Liar - Joohyuk

di Dicorno_saddd
(/viewuser.php?uid=1018338)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Bugiardo ***
Capitolo 3: *** Questioni di fiducia ***
Capitolo 4: *** L'ombra del mostro ***
Capitolo 5: *** Divisi dal destino ***
Capitolo 6: *** Paradiso Perduto ***
Capitolo 7: *** Indietro verso l'amore ***
Capitolo 8: *** Come il cielo nuvoloso ***
Capitolo 9: *** Disincantato ***
Capitolo 10: *** Resta con me ***
Capitolo 11: *** Anche tu, non diverso dal resto ***
Capitolo 12: *** Favori d'amicizia ***
Capitolo 13: *** Incontro inaspettato ***
Capitolo 14: *** Invito ufficiale ***
Capitolo 15: *** Pranzo problematico ***
Capitolo 16: *** Paura o amore? ***
Capitolo 17: *** Mano nella mano per sempre ***
Capitolo 18: *** Cicatrici ***
Capitolo 19: *** Verità celate ***
Capitolo 20: *** L'ultimo rifugio ***
Capitolo 21: *** Dove sei? ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ho espresso un desiderio
sotto il cielo che tramonta su di noi,
rosso come il sangue
che spicca sull'asfalto grigio.
Ho creduto che quando
avessi riaperto gli occhi,
avrei scoperto che fosse stato
tutto soltanto un sogno.
Ma il mio desiderio non si è avverato.
Sono esausto, mi sento perso.
Mi hai abbandonato.
Eri l'unico che potesse aiutarmi
a ritrovare me stesso.

Ti prego, portami in qualunque posto
tu voglia, purché sia lì con te.
Farò tutto quello che vuoi.

Qualcuno mi aiuti.
So che è finita...
Qualcuno mi aiuti.
La tua fine, sono stato io.
Spero solo di poter dimenticare.
Spero che la mia memoria
sia così distorta da cambiare tutto.
Spero che la mia immaginazione
ingoierà tutto quanto.

So che è soltanto un’illusione.
Il dolore spunterà come le spine,
come una notte senza luna.
Un segnale vuoto, muto, la mia rovina.
Se c’è soltanto un modo
per liberarmi da queste catene,
ti prego salvami, illusione.

Hei? Puoi sentirmi a
ncora?
 
Torna indietro,
esci da quello stupido sogno.
So che sei qui con me.
Perché vuoi mentirmi?
Non ero io il bugiardo?

La tua mancanza mi assilla,
mi stringe il cuore in una morsa.
Sento mozzarmi il fiato
quando ti penso.
Il senso di colpa scorre
pesantemente nelle mie vene.
Il mio paradiso ormai
è nero e bruciato.
È vero, il mio amore era nato
dalla tristezza, ma ciò non significa
che sarebbe dovuto finire
in modo così triste.

Sento che continua a soffocarmi,
mi confonde.

Qualcuno mi aiuti.
È davvero troppo tardi?
Qualcuno mi aiuti, per favore...
Voglio rimediare.
Cosa? Davvero non si può più?
Allora voglio distorcere questo ricordo.

Non voglio credere che sia la realtà.
Il dolore fa male come le spine,
buio come una notte senza luna.
Un segnale vuoto, muto,
è stato la mia e la tua rovina.
Se c’è soltanto un modo
per liberarmi da queste catene,
ti prego salvami, illusione.

Credi ancora che non sia giusto
invocare un'illusione?

Non è giusto vivere
di menzogne, vero?
Tu eri l'unico che potesse aiutarmi
a ritrovare me stesso.
Quest'illusione ora si sta
rovesciando dentro di me.
È la mia rovina, ma anche
l’unica cosa che mi rimane...

Così come è sempre stato.
Nel mio cuore,
nel mio destino tortuoso,
bugie, ci sono solo bugie e finzione.

Dolore.
L'unica cosa che posso provare
è il dolore, adesso.
Posso sopportarne sempre di più
grazie alle mie illusioni.
Anche se sono distrutto
e lacerato dalle lame.
L’unica cosa di cui ho bisogno, 
però, continui ad essere tu.
La tua sola esistenza è il posto
in cui voglio vivere.
Eppure sento che le bugie
stanno invadendo la mia normalità,
ho oltrepassato la linea di confine
tra la realtà e l'immaginazione. 
Hai promesso di essere il mio angelo.
Non facevi mica sul serio?
Ho bisogno di te.
Qui.

La sento su di me,
questa notte senza luna.
Sento le lacrime, sento la disperazione,
sento il peso che mi opprime il petto.

E poi ti vedo,
avverto il tuo tocco sul mio viso.
So che mi stai asciugando le lacrime,
ma è come se ci fosse solo il vento
a sferzare la mia pelle
e non le tue mani delicate.

Sei un'illusione?
È soltando la mia immaginazione?
In ogni posto, tu rimani sempre.
Come farò adesso a cancellarti?
La mia illusione,
sei tu ora la mia più grande illusione.

È tutta colpa mia,
la mia immaginazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Bugiardo ***


L'idea peggiore che Minhyuk avesse potuto avere quel giorno era proprio uscire di casa. Da quanto tempo non metteva piede sull'asfalto sconnesso e pieno di buche della stradina di casa sua? Qualche mese almeno... Da quando sua nonna era morta. Lei che era l'unica tutrice che si era presa cura di lui da quando - ancora bambino - i suoi genitori erano venuti a mancare. Quella donna era stata il pilastro che aveva tenuto insieme la sua vita, era le fondamenta sulla quale aveva costruito la sua esistenza e ora, non averla più accanto lo stava lentamente uccidendo.
Non aveva davvero nessuno ormai. Le uniche relazioni umane che aveva preso abitudine di intraprendere era con gente conosciuta casualmente online, rapporti edificati nelle menzogne. Ciò che da bambino lo aveva reso debole, insicuro ed immaturo, adesso stava avendo i suoi effetti. Aveva bisogno di affetto continuo, attenzioni, pretendeva compassione, voleva ottenere pietà dal mondo esterno, come se davvero non riuscisse a sorreggersi da solo in quel tunnel buio dove era precipitato ormai. Dipendeva dagli altri. Nella sua vita era stato abbandonato, deriso, deluso, così tante volte che ormai non aveva più nemmeno idea di cosa significasse intraprendere un sano rapporto di amicizia con qualcuno. Sentiva solo di voler essere una vittima, gli bastava qualche parola di conforto riguardo argomenti che magari nemmeno lo sfioravano, gli bastava essere al centro dell'attenzione, anche se per poco. E quando chi c'era dall'altra parte arrivava al limite e smetteva di prestargli attenzione, ignorava le sue recite e lo allontanava... allora lui cambiava soggetto da imbottire di menzogne.
Non era stata colpa sua essere giunto a questi livelli, sapeva che se in un modo o nell'altro avesse potuto dimenticare il suo passato avrebbe continuato a vivere serenamente... e soprattutto, magari, senza paure. In fondo era stata la paura ad averlo indotto tanto in là, ad averlo costretto a fingere di essere qualcuno che in realtà non era, era stato il terrore di restare solo, ancora una volta.

Quel giorno faceva particolarmente freddo. Minhyuk si stringeva nel suo cappotto nero cercando di tenere lontano dalle sue orecchie la risata del suo ex migliore amico, che scherzava con quello che ormai era il suo fidanzato da forse un anno, più precisamente da quando Hoseok aveva preferito il suo nuovo ragazzo al suo migliore amico, e aveva deciso di non voler sopportare più tutto il peso di avere un amico come Minhyuk sulle sue spalle. Lo aveva abbandonato anche lui, stanco forse di sentirsi raccontare tanti problemi che ormai potevano sembrare surreali alle sue orecchie. Era vero in fondo, molte cose il minore le aveva estremamente ingigantite, fino ad esasperare situazioni che sarebbero potute essere, invece, affrontate insieme. Lui però aveva paura di affrontarle, temeva il confronto con ciò che riguardava il suo passato, ne era terrorizzato al punto di distorcerlo tramite le sue bugie. Bugie a cui aveva finito col credere anche lui, intrappolandosi senza via di scampo in una rete di menzogne fitta quanto la tela di un ragno. Menzogne velenose, che in verità lo ferivano più di quanto non lo ferisse la realtà dei fatti, ma in fondo c'era così abituato che neppure se ne rendeva più conto.
Quell'amicizia l'aveva sgretolata lui, ne era consapevole, coprendo il maggiore dell'incarico di risollevarlo da drammi che neppure gli appartenevano, forzandolo alla tortura psicologica di assimilare contenuti molto più forti di quelli che le persone "normali" sono abituate ad affrontare. Lo stesso Hoseok aveva promesso che non si sarebbe stancato mai di lui, che lo avrebbe aiutato a superare i fantasmi del suo passato e presente. Il maggiore gli aveva tenuto la mano quando al liceo i ragazzi finivano col distruggerlo emotivamente focalizzando l'attenzione sul fatto che fosse orfano, "malato", solo e abbandonato a se stesso. Quel ragazzo che era stata la sua salvezza, ora, era la salvezza di qualcun altro. Probabilmente il maggiore nemmeno si era accorto di Minhyuk, a causa del cappuccio calato sugli occhi, o forse l'aveva anche notato ma la sua presenza era diventata talmente irrilevante da non sconvolgerlo minimamente. Faceva male pensare che un'amicizia come la loro si fosse dissolta così nel nulla, chiusa lentamente, senza dirselo davvero che ormai non c'era più nulla da recuperare nella triste sorte di quel rapporto. Tuttavia se Minhyuk provava a riflettere davvero sulle sue azioni, rimuovendo quelle sporche bugie che contorcevano ormai i suoi ricordi... se ci provava davvero si rendeva conto che la loro amicizia era a senso unico, fondamentalmente basata sui problemi del minore. Era sempre solo Hoseok a curarsi di lui, a chiedergli come stesse, ad ascoltarlo placidamente, a indicargli metodi efficaci con i quali sfogarsi, a cercare di farlo discostare dagli orribili modi con cui trattava il suo corpo, a tentare di distoglierlo dalle sue paure e convinzioni, a consigliargli qualcosa che rimediasse parzialmente al suo dolore. Eppure anche lui alla fine aveva finito col perdere le speranze. Minhyuk stesso le aveva già perse in precedenza: lui non poteva più essere salvato.
Osservava da lontano quanto fosse ancora contagioso e solare il sorriso del suo hyung, e il ragazzo alto e spropositatamente magro al suo fianco lo ascoltava guardandolo come si guarda una torta al cioccolato dopo un anno di dieta ipocalorica. Il minore non poteva dire di essere invidioso, ma quei vecchi momenti gli mancavano davvero tanto, e vederlo dal vivo, felice, dopo quasi un anno per la prima volta lo faceva sentire ancora più solo e dimenticato. In quel gelido pomeriggio di gennaio, in uno dei quartieri meno popolosi di Gwangju, lui aspettava che aprisse il negozio del fioriere, e il suo migliore amico stringeva un frappé tra le mani mentre parlava col suo fidanzato accanto al bancone di un bar.
 
Minhyuk stringeva il piccolo mazzetto di orchidee nella mano destra, nascondendo metà del viso nel collo del cappotto per non rischiare di congelarsi il naso. Aveva ormai raggiunto il cimitero, e il solo varcare il cancello di quel luogo gli metteva tristezza, per tutte le volte che lui stesso aveva tentato di raggiungerlo quel traguardo. Perché la morte in fondo è l'unica cosa certa nella vita, e forse è da vedere proprio come l'obiettivo di ognuno. Ma, al contrario di quanto ci si potesse aspettare, lui aveva paura anche della morte; avrebbe raccontato bugie anche a lei se avesse potuto.
Cercò di ricordare invano quale fosse la strada per raggiungere la tomba di sua nonna, ma quel posto sembrava ripetersi con un unico motivo all'infinito. Ogni nuova strada che imboccava sembrava identica alla precedente, e tutto ciò che contraddistingueva una lapide dall'altra era semplicemente il nome del defunto incisovi sopra. Aveva ancora una vaga idea di dove si trovasse almeno, quindi con qualche piccolo sforzo dopo una buona mezz'ora riuscì a trovare il luogo in cui era sepolto ciò che restava dell'unica donna che lo aveva amato nella vita, anche se il suo amore avrebbe fatto poca differenza, anche se il suo amore a Minhyuk non era affatto bastato, perché l'affetto che necessitava andava oltre, ciò di cui aveva bisogno per superare i suoi drammi e le sue paure, nessuno poteva darglielo, perché quella mancanza era troppo vecchia e distorta per essere colmata. E anche se la voragine di vuoto si era allargata nel suo petto, la realtà sarebbe stata sempre chiusa a chiave in fondo al suo cuore, tutto il resto era un dolore superfluo e sempre più spesso falso. Nessuno poteva placare ciò che davvero lo tormentava, perché neppure lui sapeva più cosa fosse.
Lasciò cadere le orchidee sul marmo un po' scolorito dalle intemperie, e qualche petalo lilla si staccò spargendosi intorno alla fredda tomba della donna.
Lacrime salate solcarono lentamente e in silenzio le guance del ragazzo, il quale non si preoccupò neppure di coprirsi.
Faceva così freddo... Fuori e dentro di lui.
 
«Piangere non li riporterà indietro...» sussurrò una voce calda alle sue spalle e qualcuno gli poggiò confortevolmente una mano sulla spalla.
Ma io non sto piangendo per lei... sono troppo egoista per farlo.
Lui piangeva per se stesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Questioni di fiducia ***


Il cellulare del bianco vibrò sul liscio legno del comodino distraendolo dal film che stava guardando, già abbastanza distrattamente in TV. Aprì svogliatamente la notifica da un'app di messaggistica, rimanendo piuttosto esterefatto da ciò che si trovava dinanzi agli occhi.
 

LeeHeonie ha iniziato
una chat con te su Kakao.

12:47
«Minhyuk, sei tu?»

12:47
«Jooheon.
Non pensavo mi cercassi davvero.»

12:48
«Perché no?
Come stai?»

12:48
«Perché non sono nessuno.
Non capisco perché tu ti sia preso la briga di cercarmi per parlarmi.»

12:48
«Scusami... forse qualcosa non va?»

12:48
«Io, non vado, ma non sono problemi che ti interessano... 
Come mai mi hai scritto?»

12:49
«Ho pensato fosse una buona idea,
eri un po' troppo giù di morale ieri e ho creduto avessi bisogno di un po' di conforto.
Dopotutto hai detto che la compagnia ti fa stare meglio.»

12:50
«Dipende dalla compagnia di chi, ovviamente, ma grazie comunque del pensiero allora.
Sono piuttosto solo ultimamente, le persone sembrano scappare da me appena ho bisogno di aiuto.»

12:50
«E i tuoi amici?»

12:50
«Non ho un vero amico.»

12:50
«E non ci provi ad averne?»

12:51
«Piuttosto sto da solo.
La gente non fa altro che farmi soffrire ed io ho già troppe cose a cui pensare.»

12:52
«Gli amici sono importanti Minhyuk.
Non credi di aver bisogno di una distrazione quando non ti senti bene?»

«Un amico può portare il peso dei tuoi problemi insieme a te.»

12:52
«Non conosco nessuno che lo farebbe, o almeno chi dice di farlo poi se ne va.»

12:53
«E perché tu non gli impedisci di andarsene?»

12:53
«Non sono io a decidere per gli altri,
se vogliono abbandonarmi io non sono nessuno per impedire loro di farlo.»

12:54
«Non hai mai pensato che a volte la persona dall'altro lato ha bisogno di qualche sicurezza?
Lasciandoli andare non fai altro che confermare loro di non essere più i benvenuti nella tua vita.»

12:54
«Non è più mia abitudine cercare le persone. 
Mi sono stancato di stare dietro a chi non fa altro che distruggermi.»

12:54
«Non tutti hanno l'obiettivo di distruggere però...
Facendo così allontani anche tante cose buone, sai?»

12:55
«Non credo.
Così sto bene, non soffro più se qualcuno esce dalla mia vita.
È come se le porte del mio cuore fossero sempre aperte, la gente entra ed esce a piacere suo; c'è chi decide di lasciare il segno e chi invece no, ma ad ogni modo quel segno non sarà altro che un flebile ricordo che perderà il suo senso col passare del tempo.»

«È utile pensarla così.»

12:56
«Davvero smetti così facilmente di pensare a qualcuno che ha lasciato un segno nella tua vita?»

12:56
«Finita un'amicizia se ne fa un'altra.
Mi serve solo qualcuno che allontani mi miei pensieri dall'argomento riguardante la mia orribile esistenza.»

12:57
«Non ti affezioni?»

12:57
«Ho dato troppo alle persone sbagliate.
Ho smesso di affezionarmi.»

12:57
«E come fai ad essere certo che ora tutti siano sbagliati?»

12:58
«Non lo sono infatti, semplicemente mi arrendo al corso degli eventi.
Non troverò mai qualcuno in grado di sopportare me e lo stupido mostro che sono diventato.»

12:58
«E se forse sei tu a non accettare ciò che hai?
Se ci fai caso sembra che tu non riesca più a vedere il bello nelle cose che ti circondano...»

12:59
«Se sei qui per parlare di quanto sia sbagliato il mio comportamento, non sei affatto d'aiuto.
Non ti ho chiesto di intrometterti nella mia vita.»
13:00
«Sei solo un estraneo.»

13:00
«Non voglio essere un estraneo, voglio esserti d'aiutome lo permetterai?»

«Odio vedere le persone soffrire a questo modo, non è giusto, chiunque merita un po' di felicità nella vita.»


_______
 

Minhyuk chiuse la chat con un sospiro pesante senza rispondere, con le ultime parole di Jooheon ancora impresse nella sua mente. Aveva visualizzato quell'ultimo messaggio purtroppo, sebbene non volesse aprire la chat, ed era rimasto fregato.
In fondo era vero, quel ragazzo era un semplice estraneo dal viso dolce e le maniere gentili. Avevano preso solo un caffè caldo insieme, perché il minore aveva insistito parecchio sul fatto che il bianco dovesse risollevarsi un po' il morale. 
È solo un'altra marionetta del gioco sporco della mia vita, si disse tra sé Minhyuk pensando a quanto crudele fosse trattare esseri umani, come lui, in quel modo, sfruttare il loro affetto, la loro pazienza, il loro altruismo fino all'ultima goccia, per cercare di compensare il proprio malessere interiore. 
Dovuto a cosa poi? 
È vero, non so apprezzare ciò che mi circonda.
Scosse violentemente la testa affondando la testa nel cuscino di lattice. Doveva immediatamente cancellare le parole di quel ragazzo dalla sua mente, o ne avrebbe risentito sul serio. Quel tipo era riuscito a centrare il punto dopo solo qualche messaggio e una vaga chiacchierata su quanto astrusa fosse la vita. 
Come diavolo aveva fatto?
Qualcosa tormentava il bianco rendendo tutto molto più complicato del solito: conoscere qualcuno dal vivo così, dopo tanto tempo passato a parlare solo con gente a caso, fisicamente lontana da lui, lo aveva turbato un attimo. Tuttavia i suoi modi di fare non ne avevano risentito a quanto pareva, riusciva ad essere freddo e distaccato come sempre e questo era piuttosto positivo. Non poteva permettere ad uno sconosciuto qualsiasi di interferire nella sua vita, di modificare il suo modo contorto di essere a causa di stupide, seppur vere, parole.

_______

19:24
«Perché non mi rispondi?»

_______

19:39
«Ho detto qualcosa di sbagliato?»

_______

20:17
«Minhyuk? Qualcosa non va?»

20:19
«Niente, tranquillo.
Ero semplicemente impegnato.»

20:20
«Mm... Davvero? Non so se crederti davvero.»

20:21
«Credi che mentirei così per niente?»

20:21
«Ancora non ne sono certo, sono un estraneo, no?»
«Comunque, domani ti va se torniamo a prendere un caffè insieme come ieri?»

20:22
«D'accordo. Stesso posto?»

20:22
«E stessa ora»
«Sono felice che tu abbia accettato»

20:23
«Perché non avrei dovuto(?)»

20:23
«Almeno ora so di averti conquistato almeno un po' :3»

20:29
«Non esserne così convinto»

20:29
«Fidati di me»

20:30
«Perché dovrei? Non mi fido di nessuno.»

20:31
«Ti fiderai di me, fosse anche l'ultima cosa che farò.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** L'ombra del mostro ***


Il suono stridulo del campanello quasi spaventò Minhyuk. Il ragazzo poggiò il mestolo che aveva in mano sul piano cottura e si pettinò i capelli bianchi passandoci dentro le dita, per poi uscire dalla cucina e raggiungere l'ingresso. Abbassò cauto la maniglia aprendola di uno spiraglio per accertarsi di chi ci fosse al di là della porta. Il respiro gli si mozzò in gola per la sorpresa, tanto che non riuscì ad ascoltare ciò che gli suggeriva il cervello.
"Chiudi la porta."
E invece il ragazzo di fuori la spinse verso l'interno, impedendo al proprietario di casa di fare qualcosa, impalato lì con una confusione mentale indiscutibile.
La lastra di legno si richiuse automaticamente quando l'ospite fu ormai già all'interno dell'abitazione.
Il secco rumore della serratura che scattava segnalò a Minhyuk di essere in trappola. 
Si sentì avvolgere i polsi da mani delicate.
«Hey...» la voce leggermente rauca del castano ruppe il silenzio dei loro sguardi intrecciati.
Il maggiore fu rapido nello sfoderare un luminoso sorriso per poi scivolare dalla morbida presa del minore, indietreggiando di un passo. «Che sorpresa. Vieni, preparo del tè.» Minhyuk si voltò facendo cenno all'altro di seguirlo. Lo scortò per qualche metro, fino al salone, rivolgendogli un altro sorriso. «Prego accomodati, fa' come se fossi a casa tua.» Aggiunse, e si dileguò dietro la porta scorrevole della cucina.
Come diavolo aveva fatto quel Jooheon a scoprire dove abitava?
E soprattutto, perché era lì? 
Il bianco si morse ripetutamente il labbro inferiore avvertendo il nervosismo farsi strada dentro di lui, mentre riempiva la teiera d'acqua per posizionarla sull'apposito fornello. Vide le sue stesse mani fremere nel compiere azioni che quotidianamente risolveva piuttosto tranquillamente. Non era affatto un buon segno, non gli piaceva perdere il controllo della situazione. 
Non sopportava sottostare alle decisione degli altri, anche per questo non amava le sorprese del genere e quel ragazzo non era assolutamente nessuno per presentarsi a casa sua a quel modo senza un pretesto ammissibile. Si mordicchiò le unghie pensando a cosa fare col nuovo arrivato, finché il solito fischio della teiera non lo fece sobbalzare risvegliandolo dal suo momentaneo stato di trance. Rovesciò un po' d'acqua in due tazze riponendo in ognuna una bustina di tè nero e recuperò la zuccheriera dalla credenza. Solitamente non usava zucchero nel tè o nel caffè, ma Jooheon sembrava apparentemente un tipo troppo dolce perché accettasse bevande completamente amare. 
Il bianco ritornò in salone con in mano un vassoio argentato, sul quale aveva posato, oltre al tè, al latte e allo zucchero, anche un pacchetto di sfiziosi biscottini al cacao. Poggiò il vassoio accuratamente sul tavolino basso al centro del soggiorno, tra i due divani ad angolo presenti, e si sedette accanto al suo ospite, a una debita distanza di almeno un altro posto. 
«Serviti pure, spero ti piaccia il tè nero, avevo solo questo tipo. Lì c'è lo zucchero e di là il latte, se lo preferisci.» Spiegò il padrone di casa indicando prima l'uno e poi l'altro contenitore di ceramica con il sorriso costantemente accennato sulle labbra. A vederlo da fuori sarebbe sembrato entusiasta di quella visita, eppure non lo era affatto in quel momento.
Il dramma che lo affliggeva interiormente era proprio una domanda del genere: se invece quella visita gli avesse fatto davvero piacere? Cos'avrebbe dovuto fare? Cos'avrebbe dovuto pensare?
Sperava solo che il castano lo avrebbe lasciato presto, quell'incertezza che gli causava lo stare con lui non era per niente positiva nella vita perfettamente studiata del maggiore.
«Grazie...» Rispose semplicemente il più piccolo incurvando timidamente gli angoli delle labbra verso l'alto e mostrando di conseguenza le dolci fossette scavate nelle guance. Evidentemente dal suo comportamento non si aspettava di ritrovare Minhyuk con questo atteggiamento, dovevano averlo spiazzato i suoi sorrisi spontanei e la pacatezza che traspariva dall'esterno. Di questo il bianco ne fu grato perché il suo autocontrollo gli permetteva di essere credibile in tutto ciò che facesse, sebbene fosse un'arma a doppio taglio: spesso finiva per credere anche lui di essere quello che non era. 
«Scusami se mi sono presentato qui... Erano due settimane che non rispondevi ai messaggi e mi sono preoccupato...» Esordì il minore mentre continuava a girare inutilmente il cucchiaino nel tè, nonostante appunto lo zucchero fosse ormai sciolto da tempo. 
«Come hai saputo dove abito?» domandò con un sorriso curioso l'altro, nascondendo accuratamente la tensione che aleggiava nelle sue parole. In fondo Jooheon era un povero stupido caduto per sbaglio tra le sue mani da distruttore, qualcosa stimolava dentro di lui una sorta di compassione per quel ragazzino, come se volesse evitare di fargli male. Per evitarlo, però, era necessario che il castano non si avvicinasse a lui, allungare una mano verso di lui significava toccare il fuoco e dunque bruciarsi, e sebbene prima o poi il dolore sarebbe andato via, il segno dell'ustione sarebbe rimasto ugualmente.
«Oh... Giusto... Credo di aver violato qualcosa riguardante la privacy, ma ho chiesto al guardiano del cimitero dove abitasse la donna nella tomba alla quale avevi fatto visita.» Jooheon si morse il labbro, posò il cucchiaino sul vassoio e abbassò lo sguardo sulla tazza ancora calda che ora stringeva con entrambe le mani. «H-ho sbagliato a credere che avessi bisogno d-di qualcuno... Mi spiace di essere stato così azzardato, non avrei dovuto...» Le sue dita paffute accarezzavano la ceramica bianca della tazza «...Stai bene anche da solo a quanto pare, e io mi sono intromesso troppo in fretta nella vita di qualcuno che non conosco...» 
Minhyuk annuì lentamente in risposta sorseggiando la sua bevanda e fissando il minore, chiedendosi tra sé quanto bene avrebbe potuto guadagnare se avesse fatto l'attore. Aveva raggiunto velocemente il suo obiettivo di far ricredere Jooheon sulle sue idee - piuttosto fondate - e ormai il più piccolo stava perdendo palesemente le speranze, cosa che sollevava non poco l'animo del maggiore. «Dai, bevi il tuo tè, si sta freddando!» Accennò Minhyuk rompendo il breve silenzio e allungò la mano verso quelle dell'altro, il quale per poco non lasciò cadere la tazza sorpreso dal gesto. Minhyuk dal canto suo non fece altro che avvicinare la tazza al ragazzo invitandolo a bere, mentre imperterrito continuava a pressare il castano col suo modo di fare incurante e spensierato, un modo che dava a pensare tanto, che lasciava intuire avesse già assimilato tutto e dimenticato altrettanto, mentre, al contrario, i pensieri continuavano a tormentarlo incessantemente. A quel punto, finalmente ripresosi, Jooheon riuscì a mandare giù qualche sorso della bevanda ancora amara, nonostante i tre cucchiaini di zucchero. Lasciò che il suo sguardo vagasse in giro per la grande sala e si soffermasse poi sul ragazzo più grande seduto di fronte a lui. 
«Mi chiedo come tu possa trovarti bene da solo...» sussurrò il castano tamburellando le dita sulla tazza di ceramica, per niente intenzionato a finire quella robaccia. Minhyuk, d'altra parte lo fissava studiando i suoi atteggiamenti e apprendendo in silenzio quanto puro, limpido e naturale fosse quel ragazzo. Era qualcosa di troppo lontano perché il bianco ne capisse a pieno il significato.
«Ah?» Domandò distratto il maggiore poggiando la propria tazza sul piattino all'interno del vassoio. Ripercorse in un istante gli ultimi secondi e la domanda di Jooheon gli apparve più cupa di quanto forse sarebbe dovuta essere. «Oh... A me piace stare solo. Sto bene così, mi sono abituato, ed evito anche a tante persone di avere a che fare con un mostro simile.» Le mani del maggiore, mentre parlava, viaggiavano lente accarezzando le proprie cosce su e giù, come se avesse bisogno di protezione in quel momento, come se piuttosto cercasse di compensare autonomamente quel vuoto di un affetto mai avuto. Abbassò lo sguardo confuso per un istante, con un lieve e triste sorriso sulle labbra, per poi risollevarlo verso il ragazzino e puntare l'attenzione nei suoi occhi scuri.
«Se tutti i mostri fossero perfetti come te il mondo sarebbe migliore.»
Perfetto?
«Non capisco perché ti ostini a pensarlo» il minore si avvicinò al bianco occupando sul divano il posto accanto lui, per poi posare una mano sul ginocchio del più grande e stringere leggermente la presa in modo, secondo lui, confortevole. «Non puoi continuare a pensarla così, se continui a mentire finirai per crederci tu stesso.»
Mentire?
«Se c'è davvero un mostro, può essere soltanto la causa dei tuoi pensieri. Dovrà essere pur colpa di qualcuno se sei caduto in questo baratro no?»
Colpa di... chi? 
«Minhyuk... Non guardarmi così...»
Guardare come?
«Volevo solo aiutarti... Scusa... I-io credo di essere entrato in una faccenda che non mi riguarda... Tu sei c-così enigmatico... Credevo di poter fare qualcosa, non voglio lasciarti solo...»
Enigmatico? Solo?
«Basta.» sbottò il maggiore ritornando alla realtà e allontanando la mano del più piccolo prendendolo per il polso, per poi rivolgere uno sguardo tagliente dritto verso i suoi occhi. E fu allora che notò la tristezza negli occhi di Jooheon, quella tristezza semplice e autentica che non vedeva da tempo rivolta verso di sé. Non lo stava prendendo in giro, ormai era palese, ma ugualmente Minhyuk non riusciva ad affidarsi a uno come lui. Era troppo leale, ingenuo, così sinceramente buono da essere il suo esatto opposto. Si morse il labbro inferiore torturandolo coi denti nel silenzio della stanza, cercando di schiarirsi le idee fin troppo confuse.
«Tu non sei un most-» sussurrò il minore, e qualcosa scattò, ancora una volta, nella mente del bianco, che lo interruppe bruscamente conficcando le sue dita affusolate nelle braccia del minore attirandolo a sé. Faccia a faccia. Non voleva più sentirlo parlare. Nello stesso istante, senza che entrambi si rendessero conto di come, Minhyuk premette le sue labbra su quelle del castano, prendendo il suo viso a coppa tra le mani e impedendogli così di allontanarsi. Il minore dopo un primo momento di sorpresa e imbarazzo ricambiò il tocco, prima bisognoso poi più delicato, dando conferma a se stesso di essersi già ormai perdutamente innamorato di quel ragazzo tanto complicato.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Divisi dal destino ***


