuto, e poi intavolò una conversazione leggera e piacevole.
Solo alla fine si ricordò del motivo per cui era venuta, oltre che per accertarsi del mio stato ovviamente.
“Il Grande Padre vuole parlarti. Ha aspettato che ti riprendessi, ma ora ti vuole”.
Io deglutii infastidito. Non immaginavo cosa volesse il Grande Padre adesso.: forse voleva chiedermi di stillare un resoconto degli eventi o fare ricerche negli archivi riguardo qualche argomento. Ero confuso.
Avevo deciso di andarci subito e prima di uscire la ragazza mi fermò.
“Se devi ripartire, per favore, prima di andartene saluta tutti. Eravamo in pensiero”. Io sorrisi imbarazzato. Molte divinità si erano preoccupate per me.
“Non preoccuparti, perché dovrei partire? In tutti questi anni non mi ha mai assegnato cose del genere”.
Pensai alla pace che era tornata, anche se a caro prezzo. L'inquietudine del Grande Padre doveva essere sparita, mi dissi per rilassarmi.
Ancora una volta dovevo attraversare quel portone decorato e farmi avvolgere dalla nebbia.

“Sono sopravvissuto” dissi.
La nebbia mi aveva ormai avvolto completamente.
La sua voce era stanza, provata da quell'evento appena vissuto. “No. Non ancora. C'è ancora qualcosa che rende il futuro incerto”
Mentre le parole si formavano davanti a me avevo la strana sensazione di aver già vissuto quel momento. Sospirai, chiedendomi cosa volesse dire con quelle parole e poi cosa volesse dirmi di importante.
“Stai molto attento, Hamuhamu”. Continuò. Tra ogni parola c'erano molti punti di sospensione, come se gli mancasse il respiro ogni volta. “Ho un compito da affidarti”
“Volete che io scriva un resoconto della battaglia?” osai dire.
Lui rimase qualche attimo in silenzio, come se ci pensasse sopra, per poi riprendere: “Non ancora. Voglio che tu cerchi i tuoi fratelli, quelli sulla terra. Devi chiamarli.” una breve pausa “Voglio che siano qui riuniti al più presto: devo parlare a tutti voi, miei figli prediletti”.
Non era un compito difficile: cercare gli dei sulla terra. Molte divinità viaggiavano e quindi dovevo solamente cercarle e portarle con me. Certo: forse alcuni fratelli erano difficili da rintracciare ma sarebbe stata questione di pochi giorni.
“C'è qualcosa che vi preoccupa?” domandai.
“Mi duole dirlo, Hamuhamu, ma ciò che ha fatto una delle tue sorelle mi ha ferito profondamente. La mia energia si è indebolita e tempo per la salvezza di questo mondo”.
“Perfino?” domandai. In realtà lo dissi stupefatto e in modo irrispettoso. Mi venne talmente spontaneo che non ci pensai neppure.
“Bunkis Condomis ha condotto esperimenti offensivi verso di voi, creando uomini dall'animo impuro. Inoltre punta a Lui”. Quel nome era semplicemente l'arcano di Elian e quando davanti a me comparve quel 'Lui' compresi perfettamente ciò di cui stava parlando: il Servallo.
“Elian non è comunque in grado di trovare quella creatura” risposi socchiudendo gli occhi.
Mi sentivo leggero, libero, come se quella nebbia mi entrasse nei polmoni trascinando fuori lo spirito.
“Hamuhamu, il suo animo ormai si è allontanato troppo. Non so fin dove può spingersi. Potrebbe anche aver scoperto cose che noi ignoriamo, grazie le sue ricerche oscure. Fai presto, Hamuhamu, raduna tutti”.
“Farò come mi avete chiesto”.
Prima di lasciarmi, però, il Grande Padre mi comunicò altre cose.
“Per questa missione verrai affiancato da un'altra divinità. Tu sei molto abile e le tue conoscenze sono molto preziose, perciò non voglio esporti: ho deciso per te un accompagnatore”.
Chiuse così la conversazione. Come al solito riaprii gli occhi davanti alla stanza.
Perché io? Ero ancora una dannata segretaria che cerca i clienti del capo.
Battei un debole pugno contro il muro, dimostrando la mia rabbia.
Dovevo salvare Revery, dovevo cercarne una cura; dovevo stare vicino a Valanz e fare ricerche anche per rigenerare il suo braccio. Avevo cose molto più importanti per la testa.
Non riuscivo ancora a capire: se ero così importante perché non aveva dato questo compito a qualcun altro? Qualcuno con compiti meno importanti, senza impegni.
Dovetti rassegnarmi. Anche se era stato detto con un tono pacato quello era un ordine.
Il lavoro è sempre lavoro.

Aveva ragione Chube. Sarebbe stato meglio salutare tutti e trovare questo accompagnatore.

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Finalmente è terminato questo primo atto, ma nel prossimo ci saranno più botte, più colpi di scena e pasticcini gratis per tutti ^o^
Kanako: mmm... il potere di Krost è leggermente diverso: deriva dalle ispirazioni e non dalle informazioni (come in parte il potere di Ham).

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Ed ecco la solita bacheca degli dei:


Sakroi, la dea conservatrice dei sacri valori da snobbare (Matrim Monium)
Lei è la predicatrice del paradiso. Sta a giro per le terre a portare la giusta parola che porti le persone sulla strada della decenza. E' legata alle vecchie tradizioni e a sacri valori in cui crede solo lei.

Lorissy, il semi-dio guardiano. (Gattin scindi)
Lorissy era solo un servitore degli dei che in seguito alla prova della sua fedeltà è diventato un essere quasi divino, dotato di poteri. Si occupa di sorvegliare i luoghi sacri e aiutare Revery.


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Capitolo 11
*** Preparativi ***


Act.2 –La furiosa guerra degli Dei

Infine eccola: la guerra.
Riesco ancora a rivivere alla perfezione quei momenti. È quasi triste e malinconico intingere questa penna bianca donatami con affetto per descrivere tali eventi”.

Capitolo 11 – Preparativi

Avevo una missione ma non era la mia priorità: pensai dunque che con la scusa della convalescenza avrei potuto perdere tempo tra i libri dell'archivio. Alla fine mi ero appena svegliato dopo quattro giorni di sonno, avevo toccato il limite e fatto una cosa impensabile fino a quel momento: meritavo del riposo.

Tornato nelle mie stanze pregai Maonis di andarmi a chiamare Katyana. Lui sbuffò e protestò con forza. “Io sono un dio! Mica posso fare questi lavori! La prossima volta che farai? Mi chiederai di pulirti le unghie?” era discorsi da gatto e mentre li faceva, dondolando, andava a svolgere la mansione che gli avevo assegnato.
Protestava sempre ma alla fine era un amico gentile e disponibile.
Katyana mi raggiunse velocemente. Entrò sorridendo, mentre finiva di legarsi i capelli in due trecce che cadevano ai lati del viso. Aveva un completo molto grazioso, simile a quelli di Chube. La gonna era abbastanza corta e ondulata mentre sopra c'era una camicetta con enormi bottoni e maniche corte. Tutto di un delizioso color crema e vaniglia.
Mi venne fame solo a vederla.
Così devi già ripartire” commentò lei dopo che le dissi della mia missione. “Ultimamente non ci sei mai, sembra che tu abbia cambiato mestiere” scherzò. “Da archivista a... viaggiatore solitario!”
Io scossi la testa ridendo. “Neppure io capisco. Il Grande Padre è molto strano”.
Beh, se vuole riunire tutti penso che abbia le sue ragioni. Forse dichiarerà finalmente guerra a quella strega di Elian”.
Forse. Ma nessuno sa nulla di lei? Ha assalito il castello ed è sparita. Possibile che non si possa scovare e annientare definitivamente?” ero confuso. Io avrei agito in questa maniera.
Appunto” rispose lei agitando un dito per aria “... è sparita”. Sospirò, raccontandomi quelle cose che in quattro giorni non avevo potuto vivere.
Venni a sapere che Sakroi aveva dialogato a lungo con il Grande Padre dopo la battaglia. Lei voleva attaccare Knossa, distruggere Elian ma lui la frenava ogni volta. Sapeva che un'azione tanto esplicita avrebbe fatto tremare gli uomini, queste fragili creature. Vedere gli dei in guerra avrebbe sicuramente danneggiato la fiducia che pongono in noi.
Quella dea era forse più ferma e antica dei valori che proteggeva. Le sue prediche mi sembravano obsolete e agiva sempre guidata da qualche 'ragione divina' che però non comprendevo. La convinzione che metteva nelle sue prediche, però, era al pari un'armata imbattibile. Ti travolgeva ricordando i tempi antichi e gloriosi, quelli con la rettitudine, la pace e cose del genere.
Non aveva mandato giù ancora il bisticcio con Arone e riversava la sua ira in proposte folli di battaglie o assedi contro la base della divinità del ciclo. Nei momenti di lucidità, però, quando non si faceva trasportare dalle sue stesse parole, capiva che Elian non era più a Knossa.
Non era così stupida, quella traditrice, da rimanere nella stessa base dopo aver scoperto le sue carte.
Aveva un'altra casa: ma dove?
Ascoltai interessato i discorsi di Katyana e appena ne ebbi la possibilità feci la domanda che mi stava tormentando.
Cosa si può fare per dimostrarsi grato a un fedele?”
Lo sguardo della dea si fermò su di me e attraversò tre fasi: confusione, spavento e quell'aria di chi ha capito tutto.
Sapevo che lei mi avrebbe detto qualcosa di utile, come Chube. Altri mi avrebbero fatto demordere, perché è normale essere adorati, mentre loro due erano stranamente affidabili e in linea con i miei pensieri.
È quella sacerdotessa, vero?” domandò avvicinandosi a me, come se la conversazione fosse diventata segreta “Ho visto il suo Torii, è stata molto gentile”.
Te l'ha detto Maonis” commentai.
Sai...”.Lei mi lanciò un'occhiata astuta e rispose con finta aria da esperta nel settore: “...è solo un gatto: è stato facile farlo parlare”.
Io sorrisi appena alla sua imitazione dell'inquisitore o della spia e continuai. “Sono cosciente che non dovrei farlo...”
Ma che dici?” mi interruppe afferrandomi le mani “Lei ha creato il legame e tu dovresti essere terribilmente gioioso di questo”.
Era vero, lei aveva creato il famoso legame mistico tra dio e uomo. Tutta la storia ricorda molteplici casi di 'legami', soprattutto creati tra uomini e divinità viaggiatrici, ma per me era una rarità. C'erano stati altre due saggi, vecchi e radicati nelle loro posizioni di prestigio, che avevano detto di aver creato con me un legame ma io non me n'ero mai reso conto, né ricordavo di aver fatto loro delle visite. Nima era invece la prima con la quale si era instaurato questo filo invisibile. Si dice che l'essere umano nei sogni riesca a capire la condizione del dio così da poterla esprimere ai fedeli. Tutti coloro che scoprivano di aver acquisito quest'affinità finivano per diventare sacerdoti Dorati, cioè di rango speciale. Erano il diretto portavoce delle divinità o coloro che si occupavano di soddisfare e pregare per i problemi del divino protettore.
Potresti regalarle un Torii che dimostri la tua protezione nei suoi riguardi. Di solito funziona così”. L'usanza comune era veramente quella, ma io non potevo conoscerla essendomi così poco interessato alla cosa.
Ero pensieroso però: non sapevo cosa fabbricare.
Lei mi lasciò le mani. Eravamo stati fino a quel momento seduti sul letto, uno affianco all'altra, ma lei si alzò dirigendosi alla finestra. “Gli dei, soprattutto al primo legame, donano qualcosa di personale”.
Tipo dei panni sporchi?” chiesi scherzando.
Ovvio. Su, dammi la tua maglia che gliela portiamo!” rispose lei già sorridente.
Scoppiammo in una grassa risata che mi fece dimenticare tutta la preoccupazione di quel giorno.
Come nel sonno tutti i problemi sparirono per poi ripresentarsi successivamente.
Seriamente parlando” iniziò avvicinandosi di nuovo a me “Puoi darle un pennellino, un libro o una delle penne che usi da più tempo”.
Annuii convinto.
Prima di salutarci, lasciando che ognuno tornasse ai propri lavori, lei si raccomandò con me di fare attenzione e di non ridurmi come l'ultima volta. Sembrava rilassata, come se quella battaglia non l'avesse colpita profondamente.

Il pomeriggio stava volgendo al termine e Sakroi tornava nelle sue stanze dall'aspetto elegante e sfarzoso.
Vicino alla soglia però la aspettava il clown, colui che appariva di rado e solo per disturbare.
Non possedeva volto, ma solo una maschera bianca teatrale sulla quale stampava le espressioni. La veste era quella di un giullare, compresi stivali con campanelle e grande cappello. Aveva una tinta rossa e arancione quel giorno.
La dea lo ignorò, ma non appena fu abbastanza vicina, fu lui a farsi avanti.
Brutta battaglia” ghignò.
Fermandosi lei gli lanciò un'occhiata sprezzante. “Una battaglia dove tu non ti sei fatto vedere”.
Ero distratto, me ne scuso”.
Sakroi scosse il capo: si chiedeva come certi individui potessero vivere al Palazzo. Jester, il dio degli scherzi, della finzione e del tradimento eraun tipo poco raccomandabile ma che non aveva mai combinato guai.
C'entri qualcosa?”
Mi offende se sospetta di me, cara divinità” rispose lui con un leggero inchino. Ogni suo gesto era portato al limite, come se volesse sforzare al massimo qualsiasi movimento, esasperandolo.
Rispondimi”.
Ovvio che no, Sakroi. Non potrei mai complottare contro il Palazzo. Mi crede forse un traditore”.
Sai benissimo quel che penso di te”.
Oggi è più scortese del solito”. La maschera era felice, eccitata forse. “Ha controllato bene il suolo sacro? Ci sono forse spie?”
Non ce ne sono, ovviamente. Elian è una pazza e morirà annientata dalla sua stessa sete di potere. Con lei, tutti i suoi aiutanti”.
Il Clown si avvicinò alla dea che però si guardò bene dal lasciarsi toccare.
Mi piace questa sua determinazione, divina Sakroi; ma lei sa bene che non cerca il potere la nostra nemica”.
La dea sgranò gli occhi e fece cenno di tacere. “È solo una pazza” commentò.
E Raffaella? Manius è stata contattata”.
Hanno combattuto a Porcias, anche se non so quale delle due è più indegna del titolo di dea”.
Jester ghignò: quello era pane per i suoi denti. “C'è stata anche una proposta” sospirò, come se gli fosse sfuggito dalle labbra.
Come dici?”
Nulla”. Rise, sapendo che ormai aveva gettato la sua esca. “Era un pensiero”.
Sakroi non fece in tempo a dire nient'altro. Il clown scomparì come era apparso, scivolando dentro la parete con qualche incanto.
L'indomani avrebbe chiarito la cosa.

La notte passò con incredibile rapidità. Avevo bisogno di altri giorni di riposo e lo notai quella sera, quando mi addormentai di colpo lasciandomi alle spalle quelle preoccupazioni.
L'indomani mattina qualcuno bussò alla mia porta. Inizialmente finsi di non sentirlo, arrotolandomi nelle lenzuola candide, ma dovetti cedere infine.
Strabuzzai gli occhi quando aprii la porta.
Nelunis! Che cosa ci fai qui?” mi chiesi per quale assurdo motivo era venuta a trovarmi.
Lei accennò un ghigno con il quale, forse, si scusava di avermi svegliato e mi rispose con voce decisa: “Sono venuta ad avvertirti che appena tu sarai pronto, partiremo per la missione”.
Non indossava la solita corazza ma una veste di un colore smeraldo brillante. Era di una stoffa pregiata, lungo e decorato con ricami di vario genere.
Sei tu il mio accompagnatore?”
Sì” rispose lanciando un'occhiata allo studio nel quale dormivo.
Scossi la testa: ero ancora per metà addormentato, inoltre il giorno prima ero talmente stanco che non mi ero cambiato.
Credevo che tu ti saresti occupata del giardino, finché Revery non fosse ripresa” dissi.
Si voltò verso di me, appoggiando il tomo sulle armi che aveva preso dalla libreria. “No. Il giardino sarà sorvegliato da Lorissy e Maonis. Quel gatto è l'unico con il sonno simile a quello della dea” rispose tornando a scrutare i vari tomi in disordine.
Mi sono stupita anch'io” continuò mentre, afferrando dei vestiti puliti, mi avvicinavo alla stanza da bagno per prepararmi. “Sono due divinità con grande potenziale ma non valgono quanto Revery; io poi sono l'unica presente, invece, a competere con lei in termini di forza. Mi sono dunque insospettita: è come se il Grande Padre pensasse che la protezione del Palazzo sarebbe potuta passare in secondo piano. Reputa forse più importante proteggere te, Ham?” mi chiese.
Rimasi quasi intimorito. “Secondo me: reputa più importante portare a termine questa missione” suggerii uscendo dal bagno. Per la prima volta da quando era arrivata incrociai il suo sguardo. I suoi occhi sembravano pronti a scrutare la mia anima, carichi di un'esperienza inimmaginabile, temprati da infinite battaglie.
Eppure c'è qualcosa che non mi torna” sputò. Non potei fare nient'altro che abbassare lo sguardo tentando di salvare il mio spirito da quella fiamma ardente che stava ora osservando le varie copertine.
Aveva ragione, lo ammisi sbuffando, la cosa non aveva alcun senso. Il Grande Padre aveva forse sospettato che Elian non sarebbe tornata tanto presto ad assediare il Palazzo e che Maonis e Lorissy fossero più che sufficienti, ma inviare me e Nelunis aveva qualcosa di strano.
Io sarei potuto essere di grande aiuto all'interno della struttura e la dea che era con me sarebbe bastata per sostituire, da sola, il gatto e il mezzo dio. Anzi: Maonis e Lorissy sarebbero potuti andare al posto nostro a compiere quella missione; perché no?
Iniziavo a non capirci più nulla.

C'erano molte divinità che non tornavano sul suolo sacro da anni, avendo trovato dimore nelle terre umane; mentre di altre non si sapeva più nulla. Capito questo: dovetti ammettere che era qualcosa di molto impegnativo richiamarle al Palazzo.
La dea della battaglia se ne era andata dicendomi che dovevo rimettermi il più velocemente possibile per iniziare questo dannato compito e indicandomi il primo nome.
Inizieremo dalla burattinaia; sappiamo qualcosa su dove si trova se non sbaglio” concluse.
Io non l'avevo mai vista e mi ero quasi dimenticato di lei. Kinsis, la dea burattinaia che manipola gli uomini e incrina i loro rapporti: una divinità forse troppo dispettosa ma dall'indole pacifica.
Prima di tutto, però, dovevo fare due cose.

Dopo aver chiesto informazioni a Chube su dove si trovasse, arrivai fino al giardino sul fianco ovest, vedendolo appoggiato al muretto di pietra bianca. Arone aveva i capelli di un rilassante color crema mentre la veste era tinta di arancio e marrone. Non indossava più l'armatura e aveva scoperto la veste che teneva al di sotto.
Scrutava l'orizzonte, forse osservando il mondo degli uomini.
Divino Arone” iniziai.
Si voltò sorpreso del mio arrivo. “Ham! Scusami, ma ero talmente preso dalla mia osservazione che non ti avevo sentito avvicinarti”. Mi sorrise con gentilezza.
Non avevo una gran confidenza con lui, anzi, quella era la prima volta che parlavamo e perciò fui molto rispettoso e formale.
Ti devo ringraziare per i doni che ci hai offerto” dissi facendo un leggero inchino. “Vorrei però farti una domanda”.
Chiedimi quello che vuoi” rispose senza dar peso ai ringraziamenti.
Cosa ci facevi da quelle parti?”
Il suo volto mutò all'improvviso. L'espressione serena si trasformò in un volto pensante e impreparato a quel quesito. “Ero semplicemente da quelle parti. Nulla di programmato” sospirò.
Io però non gli credetti. Amava la quiete delle foreste, non il brusio della via principale delle città.
Perché mai recarsi in una regione così aspra senza un motivo?
Ci scambiammo uno sguardo e lui comprese ciò che pensavo.
Improvvisamente scoppiò in una fragorosa risata, come per voler dimenticare la sua bugia.
Non ti si può nascondere nulla, eh? Sei proprio un piccolo dio sveglio” esclamò tornando tranquillo. Con una mano mi diede alcune leggere pacche sulla spalla, avvicinandosi a me.
Ebbene: diciamo che, forse, avevo interesse a essere da quelle parti”.
Non vorrei sembrarti scortese, ma che tipo di interesse avevi?”
Lui fece una smorfia, indeciso se rispondermi o meno.
Non sei scortese, piccolo Ham, ma non è nulla di così importante. Mettiamola così: avevo da sbrigare una faccenda ma voi l'avete svolta per me”.
Con un ultima pacca gentile si allontanò con l'intenzione di chiudere quel dialogo.
Era un tipo molto strano, pensai.
Chissà a cosa si riferiva. Sicuramente aveva a che fare con Elian e la fortezza, anzi: probabilmente riguardava proprio l'esplorazione del forte; avendo capito qual'era la nostra missione aveva lasciato a noi il compito, dandoci un equipaggiamento più adatto.
Doveva essere proprio così, mi rassicurai.
In realtà, fosse stata un'occasione normale, ci avrei rimuginato sopra a lungo; ma in quel momento avevo fin troppe preoccupazioni per curarmi di lui e dei suoi interessi.

Ora mi mancava solo una cosa da fare.
Avvertii Nelunis della mia partenza, rassicurandola poiché sarei tornato al più presto.
Differentemente dalla volta precedente, essendo in pieno possesso dei poteri divini, ci misi molto poco a raggiungere il tempio di Markentel.
Arrivai al tempio avvolto da una mantella che coprisse il mio corpo e il mio volto. Silenziosamente la raggiunsi.
La sfiorai, accarezzando la morbida stoffa della sua tunica, e le indicai un luogo tranquillo e isolato del santuario.
Era una piccola cappella priva di idoli e di utilizzo.
Riconobbi nel suo sguardo la stessa espressione stupita della prima volta.
Sacerdotessa Nima: questo è per lei”.
Con un rapido gesto le mostrai un piccolo pennello. Aveva un aspetto logoro e troppo comune per sembrare l'artefatto di un dio, eppure quello era stato il mio miglior pennello per molti anni.
Accetta questo dono!” le ordinai senza voler sembrare minaccioso.
Dopo l'inchino annuì con la testa, lasciando che i lunghi capelli neri le scivolassero sul volto.
Sono lieta che voi mi riteniate degna di un simile dono”.
Troppe frasi inutili, toni formali solo per costrizione. Era una commedia odiosa.
È il mio ringraziamento per la sua premura nei miei confronti”. Continuai. “Adesso se vuole potrà portare la mia parola nel mondo”.
Lei distolse lo sguardo per un secondo, mentre riceveva tra le mani quell'oggetto tanto prezioso quanto potente.
Mi avvicinai di un passo, lasciando cadere la mantella a terra.
C'è qualcosa che la turba?”.
Mi avvicinai ancora, prendendole le mani mentre le consegnavo il dono. Ci volle un istante, un solo attimo per leggere nella sua mente la risposta. Lei però mi sorprese, rispondendomi di sua volontà; anche se già sapevo tutto.
Le persone si sono spaventate. I sacerdoti predicano la caduta del Palazzo; i Dorati, poi, affermano di aver perduto il filo che li legava al dio e lo credono distrutto. Tutti pensano che sia accaduto qualcosa: qualcosa che porterà le divinità alla rovina”.
Lei non voleva assolutamente alzare lo sguardo e io le lasciai le piccole mani affusolate, che ormai stringevano quel prezioso Torii.
Tu lo credi?” chiesi. Non mi accorsi di aver cambiato tono, parlandole in tono informale e confidenziale.
Io avevo temuto per voi, ma adesso so che non vi è accaduto nulla. Dirò nelle mie messe che gli dei non stanno precipitando nel caos”.
Questo è un momento molto difficile: gli dei stanno affrontando una guerra. Prega per la nostra vittoria, prega il Grande Padre o il Servallo!” esclamai.
Dare informazioni di questo tipo a una donna umana era forse una lama che si rivolgeva contro di me e divenni consapevole che presto mi si sarebbe rivoltata contro.
Me ne andai dopo i suoi ringraziamenti, sparendo in un turbine di carta come ero apparso.
Anche gli uomini dovevano capire cosa stava accadendo.

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Per Kanako che ho scoperto anche essere sul forum.
No, non devi invidiarmi più! Sto scrivendo il capitolo dodici ma ho dei problemini con lo sviluppo della storia e probabilmente ci metterò più tempo del previsto xD
La musica? Io l'ascolto sempre ma solo perché mi infastidisce il silenzio. Quando scrivo mi immergo nel racconto e i suoi diventano poi del tutto secondari. Comunque metto sempre delle musiche in lingue straniere (come il giapponese) così che la comprensione del testo non mi distragga xD
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Krost, la dea dei racconti e della letteratura. (Pervin Litteratur)
Lei è la divinità che ispira e giudica le opere degli scrittori. Ama tutte quelle letture porche al limite della decenza e protegge tutti coloro che narrano storie.

Arone, il dio dei colori (Rosbluver)
Arone è la divinità dei colori e della pace. LUi ama i luoghi tranquilli e i prati fioriti. Si dice che sia il più forte e il più spettacolare degli dei nella lotta.

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Capitolo 12
*** Partenza ***


Capitolo 12 – Partenza

Manius sapeva che Sakroi non era una presenza amichevole, soprattutto quando si avvicinava lentamente in cerca del momento giusto per iniziare un dialogo inutile.
Quella volta decise di precederla: “Cosa vuoi da me?” domandò acida scorgendo lo stupore sul volto dell'altra.
Maleducata come sempre. Ti consiglierei di adottare un tono più cordiale quando parli con una divinità, indifferentemente che tu lo sia o meno”.
E io ti consiglierei di andartene così come sei venuta prima di aprire bocca un'altra volta: indifferentemente che tu lo voglia o meno”.
Erano scambi taglienti che testimoniavano un rapporto difficile.
Una era la divinità delle passioni carnali, del piacere e del peccato; l'altra era la dea dei sacri valori della rettitudine, purezza e rigore. Erano due entità opposte che non trovavano accordo.
Sakroi strinse lo scettro che impugnava: come poteva una presenza tanto blasfema essere considerata una dea al pari degli altri? Era veramente insopportabile, pensò.
Ho saputo che tu e Raffaella avete parlato”. Continuò.
Erano sulla scalinata d'ingresso, che portava ancora le cicatrici della battaglia.
La dea delle passioni si era seduta sui gradini a pensare: rifletteva su cose differenti e del tutto personali. L'altra era in piedi, davanti a lei, come per voler dimostrare la sua superiorità.
Abbiamo solo combattuto” rispose scocciata quest'ultima, sbuffando.
Ti pregherei di non mentire quando parli con me”.
E io ti pregherei di non parlare affatto” rispose prontamente Manius continuando “Comunque non è affar tuo”.
Raffaella è una nemica del Grande Padre. Qualsiasi contatto con lei è affare mio e di tutto il pantheon”.
Interessante” sbottò l'altra priva di qualsiasi interesse.
Divina Manius! Rispondimi!” esclamò perdendo la sua calma. Sakroi ormai stringeva lo scettro con tanta forza che sembrava volerlo spezzare.
La donna dai capelli scuri si alzò rapidamente, fissando l'altra in modo sprezzante.
Non osare darmi degli ordini!”
Altrimenti, mia 'dea'?” Sakroi dimostrò tutto il suo disprezzo in questa frase. Pronunciò in maniera quasi offensiva le parole che si era scelta. Aspettava solo una buona scusa per poter ferire quella divinità tanto volgare.
Prima che qualsiasi risposta potesse uscire dalla bocca della dea delle passioni un'altra ragazza entrò in scena. Aveva un vestito sbracciato completamente bianco che terminava con una corta gonna. Portava un vassoio con delle tazzine da tè.
Ne volete?” chiese Chube interrompendo volontariamente quel confronto.
Non adesso” rispose Sakroi “Stavo per andarmene” continuò risalendo la scalinata con passo sicuro.
Manius si lasciò scappare un sorriso che mostrò solamente alla mora che era appena arrivata.
Io lo prendo volentieri”.

Io e Nelunis eravamo già in viaggio.
Avevo salutato tutti coloro cui tenevo maggiormente, fermandomi a lungo nella stanza di Revery.
Con la mia guardia scivolavamo attraverso le vie della città, cercando di percepire una qualche energia.
Avevamo delle mantelle e la divinità al mio fianco si era spogliata della visibile corazza per mantenere l'anonimato.
Ci trovavamo in un'ampia regione collinare, all'interno della città di Borghenas. Quella regione, sotto il possente regno dell'ovest, non dimostrava un grande fervore religioso e sembrava troppo impegnata nella sua alchimia per poter pensare agli dei.
Era un regno ricco e potente, ben difeso e che esercitava pressione sui vicini.
Nelunis e me ci trovammo una locanda, dove prenotare due camere singole.
Al sentire di questa pretesa l'uomo al di là dello scuro bancone era scoppiato in una fragorosa risata.
Problemi di coppia, eh?” esclamò. “Anche io a volte litigo con mia moglie ma alla fine si risolve tutto; rilassatevi e riappacificatevi presto”.
Non saprei dire se quel commento era scaturito dalle nostre arie così distaccate, sia con gli estranei sia tra noi due, o per l'aspetto giovane e fresco che avevamo, ma fu fastidioso per entrambi.
Con un gesto fermai Nelunis prima che lo contraddicesse, le spiegai che era uno sconosciuto che avremmo visto per una sera: non era importante ciò che pensava. Lei ringhiò per un secondo, come una bestia messa alle strette, prima di tranquillizzarsi.

