Tutta colpa del destino

di Arwen297
(/viewuser.php?uid=123055)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La scuola di musica ***
Capitolo 2: *** Sorpresa ***
Capitolo 3: *** Mantieni la calma! ***
Capitolo 4: *** Un caffè al bar ***
Capitolo 5: *** Ricordi in musica ***
Capitolo 6: *** Paure ed evoluzioni ***
Capitolo 7: *** Mura che crollano parte 1 ***
Capitolo 8: *** Mura che crollano parte 2 ***
Capitolo 9: *** Dubbi e strategie ***
Capitolo 10: *** Speranza ***
Capitolo 11: *** Separazione ***
Capitolo 12: *** L'amica di Usagi ***



Capitolo 1
*** La scuola di musica ***


Note dell'autrice: Ciao a tutti, ho alcune cose da dire su questa fanfiction, la più importante è che visti gli argomenti trattati ho dovuto censurare alcune scene per rispettare il regolamento di EFP, mi dispiaceva tuttavia eliminarle completamente quindi ho deciso che le pubblicherò in contemporanea con i vari capitoli sulla mia pagina FB sottoforma di note. Quindi vi consiglio di seguirla, clicca qui per visualizzare la pagina.

 

Riguardo alla storia, voglio specificare che ogni riferimento a fatti o episodi realmente esistiti e totalmente casuale, è tutto frutto della mia fantasia. 

 

Tutta colpa del destino

Idea di Arwen297 – Personaggi di Naoko Takeuchi


 

Capitolo 1: La scuola di musica

 

 

Una breve melodia di pianoforte riempì la stanza della piccola villetta nella periferia di Kyoto. Il suono del nobile strumento fu seguito da un leggero sbuffo spazientito. Era quasi un mese che lavorava all'unione di quei due pezzi per crearne uno solo, tuttavia c'era sempre qualcosa che le sfuggiva e che non la soddisfava a pieno nella parte che aveva scritto per il pianoforte. Quella per il violino nonostante i diversi dubbi la riteneva ormai completata.

Unire l'Inverno di Vivaldi con Let it go del cartone animato Frozen era stata un'idea sua, le sembrava un buon modo per avvicinare le persone alla musica classica che al contrario di altri generi raccoglieva pochi appassionati intorno a se. Fin da subito sapeva che non sarebbe stata un'impresa particolarmente semplice, tuttavia non avrebbe mai immaginato che avrebbe avuto tanto filo da torcere.

«Sto ultimando le ultime modifiche, il brano sarà pronto massimo all'inizio della prossima settimana come avevo detto non ti preoccupare, si sa piuttosto chi sarà il pianista con cui devo duettare? La scuola ha comunicato il nominativo? Sarebbe bene saperlo al più presto se riesci a fare qualcosa di concreto Lisa mi faresti un favore vorrei in qualche modo mandargli entrambi i brani prima di iniziare le prove». Esclamò innervosita. Organizzare un evento musicale non era mai stato semplice, fin da quando era una ragazzina aveva sentito palpabile in casa il nervosismo e la tensione dei suoi genitori nel momento in cui la macchina organizzativa si metteva in moto. All'epoca era troppo piccola per occuparsene lei, e solo in momenti come quello comprendeva a pieno lo stato d'animo dei suoi genitori in passato.

Aveva bisogno di una buona tazza di té con i biscotti, doveva staccare la spina per poi riprendere a lavorare e cercare di concludere tutto entro sera. Doveva anche rimettere a posto un pò le camere. Per sua scelta al momento di andare a vivere da sola non aveva voluto nessun tipo di servitù. Sebbene questo non fosse stato ben apprezzato dai suoi genitori, era riuscita tuttavia a rendere la casa come l'aveva sempre sognata da ogni punto di vista.

Così sei anni prima, quando aveva appena compiuto il terzo anno dopo i venti, era riuscita ad andare via di casa e a iniziare un altro capitolo della sua vita ponendo fine a quello tutt'altro che felice dell'infanzia e dell'adolescenza.

«Amore tutto a posto?». La voce dell'uomo che amava le solleticò l'udito dolcemente, costringendola a voltarsi nella sua direzione . «Sei tanto stressata in questo periodo, dovresti cercare di prendere l'organizzazione di questo evento più serenamente... non rovinarti la salute e il buon umore per queste cose" la riprese apprensivo accarezzandole una spalla con la mano destra.

«Siamo indietro rispetto alla tabella di marcia, tra un mese e mezzo ci sarà il concerto e ancora non si hanno i nominativi dei ragazzi che duettano con noi. Tolto questo ancora non si ha certezza sulla location perché non mi hanno ancora confermato, come posso stare tranquilla?». Gli rispose. Non poteva proprio, mancavano ancora troppe cose che non dipendenvano da lei ma da altri e quindi erano fuori dalla sua possibilità di controllo. Una situazione del genere era nel suo elenco di esperienze da non fare. Peccato servisse a poco averlo inserito mentalmente in una di quelle caselle. Una volta ricevute le conferme da chi di dovere doveva mettere in moto la parte decorativa, cercare un fiorista una gastronomia per il buffet e tanto altro. Ne sarebbe uscita morta, lo sapeva già.

«Lo so tesoro che siete tremendamente indietro, ma vedrai che si risolverà tutto e tra qualche giorno avrai i nominativi e tutto il resto, riposati un pò ora. Riprenderai più tardi altrimenti ti verrà un esaurimento nervoso fino all'ultimo». Le disse.

Si limitò a guardarlo senza rispondere prima di bere dalla tazza e prendere un altro biscotto, si erano fidanzati alla fine di un lungo e difficile periodo che aveva attraversato quando era appena una sedicenne. Periodo iniziato d'estate, per caso e andato a finire nel peggiore dei modi, aveva sofferto molto nei mesi successivi. Ma aveva dovuto scegliere se andare avanti e lottare per uscirne o lasciarsi andare definitivamente, Seiya nonostante la sua iniziale voglia di sparire aveva lottato con lei aiutandola su qualsiasi cosa. Le era ancora grata per quello che era riuscito a fare. Nonostante tutti gli epiteti poco carini lanciati contro di lui, ingiustamente, da parte sua che all'epoca non si era di certo risparmiata. I suoi genitori avevano fin dall'inizio approvato la loro unione, e non avevano fatto alcun problema quando anni più tardi avevano comunicato la loro intenzione di andare a convivere per conto loro. Ancor meno problemi erano stati sollevati la sera in cui, davanti alle rispettive famiglie, avevano comunicato loro che avevano deciso di sposarsi.

Tuttavia dentro di se sapeva che aveva solo relegato le esperienze passate in un angolo remoto della sua coscienza, senza superarlo del tutto. D'altronte come avrebbe potuto superarlo, senza aver avuto le dovute spiegazioni dalla persona direttamente interessata? Sarebbe stato impossibile per chiunque.

Forza Michi, non ci pensare più ormai fa parte del tuo passato. Seiya è il tuo presente, non puoi farti influenzare ancora da quella storia come stai facendo. Insieme a lui stai ponendo le basi per il vostro futuro e non solo.

Si stiracchiò ben bene prima di alzarsi e mettere la tazza nel lavandino: l'avrebbe lavata più tardi.

«Grazie, ma è meglio che riprendo ora a mente sveglia, così posso andare a dormire un pò prima stasera se finisco tutto». Gli rispose. Sapeva che lui l'avrebbe capita, anche se non approvava la sua decisione di andare avanti senza prendersi una pausa seria dalla composizione.

«Come vuoi, torno di la a lavorare allora, così riesci a concentrarti meglio» le sorrise il bruno. «Se hai bisogno di qualcosa però chiamami che così te la porto».

«Certo non ti preoccupare! Se mi serve qualcosa ti chiamo senz'altro, grazie mille». Si alzò leggermente sulle punte per dargli un leggero bacio sulle labbra.

Arrivata vicino al pianoforte corresse nuovamente con gomma e matita il punto che non la convinceva, sostituendo due tre note con alcune di mezzo tono più basse, rendere fluido il passaggio tra una melodia e l'altra era un grosso problema.

Per fortuna che l'altro brano è una cover già esistente e non devo modificare nulla. Speriamo di finire sta tortura prima di stasera.

Aveva bisogno di svagarsi e se riusciva a liberarsi prima di cena avrebbero potuto andare a mangiare fuori qualcosa di veloce.

 

***

 

Era stata fuori dal Giappone per quasi tredici anni, rientrando solo per le feste e i compleanni delle persone a lei care. A ogni rientro l'impatto con la cultura giapponese era stato sempre più complesso: se pur con qualche difficoltà era diventata una cittadina americana a tutti gli effetti. Nonostante gli attriti causati dalla mentalità americana che ormai permeava la sua mente, respirare l'aria di casa era piacevole anche per lei.

Fin dal suo arrivo negli Stati Uniti si era concentrata sulle corse e aveva scalato le classifiche. Aveva avuto modo di incontrare diverse giovani donne con cui poter intraprendere relazioni serie, ma dopo quella storia finita male aveva deciso che, al massimo, erano adatte a una scopata di una notte.

L'arrivo delle sue valigie la riportò alla realtà, aveva portato con se tutto il necessario per stare li per i tre mesi successivi. Usagi si sarebbe esibita per la prima volta in un concerto di una certa rilevanza, dopo un mese avrebbe raggiunto uno dei traguardi più importanti della sua vita: la Laurea.

Da sorella maggiore era molto fiera di lei, nel periodo liceale era maturata molto. Se prima odiava lo studio, nei cinque anni di percorso aveva imparato ad amarlo tanto da decidere di iscriversi all'Università. Contro ogni sua aspettativa iniziale lei e Mamoru stavano ancora insieme, e sia lei che sua madre aspettavano il giorno in cui avrebbero dato loro la notizia che si sarebbero sposati.

«Pianeta Terra chiama Marte, mi sentite?». La limpida voce della biondina dai buffi codini riempì le sue orecchie: immersa com'era nei suoi pensieri non aveva notato per niente la coppia che la stava aspettando.

Fissò la ragazza da dietro le lenti scure, il corpo acerbo da ragazzina aveva lasciato posto al corpo di una giovane donna con tutte le curve al punto giusto.

«Sorellina, scusa ma ero immersa nei miei pensieri». Le rispose sorridendo, era felice di vederla. Usagi era ciò che più le era mancato in America, a seguire c'erano Setsuna, Hotaru e Rei.

«Ciao Mamoru» gli strinse la mano cordialmente senza abbandonare il sorriso.

«Hai viaggiato bene?». Chiese la sorella senza smettere di abbracciarla, Usagi era fatta così: se ti voleva bene non lo mascherava. Tutto il contrario era sempre stata allegra ed espansiva.

« Molto bene, sono solo un pò scombussolata per il fuso orario». Si limitò a rispondere, la verità era che nonostante avesse promesso a se stessa di non pensare, la mente viaggiava ai ricordi di tredici anni prima. E alla ferita ancora aperta che le faceva male, più per le cose lasciate in sospeso che altro.

Si limitò a seguire i ragazzi verso l'uscita dell'edificio, avrebbe dormito a casa di sua madre per quella prima notte. Aveva deciso così, il giorno seguente avrebbe riaperto l'appartamento che aveva acquistato all'epoca, quando aveva scelto di andarsene via di casa. Non era ancora sicura di essere emotivamente pronta a tornare li, sapendo che i ricordi di quella sera sarebbero stati ancora più vividi nei suoi pensieri. Tornare a dormire in quel letto, che aveva condiviso con lei anche se solo per poche ore sembrava un qualcosa di insopportabile da sostenere. Era stata l'unica ragazza oltre ad amiche e sorella a varcare quelle mura, non poteva far finta di nulla.

«Sei sicura di stare bene? Sei più silenziosa del solito». Era sua sorella a parlarle.

«Si Usagi non ti preoccupare. Solo stanchezza, piuttosto hai saputo con chi duetterai al concerto della scuola?». Domandò a sua volta per cercare di sviare il discorso.

« Non ancora, sembra che ci siano ritardi notevoli nell'organizzazione. Spero che per domani mi arrivi a casa la lettera, manca solo un mese quasi all'esibizione e se mi capitano musiche mai suonate mi serve tempo per memorizzarle». In cuor suo sperava di duettare solamente con una persona di quelle nella lista dei musicisti affermati che aveva avuto modo di leggere il giorno in cui il suo maestro le aveva comunicato che aveva scelto lei insieme ad altri studenti meritevoli. Dall'altro però sperava di non dover aver molto a che fare con quella persona, non voleva che sua sorella stesse ancora male a causa sua e del comportamento che aveva tenuto in passato, trovarsi a lavorare in sua compagnia per molte ore avrebbe causato sicuramente l'incontro tra le due. Haruka aveva sofferto troppo, proprio come lei del resto, e altre sofferenze voleva evitargliele.

«Vedrai tesoro che è solamente questioni di giorni e ti comunicheranno tutto ciò che ti servirà sapere». Intervenne Mamoru, rincuorandola.

 

***

 

«Piccola hai finito finalmente?». La voce di Seiya interruppe le sue elecubrazioni mentali, erano quasi le nove di sera e proprio come si era prefissata aveva finalmente concluso di comporre il pezzo.

«Si, ma domani se non ti dispiace devi aiutarmi a provarla completamente prima che io vada da Lisa» mormorò stanca. La mano alle tempie a cercar di arginare un leggero mal di testa. Tutto sommato era normale: era da quella mattina che si era messa sugli spartiti, le meningi erano fuse ormai da ore.

«Certo, basta chiedere... ora però stacca e vatti a preparare andiamo a mangiare fuori sei stanca e non mi sembra giusto farti cucinare». Le disse lui. Gli occhi blu scuro puntati nei suoi, lo amava per quelle piccole attenzioni che le riservava. Essendo lui stesso il compositore del gruppo con i suoi due fratelli, sapeva alla perfezione l'impegno mentale che richiedeva specie se come in quel caso c'erano delle scadenze definite a priori da rispettare.

«Ma...». Provò a protestare dopo aver realizzato ciò che volevano dire le parole di lui, non riuscì a terminare la frase che lui intervenne nuovamente.

«Tranquilla ho pensato anche a questo mentre componevi, ci pensa mio fratello per stasera». Capì al volo cosa lei gli volesse dire. Oltre al lavoro quella era la maggior preoccupazione di sua moglie, la vide sorridere prima di alzarsi lievemente dalla sedia per baciarlo.

«Grazie, pensi sempre a tutto è per questo che ti amo». Le era immensamente grata per come aveva organizzato tutta la serata.

Devo capire come ha fatto a fare tutto senza che mi accorgessi di nulla, le telefonate le avrà pur dovute fare, probabilmente ero davvero troppo concentrata sulla melodia per sentire tutto.

Fu il pensiero di lei mentre si alzava dal pianoforte per andare a prepararsi. Arrivata in camera da letto aprì le ante dell'armadio alla ricerca dei vestiti adatti alla serata. Decise alla fine di indossare un paio di leggins neri, abbinati a una maglia dello stesso colore e a un maglione grigio lungo fino a metà coscia. Prese poi degli stivali grigi col tacco e una borsa nera. Si diresse dunque in bagno e arrivata davanti allo specchio sciolse il chignon entro cui aveva confinato i capelli per tutta la giornata. Li domò con alcune leggere spazzolate eppoi passò al trucco: optò per un trucco leggero sui toni del grigio e del perla per gli occhi, e un rossetto rosso per le labbra.

Direi che sono pronta. Una delle rare volte in cui non impiego ore a prepararmi oserei dire. Osservò soddisfatta la sua immagine nello specchio.

«Pronta?». Lo vide comparire nello specchio della stanza, indossava già la giacca che lei amava di più. Forse perché assomigliava tanto ad una giacca simile, ma indossata da qualcun altro. Incontrato anni e anni prima.

Non fare la stupida. Non puoi pensare ancora a quella storia, hai una vita tua. Sei andata avanti non tornare indietro solo per aprire ferite senza una motivazione.

Cercò di scacciare via i vecchi pensieri, in tutti quegli anni nei momenti più disparati la sua mente l'aveva sempre condotta in quella direzione. Ed era sempre stata una lotta per non affondare nuovamente.

«Direi che sono pronta e che possiamo andare». Esclamò allegra, in fin dei conti non poteva farsi rovinare la serata da un pensiero piombato nella sua testa così per caso senza una motivazione valida. Perchè una giacca di modello simile non era una motivazione.

 

***

 

Dopo aver sistemato i bagagli e una doccia veloce per recuperare un pò delle energie perse a causa del fuso orario di comune accordo con sua madre, Usagi e Mamoru avevano deciso di andare tutti fuori a cena. Approfittando della sua presenza la scelta era caduta su un locale molto rinomato alla fine del lungo mare cittadino. Per non avere troppi problemi con la gente aveva deciso di indossare i suoi soliti ray-ban scuri, da quando aveva lasciato la città la sua popolarità era cresciuta notevolmente e quello era uno degli innumerevoli risvolti negativi della medaglia.

Posò la forchetta nel piatto: era alla fine della seconda portata, un buonissimo arrosto con salsa al tartufo nero. Usagi alla sua sinistra invece era ancora alle prese con un piatto misto di uramaki, ossomaki e sushi. Mancava solo lei, e sarebbero finalmente passati al dolce.

Era stata una serata molto piacevole, ma la stanchezza del viaggio si iniziava a far sentire e non vedeva l'ora di poter posare le membra distrutte sul suo letto. Sua mamma era un pò invecchiata dall'ultima volta che l'aveva vista, ma tutto sommato era in grandissima forma. Lo studio di Mamoru aveva acquisito nuovi clienti e al suo futuro cognato la laurea in legge gli stava fruttando più che bene, ed era contenta per lui. Più che altro per sua sorella: meritava di essere felice dopo tutto ciò che aveva passato durante l'infanzia.

«Ecco, ho finito». La bionda dai lunghi codini allontanò il piatto spingendolo verso la parte centrale del tavolo rotondo. Era piena come un uovo, ma non poteva certamente rinunciare al dolce, al costo di farselo uscire successivamente dalle orecchie.

«Hai finito e anche se hai fatto fatica non rinunci di certo al dolce, vero?». La prese in giro il suo fidanzato, conoscendo Usagi fin troppo bene per sbagliare.

«Ovvio, al dolce non rinuncio mai!» sottolineò ella.

«Attenta Usa-chan, che poi se ingrassi a letto sarà un problema!». L'occhiataccia di sua madre arrivò nel giro di un secondo, facendola sorridere di gusto. Specie perché i due fidanzatini al suo tavolo arrossirono entrambi visibilmente « Eddai mamma, non fare queste facce ormai Usagi è grande e vaccinata è normale che si dia alla pazza gioia dopo quasi tredici anni di relazione poi..hanno tutti il diritto di farsi una sana scopata». Rincarò la dose, godendosi il color popora sulle facce dei diritti interessati.

«Haruka!». Odiava sua sorella quando la metteva in imbarazzo in quel modo, non aveva certamente tutti i torti ma su quelle cose lei era sempre stata molto molto riservata anche nei confronti delle sue amiche. Mamoru era stato fin dal principio come lei, se non peggio: per quanto ne sapeva lei nessuno dei suoi vecchi compagni di Università erano a conoscenza delle loro prestazioni sotto le lenzuola.

La motociclista era già persa altrove a osservare il grande salone del ristorante, la maggioranza delle persone che lo frequentavano erano benestanti e tra i tavoli sembrava di assistere a una sfilata di moda, una gara a chi sfoggiava il vestito più costoso. Riconobbe senza problemi dei capi di Guggi, Armani, Burberry e altre marche famose. Era proprio impegnata a radiografare il locale, nella speranza di individuare qualche donzella da provare ad avvicinare per la sera successiva momento in cui poteva ospitarla a casa sua, quando il suo campo visivo fu interrotto da una giacca di pelle seguita da un paio di gambe femminili che attirarono immediatamente la sua attenzione. I suoi occhi verdi percorsero la figura longilinea che si stava dirigendo al tavolo prenotato appositamente, e si scontrarono con una chioma fluente che ricordava vagamente le onde del mare.

Il suo cuore perse un battito.

Non essere stupida non può essere lei, sicuramente è una che le assomiglia non è mica l'unica ad avere i capelli di quel colore. O forse era davvero lei, ma non aveva il coraggio di ammetterlo a se stessa?

 

***

 

Si tolse il leggero cappotto e lo appoggiò sulla spalliera della sedia del ristorante, tutto il lavoro fatto durante il giorno le aveva provocato una gran fame. Si sedette al tavolo apparecchiato per due con una rosa bianca al centro, decise di mettersi a fianco del moro e non di fronte per avere una visione completa della sala ed essere anche più vicina a lui.

«Hai già in mente cosa prendere?». Le chiese lui dopo aver intrecciato la sua mano a quella di lei.

«Si, direi una bella frittura di pesce con insalata per contorno e il dolce senza ombra di dubbio». Esclamò «Forse anche un antipasto di mare, perché ho una fame da lupi, oggi mentre eri al lavoro non ho praticamente pranzato» ammise con aria colpevole, sapendo che lui non ne sarebbe stato particolarmente contento.

«Michiru, quante volte ti ho detto che devi mangiare senza saltare i pasti non ti fa bene fare così». La riproverò lui con sguardo leggermente severo.

«Non sono mai morta per questo lo sai» cercò di giustificarsi sorridendo, sapeva di giocare sporco con il sorriso. Lui non sarebbe riuscito a resisterle.

«Amore non è vero che non hai rischiato mai, ricordatelo». Mormorò lui, improvvisamente più triste al ricordo di anni addietro.

«Potevi anche evitare di far riferimento a quello». Esclamò contrita. Sapeva benissimo che per lei ripensare a quel periodo era sempre molto doloroso, era a conoscenza di ciò che aveva passato perché lui era già li con lei in quel periodo. Eppure a volte senza nemmeno rendersene conto ne riportava a galla segmenti più o meno grandi. Una cosa era certa: le aveva rovinato la serata.

Mi è passato pure l'appetito a ripensare a quello che è stato.

«Buona sera signori, cosa desiderate ordinare?». La voce del cameriere in smoking si intromise tra loro.

«Per me carpaccio misto di pesce e una frittura di pesce mista». Rispose la violinista.

«Frittura di totani con gamberi per me, e come antipasto porti un insalata di mare» rispose Seiya «da bere un vino bianco e dell'acqua naturale». Nonostante avesse mangiato abbondantemente a pranzo, anche lui iniziava a sentire i morsi della fame che incalzavano. Decise dunque di aprire uno dei pacchi di grissini a sua disposizione. «Oltre al concerto della scuola di musica, ne hai altri in programma per l'inizio della stagione estiva?»

«Molto probabile di si, ma se ne occupa Lisa dell'organizzazione per fortuna. Seguire l'organizzazione di più concerti non riuscirei proprio». Non sapendo cosa fare nell'attesa del piatto si mise a scrutare la sala, conosceva molto bene quel locale e sapeva anche il genere di commensali che lo frequentavano; spesso gente che conosceva per altri motivi.

 

«Mentre aspettiamo la frittura, io vado in bagno» esclamò dopo aver finito di mangiare il carpaccio di pesce. Pesce spada, tonno e salmone erano stati marinati in una salsa con limone, sale e sesamo. Complice anche la fame da cui era tormentata lo aveva divorato in un batter di ciglio. Il moro seduto al suo tavolo annui per non parlare con la bocca piena di insalata di pesce, un sostanzioso piatto con cozze, seppie, polpo, patate e prezzemolo. La seguì con lo sguardo fino a quando non svoltò diretta al bagno delle signore, potè constare così per l'ennesima volta la perfezione del lato B di sua moglie. Quel pensiero gli provocò una strana sensazione al basso ventre: era tanto, troppo tempo che non si concedevano un pò di intimità.

 

***

 

Poteva essere una buona occasione per mettere a tacere i dubbi che la stavano tormentando da una buona mezz'ora. Vide la ragazza oggetto del suo interesse dirigersi verso quello che doveva essere il bagno, poteva tranquillamente sondare li dentro il terreno. Sentiva la necessità di poter capire se la donna dai capelli di quel colore così strano faceva parte del suo passato oppure no. Poteva essere l'occasione buona per chiarire con lei e magari riprendere da dove tutto era finito anni e anni prima.

«Haru cosa prendi per dolce?». Era Usagi che la stava fissando con gli occhi di chi aveva appena visto un alieno. Per quanto tempo si era quasi estraniata dal contesto? Non si era nemmeno accorta di farlo.

«Penso i dorayaki con crema di azuki». Le rispose, era un dolce molto simile ai pancake americani, ma preferiva senza ombra di dubbio la versione giapponese del dolce. «Credo che andrò un attimo in bagno, dopo il dolce devo andare a pagare e ne ho proprio bisogno».

Si alzò quindi dal tavolo non curante, sistemandosi per bene gli occhiali scuri anche se non vi era la minima traccia di un raggio di sole, dopo tutto erano di sera. Si incamminò dunque verso il bagno delle signore, sperando di non attirare su di se sguardi indiscreti o peggio ancora strilli di donne che lo scambiavano per un depravato.

Decise di lavarsi le mani con molta traquillità mentre aspettava che colei per cui era li uscisse, non aveva intenzione di parlarle. Non sapeva nemmeno se lei l'avrebbe riconosciuta e non poteva prevederne la reazione dopo tutto quello che era successo, l'attesa la stava innervosendo parecchio.

Devo darmi una seria calmata, sembro un adolescente alle prime cotte amorose incapace di far godere una donna.

Alle sue orecchie giunse il rumore della porta che si apriva, e con lei aumentò innaspettatamente anche il battito del suo cuore.

 

***

 

«Parecchia gente in bagno?». si sentì chiedere non appena raggiunse il suo posto al tavolo.

«No guarda era tutto completamente libero, perchè me lo chiedi?». Quella domanda la incuriosiva e non poco, sembrava visibilmente preoccupato e gli occhi scuri di lui la fissavano quasi accusatori.

«Così, hai impiegato più tempo del solito e pensavo ci fosse la coda» mormorò il bruno.

«No e che ho impiegato qualche minuto per aggiustarmi il trucco, era un pò fuori posto ho fatto di fretta prima e sai che io a queste cose tengo molto». Spiegò, anche se sapeva che le domande di lui miravano ad altro. Sicuramente aveva paura che fosse andata in bagno per un motivo ben preciso, come più volte si era ridotta a fare in passato. «Non... non sono andata a vomitare se è quello che pensi». Preciso un po' irritata. «Sai benissimo che ne sono uscita da un bel pò» deglutì nervosa.

«Hai ragione scusami, sono uno sciocco». Lei aveva ragione, ormai era acqua passata ma non poteva fare a meno di preoccuparsi. La osservo ringraziare con un gesto il cameriere arrivato a portare le rispettive fritture e spremere graziosamente il limone sul pesce. Era cambiata molto, da fragile insicura l'aveva vista trasformarsi in una giovane donna che sapeva il fatto suo e che, spesso e volentieri, gli dava filo da torcere tenendogli facilmente testa.

Decise di non preoccuparsi troppo, e di concetrarsi sulla parte restante della cena.

«Fa niente, tanto ormai è inevitabile alla prima occasione tiri sempre fuori questa storia». Controbattè secca. Sapeva che lui non lo faceva apposta, o quanto meno lo sperava.

«Ma dai, ora non esagerare non è affatto vero quello che dici». La forchetta corse alle labbra con un grosso boccone. Poi afferrò la bottiglia di vino bianco e la versò nel bicchiere.

«Non so chi è che dice scemate tra i due, ma non fa niente dai non ho voglia di litigare anche con te. Ci manca solo, è un periodo stressante e altre preoccupazioni oltre a quelle che purtroppo ho e abbiamo già non me ne servono». Chiuse così il discorso prima di bere un sorso dal bicchiere che lui le aveva riempito.

Il suono di un cellulare che squillava interruppe il loro silenzio, Michiru afferrò la sua borsa riconoscendo la suoneria che riempiva quell'angolo del locale.

Il bruno le rivolse uno sguardo interrogativo, chi poteva chiamarla a quell'ora? Solamente una persona. Era dunque successo qualcosa di grave?

«E' Lisa, non è tuo fratello». Rispose alla domanda muta, in fondo anche lei aveva avuto paura di leggere un altro nome su quello schermo. Come già era successo altre volte «Pronto».

«Michiru scusami per l'orario, ti disturbo per caso?». La violinista a sentire la voce dell'altra tirò un grosso sospiro. Si la disturbava, sopratutto in quel momento.

« Figurati Lisa, non disturbi dimmi pure. Se mi hai chiamata è senz'altro importante». Mormorò stanca, sperando che non fosse una cosa lunga.

«Si Michi, ho appena aperto la casella di posta e mi hanno mandato l'elenco dei ragazzi che hanno scelto, con email e numero telefonico». La felicità nel darle quella notizia era palpabile.

Era ora, potevano aspettare ancora un pò per mandare questo elenco.

«Benissimo, mandami il nominativo dello studente che duetta con me via email con tutti i relativi contatti e fai uguale con tutti i musicisti che accettano di partecipare a questa manifestazione. Chiedi anche di comunicarmi i brani che hanno scelto per il duetto il prima possibile per definire una scaletta che abbia senso e che non sia fatta totalmente a caso e aver tempo di curare anche la grafica dei volantini che saranno distribuiti al pubblico con il programma del concerto. Grazie Lisa, buona notte». Spiegò professionale prima di chiudere la conversazione.

«Ci sono novità?». Fu la domanda di Seiya mentre lei riponeva lo smartphone nella borsa.

«Si, finalmente ha ricevuto la lista degli studenti per il concerto, mi avvisava di questo e del fatto che mi gira l'email entro la fine della serata». Gli spiegò.

«Signori desiderate un dolce?». Il cameriere ritornò al tavolo dopo aver portato via gli ultimi piatti.

«No grazie, basta così può portarci il conto». Aveva già in mente che tipo di dolce dare alla sua amata, e ciò che aveva in mente non era sicuramente nel menù del ristorante.

«Perché hai detto no? Io lo avrei preso molto volentieri». Protestò leggermente la ragazza, senza pensare al tipo di risposta che poteva ottenere a quel suo segnale di protesta.

«Amore questa sera il dolce voglio dartelo io» la voce improvvisamente più vellutata, nel leggero sussurro che le solleticò le orecchie. Arrossì leggermente, anche se ormai era una donna adulta le allusioni la mettevano sempre un certo imbarazzo. «Sei troppo tenera quando ti imbarazzi così. Vedrai che non te ne pentirai»

A sentirlo pronunciare quelle parole sentì un leggero brivido alle vertebre, l'intesa sessuale tra loro due era stata forte fin dal primo momento, ed era uno dei lati che le piacevano di più nel loro rapporto. Sebbene avesse avuto pochissime esperienze prima di lui, era convinta che nessuno sapeva toccarla come il bruno durante quei momenti.

E' tantissimo che non riusciamo a trovare un momento libero per coccolarci. Troppi erano gli impegni di lavoro di entrambi.

Si limitò a stringergli la mano, mentre il suo pensiero già volava al momento in cui sarebbero entrati in casa.

 

***

 

Aveva aspettato svariati minuti col cuore in gola nel bagno del ristorante, attesa che le era sembrata durare un'eternità. Le orecchie erano tese a captare qualsiasi momento prodotto al di la della porta chiusa. Alla fine però l'occupante del servizio igienico si era rivelata una signora anziana, e nemmeno aveva i capelli del colore che stava cercando. Si era perciò convinta che in quel ristorante c'era più di un bagno delle donne e lei aveva sbagliato a sceglierlo.

Tanto sicuramente non era lei, sarà semplicemente una che ha la passione per quel colore e si è tinta i capelli.

La delusione che cercava di non amettere nemmeno verso se stessa però era molta. Anche se per pochi minuti, aveva creduto al fatto che finalmente l'aveva ritrovata. Aveva creduto alla possibilità di chiarire con lei le cose che avevano lasciato in sospeso.

«Haru tutto a posto? Sei strana da quando sei tornata dal bagno, avrai per caso mangiato troppo?». Era sua sorella che la guardava perplessa.

«No figurati, sono solamente molto stanca e avrei voglia di andare a dormire». Mormorò lei. Anche se sapeva che difficilmente l'avrebbe data a bere a sua sorella. Gli occhi verdi vagarono per la sala alla ricerca del solito tavolo che aveva notato non appena era stato occupato.

La donna che aveva attratto la sua curiosità ancora non era tornata.

«Se sei stanca direi che è l'ora di andare a casa a riposare, così domani sarai fresca per il rientro a casa tua». Questa volta era sua madre a parlare, e non aveva nemmeno tutti i torti.

«Direi di si, altrimenti rischio di addormentarmi qui e svegliarmi poi è un casino». Rise «Vado a pagare, offro io per tutti stasera e possiamo andarcene».

 

 

***

 

Posò il mazzo di chiavi sul mobile dell'ingresso, era salita in casa mentre Seiya portava la macchina in garage, appositamente per controllare la casella di posta sul portatile Apple che aveva dimenticato acceso da quella mattina sul tavolo della cucina. Sfilò tranquillamente il cappotto e lo appese all'appendi abiti alla sua destra. Vista l'ora tarda decise di togliersi anche le scarpe per non fare un eccessivo rumore coi tacchi.

Ancora un ultimo sforzo per oggi, e la giornata finalmente giungerà al termine. Desiderava solo potersi abbandonare tra le lenzuola in compagnia del marito, da troppo tempo non vivevano più momenti simili e sia la mente, sia il corpo li bramavano più di ogni altra cosa.

Mosse leggermente il mouse e lo schermo del computer si illuminò sotto il suo sguardo, il programma della casella di posta era già aperto. Lo aveva dimenticato così dopo aver fatto colazione. In grassetto in cima all'elenco vide l'email di Lisa. Ci cliccò sopra mentre si sedeva sulla sedia. Come aveva immaginato l'elenco era tutt'altro che corto, ma per fortuna era in ordine alfabetico e quindi trovò facilmente il suo nome nella lista. I suoi occhi blu lessero il nome tra gli altri. E il suo cuore perse un battito.

No non è possibile che sia lei. Sarebbe troppo meschino il destino.. Usagi Tenou. Quel nome non le era affatto nuovo, apparteneva al passato che con tanta difficoltà stava cercando di dimenticare e lasciarsi alle spalle. Improvvisamente avvertì due labbra appoggiarsi sulla pelle candida del collo. Sobbalzò lievemente.

«Amore sono io». La voce vellutata di lui le solleticò le orecchie. Il respiro leggermente accelerato causato dalla lettura di quel nome sullo schermo era quasi impercettibile. «Arrivata la lista dei nomi?».

«Si». Mormorò voltandosi leggermente. «Non ti ho sentito entrare in casa, mi hai fatta spaventare».

«Con chi devi duettare?». Mormorò mentre le lasciava una scia di baci sulla spalla. Uno dei punti che sapeva piacerle di più. Sentì il suo respiro interrompersi appena sotto le sue avances.

«Non importa adesso, non ho voglia di parlare di lavoro...pensiamo un pò a noi ora». Sussurrò prima di mordergli dolcemente il labbro, gli occhi fissi in quelli di lui improvvisamente ardenti.

«E a cosa vuoi pensare, spiegami». La provocò, sapeva che in quel modo l'avrebbe messa in imbarazzo. Ma sapeva anche vederla arrossire era qualcosa di tremendamente sensuale ai suoi occhi. In tutta risposta la osservò piegare la testa di lato, come se la risposta fosse la più ovvia del mondo. La vide avvicinarsi per baciarlo ancora, questa volta con più trasporto del leggero morso di pochi istanti prima. Sentì le dita di lei intrecciarsi dietro alla sua nuca per non farlo allontanare. La fece dunque alzare per poi farla sedere sul tavolo, prima di riprendere a baciarla, deciso a comunicarle con quell'unione tutto il bisogno che aveva di lei. Di amarla, di possederla.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sorpresa ***


Note dell'autrice: Ecco a voi il secondo capitolo, ringrazio chi ha già messo la mia storia nelle seguite/ricordate/preferite. Vi auguro buona lettura e vi Ricordo per chi non avesse letto il primo capitolo,che per via dei regolalmenti del sito alcune scene di questa storia verranno pubblicate sulla mia pagina autore su FB, Arwen297 EFP

 

 

2^Capitolo: Sorpresa

 

La sera precedente lei e Haruka avevano fatto tardi. Sebbene si fossero preparate per andare a dormire con i rispettivi pigiami, infatti, in realtà erano successivamente rimaste alzate almeno fino alle due a parlare, recuperando tutto il tempo che erano state separate proprio come facevano da bambine, insieme al fratello. Il gemello dell'altra.

Nonostante l'ora tarda però, non aveva dormito benissimo. In quel periodo era troppo emozionata e agitata per l'attesa dell'email che le comunicava con chi avrebbe dovuto duettare al concerto di fine anno. Il concerto, nonostante la laurea imminente, era per lei un pensiero fisso.

Così decise di alzarsi che erano da poco passate le otto, ben decisa a portare avanti una piccola parte di tesi per poi dedicarsi alla musica e controllare a quel punto la posta elettronica.

Aveva deciso di farlo dopo pranzo per non essere ulteriormente distratta ed arrivare a concludere la parte che aveva concordato con il relatore con qualche giorno di anticipo sulla tabella di marcia in modo da consegnare anche lo schema relativo al capitolo successivo e portare il tutto a revisione.

In quel momento fissava lo schermo dopo aver riletto tutta la parte scritta per portare avanti il discorso nel migliore modo possibile. La sua mente però non voleva collaborare: il pensiero la conduceva ovunque tranne che sullo scritto.

Ed era perfettamente consapevole che, quando sua sorella si fosse alzata, non avrebbe più avuto modo di continuarla. La voglia di passare insieme del tempo era tanta da parte di entrambe.

Tanto vale che controllo ora la posta, forse così dopo mi tranquillizzo e riesco a concentrarmi a dovere sulla tesi. Pensò. Portandosi la matita con cui sottolineava i testi alle labbra. Ridusse la schermata di Word alla barra, cliccando successivamente sul programma di posta elettronica.

I suoi occhi azzurri notarono subito l'email risalente alla sera precedente ricevuta da un indirizzo a lei sconosciuto proprio mentre rientravano dalla serata al ristorante.

Forza Usagi, è il momento di scoprire con cui avrai il piacere di duettare.

Cliccò sulla riga dell'elenco corrispondente al messaggio. Ai suoi occhi si aprì una pagina con un simbolo che conosceva fin troppo bene: custodiva gelosamente il biglietto dell'unico concerto che era andata a vedere di lei, e su quel pezzo di carta così prezioso il simbolo era il medesimo.

Il suo sguardo si spostò più giù per leggere la mail, che dissipò qualsiasi altro dubbio rimanente. Dentro di lei sentiva nascere sentimenti contrastanti, se da una parte si stava realizzando uno dei sogni che forse aveva incosciamente da bambina, dall'altro sarebbe stata a stretto contatto con la causa scatenante dell'allontamento della sorella dal Giappone. Colei che aveva scatenato la sofferenza in tutta la sua famiglia; il tempo che la divideva dal concerto era irrisorio e quindi le prove sarebbero state tante e dai ritmi serrati. Sicuramente, poi, sua sorella sarebbe andata qualche volta a prenderla. E loro due si sarebbero incontrate nuovamente.

Non voglio che soffri di nuovo a causa sua Haru. Non voglio vederti nuovamente nelle condizioni in cui eri in quel periodo.

Ultimo, e non da sottovalutare, aveva una paura tremenda: se i genitori della violinista scoprivano con chi duettava come avrebbero reagito? L'ultima volta la loro reazione non era stata dei migliori a sapere che la figlia aveva preso una cotta per un'altra donna, ora entrambe erano donne e dubitava fortemente che sarebbe stata solamente una cotta passeggera.

«Che stai combinando?». La voce della bionda le solleticò le orecchie, facendola sobbalzare. Non si era proprio accorta della sua presenza.

«Oh... niente stavo leggendo la mail, finalmente hanno comunicato con chi duettiamo». Spiegò in breve lei, sperando che l'altra non ponesse domande più specifiche.

«Con chi duetti?». Si sentì chiedere.

«Oh...non è importante, ti ho preparato già la colazione devi solo far scaldare la brioche e il capuccino... io intanto finisco questa parte della tesi». Cercò di sviare il discorso.

«Sei a buon punto?». Accese nel frattempo il fuoco sotto al latte e il piccolo fornetto con dentro le brioche colme di marmellata. Sarebbe stata una lunga giornata, alla sera probabilmente avrebbe incontrato Setsuna e Hotaru. Le altre si erano fatte ormai una vita fuori dalla nazione, e i rapporti si erano ridotti a una telefonata su Skype di gruppo una volta alla settimana con tutte. Nonostante fossero fisicamente lontane, il loro gruppo era rimasto ugualmente molto unito negli anni e lentamente erano entrati a far parte della brigata anche Usagi e Mamoru. Probabilmente sarebbe rimasta a casa della madre ancora per qualche giorno, contro ogni pronostico non aveva proprio desiderio di rientrare nella sua, dove erano custoditi ricordi belli e brutti.

«Mi mancano ancora cinque capitoli e infine le conclusioni, se mi va bene la revisione che ho tra qualche giorno i capitoli diventeranno quattro». Rispose orgogliosa. L'altra sorrise mentre si sedeva per assaporare in tutta tranquillità la sua colazione.

«Oggi devi studiare? Così mi organizzo ed eventualmente vedo Sets e Hota dopo pranzo». Le chiese.

«Guarda oggi in realtà mi hanno già convocata per la prima prova, credo che mi diano i brani che suonerò al concerto per iniziare a suonarli, quindi si sono impegnata e devo concludere questo capitolo il prima possibile. Però stasera non devo uscire con Mamo quindi se vuoi possiamo passare del tempo insieme come ai vecchi tempi». Fu la risposta della biondina coi codini. «Non ti preoccupare comunque, la scuola è abbastanza vicina posso andarci con i mezzi». La anticipò prevedendo la successiva domanda di lei.

«Sicura? Altrimenti posso accompagnarti prima di vedere le altre senza alcun problema». Deglutì il boccone, se ci fosse stata sua madre l'avrebbe sicuramente ripresa: lo aveva fatto una miriade di volte prima di rassegnarsi al fatto che sua figlia all'occorrenza avrebbe sempre parlato con la bocca piena. Ad ogni modo, per fortuna, la donna in quel momento era fuori per lavoro.

«Sicurissima!». Esclamò lei, prima di riaprire Word e iniziare a digitare il proseguimento del discorso lasciato in sospeso il giorno prima.

 

***

 

Si mosse leggermente sotto le lenzuola, il morbido tessuto abbracciava la sua pelle liscia come seta custodita al di sotto, come ogni mattina verso quell'ora la luce in camera era davvero insopportabile. Quel giorno però la stanchezza si faceva sentire, la notte prima avevano approfittato dell'essere soli in casa, e si erano amati e posseduti più volte. Aveva dato così modo alla passione di portarsi via tutta l'ansia e l'agitazione per l'evento che stava organizzando. In compenso però il dolore muscolare per il troppo movimento fatto appariva nitido nelle membra al minimo movimento. Si girò sul suo fianco destro, i suoi occhi blu si posarono sull'uomo che amava, quasi totalmente scoperto dalle lenzuola, percorrendo il suo fisico longilineo e prestante.

«Non sei ancora abbastanza sazia?». Un sorriso malizioso si dipinse sul volto di lui prima che aprisse gli occhi. Lo osservò stupita, come si era accorto che stava ammirando il suo corpo perfetto?

«Monsieur, mi dispiace deluderla, ma sono sufficientemente appagata così ». Stette al gioco lei.

«Quindi se ti bacio ancora non otterrò nessun risultato?». La sfidò lui, alzandosi leggermente, usando il gomito come appoggio per guardarla negli occhi.

«Molto probabile..». Lo guardò avvicinarsi alle sue labbra, e attese..attese fino all'ultimo secondo disponibile per spostarsi e lasciarlo a bocca asciutta. «Vado a farmi la doccia, devo andare in studio da Lisa prima di iniziare le prove con lo studente che mi hanno assegnato. Credo che le prove del pezzo le rimandiamo a più tardi perché altrimenti arrivo in ritardo da lei». Si alzò dal loro nido, evitando appositamente di portarsi dietro il lenzuolo, consapevole di quanto lui nonostante fossero passati molti anni la bramasse ancora come fosse la prima volta. Anni addietro non sarebbe mai stata così audace, era diventata così anche grazie a lui che l'aveva fatta affacciare a un modo di amarsi tra le lenzuola non comune.

Una volta in bagno si infilò direttamente dentro la vasca e aprì il rubinetto impostando una temperatura tiepida. Prese poi i suoi sali preferiti alla rosa e ne verso una generosa quantità nell'acqua.

Tutta la tensione della sera prima era ormai scomparsa, e un bagno caldo avrebbe tolto quegli ultimi residui aiutandola anche a sciogliere un pò di preoccupazione: non aveva per niente idea di come comportarsi con Usagi. Solitamente lei scindeva molto la vità privata da quella lavorativa, ma visto tutti i retroscena a cui quella ragazza era legata non era sicura di riuscire a fare lo stesso anche questa volta. Senza contare che da lì a un mese e mezzo sicuramente si sarebbe creata l'occasione per vedere la sorella, e a quel punto come avrebbe reagito? Era stata troppo male per quella storia, e non era sicura che sarebbe riuscita a rimanere impassibile se un giorno si fossero incontrate nuovamente.

Sospirò presa dallo sconforto.

Con tutti gli alunni che c'erano a scuola proprio lei dovevano decidere di far duettare con me. Speriamo che vada tutto bene senza complicazioni, ne ho già tante di cose a cui pensare.

Aveva preso anche in considerazione la possibilità di farsi assegnare un altro studente, ma ciò voleva dire che avrebbero perso ancora più tempo per fare tutti gli scambi, e per quell'evento il tempo si era rivelato tiranno fin dal primo momento. Non poteva permettersi di sprecarne ulteriormente, anche perché era consapevole che il suo brano non era di immediata esecuzione, serviva studiare alcuni passaggi. Dovevano perciò mettersi all'opera il prima possibile.

Prese la doccia e risciacquò dal suo corpo la grossa quantità di schiuma nella quale si era avvolta, poi sollevò il tappo per far defluire l'acqua che si era raccolta. Una volta uscita si avvolse nell'asciugamano e si diresse in camera per vestirsi, trovò la stanza vuota, ma in compenso dalla cucina provenì un profumo niente male che le fece brontolare lo stomaco.

Scelse di indossare un vestitino bianco tempestato di piccoli fiori rosa, accompagnato da sandali e borsa dello stesso colore. Si diede una veloce spazzolata ai capelli e un leggero trucco con matita e mascara e fu finalmente pronta per affrontare la giornata.

Prima però avrebbe affrontato la colazione che il marito aveva preparato per entrambi.

 

 

Quando mancava un quarto alle undici chiuse lo sportello della sua Audi A3 bianca e schiacciò il tasto sul portachiavi per inserire la sicura e l'allarme. Si diresse dunque verso il palazzo dove Lisa, la sua manager, aveva lo studio. Oltre a lei seguiva anche il gruppo di suo marito e visto che negli con loro aveva avuto lavoro a sufficienza, aveva abbandonato tutti gli altri clienti ed era diventata esclusiva della famiglia Kou e Kaioh. A loro era andato bene così, era a loro totale disposizione a qualsiasi ora e, vista l'intensa attività artistica di tutti e quattro, era un grosso vantaggio. Si era dimostrata più volte molto seria e professionale nel suo lavoro, anche quando la situazione era critica e non di certo delle più semplici.

Era qualche anno più grande di lei, aveva circa una trentina danni e aveva i capelli lisci e lunghi alla spalla di un intenso color corvino, come gli occhi. Corporatura minuta ma snella, alta come lei.

Suonò al citofono che provocò l'apertura immediata del portone della palazzina del centro cittadino, decise di non prendere l'ascensore ma di salire le scale immediatamente al suo fianco così da fare un pò di movimento, l'appartamento in cui la Manager aveva lo studio era il medesimo in cui viveva.

Una volta raggiunto il piano preciso suonò al campanello dell'abitazione, e la trovò che era davanti la porta a giudicare dal tempo che aveva impiegato ad aprirle.

«Ciao Michiru, buongiorno!». Le disse non appena entrò nel suo campo visivo. Strappandole un sincero sorriso.

«Ciao Lisa». Rispose di rimando, mentre la proprietaria le fece segno di accomodarsi nella stanza dove sapeva ci fosse la scrivania con relativo computer e i vari archivi con tutti i documenti necessari per i concerti che lei e i Three Lights avevano fatto in quegli anni.

«Bene Michi dimmi tutto, cosa ti porta a farmi questa visita stamattina». Esclamò cordialmente, sedendosi dalla parte della scrivania opposta alla sua.

«Un semplice aggiornamento sull'organizzazione dell'evento della scuola di musica, chi offre la location ha già confermato? I fioristi che abbiamo chiamato cosa hanno detto? Chi si occupa del catering per il buffet finale invece? Abbiamo dei preventivi tra i quali scegliere?». Disse immediatamente, senza aspettare che l'altra rispondesse alla prima domanda.

«Chi offre la location al momento non ha ancora confermato, nessuno dei due. Ho già sollecitato entrambi stamattina sul presto perché non è possibile che dopo un mese ancora non sanno se darci lo spazio oppure no». Rispose.

«Se entro due giorni non ti danno risposte minacciali che se continuano così perdono la possibilità di vedere assegnato l'incarico e quindi la possibilità di guadagnare la cifra che abbiamo messo a disposizione per l'affitto insieme alla scuola». Ordinò rigidamente.

«Sarà fatto, se non mi danno risposte». Confermò la donna. « Per quanto riguarda il fiorista lui ha confermato ed è disponibile come al solito, mi ha detto di chiamarlo non appena sappiamo qual'è la location così va a vederla e cerca di organizzare qualcosa di bello e che rispetti le nostre esigenze economiche ed estetiche senza problemi. Per quanto riguarda il catering invece, abbiamo già dei preventivi che se hai tempo ti faccio vedere altrimenti te le invio via email e stasera li guardi con calma e scegli tu in base a ciò che ritieni più opportuno così confermiamo all'interessato l'impegno».

«Mandameli via email, così magari li vede anche Seiya e può dare un parere anche lui grazie».

«Poi è arrivata stamattina una partecipazione a un concerto di beneficenza a Luglio, esattamente il giorno dopo quello che già sto organizzando io. Ho risposto che te ne avrei parlato e che avremmo dato una risposta più avanti poichè avevi altre date già fissate e che non potevi più spostare».

«Hai fatto bene, evento di beneficenza per cosa?». Chiese incuriosita.

«Se non ho capito male il ricavato verrà utilizzato per il rinnovo del reparto di pediatria dell'ospedale, è un evento di alta classe a cui parteciperà buona parte dell'alta società cittadina». Spiegò in breve.

Ci risiamo con gli eventi aristocratici, pensavo di esserne uscita già da un bel po', a quanto pare non è così anche se ho tentato di uscire dal giro senza che il mio cognome influenzasse chi mi sta intorno.

«Confermo che daremo più avanti la risposta per la mia partecipazione anche se, ora come ora, è più un no che un sì un concerto dopo l'altro per le prove è molto impegnativo e non so se riesco a seguirle entrambe. Ho anche una famiglia a cui pensare». Una famiglia che già trascuro abbastanza ultimamente.