Qualcosa suggerì a Minhyuk di staccarsi.
E lo fece.
Il freddo silenzio della solitudine percosse violentemente la coscienza del maggiore quando le loro labbra si separarono e i dolci ansimi del loro bacio si dissolsero, riconducendolo bruscamente alla realtà.
«Ti prego vattene da casa mia.» 
Sapeva che il suo sguardo non poteva trasmettere nulla al di fuori della fredda e vuota mancanza che avvertiva dilagare dentro di sé.
Sapeva che gli occhi - prima sognanti, ora confusi e distrutti - del minore, non erano pronti a ricevere quella bastonata.
Sapeva che in realtà non aveva alcuna voglia di ferire i sentimenti del ragazzino, perché li aveva sentiti palesemente in quel bacio, se n'era accorto.
Ma sapeva altrettanto che non avrebbe dovuto lasciar avvicinare Jooheon, ne sarebbe valsa della sua stessa vita, delle sue emozioni, dei suoi sentimenti, della sua innocenza, della sua gentilezza, del suo altruismo, del suo stesso essere libero.
Il bianco non poteva permettersi di lasciare innamorarsi di lui a qualcuno che non meritava di soffrire ingiustamente. 
Jooheon doveva cambiare idea.
Minhyuk si ripropose che avrebbe fatto di tutto per farglielo capire.
Doveva cambiare idea e pentirsi di essersi affezionato a qualcuno di osceno come lui.
In fondo, la mente umana è così fragile, nessuno è stupido al punto di restare davvero fedele tutta la vita a qualcun altro, soprattutto se quel qualcuno era complicato quanto lo era lui. 
Le promesse, le illusioni, i progetti, i desideri, tutto ciò che si costruisce con le parole è completamente vano.
"Resterò per sempre con te."
Se ne andrà presto.
"Scapperemo insieme."
Scapperà lasciandoti ad aspettare.
"Ti aiuterò a uscirne."
Cadrai sempre più in basso.
"Ti terrò la mano."
Ti trascinerà nell'oblio.
"Quando cadrai sarò lì per rialzarti."
Ti farà abituare ad una presenza che, una volta sparita, ti costringerà ad imparare di nuovo a rialzarti da solo. 
L'abitudine è l'unico modo di vivere che l'uomo conosce. 
L'uomo si adegua, si adatta, si abitua, qualsiasi cosa ci sia dall'altra parte.
Abituarsi alla presenza di qualcuno, però, è il danno peggiore che si possa compiere.
È così crudele a volte la vita...
E, tentando di non soffrire, tanti non fanno altro che scappare dai propri sentimenti, nascondendosi e impedendo alle persone di instaurare un rapporto di fiducia reciproca, chiudendosi e facendo affidamento solo e soltanto su se stessi.
Era per questo che quel ragazzo doveva allontanarsi da Minhyuk.
Lui era un egoista che aveva a cuore il proprio benessere prima di quello di chiunque altro, mantenere stabile il proprio equilibrio psichico, la sua debole pace interiore.
Un buco nero.
Era solo questo.
Un enorme, profondo, oscuro, buco nero, senza via d'uscita. 
Se Jooheon fosse rimasto con lui, l'egoismo del maggiore lo avrebbe corrotto, soffocato, dilaniato, avrebbe assorbito fino all'ultima goccia di bontà che c'era in lui, per poi lasciarlo sul ciglio della disperazione, alle prese con una personalità diversa, una personalità che non sarebbe stata più la stessa che gli era da sempre appartenuta.
In fondo, non voleva fargli del male.
Neppure lo conosceva.

- 5 mesi dopo -
 

«Lee Minhyuk! Se non alzi subito il culo dal letto perderemo il treno e io non voglio assolutamente comprare un altro biglietto a causa di uno scansafatiche come te.» si lamentò il ragazzo coi capelli rosa tirandogli via le coperte. Il maggiore grugnì annoiato girandosi sull'altro fianco e accoccolandosi meglio al cuscino, ignorando completamente le parole del suo amico. L'altro ragazzo in tutta risposta gli sfilò il cuscino da sotto la testa e lo minacciò «Conto fino a tre. Se non ti alzi dal letto me ne vado da solo.» il minore iniziò a contare lentamente alla rovescia, ma fu interrotto mentre stava per pronunciare il numero 1.
«E vattene, nessuno ti sta trattenendo.» ribatté il bianco senza neppure rivolgere lo sguardo al più piccolo che stringeva i pugni in preda alla rabbia. Non sopportava quando Minhyuk lo trattava in quel modo, ma per quanto fosse soddisfacente vendicarsi rifilandogli la stessa moneta, non riusciva ad allontanarsi davvero... e di questo passo l'avrebbe perso sicuramente. 
La porta sbatté rumorosamente, facendo tremare gli infissi sotto la potenza del colpo secco. Il maggiore sospirò pesantemente passandosi le mani sul volto e stropicciandosi un po' gli occhi per poi tirarsi svogliatamente a sedere. Lanciò uno sguardo melanconico agli oggetti sparsi nella stanza, conscio di doverla abbandonare di lì a breve. Aveva promesso a Kihyun che lo avrebbe accompagnato a Seoul per completare le specializzazioni all'università, e in realtà non poteva negare di aver pensato di riscriversi anche lui, in fondo, almeno avrebbe avuto un po' di compagnia. 
No, non stava dimenticando che Kihyun se n'era appena andato sbattendo la porta offeso, indignato e ferito, come al solito.
Sapeva perfettamente che sarebbe tornato, quindi gli conveniva sbrigarsi ad ultimare i preparativi. Era come se il rosa avesse bisogno del maggiore, come una sicurezza; doveva essere stato sicuramente difficile trasferirsi in un posto completamente nuovo e Minhyuk era stata la prima persona con cui aveva potuto interagire essendo il suo vicino di casa. 
Il bianco sbuffò e si alzò dal letto, sistemando accuratamente le lenzuola e recuperando le necessità che aveva lasciato in camera, gettando tutto distrattamente in uno zainetto. Indossò i vestiti che aveva scelto la sera prima, e andò in bagno per sistemarsi. Un quarto d'ora dopo decise di essere definitivamente pronto quindi si sedette sul divano in silenzio ad aspettare il ritorno del minore. 
Lasciare quella casa significava davvero tanto, ma d'altronde non aveva bisogno di venderla, e la sua intenzione era di tornare quanto più spesso possibile. Non sapeva se effettivamente avrebbe retto la vita stressante di una megalopoli come Seoul, si trovava fin troppo bene nel suo quartiere lì che non avrebbe mai voluto abbandonare il profumo delle violette che sua nonna aveva piantato in giardino, o il dolce odore proveniente dalla pasticceria dall'altro lato della strada, o la tranquillità del silenzio notturno, o forse non voleva solo chiudere a chiave quella porta lasciandovi dentro tutti i ricordi della sua vita. Si sarebbe sentito probabilmente svuotato poi...
Il campanello emise un debole suono, e Minhyuk scattò immediatamente in piedi dirigendosi verso la porta per lasciare entrare nuovamente Kihyun. Il rosa lo guardò accennando un sorriso timido e si morse il labbro, riflettendo forse su quanto entrambi ormai avessero compreso a vicenda il comportamento dell'altro e si comportassero come se niente fosse.
«Hai... Ehm... Sei pronto?» domandò il minore gettando uno sguardo sulla strada deserta. Non era certo ciò che li attendeva in effetti, eppure tentare non sarebbe dovuto essere così male.
«Prendo le valigie ed esco» annuì il bianco tornando dentro, si caricò il piccolo zaino in spalla e afferrò i due trolley uno per mano trascinandoli sul pianerottolo dove Kihyun lo stava aspettando fissando l'orizzonte in modo sempre più irrequieto. Il maggiore se ne accorse ma non gli diede peso, dacché alla fine sapeva che l'altro lo avrebbe velocemente liquidato con un "non è niente", e in fondo a lui neppure importava troppo dei drammi che lo affliggevano. 
Estrasse le chiavi dalla tasca dei jeans e chiuse la porta con quattro mandate, assicurandosi di inserire l'allarme antifurto e quello antincendio, in modo che se fosse successo qualcosa ne sarebbe stato al corrente. 
Fissò per qualche istante la porta bianca scorgendoci i segni di tutti gli anni che quella casa aveva ospitato lui e sua nonna, le venature non più brillanti del legno, i piccoli graffi sugli infissi rinforzati di metallo, il pomello ormai scuro di ottone... Era davvero così consumato anche lui?
«Andiamo dai, ti sei incantato?» il più grande si girò bruscamente dando un leggero pugno sulla spalla del suo amico, che sembrava ancora perso tra i propri pensieri. Kihyun annuì energicamente portando le proprie valigie verso il taxi che li stava aspettando parcheggiato sul marcoapiede, mentre il maggiore lo seguiva caricando i bagagli nel cofano per poi prendere posto sui sedili sul retro. Il viaggio, in auto, così come in treno, fu - a causa della lunga durata - a dir poco scomodo, come il silenzio che d'altronde si era creato tra di loro e non sembrava volersi sciogliere.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Paradiso Perduto ***


- 1 anno dopo -

Se c'era qualcosa che il bianco odiava era veder tornare a casa tardi Kihyun, almeno due giorni su sette imbottito di alcool, con le lacrime agli occhi, che si chiudeva in camera fino al giorno dopo, quando tutto sembrava tornare alla normalità. Aveva provato a parlargli, o almeno a farsi parlare, ma neppure quando era ubriaco fradicio riusciva a farsi rivolgere la parola.
In vino veritas, dicevano, allora la verità era che Kihyun non voleva più parlarci con Minhyuk forse. 
Quindi che senso aveva restare lì a fingere? 
«Hyun, ho deciso che me ne andrò.» il maggiore si appoggiò con la spalla allo stipite della porta che lo separava dal suo coinquilino. Un mugolio dall'altro lato della stanza riempì il silenzio, e qualche minuto dopo la figura trasandata del rosa si presentò dinanzi agli occhi neri dell'altro. Si strofinò gli occhi con la manica della maglietta con un gesto piuttosto infantile e tirò su col naso mordendosi il labbro. Non rivolse neppure un'occhiata al più grande.
«Vuoi davvero... andartene?» mormorò tornando subito a torturarsi il labbro inferiore coi denti.
«Si.» rispose seccamente Minhyuk «Non è fatto per me questo posto e tu... Tu sei cambiato troppo perché io possa sopportarlo.» spiegò rimettendosi dritto e incrociando lentamente le braccia al petto.
Il minore sentiva lo sguardo del più alto bruciare su di sé come il carbone in una brace, mentre cercava affannosamente di trovare dell'acqua che placasse quel soffocamento. Minhyuk sapeva bene che non era "tutto a posto" e che il rosa aveva bisogno di aiuto in quel momento, ma sapeva altrettanto bene che non poteva essere la persona adatta ad aiutarlo.
«Oh... Non lo sopporti?» ridacchiò il più piccolo spingendo improvvisamente il bianco all'indietro, il quale si tenne in piedi appoggiando una mano contro il muro alle sue spalle. «Hai idea di quante volte io abbia sopportato te? Di quante volte io abbia rinunciato al mio orgoglio per non lasciarti andare? Di quante volte io ti abbia cercato? Di quante volte io abbia dovuto soffrire per colpa tua? Di quante. Fottute. Volte. Ho affrontato i miei demoni da solo nonostante tu abbia visto tutto questo tempo come stessi?» domandò retoricamente il minore con un tono aspro che raramente utilizzava con lui. «Vuoi andartene? Benché io ci sia sempre stato per te?» la voce del rosa si distorse in una risata rauca strozzata dai singhiozzi e le lacrime cominciarono a solcare il suo viso, mentre il suo ego crollava definitivamente, lacerandosi, sfracellandosi contro il cumulo di macerie che si era accantonato lì giorno dopo giorno, ferita dopo ferita. «Vattene allora...» bisbigliò asciugandosi frettolosamente le prove del suo dolore che scorrevano placide lungo le sue guance come rubinetti difettati che gocciolavano senza più riuscire ad essere chiusi. «Vattene, avanti! Che aspetti?!?» urlò sfogando la rabbia che aveva represso fino ad allora, quella contro se stesso però, non sopportava di non essere stato mai capace in tutto quel tempo di dimostrare i propri sentimenti al maggiore. Era per questo che si stava distruggendo anche fisicamente, il suo rendimento scolastico ne risentiva, il suo fegato anche, ma brillo com'era almeno non rifletteva tutto il tempo sullo stesso argomento,preferiva vaneggiare piuttosto.
«Qual è il tuo problema Kihyun-ah?» la voce salda del maggiore irruppe violentemente nella sua testa, o forse era semplicemente l'effetto della sbronza a fargli martellare le parole nelle orecchie fino ad avvertire un dolore pungente alle tempie. «Sono io il tuo problema, vero? Già quando abbiamo cominciato a vivere insieme ti ho visto cambiare e ora sei completamente un'altra persona.» Minhyuk mantenne la calma sentendo spezzarsi l'ultimo filo della corda che li legava, quella corda che si era sfilacciata come non mai negli ultimi mesi. Allontanò il più basso spingendolo delicatamente lontano da sé. «Ti avevo avvisato Kihyun, ti avevo avvertito... Perché non mi hai ascoltato? Pensi mi faccia piacere vederti così? Pensi che io abbia voluto questo? Conoscevi ormai il mio carattere e il mio modo di comportarmi, perché hai insistito tanto per venire qua insieme? Sei stato tu a pretendere di potermi comprendere pensando che avessimo in fondo un carattere simile, ma, se ti soffermassi a pensarci davvero, ti renderesti conto che adesso hai perso tutto del tuo carattere, di quello che eri.» il bianco fece un altro piccolo passo indietro, cieco come sempre, incapace di guardare alla verità ormai, con i suoi occhi velati di convinzioni errate. «Se me ne vado è per il tuo bene.» mormorò ancora il più alto e si voltò andando verso il salotto, afferrò con una mano il suo trolley, che aveva precedentemente preparato, e la borsa a mano, caricandosela in spalla. Si voltò a guardare un'ultima volta il minore che si graffiava nervosamente il braccio scoperto dalla maglietta a maniche corte con le unghie abbastanza lunghe da creare segni rossi ben visibili. Stava evidentemente cercando di trattenersi, ancora una volta. Stava sbagliando, ancora una volta. Stava tradendo se stesso, addossandosi ancora una volta il peso di portare quel segreto, che forse non sarebbe mai stato svelato. E se davvero non sarebbe mai stato svelato?
Minhyuk distolse lo sguardo pochi secondi dopo, ma il rosa continuava a guardarlo come un angelo decaduto guarda il Paradiso mentre precipita dopo essere stato cacciato, quel Paradiso dove sapeva che non sarebbe potuto tornare mai più.

La porta sbatté in un soffio, tanto che Kihyun, incantato com'era, neppure se ne accorse subito... Era così triste veder sparire davvero ogni speranza, nonostante avesse già buttato la spugna tempo prima, il fatto che sarebbero stati lontani sottolineava e confermava semplicemente ciò a cui il minore si sarebbe dovuto già preparare.

***
 

La brezza notturna sferzò il viso del bianco non appena mise piede fuori dal portone del palazzo, si incamminò lentamente per i vialetti contornati da siepi verdi che scortavano all'uscita del parco condominiale, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata al cielo buio e terso: stava arrivando l'estate, e di conseguenza la stagione delle piogge. Varcò il cancello del parco, segnando l'uscita da quella vita troppo frenetica e monotona, ma soprattutto segnando l'uscita dalla vita di Kihyun. 
Era difficile ammetterlo, ma gli si era affezionato comunque, non avrebbe voluto perderlo così. Sapeva, però, che questa volta non sarebbe tornato, questa volta era davvero la fine.

«Non voglio che finisca così.»
Era la prima volta che Minhyuk aveva visto piangere davvero il rosa, non aveva mai creduto di poter assistere a uno spettacolo del genere, non aveva neppure mai immaginato che Kihyun in lacrime avrebbe potuto scalfire qualcosa di ancora vivo dentro di sé.
«Non voglio... che finisca... così...» ripeté la voce del rosa ancora ansimante per la corsa. 
Forse in fondo se il minore era tornato di nuovo un motivo doveva esserci per non volerlo lasciare andare. Se era tornato di nuovo, dopo tutto, per lui, allora forse Minhyuk una possibilità avrebbe dovuto dargliela ancora.
«Nemmeno io lo voglio...» sussurrò in risposta il maggiore accogliendo il più basso in un morbido abbraccio, il rosa appoggiò il mento sulla spalla del compagno, lasciandosi cullare nel suo debole stato sia fisico che psicologico. Tornarono in casa solo quando il minore fece notare all'altro che fosse stanco a causa dell'alcool, così il bianco lo aiutò a mettersi a letto passando forse una delle serate più tranquille della sua vita mentre accarezzava i capelli del più piccolo guardando la TV. 

La pace però non durò a lungo.
Kihyun si ostinava a non voler parlare, rispondendo ogni volta che "non era ancora il momento giusto per dare spiegazioni" e il carattere di Minhyuk cedette dopo solo un mese, non riusciva a sostenere il suo amico, i suoi drammi, i suoi silenzi.
«È okay Kihyun, tornerò.» aveva detto.
Se n'era andato davvero poi.
Aveva davvero voglia di ritornare a casa sua, alla sua normalità, nella sua vita di tranquillità e solitudine. 
Aveva bisogno di allontanarsi da quell'abitudine di sentire il suo cuore perdere un battito ogni volta che vedeva il rosa scuotere la testa con le lacrime agli occhi, pur di non esprimere ciò che lo tormentava.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Indietro verso l'amore ***


L'interno dell'abitazione era particolarmente freddo e sicuramente ci sarebbero voluti giorni per riportare tutte le stanze ad una temperatura abitabile. Minhyuk si preoccupò di accendere i riscaldamenti automatici cercando di stabilizzare almeno un ambiente tiepido nel piano giorno e nella camera da letto al piano superiore. Intanto disfò i suoi bagagli sistemando nuovamente il tutto al proprio posto, quella normalità che gli era mancata, ma alla quale sarebbe stato altrettanto difficile riabituarsi. Una volta ordinato tutto si preparò una cioccolata calda e si accoccolò sul divano con una spessa coperta di lana. L'ora di pranzo era già passata e lui non avvertiva ancora i morsi della fame, forse troppo preso dall'ennesimo cambiamento che stava attraversando la sua vita. Tanto assorto nei suoi pensieri che qualche minuto dopo aver appoggiato con un gesto automatico senza neppure accorgersene la tazza sul tavolino da tè, il sonno lo avvolse tra le sue spire dolci e amare, reali e illusorie, mentre le follie serpeggiano crudeli e gli incubi si protraggono in una lenta danza coi demoni, bruciando il desiderio, le speranze, la felicità. Poteva sentirlo quell'odore acre, come di carne bruciata, poteva immaginarlo l'odore dell'inferno, le anime come le sue erano così facili da rubare... Anche se odiava veder contorcersi la sua mente non poteva evitare di essere trascinato nelle profondità dell'oblio ogni volta che pensava troppo a lungo. Faceva male sapere che quello era il suo posto, che non poteva scappare, vittima della sua stessa creazione. E sapeva che avrebbe dovuto imparare a conoscere il prezzo del male e a conviverci, ma non riusciva ancora ad ammettere completamente la solitudine che lo circondava. Nessuno con cui parlare, nessuno da chiamare, nessuno per distrarsi, tutti avevano paura. Effettivamente, il diverso fa sempre paura. Ma allora perché non si era ancora arreso? Qualcosa internamente gli intimava di combattere, non per fallire, non per cadere, ma per vincere quelle illusioni che ogni volta prendevano il posto della realtà. Doveva semplicemente convincersi che la vita, quella sua misera vita, come d'altronde tutte le altre, era solo un susseguirsi di occasioni, fin quando l'anima avrebbe retto, fin quando non si sarebbe spezzata del tutto. 
«Dovrà essere pur colpa di qualcuno se sei caduto in questo baratro no?» qualcuno una volta gli aveva detto... Qualcuno che non aveva più rivisto dopo quella volta. Chissà se quel ragazzo ancora abitava lì, se era ancora così dolce e premuroso, se era cambiato, se aveva smesso di cercarlo presto... Se si ricordava ancora di lui...?

I fiori in giardino erano appassiti ormai quasi tutti. D'altronde era più di un anno che nessuno li curava. Non c'era più nemmeno l'ombra degli adorati tulipani blu di sua nonna, se non qualche stelo secco che ancora non era stato strappato via dal vento. Le uniche che ancora sopravvivevano erano delle violette selvatiche cresciute qua e là nei vasi dove i vecchi fiori, più deboli, avevano ceduto loro il posto. 
Doveva essere passato così tanto tempo da quando aveva varcato l'ultima volta i cancelli del cimitero del paese, ma, in fondo, casa sua era troppo fredda ancora e restare lì, in un posto che non faceva altro se non riportargli alla mente troppi ricordi, non sembrava affatto giusto adesso che la donna che aveva da sempre curato quella casa non c'era più. 
Si avvolse nel suo cappotto caldo e uscì in giardino strappando delicatamente i radi fiorellini violacei dai vasi fino a farne un mazzetto, stringendo gli steli in un pugno, consapevole che degli stupidi fiori non avrebbero mai comparato ciò che sua nonna aveva fatto per lui.
Niente avrebbe potuto distoglierlo da quella amara constatazione.

Ci volle una buona mezz'ora a piedi per raggiungere la sua destinazione, ma alla fine riuscì a cavarsela. Confuse molte volte scale, aiuole, sentieri e corridoi a cielo aperto, prima di trovare quello che ricordava essere lo spazio quadrangolare in cui era situata la tomba di sua nonna. Qualcosa però attirò immediatamente la sua attenzione, qualcosa che lo fece ricredere sull'aver trovato il posto giusto. c'erano dei fiori freschi vicino alla bianca lastra di marmo, più precisamente delle orchidee. Erano stati intenzionalmente sistemati nel portafiori di vetro a candela attaccato lateralmente alla lapide, probabilmente per far sì che non volassero via. Il vento sembrava così impetuoso che nulla trovava pace, era passato solo un giorno da quando Minhyuk era ritornato a Gwangju e la fredda bufera che l'aveva investito non era stata un piacevole bentornato.
Un brivido gli percorse la schiena non appena realizzò ciò a cui stava assistendo, ed era sicuro non fosse per il freddo.
Qualcuno si era preso cura di quella tomba fino a quel momento, e sicuramente non poteva essere stato il custode del cimitero, al quale determinati doveri non spettavano.
Il bianco posizionò accuratamente il mazzetto di violette nel portafiori formandone una corona attorno a quelle orchidee dalla provenienza sconosciuta. 
Sospirò pesantemente rialzandosi e scrollando via la polvere dal pantalone che si era sporcato su un ginocchio quando si era abbassato a sistemare i fiori, per poi sedersi su un gradino di pietra di fronte alla tomba.
Era calato il buio già da un po' e, se possibile, faceva ancora più freddo. Minhyuk decise che forse era ora di lasciare quel posto semplicemente perché era quasi giunto l'orario di chiusura, e restare lì a fissare il vuoto congelando non sembrava avesse proprietà rigenerative sul suo umore.
Tornando a casa ordinò del cibo d'asporto ad uno dei suoi ristoranti di fiducia e si rintanò subito sotto la coperta sul divano, piacevolmente accolto dal calore che finalmente aveva ripreso a invadere casa sua.
Dopo meno di un'ora arrivò la sua ordinazione, cenò e con la compagnia di un buon libro si mise a letto, accompagnato dal fruscio dei rami percossi dal vento all'esterno e dal rumore stridente della carta quando voltava le pagine del libro. Era una sensazione che non sperimentava da tempo e l'unica cosa che avrebbe potuto rendere più perfetta quella serata sarebbe stato solo il dolce crepitio della pioggia sui vetri e sul tetto, tuttavia era molto più che rara la pioggia in quel periodo dell'anno. Qualcosa gli sussurrava che fosse tornato tutto perfetto, lui da solo con se stesso, la sua vita scomoda e senza senso, le sue abitudine incorreggibili, il rimbombo dei propri passi quando camminava in quella casa tanto vuota quanto il suo cuore. 
Tutto incredibilmente al suo posto.
Come se le piccole avventure vissute, le persone conosciute, fossero solo un passatempo, una momentanea distrazione da quella che era e doveva essere la sua quotidianità.
Eppure... Da qualche parte della sua mente sapeva che non fosse questa la verità, c'era qualcosa che non quadrava con le scelte che il destino aveva in serbo per lui.
Il giorno dopo fu il sesto senso a prendere il sopravvento sulle scelte delle sue azioni, sentiva di dover tornare lì, in quel posto, il ricordo di quei fiori fisso nella sua mente come se fosse stato appuntato da pungenti e fastidiosi fermacarte di ferro. Le lastre di marmo si susseguivano una dopo l'altra mentre vagava in quel labirinto di aiuole smorte, un pomeriggio come un altro, nel silenzio spezzato solo dal calpestio dei suoi passi che facevano scricchiolare le rare foglie secche che si trovavano sul sentiero. Passavano nomi, date e fotografie, una di seguito all'altra, come se fossero cose così normali, senza alcun valore, fin quando non la intravide da lontano, la tomba con inciso il nome di sua nonna: Song GaHyeon. 
E non era da sola.
C'era qualcuno di fronte alla lapide, aveva le mani guantate unite davanti alla bocca impegnato in un infantile tentativo di riscaldarle, il cappello di lana calato quasi fin sopra gli occhi neppure gli permetteva di distinguere chi fosse, ma il suo cuore aveva istintivamente preso a battere più forte. Passarono pochi minuti in cui Minhyuk, immobile, non fece altro che fissare il profilo dell'uomo - che sembrava piuttosto giovane dallo stile di vestiti street casual che indossava - davanti alla tomba, ma quello neppure si era accorto della presenza del ragazzo che non gli aveva ancora scollato gli occhi di dosso. Poi, però, l'altro gli diede le spalle e si avviò verso il sentiero dal lato opposto, sparendo dalla visuale del bianco.
Doveva lasciarlo andare anche stavolta?
Forse stavolta no.
Minhyuk raggiunse il ragazzo ad ampie falcate correndo dietro di lui nel modo più silenzioso possibile, e quando fu abbastanza vicino gli afferrò un braccio con le dita intorpidite dal freddo nello stesso istante in cui l'altro si voltò per vedere chi lo avesse fermato a quel modo. 
Il bianco sorrise d'impronta, rivolgendogli uno sguardo tuttavia malinconico. «Jooheonie...» sentiva un nuovo calore svilupparsi dentro di sé, come se rivedere quel ragazzo lo avesse scosso, come se lui avesse già saputo di doverlo rincontrare, prima o poi. Il castano trasmetteva un'aura così pura e solare da riscaldare almeno un po' la sua anima affranta, nonostante le dita che stringevano quel cappotto fossero ormai diventate più pallide dei suoi capelli e le unghie così come le labbra avessero assunto una sfumatura purpurea. Era stranamente consapevole che una parte di sé voleva ritrovare Jooheon a tutti i costi, e ora che ci era riuscito, così per caso, sembrava essere tutto troppo irreale, ancora una volta. «Ti stavo cercando.» sussurrò piano faticando persino a muovere le labbra a causa del gelo. 
La nuvoletta di condensa che  fuoriuscì insieme alle sue parole si unì alla nebbia fitta che copriva gli occhi lucidi del minore, il quale sorrise di rimando:«Ti stavo aspettando.»

