ìmago

di _Zemyx_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


La stanza era buia, un leggero spiffero soffiava alle sue spalle. 
Il ragazzo cercò di concentrare i propri sensi per cogliere qualcosa, un suono, un odore, un colore. L'aria era fresca, profumava di erba tagliata e di pioggia primaverile, ma non si sentiva lo scroscio dell'acqua, perfino quel flebile vento che gli lambiva le caviglie sembrava non voler rompere quel silenzio così rigoroso. Una luce debole si accese, poco davanti ai suoi occhi. Assomigliava molto ad una lucciola, se non per quel colore azzurro decisamente bizzarro. Il ragazzo la osservò un attimo, indeciso sul da farsi. Si guardò intorno, alla ricerca di altre luci, di un segnale, di un qualcosa che potesse indicargli la via da seguire.
La Luce lampeggiò timidamente, per attirare la sua attenzione, poi si spostò fluttuando, avanzando nelle profondità di quella stanza, così buia e silenziosa.
Il ragazzo la fissò un istante, prima di trarre un profondo respiro e muovere un passo in quello che, per quanto poteva vedere, era un abisso oscuro. Non appena il suo piede si posò nuovamente sul terreno però, si formarono delle piccole onde concentriche, come se stesse camminando su uno specchio d'acqua. La superficie rifletteva tremolando il bagliore di quell'unico indizio che il ragazzo si prestava a seguire, che lo stava aspettando poco avanti, con aria quasi impaziente, fluttuando su e giù, fremendo in attesa di essere seguito. 
Ad ogni passo, il ragazzo si sentiva più sicuro, o meglio, meno timoroso di un'improvvisa caduta nel vuoto, e la Luce azzurrina era ormai vicina.
Non appena la raggiunse, questa gli vorticò attorno, e il ragazzo poté vedere il proprio riflesso nella superficie cristallina sulla quale camminava. Non portava nulla ai piedi, le gambe erano coperte da dei pantaloni in tela, stretti con degli elastici attorno alle caviglie e alla vita con una corda. Portava uno smanicato dello stesso tessuto dei pantaloni, con tinte che sembravano spaziare dal verde al celeste, per quanto quella poca luce poteva permettergli di distinguere. Le sue braccia erano snelle, un accenno di muscoli dovuto a tutto il tempo che passava arrampicandosi sugli alberi del bosco dietro casa. I capelli corvini ricadevano su una spalla con un codino che non ricordava di essersi fatto, gli occhi verdi riflettevano una luce che pulsava con insistenza. Alzò lo sguardo per prestare attenzione alla sua guida spazientita, "Sì, sì, ci sono!" sbuffò. L'altra sembrò soddisfatta del risultato ottenuto, e si rimise a fluttuare con più calma, inoltrandosi nel buio con il ragazzo al seguito.

Camminarono per qualche centinaio di metri, poi la sua compagna luminosa si arrestò e si tuffò al di sotto della superficie cristallina del terreno.
"Ehi, non mi lascerai mica solo vero? Non si vede un accidenti qua!" il ragazzo seguì con lo sguardo l'unico indizio che lo aveva guidato in quel posto sconosciuto sprofondare nell'abisso sotto i propri piedi, e per un attimo si fece prendere dallo sconforto. L'idea di restare solo in un posto ignoto e completamente buio non lo entusiasmava troppo. Decise di sedersi dov'era nella speranza che la Luce sarebbe tornata a guidarlo, quindi incrociò le gambe e si mise in attesa, scrutando l'orizzonte, sperando forse di scorgere un altro lumino in lontananza, invano. Passò qualche minuto, o almeno così gli parve, e già il ragazzo non ne poteva più di aspettare, le peggiori idee iniziavano a farsi strada nella sua mente, e come se non bastasse il suo stomaco iniziava a riempire quel posto con suoni non troppo adatti a quel silenzio rigoroso che vigeva prima. Si sdraiò a terra, le mani dietro la testa, valutando le possibilità. Non aveva idea di dove fosse, o come ci fosse arrivato. Non aveva nemmeno idea di cosa indossasse in quel momento. Sapeva poco, in fin dei conti, della sua attuale situazione. Era da solo, in un posto buio, e aveva fame. Praticamente, questo era tutto quello che sapeva. Non era affatto confortante, si rese conto. Con gli occhi fissi verso l'alto, iniziò a scrutare quel buio infinito che gli si parava davanti, quel vento leggero rasoterra ora gli lambiva i capelli, gonfiandogli le vesti attraverso il foro per il collo. Gli tornò in mente la radura, nel bosco dietro casa. L'estate era solito dormire con degli amici sotto le stelle, con la brezza che muoveva i ciuffi d'erba attorno ai loro sacchi a pelo, il fuoco che scoppiettava poco distante, il ruscello che scrosciava qualche metro più in là. La nostalgia lo colse, si chiese quanto distasse da casa, se sarebbe mai riuscito ad uscire, e soprattutto come. I suoi occhi verdi iniziarono a gonfiarsi di lacrime, il vento sembrò fermarsi, per lasciarlo solo con i propri ricordi.
Si mise seduto, cercando di ricomporsi, mentre una lacrima gli rigava la guancia destra, cadendo poi verso quel terreno trasparente ma allo stesso tempo così scuro e profondo, infrangendone la superficie al contatto. Le onde che si generarono da quella misera lacrima si propagarono molto più di quanto avrebbero dovuto fare in un liquido normale, sparirono veloci, fuori dalla vista, riflettendo un cielo stellato dove fino a prima vi era un soffitto nero.