«Certo Michi, non preoccuparti». La rassicurò lei, capendo alla perfezione la posizione dell'amica. Si perché sebbene lei fosse una sua dipendente il rapporto che avevano era molto simile all'amicizia, dopo tanti anni era inevitabile entrare in confidenza come lo avevano fatto loro. Senza incrinare il rapporto lavorativo nonostante le discussioni su ambo i fronti.

La violinista si limitò ad annuire.

« Vuoi fermarti da me a mangiare? Sempre che Seiya non ti reclami per se stesso». Le fece l'occhiolino.

«No lavora tutto il giorno lui quindi accetto molto volentieri il tuo invito». E nonostante fosse ancora relativamente presto, il suo stomaco già iniziava a sentire il morsi della fame.

«Bene, andiamo in cucina allora così chiacchieriamo un pò senza tutto questo lavoro di mezzo». Si alzò e le fece segno di seguirla, era stata una miriade di volte in quella casa nel corso degli anni, ma grazie all'estrosità della sua proprietaria ogni volta che ne varcava la soglia c'era qualcosa di diverso. Un mobile, un quadro, un lampadario. Niente era mai uguale alla sua visita precedente.

 

 

***

 

«Si va bene ti chiamo appena ho finito così mi passi a prendere, vado che sono già in ritardo quasi, a dopo Mamo-chan». Salutò il bruno prima di avviarsi verso l'edificio che le avevano comunicato via email, raggiunse l'ingresso della scuola già aperto e si fermò appena varcato per controllare se si ricordava bene l'aula sullo smartphone.

Bene ricordavo giusto. Pensò, aveva controllato almeno un milione di volte, ma come sempre quando era in ansia la memoria vaccillava, un pò come agli esami che aveva dovuto sostenere negli ultimi anni universitari.

Raggiunse l'ascensore e schiacciò il pulsante della chiamata rimanendo a fissare le porte in acciaio che aveva davanti, dopo pochi instanti il suono di arrivo le giunse alle orecchie mentre le porte si aprivano per permetterle di entrare.

Secondo piano.

Schiacciò il tasto corrispondente, respirò profondamente più volte per cercare di tranquilizzare se stessa sull'incontro che sarebbe avvenuto di li a breve. Non sapeva cosa aspettarsi da Michiru Kaioh, la violinista che da sempre aveva seguito grazie al padre che l'aveva iniziata all'amore per la musica classica in generale. Era in vece di questo amore che le era stato strasmesso che nove anni prima aveva deciso di intraprendere gli studi di pianoforte. L'anno dopo avrebbe conseguito il diploma di primo livello, e così poteva sfruttare entrambi per il lavoro.

Arrivata al piano seguì le indicazioni che si ritrovò davanti con le direzioni per le le aule, trovo subitò quella per raggiungere la sua e si incamminò lungo la strada. Scoprendo in tal modo che non era troppo lontana, quando la raggiunse scoprì che era ancora vuota, Michiru ancora non c'era ma faceva fieramente mostra di se al suo interno un bellissimo pianoforte a coda di colore nero. Accanto a lui un leggio da utilizzare in piedi e lungo la parete ve ne erano diversi sia chiusi che aperti.

Forza Usagi! Andrà tutto bene, se ti hanno scelta e perché sei in grado di affrontare e portare a termine questo impegno nel migliore dei modi.

Pensò, mentre si avvicinava allo strumento, accarezzandolo dolcemente. La superficie liscia e fredda le donò una piacevole sensazione, che contribuì a calmarla leggermente.

Appoggiò la borsa a una delle sedie poco lontane e si sedette in quella affianco in attesa. Fisso l'orologio appeso al muro, mancavano pochi minuti all'appuntamento: tutto sommato era arrivata abbastanza puntuale, nonostante tutto. Aveva pregato Mamoru di non rivelare l'identità dell'artista a sua sorella, per non destabilizzarla nuovamente a quella notizia. L'ambiente era molto semplice e le ricordava vagamente la stanza di un ospedale se non fosse stato per l'ampiezza necessaria a contenere le sedie per le lezioni e il pianoforte.

Ne aveva seguite parecchie in quella classe durante i suoi anni di corso, e certamente ne avrebbe seguite ancora durante l'ultimo anno che avrebbe iniziato a settembre.

«Usagi?». Una voce la sorprese tra i suoi pensieri, le era familiare. L'aveva sentita più volte in televisione in tutti quegli anni, era simile a quella che aveva percepito negli unici due incontri con lei molti anni prima, solamente più matura e non più da ragazzina.

Si alzò in piedi leggermente imbarazzata per non averla vista prima che le arrivasse così vicino, e la trovò in piedi a metà del corridoio tra le sedie.

«Buona sera, Miss Kaioh ». Esclamò guardandola negli occhi, azzurro cielo contro il blu delle profondità marine.

«Suvvia Usagi, credo sia abbastanza insensato darci del lei tra noi». La riprese la violinista.

Ecco Usagi hai già fatto la tua prima brutta figura, avanti così!

«Scusami, ecco io...pensavo fosse educato darti del lei in fondo non ci conosciamo poi così bene». Mormorò visibilmente imbarazzata.

«Non fa niente, mettiamoci al lavoro piuttosto, che come certamente saprai le cose da fare sono davvero tante e il tempo è pochissimo». Rispose sbrigativa la giovane donna. Lei si limitò annuire, per poi farle spazio e farla passare per raggiungere il pianoforte.

«Si certamente sono pronta per lavorare sui brani fin quando lo riterrai opportuno». Esclamò lei entusiasta, non aveva la più pallida idea di come fosse Michiru come insegnante, severa? buona? Impaziente?

Beh, dopo tutto lo scoprirò molto presto.

«Sono contenta di sentirti parlare in questo modo; non so se la mia agente ti ha già accennato via email che uno dei due brani è un inedito scritto appositamente per l'occasione dalla sottoscritta, si tratta di un incrocio tra l'Inverno di Vivaldi e Let it go di Frozen il cartone della Disney. Per questo motivo sarà eseguito alla fine del concerto come ultimo brano, l'altro è solo una cover di una canzone già esistente e la eseguiremo all'inizio. Ora ti farò sentire io la parte di pianoforte dell'inedito, perché è quello su cui mi preme lavorare maggiormente poiché alcuni passaggi sono molto complessi». Le spiegò, sedendosi al pianoforte.

 

Circa cinque minuti più tardi l'ultima nota lasciò le corde del pianoforte riportandola con la mente nella stanza, era onorata di essere la prima a suonarla al di fuori della violinista, ma dopo aver ascoltato il brano la consapevolezza che non era banale, la investì in pieno: avrebbe dovuto esercitarsi parecchio per rendere fluida l'intera esecuzione. E questa nuova incombenza le avrebbe tolto tempo prezioso alla tesi.

«Bene, ecco tutto come ti è sembrato?». Si sentì chiedere dall'altra. Riflettè un secondo sulla domanda, cosa le poteva dire per non sembrare banale o sfacciata?

« Credo sia un bellissimo brano, però ho già percepito alcuni passaggi su cui dovrò lavorare molto, ma non mi spaventa assolutamente il lavoro che dovrò farci sopra. L'altro brano qual'è?». Chiese a sua volta.

«Molto bene». Le sorrise «L'altro brano - come ti dicevo - è una cover; si tratta di Titanium di David Guetta, è un brano moderno che probabilmente conoscerai già».

Eccome se lo conosco! Ma non avevo mai pensato a una cover per violino e pianoforte.

«Certo la conosco, mi è capitato di ascoltarla spesso». La fissò nuovamente negli occhi, e non potè far a meno di notare di quanto fossero diversi da quelli che ricordava di molti anni prima. Se prima erano dolci e quasi timidi, ora erano più freddi e malinconici. Erano gli occhi di una persona che sicuramente doveva aver sofferto molto e che soffriva ancora.

Chissà cosa la tormenta..

«Se la conosci evito di suonarla, ora ti lascio una decina di minuti per leggerti la prima facciata degli spartiti poi iniziamo a provare la prima pagina». Le disse la violinista alzandosi dal piano. «Preferisci che ti vada a prendere un metronomo per il tempo? Ti può aiutare?».

«Si se è possibile forse è meglio, almeno per le prime volte poi posso benissimo farne a meno, se non è disponibile va bene così. So suonare anche senza ormai». Le rispose osservandola sparire nel corridoio.

 

***

 

« Buon pomeriggio ragazze». La voce di Hotaru interruppe Setsuna che parlava animatamente con Haruka. La brunetta si chinò ad abbracciare Haruka, le era mancata tantissimo. Gli anni in cui era stata fuori per lavoro erano sembrati non passare mai, nonostante il loro gruppo fosse rimasto unito, mancava quella marcia in più che permetteva di spingerlo al massimo. Con l'ingresso nell'età adulta, poi, si era inerosabilmente sgretolato e al di la di una chiamata al computer settimanale con le altre sentiva di non condividere più nulla. « Mi sei mancata Ruka». Mormorò stringendo ancor di più la stretta.

« Lo so, in questa città sono proprio indispensabile, come avete fatto tutto questo tempo senza di me, senza la stella sublime delle strade di Kyoto». Rispose la bionda ponendo particolarmente enfasi nel discorso che aveva appena fatto. Setsuna si limitò a volgere gli occhi al cielo: inutile Ten'o non sarebbe mai cambiata, ogni piccola occasione era buona per gonfiare il proprio ego.

«Non ti gonfiare troppo, che poi rischi di scoppiare». La riprese con un sorriso stampato in volto. «Beh...raccontaci un pò, sei riuscita a fare conquiste oltre oceano? Non vediamo l'ora di conoscere la tua fidanzata».

«Sets.. lo sai che non mi interessa nessuna, non mi interessano proprio le storie serie ora come ora. Basta che io vada in un locale, faccio due moine e la ragazza di turno manda a puttane la propria sessualità e viene a letto con me anche se sono una donna. Chi me lo fa fare di impegnarmi in qualcosa di serio...». Spiegò lei, la verità è che ancora non le era andata giù la non storia avuta anni e anni prima con Michiru. Il non essersi chiarite, il soffrire così tanto nel primo periodo negli Stati Uniti, solo per salvare la carriera di sua madre messa a rischio dalle reazioni della famiglia di lei.

« Sei sicura che ci sia solo questo sotto, amica mia?». Disse Setsuna, senza nascondere uno sguardo tra il preoccupato e l'apprensivo. Aveva il sentore che la causa del suo comportamento non era esclusivamente il non volersi impegnare.

Glielo leggeva negli occhi, la conosceva troppo bene.

« Si ragazze, davvero la motivazione è quella non ci sono altri motivi.. davvero. Piuttosto voi cosa mi raccontate?». Sapeva che Hotaru si era finalmente fidanzata, mentre Sets ormai lo era da anni.

«Oh.. a me va davvero bene, sto benissimo con lui davvero molto dolce». Esclamò Hotaru, dopo aver bevuto un sorso dal suo bicchiere. « Con il lavoro anche va tutto bene sono molto soddisfatta, alla fine sto lavorando nel campo per cui ho studiato anni e anni quindi non potrei essere più felice di così».

« Potrei dire la stessa cosa anche io, forse andiamo a convivere se tutto va bene».

La bionda spalancò gli occhi, Setsuna era sempre stata quella single del loro gruppo, tanto che lei sospettava che li sotto avesse le ragnatele. Spesso quando erano più piccole l'aveva presa in giro perché non trovava nessuno che la sopportasse; ora finalmente anche lei aveva trovato la sua strada e le sembrava così talmente strano.

« Addirittura andrai a convivere? Sono felice per te, certo che deve essere proprio un santo, lui, per essere in grado di sopportarti». La prese in giro.

«Tzè, senti chi parla, anche sopportare te non deve essere affatto semplice, chissà se troverai mai una che ti sopporta a trecentosessanta gradi». Rispose piccata. «Nel caso sarebbe un vero miracolo».

Una che mi sopporta io l'avrei già trovata, ma purtruppo il destino per noi ha voluto diversamente, e non penso che riuscirò a trovarne una al pari della sua altezza. Non quando ogni tre per due me la ritrovo in televisione, ascoltando i successi della sua carriera musicale. Pensò, rabbuiandosi leggermente. Sperò con tutta se stessa che le altre non se ne accorgessero.

«Buona sera cosa ci fate qui?». Una voce maschile e ben conosciuta dal trio irruppe nel discorso. Haruka si voltò a guardarne la fonte e trovò davanti ai suoi occhi proprio lui, Mamoru, lo guardò incuriosita: sapeva che avrebbe dovuto passare a prendere la sorella alla fine delle prove.

«Niente una reunion con la nostra latitante fancazzista preferita». Rispose la brunetta più piccola sorridendo.

«Senti Haruka, mi sono fermato a bere qualcosina, purtroppo ho avuto un emergenza al lavoro per un caso della massima importanza e non posso passare a prendere Usagi, puoi andarla a prendere te? Magari l'aspetti nel giardino, e le mandi un messaggio così sa che deve cercare te e non me quando esce». Si premurò di chiedere e spiegare, nella paura che l'altra incontrasse anche solo per sbaglio, Michiru.

Accidenti a te Usagi, che vuoi sempre fare le cose di nascosto senza dire la verità alle persone interessate. Speriamo che non mangi la foglia. Altrimeni si arrabbierà moltissimo, e io come al solito mi beccherò la ramanzina a causa tua.

«Si certo, per me nessun problema, doveva finire praticamente tra cinque minuti, sarà il caso che io mi dia una mossa o non ci arriverò mai. Magari Mamoru mandale un messaggio per avvisarla». Si alzò dal tavolo che aveva condiviso con le altre, decisa a pagare per tutti. Dopo essersi diretta alla cassa, uscì diretta alla moto.

 

***

 

I suoi occhi le caddero sull'orologio che era attaccato alla parete, e si accorse solo in quel momento di quanto fosse tardi. Avevano sforato di quasi quaranta minuti sulle due ore concordate via email. Avrebbe dovuto avvisare Yaten del ritardo mostruoso che avrebbe fatto nel recarsi a casa sua, per fortuna il cognato era un musicista quanto lei ed era perfettamente a conoscenza di quanto a volte il tempo sfugga di mano durante le prove. Usagi poi era davvero brava, aveva dovuto correggerla pochissime volte nell'arco di tempo, eseguiva le prime righe della melodia già in modo piuttosto accettabile, ed era contenta che le avessero affidato lei: se fosse stato qualcuno di meno dotato ci sarebbero stati sicuramente dei problemi.

«Usagi, direi che per oggi possa andare bene così. Io direi di vederci tutti i giorni sempre a questa ora, cerca comunque di esercitarti e studiare anche a casa, ti lascio la domenica libera così stacchi la spina; ovviamente se per te va bene e non lavori a tua volta».

Portare avanti la tesi sara un grosso problema con questi ritmi, ma devo farcela non ho altra scelta. Piuttosto sto sveglia la notte per studiare e scriverla.

«Certo per me va più che bene, capisco che i tempi siano molto ristretti». Rispose alzandosi dal pianoforte, prese poi gli spartiti e glieli porse mentre la violinista era girata di schiena. «Tieni, questi sono tuoi credo».

«No tienili pure, devi esercitarti e ti servono me li ridarai alla fine del concerto. Mi fido, non credo che tu possa spacciarli per tuoi». Le disse senza voltarsi, intuendo che le aveva porso i fogli.

La sua attenzione fu catturata dai passi che risuonavano in corridoio, cosa al quanto strana, la struttura sapeva per certo essere deserta perché lei stessa aveva un paio delle chiavi per chiudere al termine delle prove.

Anche Usagi sentì i passi che rimbombavano nel silenzio dell'edificio, passi che per lei erano familiari.

Sarà sicuramente Mamoru che mi viene a cercare perché ho fatto così tardi e nemmeno gli ho risposto al cellulare. Sorrise dolcemente al pensiero di quanto lui si fosse preoccupato.

«Usagi». Si sentì chiamare da una voce che effettivamente conosceva, ma che non era certamente quella del bruno di cui era perdutamente innamorata. A sentire quella voce sentì l'agitazione invaderle le membra, che cosa avrebbe potuto inventarsi ora?

Michiru a sentire il nome si immobilizzò con alcuni fogli a mezz'aria, sospesi tra la superficie del pianoforte e la cartellina in cui li stava riponendo con cura. Quella voce.. le suonava nuova e allo stesso tempo familiare. Sopratutto le aveva dato la sensazione di appartenere a un passato che con difficoltà aveva cercato di dimenticare e lasciarsi alle spalle, sentì improvvisamente il cuore in gola. Avrebbe voluto non girarsi, perché la consapevolezza di chi poteva trovarsi davanti la spaventava.

Sapevo che sarebbe dovuto capitare, prima o poi, ma non pensavo così presto. Non il primo giorno di prove.

Respirò a fondo, e poi spinse il suo corpo a voltarsi in direzione delle due ragazze, forse con più foga di quanto avrebbe voluto, causando così la caduta dei fogli che aveva appena finito di riporre sul pavimento.

«Accidenti». Mormorò a se stessa.

«Vuoi che ti aiuti Michiru?». Si sentì chiedere da Usagi, nel tentativo di rompere la tensione che si era venuta a creare.

«Faccio da sola, grazie». Rispose bruscamente «Forse è il caso che tu vada, visto che ti sono venuti a prendere». Disse gelida. Si sentì in colpa per come le aveva risposto, ma non poteva farsi vedere amichevole in presenza di lei.

«Hai ragione, beh io vado allora ci vediamo domani». Disse la biondina coi codini prima di avviarsi verso l'uscita della stanza. Il silenzio piombò nuovamente al suo posto, e si sbrigò a raccogliere tutti i fogli, non avrebbe sopportato rimanere li un minuto di più: avvertiva gli occhi dell'altra su di se. E odiava essere fissata.

Dopo pochi minuti si diresse verso la porta, dove la bionda ancora era ferma immobile, a bloccarle il passaggio.

«Mi puoi far passare per favore?». Le chiese cercando di avere la voce più ferma possibile, guardando al di sopra delle spalle dell'altra, ma non negli occhi.

«Michiru..aspetta, potremmo parlare. Davvero io non avevo idea che mia sorella duettasse con te..». Provò a spiegarle l'altra. Cercando di ignorare la freddezza con cui si era rivolta, era ancora più bella di quanto in realtà ricordasse. Aveva tutte le forme al punto giusto.

«Non ho tempo da perdere, tua sorella ti sta aspettando fuori e credo che tu debba raggiungerla. Non abbiamo nulla da dirci». Rispose. «Adesso se non ti dispiace lasciami passare». Chiese una seconda volta, senza ottenere risultati, fu così costretta a farsi strada dando uno spintone contro l'altra e passare tra il suo corpo e lo stipite della porta. «Ti conviene uscire, ti lascio giusto il tempo che mi serve per riporre alcuni documenti in sala insegnanti, poi ti chiudo dentro sei avvisata». Disse a voce sufficientemente alta in modo da essere sentita. Accelerò poi il passo per scendere giù dalle scale prima che l'altra la raggiunsesse.

 

***

 

Suonò al campanello dell'abitazione del fratello del marito con un'ora piena di ritardo come aveva immaginato nel momento in cui aveva acceso il motore della macchina nel parcheggio della scuola. Si era presa un pò di tempo prima di ritornare lucida a seguito dell'incontro fatto tra le mura dell'edificio, complice la stanchezza per la notte passata insonne tra le lenzuola. Alle sue orecchie giunse la voce di Seiya, che informava gli altri che molto probabilmente lei aveva fatto il suo arrivo presso l'abitazione. Fu proprio lui ad andare ad aprirle, e lo vide comparire dopo pochi istanti sulla soglia della porta.

Non gli disse nulla, si limitò solamente ad alzarsi sulle punte per unire le proprie labbra con le sue.

«Buona sera». La salutò prima di farsi di lato per farla passare.

«Scusate il ritardo, le prove sono andate talmente bene che il tempo è volato davvero, lo studente che mi hanno assegnato è davvero bravo». Esordì una volta entrata. In fin dei conti era la verità, tolto il fatto che era una studentessa.

«Mammaaaaaaa». Una voce di molto sopra i decibel della normalità le spaccò i timpani, prima che una stretta si facesse sentire alla gamba. Costringedola a dare le attenzioni che le erano state richieste.

«Ciao amore». Si chinò quel tanto che bastava per prenderla in braccio, la bambina si limitò ad abbracciarla più forte che potè mentre la fissava con i suoi occhi blu, una fotocopia dei suoi circondati da una cascata di capelli neri e mossi. Molto più mossi dei suoi. «Hai fatto la brava dagli zii?». Le chiese rivolgendosi più che altro agli adulti nella stanza. Domanda a cui la bimba rispose muovendo la testa in senso affermativo, prima di agiratarsi costringendola a farla scendere per permetterle di tornare a giocare.

«Tutto a posto Michiru, vostra figlia è davvero una bimba d'oro siete davvero dei genitori fortunati, apparte tutto». Le rispose Alyssa, la compagna di Yaten, nonché l'unica amica che si era riuscita a creare in quegli anni tolta Lisa.

«Aly, vedrai che anche il vostro bambino sarà meraviglioso». La rincuorò lei facendo cadere lo sguardo sull'addome leggermente più rotondo dell'altra. «Avete avuto problemi con la terapia?». Chiese apprensiva.

«No, qualche storia, ma è normale è piccola Michiru. E affronta tutto questo con un'allegria disarmante». Si intromise Yaten.

«Mio fratello mi stava giusto dicendo se vogliamo fermarci a cena, visto che ormai sono quasi le sette, Alyssa stava giusto iniziando a preparare la cena». Le disse suo marito.

«Siiiii, per favore mamma». Urlò di nuovo sua figlia, e come poteva dirle di no?

«Se non è troppo disturbo volentieri, però Alyssa lascia che ti dia una mano a preparare, meglio se non ti sforzi troppo nelle tue condizioni». Non aspettò una risposta dall'amica, ma si diresse direttamente in cucina, per lavarsi le mani e legarsi il grembiule che loro stessi avevano regalato qualche anno prima a Yaten per spingerlo a migliorarsi in cucina. Dovette passare due volte la cintura alla vita per stringerlo a dovere.

 

***

 

Arrivò dalla moto che era totalmente furente con la sorella, al pensiero che quella stessa mattina le aveva detto che non era importante il nome dell'artista con cui duettava, ben sapendo che era la Kaioh. Quandp era entrata nell'aula era rimasta a dir poco basita nel riconoscere la sagoma che più volte aveva visto alla televisione.

«Haruka..». Mormorò sua sorella non appena la vide comparire, intuendo dall'andatura utilizzata per raggiungerla la sua arrabbiatura nei suoi confronti.

«Stai zitta Usagi». Rispose aggressiva, mentre apriva la sella della moto per porgerle il suo casco.

«Scusami, io te lo avrei detto ma non oggi, più avanti». Continuò ignorando la richiesta dell'altra.

«Oh si, e io ci credo». Il tono ironico che non faceva presagire nulla di buono. «Mamoru suppongo che era a conoscenza di tutto visto che mi ha intimato di aspettarti fuori nel caso tu facessi tardi. E per fortuna ho fatto di testa mia come al solito! Altrimenti quanto lo avrei scoperto? Al concerto forse, probabilmente.» Era amaraggiata dal comportamento di lei, e turbata per il modo in cui Michiru l'aveva trattata. Ben diverso da quello che ricordava. Indossò bruscamente il casco senza aspettare che sua sorella le rispondesse, e montò in sella immediatamente seguita dall'altra. Aprì il gas non appena la sentì cingerle la vita per non cadere e si avviarono verso casa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Mantieni la calma! ***


Note dell'autrice: Non ho molto da dire su questo capitolo, vi auguro solo buona lettura.

 

Capitolo 3: Mantieni la calma!

 

Continuava a fissare quello che aveva nel piatto da circa una decina di minuti, mentre gli altri parlavano del lavoro affrontato durante la giornata; il sushi a lei era sempre piaciuto, fin da quando era piccola ne aveva sempre mangiato in grandi quantità e in tutte le salse ma in quel momento la fame era minima. Complici la stanchezza che aveva iniziato a sentire appena si era seduta a tavola dopo aver aiutato Alyssa a cucinare, a cui si unì la preoccupazione che era nata in lei alla vista di Haruka quel pomeriggio. Non sapeva proprio cosa aspettarsi dalle prossime prove, l'avrebbe rivista? O la freddezza con cui l'aveva trattata sarebbe bastata a tenerla lontana?

In passato si era rivelata essere codarda, quindi probabilmente almeno che non fosse cambiata crescendo, non l'avrebbe più rivista fino alla fine del concerto.

«Tutto a posto Michi?». Le domandò Seiya, notando quanto poco avesse mangiato, e il continuo gioco della forchetta che muoveva nel piatto, era poi stranamente silenziosa e pensierosa quella sera. Di solito a casa di suo fratello era molto più energica e vitale.

«Si amore, sono solo stanca, ricordami quando arriviamo a casa di farti vedere i preventivi che mi ha mandato Lisa, mi servirebbe un tuo parere». Sorrise per rassicurarlo, e sempre con lo stesso scopo si decise a mettere in bocca un altro boccone di riso e pesce.

«Mi ha mandato già tutto Lisa via email, poi a casa ne parliamo». Si sentì rispondere, rimanendo sorpresa per l'ennesima volta di quanto fosse rapida sul lato pratico la loro manager.

 

***

 

La sera prima finalmente aveva deciso chi contattare per il rinfresco, mancava solamente la conferma da una delle tre location che avevano contattato per mettere in moto l'ultima parte della macchina organizzativa. Quella mattina si era dedicata totalmente alla figlia, lasciando da parte alcune email che le erano arrivate con varie richieste di collaborazione; così aveva scelto di arrivare prima in aula rispetto all'orario accordato con Usagi per rispondere a tutto prima di iniziare.

Inviò l'ultima e-mail proprio quando mancavano cinque minuti all'inizio della lezione, non sapeva cosa attendere da quelle due ore, più che altro non sapeva chi attendere a fine lezione; perché era sicura che Haruka non si sarebbe arresa dopo la condotta del giorno prima, anzi se un po' l'aveva inquadrata in passato si sarebbe intestardita il doppio anche solo per farle un dispetto.

Chiuse il portatile riponendolo nella sua borsa, per poi chiuderla e si avvicinò poi alla finestra appoggiandosi con la schiena alla coda del pianoforte. Doveva trovare una soluzione, non poteva permetterle di avvicinarsi ancora a lei. Sarebbe stato troppo pericoloso e l'ultima cosa che voleva e tornare indietro a quel periodo, una ricaduta in quel momento non poteva permettersela. Sua figlia aveva bisogno di lei, non di una madre che sembrava uno zombie e che non aveva nessun interesse per il cibo.

Si voltò quando sentì dei passi nel corridoio nella speranza di vedere comparire solamente Usagi sulla soglia della porta.

«Ciao Michiru». La salutò la pianista, sorridendo come sempre, un sorriso che arrivava fino ai vivaci occhi azzurri.

«Ben arrivata, sistemati pure con comodo, così iniziamo». Le disse, prima che nel suo campo visivo entrasse un'altra figura, più alta della prima con una giacca di pelle e una maglietta bianca leggermente attillata addosso.

No per favore, non ci posso credere!

Sbiancò immediatamente non appena realizzò il proprietario, o meglio la proprietaria, di quel corpo.

«Cosa sei venuta a fare?». Domandò bruscamente, mentre Usagi prendeva il suo posto nella stanza in silenzio. L'altra entrò subito dopo avvicinadosi a lei.

«Non posso ascoltare mia sorella suonare?». Si sentì rispondere, non poté trattenere un gesto stizzito. Sì, e io ci credo!

Si voltò furente per raggiungere il pianoforte dove la biondina si era già sistemata, doveva per forza ignorare la presenza della sorella maggiore se voleva tenere una lezione decente con la più piccola delle Tenoh

«Mi fai sentire il pezzo che abbiamo fatto ieri? Poi andiamo avanti di un'altra facciata». Le disse prendendo una matita da usare per batterle il tempo al posto del metronomo già occupato da un'altra lezione.

Usagi annuì, si era esercitata molto anche a casa il giorno precedente e, sebbene in un punto aveva un po' di difficoltà, le sembrava di essere migliorata molto; nonostante le sue impressioni sapeva che l'ultima parola sarebbe spettata alla violinista, quindi, senza esitazioni, iniziò a suonare.

 

 

Un'ora più tardi avevano fatto circa metà della seconda facciata di spartiti, con alcune difficoltà da parte sua a rimanere concentrata per via degli occhi che si sentiva costantemente puntati addosso.

Nonostante fosse abituata a sentirsi guardare, visti le centinaia di concerti che aveva condotto, quelle iridi verdi la mettevano a disagio e non poco. Doveva trovare una soluzione, altrimenti sarebbe stato tutto tempo sprecato e poco produttivo da parte sua.

«Usagi direi di fare una pausa, se vuoi vai pure a prenderti qualcosa dalle macchinette al primo piano dovrebbero essere ancora in funzione». Esclamò nel tentativo di rimanere sola e parlare a quattro occhi con Haruka.

«Ehm sì, in effetti ho una discreta fame. Vuoi per caso che ti porti qualcosa anche a te? Ne approfitto anche per andare in bagno se non ti dispiace. E' da stamattina che sono fuori di casa». Si alzò per dirigersi verso la borsa per prendere il portafoglio, poi si diresse verso l'ingresso della stanza sparendo poco dopo.

La violinista aspettò qualche istante, prima di parlare in modo che si fosse allontanata sufficientemente da non poter sentire eventuali discussioni.

 

Osservò Michiru chiedere a sua sorella se aveva bisogno di una pausa, proposta che Usagi accolse in pieno. Conoscendola non avrebbe potuto fare altrimenti, golosa com'era , obbiettivamente doveva ammettere che il brano della musicista era particolare e bello, l'idea che aveva avuto nell'unire un pezzo di musica classica con uno dei famosi brani di Frozen era senza dubbio originale.

Aveva intuito, osservandola, che la sua presenza in quella stanza non la metteva decisamente a suo agio, le era sembrata agitata per tutto il periodo delle prove, anche quando impartiva correzioni la sua voce era poco ferma. Ben lontana da quella che la caratterizzava in tv.

«Mi dici perché sei venuta qui oggi?». La sua voce le arrivò tagliente più che mai a interrompere le sue elucubrazioni, la fissò qualche momento in totale silenzio.

Cosa poteva dirle ora?

«Te l'ho già detto, sono qui per ascoltare le prove di mia sorella. Non penso sia un reato, credo che io abbia tutto il diritto di farlo». Le rispose in tutta tranquillità, piantando il suo sguardo nel suo.

«E tu pensi che io ci creda?». Ribatté, sicura che in realtà le sue motivazioni erano altre.

«Puoi crederci oppure no, io non so cosa dirti, e non è una cosa che mi riguarda quello che pensi tu». Portò le mani al petto con fare strafottente.

Hai messo su un bel caratterino Michiru, sarà interessante interagire con te in seguito. Pensò, cercando di non sorridere all'idea che le si era formata nella mente.

«Credo che mi riguardi eccome nel momento in cui lede la mia tranquillità, ti chiedo il favore di non venire più alle prove». Il tono della voce divenne improvvisamente più basso.

«Non costringermi a segnalare la tua resistenza alla scuola non ho intenzione di farlo. Voglio vedere le prove di mia sorella e fine, quanti problemi ti fai. Se ti agiti prenditi la valeriana». Rispose tagliente. La guardò voltarsi verso la finestra per ammirare il panorama furente, poté giurare di aver visto un leggero tremolio della mano che aveva chiuso a pugno per il nervosismo.

Il fatto di non esserle totalmente indifferente le piacque molto, voleva dire che nonostante il suo passato comportamento la violinista non l'aveva dimenticata totalmente. E ciò poteva rivelarsi una carta a suo favore, i passi di Usagi risuonarono nel corridoio segno che quel loro scambio di battute era giunto al termine.

 

Poco dopo la biondina coi codini fece capolinea dalla porta dell'aula stringendo in mano il bicchierino per Michiru.

«Tieni Michiru». Esclamò, cercando di far finta di nulla, percependo la tensione nella stanza al suo arrivo.

«Grazie Usagi». Rispose lei, girandosi poi a cercare il portafoglio per restituire i pochi centesimi del caffè.

«Usa, te li do io per il caffè di Michiru». La voce di Haruka risuonò nuovamente in quella stanza, risuonando– al di la della cortesia – come una dichiarazione di guerra.

«Non è necessario, ho la possibilità di restituire e pagare per ciò che compro o vendo». Ribatté gelida, non poteva permetterle di farlo, non voleva essere in debito con la bionda, la sua presenza le stava decisamente facendo saltare i nervi.

«Insisto Kaioh, e dovresti sapere che io ottengo tutto ciò che voglio». Sorrise.

«Non sembrerebbe visto che in passato sei scappata come un coniglio». Si avvicinò a Usagi fin troppo velocemente, presa dal nervoso che l'insinuazione di Tenoh aveva provocato in lei, non si accorse per tanto del cavo nero che attraversava la stanza e che il giorno prima non c'era, probabilmente a causa di prove con qualche strumento elettrico. E fu un attimo, per lei, volare in terra inciampando rovinosamente in esso, istintivamente mise avanti le mani per proteggere il viso dall'impatto con la fredda superficie sotto di lei, e la fitta che sentì al polso destro non le piacque per niente.

Non riuscì a trattenere un gemito per il male acuto che le prese la maggior parte del braccio.

Il pensiero che potesse essere successo qualcosa di poco piacevole al suo polso le attraversò la mente, e fu subito scacciato per non agitarsi troppo.

«Tutto a posto?». Nel suo campo visivo fecero capolinea due occhi verdi circondati da capelli biondi come il grano, che le tesero la mano per aiutarla ad alzarsi. «Dovresti fare più attenzione, una violinista come te dovrebbe stare attenta a non arrecare traumi a polso e spalle, ma sopratutto dovrebbe stare attenta a dove mette i piedi quando cammina». Si sentì dire, mentre l'altra sorrideva.

Un sorriso che lei trovò ai limiti della strafottenza e decisamente odioso. Fissò indecisa la mano che quella le porse per aiutarla ad alzarsi, e senza pensarci le porse a sua volta proprio il polso da cui era partito il dolore al momento dell'atterraggio. Costringendola a soffocare con troppi risultati un altro lamento per il male.

«Ti fa male Michiru?». Le chiese. «Fammi vedere, che di distorsioni e cadute io nel motociclismo ne vedo parecchie». Senza aspettare un accenno positivo da parte dell'altra le prese l'esile braccio e provo a muovere delicatamente verso l'alto e il basso la parte offesa.

«Mi fa male, puoi evitare per favore..non è piacevole». Mormorò mortificata lei, con gli occhi che le pizzicavano per il male che le stava arrecando.

«Scusami, ma è l'unico modo per valutare la questione, guarda si sta già gonfiando non dovrebbe essere rotto ma meglio se andiamo in ospedale».

Quell'andiamo non le piacque per nulla.

«Guarda ho giusto la macchina parcheggiata qua fuori, posso andare con quella». Disse togliendo il polso dalla presa dell'altra per portarselo al petto, non aveva nessuna intenzione di farsi accompagnare.

«Guarda che non ti conviene guidare in queste condizioni, come farai a cambiare le marce? Se vuoi ti accompagno con la tua macchina così una volta che hai finito torni a casa da sola». Le propose la bionda, guardandola fissa negli occhi.

Non sapeva davvero cosa inventarsi per declinare quell'ennesima offerta d'aiuto, ma non poteva accettarla.

«Grazie della disponibilità Haruka, ma preferisco di no». Si rivolse dunque a Usagi. «Per oggi meglio concludere qui la lezione, continua a esercitarti, su queste nuove pagine».

Si diresse verso la borsa e la cartellina degli spartiti per metterli a posto, poi introdusse quest'ultima nella borsa e prese le chiavi della macchina abbandonate sulla scrivania.

Aspettò la biondina con i codini e poi seguì lei e la sorella fuori dall'edificio, era presto. «A domani Usagi, mi raccomando esercitati oggi pomeriggio e se riesci anche stasera». Dopo un cenno di saluto, fatto per educazione, si diresse verso la sua macchina, il dolore al polso più acuto. Forse Haruka aveva ragione, sarebbe stato difficile per lei guidare in quelle condizioni.

Cercò quindi il telefono nella borsa, non le rimaneva che chiamare Seiya per farsi andare a prendere, compose il numero e rimase in attesa della risposta del bruno che non tardò a farsi udire.

«Dimmi tesoro». La sua voce le solleticò il timpano provocandole un dolce sorriso.

«Ascolta, sono caduta durante la lezione e ho battuto male il polso destro, non riesco a guidare fino al pronto soccorso potresti venire a scuola a prendermi?». Gli chiese, alla sua domanda seguirono alcuni istanti di silenzio.

«Cerco di liberarmi il prima possibile, chiedo a Yaten o Taiki se dovessi tirare per le lunghe». Le rispose. «Ti faccio sapere tra un pò».

«Ok vedo se trovo un passaggio, o altri colleghi che stanno facendo le prove, se qualcuno finisce prima chiedo a lui e magari mi raggiungi poi in ospedale». Sospirò spazientita da quella notizia, chissà quanto avrebbe dovuto aspettare in quella macchina.

«A dopo tesoro». La salutò lui prima di far cadere la linea. Posò il cellulare sulle gambe, e appoggiò la nuca al poggia testa: le stava salendo anche una forte emicrania, la giornata era sicuramente tra quelle da aggiungere all'elenco del dimenticatoio mentale in cui aveva chiuso tante esperienze passate.

«Qualcosa non va?». Una voce interruppe il silenzio sceso nell'automobile, due occhi verdi e divertiti fecero capolino dietro un paio di rayban neri leggermente abbassati da delle dita affusolate.

«No nulla, niente di preoccupante». Rispose secca, cercando di mantenere più distacco possibile.

«Io non direi Michiru, mi sembra di aver sentito chiaramente che non sanno quando possono venirti a prendere...». Lo sguardo percorse il profilo della violinista fino a fermarsi sulle labbra di lei. «E visto che quello è il polso di una violinista famosa, sarebbe il caso di non indugiare troppo per una visita, non trovi?».

«Direi che non sono affari tuoi, se e quando mi possono venire a prendere è affar mio e di nessun altro». Doveva però ammettere che l'altra aveva ragione, per la professione che svolgeva poteva rivelarsi pericoloso aspettare ore e ore prima di poter passare una visita.

«Dai su, scendi poche storie, passa sul lato passeggero ti accompagno io. E tranquilla non ci sto provando. Usagi torna a casa da sola senza problemi, abitiamo poco distante da qui». Ebbe cura di specificare, anche se non era totalmente sicura che quella affermazione corrispondesse al vero.

Vide la pittrice alzare gli occhi al cielo in segno di muta arrendevolezza concedendole così la sicurezza di aver vinto quella piccola battaglia; la osservò scendere senza guardarla in volto per poi far cadere come un peso morto le chiavi del veicolo nella sua mano sinistra. Pochi istanti più tardi era già nel sedile sinistro, con la cintura fissata a guardare fuori, in un tentativo che la motociclista percepì come un totale rifiuto nell'intrattenere un discorso. «Guarda che non mordo, te lo giuro!». Commentò dopo aver messo in moto l'automobile ed essere uscita nel traffico cittadino.

In tutta risposta ottenne silenzio.

Ma anche in passato Michiru era testarda e cocciuta? Non se la ricordava minimamente così, ma esattamente con il carattere contrario a quello che stava tirando fuori in quel momento.

E non poté negare a se stessa che, quel nuovo caratterino, le piaceva da impazzire.

«Pianeta Terra chiama Nettuno, rispondete!». Tentò nuovamente l'approccio, questa volta in modo totalmente diverso.

«Marte, era Marte il pianeta». La risposta automatica di Michiru non tardò ad arrivare.

«Oh si, lo so benissimo, ma vedi a te piace il mare..hai capelli che ricordano le onde marine. Nettuno credo sia molto più appropriato. Quindi si, confermo, pianeta Terra chiama Nettuno!». Controbatté, senza distogliere lo sguardo dalla strada.

Kaioh piegò la testa di lato perplessa, in effetti il ragionamento non faceva una piega, lei si era sempre sentita affine anche a Nettuno oltre che al mare; come non avrebbe potuto? Poseidone, in fondo, era il Dio del mare! Decise di non rispondere e lasciar cadere nel vuoto il discorso, non vedeva l'ora di essere lasciata in ospedale per togliersela di torno.

Dopo tutto non doveva intrattenere un discorso con la persona che le stava a fianco, ragion per cui si mise a ripassare mentalmente proprio il brano che aveva scritto per duettare con Usagi.

 

***

 

«Chi hai detto che ti ha accompagnata in ospedale?». La domanda di Seiya la colse di sorpresa, mentre prendeva il piatto della bambina da tavola seguito dai loro.

«In realtà non l'ho detto, mi ha dato un passaggio con la mia macchina una collega che abita in centro, ma inutile che ti dico il nome, tanto non la conosci. E non prenderà parte nemmeno al concerto di fine anno perché segue i corsi di avviamento alla musica per i bambini dai tre ai cinque anni oltre a suonare con l'orchestra del teatro come la sottoscritta». Non gli aveva mai mentito dopo l'incidente di tredici anni prima, in cui se l'era vista davvero brutta, e in precedenza tutte le bugie uscite dalla bocca erano state causate da Haruka, proprio come in quel momento.

Tenoh l'aveva lasciata come promesso in ospedale, parcheggiando la macchina nel giardino dello stesso, si era fermata fino a quando lei non aveva ricevuto la chiamata di Seiya ignorando il silenzio imbarazzato che si era creato tra di loro; tempo comunque troppo breve per sapere cosa aveva il suo polso.

Il dottore le aveva detto, dopo averle fatto fare i raggi, che era una semplice slogatura, sarebbe passata in una decina di giorni, a patto che fosse stata fasciata in tutto l'arco di tempo. Mangiare da mancina si era rivelato difficilissimo, non osava immaginare cosa avrebbe combinato nello scrivere gli spartiti per l'accompagnamento del suo brano con la mano sinistra.

Seiya annuì, preoccupato per il polso della moglie ma allo stesso tempo sollevato che l'arto non si era rivelato essere rotto.

«Come hai fatto a cadere?». Le chiese curioso.

«Oh...beh ero troppo assorta nel seguire la mia allieva che non mi sono resa conto di un filo che attraversa l'aula e sono inciampata su di esso. Ho messo le mani avanti per evitare di prendere una facciata e questo è il risultato». Rispose tranquillamente, in fin dei conti aveva detto quasi del tutto la verità, almeno per una volta.

«Stai attenta, poteva andar molto peggio lo sai». Fu il commento di lui. «Signorina è quasi ora di andare a dormire, che ne dici se andiamo a lavarci i denti e mettere il pigiama mentre la mamma finisce di mettere a posto la cucina?». Rivolse l'attenzione verso la bambina che annuì stanca, si alzò per prenderla in braccio e si diresse con lei verso l'area notte dell'appartamento.

Michiru non rispose a quell'eccessiva preoccupazione da parte di lui, in parte lo capiva perché anche lei aveva temuto il peggio visto il forte gonfiore, ma ad allarme cessato lo trovava troppo apprensivo. Soffocò un sonoro sbadiglio e iniziò a caricare la lavastoviglie.

 

***

 

Stesa sul letto della camera di quando era ancora ragazzina fissava il soffitto pensando agli avvenimenti di quel pomeriggio, quando aveva lasciato la pittrice in ospedale ancora non l'avevano visitata. In base all'esperienza che aveva maturato in quegli anni con gli infortuni il suo istinto le faceva escludere che lei si fosse rotta il polso, ma consapevole delle implicazioni che avrebbe causato una cosa del genere sperava di cuore che le sue sensazioni fossero giuste e che si trattasse solamente di una slogatura.

Ripensò al breve dialogo che avevano avuto in macchina, alla grinta sfoderatole contro con rabbia quasi immotivata, ma che lei aveva sensazione fosse legata al loro passato.

La situazione era davvero delicata, avrebbe voluto chiederle un chiarimento ma doveva prima fare in modo di avvicinarsi nuovamente a lei cosa che alla luce della giornata appena trascorsa non si sarebbe rivelata facile.

Avrebbe dovuto tirare fuori tutto il suo potenziale, al quale l'altra si era già rivelata vulnerabile quando erano entrambe solamente delle ragazzine.

«Haru, è successo qualcosa oggi quando sono andata a prendere da mangiare?». La voce di Usagi si fece spazio leggiadra tra i suoi pensieri costringendola a voltarsi nella sua direzione.

«No abbiamo solamente avuto uno scambio di opinioni Usa, niente di particolarmente importante». Si limitò a dire.

«Sicura? Perché Michiru mi è sembrata molto innervosita poi, ieri quando tu non c'eri non era così ma tutta il contrario, era molto dolce». Si voltò a pancia in su per posare il cellulare sul comodino dopo aver augurato la buona notte al suo Mamo - chan.

«Era innervosita dalla mia presenza, mi ha chiesto di non presentarmi più alle prove e le ho semplicemente fatto notare che assistere alle prove di mia sorella è un mio diritto. Problema suo se non accetta la mia presenza». Il tono piatto che utilizzò denotò forte indifferenza apparente.

«Pensavo fosse accaduto qualcosa di più grave». Mormorò la bionda avvolta dai suoi lunghi capelli sciolti.

«No tranquilla, ma domani rimarrò comunque a guardarti mentre suoni». Concluse prima di voltarsi dall'altra parte per cercare di prendere sonno, senza che i pensieri la turbassero ulteriormente.

«Stai attenta, non voglio che soffrì di nuovo». Si limitò a dire Usagi, prima di sistemarsi meglio sotto le lenzuola e spegnere la luce. «Buona notte Haru»

Non ottenne particolari risposte, solamente un grugnito che le fece capire che la sorella probabilmente era già nel mondo dei sogni.

 

***

 

«Buongiorno, sono la dottoressa Mizuno, aiuto il primario a portare avanti le visite quando ha troppi interventi in sala operatoria». Ami si presentò cordiale alle persone che aveva davanti per poi rivolgersi alla bambina che sedeva impaurita sulle gambe della madre. «Ciao signorina, io mi chiamo Ami tu invece come ti chiami?». Le chiese nel tentativo di metterla a suo agio, nonostante la malattia la segnasse visibilmente.

«Ciao dottoressa, io sono Nari.. Nari Kou». Disse piano la piccola stringendosi maggiormente contro il corpo della madre.

«Ma che brava questa bambina, mi hai detto anche il cognome.. allora sei pronta per fare la terapia?». Le chiese, più che altro rivolta ai genitori presenti.

«Si siamo pronti, prima iniziamo e prima finiamo». Fu Michiru a rispondere, la trasfusione era necessaria, anche se solo palliativa in attesa di quella chiamata che avrebbe risolto tutto. Serviva un donatore di midollo osseo, nella loro famiglia non era stata trovata compatibilità come sperava il primario, e così erano costretti a ricorrere alle trasfusioni periodiche, tra gli effetti collaterali un accumulo eccessivo di Ferro nell'organismo della figlia che poteva danneggiarle irreparabilmente gli organi interni.

Ma era l'unica soluzione che avevano al momento. La salute della bambina era tutto sommato stabile nonostante alcune crisi respiratorie e dolorose, e un'astenia persistente.

«Allora vieni come me signorina? O vuoi che venga anche la mamma insieme a te?». Chiese la dottoressa, cercando di mettere a suo agio il piccolo paziente.

«Vengo anche io se non le dispiace dottoressa». Rispose in automatico la violinista.

«Certo che no, sono sicura che questa bambina è davvero coraggiosa e non farà nessun capriccio». Ami si alzò per precedere fuori dalla stanza i tre, Kaioh la seguì dopo aver preso in braccio la figlia. Ormai il percorso per la camera trasfusionale lo conosceva a memoria, erano quasi nove mesi che si recavano in quel reparto, ossia da quando avevano scoperto che Nari soffriva di Beta Talassemia mediterranea, una malattia ereditaria legata al ramo beta dell'emoglobina. In accordo con il marito non avevano voluto fare l'esame genetico per capire chi era portatore della malattia senza manifestare nessun sintomo: entrambi sapevano che quella scoperta avrebbe potuto influenzare il loro rapporto e accentuare il loro senso di colpa.

Appoggiò la bambina sul lettino dove sarebbe dovuta rimanere per tutta l'ora successiva, per l'ennesima volta. Osservò la dottoressa prendere le sacche di sangue necessarie, il tubino con la farfallina su cui innestare l'ago e tutto il necessario per disinfettare alla perfezione il braccio prima di procedere.

«Allora Nari, ora sentirai pungere ma ti prometto che durerà poco così». Indicò la tempistica con le dita della mano sinistra facendole l'occhiolino. «Ti fidi di me piccola?». La bambina annuì con gli occhi lucidi, conoscendo già tutto ciò che le spettava nell'ora successiva. «Sono certa che sei una bimba coraggiosa e le bimbe coraggiose non piangono me lo prometti?». Un timido sorriso comparve sul viso della sua piccola paziente. Lei preparò l'ago necessario, e lo infilò nell'esile braccio.

Michiru appoggiata al muro della stanza poco lontana si morse il labbro a vedere la scena, la figlia ormai era talmente abituata a subire trasfusioni che al contrario delle prime volte in cui si disperava ora subiva passivamente con gli occhi pieni di lacrime. Occhi identici i suoi, quando si era affacciata al mondo le aveva promesso che l'avrebbe protetta da qualsiasi cosa, al contrario di quanto i suoi genitori avevano fatto con lei.

La promessa non era riuscita a mantenerla, era mai possibile che una bambina così piccola dovesse soffrire così tanto? La risposta era negativa, nonostante ciò, non era riuscita comunque a evitare che lei si ammalasse. Se avesse scoperto che era lei ad essere portatrice sana della malattia non se lo sarebbe mai perdonato.

Strinse forte il pugno, ignorando il dolore al polso fasciato. Il nervosismo era troppo forte per metterlo a tacere, e con lui anche il senso di colpa per quella situazione.

Non potendo fare altro che aspettare, tirò fuori gli spartiti che stava componendo per l'accompagnamento del pezzo che avrebbe suonato con Usagi e si sedette sulla poltrona accanto al letto della figlia, appoggiandosi sullo stesso per scrivere.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un caffè al bar ***


Note dell'autrice: Buona sera a tutti, anche per questo capitolo non ho molto da dire ma ci tenevo ad augurarvi buona Immacolata e, nel caso non riuscissi a pubblicare nulla per o entro Natale vi faccio gli auguri in anticipo rivolti principalmente a chi non segue la mia pagina su FB.

Buona lettura e a questo punto..ci si legge l'anno nuovo!

 

 

Capitolo 4: Un caffè al bar

 

«Non riuscirò a venirti a prendere quando finisci, te la senti di tornare in autobus con il polso in quelle condizioni?». La voce di Seiya interruppe i suoi pensieri volti alla consegna dell'accompagnamento che avrebbe dovuto portare a termine nei quattro giorni successivi per dare modo ai musicisti di imparare la loro parte, impresa non facile tenendo conto che buona parte del pomeriggio sarebbe andato perso con le prove di Usagi, e una volta arrivata a casa doveva pensare alla figlia e a preparare da mangiare.

Avrebbe dovuto stare sicuramente sveglia fino a tardi, nei prossimi giorni, se non addirittura fare delle nottate in bianco e non dormire proprio.