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Come il cielo nuvoloso ***


La pianura incolta si estendeva a vista d'occhio davanti a loro, sotto il tramonto che le faceva cupamente da sfondo. Le sfumature del viola avevano ormai impregnato il cielo che stava lentamente calando nel buio, avvolto da basse nuvole grigie che non promettevano nulla di buono. L'erba alta e il terreno secco sembrarono al bianco un ottimo rifugio per quella serata, per stare lontano dal mondo. Non ritornava in quel prato da anni, forse un decennio ci era passato da quando lì accanto, nel sottobosco, aveva passeggiato l'ultima volta con sua nonna prima che contraesse la leucemia e fosse quindi costretta in casa per gli ultimi anni della sua vita.
«Hey» il maggiore richiamò il castano tirando la manica della sua giacca finché l'altro non gli prestò attenzione distogliendo lo sguardo incantato sull'orizzonte. Il panorama doveva essere effettivamente bello per qualcuno che lo guardava per la prima volta, ma Minhyuk c'era così abituato che non gli faceva nessuna differenza. Sembrava stupido dare importanza a una cosa banale quanto un tramonto, qualcosa che si ripeteva giorno dopo giorno sempre allo stesso modo, continuando solo perché non poteva smettere, secondo un'incomprensibile legge astratta. «Siediti» lo esortò il maggiore abbassandosi per sedersi sul soffice e spesso manto d'erba. Era da tanto che non pioveva probabilmente, perché gli steli verdi avevano assunto un colore sbiadito e l'intera cortina di vegetazione si stava inaridendo. Tuttavia le condizioni meteorologiche parevano essere in procinto di migliorare per l'ordinaria flora del posto; le nuvole si stavano appesantendo sempre di più e sicuramente ci sarebbe stato un acquazzone di lì a poco. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e il mento sui palmi delle mani, concentrando il suo sguardo sul ragazzino ancora in piedi con lo sguardo leggermente confuso, allora il bianco incurvò le labbra in accenno a un sorriso rassicurante. Jooheon in tutta risposta si lasciò andare e prese posto accanto al maggiore, appoggiando la testa sulla sua spalla. L'altro si voltò leggermente verso di lui, sorpreso dal gesto, o forse solo confuso: una parte di sé ancora sperava di uscirne, da quella spinosa trappola chiamata "amore", nonostante l'altra parte si stava piacevolmente lasciando trasportare in balia della sua disperata ricerca di sollievo, perché quel ragazzino sembrava essere arrivato proprio per essere il suo nuovo appiglio nella lotta contro i suoi drammi.
«Perché siamo qui?» mormorò il castano distogliendo nuovamente il maggiore dalle proprie riflessioni.
Perché erano lì? Non c'era nessun motivo particolare, era semplicemente il primo posto vicino al cimitero che gli era venuto in mente. Da ragazzino aveva scavalcato il cancello del cimitero mentre sua nonna era occupata lì in una visita di cortesia, si era sbucciato le ginocchia cadendo, ma in compenso aveva scoperto la radura che, nascosta e silenziosa, si estendeva lontano dalla distruzione diffusa dall'umanità. Quel giorno aveva davvero fatto preoccupare sua nonna, lo ricordava bene, si era sentito così mortificato. Tuttavia ne era valsa la pena forse, aveva trovato un piccolo paradiso isolato, e dopo quella volta ci era ritornato, sebbene raramente, per abbandonarsi ai pensieri, per perdersi nel contemplare il profumo del cielo e la luminosità dei radi frutti rossi che crescevano spontanei nel sottobosco. Sua nonna era solita preparare una marmellata dolce ogni volta che da piccolo Minhyuk tornava a casa con un sacchetto di succose more o morbidi lamponi; se si sforzava, poteva ancora ricordarne il sapore sulla lingua. Era talmente nostalgico... E inutile.
«È solo un posto che mi piace.» rispose distrattamente il più grande ritornando lentamente a guardare il crepuscolo su di sé.
«Oh...» Minhyuk poté notare con la coda dell'occhio un piccolo e dolce sorriso sulle labbra del minore. «Sono contento che tu mi ci abbia portato allora» sussurrò ancora strofinando leggermente la guancia contro il cappotto del bianco.
Quest'ultimo, d'altro canto, si morse il labbro sentendo l'imbarazzo accrescersi nell'atmosfera intorno a sé. «Era semplicemente il posto tranquillo più vicino che conoscessi.» si limitò a rispondere con l'ormai studiato tono vuoto.
«Ma hai condiviso qualcosa di te» ribatté prontamente il minore, come se sapesse sempre perfettamente cosa dire.
«Puoi smetterla di farmi sentire stupido?» sbuffò Minhyuk dopo un po' pensando a quanto fosse inaccettabile il fatto che il più piccolo avesse compreso così facilmente punti deboli ai quali nessuno aveva mai neppure fatto caso.
Il minore sospirò pesantemente lasciandosi cadere svogliatamente all'indietro per stendersi sul prato, si portò le mani dietro la nuca per assumere una posizione più comoda e si prese alcuni secondi per decidere cosa rispondere, secondi che il bianco passò chiedendosi quale reazione avessero appena scaricato le proprie parole sull'altro.
«Non era mia intenzione...» sussurrò infine Jooheon, quasi sottovoce, poi chiuse gli occhi rilassandosi al silenzioso suono del vento che sfogliava i sottili fili d'erba. 
Il maggiore non rispose ulteriormente lasciando che il vuoto dilagasse tra di loro ponendo fine ad ogni segno di vita ci fosse in quella pianura, persino i loro respiri si confondevano con l'alito fresco del vento. Nulla sembrava poter disturbare quell'apparente placida calma che si era creata, se non fosse stato che il cielo aveva deciso di cedere proprio in quel momento.
Il minore si allarmò immediatamente distruggendo la pace creatasi, per lamentarsi e asciugarsi con la mano le goccioline di pioggia cadutegli sul viso.
«Minhyuk piove, su andiamo via» Jooheon scosse il bianco per un braccio e si aiutò a sollevarsi appoggiando una mano sul terriccio che già stava cominciando a impregnarsi d'acqua sollevando polvere ad ogni goccia che si infrangeva sul suolo arido. «Minhyuk, alzati dai.» il minore strinse la spalla dell'altro con una mano, ma la ritrasse subito sorpreso della reazione del maggiore che sogghignava ridendo. Era così melodiosa la sua risata nonostante la piega inquietante che avesse assunto. «Minh-»
«Taci» lo interruppe il bianco sollevando la testa verso l'alto, rivolta al cielo scuro che piangeva insipide lacrime ghiacciate. «Non senti quant'è bello il suono della pioggia? La voce umana è così insulsa a confronto» chiuse gli occhi lasciando che le gocce scorressero sul suo viso, lungo la fronte, gli zigomi, sul suo sorriso, scivolassero per il collo, fino a impigliarsi nella fitta rete della stoffa dei vestiti, che in poco tempo si stavano inzuppando. 
Jooheon restò interdetto a fissare la sua perfezione, costringendosi al silenzio per qualche secondo ancora, finché non avvertì la pioggia battente aumentare d'intensità e tornò a scuotere il maggiore per convincerlo ad andare via da lì. «Minhyuk ti ammalerai se non troviamo un posto coperto.» il castano rinunciò a lamentarsi dei vestiti o a cercare di ripararsi invano col cappuccio del giubbotto ormai completamente bagnato. «Ti prego... Puoi guardare la pioggia anche dalla finestra non c'è bisogno di prendere una broncopolmonite.» il minore sbuffò tirando l'altro per la manica ancora un paio di volte. «Minhyuk andiamo... Fallo per me...» alzò gli occhi preoccupato, preda dell'ansia disperata. Stringeva la mano del maggiore nella sua, ed era così fredda che sarebbe sembrato tranquillamente un cadavere in quelle condizioni, eppure lui sembrava così assorto da non volerne minimamente sapere di tornare vivo a casa.
«Cosa fa il sole quando arriva la pioggia?» il bianco parlò stringendo improvvisamente la presa sulla mano del minore con le dita intorpidite dal freddo estremo. Il più piccolo rimase in silenzio senza avere la più pallida idea di cosa rispondere a una domanda così apparentemente insensata. «Tu sei come il sole, Honey.» Minhyuk rivolse un sorriso accennato al minore, e per un attimo tutto intorno a lui sembrò fermarsi, la pioggia, l'oscurità, il freddo, e rimase solo quel sorriso scaltro, ironico e quasi sprezzante, un sorriso che gelò buona parte delle speranze rimaste al castano. «Io sono come la pioggia, invece. Quando essa arriva, con le sue nuvole pesanti, cariche di dolore, copre il sole, che si nasconde impotente, lo oscura, lo eclissa, cattura la sua luce e lo nasconde finché non passa.» sussurrò con voce roca il maggiore scandendo ogni inciso con una pausa quasi teatrale, ma, nonostante a primo impatto le parole colpirono in pieno il castano, non si lasciò spaventare per così poco.
«Ma quando passa poi i cristalli di luce formano l'arcobaleno.» Jooheon ingoiò la sua titubanza parola dopo parola, e finì col sorridere anche lui, di un sorriso limpido e sereno però.
Minhyuk tuttavia scosse la testa quasi divertito e si alzò rivolgendo i palmi verso l'alto perché l'acqua li ripulisse dai rimasugli di terreno. «La pioggia che mi caratterizza non c'è speranza che finisca.» mormorò delicatamente il più grande e, senza aspettare che Jooheon si riprendesse dalla sua ultima risposta, si incamminò dritto verso il paese, costringendo il minore a rincorrerlo. Quando lo raggiunse, però, il castano afferrò la mano del maggiore, in un silenzioso gesto simbolico, limitandosi a camminare accanto a lui, senza proferire parole, senza aspettarsi parole, senza pretendere parole. A volte erano del tutto superflue.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Disincantato ***


«Più o meno è così che è andata durante l'ultimo anno.» concluse il maggiore dopo un discorso relativamente lungo su come aveva trascorso quel periodo a Seoul, mentre si strofinava i capelli bagnati con un asciugamano di cotone in modo da assorbire l'acqua. 
«E Kihyun?» domandò curioso il minore che si era intanto comodamente rilassato stendendosi a pancia in giù sul letto del bianco tenendo il mento appoggiato sui palmi e i gomiti puntellati nel materasso. Minhyuk gli aveva prestato dei vestiti asciutti e gli aveva offerto di farsi una doccia, ma il castano aveva cortesemente rifiutato, sentendosi leggermente a disagio al pensiero di dover recare disturbo a qualcuno che a stento conosceva. Il maggiore dal canto suo non si era fatto tanti problemi, aveva lasciato lì il più piccolo dicendo di cambiarsi e fare come se fosse stato a casa propria, mentre lui ne aveva approfittato per lavarsi e togliersi di dosso quell'odore di pioggia che poco gli piaceva, perché gli riportava sempre alla mente brutti ricordi. 
Jooheon nel frattempo, si era cambiato ed era rimasto lì a curiosare con lo sguardo per la stanza piuttosto spoglia: le pareti erano completamente bianche, tranne il soffitto a cassettoni in legno - probabilmente d'ebano - nero; la mobilia, anch'essa scura, era semplice ed essenziale e ricopiava il motivo intarsiato del legno del soffitto; l'armadio con ante scorrevoli a specchio ricopriva completamente una delle pareti, mentre un'altra era sede di molteplici mensole sulle quali erano riposti un'infinità di libri di ogni genere; sulla parete opposta a quella dove si trovavano il letto e accanto la porta, vi era una scrivania di linea moderna in vetro, sormontata da una serie di pensili opachi, e affiancata da un largo balcone che affacciava direttamente su una veranda collegata al giardino. Era una stanza molto funzionale, ben progettata e organizzata nei minimi dettagli, talmente ordinata che persino lo stare sdraiato su quel letto dalla coperta morbida e perfettamente ripiegata, metteva in soggezione il castano. Quando Minhyuk tornò, tuttavia, l'atmosfera si alleggerì, e dopo qualche buon minuto il maggiore riuscì a parlare grossolanamente della caotica vita di Seoul e dell'esperienza universitaria. Il più piccolo si godeva tranquillamente il suono della voce melodiosa del bianco, ammirando la sua impeccabile figura mentre frizionava i capelli tinti per rimuovere l'acqua che li impregnava. La sua mente si divideva non facilmente tra l'ascoltare le parole dell'altro e il vagheggiare pensando a quanto perfetto fosse quel ragazzo. Si rendeva conto solo in quel momento, che lo vedeva a torso nudo, di quanto esile e magro fosse il suo fisico, nonostante appunto questo evidenziasse l'accenno di muscolatura addominale. Al minore venne quasi voglia di chiedergli se mangiasse davvero, ma non appena notò che le sue labbra rosse - le quali stava bellamente fissando - smisero di muoversi, realizzò che il bianco aveva smesso di parlare, quindi si sforzò di rimettere insieme i vari pezzi del discorso che aveva afferrato e a quel punto quella debita domanda gli sorse spontanea: «E Kihyun?» aveva chiesto.
«Kihyun è rimasto a Seoul, lui era già intenzionato a terminare gli studi, diceva sempre di voler diventare medico legale, aveva sempre avuto una vaga curiosità per il fare le autopsie e squartare i cadaveri o quelle cose lì...» il maggiore si lasciò scappare una leggera risata, forse ricordando dei momenti passati insieme al suo amico, ma Jooheon a sentire di quella stravagante passione non riuscì a trattenere una smorfia disgustata, dal momento che aveva sempre avuto un ripudio verso quel genere di cose, suscitavano in lui quasi un moto di paura. «Era strano, lo so.» aggiunse sorridendo il bianco, avendo notato l'espressione sul viso del più piccolo.
Jooheon annuì, ma si perse tra quelle parole, cogliendovi un senso vagamente triste. «Perché parli di lui al passato?» si illuminò dopo qualche istante di silenzio, cercando un contatto visivo col maggiore, ma sembrava quasi impossibile dato che quegli non si voltava mai verso di lui, preferendo invece dare la sua attenzione all'armadio.
«Perché... Credo di aver già annullato la sua presenza dalla mia vita, in realtà.» sospirò Minhyuk e il castano avvertì il rimpianto nel tono della sua voce. Quel riuscire a cogliere anche solo un leggero soffio di emozione nel suo tono, nelle sue parole, nelle sue rare esitazioni, faceva capire al minore di essere fortunato, dacché appariva davvero difficile penetrare quel muro privo di ogni sincera espressione umana e, invece, in quel momento, il bianco aveva lasciato aperto uno spiraglio della maschera, come se avesse avuto bisogno di respirare e l'avesse allontanata di qualche millimetro dal suo viso. 
«E pensi che lui abbia fatto lo stesso?» domandò cautamente il castano rendendo la sua voce ancora più morbida e delicata per non scalfire l'aura momentaneamente positiva del maggiore. 
«Lui mi sta semplicemente aspettando, voleva che gli stessi accanto, pensava che avrei sopportato tutti i suoi errori, credeva che sarei stato il suo sostegno per sempre, e forse ho sbagliato io a indurlo a pensare una cosa del genere. Al contrario, io non sono una persona capace di sorreggere gli altri, sono io stesso a cercare un appoggio. Non è nella mia indole accettare gli errori, perdonare gli sbagli e passare oltre, invece li conto, uno dopo l'altro, mi soffocano e non mi permettono di guardare quella persona allo stesso modo.» Minhyuk scosse velocemente la testa come a volersi liberare di quei pensieri, gettò l'asciugamano sulla moquette e aprì l'armadio cercando evidentemente qualcosa da indossare, regalando al castano una visuale dei muscoli delle sue spalle che scomparivano guizzando sotto pelle dietro le scapole ossute di quel fisico un po' troppo asciutto. Estrasse una felpa da un ripiano e la infilò velocemente per poi rivolgere invece la sua attenzione a sistemare alcuni oggetti sulla scrivania, evitando palesemente di incontrare lo sguardo del minore. «Kihyun mi ha portato lì con la consapevolezza che vivere insieme a me lo avrebbe distrutto, per il semplice motivo che non sono capace di instaurare un rapporto normale con le persone, o di parlare di cose normali, e nemmeno di essere sincero.» riprese inaspettatamente a parlare, ma la sua voce si pietrificò nuovamente, tornando fredda e distaccata come se non gli appartenesse più. «Lui sapeva che sarebbe finita male, ma ha voluto ugualmente tentare e ha solo peggiorato le cose.» concluse allontanandosi dalla scrivania e raccogliendo l'asciugamano che aveva precedentemente abbandonato sul pavimento, poi scomparve uscendo dalla stanza con stretta nel pugno la stoffa cotonata del telo bianco. Lasciò così il più piccolo a riflettere mestamente su quale potesse essere l'esito della vicenda, sebbene non conoscesse questo Kihyun non riusciva a immaginarlo come una persona crudele o cattiva, e avrebbe voluto tanto apprendere i motivi per cui il bianco avesse riscontrato così tanti problemi in una convivenza con un suo amico. 
«Almeno ci hai discusso prima di andartene?» domandò ancora Jooheon non appena l'altro varcò nuovamente la soglia della porta.
«Contro ogni prospettiva, si, l'ho fatto, ma per lui non era mai il momento giusto per parlarmi di quale fosse il suo problema, e io sinceramente sono stanco di essere messo in disparte, sarà per questo che sono finito a essere un mostro.» Minhyuk fece spallucce svogliatamente come se l'argomento non gli importasse più e il minore allora capì di dover tacere. Avvertiva dentro di sé la crescente voglia di contraddirlo e fargli comprendere quanto si sbagliasse nel definirsi un mostro. Ai suoi occhi sembrava solo una persona che aveva sofferto troppo e si era ritrovata a dover affrontare di petto la vita da sola, quindi in queste circostanze poteva essere ritenuto normale l'egoismo e il ripudio verso il resto del mondo, non credeva di poter mai arrivare a biasimare il suo carattere. D'altronde però non poteva permettersi di giudicare qualcosa che lui non aveva mai sperimentato, dunque non gli restava che ipotizzare e sperare che prima o poi qualcosa sarebbe potuta cambiare.
«È tardi, e piove ancora, vuoi restare a dormire qua? Ti preparo la camera per gli ospiti se vuoi.» il castano sbatté un paio di volte le palpebre meravigliato a quella domanda e si sollevò dalla sua posizione distesa mettendosi a sedere a gambe incrociate, e quando tornò a guardare in alto, Minhyuk lo stava fissando, e quanto avrebbe voluto non aver mai visto quello sguardo cinico e melanconico nei suoi occhi. Si sentiva così impotente dinanzi a quella presenza manifesta di avvilimento che si mescolava omogeneamente alla noia della monotonia. 
«Non preoccuparti, non voglio scomodarti più di tanto... Inoltre devo rientrare a casa altrimenti mia madre si preoccuperà...» il castano accennò un sorriso nonostante in quel momento il suo cuore si stesse sforzando di non cedere. Se quel Kihyun aveva dovuto guardare quegli occhi ogni giorno probabilmente Jooheon capiva perfettamente come si era sentito, e non era affatto una sensazione piacevole.
«Potresti telefonarle, no? Sta diluviando ed è piuttosto pericoloso a quest'ora.» Propose il maggiore inclinando la testa lateralmente come se stesse analizzando la situazione, evidentemente cercava di scovare il vero problema dove fosse, e in realtà Jooheon era convinto che lo avesse capito già.
«In realtà il mio telefono non dà segni di vita perché ha assorbito troppa acqua stasera e credo sia da buttare ormai...» sospirò il più piccolo pensando a quale assurda scusa avrebbe dovuto inventare con suo padre per giustificare l'aver rotto un telefono che aveva da appena un anno e mezzo. Non era neppure molto costoso, ma era a conoscenza del fatto che la sua famiglia non vivesse una situazione economica particolarmente florida e regalargli quel telefono era stato comunque una sorta di sacrificio. Probabilmente avrebbe finito col restare senza cellulare per un bel po', più che altro perché non gli andava di pesare sulle spalle della sua famiglia e di sembrare ingrato al punto da pretendere del denaro per rimediare a un danno che aveva, anche se involontariamente, causato lui stesso.
«Ho capito, mi dispiace. Comunque se vuoi ti presto il mio, altrimenti, se hai intenzione di tornare a casa, il massimo che posso darti è un ombrello; l'auto è rimasta senza benzina, altrimenti ti avrei accompagnato.» disse il maggiore presentando le due opzioni possibili ma il castano scosse ancora la testa cercando di restare sicuro sulla sua risposta, prima di cedere alla proposta di Minhyuk. Qualcosa gli suggeriva che restare in quella casa non lo avrebbe aiutato a dimenticare i suoi occhi freddi, né tantomeno il sapore delle sue calde labbra che ancora lo tormentava dopo tanto tempo.
«Davvero ti ringrazio» accennò il minore scendendo dal letto e infilandosi le scarpe cercando di allacciarle quanto più velocemente possibile. «Non preoccuparti, tornerò a casa sano e salvo.» sorrise cercando alleviare un po' la tensione che pressava l'atmosfera stabilitasi tra i due. «Opto per l'ombrello, poi appena avrò lavato i tuoi vestiti te li riporterò.» sorrise ancora indicandosi con un cenno la costosa tuta felpata che stava indossando in quel momento, ringraziandolo con lo sguardo per evitare di aggiungere altre parole superflue nel silenzio della stanza. 
«Va bene, allora ci vedremo presto.» annuì il maggiore scortando il suo ospite verso il salotto, afferrò un ombrello dal contenitore di ottone apposito dietro la porta e glielo porse. «Cerca di non ammalarti per strada.» si raccomandò il bianco provando vanamente un approccio quasi amorevole, ma era chiaro si stesse sforzando e questo faceva sentire ancora più scomodo il minore, il quale, al contrario si limitò a sorridere.
«Non lo farò» lo rassicurò e salutò con un gesto della mano mentre usciva dalla porta d'ingresso, e quando vide che Minhyuk ebbe ricambiato allo stesso modo, si voltò definitivamente, apri l'ombrello e rivolse la sua attenzione alla strada buia, consapevole che lo avrebbero atteso quaranta minuti buoni di passeggiata notturna tra tuoni e pioggia incessante. Tuttavia pensò che fosse comunque meglio di rischiare di affrontare una tempesta umana come quella che celava dietro di sé quel ragazzo tanto bello quanto complesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Resta con me ***


È facile fingere davanti agli altri, cambiare volto, alimentare un sorriso, ma davanti a se stessi? Per mentire a se stessi c'è bisogno di coraggio, c'è bisogno di aver perso ogni riferimento, ogni certezza. Per mentire a se stessi c'è bisogno di non essere più se stessi. Essere lì, di fronte allo specchio, guardarlo, incontrarsi e scontrarsi col proprio riflesso, col proprio io, col proprio mostro interiore, è molto più difficile che trovarsi di fronte a un estraneo. Un estraneo che potrà essere chiunque, i genitori, i parenti, la fidanzata, il migliore amico, la vecchia vicina di casa... Ma in fondo per quanto tempo si sia potuto passare in compagnia, la verità è che sono tutti estranei. Mentire agli altri è semplice, per quanta empatia si possa provare non esisterà mai nessuno che comprenderà a pieno i sentimenti di qualcun altro. Mentire a se stessi invece richiede la distruzione ogni volta di ogni certezza, di ogni pensiero, e una forza d'animo immensa. 
Minhyuk questo lo sapeva.
O sarebbe meglio dire che in realtà... non lo sapeva più?
Il suo inconscio sapeva bene ciò a cui aveva rinunciato, le convinzioni che aveva archiviato e messo da parte pur di convincersi delle sue stesse menzogne, ma cosa ne poteva ricordare ormai? Aveva nascosto a se stesso anche il fatto che stesse mentendo ancora e ancora. Non si rendeva più conto di quale fosse la realtà. I suoi genitori erano davvero morti? Aveva davvero subito così tante violenze? Era davvero stato trattato così male dai suoi coetanei? Sua nonna era davvero stata così importante per lui? Aveva davvero perso così tanti amici? Era davvero così solo? Sebbene scavasse nella sua mente la strada per raggiungere la verità sembrava essere costantemente ostruita. Spesso le cose che aveva detto erano state frutto della sua fervida fantasia da ragazzino con carenze d'affetto, erano esagerazioni dovute alla mancanza d'attenzioni, ma le aveva ripetute così tante volte che ormai avevano sostituito la veridicità degli eventi. Nonostante una parte di sé fosse consapevole di cosa avesse segnato e costruito realmente la sua vita esistenza, l'altra parte, quella esposta, continuava a fingere di non saperlo più, sommersa dalle menzogne. Cosa ne aveva guadagnato? Assolutamente niente, solo la pietà di un vasto pubblico che nulla si importava di lui. Lo specchio, invece, pietà non ne aveva. Lo specchio, silenziosamente, lo accusava di ogni singolo errore quotidianamente commesso. Lo specchio, riflettendo limpidamente la sua immagine dimostrava quanto contorta e sfocata fosse al contrario la sua mente. Lo specchio intimorisce, spaventa, terrorizza. Cosa può essere più terrificante di qualcosa che cattura così facilmente l'immagine di un qualsiasi soggetto ponendo esso stesso dinanzi al dilemma della riflessione? Non fa rabbrividire il pensiero che un giorno, prima o poi, si rimarrà da soli col proprio riflesso? Non è tremendamente triste la consapevolezza, quando ci si specchia, di essere gli unici a poter sapere esattamente cosa si sta pensando, gli unici a poter comprendere precisamente le sensazioni che si stanno provando, gli unici a poter conoscere cosa si sta diventando, ciò che è stato e ciò che potrà essere? Non lascia di sasso realizzare quanto solo ognuno di noi è? 
Io, tu, lo specchio... Ognuno per sé. Cos'altro, se non quella bellissima, fragile e levigata superficie riflettente, cos'altro potrebbe imprimere meglio nelle nostre menti la realtà effimera della vita? Guardarsi allo specchio sembra un'azione quasi banale per tutte le volte che la si ripete, così spesso che probabilmente si è perso il suo originale valore. Ma ogni volta quel riflesso muta, cambia, giorno dopo giorno. Lo specchio di quindici anni prima non aveva riportato certo l'immagine di quell'esile ragazzo spento e corrotto che vi si rifletteva in quel momento. Lo specchio di quindici anni dopo ugualmente avrebbe inoltrato un'immagine per nulla simile. Lo specchio di cinquant'anni avanti avrebbe riflesso un uomo anziano, coi segni del tempo a scavargli la pelle, un uomo distrutto dal peso della vita, qualcuno che in quello stupido pezzo di vetro non ci avrebbe riposto più fiducia. 
Che poi... Minhyuk era fermamente convinto che la sua vita non sarebbe durata ancora così tanto. 
Che senso aveva?
Diede le spalle allo specchio e reclinò la sua attenzione al campanello che squillava propagandosi rumorosamente in tutta l'abitazione. Doveva essere tardi ormai se Jooheon era già arrivato, sicuramente prima delle 18:00 non si sarebbe presentato, erano due settimane che quando arrivava a fargli visita aveva fissato una sorta di orario prestabilito, ma in fondo il bianco non se ne curava. Quel ragazzino lo stava distraendo dalla monotonia delle sue classiche giornate e, nonostante ancora non ci avesse fatto veramente caso, aveva cambiato anche qualcosa dentro di lui. 
«Honey» accennò un sorriso non appena spalancò la porta per far accomodare il minore, ma nell'esatto istante in cui lo fece una folata di vento freddo lo congelò sul posto scompigliandogli completamente i capelli sottili. Fogli di carta vari volarono via dalla credenza situata nell'ingresso e l'eco del vento risuonò nel corridoio alle sue spalle, alché afferrò velocemente la manica del minore tirandolo in casa e sbattendo la porta con un sospiro di sollievo. «Per quale assurdo motivo sei qui con questo freddo?» lo canzonò il maggiore, un po' innervosito perché il vento gli aveva buttato a soqquadro l'anticamera dell'ingresso, ma in fondo altrettanto preoccupato per la salute del castano che era solito viaggiare a piedi. 
Il più piccolo sollevò felicemente il sacchetto che stringeva con la mano destra. «Ho portato tteok e hanggwa.» 
«Come mai? Cosa si festeggia?» domandò un po' stranito il bianco. Non mangiava nulla del genere da prima che morisse sua nonna. Non si usava mangiare molti dolci lì, solo le nuove generazioni erano più propense alle schifezze commerciali, ma tradizionalmente era raro mangiare cibi dolci, si preparavano solo nelle occasioni da festeggiare. 
«Oggi è il mio compleanno, quindi mia madre ha preparato qualcosa di speciale... Non ti ho invitato a pranzare a casa perché... cioè... ho pensato che sarebbe stato un po' imbarazzante, e-ecco...» un sorriso timido illuminò le sue labbra e le sue guance si imporporarono di un leggero rossore. Minhyuk fu grato tuttavia di non aver ricevuto l'invito perché non avrebbe minimamente saputo come comportarsi, e inoltre non aveva granché voglia di conoscere la sua famiglia, gli sembrava una formalità superflua in quel momento.
«Oh auguri, se l'avessi saputo prima ti avrei contattato» disse semplicemente un po' impacciato il padrone di casa, non sapendo cos'altro fare. «E comunque non preoccuparti, anzi, ti ringrazio, non dovevi disturbarti ad arrivare fin qui per dei dolcetti.» aggiunse educatamente dopo qualche attimo di silenzio. Poi si soffermò a guardare la figura pallida del minore che si sentiva evidentemente in soggezione in quel momento, a giudicare dalla sua espressione. Che si aspettasse qualcosa di più? «Possiamo passare la serata insieme se non hai da fare, va bene? Potrebbe assomigliare a una mini festa in fondo, no?» propose infine sentendosi in difetto, quasi ingrato, nei confronti dell'altro ragazzo che aveva fatto un pezzo di strada non indifferente per condividere con lui quel momento. Non ricordava precisamente neppure quanti anni avesse... Forse 20 adesso?
Il castano annuì accogliendo felicemente l'idea, e si avvicinò di scatto facendo paralizzare il maggiore sul posto, ma solo per sistemare una ciocca dei suoi capelli tinti che il vento aveva completamente deviato dalla loro posizione naturale. Un moto di timore era insito nel bianco ogni volta che il più piccolo compiva gesti anche leggermente azzardati, si rendeva conto di aver palesemente paura per ogni minima cosa, come se fosse una sua reazione involontaria voler allontanare l'altro. Forzò ugualmente un sorriso per non far trasparire nulla di diverso dal solito e si limitò ad accennare al minore di seguirlo. Raggiunse la cucina, sistemò i dolcetti in un vassoio e domandò al minore se avesse preferenze su cosa mangiare, ma questi negò gentilmente lasciando decidere tutto a Minhyuk. 
«E se preparassimo del Ramen?» chiese a un tratto il più grande mentre analizzava gli ingredienti presenti in frigo. Il castano in risposta annuì con un sorriso e si rimboccò le maniche della felpa per poi raggiungerlo. 
«Ce l'hai il miso vero?» domandò soltanto in seguito mentre sistemavano gli ingredienti in fila sul piano da cucina. 
«Non mangerei mai il Ramen senza miso» rispose dal canto suo il maggiore accennando una risata leggera. Prese un pacco di noodles dalla dispensa, l'ultima cosa di cui necessitavano e poi cominciò a mettersi all'opera. 
«Minnie io preparo le uova?» il minore recuperò due uova dall'apposito cestello aspettando conferma dall'altro per prendere le pentole o accendere i fornelli.
«Minnie?» ridacchiò divertito il maggiore ignorando completamente la domanda e soffermandosi su quel nomignolo apparso dal nulla. Forse neppure gli dispiaceva in realtà, era piuttosto carino anche se forse con cadenza un po' troppo femminile.
«Io... ecco, non volevo...» mormorò il minore cercando di studiare l'espressione sul viso del bianco «Ti sei offeso...?» 
«Ma no, perché avrei dovuto offendermi? Va bene.» sorrise Minhyuk in modo rassicurante. «Pensa a fare le uova piuttosto» continuò ridendo e poi tornò a tagliare la carne di vitello in pezzi con le sue forbici da macellaio che avrebbero tranquillamente potuto ammazzare qualcuno. Tagliò le cipolle, e macinò velocemente le varie spezie, per poi lavarsi le mani e rivolgere tutta la sua attenzione al minore che stava friggendo le uova. Lo raggiunse silenziosamente e appoggiò delicatamente la mano sinistra sul fianco del ragazzo e l'altra mano sul braccio destro del minore, il quale, sorpreso dal gesto fece quasi cadere l'uovo dalla spatola di ferro con cui lo stava girando. 
«Hai bisogno di aiuto?» chiese piano il bianco restando incurante rispetto alla reazione emotiva dell'altro.
«No g-grazie... Ho finito...» bisbigliò il minore, quasi avesse paura di dire qualcosa di sbagliato, il che fece sorridere Minhyuk soddisfatto, perché in fondo ci aveva preso gusto a divertirsi a spese dei sentimenti del più piccolo, anche se era sbagliato. Semplicemente lo faceva perché ancora non sapeva ciò che lo attendeva più avanti. 
«Allora metto a bollire l'acqua» gli comunicò il maggiore annuendo e lasciando scivolare via le mani dal corpo del minore per poi spostarsi in giro per la cucina, intento a recuperare una pentola adatta. Una volta trovato ciò che cercava, la riempì d'acqua e la posizionò sui fornelli aspettando che andasse in ebollizione. 
«Prendo il sake?» chiese ancora Minhyuk, nel frattempo che l'acqua si riscaldasse.
«Non voglio ubriacarmi, sarebbe una tragedia poi» Jooheon soffocò una risata scuotendo leggermente la testa mentre poggiava sul ripiano di marmo il piatto con le uova perfettamente rotonde e cotte a puntino, cosa che probabilmente non sarebbero state se le avesse preparate il maggiore, data la sua fretta distratta e la poca importanza che dava a qualsiasi cosa facesse. 
«È o no il tuo compleanno?» sbuffò il bianco roteando gli occhi divertito e, ignorando ancora la risposta del minore, andò a prendere la bottiglia nuova di sake che teneva in salotto. La aprì e ne versò mezzo bicchiere ciascuno, offrendone uno al festeggiato con un sorriso. «Kanpai(*)» pronunciò scherzosamente sollevando il bicchiere in aria, seguito subito dopo dal più piccolo che lo imitò per poi buttare giù il liquore con una smorfia per via del solito bruciore alla gola. Minhyuk rise a guardarlo perché sembrava davvero non aver mai bevuto nella sua vita, e poi era così dolce con quell'espressione disgustata che quasi avrebbe voluto scattargli una foto per immortalarla. 
«Minhyuk l'acqua!» urlò il minore a un certo punto correndo verso i fornelli e togliendo il coperchio dalla pentola che stava ribollendo insieme all'acqua contenuta al suo interno. «Ma a che pensi?!?» si lamentò Jooheon risvegliandolo dal suo stato momentaneo di trance che era arrivato forse nel momento sbagliato. Cercò di riprendersi dai pensieri che avevano affollato la sua mente lasciandolo sconvolto da se stesso, e versò le spezie e i vari ingredienti nell'acqua, restando a mescolare per alcuni minuti prima di aggiungere i noodles e finalmente completare quel piatto. Servì la pietanza in due delle classiche ciotole di ceramica decorata e mangiarono seduti comodamente sul divano, al buio se non per la luce mobile e pulsante della TV e le fiammelle delle candele profumate sparse per il soggiorno, ridendo e scherzando ogni tanto su qualche stupidaggine, una cosa che al bianco era mancata davvero tanto. Passare tempo con Jooheon si era rivelata spesso una cosa positiva, riusciva per lo meno a riattivare in lui un briciolo di quella vitalità che sembrava aver perso da tanto tempo ormai. 
«Oh guarda... Hai un soffione nel cappuccio...» mormorò il maggiore raccogliendo il fiore. Non aveva mai amato particolarmente i "denti di leone" - così come li chiamavano comunemente - soprattutto perché gli ricordavano troppo la fragilità degli esseri viventi. Porse il fiore al castano, che lo prese sorridendo e soffiò in direzione del bianco, che si spostò di scatto appena alcuni acheni del fiore si scontrarono col suo viso. Si ripulì distrattamente con la manica della felpa e appoggiò la testa sulla spalla del minore, tirando i piedi sul divano e accoccolandosi in una posizione più comoda, mentre i suoi occhi seguivano tristemente il lento dondolare di quei piccoli batuffoli bianchi che si disperdevano nell'aria fino a toccare il suolo.