Mi ero appena appisolato anche se non era molto tardi, quando sentii bussare con forza alla mia porta.
Pensai fosse la dea che aveva qualche richiesta o protesta da fare. Neppure a me andava a genio di dormire in un luogo del genere: ma per mantenere l'anonimato arrivavo a fare questo e altro.
Quando spalancai la porta mi ritrovai invece davanti a un ragazzino impaurito che entrò di corsa senza darmi il tempo di parlare.
Chiusi la porta alle mie spalle rapidamente cercando quel giovane.
La prego” esclamò cercando di nascondersi in un angolo spoglio della stanza. “La prego, farò qualsiasi cosa” implorò.
Rimasi confuso. Cosa voleva un bambino nella mia stanza?
Era accaduto tutto troppo velocemente. Mi era sembrato una saetta che scivolò oltre il mio corpo, lasciando un acre odore che credetti ruggine. Mi avvicinai per vederlo meglio. Occhi azzurri, capelli castani e volto rotondo coperto di lentiggini: sembrava proprio un comune ragazzino appena entrato nell'adolescenza.
Rimanemmo immobili per alcuni secondi. Lui parlò solo quando mi vide avvicinarmi alla porta, con la chiara intenzione di chiamare il locandiere.
La prego mi faccia rimanere qui!”
Io mi voltai sorpreso. Stavano accadendo molte cose strane.
Come ti chiami?”
Niel”
Quanti anni hai?”
Dodici”.
Perché sei qui?”
Lui scoppiò di nuovo in quella cantilena supplichevole e insopportabile.
La prego, farò qualsiasi cosa! Le prometto che se mi farà restare qui per una notte farò tutto quello che vorrà”. Blaterò altre suppliche che evitai di ascoltare mentre chiudevo a chiave la mia stanza.
Perché dovrei farlo?”
La prego, io...”
Dimmelo!” esclamai interrompendolo.
Si era anche prostrato al suolo per convincermi o farmi pietà.
Alzò il capo cercando il mio sguardo che era rivolto alla finestra chiusa. Iniziavo ad avere caldo o semplicemente quell'aroma era troppo intenso.
Avanti: parla” continuai.
Mi stanno cercando” singhiozzò. Ci mancava solo che iniziasse a piangere.
Sei un criminale?”
Lui sembrò non capire inizialmente, così pensai di cambiare domanda. “Perché ti cercano?”
Si alzò, con lo sguardo lucido a causa delle lacrime che stavano per iniziare a scendere su quel volto infantile. Io ho sempre odiato i bambini; in particolare quelli che piangono.
La mia famiglia mi ha venduto a dei maghi della capitale”.
Mi appoggiai alla piccola finestra dopo averla aperta. “Perché mai?”
Dicono che io ho il dono magico”. Dunque un futuro mago impartito da anni di studi, pensai.
Mi voltai verso di lui, lasciando che la brezza della notte accarezzasse la pelle nuda della mia schiena. “Non vuoi diventare un mago?”
Non lo sarei diventato” rispose imbronciandosi. “Volevano uccidermi”.
Che sia la verità?” domandai provocatorio. In quel momento mi apparve come un gioco per dissipare la noia della lunga notte autunnale. Volevo punzecchiare quell'anima sofferente.
Che cosa sadica: tipica di un dio.
Certo!” rispose schiettamente. “I maghi della capitale prendono dei bambini e li usano negli esperimenti che compiono”. Lo osservai più attentamente: era veramente convinto di ciò che diceva. Con una storia come quelle anch'io avrei avuto paura.
Che esperimenti?” domandai. Anche la favola di un bambino suscitava in me un desiderio di scoperta.
Alchimia” rispose stringendosi alle ginocchia per nascondere le lacrime. “L'arma segreta di questo paese”.
Io risi e ciò lo offese.
Decisi allora di avvicinarmi a lui. Quando gli fui davanti mi piegai sulle ginocchia per essere alla sua altezza.
Una storia interessante, moccioso”.
Non chiamarmi così” sbottò alzandosi improvvisamente.
Non agitarti tanto, sai?Dopotutto il tuo destino è nelle mie mani. Dimmi però qualcosa di più”.
Ammisi che l'odore che emanava non era ruggine, ma qualcos'altro. Forse sangue o qualcosa di simile. Era qualcosa di rosso, ne ero sicuro: se quell'odore avesse mai acquisito un colore sarebbe stato il rosso.
Era qualcosa che mi attirava, un profumo che istigava la mia curiosità a indagare. Mi avvicinai ancora, rendendomi conto che era davvero piccolo poiché mi arrivava con la testa al petto.
Non volevo terrorizzarlo dunque mi fermai lasciandogli un minimo spazio dove muoversi.
Usano delle pietre rosse” iniziò. Subito quel colore invase la mia mente. “Le sciolgono e le fanno bere ai bambini”.
Tu come fai a saperlo?” domandai inarcando un sopracciglio.
Ero lì!”
E loro ti hanno lasciato andare?”
Non rispose, distolse lo sguardo perdendo quello spirito impetuoso posseduto fino a quel momento.
Sei fuggito? Come ci sei riuscito?” chiesi fingendo interesse.
Far parlare quel bambino si rivelò molto semplice.
Un bambino è impazzito. Ha iniziato a urlare e sputare sangue, poi si contorceva e tutti i maghi sono andati a osservarlo da vicino. Io allora me ne sono andato”.
Soffiai. “Devono essere maghi molto distratti per lasciarsi scappare un bambinetto”.
Improvvisamente si riprese. “Deve credermi! Quel ragazzo sembrava essersi trasformato in un mostro! Si era scatenato il caos”. Pensai che non c'era alcun dubbio che quella fosse una bugia, raccontata da qualcuno scappato dall'orfanotrofio o dalla famiglia.
Mi avvicinai ancora. Se la sua storia non era interessante, lo era quell'odore. Il suo sguardo si focalizzò su di me, spaventato, quando mi vide avvicinarmi sempre di più fino a costringerlo tra le pareti.
In quel momento persi la mia lucidità per qualche attimo. Era impensabile che io non riconoscessi un odore del genere. La risposta si nascondeva dentro di me, ero a un passo dal ricordarla.
Provai ad afferrarlo ma iniziò a dibattersi. Mi toccò afferrarlo alle spalle, dopo una breve e inutile lotta, avvolgendo il suo corpicino con il braccio sinistro e posando la mia mano destra sulla sua fronte.
La luce fioca che emanai era il segno che provavo a leggere dentro di lui. Un bambino è molto facile da osservare.
Continuava ad agitarsi e lessi le sue paure. Pensò che fossi una persona cattiva, che voleva approfittare di lui, pensò alla morte, ricordò quel bambino impazzito. Io volevo arrivare più a fondo, volevo scavare dentro il suo spirito per trovare l'origine di quel profumo.
Era di origine innaturale, forse solo le divinità lo percepivano. Sembrava magico, come un'aura.
Vidi alla fine qualcosa di ripugnante, come un grumo di sangue e organi. Chiusi gli occhi per sopportare la nausea di quella cosa.
Era un seme. Lo stesso che nascondeva il corpo di Dreni e i soldati di Elian.
Lo lasciai andare; infastidito dalle sue urla e dai colpi che dava alla porta cercando di uscire inutilmente. Faceva troppo rumore. “Smettila, attiri l'attenzione!” esclamai facendolo paralizzare. Alla fine era meglio per lui non farsi notare.
Non voglio farti del male, bambino. C'era solo una cosa che volevo vedere”.
Rimase per alcuni lunghi attimi in silenzio, trovando poi il coraggio di parlare. Sentii il mio stomaco scuotersi, forse per il rimorso di averlo fatto spaventare tanto.
Gli lanciai un sorriso gentile, pur di farlo tranquillizzare.
Lei è un mago, signore?”
Una specie” risposi. Con i bambini non c'era certo paura di venire scoperti. Loro conoscevano solo Chube, Katyana o il Grande Padre.
Mi aiuterà?” implorò ancora rimanendo immobile alla porta di vecchio legno.
Mi gettai sul letto, senza degnarlo di uno sguardo.
Dovevo rifletterci.
Un bambino con il seme demoniaco: una bella scoperta. Così i maghi-alchimisti del regno dell'ovest facevano esperimenti con oggetti proibiti. Ben presto avrebbero ricevuto visite importanti e maledizioni secolari per questo.
La cosa che mi incuriosì di più fu che un bambino potesse sopravvivere a tale esperienza. Non c'erano documenti che riportavano esperimenti del genere ma potevo tranquillamente immaginare che l'essenza demoniaca combattesse per avere il dominio sul corpo che la ospitava. Un mago o un guerriero adulto poteva contrapporsi, dimostrando magari una grande forza di volontà, ma un giovane come lui era totalmente indifeso a quel genere di assalti interni.
Il suo compagno impazzito era sicuramente stato posseduto completamente. La sua coscienza era stata divorata dal mostro che portava nell'animo mutandosi in belva.
Era tutto talmente interessante che non potei fare a meno di pensarci in continuazione.
Mi aiuterà?” domandò ancora riportandomi alla realtà.
Forse” risposi ammiccando. Studiandolo forse avrei capito qualcosa di più sull'esercito nemico e magari anche una cura per Valanz e Revery, anche se non ci credevo neppure. “Però dovrai stare in silenzio e non disturbarci”.
Siete in tanti?”
Siamo in due”.
Siete dei viaggiatori?”
Una specie”.
Anche io parlavo troppo.
Si stese infine sul pavimento vicino a me, addormentandosi. Lo guardai a lungo, mentre rimuginavo su quella scoperta.

Cosa ti salta in mente?” urlò Nelunis il mattino seguente, appena le accennai la possibile ipotesi di portare il giovane con noi, anche se solo per sfruttarlo.
Non urlare” le intimai facendole notare l'ora e la sala della locanda deserta. “Non vorrai svegliare qualcuno”.
Era appena passata l'alba. La locanda viveva una calma innaturale.
Mi afferrò per un polso con forza e mi trascinò fuori. Niel mi lanciò un'occhiata confusa ma lo rassicurai sorridendo. Si toccò di nuovo la pancia dolorante, siccome quella mattina, scendendo dal letto, lo avevo calpestato.
Babbo e mamma parlano un secondo” disse lei al giovane.
Appena fummo fuori mi afferrò per il colletto della maglia attaccandomi alla parete di mattoni. Non ero eccessivamente spaventato: lei non avrebbe alzato un dito contro di me, ma era evidentemente contrariata. Molto contrariata.
Si avvicinò e sentii il suo fiato sul viso. “Ham, sei impazzito forse? Non possiamo portarci un bambino con noi!”.
Ma ascoltami...”
Capisco che non fai molte missioni e l'aria aperta e l'odore dell'erba nei campi ti eccita ma non puoi comportanti in questo modo”.
Che stai dicendo?” domandai preoccupato. Cos'è che mi eccitava?
Avrai letto sicuramente moltissime storie sulle compagnie in viaggio ma non sarà così, chiaro?Abbiamo una missione da compiere, caro il mio scribacchino, e non possiamo portarci dietro dei bagagli inutili”. Bella considerazione che aveva degli uomini.
Continuò a borbottare tenendomi in quella posizione per alcuni minuti. Era stranamente inquietante.
Non è un bambino normale” le sussurrai.
Certo: è un burattino che sogna di diventare umano!” esclamò lasciandomi andare e allontanandosi di alcuni passi.
No. Dentro di lui c'è qualcosa che può esserci utile. C'è un seme”.
Il suo sguardo si cambiò. La fiamma furiosa si assopì appena lasciando spazio a una curiosità velata. “Come dici?”
Un seme demoniaco. Dice che i maghi della capitale svolgono degli esperimenti strani. Dice anche che ... ”.
È solo un bambino!” mi interruppe lei. “Non gli crederai, spero” mi domandò piegandosi leggermente in avanti con le braccia conserte.
Sbuffai. “Credo in quel che leggo. Il suo animo non può mentire”. Sembrò calmarsi a quelle parole. Le era sfuggito il particolare che io avevo questo potere. “In ogni caso, anche se fosse una balla colossale, lui ha un seme o qualcosa di simile piantato nel corpo. Voglio studiarlo così potrò forse capire anche come è riuscita Elian a creare un esercito di tale potenza”.
Si convinse dopo altre frasi e risposte inacidite dal suo atteggiamento. La sua rabbia scemò improvvisamente quando raggiungemmo un accordo.
Te ne occupi te. Non voglio sentire richieste o nient'altro. È a tuo carico!” sbottò prima di rientrare.
Perfetto”. Risposi.
Entrando vedemmo Niel seduto al bancone, che si serviva da solo dell'acqua.
Appena mi avvicinai iniziò a fissarmi per attirare la mia attenzione. Arrivò perfino a tirarmi per una manica.
Cosa vuoi?” chiesi esasperato.
Socchiuse gli occhi storcendo la bocca, forse per l'imbarazzo. “Mi porterete con voi?”
Sì. Ma solo per un breve tratto. Non affezionarti”.
Lui sorrise in maniera innocente. “Grazie” sussurrò abbassando il capo.
Io risposi arruffando i suoi corti capelli. Fu uno strano gesto, da parte mia.

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Capitolo 13
*** Risultati utili ***


Capitolo 13 – Risultati utili
I giorni seguenti furono i più faticosi che avessi mai vissuto.
All'alba e nelle ore subito successive al magro pranzo mi collegavo a un osservatore che avevo creato e lasciato nelle mie stanze, e che avevo munito di due pinze di carta, così da poter consultare gli archivi. Cercavo ulteriori informazioni della dea.
Durante il pomeriggio io e Nelunis ci dividevamo per raccogliere informazioni nel mercato o nelle botteghe.
Io parlavo, discutevo e mi fingevo un cercatore di tesori che aveva appreso il lavoro, insieme alle storie da raccontare, dalla sua antica famiglia. Riuscivo sempre a raggiungere il mio obiettivo blaterando a proposito di alcuni artefatti posseduti da Kinsis. Non esisteva nulla del genere nella realtà, ma mi bastava per sapere cosa conoscevano della dea. Nelunis cercava di imitare una ragazza pettegola e discuteva con le donne del mercato o nelle piazze. Diceva che aveva un giovane marito patito di antichità e che perdeva il suo tempo dietro le leggende di Kinsis. Poche donne sapevano chi fosse ma tutte raccontavano qualcosa che avevano sentito dai loro mariti.
Erano due ruoli che non ci spettavano.
Durante la cena discutevamo a proposito di ciò che avevamo scoperto, provando a distinguere ciò che era vero dalle voci e dalle leggende. A fine della giornata, però, erano ben poche le cose realmente utili.
La sera ognuno tornava nelle proprie stanze, continuando a ragionare. Io mi stendevo fissando il soffitto che un tempo era stato bianco, tentando di mettere insieme i vari pezzi.
Durante però qualsiasi fase, Niel faceva la sua comparsa.
Arrivai a pensare che quel seme demoniaco gli avesse conferito il dono di parlare in ogni momento di qualsiasi cosa.
Raccontava cose che non mi toccavano nemmeno, distraendomi durante la ricerca mattutina e la sera. Durante la cena parlava molto poco, anzi: restava in silenzio. Nelunis sembrava avere uno strano effetto intimorente sul piccolo.
Mio malgrado scoprii qualcosa di più su di lui.
Mi disse che proveniva da una famiglia di fabbri, specializzati da generazioni nella fabbricazione di armature. “Per colpa di Elian”, così disse dopo forse averlo sentito dire dalla madre, erano dodici fratelli.
Lui era il terzo nato ma non spiccava per forza e abilità con il martello. Per ovviare al problema del mantenimento di un figlio inutile, in modo molto triste e combattuto, i suoi genitori decisero di accordarsi con degli alchimisti del re. Si diceva che cercassero famiglie povere con troppi figli solo per poterne approfittare. La famiglia vendette lui e altri due fratelli, che però furono subito separati. Per alcune settimane lo avevano tenuto in una specie di prigione, facendogli bere una strana sostanza preparatoria al demone. La descrisse come un liquido verde che sapeva di scaglie di pesce.
Non riuscivo a ricordare nulla del genere.
Era abbastanza grande da ingerire il seme, così aveva sentito dire da uno di quei maghi, e lo condussero in un ritrovo sotterraneo con altri ragazzini. Mi spiegò il rituale ricordando molti dettagli. Mi descrisse i disegni sul terreno, le tuniche degli uomini, persino il volto di alcuni compagni.
Alla fine fuggì, approfittando del caos creato dalla possessione. Era stata una fuga difficile, poiché per un tratto quei maghi lo fecero inseguire da alcuni balordi. Mi assicurò di aver faticato molto per uscire da quei cunicoli sotterranei, probabilmente una cripta, ma alla fine c'era riuscito.
La perdita di un bambino, comprato per pochi soldi è un male minore, ma un bambino che possedeva un tale segreto era una cosa troppo preziosa. Aveva corso a lungo, cercando di notte un nascondiglio e un aiuto.
Mi spiegò che a quell'ora erano aperte solo le locande e i bordelli.
Il resto della storia la conoscevo già. Con schiettezza e privo del tatto necessario spiegai a Niel che si era come gettato in bocca allo squalo, scampando solo per fortuna. Ogni volta che incrociavo il suo sguardo sentivo la gratitudine che provava nei nostri confronti. Non voleva tornare dalla sua famiglia ma non aveva altri progetti.
Ero stranamente triste quando ripensavo a quell'evento: una famiglia che cede uno dei figli, ma mi convinsi che in quella regione era una pratica molto comune tra le fasce povere.
Finita la storia della sua breve e intensa vita si prodigò per trovarci dei nomi. Noi non volevamo dirgli i nostri e non avevamo mai né la voglia né il tempo per inventarne alcuni, così trovò un soprannome per ciascuno di noi.
Io ero Georg e l'altra dea era Inae. La sera che mi disse questa trovata dialogammo un poco, poiché Inae, gli spiegai, somigliava molto alla parola Inande, traducibile con virile e mascolino. Lui si mise a ridere e anch'io accennai una risata sincera.
Chiusi la conversazione suggerendogli di non dirlo a Nelunis, chiamandola semplicemente 'Signora'.

Niel non era portato per le armi o per il lavoro pesante, dato il suo fisico gracile. In guerra, per via dell'indole ingenua e fondamentalmente buona, non sarebbe sopravvissuto a lungo. Possedeva comunque un'incredibile acume, che emerse alcuni giorni dopo averlo preso con noi.
Una sera stavo rimuginando a proposito delle informazioni che avevamo trovato.
Mi avevano suggerito un vecchio magazzino nei pressi di una miniera poco fuori città, ma non c'era nulla. Nessuna traccia della presenza di Kinsis” mi disse Nelunis.
Eppure si trova nella parte meridionale di questa regione, secondo gli scritti. È vero che è passato molto tempo ma è l'unica traccia che abbiamo”.
Il ragazzo stava mangiando una fetta di pane, incuriosito. Noi eravamo già sazi. Quella sera mangiammo solo una minestra.
Forse si trova in un'altra città” suggerì. Quella dove ci trovavamo era una grande cittadina, la più vasta tra quelle a sud del regno. Cambiare città significava ricominciare tutto da capo. “Le leggende che hai raccolto e le tue elaborazioni ci hanno condotto qui, ma sono comunque dati molto vecchi e imprecisi”.
Forse si trova nella capitale” disse, interrompendo la nostra discussione.
Nelunis gli lanciò un'occhiata astiosa. Io non ero così aggressivo. “Perché dovrebbe trovarsi là?” domandai.
Prima di rispondere ingoiò anche l'ultima parte di mollica. “Perché una divinità attira l'attenzione, nella capitale può nascondersi”.
Può nascondersi ovunque, moccioso!” esclamò la dea inacidita da quell'intromissione.
Lui alzò la testa guardando me che ricambiai con un sorriso. Non voleva proprio incrociare gli occhi di lei. “Ama le grotte o i cunicoli, giusto?” chiese in modo retorico. Gli avevo detto questa cosa alcune sere prima, dopo alcune domande fastidiose. “La capitale ha una fitta rete di sotterranei, soprattutto il castello”.
Fai silenzio cosa ne vuoi sapere, ci sono rovine e segrete ovunque in questa regione!” continuò Nelunis. Lo intimorì battendo con forza una mano sul tavolo. Niel si zittì, chinando il capo. Lo fissai per alcuni secondi, ignorando le parole della mia compagna. Si era chiuso nella sua tristezza, non era una cosa giusta.
Accarezzai la sua mano destra, posata sul tavolo, incitandolo a continuare. Pensai che sicuramente non ci sarebbe stato di nessun aiuto ma almeno si liberava di quel silenzio lugubre, dove ricordava tutte le cose che aveva dovuto passare. Nella sua mente erano incubi: non era raro che la notte si svegliasse in preda a visioni dove compariva il quel ragazzo posseduto.
Lui mi lanciò un'occhiata confusa. Non era sicuro se parlare o meno.
Alla fine disse ciò che pensava, sussurrando intimorito.
Io penso che si trovi nella capitale perché c'è un'ampia rete di sotterranei disponibili e così può vendere le sue bambole”.
Le bambole. Non avevo mai pensato a questo vizio come un indizio utile.
Nelunis cambiò bersaglio: i suoi occhi presero a fissare me infuriati. Chinai il capo in segno di scuse, forse mi ero lasciato scappare troppe informazioni. Kinsis era la dea burattinaia e aveva il vizio di fabbricare bambole, ottime bambole che poi vendeva sotto falsi nomi solo per sentirsi lodare per la bravura nel confezionare quelle opere d'arte e per accumulare ricchezze.
In questa regione solo la capitale è rinomata per fabbricare ottime bambole di pezza o giocattoli in legno. Ora, mettiamo che Kinsis si fosse insediata in una parte qualsiasi del regno, avrebbe venduto le sue creazioni, sbaglio?” mi chiese.
Esatto”.
Non pensate che l'attenzione si sarebbe focalizzata allora nel borgo dove vendeva questi oggetti? Insomma un venditore di bambole fuori dalla capitale è inusuale, poi se sono opere perfette lo è ancora di più. Si sarebbe sparsa la voce e tutti si sarebbero catapultati in questo luogo”.
Sentendolo, senza poterci ragionare sopra, mi trovai d'accordo con lui. Non faceva una piega.
Invece non è successo nulla del genere. Non c'è notizia di bambole vendute fuori dalla capitale, o meglio: non c'è notizia di ottime bambole vendute fuori dalla capitale” commentai. Volevo rassicurarlo, non doveva temere.
La sua presenza stava diventando piacevole.
Invece nella capitale, la dea non solo ha un nascondiglio ma ha anche un mercato fiorente dove vendere la sua merce senza dare nell'occhio, giusto?” terminava gran parte delle sue frasi con un interrogatorio, come se volesse delle conferme a ogni passo.
Nelunis socchiuse gli occhi. “Non è una certezza, ma sembra essere un ragionamento logico”.
Ed è l'unica idea che abbiamo” conclusi io.
Per la prima volta un uomo, per di più così giovane e inesperto, mi aveva suggerito qualcosa , risolvendo momentaneamente i nostri problemi.

Dopo cena tornammo nelle camere con un'aria meno grave e più spensierata.
Mi sistemai sul letto, guardando Niel affacciarsi alla finestra.
Entrava un'aria gelida.
Signor Georg” chiamò.
Cosa c'è?”
Lei è un mago vero?”
Feci una smorfia. “Sì”. Ormai doveva credere a quella storia, altrimenti potevano nascere in lui dei sospetti.
Può curarmi?”
La domanda mi spiazzò. Curarlo? Pensai che intendesse aiutarlo a liberarsi del seme. Forse anche lui si era accorto che era qualcosa di oscuro e dannoso. Era probabile che ne soffrisse anche, in segreto, poiché gli provocava dei dolori.
Io non ne sono capace” risposi stringendo i pugni. Improvvisamente apparvero i volti di Revery e Valanz e ricordai la promessa che mi ero fatto. Studiando quel ragazzo avrei scoperto qualcosa, forse, per salvare le mie due compagne. Dovevo portarlo con me finché non ci fossi riuscito, ma sicuramente non avevo idee per liberarlo da ciò che ormai si era insediato nel suo giovane spirito.
Lui venne ai piedi del letto, inginocchiandosi. “La prego; mi aiuti. Non voglio diventare un mostro”.
In effetti, poiché era passata già una settimana, mi convinsi che non c'erano più rischi. Era riuscito ad assorbire quel seme con efficacia, forse senza poterne godere degli effetti ma dissolvendolo.
Mi spostai, sedendomi sul bordo. “Smettila di piagnucolare. Non diventerai un mostro, sei un bambino forte”. Ormai sembrava essersi abituato ai termini con i quali lo chiamavo, che sminuivano sempre la sua piccola età.
Quella frase sembrò colpirlo particolarmente. Mi ringraziò sistemandosi a terra, per dormire.
Forse non aveva mai ricevuto un complimento del genere.

La mattina seguente approfondii la questione 'ragazzino' con la dea.
Nelunis, lo terrò con me fino a che non avrò scoperto qualcosa di più sul seme”.
Lei annuì. Era più infastidita dal vestito lungo e roseo che indossava che dalle mie parole.
Va bene. Basta che non mi crei problemi” commentò.
Le feci notare che ci era stato utile ma lei liquidò la faccenda con una coincidenza irripetibile.
Discutemmo un po' riguardo altri argomenti, come il viaggio o la ricerca di una sistemazione giunti nella capitale, Mire, ma lei se ne uscì alla fine con una frase che mi spiazzò.
Quel ragazzino stravede per te”.
Interruppe la mia frase riguardo ai giorni di viaggio che ci sarebbero serviti. Alzai lo sguardo verso di lei pronto a scoppiare a ridere. Lei era invece seria.
In questi giorni non ha fatto altro che starti attaccato, ascoltare entusiasta le tue parole, imitare i tuoi gesti. Con me non ha neppure mai parlato”.
Sbuffai. “Tu lo disprezzi! Ed è evidente la cosa”.
Lascia perdere. Io di queste cose me ne intendo: ho vissuto molte battaglie e negli eserciti ci sono sempre gli 'ammiratori' che inseguono il cavaliere o l'eroe di turno. Ormai riesco a riconoscerli. Quel Niel pende dalle tue labbra; trattalo con cura”.


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Capitolo 14
*** La città delle bambole ***


Capitolo 14 – La città delle bambole

Mire apparve alla nostra vista dopo due giorni di viaggio.

Nelunis era riuscita a trovare due cavalli, anche se ignoro come abbia fatto, perciò il viaggio fu particolarmente rapido.
Più ci avvicinavamo, però, più Niel s'incupiva. Io e lui cavalcavamo un destriero dal pelo chiaro e dal temperamento tranquillo. Lui sedeva davanti a me, mentre dietro c'erano alcune vettovaglie. Nelunis era molto più avanti di noi. Il suo cavallo era tinto come il nostro ma aveva una speciale luce negli occhi. Era rapido e aggraziato.
Nel pomeriggio del secondo giorno volli capire come mai quell'atteggiamento.
Anche se lo conoscevo da poco non mi era sfuggito il particolare che Niel parlasse molto, così gli domandai perché quel silenzio.
Lui continuò a fissare la strada davanti a sé, con aria preoccupata. “Nella capitale ci sono i Maghi. Mi stanno cercando”.
Figurati. I maghi della capitale neppure sanno della tua esistenza” ridacchiai per rassicurarlo. La mia frase non sembrò avere l'effetto desiderato.
Sicuramente quegli stregoni hanno avvertito anche i loro compagni della capitale”.
Senti Niel, quei maghi hanno fallito miseramente lasciandosi scappare un ragazzino: pensi davvero che darebbero questa notizia alla capitale, umiliandosi e rischiando delle punizioni?”. Volli convincermi che era così: avevamo fin troppi problemi per occuparci anche di qualche stregone del re che ci dava la caccia. In caso si fossero presentati, comunque, mi sarei occupato personalmente della loro eliminazione. In questa maniera mettevo al sicuro Niel e gli facevo capire che non si devono fare esperimenti che offendono gli dei.
Lui mi diede ragione, rilassandosi nell'ultimo tratto di strada. C'era sempre una parte di lui che tremava, indifferentemente da ciò che facevo o dicevo per rassicurarlo.

La città si mostrò a noi in tutta la sua magnificenza.
Si strutturava in una cittadella fortificata, circondata da dei quartieri ricchi chiusi nelle alte mura bianche e decorate. Fuori stavano tutte le altre case, senza protezione alcuna. La gente che viveva fuori dalle mura era molta, forse più di quella della città vera e propria, e aveva creato una ragnatela di strade e nuovi quartieri dove la vita scorreva più o meno tranquilla.
Io avevo letto molte cose riguardo alle fortificazioni di Mira ma ammisi che erano qualcosa di splendido. Niel ne rimase incantato, anche se sembrava saperne abbastanza di quel posto.
La muraglia era altissima e la si poteva vedere da molto lontano. Quella cinta circolare aveva protetto la città dalle orde dei demoni, uomini e creature bestiali per quattro lunghi secoli.
Smettemmo di galoppare, acquistando un'andatura più tranquilla, giunti alle prime case. Più si proseguiva verso le mura più le case intorno a noi aumentavano diventando alla fine una foresta intricata e sconosciuta.
Il sole era prossimo al tramonto, per cui pensammo fosse meglio sistemarci.

La locanda ci mise a disposizione due stanze: una singola e una matrimoniale. Ci fu una dura battaglia per i posti.
Nelunis voleva il letto più grande ma io e Niel non potevamo stare in una singola; lei, però, non voleva condividere il letto né con me né con Niel.
Alla fine le toccò andare nella camera singola, mentre noi due prendemmo la matrimoniale. Non mi andava a genio dormire insieme a un uomo ma per quella volta mi toccò buttare giù il boccone amaro senza lamentarmi.
Il ragazzo per tutta la sera continuò a fissare le mura, sporgendosi dalla finestrella. Durante la notte si ricoprivano delle luci delle sentinelle, rendendole ancora più suggestive.
Non c'eri mai stato?” domandai sistemandomi su quel giaciglio comodo.
No”.
Eppure mi era sembrato che tu la conoscessi bene”.
Lui scosse la testa, venendo verso il letto. “Di Mira conosco solo i sotterranei, anzi: so solo che esistono. Mio padre me ne parlava molto, siccome una parte di quei cunicoli è adibita come magazzino per corazze e armi”.
Tuo padre sapeva molte cose”. Commentai stupito.
Anche io conosco molte cose”.
Davvero?”
La sicurezza con cui aveva esclamato la precedente frase scemò. “Insomma, conosco alcune cose...” sospirò. “Ma non così tante. Un giorno conoscerò tutte le cose di questo mondo!” gli tornò la sicurezza e gli occhi brillarono di una strana luce sognante.
Capivo perfettamente quel che provava. Sete di conoscenza o semplice curiosità: anch'io provavo le medesime cose.
Pensai che forse non eravamo così diversi.

Il giorno successivo lo passai per orientarmi nella capitale. Rispetto alla vecchia città quello era un labirinto di vie e botteghe. Mi ci volle un pomeriggio intero per imparare qualche strada di riferimento ed esplorarlo in gran parte.
Niel mi seguiva, incuriosito e ormai partecipe delle nostre uscite. Nelunis mi disse che avrebbe cercato un modo per entrare oltre la barriera che proteggeva gelosamente i quartieri alti di Mira. Inizialmente dovevo fare io quel lavoro ma convenni che una bella ragazza con molte monete può fare tutto.
Quella sera discutemmo a proposito dei nostri risultati.
Ci eravamo chiusi nella camera matrimoniale ed eravamo seduti sul letto. Davanti a me e Nelunis stava la cartina della città.
Niel era vicino a me, che ci guardava interessato.
Possiamo entrare” iniziò Nelunis. “Sono riuscita a convincere un soldato”
Rimasi in silenzio attendendo un'ulteriore spiegazione, ma lei si aspettava una domanda. Con un cenno le feci capire di andare avanti. “Aveva appena terminato il turno: è un membro della guardia. Ho dovuto faticare un po' ma alla fine l'ho convinto a farmi entrare: ho detto che siamo degli aspiranti storici, che vogliono vedere le meraviglie della città bianca e altre sciocchezze”.
Le lanciai un'occhiata che lasciava trasparire il mio disappunto. “Storici?”.
Lui mi fece segno di tacere. “Domani pomeriggio, dopo il mezzodì, potremmo entrare da un passaggio secondario. Ho dovuto sborsare fino a dieci monete d'oro!”
Era una cifra molto alta.
A quel punto parlai delle mie scoperte. “La rete sotterranea è situata su due piani. Il piano inferiore attraversa tutta la città ed è una rete fognaria; il piano superiore passa solo sotto la città alta e alcune parti sono usate da magazzino mentre altre sono abbandonate”. Le indicai un punto sulla mappa. Con il dito tracciai un cerchio che comprese la parte settentrionale dei sotterranei. “Io penso possa trovarsi qui. Noi ci troviamo nella parte sud della città, ma attraversare la città alta è questione di un'oretta al massimo”.
Facciamo due” mi interruppe lei.
In ogni modo raggiungeremo quella zona da qui” suggerii puntando un tratto lungo le mura. “C'è un ingresso per i sotterranei credo sorvegliato da alcune guardie. Tanto ce ne sbarazzeremo velocemente”.
Con un'occhiata feci capire a Nelunis che 'sbarazzarsene' non significava obbligatoriamente ucciderli. Lei mi sorrise sarcastica. Era un piano semplice poiché contavamo su dei mezzi magici per risolvere gran parte dei problemi.