«Hai capito amore?». La voce del bruno si intromise nuovamente interrompendo il ritmo.

«Si non ti preoccupare, non ho nessun problema a farmi il pezzo in autobus o in taxi; non puoi e non devi mettere da parte il lavoro quando ci sono altre soluzioni. Stai tranquillo me la caverò sicuramente in qualche modo». Gli fece l'occhiolino, era decisamente ora di andare, in caso contrario sarebbe arrivata in ritardo lei, e avrebbe fatto arrivare in ritardo lui sul posto di lavoro. E nel bel mezzo dell'organizzazione di un concerto di quella portata poteva rivelarsi contro producente, i Three Light si sarebbero esibiti da li ad una settimana nel concerto più atteso di quell'estate che stava per incominciare, questo volta lei non avrebbe partecipato. Conciliare tutto era ben sopra le sue umane possibilità.

Gli diede un leggero bacio sulle labbra, e scese dall'automobile dirigendosi verso l'ingresso dell'edificio, da una finestra aperta proprio al di sopra dell'entrata principale si disperdeva nell'aria la melodia di un pianoforte che lei riconobbe come un pezzo di Mozart suonato sicuramente da qualche allievo che si stava preparando al saggio di fine anno.

Vista la mole di lavoro per il concerto con gli allunni più meritevoli, quell'anno lei non avrebbe seguito la preparazione delle tre allieve che seguiva in violino come insegnante esterna e autonoma al complesso scolastico. Aveva passato il testimone a una sua collega, nonostante le tre ragazze non fossero per niente d'accordo sulla decisione sua e del dirigente scolastico.

Sbadigliò sonoramente portando la mano destra a coprire la bocca, le ore passate a comporre la sera prima si erano già iniziate a far sentire subito dopo pranzo.

 

***

 

«Stop, Stop, Stop!». La voce di Michiru interruppe il silenzio nell'aula, la sua mano si fermò a pochissima distanza dal tasto successivo, aveva sbagliato un'altra volta e ne era perfettamente consapevole. Ma quel pomeriggio non riusciva a mantenere a lungo la concentrazione, i pensieri le affollavano la testa e tutti erano rivolti alla situazione che si stava creando all'interno di quelle quattro mura. Era davvero preoccupata su come si sarebbero evoluti i fatti, sua sorella aveva insistito per assistere alla lezione anche quel giorno e aveva aggiunto l'ipotesi di invitare Michiru a bere qualcosa.

Ovviamente l'invito lo avrebbe dovuto fare lei.

Ecco il motivo per cui non riusciva a concentrarsi, la motociclista era infatti convinta che se fosse stata lei a proporlo la sua insegnante non l'avrebbe mai accettato.

«Usagi sei sicura di stare bene?». Noto una lieve preoccupazione nella voce dell'altra e non poté fare a meno di sentirsi in colpa.

«Si tutto bene è solo che ho un pò di pensieri oggi e non riesco a mantenere a lungo la concentrazione, perdonami mi rendo conto che questo mio atteggiamento è molto superficiale e davvero poco professionale». Si scusò abbassando lo sguardo.

«A volte può capitare ma non lasciare che la tua vita privata si intrometta con il lavoro, non è facile ma non permetterglielo. Per te ancora non è un lavoro ma è comunque un impegno importante». Si sorprese di sentire quelle parole, aveva sempre pensato a Michiru come una persona fredda e poco incline ad aprirsi con chi la circondava, ben lungi quindi dal dare consigli ed esporsi con gli altri.

A quanto pare si sbagliava. E la violinista aveva proprio ragione.

«Si hai ragione, su questo fronte credo che dovrò migliorare ancora tanto, ma ci riuscirò!». Esclamò prima di portare il suo sguardo sullo spartito davanti ai suoi occhi, si concentrò particolarmente sul punto in cui perdeva il tempo imposto dal brano, fece qualche prova di solfeggio mentalmente per cercare di memorizzare tutti i passaggi. «Potrei riprovare». Propose dunque, nonostante le due ore fossero quasi giunte al termine.

«Riprova tutto dall'inizio, così intanto ripassi tutto il brano, forza».

Si, era un'ottima idea: avrebbe suonato tutto da capo. E questa volta doveva riuscire a superare quel punto senza sbagliare.

Le note ricominciarono a espandersi nell'aria accompagnate dal tichettio della penna di Michiru che batteva il tempo sulla coda del pianoforte.

I suoi occhi corsero sui fogli alla stessa velocità delle sue dita sui tasti bianchi dello strumento, anche se ormai iniziava a ricordarsi in automatico la parte, preferiva non rischiare di sbagliare ulteriormente.

Rallentò leggermente in vincinanza del passaggio che le risultava ostico da compiere ma riuscì a passarlo senza bloccarsi come aveva fatto in precedenza e proseguire la melodia scritta nella restante parte del foglio.

«Bene, prova a riprendere la melodia da qualche battuta prima». Le disse Michiru con un sorriso. «Andiamo avanti così fino alla fine dell'ora ».

 

«Per oggi basta così, esercitati molto su quel passaggio». A quella frase si stiracchiò gettando le braccia indietro, quella notte era stata a messaggiare con Mamoru ed entrambi erano andati a dormire molto tardi; la mancanza di sonno e del pranzo l'aveva messa ko già al pomeriggio presto, aveva rinunciato a una tappa in pasticceria solamente per non far tardi alla lezione.

Era arrivato il momento di mettere in pratica il piano che aveva pensato la sorella, per l'agitazione le era salito anche il mal di pancia; temeva una risposta negativa da parte dell'altra e sopratutto temeva un irrigidimento nei suoi confronti dopo aver sentito l'invito. Decise di rimandare la proposta di qualche minuto e si alzò impiedi per raccogliere i fogli dal leggio del piano. Li ripose accuratamente in una cartellina che aveva inserito nella grande borsa che si era portata appositamente e afferrò il coprispalle che si era portata nel caso avessero fatto tardi. Osservò la violinista riporre le sue cose nella borsa come faceva sempre e sospirò profondamente.

Odiava sua sorella per averla convinta a fare una cosa del genere. Non poteva sbrigarsela da sola?

«Michiru ti va di andare a prendere qualcosa in una pasticceria qui vicino?». Propose mormorando, con poca convinzione.

 

***

 

L'invito di Usagi giunse alle sue orecchie. La sorprese non poco, ma la sua mente corse immediatamente alla presenza di Haruka, sicuramente quell'invito da parte di Usagi era opera sua per avvicinarla, sicuramente se avesse detto si ci sarebbe stata anche lei e non era sicura di aver tempo e voglia per affrontare un discorso con la motociclista. Avrebbero litigato, ne era certa.

Tuttavia però, era stata lei stessa a dire a Usagi di non mischiare la vita privata a quella professionale: non poteva rifiutare. Non voleva far capire ad Haruka che a distanza di tanti anni la sua presenza non la lasciava ancora del tutto differente.

«Si volentieri Usagi». Le rispose cercando di ignorare la sorella della ragazza.

«Son contenta che hai accettato, però se non ti dispiace c'è anche mia sorella può essere un problema?». Chiese la biondina.

«Assolutamente no, anzi!». Rispose cercando di sembrare il più convinta possibile, il suo sguardo corse fino a Tenou in segno di sfida, perché lo sapeva bene: l'idea di andare in pasticceria a prendere qualcosa era idea proprio sua, non della giovane pianista con cui avrebbe condiviso il suo nuovo brano.

Osservò quest'ultima alzarsi senza battere ciglio, per dirigersi verso di loro.

«Mi fa piacere che hai accetto Kaioh, non pensavo avresti detto di si, mi hai sorpresa positivamente oggi. Beh in ogni caso vi aspetto di sotto in macchina, cercate di sbrigarvi».

Le disse prima di fermarsi e voltarsi per uscire dall'aula, lasciandola basita. Allora è questo che voleva? Era una sfida nei suoi confronti? Pensava di aver davanti la ragazzina del passato? Si sbagliava di grosso!

Quell'uscita la innervosì appena, ma non lo diede a vedere. Si limitò a fare un cenno ad Usagi prima di uscire in silenzio dall'aula, quasi subito sentì i passi dell'altra seguirla nel corridoio.

Prevedendo che la lezione sarebbe durata di più del previsto per recuperare quella del giorno prima fatta a metà aveva affidato Nari a una babysitter in grado di arginare eventuali crisi della figlia, era libera di poter andar a prendere un caffè ma sperava tuttavia che quella farsa finisse in fretta.

Non aveva decisamente voglia di passare più tempo del necessario in compagnia di Haruka.

 

***

 

 

Il suo sguardo si posò sulle fredde piastrelle del bagno annesso alla sua camera, ne seguì le fughe fino a raggiungere la sua mano, magra più del necessario forse anche troppo rispetto a quanto sarebbe stato il suo peso forma.

Gli occhi le bruciavano terribilmente per lo sforzo appena compiuto di fronte al water, da quando i suoi genitori avevano licenziato il personale della villa con cui era cresciuta si sentiva molto più sola, non trovava una ragione valida per continuare a vivere in quelle quattro mura in cui era cresciuta.

E poi..poi c'era Haruka, aveva provato più volte a contattarla su Skype senza ottenere risultati: il suo account non era più andato online e il cellulare a cui era abituata a scrivere era tornato ad essere inesistente. Probabilmente lo aveva cambiato proprio a causa sua, per non farsi più trovare.

L'essere privata della libertà che aveva assaporato con lei anche se per poco l'aveva demolita dentro, non le aveva permesso nemmeno di provare un pò di sollievo. Aveva iniziato ad odiare se stessa e il cognome che portava perché, con una Kaioh, nessuno faceva mai sul serio. Puntavano solo ai soldi, tutti. Nessuno escluso.

Era arrivata a odiare ogni minimo angolo del proprio corpo, convinta che, se si fosse autodistrutta, probabilmente sarebbe stato meglio, almeno i ragazzi non avrebbero provato a conquistarla solamente per la dote che portava con se. Ma perché erano davvero innamorati di lei. Dopo tutto del fisico non le importava.

Della sua salute non le importava.

Anche Seiya era tornato a casa sua, a Tokyo, ma periodicamente faceva ritorno da lei per cercare di tirarla un pò su, tentativi che puntualmente finivano nella spazzatura.

Quel giorno era proprio uno di quelli in cui il bruno avrebbe fatto ritorno nella loro residenza, ma a lei non importava davvero nulla.

«Cosa stai facendo in bagno?». Proprio la sua voce piombò all'improvviso nella piccola stanza, facendola sobbalzare. «Hai vomitato di nuovo? Non ti coprirò ancora per molto con i tuoi genitori, ormai sono mesi che vai avanti così stai esagerando, guarda come sei ridotta sembri lo spettro di te stessa».

«Cosa vuoi dire ai miei? Tanto pensi che gliene freghi qualcosa? Sono troppo impegnati con il lavoro, non si sono ancora resi conto che ho perso non so quanti chili..non si sono accorti che sto sempre peggio, che io odio stare qui. Odio il fatto che abbiano licenziato tutti solamente perché sono uscita di nascosto qualche volta. E odio anche te perché hai parlato, se non dicevi ai miei di Haruka forse ora non starei così male!». Gli disse senza alzarsi, limitandosi a parlare al muro, ben sapendo che lui fosse sulla soglia della stanza. Le lacrime le uscirono rigandole il viso.

Non ne poteva più, la sua esistenza era stata letteralmente rovinata dall'essere nata in quella famiglia.

«Non rimarrò a guardare mentre schiacci il tasto dell'autodistruzione». I pugni serrati per il nervosismo, le si avvicinò e la prese per un braccio costringendola ad alzarsi e voltarsi a guardarlo. «Hai capito? Non ti lascerò autodistruggere, ora alzati e vieni in cucina devi mangiare qualcosa, io chiamo i tuoi genitori senza discussioni». Le disse severo, sperando di raggiungere l'effetto sperato. Ottenne solamente una sberla in pieno viso dall'altra, gli occhi spenti che lo guardavo arrabbiati.

«Sto male Seiya, lo capisci??? Voglio solamente essere lasciata in pace; desidero solo che tutto questo finisca in fretta». Gli urlò in faccia prima di cercare di liberarsi dalla presa di lui, che di rimando la cinse per la vita per cercare di farla calmare in attesa che quell'attacco di quasi follia passasse, cercando di ignorare le grida con cui gli diceva di lasciarla andare e di uscire dalla sua stanza.

«Shh, calmati devi fidarti di me se vuoi uscire da questo inferno, devi dirlo ai tuoi genitori solamente così possiamo aiutarti...non ti isolare così Michiru per favore». Le mormorò piano. «Fallo per te stessa se non vuoi farlo per loro, devi ricominciare a vivere».

«Voglio solo morire Seiya, la vita qui è un inferno non c'è la faccio più..voglio solo morire». Gli rispose lei prima che i singhiozzi le agitassero le magre membra.

 

***

 

Aveva scelto appositamente di sedersi dietro in macchina, aveva lasciato a Usagi il posto accanto alla sorella per evitare qualsiasi tipo di domanda che potesse provocare imbarazzo tra lei e Haruka. A dire il vero aveva sperato che la bionda avesse qualche impegno e che le avrebbe solamente accompagnate al bar ma tutte le sue speranze a riguardo si rivelarono vane. Decise quindi di cercare di tranquilizzarsi, abbattendo l'agitazione che la presenza di Tenou le arrecava anche quel giorno al pensiero che, prima o poi, sarebbero salite a galla sicuramente le questioni che in passato erano rimaste irrisolte.

Per fortuna quella mattina aveva portato con se gli occhiali da sole che utilizzava spesso quando usciva in pubblico per non essere riconosciuta dai fan e smettere in quel modo di essere tranquilla.

«Posso suggerire di andare in qualche locale non troppo in centro? Vorrei evitare di creare qualche scandalo per via dei paparazzi». Disse continuando a guardare fuori dal finestrino, ci mancava solo che suo marito vedesse l'articolo fatto infondatamente da qualche giornalista. Aveva già troppe cose a cui star dietro per aggiungerne altre.

«Nessun problema di questo genere, conosco il proprietario del locale e proprio per evitare queste cose mi ha riservato un delle salette più vicine all'uscita secondaria del personale posso garantire il massimo riserbo da parte sua su tutto». Furono le parole di Haruka, avvertì il suo sguardo posato su di lei attraverso lo specchietto retrovisore dell'automobile ma preferì ignorarlo totalmente e rimanere a fissare le vie cittadine.

 

Arrivarono a destinazione una trentina di minuti dopo, apprezzò il fatto che il locale fosse fuori città e proprio per questo molto probabilmente poco frequentato dai clienti almeno di giorno. Aveva notato più volte il piccolo edificio con la terrazza privata al primo piano ma non si era mai fermata a consumarvi qualcosa al suo interno.

Scese dal mezzo e seguì a pochissima distanza Usagi che si stava dirigendo verso una di quelle che reputò essere le entrate secondarie.

«Dovresti assaggiare la torta con panna e fragole che fanno qui, è qualcosa di davvero eccezionale Michiru». Esclamò con gioia voltandosi a guardarla. «A dire la verità, però, qualsiasi dolce prodotto in questo bar pasticceria è squisito». Lo sguardo pensieroso che rifletteva la difficile decisione sul cosa prendere.

L'allegria di Usagi la fece sorridere e i suoi nervi si distesero per qualche istante nonostante la sensazione di avere gli occhi di Haruka costantemente puntati addosso da quando l'aveva sentita chiudere la macchina.

Il locale si rivelò essere molto caratteristico all'interno, con il soffitto molto simile a una grotta, anche nella saletta privata che era stata dedicata loro l'effetto era il medesimo, solamente più accogliente e più intimo della restante parte del locale.

Un uomo anziano con il panciotto fece il suo ingresso nella sala dirigendosi proprio verso Tenou.

«Haruka, che piacere vederti pensavo che tu fossi ancora negli Stati Uniti. Quale vento ti porta fin qui, nella tua terra natia?». Chiese cordiale l'uomo, le guance rosse di chi aveva alzato un pò il gomito di recente, strinse la mano alla motociclista con quello che agli occhi di Michiru parve affetto reciproco.

«Ciao Yasai, anni che non ci vediamo, sono tornata da poco dagli Stati Uniti approfittando delle vacanze estive perché Usagi si laurea tra massimo due mesi». Gli spiegò, Yasai guardò oltre la sagoma della donna e i suoi occhi si posarono sulla ragazza bionda dagli occhi azzurri già seduta al suo tavolo.

«Usagi? Sei tu? Diamine! Vieni spesso qui insieme a quello che suppongo sia il tuo ragazzo, non ti avevo per niente riconosciuta. Se non ti avessi vista oggi con Haruka, sei cresciuta molto.. l'ultima volta che ti ho vista eri...». Fece il segno dell'altezza corrispondente con la mano. «Alta più o meno così, non ti ricorderai nemmeno di me, eri troppo piccola..piacere di conoscerti Usagi».

La ragazza si limitò a sorridere cordiale leggermente imbarazzata: quell'uomo non aveva torto, non si ricordava per niente di lui ma a giudicare da come parlava alla sorella doveva essere un amico di lunga data, probabilmente adirittura di suo padre. Certamente lo aveva già visto durante i molteplici pomeriggi in cui si rifugiava tra quelle mura a studiare in compagnia di Mamoru.

«Lei dovrebbe invece essere Miss Kaioh, dico bene?». Si rivolse alla terza ragazza in sala, che si nascondeva ancora dietro gli occhiali da sole indossati all'uscita della scuola. «Lieto di conoscerla, sa, seguo sempre i suoi concerti in televisione quando il lavoro lo permette e devo farle i miei più sinceri complimenti per i suoi brani, sono qualcosa di davvero meraviglioso».

Michiru fece un leggero inchino porgendo la mano destra all'uomo, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi di cortesia mentre si sfilava gli occhiali portandoseli sulla testa come se fossero un cerchietto. «Piacere di conoscerla Yasai, la ringrazio per i complimenti». Si limitò a dire prima di prendere il suo posto al tavolo.

«E' la verità signorina..allora ragazzi cosa posso portarvi da gustare oggi, ovviamente offre la casa per tutti». Esclamò allegro.

«Io gradirei un tè verde, con un cannolo alla crema o in alternativa un pezzo di crostata». La prima a parlare fu proprio Michiru che osservò attentamente l'uomo mentre appuntava il suo ordine sul block notes.

«Io un caffè insieme a un tost grazie». Ad ordinare era stata Haruka, la quale volse la sua attenzione verso la sorella in attesa che decidesse cosa ordinare.

«Prendo un cappuccino con una fetta di torta con la panna, la crema e le fragole». Sorrise rivolta al loro cameriere.

«Benissimo, il tempo di preparare tutto e sono da voi, non fate complimenti se volete ordinare altro aggiungete pure, offro tutto io oggi per festeggiare il ritorno di Haruka». Dopo aver ribadito il concetto uscì con passo leggero per dirigersi al bancone e prepare l'ordinazione, per fortuna non era l'unico a curare la gestione di quel locale che ormai era diventato a conduzione familiare già da una quarantina d'anni, periodo in cui suo nonno aveva rilevato l'attività.

Michiru fissò l'uomo uscire dalla stanza, cercando di non far caso al silenzio che sicuramente sarebbe sceso al tavolo non appena questo sarebbe sparito nel corridoio. Non sapeva che argomenti inventarsi per rompere la coltre di ghiaccio che sentiva ormai presente; rendendola sempre più convinta che aver accettato quell'invito era stata decisamente una cattiva idea. Doveva pur inventarsi qualcosa, quindi si rivolse ad Usagi ignorando di proposito la presenza dell'altra seduta in mezzo tra loro.

«Usagi cosa fai nella vita? Stai studiando?». Chiese dunque con sincera curiosità.

«Si ormai ho quasi finito, sto preparando la tesi tra massimo un mese o tre mi laureo, dipende se riesco a sfruttare la sessione di Luglio, altrimenti andrò a finire a Settembre. Haruka è tornata proprio per questo, per vedere il mio primo concerto ufficiale e la mia proclamazione». Gli occhi luccicanti, le fecero intuire quanto entrambe fossero legate l'una all'altra.

Ricordava bene il giorno in cui era andata a cena da Haruka in passato, ricordava anche la foto che aveva notato sul tavolino della sala che le vedeva insieme e sorridenti, con qualche anno di meno rispetto ad allora. Sorriso che, fece mente locale, non aveva più rivisto in Haruka ne quando ancora si vedevano, ne durante le sue comparse in televisione. Il sorriso della foto era quello di una persona felice, felice per davvero. Quelli che era abituata a vedere, invece, erano quasi sempre sorrisi di circostanza o in alternativa sorrisi costretti che non arrivavano agli occhi.

Usagi era diversa dalla motociclista, ogni sorriso rallegrava chi c'era intorno e infondeva una buona dose di buon umore. Era sincera e un pò ingenua.

 

***

 

Erano passati diversi mesi da quando aveva messo piede negli Stati Uniti, come promesso dai Kaioh le era stato garantito un posto come pilota di una scuderia famosa in territorio statunitense e in quel periodo era proprio alle prese con la preparazione dei mezzi per la stagione successiva, la prima in cui avrebbe corso portando lo stemma della casa automobilistica.

Aveva indicato quel pomeriggio alcune modifiche all'automobile per migliorarne l'aderenza in curva e l'aereodinamicità andata a perdersi con alettoni meno performanti dei precedenti e sicuramente da migliorare.

Era stata una giornata totalmente dedicata alle prove, era rientrata da poco nel suo appartamento in una delle strade principali di New York, non le era stato difficile adattarsi ai ritmi della grande mela, non aveva riscontrato particolari difficoltà nemmeno con la lingua, probabilmente grazie alle sue origini.

Aveva interrotto tutti i contatti con Michiru come le era stato chiesto, anche se ripensare al giorno che si erano incrociate fuori dalla stazione di polizia per la deposizione la faceva stare davvero male; alla mente le tornavano gli ultimi momenti, ma sopratutto gli occhi pieni di lacrime della violinista.

Tutto ciò aumentava il suo senso di colpa nei suoi confronti, avrebbe voluto dirle tutta la verità. Ma non poteva gettare nei casini sua madre per una storia che non avrebbe avuto comunque futuro.

Si passò le dita tra i capelli biondi in un gesto sofferente, mentre con l'altra avvicinava un bicchierino di licquore alle sue labbra per inghiottirlo, non aveva idea di quanti ne avesse bevuti ma li riteneva necessari per non pensare troppo: in passato, dopo la morte di suo padre e di suo fratello, rifugiarsi nell'alcol e in qualche scopata con qualche ragazza l'aveva aiutata ed era certa che anche in quel momento non sarebbero state da meno le due cose.

Dopotutto l'alcol l'aiutava a non pensare proprio mentre donava piacere a chi occupava il suo letto senza pensare a quando al posto della ragazza di turno c'era Michiru.

«Haruka, tesoro sei un pò distratta stasera». La voce vellutata e provocante di Rose si fece largo nei suoi annebbiati pensieri, erano coetanee ma a differenza sua l'americana aveva un seno e un fondoschiena prosperosi, quella sera per lei aveva indossato un tubino aderente che lasciava poco all'immaginazione. «A cosa pensi tesoruccio». Le mormorò, sedendosi dietro di lei sulla medesima sedia.

«A cose che non ti riguardano». Rispose tagliando corto, scocciata dall'invadenza della donna dietro di lei, se c'era qualcosa che odiava era proprio la gente che si interessava delle sue cose senza averne il diritto, ne la concessione.

«Oltre che distratta mi sembri anche molto scorbutica». La punzecchiò ella, prima di lasciarle una scia di baci sul collo esposto alle sue avances. «Lascia che io ti aiuti a rilassarti, son certa che non te ne pentirai».

Sentendo quelle parole sussurrate all'orecchio, si alzò dalla sedia per volgersi a guardare la bruna seduta. «Dovresti saperlo, ormai». Avvicinò il suo volto a quella di lei. «Haruka Tenoh non si lascia scopare, Haruka Tenoh scopa». Si allontanò appena, prima di interrompere il contatto visivo con gli occhi neri e affamati di chi aveva davanti. «Se vuoi fare del sesso con me, forse è il caso che tu ti ricorda queste regole base, altrimenti hai già perso in partenza». Detto questo si allontanò diretta al bagno del suo appartamento.

 

***

 

Non aveva idea di quanto si fosse estraniata dalla conversazione immersa com'era nei ricordi del suo primo periodo in America, ricordi sicuramente dolorosi, dolorosi come l'ostinazione ad ignorarla che le aveva sbattuto in faccia la violinista in quell'arco di tempo che stavano passando nel locale.

Con Usagi non aveva nessun problema a parlare, ma aveva più volte evitato accuratamente di rivolgerle la parola, sperava che le cose fossero andate meglio nel momento esatto in cui sua sorella sarebbe andata via con Mamoru per andare a cena fuori, sicuramente di lì a pochi minuti. Le avevano detto che il ristorante da loro scelto era fuori mano, e non era immediato arrivarci dalla città, osservò la biondina prendere il cellulare dopo una vibrazione che sicuramente era stata provocata dall'arrivo di un messaggio.

«Ragazze credo proprio che io debba salutarvi..è arrivato Mamoru». Le mormormò, per poi rivolgersi a Michiru. «E' il mio ragazzo, stiamo insieme da tantissimo ormai, sono cresciuta con lui si può dire». La vide sorridere, con quel sorriso che ormai aveva imparato a conoscere e che rivolgeva solamente a lui e a nessun altro. Le compariva sul viso ogni volta che poteva parlare del bruno a qualcuno, lei da sorella maggiore quale era lo sapeva riconoscere benissimo.

Piegò le labbra all'insù al pensiero di quanto fosse fortunata sua sorella ad aver trovato subito un ragazzo che si sarebbe fatto in quattro per lei, all'occorrenza, spostò dunque lo sguardo sulla violinista per studiarne attentamente le reazioni alla ricerca di qualche turbamento che non arrivò in superficie.

«A domani allora Usagi». La sentì esclamare prima di stringere la mano alla ragazza, poi si rivolse a lei senza palesare nessuna emozione. «Sarà meglio che io vada, credo si sia fatto fin troppo tardi». Fece atto di alzarsi, atto che bloccò immediamente ponendole la mano sulla spalla sinistra.

«Non dire sciocchezze Kaioh, se aspetti qualche minuto saldo il conto e ti accompagno io a casa, non crederai che ti lascio andare da sola». Sorrise sorniona in attesa della risposta.

«Penso di saper badare a me stessa fin troppo bene, non sono più una bambina che ha bisogno della scorta per andare in giro». Il tono era tagliente, mentre toglieva la sua mano dalla spalla.

«Io non direi vista la caduta con cui ti sei fatta male al polso, anzi...direi proprio il contrario». La punzecchiò senza battere ciglio, tenendo a freno le emozioni che quel rispondere secco le avevano provocato.

«Ti devo ricordare come quella caduta non ci sarebbe stata, se qualcuno non mi avesse fatta innervosire». Ribattè fulminandola con gli occhi.

«E io che pensavo di esserti ormai indifferente, a quanto pare quindi, ti faccio innervosire... interessante, molto interessante Kaioh». Sorrise all'espressione che faceva intendere quanto fosse vero il pensiero che le aveva appena esposto. Non c'erano dubbi quindi, sul fatto che lei era una fonte di nervoso con il suo modo di fare nei confronti dell'altra. «Forza, miss, preparati pure per andare via che vado a pagare il conto, mi raccomando non scappare, non ti conviene con la gente che c'è in giro all'ora a cui arriveresti in città con i mezzi pubblici». Si alzò dunque dal tavolo e si allontanò sfoderando l'atteggiamento più straffottente che mai che aveva nel suo repertorio, gongolando del fatto che, quella volta, aveva zittito la musicista.

 

***

 

Fissò la bionda uscire dalla stanza a loro riservata diretta alla cassa, proprio come il giorno prima anche in quel frangente era riuscita a farla innervosire con il suo modo di fare straffottente e maleducato, si sbaglia di grosso poi se pensava che non le era totalmente indifferente. Non gliene fregava proprio nulla e su quel frangente non vedeva l'ora che arrivasse il giorno del concerto per salutare definitivamente Usagi e con lei anche Haruka.

Realmente non le fregava nulla? O era solo una finzione creata dal suo subconscio per tenerla lontana e non rischiare che mandasse in sfacelo la sua vita per la seconda volta in dieci anni? Il tarlo che le si formò nei pensieri rimase li, a galleggiare in mezzo alla corrente che si agitava nella sua mente.

Uscì dunque dalla stanza per entrare nel corridoio e di li all'uscita secondaria del locale davanti alla quale la macchina l'aspettava proprio dove l'avevano lasciata una quarantina di minuti prima, si appoggiò al mezzo e incrociò le braccia volgendo il suo sguardo al mare li vicino, era più agitato di quanto erano giunti li, così il suo odore e lo iodio le riempivano i polmoni ad ogni respiro.

Sentì la sicura della macchina attivarsi improvvisamente prima di avvertire i passi di Tenoh dietro di lei, sospirò profondamente per l'ultima volta nel tentativo di rimanere calma, tentativo che sapeva sarebbe andato in fumo da li a poco sicuramente.

«Eccomi, possiamo andare». La sentì dire prima di aprire lo sportello della macchina, la imitò e come il giorno prima, una volta seduta, si mise a guardare fuori dal finestrino per non dargli spunti per intrattenere il discorso. «Mia sorella come sta andando?».

Kaioh alzò gli occhi al cielo, mossa meschina incentrare il discorso sulla sorella, non poteva proprio rifiutarsi di rispondere a una domanda sul suo lavoro. «Molto bene è brava e molto preparata, sopratutto non è indisponente e odiosa come sua sorella». Le risposte lanciandole l'ennesima occhiataccia della giornata.

«Mi raccomando, non farmi tutti questi complimenti o potrei abituarmici». Si sentì rispondere con un sorriso beffardo sulle labbra, un sorriso che le provocò instintivamente la voglia di sbatterle qualcosa sul viso nel giro di due secondi.

«Infatti non erano complimenti ma veritiere constatazioni riguardanti il tuo caratteraccio». Sorrise trionfante.

Il silenzio calò nell'abitacolo a interromperlo la musica della radio tenuta a basso volume dall'altra, forse per non farsi sopraffare dall'assenza di conversazione; il motivo non lo avrebbe mai saputo e ne aveva intenzione di chiederlo.

«Non mi hai detto dove abiti, ti ospiterei molto volentieri a casa mia ma non credo che tu saresti d'accordo». Si sentì dire dopo pochissimo tempo.

«Puoi lasciarmi vicino al ristorante giapponese Wakamé, abito nei paraggi meglio se non mi porti a casa, non vorrei che i paparazzi ci vedessero sai com'è..ho una reputazione da difendere e non credo sia una buona cosa farci vedere insieme». Più che altro non voleva che Seiya la vedesse scendere da una macchina guidata da Haruka di problemi tra concerti e la malattia di sua figlia ne aveva già troppi. Proprio per la piccola la tranquillità familiare era la base per una salute quantomeno stabile e non preoccupante.

«Va bene. Come vuoi, io ci ho provato». Rispose alla violinista prima di inserire la freccia e voltare verso destra, diretta proprio verso la via del ristorante che le era stato indicato.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Ricordi in musica ***


​Note dell'autrice: Buona sera a tutti! Finalmente eccolo, come accennato sulla mia pagina fb questo capitolo è stato davvero un parto ed ero bloccata sopratutto sulla prima parte. Però in quattro mesi sono riuscita a partorire qualcosa, non so quanto sia venuto bene ma sempre meglio di nulla. Anche in questo capitolo c'è una parte censurata che potrete trovare sulla mia pagina fb a questo indirizzo: clicca qui

Capitolo 5: Ricordi in musica

 

«Haruka dammela è mia!». Un bambino che poteva avere una decina di anni protestava verso la sorella gemella che gli aveva sottratto senza il suo consenso la sua macchinina preferita.

«Si ma hai giocato fino adesso tu, ora tocca a me! Tu fai altro». Fu la risposta ovvia della bambina, ben convinta a non restituire l'oggetto tanto desiderato da suo fratello.

«Haru, però potresti giocare un po' con me con le bambole..giochi sempre con lui». Il lamento della sorellina minore di entrambi giunse alle loro orecchie.

«No tu fai giochi da femmina, e a me non piacciono!». Esclamò in direzione di quella, prima che la sua attenzione fu richiamata dalle note musicali di un pianoforte che si libravano in tutto l'appartamento, facendole così capire che suo padre si stava esercitando in vista del suo prossimo concerto che sarebbe avvenuto da li a poco. Come hobby l'uomo aveva coltivato l'amore per la musica fin da giovane e lei fin da neonata era cresciuta in compagnia delle note musicali suonate dal padre, così come i suoi fratelli. Usagi compresa.

Sgranò i suoi occhi verdi completamente catturata dalla melodia che l'uomo stava suonando in attesa che lui la chiamasse, per condividere con lei la tastiera nonostante la sua giovane età, era il momento della giornata che più preferiva in assoluto. Da grande avrebbe voluto diventare una pianista brava come il suo papà.

Lasciò cadere la macchinina del fratello sul tappeto della loro camera dei giochi e decise di avviarsi verso la sala nella speranza che vedendola arrivare, lui la invitasse prima del solito a suonare, si avvicinò verso la sala in punta di piedi per non rompere quell'incantesimo che l'aveva attratta fin da piccola con curiosità prima e ammirazione poi.

«Hidetoshi..». La voce di sua madre interruppe il silenzio, la vide far segno all'uomo nella sua direzione come a dirle che lei era nella stanza, lo vide voltarsi verso di lei e sorriderle.

«Haruka ti piace questo brano?». Le chiese, domanda a cui lei rispose con un cenno affermativo della testa, un pò intimidita dalla bravura dell'uomo. «Allora vieni, che ti insegno a suonarlo».

Un sorriso fece capolino sul suo piccolo viso mentre correva a sedersi davanti al pianoforte, gli occhi verdi che scrutavano seri i tasti bianchi davanti a lei per poi volgere lo sguardo allo spartito appoggiato sul leggio. «Prima però leggi tutte le note », le disse Hidetoshi, prendendo i fogli per poggiarli sui tasti «Forza tesoro..».

«Mi... La.... Si...Si...Do...Doooo...la...si...do....»

 

***

 

Il cuore aveva smesso di battere nel momento stesso in cui le avevano detto che suo padre non c'era più, alla fine la lotta tra lui e il cancro era stata vinta dal tumore che lo aveva tormentato per mesi, costringendo lei e ciò che rimaneva della sua famiglia a vederlo spegnersi lentamente senza poter far nulla che stargli vicino negli ultimi mesi di vita e farsi forza a vincenda per ciò che prima o poi sarebbe stato inevitabile.

Aveva cercato di prepararsi a quel momento, al momento in cui avrebbe ricevuto quella notizia che tanto sperava di non ricevere, ma nonostante questo l'amara verità e la durezza delle parole erano state devastanti.

Si era chiusa in camera da diverse ore a piangere.

Da sola.

Perché, nonostante tutto, odiava farsi vedere piangere e far trasparire la debolezza che in quel momento si era impossessata inesorabile delle sue membra; odiava sopratutto il via vai di persone che si erano succedute in casa loro nei due giorni successivi alla sua morte in attesa del funerale celebrato da li a poche ore.

Perché, di fatto, sola lo era veramente da quando qualche mese prima suo fratello li aveva lasciati a causa di quel maledetto incidente.

Trovava tutto ciò falso e ipocrita: alcune persone avevano fatto ritorno solo dopo la morte, dopo esser sparite per tutto il periodo della malattia. Erano sparite anche dopo che suo fratello era morto, troppo codarde per affrontare il dolore di una madre che ha perso uno dei suoi tre figli e il cui amore di una vita si stava spegnendo lentamente nonostante la chemioterapia.

Tirò un pugno sulla scrivania con rabbia, scossa dai singhiozzi, quegli ipocriti suo padre non se li meritava, avrebbe rotto volentieri il naso a tutti. Li avrebbe voluti massacrare. Avrebbe voluto urlare al mondo la sua rabbia, al destino infame che l'aveva resa orfana così giovane.

Prese poi un fazzoletto nel tentativo di riprendersi e ritrovare la lucidità adatta per non crollare nuovamente davanti agli altri. Non poteva permetterselo, eppoi doveva mantenere la promessa fatta a suo padre: avrebbe suonato Kiss the rain all'ingresso del feretro in ospedale.

Sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe suonato il pianoforte in tutta la sua vita, il suo cuore da musicista sarebbe morto nell'esatto istante in cui l'ultima nota si sarebbe librata in volo nella chiesa accompagnando suo padre in cielo.

Se fino a pochi giorni prima la musica era sua amica, dopo la morte di suo padre la sentiva una totale estranea, come se con la scomparsa dell'uomo lei l'avesse abbandonata per seguirlo. La vena musicale ereditata da lui sembrava totalmente scomparsa.

«Haruka..». La voce della sorella si fece largo nel dolore che stava provando. «Ha detto la mamma che bisogna andare». Presa com'era a dar modo di uscire a tutte le sue lacrime non l'aveva nemmeno sentita entrare, gli occhi arrossati dal pianto, erano la fotocopia azzurra dei suoi stessi occhi verdi.

Vedere in che condizioni era Usagi le provocò l'ennesima fitta al cuore, aveva già sofferto troppo per la sua giovane età e le sofferenze ancora non sarebbero finite.

«Arrivo Usagi, di alla mamma che mi servono due minuti per riprendermi». Mormorò con la voce roca, dopo aver tirato su con il naso, vide la ragazzina annuire prima di sparire in corridoio diretta probabilmente in sala da pranzo, lei dal canto suo prese la giacca e si diresse in bagno per dare una rinfrescata al viso. Avrebbe tenuto i ray-ban anche in chiesa, ben calati sugli occhi, per non far vedere nulla a chi avrebbe voluto. Per nascondere il più possibile le lacrime anche se sarebbe stato vano il suo tentativo.

L'acqua gelida al contatto con la pelle le diete una carica in più per riuscire ad affrontare la lunga giornata che le si parava davanti, alla fine della quale sarebbe rimasto solo il dolore e probabilmente le sue amiche che avrebbero tentato in ogni modo di farla reagire per il bene della sua famiglia, certo, ma, sopratutto, per il suo.

«Haruka, ti aspettiamo giù di sotto in garage vedi di fare in fretta». La voce di sua madre la raggiunse dall'ingresso, forte come lo era stata quando Harumoto era volato via così all'improvviso senza nemmeno darle il tempo di salutarla, ma per lei che la conosceva sapeva che quella che metteva ogni giorno era solamente una maschera per non far soffrire ulteriormente anche loro. Mentre come in quel momento, in realtà, moriva dentro.

La tranquillità della casa vuota era proprio ciò di cui aveva bisogno per fare ciò che aveva in mente prima di uscire di casa e recarsi al funerale, si mosse quindi verso il pianoforte di suo padre e una volta raggiunto lo superò dopo aver fatto una leggera carezza sulla superficie gelida e lucida. Arrivò quindi vicino al mobiletto dove sapeva che l'uomo custodiva tutti gli spartiti, nel primo cassetto quelli che amava e suonava più spesso, lo aprì e ne tirò fuori il gruppo di fogli racchiusi in bustine di plastica, mosse velocemente il mucchio alla ricerca di quello che fu il primo brano serio che le aveva insegnato da piccola.

Se doveva smettere di suonare, per il dolore troppo forte, avrebbe suonato solamente una volta ancora, in chiesa, e solamente il brano i cui spartiti finalmente si erano palesati alla sua vista. Poi non avrebbe più suonato.

Prese le chiavi della macchina e dell'appartamento e si diresse verso l'ingresso, una volta chiuso scese in garage. L'ultima cosa che avrebbe voluto fare era guidare, tuttavia colei che l'aveva messa al mondo non era nelle condizioni adatte per poterlo fare in completa sicurezza.

Trovò le uniche due donne rimaste nella sua vita ad aspettarla in macchina, evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di sua madre. Non avevano scambiato parola alcuna dal momento in cui suo padre si era spento, non avrebbe saputo cosa dirle e il dolore era parecchio forte da sostenere senza dover assorbire quello della donna che aveva al suo fianco.

«Vuoi andare in ospedale e partire da li..direttamente insieme a lui?». Chiese alla madre mentre metteva in moto.

Ottenne solamente un debole cenno che non riuscì a interpretare bene, optò quindi per la soluzione migliore: raggiungere la clinica e fare il viaggio seguendo il feretro, in cuor suo sapeva che suo padre avrebbe apprezzato e, in fondo, sarebbe stata la cosa migliore per tutti.

 

Un'ora più tardi erano davanti alla chiesa, si rese conto di quante persone venute a conoscenza della morte di suo padre si erano presentate per un conforto; parecchie, proprio come aveva immaginato a casa, appartenevano al gruppo che era sparito dopo esser venuto a conoscenza della malattia.

Rivolse un sorriso sfuggente a tutti loro prima di entrare in chiesa alla ricerca del sacerdote che avrebbe svolto la cerimonia. Doveva chiedergli assolutamente se vi era possibilità per lei di suonare il pianoforte a muro custodito nell'edificio nel momento in cui il feretro avrebbe lasciato la chiesa, sperando che lui approvasse la sua richiesta.

 

***

 

Erano passati ormai quindici giorni dal funerale di suo padre e come aveva promesso a se stessa, non aveva più nemmeno sfiorato il pianoforte. La sua anima ferita non sarebbe stata in grado di produrre qualcosa di decente, aveva accuratamente evitato anche solo di entrare in sala per non ripensare ai ricordi di bambina che l'uomo le aveva lasciato indelebili nella mente. Avrebbe voluto cancellari per non ricordarsi della sua esistenza, per quanto forte era il dolore della perdita di lui e del gemello.

Sua madre si era catapultata nel lavoro, facendo più straordinari e notti del necessario in ospedale, per questo motivo in casa spesso e volentieri c'era solamente Usagi, lei di giorno fingeva. Sembrava tornata quella di un tempo, ma di notte la sentiva piangere nascosta tra le lenzuola.

Dopo tutto era normale: le mancanze le si sente maggior mente alla notte.

Dal canto suo si era immersa nelle corse clandestine e nella vita mondana a cui era sempre appartenuta, doveva per forza trovare un modo per non pensare troppo: le corse e le bevute nei bar insieme a Setsuna e le altre le eran sembrate fin da subito la via più facile.

Da tempo non si ubriacava più, dopo quella perdita aveva ricominciato a tornare a casa in condizioni pietose. Grazie a Sets, tuttavia, non aveva mai guidato. In cuor suo era certa che quello era il modo di starle più vicino possibile, probabilmente non del tutto corretto. Probabilmente sbagliato, ma apprezzava il fatto che aveva smesso di farle la morale ormai da un pezzo.

Sua mamma invece era diventata ancora più apprensiva dopo le perdite che l'avevano colpita, la soffocava e – nonostante il dolore lancinante che trapassava entrambi – non mancavano le frequenti litigate, era giunta a non sopportarla più. Non osava immaginare cosa avrebbe detto quando la stagione successiva avrebbe iniziato a correre nelle gare ufficiali, come da comune accordo avrebbe sostituito il fratello. Servivano soldi e gli sponsor avrebbero aiutato tutti. Il suo sogno di far carriera nella musica, intanto, si era spento da solo.

Non sarebbe mai riuscita a suonare come suo padre le aveva insegnato, infondendo al semplice ritmo delle note e delle pause quel tocco in più che erano le sue emozioni: lei di emozioni positive non ne aveva più. Quelle negative non sarebbero arrivate sufficientemente alle altre persone. Era morta dentro e con la morte non poteva portare sorrisi, emozioni e vita in coloro che l'avrebbero ascoltata.

 

***

 

Il silenzio che regnava nel cimitero la sorprendeva sempre, la calda brezza le rincuorava l'animo agitato che non le aveva permesso di dormire quella notte e l'aveva costretta a percorrere per l'ennesima volta in tutti quegli anni la strada che l'avrebbe portata sulla tomba di suo fratello e di suo padre.

Quella notte aveva dormito poco stretta com'era nella morsa dei ricordi che come sempre l'avevano imprigionata a ogni ritorno a casa dall'America. Aveva preso due rose bianche per entrambi, dopo quelle rosse erano quelle che amava di più. Le prime però le avrebbe riservate solo a colei che sarebbe riuscita a rubarle il cuore, cosa che non si era verificata ancora. Fatta eccezione per Michiru.

Sospirò appena al pensiero della violinista, il giorno prima le aveva risposto come se fosse carica di vetriolo, eppure in quelle parole non riusciva a vedere una reale ostilità nei suoi confronti. Al contrario vedeva solo paura ,mascherata da aggressività nel tentativo invano di tenerla lontana da lei.

Notò solo in quel momento come il comportamento della musicista nei suoi confronti fosse uguale a quello che lei stessa adottava verso la restante parte del mondo da quando era rimasta orfana di padre e fratello. Raggiunse la certezza che anche la "sua" sirenetta doveva aver sofferto tanto in tutti quegli anni che erano state separate. Per quale causa però era un mistero.

Si fermò vicino alla lapide che le interessava, sulla quale erano incisi in lettere dorate i due nomi che più le erano cari sul marmo grigio. Si chinò per lasciare al loro posto le due rose che aveva portato per loro.

Non andava mai troppo volentieri lì, saperli ridotti a un mucchio di ossa, nella migliore delle ipotesi, le faceva male e la ferita si riapriva incessantemente. Sentì chiaro il nodo alla gola salire ben distinto senza nemmeno chiederle il permesso di farsi largo nel suo corpo, deglutì per ricacciarlo indietro: non doveva piangere, non era di certo una donnicciola.

Rimase qualche minuto in silenzio prima di guardare l'orologio e avere l'assoluta certezza che per quel giorno sua sorella sarebbe andata alle prove da sola proprio come le aveva accennato quel mattino, anche se avesse voluto non avrebbe avuto il tempo materiale per percorrere la strada dal cimitero a casa di Mamoru e da li verso la scuola di musica.

 

***

 

I tacchi delle decoltè nere che aveva scelto quel giorno risuonavano nei corridoi della scuola, segnalando ai suoi colleghi che era arrivata e sopratutto, a giudicare dal passo, quanto fosse in un ritardo mostruoso. Quella giornata sarebbe stata veramente lunga: alla sera avrebbe dovuto esser presente a una cena voluta dai suoi genitori, ovviamente insieme a Seiya e alla bambina. Conoscendo la figlia si sarebbe annoiata dopo poco meno di mezz'ora li dentro e avrebbe dovuto sentire i commenti dei suoi genitori su come la stava educando: i due erano troppo abituati al lavoro che avevano fatto su di lei, pensando di averle impartito un'ottima educazione. Ed era sicuramente così, ma ciò che era sempre mancato ai due Kaioh più anziani era la manifestazione di amore nei suoi confronti; da li la sua scelta condivisa del marito di essere meno rigidi ma senz'altro più amorevoli. E se Nari ogni tanto faceva qualche dispetto tipico dell'età non sarebbe senz'altro morto nessuno.

Quando fece il suo ingresso nell'aula dove lavorava con Usagi i suoi occhi blu corsero alle sedie in fondo alla ricerca della presenza di Haruka. Ricerca vana. Cercò di non dare troppo a vedere la delusione che si fece largo dentro di lei senza aver motivo di esistere. Rivolse il suo sguardo ad Usagi che la aspettava dalla finestra.

«Scusami per il ritardo, oggi è una giornata piena di impegni e l'organizzazione del concerto di questa scuola mi ha dato qualche problema stamattina». Le disse, avrebbe voluto chiederle come mai la sorella era assente quel pomeriggio, ma per fortuna si fermò in tempo.

Solo il fatto di aver pensato di farle quella domanda però, la fece preoccupare, dove era finita Tenou non doveva interessarle, a quale scopo poi? Non la poteva vedere ne digerire giusto? La realtà e che in fondo non lo sapeva. La realtà è che, probabilmente, raccontava solo grandi bugie a se stessa. Di conseguenza quella poteva essere solamente una facciata. O forse no, forse era sincera preoccupazione senza secondi fini a farle pensare di porre quella domanda alla ragazza.

«Non preoccuparti Michiru». Si sentì rispondere, mentre l'altra sistemava gli spartiti sul leggio. «Quando vuoi possiamo iniziare, io sono pronta»

«Perfetto, direi che allora possiamo andare avanti». Setenziò lei appoggiando la borsa sulla sedia della scrivania per poi avvicinarsi al pianoforte.

Andando avanti con quel ritmo probabilmente Usagi sarebbe stata pronta per suonare insieme a lei ben prima del giorno in cui le avrebbero tolto la fasciatura al polso, avrebbe dunque rallentato di un bel pò la tabella di marcia visto che la pianista stava studiando l'altro pezzo a casa.

Il solo pensiero la innervosì notevolmente insieme a quella sorta di inquietudine che l'aveva pervasa nel momento in cui aveva realizzato che Haruka non avrebbe assistito alla lezione di quel pomeriggio.

Tirò un respiro profondo per non farsi distrarre dai pensieri, doveva concentrarsi sulla melodia che si alzava dalle corde del piano per correggere alcuni passaggi o spiegarne altri, non poteva certamente perdere tempo. Era o non era quella che teneva separato il lavoro dalla vita privata?

 

 

«Tutto quel caffè annacquato ti potrebbe fare male, potrebbe farti diventare nervosa e scontrosa». Una voce familiare piombo, troppo vicino alle sue orecchie; così vicino che poteva sentire il fiato della sua proprietaria vicino al suo viso. I suoi occhi blu si aprirono in un'espressione sorpresa, come aveva fatto a trovarla?

«Beh, dopotutto, frequentare la campionessa di sbuffi, brontolii e quant'altro è parecchio influenzabile». Rispose pungente alla provocazione, ignorando il brivido alla schiena causato dalla presenza dell'altra.

Sentì la bionda spostarsi e la vide comparire nel suo raggio d'azione vicino alla macchinetta presente nel corridoio della scuola, perché fosse li era un autentico mistero: Usagi era andata via ormai da mezz'ora, lei si era fermata solamente per scambiare due parole col direttore e si era concessa un caffè prima di tornare a casa e prepararsi per la cena a casa dei suoi, erano quasi le cinque del pomeriggio ed era in largo anticipo sulla tabella di marcia rispetto all'orario patuito per recarsi dai nonni di sua figlia.

«Non offrirmi un caffè, mi raccomando». Il suo sguardo incrociò quello blu dell'altra in segno di sfida.

«Oltre a essere scontrosa e brontolona sei pure bipolare, non mi sembra che tu apprezzassi molto il caffè delle macchinette. Tra un pò hai completato l'album dei difetti». Rispose a tono, senza bacillare. «Piuttosto, illuminami, a cosa devo la tua presenza qui? Se non sbaglio tua sorella ha finito la lezione da mezz'ora ed è già tornata a casa».

«Si ha finito da mezz'ora ma non è proprio così, doveva venirla a prendere il suo ragazzo ma ha avuto un impegno di lavoro e sono passata io a prenderla. Mi ha detto che non eri ancora uscita dalla scuola quindi mi sembrava carino passare a salutare». Disse senza indugiare molto, appogiandosi con il gomito al muro, rimanendo quasi in bilico e lievemente pendente.