***

- Nota Autrice -

(*) Kanpai = solita formula che si utilizza per brindare in Giappone.
Ho scelto di usare una locuzione giapponese di proposito dato che il Ramen,
nonostante sia molto popolare anche in Corea, è comunque un cibo di origine nipponica,
come anche il sake, benché sia utilizzato ormai in scala continentale.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Anche tu, non diverso dal resto ***


Il minore si ridestò lentamente dal torpore del sonno, acquisendo gradualmente cognizione della realtà: Minhyuk era rannicchiato sul divano e aveva la testa reclinata sulla sua spalla. Le palpebre abbassate, le labbra leggermente dischiuse, il respiro leggero, lo facevano sembrare pari a un angelo. La delicatezza e la perfezione dei suoi lineamenti era surreale agli occhi del castano, che ancora, perso nel mondo dei sogni, non aveva realizzato che fosse già mattina e avesse passato la notte a casa del maggiore. Quando, dopo qualche altro minuto, riuscì a svegliarsi del tutto e a focalizzare la realtà, si sentì avvampare per la vergogna: si ricordò improvvisamente di aver bevuto due bicchieri di sake e sperava di non aver fatto involontariamente qualche cavolata di cui poi si sarebbe pentito. Il primo - o forse il secondo in realtà - pensiero andò a sua madre, che sicuramente lo aveva aspettato sveglia fino a tardi, e probabilmente non aveva dormito un sonno tranquillo pensando a suo figlio e a dove si trovasse. Jooheon sapeva che sarebbe stato difficile rassicurarla poi e sicuramente si sarebbe arrabbiata e gli avrebbe fatto una ramanzina sulla questione delle responsabilità che doveva assumersi alla sua età, ma sperava che si risolvesse tutto in fretta. Sospirò cancellando dalla mente quei pensieri, o almeno con il buon proposito di farlo, per poi rilassarsi ancora un paio di minuti, prima di decidere di trovare un modo per alzarsi e preparare la colazione, per fare una piccola sorpresa al bianco magari. Sollevò delicatamente con una mano la testa del maggiore e si alzò dal divano sistemando un cuscino sul posto dove si trovava lui prima per far stare comodo il ragazzo e poi, meravigliato da come l'altro non fosse stato nemmeno minimamente scosso da tutti quei movimenti, si apprestò a cucinare qualcosa. Optò, alla fine, per un piatto di riso alla piastra con verdure in agrodolce, più che altro perché furono i primi ingredienti che gli saltarono all'occhio nella dispensa. Preparò velocemente i condimenti e mise a cuocere il riso senz'amido sulla piastra già riscaldata. Ci volle una decina di minuti e il tutto era già pronto e impiattato, allorché il minore decise di decorare i piatti con dei naruto(*) che aveva avvistato precedentemente in un cassetto del frigorifero. Poggiò tutto su un vassoio e lo portò in salotto, sistemandolo sul tavolino da te e poi si voltò dalla parte del divano, accovacciandosi sui talloni e allungando lentamente una mano verso il maggiore, quasi l'idea di svegliarlo gli apportasse timore. Dormiva così beatamente che qualcosa gli suggeriva di lasciarlo stare così e restare semplicemente a guardarlo, e, in effetti, non sembrava una brutta idea. Non sapeva se gli sarebbe mai ricapitata nella vita un'occasione del genere, quindi perché non approfittarne? Solo il tempo non sembrava d'accordo, perché l'orologio scoccò le 11 e Jooheon si ricordò di dover tornare a casa propria oppure sua madre lo avrebbe segregato in casa per chi sa quanto tempo pur di fargli pagare la sua carenza di responsabilità.
E se invece...?
Il castano si risollevò e prese un post-it dalla mensola in cucina, scrisse un breve messaggio al maggiore dicendo di essere dovuto andar via presto per non far preoccupare sua madre e lasciò il bigliettino sul vassoio che aveva preparato. Forse andarsene prima che Minhyuk si svegliasse non doveva sembrare poi tanto carino, ma aveva una strana paura - o forse vergogna - di riparlare con lui dacché ricordava poco e niente della serata trascorsa con lui e non sapeva come comportarsi. Si morse il labbro indeciso, ma alla fine prevalse la parte più codarda. Recuperò il suo giubbotto e uscì di casa quanto più silenziosamente possibile.

Quando Minhyuk si svegliò l'orologio segnava le 11, terribilmente presto per un ghiro come lui. O meglio, in realtà non dormiva neppure molto, ma la notte la sua mente non gli dava pace: era difficile che riuscisse a prendere sonno prima delle 3/4 di mattina, e questo lo portava automaticamente a svegliarsi più tardi. La notte solitamente era sempre una lotta per il bianco, spesso la passava insonne fino all'alba, come se fosse l'avvento del sole a placare i demoni che lo assillavano; il buio non lo intimoriva affatto, ma c'era qualcosa di più profondo a disturbare il suo sonno, qualcosa che era ormai insita nel suo meccanismo vitale e che nulla avrebbe potuto cancellare, qualcosa che lui identificava come derivante da quei drammi che aveva lui stesso creato. Tuttavia, non appena si destò completamente dal torpore del sonno, si rese conto di quanto, invece, avesse dormito bene quella notte. Inizialmente ricollegò tutto all'alcool, ma subito dopo si rese conto che non poteva essere stato merito della bevanda alcolica. Ogni volta che assumeva una certa quantità di alcool finiva per chiudersi in se stesso e peggiorare la situazione, a volte addirittura era scoppiato a piangere. Ma se inizialmente aveva pensato che il sake bevuto la sera prima avesse potuto avere effetti positivi sul suo sonno, si ricredette non appena realizzò di quanto, al contrario, l'alcool lo tenesse sveglio e lo rendesse quasi più triste, facendo salire a galla tutti i peggiori pensieri che lo affliggevano.
Si stropicciò gli occhi con i pugni, un po' come i bambini, non l'aveva mai persa quell'abitudine infantile. 
Perché si era addormentato sul divano?
Notò solo allora il vassoio sul tavolo da tè con la colazione preparata e un post-it arancione incollato sopra. Sorrise spontaneamente e i ricordi presero a riaffiorare tornando ognuno al proprio posto e chiarendo così molte cose al ragazzo. 
Se aveva dormito bene quella notte era stato merito di Jooheon, la sua presenza aveva completamente rilassato la mente del maggiore, ed era la prima volta che questo succedeva. Minhyuk non perde tempo a chiedersi se fosse una cosa vantaggiosa, in quanto il minore aveva un effetto positivo e quasi rivitalizzante su di lui, o svantaggiosa, in quanto, invece, quel rapporto stava minando la solida realtà del bianco. In quel momento avvertiva una sorta di vivace entusiasmo e non aveva voglia di rovinarsi l'umore. Tutto sommato, aveva passato piuttosto bene la serata precedente e svegliarsi con la colazione già pronta era stato un altro punto pregevole. Staccò il bigliettino dal vassoio e lo lesse velocemente apprendendo il motivo per cui il minore non si era potuto soffermare ulteriormente. Pensò che fosse giusto così, in fondo qualsiasi buona madre si sarebbe preoccupata al non rientro di un proprio figlio. Afferrò affamato una ciotola di riso e un paio delle bacchette posate nel vassoio e divorò la pietanza, che era sorprendentemente saporita: non avrebbe mai immaginato che il castano avesse saputo cucinare così bene. D'altronde Minhyuk aveva imparato a cucinare per pure esigenze personali, vivendo da solo, Jooheon invece aveva ancora la sua famiglia, per cui era inaspettato il fatto che sapesse cimentarsi anche in ambito culinario. 
Qualcosa, però, gli fece pesare particolarmente il fatto di stare mangiando quella pietanza cucinata dal minore. C'era una domanda che da un po' di tempo lo tormentava segretamente, ma in quel momento era molto più chiara del solito: cosa stava facendo lui per Jooheon?
Il minore era così premuroso e infinitamente dolce e gentile... ma Minhyuk si rendeva conto di non essere stato in grado di fare nulla di buono per lui fino a quel momento. Non ricordava neppure di averlo mai ringraziato in realtà. 
Improvvisamente, tuttavia, gli balenò in testa un'idea, forse un po' stupida, ma che forse avrebbe avuto la sua utilità. Il bianco sapeva che il minore non possedeva più un cellulare da quando si era completamente infradiciato il giorno che avevano passato il pomeriggio in quel prato nei pressi del cimitero, quindi perché non aquistargliene uno nuovo? Sarebbe potuto passare come un regalo di compleanno alla fine.
Il pensiero di poter riscattare, almeno in parte, il debito morale che aveva col minore lo risollevò. Sapeva di essere un peso, neppure tanto irrilevante, e il fatto che quel ragazzino ancora non avesse gettato la spugna gli infondeva una sorta di nuova speranza nel cuore, sebbene la coscienza gli suggerisse di prestare attenzione a non riporre troppa fiducia nella persone, come al solito, per non restare nuovamente deluso. Alla fine si rendeva conto di quanto labile fosse la pazienza umana. Chiunque poteva assicurare la propria presenza con quell'ormai privo di significato "per sempre", come chiunque, d'altronde, poteva giurare fedeltà eterna senza curarsi di quanto fosse invece difficile adempiere a quelle parole. Era così che crollavano le amicizie, come era così che crollavano le storie d'amore. Gli esseri umani hanno smesso di pesare le proprie parole, nessuno fa caso al vero significato di ciò che viene detto. Eppure, soffermandocisi, sembrava semplice, quindi perché nessuno se ne preoccupava? Mantenere le promesse era così difficile? Minhyuk si rese conto di quanto tutto ciò lo riguardasse in primo piano: lui era il primo a mentire e dimenticare le promesse. 
Con quella triste convinzione finì per passare il resto della giornata. Svolse tutte le mansioni casalinghe che lo impegnavano quotidianamente, nonostante quella mattinata non fosse più particolarmente di buon umore, dopo che i pensieri avevano invaso la sua mente. Poi riuscì a ritagliarsi un po' di tempo per visitare uno store di telefonia mobile e acquistare il regalo che stava cercando. Tornò a casa in pieno pomeriggio, sollevato del tepore di casa e si ridusse a poltrire sul divano insieme alla sua TV e ai suoi videogiochi preferiti, aspettando che passasse il tempo. 
Il tempo però era passato in modo incredibilmente veloce, e il bianco si rese conto dell'orario solo quando cominciò ad avvertire i morsi della fame ed erano ormai già le 9 di sera. Mangiò in silenzio, da solo, così lentamente che dopo un po' la voglia di mangiare gli passò del tutto. Gettò nella pattumiera il cibo avanzato e sistemò svogliatamente i pochi piatti sporchi in lavastoviglie, per poi tornare a ristagnare sul sofà, con la consapevolezza che la persona per la quale aveva atteso tutto il pomeriggio, quel giorno, non era arrivata.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Favori d'amicizia ***


«Oooy hyung!» 
Il ragazzo di spalle si voltò e accennò un sorriso, che in realtà sembrava, come al solito, una mezza smorfia, forse a causa della sue labbra carnose. In realtà, però, quelle erano uno dei punti forti della sua bellezza, quindi il moro non se n'era mai lamentato. 
«Jooheonie, non ti ho visto più, sei rimasto chiuso in casa?» domandò il più alto. Il minore si rendeva conto che da un po' di tempo aveva trascurato i suoi amici, da un po' di tempo come, ad esempio, da quando Minhyuk era entrato a fare costantemente parte della sua vita. Parlava davvero poco con Changkyun, che da sempre era il suo migliore amico, e ancora di meno con Hyungwon, il suo vicino di casa. «Non mi hai neppure risposto al messaggio che ti ho mandato per farti gli auguri.» Aggiunse il maggiore stampandosi un'espressione offesa in viso. Jooheon si sentì in colpa realizzando ciò che l'amico gli aveva appena riferito. Era stato così preso dalla nuova enigmatica presenza che aveva fatto improvvisamente capolino nella propria quotidianità e che stava facendo della sua vita un mero tentativo di speculazione in merito a quella stessa, per il nobile fine di snodare i drammi che affliggevano quel ragazzo e al contempo saziare la propria curiosità. Minhyuk era troppo, forse, per un ragazzo normale come lui, ma la forza del minore erano proprio la sua immane coerenza e la costanza che impegnava in un tentativo dopo l'altro. Anche se questo sforzo aveva comportato una svolta della sua vita, l'allontanamento dai suoi vecchi compagni, il distanziamento dalla sua stessa famiglia, non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi.
«È che... Non ho più un telefono... E che ultimamente sto conoscendo una persona e sto avendo davvero molto poco tempo. L'altro ieri sono stato con lui e sono tornato a casa ieri mattina... Ti lascio immaginare la reazione mia madre tra l'altro.» Jooheon rispose sinceramente, sbuffando sul finire della spiegazione e il maggiore annuì, cosciente di quanto la madre del castano fosse iperprotettiva, nonostante il figlio fosse grande e vaccinato ormai.
«Uhm... Però aspetta...» Hyungwon drizzò le orecchie cogliendo solo il quel momento nella frase del minore un dettaglio particolarmente invitante. «Dici... Lui?» sulle sue labbra gonfie per natura spaziò un ghigno che di innocente non aveva nulla e assunse la sua tipica posa a braccia conserte, mettendo non poco a disagio Jooheon.
«È... u-un amico...» farfugliò l'altro cercando di evitare lo sguardo del maggiore, ma invano. Tanto in fondo Hyungwon aveva già capito tutto.
«Senti Joo-ah io oggi esco con Hoseok, quindi non riesco a liberare il pomeriggio. Se vuoi, però domani andiamo a guardare la partita di basket in palestra, è domenica, e mi racconti un po', okay?» propose il corvino dopo qualche attimo in cui dovette organizzare mentalmente il weekend. Jooheon si meravigliò della proposta perché ormai era da più di un anno che non frequentavano insieme gli incontri di basket che si tenevano settimanalmente nella palestra del loro quartiere. Quello era un posto piccolo e abbastanza dimenticato della città, un angolo fantasma in una provincia troppo vasta perché l'amministrazione si curasse di quel luogo povero e infruttuoso. Hyungwon aveva una situazione certamente più benestante, eppure suo padre, nonostante avesse dovuto lavorare duramente per ottenere l'agiatezza che oggi aveva la sua famiglia, non aveva mai voluto abbandonare la casa in cui aveva vissuto da piccolo. E così, l'aveva fatta ristrutturare e a quel punto probabilmente l'abitazione del corvino era la cosa più nuova e splendente di tutto il quartiere. Si viveva alla giornata, alcune ferree abitudini dimostravano la lontana arretratezza civile che presenziava tra quelle stradine, come i contadini che vendevano i propri prodotti caricando le cassette di legno sui vecchi camioncini tre ruote che quasi cadevano a pezzi, l'abbondanza di drogherie e la quasi assenza di normali supermercati, i medici che visitavano i pazienti nelle loro case per via dell'assenza di ospedali e farmacie vicine, la coda di persone che alle 5 di mattina si riuniva insieme canticchiando per andare a lavorare nelle filande o nelle fabbriche alimentari, le fumarole che affumicavano le abitazioni ostruendo la respirazione per giornate intere quando si bruciavano i falò di immondizia nei momenti in cui diventava troppa e non veniva recuperata dal servizio cittadino della città di Gwangju... Era così strano,ad esempio, cambiare quartiere ogni volta che andava da Minhyuk. A soli cinquanta minuti di distanza da casa sua l'atmosfera era completamente diversa: le case erano tutte ordinate, la pianta di costruzione del quartiere perfettamente architettata nel minimo dettaglio, niente abitazioni addossate le une alle altre, niente stradine strette e inaccessibili ai mezzi, niente baracche e bancarelle sui marciapiedi, niente fognature rotte e sistema d'illuminazione insufficiente... Jooheon a casa sua di solito non aveva neppure accesso all'acqua potabile dopo le 10 di sera poiché i pozzi si svuotavano per quanto sovrappopolato fosse quel quartiere, e i lampioni erano quasi sempre spenti, dopo il tramonto i palazzi divenivano sagome stagliare del buio più oscuro e la poca illuminazione delle strade era dovuta alle rare luci accese nelle abitazioni. Era così triste notare quel cambiamento assurdo: ogni volta che metteva piede in un altro quartiere era come arrivare in un paese completamente diverso. Se attraversava tutti i giorni quel confine accusando i brividi ogni singola volta che varcava quel muro di divisione invisibile, era solo per il bianco. Ma, in fondo, non l'avrebbe neppure conosciuto Minhyuk se quel giorno non fosse andato a far visita a suo nonno nel cimitero del quartiere vicino, poiché era il compleanno del vecchio che era stato seppellito là, dal momento che quando era morto nel loro insulso angolo di mondo non esisteva neppure un cimitero.
«Jooheon?» lo richiamò la voce del maggiore distraendolo immediatamente dai suoi pensieri. L'altro sorrise scuotendo la testa: «Se non ti va non farti problemi, basta dirmelo, lo sai.»
Il minore si affrettò a negare con la testa scusandosi. «Certo che mi va, solito orario?» 
«Solito orario.» il corvino annuì e poi lo salutò avviandosi per andare via. Ma qualcosa stava martellando le tempie al minore cercando di venire alla luce, un sussurro continuo che non comprendeva, o meglio non ricordava più. Qualcosa gli intimava di richiamare Hyungwon e chiedergli qualcosa, ma non sapeva neppure cosa, quindi rinunciò e deglutendo finì di spazzare via le foglie secche dallo stretto portico che precedeva il giardino. Cos'è che doveva domandare al suo hyung? 
Il vuoto totale devastò la sua mente per tutto il tempo in cui terminò di sistemare l'esterno, ma quando rientrò in casa e i suoi occhi intercettarono l'orologio appeso alla parete improvvisamente si rese conto del pensiero che lo aveva assillato tutta la nottata e, in realtà, silenziosamente anche tutto il giorno. 
Minhyuk... 
Era già tardo pomeriggio e a quell'ora soleva andare sempre da lui, ma non poteva. Sua madre lo aveva costretto a restare in casa o "nei paraggi" per un tempo indeterminato che avrebbe deciso lei, per via della sua "bravata irresponsabile". Non aveva potuto neppure difendersi e giustificarsi in qualche modo, perché la donna aveva minacciato di riferirlo a suo padre, e se lui ne fosse venuto a conoscenza Jooheon sapeva che non ne sarebbe uscito facilmente. Aveva pensato, infine, che la cosa migliore era aspettare che la sfiducia di sua madre sfumasse, in modo da poter pretendere di nuovo la libertà che aveva di solito. E fino a quando non l'avrebbe riottenuta l'unico modo che aveva per far sapere ciò che era successo a Minhyuk era Hyungwon.

Il castano passò la notte insonne a cercare le parole adatte per spiegare al maggiore la sua assenza, e a sperare che quello capisse la situazione e lo perdonasse. E il giorno dopo non appena vide Hyungwon la prima cosa che fece fu consegnarli la breve lettera che aveva composto nella mattinata.
«Ti prego Wonnie, ho davvero bisogno che tu mi faccia questo favore. Mia madre non mi comprerà un cellulare per molto tempo ancora probabilmente e Minhyuk è... ecco... un tipo particolare... Non vorrei pensasse che non ho più voglia di vederlo o cominciasse a odiarmi...» 
«Joo-ah, se non mi soffochi magari ci arrivo a casa sua» si lamentò il maggiore e il castano mollò all'istante la presa disperata delle sue mani sul colletto della maglia dell'altro. 
«S-scusa... È che c-ci tengo m-molto...» si giustificò Jooheon grattandosi la nuca imbarazzato dall'essersi lasciato prendere così tanto. 
«Tranquillo, ci andr-»
«ODDIO GRAZIE!!» il minore esultò gridando e poi coprendosi la bocca con le mani per attenuare l'entusiasmo. «L'indirizzo è scritto dietro la busta e... e diglielo che sei un mio vecchio amico, non vorrei pensasse male e poi non mi parlasse più...» 
«Jooheon... Nessuno potrebbe odiarti, o non parlarti più per motivi così.» disse l'altro intervenendo nell'ansia del minore, senza tuttavia riuscire a placarla. Egli immaginava fosse difficile pensare di odiare qualcuno solo per essere sparito per un paio di giorni, con un motivo del tutto valido tra l'altro... Però Minhyuk era completamente imprevedibile e il suo carattere era alquanto instabile, e, non potendo sapere quale sarebbe stata la sua reazione, preferiva prevenire una qualsiasi possibile incomprensione. Non voleva assolutamente perderlo già.
«Lui lo farebbe...» si morse il labbro chinando leggermente il capo.
Hyungwon aggrottò le sopracciglia sorpreso quanto indignato da quella risposta e scosse la testa. «Allora cambia ragazzo.»
«Non voglio...» 
«Ma dovresti.» ribatté l'altro severamente guardandolo in quel modo preoccupato ma comprensivo allo stesso tempo con cui ti guardano gli amici. Magari era vero, Minhyuk non gli avrebbe mai dato le giuste attenzioni, non lo avrebbe mai saputo consolare, non sarebbe mai stato in grado di prendersi cura di lui, ma solo perché quello che aveva più bisogno di attenzioni, consolazioni e cure era proprio lui, e Jooheon si era prefissato di essere quella persona che lo avrebbe risollevato di nuovo. 
«Ne vale la pena, fidati.» sorrise il minore. Un sorriso solare, pieno di luce, come se brillante dall'interno, un sorriso che Hyungwon non aveva mai visto forse sulle sue labbra, o almeno non lo vedeva da quando erano piccoli, da quando giocavano sulle giostre rotte nel parchetto della scuola materna gestita dalle suore cattoliche, da quando saltavano scuola insieme per giocare con le figurine consunte vecchie anni e anni, da quando andavano ad aiutare ogni giorno la Signora della drogheria del viale a sistemare gli scatoloni di provviste che le arrivavano per ricevere qualche spicciolo e comprare le caramelle, da quando vivevano quel periodo giovane della vita nel quale tutto è nuovo, tutto è bello, tutto è abbastanza. Crescendo nulla più è sufficiente a soddisfare i propri bisogni, è normale che gli orizzonti si amplino, ed è così normale anche perdere le conoscenze, allontanarsi, conoscere nuove persone, essendo sempre puntualmente alla ricerca della perfezione. La realizzazione che quella perfezione non verrà mai raggiunta, poi, fa perdere la speranza, riduce gli esseri viventi a sopravvivere senza trovare più nulla di abbastanza soddisfacente da suscitare quella gioia primordiale innata. 
«Allora mi fiderò di te. Vai, prendi ciò che devi, e torna vincitore. Se secondo te questa è la persona giusta voglio vederla per sempre al tuo fianco. Ti darò ragione soltanto quando mi sarò accertato che sarà così.» Hyungwon gli diede un pugno scherzoso sulla spalla e sorrise al suo amico, felice di rivederlo con un nuovo scopo dopo tanto tempo. Il minore ricambiò il sorriso con gli occhi lucidi, grato, invece, di non aver perso un amico simile.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Incontro inaspettato ***