La mattina successiva sembrava non voler mai passare. L'ansia e l'eccitazione per la nostra azione del pomeriggio mi mettevano in agitazione impedendomi una buona concentrazione.
Per distrarmi portai Niel a fare una passeggiata per alcune strade. Rimaneva incantato a guardare le varie botteghe e la merce che esponevano.
Gli chiesi se volesse acquistare qualcosa ma mi fece segno di non voler nulla. Ci era già molto grato per averlo portato con noi e non voleva pesare in maniera maggiore. Ero però cosciente del suo reale desiderio.

Giunse infine l'ora di andare. Mangiammo velocemente una focaccia particolarmente buona, per gli standard umani, e ci preparammo.
Dissi a Niel di rimanere chiuso nella stanza, senza aprire a nessuno o uscire. Dovevo essere certo che non si cacciasse in qualche guaio.
Nelunis si era cercata una guardia piuttosto giovane e stupida, così da poterla manipolare a suo piacimento. Con i capelli legati in una lunga treccia e un po' di trucco: da dea era passata ad anonima donzella.
Il soldato ci aspettava a una porta quasi invisibile, nascosta molto bene da alcune case. Era coperto da una pesante armatura a placche e il suo volto era terribilmente rovinato. Aveva dei corti capelli biondo cenere, il suo volto era ovale e con una grande mascella squadrata. Aveva circa venticinque anni: eppure sembrava terribilmente vecchio, come se ne possedesse almeno venti di più.
Lo sguardo era vuoto, come se assente e il suo tono troppo grave e lento.
Ci accompagnò all'interno, fissando in maniera fastidiosa il corpo della dea, che fingeva di non essersene accorta. In una situazione normale, la guardia sarebbe già stata uccisa ma adesso ci serviva vivo.
Così siete degli storici” iniziò per rompere il silenzio.
Sì. Vogliamo scoprire qualcosa di più su questa città tanto famosa” sospirai. Nelunis mi assecondò.
Gli si avvicinò guardandolo con i suoi grandi occhi di fuoco. Avrebbe anche finto pur di raggiungere il suo obiettivo; gli uomini poi erano particolarmente facili da fregare.
Lui era un colosso rispetto alla statura della dea, ma questo non impedì che lei gli accarezzasse una spalla ricoperta di metallo, sorridendo. “Io e mio fratello siamo alla ricerca di segreti. Non è che sapresti dirci qualcosa di 'interessante'?”.
Non avrebbe fatto niente oltre a quello. Aveva raggiunto il limite.
Lui le sorrise. Il rumore della corazza era ripetitivo e noioso. “Dicono che ci siano dei sotterranei, per esempio...”
Mi state chiedendo troppo!” esclamò.
Per favore, non so cosa darei per vedere quei cunicoli” continuò la ragazza tirandolo all'interno della sua trappola.
Prima di arrivare fin lì però ci disse che doveva spogliarsi della corazza troppo ingombrante.
Era stato molto semplice giungere fin lì: il soldato, il cui nome era Rond, ci fece passare in alcune strade poco trafficate, dove la gente di quei quartieri ci notò appena. Quella era l'ora più calda dove le sentinelle oziano annoiate e le persone rimangono nelle loro case per riposarsi dopo il pranzo.
Ci sembrava troppo facile.
L'uomo ci mise pochi minuti a liberarsi di quella ferraglia di scarsa qualità, rimanendo vestito con una maglia rossastra e dei pantaloni di stoffa.

Dopo mezz'ora finalmente giungemmo all'ingresso. Era situato in un piccolo giardino abbandonato, provvisto di un sentiero in brecciato che lo attraversava completamente. Le porte non erano neppure sigillate, segno che l'accesso era libero.
Scendemmo delle scale ripide ritrovandoci all'ingresso di un corridoio lungo e interamente di pietra.
Lui afferrò una torcia magica, formata da un bastone sormontato da una pietra lucente. Dopo averla strofinata appena quella gemma iniziò a brillare con forza, illuminando gran parte di quella strada che puzzava di chiuso e acqua stagnante.
Camminammo a lungo e persi la cognizione del tempo passato. Era tutto così buio e noioso.
Improvvisamente incontrammo delle sbarre che ci bloccavano il cammino. Avevamo esplorato alcune stanze vuote e girato a lungo tra i vicoli, probabilmente perdendoci.
Rondo provò più volte ad abbandonarmi in qualche vicolo per restare solo con la dea, ma lei lo impediva attirando la mia attenzione.
Il giro turistico è finito. Torniamo indietro”. Sbottò grattandosi la testa.
Non possiamo proseguire?” domando Nelunis lanciandoli un'occhiata ammiccante.
Ho già disobbedito portandovi qui, non posso fare altro” era scocciato per aver fallito con la ragazza e probabilmente aveva perso interesse nei suoi confronti.
Non puoi, o non vuoi?” chiesi inarcando un sopracciglio.
Nelunis si lasciò scappare una risata.
Non posso e non voglio, sia chiaro. Per quello che mi avete dato è già troppo quello che ho fatto”. Brontolò avvicinandosi minaccioso. “Adesso andiamocene, vi riaccompagno fuori dalle mura”.
Non abbiamo ancora finito” sbottò la dea sciogliendosi la treccia.
Io rimasi nascosto nella mantella guardando gli eventi accadere senza intervenire.
Non mi costringere a...” La frase del biondo si interruppe quando alla sua gola fu puntato un pugnale. Lui lo aveva tenuto nella cintura fin dall'inizio, non si capacitava di come quella donna glielo avesse rubato e ora glielo stesse rivoltando contro.
Taci!” esclamò Nelunis uccidendolo. Un taglio netto, del sangue. Forse aveva esagerato.
Prima che potessi replicare mi spiegò. “Non dire nulla. Ha osato troppo! Non mi dispiace che tra i soldati qualcuno fantastichi su di me, ma questo era una cosa indecente. Ci mancava solo che mi bloccasse a un muro dicendomi: facciamo...”
Ho capito” la bloccai indicando le sbarre. “Queste?”
Non sono un problema” mi rispose. In un istante dal pugnale scaturirono lingue di fuoco che abbattendosi sul vecchio metallo lo distrussero, con la stessa potenza di un martello da guerra o un ariete da sfondamento.
Mi lanciò un'occhiata compiaciuta, mentre attraversava quel varco che adesso puzzava di fumo.
Dove ci troviamo?” domandò dopo pochi passi.
Secondo la mappa ci troviamo vicino a un cunicolo più largo. Seguendolo in direzione nord-est raggiungeremo la parte che ritengo sospetta”. Mi stavo limitando a pensare. Nella mia mente la mappa era chiara e memorizzata alla perfezione. Ero un archivista che doveva poter ricordare ogni cosa e una piccola cartina era una sciocchezza per me.
Perfetto. Troviamo questa 'strada per il tesoro'” mi disse seria. Dopo aver eliminato la guardia la dea si era appropriata del fodero per quel pugnale, che adesso teneva alla cintura. Armatura e armi erano nel Palazzo, al sicuro.

Camminammo a lungo, senza trovare nulla di utile. Erano forse passate ore: durante le quali correvamo dietro a percezioni errate e inutili rumori.
Ci trovavamo in uno stretto cunicolo vuoto. La torcia che avevo perso in prestito dal cadavere illuminava le strette pareti dandoli una spiacevole sensazione. Ci misi un po' per rendermi conto di dove eravamo.
Nell'ultimo tratto avevo seguito Nelunis che si era limitata a intimarmi di non fare domande, girando a vuoto tra i vari corridoi. Adesso si era fermata e si avvicinò a me molto lentamente.
Alla nostra sinistra stava un'altra strada mentre poco più avanti ce n'era un'altra che svoltava a destra.
C'è qualcuno che ci guarda” mi disse afferrandomi per un braccio.
Chi?”
Ora lo vedrai. Crede di essere al sicuro il bastardo” ghignò. “Lancia la torcia nel cunicolo accanto a te. Veloce!” lo feci senza obiettare.
La strada in precedenza buia si illuminava al passaggio della gemma e per un attimo rese visibile il colui che si nascondeva nell'ombra. Non riuscii a riconoscerlo subito ma mi apparve come qualcosa di non umano.
Rendendosi conto di essere stato scoperto scattò verso di noi. La dea mi scansò e con un fendente infuocato tagliò il suo corpo in due parti. Quando queste caddero a terra potei capire cos'era: una marionetta. Il corpo di quel nemico era interamente fatto di legno, articolato e dalle sembianze antropomorfe. Il suo volto aveva una faccia scolpita quasi inquietante e le braccia terminavano con due pericolose lame.
Emanava una presenza magica che non ero riuscito a scorgere, forse poiché ero troppo preso dai miei pensieri. Pensai si trattasse di un'anima chiusa in quel corpo, così da muoverlo. Quella pratica era tipica della dea, Kinsis; solo lei riusciva a sigillare e manovrare gli spiriti. Finalmente avevamo una certezza.
Come hai fatto a scoprirlo?” domandai.
Abilità ed esperienza. Poi c'era anche la flebile aura che emanava il suo corpo. Mi deludi, sai?”
ero distratto, perdonami”.
Sei stato fortunato. La distrazione porta alla morte gran parte delle volte”.
Il suo spirito battagliero la portava a paragonare tutto a una guerra, così si comportava e parlava di conseguenza.
Chiunque fosse giunto fin lì non sarebbe andato oltre, ucciso da quel burattino agguerrito, ma noi due eravamo molto più capaci e resistenti di un semplice umano curioso.
Entrammo in quella via, recuperando la torcia e ci apparve una scala che scendeva in profondità.
Allora?” mi chiese risvegliandomi. Ero rimasto imbambolato davanti al primo gradino.
Sussultai. “Nella mappa non c'era”.
Ottimo. Allora è qui” mi rispose lei passandomi avanti.
Scese i gradini velocemente e chiamò il mio nome con forza affinché la seguissi.
Capii che Kinsis ce lo aveva permesso, di giungere fin lì, accogliendoci nel migliore dei modi possibili.

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Capitolo 15
*** La dea enigmatica ***


Capitolo 15 – La dea enigmatica

Ben arrivati” ci disse appena messo piede in un grande salone scarsamente illuminato.
Avevamo camminato relativamente poco, circondati da burattini e marionette privi di vita e riversi a terra in pose scomposte.
Il salone ne era pieno. Sulle pareti, per terra o appesi al soffitto c'erano le bambole amate da Kinsis. Tutte diverse: alcune con aspetto aggressivo e armate, altre con l'aria docile e l'aspetto grazioso. Ero intimorito da una simile armata di legno e allo stesso tempo ammiravo ogni dettaglio di quelle opere.
Leggere di loro non era come vederle.
Sul fondo della stanza stava una donna dai corti capelli castani, di una tonalità molto scura, che lavorava su qualche nuovo modello seduta alla sua scrivania. Intorno a lei regnava il disordine: attrezzi, pergamene e parti di burattino stavano ovunque.
Si voltò solo dopo alcuni secondi, posando sul tavolo di vecchio legno la sua lente per i lavori di precisione.
Era una donna minuta e sola.
Cosa vi porta fino a me?” domandò.
Nelunis si fermò raggiunto il centro della stanza, io la imitai.
Dobbiamo chiederti di seguirci, fino al Palazzo: il Grande padre ti vuole”.
Le due dee si scambiarono degli sguardi astiosi. Kinsis però decise di dedicare a me le sue attenzioni, ignorando le parole della ragazza dalla pelle dorata.
Mi osservò accuratamente senza lasciarsi sfuggire un particolare. Lei era una tipa precisa.
Prima di parlare fece una smorfia. “Tu sei quasi uguale all'originale” sospirò.
Un bel lavoro, non c'è che dire: lui però era molto più sveglio e bello”. Sbuffò. “Forse però tu sei ancora giovane”.
Confusione. Cosa aveva detto? Di cosa parlava?
Nelunis non sembrava confusa come lo ero io. Lei non si interessò neppure al senso di quelle parole. “Kinsis, verrai con noi?”
Lei le lanciò un sorrisetto forzato. “Ovviamente no. Mi sono allontanata da quel posto da quando è successo, non tornerò ora”.
Successo cosa?” domandai facendomi avanti.
Lei sembrò compatirmi. Era in qualche modo attratta dalla mia figura e provava pena per il mio animo. “Se solo avessi il tempo potrei raccontartelo; ahimè il tempo non c'è: devo finire queste bambole”.
Nelunis mise mano sul pugnale senza sfoderarlo. “Kinsis, non costringermi a usare la forza”.
Costringerti? Tu godi nel farlo; ti hanno creata così, dopotutto. Sei la giovane donzella dal carattere infuocato”. Era così calma da destare molti sospetti. Aveva la situazione sotto controllo o il tempo passato tra quelle bambole le aveva donato una pazienza e una calma fuori dal comune?
La dea al mio fianco si fece avanti facendomi segno di indietreggiare. Sbuffò provocata in modo così esplicito.
Kinsis continuò, rivolgendosi nuovamente a me. “Mi fido di te, così come ho sempre fatto”. Non riuscivo a seguirla: se quello era il nostro primo incontro come poteva essersi già fidata di me?
Dimmi, Ham, qual'è il ricordo più vecchio che possiedi?”.
Mi sorprese. Iniziai ad andare a ritroso nel tempo: anni, decenni, forse un secolo. Poi terminarono. Non avevo mai fatto una cosa del genere. Nelunis sembrava insofferente.
Un giorno nuvolo: sono nel mio studio che sto per studiare il primo libro preso dall'archivio. Il primo in assoluto”.
Lei sorrise: mi stava conducendo verso una risposta che inconsciamente attendevo.
Sai perché non puoi andare più indietro di così?”
Ero troppo piccolo, non ho una chiara memoria dei primi anni della mia esistenza”. Adesso era ovvia la risposta: lei mi aveva incontrato quando ero appena nato e avevamo fatto qualcosa che l'aveva portata a fidarsi di me. Una nostalgica, pensai.
Sbagliato”. Rispose facendo oscillare il dito indice della mano sinistra. Avevo dato la risposta errata.
Il pugnale scivolò fuori dal fodero ricoprendosi di fiamme. La mano della dea guerriera lo strinse con vigore. “Smettila adesso! Non provare a manipolare la mente di Ham con le tue parole”.
Lei non si stupì, anzi iniziò a ridere soddisfatta. “Perché non fai silenzio, soldatino? Sto discutendo con qualcuno che ha subito fin troppe...”Si interruppe lasciandomi immobile.
In un secondo le lingue di fuoco si abbatterono su di lei che si salvò solo scartando di lato con velocità.
Ho degli ordini da rispettare” commentò la dea con il pugnale per giustificare il suo attacco. “Vuoi venire o no? Ti preannuncio che una risposta negativa sarà presa come un affronto alla stessa divinità che ci ha creato”.
Per favore fai silenzio?” rispose in modo seccato la burattinaia. “So perfettamente che tu sei una che deve mantenere l'ordine, anche usando mezzi poco educati”. Si porto una mano sulla bocca riflettendo. Poi continuò: “Tornando a noi, Ham: tu non puoi ricordare nulla prima di quel giorno, semplicemente perché non esistevi”.
La cosa mi colpì ma non mi sconvolse. Forse ero nato adolescente, senza dover passare la fase dell'indifeso bambino, ma era un male minore. Fu ciò che disse dopo a far vacillare le mie sicurezze.
Il suo sguardo si fece amichevole mentre la dea socchiudeva gli occhi grigi. “O per meglio dire: prima di quel giorno c'era un altro”.
Vuoto e silenzio. Il mio cuore batteva all'impazzata. Un altro: un archivista che non ero io. Dov'era?che fine aveva fatto? La mia testa era piena di domande che non riuscii a pronunciare. Non era il turbamento a far tremare le mie gambe o impastarmi la lingua, no: era la curiosità. Volevo, anzi: pretendevo di sapere la risposta.
Tutto ciò non fu possibile: Nelunis aveva scagliato un altro attacco. La sua spada fatta di fuoco attraversò il corpo della divinità rompendolo. In quel momento mi accorsi che era al pari di tutti gli articoli esposti: una marionetta.
L'oscurità mi aveva confuso, non ero riuscito a delineare bene la sua sagoma dandomi l'immagine di una donna che non c'era. Un siparietto ben montato; degno di questa dea.
Non credere alle sue parole, Ham! Lei vive mettendo dubbi nei cuori altrui” mi rassicurò.
Conosco le caratteristiche di questa dea” risposi, ma il dubbio era già dentro di me.
In silenzio stava strisciando attraverso il mio corpo, come un verme sotto le carni.
La mia attenzione fu però attratta dal movimento che notavo nella penombra: tutte le bambole si muovevano, animate.
Ci attaccarono tutte, senza risparmiare i loro colpi.
Erano soldati perfetti: morivano solo se ne distruggevi il capo Non era importante quante braccia gli avevi tagliato, o quante gambe, o se gli avevi fatto saltare la testa dal collo: la bambola continuava a cercarti. Un incubo di pelle bianche e sguardi vitrei.

Finito quella lotta tornammo alla locanda. Io non avevo ferite, Nelunis neppure. Il corpo l'aveva bruciato per precauzione e io mi ponevo ancora domande.
Rimuginai sulla complicità tra Kinsis e il re reggente, alleati negli esperimenti con il seme demoniaco, e su ciò che aveva detto: nessun documento riportava l'esistenza di un precedente archivista.
Avevo comprato, sulla via del ritorno, un libro a Niel. Era un tomo abbastanza ingombrante che raccontava la storia del continente. Lui ne fu felicissimo e mi ringraziò per tutta la giornata seguente. Nelunis era tornata quella di sempre: sanguigna e concreta. Io non riuscivo a prendere sonno. Non capivo come lei potesse essere tanto tranquilla.
Una sera bussai alla sua porta e lei aprì facendomi entrare.
Cosa succede?” mi chiese scocciata per l'intrusione.
Quei discorsi erano tutte sciocchezze vero? Tu sai benissimo perché ti è stato assegnato il compito di starmi vicino. Tu non devi badare a me, ma a quello che faccio”.
Lei rimase sbalordita. Per una manciata di secondi non si mosse, paralizzata.
Finalmente si decise a rispondermi portandosi una mano tra i capelli. “Ham, io ho un compito: proteggerti. Non so davvero perché il Grande Padre mi abbia dato questa missione, ma io voglio portarla a termine”.
Perché non hai lasciato finire Kinsis?”
Lei sembrò contrariata. “Alla fine ci è riuscita, ce l'ha fatta a suscitare in te qualche domanda priva di logica. Lascia stare, Ham, ho solo evitato che stuzzicasse la tua curiosità oltre. È una bugiarda, fidati di me”.
Mi accontentai di quello. Probabilmente ci ero cascato come un pesce dentro la rete. Era una trappola per far vacillare le mie sicurezze.
Nelunis doveva tornare al Palazzo a dare la notizia del rifiuto di Kinsis, tornando per la successiva ricerca.
La sera precedente chiesi consiglio a Niel; lui aveva già finito il libro e mi stava tormentando con domande assurde. Non mi aspettavo una risposta, ma speravo di tenerlo occupato a lungo. Volli adattare la cosa a lui e a ciò che poteva e doveva sapere.
Niel, ascoltami” lo chiamai attirando la sua attenzione. “Immagina una terra brulla”. Lui annuì. “Ora immagina il primo uomo e immagina la prima casa. L'uomo trova la casa e vi entra; la abita e vive tranquillamente. Pensi sia possibile che qualcun altro prima di lui abbia abitato in quella casa?
Lui ci pensò un attimo e pensai di essermi liberato di quella cantilena, decise però di rispondere. Sembrava aver capito la soluzione e mi stupì.
È un indovinello?”
Sì. Tu pensaci e non parlare finché non troverai la risposta”. Che idea malsana che avevo avuto, pensai, fare una domanda del genere a un bambino. Almeno riuscivo a respirare un po' di pace.

Sì, che ci credo” esclamò dopo un quarto d'ora buono dalla domanda. Era rimasto concentrato per tutto il tempo. Io mi ero steso nel frattempo sul mio lato di letto, cercando di dormire.
Credi cosa?”
Che ci sia stato un altro uomo prima di lui”.
Improvvisamente mi ricordai quel quesito. “Davvero? E perché mai?”
Lui acquistò un'espressione soddisfatta e io gli diedi una pacca sulla spalla per premiarlo. Naturalmente immaginavo che dicesse chissà quale assurdità, ma rimasi in silenzio ad ascoltare. Ma mentre sentivo le sue parole anch'io capii la risposta.
Tu hai detto che l'uomo ha trovato la casa... dunque è logico che ci sia stato qualcuno prima di lui”.
Sgranai gli occhi: ora era chiaro.
Quindi quella casa la deve aver costruita qualcuno, che è venuto prima dell'uomo”.
Lui sorrise sornione vedendo il mio stupore. Fraintese, intuendo che ero così sconvolto poiché non mi aspettavo che lui riuscisse a risolvere l'enigma, la realtà era ben altra. “Hai ragione” commentai.
Arruffai i suoi capelli con affetto.
La mia mente si era ormai fissata sulla nuova domanda. Questa aveva preso il sopravvento sulle altre annientandole.
Dentro la mia testa suonava ormai chiara e di fondamentale importanza. Lo avevo sempre dato per scontato rimanendo attaccato alle parole di quei testi. Fossilizzato sulle definizioni e gli atti descritti.
Ma chi aveva scritto quei libri? Chi aveva documentato tutto ciò?
Caos.

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Capitolo 16
*** Il figlio che supera gli altri ***


Capitolo 16 – Il figlio che supera gli altri

Rimasi in silenzio a lungo, mentre rapidi attraversavamo le pianure verso le foreste a sud.
Niel aveva capito perfettamente il mio stato, pur non comprendendone il motivo, ed evitava di parlarmi; Nelunis sembrava interessata solo alla missione.
In una sola giornata andò e tornò dal Palazzo riferendomi che il nostro prossimo obiettivo era la coppia degli innamorati.
L'amore e la morte erano cose sconosciute alla maggioranza degli dei. Così presi dalla loro esistenza e dai loro lavori non trovavamo mai il tempo di instaurare un sentimento così importante, allo stesso modo nessuno riusciva a ucciderli. La vecchiaia era una cosa che avevo visto solo negli uomini, mentre non c'era stata arma capace di eliminare una divinità.
In questo caso c'era un'eccezione: una grande eccezione.
Gli innamorati erano Gribio e Diena. La loro natura così opposta era stata quella che li aveva uniti.
Gribio era un dio minore e i suoi poteri riguardavano principalmente il 'grasso' inteso come l'accumulo di chili in eccesso nelle persone oziose. Diena era invece colei che manipolava le malattie relative al cibo e soprattutto i disturbi alimentari come l'anoressia.
Uno trasformava in palloncini e l'altra li bucava facendoli sgonfiare. Un duo bizzarro.
Si sapeva precisamente dove si trovassero. La loro dimora era nella Foresta Bianca antica dimora degli elfi.
In quella foresta stava anche la città di Arakartya, descritta come un insieme di maestose strutture ricoperte di edera e di altre piante, ma gli dei amavano amoreggiare in una zona più distante, vicino al letto del fiume Ara che attraversava la regione.
Il mio silenzio era dovuto al turbamento e alla ricerca. Mentre cavalcavamo, infatti, io collegavo parzialmente la mia testa all'osservatore cercando qualche informazione utile su un precedente archivista. Nessuna risposta.
Cosa la turba?” domandò Niel nel pomeriggio del terzo giorno.
Io scossi il capo, tornando a quella realtà. “Nulla, goditi il paesaggio” la mia risposta non fu convincente ma obbedì. I suoi occhi scivolarono sulla valle brulla andandosi a fissare sui monti all'orizzonte.
La catena montuosa svicolava alla nostra sinistra mostrando cime sempre più grandi.
Quella è Quera?” domandò.
Io sorrisi compiaciuto delle lezioni apprese da quel libro. “Bravo”. Arruffai i suoi capelli.
Ormai lo facevo sempre per stimolarlo e premiarlo del suo comportamento. Era una macchina assetata di conoscenza che continuava a stupirmi.
Ha mai visto la città?”.
Aveva esitato a lungo, indeciso, ma infine me lo aveva chiesto. La sua domanda poteva sembrare generica: quale città? Io però capii all'istante. Querashotire, letteralmente 'il cuore di Quera'. Era un luogo leggendario. Nessuno l'aveva mai realmente vista e chi affermava di averla scoperta poi non aveva delle prove per dimostrarlo.
Eppure mi aveva sempre affascinato. Avevo sempre sognato di cercarla, senza mai provarci.
I testi la descrivevano come una città sotterranea bellissima. Le pareti erano murate di bianco e decorate con disegni e racconti incisi; le sale colme di tesori e stendardi e le biblioteche piene di testi segreti e ormai perduti. Molti libri, provenienti dai più disparati paesi, la descrivevano minuziosamente trovandosi concordi sui particolari. Era questo che la rendeva magica: la testimonianza delle genti più disparate che la conoscevano tutte nel medesimo modo.
I manoscritti erano di origini e periodi differenti e mi ero sempre chiesto come era possibile questa coincidenza.
Querashotire diramava i suoi corridoi, sale e scalinare, sotto quattro mondi: il Re, che da il nome alla catena; il Guardiano; il Protettore; e il Custode. Ovviamente non c'era nessun monte con quei nomi nella catena e quindi le ricerche si erano complicate. La città era strutturata su quattro piani, in alcuni testi perfino sei, che giungevano fino alle profondità più nascoste.
Nascondeva segreti e conoscenze di ogni dove, possedendo anche molti tesori antichi. Possedeva anche due particolari attrattive. La prima era la Tomba degli Eroi, descritta come un pozzo senza fondo al centro della città. L'altra era la Torre, la leggendaria struttura che usciva dal fianco del Re e toccava altezze impensabili; alcuni azzardano a raccontare che dalla cima si potesse vedere tutto il continente e che ci volessero mesi per raggiungerla.
Un luogo particolare e carico di leggende che la vedevano da protagonista.
No, non esiste nessuna città”.
Lui soffiò contrariato. La mia risposta lo aveva deluso. “Io la troverò! Voglio cercarla!”.
Mi fece segno di cambiare rotta, dirigendosi verso i monti.
Smettila, Niel, abbiamo un'altra missione adesso”.
Si zittì sbuffando insofferente.
Passarono solo pochi minuti prima di un'altra domanda, la quale mi spiazzò completamente. Ultimamente molte cose riuscivano a farlo, come se la mia mente fosse disabituata alle notizie, anche improvvise che avevo sopportato per decenni.
Signor Georg”
Sì?”
Lei è una divinità per caso?”.
Strabuzzai gli occhi.
Cosa te lo fa pensare?”.
Lui scosse il capo, vergognandosi moltissimo per quel quesito. “Nulla, lasci perdere era una sciocchezza”. Non era però intenzionato a fare silenzio. “Qualche giorno fa mi ha detto che i demoni odiano gli dei”, sì eravamo entrati nell'argomento per puro caso. “È difficile da dire... ma...”.
Non avere paura, Niel”.
Ecco: io non vorrei offenderla ne attirare le sue ire con ciò che sto per dire”.
Sciocco, mi sono mai arrabbiato con te?” mi lasciai sfuggire una risata.
Lui sembrò tranquillizzarsi e sciogliersi un poco. “Insomma, quella cosa che è dentro di me... sì, ha capito, no? Vede: quello mi dice di odiarla”.
Come?” ero sorpreso da questa affermazione. Il seme trasmetteva emozioni al ragazzo in maniera così chiara? Non lo credevo possibile.
Io non la odio, signore. Io le sono infinitamente grato per quello che ha fatto, ma quella cosa non la pensa come me. Mi dice chiaramente che devo odiarla. Poiché le ho sentito dire che è qualcosa di demoniaco ho pensato che lei doveva avere qualcosa di divino per attirare a sé questo sentimento così forte. Tutto qui”.
Tutto qui?” esclamai continuando a seguire la strada per i boschi.
Lui si strinse al collo dell'animale. “Non volevo farla arrabbiare, mi scusi”.
Dovetti cambiare tono, quello era poco adatto. Non ero arrabbiato, veramente, ero solo colpito da quanta perspicacia avesse compreso quella cosa e con quanta naturalezza il seme trasmettesse sentimenti.
Non lo sono, però dovevi dirmelo fin dall'inizio che il seme ti parlava”.
Avevo paura”.
Di cosa?”.
Che lei si arrabbiasse”.
Sorrisi senza che lui lo vedesse. “Che sciocchezza” dissi con finta durezza.
Fino a quel momento avevo scoperto poche cose riguardo al seme e all'effetto che aveva sul giovane. Una sola cosa ero riuscito a osservare: le sue ferite guarivano molto velocemente.
Aveva giocato con il pugnale di Nelunis, una sera, ferendosi al palmo della mano. Uscì un'infinità di sangue, forse troppo. Fasciammo la ferita ma la mattina dopo si era già rimarginata completamente. I resoconti della battaglia però non avevano tracciato questo potere tra gli adepti e arrivai a pensare che ogni seme reagisse in modo diverso.

Al quinto giorno ci inoltrammo nel bosco. Più avanzavamo più gli alberi creavano un'intricata e fitta rete dove era difficile passare.
Ci eravamo fermati, incrociando una familiare figura sul nostro cammino. Ci aveva guardato stupito e aveva deciso di arrestare il passo. Stava camminando tra i boschi in maniera così tranquilla che ci sembrò quasi un caso.
Ehilà! Cosa ci fate qui?” domandò allegro.
Siamo qui per cercare gli innamorati” risposi in modo serio.
Davvero? Anch'io stavo andando da loro, proseguiamo insieme?”.
Quella figura, vestita con una lunga camicia bianca e dei bermuda del medesimo colore, era Crever, il gemello di Revery. Come lei aveva dei capelli biondo cenere e li aveva tagliati in un caschetto improbabile e impreciso.
Ci sorrise, come se per lui fossimo amici.
Cosa vai a fare da loro?” domandò Nelunis trattenendo il cavallo. Crever emanava un'aura strana, che intimoriva gli animali.
Una proposta, sai: per la guerra. Avevamo una mezza idea di raggruppare i fratelli smarriti e altri mal voluti, per assalire il Palazzo; ma Elian ci ha preceduti” si arrabbiò pensando alla dea. “Fa sempre di testa sua quella, è insopportabile!” tornò tranquillo. Cambiava espressione ed emozioni con la stessa velocità della gemella. “Stavo dicendo? ... ah, ecco: lei ci ha preceduti e noi quindi abbiamo deciso di velocizzare la chiamata alle armi e attaccare la vostra dolce casa prima che si sia ripresa del tutto. Degli uomini, per quanto pompati, non possono minacciare le divinità; ma altri dei sì”.
Una spiegazione logica per una cosa che sospettavo. L'incontro di Manius con Raffaella forse era motivato dalla proposta.
Crever era stato cacciato dopo il tentato omicidio di Revery. Loro due proteggevano l'ingresso, ma lui veniva sempre messo in ombra dalla sorella. La odiava e volle prendersi una rivincita provando a ucciderla in un caldo giorno estivo.
Ovviamente perse, poiché le sue capacità le erano inferiori, e fuggì attirandosi le maledizioni del Grande Padre.
Vedete: noi reietti, non-più-dei, vogliamo un posto che ci spetta di diritto e abbiamo deciso di vendicarci attaccandovi. Chiaro, no?” la schiera dei cacciati era abbastanza lunga da trasformarsi in un pericolo se decidevano di unirsi.
Anzi, già che ci siamo: che ne pensate di unirvi a noi? Insomma quattro braccia in più fanno sempre comodo; potete portare con voi anche il bambino se volete” concluse indicando Niel sorridente.
Quest'ultimo era confuso. Se l'altra volta ero riuscito a distrarlo con altri discorsi questa volta il messaggio gli era arrivato chiaro. Sì, siamo dei.
Nelunis scese da cavallo con un balzo, sfoderando il pugnale.
Non ci uniremo a te”
Vuoi uccidermi?” chiese fingendosi spaventato.
Ovvio. Saputo questo non posso certo lasciare in vita un attentatore al Palazzo” esclamò gettandosi contro di lui. L'uomo raccolse con estrema calma un ramo da terra e questo si mutò in spada, semplice ma lucente. Con questa respinse ogni assalto senza fatica. La sua destrezza con le armi raggiungeva quasi quello della gemella, superando Nelunis.
Deduco che non volete neppure proseguire con me” disse sbadigliando, dopo aver disarmato la sua nemica.
La dea si riprese da quella sconfitta. Afferrò il pugnale e attaccò nuovamente, questa volta combinando la sua abilità con la lama a lingue infuocate.