«Apprezzo il gesto ma non era necessario». Mormorò la violinista bevendo l'ultimo sorso di caffè prima di buttare bicchiere e cucchiaino nel cestino poco lontano. Fece atto di allontanarsi per percorrere la restante parte di corridoio diretta all'uscita dove sapeva avrebbe trovato ad aspettarla Seiya con la bambina; ma dopo qualche passo sentì la presa dell'altra cingerle il braccio destro costringendola a voltarsi nella sua direzione. «Cosa vuoi ancora Haruka?». La domanda le uscì spontanea dato che non vedeva altri motivi per intrattenersi.

La osservò avvicinarsi invadendo il suo spazio personale senza mollare la presa, vide gli occhi di lei piantarsi nei suoi vicini, troppo vicini. Talmente vicini da sentirne il respiro solleticarle il viso. Sentì il cuore perdere un battito, prima di iniziare a battere più veloce.

«Voglio che tu sia sincera con me, ti lascio indifferente?». Le mormorò a poca distanza, dalle labbra senza interrompere il contatto visivo, vide lo sguardo di Kaioh bacillare sotto il peso del proprio, le guance colorirsi leggermente.

Michiru sentì un nodo formarsi allo stomaco insieme al rossore che si era sicuramente impossessato del suo viso, la lasciava davvero indifferente? No sicuramente no, ma non poteva certamente dirglielo. Aveva una famiglia e una figlia a cui pensare. Buttare tutto all'aria era fuori discussione.

«Certo che si, sono passati anni ormai Ruka, abbiamo le nostre rispettive vite ed è giusto così». Mormorò poco convinta senza riuscire a sostenere lo sguardo della bionda.

Tenou osservò attentamente la reazione di lei, percepì il tremolio nella sua voce nel darle una risposta che la convinse molto poco: nei giorni precedenti la violinista le era parsa molto combattiva e aggressiva nei suoi confronti, si sarebbe aspettata una risposta decisa almeno quanto quelle già ricevute. A quella domanda invece l'aveva sentita vaccilare. Decise di giocarsi una carta che probabilmente avrebbe rovinato per l'ennesima volta il loro rapporto ma era necessario. Le serviva sapere se lottare ancora o no.

Michiru fissò il muro dietro alla donna che aveva di fronte per dissimulare l'imbarazzo provocato da quella domanda, nella speranza che non fosse palese la sua difficoltà nel risponderle. Non poteva permetterle di farsi avanti ancora nella sua vita come aveva fatto in passato, se avesse fatto ancora danni non avrebbe subito solo lei ma anche la sua bambina.

«Quindi se ti lascio indifferente, non ti crea nessun problema se io ora faccio questo..». Non le diede nemmeno tempo di pensare ai movimenti che avrebbe fatto successivamente alla sua frase e senza pensarci troppo annullò lo spazio minimo tra le loro rispettive labbra. Sentì un immediato irrigidimento della violinista, probabilmente dettato dalla sorpresa e dallo sconcerto sul non sapere cosa fare. Osò ancora, facendo in modo di farla appoggiare contro il muro alle sue spalle, facendo aderire i loro corpi; il respiro che accelerò vorticosamente in quello che lei interpretò come un ben tornata a casa.

Pochi istanti dopo un bruciore cocente alla guancia sinistra la riportò con i piedi per terra: nonostante il viso d'angelo, allora, la sua sirenetta aveva anche un buon braccio destro. Sentì la spinta di lei che l'allontanava. La vide quasi tremare con gli occhi lucidi, lucidità lussioriosa mista alle lacrime.

«Come ti sei permessa? Cosa ti salta in mente?? Non sono la tua bambolina che puoi usare a tuo piacimento sai? Mi hai rovinato la vita una volta, non ti azzardare a rovinarmela ancora Haruka Tenoh. Siamo intesi?». Era sull'orlo di una crisi isterica, ma non poteva permettersela, non davanti a lei e non poco prima di vedere Seiya. Doveva mantenere la calma. Anche se quel contatto così intimo l'aveva portata sulle stelle in pochi secondi, anche se il suo ventre aveva approvato il gesto improvviso, anche se sentiva riaffiorare il desiderio. Non poteva e non doveva cedere.

Non permise nessuna risposta all'altra. Scappo via, con un passo al limite della corsa.

Scese le scale più velocemente che potte prima di fermarsi e cercare di calmarsi, ci volle tutta la sua forza d'animo. Si diresse poi verso l'uscita senza passare a posare le sue cose in aula professori, si guardò intorno e ignorò Usagi dall'altra parte del cortile prima di volgere la sua attenzione alla macchina del marito poco lontana.

 

***

 

La cena a casa dei suoi genitori si era rivelata una delle solite occasioni cerimoniose e sfarzose che detestava fin da piccola, unica cosa positiva era stata il pensiero costante di ciò che era successo nel corridoio della scuola; le sensazioni provate l'avevano scossa particolarmente.

Si sfiorò le labbra con le dita nel ripensare al contatto così intimo e improvviso con Haruka; Seiya sembrava non essersi accorto di nulla nel corso della serata. Era contenta di aver mascherato bene la tempesta interiore che l'aveva stravolta nel profondo, quel bacio era stato proprio come il vento, aveva mosso il mare che da tempo era calmo e tranquillo producendo delle onde gigantesche.

Si sedette sul letto e abbandonò le scarpe sul pavimento donando sollievo ai suoi piedi costretti sui tacchi da quella mattina, il bruno si stava occupando della loro bambina. Nari si era addormentata in macchina durante il viaggio di ritorno e così si era offerto di metterle il pigiama e sistemarla nel lettino al suo posto.

Si sfilò i vestiti di quel mattino e prese l'accappatoio per avvolgersivi dentro.

«Pronta per la doccia?». La voce di lui interruppe i suoi pensieri.

«Si ho proprio voglia di rilassarmi prima di dormire, una doccia è proprio quello che ci vuole». Gli rispose infilando i piedi nelle pantofole, lo vide avvicinarsi a lei con uno sguardo che negli anni aveva imparato a riconoscere come il preludio di un'intensa sessione tra le lenzuola; forse oltre alla doccia una buona sessione l'avrebbe aiutata a mettere a tacere tutti i pensieri nati dalla sua mente a causa di quel bacio non voluto ma che aveva scoperto di desiderare più di ogni altra cosa.

«Se voi contribuire al mio relax ti aspetto di la». Concluse lasciandogli un leggero morso sul labbro inferiore prima di farsi strada tra lui e lo stipite della porta per passare, consapevole che nel giro di una decina di minuti lui l'avrebbe raggiunta sotto la doccia.

 

Tornati nel letto dopo la doccia avevano fatto l'amore di nuovo, ma turbata da ciò che era successo in bagno non era riuscita a lasciarsi andare totalmente.

Il solo pensiero di trovare nuovamente Tenou nella sua mente, immaginarla dentro di lei, immaginarla darle piacere non le aveva permesso di abbandonarsi come avrebbe voluto. La paura era stata troppo forte.

Si asciugò una lacrima sfuggita dai suoi occhi cercando di non fare troppo rumore per non svegliare il bruno: non sarebbe stata in grado di inventare una scusa abbastanza convincente per giustificare le lacrime.

Lei lo amava, sognare la motociclista durante quei momenti non aveva ne capo ne coda. L'attrazione che aveva generato quei pensieri non aveva motivo d'esistere. Possibile che un bacio di qualche secondo l'avesse turbata talmente tanto da desiderare del sesso con quella donna che apparteneva al suo passato?

Non era possibile, avrebbe dovuto allontanarla in modo deciso se voleva ottenere risultati. Probabilmente sarebbe stato giusto avvisare proprio Seiya di quella situazione, magari lui l'avrebbe risolta. Dopo tutto in passato era stato proprio lui a causarne l'allontanamento..perché non doveva funzionare anche nel presente la soluzione?

In fondo, però, non voleva perdere di nuovo Tenou, avrebbero dovuto risolvere tutto ciò in qualche modo che consentisse a entrambe di uscirne illese senza star male. Ma come?

Il suo subinconscio a quanto pare le suggeriva qualcosa che non riusciva ad accettare, non poteva permettere alla bionda di distruggere nuovamente la sua famiglia. Di distruggere lei in primis.

Si voltò verso il moro, beatamente addormentato, lo abbracciò nel tentativo di trovare un pò di conforto dalla sua presenza.

Lei lo amava. Perchè quello era amore vero?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Paure ed evoluzioni ***


Note dell'autrice: Buon pomeriggio, finalmente il sesto capitolo. Come già sa chi segue la mia pagina facebook, purtroppo mese scorso mi si sono rotti sia tablet che computer. Quindi ecco il ritardo nella pubblicazione. Spero comunque che il capitolo vi piaccia. A presto!

 

Capitolo 6: Paure ed evoluzioni

 

«Si può sapere perché mi stai evitando?!?». Una voce che ormai le era famigliare irruppe nella sala professori della scuola, era naturale che prima o poi Haruka avrebbe trovato il modo di parlare. Era da quando le aveva rubato quel bacio che aveva fatto di tutto per evitarla, aveva spostato mille volte l'orario di lezione di Usagi a causa del comportamento dell'altra, non senza dispiacere visto che la sua allieva ci rimetteva per quello che combinava sua sorella.

Evitare di incontrare la motociclista le era sembrata la scelta migliore per non portare avanti una strada pericolosa che avrebbe creato non pochi problemi, era passata quasi una settimana da quel bacio, a breve avrebbe tolto la fasciatura al polso che era andato via via migliorando in quel periodo. Non vedeva l'ora di tornare a suonare per iniziare seriamente a fare le prove.

I fogli che aveva in mano le caddero rumorosamente sul tavolo dell'aula. Un sospiro le sfuggi dalle labbra, pronta a quello che sarebbe stato un estenuante scontro.

«Non ti sto evitando». Mentì, ben sapendo che in realtà il suo intento era palese.

«Sei davvero sicura di quello che dici?». Si innervosì, pensava che fosse così stupida? «Mi sembra di aver notato che da quando ti ho baciata hai cercato di cambiare l'orario di lezione di mia sorella ogni qual volta che ti era possibile avvisandola all'ultimo in modo che io non riuscissi a liberarmi dagli impegni e venire alle prove». Continuò, continuava a darle le spalle senza girarsi, ma sapeva che l'aveva sentita. «Dire che non è per questo non serve a nulla. Continuare a scappare non serve a nulla! La situazione senza affrontarla non cambierà e lo sai benissimo».

«E cosa bisogna affrontare Haruka? Abbiamo entrambe la propria vita, ed è giusto così. Le cose tra noi non funzioneranno mai e lo sai benissimo. Come lo so io, lo sai anche tu». Si voltò a guardarla puntando i suoi occhi nei verdi di lei.

«Lo sai o ti vuoi auto-convincere che le cose tra noi non funzioneranno mai?». Domandò di rimando senza abbassare lo sguardo, sfidandola. «Magari perché ti fa comodo credere che se stiamo insieme andrà male come è stato in passato?».

«Non mi fa comodo credere in nulla, perché non c'è niente da credere. Ho una famiglia a cui pensare, sono felice così». Ribadì. Ma era era la verità? O stava mentendo a se stessa prima che alla persona che aveva di fronte.

«Prima di dirmi di no con questa certezza che tutto sia impossibile ti chiedo di fidarti di me Michiru, ci sono tante cose che non sai; cose che riguardano il passato e che sicuramente ti sono state taciute ingiustamente. Dammi modo di farti vedere tutto con altri occhi, se dopo esserne a conoscenza rimarrai comunque con le tue convinzioni mi farò da parte e continuerò a seguirti in silenzio come ho fatto in tutti questi anni».

«L'ultima volta che ho creduto in te, se non sbaglio non è andata proprio bene alla fine. Perché mai dovrei fidarmi ora? A quale scopo?». Era totalmente fuori discussione anche solo l'idea.

«Perché non te ne pentirai questa volta, perché siamo entrambe donne adulte ora e non più due ragazzine e non scherzerei mai su cose di questo tipo». Le si avvicinò e le mise le mani sulle spalle, gli occhi puntati nei suoi. «Non farti castelli in aria a priori, prendi le cose un po' così come vengono finché non sai come sono realmente andate le cose in passato. Non ti chiedo di lasciarti andare subito». Anche se la voglia che ho di te è tanta. Tenne il pensiero per se, Haruka.

La violinista distolse lo sguardo, quel verde così intenso le aveva sempre creato molti problemi: non riusciva proprio a resistergli. Anche quando di sfuggita l'aveva vista in televisione gli anni precedenti era sempre stata vulnerabile. Si limitò a rimanere zitta in un primo momento, la testa piena di pensieri sul come comportarsi. Una possibilità poteva concedergliela non aveva niente da perdere, dopo tutto, e se aveva da farle vedere delle prove avrebbe valutato con attenzione ciò che aveva da dirle.

«Va bene, ci sto, voglio vedere la verità di cui tanto parli; ma non pensare che ho secondi fini, assolutamente. Credo però che io abbia il diritto di sapere come sono andate realmente le cose». Erano anni che aspettava dentro di se quel momento, forse la sofferenza e il dolore provati nei primi tempi prima di essere poi arginati sarebbero stati finalmente elaborati.

La bionda sorrise, visibilmente più rilassata ai suoi occhi. Uno sguardo meno preoccupato e decisamente più felice.

«Va benissimo Michiru, nessun castello in aria promesso». Si allontanò da lei appoggiandosi alla scrivania poco distante dalla musicista.

Il silenzio creatosi con un velo di imbarazzo da parte di entrambe fu interrotto dalla suoneria del cellulare dell'altra. La osservò attentamente sbarrare gli occhi non appena vide il numero che era sicuramente apparso sullo schermo. Si tirò su dritta, sull'attenti e la fissò.

Vedere il numero del reparto di Pediatria sullo schermo del cellulare le provocò un nodo in gola. Cosa stava succedendo? Rispose subito, mettendo un freno all'agitazione almeno fino a quando la chiamata non sarebbe stata conclusa.

«Pronto». Rispose.

«Parlo con Michiru Kaioh?». La accolse una voce femminile che le sembrò appartenere alla dottoressa che aveva seguito sua figlia durante l'ultima trasfusione di sangue.

«Si sono io mi dica». Rispose brevemente.

«Sono la dottoressa Mizuno, ci siamo conosciute poco tempo fa se si ricorda. La sto chiamando perché abbiamo ricoverato d'urgenza sua figlia, la baby-sitter ha chiamato l'ambulanza. Ha avuto una crisi acuta è già stata stabilizzata dal primario ma le devo chiedere di venire il prima possibile in ospedale. Ho chiamato anche suo marito ma il telefono è spento».

«Vengo subito dottoressa, mio marito è fuori per lavoro per questo non ha risposto. Grazie per la chiamata». Disse, avrebbe voluto urlare al mondo quanto facesse schifo l'accanimento su sua figlia, ma si trattenne consapevole che non sarebbe servito a nulla. Dopo aver ricevuto risposta dalla giovane dottoressa interruppe la chiamata.

Rivolse l'attenzione ai fogli che aveva sparso sulla superficie in legno e iniziò a raccoglierli velocemente senza dire parola alcuna.

«Michiru tutto bene?». La voce della bionda irruppe improvvisamente, era sull'orlo di una crisi di nervi, sentiva che sarebbe crollata di li a poco e non voleva fare scene davanti a Tenou. Le avrebbe rimandate a quella sera, quando con ogni probabilità sarebbe stata sola a casa dato che Nari sarebbe rimasta ricoverata qualche giorno. Nella migliore delle ipotesi, si intende.

«Nari ha avuto una crisi acuta, sta molto male era una dei dottori del reparto. Sono riusciti a stabilizzarla ma.. mi hanno chiesto di andare li il prima possibile». Le sfuggì un leggero singhiozzo.

«Michiru, andrà bene». Le disse avvicinandosi di nuovo a lei, la vide alzare il suo sguardo verso il suo viso. La disperazione negli occhi, dubitava fortemente che fosse in grado di guidare fino alla meta in quelle condizioni. Seiya a quanto aveva capito era fuori per lavoro, molto probabilmente con i tre fratelli. «Ascolta, non andare da sola in ospedale. Non sei nelle condizioni di poter guidare, ti accompagno io». A quelle parole sentì la protesta salire debolmente da parte della pittrice. La fermò ancor prima che diventasse lampante appoggiandole un dito sulle labbra. «Niente proteste, hai bisogno che qualcuno ti accompagni non puoi andare da sola». L'altra alzò le spalle in segno di arresa. «Andiamo dai, ti accompagno in ospedale e poi ti riporto a casa senza nessun problema».

«Per tornare a casa posso...posso prendere un taxi». Mormorò prima di avvicinarsi alla porta dell'aula professori.

«Non dire assurdità, non sei in condizioni di andare via da sola. Ti accompagnerò anche a casa se è necessario, non preoccuparti di questo ora».

 

***

 

Dei passi veloci interruppero il silenzio nella corsia della clinica, occhi blu era davanti a lei di qualche passo e si muoveva veloce in quei corridori che le erano totalmente sconosciuti. Conosceva alla perfezione quell'edificio, si vedeva. Non aveva chiesto nessuna informazione all'ingresso e al solo pensare la motivazione di tanta sicurezza sentì una morsa al cuore. Quel piccolo esserino amato tanto dalla sua sirena doveva aver sofferto molto nonostante la giovane età.

Michiru arrivò all'ingresso del reparto dove sapeva avrebbe trovato la bambina e, sopratutto, il primario che la seguiva; si sentì bacillare appena nel timore di ricevere qualche notizia troppo pesante da sopportare.

«Andrà tutto bene, vedrai». Si sentì di rincuorare l'altra. Non sapeva se sarebbe stato realmente così ma lo sperava con tutto il cuore, non conosceva ancora quella bambina ma solo per il fatto che era figlia della violinista si era conquistata senza difficoltà alcuna un posto nel suo cuore. Non ottenne risposta e, capendo lo stato d'animo dell'altra, non insistette nel parlare ma si limitò a seguirla dentro. Decisa però a lasciarle la giusta privacy nel momento in cui avrebbe dovuto parlare con il primario: sapeva fin troppo bene cosa si provava in momenti simili e se da un lato la presenza di una persona con te si rivela un'ancora a cui aggrapparsi, dall'altro poteva rivelarsi fastidiosa.

Prese posto su una delle sedie presenti nel corridoio aspettando in sua compagnia che qualche medico si facesse vivo in quel corridoio deserto.

La loro attesa non durò a lungo, dei tacchi risuonarono sul pavimento provenienti da una parte di corridoio nascosta alla loro vista. Dopo pochi minuti Tenou posò gli occhi su una figura femminile dai corti capelli blu che aveva un qualcosa di famigliare, non ricordava tuttavia dove si erano già visti. La giovane donna accelerò il passo non appena notò la presenza di entrambe riducendo il tempo della loro attesa.

«Signora Kaioh, buona sera. Sono contenta che sia già qui». Esclamò la dottoressa non appena fu abbastanza vicina da essere udita, poi volse lo sguardo verso l'accompagnatore con i ray-ban calati sul volto nonostante fossero ormai di sera e in un edificio. «Piacere di conoscerla, sono la dottoressa Mizuno. Aiuto il primario quando c'è bisogno». Tese la mano in direzione della bionda.

A sentire quel cognome ad Haruka si accese una lampadina: tanti anni addietro era la fidanzata di quel Takeshi che odiava tanto, di cui era rivale nelle corse e nel quartiere. L'aveva difesa da lui e proprio per questo probabilmente lo scagnozzo si era venduto ai Kaioh per rovinare tutto: ne era certa che coloro che avevano provocato l'incidente appartenevano alla sua banda. «Piacere di conoscerla dottoressa». Si limitò a dire.

«Può seguirmi nello studio del Primario? Così le diamo un quadro completo della situazione». Ami rivolse nuovamente l'attenzione verso la violinista, cercando di essere il più serena possibile. Un medico in fondo doveva trasmettere anche serenità nonostante la situazione critica, l'empatia verso i genitori dei suoi piccoli pazienti certamente non le mancava. La donna di fronte a lei annuì prima di dirigersi verso la porta da lei indicatole, il biondo sconosciuto che non aveva fatto il suo nome, invece, si diresse verso le sedie lasciando che le sue membra riposassero abbandonate in attesa di andare via.

Michiru entrò per prima nello studio, il medico non c'era ma con sua sorpresa fu raggiunta dalla giovane dottoressa. Probabilmente si sarebbe occupata proprio lei di aggiornarla sullo stato di salute di Nari. Fece un grosso respiro. Il suo istinto le diceva che la situazione era peggiorata: crisi così forti a breve distanza dalle trasfusioni non erano mai successe.

«Si sieda pure, così parliamo con calma e senza fretta come deve essere in questi casi». Le sorrise dolcemente la dottoressa. «Prima di tutto voglio confermarle che da quando l'ho chiamata ad ora sua figlia non ha avuto più crisi, ora sta dormendo. Ha una maschera di ossigeno per aiutarla nella respirazione. Come certo avrà capito, una crisi così forte a così breve distanza da una trasfusione di sangue, non è un buon risultato. È già successo altre volte in passato? Dalla cartella clinica della bambina non risulta». Chiese alla donna.

«No, questa è la prima volta che succede, ogni tanto qualche piccola crisi l'ha sempre avuta ma mai a distanza così ravvicinata come questa volta. E sopratutto non così grave». Come immaginava le notizie erano tutto fuorché positive.

«Immaginavo, inizia a risentirne il cuore, purtroppo Nari soffre della forma più grave di Betalassemia, altrimenti detto Morbo di Cooley, e l'unico modo per ottenere una guarigione completa è il trapianto di midollo osseo. Senza questo, visto il peggioramento avuto in breve tempo bisogna pregare che l'organismo della bambina resisti il prima possibile. Noi della clinica, per quanto possiamo fare segnaleremo come urgente il caso di sua figlia per cercare di farlo salire nella graduatoria delle donazioni, più di questo non possiamo fare se non affrontare le crisi poco per volta man mano che si presentano». Il silenzio cadde nella stanza.

Michiru non sapeva bene come rispondere a quella notizia, avrebbe voluto semplicemente urlare, ma non era giusto nei confronti della dottoressa avere reazioni così. Allora decise di chiudere in un cassetto tutte le emozioni per farle uscire poi quando fosse stata a casa da sola, senza nessuno intorno. «Quanto dovrà rimanere ricoverata? Ho bisogno di saperlo per organizzarmi con il lavoro, mio marito come le dicevo per telefono e fuori per dei concerti e ci sono solo io qui in città, vorrei fare in modo di stare con lei il più possibile».

«Sicuramente, per stare tranquilli noi e fare star più tranquilli voi famigliari, rimarrà ricoverata almeno due giorni. Vogliamo essere sicuri che non abbia più nessuna crisi». Le spiegò. «Posso offrirle qualcosa? Un caffè? Ho la macchina per l'espresso proprio dietro la sua schiena».

«No grazie del pensiero ma preferisco andare a casa se non posso vedere la bambina». Disse cercando di controllare la voce affinché non tremasse.

«Può vederla ma essendo in terapia intensiva senza entrare in stanza ma solamente attraverso il vetro, non appena verrà spostata in una camera di degenza invece può stare quanto vuole». Mormorò tranquillamente prima di alzarsi e fare il gesto di stringerle la mano. «Ormai questo reparto lo conosce come le sue tasche, riesce a trovare la terapia intensiva da sola?».

«Certamente, mi ricordo bene dove si trova, ci sono passata davanti un migliaio di volte...». Si alzò a sua volta. «Grazie di tutto, per ora, dottoressa». Le strinse la mano che le aveva porso.

Haruka sentì la porta aprirsi di scatto e si alzò immediatamente in piedi, guardò attentamente il viso della donna che aveva fatto capolino da quelle quattro mura e capì immediatamente che qualcosa non andava nel verso giusto.

Decise allora di raggiungerla per cercare di darle un po' di conforto, anche se non sapeva di preciso come.

«Michi...». Avrebbe voluto abbracciarla, ma non aveva idea di come l'altra avrebbe reagito a un gesto del genere, sopratutto dopo lo schiaffo che le aveva inferto dopo il bacio. Non voleva litigare con lei proprio in quel momento. «Hai voglia di parlarne?».

«Non ora, per favore non ora..o potrei crollare, voglio solo vederla adesso». Il tono che le uscì era angosciato, ai limiti della disperazione. «Vieni con me?».

Fu spiazzata da quella richiesta, non pensava che avrebbe voluto la sua vicinanza, dopo tutto era quasi un'estranea non si parlavano da anni nonostante il breve periodo che avevano condiviso da ragazzine. «Come vuoi, se gradisci vengo volentieri con te». Le rispose prima di seguirla nel reparto a lei sconosciuto. Percorsero un corridoio pieno di studi che a lei parve infinito, arrivarono a un incrocio con altri, lesse chiaramente le frecce indicanti la degenza e la terapia intensiva. Dato lo stato d'animo dell'altra intuì che la loro destinazione era proprio la seconda, si limitò a seguirla senza dire parola alcuna, preferiva fosse lei a parlarle piuttosto che rischiare di infastidirla con discorsi inutili e scontati. Dopo qualche minuto la vide fermarsi davanti alla porta che divideva proprio dal reparto intensivo.

Essere li, davanti a quella porta, questa volta per entrare la fece sentire male, tutta la forza tirata fuori fino a quel momento andò sfumando improvvisamente. Sarebbe mai riuscita a varcarne la soglia? Sentì due mani sulle sue spalle.

«Andrà bene, forza...vedrai che si riprenderà pian piano, vai da lei ora. Se si sveglia ha bisogno di vedere almeno la sua mamma e non sentirsi sola. Non sai quanto sia brutto per un bambino o un adolescente sentirsi così». La bionda le parlò sottovoce. Avvertì come una leggera fitta dolorosa provenire dalle sue parole. Sembrava come se avesse vissuto una situazione simile anche lei, forse era per questo che se pur presente non era per nulla invadente? Doveva ringraziarla per essersi offerta di accompagnarla li, da sola sarebbe stato tutto estremamente complicato da affrontare.

«Si hai perfettamente ragione, lei ha bisogno di me devo farmi forza ed entrare». Le rispose. «Se vuoi venire anche tu, entra pure. Credo che la presenza di qualcuno possa essere un valido aiuto per me». Era solo il momento di difficoltà a farla parlare così o in realtà c'era ben altro sotto? Scacciò immediatamente dalla testa quei pensieri.

«Come preferisci, se vuoi posso anche aspettare qui ma se ti fa piacere che io venga con te lo faccio molto volentieri». Disse lei di rimando, togliendole le mani dalle spalle. « Forza bellezza che la tua bambina ti sta aspettando». La incoraggiò ulteriormente e, questa volta, la vide muoversi verso la porta e aprirla. Lei si sbrigò a seguirla. In quell'ala dell'edificio c'era il silenzio assoluto, rimbombavano solo i rumori dei numerosi macchinari attivi nelle sale predisposte per i pazienti.

«Scusi, sono la madre di Nari Kou, è stata portata in terapia intensiva oggi stesso dopo una crisi respiratoria causata dal Morbo di Cooley». Rivolse la parola a una delle infermiere che si occupava di quel tranquillo reparto.

«Buona sera signora, la bambina è nell'ultima stanza in fondo al corridoio». Fu la risposta accompagnata da un rapido gesto della mano.

Si affrettò dunque verso la fine del corridoio. Era realmente pronta a vederla intubata?

Dopo qualche minuto raggiunsero la stanza che le era stata indicata, come accennato dalla dottoressa la vetrata non era oscurata. I suoi occhi verdi si posarono sul corpicino provato della bambina, sentì una stretta al cuore a vedere un essere così piccolo intubato e con la maschera d'ossigeno, sembrava però dormire serena. Guardò poi il monitor e constatò che nonostante tutto i parametri erano totalmente nella norma, probabilmente il peggio era stato superato.

Spostò lo sguardo sulla madre della bambina in attesa di qualche reazione da parte sua, reazione che non tardò ad arrivare palesandosi chiaramente con gli occhi pieni di lacrime. Senza pensare e seguendo l'istinto l'afferrò per un braccio e la tirò verso di se per abbracciarla. «Andrà tutto bene, si riprenderà vedrai devi avere fiducia anche tu». Le disse sottovoce.

«E' peggiorata.. non era mai successa una crisi così forte a così breve distanza da una trasfusione... e non c'è cura. Siamo in lista per un trapianto ormai da quasi un anno, se peggiora e non arriva un midollo compatibile lei...». Le si ruppe la voce in gola, non voleva crollare, doveva almeno andare a casa prima. Sentì la stretta delle braccia di Haruka farsi più forte. Apprezzò tanto che rimanesse in silenzio. «Ho paura che questa volta non se ne esce..»

L'allontanò leggermente da lei senza smettere di abbracciarla, quel giusto indispensabile per poterle dare un bacio sulla fronte. « Andrà bene, devi essere forte per lei oltre che per te stessa, tira fuori i coglioni Michiru. Li hai, ne sono certa. So quanto possa essere difficile più di quanto pensi, ecco perché ti dico queste parole, perché è una lotta che devi affrontare tu con tua figlia e suo padre. Nessun altro. E vedrai che tante persone che ti sono state accanto fino a questo momento spariranno come un branco di codardi». Avrebbe voluto aggiungere che lei al contrario ci sarebbe sempre stata ma si trattenne. Non le sembrava il caso in quel momento. Sentì il respiro dell'altra tornare pian piano più regolare e tirò un sospiro di sollievo. Almeno per il momento forse si era calmata. La sentì allontanarsi per rimanere ancora per qualche minuto a guardare Nari, le sembrò un tempo indefinito.

«Portami a casa». La sentì dire poi all'improvviso. Sicuramente l'avrebbe portata via da li, ma non di certo dove avrebbe voluto la violinista, lasciarla sola in un momento come quello non le sembrava appropriato.

«Se tuo marito non è in casa non mi sembra il caso di lasciarti da sola, vieni da me». Esclamò senza tante speranze che lei accettasse. Forse era una mossa azzardata in un momento come quello. «Non ti fare pensieri strani è solo che non voglio che tu stia da sola in questo momento. Puoi anche non parlare fino a domani mattina non importa, ma almeno hai qualcuno se hai bisogno di sfogarti, parlare o solo di una persona che stia con te». Chiarì subito le sue intenzioni, andando contro il suo cuore sicuramente.

«In altri momenti ti avrei risposto no...ma purtroppo devo constatare che tu hai ragione, non ho proprio voglia di tornare a casa..vedere i suoi giochi.. pensare e ripensare...». Acconsentì di buon grado all'offerta. Non aveva nemmeno voglia di chiamare Seiya per aggiornarlo su cosa era successo, avrebbe probabilmente trovato il telefono spento come accadeva sempre quando era impegnato nella preparazione di un concerto con i suoi fratelli. In casi come quello il resto del mondo spariva dai suoi interessi e lei era compresa nel resto del mondo così come Nari.

 

***

 

Dopo quasi un'ora varcò la soglia di quell'appartamento che ormai apparteneva ai suoi ricordi di ragazzina, ritrovarsi di nuovo li a distanza di anni le fece un effetto strano. Quella casa era rimasta esattamente come la ricordava, stile moderno, tutto perfettamente in ordine e al suo posto. I particolari curati nei minimi dettagli. Si bloccò nell'ingresso a osservarla attentamente.

«Qualcosa non va?». Le chiese preoccupata Haruka, vedendola immobile.

«No, è che... questa casa è esattamente come la ricordavo, non è cambiato proprio nulla da quando..». Non terminò la frase, tanto la bionda avrebbe capito ugualmente.

«Si effettivamente è rimasta esattamente come quella sera, poi sono partita e sono tornata in Giappone pochissime volte e per brevi periodi, niente che mi permettesse di cambiare arredamento o apportare modifiche alla distribuzione dei vani. Avevo giusto il tempo di farla imbiancare quando rientravo». Le spiegò sorridendo. «Vuoi qualcosa da bere?».

«Dell'acqua va benissimo». Le rispose continuando a guardarsi intorno, dopo aver appeso la giacca.

«Beh, vieni in cucina, non stare li in piedi..non ti mangio». Anche se vorrei. «Puoi stare tranquilla». Rise, prima di sparire in cucina, la sentì arrivare poco dopo e sedersi su una delle sedie intorno al tavolo.

Michiru osservò anche la cucina, oltre alla sala al di la della porta: era davvero tutto come ricordava. Sentì il rossore sulle guance a ripensare a cosa era successo in quella casa molti anni addietro.

Haruka notò chiaramente l'imbarazzo salito sul viso dell'altra nel guardare chiaramente la sala, e ricordandone il motivo sorrise. A quanto pare allora il loro rapporto passato non la lasciava totalmente indifferente, buono a sapersi, forse aveva ancora qualche speranza di sistemare tutto; avrebbe però dovuto giocarsi bene le sue carte. «Sei diventata rossa, cosa succede?». La punzecchiò.

«Oh.. nulla ...è che guardando la sala non ho potuto non ripensare a quella sera ecco..». Il tono con cui pronunciò la frase era tutto fuorché fermo e deciso. Calò dunque il silenzio, non sapeva bene come mandare avanti la conversazione, troppo imbarazzo nonostante non fosse più una ragazzina.

La verità era che nonostante amasse Seiya, sensazioni come quelle che aveva provato quella sera fuori e dentro le lenzuola non ne aveva mai più provate, per quanto il bruno ci sapesse davvero fare a letto.

«Cosa vuoi mangiare per cena?». Cambiò subito discorso Haruka per non infierire troppo, non subito almeno.

«Non ho troppa fame ad essere sincera, non so nemmeno se ho voglia di mangiare qualcosa». Rispose lei.

«Almeno due tramezzini o dei toast mangiali, non ti fa bene stare a stomaco vuoto..ho le cose per farli, cosa preferisci? Puoi anche mangiarli un po' per volta se vuoi se non hai così tanta fame ma qualcosa manda giù». Provò a convincerla, vederla così abbattuta non le piaceva proprio. «In frigo ho formaggio, insalata, maionese e prosciutto..cosa preferisci?».

«Vanno bene dei tramezzini con tutto, non ti stare a scomodare a cucinare. Non ne vale la pena nemmeno so se mangio». Si appoggiò con i gomiti al tavolo e mise il viso tra le mani pensierosa. «Per quale motivo stai facendo tutto questo per me oggi?».

«Perché come ti ho già accennato so benissimo cosa si prova a passare dei momenti simili e so anche che avere qualcuno accanto che si prende cura di te aiuta molto.. non potevo farti andare a casa da sola e farti rimanere completamente sola tutta la notte». Rispose, sperando che la sua risposta fosse abbastanza sufficiente e non la spingesse a indagare ancor di più nel suo passato.

«Qualcuno che conosci non sta bene di salute? È grave?». Chiese incuriosita dalla risposta che le era stata data, sperando di non essere invadente.

«Non credo che siano cose che ti debbano interessare». La risposta arrivò a brucia pelo, come una lama tagliente. Il tono con cui le aveva risposto le uscì spontaneo ma si pentì quasi subito di come lo aveva detto. Vide chiaramente i suoi occhi cambiare in un espressione che pareva ferita. «Michi..perdonami.. non volevo ho un caratteraccio, mi giro spesso così quando toccano determinati argomenti».

«Non importa capisco... vorrei solo un po' stare tranquilla e riposare un po' adesso». Si! dopo quella risposta quella poca voglia che aveva di chiacchierare si era dissolta è persa come una goccia di pioggia nell'oceano.

«Puoi usare il mio letto se vuoi, se ti da fastidio io dormo sul divano quando è l'ora, non ti preoccupare». Le rispose senza nascondere il dispiacere avvertito nel cambio di comportamento della violinista. «Portati almeno questi tre tramezzini di la e dell'acqua così se ti viene fame hai già tutto».

Michiru annuì solamente, prese il piatto e il bicchiere dopo averlo riempito. Aveva voglia di piangere, ma non voleva che lei la vedesse in uno stato simile. La risposta che le aveva dato, insieme alla giornata pesante era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ricordava fin bene dov'era la camera da letto quindi, senza dire nulla, si diresse verso la stanza.

 

***

 

Le aveva lasciato un'oretta, quasi due, da sola per potersi riprendere. L'aveva chiaramente sentita piangere nonostante lei fosse rimasta in sala davanti alla televisione a basso volume, avrebbe voluto andare da lei e consolarla ma poi aveva pensato che, forse, sarebbe stato meglio di no.

Aveva resistito fino a pochi minuti prima, cercando di imporre a se stessa il non andare ma, alla fine, aveva ceduto e in quel momento era sull'uscio della sua camera a fissarla. Le dava la schiena e non sapeva se aveva avvertito la sua presenza in quella stanza, dal respiro le sembrava sveglia. Non stava dormendo, decise quindi di avvicinarsi. I suoi occhi verdi si posarono sul piatto e sorrise nel vedere che qualcosa aveva mangiato, anche se non tutto. Si sedette sul bordo del letto a lei più vicino.

«Michiru..». Mormorò poggiandole una mano sulla spalla, la sentì tirare su con il naso. «Ehi ..voltati, tirati un attimo su». La vide voltarsi, gli occhi troppo rossi per aver finito di piangere da tempo, stava piangendo ancora, ne era sicura. Decise di aiutarla ad alzarsi prendendola per il braccio e tirandola verso di se, seguì subito dopo un suo abbraccio. «Se vuoi piangere, piangi, ma fallo tra le mie braccia..non affrontare tutto da sola».

«Fa male Haruka, fa troppo male..è la mia bambina.. senza di lei io..». Le si ruppero le parole in gola. Non voleva nemmeno pensarci a cosa sarebbe successo senza di lei.

«Devi pensare positivo, te l'ho già detto dovete lottare con lei e insieme a lei». La allontanò leggermente da se stessa per guardarla negli occhi, fu accolta da un blu profondo e disperato. Si sentì quasi annegare in quello sguardo così devastato. «E se vorrai, Michi, io sarò accanto a te». Sentì forte l'istinto di baciarla, forse era il momento adatto per farle sentire tutto l'amore che aveva per lei in un momento così delicato. Le mosse leggermente il viso verso l'alto con la mano e trovò le labbra di lei a pochi centimetri dalle sue, non interruppe il contatto visivo nell'avvicinarsi prima di passarle la mano dietro la nuca e trovarla nel bacio.

La sentì irrigidirsi inizialmente per la seconda volta, ma poi la sentì ammorbidirsi lasciandole maggior spazio per approfondire il contatto. «Michi io...». Le parole le morirono in gola.

«No.. non dire nulla.. non rovinare tutto». La interruppe la violinista, aveva percepito chiaramente quello che aveva voluto dirle con quel bacio, senza parole. Aveva sentito facilmente i sentimenti che l'altra covava ancora nei suoi confronti. Gli occhi lucidi questa volta non per il pianto. Si spostò nuovamente verso Haruka col viso per baciarla una seconda volta, questa volta in modo più audace. Il respiro che accelerò di colpo e le sue mani intorno al viso di lei, rimasero così per un tempo indefinito, poi sentì Haruka spostarsi leggermente più lontano prima di spingerla giù e mettersi sopra di lei, le gambe tra quelle della violinista e i gomiti ai lati della sua testa .

«Sei sicura che vuoi questo? Non è necessario se non vuoi». Le disse la motociclista, fissandola negli occhi. Sperava tanto che lei rispondesse si e non stroncasse un momento del genere, la osservò intensamente negli occhi in attesa della risposta che non tardò arrivare in un secondo bacio da parte dell'altra. Era un si, che si fosse finalmente resa conto dei sentimenti ancora latenti per lei? O era solamente la corrente di emozioni di quel pomeriggio? Scacciò i dubbi su quell'inaspettato comportamento dalla testa e chiese accesso con la lingua alla sua bocca, le sue mani che andavano a bloccare sul materasso quelle delle violinista. Le morse il labbro inferiore prima di abbassarsi a occuparsi del collo. Il respiro dell'altra si interruppe al primo bacio ricevuto sulla pelle per poi continuare in un sospiro.

Le lasciò una scia umida fino arrivare alla spalla, mordendola appena. Le unì le mani sopra la testa per avere la mano destra libera e la sposto lungo i fianchi di lei rallentando in prossimità del bordo inferiore della maglia per passare sotto a contatto della sua pelle e risalire lungo il busto fino a raggiungere uno dei seni.

Un mugolio di approvazione si alzò dalle labbra di Michiru.

«Uhm.. qualcosa mi dice che qualcuno sta perdendo la sua lucidità». Mormorò con voce bassa al suo orecchio, senza reprimere un sorriso soddisfatto.

«Come posso..non perderla..». Fu la risposta che le arrivò all'orecchio. In risposta le strinse un seno nella mano, un leggero morso al lobo dell'orecchio.

Si alzò leggermente, lasciandole andare le mani momentaneamente per sfilarle la maglia che indossava quel giorno, le passò la mano sinistra sui reni per aiutarla ad alzarsi quel poco necessario stringendola a se. Sotto i suoi occhi la pelle candida improvvisamente esposta.

«Direi che anche questo, può andare via». Le mormorò a contatto con la pelle del petto, prima di passare dietro con le mani a sganciare il reggiseno per sfilarglielo. I seni liberi esplosero sotto i suoi occhi in richiesta di attenzioni che non tardò a dare loro. Scese lasciando una scia umida con la lingua fino a raggiungerle il capezzolo sinistro e prenderlo delicatamente tra le labbra per succhiarlo.

Michiru inarcò in risposta la schiena per avvicinarsi ancora di più a lei, pervarsa da veri e propri brividi. Chiuse gli occhi per concentrarsi esclusivamente sulle sensazioni che l'altra le stava donando a contatto con la sua pelle bollente nei punti dove era stimolata in quel momento.

Dopo qualche minuto la sentì salire nuovamente a conquistarle la bocca, sentì il cuore saltarle un battito. Una delle mani dell'altra che scendevano verso i jeans con un ricamo a fiori che indossava quel giorno, avvicinandosi pericolosamente al loro bordo per fermarsi dopo averlo alzato in parte.

«Quanto mi vuoi?». Si sentì chiedere sottovoce poco lontano dalla sua bocca, aprì gli occhi trovandosi riflessa in quelli verdi dell'altra, un piacevole tormento al basso ventre.

«Sono pronta... per te». Rispose in un sospiro, dopo qualche istante di attesa che scambiò quasi per esitazione da parte di Haruka sentì la mano passare sotto i pantaloni e subito dopo sotto l'intimo per raggiungere la sua intimità.

La sentì liquida sotto le sue dita, si aiutò con la mano libera per sganciarle i jeans e sfilarglieli prima di tornare sopra di lei e concentrarsi sul ritmo del suo respiro più accelerato di quando ancora non la stava toccando. Il gomito della mano libera appoggiato vicino al suo viso leggermente piegato a circondarlo dolcemente. Si abbassò nuovamente su di lei per raggiungerne uno dei seni mosso dai suoi spasmodici respiri. Accelerò leggermente il ritmo della mano che aveva impegnata e la sentì perdersi sotto di lei.

«E se ti volessi mangiare?». Disse qualche minuto dopo. Alzando lo sguardo verso i suoi occhi occhi.

«Mangiami». Le rispose in un gemito, le dita non le bastavano davvero, voleva altro. Voleva sentirla di più. Sentì chiaro Haruka fremere a quella risposta mentre scendeva verso le sue gambe, arrivata alla meta sentì nitido un morso non troppo delicato sulla gamba. Seguito dal calore del respiro della bionda su uno dei suoi punti più sensibili.

L'ultimo barlume di lucidità, semmai ancora fosse presente, sparì completamente.

Il ritmo dell'altra che si allineò con il suo respiro in un movimento simbiotico, l'oceano che aveva dentro agitato da colei che per lei era stata sempre un vento libero; fin dal primo incontro. Haruka aveva lo stesso odore del vento.

Sentì il respiro di Michiru aumentare vorticosamente sotto la sua bocca, la sentiva chiaramente al limite della sopportazione del trattamento che le stava riservando. Le pareva che lei fosse come un'onda di maremoto devastante in arrivo, i movimenti istintivi che stava compiendo sembravano onde sempre più agitate. La vide fermarsi di colpo in quella che percepì come tensione in attesa dell'abbandono vero e proprio imminente. Si stacco dalla sua intimità lasciando solo la mano per tornare a livello del suo viso.

«Guardami». Le disse, costringendola ad aprire gli occhi, il cuore che perse un battito a vederli così profondi e pieni di quella che non poteva definire che Lussuria. Il viso arrossato, gli occhi lucidi. «Vieni per me Michi». Aumentò improvvisamente il ritmo della mano.

Gli occhi verdi puntati nei suoi, insieme all'ultima frase e all'aumento del ritmo improvviso della mano fecero crollare la sua diga completamente, sentì un esplosione di brividi propagarsi dentro il suo corpo e intorno alle dita dell'altra.

Le labbra di Haruka a tapparle la bocca senza darle modo di esternare la forte sensazione che l'aveva pervasa, quasi prosciugata. L'onda alla fine era arrivata: improvvisa, pericolosa e devastante.

Seguirono svariati minuti di silenzio in cui rimasero completamente abbandonate in attesa che il suo respiro tornasse regolare.

«Come è stato?». Si sentì chiedere nello stesso istante che la sentì uscire da se stessa.

«Devastante... devastante è la parola giusta». Era l'unico pensiero che era in grado elaborare in quel momento. Non sarebbe riuscita a dirle altro. La vide sorridere prima di spostarsi da sopra a vicino a lei.

«Sono contenta ti sia piaciuto.. ne avevi bisogno». Le rispose accarezzandole delicatamente il viso, senza abbandonare gli occhi blu dell'altra. Ora tornati di nuovo dolci come sempre. Non le arrivò risposta, la vide solo spostarsi un po' più verso di lei, e si stese senza rimanere alzata con la testa. Michiru le poggiò la testa sulla spalla, le venne istintivo abbracciarla.

«E ora?». La sentì chiedere senza quasi emozioni, probabilmente ne aveva vissute talmente tante in poche ore da esserne prosciugata.

«Cosa intendi?». Sapeva benissimo qual'era il punto del discorso, ma non voleva rischiare di capire male la domanda della violinista.

«E ora come facciamo, dopo stasera.. ». Fu più precisa.

«Michi è successo perché entrambe lo volevamo. Lo so che hai un'altra persona nella tua vita, non cambierà nulla nel nostro rapporto. Leggiti prima le cose che voglio farti leggere e poi decidi e accetterò qualsiasi sia la tua decisione senza fare obiezioni. Non rovinare questo momento.. non ci pensare adesso...». Cercò di rincuorarla.

«E' stato un fare l'amore per te? O una semplice scopata Haruka?». Chiese nuovamente, una domanda che la spiazzò e non poco. Cosa poteva dirle? Mentire a lei e a se stessa o essere sincera con entrambe?

«Se vuoi sapere la verità per me è stato un fare l'amore, io provo ancora qualcosa nei tuoi confronti, in questi anni non ho trovato nessuna da farmi innamorare come hai fatto tu anni e anni fa. Ma se devo mentire a te Michiru e se devo mentire anche a me stessa ti rispondo solo una scopata. Vedi tu quale risposta ti può andare meglio». Optò per la sincerità. «Per te cosa è stato invece?». Rivoltò l'attenzione sulla musicista.

«Non lo so Ruka cosa è stato per me... ho talmente tante emozioni contrastanti dentro di me in questo momento..che non ti so dire. Ma è stato meraviglioso, non andava così da anni e anni». La sentì rispondere.

«Credo sia normale la tempesta di emozioni che senti, pensaci ma prima leggi quel fascicolo di cui ti parlo. Magari se hai voglia di farlo mentre sei qui per non leggerlo da sola. Ne conosco i contenuti a memoria perché li ho letti e riletti e magari accetti meglio le cose». La strinse più forte, avrebbe voluto non lasciarla mai andare. «Quando torna Seiya?».

«Lunedì pomeriggio è di nuovo in citta, sabato e domenica sera hanno due concerti consecutivi». Le spiegò.

«Ti va di stare qui da me finché non torna lui? Così non sta da sola e se hai bisogno di qualcosa per te e Nari ci penso io». Le propose stampandole un bacio sulla testa.

Michiru Pensò qualche secondo all'implicazione di quella domanda, non aveva tuttavia voglia di rimanere da sola una volta tornata dall'ospedale e dalle visite della figlia. «Si, rimanere qui qualche giorno mi farebbe molto piacere». Non aveva mai tradito suo marito, cosa le prendeva?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Mura che crollano parte 1 ***


Note dell'autrice: Non ho nulla da dire in realtà su questo capitolo, tranne che sia stato di difficilissima stesura per me, vi avviso che per certi versi è pesante per i suoi contenuti. Il brano che suonano Haruka e Michiru in questo capitolo potete trovarlo su Youtube a questo link nella versione cover per violino e pianoforte. Vi consiglio di ascoltarlo prima di iniziare a leggere. Detto questo vi auguro buona lettura.

 

Capitolo 7: Mura che crollano parte 1

 

C'era questa cosa, tra lei e la vita, una questione irrisolta

La teneva lontana dalle cose che amava di più, quasi volesse

testare la sua sincerità, la sua forza.

Ma tutti le dicevano che era una ragazza forte.
Nessuno avrebbe mai potuto asserire il contrario. Aveva affrontato prove che avrebbero fatto uscire di testa chiunque.

Lei non era uscita di testa. Era un po' morta dentro, ma non aveva importanza, perché lei era forte.

Quindi non aveva bisogno di nessuno a detta degli altri, e lei quasi ci credeva.

Quasi, perché ogni tanto si lasciava sfuggire una lacrima per qualcuno,

un “ho bisogno di te” , ma puntuale la vita la rimetteva in riga: non doveva essere viva, doveva essere forte.”

cit.

 

Quella notte non era riuscita a dormire molto bene, Michiru si era addormentata poco dopo tra le sue braccia esausta della giornata.

Lei, invece, era rimasta a pensare in compagnia della luce della luna che filtrava attraverso le tende.

In qualche modo il pallore candido del satellite terrestre le infondeva sempre una dolcissima tranquillità. E quella notte ne aveva avuto davvero bisogno. Aveva ripensato e ripensato alla risposta brusca che aveva dato alla violinista senza volerlo, era arrivata alla conclusione che forse era meglio parlarle di tutto.

Osservava nervosa i fogli che teneva stretti da quel pomeriggio, si era sdraiata sul letto nel tentativo di dormire circa tre ore, ma aveva fallito miseramente. Fissava senza leggere, ora, quei spartiti che non vedevano la luce del sole da quando suo padre era morto. Li aveva custoditi accuratamente in un cassetto del mobile della sala poco lontano dal pianoforte, in realtà non aveva mai avuto coraggio di rimettersi a suonare: lo aveva promesso a se stessa, a suo padre, il giorno del suo funerale; forse, però, era il momento di ritornare ad accarezzare i tasti bianchi e neri di quello stesso strumento che toccava da bambina.

Sapeva che l'altra dopo le prove sarebbe andata in ospedale da Nari e successivamente a togliere la fasciatura al polso. Sarebbe stata dunque in grado di suonare. Dal canto suo, quel mattino, si era offerta di andare a casa sua per prenderle qualche ricambio di abiti per quei pochi giorni e l'istinto le aveva consigliato di prendere anche il violino. Aveva girato per un po' prima di trovarlo, ma alla fine era riuscita nel suo intento in quella casa sconosciuta. Aveva dovuto mantenere un autocontrollo fuori dal comune nel vedere le foto che ritraevano la musicista con il marito, sapendo tutto ciò che vi era dietro.