Hyungwon trascinava un piede dietro l'altro, contando attentamente i suoi passi, come se fosse un buon passatempo per evitare di pensare. Non sapeva che persona aspettarsi da questo "Minhyuk", ma Jooheon gli era sembrato così felice parlando di lui che rifiutare quel favore sarebbe stato impossibile. I numeri sulle piastrelle di ceramica posizionate fuori da ciascuna abitazione scorrevano lentamente sotto il suo sguardo meticoloso, e, metro dopo metro, si avvicinavano alla sua destinazione. Non sapeva se fosse stata una buona idea questa della lettera, d'altronde non tutti accettano ciò che gli viene posto da un qualche sconosciuto, ma il minore aveva insistito così tanto... Hyungwon non sarebbe stato mai capace di negare qualcosa agli occhi dolci di Jooheon; nonostante avessero meno di un anno di differenza, si era sempre assunto la carica di fratello maggiore e il castano ai suoi occhi appariva ancora come un bambino da proteggere. Quando, sulla destra, avvistò poi il numero 48, l'ansia cominciò a prendere il sopravvento sulla sua lucidità mentale e sembrò diventare completamente paranoico. Se Minhyuk fosse stato un qualche gangster? D'altronde non sapeva che persone piacevano al suo amico... Se fosse stato un tipo grosso, tutto tatuato, con la casa piena di armi e due pitbull in giardino? Se, non conoscendolo, lo avesse scambiato per qualche ladro e lo avesse picchiato?
Anche se, effettivamente, i ladri non bussano alla porta... 
Hyungwon tirò un pesante respiro, abbandonando quei pensieri disumani, e premette delicatamente il pulsante sul citofono,quasi avesse paura di disturbare, nonostante Jooheon lo avesse avvisato del fatto che vivesse da solo e dormisse poco, quindi i motivi di disturbo erano davvero pochi. Tuttavia nessuno aveva rassicurato il povero ragazzo sull'espansività o spontaneità dello sconosciuto al quale stava facendo visita, e, in effetti, a Minhyuk non erano mai piaciute le visite improvvisate, così come non gli piaceva illudersi della presenza di qualcuno che poi puntualmente lo abbandonava.
Quando, dopo alcuni secondi, la serratura della porta scattò, il viso che Hyungwon si ritrovò dinanzi era qualcosa di molto diverso da ciò che la sua immaginazione malata aveva creato. Era un ragazzo normale, sebbene i suoi tratti delineassero una figura pressoché angelica, nonché oggettivamente bellissima. Era un sollievo notare che Jooheon non avesse gusti strani, e, anzi, avesse trovato un ragazzo così carino. I capelli spettinati e gli occhi profondi gli conferivano un aspetto dolce, nonostante il suo sguardo non fosse dei più cordiali. Perlomeno non era nulla di somigliante a qualche pericoloso criminale capace di mettere a repentaglio la vita del minore. 
«Scusa se ti interrompo, ma tu saresti?» la voce ispida del bianco infierì tra i pensieri del ragazzo costringendolo a ricredersi sulla dolcezza della persona che aveva di fronte, ma cercò di non farsi influenzare dalla sua forte presenza caratteriale. 
Hyungwon smise immediatamente di fissarlo, inspirò una grande boccata d'aria in modo pressoché teatrale, come se si stesse preparando a recitare una cantilena imparata a memoria, ed estrasse la lettera dalla tasca interna del cappotto. «Mi dispiace, non mi sono presentato... Mi chiamo Chae Hyungwon, sono un amico di Jooheon, mi ha mandato qui al posto suo per darti questa perché è costretto in casa al momento.» 
Il proprietario di casa si illuminò a sentire il nome del castano, quindi annuì e aprì del tutto la porta. «Vuoi entrare?» 
Il corvino inclinò la testa un po' a disagio. «Se non disturbo...»
«Ma no, figurati.» Minhyuk si spostò lateralmente, lasciando tutto lo spazio a Hyungwon per entrare, poi richiuse la porta e lo scortò in salotto facendogli cenno di seguirlo. Il più alto non poté non notare la casa enorme e tenuta in modo impeccabile, qualsiasi cosa sembrava curata, ogni soprammobile o quadro, dalla moquette ai tasselli dei mosaici del soffitto, fino al profumo di lavanda che aleggiava fievole nell'arieggiato salone. Seguì il maggiore sino ai divani, dove quegli gli chiese gentilmente di accomodarsi, e allora si soffermò alla figura esile del ragazzo seduto sulla poltrona dal lato opposto al suo. Il bianco era davvero magro, già dagli zigomi sporgenti del suo viso lo si poteva notare, ma guardandolo interamente Hyungwon poté constatare quanto fosse davvero sottile la sua fisicità, dalle gambe alle braccia, i cui ginocchi e gomiti ossuti saltavano prepotentemente all'occhio, fino al busto fasciato da una maglia piuttosto stretta. E, nonostante questo gli conferisse ancora più finezza ed eleganza, fu un valido motivo di dubbio per il minore che si domandò se il bianco non avesse qualche disturbo alimentare. Il corvino non era certo molto in carne, anzi, ma a quanto pareva c'era qualcuno messo drasticamente peggio. «Però se smetti di fissarmi è meglio.» Aggiunse la voce piatta e grave del maggiore, distogliendo ancora una volta il moro dai suoi pensieri, il quale si scusò istantaneamente inchinando la testa più volte. «Fa' niente. Dimmi, come mai Jooheon non può uscire di casa?» 
«Uhm... Ecco... Ha litigato con sua madre e per un po' sarà molto limitato nelle uscite. Sin da quando era piccolo i suoi genitori sono sempre stati molto protettivi, e piuttosto all'antica anche...» sospirò Hyungwon cercando di spiegare in breve un resoconto al maggiore. Jooheon non parlava mai molto di sé, quindi non era una sorpresa per il corvino sapere che Minhyuk non conoscesse il motivo delle assenze improvvise del minore, soprattutto ora che non aveva più nemmeno un cellulare. 
«Devi conoscerlo da molto tempo.» commentò il bianco accavallando una gamba all'altra e allungando una mano verso il suo ospite per farsi consegnare la lettera. Questi gliela allungò per poi annuire nervosamente alla sua domanda.
«Abito nella casa accanto alla sua, siamo amici da sempre. E poi il nostro è un rione in cui si conoscono un po' tutti...» spiegò ancora mentre il maggiore riponeva il foglio sul tavolo da tè senza averlo ancora letto e offrì dei cioccolatini al minore porgendogli il vassoio argentato che giaceva sul ripiano di vetro. Hyungwon dovette richiamare la forza di volontà da ogni suo neurone per rifiutare pur di non sembrare scortese, e restarono a chiacchierare una buona mezz'ora variando da un argomento all'altro senza davvero mantenere un filo logico di discorso... Minhyuk non era una cattiva compagnia, era una presenza piacevole, sebbene non trasmettesse niente di quella grande euforia vitale di cui aveva parlato Jooheon, e non sorridesse praticamente mai, al contrario di quanto raccontato dal castano. Hyungwon pensò quasi di aver sbagliato persona, perché quel ragazzo dai capelli bianchi non sembrava affatto qualcuno capace di provare sentimenti così negativi quali odio e rancore, né sembrava tanto irragionevole da cominciare a provarne per un motivo come quello di cui si era preoccupato Jooheon.
Era quasi sera ormai quando il corvino lasciò la casa del maggiore, ma, sull'uscio della porta, le parole improvvise del bianco lo fecero bloccare di scatto: «Tu, però aspetta un attimo... io ti conosco già.» Aveva detto. Non era una domanda, era un'affermazione così convinta che fece quasi accapponare la pelle al minore.
«Come scusa? Non credo sia possibile...» si voltò nuovamente il corvino; la figura in controluce di Minhyuk, che si stagliava scura davanti al colore caldo delle luci di casa, sembrava spaventosa nella gelida e buia serata che stava calando. 
«Tu sei quello che sta con Hoseok, vero?» 
Hyungwon aveva annuito timidamente, forse più per il tono del maggiore che per altro. Non ricordava di aver mai visto quel viso prima d'ora e non ricordava che Hoseok gli avesse mai parlato di qualcuno di simile. Così si costrinse a tornare a casa rimuginando su come potesse Minhyuk conoscere il suo ragazzo e su quale rapporto ci fosse tra i due, o anche se ne avesse dovuto parlare a Hoseok...

Minhyuk passò la serata, come i giorni successivi, pensando a quanto il volto del corvino gli fosse stato così familiare sin dall'inizio. Ricordava perfettamente quel giorno di un anno e mezzo addietro, quando per qualche strano motivo aveva deciso di uscire di casa e andare al cimitero, e per qualche scherzo del karma aveva incrociato il suo non più migliore amico al bar con qualcuno. Qualcuno del quale aveva impresso i lineamenti in testa senza più dimenticarli. 
Non era tanto piacevole da sapere che Jooheon fosse amico della persona principale causa della distruzione dell'amicizia più bella che avesse avuto nella sua vita, ma in fondo doveva interessargli poco. La cosa che peggiormente lo stava straziando in quei giorni era la solitudine, marcata al punto da fargli arrivare a pensare di prendere il primo treno e tornare a Seoul da Kihyun. Eppure il suo orgoglio non la conciliava neppure quella opzione. Il bianco non aveva risposto a nessun messaggio dell'altro da quando si erano lasciati l'ultima volta, e, nonostante avvertisse una sfumatura di rimorso nei suoi confronti, non era in grado di scrollarsi di dosso abbastanza presunzione per riuscire a chiedere scusa al rosa. La malinconia e la solitudine lo stavano divorando, eppure in quei momenti si limitava a mordersi il labbro sperando che la "prigionia" del minore finisse in fretta, e a rileggere qualcuna delle frasi dolci che aveva scritto su quel foglio di carta.

“...Avrei bisogno di un tuo sorriso in questo momento, o forse vorrei semplicemente guardarti dormire ancora...”

Il bianco si chiese come sarebbe potuto essere guardare la persona che si ama mentre riposa beatamente nella pace del sonno. Era stato così preso dal convincersi di aver vissuto drammi non suoi che aveva dimenticato persino di innamorarsi. Sembrava non aver mai avuto tempo per le piccolezze della normalità, come se, impegnato a ricercare attenzioni, avesse denigrato l'interesse per la semplicità. Non credeva di aver mai provato sentimenti particolari riconducibili all'amore nel senso proprio della parola, non ricordava neppure di aver avuto la sua "prima cotta". Possibile che avesse ridotto la sua esistenza ad una così vana ricerca di compassione? 
Era già lunedì pomeriggio quando il rumoroso campanello riecheggiò nuovamente in tutta la casa, costringendo il bianco a scendere di corsa le scale con solo l'accappatoio indosso, essendo da poco uscito dalla doccia. Guardò dallo spioncino e notò il viso conosciuto di Hyungwon, o forse notò prima le sue labbra prominenti che tutto il resto della figura, ma per Minhyuk erano ormai un segno di riconoscimento piuttosto funzionale. Era la terza volta che il ragazzo andava a fargli visita, e Jooheon non si faceva vedere da dieci giorni... Il corvino aveva detto che addirittura non era riuscito a uscire neppure per consegnargli la lettera, ma gliel'aveva passata attraverso la finestra. Il maggiore era stato sul limite dell'esasperazione, quasi incredulo ai racconti del più alto riguardo la mania apprensiva e antiquata dei genitori del più piccolo, ma alla fine si era arreso all'evidenza che, verità o bugia, avrebbe dovuto farsene una ragione. D'altronde, anche se fosse stata una menzogna, Jooheon non sarebbe stato né l'unico né il primo ad aver mentito tra di loro
Per l'ennesima volta in quei giorni, e puntualmente per inaugurare la settimana appena iniziata, il vassoio di cioccolatini e caramelle tentò la golosità di Hyungwon, e per l'ennesima volta il tempo si ridusse velocemente ad una fragorosa chiacchierata tra persone che non si conoscono per nulla e che quindi hanno infinite cose di cui parlare. Era un po' la consuetudine: una volta che si conosce troppo bene una persona si perde tutto l'interesse nei suoi confronti; altrimenti che motivo avrebbero avuto amicizie ed amori di concludersi così crudelmente? 
«Senti... Ma Hoseok non ha mai parlato di me?» 
Hyungwon rimase interdetto dall'improvvisa ed inaspettata domanda, e dal suo sguardo perso Minhyuk dedusse subito la risposta, lasciando scivolare la presa sul braccio del più alto. Quando poi l'altro scosse piano la testa, quasi intimorito, si frantumò ogni barlume di luminosa speranza che aveva acceso, seppur di poco, gli occhi del bianco per quell'istante. Ci aveva sperato davvero? 
«Oh, va bene!» Il maggiore annuì sorridendo, fece un cenno di saluto con la mano al corvino, il quale, completamente attonito dal comportamento dell'altro, attraversò disorientato il porticato della casa, allontanandosi sovrappensiero. Quello era il primo sorriso che Minhyuk gli aveva rivolto. Ma... Poteva davvero chiamarlo sorriso? Era così splendente da sembrare una fetta di cielo stellato, eppure così vuoto di emozioni... 
«Spero possiate essere felici, allora.» Augurò il bianco, alzando il tono per farsi sentire dal minore che stava attraversando il vialetto.
Almeno voi. 
Hyungwon si voltò e gli sorrise cordialmente in risposta ringraziandolo.
«E divertitevi!»
Finché non si stancherà anche di te.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Invito ufficiale ***


Minhyuk analizzò la lettera, come al solito, per assicurarsi che non fosse manomessa o avesse qualche compromissione. Poteva essere una semplice paranoia, eppure non riusciva a smettere di essere terrorizzato all'idea che stesse cadendo vittima di una presa in giro. D'altronde, era sempre stato lui a mentire e sentirsi invece dall'altra parte gli accumulava un malessere interiore non indifferente. La scrittura di Jooheon l'aveva vista, la conosceva, si sarebbe tranquillamente accorto di una falsificazione. Ma perché mai qualcuno avrebbe dovuto prendersi gioco di lui? Quante persone davvero conosceva nella sua vita? Quante oltre lo schermo del cellulare? Se spegneva quel dannatissimo aggeggio si rendeva conto di essere completamente abbandonato a se stesso. Era per questo forse che la presenza di Jooheon era stata così rilevante, come una piccola concretezza nel suo mondo di fantasmi. Kihyun non aveva capito nulla, non aveva fatto altro che incrementare i suoi problemi, i suoi drammi. Hoseok aveva capito tutto invece, e nel momento peggiore aveva preferito abbandonare i cocci per terra invece che raccoglierli. Jooheon però era arrivato come un angelo custode, in quel cimitero dove probabilmente il bianco avrebbe gettato se stesso se solo avesse avuto davvero il coraggio di mettere fine alla sua vita. 
Dispiegò il foglio di carta per leggere ciò che vi fosse scritto, ma dovette riprendere più volte quelle righe per accertarsi che i suoi occhi non lo stessero ingannando, eppure la calligrafia era chiara come sempre, l'unica cosa confusa in quel momento era la mente del maggiore. Un fremito di paura scattò nei suoi nervi, impedendogli di ragionare lucidamente. 
Calmo... Ci sono ancora cinque giorni...
Jooheon lo aveva apertamente invitato a pranzo quel sabato.
Forse quella cosa stava andando troppo oltre?
Minhyuk non si era aspettato nulla del genere, non credeva di essere nella confidenza tale per presentarsi a casa sua e conoscere i suoi genitori.
Non era per niente il momento adatto.
Perché? Perché il minore gli aveva chiesto una cosa simile?
Il bianco abbandonò la lettera su una credenza e si ritirò direttamente in camera sua, gettandosi sul letto in preda alle emozioni che non riusciva a controllare. Stare da solo era più difficile, non c'era nessuno da cui proteggersi, nessuno da cui nascondersi, e i sentimenti si riversavano torrenzialmente all'esterno, come un fiume che straripa rompendo gli argini artificiali che lo contenevano. 
Non si sentiva all'altezza di poter affrontare una scelta del genere.
Non aveva mai avuto dei genitori, non sapeva come comportarsi, non aveva idea di come presentarsi, cosa dire, cosa indossare, cosa portare in regalo come consuetudine tradizionale. 
Cosa diamine era venuto in testa a Jooheon?
Non poteva accettare un invito simile.

E invece alla fine la mancanza aveva prevalso, valicando le montagne dell'ansia. Deludere il minore poteva significare perderlo e Minhyuk si sentiva ancora meno pronto a quello. Se incontrare i suoi genitori lo spaventava, immaginare un presente senza il castano lo terrorizzava, lo atterriva sino all'annullamento della personalità. Si sentiva del tutto svuotato pensando a come riuscire a rialzarsi senza lui a tendergli ancora una volta la sua mano. Preferiva accontentarlo e tentare l'impresa, meno che restare a crogiolarsi tra i sensi di colpa aspettando la conferma che il minore non sarebbe più tornato indietro. Jooheon aveva sempre sottolineato quanto tenesse alla sua famiglia, e il suo pensiero riguardo quell'argomento era così ferreo che risultava difficile contraddirlo. Aveva una concezione così perfetta di quel luogo caldo e accogliente, nonostante le incomprensioni, aveva sempre ritenuto il nido familiare l'unico posto sicuro, quello nel quale si può sempre tornare senza paura perché si verrà sempre perdonati dalle persone che ti hanno messo al mondo. Minhyuk avrebbe tanto voluto contraddirlo ogni volta, ma la luce che brillava puntualmente negli occhi del castano glielo impediva moralmente. Cosa voleva dirgli? Un'altra menzogna? Forse non se lo meritava... Però, per quanto avesse potuto mentire, in fondo aveva davvero assaggiato il sapore amaro della lontananza dai propri genitori, coloro che separandosi lo avevano lasciato alle cure di una vecchia che non aveva idea di come crescere un bambino. Che il bianco avesse inscenato mentalmente la morte dei suoi genitori era tutto un dire, ma il disprezzo verso quelle persone e la solitudine che avevano impiantato nel cuore del bambino era tale da averlo condotto a ciò, e in realtà anche a molto altro.
Per questo motivo aveva radicalmente bisogno di qualcuno accanto a sé. Qualcuno che colmasse, per quanto si potesse, quella profonda mancanza e che curasse le ferite che gli erano state inflitte prima ancora di quelle che si era inflitto da solo. Jooheon, suo malgrado, sembrava abbastanza ingenuo da poter affrontare quell'increscioso incarico, e Minhyuk non poteva lasciarlo andare così, come se niente fosse. 
Riguardò per l'ultima volta l'indirizzo inserito sul foglio di carta già sgualcito, afferrò il regalo per il minore che aveva acquistato la settimana precedente e uscì per comprare dei fiori, fermandosi poi in un negozio di cucina artigianale vicino per prendere anche una confezione in vetro di Dasik(*) e un vassoio di Yakgwa(**) ancora caldi. Con la macchina impiegò pochi minuti per arrivare a destinazione, e metro dopo metro sentiva le mani iniziare a sudare e l'ansia ricominciare a salire. Scendere dall'auto con tutte quelle cose tra le mani lo fece sentire un completo idiota, tanto che l'analisi del posto in cui si trovava passò in secondo piano. I suoi occhi captarono solo qualche dettaglio che gli fece apparire tutto arido, angusto, cupo, fino a sembrare quasi dimenticato e diroccato. Ciò che più guadagnò la sua attenzione, tuttavia, fu la porta col numero al quale doveva bussare. Il piccolo porticato d'ingresso era curato e adornato da qualche cianfrusaglia tradizionale, nonostante la piccola abitazione fosse palesemente molto modesta. 
Quindi è da qui che vieni... pensò mestamente il maggiore mordendosi il labbro e cercando di bussare alla porta senza far cadere nulla. Sperava solo di non essere in anticipo o in ritardo, di non fare brutta figura per i dolci, di non sembrare troppo svampito per via di quei capelli bianchi e della camicia larga con gli skinny e gli stivaletti. La donna che aprì la porta gli sorrise cordialmente facendo apparire due fossette identiche a quelle del figlio. «Minhyuk, giusto?» la sua voce dolce accolse il ragazzo nell'umile ambiente d'ingresso, prendendo i fiori che il bianco gli aveva pórto timidamente e sistemandoli accanto a degli altri in un vaso sul davanzale della finestra lì vicino. «Accomodati pure, Jooheon è in camera, adesso lo chiamo.» 

Minhyuk probabilmente tornò a respirare solo dopo che la donna si fu allontanata, allora approfittò del momento per poggiare i dolci sul tavolo della cucina. Fortunatamente l'ingresso era collegato apertamente al salone e alla cucina, in modo da evitare al ragazzo eventuali brutte figure se fosse stato costretto ad aprire delle porte. Tutto sommato a prima impressione non sembrava male la famiglia del minore, anche se fino a quel momento aveva potuto vedere solo la madre. L'ansia che aveva accumulato, però, si scaricò quasi del tutto solo quando intravide il ragazzo dai capelli castani uscire da una stanza con la porta scorrevole. I loro occhi si incontrarono di nuovo, dopo troppo tempo che erano stati lontani, e Minhyuk sentì quello strano fievole calore propagarsi dal petto come era già successo in presenza del minore. Jooheon avanzò velocemente verso di lui avvinghiandosi al bianco non appena lo raggiunse e abbracciandolo incredulo. Il maggiore, dopo la sorpresa iniziale, si limitò a ricambiare più morbidamente l'abbraccio, contento in fondo di quel gesto così spontaneo, sebbene non lo desse troppo a vedere. Era tanto tempo che non si sentiva stretto così da qualcuno, neppure ricordava più che sensazioni si provassero a stare tra le braccia protettrici di qualcun altro. Così tanto tempo che non ci era più abituato e, in fin dei conti, la vita era tutta una questione di mera abitudine. Ci si abitua a tante azioni quotidiane e non, e quando poi qualcuna di esse finisce nel dimenticatoio non si sa più come recuperarla, perché ormai non si tiene più a mente il sapore di quelle emozioni che portava con sé e si ha paura di riscoprirne altre nuove.
«S-sei venuto davvero...» mormorò il castano sciogliendo il suo abbraccio non appena si sentì evidentemente in imbarazzo per quel contatto prolungato. Ci era andato davvero? Eh sì, chi sa per quale forza sovrannaturale... Ma ormai era lì e forse tutte le sue paure erano state infondate, forse non sarebbe stata una giornata del tutto negativa, no?
Il bianco schiuse le labbra per rispondere ma in quel momento la sua attenzione venne catturata da una ragazzina, sicuramente più giovane di qualche anno rispetto a loro, che stava uscendo dalla stessa stanza dalla quale era uscito il minore prima. Jooheon si voltò anch'egli a guardare per poi rivolgere l'attenzione a Minhyuk sussurrando qualcosa che non aveva compreso bene. Doveva essere sua sorella, risolse tranquillamente. Non appena il castano si distrasse nuovamente il maggiore ne approfittò per avvicinarsi e poggiargli delicatamente una mano su un fianco, per poi porgergli con l'altra il sacchetto con quello che doveva essere un regalo forse di compleanno. Poi portò anche la seconda mano sull'altro fianco del minore e posò il mento sulla sua spalla, attento mentre il ragazzo, dopo essere arrossito vivacemente, aveva iniziato a scartare il regalo. Minhyuk non riusciva a guardarlo bene in viso da quella posizione, ma poteva immaginare il suo sorriso cristallino e questo creava dentro di lui un vago senso di soddisfazione per essere riuscito a fare qualcosa di positivo. La reazione del castano quando notò lo scatolo del cellulare fu del tutto inaspettata. Minhyuk pensava avrebbe urlato di gioia, avrebbe saltato in giro per casa o gli si sarebbe aggrappato al collo per ringraziarlo... Invece semplicemente lo restituì tra le mani del maggiore con gli occhi riempiti di lacrime. Fu in quel momento che il bianco notò alle spalle di Jooheon la figura tetra di un uomo che con espressione dura e sguardo di disprezzo fissava la scena. Minhyuk lo ignorò momentaneamente, troppo preso dal ragazzo davanti a sé per asciugargli una lacrima ribelle che aveva solcato la sua guancia sinistra. «Honey, puoi tenerlo, non preoccuparti.» lo rassicurò il maggiore accarezzando dolcemente i suoi capelli per metterlo a proprio agio. Sembrava non volesse accettarlo perché forse lo riteneva un regalo troppo dispendioso, ma in realtà il motivo andava oltre.
«N-non pos-»
«Non abbiamo bisogno dei tuoi soldi.» si intromise l'uomo che li aveva guardati avanzando con tono minaccioso fino a loro. Spintonò suo figlio strappandogli la scatola e piazzandola con non poca forza tra le mani del bianco. Sembrava l'avesse urtato non poco quel gesto che in realtà Minhyuk aveva fatto per puro riconoscimento. Ma appena l'uomo li distanziò nuovamente, lasciando l'ospite sul filo dell'incredulità, quest'ultimo si preoccupò immediatamente di sincerarsi delle condizioni del castano, che aveva subito un colpo piuttosto violento andando a sbattere contro una credenza di legno. Improvvisamente si sentì in colpa per tutte le volte che aveva fervidamente immaginato le violenze di genitori che neppure aveva, raccontandolo a qualche malcapitato pur di essere compatito. Aveva forse patito così tanto il bullismo riservatogli tra i suoi coetanei, che aveva creduto di essere stato maltrattato anche dalle persone che lo avevano messo al mondo. Non che non fosse vero in parte, ma la sua mania malata di esasperare ogni situazione lo avevano portato a inventare pezzi di vita che non gli erano appartenuti. Il maggiore sospirò, riscuotendosi da quei pensieri deleteri, e, dopo essersi assicurato che il castano non si fosse fatto seriamente male da nessuna parte, gli posò un lieve bacio sulla fronte per poi tornare a porgergli la delicata scatola. «Tienilo, era per il tuo compleanno.» annuì incoraggiandolo e insistendo finché alla fine l'altro non cedette con un flebile sorriso in volto.
Forse non sarebbe filato affatto tutto liscio; se la madre di Jooheon era sembrata così gentile, il padre era fatto di tutt'altra pasta e sicuramente gli avrebbe dato filo da torcere.

***

(*) Dasik sono tipici dolcetti secchi coreani di antichissima tradizione, sono piccoli e colorati (solitamente in rosa, giallo, verde, panna, marrone e nero) e sono prodotti con un impasto di polline di pino (o un miscuglio di farine) e miele.
(**) Gli Yakgwa sono una sorta di biscotti tradizionali fritti, preparati con farina bianca, liquore, olio di sesamo, miele e zenzero. La loro forma assomiglia a quella di un fiore.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Pranzo problematico ***


Il silenzio aveva regnato intorno al tavolo per tutto il pranzo. Se non fosse stato per il rumore delle bacchette o delle posate che tra una pietanza e l'altra venivano riappoggiate sul ripiano ligneo del tavolo, allora sarebbe stato più silenzioso un qualche sacro luogo di culto. C'era totale imbarazzo tra il lato dal quale erano seduti i due ragazzi e il lato opposto, al quale sedevano i genitori di Jooheon, mentre la sorella aveva preso posto a capotavola. L'uomo sulla cinquantina seduto di fronte a Minhyuk non aveva smesso di rivolgere a quest'ultimo brutte occhiate neppure per un istante, ma il bianco aveva saputo reagire con la solita noncuranza, provocando probabilmente un astio ancora più profondo nei suoi stessi confronti. Tuttavia, sapeva che non sarebbe mai arrivato a sottomettersi obbediente ad un qualsiasi sconosciuto del genere e, sebbene fronteggiare un genitore di un proprio amico non fosse tra le sue migliori ipotesi per la giornata, non riuscì ad evitarlo poiché faticava caratterialmente ad abbassare la testa e arrendersi agli eventi, figurarsi quindi al valore degli altri. Jooheon, dal canto suo, sembrava continuamente assalito dall'ansia, quasi masticasse più piacevolmente il suo labbro inferiore che il cibo. Evidentemente temeva ancora che qualcosa potesse andare non nel verso giusto, o forse già qualcosa non stava andando nel modo giusto... Dopotutto il "modo giusto" è relativo; a Minhyuk sembrava tutto a posto, ma il castano poteva forse essersi aspettato qualcosa di diverso. In un modo o nell'altro, l'unica cosa certa, comunque, era che fosse davvero angosciante vedere il minore così preso dalla paura e dalle insicurezze.

Jooheon trasalì quando il bianco, appena ne ebbe l'occasione e lontano da sguardi indiscreti, posò delicatamente la sua mano sulla sua coscia. Un brivido gli aveva percorso la schiena facendolo sobbalzare per la sorpresa di quel gesto che non si era aspettato, tuttavia si costrinse a trattenere le reazioni per non attirare l'attenzione degli altri, nonostante non riuscì ad evitare di arrossire leggermente. Portò lentamente anch'egli la mano sotto il tavolo, intrecciando le dita con quelle del maggiore e gli rivolse uno sguardo con la coda dell'occhio, notando il suo radioso sorriso, che riuscì a infondergli quanto coraggio bastasse per andare avanti. Quella muta promessa di momenti migliori risollevò il morale al castano, sentendosi tranquillizzato dal tocco dolce e rilassante dell'altro.
«Il cibo sta nel piatto, non in faccia al tuo amico.» Il padre del minore, evidentemente resosi conto del loro atteggiamento e dei loro sguardi complici, devastò la magia dell'atmosfera di protezione che si era creata tra i due ragazzi, mandando in frantumi la già misera sicurezza di Jooheon, nonostante il maggiore non avesse sciolto il legame tra le loro mani, speranzoso che l'uomo non avesse notato anche quello. L'asprezza con la quale la parola "amico" continuava a risuonare nelle orecchie del bianco, gli confermò quanta poca simpatia avesse quell'uomo nei suoi confronti, sebbene l'avesse già intuito a pelle. Non era stato difficile. Sembrava come se quello avesse capito già tutto, come se non avesse mai creduto alla presentazione del loro rapporto come una semplice "amicizia", e non pareva esserne affatto contento. Era difficile - o forse quasi impossibile - comprendere per il bianco il rapporto che condividesse il minore con la propria famiglia. Dall'esterno appariva una sorta di possesso addirittura, come se i suoi genitori avessero il diritto di giudicare e decidere ciò che avrebbe dovuto fare od essere, qualcosa di inconcepibile per qualcuno che era cresciuto libero da ogni freno come Minhyuk. Fin troppo libero, forse. Aveva cercato continuamente rifugi sotto alberi caducei che non sapeva gli avrebbero potuto offrire un riparo solo momentaneo, finché non fossero appassiti scomparendo uno alla volta dalla sua vita. Aveva desiderato qualcuno che gli impedisse di incorrere in azioni moralmente sbagliate, qualcuno che correggesse i suoi errori o controllasse i suoi passi. Aveva sentito il bisogno di essere amato, sgridato, punito o ricompensato, da figure parentali che non erano state mai presenti nella sua vita. E ciò che più dilaniava il suo cuore era essere costretto, come in quei momenti, a guardare il lato opposto della medaglia: genitori troppo influenti, personalità mutilata, volontà condannata, libertà inesistente. A quale scopo poi crescere dei figli a quel modo? Non è umano accettare qualcosa senza averlo prima sperimentato; sono la consapevolezza e l'esperienza che rendono l'uomo diverso dagli altri esseri viventi, e soprattutto superiore ad essi. Nessuno dovrebbe avere il diritto di poter piegare qualcuno ad arrendersi mutamente senza permettergli di sbagliare con le proprie gambe e comprendere realmente l'importanza di quella determinata cosa. Certamente, ogni situazione è a sé stante, ma raramente vengono accettati i consigli di chi ha più esperienza, poiché automaticamente si preferisce sperimentare sulla propria pelle quelle sensazioni. Altrimenti cos'altro ci sarebbe da vivere su questa Terra se ci venisse strappata persino la possibilità di imparare dagli errori?