Io assistevo a quegli attacchi senza fare nulla. Il rumore del ferro che batteva era fastidioso e preferivo ammirare quel fuoco magico, che non bruciava gli alberi o la terra che colpiva, poiché aveva un unico obiettivo. Colpo dopo colpo lo scontro sembrò farsi sempre più duro.
Lui usava solo la spada, limitandosi a respingere o evitare gli attacchi; lei invece usava tutte le sue tecniche per colpirlo almeno una volta. Tutta fatica sprecata.
Anzi: Crever sembrava riuscire sempre meglio a resistere ai vari assalti, davanti a una dea sempre più disperata per l'umiliazione.
Distratto da quei pensieri non mi accorsi di un pugnale che giungeva verso di me. Crever lo aveva lanciato dopo aver respinto l'ennesimo assalto della sua avversaria. Non era stato scagliato per uccidermi e sfiorò una mia guancia conficcandosi il tronco di un albero alle mie spalle.
Tu non ti unisci a noi?” domandò.
Io scossi il capo sorridendo di riflesso, per rispondere alla sua aria così serena e rilassata. “No, non sono un tipo da combattimento”.
Mentre parlava con me, grazie a una serie di mosse, era riuscito ad atterrare Nelunis, puntandole la lama al suo collo. Guardava me, pensieroso. “Su, dai. Vengo a prenderti allora!”
Mai glielo avrei permesso. Non volevo iniziare uno scontro che neppure la divinità guerriera era riuscita a sostenere e non potevo permettere che Niel diventasse una sua vittima.
Scappa!” gridò lei.
Tirai le redini del cavallo e fuggii. Non me lo sarei fatto ripetere due volte.
Mi si strinse il cuore all'idea di lasciare la ragazza lì, ma lei non se ne curò. L'attimo di distrazione del dio, che si era perso a guardarci corre via, le fu sufficiente per riprendersi e attaccare nuovamente. Crever sembrava però interessato a noi e rispose con poca convinzione a quella raffica di fuoco e ferro, decidendo infine di correrci dietro.
Rispetto al passato era migliorato molto, forse superando la sua gemella.
Mi spaventava e spaventava anche Nelunis. La sua aria spensierata, infantile e sadica lo rendevano ancora più pericoloso.
Il cavallo era troppo lento per lui che riusciva a starci dietro anche mentre evitava gli attacchi. Nelunis cercava di tenere testa all'inseguimento, bloccandogli la strada o assalendolo senza riuscirci.
Ciò che ci salvò fu l'intervento degli innamorati.
Sentii le loro energie avvicinarsi rapidamente e piombarono addosso a Crever con forza. Caddero dalle alte chiome con la stessa rapidità e forza di un peso di due quintali, creando grandi crateri nella terra. Il loro potere era anche questo: quello di cambiare peso ogniqualvolta lo volessero, mantenendo quei fisici snelli e perfetti.
Il nemico evitò per un pelo il loro intervento senza fermare la sua corsa.
Iniziarono entrambi a inseguirlo. Nelunis si fermò esausta, fidandosi di quei due.
Lo raggiunsero e ingaggiarono una lotta furiosa. Neppure loro riuscivano a pareggiare quel Crever ma lo impegnarono abbastanza a lungo da permettermi di andarmene.
La foresta sparì dietro di me: ero tornato nella pianura correndo verso i monti. Vero Quera senza rendermene conto. Mi rendevo solo conto di aver messo in salvo me e il mio compagno. Loro lo avrebbero battuto, pensai.
Il cavallo non era più abbastanza, scivolai via in una nuvola di carta insieme a quel ragazzo, lasciando il destriero solo a galoppare nella valle. Ci alzammo in volo dove nessuno potesse raggiungerci.
Lui ormai aveva smesso di provare a capire quello che stava accadendo attorno a lui.
Signor Georg, allora avevo ragione”.
Chiamami Ham”
Lui deglutì più volte, mentre lo stringevo con forza guidando quella nuvola. “Divino Ham, io avevo indovinato”.
Non volevo trasmettergli quella sensazione di pericolo che avevo provato. Finsi un'espressione rilassata e risposi. “Sì, sei molto sveglio”.
Grazie” mi disse arrossendo.
Io non ero solo un dio, ero Ham, il dio della conoscenza e degli archivi. Il manoscritto che gli avevo donato conteneva anche una sezione per le divinità principali e per qualche motivo figuravo anch'io.
Con mia grande sorpresa e imbarazzo mi ero ritrovato a parlargli di me stesso, fingendomi poco informato riguardo la mia stessa figura. Era stata un'esperienza bizzarra che però lo aveva colpito molto.
Mi aveva detto. “Un dio che può conoscere qualsiasi cosa è il migliore” lo aveva affermato con sicurezza, quella tipica dei bambini e degli adolescenti. Ne era convinto e mi fece molto piacere sentirglielo dire. Avevo iniziato a guardarlo diversamente da quel giorno e lui ora aveva iniziato a guardare diversamente me.
Non parlò ma si lasciò abbracciare. Chiuse gli occhi e provò a dimenticare tutte quelle emozioni e scoperte che lo avevano colpito. Così come io facevo con i problemi. Pensava alla gioia che aveva provato, a ciò che avrebbe voluto chiedermi. Desiderò anche di diventare il mio più fedele assistente, dandosi poi dello stupido per un pensiero tanto azzardato.
Sentire i pensieri di Niel mi aveva distratto, abbastanza da farmi allontanare troppo.
Fermai quella nube scivolando verso il basso senza però toccare terra.
Ci siamo allontanati troppo” dissi rompendo il silenzio. “Tu scenderai qui, io torno indietro. Sei al sicuro tra questi monti, Niel, non muoverti fino al mio ritorno”.
La nuvola compatta di fogli si fermò all'altezza di un dirupo, lasciando la possibilità al ragazzo di scendere.
Mi lanciò un'occhiata spaventata. “Non voglio lasciarvi andare”.
Lo spinsi gentilmente a terra. “Sono un dio dopotutto. Mica posso morire per così poco!”.
Allontanandomi, sul mio cuscino di carta mi raccomandai di nuovo di non muoversi.
Era un dio rinnegato, non poteva certo affrontare quattro nemici contemporaneamente.

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Capitolo 17
*** La furia nelle vene ***


Capitolo 17 – La furia nelle vene

Abbandonai Niel in quella zona deserta, protetto dalle rocce che creavano un riparo sicuro.
Lo avevo lasciato con un Torii, che altro non era che un semplice fiore di carta, ed ero tornato indietro. La suggestione che aveva creato in lui il Torii lo rassicurava abbastanza, e rassicurava anche me.
Scivolai tornando sui miei passi il più rapidamente finché non vidi i tre.
Nelunis non c'era, forse si era fermata per riprendersi, mentre Diena e Gribio lottavano con tutte le loro forze contro Crever.
Erano usciti dal bosco, segno che lui continuava a inseguirmi con buoni risultati. Adesso quella corsa sarebbe finita.
Mi avventai su di lui rendendo lame tutti i fogli che mi avevano fatto volare. Un turbine che cadde su di lui colpendolo in pieno. Per un istante sperai di aver vinto, colpendolo di sorpresa magari. Chi poteva resistere a quell'attacco?
Poi il suo corpo uscì illeso con un balzo e mi ritrovai davanti alla realtà. Ero debole.
I due combinarono un nuovo attacco per colpirlo. Salirono in cielo come se fossero foglie alzate dal vento e caddero con la forza di una meteora. Piombarono al suolo troppo rapidi per essere visti, almeno per me. Crever non sembrava avere questo problema.
Mentre si mangiava le unghie della mano sinistra evitò entrambi i proiettili umani, finendomi davanti. Mi sorrise senza lasciar trasparire nessun emozione astiosa o intento violento.
Ham, alla fine ti ho preso”
Sono venuto io da te” risposi tentando di nascondere la paura.
La sua lama si avvicinò a me, ma dovette ritirarsi per evitare due nuovi attacchi.
Mi state stancando” esclamò. Fino a quel momento aveva continuato a evitare senza reagire, riuscendo senza fatica a resistere a qualsiasi tentativo di offesa, ma ora sembrava intenzionato a mettere fine alla lotta. Evitata l'ennesima tecnica attaccò entrambi con rapidità e scioltezza.
Diena fu ferita da un fendente distratto che le ferì la spalla mentre Gribio fu colpito con un affondo sulla gamba, passandola da parte a parte. Colpì volontariamente non mortali, portati in maniera indifferente ma precisa.
Il dolore fu tale da lasciarli immobili, l'uno vicino all'altro.
Mi guardarono dispiaciuti ma feci capire loro che non dovevano sforzarsi.
Finalmente” sospirò tornando verso di me.
Leccava con gusto il filo della spada, pulendola dal sangue divino.
Sai” iniziò “Si dice che il sangue di un dio sia miracoloso per gli uomini; ma io non ci credo... e sai perché?”
Io scossi il capo indietreggiando appena. Mi terrorizzava quel suo modo così tranquillo e divertito.
Perché allora anche il sangue dei demoni dovrebbe fare qualcosa agli uomini. È così per caso? no. Ecco perché anche questa è una balla”.
Io sospirai. Ora non dovevo più solo perdere tempo, dovevo far tacere la mia curiosità.
Odi così tanto gli dei da paragonarli ai demoni? Anche tu sei un dio, ricordi?”
Lui scoppiò a ridere, come se la mia risposta fosse una battuta di spirito. “Certo che lo ricordo! Lo dico perché è così, mio caro studioso”.
Adesso ero confuso.
I tuoi libri non lo dicono forse? Gli dei e i demoni sono fratelli molto intimi”.
Bestemmie!” esclamò Gribio alle sue spalle in uno scatto d'ira.
Lui si girò appena, ricordandogli cosa era appena successo. “Tu vuoi proprio morire oggi, eh?”
Lascialo stare; parla con me” mi intromisi. “Questa cosa mi incuriosisce”
Lui ridacchiò di nuovo. “Certo: tu sei il curiosone del gruppo. Cosa vuoi sapere di preciso?”
Voglio sapere come fai a dire che siamo imparentati”.
Lui abbassò lo sguardo. “Con cosa credi sia fatto il nostro cuore?”
Silenzio. Proprio quei battiti che ora sentivo chiaramente avevano qualcosa di demoniaco? No, no! Erano solo bestemmie di un reietto.
Poi un boato: dal bosco uscì un dragone fatto di solo fuoco che andò ad abbattersi come una freccia su Crever, cogliendolo si sorpresa. Sentii le fiamme davanti a me, che mi accarezzavano lasciandomi addosso un piacevole calore privo di aggressività. Vidi il corpo del dio sparire dentro quel fuoco per poi riapparire alla fine: nudo.
Il fuoco aveva distrutto le sue vesti, ma per qualche ragione il corpo era intatto. La pelle liscia e candida, i muscoli ben delineati, il sorriso eccitato. Crever era vivo e minimamente colpito da quella magia. Chi l'aveva scagliata, invece, era molto provata. Nelunis si affacciò tra la boscaglia, cadendo al suolo priva di ulteriori energie.
Ops. Sono nudo” commentò. “Non è molto carino, no? Penso che andrò a cercare dei vestiti per coprirmi, voi aspettatemi mi raccomando”. Come se tutto quello fosse un siparietto comico, si allontanò di corsa. “La prossima volta devo portarmi un ricambio, non posso interrompere un gioco per una sciocchezza così!”
Lo vidi chiamare a sé il cavallo, montarci con un salto e sparire dentro la boscaglia. Forse lo intuiva chiaramente, o forse ci credeva davvero interessati al suo gioco: in ogni modo noi non eravamo molto d'accordo con la sua idea. Dovevamo scappare.
Diena era riuscita ad alzarsi, assicurandomi che la sua ferita non era così grave.
Dissi loro di aspettare, almeno un po' e riprendersi. Io avevo un'altra questione da risolvere.

Dove sei?” esclamai preoccupato.
Era calata ormai la sera.
Scesi il più velocemente possibile, attraversando le nubi e la coltre di tenebre che circondava la catena ma al mio arrivo non ritrovai più nessuno. Niel era scomparso.
La cosa che mi preoccupava era l'aura oscura che permeava la zona, come una traccia. Se fosse stato un demone, Niel, sarebbe stato senz'altro ucciso. Non potevo neppure pensarlo.
Mi convinsi che il ragazzino era vivo, essendosi ben nascosto. L'idea che i demoni sentono l'odore di carne umana anche da chilometri la misi da parte, convincendomi fosse un'esagerazione. Volevo poter stare tranquillo immaginandomi quel ragazzino nascosto da qualche parte, pronto a saltare fuori al mio richiamo.
Non fu così.
Apparve invece la sagoma ben chiara di un mostro, uno di quelli antropomorfi e ingannevoli. Aveva il corpo fatto di tendini e muscoli scoperti, colorati di scuro e ben sviluppati. La testa possedeva due orecchie grandi come quelle dei pipistrelli, mentre gli occhi erano inesistenti.
Conoscevo quel tipo di creatura: era un demone cieco della notte, una bestia che si nutre di carcasse e prede facili. L'immagine di un giovane corpo straziate apparve nelle mia mente con forza, impegnandosi per non sparire.
La bocca del mostro, ripiena di canini puntuti, era incorniciata da un alone di sangue. Anche le zampe artigliate erano macchiate di quel liquido cremisi ormai secco.
Deglutii. Non potevo crederci. L'avevo lasciato lì, da solo, in una zona pullulante di belve. Ero stato uno stupido.
Era rimasto ad aspettarmi sicuro della mia riuscita, speranzoso anche quando quella creatura affondava i denti nella sua pelle e dilaniava le sue carni. Credeva in me, mentre io non c'ero.
Ero un fallimento anche come protettore.
Notai appena il braccio mancante alla belva, forse perduto durante uno scontro con i suoi simili per qualche cadavere, e gli trafissi la testa con alcune lame. Troppe lame, un numero esagerato per una creatura così debole.
Poi la sua voce mi raggiunse. La mia preoccupazione svanì, era salvo e io potevo liberarmi di qualsiasi senso di colpa.
Inizialmente non capii da dove provenisse la voce: era vicina, terribilmente vicina a me, ma di lui nessuna traccia. Infine apparve, facendo capolino da una cavità tra le rocce abbastanza grande da contenerlo ma troppo piccola per quei mostri. Sorrisi avvicinandomi a lui.
Divino Ham, è successa una cosa stranissima!” esclamò. Io lo ignorai, ciò che mi balzò all'occhio erano le ferite che ne ricoprivano il corpo. Il suo corpo era ricoperto da macchie rosse e lacerazioni rimarginate in modo innaturale. Era tutto così strano.
Quei mostri mi hanno attaccato” continuò indicando il corpo della belva che avevo ucciso. Il corpo di quel demone si stava sciogliendo in una nuvola porpora lasciando solo la gemma a terra.
Senti dolore da qualche parte?” domandai iniziando a toccare quei punti doveva aveva subito gli artigli e le zanne dei nemici. Sentiva dolore e strizzava gli occhi al contatto, eppure tutte erano perfettamente cicatrizzate.
No, divino Ham. Il sangue...”
Sì, sei sporco di sangue ma non preoccuparti prenderemo dei vestiti nuovi” lo rassicurai.
No” rispose con un filo di voce. “Il sangue è impazzito”.
Mi ero abbassato per controllare le ferite sulle gambe, in particolar modo un taglio verticale molto lungo che divideva in due metà perfette il polpaccio sinistro. Senza rendermene conto mi ero inginocchiato a un mortale, ma poco mi importava.
Alzai lo sguardo verso di lui. “Cosa dici?” domandai incredulo.
Mi avevano attaccato e io non potevo fare nulla. Mi facevano male” spiegò toccandosi varie cicatrici. Gli occhi di Niel si fecero lucidi e decisi di rialzarmi per ascoltare attentamente la sua storia. “Poi si sono allontanati di poco ma io continuavo a perdere sangue, tantissimo”.
Guardandomi attorno potevo vedere il segno che aveva lasciato sul terreno. Era una macchia enorme, molto più grande di quanto si potesse immaginare.
C'era qualcosa di strano in quel ragazzo e nel modo con cui reagiva alle ferite, lo avevo notato tempo addietro, ma quella quantità di sangue era maggiore a tutto quello che avevo in corpo.
Sembrava che quattro vitelli, o forse cinque, fossero stati dissanguati sopra quelle rocce per tingere la terra.
Dopo cosa è successo?” domandai.
Lui mi lanciò un'occhiata confusa. “Poi il sangue è impazzito. Si è mosso e li ha uccisi”.
Non poteva essere vero. “Il tuo sangue ha fatto tutto da solo?”
Sì”.
Non ci impiegai molto a capire di chi fosse il merito o colpa di ciò. Dopotutto lui aveva il cuore di un demone impiantato nell'anima.

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Capitolo 18
*** Viaggi ***


Capitolo 18 – Viaggi

Ero in un luogo che non conoscevo.
Respiravo un'aria fresca, frizzante,  ma mi trovavo al chiuso, centinaia di metri sottoterra.
Mi trovavo in una stanza di pietra, le cui pareti erano decorate da infiniti disegni che narravano diverse storie.
Il mio corpo era seduto su una panca di pietra attaccata alla parete liscia.
Mi guardavo intorno aspettando qualcosa.
Avevo voglia di alzarmi ma sapevo che facendolo avrei rovinato tutto. Volevo esplorare quel luogo, incuriosito dalle colonne e i corridoi che proseguivano in varie direzioni. Vicino a me c'era anche una scalinata molto larga e ripida che conduceva chissà dove.
Poi apparve, accanto a me, la figura di una donna alta ma troppo magra. Giovane il cui volto era però segnato da rughe profonde. Si passò una mano tra i corti capelli castani e arruffati prima di parlare.
“Come mai ti ostini a portarti a presso quel bambino? Lo esponi ai pericoli, Ham”. Riconobbi quella voce, la ricordai. Erano passati pochi giorni da quando l'avevo sentita l'ultima volta.
“Kinsis... dove siamo?”
“Nella tua testa, o forse nel tuo spirito. Non saprei: siamo dentro di te da qualche parte”.
Le emozioni erano lontane, lo stupore non fu chiaro e distinto ma sfuocato.
“Come?”
“Siamo dentro di te, Ham. Ti chiedo ospitalità per un po', non voglio rubarti troppo tempo e attenzioni”.
“Non capisco”.
“Io non vivo più da nessuna parte, Ham. Il mio corpo si è consumato molto tempo fa. Eppure il mio spirito, quello che permeava nelle marionette, ha continuavo a vivere aspettando il tuo arrivo”.
“Come mai sei morta?”
“Avevo perso la voglia di resistere. Ero delusa e confusa e mi isolai in un luogo fin troppo triste” mi spiegò allargando le braccia, come a significare che quello era il luogo nel quale si era rinchiusa. “Poi lentamente mi sono svuotata di tutto, finché non ho smesso di esistere come corpo. Ora vivo dentro tutti quei burattini, ma non per molto”.
“Perché?”
“Le marionette sono fragili e perdono l'energia con il passare del tempo. Ovviamente in questi anni o fatto in modo che le marionette creassero altre marionette e tramite dei rituali o rinvigorito l'energia al loro interno, ma è solo un temporeggiare. Il regno dell'ovest mi ha ospitato con piacere. Io davo loro delle informazioni sui demoni e i semi, così che potessero fare quegli esperimenti, e loro davano a me ospitalità e riservatezza”.
“Tu hai incitato quegli esperimenti?”
“Non più di tanto. Capiscimi, Ham, avevo bisogno di un luogo dove aspettare e ciò che io potevo dire loro erano le basi e delle sciocchezze del tutto inutili. Adesso però posso dire di aver risolto molti dei miei problemi. Ci sei tu”.
Alzai lo sguardo al soffitto, grigio e uniforme. “Continuo a non capire. Chi era il mio predecessore?”
Lei sorrise, forse era divertita poiché non l'avevo capito. “Era Ham, un Ham poco diverso da te. È nato insieme a tutti gli altri ma è morto. Non è l'unico, sai? Molti dei sono morti”.
Ero consapevole che alcune divinità erano state uccise dai fratelli o da altri eventi. Ma nessun tomo parlava di un precedente archivista. Io ero l'unico fino a quel giorno.
“Morto?”
“Sì. Appena morto il Grande Padre ne ha creato un altro. Uguale a lui, con la stessa voce e la stessa indole. Però....”.
“Che cosa?” mi voltai verso di lei. Sembrava triste.
“Però non è una copia perfetta. Il Padre voleva fare in modo che nessuno si accorgesse della differente, che nessuno ne scoprisse la morte, e così fu. Ma lui non era riuscito a creare di nuovo Ham: aveva fatto un nuovo Ham. Tu sei leggermente diverso dal precedente”.
Presi a fissarla con tono interrogativo. La curiosità non trasparì molto. “In cosa precisamente siamo diversi?”.
Lei mi lanciò un sorriso, come se potesse equilibrare le sue parole. “Lui era molto più bello e tu sei incredibilmente stupido”.
Sgranai gli occhi e socchiusi la bocca per lo stupore. Aveva veramente detto una cosa del genere? Ero veramente offeso e in contemporanea sorpreso.
“Non fraintendermi” mi consolò distogliendo lo sguardo dal mio volto. “Sei una persona molto studiosa, ma non hai l'acume dell'originale”.
Perfetto, mi dissi. Avevo scoperto non solo di essere un sostituto ma perfino un cattivo esemplare. Non sapevo più cosa chiedere confuso da quei pensieri. Lei era sicuramente propensa a parlarmi di qualsiasi cosa, risolvendo le mie curiosità, ma in quel momento non riuscivo ad articolare verbo.
Per questo motivo mi afferrò una mano, dopo aver accarezzato il mio braccio partendo dalla spalla.
“Ham... devi sopravvivere a questa guerra”.
Io le lanciai un'occhiata distratta. “Non sei la prima che me lo dice”.
Lei sospirò. Mi sarebbe piaciuto vederla curiosa per una volta, sentirle chiede “Chi altro te lo ha detto?” ma invece rimase a lungo in silenzio, annuendo con la testa. Possedeva un quiete innaturale, forse acquisita con gli anni o con la fine.
Mi feci coraggio, sconfiggendo il turbamento iniziale. Alla fine in quel luogo sembrava molto facile liberarsi delle emozioni indesiderate. “Di cosa è morto Ham?”
Lei si fece seria. “Si è eclissato, forse, in una scenica esplosione di luce. Non ha resistito al suo stesso potere o si è completato. Non ne so molto; non ero con lui. Sono consapevole della sua morte perché le nostre anime erano collegate. Lo percepii perfettamente, il corpo che scompariva annientato dalla sua stessa energia”. Erano amanti, lo capii, ma non commentai questa cosa.
Mi guardò come se si aspettasse una qualche reazione. Io rimasi imbambolato a immaginare la scena.
Riprese la parola, destandomi da quel sogno.
“Sai, Ham, lui era riuscito a scoprire ciò che di più segreto c'è a questo mondo: il Servallo”.
Si chiuse una porta da qualche parte; ne sentii il tonfo sordo.
Il Servallo, la creatura perfetta nata da un'unione peccaminosa. Conosceva tutte le risposte, tutte le verità e qualche leggenda dice che conoscesse anche il futuro. Se il precedente me era riuscito a scoprire una cosa che persino il Grande Padre reputa un mistero sicuramente era una divinità molto abile. Improvvisamente compresi il perché della sua fine. Se è vero che la mia, e quindi anche la sua, energia deriva dalle informazioni acquisite: allora la scoperta di tutto l'immaginabile e non solo porterebbe un sovraccarico insopportabile anche per il corpo di un dio.
Poi mi svegliai.

Ero steso nel mio letto, con le lenzuola pulite e ancora fresche.
Il sole si era alzato da poco.
Quel sogno mi aveva lasciato turbato, ma tutte le cose successe negli ultimi tempi mi avevano preparato a qualsiasi imprevisto.
Erano passati due giorni dall'attacco di Crever e quello stesso pomeriggio il Grande Padre ci avrebbe parlato. Era un riunione del tutto speciale.
Nelunis si era ripresa alla svelta e le ferite dei due innamorati erano solo delle ferite rimarginate pronte a sparire. Revery continuava a vivere in quello stato comatoso, priva ormai del suo spirito.
Avevo portato Niel da Nima, affinché se ne curasse durante la mia assenza. Era diventato troppo importante per lasciarlo andare. Dovevo studiare il suo sangue, così speciale, poiché forse mi avrebbe aiutato a curare Valanz o a risvegliare l'essenza della guardiana.
Avevo accennato alla sacerdotessa della sua natura e mi ero premurato affinché fosse trattato con cura e fosse iniziato alla teoria della magia, poiché speravo che ci fosse utile per renderlo cosciente dei suoi poteri e magari in grado di controllarli.
Scesi dal letto e mi preparai con calma. Avevo molte cose che mi passavano per la testa ma ormai ero riuscito a dare a ciascuna il proprio ordine. Lo stato di Revery, la disperazione di Valanz, il seme di Niel, la guerra contro i reietti, la fuga di Elian e il mio predecessore.
Avevo già programmato i miei giorni dopo la riunione. Sarei stato con Niel a studiarne il sangue, chiedendo aiuto anche a Miun. Poi avrei cercato di ritrovare Kinsis dentro di me. Anzi, dovevo incontrare l'unica divinità in grado di aiutarmi.
Uscii dalle mie stanze con fare tranquillo e incrociai subito Katyana.
Teneva in mano un pacco di stoffa bianca contenente una crostata. Mi sorrise gioiosa.
“Ham, dove vai?” mi domandò.
“Da nessuna parte; pensavo di prendere una boccata d'aria”. Risposi. L'aria si era fatta leggera e familiare. Il Palazzo mi trasmetteva sempre questa strana sensazione.
I raggi del sole che filtravano dalle vetrate del corridoio creavano un gioco di luci e ombre veramente fantastico. Mi persi nel guardarlo.
“Perfetto. Allora andiamo e gustiamoci questa delizia! Devi raccontarmi tutto del tuo viaggio”.
Mi afferrò sottobraccio e mi guidò verso l'uscita. Non era intenzionata a stare nei giardini laterali ma desiderava lo spiazzo all'ingresso.

Ci sedemmo intorno a un tavolo trasparente, all'apparenza di ghiaccio, sul quale lei posò quel dolce.
Mentre apriva la confezione iniziò a fare le sue domande: “Allora? Com'è andata?”
Io lanciai uno sguardo verso il basso, sperando di scorgere Maonis o Lorissy, inutilmente.
“Kinsis è fuggita e Crever ci ha attaccati. È diventato molto forte”.
Pensavo a tutt'altro, rispondendo il minimo necessario.
“Davvero? E dove l'avete incontrato?”
“Nel Bosco Bianco”
I libri dell'archivio li aveva scritti tutti l'originale Ham. Aveva fatto un ottimo lavoro.
“E dimmi: Nelunis ha farfugliato qualcosa riguardo a un ragazzino...”.
Ma non capivo perché non mi avesse scritto qualcosa riguardo al Servallo. Senza dimenticare che il Grande Padre mi ha detto che forse anche Elian si è avvicinata a lui. I suoi servitori, insieme alle divinità alleate di Raffaella, sembrano saperne molto più di me.
Non è che hai abbordato un bambino per qualche gioco perverso?” continuò lei iniziando ad affettare quella crostata di more. Il coltello affondava nella marmellata distraendomi appena.
Forse, mi ritrovai a pensare, il vecchio Ham non voleva che altri seguissero le sue orme. Non poteva però essere geloso della sua scoperta, io non lo sarei stato, e neppure poteva aver nascosto le informazioni, poiché era morto prima di riuscirci.
Dunque c'erano due possibilità: o non aveva scritto nulla; o qualcuno si era premurato di far sparire il materiale.
“Ham, mi stai ascoltando?” domandò Katyana facendomi tornare alla realtà.
Soffiava una fredda brezza che preannunciava l'inverno. Forse la ragazza aveva parlato al lungo mentre io ragionavo.
“C'è qualcosa che ti turba?”
Forse era giusto confessare del vecchio Ham e di Kinsis.
“Ohi, sei ancora tra noi?” sospirò ironica muovendo una mano davanti ai miei occhi.
O forse non era la persona giusta.
Ci pensai ancora, facendole perdere tempo. Inizialmente divertita si fece seria mentre attendeva una mia reazione. Si concentrò sul mio volto impassibile e dallo sguardo vuoto.
Finalmente mi decisi.
“Katyana” iniziai facendole comparire una strana smorfia sul volto, mentre finalmente mi porgeva una fetta di dolce. “Sono successe molte più cose di quante immagini. Forse è meglio se ti metti comoda e mi ascolti....”.
Lei sarebbe stata solo una spalla. Non poteva avere colpe, pensai.
Non era informata della mia morte e rinascita e non avrebbe mai fatto nulla di sbagliato nei miei confronti.