Sospirò pesantemente ancora indecisa sul da farsi, controllò l'ora sulla sveglia. Erano quasi le diciotto, di li a poco sarebbe dovuta tornare.

Ma era realmente pronta ad affrontare ciò che aveva intenzione di fare? Poi proprio con la violinista? Il respiro accelerato dalla preoccupazione. Era davvero arrivato il momento di superare il blocco totale che aveva nei confronti della musica? Fece un respiro profondo per tentare di darsi un po' di contegno.

Alle sue orecchie arrivò improvvisamente il suono del citofono. Eccoci, ci siamo, dunque. Strinse nervosamente i fogli nella mano sinistra e si alzò diretta all'ingresso.

 

Quella giornata era stata davvero pesante, prima le lezioni con Usagi, poi in ospedale con Nari per seguire l'evolversi della situazione e infine in clinica per se stessa e il suo polso. Per fortuna sembrava essere tornato tutto a posto e la fasciatura le era stata tolta, l'ortopedico che l'aveva seguita le aveva consigliato di riprendere l'attività musicale gradualmente per non sforzare i tendini e non avere dolori particolarmente forti. Lei tuttavia aveva una gran voglia di suonare, di solito scaricava le emozioni attraverso le note e in quel momento il suo violino le mancava tremendamente.

Uscì dall'ascensore e trovò la porta di casa di Tenou già accostata in attesa del suo arrivo, lei però pareva non essere nelle immediate vicinanze.

«Permesso?». Chiese più per abitudine che altro, visto il rapporto di conoscenza che c'era tra loro due.

«Sono qui in sala entra pure». La voce della bionda le arrivò alle orecchie, si affrettò ad entrare e a chiudere dietro di se la porta dell'appartamento prima di dirigersi verso il punto da cui l'aveva sentita rispondere.

La trovò seduta al pianoforte con degli spartiti davanti a se, non pensava che l'altra suonasse ancora; non aveva nemmeno idea che sapesse suonarlo quel pianoforte. La guardò con occhi interrogativi in cerca di una spiegazione.

«Michiru... volevo chiederti se hai voglia di suonare qualcosa con me... Se te la senti non ti sentire obbligata». Disse con la voce nervosa, abbassando lo sguardo senza incrociare quello dell'altra musicista.

«Si certo che mi va, stavo pensando proprio poco fa che avevo voglia di suonare..ho il violino a casa però». Sospirò al pensiero.

«Stamattina mi sono permessa di cercarlo nel tuo appartamento, immaginavo che avresti avuto voglia di suonare qualcosa, è parecchio che non accarezzi le corde». Le sorrise.

Kaioh la guardò stupita, come faceva a sapere che avrebbe voluto suonare prima di subito? Forse perché anche la bionda era una musicista?

Cercò con lo sguardo la custodia del suo strumento all'interno della stanza e la trovò accuratamente appoggiata sul divano, si mosse dunque nella sua direzione e quando fu li vicino vi si sedette accanto per stare più comoda.

«Mi serve solo una decina di minuti per accordarlo è tanto che non suona, sarà sicuramente da sistemare». Disse, facendo scorrere prima la cerniera e poi aprendo il contenitore. Il suo amore di una vita comparve sotto i suoi occhi. Lo prese delicatamente in mano, agganciò il poggia-spalla nella posizione corretta, poi lo mise in verticale sulle sue gambe e iniziò a pizzicare quasi dispettosa le corde.

Sistemò la corda del Sol agendo sul pirolo corrispondente, come era abitudine, era sempre lei quella che perdeva l'accordatura più facilmente. Poi passò al Re, al La e al Mi agendo questa volta sui tiracantini in basso. Infine appoggiò il violino sul divano e sfilò dal sostegno l'arco per tenderne i crini.

La pianista osservò tutta la scena, rimanendo quasi estasiata dall'amore che traspariva da quei gesti nei confronti del proprio strumento. Anche lei un tempo nei confronti del pianoforte era così. Entrambe erano più simili all'altra di quanto avrebbe mai pensato. La osservò alzarsi tenendo il violino con la mano sinistra appoggiata sul manico a schiacciare le corde poco sotto la chiocciola. L'arco appeso a un dito della stessa mano lasciato alzato.

«Sono pronta, che brano avevi intenzione di suonare?». La sentì chiedere curiosa mentre volgeva lo sguardo agli spartiti che aveva tirato fuori.

«Kiss the rain di Yiruma, la versione per violino e pianoforte..ho già gli spartiti, li ho da anni e anni». Le spiegò. «E' un brano cui tengo molto». Il cuore perse un battito.

«Si la conosco». Si limitò a dire lei, avvicinandosi al pianoforte in modo da poter leggere bene gli spartiti. «Quando vuoi sono pronta».

La bionda annuì, poi tirò un sospiro profondo per cercare di rilassarsi nella speranza di non avere reazioni incontrollate a sentire nuovamente nelle orecchie quel brano ormai appartenente al suo passato più doloroso.

«Pronta?». Chiese, poggiando i suoi occhi verdi all'inizio del foglio. Doveva cercare di stare il più tranquilla possibile, sentì le mani tremarle leggermente. La sua fermezza che da sempre la contraddistingueva sembrava vacillare pericolosamente verso una meta a lei sconosciuta. Tirò l'ennesimo respiro profondo prima di schiacciare il tasto corrispondente alla prima nota e sentire nello stesso istante la dolce melodia del violino unirsi a lei quasi a confortarla e sorreggerla.

Il respirò le aumentò improvvisamente nel percorrere quei fogli su cui tanto si era impegnata da piccola insieme al padre. Quante volte si era arrabbiata perché non riusciva a compiere nel migliore dei modi alcuni passaggi? Quante lacrime aveva versato su quel pianoforte? Con accanto la presenza di lui che continuava comunque a spronarla ad andare avanti e non arrendersi alla prima difficoltà incontrata su quello strumento tanto amato da entrambi.

Nella sua mente passarono ricordi legati a quella musica, mentre il violino di Michiru prendeva il sopravvento passando da accompagnamento a solista. Le note sembravano guidarla in un viaggio veloce nel passato, sentì chiaro salirle il nodo in gola; un magone fortissimo non appena la sua mente toccò l'ultimo periodo. La malattia di suo padre, la morte di suo fratello. Il giorno in cui il sangue del suo stesso sangue l'aveva lasciata per la seconda volta senza poter tornare indietro.

Haruka cazzo! Non puoi metterti a piangere come una donnicciola. Pensò poco convinta verso se stessa. Non stava per piangere vero? Piangere non era contemplabile nel suo quadro caratteriale, non se lo permetteva. Tutte stronzate Haruka! La voce della sua coscienza emerse nuovamente.

La vista le si appannò, con lei il respiro si alterò improvvisamente, oscurando in parte il pentagramma e rendendole difficile suonare il brano correttamente. Lo sforzo che le toccò fare per arrivare alla fine della melodia senza piantare tutto li e scappare lontano da Michiru per non farsi vedere in quelle condizioni fu enorme. Avrebbe voluto chiudersi in camera e lasciarla li, sapeva tuttavia che non era la strada giusta da compiere: aveva deciso di suonare questo brano con lei proprio per spiegarle tutto. Per aver un punto da cui poter partire, non poteva andarsene ora. Il caldo vibrato prodotto dalla violinista risuonò qualche secondo in più delle note sprigionate dai tasti in avorio. Poi calò il silenzio per qualche istante prima che delle lacrime copiose iniziassero a uscire dai suoi occhi. Il dolore riportato in superficie era talmente tanto da impedirle quasi di respirare.

«Haruka, cosa succede?». La voce della violinista arrivò preoccupata alle sue orecchie, strinse il pugno nel tentativo vano di controllarsi. Si alzò di scatto quasi innervosita nel non saper controllare le emozioni che stavano emergendo e si allontanò dal pianoforte in favore del divano davanti al quale rimase in piedi. La mano chiusa e tremante.

Si limitò a fissare Michiru senza parlarle, incatenando gli occhi nei suoi sperando che lei capisse. Capisse in parte cosa stava succedendo o quanto meno facesse domande mirate a far uscire tutto ciò che aveva dentro, da sola non sarebbe mai riuscita.

«Parlami, non posso aiutarti altrimenti, che cosa succede?». Non sapeva come comportarsi difronte a una reazione del genere per un brano. Cosa prendeva alla bionda? Perché una reazione così strana e incontrollata? Decise di compiere qualche passo verso di lei, sperando di non spingerla a indietreggiare o cambiare proprio stanza. Cosa poteva averla turbata così tanto? Significava così tante cose quel brano per Haruka da suscitarle una reazione del genere? Ripensò senza sapere il perché alla conversazione del giorno prima, a quando le aveva chiesto se aveva qualcuno che stava male e alla sua reazione troppo brusca per appartenere a una persona che non era stata ferita in tal senso. «Ti ricorda una persona che non c'è più questo brano, vero?». Azzardò dunque. Senza sapere cosa aspettarsi in risposta.

La pianista rimase immobile per qualche instante, le lacrime le rigavano il viso senza sosta, il corpo tremante e la paura di pronunciare la risposta a quella domanda. Cosa cazzo mi prende.. cosa mi sta succedendo? É una cazzo di domanda, lo stimolo che aspettavo. Fanculo Haruka! Fanculo!

«Michi... io...». Si bloccò qualche istante. «Si proprio così». Rispose, cercando di essere il più convincente possibile.

«Chi era questa persona, Ruka?». Domandò titubante, con la paura di suscitare una reazione uguale alla sera prima o addirittura peggiore, non sapeva proprio cosa avrebbe ottenuto in cambio in quel momento così delicato; la bionda non sembrava proprio incline a raccontare qualcosa che riguardava la sua sfera intima più profonda. Eppure improvvisamente si era accorta di quanto in realtà soffrisse in silenzio, quei suoi occhi verdi dicevano tutto. Fece qualche passo verso Tenoh, indecisa sul da farsi. A istinto l'avrebbe voluta abbracciare, ma non sapeva se era giusto, visti i pugni contratti e il tremolio che poteva percepire.

«Era mio padre Michiru». Disse dopo quella che le parve un'eternità. E si sentì improvvisamente debole, le gambe più molle del necessario. Un nodo allo stomaco percepito come un peso che quasi non le permetteva di respirare, le mancava l'aria. Si lasciò crollare a terra in ginocchio. Le lacrime che uscirono ancora più copiose, spinte dalla rottura della diga che aveva eretto in tutti quegli anni per non sentire il dolore. Tutte le sensazioni che aveva sentito i giorni dopo la morte dell'uomo le aveva chiuse in un cassetto in un punto recondito della sua coscienza. Dando vita a un Haruka totalmente diversa da quella che era stata fino a quel momento, dando vita a una versione di se forte al punto giusto da proteggere la fragilità e il dolore dovuto alla perdita. Forte a tal punto da non riuscire più a legarsi con qualcuno, ad amare qualcuno. Poi improvvisamente era arrivata Michiru, il tempo di un miraggio senza la possibilità di amarla. La vita l'aveva richiamata subito, lei non poteva amare nessuno, era stata costretta a migrare in America proprio per allontanarsi da lei. L'amore era solo qualcosa creato per soffrire dentro, morire ogni volta. Eppure con la violinista era stato diverso, fin dall'inizio.

Proprio quest'ultima, vedendola crollare in terra si decise ad avvicinarsi e abbassarsi a al suo livello, si appoggiò sulle sue ginocchia proprio davanti all'altra, allungò la sua mano destra a toccarle dolcemente il viso per farle alzare lo sguardo.

«Ehi..». Le disse dolcemente, avvicinandosi ancora un po': ora le loro gambe si toccavano.

«Scusami Michiru.. ma fa troppo male, mi sento tremendamente male. Non hai idea di come mi sto sentendo mi sembra di impazzire per tutto questo dolore». Un singhiozzo interruppe ciò che voleva dirle, guardò il pavimento alla sua sinistra e lo colpì con un pugno. Odiava farsi vedere così debole davanti agli altri, lei era quella forte. Quella che tutti invidiavano. «Sapevo che sarebbe stata dura tornare a suonare proprio quel brano, ma non pensavo.. non pensavo che sarebbe stato così...non pensavo... ». Sentì improvvisamente le braccia dell'altra intorno al collo e il suo corpo vicino al suo compatibilmente con la posizione in cui entrambe erano; non poté fare a meno di sgranare gli occhi dalla sorpresa, era raro che qualcuno l'abbracciasse. Nessuno mai lo faceva, era sempre lei ad abbracciare gli altri. Lei non ne aveva bisogno, o almeno questo pensava.

«Non scusarti, non serve.. hai bisogno di sfogarti con qualcuno. Io sono qui.. parla,urla, versa le tue lacrime.. tira pugni sul pavimento se serve! Ma sono qui. Rimarrò qui fino a quando non avrai finito». La sentì mormorare dolcemente al suo orecchio. L'abbracciò debolmente facendo passare le sue braccia intorno ai fianchi.

«Mio padre e mio fratello gemello Michi, sono morti a pochi mesi l'uno dall'altra». Continuò a parlarle nascondendosi nella sua spalla. «Mi sono trovata senza punti di riferimento, completamente persa..e il mio cuore di musicista quasi del tutto in frantumi. Non hai idea di cosa ho passato gli anni immediatamente successivi, mi sono rifugiata nelle corse clandestine, nell'alcol e nel sesso come se tutto ciò potesse aiutarmi. Ho dovuto rinunciare al pianoforte per sostituire mio fratello nelle corse non clandestine, sono state fatte carte false per permettermi di correre..ma sono morta dentro Michi, ho perso le persone che più amavo tutte insieme. Poi sei arrivata tu e ho perso anche te anni fa... e ora eccoti qua..di nuovo». Tremò per le emozioni. «E non so nemmeno se questa volta il destino mi permetterà di rimanerti accanto o deciderà per me come ha sempre fatto. Non so nemmeno se sono destinata ad amare o a soffrire sempre per le persone a cui tengo». Tirò su con il naso.

«Non dire queste cose, sei destinata a essere felice anche tu Haruka. Non deve per forza andare sempre tutto male, se il passato non è dei migliori c'è il futuro a cui pensare e senz'altro andrà meglio. Non precluderti nuove strade in anticipo solo per paura che possa finire tutto o per paura di soffrire, il passato è passato. Devi imparare a gestirlo e non farti influenzare». Michiru la strinse più forte ancora: non avrebbe mai immaginato che dietro quello sguardo spavaldo, da schiaffi alle volte, si celava un'anima così tormentata.

«Non è facile...non è facile per nulla». Si sentì stringere più forte, senza una risposta a parole. Sentiva gli occhi bruciarle, aveva davvero pianto così tanto in pochissimo tempo?

«Non ho mai detto che sia semplice affrontare queste cose, dico solo che puoi riuscirci, sei sempre in tempo a entrare nel panorama musicale come sognavi da piccola. Mi sembra che lo sai suonare molto più che bene...devi smetterla di vedere tutto negativo». Sentire parole del genere uscire dalla propria bocca la sorprese e non poco: lei per prima tendeva a vedere tutto negativo dopo il periodo passato anni addietro. Non riusciva proprio a trovare il lato bello nelle cose, adolescenza e infanzia le erano andate a bagno affogate tra la severità dei suoi genitori e l'impatto di Tenoh sulla sua vita.

«Quando hai esperienze così negative alle spalle è difficile vedere qualcosa di positivo». Rispose secca, non riusciva proprio a concepire l'arrivo di qualcosa di bello nel suo futuro senza aver paura di perderlo dopo qualche istante.

«Ti capisco più di quanto immagini, anche se non ho avuto le tue stesse identiche esperienze Ruka». Si allontanò per guardarla meglio. «Per questo ti dico che puoi riuscire a venirne fuori e a gestire tutto il dolore e il tormento che hai dentro, ci vorrà tempo e tanto impegno da parte tua ma ci riuscirai. Anche se è difficile e quasi impossibile ai tuoi occhi. E se vuoi io vicina a te ci sarò sempre in un modo o nell'altro». Le sorrise.

«Vedi Michiru, per come sono fatta sono anche combattuta tra il tenerti vicina in un qualsiasi modo e l'allontanarti per non distruggerti; perché questo faccio io con le persone che amo le distruggo.. mio padre, mio fratello e probabilmente anni fa anche tu! Sei sparita dalle scene musicali non so per quanti mesi dopo che sono partita...bene non ti ho fatto, in caso contrario avresti continuato a suonare come se nulla fosse accaduto. Io faccio questo Michi, io le distruggo le persone. Le distruggo come distruggo me stessa ogni volta che accade, ti ricordi l'incidente? E' stata colpa mia e potevi non essere più qui, anche tu!». Si morse il labbro per frenare le lacrime che sentiva salire nuovamente a bagnarle gli occhi, aveva già pianto troppo per i suoi canoni, doveva darsi un contegno.

«Quell'incidente non è stato colpa tua ma di chi ci aveva inseguite per chissà quale motivo che non mi è mai stato chiaro, quindi direi proprio che non è tua la colpa. Ma di quei pazzi che ci vennero addosso». Replicò immediatamente, si non era decisamente colpa sua.

«Se tu non eri con me, non avresti corso questo pericolo, io le persone le metto in pericolo e basta... e non hai idea di quanto vorrei poterlo non fare». Rispose lei.

«Ma non dire sciocchezze Haruka, non le metti in pericolo tu ma gli altri, e succederebbe comunque se in cielo decidono così».

La motociclista si limitò ad annuire rimanendo immersa nei suoi pensieri, la donna vicina a lei aveva ragione a parlarle così, nonostante ciò era più forte di lei, non riusciva a vederla diversamente da quell'idea ormai radicata tantissimo nella sua mente. Era la portatrice in carne e ossa della sfiga. Non poteva definirsi in altri modi, anzi stranamente a Usagi e sua madre non erano ancora successe cose gravi, altrimenti sarebbero state la conferma della sua teoria. Perché si, doveva essere per forza così. Si alzò appena per sedersi sul divano, si appoggiò con la schiena e buttò indietro la testa ad occhi chiusi nel tentativo di rilassarsi.

Sentì poco dopo i movimenti di Michiru, la sua presenza al suo fianco e il viso sulla sua spalla.

«Se vuoi parlarne ancora io sono qua, non ti fare problemi». La sentì dire e sorrise lievemente, forse era la prima persona in vita sua che sentiva una sincera preoccupazione nei suoi confronti da parte di un'altra persona. Nemmeno sua madre era mai stata così al di fuori delle raccomandazioni telefoniche prima di ogni gara.

«Lo so grazie». Mormorò in risposta, ma non aveva più nulla da dire, si era già aperta a sufficienza rispetto a quanto era chiusa e criptica solitamente. Poteva dedicarsi ad altro ora. «Cosa preferisci per cena?».

«Un po' di pasta andrà benissimo, ma se mi dici dove trovare le cose cucino io, credo che tu abbia bisogno di rilassarti un poco». Rispose Michiru.

«Le pentole sopra il lavandino, la pasta in basso, affianco al frigo trovi sughi e altre cose, vedi un po' cosa ti ispira a me va bene tutto». Alzò leggermente la testa per guardarla prima di farla cadere nuovamente in modo plateale all'indietro.

 

Il suo sguardo percorse le forme della violinista mentre finiva di lavare i piatti che avevano sporcato quella sera, con sua sorpresa l'altra era riuscita a mettere su una cenetta niente male con quello che aveva trovato in casa.

Avendo scoperto la presenza di una scatola di preparato per del budino al cioccolato che le aveva portato Usagi, con annessa presenza di latte in frigo, aveva fatto anche del dolce e per velocizzarne il raffreddamento aveva messo le coppette nel congelatore.

I suoi occhi verdi si posarono sul fondo schiena dell'altra, perfetto. Per non parlare dei fianchi poco più sopra e del resto del corpo; si alzò per raggiungerla vicino al mobile e la abbracciò da dietro facendo aderire il suo corpo a quello di lei, il viso nell'incavo del collo mentre la osservava riporre le ultime cose.

«Grazie per prima, hai avuto la pazienza di ascoltarmi e alla fine sono poco più di un'estranea per te». Intuì un piccolo sorriso sulle labbra della violinista.

«Mi ha fatto piacere, siamo estranee per modo di dire, qualcosa abbiamo pur sempre condiviso». Captò solamente dopo aver finito la frase il probabile doppio senso che ne sarebbe uscito fuori.

«Mh..». Fu la leggera risposta che arrivò dalla bionda impegnata a lasciarle qualche bacio su collo e spalle. «Hai voglia di rilassarci un po' nel letto? Con la tv in camera potremmo guardarci qualcosa». Provò a proporle, avrebbe voluto volentieri fare altro, soprattutto dopo quello che era successo in circa un'ora, ma non voleva sforzarla anche se sembrava apprezzare di buon grado le piccole attenzioni che le aveva riservato in quei pochi secondi.

«Direi che è una buona idea, sono anche stanca giornata piena stare nel letto davanti alla televisione è la cosa migliore che si possa fare per me in questo momento, se mi liberi da te mi vado a mettere il pigiama e ci sono». Si volse a guardarla prima di darle un bacio sulla guancia e sciogliersi dall'abbraccio.

Una ventina di minuti più tardi erano entrambe sul letto, il condizionatore acceso, Michiru seduta tra le gambe di Haruka nonostante il caldo.

«Hai idea di cosa guardare?Per favore non cose eccessivamente da donne, qualcosa che vada bene a entrambe, non ti costringo a vedere macchine e moto ma abbi pietà di me». Brontolò passandole il telecomando da dietro. «E... Michi». La chiamò per richiamarne l'attenzione, lei si girò a guardarla e aprì le braccia a invito per appoggiarsi contro di lei se avesse voluto. Richiesta che fu presa positivamente in considerazione dalla violinista che si spostò leggermente più indietro per stare comodamente contro di lei.

«Potremmo vedere se c'è qualche film, ma per i film scegli pure tu Haruka io non ho preferenze mi vanno bene anche gli Horror o gli Splatter». Le disse mettendole il telecomando tra le mani. Le osservò attentamente percorrendone le linee affusolate, tipiche da pianista, non aveva mai notato quanto fossero perfette. «Sai che hai delle mani praticamente perfette a proporzioni?».

«Sei proprio un'artista, ma cosa pensavi, che non le avessi? Per fare certi giochini che ti piacciono tanto, devono essere perfette per forza». Rispose cercando di non ridere per l'allusione che le aveva appena lanciato. La sentì sospirare e la immaginò alzare gli occhi al cielo in segno di muto disdegno. «Di che non è vero, ieri sera eri un gemito continuo». Le arrivò in una frazione di secondo un pugno sulla mano senza l'accompagnamento di nessuna parola. Rise piano a quella reazione, avrebbe voluto vederla in faccia. Sicuramente era arrossita violentemente.

Iniziò a cercare un film che potesse piacere a entrambe, senza ottenere risultati. Si allungò quindi leggermente in direzione del comodino e afferrò il telecomando di Sky per risolvere immediatamente il problema. «Hunger Games può andarti bene?».

«Si va benissimo». Rispose subito, cercando di dissimulare l'imbarazzo dovuto all'allusione di poco prima, decise comunque di non dare troppo peso a quelle frasi e si sistemò più comodamente possibile contro la bionda. Aveva il respiro molto più tranquillo, ora, rispetto a quando si era voluta sedere sul divano. Sperava tanto che quella crisi di pianto fosse passata, non la conosceva ancora abbastanza bene ma, vederla così fragile e vulnerabile, le aveva provocato una stretta al cuore.

 

Haruka fissava la televisione senza vederne in realtà le immagini, la mente che vagava a un pensiero fisso: la cartellina gialla contenente la verità di tanti anni prima, era il momento opportuno per tirarla fuori e fargliela leggere? O meglio lasciare spazio al mattino dopo?

Il mattino dopo era già domenica e Michiru sarebbe dovuta tornare a casa al massimo al Lunedì mattina. Questo voleva dire rovinare l'ultima giornata che potevano passare totalmente insieme prima di tornare a malincuore, almeno dal suo punto di vista, alle loro vite. Non sapeva nemmeno se aveva fatto bene a permetterle di avvicinarsi così, troppo presa dalle paure.

La sua attenzione fu catturata dalla sua mano spostata da Michiru sul bordo dei cortissimi pantaloncini che indossava per la notte insieme a una canottiera nera e aderente. «Uhm?». Mormorò in cerca di spiegazioni, anche se l'invito che le stava rivolgendo la musicista era fin troppo chiaro.

«A pensarci bene i giochini di ieri sera, non sono stati affatto male». Si sentì dire, il viso di lei girato in direzione del proprio, un brivido provocato da quelle parole e la voglia di farla sua che aveva fin dalla cucina che si ripresentò prorompente.

«Kaioh mi sorprendi piacevolmente». Le mormorò all'orecchio prima di morderlo, una mano a stringerle il seno, l'altra che passava subito sotto gli shorts a contatto dell'intimità di lei. Passò a rivolgere le attenzioni al collo, mordicchiandolo e baciandolo più volte, la mano sul seno che si era spostata per passare sotto la maglietta alla ricerca dei seni già appuntiti.

«Michiru guardami». Le disse con voce bassa e leggermente roca, i suoi occhi si piantarono in quelli blu oceano.

Le loro labbra si unirono per permettere alle rispettive lingue di incontrarsi e danzare insieme.

Le sfuggì un gemito nel momento esatto in cui, insieme all'incontro delle loro bocche sentì la bionda farsi spazio in lei con le dita, nonostante la presenza della stoffa che rendeva tutto più complicato. Si inarcò appena per facilitarne il compito, mentre l'altra le torturava i seni stringendoli appena.

«Uhm, non avrei mai pensato fossi già così pronta». La voce di Haruka le arrivò all'orecchio. Provocandole un ulteriore brivido che andò a concentrarsi proprio nel basso ventre. «Quasi quasi potrei aumentare un po' il ritmo». La sentì agire dentro di lei esattamente come le aveva annunciato. Il suo respiro aumento esponenzialmente seguendo il ritmo della mano della motociclista, contrasse leggermente le gambe intorno alla mano accorgendosi che non avrebbe resistito ancora per molto.

«Vieni per me, mia dolce violinista». Le disse ancora, prima di aumentare ancora il ritmo e sentire la tensione di pochi istanti prima sciogliersi in un apprezzamento vocale dell'altra. Sorrise soddisfatta diminuendo pian piano il ritmo prima di uscire da lei e darle un bacio tra i capelli.

Restò abbracciata alla sua sirenetta il tempo di farla riprendere da quel contatto così intimo e così veloce.

Poi le fece capire che doveva alzarsi, chiedendole spazio, si diresse dunque di nuovo in sala, verso il baule dove custodiva gelosamente tutti gli spartiti del pianoforte di suo padre, ma anche suoi, sotto i quali sapeva di aver nascosto molti anni prima la cartellina contenente tutte le scoperte fatte dalle indagini, compresi i biglietti dell'aereo fatti a nome suo ma pagati dalla famiglia Kaioh.

La trovò proprio dove ricordava di averla messa, si alzò e richiuse il baule e torno dall'altra, seduta a gambe incrociate sul letto.

«Michi.. ti va di guardarla ora insieme a me?». Le chiese sottovoce, non sapendo bene che reazione aspettarsi dall'altra.

Vide l'attenzione di lei spostarsi sul suo viso e poi su ciò che teneva tra le mani, la vide fare un sospiro profondo come a prendere coraggio e la vide anche annuire silenziosamente nella sua direzione.

Allora lei si mosse verso il letto e le porse il plico di fogli accuratamente conservati, poi si sedette nuovamente dietro di lei a gambe incrociate e decise di abbracciarla, decise che era meglio così visti i contenuti che avrebbe trovato al suo interno.

Michiru osservò la cartellina, da una parte aveva paura di ciò che in essa era contenuto, dall'altra era curiosa di tutto ciò che avrebbe potuto scoprire sui suoi genitori.

Sospirò profondamente per la seconda volta, tolse l'elastico e infine la aprì rivelando il suo contenuto.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Mura che crollano parte 2 ***


Capitolo 8: Mura che crollano parte 2

 

Spesso ci sono più cose naufragate in fondo

a un'anima che in fondo al mare”

Victor Hugo

 

Lo sguardo della violinista si appoggiò sul primo foglio, il primo di un tabulato telefonico molto lungo, svariate chiamate. Tra le quali riconobbe alcune in uscita verso il numero che aveva da ragazzina.

Guardando in cima al foglio si accorse di come si trattasse dei tabulati del numero che suo padre ancora aveva, risalenti proprio al periodo in cui lei aveva conosciuto Haruka.

Alcune righe erano evidenziate con un evidenziatore rosa ormai sbiadito e poco leggibile, portavano tutti a un altro numero, spostò la pagina sopra il letto e iniziò a leggere quella successiva. Un altro tabulato, anzi si accorse che dietro di esso se ne celava un terzo. Sul secondo erano segnate questa volta in giallo delle chiamate a un numero a lei sconosciuto, numero che era il protagonista del rimanente, in cima due nomi, uno a lei conosciuto l'altro totalmente sconosciuto.

«Cosa significa?». Chiese ad Haruka che non si era ancora staccata da lei dopo averla abbracciata e osservava i fogli con il viso appoggiato alla sua spalla.

«Questi fogli, Michi, significano che tuo padre insieme a Seiya, ha fatto fare una chiamata a Jujial, che se non vado errato era la sua segretaria di allora al lavoro. Questa chiamata, in realtà più di una, era verso Takeshi, un pezzo di merda che all'epoca era mio rivale nel quartiere. Dalle conversazioni fatte tra lei e lui è emerso che il mandante dell'incidente è quasi sicuramente tuo padre ». Le spiegò, stringendola leggermente di più. «O se non lui potrebbe essere Seiya ad averglielo chiesto per invidia nei miei confronti o chissà che cos'altro».

Michiru si limitò ad annuire, senza parole ulteriori da aggiungere, non sapeva nemmeno come reagire a una rivelazione del genere.

«Il plico subito dopo spiega tutta la dinamica dell'incidente, cosa è successo e perché...ma è stato chiaro fin dal primo momento che dietro ci fossero loro e il clan di Takeshi, che poi abbiano insabbiato senza portar a termine le indagini è un altro discorso.. sai per non disonorare in parte la tua famiglia e in parte perché sapevano che le indagini avrebbero scoperto tutto». Le spiegò tranquillamente. L'altra rimase in silenzio. Si concentrò su ciò che avrebbe visto da li a poco, consapevole che sarebbe stato un duro colpo per l'altra.

Il mare posò lo sguardo su ciò che aveva davanti, un certificato di nascita che sapeva a memoria visto che era servito in passato per il loro matrimonio, non si soffermò troppo su ciò che aveva davanti quindi, passò al foglio successivo.

 

Il sottoscritto Mitsuo Kaioh nato il 20 Agosto 1960 a Kyoto ore 4.00 Sesso: maschio Cittadinanza: Giapponese

 

Residente in Kyoto 150, Minami - Ku (Japan) .

 

 

 

 

Dichiara che:

 

Vuole riconoscere come figlio naturale :

 

 

 

 

Nome: Seiya Cognome: Kou

 

Sesso: Maschio

 

Nato il: 30 Giugno 1998 a: Kyoto ore: 16.40

 

Cittadinanza: Giapponese

 

 

 

Prendendosi in piena responsabilità e consapevolezza tutti gli oneri a cui dovrà adempiere come padre in seguito alla deposizione di questa dichiarazione.

 

Il suo cuore perse un battito a leggere ciò che aveva davanti agli occhi, dovette rileggere più volte per capire a pieno il significato di quelle parole.

Era suo fratellastro. Erano fratelli da parte di padre.

Era suo fratello e l'aveva sposata.

Era stata ingannata da lui ma, in primis, dalla sua famiglia.

Sentì chiara la delusione e la rabbia salire da uno dei punti più reconditi del suo essere, forse proprio dallo stesso punto in cui aveva racchiuso tutto il dolore di anni prima.

«Non ci credo, non ci posso credere. È mio fratello! Mi ha preso per anni in giro, fin dall'inizio». Esclamò dopo svariati minuti di silenzio, durante i quali era rimasta a pensare a tutto ciò che avevano condiviso.

«Lo so Michiru.. lo so». Si limitò a dire la bionda senza sapere come comportarsi, lei non era brava a stare vicino alle persone. La vita non le aveva dato modo di imparare e ogni volta che si trovava in una situazione del genere non sapeva mai cosa era giusto o no fare. La sentì chiedere spazio, improvvisamente quasi infastidita dalla sua vicinanza, la vide alzarsi e rimanere li accanto al letto.

«E' il padre di mia figlia ed è anche suo zio!!!!». Il suo tono era molto vicino a quello di una crisi isterica. «E' suo padre ed è anche suo zio». Si mosse verso il muro per appoggiarsi, quasi alla ricerca di un sostegno sicuro mentre tutto ciò che era legato a quelle due frasi appena pronunciate la colpirono in pieno come una pugnalata al cuore e allo stomaco. «Poi ci chiediamo da dove è uscita la beta-talassemia major, ecco da dove è uscita. Ecco perché quell'essere non ha mai voluto fare il test genetico per vedere se eravamo entrambi portatori, mio padre è portatore sano della malattia a questo punto. Non ci posso credere, non ci posso credere». Tremava vistosamente, si morse il labbro per cercare di tenere dentro tutto ciò che sapeva che sarebbe uscito da quel momento in poi. Il disgusto che avvertiva era parecchio. «Sono stata scopata da mio fratello per anni e anni!». Il suo sguardo si posò sulla bionda che la ascoltava senza dir parola.

«Michi..c'è un'altra parte di storia che non sai, tu ricordi il nostro addio sulle scalinate del tribunale, io ricordo benissimo i tuoi occhioni blu quasi disperati alla notizia che dovevo andarmene via, non sai però che sono stata costretta dai tuoi genitori a compiere questa scelta. Sono stata allontanata, la carriera negli USA è stata lanciata da tuo padre solamente per farmi allontanare dalla sua bambina. Mi hanno pagato il biglietto aereo, nella cartellina ci sono anche i movimenti del conto di tuo padre e i biglietti corrispondenti. Mi hanno ricattata, volevano far saltare la carriera di mia madre e non potevo permettermelo..scusami se non sono stata abbastanza forte da rimanere. Ma non volevo essere la causa di altro dolore in famiglia, te l'ho detto. Io porto sfiga e basta». Disse tutto di un fiato, avendo paura che l'altra potesse crollare prima che lei finisse la frase, facendola rimanere a metà.

«Non riesco a crederci...io..io non riesco a crederci, eppure quei fogli sono li. Le copie di quei documenti sono li sotto i miei occhi..io..pensare che quasi tutta la mia vita è un enorme presa in giro...». La voce aveva preso a tremarle, segno che il pianto che stava reprimendo non sarebbe stato nascosto ancora per molto. «La mia bambina! La mia bambina Haruka! Ecco la beta-talassemia da dove esce!! Ci credo..se siamo fratellastri..ecco perché non ha mai voluto fare il test. Altro che non voler sensi di colpa, non voleva che venisse tutto a galla». Il tremore sempre più forte. «Mi ha rovinato la vita, me l'ha rovinata dal primo momento che ha messo piede quella sera a casa mia dopo quel ricevimento». Sentì gli occhi bruciarle e bagnarsi.

«Michi..ehi...». Si alzò in piedi di istinto per abbracciarla contro al muro. «Non piangere, so che fa male, ma non piangere, non ne vale la pena». Mormorò al suo orecchio sentendo il pianto diventare via via più copioso.

«No Ruka, tu non sai tutto quello che ho dovuto passare in questi anni, e sapere che lui è la causa di tutto.. non... non posso crederci...non voglio crederci...eppure...». Tirò su col naso stringendola forte a sua volta.

«Raccontami, allora, se vuoi». Le disse allora dandole un bacio tra i capelli. «Sono qui, ti ascolto». Dopo tutto poche ore prima la violinista aveva fatto la stessa cosa con lei, non poteva e non voleva fare diversamente, questa volta era il suo turno di ascoltare in silenzio. Certo non poteva immaginare una reazione così, carica di dolore rinchiuso per anni e anni sotto la superficie di quel viso d'angelo. Amava quello scricciolo, forte almeno quanto lei, ma di una fragilità nascosta forse ancora più accentuata della sua.

Rimasero per un po' in silenzio, fino a quando la violinista non si fu calmata all'apparenza, perché era chiaro che raccontando probabilmente avrebbe pianto di nuovo. Senza ombra di dubbio sarebbe stata una lunga nottata. La sciolse dal suo abbraccio e lei si spostò di nuovo sul letto, spalle al muro, gambe raccolte e viso appoggiato sulle ginocchia. Lo sguardo fisso sul muro davanti.

La bionda tornò nel letto a sua volta sedendovisi sopra a gambe incrociate e in attesa che lei iniziasse a parlare.

«Poco dopo che tu sei stata costretta a partire per l'America, i miei hanno licenziato tutto il personale di Villa Kaioh.. secondo loro era colpa della servitù non attenta se io e te ci siamo conosciute. Il giorno che ci siamo scontrate io ero uscita di nascosto, passando dal vialetto che porta alla finestra della mia camera da letto. Loro non si sono accorti di nulla e le volte successive lo stesso...va da se che quando c'è stato l'incidente e i miei lo hanno scoperto hanno scaricato tutta la colpa su di loro che non erano abbastanza accorti nel seguire la loro bambina». Si fermò qualche istante, sapendo che la parte difficile sarebbe iniziata proprio da li in poi. «Da quel momento per me è stato un piccolo inferno, stavo male per te, ma ho iniziato a stare psicologicamente male anche per la disciplina mille volte superiore a causa della nuova servitù, mi stavano letteralmente sul fiato sul collo. Poi Seiya a casa non migliorava di certo la situazione, lo odiavo all'inizio. Per tutto quello che aveva fatto.. per me era la causa di tutto perché aveva fatto la spia con i miei genitori...pian piano ho iniziato a non mangiare, purtroppo quando sto male emotivamente mi si chiude spesso e volentieri lo stomaco. E in quella casa era un continuo star male, non sopportavo più nulla di quell'ambiente, i miei genitori poi furono tutto fuorché bonari dopo l'incidente».

«Michiru, non mi dire che hai avuto problemi di..». Si bloccò appena, l'ipotesi dell'anoressia era più che fondata, sapere che la causa primaria di tutto ciò che le stava raccontando era lei rafforzava la tesi che doveva solamente stare lontana dalle persone che amava, venivano tutte demolite dalla sua vicinanza. La vide spostare lo sguardo dalla parete di fronte a lei stessa.

«Di?». Le chiese mormorando, intuendo bene a cosa si riferisse, senza il coraggio di completare lei stessa la frase, visto ciò che aveva imparato qualche ora prima dell'altra temeva che si sentisse in colpa per tutto quello che le sue orecchie avrebbero sentito quella notte. Anche se forse la bionda era stata una boccata di ossigeno in mezzo a tutto quel casino.

«Anoressia?». Azzardò temendo la reazione dell'altra. Sospirò profondamente subito dopo averglielo chiesto, sperando in fondo al cuore che si fosse sbagliata nell'interpretarne le parole.

«Si Ruka, pian piano nel corso dei mesi ho iniziato a non mangiare più, buttavo il cibo di nascosto. Avevo un malessere così forte dentro che non riuscivo proprio a vedermi viva, e se ero costretta a mangiare, inutile dire che dopo facevo in modo di vomitare nel mio bagno in camera mia. Non sapevo come esternarlo in altri modi...Seiya se ne rese conto..per quello sono sparita dalle scene per un lungo periodo.. ma per favore non pensare che sia colpa tua. Tu forse sei stata l'unica ventata di aria fresca della mia adolescenza anche se sei stata presente il tempo di un tuono». Mormorò, cercando di non permettere al magone di salire. «Sai, l'unico che aveva capito realmente come mi sentivo era mia nonno, i miei nonni hanno proposto più volte di farmi andare da loro per un po', i miei genitori acconsentirono solo per un breve periodo. Ma anche con loro stavo bene, ricordo che in quel periodo si sforzarono di venire a Kyoto e passare più tempo possibile a casa. Mi hanno aiutata tanto...a tutto questo casino aggiungi il fatto che tu eri una donna, ero stata a letto con una donna ed ero stata bene...avevo un casino in testa anche in questo senso e dall'altro lato avevo Seiya che comunque non si risparmiava nel farmi capire che comunque gli interessavo, nonostante l'odio che provassi per lui e che non dimenticavo mai di esternare». Si fermò nuovamente per cercare di recuperare un po' di quella lucidità che stava lentamente andando via nuovamente. «Nel giro di due anni uscii totalmente dall'anoressia, Seiya in quell'arco di tempo mi è sempre stato vicino, e sebbene non avrei pensato le cose tra noi lentamente cambiarono.. alla fine mi resi conto che mi piaceva, che mi ero innamorata di lui. Anche se con il senno di poi credo che questi sentimenti erano causati solo dalla vicinanza in un periodo difficile della mia vita, in cui bene o male avevo solo lui accanto, ormai avevo quasi diciannove anni e sapendo che comunque uscivo con lui i miei hanno iniziato ad essere più permissivi». Si voltò a guardarla sospirando, gli occhi verdi dell'altra la fissavano attentamente, come a voler captare il minimo segno di un nuovo pianto.

«I tuoi nonni invece, se posso?». Chiese Haruka, intuendo anche questa volta la risposta, la violinista si limitò a guardarla prima di riprendere.

«Poco dopo il compimento dei miei diciannove anni, mio nonno si ammalò improvvisamente, aveva già problemi al cuore avendo avuto negli anni precedenti un infarto. Proprio a una visita di controllo dal cardiologo il medico si rese conto che aveva un discreto ittero diffuso e lo fece ricoverare d'urgenza all'ospedale...». Tirò su con il naso, due lacrime le rigarono il viso. «...perdonami non le racconto mai a nessuno queste cose, sei la prima a cui le dico tutte insieme..». Si morse il labbro per qualche secondo. «..comunque dicevo, da li a una decina di giorni mio nonno morì. E fu un colpo al cuore la sua perdita, era una delle uniche due persone che aveva capito veramente il mio malessere degli anni precedenti..era il mio punto di riferimento. Il mio porto sicuro in mezzo alla tempesta che avevo dentro. Dispensatore di dolcezza in una casa in cui l'affetto non sapevano nemmeno cosa fosse. In un ambiente così freddo e distaccato, c'erano lui e mia nonna che sembravano non appartenere a una famiglia del genere. Eppure mio nonno era un Kaioh anche lui...ma sembrava di un altro mondo...». L'altra le si avvicinò appena, passandole il braccio dietro le spalle per confortarla.

«Michi, mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare tutto questo praticamente da sola, non hai idea di quanto avrei voluto poterti stare vicina se solo avessi avuto possibilità di farlo». Le disse in tono sincero.

«Lo so.. non ti preoccupare non potevi fare diversamente e ora lo so... mia nonna invece, dopo la morte di mio nonno non si è più ripresa, è stato un lento calare...ma cosa vuoi, stavano insieme da ben cinquant'anni..sono stati il primo amore l'una dell'altro..una di quelle storie che speri di vivere anche tu per quanto è bella... mancato lui, le è mancato un pezzo di se stessa...e in sei mesi mi sono ritrovata a provare lo stesso identico dolore, mi è toccato nuovamente percorrere la stessa tratta di quel cimitero...e ho dovuto chiudere tutto il dolore possibile e immaginabile..dentro di me..un'altra volta. E ogni volta sempre con più fatica, ogni volta a rialzarmi sempre con più difficoltà.. ormai sono quasi passati dieci anni e non ho avuto ancora coraggio di tornare in quel maledetto cimitero.. mi sento male solo a pensarlo». Si strinse di più nelle sue spalle. «E credimi, mi odio per questo..ma proprio non riesco a varcare quei cancelli, tornerebbe tutto così reale che ho paura anche solo di pensare a quella lapide».

«Michi... so bene cosa si prova a perdere due persone che hanno significato tanto e dopo quello che mi hai detto lo sai bene anche tu, fa male, anche io inizialmente ho avuto problemi con i cimiteri ma pian piano la si supera... anzi se vorrai, quando te la sentirai, la prossima volta mi farebbe piacere accompagnarti..magari va meglio se vai con qualcuno». Le sorrise, la vide alzare i capelli scoprendosi parte della nuca, proprio dal suo lato, i suoi occhi verdi si posarono su una cicatrice che solitamente rimaneva ben nascosta dai capelli e che non aveva notato fino a quel momento. Le venne l'istinto di sfiorargliela delicatamente con la mano libera dall'abbraccio. «E questa?». Chiese.

«Questa me la fece mio padre, il giorno che io tornai a casa dalla clinica dopo l'incidente, ha imposto il suo modo di pensare con la forza, ha alzato le mani contro di me e io dopo una spinta da parte sua sono caduta e sono andata a sbattere contro lo spigolo del tavolino della sala, quattro punti di sutura, ma come vedi il segno non è scomparso». I suoi occhi lucidi si voltarono verso l'altra.

La bionda dal canto suo dovette trattenere un moto di rabbia nel pensare alla scena così violenta che le si era presentata davanti, come aveva potuto il padre fare una cosa del genere a un fiore così delicato? Ma soprattutto come poteva anche solo aver pensato di fare male a una ragazza?

Solo al pensiero le salì la nausea.

«Non ho parole per definirlo Michi, non ho parole davvero, mi uscirebbero solo insulti e non altro. Deve pregare di non trovarsi mai sulla mia strada dopo tutto il male che ti ha fatto». Esclamò nervosa.

«Ruka, ormai è acqua passata, va bene così...non è necessario». Si sentì di rincuorarla. «E poi vabbè ...Seiya mi ha chiesto di sposarlo, io ho detto si...e mi immagino la sua famiglia che aveva raggiunto il suo obbiettivo giocando sulla mia sofferenza e i miei sentimenti quanto sarà stata felice.. e anche i miei genitori, per il solo fatto che non era andata avanti la mia relazione con una donna». La falsità con cui l'avevano circondata faceva male. «Poi è nata Nari, la scoperta della sua malattia.. e poi la comunicazione che ero stata assegnata a tua sorella, piovuta dal cielo.. questo è tutto». Concluse.

Kaioh, all'apparenza così fragile, in realtà aveva superato tante di quelle sventure nella sua vita che non capiva proprio come era riuscita a rimanere in piedi. Sembrava così delicata . E invece ora che le aveva dato modo di conoscerla fino in fondo aveva capito quanto fosse simile a una splendida rosa, piena di spine ma con un lato in cui non ne erano presenti – come in tutti i fiori della sua specie - che dava accesso alla parte più tenera di lei stessa. E raccontandole quelle cose, le aveva dato modo di entrare in questo angolo nascosto ai più, troppo impegnati a perdersi nel suo profumo e nella sua bellezza fino a quando non si facevano pungere.

Una splendida rosa. «Credo che ognuno abbia i suoi buoni motivi per essere quello che siamo». Disse dopo svariati minuti di silenzio, cercando di tirare fuori qualcosa di quanto meno sensato, con la consapevolezza di aver fallito miseramente. Erano cose da donne il consolare, lei non era capace.

«Cosa hai intenzione di fare ora che sai tutta la verità?». Le chiese poi, per cercare di togliersi dall'imbarazzo.

Michiru non si mosse, rimase a occhi chiusi a riflettere, sebbene avesse sentito la domanda. La realtà era che non era affatto in grado di risponderle. Non aveva la minima idea di come agire, l'idea che poco più di ventiquattro ore dopo avrebbe rivisto Seiya la disgustava e non poco, ma non poteva fare altro che fingere finché la figlia non stava meglio. «Credo che andrò a parlare con i miei genitori non appena avrò un po' di tempo libero, Ruka posso chiederti una fotocopia di questi documenti? Voglio metterli sotto il naso dei miei genitori quando andrò da loro. Per quanto riguarda Seiya, invece, attenderò che Nari stia un pochino meglio, poi penso che chiederò una pausa e mi farò ospitare da un'amica o qualche conoscente fidato».

«Se vuoi e hai bisogno qui c'è posto per entrambe, puoi stare tranquilla non uscirà nulla e i giornali non sapranno nulla. In questo palazzo vige il massimo riserbo, non lo avrei scelto altrimenti, ognuno si fa gli affari suoi, non hanno ancora capito che quel Tenou sono io». Le fece l'occhiolino.

«Ti ringrazio, se non trovo nessun altro penso che accetterò molto volentieri il tuo invito». Le sfuggì uno sbadiglio che non riuscì a trattenere, in barba alle regole di buona educazione che le erano state impartite fin dalla più tenera età. «Credo che sia meglio dormire un po', adesso». Sentiva un discreto fastidio alle tempie, preludio di un forte mal di testa. Quella giornata si era rivelata pesante oltre ogni misura.

«Come vuoi..». Le rispose, prima di alzarsi per darle modo di infilarsi sotto al lenzuolo e seguirla di conseguenza anche se lei per natura non soffriva il freddo, ma dopo quelle rivelazioni la voglia di abbracciarla era parecchia e avrebbe fatto uno strappo alla regola. Spense poi la tv rimasta a far da cornice a tutto ciò che era emerso quella notte, senza essere calcolata da nessuna delle due. Infine spense la luce e di istinto si avvicinò all'altra, facendole passare il braccio sui fianchi e stringerle la mano poco sotto al viso. «Cerca di dormire, dopo stanotte ne abbiamo bisogno entrambe...buona notte Michi». Le mormorò all'orecchio prima di darle un leggero bacio sul viso, consapevole dal cambio di respiro che l'altra era già nel mondo dei sogni.

 

***

 

«Haru, che cosa stai combinando?». La voce di Usagi interruppe il silenzio che era calato al loro tavolo quella sera. Aveva portato a casa Michiru subito dopo cena, e poi aveva deciso che poteva dedicare un po' di tempo a sua sorella dato che negli ultimi giorni era totalmente sparita, senza risponderle nemmeno su Whatsapp.

Alzò gli occhi distogliendo lo sguardo dal bicchiere di birra che aveva ordinato e che le era appena stato consegnato al tavolo insieme al cocktail esotico dell'altra ragazza.

«Niente di cui tu debba preoccuparti Usagi, sono grande e vaccinata e so benissimo quello che posso e non posso fare». Si limitò a rispondere, non amava molto chi voleva a tutti i costi intromettersi nella sua vita privata, era sempre stata molto riservata su queste cose. Amava poco proprio chi faceva troppe domande. Ma Usagi era sua sorella, la conosceva più di qualunque altro e sapeva che non avrebbe potuto mentirle a lungo. Tenendo conto che, il giorno successivo, sarebbe andata alle sue prove come sempre e avrebbe rivisto Michiru; dopo tutto ciò che era successo la notte precedente sarebbe stato difficile non far trasparire nulla.

La violinista aveva accettato di scambiare il numero di telefono e, con la scusa che era preoccupata per la situazione, era riuscita a farle promettere che in qualsiasi momento l'avrebbe chiamata se sarebbe servito qualcosa.

In cuor suo temeva molto la reazione della famiglia Kaioh, ma soprattutto temeva la reazione di Kou. Non aveva la minima idea di come avrebbe potuto reagire e ogni panorama che si prospettava davanti ai suoi occhi non era affatto positivo.

«Sorellina mi stai ascoltando?». La voce interruppe i suoi pensieri, gli occhi si posarono sul volto della sua interlocutrice e non poté fare a meno di sorridere nel vedere il viso dell'altra sporco della maionese dei tramezzini.