«Caro, prendi un po' di gelato!» Minhyuk fu riscosso violentemente dai suoi pensieri, dopo svariati minuti, dalla voce morbida della donna che era appena tornata al tavolo con un vassoio pieno di coppette di gelato. Non si era neppure accorto che ormai dal tavolo erano spariti i piatti che prima avevano ospitato la carne in salsa kimchi, lasciando spazio alle lucenti stoviglie da dessert. «Non farti spaventare, a volte mio marito è un po' brusco...» continuò con tono dispiaciuto e gentile la madre del minore, che si guadagnò uno sguardo truce dall'uomo seduto al suo fianco, che non passò inosservato agli altri presenti. Il bianco le sorrise cordialmente prendendo una coppetta plastificata contenente del gelato che sembrava a primo impatto vaniglia, uno dei suoi gusti preferiti, e notò solo successivamente che Jooheon avesse preferito il cioccolato. D'altronde, era oggettivamente un gusto che si conciliava abbastanza bene col suo carattere, per via dell'aroma dolce del cacao, un frutto che sembrava apportare una scintilla romantica a qualsiasi cosa. Il cioccolato aveva caratteristiche che si addice amo così bene al modo di essere del minore che Minhyuk non si sorprese affatto di quella scelta. Quando poi incrociò gli occhi stanchi del castano non poté fare altro che sorridere, deglutendo silenziosamente in un'azione simbolica che solitamente gli faceva credere di aver rimandato giù ciò che lo tormentava, almeno per il tempo di cui necessitava. Non cercò più di consolare o motivare il minore, non cercò più la sua mano, semplicemente si trovò ad essere quanto più naturale riuscisse ed a tentare un approccio più spensierato in modo da rassicurare il minore e trarlo fuori da quella sconfortante inquietudine, comportandosi un po' come se fossero stati soli. Allungò il cucchiaino verso la coppetta del minore, prendendo un po' di gelato per assaggiarlo e sorrise all'altro appena questi rivolse il viso dalla sua parte, e sentendo accrescere dentro di sé un sentimento di appagamento emotivo, mai provato prima, ogni qual volta vedesse spuntare allegramente le fossette sulle guance del compagno. Per un istante dimenticò dove si trovasse, che giorno o che ora fosse, chi ci fosse in quella stanza, per un istante credette di poter essere felice se avesse reso felice il ragazzo accanto a sé. 
«Devi assaggiare questo!» commentò entusiasta d'un tratto Minhyuk, intingendo il cucchiaino nella soffice crema color avorio e avvicinandolo alle labbra rosee del castano, che lo accolse volentieri, palesemente contento di quel cambiamento d'umore. Eppure il bianco non aveva tenuto conto di troppe cose... La prima tra le quali era il non saper rendere felici le persone, il suo continuo fallimento, l'incapacità nel creare un duraturo sentimento di pace e tranquillità. Di solito finiva col rovinare sempre tutto, era tipico ormai della sua persona, tanto da essersi abituato ad affrontarne le conseguenze, sino a smettere di sopportare il dolore della sconfitta, accettandolo come passeggero e occasionale, qualcosa che, come tutto del resto, non avrebbe permeato troppo a lungo la sua vita. Forse tutto quello sarebbe potuto cambiare solo quando avrebbe smesso di farsi scivolare tutte le emozioni addosso, senza riuscire ad afferrarne neppure una, a volte per il timore di scottarsi, a volte per il timore di diventare troppo freddo, a volte per la poca confidenza in se stesso, a volte per il troppo ego dei suoi pensieri. Nulla si soffermava per troppo tempo nel suo fragile cuore fatto di cocci incollati sconnessamente, con crepe qua e là che lasciavano passare tutto oltre fino alla dispersione. Era tutto attimo per attimo: rabbia, serenità, dolore, repulsione, sconcerto, gioia, disgusto, paura, ansia, felicità. E così come sempre, anche quella volta non aveva tenuto conto delle circostanze né della conseguenze prima di agire. 

Il pugno che sbatté sul tavolo dal posto di fronte al suo ne fu la conferma. Lo schianto della sedia di legno con pavimento e i passi pesanti e infuriati dell'uomo che si allontanavano, seguiti dalle urla disperate della moglie. Qualcosa accadde in tutto ciò, qualcosa che Minhyuk ancora una volta non si era aspettato di fare, qualcosa di improvvisato e fuori da qualsiasi programma. Le voci attorno a sé erano confuse, stridenti, abbastanza chiassose da addossargli un acuto mal di testa capace di annebbiare persino la sua vista. Una cosa, però, la vedeva ancora bene: lo sguardo spaurito del ragazzo che prima gli sedeva di fianco e invece in quel momento si era appena alzato, forse per andare in soccorso della madre. Il bianco agguantò la sua mano, cercando di tenersi in piedi nonostante il capogiro dal perfetto tempismo, e trascinò velocemente il minore dietro di sé, verso l'uscio della porta d'entrata. Afferrò la maniglia e non aspettò neppure un istante per uscire da quell'incubo. Sapeva, in fondo, che neppure Jooheon sopportava tutto ciò, probabilmente nessuno avrebbe potuto restare indifferente dinanzi a simili risvolti di situazioni. La vera domanda era come si potesse convivere in quelle condizioni, con una famiglia sfasciata della quale i membri non condividevano ormai più nulla. Minhyuk sospinse il castano a salire in auto, e l'altro lo seguì senza esitare e senza soffermarsi troppo a pensare, sicuro che se l'avesse fatto il senso di colpa lo avrebbe costretto a tornare indietro. 
Dopo appena dieci minuti l'odore familiare e antico di casa propria invase le narici del maggiore, sollevato di essere di nuovo in un posto che poteva definire calmo e tiepido, un luogo che aveva da sempre custodito i suoi segreti e la sua vita ermetica. 
«Minhyukie...» la voce sommessa di Jooheon giunse tremante ai sensi del bianco, quasi avesse paura di parlare, o forse piuttosto sembrava potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro. 
«Non preoccuparti Heonie, da oggi puoi considerarti a casa qui, okay? Non sopporto vederti triste come lo eri oggi, non voglio che succeda ancora, e soprattutto non posso permettere a qualcuno di distruggerti a questo modo.» Il tono solenne, la voce calda e le braccia che avvolsero il corpo scosso dai singulti del minore, resero quest'ultimo privo di ogni altro contegno avesse cercato di mantenere precedentemente finché non si lasciò libero ad un silenzioso pianto di sfogo. Il bianco, forse per la prima volta, si sentì soddisfatto di ciò che era riuscito a dire, sebbene fosse incredulo in prima persona di quella promessa: la maggior parte delle volte era sempre il primo a tradire la fiducia degli altri. In quell'istante tuttavia si godette il momento, rimuovendo quelle crudeli osservazioni dai suoi pensieri e tentando di consolare quanto meglio potesse la fragile meraviglia che aveva tra le braccia, qualcosa di così puro e intoccabile che arrivava a fargli pentire ancora una volta di aver ceduto alle emozioni, finendo per trascinare quella creatura innocente nel pozzo senza fondo della propria esistenza.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Paura o amore? ***


«Jinyeon.» Jooheon cercava di chiamare sua sorella da quasi 5 minuti, tuttavia non poteva urlare altrimenti sicuramente sarebbe stato scoperto dai suoi genitori, e non poteva permetterselo. Lanciò un altro piccolo sassolino alla finestra della sua stanza, dove si presumeva fosse anche la ragazzina. «Jinyeon!!» 
Una chioma mora e fluente sbucò dalla finestra e uno sguardo truce si rivolse al ragazzo. «Che ci fai qui? Guarda che lo dico a papà.» Minacciò la ragazza, evidentemente contrariata da quella visita improvvisa. Il castano si sentì ferito per quell'accoglienza tanto acida riservatagli, che in realtà non si aspettava tale. Alla fine sono sempre le aspettative che rovinano tutto, questo è risaputo
«Jinyeon ho solo bisogno delle mie cose, ti prego...» I suoi occhi lucidi dovettero apparire seriamente dispiaciuti alla sorellina, poiché quella si addolcì immediatamente e annuì tornando dentro. Restò impegnata per svariati minuti, tanto che il ragazzo pensò che lo avesse lasciato lì ad attendere per vendetta o più seriamente che i suoi genitori l'avessero scoperta e punita. Proprio quando cominciò a preoccuparsi seriamente lei si affacciò nuovamente, lanciando una alla volta le due borse che aveva riempito frettolosamente, e assicurandosi che suo fratello prendesse entrambe, senza farle cadere per terra, dal momento che dentro vi erano anche oggetti delicati. «In quella grigia c'è il tuo cellulare nuovo, l'ho conservato, e c'è anche quello rotto...» Spiegò la ragazzina a viso smorto, palesemente afflitta dalla situazione. «Jooheonie... Tornerai?» Ed ecco che gli si parò dinanzi la domanda che lo aveva tormentato tutta la notte, prima di decidere finalmente di far ritorno a casa sua quel pomeriggio almeno per recuperare qualcosa di suo. Sarebbe mai tornato lì? Gli avrebbero mai permesso di tornare come se niente fosse?
«Non lo so...» Biascicò in risposta arrancando con le parole e cercando in tutti i modi di non farsi prendere dalla malinconia o dall'ansia, altrimenti sapeva di rischiare di scoppiare a piangere.
«Papà ha picchiato di nuovo mamma...» Gli comunicò la ragazza, con una reticenza che strinse il cuore di Jooheon in una morsa crudele. Per colpa mia. Quelle tre parole erano state sottintese, ma solo perché Jinyeon voleva troppo bene in fondo al fratello per dirgli una cosa simile. In casa la trattavano ancora come una bambina, senza rendersi conto che ormai era una donna vera e propria, più matura di altre ragazze della sua età per via della triste realtà che era costretta ad affrontare ogni giorno. Lei sapeva e sopportava, proprio come aveva fatto prima di lei suo fratello maggiore. Era sensibile, proprio come lui, e per questo non riusciva ad essere cattiva e far sentire in colpa il ragazzo che per tanti anni si era preoccupato di lei accudendola nel migliore dei modi.
«Jinyeon devi essere forte.» Le aveva detto, poi se n'era andato a testa bassa, trascinando flemmaticamente le borse, senza curarsi delle lacrime che lente e inesorabili scorrevano ormai sulle sue guance. Doveva essere forte anche lui, aveva un'intera vita davanti, quindi perché sprecarla appresso agli errori dei propri genitori? 
Minhyuk lo stava aspettando un paio di incroci più avanti, con l'auto, e non appena il maggiore lo aveva visto in lacrime si era immediatamente allarmato, ma il castano aveva finito col raccontargli tutto, usando quanta più calma possibile. Aveva evidentemente bisogno di sfogarsi e Minhyuk era diventato il suo scoglio più saldo a cui aggrapparsi. Riusciva a consolarlo anche solo accarezzandogli i capelli e abbracciandolo con la sua debole sicurezza in ogni singolo gesto. Quel tentennare continuo che lo caratterizzava e al quale ormai si stava abituando. Ed era rimasto stravolto da quanto efficace fosse la presenza del maggiore contro i suoi drammi, tanto che era riuscito in poco tempo a rilassarsi e liberare la mente a tal punto da poter persino prendere sonno.

 

Minhyuk, invece, dal canto suo, non smetteva di pensare a quanto miracolato fosse stato per aver incontrato una simile benedizione lungo il suo mesto cammino. Più i giorni scorrevano, più se ne rendeva conto, più desiderava possedere quella meraviglia soltanto per sè.
«Ho visto dormire un angelo...» Mormorò sfiorando lentamente il contorno del viso del minore con le dita ossute. Aveva così tanta paura di perdere presto di vista lo spiraglio di luce che aveva squarciato il buio, così tanta paura da avvertire un dolore lancinante al petto, all'altezza del cuore. 
«Jooheonie.» Le sue mani fremevano per il nervosismo emotivo nascosto dietro quella facciata tranquilla e pacata. Dovette stringerle sulle spalle del castano per farle smettere di tremare. Qualcosa di più profondo di un banale presentimento gli suggeriva che quel filo che li legava presto si sarebbe spezzato, che quella serenità si sarebbe infranta, e lui non aveva voglia di gettare al vento anche quest'altra occasione per essere felice. «Jooheonie.» sussurrò con tono leggermente più alto scrollando piano il minore per le spalle, per non spaventarlo. 
«Jooheon-ah, andiamo svegliati.» mormorò avvicinando il viso al suo orecchio e lasciando scorrere una mano affusolata delicatamente sul petto del castano, alla ricerca del suo rilassato battito cardiaco, pur di cercare di calmare ad ogni modo l'ansia che lo stava divorando. «Jooheonie.» continuò a chiamarlo il maggiore insistentemente finché quella volta ci fu un mugolio assonnato da parte dell'altro. «Jooheonie, svegliati...» sussurrò ancora soffiando fiato caldo sul collo del più piccolo, il quale di rimando fu immediatamente investito dai brividi.
«Che ora è?» riuscì a formulare quella domanda tenendo gli occhi chiusi, ancora assopito tra le braccia di Morfeo, mentre cercava di bagnarsi le labbra con la lingua, poiché talmente secche da impedirgli di parlare.
«Le tre e venti.» rispose pacato il bianco dopo aver alzato lo sguardo sull'orologio a pendolo appeso alla parete di fronte. 
«Così tardi?» mugugnò l'altro facendo una smorfia con le labbra e corrucciando le sopracciglia ancora stordito dal sonno.
«Di notte...» Puntualizzò il maggiore, al ché il castano smorzò uno sbadiglio sbuffando sonoramente per la frustrazione, incredulo che Minhyuk fosse stato capace di svegliarlo in piena nottata.
«Che motivo c'era di essere così insistente allora?» sbottò con l'ennesima smorfia annoiata e stanca in viso, un'espressione dolce e infantile che gli donava particolarmente. I suoi occhi scomparvero in una linea sottile facendo comparire le solite piccole rughe ai loro estremi, le labbra si arricciarono scontrosamente e il suo viso da bimbo assunse la sfaccettatura indispettita, che tuttavia agli occhi del maggiore appariva ugualmente adorabile.
«Perché... voglio baciarti fino a perdere i sensi a corto di ossigeno.»
Il minore spalancò le palpebre a quell'affermazione, ma non ebbe neppure un attimo a disposizione per replicare che si ritrovò le labbra del bianco sulle proprie, che si muovevano fameliche. E se Jooheon credeva di stare ancora dormendo e che quello fosse solo un altro sogno, le seguenti parole del bianco lo risvegliarono del tutto. «Spiegami come si fa a dormire con accanto una simile meraviglia.» 
Non fece in tempo neppure ad arrossire che le loro labbra entrarono nuovamente in contatto. Minhyuk appoggiò i gomiti ai lati del busto del minore, arrivando quasi a distendersi su di lui senza mai allontanare realmente la bocca da quella dell'altro. Non lo stancava quel sapore fresco che percepiva quando le loro lingue si accarezzavano, né lo sfiorava l'idea di lasciar respirare il minore, il quale era costretto a soffocare gli ansimi tra i baci, né tantomeno aveva desiderato qualcosa maggiormente di quanto non avesse desiderato quel momento. 
«M-min...Hyuk...» il castano inarcò la schiena e trattenne un gemito sgusciando via dalla cattività alla quale erano state costrette le sue labbra e cercando di riprendere fiato sotto lo sguardo ghignante del maggiore che lo fissava dall'alto con un'inconfondibile velo di lussuria negli occhi. «Tu... vuoi per caso farmi morire d'infarto precoce??» si lamentò il minore roteando gli occhi con il respiro ancora affannato.
Sembrava così bello agli occhi del bianco, con quell'espressione attonita, quasi spaventata e ancora confusa dal sonno. 
«L'unico che sta uccidendo qualcuno qui, sei tu, più crudelmente di quanto immagini.» sussurrò flebilmente il maggiore avvicinando le labbra all'orecchio del castano e accennando poi un sorriso angolato. Quella voce fredda e sensuale al tempo stesso metteva i brividi al minore, ma ugualmente era capace di far ribollire il sangue nelle sue vene. Era un continuo ossimoro quel ragazzo e Jooheon pensava che non sarebbe mai riuscito ad abituarvisi. 
«I-io... C-cosa...» scosse lievemente la testa incredulo sforzandosi di accettare la presenza del maggiore così vicina a sé e cercando di contenere le reazioni al minimo indispensabile perché la posizione in cui si trovavano non era certo delle migliori, non per la scomodità quanto per il totale imbarazzo.
«Sto morendo lentamente, honey.» Continuò l'altro facendo scivolare il suo respiro sulla pelle scoperta del collo del minore. Jooheon si sentiva esplodere, non era mentalmente preparato ad affrontare una situazione del genere, soprattutto perché erano le tre di notte e lui si era appena riscosso abbastanza bruscamente da un sogno molto molto tranquillo rispetto a ciò che stava succedendo in quel momento. Minhyuk era imprevedibile si, letteralmente. 
«Io muoio velocemente se uno psicopatico mi salta addosso alle tre di notte» Borbottò il minore sbuffando e puntellando i gomiti sul divano per sollevarsi leggermente con la schiena in modo da staccarsi l'altro di dosso. La risata melodiosa del bianco riecheggiò nel vuoto della notte facendo saltare un altro battito al già malmesso cuore del più piccolo. Non poteva essere più felice in quel momento, anche se era difficile dimostrarlo a causa di tutte le altre emozioni che avevano preso il sopravvento in superficie.
«Mi fai impazzire.» Il maggiore soffiò sulle sue labbra e gli lasciò un morbido bacio di sfuggita, quando però il castano si sporse per approfondire il contatto l'altro si allontanò con un ghigno stampato in volto, che fece venir voglia a Jooheon di prenderlo a schiaffi. 
«Sono le tre di notte.» Continuò a sottolineare il minore, come a dire "Sono le tre di notte e già che mi hai svegliato mi prendi anche per il culo". Minhyuk sorrise ancora divertito, avendo compreso perfettamente ciò che il castano stava cercando di comunicargli.
«In realtà sono quasi le quattro adesso...» Commentò il bianco spostandosi dal corpo dell'altro e riprendendo posto nel suo angolo di divano perdendosi con lo sguardo fuori dalla finestra, sulla strada illuminata soltanto dai fiochi lampioni. Jooheon non capiva, non aveva idea di quanto tutto ciò lo torturasse. Non era facile convivere ogni giorno coi propri fantasmi, nascondendo le proprie ombre, rinchiudendo gli scheletri nell'armadio, rivisitando i propri ricordi e tentando di estrapolarne solo i più sinceri per non deludere in nessun modo il minore. Affannarsi quotidianamente per sembrare sempre migliore, per un'unica persona, senza neppure un preciso motivo... La realtà era che il motivo ormai l'aveva capito, nonostante la sua mente cercasse ancora di distorcere quella nuova convinzione sino a prefiggersi di decomporla. Sapeva, però, di non poter più contenere quel sentimento, qualunque cosa fosse. Agli occhi degli altri sarebbe potuto essere amore, così come lo definivano banalmente tutti, senza soffermarsi mai profondamente sul significato di quella parola. Ormai sembrava tutto scambiato per amore, ovunque, eppure non poteva essere così semplice. Jooheon era una creatura bellissima nella sua mente, l'idealizzazione della perfezione, nel carattere così come nell'aspetto. La sua posizione nei suoi confronti, tuttavia, era sempre rimasta neutrale, oscillante tra due fuochi: la paura di perdere l'opportunità e la paura di macchiare quella purezza. Temeva entrambe le cose, un terrore che aveva assillato i suoi pensieri per molto più tempo di quanto non si fosse aspettato, aveva aggrovigliato le sue idee e disperso ogni forma di logica. Era diventato puro istinto. Quella notte il timore che quel poco di felicità che aveva trovato, per miracolo o per fortuna, si dissolvesse tra le sue mani, lo aveva soffocato al punto da destarlo dal sonno. Il buio pesto fuori dalla finestra gli incuteva angoscia, incupendogli lo sguardo e spegnendo il suo sorriso, tanto che Jooheon dovette accorgersi del suo improvviso cambiamento d'umore. 
«Minnie che succede mh?» Il minore allungò una mano sul braccio del bianco, ma l'altro gli rivolse un sorriso che tendeva a dover essere rassicurante, sebbene non convinse del tutto il più piccolo. 
«Va tutto benissimo» Annuì il maggiore, lievemente, quasi volesse contenere qualsiasi emozione stesse provando in quel momento. «Andiamo a dormire sopra, dai.» Porse una mano a Jooheon, che l'accettò volentieri con uno dei suoi soliti sorrisi timidi e dolcissimi, per poi ritrovarsi a salire le scale, seguito dal castano, mano nella mano, fino a raggiungere la camera da letto del maggiore. Minhyuk si abbandonò fiaccamente sul materasso, rotolando di un giro fino ad occuparne l'estremo attaccato alla parete e poi facendo cenno all'altro di raggiungerlo. Avvolse speditamente le braccia attorno alla vita del minore, senza ovviamente stringerlo troppo, lasciando unire il proprio petto con la schiena del castano e appoggiando la fronte sulla sua spalla.
«Non te ne andare, okay?» Mormorò il bianco con la voce tenera di un bambino, sorprendendo tremendamente il minore. Questi a quel punto avrebbe voluto togliersi un peso dal cuore e rispondergli "Ti amo, come posso andarmene?", eppure qualcosa lo vinse sul tempo, fermandolo, quindi si limitò ad annuire piano, speranzoso che prima o poi quelle parole, invece, sarebbero uscite dalla bocca di Minhyuk.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Mano nella mano per sempre ***


«Quando torna mamma?» il piccolo agguantò l'orlo della gonna di sua nonna strattonandola leggermente per attirare la sua attenzione. Erano quattro anni che riceveva sempre la medesima risposta dalla vecchia, quell'anziana signora che aveva sempre chiamato nonna perché lo aveva accudito sin da quand'era in fasce, perché i suoi genitori non erano mai presenti in casa. Era stata piuttosto una sorta di balia per lui, e aveva finito col vivere a casa di quella, tanto che neppure ricordava ormai come fosse fatta la casa in cui era nato. Aveva sempre mentito delineando quelle figura come sua nonna, per una mera mancanza di affetti.
«Torna presto, Minhyuk.» La donna gli poggiò amorevolmente una mano sulla testa scompigliandogli giocosamente i capelli, evidentemente per distrarlo dalla realtà della situazione, come sapeva fare benissimo da sempre.
«E papà?» un mugolio triste sfuggì alle labbra del piccolo, mentre sua nonna tornava a cucinare. In realtà ricordava ben poco di suo padre, come d'altronde anche della madre, per quei pochissimi anni della sua infanzia che entrambi gli erano stati accanto. Era troppo piccolo per poter pretendere di ricollegare qualche episodio a quella fascia d'età.
«Presto tornerà anche lui.» Annuì piano lei. «Sicuramente se farai il bravo, studierai diligentemente e smetterai di frignare in continuazione, li vedrai arrivare prima.» Aggiunse dopo qualche istante notando che il bambino non demordeva, desideroso di qualche spiegazione maggiore. Aveva sette anni ormai, era abbastanza maturo da comprendere che non era normale quell'assenza così prolungata. Inoltre, vedere i suoi compagni di scuola ridere assieme ai propri genitori, parlare delle fantastiche uscite durante i weekend, camminare mano nella mano con le loro madri e giocare con i loro padri, lo rendeva tragicamente invidioso. Era sempre stato un bambino intelligente e piuttosto perspicace, sapeva che ciò che gli altri bambini avevano era lecito e secondo la norma, era lui ad essere in difetto, a mancare di qualcosa. E non era certo l'unico a pensarlo. Non erano mai abbastanza per i suoi coetanei i commenti arcigni che lo portavano a sentirsi "diverso". L'influenza negativa del comportamento degli altri nei suoi confronti lo aveva sempre istigato a chiedersi cosa avesse di tanto sbagliato per dover subire tutto ciò. La sincerità dei bambini fa male, è la più vera ma sicuramente anche la più crudele. Ogni giorno c'era qualcuno di diverso a presentargli crudamente la realtà dei fatti. 
“Perché viene quella vecchia a prenderti a scuola?”.
Quella vecchia era diventata sua nonna per giustificazione. 
“Perché i tuoi genitori non vengono agli incontri scolastici?”.
I suoi genitori erano morti per convenienza.
“Perché non porti mai la merenda?” 
La sua dimenticanza era diventata una malattia alimentare per difesa.
“Perché fai così tante assenze?”
Ripieghi su ripieghi, frottole dopo frottole, fandonie su fandonie, quelle bugie erano state i suoi ciechi appigli per condurre una vita fatta di meno accuse e più compassione. Da che alle scuole primarie aveva iniziato il suo triste percorso di cambiamento a che aveva completamente perso il senno di sé dopo aver completato anche il grado secondario d'istruzione. Aveva perso il conto di quante diverse identità aveva creato dietro la sua singola persona, ognuna che per qualche particolare si distingueva da un'altra, tanto che era arrivato a confonderle. Fortunatamente amici non ne aveva mai avuti. Riceveva compassione e accorgimenti da tante persone, alle quali poteva raccontare le sue vicende e dalle quali attingeva forza per alzare la testa e continuare a vivere, nonostante in modo corrotto e scorretto. 
“Mi dispiace.”
“Povero, non lo meritavi.”
“Non dovrebbero succedere cose simili nel mondo.”
“Non è giusto che tu abbia dovuto soffrire dolori simili.”
“Ammiro la tua voglia di essere ancora in piedi.”
Piccole frasi che illuminavano il suo percorso e lo tormentavano.
Poi c'erano poche persone che avevano avuto quello stesso effetto catartico. Sua nonna, e Hoseok, nessun altro in realtà.
A lui aveva raccontato meno bugie perché lui esisteva davvero, non era una persona virtuale, non era un qualcuno dietro lo schermo, lui era suo amico.
«Minhyukie, oggi vieni a studiare a casa mia?» domandò il maggiore dondolando sui piedi e stringendo tra le braccia i suoi libri scolastici, mentre aspettava, come puntualmente ogni giorno, che il minore uscisse dalla sua classe. Era sempre l'ultimo a uscire, se la prendeva con calma per evitare la calca di persone e magari anche l'incontro di volti spiacevoli. Hoseok invece al suono dell'ultima campanella saettava fuori dalla sua aula per correre verso quella del minore, quando non avevano gli stessi corsi. Spesso aveva confessato di farlo per paura che riaccadessero di nuovo quelle cose "orribili", come le definiva lui. 
Quei due avevano fatto amicizia grazie a uno dei soliti fenomeni da baraccone che inscenavano i bulli della situazione. Il gruppo di ragazzetti viziati aveva trovato un bersaglio facile. Un ragazzo esile, debole e mentalmente instabile come Minhyuk era una preda succulenta per dei parassiti che si alimentano sulle disgrazie altrui. Hoseok, in quello che era un giorno come un altro per il minore, aveva assistito ad uno di quegli spettacoli osceni. Risate di scherno, crudeli sghignazzi, battute acide, percosse violente, avevano sconvolto a tal punto il ragazzo da convincerlo ad intervenire. Il maggiore, però, con la sua faccia tenera da bambino, nonostante il fisico prestante per la sua età, non intimoriva per niente i ragazzi più grandi, quindi aveva ben pensato di continuare ad accompagnare il minore ogni giorno, al fine di tenere quantomeno lontani quei delinquenti senza ritegno. Era nata così quella sorta di amicizia, nella quale Hoseok era sempre pronto ad accogliere il minore e i suoi pensieri, ma l'altro non era capace di lasciare spazio al minore. Un'amicizia a senso unico.
«Devo andare in ospedale oggi...» rispose Minhyuk guardandolo mesto. Non avrebbe voluto mentirgli, ma quel giorno non aveva per niente voglia di passare del tempo con lui, si sentiva più oppresso del solito e preferiva stare da solo in quei momenti. Inoltre aveva sfruttato la sua costituzione fisica per inventare una plausibile dismorfia delle ossa, e aveva raccontato all'amico che i suoi problemi di salute si fossero aggravati e che i suoi controlli ospedalieri fossero aumentati. Qualcosa che, insomma, gli procurasse una scusa per restarsene a casa sua, chiuso in camera, a pensare a quanto subdola fosse la sua esistenza.
Tre anni di relazione, però, probabilmente erano bastati a far comprendere al maggiore la difficoltà del mantenere quell'amicizia stabile una volta ottenuto il diploma. 
«Minhyuk non ce la faccio... Scusa... Non ce la faccio più. Non credo che il ruolo di farti da sostegno spetti a me. Non sono più in grado di esserlo... Ho bisogno dei miei spazi...»
«No! Non mi lasciare...»