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Capitolo 19
*** Il margine della sicurezza ***


Capitolo 19 – Il margine della sicurezza

Eravamo tutti seduti attorno a un grande tavolo circolare, posto nella più grande sala del Palazzo. Al centro del tavolo si trovava una gemma azzurra e luminosa.
Non possiamo che chiamarla Guerra” sospirò la voce del Grande Padre a tutti noi.
C'erano molte più divinità di quante ne immaginassi. Intorno alla tavola di pietra riconobbi divinità di cui non ricordavo l'esistenza.
C'erano tutti, perfino Lorissy in vece di Revery e il Jester. Era un'occasione rara e preziosa. Una famiglia riunita.
Sakroi trattenne la sua ira durante il discorso, nel quale intimava di stanare Elian e ucciderla. Secondo lei la distruzione di questa dea sarebbe stata un deterrente abbastanza forte per gli altri nemici, intimoriti forse, che ci avrebbe dato il tempo di prepararci a un'offensiva migliore.
Non tutti erano d'accordo e alcuni lo erano solo in parte.
Io non ritenevo Sakroi una divinità amica, ma lei non mi aveva mai mancato di rispetto. I nostri incontri erano stati pochi e molto formali, durante i quali era rimasta fredda e diretta nel riferirmi ordini superiori o nel farmi delle richieste di ricerca. Lei era una tipa all'antica anche per noi divinità: impassibile, ferma nelle sue posizioni, seria; ma con un temperamento poco paziente e irritabile con facilità.
Il Grande Padre interruppe quelle discussioni con un ordine secco. “Vorrei dare la parola a Hamuhamu, affinché ci esponga i risultati della sua ricerca”.
Tutti i presenti si voltarono verso di me, attendendo. Improvvisamente mi sentii in soggezione e esitai a parlare. Durante quei due giorni il Grande Padre mi aveva convocato più volte chiedendomi varie cose, soprattutto ricerche nell'archivio, e avevo lavorato duramente per assecondarle tutte.
Come per supportarmi, la pietra si illuminò e concluse: “Parla, Hamuhamu, dicci cosa sai di Elian e i suoi figli”.
Io deglutii prima di parlare, tentando di sostenere il peso di tutti quegli occhi.
Coloro che hanno assalito il palazzo sono dei maghi umani che hanno ricevuto la benedizione della dea e un seme demoniaco. Elian ha sperimentato a lungo il metodo di unione di spirito e cuore di demone riuscendo alla fine a creare entità nuove e potenti, capaci di pareggiare alcune forze divine”. Al suono di queste parole Sakroi intervenne.
Bestemmie! Nessun uomo può pareggiare le forze divine!”. Calò il silenzio.
Non sapevo davvero cosa rispondere e neppure se fosse stato meglio farlo o tacere. Fu Manius però a parlare risolvendo la situazione.
Sei forse cieca, Sakroi? L'assedio ne è stato una prova evidente. Elian si è spinta oltre al limite e ha partorito bestie incredibilmente forti, molti di noi hanno combattuto per difendere il palazzo e hanno saggiato il loro potere”.
L'altra sbuffò. “Eravamo impreparati” sospirò, aggiungendo quasi con tono meschino “...ma solo le divinità inferiori potevano avere dei problemi contro esseri del genere”.
Come se tu ne sapessi qualcosa! Sei rimasta in disparte per tutta la durata della lotta!”
La situazione iniziava a farsi pericolosa. Alla mia destra sedeva Katyana, che continuava a lanciarmi occhiate rassicuranti con le quali provava a calmarmi e alla sinistra stava Lorissy, nuovo da un'esperienza del genere.
Era molto più preoccupato di me e per questo motivo gli afferrai per un attimo la mano, tenuta penzoloni sotto il tavolo, e gli sorrisi. Non doveva aver paura di una cosa del genere, né confondersi eccessivamente: ricopriva un ruolo importante.
Smettetela, vi prego!”. Esclamò Arone, di un verde spento, quasi giallo, che lo colorava da capo a piedi. “Non siamo qui per bisticciare. Sarei invece contento di ascoltare cos'altro Ham ha da dirci, non vorreste anche voi?”.
Le due si zittirono nel medesimo momento, rivolgendomi un'occhiata. Manius mi ammiccò, come per assicurarmi la sua protezione da altre interruzioni, Sakroi cercava invano di placare la sua rabbia.
Ho calcolato e osservato che l'esercito a disposizione di Elian è stato completamente azzerato, eccezion fatta per un unico uomo che è rimasto al suo fianco. Non sono riuscito a rintracciarle, mi dispiace, né ha trovare le loro tracce ma ho comunque scoperto che il Regno dell'Ovest conduce in segreto esperimenti del medesimo tipo, contrari al rispetto divino. È probabile che Elian sia andata in quelle terre per cercare alleanza e aiuto”.
Era Kinsis che appoggiava quel regno, non Elian. Il Regno ha già una dea che lo protegge non ne vuole un'altra e la traditrice lo sa”. Sbottò Sakroi rimanendo immobile, con il volto rivolto verso di me, anche se non poteva vedermi.
Kinsis è morta” risposi immediatamente, scatenando una serie di reazioni sconvolte o stupite.
Come fai a dirlo? Per quello che ne so avete solo trovato una sua copia!” continuò la dea.
Soffiai appena un attimo prima di rispondere, pensando che ci trovasse qualche perverso piacere nel contraddire gli altri. “Quella marionetta era il contenitore dell'energia della dea: il corpo e lo spirito della stessa sono spariti tempo fa”.
Sakroi si lasciò sfuggire una smorfia, che attirò la mia attenzione. Si morse il labbro senza eccessiva forza, come se lo sapesse già da tempo o come se un suo sospetto fosse stato dimostrato come realtà.
Quali prove hai, Ham, per dimostrarlo?”
Io... io ne sono sicuro...” non avevo risposte possibili. Non potevo certo dire che si era insediata dentro di me con le sue ultime forze e mi parlava durante la notte. Sarebbe stata una pazzia.
Perché ne sei sicuro?” continuò allungandosi verso di me, che ero all'estremità opposta del tavolo.
Gli sguardi si rivolsero su di me ancora una volta e mio mi guardai attorno perplesso.
Katyana fece cadere una mano sulla mia coscia, stringendo appena per farmi sentire la sua vicinanza e il suo appoggio. Lo stesso fece il mezzo dio, procurandomi però un leggero imbarazzo e dolore.
Manius aveva socchiuso gli occhi e faceva dondolare la testa per sgranchire il collo; Arone mi fissava incuriosito; Chube era serena e mi trasmetteva in qualche modo un senso di pace e protezione che proveniva anche dall'aria rilassata di Krost, che però dimostrava molto interesse per la conversazione. Anche Nelunis mi guardò, accennando a un sorrisetto gentile.
Io però non sapevo cosa dire.
Allora? Non saranno supposizioni, spero! Non siamo qui per fare chiacchiere inutili su pensieri propri privi di fondamento!”
Di tutta risposta intervenne nuovamente la dea delle passioni, con un ordine molto esplicito.
Ma taci una buona volta!”
Sakroi si voltò verso di lei sorpresa da tanta schiettezza. “Come osi?!”
Se Ham dice che ne è sicuro avrà le sue ragioni. Non puoi insinuare il dubbio in tutti noi solo per la tua voglia di polemica e discussione. Io credo in lui e in ciò che dice, siamo tutti costretti a farlo poiché è il Grande Padre stesso che si fida di nostro fratello. Dovresti saperlo, cara Sakroi, non è un tipo che parla a caso, differentemente da altri” le lanciò un'occhiata di sfida. “Studia le sue parole con cura e non affermerebbe nulla se non ne fosse certo, lo pensate tutti credo. Dunque perché attaccarlo in questo modo? Puoi anche dubitare di lui, ma fallo in silenzio, lasciandoci proseguire e giungere a una soluzione”.
Arone intervenne, impedendo alla divinità cieca di ribattere in preda alla furia. “Grande Padre, lei crede a questa affermazione?”
La pietra si illuminò pronta a rispondere. Quel dio era sempre abbastanza diretto e i suoi toni non sempre sembravano adatti alla situazione in cui si trovava. “Hamuhamu, il tuo spirito non ha vacillato, dunque sono certo che tu credi in ciò che hai detto, e io con te”.
Vi ringrazio, Grande padre” risposi chinando la testa per rispetto.
Improvvisamente mi sentii sollevato.
Forse qualcuno dovrebbe andare nel regno dell'Ovest ha scoprire ciò che sta accadendo, però penseremo alla loro punizione più tardi, quando tutto sarà finito. Ora ci sono altri miei figli che gridano vendetta...” continuò.
Raffaella e Crever sono alleati e con loro gli altri reietti... loro sono dei come noi, ma il loro potere è cresciuto molto” aggiunse Nelunis prendendo per la prima volta parola.
Non ho avuto modo di studiarne il sangue” sospirò Miun tenendosi la testa con le mani “ma sospetto che anche loro si siano spinti oltre il confine, mischiando al loro sangue gemme demoniache o anime umane. Ho chiesto a mio fratello Ham di cercare negli archivi altri simili eventi ma non c'è nessun precedente”.
Sarebbe opportuno, allora attaccali adesso prima che sia troppo tardi” esclamò Sakroi, dopo aver stemperato la furia e aver acquisito una certa calma.
Sono però molto potenti. Nelunis, Gribio, Diena e Ham non sono riusciti a fermare Crever, che era da solo” rispose Katyana fissando la gemma azzurra, non volendo incontrare gli occhi di nessuno. “Forse dovremmo trovare un modo per indebolire loro e aumentare il potere nostro”.
Non è mai successo, che un dio incrementasse la sua forza così rapidamente. Non c'è magia capace di farlo, né pozione”. Intervenni tranquillo. “Però esiste il modo per indebolire un dio”.
Miun mi supportò. “Vero: con una zona vuota o un circolo rituale. Potrei anche cercare di distillare una pozione debilitante”.
Impegneresti troppo tempo” la interruppe Manius.
Allora la soluzione è solo una...” sussurrò Sakroi compiaciuta.

Durò altre due interminabili ore. Alla fine la maggioranza dei presenti fu d'accordo con la cattura di Elian, o la sua distruzione, come monito. Nel frattempo non saremmo andati alla ricerca di coloro che complottavano verso il Palazzo punendoli per le loro azioni.
Era una cosa che non accettavo, la trovavo stupida, ma mi adeguai. Il consiglio aveva votato e dovevo rispettare la scelta.
Fermai comunque Miun, mentre si allontanava dalla sala per tornare da Revery.
Ham, cosa succede?” mi domandò vedendomi piuttosto agitato. Non era una cosa facile quella che stavo per dirle.
Io devo chiederti un piacere. È importante”.
Mi sorrise sorpresa dalla richiesta. “Dimmi”.
Ecco... vorrei che tu studiassi il sangue di una persona”.
Sgranò gli occhi. Avevo parlato il più piano possibile anche se eravamo isolati in quel momento. Il sangue di Niel era speciale, un qualcosa di nuovo rispetto ai risultati ottenuti da Elian, lo compresi. Per questo volevo che lo studiasse, forse scoprendo un modo per guarire Valanz.
Ma Ham!”
Ti prego. È una cosa molto importante. Si tratta di un sangue speciale, frutto dell'unione di un seme demoniaco con un uomo”.
Lei si rilassò, scuotendo la testa. “Ho già studiato il sangue frutto di quell'unione, dopo l'assedio”.
No. Questo è diverso” continuai. “Sembra che il seme si sia unito alla perfezione con il corpo”.
Le porsi una fiala di vetro, riempita di un liquido rosso.
Il giorno stesso che avevo ritrovato Niel sulle montagne avevo raccolto quella dose. Il sangue non si era indurito, rimanendo liquido e dando più volte segno di essere vivo, vibrando con molta forza.
Lei prese quell'oggetto guardandolo con circospezione.
Va bene. Ci metterò un giorno”.

Buio, silenzio e odore di chiuso. Forse era una catacomba.
Siamo dentro il mio spirito?” chiesi.
Kinsis annuì. “Sì. Mi sono fatta un po' di spazio nella tua essenza, per il momento”.
Te ne andrai allora?”
Mi consumerò dopo aver terminato l'energia magica con la quale ti ho colpito”.
Mi puoi insegnare come fare?”
Cosa?”
Entrare nello spirito degli esseri”.
Non è una cosa facile... ma ho capito dove vuoi andare a parare. Non sono sicura del risultato”.
Provare non costa nulla”.
Non è così, in questo caso. Se fallisci muori”.
Sospirai.
Possiamo fare una passeggiata?”

Era giunto il pomeriggio.
La giornata era passata molto rapidamente, tra ricerche e resoconti degli ultimi avvenimenti. Ero carico di compiti.
La porta si spalancò ed entrò Miun con una certa agitazione.
Ham!” mi chiamò. Alzai la testa oltre la barricata di tomi rispondendo con forza.
Ho esaminato quel sangue” iniziò. “Non ho riso”. Era arrabbiata, probabilmente.
Non capisco”.
Uno scherzo di pessimo gusto e del tutto fuori luogo!” continuò mantenendo però la calma.
Ma non ti ho fatto nessuno scherzo. Spiegati meglio!”
Quel sangue non è né umano né demoniaco, anzi: non possiede tracce di entrambi”.
Ne sei sicura? Eppure è il sangue di Niel...” volevo convincerla che non stavo scherzando. Perché avrei dovuto?.
Lei sembrò placarsi, credermi. “Non è possibile che sia il sangue di questo 'Niel', forse hai raccolto quello di Nelunis o degli altri credendolo il suo o forse... ”.
Non peso alle sue parole, ero troppo preso dalle mie congetture. “Impossibile! Erano in due luoghi diversi”.
Ma non è sangue umano e neppure demoniaco” iniziò a dimostrare un certo turbamento.
Forse è diventato qualcosa di nuovo: che si distingue da demoni e uomini...” suggerii distratto dai miei pensieri. Non riuscivo davvero a capire la sua preoccupazione. Doveva essere curiosa, di scoprire una nuova creatura: soddisfatta, impaziente di continuare.
Ham!” esclamò attirando nuovamente la mia attenzione. “Quel sangue è Brillante”.
No, pensai subito, la traduzione non rendeva merito all'espressione originale. Nell'antica lingua arcana di diceva Brinia o Dies. Ora però quei due termini, con significati completamente diversi, si erano uniti in una sola parola 'brillante'.
Sussultai e lei capì che ero stato sincero.
Un brivido mi corse lungo la schiena. Non avevo parole.
Brinia: luminoso, che risplende.
Dies: di origine divina.

No, mi dissi, quel sangue non ha mai luccicato.

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Capitolo 20
*** L'ibrido Perfetto ***


Capitolo 20 – L'ibrido perfetto

“Perfetto”.
“Perfetto” mi rispose Kinsis ripetendo il mio tono di finta soddisfazione. Dovevo essere contento di aver capito il segreto del sangue di Niel ed essermi avvicinato alla verità, ma non lo ero. Ero ancora dannatamente confuso perché mi si presentavano delle nuove domande cui non potevo rispondere.
“Quindi Niel è un dio”.
Lui scosse la testa. “No, non lo è. Condividete il sangue, non il titolo...”
“Non capisco”.
“Lo vedo. Tu ora hai fatto un passo in avanti e ti spaventa la strada  che ti si presenta. Vacilla il tuo cuore e indebolisce il corpo e la mente”.
“Com'è possibile questo? Abbiamo il medesimo sangue, capisci? Io, te e Niel siamo fratelli”.
“Tu sei fermo in un punto e ammiri il paesaggio, ma se provassi anche per un solo istante a spostarti, vedresti qualcosa di nuovo”.
“Cosa intendi?”
“Tu non puoi capire finché non abbandonerai alcuni pregiudizi”. Sospiro, intenta a farmi capire. “Niel non è un dio”.
“Allora perché nel suo corpo scorre il sangue di un dio?”
“Ha il tuo stesso sangue, ha il mio stesso sangue, ma non per questo ha il sangue di un dio”.
Non riuscivo a seguire i suoi ragionamenti. Ero stordito e per la prima volta un'emozione trasparì chiara dal mio volto: turbamento. “Lui è l'unione di un demone e un uomo, capisci? La potenza distruttrice, impareggiabile e primordiale di un demone che si fonde con una mente superiore, capace di controllarla. È qualcosa di sbalorditivo e raro, Ham”.
“Sì, ma...”
“Ma tu pensi che sia diventato un dio, e ti chiedi forse se l'origine di tutti gli dei sia da ricollegare a questo: un corpo umano e un cuore demoniaco”.
Aveva capito perfettamente i miei dubbi, benché io stesso cercassi di sopprimere quelle insinuazioni dentro la mia testa. Non c'era logica, non era vero. “Appunto. Io non so cosa rispondermi”. Le dissi.
Le mi sorrise serena. “La risposta è: sì. Noi siamo fatti della stessa materia di entrambi”.
“Com'è possibile?”
“Che domanda sciocca. Chi conosce il segreto può svolgere il rituale alla perfezione e creare qualcosa di superiore, di migliore che possa dominare entrambi”.
Calò il silenzio per lunghi istanti.
“Chi è che ha creato noi?”
“A chi lo stai domandando, Ham?”
La risposta era ovvia: il Grande Padre. Lui ci aveva creati per proteggere il mondo, impedendo al caos di regnare. Ero sorpreso da questa storia, confuso. Ero figlio di due razze che credevo inferiori, eppure potevo manipolare entrambe. Ero un eletto, un risultato perfetto di un'unione peccaminosa.
Il Servallo. L'unione di due razze distinte era diventato l'essere patrono di ogni verità.
Il serpente, simbolo della meschinità, e il cavallo, simboleggiante il valore. Si erano uniti in un unica creatura che compensava i difetti e sommava i pregi di entrambe.
Era tutta una metafora, pensai, che rappresentava noi stesse divinità. Che sciocchezza. Ero quasi deluso da quella soluzione.
“Ma Niel?”
“Niel è un caso, un imprevisto. È l'eccezione che conferma la regola, si dice così se non sbaglio” sospirò “Dopotutto tutti gli esperimenti di Elian e me a cosa servivano? Se non a creare nuovi prototipi di dei?” Non mi fece rispondere, continuando. “Abbiamo entrambe fallito, ma quel ragazzino è la prova che l'esperimento può funzionare, non sarebbe la prima volta”.
“Cosa intendi?”
“Dico che non è il primo né l'ultimo”.
“Chi altro è nato per caso?”
“Che domanda sciocca, Ham. Chi vuoi che sia nato da un caso? L'unico senza creatore”.
Il Grande Padre dunque, era frutto di un esperimento, una coincidenza. Il destino imprevedibile lo aveva creato. “È successo in un tempo troppo lontano per ricordare. Lui poi ha creato noi con i suoi poteri, impareggiabili perfino se paragonati a quelli dei suoi figli”. Allora forse esisteva, quella creatura.  Era il primo dei tanti, il nostro unico Padre.
“Così poteva proteggere uomini e demoni?” commentai meravigliato.
“Stupido, Ham. Ci ha creato per fare quello che ogni cattivo dei racconti vuole: dominare il mondo. Solo che in un modo sottile e mascherato”.
Non sembravano sciocchezze. Era decisa e non percepivo menzogne nelle sue parole o nel suo spirito. Ero comunque costernato.
“Ma tu come sai tutto ciò?” chiesi per far cadere quel castello di informazioni che aveva costruito.
“Me lo disse Ham, prima di morire”.
Rimasi qualche secondo perplesso. Mi chiesi come fosse riuscito a scoprirlo: in quale maniera aveva trovato queste informazioni. Improvvisamente però capii una cosa:
“Com'è morto, in realtà Ham?”
Non era stata la sua energia a distruggerlo, ne ero certo. Era sopravvissuto per raccontarlo e questo era la prova di cui avevo bisogno.
Lei sembrò colpita dalla deduzione. “Ucciso”.
“Il Grande Padre lo ha ucciso?”
Si era avvicinato troppo al sole ed era rimasto bruciato, una triste fine.
“No”.
“Come dici?”.
“È stato ucciso da qualcun altro”.
“Da chi?”
“Non lo so”.
Era davvero questa la verità?
Poi tutto si fece buio. Pensai che quella era stata l'ultima volta.

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Capitolo 21
*** La forza della disperazione ***


Capitolo 21 – La forza della disperazione

La stanza di Miellana sembrava essere stata creata con l'intenzione di ostentare la sua ricchezza.
La donna era stesa su un grande materasso posato al suolo, circondata di cuscini e lenzuola ricamate da rinomati sarti. Lei non era una dea, non lo era mai stata.
Miellana era troppo matura anche per quello.
Era nata con il corpo e il sangue degli dei, ma il suo spirito era di una bassezza e volgarità che offendeva perfino Manius. Lei se ne andò di sua spontanea volontà dal Pantheon, poiché era “Troppo Matura” per stare con degli esseri così infantili, a suo dire.
Io avevo sempre pensato che fosse pazza. Per lei l'unico esempio da seguire, l'unica persona da ascoltare, era se stessa. L'unico essere cosciente e che non peccasse di immaturità.
Ormai nessuno la considerava più, ma lei si era autoproclamata divinità della saggezza, era infatti abbastanza matura per farlo.
Era al centro della stanza, con i suoi lunghi capelli castani sparsi a formare una corona attorno alla testa posata al morbido letto. Percepì Crever, ma non si mosse. Intorno a lei alcuni eletti che inneggiavano alla gloria della padrona, ma con la stessa velocità con la quale arrivavano in quelle stanze se ne andavano cacciati dopo averla contraddetta.
Domani attaccheremo il Palazzo” sospirò.
Lei alzò la testa e lentamente il suo busto assunse una posizione eretta. Tutti si voltarono verso l'intruso. “Somma Miellana” chiamavano in coro.
Perché?” chiese con voce atona.
Perché così abbiamo deciso”.
Io non sono d'accordo” rispose alzando lo sguardo indispettita. “Io sono matura, dovreste ascoltarmi quando vi dico che non è il momento giusto. Vi immaginavo cresciuti e responsabili, invece...”. Lei già lo sapeva.
Era fin dall'inizio che rimandava la data dell'attacco o battibeccava tra le scelte dei gruppo, con scuse sempre più banali, o modi maleducati.
Crever non era però il tipo da assecondare le bizze di una bambina montata. Loro avrebbero attaccato al tramonto dell'indomani, punto. Nessuna discussione.
Facendo perno sul suo tallone sinistro si voltò con una rapida piroetta, pronto a uscire.
Ne abbiamo già discusso. Ci vedremo alla base”. Era sulla soglia di quella stanza sotterranea, nascosta in una torrida capitale dell'est, un altro passo e ne sarebbe uscito.
Allora non verrò. Non combatterò al fianco di persone che non mi ascoltano” sbraito facendo sghignazzare i presenti.
Lei non poté vederlo, ma anche lui rise eccitato. Non aspettava altro.
Quella Miellana non gli era mai stata simpatica.
Lo devo prendere come un tradimento?”
Lei era incredibilmente sicura di sé. Si era sempre atteggiata da grande regina e ormai era convinta della sua superiorità. “Fai come ti pare, l'importante è che sparisci dalla mia vista. Mi disturbi”.
Non un'altra parola ma uno schizzo rosso che tracciò una linea imprecisa sulla parete.
La testa della dea volò; Crever aveva appena perso la pazienza.

Smettila immediatamente!” esclamai colpendolo con un sonoro schiaffo. Se solo lo avesse voluto, però, sarebbe stato capace di appendermi alla parete. Era stato un gesto avventato.
Lorissy rimase immobile, sorpreso, confuso e disperato.
Chiunque poteva leggere sul suo volto la tristezza della perdita di Revery,, eppure non avrei mai immaginato che arrivasse a tanto.
Mi guardò con occhi tristi, prima di calare lo sguardo e toccarsi la guancia appena dolorante.
Voleva fare il rituale, voleva recuperarla.
Hamuhamu, la prego... me lo lasci fare”.
Non permetterò che tu muoia per un simile tentativo”.
Dovevo essere io a farlo, dopo la sconfitta di Raffaella e compari. Il rituale per risvegliare la guardiana era ancora in fase di progettazione.
Ne avevo discusso con Kinsis e poi avevo parlato di questa opportunità con Katyana, infine, avevo segnato alcune idee su una pergamena dimenticata sulla scrivania. Era una cosa difficile, che richiedeva un cerchio, un evocatore e qualcuno che si impegnasse ad affrontare il viaggio. Un'impresa ardua: quella di entrare nel corpo di un individuo per cerarne l'animo. Io però lo volevo fare ugualmente, per mia sorella, per il pantheon. Potevo perdermi nei meandri della sua mente, scomparendo per sempre, o riuscire a risvegliarla.
Un sacrificio che avrei fatto volentieri.
Lei e Switty-kitty ne stavate discutendo e ho pensato che avrei potuto provare io. Mi lasci correre questo rischio, Hamuhamu, la prego”.
Lui però era venuto a scoprirlo. Aveva sentito questo discorso per caso, mentre io ne discutevo con la dea dei dolci e si era intrufolato nelle mie stanze per trovare qualcosa. Con i miei appunti aveva messo a punto un rituale rozzo, nel vano tentativo di riportare in vita l'amata. Una cosa stupida, date le sue scarse conoscenze e abilità magiche, unite alla precarietà del rito.
Non volevo perdere un alleato nell'imminente guerra, non volevo vederlo morire. Io ne ero certo.
Era ancora in ginocchio ed era sul punto di finire un enorme cerchio di gesso bianco segnato a terra. L'inizio del complesso sigillo per incanalare l'energia.
Lorissy tu non sei capace di fare tutto ciò. È un rito troppo complesso! Rischi la morte”.
Anche lei la rischierebbe”
Ma per te è quasi certa”.
Mi implorò ancora, come un cucciolo bastonato. In lui stava accadendo qualcosa che non capivo.
Forse, pensai, sarebbe comunque morto entrando nel tunnel del tormento.
Una voce mi chiamò, proveniva dalle mie spalle.
Chube era venuta a prendermi, poiché doveva riferirmi delle informazioni. Spalancò la porta che avevo lasciato socchiusa e fece capolino sorridente. Benché lei non mostrasse mai rabbia o preoccupazione, io riuscivo a distinguere i suoi vari sorrisi o le diverse smorfie.
Ora c'era una novità.
Avete trovato Elian?” chiesi allontanandomi dall'uomo e dirigendomi verso l'entrata.
No ma ci siamo vicini. C'è un'altra cosa che devi sapere: Miellana è morta”.
Mi spiegò che Nelunis si era recata da lei stamani, per eliminarla poiché era in combutta con i traditori, ma aveva trovato il suo corpo decapitato insieme a molti altri cadaveri. Un regolamento tra fratelli. Raffaella e Crever non scherzavano dunque. Ebbi uno strano presentimento, un'impressione o un'idea che mi stordì.
La seguii di fretta attraverso i corridoi lasciando Lorissy da solo nell'ala che fungeva da ospedale. Con lui: il corpo di Revery e le ricerche.
Un errore che avrei pagato caro.

In una grande sala, usata forse per la prima volta, c'era Sakroi, affiancata da Nelunis e Arone.
Chube mi accompagnò fino al centro, dove il gruppo stava discutendo.
Avevano chiamato me poiché dovevo archiviare anche questa notizia o utilizzarla per trovare una nuova soluzione.
Rimasi in silenzio, fino a quando uno di loro non mi rivolse la parola.
Miellana è morta, Ham” sospirò Sakroi.
Mi è già stato detto da Chube. C'è un motivo preciso per cui mi avete fatto chiamare?”
Arone sospirò, spostandosi una lunga ciocca azzurra dietro l'orecchio. “Sì. Speravamo che tu potessi darci un chiarimento su quest'evento”.
Non capisco”.
Pensavamo che forse con le ricerche che avevi fatto potevi fornirci una spiegazione logica. Non capiamo perché uccidere un alleato”.
Io non ci pensai molto. “Miellana non è mai descritta come una presenza piacevole. Forse è stata vittima delle sue stesse provocazioni”.
Sakroi sorrise. “Lo abbiamo pensato anche noi ma ci sembrava molto strano. Comunque non preoccuparti, grazie comunque...” mi fece cenno di andare ma io non obbedii. Dopo alcuni secondi proposi un'altra versione: “Forse volevano il suo sangue”.
Nelunis sembrò appoggiare questa ipotesi. Si passò una mano sulla bocca, come per nascondere lo stupore. “È vero! Potrebbero aver voluto il sangue di questa dea per potenziare i loro poteri...”
Menzogne” commentò secca Sakroi. “Non è che una leggenda, e tu, studioso degli archivi, dovresti saperlo meglio di noi”.
Secondo me funziona eccome” risposi. “Il sangue perfetto è come un elisir”. Potevo fermarmi lì, ma non ce la feci. Volevo continuare e dimostrare a tutti loro che ne sapevo di più.
I demoni aumentano il loro potere divorando altri simili, ma sono gli unici capaci di bere quel veleno acido che scorre nel loro corpo. Quando però questo sangue si unisce a quello umano, si crea una specie di equilibrio: esso rimane ancora portatore del potere, ma perde quelle qualità venefiche”.
Nelunis non sembrò capire, Arone mi lanciò un'occhiata confusa, ma Sakroi rimase sbalordita. Stupita che anch'io fossi riuscito a capire il segreto.
Ham!” esclamò.
Cosa?”
Stai insinuando una tale assurdità?”
Ho ricevuto un aiuto” mi limitai a rispondere. “Tu però lo sapevi, vero?”
Lei sembrò capire. “Ecco perché eri tanto sicuro degli affari di Kinsis, è stata lei a dirti tutto questo. Che dea fasulla”.
Hai del coraggio per dirle una cosa del genere. Tu ci hai mentito per tutto questo tempo”.
Lei trattenne la sua rabbia. “Arone, Nelunis. Vi prego, lasciateci soli”.
Non volevo che se ne andassero, eppure in quel momento non feci nulla per impedirlo.
Aspettò che uscissero, ascoltando i loro passi allontanarsi. Poi volse il capo verso di me e sospirò.
Tu sai anche del tuo predecessore, vero?”
Io deglutii intimorito da quel tono. “Sì”.
Il nostro sommo Padre ti ha creato una seconda volta sperando che tu non ti addentrassi più in certe conoscenze”.
Perché? Perché sarei stato ucciso?”
Non è quello, Ham!” sbottò zittendomi. “Tu capisci cosa potrebbe succedere se questa cosa fosse scoperta?”
Io non ci vedo nulla di sconvolgente”.
Noi siamo gli dei, i supremi dominatori del mondo, non i figli di due razze inferiori, nati da un incidente”. Si calmò all'improvviso. “Ti prego comunque di non dire a nessuno tutto ciò”.
Altrimenti verrei ucciso?”. Era stata lei, sì: lei. Le lanciai un'occhiata tagliente, che forse riuscì solo a percepire. La sua risposta era però rammaricata, forse triste.
Mi offende sentirmi incolpata di una cosa tanto brutale, Ham”. Poi si voltò, prese a camminare e in breve tempo fu sulla soglia, pronta a sparire.
Il mio istinto mi guidava verso l'unica che sapeva tutto ciò che gli altri non dovevano scoprire. L'assassino era lei, non c'era nessun dubbio. Mi convinsi che il Grande Padre aveva creato un secondo me ignaro di chi fosse il dio le cui mani erano sporche di sangue, oppure non voleva scatenare il caos e l'aveva punita.
Certo, una voce esclamò nella mia testa, l'ha accecata per questo!
Altrimenti perché farlo? Perché privare un dio della vista? Non c'era altra spiegazione.
Ma in fondo, sapevo che non ce n'era la certezza.