«Ero persa nei miei pensieri Usa.. sei sporca di maionese, cosa stavi dicendo?». Chiese dunque, cercando questa volta di prestare più attenzione.

«Ti ho chiesto se, per caso, nel tuo silenzio dei giorni scorsi centra Michiru... da quando vieni a lezione mi sembri molto diversa dal solito, cosa sta succedendo?». Era quasi certa di aver beccato il punto, con Haruka aveva imparato negli anni che se voleva sapere non poteva girare intorno, altrimenti le sarebbe sfuggita come il vento tra le dita.

Sospirò a quella domanda da parte della biondina, inutile non le sfuggiva proprio nulla. «Ascoltami Usagi, ascoltami bene, perché deve rimanere tra noi questa cosa non andarla a raccontare in giro ne nulla. A volte accade che i sentimenti sebbene passino dieci anni non scompaiano, si addormentano solo...e a volte capita che si accendano di nuovo. Ma la situazione è molto delicata, quindi ti chiedo la cortesia di non andarla a dire in giro. Non per ora almeno». Cerco di spiegarle senza scendere troppo nei dettagli.

«Hai passato il weekend con lei?». Chiese nuovamente, ben sapendo in realtà la risposta a giudicare da quanto le aveva appena finito di dirle.

«Si, aveva bisogno di non stare da sola ed è stata da me tutto il weekend, l'ho riaccompagnata a casa prima di vedere te, visto che domani suo marito rientra a casa da uno dei suoi soliti concerti». Abbassò il tono della voce per essere sicura che nessuno le ascoltasse, sebbene il tavolo fosse abbastanza isolato dal resto dei clienti del locale.

«Immagino che te la sei portata a letto». La conosceva troppo bene per dire il contrario, la sua espressione virò in preoccupazione. Ricordava come era finita in passato tra loro due e non voleva che sua sorella soffrisse di nuovo a causa di quella famiglia che era tutt'altro che attenta ai sentimenti.

«Si Usagi, non ti nascondo che siamo finite a letto, ma lo abbiamo voluto entrambe, non mi sono portata a letto nessuno è stato tutto molto naturale. E sopratutto ha potuto leggere da se le carte di ciò che le hanno fatto credere in modo erroneo in passato è sconvolta da alcune cose che sono emerse e non sapeva. La sua famiglia ha agito a sua insaputa perché sono una donna, lei è solo stata una vittima quanto me, le hanno fatto credere cose non vere. Si è aperta molto con me e credimi, nasconde una fragilità unica sotto le apparenze». Rispose prima di prendere un lungo sorso dal boccale. Amava la birra ghiacciata.

«Haru...sai come la penso, dovresti lasciar perdere questa storia. Sei stata già abbastanza male per Michiru in passato, provarci ancora ora che ha una famiglia tutta sua credo sia masochista, potrebbe usarti per una scopata e via. Magari non è nemmeno vero che non sapeva nulla ma te lo ha fatto credere. Ci hai pensato? Poi pensa alla tua carriera, sai che scandalo se venisse fuori che lei viene a letto con te? I Kaioh ti demolirebbero in un batter d'occhio». Provò a farla ragionare.

«No Usagi, ha avuto una reazione troppo sincera, si è messa a piangere quando ha finito di leggere è letteralmente crollata come un castello di carte.. non era una reazione finta, ma vera. Ancora stamattina era scossa per tutto ciò che le hanno fatto credere i suoi genitori, la sua vita fino ad ora è solo una menzogna figlia a parte». Le spiegò. «Stai tranquilla, l'unico che si farà del male questa volta è Kou, pagherà per tutto il male che ha fatto, Michiru vuole chiedergli una pausa di riflessione, probabile che per quel tempo venga da me con la bambina». Concluse.

«Stai attenta, che non voglio raccogliere le tue macerie ancora una volta, per le stesse persone, in ogni caso io e Mamo siamo sempre qui, non esitare a chiedere anche a lui se hai bisogno di un sostegno giuridico, lo sai è sempre molto disponibile». Allungò una mano sul tavolo verso quella della sorella per stringerla. «E lo sai, se vuoi sono sempre qui per parlarne».

Tenou fece schioccare la lingua quasi infastidita da tutta quella dose di dolcezza uscente dalla sorella, roba da donne. E lei era tutto fuorché una donna nell'anima. Prese ancora qualche salatino, aveva bisogno di aria dopo quel discorso, sapeva che la sorella aveva più che ragione a essere preoccupata. In cuor suo, però, era convinta che quella volta sarebbe finita in maniera totalmente differente. Era il suo istinto a dirglielo.

La sua carriera era ormai lanciata, ragion per cui tutti sapevano che aveva stoffa da vendere, non sarebbe stato facile demolire tutto da parte della famiglia di Michiru, in ogni caso a differenza di tanti anni prima aveva le possibilità economiche per mettere su una causa senza problemi.

Certo lo scalpore a livello mediatico sarebbe stato notevole e avrebbe dovuto prima confrontarsi con il suo Manager, senza contare il fatto che sarebbe stata bloccata in Giappone per qualche mese e con la nuova stagione motociclistica sarebbe stato un problema. Ad ogni modo, pensarci in quel momento era esagerato.

Dopo aver constatato che sua sorella aveva finito di bere e mangiare ciò che avevano portato insieme al suo aperitivo si alzò dalla sedia.

«Ti va di fare un giro in moto con me? Ho portato il secondo casco appositamente, poi ti porto a casa direttamente quando ti stufi». Le propose, sistemando il collo della tuta da motociclista.

«Volentieri!!». Esclamò entusiasta, era da tempo che non saliva in moto dietro ad Haruka, la seguì verso la cassa del locale per pagare il conto; operazione che occupò loro pochi minuti e infine si diresse fuori dal locale.

La moto di Tenou era parcheggiata davanti al locale e la osservò aprire la sella per tirarne fuori il secondo casco per poi passarglielo.

Lo afferrò subito per chiuderlo e bloccarlo, si sistemò un po' meglio i lunghi codini in modo che non dessero fastidio con il vento. Nel frattempo la motociclista era già salita a cavallo del suo destriero, dando gas per farlo ruggire in attesa che lei salisse sopra.

Dopo pochi istanti erano tra le vie di Kyoto a sfrecciare tra le macchine sommerse dalle luci della città ancora non addormentata.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Dubbi e strategie ***


Note dell'autrice: Dopo mesi di attesa posso finalmente dire "Habemus Capitolo" scusate l'attesa, ma ho avuto tempo molto discontinuo per scrivere. Vi auguro buona lettura!
 


Capitolo 9: Dubbi e ripensamenti?
 
Era rientrata a casa quel pomeriggio, dopo aver ricevuto la chiamata di Seiya che l'avvisava che stavano partendo per rientrare in città.
In quel momento era sdraiata sul letto, in totale confusione per ciò che era successo nei giorni precedenti. Non si capacitava di come poteva essere andata a letto con Haruka per più di una volta, lei che aveva sempre fatto della fedeltà uno stile di vita fin da piccola, era venuta meno a uno dei suoi principi senza troppe preoccupazioni.
Ma a mente fredda aveva dei dubbi sull'aver fatto la scelta giusta, forse si era fatta trasportare dalle emozioni, dal bisogno di essere confortata e il bruno era fuori dal lavoro. Le sensazioni che aveva sentito, però, erano state forti e intense.
Lo sguardo della bionda non l'aveva ancora lasciata del tutto, anzi, era un tormento ben presente, così come il ricordo delle sue labbra che le sfioravano qualsiasi parte del corpo.
Era se possibile ancora più confusa per il contenuto di quella cartellina di cui le aveva fatto dono l'altra. Tutto ciò che aveva letto le sembrava assurdo da una parte, ma i documenti che provavano il tutto erano contenuti insieme alla relazione quindi non c'era proprio via di scampo. Ed erano documenti autentici, non copie ne manomissioni.
Non sapeva cosa pensare, non sapeva come comportarsi nel momento in cui Seiya sarebbe arrivato in casa. Non era sicura di riuscire a fingere che andasse tutto bene, non ne era mai stata capace e lui la conosceva troppo per non accorgersene.
Cosa si sarebbe inventata?
E poi c'era Nari, vittima senza colpe di tutto ciò che sarebbe scoppiato nel momento in cui lei stessa avrebbe parlato con i suoi genitori prima, con Seiya poi.
Sospirò profondamente per cercare di regolarizzare il respiro ormai controllato dall'ansia che le provocava la situazione che si sarebbe delineata da li a breve tempo. Era perfettamente in grado di provvedere ai bisogni della figlia, problemi economici non ne aveva e quindi sicuramente le sarebbe stata affidata; lo scandalo mediatico però non sarebbe stato indifferente.
Se possibile aumentato ancor di più quando avrebbero saputo che lei e Tenou si erano iniziate a frequentare.
Due personaggi di spicco pubblico non potevano tenerlo nascosto troppo a lungo. La verità sarebbe presto venuta a galla anche se avrebbe fatto il possibile per tenere i media lontano da tutto.
Suo marito però, non era sicuro che avrebbe fatto la stessa cosa, anzi, era probabile che cogliesse la palla al balzo per marciarci su e ottenere qualche ritorno economico. Dopo ciò che aveva letto, nulla le vietava di pensare una reazione del genere da parte di lui, nessuno le vietava di pensare che Kou iniziasse una battaglia legale per cercare di portarle via la bambina.
Si era spacciato per totale estraneo per anni, quando in realtà erano fratelli, perché avrebbe dovuto ancora fidarsi di lui?
Anche se avesse voluto non le sarebbe stato comunque possibile.
Odiava profondamente se stessa per essersi lasciata ingannare dalla sua famiglia, nonostante fosse totalmente consapevole del fatto che era troppo piccola per poter fare realmente qualcosa, almeno all’inizio…negli anni successivi però, se avesse cercato di capire cosa fosse realmente successo sarebbe stato meglio.
Per lo meno non si sarebbe sposata suo fratello. E Nari non sarebbe nata con la croce dell’Anemia. Sarebbe stata un’altra bambina, forse, ma almeno avrebbe trascorso una vita fuori dagli ospedali e non tra le corsie come in quel preciso momento.
Seiya poi non si era preoccupato di nulla, era totalmente sparito, come sempre. Ben sapendo il cagionevole stato di salute di quella che, fino a prova contraria, era anche sua figlia.
Alle sue orecchie giunse chiaro il rumore delle chiavi nella serratura di casa, il bruno aveva fatto dunque il suo rientro, puntuale come aveva detto.
Sospirò profondamente nel tentativo di calmarsi un poco, sarebbe riuscita a fingere per non farlo accorgere di ciò che aveva scoperto?
«Michiru ci sei?». La voce di lui ruppe il silenzio dell’appartamento costringendola a rispondere.
«Si, sono in camera». Rispose con tono sufficientemente alto per farsi sentire, ma con entusiasmo inesistente. Sentì i suoi passi avvicinarsi alla loro stanza, seguiti poco dopo dalla sua figura sull’uscio della porta.
«Come stai? Come sono andati questi giorni? Nari?». Si sentì chiedere mentre il bruno si sedeva sul lato del letto dove era sdraiata. Cosa poteva rispondere? Avrebbe voluto urlargli contro tutta la sua delusione, il dolore provocato da ciò che aveva scoperto e dalla situazione precaria in cui era la sua bambina. Ma lui non avrebbe capito, non avrebbe capito come al solito.
«Sono solo un po' stanca, Nari è ricoverata in ospedale da due giorni perché mentre era con la baby-sitter ha avuto una crisi molto forte, è in terapia intensiva». Si fermò un attimo. «Sai, abbiamo cercato di chiamarti ma tu come al solito cellulare spento, perché ti sembra normale che con tua figlia così tu spegni il telefono!». Gli rispose gelida.
«Tesoro, lo sai che quando faccio i concerti gli ultimi giorni sono di fuoco, lo sai meglio di me, ne organizzi anche tu spesso e volentieri». Si giustificò lui. «Il lavoro è il lavoro e richiede sacrifici».
«Ascolta, anche io sono una musicista, anche io faccio mille prove prima dei concerti, anche io sto organizzando un concerto con la scuola di musica, ma ho sempre il cellulare acceso. Si tratta di tua figlia non di un’estranea, possibile che non la capirai mai questa cosa? Quando mi hanno chiamata dal reparto pediatrico io ero a scuola, stavo finendo di mettere a posto delle cose; mi chiedo perché se io riesco a farlo da dipendente, tu che sei datore di lavoro di te stesso non riesca a farlo». Sbottò, cercando di controllare il nervoso: non poteva permettersi di lasciarsi scappare qualcosa di troppo a causa della rabbia.
«Hai ragione Michiru, sbaglio a fare così ma non posso fare altrimenti». Le disse. «Mi aspettavo un’accoglienza un po' diversa a dire il vero, visti i giorni fuori, ma credo proprio che tu non sia in grado».
«No infatti stasera non sono proprio in grado di accoglierti come vorresti, scusami tanto». Si sollevò dal letto per andare dritta in quello che era il suo studio, si rifugiava li quando aveva bisogno di pensare. Prima però raccolse la custodia del violino abbandonato nel momento in cui aveva messo piede in casa. Suonare le avrebbe fatto sicuramente bene, sfogare le emozioni con le corde e l’arco l’aveva sempre aiutata in passato.
Prese dalla borsa anche il suo smartphone, onde evitare che arrivassero messaggi importanti o chiamate improrogabili e non sentisse.
 
***
 
Dopo aver lasciato Michiru davanti al portone, aveva deciso di tornare a casa, era preoccupata per le evoluzioni che avrebbero potuto seguire al farle leggere il contenuto della cartellina.
Era sicuramente una donna forte, lo aveva intuito da ciò che lei stessa le aveva raccontato, ma quel Seiya non le piaceva, non le era piaciuto fin dal primo momento: ciò che temeva più di tutte era proprio la reazione del bruno.
Saperla a casa alla mercé di quell’uomo la innervosiva parecchio, non aveva idea di come avrebbe reagito e se la violinista aveva intenzione di parlargli quella sera stessa.
Avrebbe preferito esserci anche lei, ma non sarebbe stato giusto. Doveva contare anche il riverbero che la situazione avrebbe avuto sulle televisioni nazionali e internazionali, non sarebbe sicuramente stata una situazione simpatica.
Doveva assolutamente informare il suo manager della situazione e sentire cosa era meglio fare, se aspettare che i giornali scoprissero tutto da soli o se, al contrario, fosse meglio dichiararlo loro stesse.
Lo scandalo che ne sarebbe derivato si sarebbe espanso sicuramente a macchia d’olio. Per non parlare poi dei molteplici inviti che avrebbero ricevuto insieme dalle reti televisive dietro profumato compenso.
Non hanno proprio un cazzo da fare, che mettere il naso negli affari altrui.
Pensò innervosita. Ciò che detestava di più dell’essere famosa era proprio l’essere costretta a partecipare a programmi di cui sostanzialmente non aveva interesse alcuno.
Ancor di più, la preoccupava la reazione dei coniugi Kaioh: dopo tutto la sua carriera era partita per mezzo di una raccomandazione del padre della musicista fatta per allontanarla dalla ragazza senza destare scandali.
Ora, per ripicca, avrebbero potuto benissimo tirar fuori questa storia minandone la credibilità e i risultati che aveva faticosamente costruito da sola. Perché quello aveva fatto: essere una donna con la passione per le moto non era affatto semplice, specie se devi spacciarti per uomo quasi sempre.
Anche quando hai un diavolo per capelli a causa dell’appuntamento mensile.
Sbuffò pesantemente.
In che guaio si era cacciata consapevolmente? Eppure da Michiru non riusciva proprio a star lontana, era diversa dalle altre ed era riuscita a vedere oltre la maschera che si portava sempre dietro.
Aveva sempre sostenuto che il cuore porta a fare delle sonore cazzate e che con se porta anche il cervello. Tutta quella situazione era l’ennesima conferma del suo pensiero.
 
Gli avvenimenti di quei giorni erano sicuramente una conferma a tutto ciò.
Avrebbe dovuto pensare alla cena, ma non aveva assolutamente fame. Aveva voglia di sentirla, di sapere come stava andando. Ma non voleva rischiare che Kou intercettasse il messaggio mandandola così nei guai.
In fondo al cuore aveva anche paura che lei cambiasse idea e che, nonostante tutto ciò che vi era dietro al suo matrimonio, scegliesse di continuare la sua vita con il bruno in tutta tranquillità solo per salvare quella facciata a cui i suoi genitori tenevano tanto.
Non lo aveva messo in conto fino a quel momento, ma era un ipotesi reale.
Avrebbe dovuto lasciarle tempo per pensarci, senza ombra di dubbio.
Ma quanto sarebbe durato tutto questo tempo? Presentarsi alle prove per accompagnare Usagi sarebbe stata la cosa giusta? O sarebbe stato meglio che lei rimanesse a casa?
Il marito di Michiru l’avrebbe accompagnata alle prove oppure no? Doveva mettersi in contatto con la pittrice il prima possibile per cercare di capire come comportarsi, magari chiedendole direttamente.
 
 
«Che cosa?!?». Gli occhi quasi amaranto di Setsuna la stavano fissando incredula dopo che lei le aveva raccontato gli avvenimenti di quel fine settimana.
«Sets, quante storie era giusto così, è giusto che lei sappia che razza di uomo ha affianco… ha già vissuto abbastanza nella menzogna, non lo merita ed è anche colpa mia che non ho avuto i coglioni in passato per impormi non posso lasciarla in una situazione che in parte è stata causata anche da me». Prese un sorso di birra dal boccale che si era fatta portare poco prima, ne aveva proprio bisogno.
«Ma dovevi proprio farlo? Hai la minima idea di che puttanaio verrà fuori? Soprattutto - oltre a questo - dovevi pure scopartela più di una volta? Il passato non ti è servito da lezione? Cazzo Ruka!». La bruna era allibita da ciò che avevano sentito le sue orecchie, il passato aveva parlato chiaro, possibile che fosse così testarda la bionda? A quanto pare si! Avrebbe messo a repentaglio la sua carriera per una donna che molto probabilmente non l’avrebbe nemmeno presa in considerazione.
«Non me la sono scopata, lo voleva anche lei fidati. Io se le donne non vogliono del sesso non le tocco…per chi mi hai presa?». Sbottò infastidita per quella insinuazione.
«Non ho detto che l’hai costretta! Sicuramente ci sarà venuta di sua spontanea volontà, ma tu potevi benissimo rifiutare!! Ti stai infilando di nuovo in un casino più grande di te, tua madre e tua sorella almeno lo sanno?».  Chiese, mangiando due tartine che avevano portato con i bicchieri ordinati.
«Ma ti pare che le dico di no? Ti pare che io possa far cadere una figa gentilmente offerta? A parte che lei non è come le altre, quindi a prescindere non la lascio cadere la sua. E no! Mia madre e mia sorella non sanno nulla ancora, non del tutto. Qualcosina Usagi ma poca roba, le ho chiesto di non parlarne con nessuno perché la situazione è molto delicata e te lo chiedo anche a te. Non voglio girino voci prima del tempo». Il suo tono cambiò in serio mentre puntava i suoi occhi in quella dell’altra.
«Ah già..si in effetti Haruka Tenoh che lascia cadere una figa… solo quando sta male e ha la febbre, effettivamente ha un senso. Ma stai attenta per favore, non buttare la tua carriera per una donna». Le disse, non sapeva che altro dirle, l’altra sembrava sicura e ben convinta di ciò che stava facendo, lei da amica apprensiva quale era, invece, aveva dei dubbi su tutta quella situazione. Aveva sincera apprensione per come si sarebbe evoluta quella storia e sull’impatto mediatico, Tenoh non ne aveva proprio bisogno di impatti mediatici, non aveva proprio bisogno di niente che potesse affondarle la carriera come nulla.
E i genitori della violinista erano perfettamente in grado di farlo, come gliel’avevano data erano perfettamente in grado di togliergliela.
D’altro canto conosceva perfettamente la sua amica e sapeva quanto fosse inutile tentare di farla ragionare quando si poneva uno scopo da raggiungere, era testarda ogni oltre misura; finché non sbatteva il muso contro il muro non dava retta a nessuno. Anche in passato aveva ignorato tutti i loro consigli, fondatissimi, e alla fine era stata costretta a partire per gli Stati Uniti.
«Setsuna, sta tranquilla questa volta non accadrà, andrà tutto bene … Michiru non è più una ragazzina succube dei genitori, è una donna». Cercò di rassicurarla la motociclista, capiva perfettamente tutti i dubbi della sua amica, ma l’istinto le diceva che, con la dovuta pazienza, si sarebbe risolto tutto nel migliore dei modi.
«Si sto tranquilla proprio come lo ero in passato, credo che poi alla fine l’altra volta abbiamo avuto tutte più che ragione». Ribatté piccata l’altra, senza nascondere il nervosismo che le aveva provocato la sua testardaggine.
«Il passato è passato». Commentò la pianista. «Rimanere incatenati al passato non serve, il presente e il futuro bisogna pur viverli, non lo fai pensando a ciò che è stato». La sua voce assunse un tono piatto e quasi distaccato. «Te comunque sentimentalmente parlando come sta andando? Non mi hai più detto nulla».
«Sempre uguale Ruka». Era la verità non era poi cambiato molto nella sua relazione dall’ultima volta che loro due si erano viste.
«Cerca di farla durare, non che poi mandi a cagare anche lui perché ti stufi o perché quel povero cristo ha mille difetti che prima non ti accorgi e all’improvviso si». Sorrise al ricordo della scusa che aveva utilizzato per mollare il suo precedente fidanzato.
«Non è colpa mia se poi fanno sempre qualcosa per cui scadono ai miei occhi, per ora ho beccato solo teste di cazzo». Tirò un sorso con la cannuccia.
«Semplice, dovresti provare a uscire con le donne, tanti problemi di comprensione si risolverebbero». Le fece l’occhiolino. «Se vuoi provare l’esperienza, lo sai, sono sempre disponibile per il bene comune».
Gli occhi della bruna la fulminarono li sul posto.
«Vaffanculo Haruka».
 
***
 
Passare due ore nel suo studio a suonare prima, a riordinare i colori poi, l’avevano aiutata a rilassarsi un poco, complice il fatto che Seiya si era messo a guardare la televisione e non era andata a cercarla.
Non si era mosso nemmeno nel momento in cui lei si era trasferita in cucina per preparare qualcosa per cena, si era fatta accompagnare da Haruka a fare la spesa per fare prima. Sempre nell’ottica di non destare sospetti con il frigo quasi totalmente vuoto indice di una casa disabitata per qualche giorno.
Stava ora osservando la pasta bollire, il sugo era quasi pronto, mentre suonava si era delineato sempre più persistente in lei la necessità di prendere una pausa e allontanarsi da quella casa per un po'.
Il suo istinto le diceva di farsi ospitare dalla pianista per qualche tempo, ma la realtà era che aveva bisogno di lucidità per ragionare su tutto e a casa dell’altra non avrebbe trovato la calma che cercava.
Una parte di lei però in quella casa ci voleva tornare, come se si sentisse al sicuro tra quelle mura, doveva valutare bene la situazione. Sicuramente ne avrebbe parlato con Seiya di questo suo bisogno di staccare la spina da tutto, compreso lui.
Scolò la pasta velocemente e la buttò nella pentola dove aveva cotto il sugo, attese qualche minuto girandone il contenuto a fuoco basso e poi tolse il tutto da sopra il fuoco per portarlo a tavola.
«Seiya è pronto». Urlò dalla cucina, dopo fece un respiro profondo per cercare di distendere i nervi al pensiero di aver davanti il volto di quello che era il suo fratellastro.
Lui non tardò a sedersi, l’accoglienza che gli aveva riservato lo aveva fatto pensare, non capiva per quale motivo avesse avuto una reazione così: non era la prima volta che la bambina stava male quando lui era impegnato in qualche concerto, eppure sua moglie non aveva mai accusato di nulla.
Probabilmente era solamente stressata per i preparativi del concerto alla scuola di musica, se non ricordava male non mancava troppo tempo all’evento.
Il ricovero della piccola aveva sicuramente inciso su un quadro già abbastanza nervoso. «Cosa hai cucinato di buono?».
«Pasta al sugo e li». Indicò il ripiano della cucina con lo sguardo. «Ci sono dei pomodori e della mozzarella se vuoi». Si limitò a dire, con il pensiero volto al dirgli o meno che aveva bisogno di una pausa riguardo al loro rapporto.
Non aveva in realtà ben chiaro se parlare prima con il marito o se affrontarlo dopo aver parlato con coloro che l’avevano messa al mondo.
Parlare con lui, poteva metterli sicuramente in allarme prima che lei riuscisse ad andare dando loro tempo di costruirsi una versione accettabile e convincente, li conosceva troppo bene. Sapevano come insabbiare certe informazioni e girarsele a loro favore, dopo tutto erano una famiglia di spicco che in mezzo a presunti scandali ci passava da anni.
Il parlare prima con loro però, poteva mettere in allarme lui, perché ne era sicura: i suoi lo avrebbero chiamato non appena avrebbe lasciato la villa per avvisare di tutto. Dopo tutto si erano messi d’accordo chissà quanto tempo prima per mettere in atto tutta quella sceneggiata.
«Michiru ma sei sicura che vada tutto bene?». Il vederla mangiare svogliata e immersa nei suoi pensieri aveva fatto sorgere in lui molti dubbi. Cosa era successo in sua assenza?
«Si, non è niente sono solo preoccupata per Nari, non era mai successo che avesse una crisi così importante a così poco tempo da una trasfusione, credo che stia peggiorando». Rispose, dopo tutto non era poi sbagliato quello che gli aveva detto, certo non era tutta la verità.
«Vedrai che sarà solamente un caso, non è detto che peggiori drasticamente». La sua preoccupazione, unita alla consapevolezza che lui era stato assente lo faceva sentire in colpa. Forse sua moglie non aveva tutti i torti ad essere così nervosa nei suoi confronti.
«La dottoressa Mizuno non era del tuo stesso parere, anzi era molto preoccupata. E’ giovanissima ma molto in gamba, ha fatto l’ultima trasfusione a Nari ed era di turno quando l’hanno ricoverata, alle spalle ha il primario che segue la piccola». Sorrise al pensiero di quella strana ragazza dai capelli blu e lo sguardo dolce anche nel dare notizie non troppo positive. Doveva amare tantissimo il suo lavoro, per quanto duro e crudele.
«Capisco..suppongo che tu non abbia molta fame per questo». Indagò ancora.
«Si non ho molta fame per questo, ma comunque mangerò qualcosa, come vedi lo sto facendo quindi niente problemi». Rispose secca lei, ci mancava solo che lui le facesse la predica sul mangiare. Non era più una ragazzina, se in passato aveva avuto problemi in quel senso, non era detto che doveva averli anche a distanza di anni per ogni minima cosa. Era ormai acqua passata, superata e non aveva intenzione di tirare di nuovo fuori quel lato di se stessa.
«Si lo vedo che stai mangiando, ma non mi piace sentirti così giù tesoro, andrà bene come tutte le altre volte vedrai». Prese un’altra forchettata di pasta senza smettere di osservarla attentamente, si aspettava di vederla scoppiare in lacrime da un momento all’altro. Era forse l’unica reazione possibile da parte della violinista arrivati a quel punto.
«Sapessi quante cose non piacciono a me, sapessi quante cose ho dovuto affrontare nella vita che non mi sono piaciute e non puoi immaginare quante altre cose dovrò affrontare che non mi piacciono. Eppure sono qua e sono ancora viva, più combattiva che mai, nonostante tutto». Quel discorso la stava iniziando a far innervosire parecchio.
«Si può sapere cosa ti prende?». No non era una risposta molto normale quella che le aveva appena rifilato l’altra.
«Nulla, la mia è solo una constatazione oggettiva dei fatti, più che altro mi tocca affrontare tutte queste cose che non mi piacciono per colpa di altre persone sicuramente, non so ho questa sensazione per il futuro». Prese con la forchetta l’ultima porzione di pasta che le era rimasta nel piatto. «In ogni caso io ho finito di cenare, quando hai finito se avanza della mozzarella per favore mettila in frigo». Si alzò dunque per lavare l’unico piatto che aveva sporcato insieme alla forchetta e al suo bicchiere. «Se puoi lavare le cose che sporchi mi faresti un piacere, ho solo bisogno di dormire adesso».
 
***
 
Entrò in aula professori come erano rimaste d’accordo via messaggio quella stessa mattina, aveva preparato tutte le fotocopie del fascicolo che custodiva gelosamente dentro alla panca della sala in mezzo agli spartiti di suo padre. Michiru le aveva detto che subito dopo le prove voleva recarsi a casa dei suoi genitori, non aveva nessuna intenzione di perdere tempo. Aveva urgenza di parlarle con loro a quanto le aveva fatto capire.
Haruka non era molto tranquilla, era abituata ad avere sempre tutto sotto controllo nelle situazioni che le si presentavano, quella era la prima dopo tanto tempo in cui nulla dipendeva da lei, era totalmente in mano agli altri.
Il suo sguardo si posò sulla violinista che finiva di controllare gli ultimi fogli burocratici che servivano per il saggio di fine anno, la penna tra le labbra e lo sguardo concentratissimo mentre leggeva attentamente tutti i fogli prima di firmarli.
Vederla lavorare e muoversi in quello che era il suo mondo era meraviglioso.
Si appoggiò al muro in silenzio, per non disturbarla, attendendo che lei le rivolgesse la sua attenzione.
I rumori delle pagine girate dall’altra le sfiorarono delicatamente le orecchie. 
La osservò firmare veloce a fine delle tre pagine per poi voltare gli occhi verso di lei.
«Posso avere la tua attenzione finalmente». Si staccò dal muro per avvicinarsi al tavolo presente nella stanza.
«Direi di si». Sorrise appena. «Hai i documenti con te?». Si alzò per mettere i fogli dell’Accademia laddove glieli avevano lasciati, se tutto andava come avrebbe dovuto era l’ultima parte burocratica dell’organizzazione, mancavano tre settimane scarse all’evento e ormai dovevano iniziare a correre tutti i preparativi, per fortuna Usagi le stava dando molte soddisfazioni.
«Hai intenzione di andare adesso?». Chiese senza nascondere un velo di preoccupazione nel porgerle la cartellina che aveva comprato appositamente quella mattina.
«Si non posso aspettare troppo, non ho nessuna intenzione di mandare avanti tutta questa falsità ancora a lungo, Nari è in ospedale ed è il momento giusto per litigare in casa senza che lei senta. Quando la dimetteranno voglio essere fuori di casa». Notò l’espressione leggermente preoccupata dell’altra, sembrava sincera sia nei toni che nello sguardo. «Ti preoccupa tutto questo?».
La domanda arrivò a bruciapelo, come se ne era accorta? Di solito non faceva trasparire questo genere di emozioni, o almeno credeva di riuscire a farlo bene. Probabilmente quella volta non era riuscita.
«Devo essere sincera? Si un po' lo sono, perché non so come potrebbero reagire i tuoi e soprattutto Seiya, mi preoccupa molto lui. Non riesci a parlargliene fuori? Ho paura che possa reagire in modo violento e possa farti del male, non mi sono mai fidata di lui dalla prima volta che i nostri sguardi si sono incrociati. Almeno posso intervenire se la situazione degenera Michi». Avanzò quell’idea sperando che l’altra accettasse di buon grado.
«Se vado ora dai miei stasera dovrò per forza affrontare lui, non posso aspettare domani, rischio già che loro lo avvisino nel frattempo…andrà tutto bene vedrai. Non permetterò loro di far nulla che possa nuocerti». Le sorrise interrompendo il contatto con gli occhi dell’altra per guardare l’ora. «Sarà meglio che vada altrimenti arrivo li troppo tardi e il discorso è davvero troppo lungo».
«Mi raccomando, fai attenzione». Concluse l’altra ottenendo un accenno che interpretò come un si. «Fammi sapere poi come è andata non farmi preoccupare che sto in pensiero». Aggiunse un attimo dopo.
«Si non ti preoccupare appena posso ti scriverò un messaggio, non vedo l’ora di aver fatto questa cosa. Voglio capire perché hanno fatto una cosa del genere nei miei confronti, tanta cattiveria è tutto fuorché umana. Nei confronti di una figlia poi…». Si interruppe perché quel discorso le faceva male.
«Lo so Michiru, spero che tu riesca a ottenere tutte le risposte che cerchi questa sera». Sorrise aprendo la porta dell’aula. «Prego»
«Grazie». Le rispose, prima di afferrare la borsa e uscire dalla stanza.
 
***
 
L’edificio che era davanti ai suoi occhi non era la villa dove era cresciuta, era arrivata con la sua macchina esattamente davanti al cancello, ma poi il dubbio che dire tutto subito fosse sbagliato e controproducente si era insinuato nei suoi pensieri.
Aveva così deciso di inserire la retromarcia e cambiare meta, sperando che Tenoh fosse in casa a quell’ora del pomeriggio. Non l’aveva chiamata e nemmeno avvertita del suo passaggio, aveva deciso praticamente all’ultimo.
I pensieri su come agire erano fortemente cambiati e voleva parlarne con qualcuno, la bionda era l’unica opzione disponibile. La sua manager per quanto fosse ormai un’amica da tanti anni, non le dava fiducia in quel frangente: aveva paura parlasse troppo presto sbandierando tutto a chi doveva rimanerne fuori fino all’ultimo.
Sospirò pesantemente dopo essersi appoggiata al muro vicino al citofono, aveva suonato più di una volta senza in realtà ottenere risposta.
Probabilmente Haruka era fuori, o forse impegni di lavoro o chissà che altro. Dopotutto era passata così all’improvviso e l’altra sapeva che fosse a casa dei suoi genitori in realtà.
«Michi… cosa ci fai qui?!?». Il suo tono era sorpreso, non si aspettava proprio di vedere la violinista sotto casa sua, possibile che aveva già finito con i suoi genitori? Le sembrava al quanto improbabile, troppo tranquilla e rilassata per aver parlato con loro.
«Scusa il disturbo, ma all’ultimo ho pensato che fosse uno sbaglio andare subito da loro e raccontare tutto, credo che io debba agire con molto sangue freddo e senza essere impulsiva… ma ho bisogno di parlarne con qualcuno per vedere come muovermi, tu puoi aiutarmi?!?». Le rispose l’altra abbandonando l’appoggio del muro. La osservò meglio in viso, aveva il naso sporco di nero, quello che sicuramente era grasso per automobili, le mani nelle stesse condizioni. Sorrise a vederla così, la maglia in origine bianca e ora di un colore indefinito. «Cosa stavi combinando?»
«Certo che posso aiutarti, mi do una ripulita e poi mi dici tutto...stavo giocando con la mia moto, ogni tanto mi piace fare cambiamenti». Le fece cenno di seguirla all’interno del portone e in seguito dall’ascensore.
 
Un quarto d’ora più tardi erano entrambe sedute sul divano della sala, la motociclista con una birra in mano, l’altra poco lontana con un bicchiere d’acqua.
«Dicevi che avevi pensato a un altro modo di agire? Spiega». Haruka ruppe il silenzio, era curiosa di sentire cosa si era inventata il suo angelo.
«Ho intenzione di pensare soprattutto anche a come evitare di rimanere senza patrimonio, devo prima creare un conto-corrente bancario tutto mio e non condiviso con lui. Ma mi serve una mano, credo che usare il mio nome e cognome sia troppo rischioso, stavo pensando di crearmi un’identità falsa da usare fino a quando non ho finito di fare queste cose, in modo da non attrarre particolarmente l’attenzione della mia famiglia. Stasera parlerò a Seiya e gli dirò come deciso che ho bisogno di una pausa, ho il pretesto giusto da utilizzare e userò quello…devo solo trovare una scusa plausibile per spostare buona parte del mio patrimonio sul conto intestato alla mia identità falsa».
«Posso aiutarti io per i documenti falsi, so a chi chiedere, un tempo quando ero ragazzina non ero certamente nel giro ma so chi contattare per questo genere di favori, certo non costano poco economicamente parlando». Le disse la bionda.
«Non ho problemi di denaro, anzi! Basta sia un lavoro fatto molto bene e qualsiasi cifra chiedano avranno». Rispose lei.
«Va bene Michi, credo che sia un piano che possa funzionare, con la piccola come hai intenzione di fare? Hai deciso da chi andare alla fine?». Prese un sorso dalla bottiglia.
«La piccola verrà con me una volta dimessa, avrei deciso di.. venire qui se per te non è un disturbo troppo grosso, amiche non mi fido conoscono anche Seiya mi inventerò che vado da qualche collega. Ne ho talmente tante che non riuscirà a capire dove sono e comunque gli chiedo di non cercarmi… quando poi sarà tutto pronto vedrò come fare».
«Nessun problema ad ospitarvi qui…ecco però ti avviso… io con i nani non mi ci so rapportare». Alzò un sopracciglio. «Credo che siamo proprio su un altro universo, effettivamente tra giganti e nani non ci si comprende molto». Disse grattandosi il mento in una finta espressione pensierosa.
«Quanto sei stupida! Vedrai che Nari ti piacerà, la prendono tutti in simpatia quelli che la conoscono, si fa voler bene». Mormorò pensando alla figlia. «E per le crisi eventuali che può avere ti spiegherò come fare così se io non ci sono sai come agire».
«Mhm..». Annuì pensierosa. «Se è come la mamma non metto in dubbio che sia capace di farsi voler bene, la mamma si fa proprio amare». La guardò con la coda dell’occhio per vederne la reazione.
Un leggero rossore tinse il viso dell’altra che si affrettò a distogliere lo sguardo da lei, nel tentativo poco riuscito di far finta di niente.
Un sorriso compiaciuto per quella reazione comparve sul viso della motociclista.
«Hai impegni? O puoi fermarti un po'?». Le chiese dunque.
«Devo tornare a casa tra poco, Seiya sapeva che dovevo passare dai miei per una cosa ma non voglio fare troppo tardi, se poi chiama e non mi trova li può essere un problema e non voglio insospettirlo prima del dovuto». I suoi occhi si posarono sull’orario nello schermo del cellulare. Era più tardi di quanto in realtà pensava.
«Mi correggo devo andare, immediatamente!». Scattò subito in piedi, posando il bicchiere sul tavolino davanti al divano.
«Ti faccio allora sapere quando sono pronti i documenti?». Si sentì domandare.
«Si mi faresti un grosso favore a occupartene tu, fammi sapere l’importo che ti devo dare, in contanti, perché se verso sul tuo conto se ne accorge sicuro Seiya». Le spiegò.
«Come farai a giustificare il prelievo di una somma così alta dal conto se lo avete in comune?». Chiese l’altra dubbiosa.
«Non mi chiede mai per cosa spendo cifre così grosse, in ogni caso è intestato anche a lui il mio conto ma non controlla tanto. Lo abbiamo fatto solamente per una questione di comodità, io ho i miei soldi e ci faccio quello che voglio e lui altrettanto». Si infilò il leggero copri-spalle che indossava quel giorno prima di avviarsi verso la porta dell’appartamento. «Voglio solo evitare che mi chiuda l’accesso al conto una volta che saprà tutta la verità e che chiedo il divorzio. Voglio tutelare me stessa ma prima di tutto mia figlia. Non voglio che dipenda dal padre il suo mantenimento e io posso provvedere perfettamente a tutto ciò che le serve con tutto ciò che guadagno».
Sentì i passi dell’altra seguirla poco dopo. Arrivata dalla porta si sentì improvvisamente tirare per il braccio sinistro verso la figura longilinea alle sue spalle, costretta a girarsi, si ritrovò in pochi istanti con le labbra dell’altra a contatto con le sue e la schiena aderente alla porta.
Il respiro che le aumentò velocemente a quel contatto inaspettato.
«Michi, per favore, presta attenzione a tutto ciò che fai, non voglio che ti faccia male di nuovo a causa mia». Le disse in un sussurro a fior di labbra. Prima di lasciarla andare. La vide annuire prima di allontanarsi dalla superficie verticale contro la quale l’aveva costretta per qualche istante. «A domani».
Concluse, prima di aprile la porta.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Speranza ***


Note dell'autrice: Dopo mesi e mesi ecco il nuovo capitolo, spero che risulti quanto meno decente e accettabile. Sono riuscita a finirlo con dei tempi biblici ma eccolo qui. Buona lettura :)


Capitolo 10: Speranza

Il violino si interruppe improvvisamente, seguito poco dopo dal pianoforte. Il silenzio dell’aula delle prove era stato cancellato dallo squillo di un cellulare che Michiru conosceva molto bene.

«Usagi, perdonami, ma devo almeno controllare chi mi sta chiamando». Esclamò muovendosi verso la cattedra senza aspettare una risposta dall’altra. Aveva lasciato il cellulare sulla superficie in legno non appena aveva visto comparire la biondina sull’uscio della porta per poi dimenticarne completamente l’esistenza una volta iniziate le prove.

Il nome del primario del reparto dove era ricoverata Nari risplendeva chiaro sullo schermo.

Il suo cuore perse un battito, colmo di preoccupazione.

«Pronto». Mormorò, con un tono di voce che non era certamente il suo, pronta a essere messa di fronte al peggiore dei quadri che potesse immaginare.

«Buongiorno, parlo con Kaioh Michiru?». La voce familiare del dottore arrivò alle sue orecchie.

«Si dottore, mi dica». Rispose, volgendo uno sguardo veloce verso Usagi intenta a fissare fuori da una delle finestre.

«La chiamo per informarla che stamattina ci hanno contattati da un altro ospedale, un donatore è risultato compatibile con la bambina, servirebbero le firme sui fogli per avviare le procedure e vorrei parlarle per spiegarle il percorso che avrà davanti sua figlia da questo momento in poi». E la donna, poté giurare di sentire una nota di felicità nella voce del primario nel darle quella notizia.

Le sue orecchie impiegarono qualche istante per percepire il reale significato di ciò che l’uomo le stava dicendo al di là della cornetta.

«Pronto? Mi sente?». La voce maschile incalzò scuotendola dall’corto circuito celebrale che aveva in corso in quel momento.

«Si dottore, mi scusi, non mi aspettavo una notizia del genere. Vengo subito in ospedale». Mormorò, avrebbe dovuto trovare il tempo, successivamente di recuperare le tre ore di prove che stavano per essere dimenticate.

Avrebbe dovuto cercare anche di rintracciare Seiya, visto che era pur sempre il padre della bambina, ammesso che ci riuscisse. Il bruno era tornato già al lavoro per organizzare un concerto di mezza estate, con ogni probabilità il cellulare sarebbe stato spento come sempre.

«Usagi, perdonami, ma devo correre immediatamente in ospedale». Si rivolse alla ragazza più giovane. «Troveremo modo di recuperare le ore perse oggi nei prossimi giorni, magari facendo mattino e pomeriggio».

«Va bene, nessun problema». Rispose quella, alzandosi dal piano per poi chiudere gli spartiti e dirigersi verso la giacca, avere qualche ora di tempo in più da dedicare alla tesi non le dispiaceva affatto. «Va tutto bene?».

«Si tutto bene, ho solo urgenza di passare in clinica il prima possibile». Tagliò corto l’altra, facendole segno con lo sguardo di seguirla fuori dall’aula. «Hai bisogno di un passaggio verso il centro, Usagi?». Chiese mentre percorrevano il corridoio.

«Se hai possibilità lo accetto molto volentieri». L’idea di fare meno strada possibile con i mezzi pubblici era più che allettante, specie quando ero ore molto calde come in quel momento.

«Aspettami pure nell’ingresso, appoggio alcune cose in aula insegnanti e ti raggiungo subito». Le disse aprendo la porta della stanza appena nominata.

Non appena si fu chiusa le porte alle spalle, provò senza troppa convinzione a telefonare a Seiya, sapendo già che avrebbe trovato la segreteria telefonica. Le sue aspettative dopo qualche istante non furono deluse.

Nella sua mente si fece sempre più nitido il bisogno di prendersi una pausa da quel rapporto che si stava letteralmente sgretolando.

Sospirò sonoramente prima di appoggiare alcuni fogli nel cassetto che le era stato assegnato. Poi si sbrigò a raggiungere la biondina che l’attendeva fuori.


 

«Michiru?». La metà del tragitto era trascorsa quasi totalmente in silenzio, Usagi non sapeva come affrontare il discorso dato il grosso imbarazzo nel prendere in mano la questione. In fin dei conti, erano quasi totalmente estranee al di là della preparazione del saggio di musica.

«Si dimmi». Schiacciò il pedale del freno, il rosso era scattato all’ultimo e per fortuna lei aveva sempre riflessi molto pronti alla guida: prendere una multa in quel momento non era un suo obiettivo.

«Posso farti una domanda? Si, lo so, dovrei farmi gli affari miei, però…». Mormorò a bassa voce, le guance le si colorarono di rosso.

«Su falla, senza problemi». La violinista aveva già intuito dove l’altra volesse portare il discorso e, per quanto non tollerasse invasioni nella sua vita privata, non la disturbava il fatto che l’altra le chiedesse. In fin dei conti era pur sempre la sorella della donna per cui aveva perso la testa anni prima e, ancora, di recente.

«Ma tu e mia sorella…si insomma». Si bloccò di nuovo senza avere le idee chiare su come esporre la domanda, una parte di se stessa che sperava potesse essere ugualmente capita dalla sua interlocutrice.

Sorrise. «Si se vuoi sapere se c’è qualcosa tra te e tua sorella, hai ragione. Ma ti pregherei di mantenere il massimo riservo su questa cosa e di non raccontarla a nessuno, nemmeno a tua madre. La situazione è delicata e prima di dirlo al pubblico devo risolvere alcune questioni personali». Le rispose tranquillamente.

«Ma questa volta è vero? Non la stai prendendo in giro?». Chiese ancora, timorosa che l’altra potesse rispondere in malo modo per questa nemmeno tanto velata insinuazione.

«Io non ho mai preso in giro Haruka, se è questo che vuoi sapere, quello che è stato in passato da parte mia è sempre stato sincero. Ma avevo sedici anni e dei genitori troppo ingombranti alle spalle. Ma non ho mai pensato di prenderla in giro, ero solo troppo giovane e incapace di oppormi al volere di coloro che mi hanno dato una vita per trasformarla in un inferno». Il suo tono si fece più duro nel concludere la frase.

«Perdonami, non volevo toccare argomenti che ti fanno male». Si affrettò a dire l’altra, percependo il tono diverso.

«Non è un problema, non potevi saperlo, ai media non è arrivato niente di tutto questo. Sono stati molto attenti a non far trapelare nulla che andasse oltre a un ritiro dalle scene di qualche anno per problemi personali». Schiacciò il piede sull’acceleratore.

«Capisco, ho sempre immaginato come poteva essere la tua vita sai? Da piccola eri il mio idolo. Lo sei ancora, sei sempre stata un esempio e ho sempre desiderato avere una vita simile alla tua… così perfetta oserei dire». Sorrise con gli occhi azzurri fissi sulla strada.

«Usagi, la mia vita è stata tutto fuorché perfetta, credimi per quanto tu possa aver sofferto almeno sei sempre stata libera da costrizioni e oneri di ogni genere». Sorrise a sua volta, accostando a lato della strada. «Ti dico che, tra la mia vita e la tua, è migliore senz’altro la tua. Anche se so quanto abbiate tutti sofferto».

«Si immagino, forse sono stata ingenua a pensare che per te è sempre stato tutto bellissimo, ma sai il successo...i soldi...». Mormorò sottovoce quasi intimidita.

«Usagi…Usagi… i soldi e il successo non sono le cose più importanti. Puoi avere un conto in banca milionario, ma se non ci sono affetto e sentimenti, si creano ferite che non si rimarginano». Disse ancora, senza tradire alcuna apparente emozione. «Ti va bene scendere qui?».

«Si va benissimo! Mi hai tolto un bel pezzo, grazie del passaggio. A domani allora». Si risvegliò improvvisamente, ritrovando il tono allegro e giocoso che la contraddistingueva, celando in realtà la tristezza che le parole di Michiru le avevano comunicato. Sarebbe andata a casa per portare avanti la tesi, più tardi aveva intenzione di passare a casa della sorella e magari portarle la cena per cenare insieme. Era da tempo che non trovavano più tempo per cose simili. «A domani!».

Aprì lo sportello e se lo chiuse immediatamente alle spalle salutando la musicista con la mano.

Lei si limitò a farle un lieve cenno sorridente prima di inserire la freccia e rimettersi nella circolazione cittadina.

 

***

 

Erano ormai anni che non girava più nella zona periferica della città, aveva smesso di frequentare quelle zone nel momento in cui si era trasferita negli USA e aveva posto fine alle corse clandestine che di frequente si svolgevano in quelle strade poco utilizzate anche di giorno. A quei tempi era un idolo per i ragazzini di quelle parti e a lei non era mai dispiaciuta tanta notorietà. Anzi, era una delle cose che aveva sempre amato del correre in moto sebbene ora che i livelli erano parecchio più alti era piuttosto difficile da gestire.

Aveva già preso contatti telefonici con chi sapeva poteva aiutarla ad avere i documenti falsi per Michiru, era una vecchia conoscenza di tanti anni prima; una sorta di anello utile di congiunzione con giri ben più pericolosi da cui si era tenuta fuori per sua scelta.

Quel quartiere era esattamente come lo ricordava, case di stampo contadino, ben lontane da quelle che potevano essere ammirate nel centro di Kyoto.

Bussò qualche colpo alla porta in legno verniciato di recente che aveva davanti, gli occhi che le caddero sull’orologio confermandole che, come sempre, era stata puntualissima.

Alle sue orecchie arrivarono dei passi veloci e affrettati. Poco più tardi un uomo sui trentacinque comparve sull’uscio.

I lineamenti erano esattamente quelli che ricordava: spigolosi e duri, gli occhi neri profondi come in passato. I suoi occhi si posarono sulla corporatura robusta che contraddistingueva l'altro.

«Haruka! Vecchia canaglia». Esclamò con tono gioviale, dandole una pacca sulla spalla destra. «Cosa ti riporta da queste parti? Pensavo che ormai non erano più di tuo interesse». Si mise di lato sulla porta di casa per permettere alla sua ospite di entrare. «Prego, meglio fare certi discorsi in sede privata». Le fece l’occhiolino.

La bionda si limitò a seguirlo, anche l’appartamento era come ricordava, non era cambiato nulla, se non il fatto che era ben evidente la presenza di una donna dai piccoli dettagli che poteva cogliere in giro, l’uomo doveva essersi dunque trovato una donna. I discorsi fatti in gioventù, sul non volerne una erano svaniti nel nulla. Sorrise al pensiero.

«Bussho, come ti dicevo per telefono ho bisogno di un favore, questione delicata». Accennò brevemente lei, prima di sedersi sul divano e sbottonare la giacca in pelle nera che indossava quel giorno. I ray-ban sollevati sui capelli.

«Se non ricordo male, tu la birra non la disprezzi affatto e io dovrei averne due bottiglie in frigo, gradisci?». Rispose lui. «Non c’è niente di meglio di una bottiglia di birra per parlare».

Lo vide scomparire verso quella che doveva essere la cucina, tutto sommato aveva ragione e poi..lei la birra la amava! Non sapeva ancora se poteva farle il lavoro che stava per chiedergli. Anni indietro era sicura avesse conoscenze di questo tipo, ma allo stato attuale non era a conoscenza di niente.