 

Minhyuk si svegliò di soprassalto, con il respiro affannato e il cuore che faceva i salti mortali per tentare di riprendere una velocità accettabile. Il sonno non gli aveva dato tregua, dilaniandolo tra ricordi e riflessioni che lo tormentavano in verità da sempre. Se le occhiaie scure decoravano cupamente il suo volto da anni non era certo perché il ragazzo se le disegnasse col trucco, non credeva di poter arrivare a fingere persino quello. Anzi, solitamente cercava di coprirle quanto meglio col correttore, almeno quando usciva raramente. “Cosa ti trucchi a fare per andare al supermercato?” aveva ridacchiato Hoseok una volta, un pomeriggio nel quale si erano  ritrovati a casa sua. Minhyuk aveva da fare la spesa perché in casa non c'era praticamente più nulla da mangiare e sua nonna gli aveva dato la lista delle provviste da fare, come consuetudine. Il maggiore si era offerto di accompagnarlo, ma evidentemente ancora non riusciva a comprendere quanto il ragazzo tendesse a nascondersi nella vita reale. In fondo, il suo unico vero sogno, quello che ormai sembrava sepolto da secoli di errori, era sempre stato essere solo e soltanto una persona normale. “Come si fa a non truccarsi con una faccia come la mia?” gli aveva risposto, colorando le scure borse che contornavano i suoi occhi col correttore e utilizzando il solito blush per dare una sfumatura più viva al suo incarnato cadaverico, accentuato dai lineamenti ossuti del viso. L'altro aveva scrollato le spalle, cercando di farsene una ragione, ma nel suo profondo non aveva mai afferrato davvero le sue ragioni. Essere normale era qualcosa che gli era sempre mancato e la cosa più brutta era la consapevolezza che a scegliere quel destino era, in parte, stato lui stesso.
«Hyung cos'hai?» La voce ancora assonnata del castano lo sorprese ancora e il maggiore sospirò profondamente conscio di doversi sforzare di mantenersi coi piedi per terra almeno davanti a Jooheon.
«Solo un incubo, non preoccuparti» Sorrise. Un sorriso caloroso che metteva a tacere ogni dubbio. O forse avrebbe messo a tacere ogni dubbio se il suo interlocutore non fosse stato un ragazzino osservatore e follemente innamorato al punto da notare ogni piccolezza e particolare, preoccupandosi per ogni minima cosa.
«No, l'incubo lo hai fatto prima. Io intendo... adesso, che hai?» Domandò il minore reclinando leggermente la testa da un lato e sbattendo più volte le palpebre in modo dolce e infantile per risvegliarsi completamente dal torpore del sonno. 
«Adesso?» Minhyuk rantolò amaramente una risata sconnessa. «Adesso ho paura.»
«Di cosa?» Il castano lo guardò intensamente, puntando i suoi occhi in quelli bui e cupi del più grande. Era insistente e al bianco non erano mai piaciute le persone simili, lo irritavano e lo urtavano terribilmente. Non capiva che senso avesse intromettersi così a fondo nei sentimenti altrui. Jooheon però era diverso, era palese che lo facesse genuinamente per prestargli un aiuto, un aiuto che non poteva esistere per il maggiore perché non c'era nulla di utile per il suo contorto male interiore.
«Di perderti.» Buttò fuori senza pensarci su due volte. Prima o poi l'altro avrebbe dovuto saperlo. Era una delle poche cose belle che aveva ricevuto dalla vita, una di quelle luci che tenti a tutti i costi di non far spegnere, una fiammella che, seppur fioca, potresti proteggere con le unghie e con i denti pur di non permettere agli spiragli di vento di sopprimerla. Quel miracolo che ti offre il destino in un'ultima occasione di cambiare, e che diventa la prima è unica vera speranza di tutta una vita. Eppure quella speranza tremolava spasmodicamente, costantemente minata e a messa alla prova dal passato perché Jooheon non conosceva la sua storia, non sapeva di cosa fosse capace la sua mente, non poteva immaginare neppure quanto sarebbe rimasto deluso nello scoprire la realtà dietro quel carattere completamente costruito e controllato sotto ogni minimo dettaglio, quasi fosse un automa. La paura era quella che anche il minore, come la sola altra persona che prima di lui gli aveva fedelmente promesso la sua presenza, se ne sarebbe andato. Hoseok ci aveva provato, non ce l'aveva fatta. Non c'era certezza che Jooheon avesse potuto vincere contro l'indole distorta del maggiore.
«Non mi perderai, io ho un obiettivo, non posso mollare.» Ribatté l'altro convinto, trasmettendo al bianco un senso di serenità nell'ascoltare quelle parole così apparentemente sincere. 
«E cioè?» Chiese tra il curioso e il disorientato. Che il castano fosse una persona ambiziosa e caparbia era chiaro, aveva forza di volontà da vendere e tanta voglia di vivere, cose che mancavano davvero al maggiore, cose che costituivano il motivo per cui la presenza di Jooheon gli faceva bene.
«Voglio prenderti per mano e stringerla finché non arriverai anche tu a vedere il cielo limpido.» Sulle labbra piccole e rosse del minore spuntò un sorriso appena accennato, fiero del proprio progetto. Quelle parole scalfirono per un istante la corazza del bianco, tanto da mozzargli il fiato quando si rese conto che qualcuno, qualcuno di oggettivamente importante per lui, stava prendendo a cuore la sua vita, la sua felicità, senza che egli avesse cercato di comprarne prima la pietà. «Allora non ci saranno più nuvole davanti ai tuoi occhi, non pioverà più...» Continuò il ragazzo, sognando ad occhi aperti. «E magari non ci bagneremo di nuovo i vestiti.» Commentò con una soave e melodiosa risata, ricordando quando avevano rischiato una bronchite per essere rimasti sotto la pioggia nel campo dietro il cimitero.
Sembrava tutto così bello per come l'aveva presentato il minore. Tutto così perfetto, eppure tutto così surreale e irrealizzabile agli occhi di chi, come Minhyuk, non credeva nelle parole degli altri perché aveva imparato a mentire prima ancora di fidarsi di qualcuno, aveva imparato come fosse facile ingannare le persone e costruire mondi di frottole, era lui stesso il primo a farlo... Quindi la sua anima affranta e appassita automaticamente non accettava più le promesse. «Non ci riusciremo.» Concluse freddamente dopo qualche istante, chiudendo seccamente la breccia che prima le parole del più piccolo avevano aperto nel suo cuore e fortificando maggiormente quella che era ormai la propria corazza.
«Io ti terrò la mano in ogni caso, finché non ti vedrò sorridere davvero.» Replicò il castano afferrando una delle mani magre e fredde del maggiore, intrecciando le dita con le sue e riportando immediatamente lo sguardo nei suoi occhi stanchi. «Minhyukie, il sole non muore nemmeno dietro le nuvole, si nasconde, ma c'è.»

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Cicatrici ***


«Jooheonie» Un sussurro tenue abbandonò le labbra del bianco, dopo che in silenzio si era avvicinato di più al minore. Minhyuk non era affatto mattiniero, ma ultimamente il sonno scarseggiava davvero per lui, quasi i suoi nervi non avessero intenzione di rilassarsi neppure un secondo, costantemente tesi da quel sottile fascio di iperattività che aveva sempre assillato la sua personalità. Si chiedeva quando quel filo si sarebbe spezzato, lasciandolo piombare nell'apatia più totale. Quel continuo essere irrequieto nel proprio posto era l'unica cosa che lo spronava a cercare un nome ed un senso da dare alle proprie emozioni, a cercare un luogo nuovo in cui sentirsi a casa, perché non considerava più il suo corpo come tale; il cuore pulsava nella gabbia toracica vuota, rimbombando col suo suono cupo senza trasmettere nulla, perché in realtà aveva bisogno di un nuovo posto nel quale fare affidamento. La luce del giorno di solito lo tranquillizzava, acquietando il suo umore sempre assillato dalla disperazione e dal senso di insufficienza. La notte, invece, il buio turbava la sua anima, mettendo in subbuglio i pensieri e scatenando un turbinio di angoscianti sensazioni che lo trascinavano in profondità facendolo annegare sino a toccare definitivamente il fondo. Tuttavia, persino questo si stava sconvolgendo negli ultimi tempi. La notte chiudere gli occhi consisteva in un suicidio, era un supplizio: dietro le sue palpebre si prospettavano le scene e i ricordi più assurdi, cose che pensava persino di aver dimenticato. Invece, la mente umana non dimentica, conserva in silenzio accumulando volta per volta: una gazza ladra che rapisce le memorie, soprattutto le più brillanti e preziose e le intesse in una rete di verbi al passato, sorrisi soffusi, emozioni incomparabili, nascondendo ai pensieri le poche positività dell'esistenza e ammucchiandole nei meandri del subconscio. Il tempo, o - più precisamente - lo scorrere del tempo è il tassello che unisce la nascita di quei ricordi alla loro decomposizione. Se aveva riso spontaneamente qualche volta non lo sapeva nemmeno più, perché la luminosità di quel sorriso era stata crudelmente catturata dagli artigli di quell'uccello maligno e portata via in un luogo irraggiungibile per la sua provata condizione mentale. Eppure da quando condivideva il letto con un'altra persona, la notte stava restituendo le sue preziose perle, che adesso non sembravano più tanto belle, anzi, lo turbavano compromettendo il suo sonno quasi fossero incubi. 
Che fosse ancora paura? Paura di non poter avere di nuovo quei microscopici attimi di felicità, paura di non poterli più rivivere. Che fosse ripudio? La sua mente non riusciva più a comprendere quei ricordi, che gli apparivano più mostruosi del peggiore dei sogni bui. Che fosse istinto? Rigettare quei momenti per non contaminare il presente di emozioni fatali che ormai quasi non concepiva più. Ora dopo ora, ogni nottata trascorreva tra un'occhiata alla tristezza del balcone, calato nell'oscurità più totale, e una verso il ragazzo che riposava beatamente al suo fianco. Come un batuffolo soffice e leggero, il suo sguardo vagava sulla sagoma del minore comportando il fiorire di pensieri asfissianti che diventavano sempre più amari, e il graduale appassire del sentimento sereno ed estatico che dovrebbe essere l'amore. Quando poi il roseo colore dell'alba cominciava a filtrare flebilmente dalle fessure della persiana, se aveva un po' di fortuna, la debole luce riusciva a placare gli spiriti che lo tormentavano e gli concedeva qualche ora di ostentato riposo, finché la consapevolezza dell'insistenza dei raggi sulle proprie palpebre lo costringeva a svegliarsi di nuovo. Erano giorni che perseguiva silenziosamente quella routine e riaprire gli occhi e trovare ancora Jooheon dormiente, dopo aver passato buona parte della nottata a non poter far altro che guardarlo, gli innescava un certo moto di inquietudine, tanto che ogni mattina finiva col svegliarlo sempre dopo un po', sopraffatto dall'ansia che potesse non svegliarsi più o svegliarsi troppo tardi e negare, così, tempo al loro destino insieme. Temeva di non avere abbastanza ore a disposizione con il minore, avvertiva un confine a quell'apparente infinità di sensazioni calme e piacevoli che lo avevano coccolato sino a quel momento, come se da un momento all'altro potesse finire tutto. Sapeva, però che tutte le sue paure derivavano soltanto dalla coscienza che non avrebbe potuto tenere a bada ancora per molto quella parte subdola e distruttrice di sé che reclamava la libertà. Le menzogne erano serpi annidate nella sua mente che si dimenavano pronte ad azzannare la preda, viscide vipere che una alla volta, quando la sua debolezza gli impediva di controllarle, scattavano strisciando e avvelenavano le sue parole di falsità.
«Jooheonieee» Si lamentò scuotendo la spalla del minore, prima che i suoi pensieri gli offuscassero completamente la logica facendolo ricadere nel baratro buio e sigillato che lo allontanava dagli altri.
«Mmhh» mugugnò il castano senza neppure degnarsi di aprire gli occhi. Minhyuk sbuffò e gli attorcigliò un braccio alla vita cominciando ad accarezzargli insistentemente i capelli e sussurrando il suo nome all'orecchio come se avesse inserito un disco a ripetizione. «O-okay basta...» Mormorò il minore, evidentemente ancora immerso nel torpore del sonno, schiuse di poco gli occhi e voltò leggermente il viso verso il bianco, ritrovandosi a pochi centimetri da lui, dal suo respiro, dalle sue labbra. Le sensazioni che portò con sé la consapevolezza di quella vicinanza lo risvegliarono quasi del tutto, al punto che immaginò di aver cominciato a sudare freddo, non sapendo come comporsi. L'attesa, tuttavia, fu breve e indolore, perché la distanza venne presto colmata e il maggiore lasciò che le loro labbra si incontrassero in un bacio dolce e lento, permettendo al castano di sciogliere i propri nervi. Forse non se l'aspettava ancora, in realtà, eppure era perfetto ai suoi occhi, perfetto sapere che Minhyuk si premurasse per lui, perfetto rendersi conto di quanto quel ragazzo gli leggesse negli occhi ogni singola emozione, perfetto appurare il fatto che fosse lì realmente e che non fosse solo un sogno architettato dalla sua mente sognatrice... 
«Andiamo a fare colazione, mh?» Propose Minhyuk quando si allontanò dalla morbidezza e delicatezza di quel tocco che ogni volta sembrava aumentare d'intensità, come se la scarica elettrostatica che l'uno trasmetteva all'altro crescesse di giorno in giorno, quasi a simboleggiare che il loro amore lievitasse, mestamente ma con costanza, creando un legame indissolubile tra i due.
«Si... Andiamo a fare colazione...» Biascicò il minore mordendosi il labbro e ripensando a quelle sensazioni che gli mettevano in fermento corpo e mente e non gli lasciavano più tregue, ripensandoci fino allo stremo delle forze, ripensandoci per imprimere dettagliatamente ogni particolare di quelle emozioni nella sua mente.
«E questa cos'è?» Domandò curioso allungando una mano verso la schiena del maggiore dopo che quello si fu sfilato la maglia - larghissima - del pigiama, con l'intenzione di indossare qualcosa di probabilmente più idoneo per trascorrere la giornata.  La pelle, soprattutto dal lato sinistro era segnata da sottili segni sfumati, sicuramente vecchi, quasi somiglianti ai reperti di qualche graffio un po' troppo profondo. Le dita affusolate del castano non poterono trattenersi dallo sfiorare delicatamente le candide cicatrici, mentre aspettava pazientemente la risposta dell'altro. Minhyuk, dal suo canto, ricordava poco di quell'infezione da strafilococco che ebbe da bambino: una irrilevante patologia che provocava l'apparizione spontanea di graffi e lievi ferite sull'epidermide, e nel suo caso soprattutto sulla schiena. Si era curato in fretta, era stata una cosa da nulla. Ricordava che qualche volta avvertiva prurito o addirittura dolore, soprattutto se ci passava sopra con la mano, tuttavia era sempre stato un bambino troppo curioso per stare fermo e prendere le precauzioni che i medici gli suggerivano. Di quella sorta di morbo non era rimasto nulla se non le, ormai quasi invisibili, cicatrici lasciate dalle ferite un po' più rilevanti, quelle rarissime che a volte arrivavano a sanguinare se non prestava attenzione. In ogni caso quel ricordo risaliva a così tanto tempo prima che sembrava avesse dovuto faticare per pescarlo dai meandri della sua memoria. Così tanto tempo che i graffi gli fecero venire in mente altro, scenari diversi, prospettive diverse, verità diverse... o meglio, fandonie. Pensò che non avrebbe avuto alcun peso qualche parola che gli avrebbe forse garantito un po' di sollievo dal calvario che stava attraversando per evitare di cadere nel pozzo delle menzogne, per evitare di deludere Jooheon. Pensò che non avrebbe avuto alcun peso quella, a suo parere, piccola e irrilevante bugia. Come dire, sacrificare il singolo per il totale, soverchiare le piccolezze per mirare ad un fine più sublime, ignorare la coerenza tendendo a raggiungere l'unico, lontano, obiettivo di abbandonare quella assurda mania di mentire e con quella l'affannoso bisogno di essere compatito.
La sua coscienza a quella domanda rispose «Niente.» ma il suo vizio ossessivo non era d'accordo e raccontò, invece, la propria distorta versione. «Solo, la cintura di cuoio di mio padre quando non facevo il bravo...»
La reazione dell'altro fu ovvia e attesa, per niente inaspettata, e soprattutto fu proprio ciò che il bianco voleva ottenere: dimostrazioni di affetto che riusciva a racimolare solo in quel modo. Jooheon non sapendo esattamente come rendersi utile nel consolare il maggiore, sebbene in realtà non ci fosse nulla da consolare, gli regalò semplicemente un abbraccio confortevole con il quale sperò di trasmettergli tutta la sua vicinanza emotiva. L'empatia del minore non aveva limiti, ma il poveretto non sapeva che era completamente sprecata con Minhyuk, perché poco di quello che usciva dalla sua bocca era veramente affidabile.
«E questa invece? L'ho notata un po' di tempo fa...» Jooheon disegnò con l'indice un cerchio leggero sul dorso della mano del bianco, attorno ad un lieve e pallido rilievo della pelle. Un altro segno, un'altra bugia. Solo un'altra... Non avrebbe fatto del male a nessuno, no?
«Quella è vecchia... Ero piccolo... Allora mia nonna aveva ancora il filo  spinato attorno alla cancellata e un giorno mentre scavalcavo...»
Un verso attonito si levò dalle labbra del castano che gli fece cenno con le mani di smettere di raccontare, finendo così con lo sciogliere l'abbraccio che aveva avvolto il busto dell'altro in una morsa di piacevole calore, qualcosa che gli mancava ricevere, qualcosa che i suoi sensi bramavano tanto disperatamente da ridursi a richiederlo indirettamente con azioni talmente subdole. Con un sospiro il maggiore lo ringraziò mentalmente, non aveva voglia di descrivere nei dettagli qualcosa che nemmeno era vero. La casa in cui aveva vissuto da bambino aveva davvero il filo spinato alle inferriate che circondavano il giardino e Minhyuk una volta si era graffiato, ma non era stata quella la causa della cicatrice che aveva sulla mano. Era semplicemente un bambino maldestro, spesso iperattivo e, soprattutto, troppo distratto. Sapeva tenersi impegnato per non far caso al mondo che aveva intorno,quel mondo che i suoi occhi, diversi,non potevano comprendere. Tuttavia qualsiasi cosa facesse, per quanto tranquilla potesse essere, non riusciva mai a restare illeso. Non sapeva andare in bici, ad esempio, perché non aveva avuto un padre che gli insegnasse, ma crescendo aveva voluto imparare, per assomigliare di più agli altri bambini. Aveva trovato una vecchia bici in garage, era arrugginita e con il sellino troppo alto per lui che aveva si e no 10 anni. D'altro canto, però, nemmeno sapeva come si abbassasse quell'affare, quindi ogni volta per salire doveva tirarsi sulle punte e sperare di non perdere il suo precario equilibrio. Quel giorno che lo perse si ferì disastrosamente i palmi, tanto che una pietra particolarmente scheggiata gli attraversò del tutto la mano sinistra e fu costretto a farsi cucire dei punti al pronto soccorso, mentre le ginocchia finirono entrambe completamente scorticate.
«E questa...?» Domandò ancora, impaurito quasi dalla futura risposta. Minhyuk sorrise, sorrise teneramente nascondendo lo struggente meccanismo che stava innescando il suo cervello per prendere qualcosa di suo e trasformarlo in un altro motivo plausibile per rispondere in modo d'effetto, sorrise mentre il suo cuore si godeva quelle attenzioni sporche e corrotte.
«Questa... Be' questa...»

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Verità celate ***


«Perché continui a fissare il vuoto?»

...


«Non ti stanchi mai di guardare sempre nello stesso punto?»

...

«Perché non guardi me invece? Non sono abbastanza bello?»

...

«No ti prego scherzavo, smettila di guardarmi così o divento rosso!»

...

«Non dire bugie, non sono così carino quando arrossisco»

...

«Però se ti fa stare bene...»

...

«Voglio solo vederti sorridere, okay?»

...

«Voglio vedere i tuoi occhi sinceri per una volta... Felici, magari...»

...

«Dici che ci riuscirò almeno una volta? Sarebbe davvero bellissimo...»

...

«Mi ci perdo anche solo a immaginarli...»

...

«Non che di solito i tuoi occhi non siano belli! Anzi, mi incantano sempre più, aish»

...

«Manca quella scintilla però... E be' se ci fosse quel luccichio di felicità e pienezza della vita allora sarebbero l'ottava meraviglia del mondo.»

...

«Cosa potrebbe farti stare meglio, Minhyuk?»

...

«E se ti dicessi una cosa...?»

...

«Ti amo come non ho mai amato nessuno...»

...

«Ti amo come Paolo ha amato Francesca, anche se sono finiti all'Inferno, con l'irrazionalità di Antonio per Cleopatra, con la nostalgia di Sydney Carton per Lucie Manette, con la dedizione di Dalì per Gala, con la costanza di Dante per Beatrice, con la passione di Catullo per Lesbia, con la consapevolezza di Giulietta per Romeo, con la follia di Dorian per la sua immortale bellezza, con la promessa eterna di Yoko Ono per Lennon

...

«Ma non è necessario che tu risponda, davvero.»

...

«Semplicemente, avevo bisogno di dirlo, volevo che tu lo sapessi...»

...

«Potrebbe farti stare meglio questo prima o poi?»

...

«Non dirmi che mi ami anche tu se non lo senti col cuore.»

...

«Lo devi sentire qui, non nella testa.»

...

«No, pensare di amare qualcuno non significa amarlo»

...

«Ma non è colpa tua, è bellissimo quello che cerchi di dire, ma non voglio che tu mi risponda così.»

...

«Continua solo a sorridere, questo è quello che puoi fare di più meraviglioso per me»

...

«Nella vita tutti aspettano qualcosa, c'è chi aspetta il treno, chi il suono della campanella che annuncia la fine dell'orario scolastico, chi l'autobus per tornare a casa, chi la fidanzata per un appuntamento, chi i risultati di un test, chi un amico che magari torni a farsi sentire... Io ho deciso di aspettare te, invece.»

...

«Aspetterò.
Aspetterò milioni di anni o tutta l'eternità, aspetterò anche se c'è il rischio di non ricevere nulla alla fine, aspetterò in silenzio, come se non ci fossi, aspetterò senza metterti fretta o pressione, aspetterò finché tu ne avrai bisogno, finché vorrai.»

...

E alla fine aveva aspettato davvero, aveva aspettato per mesi interi, aveva superato menzogne e illusioni senza nemmeno accorgersene, sempre con i suoi buoni propositi che spadroneggiavano nella mente, a discapito della realtà, perché non riusciva a rendersi conto di come stavano davvero le cose.
E stava aspettando ancora, mentre faceva finta di nulla.
E nonostante Minhyuk fosse ormai sicuro di amare ogni piccola cosa di lui, il minore non gli permetteva ancora di dire quelle fatidiche parole. "Non è il momento", diceva sempre. Una frase che gli ricordava lontanamente qualcosa, mentre tornava ogni volta a farsi strada dentro di lui un prorompente senso di colpa. Sapeva bene a chi rimandassero quelle parole, sapeva bene che era a causa di quelle parole, ripetute all'infinito come un disco rotto, che aveva ceduto e si era allontanato da lui. Merito della sua scarsa pazienza, forse, o del fatto che con la sua volubilità aveva costantemente bisogno di sicurezze, o magari di entrambi... Stava di fatto che di Kihyun non aveva più notizie e non aveva neppure tentato di cercarne. Non voleva che la stessa cosa accadesse con Jooheon, lui era diverso, aveva qualcosa che nessuno aveva mai avuto agli occhi del bianco. Il minore era stato l'unico a infondergli un senso di pace che non aveva mai trovato prima, l'unico a dargli quella cura che nessuno aveva mai saputo individuare. Aveva bisogno d'affetto, senza ripieghi, senza riserve, senza fini, senza timori. Aveva disperatamente e follemente bisogno di essere amato senza doverlo richiedere, senza doverselo procurare, senza dover inscenare commedie pietose. Questo Jooheon l'aveva capito, lui non aveva bisogno di ascoltare alcuna tragedia per abbracciarlo o dirgli qualcosa di dolce, non aveva bisogno di essere imbottito di menzogne per confortarlo e aiutarlo a vivere. Non era necessario dire bugie con lui... Eppure l'aveva fatto, non era riuscito ad evitarlo come, invece, avrebbe voluto. Non aveva saputo contenere quei fiotti di informazioni false ridondanti che la sua mente continuava giustamente a scacciare perché ormai colma. Aveva fallito, aveva perso perfino l'unica occasione che aveva avuto a disposizione per riscattarsi. Non era stato in grado di vincere contro se stesso, nonostante stesse lentamente imparando a controllarsi. Era stato l'amore del minore, che non mancava mai, a riscuoterlo da quell'innato comportamento distruttivo, era stato quello stesso amore a fargli comprendere che ormai non c'era più bisogno di inventare nulla. Tuttavia più restava a pensarci, più si rendeva conto di quanto tutta quella situazione fosse completamente falsa. Alla fine, anche l'amore del minore era basato sulla menzogna, perché se si era affezionato al Minhyuk che aveva conosciuto, allora stava provando amore nei confronti di un fantoccio modellato a sua immagine e somiglianza dagli spiriti menzogneri che lo assillavano, una semplice marionetta consumata nelle mani dello smodato desiderio di affetto e compassione. Jooheon non poteva in nessun modo amare Minhyuk, obiettivamente sarebbe impossibile amare qualcuno con una simile contorta personalità, qualcuno di debole e frivolo quanto lui, qualcuno così ossessionato dal voler sopperire alle mancanza del passato, qualcuno talmente infido da distorcere la verità. Nessuno lo avrebbe mai apprezzato se avesse mostrato ciò che era, e tantomeno lo avrebbe mai apprezzato se avesse raccontato di tutte le oscenità che aveva compiuto nella sua vita approfittando delle persone che vendevano la loro fiducia ad un diavolo del genere senza sapere che ne avrebbero ricavato soltanto fandonie. Era una consapevolezza schiacciante che non lo avrebbe mai abbandonato, e, sicuramente era il principale motivo che lo rinchiudeva nel proprio mondo legato alle catene che si era messo autonomamente tempo addietro.
«Minnie svegliati, stai dormendo ad occhi aperti??» Lo canzonò il castano dandogli un colpetto sul braccio che lo fece risvegliare dai suoi asfissianti pensieri.
«Ohh, no, scusa, stavo riflettendo...»
«Smetti di riflettere e guarda lì» Indicò un punto vicino con l'indice, mentre sul suo viso si allegava un sorriso dolce e nei suoi occhi aleggiava la felicità nel vedere qualcosa che ai suoi occhi doveva sembrare incredibilmente bello, cosa che non era condivisa dal maggiore.
«Non mi piacciono i bambini...» Mormorò piuttosto sottovoce. Effettivamente non voleva deludere il minore, ma non aveva neppure tanta voglia di continuare a guardare la scena che coinvolgeva la gioiosa famigliola davanti ai loro occhi. Certo, erano in un parco cittadino, era la cosa più normale imbattersi in situazioni di vita quotidiana come quella. E non poteva neppure giustificare il fatto che non se lo aspettasse poiché sapeva benissimo che la villetta del quartiere era frequentata da chiunque avesse dei bambini da portare a giocare e quello era il primo posto nella lista in tal caso. Alla fine non poteva essere colpa di Jooheon se aveva proposto una passeggiata tranquilla per uscire un po' dalla reclusione di quella casa, che era sì accogliente ma anche stancante, come diceva lui, per la ripetitività delle stanze sempre uguali. Per il bianco in realtà quell'ambiente non era mai stato opprimente, anzi, gli dava un senso di sicurezza e protezione che non aveva trovato ancora in nessun altro luogo. Era il posto in cui era cresciuto e il riparo che lo aveva salvato dalle mancanze delle persone che lo avevano messo al mondo, era l'unico luogo materiale che potesse considerare casa. "Ormai sei tu la mia casa", aveva detto una volta il castano lasciandolo di stucco. Si può davvero riporre così tanta fiducia in una persona da considerarla il proprio rifugio? Pensare che un giorno avrebbe potuto definire Jooheon come la propria casa lo spiazzava.
«Minhyuk mi senti??» Cosa? Che hai detto?
«Mh? Scusa non ho capito...»
«Ho chiesto perché non ti piacciono i bambini» ripeté il minore inclinando la testa lateralmente, ancora un po' stranito dal comportamento dell'altro. Il maggiore sospirò e si perse a guardare l'orizzonte colorato dai toni sfumati dell'azzurro del cielo. Per un istante dimenticò tutto, dimenticò di essere con qualcuno, dimenticò di essere con Jooheon, dimenticò delle sue bugie, dimenticò del mondo parallelo che aveva costruito, dimenticò quello che aveva o non aveva detto, dimenticò quello che avrebbe dovuto dire, dimenticò di controllare le proprie parole, dimenticò di tener chiusa la bocca.
Era questo l'effetto che gli faceva il minore, gli regalava quel senso di libertà che non aveva mai ottenuto da nessun altro... Eppure sarebbe stato infinitamente meglio se quella libertà non l'avesse avvertita, perché qualcuno come lui non aveva alcun diritto di parlare davvero.
«È perché i miei genitori mi hanno abbandonato, non è che erano morti, però... Solo che non mi volevano... E come tutti mi hanno abbandonato... Mi dà fastidio vedere gli altri bambini felici, quasi provassi invidia o qualcosa di simile...» La risata amara che uscì dalle sue labbra fu  portata delicatamente via dal vento. Ma a quel punto fu il silenzio stesso a risvegliare il bianco dalla sua trance. Che cosa aveva appena detto? 
Sentì i passi del minore incespicare mentre si allontanava, sentì i suoi singhiozzi, sentì le sue parole stridenti che lo colpirono in pieno. 
«Mi hai mentito...»
Vide la sua espressione sconvolta e... delusa, vide le sue lacrime scorrere come torrenti in piena, vide le sue mani asciugarle frettolosamente e non poté che restare a guardare.
«Vuoi abbandonarmi anche tu?»
Lo osservò che lottava contro se stesso, si guardava in giro o fissava il suolo o guardava sconcertato l'allegra famigliola che aveva scatenato quella infame confessione. Lo osservò che evitava gli occhi del maggiore, lo osservò deglutire e combattere con le lacrime, lo osservò impazzire sotto i suoi occhi, lo osservò in preda all'agonia mentre aspettava di essere salvato, mentre aspettava di sentirsi dire che tutto quello fosse solo un sogno o un malinteso e avesse soltanto sbagliato a capire... Ma Minhyuk non rimangiò nulla di ciò che aveva erroneamente pronunciato, restò semplicemente lì fermo, mentre perdeva l'ultima cosa preziosa che gli era rimasta. Mentre l'ultima occasione della sua misera vita lo abbandonava.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** L'ultimo rifugio ***