Tornando indietro incontrai Katyana e con lei decisi di recarmi da Nima e Niel. Volevo trasportarli in un posto sicuro, lontano dai possibili rifugi di Elian e i suoi alleati.
Dovevo però accertarmi di una cosa. Avevo lasciato Lorissy da solo e me ne ricordai troppo tardi. Quando tornai in quella stanca il suo corpo era riverso a terra, privo di sensi.
Miun era già lì e mi lanciò un'occhiata preoccupata. “Ne sai qualcosa?”
Strinsi i pugni, era anche colpa mia. “Quello stupido!”
Lei mi porse i fogli. “Li hai scritti tu?”
Sì. Ma li ha rubati dal mio studio. Sono incompleti... è una follia”. La donna scosse la testa, rassegnata a quella scelta azzardata. Riacquistai un tono calmo, rilassandomi. Anche io non potevo che accettare il fatto. Arrivai al gesso caduto a terra e iniziai a rifinire quel rozzo sigillo tracciato a terra. Il cerchio impreciso, i simboli runici errati: erano tutte cose che dovevo correggere per supportarlo.
Katyana si avvicinò al corpo dell'uomo e lo stese a terra, con le braccia lungo i fianchi, le gambe chiuse e la schiena dritta. Aveva avuto un buon intuito, capì quello che volevo fare.
Che cosa fate?” domandò il medico.
Non conosco metodo per riportarlo indietro, non credo ne esista uno. Posso però aiutarlo sistemando alcune parti del rito: così avrà più possibilità”.
Miun si sistemò gli occhiali e sbuffò. “Posso aiutarvi?”
Non aspettavo altro. Con un unico movimento mi rialzai e tirai su anche la dea dei dolci. “Sì, sarebbe molto gentile. Sei molto più abile di noi con queste cose...”
Lei sembrò delusa, avevo detto qualcosa di scontato e i suoi occhi me lo fecero capire molto chiaramente. Mi strappò il gesso dalle mani e commentò: “Non fare il ruffiano, Ham. Vai a sbrigare le tue faccende, ci penso io a lui e a Revery”.
Sbottò qualcos'altro anche mentre stavamo uscendo, protestava o si lamentava di questo lavoro ma non le diedi peso. Io e la mia compagna dovevamo andare a incontrare il giovane dal sangue divino.
Poco dopo la nostra partenza in quella stanza si affacciò qualcuno che io avevo lasciato in disparte, poiché troppe erano le cose che mi riempivano la testa.
Miun la guardò sorpresa. “Che cosa ci fai qui?”
Lei sospirò spostandosi con l'unica mano i corti capelli corvini che erano caduti sugli occhi. “Ho sentito una vibrazione negativa. Qui c'è qualcuno di disperato”. Non si smentiva. Era una dea che riusciva a sentire le persone in difficoltà anche a miglia di distanza.
Il medico le si avvicinò, intenzionata a rimandarla nelle proprie stanze a riposare. “ Non te ne preoccupare”.
Il volto privo di emozioni di Valanz si illuminò per un istante. Immediatamente si rivolse verso Lorissy. “Ah, è lui allora. Si è spinto fino a questo punto, poveretto. Ormai è certa la sua morte, ha intrapreso un cammino troppo difficile” farneticava apatica da sola, ignorando Miun.
Allungò la mano inginocchiandosi davanti al giovane e toccandone il petto riuscì a sentire i dolori del suo spirito. Si concentrò per aiutarlo e tutto il suo corpo iniziò a illuminarsi di una flebile aura bianca.
Cosa fai?” chiese l'altra dea che ormai aveva rinunciato a capirla.
Do una mano” rispose. Per la prima volta il suo volto assunse un'espressione, accennando una risata. Miun non colse la battuta e rimase immobile, soprappensiero.

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Capitolo 22
*** Te lo Prometto! ***


Capitolo 22 – Te lo prometto!

Niel era seduto nel cortile esterno, che guardava i raggi del sole che attraversavano la chioma spoglia di quell'albero vecchio. L'inverno era alle porte.
Improvvisamente si ricordò di una filastrocca, riguardante quella stagione, ma non riuscì a canticchiarla.
Niel, non mi stai ascoltando vero?”
Lui tornò alla realtà, incrociando lo sguardo spazientito della sacerdotessa. Dall'arrivo di quel giovane al tempio, Nima stessa si era occupata della sua preparazione, rispettando fedelmente gli ordini del dio. I giorni passavano tra lezioni di pura teoria. Il ragazzino si annoiava e forse non aveva così tanti torti.
Oh!” disse imbarazzato. “Mi scusi, Sacerdotessa Nima. Cercherò di stare più attento”.
Lei in parte lo capiva. La magia era qualcosa di incredibilmente noioso all'inizio: formule, flussi, studi che davano delle basi da cui partite. Erano argomenti che stufavano perfino lei, che doveva solo leggere.
Io capisco che non sono cose divertenti, ma dovresti sforzarti per impararle. Prima apprendi tutto questo, prima puoi fare pratica e controllare il tuo potere”.
Lui scosse la testa, poiché non era d'accordo con tutto ciò che aveva detto. Provò a giustificarsi gesticolando un poco, come era sua abitudine. Lui era curioso, assetato di conoscenza: per quanto un argomento fosse noioso non poteva ignorarlo.
No, Sacerdotessa Nima, non è quello. A me piace questa cosa della magia, è solo che oggi...” non terminò la frase, non sapeva come terminarla. Cosa c'era di diverso? Neppure lui poteva dirlo con certezza. Sapeva solo che c'era.
Non ti senti bene?” domandò premurosa chiudendo il grande tomo che aveva davanti. IL ragazzo scosse di nuovo il capo. Prima di rispondere si guardò attorno: la panca sulla quale erano seduti, l'albero privo di foglie, il pavimento del cortile. Tutto era uguale al solito. Poi lanciò un'occhiata al cielo perché si sentiva comunque strano.
Ho un presentimento” sospirò tornando a fissare la sua interlocutrice.
Che tipo di presentimento?”
No, mi scusi. Non è un vero presentimento... io non so come spiegarlo. Sento che c'è qualcosa, ma non so cosa”.
Lei si interrogò su quale potesse essere la causa del suo stato. Giunse poi a una semplice conclusione. “Forse percepisci un'aura”.
Come dice?”
Un'aura magica, l'energia di qualcuno. È più che probabile che tu abbia sviluppato questa capacità inconsciamente e ora sei stordito. Forse c'è un mago in città o...”
Un dio” continuò una voce alle loro spalle.
Si voltarono entrambi, scattando in piedi intimoriti. Nessuno dei due la riconobbe. Una voce femminile e potente.
Chi è là?” domandò Nima stringendo a sé il ragazzo. Con le ampie maniche rosse e dorate della veste lo avvolse, come un uccello che apre le sue ali per proteggere le uova.
La sagoma uscì allo scoperto. Masticava qualcosa, la dea.
Dovresti inchinarti, davanti a una divinità”. Rimasero immobili. “davanti a me, poi, la somma Raffaella!” entrambi però non avevano mai visto quella dea. Una dea che sembrava in tutto e per tutto un uomo, se non per la veste femminile.
Sotto il mento spigoloso stava una camicetta nera, le cui lunghe maniche e il colletto erano decorati con ricami di pizzo. Portava anche una gonna estremamente corta, del medesimo colore e ricamo. Le scarpette, dai bassi tacchi, ostentavano un fiocco viola di grandi dimensioni sulla parte frontale.
Nima fece un cenno d'inchino con il capo, poiché era pur sempre una dea, ma non si prostrò a lei, anzi: le lanciò un'occhiata forte, decisa a non cedere. Raffaella avanzo e levò una mano, con la chiara intenzione di colpirla. La sacerdotessa allora si allontanò da Niel, coprendolo con il suo corpo e permettendogli una fuga. Lui però non si mosse.
...donna, trovo offensivo il tuo comportamento” uno schiaffo a cui Nima non reagì. “Ora spostati e avrai salva la vita. Non sei tu che mi interessi”. Gli occhi della dea cercarono il ragazzo, trovandolo qualche metro più in là, mentre indietreggiava lentamente.
Sembrò disgustata dal suo aspetto e dall'aura che emanava. “E così saresti tu colui che ha il sangue di un dio, eh? È fin troppo facile averti, ma non posso lamentarmi; il tuo sangue mi aiuterà molto, dovresti esserne fiero”.
Con un gesto rapido scansò la ragazza dai lunghi capelli neri, che però tornò subito a intralciare l'avanzata della divinità. Nima non era intenzionata a cedere Niel tanto facilmente, aveva ricevuto l'ordine di proteggerlo e così avrebbe fatto.
Cerchi la morte, donna?”
Lei deglutì, mentre le parole le si strozzavano in gola. Le divinità, soprattutto se hanno intenzioni offensive, emanano un qualcosa che cattura ogni creatura, facendola tremare fin dentro le ossa. La ragazza lo percepiva chiaramente, ma non cedette.
Raffaella levò ancora la mano, questa volta con la ferma intenzione di staccarle la testa dal collo con un solo colpo, ma si fermò. Fiutò l'aria fredda e, dopo un primo timore, sorrise divertita.
Uno scatto ed evitò la mannaia di Katyana, che con un veloce fendente spaccò la terra davanti a Nima. Un altro secondo e Raffaella sarebbe stata tagliata in due.
La sacerdotessa era confusa. La dea dei dolci non sembrava essere una nemica, anzi, l'aveva appena salvata. Provò a inchinarsi ma lei la fermò. “vattene!” esclamò spingendola affinché si allontanasse. La ragazza capì e fece un cenno del capo. Io arrivai in quel momento, con maggiore calma.
Katyana, appena sentita la presenza ostile della nemica, si era fiondata sul cortile lasciandomi da solo su quella nuvola di fogli. Atterrai e mi rivolsi alla sacerdotessa e a Niel con un saluto rassicurante.
Divino Ham, mi dispiace di avervi recato disturbo”. In quel momento pensai che gli uomini si sentivano troppo protagonisti. Lei pensava seriamente che fossi giunto apposta per salvarla, anche se era frutto di una mera coincidenza. In quel momento però non la contraddissi.
Niel sta bene?”
Sì” rispose con un inchino.
E tu?”
Lei arrossì appena. “Non vi preoccupate”. Si toccò la guancia arrossata, ricordando il dolore provato nel colpo.
Sospirai. “Nascondetevi ora, lasciate fare a noi”.
Come ordinate, divino Ham”. Dopo un nuovo inchino si allontanò prendendo con sé il ragazzo e insieme entrarono nel tempio. Lo salutai con un gesto prima che sparisse e lui ne fu felice.
Alle mie spalle però mi sorprese la voce di Raffaella, pronta a contrattaccare.
Non so se sono sfortunata, ad aver perso una preda facile, o fortunata, per avere a disposizione due succulenti bocconi”.
Katyana si era fatta seria e combattiva. Non c'era più neppure l'ombra della cuoca impacciata. “Considerati sfortunata, Raffaella. Oggi sarà il giorno della tua morte”. Lei non era una che amava la lotta, lo avevo sempre saputo, ma in quel momento sembrò la più feroce delle combattenti. Era pronta a dare il meglio di sé pur di vincere contro la dea del fallimento. Ora che l'aveva trovata non l'avrebbe certo lasciata fuggire.
Tu dici, cuoca?” rispose sprezzante prima di evitare un nuovo colpo di spada.
Sì, io dico” replicò l'attaccante scagliando l'ennesimo attacco che però riuscì a incontrare la tenera carne divina per un breve tratto. Allontanandosi dalla sua nemica, Raffaella, si curò appena del graffio che le percorreva la spalla ed esso si rimarginò in pochi attimi.
Si fermò allora, aspettando il nuovo assalto che non tardò ad arrivare. Un nuovo fendente, rapido, si abbatté su di lei tranciando di netto il braccio destro, all'altezza della spalla. La dea dei dolci sapeva che era meglio rendere inoffensivo un nemico piuttosto che ucciderlo e per gli dei non era differente.
Ciò che la stupì, anzi spaventò, fu la rapidità con cui l'arto si rigenerò. Incredula fece appena in tempo a vedere l'arto tagliato cadere a terra prima che quello nuovo la colpisse con un poderoso pugno. Riatterò alcuni metri più in là, rimettendosi subito in equilibrio.
Io osservavo la cosa sapendo alla perfezione quali fossero i poteri di Raffaella. Si diceva avesse divorato mille anime umane e, grazie a queste, riuscisse a rigenerarsi senza problemi o spreco di energie. In breve: aveva altri novecentonovantanove braccia destre da poter usare, mille busti, mille paia di gambe e mille braccia sinistre. Non ero a conoscenza, nel dettaglio, di come funzionasse quel potere ma a lei bastava avere un corpo sano inglobato da qualche parte per utilizzarne una parte e sopravvivere.
Era ripugnante e terribile.
Dopo altri assalti privi di risultato, il vigore iniziale della mia compagna sembrò svanire.
Con un balzo giunse fino a me, ad almeno sette metri di distanza dalla donna intenta a rigenerare entrambe le gambe tagliatele di netto.
Ham...” mi chiamò con voce tremante.
Non spaventarti. Lei ha divorato molte anime ed è capace di utilizzare la loro forza per rimarginare le ferite o riparare i danni più gravi. Se continuiamo ad attaccarla finirà...”.
È una parola!” mi interruppe lei ansimante. “Non si limita a incassare i colpi, lei reagisce! Non posso continuare all'infinito ad attaccare senza stancarmi” aveva perfettamente ragione.
La dea del fallimento scattò in avanti e le barriere di fogli sembravano inutili davanti alla sua furia. Le ferite dei pugnali di carta sparivano con la stessa velocità con cui erano state inflitte.
Per distrarla manipolai la carta a formare una grande spada mossa da una grande mano. Era qualcosa senza la minima praticità ma lei ne sembrò intimorita, poiché le dimensioni e la sua forma le davano un certo effetto. Mossi questo ammasso contro di lei, in una serie di lenti e distruttivi attacchi.
Lei evitò i primi con facilità, ma la portata e la potenza dei colpi riusciva a intimorirla abbastanza da impedirne l'avvicinamento. Non le ci volle molto, comunque, per intuire la traiettoria dei colpi così da iniziare una rapida avanzata verso me e Katyana. Il cortile del tempio era ormai distrutto e la gente osservava intimorita quella battaglia. A lungo gli uomini avrebbero narrato dello scontro nel cortile di Markentel tra Raffaella, Katyana e Ham; anche se alcune versioni vedevano noi due affrontare il re dei demoni o un mostro molto potente.
Ormai era troppo vicina e, lasciando che la mia grande arma si scomponesse in centinaia di fogli leggeri, creai uno scudo per proteggermi dal suo colpo. Stavamo solo prendendo tempo.
Come se non fosse abbastanza: le sue mani si erano equipaggiate con lunghe unghie che avevano una resistenza e affilatura pari ai pugnali più pregiati. Con essi attraversava ogni difesa e rendeva vano ogni assalto.
Katyana avanzò rinvigorita dalla pausa e ingaggiò una furiosa lotta con la spada. Il rumore dei colpi e il caos che si era scatenato non mi permisero di capire chi avesse la meglio su chi, o più semplicemente, se la dea dei dolci stava bene. Accadde però, dopo poco, che una strana creatura infuocata piombasse su di lei, affiancata da una donna dagli splendidi capelli appena mossi.
Si affiancarono a Katyana e con pochi colpi ben assestati fecero ritirare Raffaella di gran fretta. La nemica si fermò per rimarginare le ferite appena ricevute dai due dei freschi di riposo ma non ne ebbe il tempo. Una nuova carica di Maonis e una successiva combinazione di Manius ridussero in brandelli il suo corpo, lasciando che la testa sola si sforzasse per rigenerare il corpo.
Katyana!” esclamò Manius e questa si gettò di nuovo subito nella mischia colpendo più volte Raffaella prima che si riprendesse completamente.
La dea delle passioni in un istante mi fu accanto. “Ham, scusa l'intrusione ma c'ero prima io. Quella bastarda mi deve un Rituale!” esclamò. “Comunque sono qui anche per un altro motivo. È stato scoperto il covo di Elian, recatici immediatamente!” capii che stava accadendo qualcosa di grosso. Il pantheon era in agitazione e ormai il Palazzo doveva essere quasi del tutto deserto. Gran parte degli dei era sulle tracce della dea del ciclo.
Come mai devo andare?” le chiesi confuso.
Lei mi guardò ammiccando. “Katyana mi ha detto un po' di cose e la voce della tua discussione con Sakroi ormai riecheggia per tutto il suolo sacro. Fidati, arriva da Elian alla svelta, forse può aiutarti!”
La dea dei dolci era stata molto ingenua a raccontarlo a lei, e forse ad altri. Le avevo detto di mantenere il segreto ma sicuramente si era prodigata per aiutarmi chiedendo a tutti coloro che le sembravano adatti. Una mossa azzardata e che sicuramente mi avrebbe creato degli ostacoli in futuro.
Dove si trova?” chiesi prima che tornasse a occuparsi della nemica.
Lei mi guardò, rimproverandosi di non avermelo detto immediatamente.
Nella terra del nord, a Strobught!” con un scatto mi lasciò solo avventandosi contro quel corpo che sembrava non voler morire.
Io evocai una nuvola e vi salii.
Ham, mi faccia venire con lei!” gridò Niel apparendo all'improvviso.
CI pensai alcuni secondi e il tempo era troppo prezioso per sprecarlo in inutili discussioni o ragionamenti. Lì sarebbe stato al sicuro.
No. Rimani qui con Nima. È pericoloso!.
È pericoloso anche restare qui!” replicò lui con forza. “La prego!”
Io sospirai evitando di spazientirmi per la sua cocciutaggine. “Niel, tu devi sopravvivere a tutti i costi. Sei molto più importante di ciò che credi”.
Nima arrivò in quel momento afferrandolo decisa a fermare la sua corsa per raggiungermi. Lui era a terra e io mi stavo alzando a mezz'aria. Dovevo andare.
Se ci riuscissi, Ham... lei...”
Mh?” non capivo cosa volesse dire. Iniziò a piangere cercando comunque di trattenersi. Dopo il secondo singhiozzo continuò. Non posso dimenticare ciò che disse quel giorno.
Se ci riuscissi, Ham, lei resterà con me?”
Il fragore dei colpi. La paura della morte.
Quei nemici erano troppo forti anche per noi, lo capii solo in quell'istante.
La polvere si era alzata alta nel cielo, coprendo in parte il forte sole del pomeriggio e tutto assumeva un nuovo significato.
Te lo prometto”.
Scivolai via verso il nord. Quanto tempo avrei impiegato? Due ore? Tre?
Avvolgendomi di carta divenni un proiettile rapidissimo che sfrecciava attraverso le nubi. Nessun uccello o freccia pareggiava la mia rapidità.

Te lo prometto” ripetei ormai da solo.
Ricordai anche le parole del Grande Padre: “Devi sopravvivere”. Chissà se sarei riuscito a soddisfare entrambi o li avrei delusi.
Confusione.
Ci misi davvero poco, ma utilizzai molta energia. In meno di due ore riuscii a sentire le presenze degli altri insieme al freddo pungente di quella zona. Mancava poco, mancava davvero poco alla tana di Elian: Strobught, la fortezza incastonata nel monte.
Non capii immediatamente perché avesse scelto quella costruzione antica, ormai in rovina, ma ne fui felice. Anche se quello sarebbe stato il luogo della battaglia io ero estasiato dall'idea di percorrere i saloni più segreti scavati all'interno del monte, oppure, di correre nella grande piazza al centro della cittadella esterna.
Era maestosa, enorme e simbolo di un'era ormai terminata. Cosa desideravano di più i miei occhi se non riconoscere i dettagli di ogni roccia e pezzo di granito, appartenuti a una civiltà antica e scomparsa?.

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Capitolo 23
*** Il primo passo verso la battaglia ***


Capitolo 23 – Il primo passo verso la battaglia

Quando arrivai su uno dei fianchi esterni della struttura si apriva un'immensa voragine. Un segno dell'ultima battaglia di quel popolo: quando re Morv aveva opposto una feroce resistenza alle truppe dell'ovest. Una battaglia epocale. L'ultimo baluardo dell'alleanza tra uomini ed elfi, caduto dopo un mese di assedio.
A terra, nella neve, due sagome stese a terra. Chiusi gli occhi implorante.
Si trovavano al di fuori della fortezza, nella piccola valle circondata dai monti.

A Krost non era andata a genio l'idea di far parte di quella missione: lei era portata per altro. Nelunis l'aveva trascinata con sé, indicandola come la più adatta a quella situazione.
Al suo arrivo, dopo un'ora di interminabile viaggio, però aveva capito che il suo compito era solo di fare da 'esca' per il cane da guardia della dea. Arrivati alla fortezza le due si erano divise.
Nelunis si era mossa con agilità, nascondendosi e cercando un modo di entrare molto furtivo, l'altra aveva iniziato a chiamare a gran voce Elian, a sbraitare e agitarsi, solo per attirare su di sé gli sguardi.
Così fu e dopo pochi minuti era apparso il bruno dalla pelle impenetrabile, colui che durante l'attacco al Palazzo aveva intralciato la strada a lei e a Katyana. Si era scordata di lui e solo in quel momento si compiacque della missione.
Dopo una lunga battaglia, però, lei iniziava a pentirsi. Sandol, l'uomo che aveva davanti, sembrava fatto di dura pietra oppure resistente metallo. Qualsiasi colpo era pressoché inutile. Dardi, getti, spade o bestie fatte di inchiostro non lo avevano neppure graffiato. Lui, invece, aveva tempestato ilo corpo della dea con calci e pugni potenti come colpi di spranga. Krost si era accasciata a terra, approfittando di una pausa del suo nemico.
A terra un'enorme chiazza di quel liquido nero che macchiava la neve.
Neve. Per una qualche magia antica, in quella gola tra i monti era sempre inverno. Un soffice manto bianco la ricopriva anche durante l'estate.
Ansimava e sentiva i rigoli di sudore mischiarsi al sangue che sputava dolorante. Si toccò il ventre molle. Quante costole mi sarò rotta? Pensò. Quante ossa sono in frantumi, quanti organi sani rimangono?
Non aveva mai provato una simile sensazione, eppure, aveva preparato una strategia. Inizialmente la credeva geniale, ma infine l'aveva trovata un po' banale. In caso ci avesse scritto una storia sopra di sicuro avrebbe cambiato quella parte.
Lui ne era ignaro, ma durante la lotta il suo corpo si era macchiato di sangue nero. Gli ultimi attacchi erano stati quasi ed esclusivamente getti d'inchiostro, sudore e sangue mirati al volto e lui si faceva colpire, cosciente di uscirne immune. Stupido, pensava la dea lanciandogli occhiate ostili. Sandol aveva respirato e bevuto quell'inchiostro, una volta si era perfino pulito il volto con il dorso della mano e lo aveva leccato come monito della sua potenza, altre volte aveva sputato via quel liquido come si fa dopo un sorso di acqua salata.
Ormai la dea doveva solo aspettare che quel sangue fosse entrato in circolo per mettere fine al combattimento. Un infido veleno.
Durante la lotta aveva pensato a lungo. Mentre subita la violenza del suo nemico aveva viaggiato con la propria mente immaginando uno scontro diverso. Dove lei vinceva e lui rimaneva estasiato dalla sua potenza, ammirandola e scoprendosi innamorato solo al momento della morte.
Non era andata in questo modo ma lei l'avrebbe scritta un giorno. Quando tutto questo fosse finito, quando la guerra fosse diventata solo un ricordo da evitare durante le riunioni con i fratelli. Era una gran sognatrice.
Ora sentiva però una gran voglia di risposarsi. Avrebbe pensato a tutto una volta risvegliatasi da un lungo e sano sonno.
Si gettò a terra con il volto rivolto al cielo plumbeo e chiuse con forza i pugni. Era il segnale. In un solo istante quella microscopica quantità di sangue nero all'interno di Sandol si agitò, tremò, si trasformò con l'intento di ucciderlo. Lui urlò e cadde al suolo, mentre qualcosa sminuzzava, divorava e lacerava le sue carni dall'interno.
Che cosa inverosimile” sussurrò la dea impossibilitata a godersi la scena. Sentiva solo i lamenti di qualcuno che aveva dimenticato cos'era il dolore e che adesso lo riscopriva in maniera spiacevole. Un'ultima volta.
Si promise di leggere romanzi dedicati all'armonia, all'amore e non alla guerra e alla sofferenza, almeno per un po'. Ora che aveva provato sulla sua pelle tutto ciò era convinta di poterne fare a meno a lungo. Non era come se l'era immaginato, lo scontro mortale tra due potenti nemici.
Tutto era terribilmente sporco e doloroso.
Neppure io l'avevo sognata così: la guerra.
Appena atterrai, volatilizzando quella nube di fogli dietro di me, mi diressi verso di lei.
Krost aveva gli occhi socchiusi e respirava debole. Poco più in là, Sandol faceva degli strani rumori, grida sommesse, urla di dolore deboli.
Krost!” urlai gettandomi accanto a lei e sentendo le gambe e le mani gelarsi al contatto con la neve macchiata di nero. “Krost!”
Lei sospirò. “Ham, ho un'ispirazione per una storia”.
Non parlare” le ordinai. “Stai immobile e non fare sforzi inutili. Ora ti porto al Palazzo e ....”
Un fragore.
Un tonfo sordo mi bloccò.
Voltandomi vidi una torre di guardia crollare lontana e la polvere alzarsi. Due dee stavano affrontando una lotta, non dovevo dimenticarlo. Attirato da ciò abbandonai Krost lì, nel silenzio dello spazio bianco.

Evocai un'altra nuvola di fogli per arrivare in alto, alla cittadella e da lì seguii i rumori.
Elian però fu troppo rapida. Mi sorprese affacciato dalla muraglia più alta mentre osservavo lo scontro sotto di me. Erano due furie.
Nelunis evocava fiamme di forme e dimensioni differenti, Elian rispondeva con sfere di pura energia di morte, capace di assorbire vita dalle cose che toccava.
Dietro di loro lasciavano una scia di distruzione. Una mezz'ora e di Strobught sarebbero rimaste solo le macerie.
La sfera distrusse quella frazione di parete, ma io riuscii a evitare il colpo scivolando di lato. Volgendo lo sguardo la vidi arrivare alle mie spalle e mi decisi a correre rapido lungo la cinta. I suoi colpi facevano tremare la terra sotto i miei piedi, mentre Nelunis ci raggiungeva.
La lotta tra divinità guerriere è qualcosa di spettacolare. Spiccano balzi innaturali, quasi magici, e colpiscono con la forza di decine di uomini.
La dea della battaglia intervenne, tenendo occupata Elian lasciandomi il tempo per fuggire.
Senza perdere attimi preziosi mi lanciai di sotto, atterrano nella piazza della cittadella avvolto da un cuscino di fogli. Credetti di essere salvo, ma improvvisamente un ammasso di energia purpurea colpì il suolo a pochi metri da me, creando un'immensa esplosione.
Elian aveva scagliato Nelunis già dalla fortezza, usando un energetico. Il volo era stato grande eppure la dea, con il corpo conficcato nella neve, sembrava intatta. La nostra nemica però mi aveva bloccato in una nuvola di polvere, impedendomi di fare qualsiasi mossa. Sentii i suoi passi, poi una mano mi afferrò per il collo. Con una forza spaventosa mi lanciò contro una parete.
L'impatto fu incredibilmente doloroso. Il muro contro cui mi schiantai era quello della cinta muraria e resistette incolume. Cadi a terra e sentii un fitto dolore provenire dalla mia schiena.
Ero però ancora impegnato a cercare di capire cosa fosse quando Elian si avventò nuovamente su di me. Riuscì ad atterrarmi con facilità e solo a quel punto la sua espressione cambiò. Capii che voleva dirmi qualcosa. Qualcosa di importante.
Sospirò e fuggì rapida evitando un preciso colpo di spada di Nelunis, che si accertò immediatamente del mio stato.
Le risposi distratto, pensieroso.
Quella donna dagli occhi dorati e i boccoli castani non era la stessa che aveva assalito il Palazzo. Era: sciupata. Il suo volto non era più vivace e giovane ma incredibilmente stanco e preoccupato. Il corpo di Elian era lento, come se non le importasse. Mi sembrò rassegnata alla sconfitta, desiderosa della morte.
Si scambiarono un'altra serie di colpi ma, prima che Nelunis avesse l'opportunità di assestare un affondo mortale, intervenni con un vortice di fogli. La raffica fermò dea guerriera, oscurandone la visuale, e io riuscii ad avvicinarmi a Elian, immobile. Mi aveva lanciato delle occhiate rapide, durante lo scontro, come se mi stesse chiamando.
Appena le fui davanti sussurrò un'unica, chiara parola. “Uccidimi”. Mi spiazzò.
Approfittando della mia immobilità, Elian, mi sferrò un poderoso calcio scagliandomi contro la solida corazza di Nelunis alle mie spalle.
I fogli ormai erano tutti caduti per terra e la battaglia poteva continuare.
Intervenni altre due volte, stordito.
La prima volta avvenne per un caso fortuito. Mentre ero preso dai miei pensieri la vidi venirmi incontro. Era di schiena, intenta a parare e respingere gli attacchi di Nelunis, troppo indaffarata per accorgersi di me. La colsi alla sprovvista con un fiume di spade di carta, che però riuscì a evitare con prontezza non appena se ne accorse. Fece un grande balzo con il quale passò sopra la serie di fogli e me, arrivandomi alle spalle. Lì lo ripeté di nuovo. “Uccidimi, Ham!”. Aspettava quel momento, aspettava la sua morte.
La terza volta decisi crearmi l'occasione giusta per colpirla. Mi resi conto che per evitare i colpi, quando era in difficoltà, utilizzava dei salti agili, saettando da una parte all'altra delle mura o delle città. Nelunis la inseguiva, rallentata ma non appesantita dalla corazza, poiché doveva ingaggiare un combattimento corpo a corpo. Io invece rimanevo sulla muraglia, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo e lanciandole contro lunghe scie di fogli affilati.
Quella volta spiccò un balzo veramente imponente. Dal centro della cittadella si ritrovò al di fuori delle mura di cinta che racchiudevano la stessa, sopra la città. Sotto di lei, decine e decine di metri di vuoto. Prima che potesse atterrare e allungare quell'inutile scontro, io la travolsi con quello che era un vortice di carta bianca. I fogli le si attaccarono al corpo, bloccandola e avvolgendola come in un bozzolo da quale usciva solo la testa. Controllando i fogli feci sì che la dea, tenuta immobile, si avvicinasse a me.
In pochi secondi fummo uno davanti all'altra. Lei sospesa in aria a circa un metro dalla cinta, mentre io ero al sicuro sulla cinta, poggiato contro il parapetto. Lei non perse occasione per dirmelo un'altra volta. “Perché aspetti, Ham? Uccidimi!”. Io feci scivolare le mie mani sul merlo decorato e logoro mentre preparavo una risposta.
Perché io? C'è Nelunis che ci sta provando da una mezz'ora buona!” sbottai lanciando un'occhiata alla città sottostante. La dea delle cose infiammabili sarebbe riuscita a raggiungerci molto velocemente; non c'era tempo da perdere.
Sei l'archivista, Ham. Uccidendomi acquisirai la mia conoscenza... vorrei che tu scrivessi la mia storia, sai?”
Cosa diavolo stai dicendo?” me ne accorsi solo in quel momento: Elian era cambiata. Aveva accettato la sua fine ormai da tempo, forse dopo il fallimento dell'assalto.
Uccidimi!”.
Alle sue spalle apparve Nelunis che preparava la sua spada infuocata a un potente fendente.
Non avevo scelta, né tempo per pensare. Dovevo essere più rapido della mia stessa alleata.
Muori!” esclamai trasformando gli stessi fogli che la immobilizzavano in lame taglienti. Vorticarono lacerando ogni lembo del suo corpo, separando con forza la testa dal collo. Nelunis interruppe la sua magia, lasciando che la spada fendesse l'aria.
Era arrivata lassù saltando sulla parete e usandola come appoggio, cose che erano incredibili perfino per una divinità. Si aggrappò al merlo con una mano, issandosi sulla cinta. Provò a parlarmi ma la mia mente era altrove.
Nella mia mente si erano insinuate informazioni nuove, strane. Ora conoscevo alla perfezione la storia di Elian, avevo i suoi ricordi, i suoi pensieri. Imparai in un solo attimo come si riusciva a impiantare il seme demoniaco in un uomo e conoscevo anche tutte le informazioni accumulate sull'argomento. Conobbi il suo sogno così ingenuo da sembrare umano: cioè annientare gli dei e mettere al loro posto uomini dotati del seme, affinché formassero una forza capace di mantenere l'equilibrio e la giustizia nel mondo.
Ma cosa più importante, vidi Ham: colui che ero stato, il dio di cui ero il rimpiazzo. Appariva poche volte nei suoi ricordi, sintomo che poco mi conosceva, ma nutriva una grande stima nei miei confronti. Mi somigliava in tutto, o per meglio dire, io gli ero identico. Eppure nelle sue mosse c'era una sicurezza che io non avevo, possedeva perfino un fascino che non avevo mai acquistato. Era una divinità forte, importante. Io potevo essere la sua ombra, non una copia.
Conobbi l'odio di Elian nei confronti di Sakroi, che aveva fatto pressioni affinché fosse cacciata e la sua ammirazione per Manius e Chube. Capii che aveva avuto perfino un'infatuazione per Arone, il dio dei colori. Sentii i suoi rimorsi per tutte le cattiverie che continuava a commettere, “colpa della mia indole” diceva, oppure “mi hanno creato così”. Giustificazioni che lei sapeva come false. Se solo ci avesse provato, forse, sarebbe riuscita a smettere. Eppure il sadismo era diventata una droga.
La sofferenza l'alimentava come l'acqua a un arbusto, ne fu assuefatta finché non ideò questo piano.
Iniziò a chiedere udienza al Grande Padre, sicura di convincerlo a creare un mondo nuovo, ma dopo i vari rifiuti del Palazzo pensò di ottenere con la forza quell'incontro.
Dopo aver instaurato quel regno governato da un'élite di giusti, lei sarebbe morta. Mi spaventò questa sua decisione, che forte apparve nella mia mente. Lei non sarebbe riuscita a cambiare, non sarebbe mai stata un buon giudice o guardiano dell'ordine: così sarebbe morta. Forse si sarebbe fatta uccidere dagli stessi cavalieri della pace, o come Kinsis si sarebbe consumata.
Era una vera stupida, a pensare una cosa del genere.
Era stata molto abile, a farmi arrivare lì. Aveva contattato Manius durante un rituale, usando Sandol, e le aveva consegnato questo messaggio. La dea delle passioni manteneva le promesse e accettò quella richiesta tanto assurda. In più aveva messo a punto questo incantesimo, incredibilmente utile, con il quale trasferire tutti i propri pensieri al proprio assassino.
Tutto questo però lo capii in un breve secondo.
Ham, tutto bene?” mi chiese Nelunis.
In realtà dovevo essere io a chiederle una cosa del genere, vedendone il volto affaticato e il respiro veloce. “Sì” risposi. Lanciando un'ultima occhiata giù dalla cinta scorsi una piccola macchia nella neve e ricordai.
Corri a Palazzo e chiama Miun!” esclamai scuotendola appena. “Krost è molto ferita!” era così. L'inchiostro e il sangue erano una cosa sola: una chiazza color pece che tingeva il bianco della terra.
Lei lanciò uno sguardo preoccupato verso la dea della scrittura e capì. “Torno subito!” ignorò la stanchezza e la fatica, tutto per salvare una sorella.
Provai un gran rispetto nei suoi confronti.
Lanciando un debole urlo il suo corpo fu avvolto da un effimero vortice di fiamme che sparì in un istante: lei era già scivolata via. Era un incantesimo di alto livello, impegnativo, che creava una specie di teletrasporto verso il molo del Palazzo. Molti di noi ne conoscevano uno.