Vide ricomparire l’uomo pochi minuti più tardi, le bottiglie in una mano e l’apri bottiglie nell’altra. Prese quella che le fu offerta, dalla bottiglia intuiva che fosse fredda al punto giusto, una gioia da far scorrere nel suo stomaco.

 

«Dunque, di cosa hai bisogno?». Le disse Bussho, dopo aver bevuto il primo sorso del liquido.

«Una mia amica ha bisogno di documenti falsi». Rispose. «Che siano ben fatti perché devono passare sotto il controllo di una banca per un conto». Era una spiegazione accettabile senza aver detto troppo, in fin dei conti.

«E questa tua amica sa che». Lui si interruppe un attimo e fece il gesto dei soldi con la mano sinistra. «Costa?».

«Si non ha problemi di denaro, per fortuna si può permettere tante cose e questa è tra ciò che si può permettere». Tagliò corto. «Basta che il lavoro sia fatto bene, la spesa per lei è irrilevante». Mormorò di risposta, senza interrompere il contatto visivo con l’amico.

«Bene, se è così direi che in due settimane potrebbero essere già pronti, ma serve una foto della tua amica, magari dille di indossare una parrucca che sia il più realistica possibile per la foto tessera, per il resto ci penso io. So bene a chi rivolgermi per favori di questo tipo. Mi faccio sentire io quando è tutto pronto, lei tenga pronte le foto». Quel genere di lavori erano proprio quelli che preferiva. Con gli agganci che aveva era fin troppo facile creare un’identità da zero curandola nei minimi dettagli. «Parliamo di cose più piacevoli, donne?».

«Le donne non mi mancano Bussho, come sempre ho il mio giro e direi che sono tutte molto soddisfatte di condividere una notte con me. Te piuttosto? Ho notato dettagli piuttosto femminili in casa, non mi sembrano proprio il tuo stile». Inquisì senza nascondere un sorriso beffardo, perché la risposta le era ben chiara.

«Cosa devo dirti Tenoh, alla fine ci sono cascato anche io, mi ha catturato anche se non volevo storie serie». Il tono utilizzato era al limite tra l’incredulità e l’esasperazione.

Haruka scoppiò a ridere a quella risposta. «Non mi sembri molto felice a giudicare dal tono che hai usato».

«No! Sono felice non fraintendere credo che una donna in questo appartamento era necessaria, solo che a volte è una rompicoglioni cosmica. Non potrei mai stare senza di lei, anche perché con il caratteraccio che ho chi mi sopporta?». Rispose lui prima di tirare un lungo sorso alla bottiglia.

«Viva la sincerità insomma». Fu il solo commento che riuscì a esprimere. Mentre improvvisamente il pensiero volava verso Michiru, chissà come stava. Il suo sesto senso le diceva che era successo qualcosa. Si innervosì di colpo al pensiero, sarebbe stato meglio andare a casa, decisamente. «Ora scusami ma è meglio che io vada a casa, mi rintracci tu quando è tutto pronto? Io intanto dico alla mia amica di farsi una foto come hai chiesto».

«Si va bene, ti rintraccio io quando serve che tu mi dia la foto della tua amica». Si alzò seguito dalla bionda per dirigersi verso l’ingresso. «Visto che sei a Kyoto in questi mesi, passa più spesso a trovarmi».

«Se posso volentieri, ma sono sempre piena di impegni per una cosa o per l’altra». Gli fece l’occhiolino. «A presto».

Si congedò velocemente da quella casa, a passo svelto raggiunse la moto che aveva lasciato accostata al marciapiede, quel giorno non indossava la tuta per sua scelta, non era in vena di sudare per il troppo caldo. Si mise il casco e mise in moto il mezzo, voleva arrivare a casa il prima possibile.

 

***

 

«Kaioh?». La voce della dottoressa Mizuno irruppe nel silenzio del corridoio, era arrivata da poco a destinazione, aveva rischiato sicuramente di prendere qualche multa ma la prospettiva di un trapianto che poteva salvare la vita a sua figlia era più importante di qualsiasi altra cosa.

Durante il tragitto aveva anche provato a chiamare suo marito, nella speranza lui accendesse il cellulare in qualche pausa del lavoro, ma non aveva ottenuto risultati. Come al solito lui era introvabile anche per le cose serie come quella. Sperava che solo la sua firma fosse più che sufficiente, se mai ci sarebbe stato bisogno di firmare.

«Si dottoressa». Mormorò cercando di tenere a freno l’agitazione che aveva in corpo da quando aveva ricevuto la telefonata.

«Venga pure, il primario vuole parlarle di tutto ciò che sarà l’eventuale percorso che dovrà affrontare sua figlia e voi genitori con lei». Le spiegò la ragazza, ad occhio e croce non si passavano poi tantissimi anni di differenza.

«Si certo». Rispose lei alzandosi dalla sedia sui cui si era letteralmente abbandonata.

Si avviò verso le quattro mura che ormai conosceva molto più che bene.

«Buongiorno dottor Hirotaka». Esordì non appena fu sull’uscio della stanza.

«Michiru siediti pure». Le rispose l’uomo, erano ormai tanti di quegli anni che aveva sotto cura la bambina, che ormai erano passati a un tu confidenziale. Il passaggio avveniva quasi in automatico per tutti i suoi pazienti più critici, quei bambini era un po' come fossero anche suoi. Aspettò che la donna si togliesse la giacca prima di accomodarsi sulla sedia al di la della sua scrivania.

«Dimmi pure, cosa devo sapere?». Chiese senza nascondere una nota di nervosismo nella voce.

«Volevo parlarti come ti ha già detto la dottoressa, del percorso che dovrete affrontare da questo momento in poi». Fece una pausa. «Innanzi tutto, sai già cos’è un trapianto di midollo osseo?».

«A grandi linee, non nel dettaglio ho cercato un anno e mezzo fa informazioni su internet a riguardo». Rispose lei, l’uomo sorrise alla sua risposta.

«Il trapianto di midollo osseo o di cellule staminali ematopoietiche prevede la sostituzione di un midollo danneggiato con quello sano di un donatore compatibile. Sul lato pratico questo avviene con un iniezione del nuovo midollo nel corpo dell’individuo malato». Kaioh annuì spingendolo a continuare nella spiegazione. «Per permettere la buona riuscita dell’intervento, che è molto pericoloso questo deve essere chiaro sia a te che a tuo marito». Specificò lui.

«Metterò io al corrente Seiya non appena sarà libero dal lavoro». Rispose lei, quella sera a casa avrebbero litigato. Ne era quasi sicura.

«Bene, veniamo al dunque, il percorso per il trapianto di midollo osseo si divide in diverse fasi: esame fisico del paziente, raccolta del midollo osseo, condizionamento, trapianto vero e proprio e guarigione. L’esame fisico del paziente è una visita in cui vengono controllati tutti gli organi principali come cuore e polmoni per valutare se il paziente possa affrontare l’intervento nel migliore dei modi possibili. La raccolta del midollo osseo, credo che non abbia bisogno di ulteriori approfondimenti da parte mia. Veniamo al Condizionamento che è quello che interessa di più a voi come genitori». Si rivolse alla giovane dottoressa rimasta ad ascoltare accanto alla porta dello studio.

«Ami per favore puoi andare a prendermi un caffè? Michiru tu vuoi qualcosa?». Chiese l’uomo.

«No sto bene così». Rispose lei, lo stomaco le si era chiuso totalmente da quando aveva ricevuto la chiamata dall’ospedale. Udì la porta chiudersi alle sue spalle.

«Il periodo di condizionamento varia da quattro a sette giorni a seconda del caso e del paziente, ed è un periodo in cui al paziente vengono somministrati medicinali chemioterapici; lo scopo di questa somministrazione è l’andare a distruggere il midollo malato, limitare al massimo la risposta immunitaria del paziente dopo l’intervento per cercare di non andare incontro a crisi di rigetto. È necessario un ricovero in ospedale del paziente».

Michiru non aveva molte parole da dire, sapeva che il percorso non sarebbe stato facile e che si sarebbe rivelato comunque molto pericoloso, ma il pensiero che Nari avrebbe dovuto sopportare così piccola gli effetti di una chemioterapia l’aveva annientata totalmente. Si limitò ad annuire solamente, senza quasi muovere nessun’altra parte del corpo.

«Il trapianto può durare da una a qualche ora, a seconda della gravità del paziente, viene effettuato mediante un iniezione di midollo osseo in una delle vene più importanti che portano al cuore, ad esempio la succlavia e di per se non è doloroso». Il rumore della porta che si apriva giunse nuovamente alle orecchie di entrambe, la figura di Mizuno comparve dopo pochi istanti nel campo visivo della violinista per lasciare il caffè e il cucchiaino al primario.

La vide poi scomparire di nuovo per tornare al posto di partenza vicino la porta dello studio.

«Grazie Ami». Rispose l’uomo prima di volgere l’attenzione di nuovo alla madre della bambina. «Dopo il trapianto la fase di guarigione prevede un ricovero che può durare da uno a tre mesi, in cui il paziente verrà tenuto in ambiente totalmente sterile e prende delle dosi di immunodepressori, corticosteroidi, antibiotici e trasfusioni se necessario». Bevve un sorso di caffè. « Questo per evitare sempre crisi di rigetto e – sopratutto - per evitare malattie e infezioni nel momento più delicato in assoluto. La fase di attecchimento del midollo osseo dura circa una trentina di giorni, e in questo lasso temporale l’organismo è vulnerabile a infezione perché piastrine e globuli bianchi sono ridotti al minimo dalla chemioterapia precedente».

«Che effetti collaterali ci potrebbero essere dottore?». Chiese lei, alla fine erano quelli a preoccuparla di più, si trattava pur sempre di un fisico giovane.

«Gli effetti collaterali più gravi sono quelli che scaturiscono da un eventuale rigetto dell’organismo e prevedono varie manifestazioni e alcune sono gravi e portano alla morte. Si dividono in malattia da trapianto di midollo osseo acuta e cronica. Nella forma acuta si hanno febbre altissima, crampi allo stomaco, ittero e rash cutaneo con comparsa di macchie rosse sulle mani e sul corpo. In quella cronica si possono avere secchezza agli occhi, xerostomia e perdita dei capelli. Nei casi più gravi si arriva alla compromissione delle funzioni epatiche e alla morte del paziente».

«Capisco dottore, quante possibilità ci siano che abbia una crisi di rigetto?». Chiese nuovamente. Era ciò che temeva di più, anche se era perfettamente consapevole del fatto che Nari non poteva andare avanti tutta la vita con trasfusioni e farmaci chelizzanti.

«Con le giuste terapie non è comune che la crisi di rigetto avvenga, solitamente in pazienti molto giovani come lo è la bambina il trapianto va a buon fine senza particolari complicazioni». Rispose lui.

«Ha detto che verrà tenuta in ambiente sterile dopo l’intervento, potremo vederla? O sarà troppo pericoloso?». Chiese nuovamente, cercando di mantenere sotto-controllo il cortocircuito celebrale che era sopraggiunto alla parola “morte”.

«Per i primi dieci giorni sarebbe meglio vederla solamente attraverso il vetro, poi in seguito con le dovute precauzioni e con tute apposite fornite dall’ospedale potrete vederla entrando nella stanza». Rispose lui. «Ma facciamo comunque piccoli prelievi di sangue giornalieri per seguire il decorso post-operatorio nel migliore dei modi, quindi se possibile vi faremo entrare in stanza molto prima». Disse lui. «Altre domande?». Chiese nuovamente.

«Direi nessuna domanda, grazie dottore.». Si affrettò a rispondere.

«Per poter andare avanti e iniziare tutta la procedura mi servirebbe la firma sia tua che di tuo marito, siete i genitori della bambina serve di entrambi. Per questo speravo che ci fosse anche lui oggi, avremmo risparmiato qualche ora di tempo». Disse l’uomo.

«Hai perfettamente ragione, cercherò di rintracciarlo il più velocemente possibile per farlo venire in ospedale a firmare, o se mi da i fogli glieli faccio firmare a casa. Non so però se è fattibile fare uscire certi documenti dalla clinica». Propose lei.

«Di regola non dovrei, ma vista la situazione posso chiudere un occhio, suo marito è troppo latitante rischiamo di dover aspettare troppo tempo prima che venga in clinica a firmare». Aprì un cassetto da cui tirò fuori la cartella clinica di Nari Kou. Aveva già preparato tutti i fogli qualche ora prima, non appena era arrivata la chiamata dal centro di donazione del midollo osseo. Tirò fuori i diversi fogli e li pose davanti alla giovane donna che aveva di fronte.

«Andrà bene Michiru». Si sentì di rincuorarla, notando il turbamento visibile di lei. La vide annuire senza troppa convinzione a quelle parole. Potevano sembrare frasi fatte ma a quella bambina si era affezionato anche lui nel corso dei numerosi ricoveri. Vederla stare bene era diventata una priorità maggiore anche per lui, e avrebbe fatto tutto il possibile per permettere a quello scricciolo di tornare a fare una vita da persona normale.

«Si dottore, ne sono sicura». Rispose, se per farsi coraggio o se lo pensava veramente non lo aveva ben chiaro. «Credo che sia meglio che io vada, sono davvero impegnata con il lavoro e incastrare tutto è sempre una corsa». Disse allora. «Farò in modo di portarle questi fogli domani mattina stesso». Si alzò dunque dalla sedia. «Ti ringrazio

per l’enorme aiuto nel darmeli da portare a casa».

L’uomo si limitò a sorridere. Senza dire parola alcuna. «Buona giornata Michiru». Si congedò da lei.

«Buona giornata, buona giornata anche a lei dottoressa». Esclamò la violinista prima di aprire la porta per uscire dallo studio. Sarebbe andata a casa, non aveva voglia di fare altro dopo aver affrontato quel discorso.

 

***

 

Alzò leggermente i ray-ban per squadrare due ragazze che le erano passate davanti guardandola a sua volta, più che altro per guardare il meraviglioso lato b di entrambe. Era quasi un’ora che aspettava sotto quel portone, quando era arrivata a casa sua dopo essere stata da Bussho aveva trovato Usagi ad aspettarla dentro il portone del palazzo, quando invece avrebbe dovuto essere a lezione da Michiru.

Le aveva chiesto per quale motivo fosse li, non appena era stata messa al corrente della fuga improvvisa della violinista dopo aver ricevuto una telefonata sul telefono, aveva collegato tutto anche al suo presentimento. Era successo qualcosa con di mezzo la bambina e il suo istinto le diceva che Kou non era stato presente, ma anzi era sicuramente impegnato nel lavoro.

A quanto aveva capito per l’uomo era un’abitudine comportarsi così, doveva essere piuttosto menefreghista per non essere raggiungibile sul telefono nonostante la figlia aveva diversi problemi di salute.

Che cazzone! Come ha fatto a stare con te per tutti questi anni Michiru. Fu il nitido pensiero che le si formò in testa al solo pensiero.

Avrebbe trovato modo di riempirlo di botte alla prima occasione, era poco ma sicuro. Doveva solo aspettare il momento giusto, era certa che sarebbe arrivato.

Dei passi familiari al suo orecchio arrivarono presto a solleticarle i timpani, segno che probabilmente l’oggetto delle sue attese era finalmente tornata a casa. Sperava con tutta se stessa che la bambina stesse bene e che non fosse ulteriormente peggiorata. La musicista non si meritava una cosa del genere.

La vide comparire da dietro l’angolo più vicino, il viso visibilmente turbato. La osservò senza dire niente, aspettando che fosse lei ad accorgersi della sua presenza. Anche con lo stato d’animo che poteva quasi sentire palpabile a guardarla, era meravigliosa comunque.

Osservò divertita l’espressione mista a stupore che le illuminò i profondi occhi blu non appena, finalmente, registrò la sua presenza.

«Haruka! Cosa ci fai qui?». Chiese sorpresa, non si aspettava di vederla li, non in quel momento.

«Usagi mi ha detto che hai interrotto la lezione all’improvviso e sei dovuta scappare e mi sono preoccupata, ho intuito che era per la bambina». Disse quasi impacciata togliendosi gli occhiali da sole.

L’altra sorrise a quel gesto inaspettato da parte della bionda. «Si mi ha chiamata la Clinica per Nari, hanno trovato un midollo osseo compatibile il primario voleva illustrare il percorso che ci aspetta da qui a tre mesi».

«Come è andata, Michi?». Chiese leggermente preoccupata, osservando ogni minima reazione.

«E’ un percorso lungo e travagliato, se esce fuori una crisi di rigetto dopo l’intervento c’è rischio che possa anche morire». Deglutì per trattenere il magone. «E Seiya, come sempre, irraggiungibile sul cellulare». Disse tristemente.

«Immaginavo che lui non ci fosse, per questo ho deciso di aspettarti sotto casa, volevo sapere come ti sentivi». Le spiegò sorridendo, puntandole gli occhi verdi nei suoi.

«Sono stanca Ruka, sono stanca di affrontare questo calvario da sola, sono stanca di sentirlo sempre più lontano. E lontano da me non mi interessa, ma da sua figlia. La bambina non se lo merita. Ma questo calvario, essere sempre da sola in clinica ad ogni crisi, nonostante il lavoro mi impegna esattamente come impegna lui». Gli occhi le bruciarono insopportabilmente per le lacrime che tentavano di uscire.

«Non sei sola Michi, ci sono io, non lo sei più». Le si avvicinò per abbracciarla. «Compatibilmente con la presenza di quel figlio di puttana, io ci sarò, stai tranquilla». Affondò le sue labbra tra i capelli di lei per un bacio.

«Grazie». Non sapeva cosa dire di diverso. Un abbraccio era solo quello che desiderava in quel momento, era quasi incredula da come Tenoh era riuscita a percepire in qualche modo quel suo bisogno inespresso. Perché lei, quelle cose, difficilmente le diceva.

«Nessun grazie, ho sbagliato a scappare anni fa, via da te. Non ho nessuna intenzione di ripetere una seconda volta lo stesso errore». Si allontanò appena. «Vorrei tanto rimanere con te stasera, ma suppongo che Seiya arrivi a breve. Per favore se riesci scrivimi, se hai bisogno di qualsiasi cosa anche siamo intesi?». Le alzò il viso per assicurarsi che lei avesse capito.

«Si quando va a dormire cerco di scriverti, anche se penso che stasera ci sarà l’ennesimo litigio, ho solo voglia di andarmene da questa casa. Non vedo l’ora di poterlo fare portandomi via anche la bambina». Le confessò.

«Lo so Michi...lo so..». Le sussurrò l’altra, prima di unire le sue labbra alle proprie. «Andrà tutto bene, sta tranquilla». Mormorò accarezzandole il viso.

Michiru si limitò a sorridere prima di allontanarsi da lei e cercare le chiavi di casa.

«A più tardi allora». La salutò prima di entrare e chiudersi il portone alle spalle.

 

***

 

«Sono stanca Seiya!». Il tono che le uscì era un misto tra l’aggressivo e il frustrato, non ne poteva davvero più. Era tornato a casa soddisfatto per la giornata, ancora con il telefono spento, senza preoccuparsi un minimo di sapere come stesse la bambina anche alla fine del lavoro.

Perché ne era certa, lui aveva finito di lavorare due ore prima, il tempo lo aveva avuto. Se lo avesse sfiorato anche solamente il pensiero di contattarla per sentire come stava la figlia.

«Michiru.. lo sai benissimo che lavoro!!!». Disse lui alzando il tono della voce per sovrastare il tono aggressivo di lei. Dopo una giornata di lavoro, quelle scenate non le sopportava. Tornava a casa per rilassarsi non per vivere ulteriore stress.

«Con questa storia del lavoro hai esageratamente rotto le palle!! Lavoro anche io eppure sono sempre io a dover correre in ospedale, sono sempre io a sentirmi dire che ti chiamano e non sei mai raggiungibile». Inveì. «Sono stanca di dover affrontare tutto da sola quando si tratta di Nari! Sono stanca».

«Non è colpa mia se il mio lavoro impegna più del tuo». Disse lui recuperando la calma, no non voleva perdere il controllo anche con la moglie, era stato in preda alla collera tutto il giorno.

«E’ colpa tua se il cellulare è spento ogni volta, ben sapendo che tua figlia ha una salute instabile e rischia ad ogni crisi». Posò violentemente i fogli da firmare sul tavolo, aveva spiegato tutto al marito fino a pochi minuti prima, poi quando aveva visto che il pensiero del bruno era perso in qualche problema di lavoro era praticamente esplosa.

«Non mi posso permettere distrazioni mentre compongo e sono in sala registrazione, fai parte dell’ambiente anche tu e conosci bene le dinamiche». Ripeté nuovamente.

«Vaffanculo Seiya! La notte che mi hai scopata per concepire nostra figlia era meglio se fossi stato a qualche concerto! Tu non sai nemmeno cosa voglia dire fare il padre!».

«Direi che stai esagerando adesso». Le disse freddamente. «Nostra figlia l’abbiamo voluta entrambi, solo non mi aspettavo che uscisse così».

«Così come? Malata? Affetta dal morbo di Cooley?». Era allibita e incredula. «Ma stai scherzando? Dimmi che stai scherzando!». Era veramente furiosa, era davvero furiosa nel sentire quelle parole quando era proprio lui il responsabile, essendo suo consanguineo per metà.

«No non sto scherzando, nostra figlia è malata, non volevo una cosa del genere..non è..».Si interruppe per trovare una parola adatta.

«Perfetta? Stai dicendo questo? Tu volevi una figlia perfetta da esibire in pubblico come un fenomeno da circo? Questo volevi?». Non voleva crederci a quelle parole.

Vedendolo annuire la sua reazione fu quasi automatica. La sua mano destra si abbatté violentemente sul viso dell’uomo.

Lo vide solamente alzarsi, gli occhi pieni di rabbia, lo vide girarsi verso di lei e in pochi istanti si sentì le spalle al muro poco dietro di lei con lui che la sovrastava.

«Sai cos’è? Si volevo una figlia perfetta, la volevo che stesse bene e senza problemi. Ma sopratutto vorrei che sua madre non facesse scenate del cazzo ogni tre per due, che non mi alzasse le mani contro, perché fino all’ultimo il tuo bel visino finisce male e soprattutto vorrei tanto che tutti questi “mal di testa” degli ultimi giorni quando tocco il discorso sesso, sparissero. Perché tra stress, quell’errore vivente di tua figlia e il fatto che tu non hai intenzione di darmela a letto sono davvero al limite». Si interruppe per avvicinarsi «E sarebbe il caso che anziché sparare stronzate tu ti facessi scopare stanotte».

«Mi fai esageratamente schifo». Furono le uniche parole che riuscì a sibilare tra la rabbia. Prima di sentire chiaro una mano di lui sul seno.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Separazione ***


 

Separazione

 

La bottiglia di birra impattò sulla superficie del tavolo della cucina provocando un rumore sordo che interruppe il silenzio.

Haruka non sapeva cosa dire, si era ritrovata Michiru improvvisamente sotto casa sua, in condizioni non bellissime e in quel momento erano entrambe sedute nella sua cucina in silenzio.

Vedere i vestiti della violinista le aveva già fatto intuire cosa poteva essere successo, la rabbia che sentiva dentro di se era ai limiti del controllo. Fosse stato per lei sarebbe uscita da quell’appartamento nel giro di cinque minuti diretta verso la casa dell’altra per insegnare a Kou come si trattano le donne.

Nozione che, a quanto pare, il bruno non aveva ancora ben compreso.

I suoi occhi si posarono sulla donna davanti a se in attesa che lei le dicesse qualcosa, indubbiamente emotivamente non era in ottime condizioni, sperava tuttavia che quel maiale schifoso non fosse arrivato fino in fondo.

«Cosa ti ha fatto Michi?». Le chiese, dopo svariati minuti prendendo un altro sorso dalla bottiglia.

«Abbiamo litigato, gli ho detto che io non la reggo più la situazione che c’è in casa, non riesco più a sorreggere da sola la situazione clinica di Nari. Senza vedere un supporto minimo da parte sua, lo sento distante...lo sento assente. E pazienza per me, ma per sua figlia. Per la bambina dovrebbe in qualche modo essere presente, invece se ne frega totalmente anche di lei, sopratutto di lei». Iniziò a parlare l’altra. «Gli ho parlato dei permessi per l’operazione e li ha firmati per fortuna, però poi io sono esplosa, lui ha detto che voleva una figlia perfetta e non malata, mi ha messa al muro voleva scoparmi perché lo stress lavorativo e il fatto che io ultimamente non voglio più avere rapporti con lui a detta sua lo stanno mandando fuori di testa». Rimase in silenzio, prima di deglutire e cercare di mandare indietro le lacrime, dopo tutto piangere non serviva a nulla. «Poi beh immagina». Concluse indicandole con lo sguardo i vestiti che indossava.

«Cosa ti ha fatto quel figlio di puttana?». Il tono le uscì più aggressivo del normale, non poteva farne a meno.

«Non è riuscito ad arrivare in fondo se è quello che vuoi sapere… mi ha costretta a sdraiarmi sul tavolo e in un momento di distrazione sua gli ho tirato un calcio tra le gambe. Il dolore misto alla sorpresa della mia reazione mi ha dato modo di prendere tutti i documenti, la borsa con tutte le chiavi e uscire di casa». I suoi occhi blu si posarono sullo schermo del suo cellulare che si stava illuminando per la centesima volta da quando era li, sullo schermo il nome di Seiya, sul telefono millemila messaggi oltre alle chiamate.

«Io gli spacco il culo se lo vedo, deve solo pregare di non trovarsi mai sulla mia strada, lui e la sua faccia di merda. Ma so bene che prima o poi tutto questo accadrà, e io non vedo l’ora di farlo a pezzi». Ringhiò.

«Ruka..calmati». Mormorò lei cercando di mitigare la rabbia che sentiva chiara in quelle frasi.

«No, Ruka un cazzo, Michiru». Sbottò buttando la bottiglia nella spazzatura. «Quelli come lui stanno bene solamente con le loro ossa belle rotte in un letto di ospedale. Possibilmente senza più possibilità motorie. Non basta il male che ti ha fatto in passato! No! Anche questo! Non basta il sapere di essere tuo fratello! No deve pure cercare di violentarti». Tirò un pugno sul tavolo, incurante del dolore. «E tu dici a me di stare calma? Sarai sconvolta per quello mi dici così, non vedo altre spiegazioni!». Concluse guardandola.

«Non voglio che finisci nei casini a causa mia, la mia famiglia non sai di cosa può essere capace, mio padre…con un battito delle dita può distruggerti. Può toglierti la tua carriera così come ha fatto in modo di infilarti nel giro USA delle corse per toglierti dal Giappone».

«Mi ci pulisco il culo con le minacce di tuo padre! Non sono più la ragazzina spaventata che è scappata dieci anni e passa fa per paura che saltasse il lavoro di sua madre. Della tua famiglia, adesso, non me ne frega proprio nulla. Ho talmente tanto di quel materiale a mio favore raccolto all’epoca che deve stare attento tuo padre, a quello che fa. Non io!». Precisò con il tono piatto la bionda.

«Hai ragione Haruka, ma la situazione è così talmente complicata». Provò ad aggiungere lei con molta poca convinzione. «Ora mi interessa solamente la salute di Nari, la mia priorità è quella, poi il trasferimento sul conto. Ma per il momento avviserò mio marito del fatto che non voglio rimanere in quella casa un minuto di più, mi prenderò una pausa di riflessione a casa di un’amica».

«Stai qui? Stai qui con me, ti va?». Chiese la bionda, consapevole di avergli già chiesto una cosa simile qualche giorno prima. «Mi farebbe piacere e poi non saresti sola quando sei a casa, ho del tempo libero posso accompagnarti a lezione se vuoi così se dovesse romperti vediamo il da farsi». Le fece l’occhiolino prima di alzarsi per raggiungerla e darle un bacio tra i capelli. «Non aver paura di quel coglione, vedrai che si sistemerà tutto».

«Ho bisogno di una doccia e di qualche vestito pulito..questi credo possano finire nella spazzatura». Cambiò discorso l’altra, si una bella doccia calda era ciò che ci voleva per rilassarsi un attimo.

«Certo, ormai il bagno sai dov’è..per quanto riguarda i vestiti credo che i miei ti vadano un po' lunghi ma posso prestartene qualcuno senza problemi». Si allontanò diretta in camera sua. «Usa pure il mio accappatoio se vuoi, non preoccuparti».

Michiru annuì appena, per fortuna era riuscita a portarsi via i fogli con le firme in modo da non dover più cercare il marito, sarebbe andata a casa sua dopo il lavoro. Sapeva bene che il giorno dopo Seiya sarebbe stato fino a tardi per occuparsi delle piccole cose da aggiustare in vista del concerto ormai imminente.

Avrebbe portato via anche un po' di vestiti per la figlia e il suo peluche preferito, Luna, un gatto nero con una strana Luna sulla testa da cui la piccola non si separava mai se poteva.

Si alzò dalla sedia stirandosi lievemente prima di dirigersi verso la porta che sapeva ormai essere quella del bagno.

La sua idea di farsi solamente una doccia sfumò all’istante quando notò anche la presenza di una vasca ad angolo all’interno della stanza che non aveva notato l’ultima volta.

«Qualcosa non va?». La voce bassa di Haruka giunse improvvisamente alle sue spalle, facendole girare il viso lievemente nella direzione giusta.

«Non avevo fatto caso alla vasca l’ultima volta». Disse prima di entrare nella stanza, mettere il tappo a quest’ultima e aprire l’acqua tiepida.

«Come hai fatto a non notarla l’altra volta?». La guardò incuriosita.

«Forse ero troppo immersa nei miei pensieri per guardarmi intorno e guardare quello che mi circondava». Si voltò verso di lei. «Se mi lasci le cose mi faccio un bagno e torno subito da te, ne ho proprio bisogno».

«Hai fame? Ti preparo qualcosa se vuoi, anche se è tardissimo ormai e forse è meglio parlare quasi di colazione». Se non aveva visto male ormai erano quasi le tre di notte.

«Degli spaghetti credo che possano andare bene, li sai cucinare? Altrimenti poi li preparo io quando ho finito qui». Rispose l’altra alzando un sopracciglio all’idea di vederla cucinare.

«Ehi!! Kaioh! Per chi mi hai presa?!? Certo che so cucinare». La guardò torva prima di dirigersi verso la cucina. «Sarà il caso che quando quegli spaghetti saranno pronti, tu sia già di la..in caso contrario me li mangio tutti io!». Si lamentò, senza nascondere una punta piccata, in tono abbastanza alto da farsi sentire dall’altra sebbene avesse già chiuso la porta.

Si diresse poi verso i fornelli per mettere in una padella dell’olio con dell’aglio, prima di dirigersi verso il frigo a prendere dei pomodorini da lavare e tagliare da aggiungere al resto dopo qualche minuto.

Poi prese la pentola per la pasta e la riempì di acqua aggiungendo in un secondo momento del sale, la quantità di pasta necessaria era già pronta nel piatto per essere gettata. E un piacevole profumo iniziò a riempire la stanza non appena l’aglio fu dorato nella padella.

«Effettivamente ho fame anche io, a cena non ho mangiato molto». Disse sottovoce rivolta a se stessa, era in pensiero per Michiru qualche ora prima, a quanto pare con cognizione di causa visto ciò che era successo. Sbuffò girando i pomodori a pezzetti nella pentola.

Controllò dunque lo stato di ebollizione dell’acqua e buttò la pasta mentre il suo sguardo corse verso l’orologio appeso alla parete.

Ancora dieci minuti e sarebbe stato tutto pronto. Alle sue orecchie giunsero i passi della violinista.

«E’ pronto?». La sua voce la raggiunse poco dopo, spingendola a voltarsi, i suoi occhi non poterono fare a meno di squadrare la figura femminile che aveva davanti. Con i vestiti che le aveva prestato indosso aveva un qualcosa… «Niente male». Le fece l’occhiolino, si quella camicia forse stava molto meglio addosso a Kaioh piuttosto che a se stessa. «Comunque si è pronto». Le fece cenno di sedersi al tavolo poco lontano da entrambe, poi spense il fuoco sotto al sugo in attesa della pasta. «Come ti senti? Va un po' meglio?».

«Si va un po’ meglio un bagno veloce era quello che serviva a calmare un po’ il nervoso». Nervoso e spavento al pensiero di quello che aveva rischiato tra le mura domestiche solo qualche ora prima. Alle sue parole la bionda sorrise.

«Ne sono felice». Mormorò con un tono di voce appena sufficiente per farsi sentire, dopo si volse nuovamente verso l’orologio e si mosse per scolare la pasta e darle una passata nella padella con il sugo. «Ecco a lei signorina». Esclamò dopo qualche istante mettendo a tavola due piatti fondi e la pentola con ciò che rimaneva tolte le due porzioni. «Vino o acqua?».

«Meglio acqua». Le rispose l’altra prendendo la prima forchettata, dallo stomaco salì un leggero brontolio che, nel silenzio di quel momento risuonò particolarmente.

«Qualcosa mi dice che hai fame». Un espressione divertita si posò sul viso della bionda.

«Si non ho mangiato molto a cena». Aveva iniziato a discutere non appena Kou aveva varcato la soglia dell’appartamento e i toni erano andati via via scaldandosi e, sebbene avessero cenato insieme, il suo appetito era calato e non aveva contribuito. In quel momento però, complice forse la presenza di Haruka accanto a lei..o forse per il profumo che le solleticava le narici, il suo stomaco aveva protestato a ragion veduta.

«Io non ho mangiato proprio invece, penso che me la passo peggio di te». Si quella pasta le era venuta molto meglio del solito, non vi era ombra di dubbio.

«Come mai non hai mangiato? Successo qualcosa?». La pittrice non riuscì a nascondere un velo di preoccupazione a sentirla dire così.

«Sapevo che avresti parlato con Seiya, ed ero in pensiero, lui non mi è mai piaciuto fin dalla prima volta che lo vidi girare per il giardino della villa dove abitavi quando eri piccola. Forse il sesto senso Michiru, non ti so dire ma stasera non ero affatto tranquilla. E visto come sei arrivata sotto casa mia, le mie sensazioni erano molto più che giuste». Versò dell’acqua ad entrambe.

«Mi dispiace darti così tanti pensieri». Erano sincere le sue parole.

«Non è colpa tua se hai sposato un coglione Michi, non potevi certamente immaginare tutti gli imbrogli che erano dietro alla sua presenza nella tua vita, non lo avrebbe potuto immaginare nessuno in realtà». Mangiò l’ultima forchettata che era nel suo piatto per poi volgere l’attenzione a ciò che era rimasto nella pentola. «Ne vuoi ancora?»

«No grazie sto bene così finiscila pure tu se hai ancora fame». Cercò di trattenere uno sbadiglio senza alcun risultato, era in piedi da quasi ventiquattro ore.

Tenoh pensò che – forse – era meglio che la violinista andasse a letto in tempo zero, aveva bisogno di riposare. «Dai su a dormire, senza storie».

 

***

 

Era riuscita a convincere Michiru a non recarsi a scuola per provare con Usagi quel mattino, aveva proposto di svolgere le prove a casa sua con tutta tranquillità. E l’altra, dopo aver fatto colazione, aveva accettato di buon grado vista la mancanza di ore di sonno.

Haruka fece scorrere lo sguardo sul giardino della clinica due piani più sotto, concentrando la sua attenzione sul via vai di persone.

Ricoverati che facevano la loro passeggiata giornaliera, parenti che entravano a trovare chi – invece – una passeggiata non era in grado di farla.

Medici in pausa caffè o semplici persone che, probabilmente, entravano solo per svolgere esami o visite di routine.

Avvertì poco dopo la presenza di un camice bianco poco distante, con la coda dell’occhio intravide una sagoma familiare. Abbassò dunque, leggermente i ray-ban osservando con attenzione la figura femminile che aveva davanti.

Assomigliava tanto a… ma possibile fosse lei? Dopo così tanti anni?

«Ami? Ami Mizuno?». Il suo pensiero prese prepotente spazio tra le sue labbra, la timida e dolce Ami, la conoscevano in tutto il quartiere e ricordava bene quella sera in cui, per difenderla da quel Takeshi, non aveva esitato a mettersi in mezzo.

La giovane donna si voltò a guardarla con un punto interrogativo nemmeno tanto nascosto dipinto in volto, quel viso le sembrava familiare ma non aveva idea di dove lo avesse già visto, con tutte le persone che visitava e di cui si occupava ogni giorno memorizzare il nome di tutti era un’impresa impossibile.

«Mi scusi ci conosciamo? Mi perdoni ma con tutta la gente che seguo ogni giorno non sempre ricordo i parenti dei miei pazienti o i pazienti stessi». Arrossì appena per l’imbarazzo di ammettere un suo limite nel lavoro che amava più di ogni altra cosa.

«Direi proprio di si». Si sfilò gli occhiali da sole per appenderli alla maglietta. «Forse non ricorderai ma tanti anni fa, una sera estiva ti ho protetta da Takeshi che non ti lasciava in pace». Le sorrise nella speranza che lei ricordasse, speranza che trovò conferma dall’espressione sorpresa che si dipinse sul suo viso.

«Haruka?!? Haruka Tenoh?!?». Quel nome le uscì improvvisamente dalle labbra, come avrebbe potuto scordarsi di lei? Quando erano ragazzine, la conoscevano in tutto il quartiere. Sopratutto per le crisi ormonali che provocava con il niente negli individui di sesso femminile e per la bravura nelle corse clandestina in cui il suo talento spiccava.

Alla notizia del suo trasferimento negli USA era scoppiata una tragedia tra le ragazze che conosceva, mentre chi faceva il bullo aveva quasi raddoppiato la dose non avendo più rivali sulla piazza. «Non avrei mai pensato di ritrovarti! Ho seguito ogni tanto le tue corse all’estero ti faccio i complimenti». Aggiunse dopo qualche istante di silenzio.

«Grazie, come stai? Non mi dire che stai ancora con quel Takeshi!». Al solo pronunciare il suo nome sentiva il sangue andarle alla testa, il pensiero che lui stesso avesse provocato l’incidente in cui era rimasta coinvolta anche Michiru anni prima era ancora nitido nei suoi ricordi.

«Sto bene grazie». Sorrise, Takeshi era stato si importante ma dopo quell’episodio era riuscita a prendere gradualmente le distanze da lui e poi andando all’estero per laurearsi in Medicina, avevano perso i contatti. «No! Assolutamente, da quell’episodio in cui mi hai difesa ho preso lentamente le distanze e poi sono partita per l’Università, ho studiato all’estero non qui in Giappone. Io e lui abbiamo perso completamente i contatti ma a quanto ne so, dalle voci che girano, è in carcere per spaccio di droga e ha commesso anche qualche omicidio. Non ha preso proprio una bella strada». Le spiegò.

Tenoh fece un sorriso a sentire che, quell’essere spregevole, non era più in circolazione a Kyoto. Era certamente un punto a loro favore e un problema in meno cui pensare nel momento in cui tutto sarebbe venuto a galla.

«Ha avuto ciò che si meritava, era palese già quando eravamo tutti ragazzini che non avrebbe fatto una bella fine». Non sapeva affatto che traumi avesse le spalle l’uomo, ma certamente aveva esagerato con il trovare scappatoie in certe compagnie. Allearsi per soldi con i Kaioh, insieme alla sua banda, era convinta che era stata la fine per lui.

«Perdona la domanda indiscreta, ma cosa ci fai qui? Hai qualche parente ricoverato?». Le chiese la dottoressa, incuriosita dal fatto che non vi erano stati nuovi ricoveri in quei giorni nel reparto.

«Accompagno un’amica, un’amica di lunga data, ci siamo incontrate per caso dopo tanto tempo e mi ha chiesto questo favore stamattina». Le fece l’occhiolino senza intenzione di scendere ulteriormente nei dettagli.

Ami fece mente locale al fatto che, in visita in quel momento nonostante non fosse orario di visita vi era solo la madre di Nari, che loro due si conoscessero davvero da così tanto?

«Ma è Michiru Kaioh? C’è solo lei in visita in questo momento, non è orario di visita in teoria questo, ma per lei facciamo sempre un eccezione». Provò a chiedere continuando a guardare la bionda.

Haruka stava per rispondere con un occhiolino quando senti una presenza accanto a lei.

«Buongiorno dottoressa». La voce di Michiru raggiunse poco dopo le sue orecchie, rispondendo senza saperlo alla domanda dell’altra ragazza, la guardò con la coda dell’occhio e non le sfuggì lo sguardo interrogativo dipinto sul volto di lei nel cercare di inquadrare la situazione.

«Buongiorno». Rispose l’altra guardando entrambe velocemente, costatando che viste vicine facevano una bellissima coppia. Se non fosse che la madre della sua piccola paziente era sposata. In tutti quei mesi in cui aveva svolto già servizio li, però, aveva potuto fare conoscenza del marito solo una volta e di sfuggita. Le sorse quindi il dubbio di quanto lui in realtà fosse presente nella malattia della figlia e quanto sostenesse moralmente la moglie in tutto questo. «Avevo appena chiesto ad Haruka se la sua amica di lunga data fossi tu». Sorrise appena.

«Aveva visto giusto dottoressa». Fu la risposta della violinista, era stata parecchio dentro con il primario per discutere di tutto il percorso che avrebbe dovuto affrontare la figlia di li a quel momento; di comune accordo avevano deciso di iniziare con la chemio necessaria prima dell’intervento l’indomani senza perdere tempo prezioso.

In quel modo, l’intervento sarebbe coinciso proprio con la data del Saggio dell’Accademia ma non le importava, avrebbe fatto in modo di riuscire a correre in ospedale appena finito.

Doveva solo avvisare la loro Manager di annullare tutti gli impegni e le interviste eventuali già programmate dopo l’evento e durante il rinfresco successivo.

Spostandole se possibile al giorno prima, altrimenti per una volta i media avrebbero rinunciato a un suo intervento. Poco le importava.

«Serve che tu rimanga ancora qui?». Haruka si intromise tra le due, non amava troppo i ficcanaso e Ami, per quanto si conoscessero da tanto, stava facendo domande poco appropriate.

«No, per oggi ho finito possiamo andare». Le rispose lei avvertendo il fastidio provocatole da quella conversazione a tre.

«Allora se è così, Ami ti saluto mi ha fatto piacere rivederti». Si rivolse all’altra senza troppi convenevoli.

«Piacere mio, Haruka». Si rivolse verso la madre della bambina. «Noi allora ci rivedremo nei prossimi giorni hai già deciso tutto con il primario giusto? Mi aveva parlato di questa intenzione da parte sua proprio ieri quando sei andata via».

«Si, abbiamo deciso che inizierà la chemioterapia domani e poi farà il percorso che dovrà fare». Le rispose lei.

«Andrà bene, vedrai, Nari è una piccola guerriera». Le sorrise dolcemente nel tentativo di renderla più tranquilla, era certa che la piccola ne sarebbe uscita vincitrice dalla malattia. Non aveva mollato fino a quel momento, sarebbe riuscita ad andare avanti ancora.

«Si certamente si, a domani». Tagliò corto Michiru prima di raggiungere Haruka già dall’ascensore alla fine del corridoio. La guardò attentamente per studiarne l’espressione, quasi a percepire il minimo segno per capire come facessero loro due a conoscersi.

«Conosci la dottoressa Mizuno?». Chiese mentre le porte dell’ascensore si chiudevano davanti ai loro occhi.

Tenoh scoppiò a ridere a quella domanda, non tanto per ciò che le aveva chiesto, quanto piuttosto il tono che aveva avvertito. «Non dirmi che sei gelosa!». Esclamò ignorando in prima battuta la domanda dell’altra.

«No sono solo curiosa». Non era sicura che fosse solo curiosità, ma ammettere che averla trovata in compagnia della dottoressa e capire che era una vecchia conoscenza la loro le aveva dato parecchio fastidio non le sembrava il caso. Non aveva nessuna intenzione di gonfiare l’ego della pianista per una sciocchezza simile.

«Certo, solo curiosa». Un sorriso sfrontato le si dipinse sul viso. «Comunque è una conoscenza di vecchia data, giravamo negli stessi posti nel quartiere e l’ho aiutata a risolvere una seccatura a suo tempo». Le spiegò. «Non me la sono portata a letto se è questo che vuoi sapere e nemmeno ho avuto una relazione con lei».

«No, non intendevo che voi due..». La voce le morì in gola quando uscirono dall’ascensore, davvero non intendeva quello? O era un semplice arrampicarsi sugli specchi perché si era sentita decisamente allo scoperto?

«Sarà come dici tu sicuramente». Non riusciva a stare seria come in realtà avrebbe dovuto, la risposta della musicista era davvero poco credibile. «Ma secondo me stai morendo di fastidio perché sei gelosa». La guardò qualche istante con la coda dell’occhio per studiarne la reazione.

«Non sono gelosa! Non ne ho motivo, se è una cosa del passato». Ribatté, possibile che fosse così tanto palese?

«Si, come se non conoscessi bene voi donne». Commentò nuovamente indossando gli occhiali da sole con un gesto ben poco plateale che attirò l’attenzione delle presenti di sesso femminile nella hall della clinica.

«Cosa significa? Non siamo tutte uguali...e io non sono gelosa della dottoressa Mizuno». Ribadì guardandola di traverso.

«Certo Michi». Le diede un leggero pizzico su una guancia. «Parlando di cose più importanti, cosa vuoi fare ora? Passare da casa a prendere i vestiti e tutto ciò che ti serve per stare da me?». Il tono scherzoso sfumò subito dalle sue labbra all’ipotesi di trovare Kou in quell’appartamento. Non aveva idea di come avrebbe reagito, ma il bruno sarebbe uscito da quella casa in ambulanza sicuramente.

«Si, penso che sia la cosa migliore...Seiya non è sicuramente in casa fino a stasera». Controllò il cellulare per togliere le notifiche delle chiamate arrivate proprio da lui quel mattino senza lei le calcolasse. «Così prendo tutto, gli lascio un biglietto per avvisarlo che ho bisogno di una pausa e poi andrò avanti con l’idea di chiedere il divorzio, sfruttando ciò che hai scoperto tu all’epoca come motivazione».

«Ok, come preferisci. Anche se non posso nascondere la delusione nel sapere che lui non è in casa, avrei scambiato volentieri due parole sul modo di trattare le donne con lui». Le rispose sarcastica. L’altra si limitò a volgere lo sguardo al soffitto prima di accelerare il passo diretta alla macchina.

 

***

 

«Seiya! Ma dove hai la testa!». La voce di Yaten piombò alla sue orecchie improvvisamente, i suoi pensieri erano rivolti a ciò che era successo la sera prima e al fatto che Michiru non aveva ancora risposto a nessuno dei suoi messaggi e delle sue chiamate.

Erano chiusi da due ore in quella stanza insieme al direttore del suono per delineare gli ultimi dettagli per il concerto. Mancavano ancora svariati giorni ma più tempo avevano per farsi un’idea di come impostare il tutto relativamente alla forma dello Stadio in cui avrebbe avuto luogo l’esibizione era meglio.

Il suono doveva essere impeccabile in ogni angolo della struttura, come sempre da una decina di anni a quella parte. Lui per primo non ammetteva sbagli.

«Scusate la mia distrazione, ho molti pensieri nella testa, forse troppi». Ammise lui guardando l’altro. Si decisamente troppi, forse aveva esagerato con sua moglie..forse le sue parole erano state davvero troppo dure.

Però era quello che sentiva dentro, dal primo istante in cui avevano diagnosticato alla figlia l’anemia. Il fatto che, probabilmente, tutto ciò era conseguenza della consaguineità forse era un aggravante in più.

«Hai bisogno di una pausa?». Era Taiki questa volta, il turbamento del fratello era chiaro. Probabilmente sua nipote si era aggravata improvvisamente e non lo aveva comunicato anche a loro.

«Si scusate io meglio che mi assento per un caffè, torno subito continuate pure senza di me». Rispose il bruno alzandosi dopo aver preso lo smartphone dalla tasca.

Nessuna chiamata, nessun messaggio.

Da Michiru solo silenzio, aveva esagerato veramente. La reazione della violinista, però, gli sembrava eccessiva: in fin dei conti non aveva mai perso il controllo così.

Il corridoio silenzioso e deserto era proprio quello che faceva a caso suo, si diresse verso la macchinetta automatica e inserì l’importo richiesto per un caffè.

«Ma è successo qualcosa?». Il castano l’aveva raggiunto. No, non aveva proprio voglia di parlarne ma a suo fratello era una vita che non riusciva a nascondere niente.

«Hanno trovato un midollo osseo compatibile per Nari, inizia la procedura per il trapianto in questi giorni». Rispose piattamente, senza staccare lo sguardo dalla lucina che gli avrebbe comunicato che il bicchierino era pronto per essere estratto. «Vuoi qualcosa anche tu?».

«No grazie, è una bellissima notizia, vedrai che andrà bene tutto e finalmente tornerà a fare una vita normale la piccola». Era una felicità sincera quella che provava per sua nipote, per questo motivo il tono usato dal fratello era incomprensibile. «Non mi sembri così felice però, è successo altro?».

«Ho litigato con Michiru ieri sera, ho esagerato. Non risponde ne alle chiamate ne ai messaggi e da una parte sono preoccupato». Se scattava una denuncia e la notizia fosse arrivata ai media sarebbe stato un grosso problema da gestire in vista del concerto. E aveva tutti i motivi per sporgerla se solo avesse voluto.

«Se ti preoccupa così, deduco che non sia stata una semplice litigata». Commentò nuovamente l’altro. «Seiya, che cosa hai combinato?».

«Mi è scappata la pazienza, lei ha attaccato sul fatto che non sono mai presente e che anche per nostra figlia non lo siamo. Quando sta male la Clinica chiama sempre lei perché io ho il telefono quasi sempre spento...mi ha detto che è stanca di affrontare tutto questo da sola. Lo stress Taiki, lo stress… non so cosa mi è preso ma ho quasi abusato di lei. Non va nemmeno tra le lenzuola in questo periodo». Gli confidò.

«Stai scherzando?!?». Il tono del fratello perse la calma che lo contraddistingueva sempre. «Se dovesse scattare una denuncia da parte sua, la tua carriera e probabilmente la nostra verrà affossata!! Ma come hai potuto fare una cosa del genere. Cerca di rintracciarla velocemente e facci pace».

«La sto chiamando senza risultato da ieri sera, ho mandato un sacco di messaggi ma tutto caduto miseramente nel vuoto. Spero che stasera mi risponda. Oggi doveva andare a consegnare i fogli con l’autorizzazione per il trapianto al primario del reparto e poi aveva le prove per l’Accademia. Sai quel saggio a cui partecipa anche lei suonando con uno studente un suo brano inedito? Te ne avevo parlato». Gli spiegò.

«Spero tanto sia così! La prossima tienilo nelle mutande e se non ci riesci ci sono sempre i siti porno o le escort». Sbottò lui senza attendere una replica. «Quando torni in riunione cerca di concentrarti su quello che diciamo, nonostante questo casino poteva essere evitato».

Si, suo fratello aveva ragione. Era un evento che poteva essere evitato. E si forse non aveva tutti i torti a parlargli di escort. Potevano risolvere una marea di problemi togliendo la tensione che c’era nella coppia anche riguardo al sesso.

Parecchie coppie grazie a loro tornavano più unite, magari anche per la loro sarebbe stato così.

Lanciò il bicchierino vuoto nella spazzatura. Avrebbe pensato più tardi a come risolvere il problema.