Correva. 
Non aveva pensato a dove andare;
Correva e basta.
Correva lontano dal parco, lontano dalle bugie, lontano da lui.
Ci aveva messo davvero tanto ad assimilare la verità dopo aver sentito le parole del bianco, ma avrebbe sicuramente preferito non imbattersi in quella triste realtà. Non riusciva a concepire di essere stato preso in giro per tutto quel tempo riguardo un argomento così delicato. Perché mai Minhyuk avrebbe dovuto dire qualcosa di falso sull'assenza dei suoi genitori? Se era stato capace di inventare una storia così efficace quando aveva raccontato della morte dei suoi genitori, allora era sicuramente in grado di mentire su qualsiasi altra cosa. Quante altre fandonie gli aveva raccontato? 
La consapevolezza che tormentava la sua anima devastata era quella di essersi ciecamente fidato di un folle.
Le bugie erano una delle cose che meno accettava al mondo, erano la causa di tanti malintesi, tanta sfiducia e tante tragedie, perché la gente non lo capiva? Perché davano tutti così poco peso alle conseguenze delle bugie? 
Le bugie distruggono tutto, la fiducia, i rapporti, i cuori. 
Si sentiva talmente debole e disarmato di fronte a quella situazione infinitamente più grande di lui. Sapeva che non poteva reagire, non poteva fare nulla per tornare indietro, per accorgersi prima di tutto quell'assurdo teatrino, per evitare che il suo cuore andasse in pezzi insieme ai propri sentimenti.
Il vento sferzava il suo viso, trascinando con sé le lacrime, mentre con le ampie falcate tagliava la fitta cortina di aria gelida e umida che riempiva l'atmosfera. Aveva perso tutto il fiato per la corsa e avvertiva ormai gli arti tremanti e stremati.
Doveva aver attraversato un bel pezzo di strada perché era arrivato lì dove la sua mente aveva istintivamente deciso di portarlo, da quello che era sempre stato il suo migliore amico. Changkyun era quel tipo di persona che non c'è mai eppure c'è sempre, non una presenza costante, solo qualcuno a cui rivolgersi per qualsiasi cosa in qualsiasi momento, qualcuno che c'era sempre, anche dopo mesi magari. Si conoscevano da anni e nessuno dei due aveva mai tradito quel reciproco rapporto di amicizia indistruttibile, uno di quelli che il tempo non poteva cancellare. 
Jooheon senza neppure rendersene conto entrò nel giardino, fino alla porta e si aggrappò quasi al citofono mentre cercava di dominare il moto di disperazione che imperversava dentro di sé.
La porta si aprì dopo poco, mostrando un ragazzo con l'espressione annoiata come al solito. «Complimenti, hai svegliato mio padre, adesso si incazz-» 
«Ma stai piangendo? Che è successo?»
Il tono apprensivo del minore fece crollare del tutto l'autocontrollo che aveva cercato di racimolare e lo devastò completamente, mentre si struggeva a indagare anche un solo motivo per cui Minhyuk avesse dovuto creare tutto quello. Era pienamente cosciente del fatto che il suo amore per il maggiore non sarebbe mai potuto sbiadire perché quel sentimento si era ancorato radicalmente alle sue membra e le dilaniava ogni istante di più. Sembrava aver perso completamente la ragione, sembrava aver gettato la sua vita in pasto ad una belva che aveva divorato ogni briciolo di speranzosa lealtà e spensierata genuinità che caratterizzavano da sempre la sua persona. Era completamente corrotto, l'unica cosa rimasta di lui era quel dirompente amore che pulsava nelle sue vene fino a generare altra sofferenza. E faceva tremendamente male sapere che avrebbe dovuto imparare a convivere con quel dolore perché quel sentimento non avrebbe mai avuto uno sfogo, non sarebbe mai stato appagato. Aveva fatto un contratto col diavolo il giorno che aveva spontaneamente deciso di entrare nella casa del maggiore per sincerarsi delle sue condizioni. Aveva venduto la sua anima quando i suoi occhi si erano completamente persi in quelli del più grande. Aveva regalato la sua giovane ed inconsapevole esistenza ad un demone affamato della carne di una nuova vittima e assetato della linfa della compassione. Un demone che aveva ottenuto il paradiso con quella preda che possedeva la più ingenua purezza che avesse potuto desiderare. 
Non voleva ammetterlo, ma era stato incauto a buttarsi a capofitto in quel turbinio di emozioni senza considerare o tener conto delle conseguenze, nessun altro probabilmente l'avrebbe fatto, ma... l'amore rende ciechi. 
Si sentì trascinare oltre l'uscio della porta, fino alla stanza del corvino e una volta dentro fu spintonato e costretto a sedersi su una sedia mentre Changkyun lo fissava in piedi a braccia conserte. 
«Vuoi parlare?» Domandò calmo il minore chinandosi leggermente verso l'amico, ma il castano si limitò a scuotere la testa mordendosi il labbro e continuando a tamponare le guance bagnate con la manica della felpa fradicia. «Vado a prenderti un bicchiere d'acqua, mh?» Aggiunse quindi l'altro e lo lasciò da solo in quella camera così familiare che restava sempre la stessa da sempre. Aveva passato giornate intere a giocare con la Play Station su quella TV che aveva sempre sognato di poter avere anche in camera propria ma che non aveva mai avuto il coraggio di chiedere ai suoi genitori, perché sapeva che non avrebbero avuto la possibilità di acquistarla. Aveva così tanti bei ricordi con Changkyun, ma in quel momento era come se la sua mente rifiutasse di sfogliare quelle vecchie pagine velate di semplice felicità, era come se l'album della sua vita si fosse focalizzato tutto sugli ultimi mesi trascorsi, come se non riuscisse a vedere altro che Minhyuk e tutto ciò che lo riguardava. 
Ma in fondo, cosa aveva fatto di così sbagliato?
Cercava affetto... Aveva bisogno di affetto... Per questo aveva inventato tutte quelle storie... Voleva essere ascoltato.
«Minhyuk... Mi aveva messo in guardia...»
 

Laveva visto rivolgergli un sorriso accennato, e per un attimo tutto intorno a lui sembrò fermarsi, la pioggia, l'oscurità, il freddo, ed era rimasto solo quel sorriso scaltro, ironico e quasi sprezzante, un sorriso che aveva gelato buona parte delle speranze rimaste al castano. «Io sono come la pioggia. Quando arriva, con le sue nuvole pesanti, cariche di dolore, copre il sole, che si nasconde impotente, lo oscura, lo eclissa, cattura la sua luce e lo nasconde finché non passa.» aveva sussurrato con voce roca il maggiore scandendo ogni inciso con una pausa quasi teatrale. Poi si era alzato rivolgendo i palmi verso l'alto perché l'acqua li ripulisse dai rimasugli di terreno. «La pioggia, la mia pioggia, non c'è speranza che finisca.» aveva aggiunto delicatamente il più grande e, senza aspettare che Jooheon si fosse ripreso dalla sua ultima risposta, si era incamminato dritto verso il paese, costringendo il minore a rincorrerlo. E lui lo aveva seguito, gli aveva preso la mano in silenzio e si era accodato a quel groviglio di emozioni ambulante, senza pretendere altro.
 

«Lui era la pioggia... Io ero il sole...» Mormorò fissando la porta di legno scuro. Il suo sguardo perso, appannato dalle lacrime, completamente svuotato di ogni emozione. Il vortice del maggiore aveva portato via con sé tutto ciò di buono che possedeva, lasciando al castano men che meno solo nostalgia e sensi di colpa.
«Le nuvole che catturano i raggi...»
 

«Non so essere sincero.» Aveva detto rintanandosi dietro la maschera apatica che si era costruito. «Sono soltanto un mostro, nulla di più. Non sono capace neppure di aspirare al bene, nessuno può stare con me senza restare ferito.» Lo aveva avvisato, ma il minore non ci aveva creduto, non era possibile ai suoi occhi che una creatura apparentemente così docile e distrutta potesse essere in grado di distruggere gli altri.
 

«Io so che non è un mostro...»
Changkyun, alla vista del suo migliore amico piegato a quel modo dalla sofferenza, provò ad allungare una mano verso di lui per confortarlo ma il castano sollevò le gambe sulla sedia richiudendosi a riccio e affondando la testa tra le braccia. «Non dovevo andarmene, Kyunnie...»


Avvertiva le braccia del maggiore stringergli la vita e attirarlo a sé in quel letto che sembrava sempre caldo per via della sua presenza accanto a lui. «Non te ne andare, okay?» aveva mugugnato il bianco con la voce tenera di un bambino assonnato, sorprendendo tremendamente l'altro. Jooheon quella volta avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto rassicurarlo che non se ne sarebbe mai andato perché lo amava, lo amava con tutto se stesso e lo faceva già da tanto tempo.
 

In quel momento si rese conto di aver infranto la promessa fatta a se stesso, la promessa di non farlo sentire mai più solo...
«L'ho abbandonato... È rimasto di nuovo solo, Changkyun... Me ne sono andato come uno stupido...» Si lasciò prendere nuovamente dal pianto, mentre crescevano i rimorsi. Minhyuk aveva sempre lanciato dei sentori per avvertire il minore di star cadendo in una trappola alla quale non sarebbe più potuto sfuggire. Aveva tentato di farglielo comprendere, ma evidentemente non era riuscito a fermare quella parte di sé che continuava a chiamare "mostro". No, il mostro non era Minhyuk, lui aveva sempre cercato di proteggerlo. Il mostro era il suo passato che lo aveva costretto a vivere di menzogne, un modus vivendi che non riusciva più a sopprimere e non riuscendoci aveva tentato di tenere alla larga quanto più possibile Jooheon da sé e dalle sue bugie.
«Perché non l'ho capito prima? Tutto questo tempo... Ci ha provato... Non voleva farmi del male... Ha tentato di proteggermi...»
 

«Ti prometto che noi saremo per sempre. Non dovrai parlare mai di me come un ricordo, io ci sarò per te fino alla fine dei miei giorni.» Era da un'ora che il minore invano provava a far riprendere il bianco da quel crollo mentale che lo aveva improvvisamente travolto. Era stata una foto la causa, la foto del minore insieme al suo amico d'infanzia, Hyungwon, e al fidanzato di quello. Jooheon aveva pensato di fare qualcosa di carino parlando un po' di sé in quella serata tranquilla, dato che Minhyuk conosceva davvero poco della sua vita al di fuori della sua famiglia. Aveva raccontato al maggiore di Changkyun e del bel rapporto che aveva con Hyungwon. Qualcosa di oscuro, però, era scattato nel bianco quando il minore aveva cominciato a raccontare di quanto fossero adorabili i due piccioncini suoi amici. Jooheon non aveva avuto modo di comprenderlo, ma il maggiore era completamente uscito di sé cominciando a blaterare cose dalle quali si evinceva perfettamente la sua immane paura di rimanere solo.
«Non dovresti dire così, se resti con me te ne pentirai.» Ma Jooheon non aveva mai dato peso a quelle parole prima di allora, non aveva mai creduto nei deliri del bianco su quell'argomento.

 

«Giuro che non mi sono pentito di avergli dato il mio cuore... Io lo amo...» Si dondolò spasmodicamente sulla sedia, sembrava fosse del tutto impazzito, aveva evidentemente perso il senno. Aveva bisogno di compensare il vuoto che avvertiva dentro di sé, ma non desiderava nulla indietro della sua vecchia personalità, aveva bisogno di una sola cosa, di una sola persona, perché non sopportava di stare senza di lui. La mente aspettava la sua presenza, l'anima bramava le sue attenzioni, il corpo reclamava il suo calore. Tutto di sé chiamava il nome di Minhyuk e non poteva fare nulla per spegnere l'incendio che il maggiore aveva attizzato dentro di sé. Avrebbe voluto essersene reso conto prima, se l'avesse fatto probabilmente avrebbe potuto aiutare il bianco, avrebbe potuto sostenerlo e insieme avrebbero potuto vincere quella battaglia che, invece, stava portando avanti da solo da tutto quel tempo.
 

«Qui l'unico che sta uccidendo qualcuno sei tu, Honey
 

Soltanto adesso aveva compreso a cosa si riferisse. Non immaginava neppure la guerra che si scatenava nella mente del maggiore ogni volta che gli si presentava davanti l'occasione di mentire, non poteva capire cosa significasse lottare contro i fantasmi del proprio passato. Non poteva, ma non si era neppure impegnato abbastanza per immaginarlo...
 

«Tu ti fai sempre in quattro per aiutare tutti, fai sempre più del dovuto. Non hai fatto niente di male contro la tua famiglia, non capisco che problemi abbiano, davvero.» Commentò il bianco stringendo amorevolmente il minore tra le braccia, dopo che aveva spiegato la sua situazione familiare poco felice. Era rimasto piuttosto turbato dalla conferma che gli aveva dato sua sorella minore del fatto che non fosse cambiato nulla e che, anzi, adesso che lui era "scappato" di casa le cose sarebbero state anche peggio per le due donne di casa. «Posso essere io la tua casa... Se solo tutto ciò non fosse sbagliato, se solo io non fossi sbagliato.» Accarezzò gentilmente i capelli del castano mentre sorrideva tristemente, e Jooheon poteva vederlo riflesso nello specchio dell'armadio.
«Smettila, tu non sei sbagliato.» Aveva risposto a tono, ma allora non aveva capito nulla.

 

«Cosa devo fare?» Si tirò le ciocche di capelli castani tra le dita. In quel momento il ragazzo che era sempre stato un rifugio per lui taceva. Jooheon si rendeva vagamente conto che Changkyun non poteva capire granché della situazione, ma non aveva nessun altro luogo in cui chiedere asilo in quel momento. Aveva per quasi un anno affidato completamente tutto se stesso nelle mani di Minhyuk e senza di lui l'unica cosa che avvertiva nel petto era il vuoto.
«Devi calmarti Jooheonie, questo devi fare.» Il corvino gli porse il bicchiere d'acqua che il più grande accettò asciugandosi ancora le lacrime sulla maglia, cercando qualche punto della manica meno umido del resto. Changkyun gli aveva offerto dei fazzoletti ma li aveva rifiutati confuso com'era da ogni singola cosa. «Penso che tu abbia bisogno di un po' di tempo per riflettere, da solo... Posso ospitarti qui, lo sai, tranquillamente. Però non voglio vederti così abbattuto, non è stata colpa tua Jooheon-ah.»

Changkyun ripeteva quella frase costantemente.
"Non è stata colpa tua" diceva, eppure più se lo sentiva dire più accrescevano i rimpianti dentro di sé, giorno dopo giorno.
Ne erano passati nove esattamente, di giorni, come i giorni che aveva trascorso tempo prima recluso in casa senza poter vedere Minhyuk e costretto a usare Hyungwon per mandargli degli inutili pezzi di carta.
Si sentiva così stupido in quel momento. Come se Minhyuk avesse voluto un pezzo di carta... Aveva solo bisogno d'affetto e questo nessuno riusciva a capirlo, riducendolo a rendersi schiavo delle bugie per ottenere qualcosa di paragonabile all'affetto, ma molto meno duraturi, come la pietà e la compassione.

Quel nono giorno, il cellulare vibrò sul comodino del letto che gli aveva affibbiato Changkyun. Da quando era lì non faceva che dormire, piangere e mangiare qualche schifezza solo per non perdere completamente la forza altrimenti i pianti lo avrebbero prosciugato del tutto. Il corvino era seduto sulla sua solita sedia mentre Jooheon cercava di rigirarsi nel letto per afferrare il cellulare, temendo che qualcuno della sua famiglia avesse avuto intenzione di chiamarlo proprio in un momento pessimo come quello. Tuttavia, presto si rese conto che a chiamarlo era qualcuno di ben diverso, dal quale non si aspettava affatto di essere telefonato...

«Min-»
«Volevo dirti addio Honey. Volevo dirti che sei la persona migliore che abbia mai incontrato nella mia vita. Volevo dirti che mi dispiace di non avertelo saputo dimostrare. E volevo dirti buona fortuna, spero soltanto che tutto che questo sia servito almeno a farti capire di chi fidarti e di chi invece no.» Disse l'altro tutto d'un fiato, poi ci fu silenzio, come se il bianco avesse già allontanato il telefono dall'orecchio.
«NON RIATTACCARE!» Urlò a pieni polmoni il minore scattando sul letto, ma contemporaneamente udì il bip che segnalava che la chiamata fosse terminata

L'afflizione lo portò a soccombere nella paura. Lo stava per perdere del tutto? Cosa aveva intenzione di fare?
La sua attenzione tuttavia fu immediatamente rivolta all'aggeggio elettronico che vibrò sul ripiano di legno del comodino illuminandosi e mostrando il breve messaggio.

Aveva letto quelle poche parole allarmato, aveva sgranato gli occhi pietrificato dalle sue paure che si erano ripiegate nella realtà e aveva istintivamente deciso di correre di nuovo, correre indietro 'sta volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Dove sei? ***


Andiamo, un altro passo.

Magari questa è la volta buona.

Magari questa è la volta che non dovrò più fingere perché sarò morto davvero.

Ma Jooheon non era ancora arrivato e Minhyuk sapeva dentro di sé di avere una tremenda paura di morire, paura di cosa ci sarebbe stato ad attenderlo dall'altro lato. Aveva raccontato varie volte di aver tentato il suicidio, ma prima di quel momento non aveva mai saputo davvero cosa si provasse a essere in punto di morte.

E se Jooheon non fosse venuto? 

Deglutì guardando la foresta dinanzi a sé, una disordinata distesa di verde scuro e ombre che riempivano i vuoti tra i folti arbusti che popolavano il crepaccio sul quale si trovava. In fondo al burrone serpenteggiava un fiumiciattolo che doveva essere profondo appena un paio di metri, una profondità che non avrebbe permesso neppure al più abile nuotatore di salvarsi dopo essere saltato da quel ponticciolo che contava un altezza di almeno cento metri. Era tutto perfettamente calcolato, quel posto era frequentato pochissimo poiché il territorio circostante era completamente adibito ad area industriale. Si guardò intorno mentre l'ansia corrodeva mentalmente la sua lucidità e asfissiava la sua mente: c'era silenzio, se non per il lieve rumore delle fabbriche poco lontane che creava un cupo sottofondo all'armoniosa quiete della natura. Fissò tristemente i suoi occhi verso la boscaglia che costeggiava il torrente sotto di lui, e risalì con lo sguardo lungo le pendici rocciose e quasi verticali della voragine, sulle quali si arrampicavano le radici di arbusti spogli dal fusto ricurvo e i rami sottili e ossuti, che arricchivano l'atmosfera di uno scenario piuttosto lugubre per quanto erano ritorti e deformi. Si soffermò, infine, sul catrame vecchio e ormai troppo friabile dove poggiava i piedi, voltò la testa all'indietro verso il largo ponte che mai era stato ultimato del tutto: ai bordi della strada asfaltata vigevano ancora zolle di terra ricoperte da uno strato consistente di erbacce e, inoltre, non era mai stata posta alcuna protezione ai bordi se non dei muriccioli di pietra alti si e no mezzo metro. Un auto sfrecciò davanti a sé, ignorandolo. 
Sospirò rendendosi per la prima volta conto di quanto fosse teso, avvertiva i polmoni irrigidirsi ogni volta che l'aria penetrava all'interno. Riportò l'attenzione sul crepaccio e guardò in basso fino ad accusare un capogiro, così distolse lo sguardo e compì quell'ultimo passo avanti che gli permise di salire sul piccolo muretto. Si limitò a respirare chiudendo gli occhi e sentendo le vertigini che si impossessavano completamente di lui, le ombre tremanti che aleggiavano dietro le sue palpebre abbassate, l'equilibrio che lo tradiva rendendolo sempre più irrequieto. 
Sembrava stesse per cadere da un momento all'altro.
Sembrava stesse per dire involontariamente addio alla sua vita.
Non voleva davvero morire, non era sua intenzione.
Era andato lì solo per avere un buon pretesto per convincere il minore a tornare da lui.
Eppure... Il vuoto lo stava tentando.
Poi sentì il suo nome.
Sentì urlare.
Sentì quella voce che stava aspettando.
Si girò istintivamente.
Le gambe tremarono.
Il suo corpo si sbilanciò terribilmente.
Riuscì comunque a sorridere.
Sorrise tranquillo, come se nessun trauma lo turbasse in quel momento.
Sorrise al ragazzo che correva disperatamente verso di lui.
E poi vide Jooheon scomparire di colpo.
Udì solo un tonfo sordo, raccapricciante.
E cadde.























 

Uno stridìo di freni, però, gli fece riaprire bruscamente gli occhi e accapponare la pelle. 
La testa pulsava e una voce dentro di sé urlava qualcosa di sconnesso che lo stava distruggendo. 
Qualcosa era andato storto.
Strisciò con le ginocchia doloranti sull'asfalto graffiante senza curarsi del sottile tessuto dei jeans che si lacerava nei punti in cui raschiava contro la strada.
Si trascinò con tutte le sue forze oltre quell'auto che gli ostacolava la vista, per quegli ultimi due metri che aveva bisogno di oltrepassare per... Per raggiungere... Per arrivare a... lui...

L'ansia era esplosa nelle sue vene tutta d'un tratto come se avesse sentito d'istinto che la serenità che aveva popolato la sua vita negli ultimi mesi si era infranta e il filo che li univa si era già spezzato. I suoi occhi faticavano a mantenere la concentrazione visiva, cosicché la tanto angelica immagine dinanzi a sé cominciò ad apparire sfocata, i contorni di quella che aveva pensato essere la perfezione divennero indistinti al punto da confondere ancora una volta le sue convinzioni. La perfezione poteva sbiadire?
Il dolore alle tempie divenne più forte, come la sua voce d'altronde. «Jooheonie. JooheonieJooheon-ah!» 
Strillava, la voce strideva contro la nebbia fitta e ruvida, fendeva l'aria gelida, con l'unico risultato di rendere l'atmosfera ancora più glaciale.
Stringeva con le mani le spalle del minore, scuoteva il suo corpo molle, che non reagiva più ad alcun tocco.
Minhyuk si guardò intorno terrorizzato: un'ombra nera strisciava dietro di sé, ne era sicuro. Era l'ombra dei suoi scheletri nell'armadio, che ormai in quell'armadio non ci stavano più. Sgusciava lentamente circondandolo, bloccandogli ogni via di fuga, intrappolandolo in quel cerchio di fiamme che neppure quell'angelo poteva domare. Si sentiva bruciare dall'interno, come se l'ombra avesse appiccato il fuoco dell'Inferno nel suo cuore. Le propaggini del buio che lo avvolgeva sibilavano crudeli coprendo i suoi occhi, catturandolo del tutto nell'oblio.

«Non dirò più bugie... Te lo prometto Heonie...
Ora 
svegliati, dai, torna da me...»

Il valore di ciò che si ha lo si capisce soltanto dopo averlo perso, è vero.

Ma io non volevo perderti, non ero pronto.

«Torna nel tuo posto, torna da me, ti proteggerò per sempre d'ora in poi...»

Probabilmente se tu fossi ancora qui a tenermi la mano sarebbe più facile cadere ancora nella menzogna.

Però la tua mano non sta stringendo la mia e le tue dita sono talmente fredde da mettere i brividi.

Tu non ci sei, e qualsiasi parola esca dalla mia bocca mi provoca un nodo alla gola.

«Lo giuro, nessuno potrà più farti male se tornerai da me. Lo giuro... io non ti farò più del male.»

Vorrei poter guardare le tue iridi scure ma raggianti di quella gioia pura, però le tue palpebre restano chiuse, nonostante i miei polmoni urlino il tuo nome.

È stato quando hai deciso di amarmi che ti sei condannato e adesso io condanno me stesso a rimpiangerti per l'eternità.

Mi condanno a piangere per l'unica persona diversa che io abbia mai incrociato durante la mia vita, quella persona che, come tutte le altre, mi è sfuggita di mano...

Allora non eri poi tanto speciale Jooheon? O forse sono io a non aver capito cosa sia l'amore?

Dove sei adesso che ho bisogno di risposte? Adesso che ho bisogno di te...

Dove sei adesso che mi sto pentendo di quello che ho fatto?

Dove sei adesso che odio le mie bugie?

Dove sei adesso che non riesco a dimenticarti?

Non vuoi tornare indietro?
 

Non mi ami abbastanza da perdonarmi?


 

Sto... impazzendo?






 

Perché sto parlando così...?
















 

Cosa pretendo ancora da quel ragazzo?




























 

Non sono ancora stanco di prendermi in giro?









































 

Jooheon è morto.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Epilogo ***


"A te, 
Che mi avevi colpito così tanto a primo impatto,
che non mi sono mai pentito di quando ti ho baciato la prima volta.

A te,
Che mi avevi capito senza neppure conoscermi.

A te,
Che hai avuto il coraggio di darmi del "bugiardo" sin dall'inizio.

A te, 
Che ti sei preso cura di cose che mi riguardavano
alle quali nemmeno io prestavo attenzione.

A te,
Che hai portato un lampo di gioia nella mia monotonia.

A te,
Che non avevi alcun dovere nei miei confronti,
eppure ti sei incaricato di farmi tornare a vivere.

A te,
Che hai anteposto sempre me ai tuoi problemi, non hai mai esitato
quando si trattava di aiutarmi, trascurando persino la tua famiglia.

A te,
Che non avevi paura di farti vedere mentre piangevi.

A te,
Che non hai mai perso la speranza di farmi cambiare.

A te,
Che non hai mai smesso di tentare,
non ti sei mai arreso, non hai mai osato gettare la spugna.

A te,
Che hai creduto in me e hai sempre denigrato l'idea di "mostro" insita nella mia mente.

A te,
Che mi hai offerto la tua mano senza pensarci due volte, pur di avermi al tuo fianco.

A te, 
Che quando hai pensato di non essere all'altezza del compito
che ti eri autonomamente assunto, hai passato interi giorni a disperarti.

A te,
Che, a tuo discapito, non riuscivi a stare senza di me
e non hai mai voluto allontanarti davvero.

A te,
Che hai sofferto tanto a causa mia, perché non volevi abbandonarmi.

A te,
Che sei stato il primo e l'ultimo ad avermi, purtroppo, giurato fedeltà.

A te, 
Che mi hai strappato via dalle grinfie della morte
e mi hai riportato alla realtà, allontanando una per una le mie illusioni.

A te,
Che hai perdonato e dimenticato ogni mio errore e sbaglio.

A te,
Che mi hai insegnato ad amare qualcuno col cuore e non solo a parole.

A te,
Che credevi nel "per sempre", eppure adesso sono obbligato a parlare di te come un ricordo.

A te,
Che eri troppo giusto per questo mondo.

A te,
Che eri disposto a tutto per me, e hai gettato via la tua vita
e il tuo futuro quando mi hai visto sul lastrico.

A te,
Che non hai mai saputo che anche la tua morte è stata causata dell'ennesima bugia.

A te,
Che non ti ho mai chiesto scusa, nonostante ciò che ti ho fatto.

A te,
Che sei il motivo per cui oggi insegno a mio figlio che le bugie non si dicono.

A te, 
Che hai preso tutto di me e lo hai portato via ovunque tu sia in questo momento.

A te,
Che ogni tua parola l'ho stampata in mente e ho giurato
di non confondere mai neppure una frase di ciò che mi hai detto.

A te,
Che ogni tuo ricordo lo conserverò preziosamente fino alla fine.

A te,
Che te ne sei andato senza dirmi neppure una parola, perché forse avevi già parlato abbastanza...

A te,
Che hai sacrificato te stesso per una causa che non hai mai ritenuta persa.

A te,
Che hai lasciato il tuo sangue sulle mie mani, macchiando la mia anima
per l'eternità, vincendo una volta per tutte quella causa.

A te,
Che spero sia soddisfatto di me adesso, adesso che non voglio
più mentire a me stesso, adesso che so di averti amato davvero,
adesso che sono sicuro di non poter amare mai nessuno più di te.

A te, 
Che spero mi aspetterai fin quando non giungerà anche la mia ora.
Perché sei l'unica persona della quale ho accettato la mano,
e sarai l'unica persona alla quale vorrò tenere la mano mentre
attraverseremo insieme la linea di confine con l'aldilà.

So che la morte o è un ponte che conduce da qualche altra parte, o è la fine di tutto.
In cuor mio spero la prima opzione, ma temo la seconda...
Forse, per quanto sono stato crudele, io rinascerò insetto,
mentre tu 
rinascerai l'uomo più saggio del mondo.
A quel punto allora sarò la zanzara che ti tormenterà di notte
o la mosca che non ti farà mangiare in santa pace, ma non ti abbandonerò mai più.
E tu con la tua immensa pazienza mi 
sopporterai,
perché non voglio vivere un'altra vita senza di te."


 

«Appa» il bambino tirò la manica del cappotto del padre per attirare la sua attenzione. Era normale che un bambino di cinque anni fosse confuso dal trovarsi in quella situazione. «Chi è quel ragazzo? Perché c'è la sua foto qui dentro? Non è un posto per le persone giovani questo.» 
Chi era quel ragazzo...?
Come si fa a spiegare a parole chi è colui che ti ha cambiato la vita, ha distrutto ogni cosa esistente col suo uragano di vitalità e ha costruito una persona nuova?
Come si fa a dare una definizione della causa della propria sofferenza nel sapere di aver ucciso l'unica speranza di cui si era in possesso?
Come si fa a descrivere l'amore, quando esso supera i limiti che la parola stessa racchiude?
Come si fa a raccontare la sensazione di aver avuto accanto la stella più splendente dell'universo?
Come si fa a delineare l'idea della luce che spazza via le tenebre spianando la strada alla salvezza?
Ma soprattutto... Come si fa ad ammettere che anche una luce del genere è stata ingiustamente condannata a soccombere?
Come... Come si fa...?
«Appa, ho freddo...» si lamentò sottovoce il piccolo stringendosi nel giubbotto imbottito quanto meglio riusciva.
Minhyuk allora distolse lo sguardo dalla lettera infilata tra i fiori blu che decoravano la lapide, mossi dal vento; era lì da 14 anni quel foglio di carta plastificato... Sembrava successo tutto solo l'altro ieri, eppure erano 14 anni che aspettava, anno dopo anno, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, di ricongiungersi con quella persona. Ricacciò indietro le lacrime che avevano ormai impregnato i suoi occhi, e sorrise al bambino prendendolo per mano e scortandolo lontano da quel posto orribile. «Vieni, torniamo a casa dalla mamma.»

 

In un luogo triste, lugubre e freddo, dieci anni addietro,
un giorno d'inverno, 
era cominciata la loro storia.
La storia intricata di due ragazzi che freddi, in fondo, non erano, perché entrambi
in un modo 
o nell'altro erano assaliti da emozioni, passioni e sentimenti.
Quel luogo dove, forse per destino, la loro storia era finita.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3740353