Quando arrivai a terra, Krost sorrideva con gli occhi chiusi, dopo aver immaginato chissà quale nuova storia; un'ultima volta.
Dentro di me si creò un vuoto, qualcosa che mi spaventò. Lei non sarebbe tornata, non avrei più potuto parlarci, scherzarci, vedere il suo tic degli occhi.
Sembrava dormire su un tappeto nero, pronta a svegliarsi in qualsiasi momento. Ciò non sarebbe accaduto, mai più.
La morte mi sembrò come una caduta. Per dirla da romanzetto, che lei leggeva con emozione: è una caduta nella lunga strada che è la vita; nell'immediato non senti molto, ma non appena riprendi il cammino ne senti il dolore. Ecco: era proprio così. Me ne rendevo conto. Quella era la punta di uno scoglio che avrei affrontato più avanti, nei giorni futuri.
Piansi come non facevo da moltissimo tempo. Ricordai cosa si provava quando con le lacrime scivolano via i problemi e le preoccupazioni. Fu qualcosa di potente, molto di più della magia, che riuscì a riportare la quiete dentro di me.
Piansi per Krost, per il vecchio Ham, per Elian, per Valanz, per Revery e per tutti gli altri che avrebbero sofferto durante la guerra, perché sapevo che anche altri sarebbero probabilmente morti. E faceva male.
Mi scaricai, appoggiando il volto al suo grembo.
Alla fine tornai l'archivista. Con gli occhi rossi posai una mano su entrambi i corpi come costretto da ciò che era il mio lavoro.
Acquisii tutte le loro informazioni, i ricordi e le idee. Un corpo morto è molto più facile da violare e se il decesso è recente tutti i pensieri sono nitidi e distinti.
Alla fine sarei tornato al Palazzo, avrei chiarito i conti con il mio assassino e avrei messo fine a questo stupido conflitto. Avevo deciso.

Nelunis era appena arrivata al molo. Il vortice di fiamme durò un secondo, facendola comparire su quel pontile di pietra dura, unico accesso al regno divino. Fu una cosa rapida.
Sentì immediatamente una fitta e strizzò gli occhi. Le ci vollero alcuni attimi per capire che era una spada di fattura sacra, fabbricata da Kodunai, che le aveva attraversato il petto.
Davanti a lei Crever, di spalle. Le aveva lanciato un affondo da quella posizione scomoda, con forza tale da romperne la corazza e ferirne il corpo. Che stupida, si disse, che morte idiota.
Lui non si voltò ma si sgranchì il collo.
Era giunta nell'attimo sbagliato, Nelunis, lo stesso del traditore. Un secondo più tardi e forse sarebbe riuscita a ingaggiare un combattimento, un attimo prima e gli avrebbe parato la strada. Invece, maledendo il fato, era accaduto in quel modo.
Lui era appena giunto e lei gli apparve alle spalle, ignara. Il dio scagliò il suo attacco troppo rapidamente per lasciarle un margine di reazione.
Una bella giornata, non trovi?” le chiese lui ironico.
Quando la lama scivolò fuori dalla dea essa era consapevole della propria sconfitta.
La battaglia iniziata nella Foresta Bianca era terminata in quella maniera, decretando il più forte. Colui che sarebbe sopravvissuto.
Lei aveva sempre creduto alla legge del più forte, la brutale regola della natura, e per quello accettò la morte come punizione della sua debolezza.
Che cosa sciocca, continuò a ripetersi Nelunis, mentre il corpo perdeva di peso e la mente si abbandonava a un improvviso sonno.

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Capitolo 24
*** Come bravi fratelli ***


Capitolo 24 – Come bravi fratelli

Si lanciarono un occhiata sicura, mentre davanti a loro la situazione andava cambiando.
La perversa, la cuoca e il gatto si ritrovarono ben presto a combattere contro qualcosa che di umano aveva ben poco.
Gambe, braccia, busti e volti. Raffaella si era trasformata in un'intricata rete di arti che la reggevano in piedi, formando una piccola cupola dalla quale svettava una testa di donna. Non amava quella forma, non adorava materializzare tutte le anime possedute, ma la stavano mettendo in difficoltà.
Da quella foresta di carne fuoriuscirono tre teste che rigettarono braccia, dalle quali uscirono altre braccia, che a sua volta evocarono altre braccia. Come tre fruste si avventarono sugli dei, che rapidi evitarono l'attacco avanzando.
Una cosa disgustosa, un essere ripugnante. I tre la pensavano allo stesso modo e così Nima, che si stringeva a Niel dentro il tempio. Osservavano attraverso una finestrella, certi di essere al sicuro.
Per quanto Katyana tagliasse, la nemica si rigenerava; per quanto Manius o Maonis lacerassero quella carne si rimarginava troppo velocemente. Era stato uno spreco di forze inutili. Avevano macellato il suo corpo, sperando che la sola testa di Raffaella fosse un pericolo di poco conto. Avevano però dovuto scontrarsi con quel potere maledettamente infido, che permetteva alla dea del fallimento di rinascere anche dal più piccolo lembo di pelle.
Tagliamole la testa!” ordinò Manius trasformandosi in una grossa bestia dorata. Era in tutto e per tutto uno scorpione gigantesco, con due paia di chele e una lunga cosa munita di lama all'estremità equipaggiata in questo modo riuscì a farsi strada tra le armi di carne che le venivano lanciate contro. Lunghe catene di braccia cadevano su di lei come frecce e lunghe catene di gambe le piombavano addosso come martelli. Gli strumenti dell'animale, per tagliare o schiacciare, uniti alla corazza coriacea sul dorso avevano trasformato Manius in una macchina da guerra. Eppure il suo scopo era quello di prendere tempo, attirando l'attenzione della nemica.
L'idea era buona. Benché la testa potesse rigenerare il corpo, usando le anime rimanenti, sarebbe stata separata da quell'ammasso di corpi e arti. Perdere quell'imponente e ripugnante corpo sarebbe stato come eliminare decine di spiriti in un colpo solo.
Maonis con l'agilità tipica di un felino, arrivò rapido sulla cima della cupola trovandovi il volto di Raffaella, che faceva da punto di origine per tutto. Con i suoi ardigli incandescenti lanciò un attacco capace di lacerare anche una corazza, ma quel colpo non incontrò nessuna testa. La dea aveva ritirato il capo, facendolo sparire, come 'inglobato' dalla cupola stessa. Sicuramente ora andava a comparire da un'altra parte, di quell'intricata rete.
È fuggita!” esclamò il gatto balzando via, verso la base.
Poco male” rispose Katyana alle sue spalle. Mentre il suo alleato assaltava il volto mascolino di quella divinità lei era scattata in alto, caricando un fendente. Atterrò appena, posando le punte degli stivali a una gamba tesa, e fece cadere con forza la spada contro la carne pallida del mostro.
Per la forza impressa e un piccolo potenziamento magico, quel fendente, fu capace di tagliare a metà l'intero corpo, lasciando che le due parti cadessero a terra come il guscio di un uovo rotto.
Il tonfo alzò un mare di polvere, distruggendo quel poco che rimaneva del cortile.
L'intera città ormai stava scappando, spaventata. Solo pochi folli, o coraggiosi, erano rimasti a guardare da una debita distanza.
La voce di quello scontro si stava spargendo rapidamente, cosicché tutto il regno in meno di una giornata fosse in stato d'allarme. Gli dei erano in guerra e gli uomini temevano ciò.
Manius riacquistò la sua forma umana, coprendosi con una camicia chiara e pantaloni di pelle, trasformando le proprie mani in lame affilate.
I tre dei rimasero per un attimo fermi, guardando le due parti attorno a loro. Dovevano scoprire quale delle due era viva, in quale metà si nascondeva Raffaella. Per farlo attesero un attacco.
Dal groviglio di arti che improvvisamente aveva ripreso vita, fuoriuscirono lunghe braccia artigliate e serpentine, incredibilmente rapide.
Dopo di loro è il nuovo corpo della dea a fare capolino. Niente più forme e corpi inutili, solo il suo. Il corpo nudo di una donna incredibilmente magra e le sue braccia, diventate così lunga da sembrare fruste vive. In cuor suo sa che per quanto il suo spirito sia forte non potrà continuare per sempre. Deve uccidere i tre adesso, rubarne l'anima come magra consolazione per quelle perdute e bere il sangue del ragazzo.
Lui l'aveva informata, lui le aveva detto che c'era qualcuno con il loro stesso potere, vicino all'arida piana che ospitava Knossa. Lei come sempre si era fidata ma stranamente aveva incontrato un imprevisto. Per un attimo pensò che era stata una trappola, un piano ben congegnato. Lei era stata usata come esca per allontanare delle presenze dal Palazzo.
E sia, si disse. Se lui aveva architettato questo lei sarebbe stata al gioco. Alla fine erano alleati, quasi amanti. Il mondo si sarebbe piegato al loro volere.
Katyana e Maonis si erano avvicinate troppo. Dal suo busto uscirono delle ulteriori braccia serpentine, che presero in pieno il corpo della cuoca ed evitando il felino per un soffio. Fu un impatto terribile, che sbalzò la dea vittima alcuni metri indietro, spuntante sangue.
Raffaella approfittò dell'occasione, munendo di affilate unghie quei nuovi arti e li scagliò contro la dea a terra.
Sangue e gemiti.
Katyana strinse i denti, mentre il suo corpo venne trafitto da una serie di punte feroci e Raffaella fece lo stesso, quando senti il freddo metallo di Manius attraversarle il petto. La dea del fallimento chiuse gli occhi, sopportando il dolore e reagendo prontamente a quel colpo. Dalla sua schiena uscirono altre braccia, tutte munite di artigli, che tempestarono il corpo della perversa.
Raffaella ritirò tutti quegli arti in eccesso, ansimando stanca e nuda.
Manius vacillò, sul punto di cadere a terra, ma restò in equilibrio. Katyana si rialzò, scagliando maledizione a chiunque, mentre tentava di sopportare il dolore. Maonis le atterrò accanto, pronto a riprendere lo scontro.
Quanta fatica.

Aveva quasi finito di salire le scale, quando su di lui si avventò Miun. Evitò con facilità il colpo e ricambiò ferendola alla spalla. La dea della medicina non aveva mai combattuto in vita sua, ma quasi per istinto, aveva imbracciato le sue armi e si era gettata contro l'invasore.
L'ingresso sembrava deserto, neppure il vento aveva il coraggio di soffiare.
Anche tu?” sospirò Crever stringendo la mano attorno all'impugnatura della spada, mentre l'altra era nella tasca dei pantaloni, a riposo.
Miun attaccò di nuovo, questa volta lanciando i suoi aghi neri e intrisi di veleno. “Ti fermerò con questi!” trovò il coraggio di esclamare. Crever li evitò tutti e la colpì nuovamente con la propria, lama. Questa volta il colpo era stato decisivo, nel ventre. Lei sputò sangue.
Il dio pensò che fosse quasi uno spreco, uccidere tutti questi dei: soprattutto, così velocemente.
Prima Nelunis, al molo, così forte e decisa. Poi c'erano stati Gribio e Diena, apparsi lungo la scalinata. Anche loro, così teneri, avevano terminato la battaglia iniziata alla Foresta Bianca. I loro corpi ora riposavano sulla fredda pietra, riposti a un lato della scala. Infine Miun, la grande esperta di medicine.
Dov'è Revery?” chiese.
L'altra non alzò lo sguardo ma si limitò a rispondergli, con un filo di voce. “Lei non è più con noi da molto. Sei arrivato tardi”. Lui soffiò spazientito. Tirò fuori spada dal corpo della dea e la colpì di nuovo. Avrebbe potuto decapitarla, ma non era nei suoi metodi. Meno sangue versava meglio sarebbe stato, inoltre i corpi interi erano più facili da trasportare e migliori all'aspetto. Questa volta l'affondo la colpì all'altezza del cuore, deciso e violento.
Lui sembrò incupirsi per un attimo, mentre riponeva il corpo di Miun su un lato, così che non ingombrasse l'ingresso.
Qualcuno però aveva assistito alla scena nascosto dietro il portone. Lei lo fissò uscendo, stordita dal suo risveglio. Lui reagì rapido, mettendosi in una posizione di guardia. Gli bastò scorgerla per rilassarsi, quasi sollevato.
Ci crederesti se ti dico che Miun mi aveva appena assicurato che eri morta?” le disse accennando un sorriso.
Revery mosse dei timidi passi verso di lui, mostrando il suo corpo coperto da una corta camicia da notte lilla, e la spada che impugnava. I suoi occhi si concentrarono su Crever. “Forse è così” rispose. “Sono rimasta a lungo in un letto. Ho i muscoli intorpiditi”.
In un letto? Sonno o cose porche?” accennò lui ironizzando.
Credo sia stata una specie di morte, fratello. Ero perduta in uno spazio infinito, priva della voglia di muovermi o cercare un'uscita. Ero sola”.
Lui distolse lo sguardo, perlustrando l'area attorno a sé. “Ma ora sei sveglia”.
Lei annui triste. “Qualcuno mi ha richiamato indietro. È una cosa triste, no?”. Si ricordò il risveglio, quando la luce l'aveva colta di sorpresa irritandola. Si era ritrovata a terra, stesa vicino ad altri corpi. Dopo essersi ripresa aveva sistemato Lorissy e Valanz l'uno accanto a l'altro e li aveva coperti con il lenzuolo bianco del suo letto, posto nell'angolo sotto la finestra. Si era stupita del silenzio, un silenzio preoccupante per il Palazzo ed era uscita da quella sala.
Aveva sentito un brusio provenire dalla parte più interna, ma lei non ne era attratta. Scivolò rapida verso l'uscita, afferrando una delle raffinate spade appese lungo il corridoio centrale. Era tanto che non ne impugnava una, ne aveva perfino dimenticato il peso.
Abbastanza” scherzò lui.
Lorissy e Valanz l'avevano raggiunta, chiamata e svegliata, ma i loro spiriti non erano riusciti a tornare indietro. Ma forse lo sapevano entrambi, anzi, lo avevano sperato.
Ora dobbiamo combattere. Tu non puoi passare”.
La riconobbe, finalmente. Si era presentata come una ragazzina esile e confusa, ma ora era tornata la donna che ricordava: forte e decisa. Una vera guardiana, colei che morirebbe piuttosto che fallire.
Lui le si avventò contro, rimanendo però deluso dopo il secondo attacco.
Le possibilità era due: o lui era diventato incredibilmente forte, o Revery si era indebolita. Aveva già acquisito il vantaggio, lei indietreggiava e sembrava sul punto di cedere.
Si fermò. “Cosa ti succede?” le chiese preoccupato.
Credo di aver perso i miei poteri” disse atona. La cosa non la toccava minimamente, non più. Dopo il suo risveglio si era sentita vuota, perduta. Il suo compagno era morto, insieme a chissà quanti fratelli. Se le emozioni avessero invaso nuovamente il suo spirito sarebbe crollata.
Lui sgranò gli occhi.
Brutta storia”.
Combatterò ugualmente” lo rassicurò, ma Crever era scontento. Contrario a quella scelta.
Non è leale, capisci?” ribatté. Lei sembrò stupirsi.
Da quando ti importa della lealtà?”
Mi offendi, sorella. Io non sono scorretto, sai? E poi questo è uno scontro speciale, dev'essere tutto perfetto”. Si guardò attorno, trovando infine la soluzione ai suoi problemi. Il suo volto si illuminò e Revery sembrò non capire.
Si gettò verso quegli aghi neri sparsi al suolo, intrisi di veleno. Miun aveva detto qualcosa a riguardo. Ottimo.
Con decisione ne prese uno e se lo piantò nella spalla, estraendolo solo dopo alcuni secondi. Ripeté l'operazione altre due volte, strizzando ogni volta gli occhi come un bambino durante una puntura.
Attese alcuni attimi, ma non sentì nulla nel suo corpo cambiare.
La gemella aveva finalmente compreso i gesti di Crever ma era perplessa.
Proviamo, dai” esordì lui, afferrando nuovamente la spada e gettandosi nella lotta.
Lei reagì, trovandosi questa volta contro qualcuno al suo pari. Era però rimasta colpita dalla determinazione e dalle azioni di Crever.

I colpi di spada risuonarono con forza nei corridoi, distraendo appena Chube.
Era ferma, con la sua figura magra e slanciata, coperta da un vestito rosso semplice ma elegante.
Fece dondolare un poco la testa, così da allontanare i capelli neri dal viso.
Non passerai” esclamò.
Colui che le stava davanti sorrise. “Questa non è una tipica frase di Revery?”
Lei annuì. “Sì. In realtà sono lei travestita”. Non c'era divertimento sul suo volto, lei non amava la battaglia. Sporcare gli interni del Palazzo con il sangue di un fratello sarebbe stato un oltraggio, oltre che un lavoro in più per lei in seguito: per pulire.
Eppure nella sua testa lo sapeva chiaramente cosa sarebbe successo. Due enormi forze che si scontravano.
O vivi o muori.

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Capitolo 25
*** Il corridoio delle anime ***


Capitolo 25 – Il corridoio delle anime

Persi tempo, tempo prezioso.
Trasportai i corpi di Krost, Sandol ed Elian all'interno delle rovine, sistemandoli con rispetto.
Alla fine tornai all'esterno, disturbato da un vento freddo che si era appena alzato. Mi osservai la mano destra dolorante. Scrutare entrambi, rubarne ogni informazione, mi era costato molto tempo e un crampo.
Quanto ci ho messo? Mezz'ora?” mi domandai camminando sulla cinta.
Non c'erano altri attimi da buttare: in un turbine di carta anche la mia sagoma sparì, diretta al molo.

Katyana cadde a terra, ansimante. Manius arrancò fino a un grande blocco di muretto rimasto miracolosamente intatto e Maonis spense le sue fiamme stanco.
C'erano macerie e sangue ovunque, ma ciò che più importava era averla sconfitta.
Laggiù, vicino a un'ala del tempio crollata, c'era ciò che rimaneva di Raffaella: una testa. Dopo due ore di battaglia le anime erano finite e lei aveva ceduto alle tentazioni della morte.
Un tempo troppo lungo anche per delle divinità.
Nima e Niel uscirono di corsa dal loro nascondiglio, al di là della strada e si avvicinarono ai tre. Durante la battaglia il tempio aveva rischiato troppe volte di essere distrutto e una parte di esso era ridotta in macerie, dunque i due umani avevano deciso di allontanarsi.
La sacerdotessa corse il più rapidamente possibile, ingombrata dalla lunga veste, e il ragazzino scattò rapidissimo.
Tutto bene?” domandò Niel appena arrivato vicino a Manius, rivolgendosi però a tutto il gruppo.
Di risposta ottenne due sguardi vuoti e un lamento. Forse non andava così bene.
La cuoca riportava più di una ferita, che unite allo sforzo appena fatto, la fecero crollare a terra in uno stato pietoso. Manius e Maonis avevano subito meno danni, ma sentivano di non poter fare un altro passo senza cadere rovinosamente al suolo. All'arrivo della sacerdotessa, però, l'aria si fece più tranquilla. Una brezza gelida accarezzò gli dei, alleviando le loro sofferenze.
Che disgrazia!” esclamò. La prima cosa che fece fu sistemare il corpo di Katyana in posizione supina. Recitando una breve formula, poi, attinse a tutte le scarse conoscenze di magia curativa per curarla.
Una flebile luce verdastra illuminò i palmi della donna mentre toccava il petto della dea. Toccare una divinità non era concesso, si disse, ma in quel caso probabilmente non rischiava nessuna punizione.
Mentre si impegnava a rinvigorire lo spirito della giovane si rivolse agli altri due. “Divini, io non sono al vostro livello ma posso provare ad alleviare le vostre pene in qualche maniera, se me ne date la possibilità”.
Maonis si avvicinò a Niel, ignorandola senza però riuscire a fare molto. Manius aprì più volte la bocca, senza però riuscire a parlare. Così si concentrò, respirò con forza e rispose: “Ora abbiamo solo bisogno di un lungo riposo, queste ferite sono di poco conto”. Era evidente che non sarebbero riusciti a tornare a Palazzo prima di una lunga dormita e qualche buona mistura di erbe.
La dea perversa si chiese che cosa stava accendo agli altri, ma il suo sguardo preoccupato tornò normale incrociando quello cupo di Maonis. Lui aveva dei sensi molto più sviluppati, lui aveva percezioni differenti.
Cosa succede?” chiese senza la forza di allarmarsi.
Il gatto volse il capo, sfinito.
Una cosa grave. Sento qualcosa di negativo che avvolge il Palazzo”.
I due però non riuscirono a continuare, anzi, non ne ebbero la forza. Fu Niel a prendere parola.
Potete bere il mio sangue”.
Quell'affermazione riuscì a toccare tutti i presenti. Rimasero anche stupiti di ciò che aveva appena fatto: usando una pietra scheggiata si era procurato un taglio lungo il palmo della mano sinistra.
Era stato deciso, sicuro e freddo nel fare ciò. Il silenzio divenne il padrone della scena, finché Nima, turbata, non rispose con forza: “Ma cosa dici Niel, sei forse impazzito?”
Lui si voltò, ormai quest'idea lo aveva convinto. Il sangue stava ormai cadendo come un piccolo fiume, senza nessun controllo.
Lo voleva bere quella donna, no? È probabile che, se ne dono una piccola parte a tutti, possiate riprendervi alla svelta e andare a vedere che succede”. Anche lui aveva il medesimo presentimento.
Niel vibrava in modo strano, come prima che arrivasse Raffaella. La stessa sacerdotessa, in quel momento, si accorse di sentirsi triste, per qualcosa che non comprendeva.
Forse era colpa del legame. Forse era una cosa importante.
La dea delle passioni afferrò per il polso il ragazzo, in un ultimo impeto di forza e si portò alla bocca il palmo, leccandone il sangue. Lo gustò inorridita e piegata dalla fatica, senza sentire nessun effetto.
Manius sbuffò. “Lascia stare, ragazzino. Questa è una magra consolazione, ci vorrebbe tutto il tuo sangue per ridarci le energie ed potrebbe anche essere una perdita di tempo. Alla fine il micio qui ha solo un presentimento” al suono di quel nome il dio sembrò adirarsi. La stanchezza però non gli permise di mantenere quell'espressione a lungo e lasciò perdere.
No! Anch'io sento qualcosa che non va. E lei, Nima, non percepisce qualcosa di strano che non riesce a spiegarsi?”
La donna non seppe se confessare la sua preoccupazione o fare finta di nulla, così ci pensò.
Sì, c'è un senso di disperazione, di vuoto. Sono apparsi all'improvviso. Ma ciò che dice la divina Manius è la verità: è meglio per loro riposarsi che bere il tuo sangue, potrebbe privarti delle forze vitali”.
Ma voi, dei, non sentite qualcosa? Possibile che non percepiate quest'energia negativa?”
Maonis si girò, mostrando la grande pancia al cielo ormai scuro. Sospirò: non aveva davvero voglia di parlare, né ne possedeva la forza. “Siamo solo stanchi” rispose.
Niel però non poteva lasciare che le cose andassero in questo modo.
Vi prego! Succhiatemi via quanta energia volete ma andate a vedere... io non voglio che a Ham succeda qualcosa”.
La sacerdotessa si fermò, resistendo a quel brivido che le scese lungo la schiena. Alla fine il ragazzo aveva a cuore solo l'archivista, del resto della casta non gliene importava nulla. Manius però sorrise, quasi compiaciuta di quel sentimento così forte che il ragazzo e la donna provavano.
Tu ti preoccupi troppo. Dopotutto, Ham è un'edizione speciale”.

Le spade sembravano attrarsi a vicenda.
Ogniqualvolta Crever lanciava un attacco, di qualsiasi genere, sua sorella riusciva a deviarlo o respingerlo e ogniqualvolta Revery lanciava un attacco, di qualsiasi genere, suo fratello riusciva a respingerlo o deviarlo.
Era troppo uguali per sorprendersi o sopraffare l'altro.
Loro erano cresciuti insieme, nel giardino.
Fin dalla notte dei tempi Crever e Revery avevano giocato sotto il melo, fatto la guardia e ucciso demoni. Si erano allenati insieme ed entrambi conoscevano le stesse tecniche con le armi. Pure di esperienza i due si assomigliavano.
Non c'era attacco che non venisse riconosciuto, né una mossa imprevedibile.
Sarebbe diventata quindi una prova di resistenza, tra chi dei due fosse durato di più.
Un nuovo gioco per Crever, una pericolosa sfida per Revery.
Il suono delle armi risuonò in tutto il palazzo inizialmente, poi si disperse nel cielo sopra il cortile esterno e la salinata. Nella loro lotta si mossero molto, cambiando le posizioni, invertendo i ruoli e cercando uno spiraglio nelle difese del nemico.
Poi un passo sbagliato, la distrazione di un attimo e Revery assaggiò di nuovo il dolore. Si portò una mano alla spalla appena ferita, sicura che il gemello non avrebbe osato di nuovo. Si scambiarono un occhiata furiosa rimanendo immobili, pronti a ricominciare la battaglia al minimo movimento.
Forse il suo corpo era troppo debole, pensò lei,o forse era stato un caso.
Potevano continuare a danzare.

Ero in terribile ritardo sugli eventi.
Arrivato al molo mi paralizzai inorridito dalla visione.
Nelunis morta, stesa sulla lastra di pietra fredda. Gli occhi aperti e la testa rivolta di lato, verso il vuoto. Il cielo si era tinto di scuro e il sole lasciava posto alla notte.
Silenzio.
Sentii il fragore delle spade, lassù: lontano da me.
Tutto si confuse e sbiadì, come una macchia che viene lavata via con forza. Non avevo altre lacrime, Krost me le aveva portate via tutte. Non piansi quindi, ma mi accovacciai al suo fianco.
Nelunis era una guerriera, colei che comanda il fuoco e i ritmi della guerra, com'era possibile che fosse morta così?
La mia mano scivolò sul suo volto. Avrei letto le sue memorie, le avrei fatte mie. Se il Grande Padre mi aveva ordinato di sopravvivere allora io lo avrei fatto, conservando dentro di me i suoi sogni, i suoi ricordi e le sue idee. Così come avevo fatto per Elian e Krost prima di lei.
Un nuovo spiraglio di vuoto. Quanti fratelli avrei perso ancora?
La pietra scivolò via e mi sentii sprofondare nel vuoto. La potevo toccare, ma non riuscivo a percepirla più.
Un mese prima io non avrei nemmeno pensato tutto questo. Stavo seduto nel mio studio a catalogare gli eventi mentre il resto della casta viveva la sua routine. Katyana preparava dei dolci e Chube la intratteneva con qualche chiacchiera di poco conto. Revery si annoiava, nel giardino, aspettando un qualche invasore che provava a valicare il regno divino; insieme a lei Lorissy che le lanciava occhiate che celavano un certo affetto a cui lei ricambiava discreta. Poco più in là Sakroi predicava l'ordine e Maonis dormiva sulla scrivania. Sulla terra invece Manius si godeva un altro uomo, o un'altra donna e Arone rifletteva nel silenzio del bosco. Infine Nelunis combatteva una stupida guerra e Krost vagava per i regni leggendo romanzi sognante.
Perché invece tutto era cambiato? I loro corpi immobili mi ricordarono ciò che avevo per lungo tempo letto nei resoconti ma che credevo lontana: la morte.
Rimasi fermo, a lungo, svuotando la testa della dea. Compresi le sue motivazioni, compiansi il suo essere schietta e violenta, forse feci mia anche un po' della sua rabbia immotivata. L'avevano creata così, dopotutto. Allora ricordai anche il vecchio Ham, colui che era venuto prima di me. Il dio che era stato ucciso ma di cui nessuno sapeva nulla. Morto e rinato in un solo giorno, ero stato proprio un bravo rimpiazzo per tutti questi anni.
Forse ciò che traspariva dal volto di Kinsis nei miei sogni era la rassegnazione al dolore o semplicemente ciò che rimane di una persona consumata dallo stesso. Lei aveva perso il suo amato Ham, io avevo perso tre sorelle in un solo giorno. Per quanto sadico fosse questo pensiero io ero certo che qualcun altro sarebbe caduto.
Dopo averla letta, avvolsi Nelunis in un bozzolo di fogli e carta trasportandola in un luogo più tranquillo. Procedetti con passo lento, a ritmo dei colpi di spada che continuavano a suonare forti nell'ingresso.
La lasciai nel giardino, sotto il vecchio melo e proseguii.
Quando lungo la strada incrociai anche i corpi di Gribio e Diena, i fratelli innamorati, non potei che trarre un lungo respiro. Tutto troppo velocemente, mi stavo maledettamente abituando.
Volevo piangere, disperarmi, ma non ci riuscii.
Decisi che avrei sofferto alla fine di tutto, davanti a un panorama suggestivo. Davanti magari a un mare invernale o una radura immensa. Mi sarei lasciato andare lì, forse per giorni, lasciando che le emozioni mi travolgessero come onde potenti.
Ma non era ora e non era qui. Non nel bel mezzo di una guerra.
Mi chinai su di loro per compiere quel rituale che tutto a un tratto mi sembrò noioso e stupido. Quanto tempo avrei perso ancora per conoscere le loro menti?
Chissà cosa avrei fatto se non fossi morto quella volta. Chissà se il dio Ham che era stato prima di me si sarebbe comportato in questo modo.
No, mi risposi. Lui era forte, perfino Elian lo ricordava come un essere rispettabile e rispettoso.
Io alla fine ero solo una copia.