 

***

 

«Michi devi prendere ancora altro?». Esclamò osservando le tre valigie pronte vicino all’ingresso dell’appartamento, ormai l’ora di pranzo era passata da un po’ e il suo stomaco chiedeva a gran voce la dovuta attenzione.

«No credo di essere a posto così, ho dovuto prendere dei vestiti anche per la bambina, non posso lasciarla sempre con gli stessi vestiti in ospedale e anche qualche gioco». Le sorrise, aveva anche lasciato un biglietto al marito dove gli comunicava la sua decisione di prendersi un periodo di pausa nel loro rapporto.

Lo aveva avvisato che sarebbe stata ospitata da un’amica poco fuori città che lui non conosceva, in realtà Tenoh abitava in pieno centro, ma lo aveva fatto appositamente per non farsi rintracciare facilmente.

La custodia del violino stretta tra le braccia, osservò la bionda spostare le valigie nel porta bagagli dell’automobile. Il telefono che riprese a vibrare nella borsa.

«Ok allora possiamo andare a casa e rilassarci un po'?». Propose l’altra. «O magari che cosa ne dici? Passiamo prima un po’ in spiaggia ti va?». Stare vicina al mare l’avrebbe fatta sentire sicuramente meglio, senza alcuna ombra di dubbio.

«Credo che la spiaggia possa andare bene, forse riesco a rilassarmi un poco con il rumore delle onde del mare». Disse sottovoce, più rivolta a se stessa che in riposta alla bionda.

«Beh allora salta su, così arriviamo prima di subito». Le fu aperto lo sportello anteriore lato passeggero del mezzo, invito che la violinista accolse molto volentieri.

 

Il viaggio lo avevano trascorsa ciascuna immersa nei propri pensieri, Tenoh ben concentrata alla guida per alzare i giri del motore non appena la strada lo consentiva, Kaioh con lo sguardo fisso fuori dal finestrino quasi totalmente assorta.

Haruka aveva deciso di portarla in una delle spiaggette poco frequentate fuori dai confini di Kyoto, le sembrava la scelta più appropriata per darle un po’ di tranquillità e per evitare paparazzi che avrebbero solamente complicato ulteriormente la situazione.

Il suo intento di sollevarle il morale, però, sembrava fallire miseramente visto il silenzio pesante che aleggiava in quel momento nell’abitacolo.

«Michi». Si voltò velocemente a guardarla per richiamare la sua attenzione, possibile che il paesaggio fosse più interessante?

«Mhm?». La risposta arrivò quasi impercettibile, senza che l’altra si voltasse verso di lei, troppo sovrastata dagli eventi di quegli ultimi giorni.

«Sicura di stare bene?Sei silenziosa». Rallentò non appena giunsero nella prima piazzola utile a contenere la sua macchina.

«Si sto bene è solo che...». Tirò un sospiro. «Negli ultimi giorni sono successe davvero troppe cose, non so nemmeno io cosa dire, fare, pensare mi sento totalmente travolta dagli eventi e ieri sera è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Pensaci Haruka… in meno di due settimane. Ho incontrato te, ho scoperto che mio marito è in realtà mio fratello e che i miei genitori erano a conoscenza della cosa, scopro che Nari è affetta dall’Anemia mediterranea proprio per questo con molta probabilità, scopro che mio marito non l’ha mai accettata perché voleva una figlia sana e senza problemi. E poi scopro che...». Si interruppe, perché era tremendamente sbagliato ciò che stava per dire. «No niente lascia stare».

«No Michi, continua». La incoraggiò lei, alzando leggermente gli occhiali da sole dal suo viso.

«No non è importante, davvero». Non posso dirti che i miei sentimenti di un tempo erano soltanto assopiti, non ora. Voleva essere sicura che non fosse solo un bisogno emotivo di stabilità, non voleva illuderla. Anche se il sesso con lei era favoloso e il feeling che ricordava si era formato nuovamente come se non fossero passati tutti quegli anni.

«Come vuoi, non voglio sforzarti a dire cose che non vuoi dire». Commentò piattamente la pianista, tirando poi un sospiro. «Comunque siamo arrivati li un po' nascosta dai cespugli c’è una stradina che arriva a una spiaggia nascosta poco lontana, se vuoi possiamo scendere». Cambiare discorso le sembrava la scelta più appropriata.

Kaioh annuì solamente aprendo poi lo sportello per scendere, si allontanò dal mezzo quasi subito avvicinandosi al punto che le era stato indicato, il rumore del mare era ben udibile e i frammenti luminosi del sole sulla superficie arrivavano quasi a ferirle gli occhi attraverso quei pochi alberi che la separavano dalla sabbia. Si, continuare quel discorso in quel momento non avrebbe avuto senso.

«Come fai a conoscere tutti questi posti? Io non ne sapevo nemmeno l’esistenza». Le disse appena sentì la sua presenza alle spalle, si forse lei non aveva mai avuto tempo di girare come voleva. Vista la famiglia che aveva sempre avuto, da ragazzina non aveva mai potuto assaggiare un’adolescenza come le proprie coetanee.

«Quando ero una ragazzina passavo molto del mio tempo in giro con la moto, senza mai rientrare a casa o quasi. Ho dato molti grattacapi a mia madre in questo senso. Lei avrebbe voluto che studiassi, che andassi all’Università e mi creassi un lavoro serio che non consistesse nelle corse. Ma ho dovuto prendere il posto di mio fratello gemello, non ho avuto scelta. Serviva per campare, poi io non sono esattamente la persona adatta a stare sui libri. Usagi al contrario di come era alle medie si è rivelata brava poi al liceo e infine all’Università. Ora sta per finire di scrivere la tesi, entro settembre si Laurea». La spinse delicatamente verso il sentiero. «Cosa vuoi fare? Rimanere qui in ammirazione?». La superò facendole l’occhiolino. «Su vedrai che spettacolo che troverai tra qualche metro». Le prese la mano destra per tirarla verso di se e farle successivamente strada.

La piccola insenatura nella costa si rivelò più bella di come aveva immaginato inizialmente tra gli alberi, la sabbia più chiara rispetto alla normalità di quella parte del giappone era di un color tortora piacevole.

La costa frastagliata si alzava maestosa a proteggere quell’angolo di paradiso da occhi indiscreti rendendo praticamente impossibile notarne la presenza passando sulla strada più in alto. Ciuffi di erbacce spuntavano qua e la sulla parete rocciosa, fieri e maestosi della loro esistenza che sfidava forza di gravità, vento e forza del mare durante le tempeste.

La sua attenzione però fu quasi totalmente catturata dal colore dell’acqua, un verde azzurro intenso come raramente si riusciva a vedere da quelle parti.

Colore frammentato da piccoli spicchi di luce che nascevano e morivano pochi secondi dopo animando le onde che dolcemente accarezzavano la spiaggia.

«Hai perso la parola Kaioh?». Si insinuò quasi a presa in giro Haruka, con un sorriso sfrontato.

«E’ meravigliosa, l’acqua poi». Si limitò a dire lei senza distogliere lo sguardo dalla superficie.

«Perfetta per fare un bagno, c’è anche la giusta temperatura, che te ne pare?». Si tolse i Rayban per appenderli alla maglietta.

«Non ho il costume e nemmeno ho un asciugamano per potermi asciugare dopo». No, non le sembrava una buona idea andare in acqua con tutti i vestiti, avrebbe impiegato ore e ore ad asciugarsi.

«Costume? E chi ha parlato di costume, Michi su! Non ci vede nessuno». Continuo lei, vedendola non capire cosa le stava suggerendo. Preferì allora darle una dimostrazione pratica su se stessa e si tolse in pochi secondi la maglietta rimanendo completamente a torso nudo, per poi dedicarsi a scarpe, pantaloni e l’unico indumento intimo che indossava.

«Se arriva qualcuno e ci vede?». La voce della pittrice ruppe il silenzio, i suoi occhi verdi incrociarono quelli blu di lei.

«Ho parcheggiato la mia piccola in modo che coprisse totalmente il passaggio appositamente». Percorse la distanza che la separava dall’altra ancora vestita e si abbassò appena per essere a livello del suo viso. «Non farti pregare Michi». Fu un sussurro appena accennato prima che le loro labbra si congiungessero. «Credo sia un esperienza che troverai piacevole». Si allontanò sorridendo. «E poi un bronzo di riace così dove lo trovi?».

«Al Museo Nazionale della Magna Grecia in Italia». Il commentò le uscì spontaneo e vide chiaramente l’ego di Tenoh sgonfiarsi inesorabilmente, si decise però a togliersi tutti i vestiti; operazione che le fece perdere qualche minuto.

«Ah si? In Italia? Allora questo te lo meriti proprio». Il tono fintamente offeso di Haruka la raggiunse nuovamente, prima che lei si trovasse improvvisamente a testa in giù, lo sguardo sulla sabbia e le gambe a penzoloni. «Dovrò punirti per l’affronto appena subito». Le tirò un morso leggero sul lato B facilmente a portata di bocca.

«Ruka lasciami!». Si lamentò quella non appena entrarono in acqua a una distanza sufficientemente ampia dalla costa da poter coprire l’androgina fino ai fianchi.

Si sentì scivolare lungo il corpo della compagna e dopo poco i suoi piedi entrarono in contatto con il fondare sabbioso-ghiaioso. I piedi vittima delle leggere punture dei sassolini.

«No no, dove pensi di andare uh?». La strinse a se. «Non vai proprio da nessuna parte». Le afferrò delicatamente i fianchi per farla abbassare nell’acqua con lei.

«Non voglio andare lontano». Ammise. «Volevo solo fare una piccola nuotata per sgranchire un po' i muscoli, è da tanto che non faccio una nuotata come si deve».

«Falla dopo la nuotata..ora rilassati un po' insieme a me». Le diede un bacio leggero sul collo, la mano destra a insinuarsi ben più in basso.

 

***

 

Un pugno colpì il tavolo della cucina con una forza ben al di sopra del normale. Quando era rientrato a casa dopo la giornata lavorativa aveva trovato parecchia roba assente nell’appartamento. Aprendo il loro armadio le assenze si moltiplicarono notevolmente, parte del guardaroba era sparito nel giro di ventiquattro ore.

Nella cameretta della bambina stesso risultato. Così come in parte della stanza-studio dove la moglie era solita dedicarsi alla pittura e alla musica.

Sparite. Erano sparite un sacco di cose.

Poi in cucina aveva trovato il biglietto che lei stessa gli aveva lasciato e la rabbia aveva preso il sopravvento. Rabbia scaturita all’esterno con quel pugno.

Prese il cellulare in mano per l’ennesima volta, compose quel numero che ormai sapeva a memoria nella speranza che sarebbe arrivata, finalmente, un risposta.

Tutto ciò che ottenne fu il silenzio.

Solo silenzio.

Decise quindi di chiamare i genitori di lei, nella speranza che fosse andata li da loro e la storia dell’amica fosse solo una scusa per non essere raggiunta li.

Scorse la rubrica in cerca del numero dei suoceri e tocco poi il tasto della cornetta per avviare la chiamata.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

Se erano a conoscenza di tutto e non rispondevano appositamente? Il pensiero lo sfiorò subito dopo. No! Era impossibile visto il rapporto che avevano, sicuramente non erano a conoscenza del litigio.

«Buona sera». La voce del padre di Michiru irruppe, fredda e roca come sempre al di là della cornetta.

«Signor Kaioh, Michiru è li?». Domandò senza prestare troppa attenzione ai convenevoli nonostante sapesse quanto fossero apprezzati dall’altra parte del telefono.

«No non è qui, è successo qualcosa?». Era strano che sua figlia a quell’ora non fosse in casa, non aveva concerti in programma.

«Abbiamo litigato ieri sera e non risponde più al telefono, sono in pensiero perché non aveva mai fatto così e ha chiesto un periodo di pausa, è da un’amica stando al biglietto ma pensavo fosse in realtà da voi». Spiegò lui, omettendo i dettagli che non servivano in quel momento.

«No non è qui, ma dico subito a mia moglie di chiamarla per rintracciarla vedrai che si sistema tutto, non temere». Lo rincuorò l’uomo, senza tradire il nervoso per il comportamento della sua primogenita, non le era stato insegnato un comportamento del genere quando era ragazzina. Non era mai stata così irrispettosa, possibile fossero solamente ore buttate quelle utilizzate per la sua educazione?

«Se riuscire a parlarle fatemi sapere». Era preoccupato, aveva paura che le fosse successo qualcosa. «Voi come state?».

«Bene come sempre, la bambina come sta?». Nonostante Michiru non desse loro modo di vedere la nipote come avrebbero dovuto, a causa dell’astio che portava dentro di se da anni nei loro confronti. Quella piccola creatura le era entrata nel cuore, nonostante tutto.

«Hanno trovato un midollo compatibile, domani o nei prossimi giorni iniziano la procedura per il trapianto. Dovrà fare la chemioterapia per un periodo sperando che poi il nuovo midollo attecchisca senza fare crisi di rigetto, ho firmato il consenso all’intervento e a tutto il resto proprio ieri sera, prima del litigio». Silenzio per qualche istante.

«Sono lieto della nuova notizia, vedrete che andrà bene. Ha sangue Kaioh e noi siamo dei guerrieri in ogni situazione». Sorrise sul cellulare. «Ti saluto Seiya, per me è tardi. Dirò a mia moglie di farti sapere se riesce a parlare con nostra figlia. Buona notte».

Kou non fece in tempo a rispondere che si interruppe la conversazione e il suo orecchio fu raggiunto dal silenzio totale.

 

***

 

Il pomeriggio in spiaggia aveva dato i risultati sperati da Haruka, il mare unito a ciò che era successo in acqua non appena era riuscita a togliere tutti i freni che la pittrice aveva posto troppo presa dalla paura che qualcuno le vedesse avevano fatto si che i loro nervi troppo tesi tornassero rilassati.

In quel momento era uscita da poco dalla doccia e aveva raggiunto Michiru in cucina che era indaffarata dietro ai fornelli per preparare la cena per entrambi, la osservò per qualche istante: i capelli ancora umidi sciolti sulle spalle, una canottiera leggera e dei pantaloncini bianchi.

La pelle leggermente più colorita di quanto fosse quel mattino, le si avvicinò senza palesare in altro modo la sua presenza, solo due braccia a cingerle le spalle e il viso appoggiato sulla spalla. «Cosa stai cucinando?».

«Pasta non so te, ma dopo aver saltato il pranzo io ho una fame da lupi». Girò velocemente il sugo nella padella. «Pomodorini, basilico e pinoli». Alzò il coperchio per vedere a che punto di bollitura fosse l’acqua. «Spaghetti vanno bene o preferisci altro?».

«Andranno benissimo». Le posò un leggero bacio su una delle spalle. «Preparo la tavola così facciamo prima e mangiamo subito».

Dall’altra in risposta arrivò solamente un annuire, impegnata com’era a portare a termine il suo compito, prese la porzione giusta di pasta dal barattolo e la mise nella pentola dell’acqua. «Una decina di minuti ed è pronto».

Fu lo stomaco di Tenoh a rispondere a quelle parole, con un rumore ben udibile nel silenzio della stanza. «Credo di essere parecchio affamata».

«Hai un orso nello stomaco?». Scoppiò a ridere. «O forse direttamente un bollitore dell’acqua ». La seconda ipotesi le sembrava più appropriata rispetto alla prima.

«Una bollitore?». Non era mai stata paragonata a un bollitore. La guardò dubbiosa, il rumore prodotto dal suo stomaco, però, era molto simile.

«Si un bollitore, di quelli per scaldare l’acqua per il tè». Si voltò a guardarla appoggiando i fianchi al lavandino.

Sul viso della bionda si dipinse un espressione pensierosa per qualche istante, prima che un sorriso sicuro di se facesse capolino sul suo volto. «Il bollitore più sexy, bello e sensuale di tutta la città». Si, quelle precisazioni cadevano a pennello.

Kaioh guardò il soffitto in tutta risposta prima di controllare l’ora per non far cuocere troppo la loro cena.

«Inutile che fai quella faccia, non puoi negarlo e oggi pomeriggio mi sembra tu abbia apprezzato, non eri esattamente silenziosa sulla spiaggia». Incrociò le braccia guardandola dritta negli occhi. Colpita e affondata.

La vide arrossire, ma ebbe come l’impressione che non l’avesse messa sufficientemente ko.

«Beh che io amo il mare fino all’invero simile è rassodato, nulla di particolarmente strano». Le sorrise senza scomporsi.

«Sarà ma mentre la mia lingua era impegnata in certi giochini non mi sembrava di sentire che parlavi del mare e di quanto ti piacesse». Doveva vincerla lei. «Anzi mi sembra che l’unico nome che usciva dalle tue labbra era stranamente simile al mio».

La vide voltarsi per assaggiare gli spaghetti per controllarne la cottura, prima di spegnere il fuoco e prendere uno scolapasta da mettere nel lavandino.

Il silenzio della stanza fu interrotto da un nuovo vibrare del telefonino, una vibrazione con ritmo diverso da quella delle ultime ventiquattro ore.

«Ruka per favore, ci pensi tu a farla passare in padella per qualche minuto così si amalgama ben bene con il sugo?». Le disse prima di appoggiare nuovamente la pentola ancora piena e lavarsi velocemente le mani. «Non è la vibrazione che ho messo a Seiya questa, è qualcun altro».

«Si, rispondi pure faccio io gli ultimi passaggi tranquilla, però sii veloce! Che sennò mangio tutto io!». Le disse scherzosamente.

«Quando si dice essere degli ottimi e galanti cavalieri». Sparì dalla stanza per andare a prendere il telefono abbandonato sul tavolino della sala qualche ora prima, quando erano giunte a casa. «Pronto».

«Michiru?!?». La voce di sua madre diede inizio alla comunicazione. «Si può sapere dove sei finita?!?».

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** L'amica di Usagi ***


Note dell'autrice: Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo per pubblicarlo. Il ritmo sta procedendo lentamente anche nella storia ma conto dal prossimo capitolo di accellerare un po' gli eventi. Vi auguro una felice e serena Pasqua.

Capitolo 12: L'amica di Usagi

 

«Michiru?!?». La voce di sua madre diede inizio alla comunicazione. «Si può sapere dove sei finita?!?».

Gli occhi corsero a cercare quelli di Haruka che la guardavano interrogativa mentre la bionda girava la forchetta nella pasta per prenderne una forchettata dal piatto.

«Ciao mamma». Rispose al suo sguardo così, comunicandole con chi aveva il piacere di chiamarla a quell'ora disturbandola senza troppi problemi.

Sul viso di Tenoh si dipinse un'espressione contrariata, mentre gli occhi tornarono silenziosamente a dedicare le proprie attenzioni alla cena. « Sono a casa di una mia amica, ho bisogno di staccare non vi preoccupate, sto bene». Intuì che Seiya avesse chiamato anche loro nella speranza che fosse tornata a Villa Kaioh.

Questo le fece capire come, in realtà, il marito non la conoscesse affatto e che con ogni probabilità era quasi un'estranea dopo tutti quegli anni, ulteriore motivo per chiedere il divorzio.

«Ha chiamato Seiya, è preoccupato perché non ha tue notizie e non rispondi al telefono cosa sta succedendo?». Il tono della donna non tradì emozione alcuna, anche se quel comportamento disdicevole non era proprio abitudine della giovane. L'educazione che le era stata impartita che fine aveva fatto?

«Non ho voglia di parlarne adesso, lo farò promesso dite a Seiya di stare tranquillo appena sto meglio tornerò a casa». Cercò di non dare risposte alla ricerca di informazioni della donna, sperava che dirle che poi gliene avrebbe parlato la dissuadesse dal continuare a porle domande alle quali non avrebbe saputo rispondere immediatamente.

Un verso non ben identificato uscì dalla bocca dell'altra a sentire quella promessa, le mani che si mossero nel gesto del fare il culo. Suggerendole che, forse, era quello che avrebbe dovuto fare anziché quelle stupide promesse.

Lei sorrise cercando di riportare l'attenzione a ciò che la madre le stava dicendo al telefono senza reale intenzione di ascoltarla poiché, alla fine, sarebbero uscite dalla sua bocca sempre le stesse cose.

«Fate attenzione a non rendere palese il vostro allontanamento, i paparazzi e i media sono sempre dietro l'angolo per questo genere di Scoop». Ovviamente con Nari che stava per iniziare la chemioterapia, un tentativo di abuso da parte del bruno e lo scoprire che loro in realtà erano fratelli il problema maggiore era ciò che avrebbero pensato i media e i loro fans. Tipico dei Kaioh ragionare in quel modo, tipico di chi da importanza solo all'apparenza e nient'altro.

«Mamma ascolta, con Nari che sta per iniziare il percorso per il trapianto di midollo ciò che pensano i telegiornali è l'ultima cosa che mi possa interessare, possono scrivere tutto ciò che vogliono tra me e i Kou. Tanto dubito che uno di loro possa anche solo ipotizzare qualcosa di verosimile. In ogni caso ripeto, quando avrò voglia verrete messi a conoscenza anche tu e papà». Tagliò corto, visto che sentiva salire il nervoso e ne aveva già usato troppo in quei giorni.

«Non fare preoccupare Seiya, chiamalo mi raccomando». Fu la risposta dell'altra. Risposta che le diede come l'impressione che in realtà avesse parlato con un muro. Non fece in tempo a ribattere che la comunicazione fu interrotta.

«Cosa voleva?». La voce di Haruka giunse subito, non appena appoggiò il telefonino sul mobile della cucina.

«Dirmi di chiamare Seiya, cosa che provvederò molto bene a non fare». Si sedette al suo fianco infilando la forchetta nel piatto a prendere la pasta, le richieste di sua madre erano un qualcosa a cui amava non dare retta ormai da anni.

La bionda sorrise a sentirla dire così. Ribelle al punto giusto, mi piace. «Vuoi del vino?».

«No grazie, mangio e poi vorrei solo riposare, domani sarà l'ennesima lunga giornata». Mormorò lei sospirando.

 

***

 

«Luna!». Usagi richiamò l'attenzione di una giovane donna, sua coetanea, dai lunghi capelli corvini riflessati di blu che disegnavano delle onde sinuose intorno al corpo per culminare in fine su due odango a forma di cuore sulla testa.

Si erano conosciute sui banchi di scuola, il primo giorno delle medie e non si erano più separate. Avevano superato le prime cotte, le prime delusioni, l'esame di terza media, l'ansia dei risultati per i test di ammissione all'Università suoi e quella dell'esame per il diploma che aveva preso dopo il liceo la bruna.

Si era più volte dimostrata un'amica dispensatrice di consigli saggi, riflessiva e pacata: insomma l'esatto opposto di Usagi, ma si completavano alla perfezione. Ramanzine comprese, quasi sempre a carico suo.

A causa dei suoi ultimi esami all'università e gli impegni lavorativi dell'altra erano circa otto mesi che non riuscivano a trovare del tempo solo per loro due come quella sera. Si tenevano costantemente aggiornate sulle loro vite con almeno una chiamata a settimana ma, vedersi, era senza ombra di dubbio meglio.

«Cosa mi racconti?». La make-up artist chiese subito alla giovane pianista. «Tua sorella come sta? Mi hai detto che è rientrata dagli USA, sono anni che non riesco a vederla per una cosa o per l'altra».

«Si è tornata ormai da qualche settimana, sta bene! Rimarrà almeno fino alla fine dell'estate in Giappone poi dovrà rientrare in America per prepararsi alla nuova stagione automobilistica, ma per la mia Laurea sarà presente!». Rispose con entusiasmo mentre guardava il menù del Ristorante Italiano che avevano scelto per quell'occasione. Era tentata di prendere una pizza, visto che lì aveva già potuto constatare fosse eccezionale, con ogni probabilità il pizzaiolo era italiano o aveva imparato in Italia a svolgere il proprio lavoro.

«Sono felice, ma ha deciso di mettere la testa a posto con le ragazze?». Ricordava bene la propensione alle conquiste continue della bionda più grande, forte del fascino che sapeva di avere sul sesso femminile, non le era certamente facile cambiarne una ogni quanto avesse voluto.

«Mia sorella non cambia, non ha il carattere da legarsi facilmente a qualcuno credo proprio che non le interessi». La guardò per qualche istante da sopra la carta davanti al viso. «Cosa facciamo? Prendiamo una pizza o un primo o un secondo? Io sarei molto tentata dalla pizza ma mi adeguo a ciò che preferisci tu, qui è tutto ottimo te lo assicuro!». Cambiò discorso, per evitare di tradirsi sulla frequentazione che sembrava avere sua sorella con Michiru, visto che le era stato detto di tenersi la faccenda per se stessa e basta. Almeno per ora.

«Anche per me va bene una pizza, vorrei prendermi poi un buon gelato in passeggiata dopo se non ti dispiace». Le rispose la bruna.

«Si io prenderò il dolce qui perché li fanno davvero buoni e il gelato dopo!». La sua sentenza fu irrevocabile, l'altra scoppiò a ridere.

Furono interrotte dal cameriere avvicinatosi a prendere l'ordine e la biondina prese subito la parola, affamata com'era non voleva perdere un istante di più: sarebbero stati tutti istanti che l'avrebbero divisa dal poter cenare e, vista la giornata impegnativa aveva proprio bisogno di rifocillarsi con qualcosa di buono nello stomaco. «Prendo una pizza con rucola e gamberetti, poi una coca-cola media e una fetta di torta con panna e fragole». I suoi occhi azzurri lessero il menù fino in fondo. «Ah! E anche un caffè d'orzo se possibile». Sorrise lasciando la parola a Luna.

«Io una pizza alla Diavola, una bottiglia di acqua naturale e un caffè». Ringraziò quindi il ragazzo prima che si allontanasse. «E con Mamoru? Quando vi deciderete ad andare a convivere!». La guardò dritta negli occhi, alla ricerca di qualche reazione che tradisse l'amica su qualche notizia che ancora non le era stata comunicata.

«Con Mamo-chan va tutto a gonfie vele, non so però se andiamo a convivere, non abbiamo ancora fatto questo discorso, non voglio mettergli pressione. Certo mi piacerebbe e non poco e dopo tutti questi anni sarebbe anche il momento». Fece un breve calcolo, erano una decina di anni che stavano insieme, lui aveva una carriera già avviata e la sua bravura era ormai conosciuta anche fuori città. Potevano effettivamente andare a convivere ma, non avrebbe mai lasciato che lui la mantenesse: voleva comunque mantenere la sua indipendenza economica, in fin dei conti dentro di lei scorreva lo stesso sangue di Haruka e non poteva assolutamente rinunciare a qualcosa che le consentiva di essere libera su molti fronti. «Però preferirei aver trovato un lavoro stabile anche io dopo la laurea e magari anziché una futile convivenza, preferirei un matrimonio..mi conosci Luna! Sono un'inguaribile romantica!». Arrossì appena, con gli occhi sognanti al pensiero dell'abito bianco affianco a un Mamoru felice e sorridente. «Ma ora parlami un po' di te, altrimenti parlo sempre io...il tuo fantastico lavoro?». Esclamò allegra.

«Va più che bene, anzi benissimo è sempre diverso stimola la mia vena creativa in modo totalizzante e ormai sono a contatto solo con persone importanti, personalità politiche e dello spettacolo. Lavoro molto per il trucco degli attori dei film e del teatro, per non parlare di quanto trucco mi richiedano le star anche al di fuori del loro orario di lavoro!». Si mise a raccontare entusiasta, scelse di omettere che spesso, quando veniva chiamata al di fuori dell'orario di lavoro il lavoro consisteva semplicemente nel renderle irriconoscibili con trucco e parrucco per non essere riconosciuti e girare tranquillamente senza essere fermati per una foto spesso e volentieri da gente opinabile.

I suoi clienti in questo senso erano uomini e donne, come nel mondo televisivo e del teatro infatti entrambi i sessi avevano le stesse necessità.

Così si era dovuta inventare delle persone ben specifiche in cui trasformare gli attori in modo che loro avessero un aspetto diverso e molto lontano da quello di madre natura. Il tutto facendo attenzione a non far assomigliare nessuno di loro agli altri; spesso non erano nemmeno attori quelli che chiedevano, ma persone in giri ben più loschi.

Questo tipo di prestazioni offrivano un buonissimo arrotondamento del suo stipendio e dunque aveva deciso di portare avanti anche questo aspetto. Decise però di non rendere partecipe la sua amica di quest'ultimo lato, non voleva farla preoccupare troppo sebbene ricordasse che Haruka qualche anno addietro frequentava gli stessi giri ed era ricordata da molti.

«Sei sempre stata brava in questo genere di cose, fin dal Liceo! Io con il make-up ero negatissima e tu invece già sapevi truccare discretamente bene anche le altre persone! Io credo che sia la tua vocazione». Esclamò Usagi appoggiando il mento sulle mani .

«Si credo che tu abbia proprio ragione!». Sorrise, effettivamente il suo lavoro era sempre stato un piccolo sogno che aveva fin da ragazzina, quindi in un certo senso poteva sì definirla la sua vocazione.

«Con... Artemis? Giusto? Come va? Avete deciso di andare a convivere oppure siete ancora entrambi a casa di mamma e papà?». I suoi occhi azzurri si illuminarono sognanti.

«Sì, Artemis è il suo soprannome e lo sai». Che fosse il suo soprannome era ormai assodato da tutti, ma lei era una delle poche persone che ne conosceva il nome vero, particolare che il suo fidanzato non voleva si sapesse in giro molto facilmente e lei aveva sempre rispettato questa sua scelta sebbene non l'approvasse, perciò per tutti era Artemis, nonostante l'anagrafe avesse qualcosa da obbiettare in proposito.

«Sì, certo che lo so, ma non so in quale altro modo chiamarlo!». Commentò la bionda arrendendosi ai fatti oggettivi. «Lui non gradisce si sappia il suo vero nome in giro e quindi ho poche altre soluzioni disponibili!».

La bruna sorrise, spostandosi un ciuffo cadutole troppo vicino alla tavola. «Anche lui ancora nessun cenno di voler andare a convivere, credo abbia paura di fare un passo così importante anche se ormai stiamo insieme anche noi da un tempo sufficiente per pensare a un'ipotesi del genere».

 

***

 

Il silenzio di una serata ormai inoltrata durante la quale entrambe avevano guardato la televisione godendo della reciproca compagnia, nessuna delle due aveva voglia di intavolare un discorso dopo le giornate precedenti tutt'altro che facili, sopratutto emotivamente, per entrambe.

In quell'assenza di dialogo però, erano pienamente consapevoli che le loro anime in realtà stessero comunicando supportandosi e reggendosi reciprocamente.

Se per Michiru pian piano erano andate sgretolandosi le vecchie certezze a favore di una nuova vita che forse si stava affacciando timidamente alla finestra, paurosa di compiere un gesto più lungo della gamba nello spalancare totalmente l'ingresso; per Haruka averla incontrata nuovamente era stato come fare un tuffo in un passato ormai lontano che non si era mai totalmente lasciata alle spalle. Ne era sempre stata consapevole in quegli anni trascorsi lontana da casa, ne era consapevole ogni volta che aveva visto la violinista alla televisione in occasione di un'intervista dopo un evento musicale importante.

Se pur da lontano non aveva mai smesso di seguirla e ora il filo rosso le aveva portate nuovamente a intrecciare le loro vite, quasi scherzando e prendendo in giro tutto ciò che era stato o forse non stato quando entrambe erano delle adolescenti. Fino a quel momento la sua vita era stata pressoché una sabbia mobile in mezzo alla quale si era sforzata di non perdere le forze ed essere così mortalmente seppellita, che fosse la sua rivincita verso la vita aver incontrato nuovamente Kaioh? No, non poteva di certo saperlo, ma qualcosa le diceva che forse Dio si era ricordato anche di lei finalmente.

La vibrazione del telefono di Tenoh produsse un ronzio ritmico che giunse ai timpani delle due donne piacevolmente immerse nei propri pensieri, il nome sullo schermo che spinse la bionda ad accettare subito la chiamata nella speranza che quei documenti fossero pronti prima del previsto per poter mettere in moto la macchina che avevano pensato.

Togliendosi così un peso enorme alla vigilia dell'inizio dei trattamenti chemioterapici.

«Sei tra le gambe di qualche donna o possiamo parlare?». La voce dell'amico irruppe senza inutili convenevoli nello smartphone, facendola sorridere.

«Se fossi tra le gambe di una donna non sarei qui al telefono». Lo sguardo verde si posò su Michiru che la guardava attonita per ciò che aveva appena finito di dire, le fece l'occhiolino quasi a farle intendere che non doveva preoccuparsi.

«Riesci a portarmi le cose che avevamo detto domani all'una di notte a casa?». Chiese Bussho, senza scendere troppo nei dettagli visti gli affari dei quali stavano parlando.

«Devo chiedere alla diretta interessata, non ha ancora preparato le cose che avevi chiesto, se riesce entro domani sera sarò da te per quell'ora. Altrimenti temo che bisogna rimandare al giorno dopo». Potevi chiamarmi domani già che c'eri. Precisa com'era, vedersi stravolgere anche solo una minima parte della giornata in quel modo le faceva saltare il sistema nervoso.

«Fammi sapere qualcosa appena puoi». Disse lui prima di interrompere la conversazione senza darle tempo materiale per salutare. Il telefono finì in un punto imprecisato del divano sul quale era comodamente seduta, lo sguardo dell'altra ancora puntato addosso con la stessa espressione che le si era dipinta in volto gli attimi prima. «Michi eddai su, non ho detto niente di male! È solo un modo di salutarci tra amici di vecchia data». Provò a giustificarsi, senza ottenere il riscontro sperato. «Era quello che si sta occupando dei tuoi documenti falsi, ha chiesto se riesco a fargli avere le tue foto per domani notte all'una, credi che riesci a incastrare con gli impegni che hai domani?».

Lei annuì. «Non ho ancora una parrucca e nemmeno delle lenti a contatto per cambiare il colore degli occhi, con tutto quello che è successo mi è passato di mente cercare queste cose». Gli confessò quasi colpevole.

«Ci penso io a queste cose». Rimase in silenzio qualche secondo per riflettere su come farla apparire il più diversa possibile agli occhi degli altri per renderla irriconoscibile, il pensiero andò immediatamente ad Usagi e alla sua amica di infanzia. «Anzi, fammi fare una telefonata e vedrai che ti risolvo subito il problema». Allungò il corpo il tanto che bastava per riprendere nuovamente il telefonino e comporre a memoria il numero della sorella. Non sapeva dove fosse, ma in cuor suo sperava che non era impegnata con Mamoru nel letto.

Per quanto il ragazzo le piacesse e la trattasse bene, infatti, un lieve fastidio a pensare la sua Usagi impegnata in certe attività saliva volentieri ai lati della sua mente.

 

***

 

Usagi si fermò nel sentire il telefono squillare a quell'ora della sera, il cuore che le perse un battito a causa della mente che pensava a qualcosa di grave accaduto alle persone a cui più teneva.

Una paura irrazionale, rimasta lì dal giorno in cui quando era piccola era arrivata a casa la telefonata che avvisava del fatto che suo fratello maggiore era deceduto a seguito di quel maledetto incidente stradale.

Il nome della sorella faceva ben mostra di sé nei cristalli liquidi, una lieve rassicurazione che saliva dal fatto che il numero lo conosceva e che quindi, forse, poteva stare tranquilla a tutti gli effetti.

Luna si era fermata qualche passo più avanti non appena si era accorta di non averla al suo fianco e ora la guardava incuriosita da quello stop improvviso.

«Pronto». Guardò l'amica negli occhi chiari incorniciati da qualche ciuffo ribelle come a dirle che non aveva idea di cosa causava una chiamata da parte della sorella a quell'ora.

«Piccola peste, ciao». Sì, poteva definitivamente stare tranquilla.

«Haru, ciao, ma è successo qualcosa che mi chiami a quest'ora? Non è da te». Esclamò senza togliere lo sguardo dalla bruna, ma iniziando nuovamente a camminare.

«Niente, non preoccuparti. Mi è venuto in mente che Luna, la tua amica di infanzia, è una truccatrice ed è anche molto brava vero? Mi daresti il suo numero? Mi servirebbe abbastanza urgentemente». Andò dritto al punto, a sentire quel discorso la biondina allontanò lo smartphone dal suo orecchio passandolo alla diretta interessata che la guardava interrogativa.

«E' mia sorella, ha chiesto di te». Le chiarì le idee. «Magari se parlate direttamente tra di voi è meglio». Spiegò prima di superarla per andare ad appoggiarsi alla ringhiera del lungo mare e rimanere fissa ad osservare il mare.

«Pronto, ciao Haruka mi hanno detto che stavi cercando me». Il suo tono allegro come sempre era quasi travolgente, aveva ben presente la sorella della sua migliore amica, da piccole erano riuscite a trascinarla ogni tanto nei loro giochi da femmine che lei non troppo sopportava e, man mano negli anni, con il crescere del rapporto tra le due era cresciuto anche quello di amicizia che la univa al lampadario biondo che orbitava intorno alle loro vite da sempre.

«Luna! Non pensavo che eri con Usagi, che splendida coincidenza! Comunque sì stavo cercando proprio te, hai impegni per domani sera? Mi serve un lavoro di make-up un po' particolare». Percepì chiara l'enfasi sull'ultima parola di Tenoh, capendo al volo di che lavoro poteva trattarsi.

«Se è un lavoro urgente mi libero dagli impegni che ho e vediamo cosa possiamo fare». Fece mente locale al fatto che aveva una cena fissata con i genitori del fidanzato proprio per la sera dopo ma, essendo in quel tipo di ambiente da ormai anni e anni, era abituata al fatto che spuntava un lavoro con così poco preavviso.

«Se riesci per domani sera sarebbe davvero ciò che fa al caso mio, poi ti dirò tutti i dettagli quando sarai qui a casa da me e … mi raccomando Luna, sono sicura che posso fidarmi di te in tutto. Massimo riserbo per questa cosa». Sì, a giudicare da ciò che le aveva appena finito di dire l'amica, la sua intuizione iniziale era più che giusta.

«Puoi stare tranquilla, Ruka, non è il primo lavoro di questo tipo che faccio». La rassicurò immediatamente. «Chiedo l'indirizzo a tua sorella allora e ti faccio mandare il mio numero di cellulare nuovo così per qualsiasi cosa sai come rintracciarmi». Sorrise. «A domani sera allora!».

«Stai attenta a quello che combina mia sorella, che non si cacci nei guai stanotte. Basta un bicchiere e già inizia a non capire più niente». La voce si fece seria, con un filo di preoccupazione.

«Stai parlando della mia migliore amica, non permetterei mai che si cacci nei guai, puoi stare tranquilla, lo sai!». La rassicurò, per lei che era figlia unica, il rapporto tra quelle due le era sempre piaciuto.

Aveva conosciuto anche il fratello gemello, toccando così con mano il famoso legame tra gemelli, anche se dall'esterno e sebbene per certi versi non invidiava il dover dividere qualsiasi cosa in casa con una sorella, in fondo al cuore avere una persona frutto del suo stesso sangue a cui appoggiarsi le sarebbe piaciuto molto.

È vero, aveva trovato Usagi che per lei era diventata quasi come una sorella non di sangue, ma le sarebbe piaciuto comunque.

«Molto bene, a domani allora!». Concluse la bionda. «Buona notte».

Il rumore di una conversazione interrotta la raggiunse spingendola a passare il telefono alla sua proprietaria.

«Cosa voleva?». Chiese Usagi senza voltarsi a guardarla, il mare le notti d'estate era davvero meraviglioso. La Luna che si rifletteva sulla superficie l'affascinava sempre molto, lasciandola a bocca aperta. Spesso si trovava a sognare ad occhi aperti di un possibile regno Lunare di cui magari lei e il suo Mamo-chan erano i regnanti indiscussi.

«Mi ha chiamata per fare un lavoro di quelli che faccio di solito, sai la roba top-secret di cui non parlo mai e di cui nessuno deve sapere molto». Le dispiaceva essere così vaga, ma non poteva certamente spifferare ciò che alcune personalità di spicco le chiedevano di fare.

«Oh sì! Non ti preoccupare ho capito a cosa ti riferisci, mi avevi accennato anni fa». La tranquillizzò, mentre una sorta di inquietudine le pervadeva le membra: cosa stava combinando Haruka da aver bisogno di una truccatrice esperta come la sua amica in casa sua il venerdì sera? Il suo sesto senso le suggeriva che centra Michiru, e nonostante le piacesse molto artisticamente parlando, il pensiero che ella potesse ancora stravolgere la loro vita non le piacque affatto.

Doveva parlare con la più grande, aveva promesso di tenere tutta quella storia per se, ma temeva che il tutto stesse prendendo decisamente una piega pericolosa da cui si sentiva in dovere di tener lontano sua sorella.

L'allegria sfoggiata fino a qualche minuto prima sfumò miseramente lasciando posto a un sacco di supposizioni, di pensieri e a una voglia improvvisa di tornare a casa per chiamarla al riparo delle mura domestiche.

Le dispiaceva però mettere fine a quell'uscita tra amiche per una cosa del genere e in ogni caso non sapeva come giustificare un cambio di umore così improvviso senza poter dire di quella specie di relazione indefinita di cui era stata messa al corrente poco tempo prima.

Probabilmente la brunetta lo avrebbe scoperto il giorno dopo, anzi era certa che fosse così. Ma lei sentiva l'esigenza di vederci chiaro in quella faccenda.

«Usagi tutto bene?». La voce dell'altra interruppe i suoi pensieri, un'espressione stranita e quasi preoccupata dipinta sul volto a quell'improvviso cambio di umore che aveva reso Odango molto meno chiacchierina del solito.

«Sì, stavo solo pensando a che cosa sta combinando Haru, non mi piace che ti abbia chiesto un lavoro di quel tipo. Spero solo non si stia infilando in guai grossi e pericolosi da cui poi non è capace a uscire». Non poteva dire di più nemmeno lei, anche se parlarne con qualcuno l'avrebbe sicuramente rassicurata.

«Tua sorella ha dimostrato più volte di sapere il fatto suo, dovresti fidarti di lei. Se mi ha chiesto una cosa di questo tipo ha motivi molto più che validi per farla». La più grande dei Tenoh, infatti era solita infilarsi in situazioni spinose, ma era anche perfettamente in grado di tirarsene fuori quando diventavano troppo pericolose, lei ne era più che convinta.

Usagi però, la conosceva bene, e sapeva perfettamente che le preoccupazioni avevano alle spalle la paura di perdere uno degli ultimi punti di riferimento che le erano rimasti.

E da una parte, dopo aver vissuto con l'amica la morte del padre e quella del fratello maggiore avvenute a distanza di pochissimo tempo l'una dall'altra, poteva capirne benissimo lo stato d'animo.

«L'ultima volta che si è infilata in guai più grossi di lei è stata costretta a partire per l'America per salvaguardare il lavoro di nostra madre che altrimenti lo avrebbe perso senza possibilità di difendersi.. questa volta cosa accadrà invece?». Si appoggiò con i fianchi alla ringhiera per girarsi a guardarla.

«Fidati di lei, sono sicura che questa volta andrà tutto bene, sa il fatto suo, ripeto». Le fece l'occhiolino prima di afferrarle una mano e tirarla via con se. «Non pensarci ora, siamo uscite per divertirci e non pensare ai problemi stasera, altrimenti che senso ha?».

Luna aveva ragione, non riuscivano mai a vedersi e sprecare il tempo a disposizione preoccupandosi di cosa stava combinando sua sorella maggiore era qualcosa di molto stupido, se non quasi infantile.

Haruka ormai era una donna adulta e sapeva cosa poteva o non poteva fare, la make-up artist aveva sicuramente ragione su questo.

Sì limito a sorridere alla persona che aveva accanto per poi seguirla alla ricerca di un locale dove trascorrere il resto della sera, magari uno dei tanti con terrazza sul mare che si aprivano nella zona più ricca del lungo mare.

 

***

 

«Guardami come sto?». Haruka e Michiru erano rientrate da una ventina di minuti a casa dopo che la violinista aveva trascorso tutto il pomeriggio in clinica con la bambina, la prima seduta di chemioterapia si era svolta senza troppi capricci della piccola, ormai abituata agli aghi di tutti i tipi che spesso venivano usati su di lei.

Il momento peggiore era arrivato a metà trattamento quando, come c'era d'aspettarsi le medicine e le sostanze della flebo stillata goccia a goccia nel suo piccolo organismo avevano iniziato a mandarle in tilt lo stomaco costringendola a vomitare pur rimanendo ferma.

Nonostante ciò Nari nonostante la giovanissima età, aveva pianto per pochissimo tempo. Sorprendendo i medici e lei per prima.

Haruka era andata a prenderla come concordato, nelle ore di attesa aveva impiegato il suo tempo nella ricerca di un paio di lenti a contatto scure e una parrucca in capelli il più possibile naturali sul castano liscio.

In quel momento la bionda aveva appena finito di apparecchiare la tavola in attesa che arrivasse il ragazzo del Ristorante Cinese dove avevano ordinato la cena. Aveva comprato per Michiru anche dei vestiti ben diversi da ciò che era abituata ad indossare: misura necessaria per essere davvero irriconoscibile agli occhi degli altri.

Si voltò verso l'altra che ne aveva attirato l'attenzione, la osservò attentamente con quelle lenti scure che però non modificavano la profondità del suo sguardo e quei capelli castano scuro che le cadevano morbidi sulle spalle.

Tenoh non era abituata a vederla così, ma non poteva negare che con quel cambio di colori fosse lo stesso molto bella.

«Stai benissimo, sembri un'altra..quando arriva Luna sono sicura che completerà il lavoro con il trucco». Disse compiaciuta guardando l'orologio. «Tra un'ora e mezza dovrebbe essere qui, spero che quello del Ristorante consegni velocemente la nostra cena!». Un brontolio rumoroso si alzò dal suo stomaco a sottolineare il concetto appena finito di esprimere.

«E' affidabile l'amica di tua sorella? Ci si può fidare?». L'unico suo timore era che sbandierasse la situazione ai media prima del tempo, prima cioè che lei trasferisse tutto il suo patrimonio sul conto creato appositamente sotto mentite spoglie e sopratutto prima di aver fatto recapitare da un buon avvocato la richiesta di divorzio.

«Sì, so per certo che opera in questo ambiente per arrotondare lo stipendio che guadagna già come make-up artist, fa questo genere di lavori in sordina con molti personaggi di spicco che hanno bisogno di cambiare per un giorno». Le sorrise nell'esatto momento in cui suonarono al campanello. «Credo sia arrivata la nostra cena!». Passò una mano tra i suoi capelli scompigliati per la doccia fatta in precedenza prima di dirigersi verso l'ingresso ad aprire il citofono per accogliere il ragazzo che faceva le consegne al ristorante.

 

***

 

Luna arrivò con una decina di minuti di anticipo sotto al portone del grande palazzo del quale aveva ricevuto l'indirizzo da Usagi, si trovava nel cuore della zona residenziale di Kyoto circondata da edifici con abitazioni di un certo livello.

Era una zona molto tranquilla che lei amava da qualche tempo, sebbene ancora non guadagnasse abbastanza nemmeno per permettersi un monolocale in affitto nei dintorni. Il fatto che la sorella della sua migliore amica si era potuta permettere un attico all'ultimo piano la diceva lunga sugli enormi guadagni da cui era sommersa correndo nel panorama statunitense.

Suonò il citofono e, vista la prontezza con cui le fu aperto ebbe il sospetto che Haruka stesse facendo la guardia al citofono per non perdere tempo.

Entrò nel portone con l'ingombro, non minimo, della valigia professionale dentro la quale custodiva tutto l'occorrente per quel genere di lavori, una parte di lei era curiosa di vedere su chi avrebbe dovuto lavorare quella sera.

Vista l'urgenza doveva essere qualcosa davvero di importante, o meglio qualcuno, arrivata nell'ascensore si sistemò i capelli andati fuori posto vista la loro lunghezza a dir poco inumana rispetto alla media nipponica.

«Ciao Ruka!». Salutò immediatamente la bionda quando fu davanti all'ingresso dell'appartamento, erano anni che non la vedeva ma non era cambiata affatto. Maglietta a maniche corte e pantaloncini per sfuggire al caldo, era proprio come se la ricordava. «Ma tu il passare degli anni non lo senti? È tantissimo che non ti vedo e sei sempre uguale!».

«Il lavoro che faccio, con la preparazione fisica che richiede aiuta a rimanere giovani e aiutanti». Rispose quella, facendole l'occhiolino prima di farla passare per accomodarsi in sala, la violinista era rimasta in cucina a sistemare le ultime cose sporcate per cena.

«Michiru ti presento Luna». Decise lei di fare le presentazioni, così come aveva deciso che lei mantenesse la parrucca e le lenti dopo averle provate in modo da non rivelare la vera identità alla truccatrice. Era sembrata la soluzione più pratica per entrambe, in quel modo non avrebbero dovuto dare troppe spiegazioni.

La musicista si mosse immediatamente verso la sala e strinse le mani alla giovane bruna che aveva davanti.

«Piacere di conoscerti, Ruka mi ha detto che sei davvero brava nel tuo lavoro e non vedo l'ora di apprezzarne i risultati». Sorrise, nascondendo la preoccupazione che qualcosa avrebbe potuto andare storto con i documenti falsi e sarebbe stato un bel pasticcio.

«Haruka mi ha accennato appena il lavoro ieri sera al telefono, se vuoi possiamo parlarne nei dettagli con il massimo riserbo da parte mia su ciò che uscirà fuori in questa stanza. Potete stare tranquilli, nessuno verrà a sapere niente di tutto ciò. Nemmeno Usagi». Luna trovò doveroso rassicurarle su quel punto, lo faceva con tutti i clienti che le chiedevano quei lavori, ma a maggior ragione lo avrebbe precisato per quelle che considerava amiche a tutte gli effetti.

«Serve che tu la trucchi bene perché è per dei documenti falsi, meno assomiglia a lei stessa e meglio è». Spiegò la motociclista brevemente, senza dare ulteriori spiegazioni.

«Immaginavo fosse per qualcosa del genere, cambierai colore di capelli?». Domandò, in modo da regolarsi con il trucco.

«No, ho già cambiato questa è una parrucca e anche gli occhi hanno le lenti». Fu la donna dai capelli verde acqua a rispondere questa volta. «Sono i miei colori definitivi questi, quindi puoi cambiare tutto quello che vuoi».

«Un naso diverso? Ho giusto la pasta modellabile che si usa nel cinema per fare queste cose ci metto un attimo a cambiartelo leggermente, direi magari di aggiungere qualche lentiggine anche». Propose lei, ci vorrà un po' di tempo ma penso che per massimo le due di notte avremo finito.

«Ottimo». Tenoh si mosse allora in direzione del telefono per avvisare Bosshu che sarebbe passata a ritirare il tutto verso le tre di notte, in modo tale che il giorno dopo Michiru avrebbe potuto già aprire un conto nuovo sul quale trasferire tutto il denaro che voleva. «Sarà una lunga nottata questa». Mormorò sottovoce più a se stessa che alle altre due dopo essersi seduta comodamente sul divano. «Luna fai davvero come se tu fossi a casa tua, in cucina ci sono i bicchieri e in frigo trovi da bere».

Vide la bruna aprire la valigetta per preparare tutto il necessario senza ottenere una risposta e accese la tv sul primo programma che le capitò a tiro nell'intento di passare il tempo nell'attesa che Kaioh fosse pronta.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3534345