Salii l'ultimo gradino e mi ritrovai all'ingresso.
Lì mi aspettava Revery, in ginocchio, che teneva in braccio Crever.
Avevano combattuto ferocemente fino alla fine. Entrambi i corpi portavano chiari i segni della battaglia. Crever però aveva ceduto, dopo essere calato pesantemente sulla sorella. Era stato quel veleno, alla fine lo aveva indebolito più del previsto permettendo a Revery di infliggere il colpo mortale..
Crever lo aveva intuito fin dall'inizio: quello non sarebbe stato un incontro leale.
Chissà perché riuscì ad accettarlo, anzi, lo decise lui stesso. Come altri, come una macabra moda, aveva preso il cammino che conduce alla morte. Di sua spontanea volontà.
Era davvero un pazzo.
La dea mi guardò e sorrise, mentre io mi preoccupai del rigolo che le usciva dalla bocca.
Revery!” gridai correndo verso di lei.
Quando le fui vicino vidi il corpo di Miun riverso da una parte. Ciò mi colpì, senza però distrarmi dalla sorella che si era risvegliata. Lei annuì, come per farmi capire di aver sentito e attese alcuni secondi prima di rispondere.
Miun è morta” sospirò. “È stato Crever”.
Ero riuscito a capirlo perfettamente, mi parve anche ovvio, ma non glielo feci notare. Feci una smorfia contenta, perché per la prima volta non vedevo qualcuno morire ma rinascere. Ero quasi felice, ma tutto ciò che era accaduto non mi permise di far attecchire quella scintilla. C'era molto sangue attorno a loro due e mi accorsi che la veste bianca della dea ne era macchiata sul ventre. Pensai fosse perché lì aveva stretto a sé il fratello, ma forse non era così.
Sta succedendo qualcosa, Ham. C'è qualcuno che sta combattendo, va dentro!” iniziò indicando il Palazzo. “Mi dispiace ma sono molto stanca, non ce la faccio ad andare a controllare”. Lo disse sfiancata, con gli occhi socchiusi, come un bambino che prova a resistere inutilmente al sonno.
Stanca? Revery non è mai stanca, mi dissi. Lei avrebbe difeso il Palazzo a costo della vita.
Inizialmente sospettai che l'aver ucciso il proprio gemello l'avesse stordita ma infine capii. La sua espressione poi era un chiaro monito del suo stato.
Mi aveva gentilmente chiesto di lasciarla sola, per morire senza sentire intorno a sé urla, lacrime o frasi fatte. Una ragazza forte. L'occhiata che mi lanciò dopo mi impietosì. Mi stava implorando. Era stato troppo anche per lei. Ero quasi commosso dall'aura che emanava. Una flebile energia che avrebbe resistito finché non me ne fossi andato, per poi spegnersi come la fiammella di una candela ormai consumata.
Non preoccuparti, Revery. Hai lavorato duramente per tutti questi anni, se ti prendi una pausa nessuno si arrabbierà” rimasi al suo gioco, dirigendomi verso la porta.
Grazie” riuscì a dire con un filo di voce. Stava forse piangendo.
Eppure io avevo altro da dire. Tutto ciò era maledettamente assurdo. “Sopravvivi” mi aveva detto il Grande Padre, ma come poteva ordinarmelo? Con che coraggio mi chiedeva di sopravvivere ai miei fratelli? Mi chiesi per quale motivo dovevo farlo: forse per narrare il futuro, documentarlo.
Ma quale futuro può chiedere tutti questi sacrifici?
Allora le parole mi si strozzarono in gola. Mi immobilizzai dopo alcuni passi, sotto l'alto soffitto del Palazzo. Strinsi i pugni, mi morsi il labbro inferiore con forza e ricominciai a piangere. Poche lacrime questa volta: una manciata.
Sperai che morisse, volevo gridarlo affinché tutti potessero sentirmi, anche sulla terra. Volevo che chiunque si sentisse in parte coinvolto, nel suo piccolo colpevole.
Muori Revery!” avevo voglia di dirle. “Muori senza preoccupazioni”. Perché dannarsi del nostro giudizio? Che motivo stupido per sopravvivere.
Tanto valeva allora morire tranquilla e scoprire cosa c'è al di là. Neppure un dio ne era certo.
Incontrare forse Nelunis, Krost, Elian e tutti gli altri, oppure sparire per sempre. Qualsiasi soluzione era meglio del dolore.
E dentro di me la pregai, affinché mi portasse con sé. Ovunque fossi finito avrei abbandonato volentieri tutto ciò. Se fossi morto non avrei avuto avuto responsabilità, dolore e colpe.
Ripresi a camminare lungo quel corridoio dai colori chiari, illuminato dalle pietre lucenti appese lungo le pareti. Fuori ormai era calata la notte.

Iniziai a correre finché non vidi i muri distrutti, le mattonelle rivoltate e macerie.
Uno scontro si era già consumato, portandosi con sé una grande ala del Palazzo. Ero sconcertato.
Per qualche strana ragione la struttura continuava a reggersi in piedi, anche se quello che un tempo era stato il lato Ovest ormai era un mucchio di rovine.
Vidi anche l'autrice di tutto ciò: Chube. A terra, schiacciata al suolo.
Il vestito era strappato in troppi punti, lasciandola semi nuda alla brezza pungente che entrava dal varco creatosi nella lotta. Era però viva.
Respirava regolarmente ed emanava energia. Era stata sfinita, sconfitta ma era sopravvissuta.
semplicemente svenuta” commentai sentendomi sollevato.
Cercai tra quelle macerie qualcosa che la potesse coprire e infine raccolsi un grosso lembo di tenda, che trascinai fino a lei. Gettandolo sopra la sua figura esile pensai a cosa poteva essere successo. Ovviamente una battaglia, cruenta, ma contro chi? Chube era una divinità molto forte e se era stata costretta ad abbattere una parte della sua casa sicuramente anche il suo nemico lo era.
La dea possedeva un potere terrificante, quindi chiunque l'avesse sconfitta era di grande abilità.
Facendo un calcolo gli invasori erano finiti, Crever, Raffaella ed Elian. Non c'era dubbio che colui che ora aggrediva i miei fratelli era un nuovo traditore. Il capo di tutto, l'infiltrato della casta.
Lo avevo temuto fin dall'inizio, Elian lo aveva sospettato a lungo. I pensieri della dea del ciclo mi avevano rivelato quest'ipotesi, cui non avevo dato peso.
Dunque l'attacco al Palazzo era stato guidato da qualcuno che conosceva le nostre mosse. Qualcuno che sapeva della spedizione contro Elian e che aveva usato Raffaella come esca. Non capii comunque, l'incontro contro la dea fallita era stato un caso fortuito, o forse era giocato a suo favore.
Certo: il traditore aveva pensato di far uccidere Niel da Raffaella, così da attirarci da lei. Il fatto che io e Katyana avessimo interrotto ciò era comunque girato a suo favore, senza rovinare il piano.
Dovevo arrivarci subito, mi dissi, altrimenti come avevano fatto Maonis e Manius a saperlo? Era stato il traditore ad avvertirli, a mandarli dalla dea.
Meno presenze c'erano a Palazzo più velocemente sarebbe arrivato al Grande Padre.
Ripresi a correre, verso il nuovo nemico, verso l'assassino del vecchio Ham, verso la verità.
Sentii la sua voce provenire dalla fine del corridoio. Era Sakroi il mio bersaglio.

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Capitolo 26
*** Fate silenzio, prego ***


Capitolo 26 – Fate silenzio, prego.

Arrivai infine notando Sakroi e Jester.
Non si accorsero di me, erano troppo impegnati a fare altro: combattere.
Il dio chiese pietà, proteggendosi il volto con le mani, ma lei non lo ascoltò. Lo scettro cadde violentemente contro Jester, con una forza esagerata.
Quanto tempo era che Sakroi aspettava quel momento?
Il corpo mascherato di lui cadde su un lato, immobile. Il cranio era stato probabilmente fracassato dall'impatto.
Tremai inorridito, spaventato da tanta freddezza. Pensai che con Ham lei avesse usato la stessa mossa, la stessa espressione seria e adirata. Nessun rimorso.
Per levarmi quei pensieri dalla testa avanzai, senza ragionare sulle conseguenze.
Ero nel corridoio centrale: davanti a me lei e oltre la stanza circolare.
Sakroi!” gridai con forza. Lei non si voltò, rimase immobile. Sarebbe stato inutile, comunque, poiché era cieca. Ciò che mi stupì fu il suo volto, puntato verso la propria destra, come un cane che ha sentito la preda.
Stava indicando qualcuno, lo stava scrutando. Chiunque fosse si trovava nel corridoio perpendicolare a quello centrale, la stessa strada che conduceva a quello occidentale. Se mi fossi affacciato all'incrocio delle strade l'avrei visto.
Lei volse tutto il corpo in quella direzione, ignorandomi.
I suoi capelli lunghi dondolarono un poco accarezzandole le spalle. Non avevo tempo da perdere, era lei la mia nemica. Dovevo salvare chiunque si trovasse lì.
Non mi mossi, però, poiché si scambiarono delle battute interessanti. Serpentine e rapide riuscirono a paralizzarmi.
Percepii in lei qualcosa di nuovo. Era come se possedesse una innaturale calma acquisita all'improvviso. La rabbia, la furia era tutta stata incanalata in una direzione completamente diversa.
Non doveva distrarsi.
Il dio che non riuscivo a vedere disse: “Sakroi, colei che difende strenuamente il Grande Padre. Temeraria come sempre. Perché non ti fai da parte e mi lasci passare?”. Lo riconobbi.
Folle. Prenderò la tua vita come pegno di tutto questo”. Era stata fredda, distaccata e decisa.
Impulsivamente scattai in avanti, avvicinandomi alla dea.
Ora potevo dire di essere confuso.
Arone mi sorrise e mi salutò gentilmente, come se la faccenda lo toccasse appena.
Dentro la mia testa si creò nuovamente il disordine.
Ciao, Ham. Cosa fai da queste parti?”
Cosa diavolo stava succedendo?
Perché dentro di me, improvvisamente, una sicurezza venne meno?
Fatti da parte archivista. Questa è una faccenda che tu puoi solo osservare”. Suonò improvvisamente quella piccola campana che portava sullo scettro spingendomi di lato. Colui che però sembrò dover subire la spinta maggiore fu proprio Arone. Il pavimento davanti a lui si frantumò preannunciando il movimento d'aria ma il dio non si scostò.
Un sospiro. Un'onda di colore grigio creò qualcosa di simile a uno scudo che lo protesse dall'attacco. Alla fine quella tinta tornò liquida, accumulandosi ai piedi della divinità e assumendo un diverso colorito: rosso, così come tutto il corpo di Arone.
Era davvero interessante la sua tecnica.
Ammirai altri attacchi di Sakroi, che lanciava inutili onde utili a distruggere parte del corridoio, senza neppure sfiorare il dio. Lui si accarezzava i capelli e sistemava la sua corazza in una maniera che provocò l'impeto di Sakroi. Benché si contenesse, riuscii perfettamente a percepire la furia che il suo spirito stava liberando.
Prima che lo scettro vibrasse ancora, però, Arone schioccò le sottili dita. Quel grumo gelatinoso di tintura ai suoi piedi, che fino a quel momento si era limitato a difenderlo, si mosse verso la dea.
Rapido come una freccia si schiantò ai piedi di Sakroi, esplodendo in una pioggia di goccioline turchesi.
Il suono della campana, le gocce che si trasformano in proiettili e schizzano verso di lei da ogni direzione, lo scudo di sola aria che si espando attorno a lei, difendendola.
Tutto era veloce: come nella migliore delle esibizioni.
Non colsi tutti i loro movimenti, ma mi stupii. Due divinità come loro non erano solite muoversi durante un combattimento.
Chi era il mio nemico?
Un tonfo. Il corpo di Sakroi sbattuto contro una parete. Scivolò a terra priva di sensi, ora lui la aveva in pugno. Era pronto a fare la mossa decisiva, ma mi costrinsi a interromperlo.
Fermo!” urlai attirando la sua attenzione.
Fino a quel momento mi aveva ignorato. Il suo volto si indirizzò verso di me.
Ham. Cosa c'è?”. Mi chiesi se davvero mi aveva posto quella domanda.
Con fare tranquillo abbandonò il suo giocattolo e iniziò a passeggiare verso di me.
Voglio che tu la lasci stare”.
Ma lei mi ha attaccato, hai visto?”
Tu hai architettato tutto questo” riuscii a balbettare.
Lui per rispondermi allungò il proprio braccio verso di me. Sul suo volto si impresse un ghigno compiaciuto. “Leggi”. Io obbedii.
Afferrai il suo polso e mi ritrovai sommerso da pensieri. Non capii perché Arone mi avesse aperto così la sua mente, ma successivamente mi fu chiaro. Leggendo dentro di lui trovai la risposta: il gusto di sapere. È giusto che tutti sappiano quello che sta accadendo, anche se devono morire.
Così la pensava lui.
Lessi moltissime cose anche parti che avrei evitato. Il metodo con cui aveva convinto Raffaella a unirsi a lui era stato spregevole: poiché l'aveva ammaliata e illusa. Anche Elian era stata vittima del suo fascino, ma presto era diventata troppo ribelle per poter essere controllata completamente.
Lessi il perché di questa guerra: la quiete.
Lui era un amante della tranquillità e il pantheon era un'accozzaglia di volti, ruoli e caratteri che creavano un gran caos. Lui voleva riportare l'ordine. Certo: aveva anche dei piani di dominio, ma alla fine credo che avrebbe lasciato il mondo a se stesso crogiolandosi nel silenzio di un Palazzo ormai deserto. Nei suoi progetti c'era anche quello di bere il nostro sangue, il sangue di tutti gli dei per acquisire il potere completo.
L'onnipotenza che in origine era stata divisa tra noi figli.
Infine vidi Ham e la sua morte. Colto di sorpresa, all'improvviso.
Era stato un caso.
La mia fronte si corrugò quando lo capii e il ghigno di Arone si fece più grande.
Ham era morto per puro caso. Il dio dei colori non aveva in mente una vittima fissa, desiderava solo il sangue di un dio affinché incrementasse la sua forza ergendolo sopra gli altri fratelli. Il primo che aveva incontrato: l'archivista.
E Sakroi? Lei si era tolta gli occhi, colpevoli di aver visto quella disgrazia, donandoli al Grande Padre come ingrediente per la mia creazione. Non era intervenuta perché troppo debole e Arone ne era consapevole e contento. La dea non aveva detto a nessuno di ciò poiché non aveva prove reali e temeva per la sicurezza di tutti. Aveva rimuginato a lungo su una possibile vendetta progettando lo sterminio di tutti i possibili alleati.
Privo di essi lui non avrebbe mai agito, per quanto forte. Sarebbe rimasto nel silenzio dei boschi per l'eternità.
Strinsi la presa attorno al suo braccio ma lui reagì con uno sguardo provocatorio.
Cosa fai, Ham?”
Tu mi hai ucciso”
Tecnicamente non ho ucciso te: ma colui che c'era prima”. La sua pacatezza era irritante. “Ora lasciami. Non voglio ucciderti una seconda volta”. Si staccò da me, tornando verso Sakroi.
Io lo seguii rapido, bloccandogli la strada. “Cosa vorresti dire?”
Che ti lascerò vivere. Sai, non voglio averti sulla coscienza due volte, sai? Nessun rancore spero”. Terminò ironico arruffandomi i capelli. Bloccai la sua mano prima che si allontanasse e questa volta non ero assolutamente intenzionato a lasciarla.
Sei un pazzo”.
Non è gentile, Ham. Lasciami adesso” ordinò seccato.
Io non risposi quella volta, agii. Con un veloce gesto della mano sinistra, quella libera, gli lanciai contro un turbine di lame. Era troppo vicino e con una mano bloccata; io poi ero stato davvero troppo veloce.
Invece a un certo punto mi ritrovai ad afferrare il vuoto: lui era scivolato via. Quando il vortice finì lo vidi ad almeno quattro metri di distanza mentre capii che fino a quel momento avevo afferrato della pittura.
Non costringermi, Ham. Non vorrei...”. Non avrei ascoltato una parola di più.
Una nuova raffica, questa volta più vasta affinché non potesse neppure scappare.

Mi facevano male le gambe.
Il combattimento sembrava aver preso una piega inaspettata.
Arone riuscì a evitare qualsiasi attacco io avessi mosso contro di lui. Un portento, un maestro.
Ciò che mi stupì fu la sua controffensiva. Si muoveva pochissimo e le sue dita si limitavano a dondolare indirizzando i fiumi di tempera contro di me. Non c'era dubbio che si sforzasse al minimo, ma io dovevo usare tutte le energie che possedevo per evitare i suoi attacchi.
Simile al potere di Krost, che però utilizzava solamente il nero e il proprio sangue, Arone evocava un liquido denso, capace di cambiare colore secondo l'ispirazione e la tattica.
Rosso, se voleva imitare il calore delle fiamme, blu se invece imitava il potere del ghiaccio. Viola e verde se era sua intenzione avvelenare e giallo o marrone per la forza della terra.
Getti multicolori, proiettili e altre manipolazioni mi avevano messo alle strette.
Alla fine riuscì a catturarmi.
Quella strana sostanza divenne una colla capace di bloccare i miei arti. Mi aveva spinto verso una parete e lì riuscì a paralizzarmi.
Ero stanco ma ancora furioso nei confronti di quel nemico.
Lui si avvicinò a me, sistemandosi la chioma affinché non ne coprisse il delicato volto.
Era tinto di arancione e d'oro. Sembrò una bestia magnifica, quasi sacra, che emerge dall'oscurità.
Non era mia intenzione ucciderti, sai?”
Tu cosa vuoi?”
Lui sbuffò. “Non hai letto dentro di me? Voglio annientare questo caos, riportare un po' di ordine. Il Grande Padre mi darà una mano. Uccidendolo acquisirò un potere tale da poter controllare ogni cosa”.
Arone, sei il cattivo più banale che conosco”.
Quanti ne hai conosciuti, Ham?”
Abbastanza”.
Ma non scherzare. Sei l'archivista, tu non esci dal tuo studio per nulla al mondo”.
Appunto. Quante cose credi che io abbia visto dal mio studio?”
La mia voce acquisì un tono strano.
Non importa” sospirò. “Adesso ti ucciderò, va bene?”
No che non va bene!” esclamai contrariato. Se solo avessi posseduto una forza maggiore sarei riuscito a distruggere quei legacci che mi incatenavano al muro. Lui però mi ignorò. Arrivò fino a me e posò una mano sul mio petto.
Sai: hai proprio ragione. Tu mi puoi essere davvero utile”. Non riuscii a intendere le sue parole.
In ogni modo non mi sarei mai schierato dalla sua parte. “Per questo motivo farò una cosa speciale, una che ho imparato dal vecchio Ham”.
Provai a ricordare ciò che avevo scoperto dentro di lui. Aveva forse acquisito il potere di leggere le cose? No, impossibile. Forse però aveva affinato una cosa simile.
Non ho tempo per spiegare” commentò afferrandomi il volto. Così lo lessi.
Non avevo bisogno delle mani per farlo, non obbligatoriamente. Dal suo palmo raccolsi le informazioni utili.
Avrebbe usato qualcosa di simile alla magia di Raffaella, assorbendo la mia anima e portando con sé le informazioni che racchiudo, come Elian nel momento della sua morte. Per dirla nella sua maniera: avrebbe assorbito i colori della mia anima sommandoli ai suoi. Sarei stato annientato.
Nessuno spargimento di sangue, solo la mia anima che viene divorata.
Buon addio!” salutò ironico prima di mettere in atto quell'incantesimo.
Posò entrambi i palmi su di me ed essi si illuminarono.
Divenne tutto buio per un solo attimo.

I rumori si ovattarono. Il mio corpo scivolò dalla parete, impattando il suolo sotto di sé.
Le cose si facevano distanti, senza che io potessi raggiungerle.
Intanto Arone sistemava Sakroi, che era inerme al suolo. Si era appena svegliata ma non riuscì a rialzarsi poiché una pioggia di giavellotti scuri martoriò il suo corpo.
Lo maledì e morì.
Silenzio.
Arone andò alla sala circolate ed essa si aprì.
Perché il Grande Padre lo ha permesso?
Devo sopravvivere, provai a dirmi, ma perfino i miei pensieri erano distanti. Non riconoscevo il luogo, né la mia direzione.
Infine mi svegliai. Il chiaro dei corridoi mi accecò la vista per un istante.
In quell'incantesimo qualcosa doveva aver fallito.
Ero confuso, ogni rumore riecheggiava nelle mie orecchie con incredibile forza. Aiutandomi con le mani mi rialzai.
Ancora non capivo cosa fosse successo. Eppure era perfetta quella magia, ma mia anima doveva essere stata divorata. Un paio di passi verso di lui.
Arone si voltò disturbato dal suono dei passi. Quando si accorse della mia figura, così vicina, sul suo volto apparve lo stupore. Mi piacque quell'espressione così sincera e naturale, potente e rapida che tinse il viso del dio. Quell'incantesimo lo aveva stancato tantissimo, eppure lui qualcosa aveva divorato.
Se ne sarebbe accorto altrimenti.
Se non era stata la mia anima a essere assorbita, quale era stata? Infine capii. Uno scherzo ingegnoso, dissi dentro di me. Ormai non c'era più nessuno ad ascoltarmi. La burattinaia era scivolata via, illudendo il mio avversario.
Il resto accadde in una manciata di secondi.
Bestemmiò allungando le mani verso di me. Io feci lo stesso.
Era troppo lento però e io avevo capito troppe cose. Il mio potere si era alimentato di informazioni.
Tutte le cose apprese in quell'ultimo giorno andarono a potenziare il mio attacco.
Non lanciai nessuna raffica sparsa ma un colpo ben preciso.
Un turbinio di fogli affilati si concentrò davanti a lui, attorno alle sue braccia. Un attimo dopo lo sentii urlare. Non appena i fogli svanirono vidi l'esito del mio colpo. Una mutilazione crudele, partorita dalla rabbia e da uno spirito vendicativo.
I suoi arti caddero a terra.
Un altro attimo e un secondo turbinio ne avvolse il viso.
La sua testa scivolò via, mettendo fine a quelle urla fastidiose.
Mi dissi che era finita, ma sapevo che non era così.
Mi lasciai andare. Sofferenza e lacrime, stanchezza e sonno mi avrebbero accompagnato.

Nel sonno capii molte cose.
Il Grande Padre era morto. Come Kinsis, si era mutato in energia e spostato all'interno di un oggetto. Il suo potere era diminuito nel tempo. Il fatto stesso di aver scoperto la formula per creare un dio aveva rubato le sue forze vitali.
Lui non era il Servallo, almeno non quello che avevamo immaginato. Era stato un caso, l'unione fortuita di due forze, che aveva generato il primo ibrido. A metà tra uomo e demone.
Aveva avuto dei sogni come tutti, ma era troppo vecchio. Abra Herlif.
Un nome così umano per una creatura cui avevamo votato la nostra vita. In fondo era nostro padre.
Quella volta rimasi da solo nella cripta, senza più nessuno a consolarmi, all'interno della mia testa.
La guerra era stata vinta. Il nemico era stato battuto. Un motivo così stupido e folle aveva innescato tutto ciò, consumandosi in brevissimo tempo.
Ma a che prezzo?

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Capitolo 27
*** In memoria dei morti ***


Act.3 – L'epilogo degli Intoccabili
Ma se voi ci pensate bene: tutto ciò non ha senso.
Perché allora sono morti i miei fratelli?”

Capitolo 27 – In memoria dei morti

Quel giorno mi risvegliò Chube.
Mi accompagnò, forzandomi, da tutti i cadaveri. Secondo lei era giusto che io acquistassi le loro memorie prima che fosse tardi per farlo. Io mi ribellai per la stanchezza, ma sapevo che aveva ragione.

Finito quel lavoro dormii per quattro giorni.
Avevo bisogno di mettere in ordine tutto ciò che sapevo, abituarmi a quella nuova condizione.
Avevo accumulato una conoscenza così vasta che mi sentivo diverso, cambiato. Molto più potente e forte, molto più simile a Ham.
In cinque erano sopravvissuti; solo in cinque: Katyana, Manius, Maonis, Chube e me.
Con rispetto e addolorati bruciammo tutti quei corpi. Nessuna tomba per un dio, solo cenere che viaggia nel cielo verso una terra distante. Ci sembrò la cosa più giusta.
Ci riunimmo un'ultima volta nella grande stanza dove si era tenuto il consiglio. Manius sorrise vedendola priva di tetto, Katyana la rimproverò. Insieme a noi c'era anche Niel e Nima. Ormai quello non era più un luogo sacro. Non aveva senso riservarlo a un pantheon che aveva smesso di esistere.
Discutemmo a lungo su cosa sarebbe dovuto accadere.
Ormai non aveva neppure senso rimanere delle divinità.
Alla fine trovammo un accordo. Gli dei avrebbero smesso di esistere. Nessuno di noi si sarebbe più professato come tale. Gli esseri umani, mutevoli, ci avrebbero presto dimenticato.
Ci saremmo divisi, mascherandoci in quel mondo così vasto e prendendo strade differenti.

Ci rivedremo fra cento anni nelle rovine di Knossa” esordii prima della fine dell'incontro.
E cosa ci diremo?” soffiò Manius sarcastica. “Insomma, se ci dimettiamo da divinità non dobbiamo più interessarci a questo mondo, no?”
No”. Rispose Chube tranquilla, mentre posava la sua tazza fumante di tè. “Noi abbiamo ancora molte responsabilità. Fino a che sarò in vita voglio badare a questo mondo”.
Allora perché smettiamo si essere divinità? Non è la stessa cosa?” sbottò la dea delle passioni.
Maonis saltò sul tavolo per attirare l'attenzione di tutti. “Io non ho il coraggio di professarmi dio dopo tutto questo; inoltre se rimaniamo anonimi possiamo agire meglio”. Io rimasi in silenzio. Non capivo granché i loro pensieri.
Un gatto che parla non sarà mai anonimo” intervenne Niel attirando su si sé l'ira di un felino infuocato. Maonis lanciò un'occhiata irritata, l'altro sembrò spaventarsi.
Non importa ciò che faremo” sospirai. “Riunirci servirà per rivederci, salutarci, sapere cosa abbiamo fatto in questo lungo periodo”. La mia affermazione sembrò mettere tutti d'accordo.
Annuirono.
Ham” iniziò Katyana, rimasta in silenzio per l'intera seduta. “Tu devi fare attenzione. Hai un onere da portare, qualcosa che noi non possiamo capire. Possiedi tutti i nostri fratelli, o almeno le loro memorie dentro di te. Non dico di parlare di loro alle genti ma solo di sopravvivere”.
Abbassai lo sguardo. Quanta gente me lo aveva detto negli ultimi tempi?
Sopravvivi per tutti loro”.
La seduta si sciolse.
Ce ne andammo, lasciando che il Palazzo crollasse privo ormai di energia. Scivolò verso il suolo, inabissandosi al largo delle coste occidentali.
Noi ci lasciammo.
Cento anni sono tanti, anche per me. Non c'è stato dio morto di vecchiaia, dunque saremmo giunti a quell'età senza preoccupazioni, ma avrei dovuto trovare qualcosa da fare.
Niel rimase con me e la sacerdotessa pure.
Prima di partire per un ultimo viaggio compii un rituale che era apparso nella mia mente. Non posso dire con certezza chi era stato a insegnarmelo ma posso sospettare Miun o il Grande Padre. Ci dirigemmo sulle montagne di Quera, in una grotta accogliente e sicura.
Una formula, un sigillo e il nostro sangue.
Così anche lei sarebbe riuscita a superare cento anni senza invecchiare. La lasciammo al suo villaggio, così che narrasse dell'ultima rovinosa guerra che aveva ucciso tutti gli dei. Sarebbe stata abbastanza abile da non far scatenare il panico, inventandosi qualcosa di convincente. Da lì la notizia si sarebbe espansa, giungendo ovunque nel continente.
Voci diverse, versioni contrastanti avrebbero fatto cadere il Palazzo e i suoi abitanti nell'oblio.
Io e il ragazzo partimmo. Io ora volevo solo mettermi in pari con il lavoro arretrato.
Cento anni sarebbero bastati per scrivere tutto ciò che avevo appreso?


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Così termina.
Deludente, ve?
Comunque ci metterò nuovamente le mani sopra per sistemarlo in alcuni punti. Devo rattopparlo.
Credo che tornerò su questa storia tra un mese, o forse due, così che sia più facile evidenziare oggettivamente gli strafalcioni.

Ringrazio
Kanako91, che ha seguito questa storia fedelmente aiutandomi con il proprio betaggio spietato. .
Ayame, che si è fermata al capitolo 3 (?), ma noi la apprezziamo comunque X°D.
J.J.Blanche87, che ha aggiunto la storia tra le seguite.
Manny, che mi ha ispirato un personaggio e mi ha sopportato nei miei scleri.
Sakuraenn, che ancora deve arrivare alla fine ma ce la farà xD
Writer92, che non ha letto la storia ma mi ha aiutato durante un blocco per la parte finale.
Targul, che l'ha aggiunta tra le preferite, e mi auguro anche letta xD

Inoltre ringrazio tutti coloro che hanno letto, provato a leggere o semplicemente aperto questa storia. Che vi sia piaciuta o meno vi ringrazio perché arrivare alla fine è stata per me una cosa impegnativa.
Non posso fare a meno di ringraziare Katy che l'ha letta anche senza essere membra di questo sito e che mi ha minacciato se facevo morire i suoi personaggi preferiti (oltre che insinuare che Lorissy è gay ùwù).
Un saluto a tutti coloro che, nel bene o nel male, mi hanno ispirato per questa accozzaglia di parole che dovrebbero avere un senso.
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Bye bye.

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