 

 

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Questa è la bozza del primo capitolo, scusate se è breve, è ancora un esperimento.
Purtroppo di trama ancora c'è molto poco, ma spero che, per quanto corto, sia riuscito a risvegliare un minimo di curiosità in voi.
I commenti costruttivi sono sempre ben accetti, cercherò di aggiungere il seguito il prima possibile ;A;
Grazie per la vostra lettura :3

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Il ragazzo alzò lo sguardo verso l'alto. Una distesa di stelle si spandeva a perdita d'occhio tutto intorno a lui, fino a specchiarsi sulla superficie riflettente dove sedeva il ragazzo, rendendo impossibile distinguere dove effettivamente finisse il cielo.

Il giovane ebbe un tuffo al cuore, forse dopotutto non era così solo e sperduto come temeva. Si lasciò cadere all'indietro, e puntellandosi con i gomiti si guardò attorno, forse cercando di riconoscere le costellazioni che dipingevano il cielo sopra casa sua. Dentro di sé, un connubio di emozioni contrastanti si dimenava, lasciandolo inquieto, per quanto comunque fosse meno sconsolato di poco prima. Non aveva mai pensato che un cielo stellato potesse portargli un tale sollievo, e lasciandosi definitivamente cadere al suolo, il suo sguardo si perse nell'infinità che si apriva sopra di lui. Guizzando da una stella all'altra, i suoi occhi verdi rilucevano umidi delle luci di quella inaspettata volta celeste, gonfi di lacrime trattenute per orgoglio, nonostante nessuno avrebbe potuto vederlo, in quella solitudine puntellata d'astri.

Fu dopo alcuni minuti che il ragazzo si accorse che quella volta era in movimento. Ruotava, lentamente, sopra di lui, come se tutte le stelle volessero dare un'occhiata a quel piccolo esserino sperduto nel nulla, solo come un cane, con gli occhi gonfi di lacrime, chissà se provavano pietà o se lo facevano per scherno. Il ragazzo osservava le stelle sollevarsi da quell'orizzonte a specchio, innalzarsi lentamente con gli sguardi fissi su di lui, e dentro di sé iniziò a chiedersi se quel cielo stellato non fosse spuntato per vegliare su di lui, come una marea di taciti guardiani. Più fissava le stelle e più il giovane si sentiva piccolo, impotente di fronte all'immensità dell'universo che scorreva sopra di lui, un essere minuscolo, se paragonato ai milioni di astri che stava osservando, e proprio mentre si sentiva sparire davanti alle dimensioni di ciò che osservava, tutto si bloccò. La volta smise di ruotare, il vento smise di soffiare, e le stelle cominciarono a spegnersi, prima quelle più piccole, poi man mano anche quelle più luminose iniziarono a sparire davanti agli occhi increduli del ragazzo. Non voleva tornare solo in quell'abisso nero, ma la sua volontà contava ben poco, in quel posto.

Man mano che le stelle si spegnevano, dai suoi occhi spariva quel barlume di speranza che quella volta luminosa aveva acceso. Gli mancò la forza per alzarsi, così si rassegnò a contare quante stelle restavano, prima che tornasse il buio più completo; sembravano una trentina, ma diminuivano rapidamente. Venti. La luce attorno a lui si affievoliva sempre di più. Quindici. Non riusciva nemmeno più a distinguere l'orizzonte. Dieci. Le ultime rimaste, sopra di lui, lo fissavano con aria impietosita. Sette. Sparivano più lentamente, come se fossero restie ad abbandonarlo di nuovo. Cinque. Per quanto lente, se ne andavano, inesorabili. Tre. Il ragazzo sentì il cuore farsi pesante, triste per la solitudine che gli si prospettava. Due. Due occhi fissi nella volta celeste lo fissavano, pulsavano guardando verso di lui, di una luce fredda, distante. Uno dei due astri schizzò via, lasciandosi una scia di polvere argentea alle spalle, sparendo nelle profondità nere che ormai inghiottivano la sala. Una. In quell'ultima stella il ragazzo ripose tutta la sua speranza, quell'urgente bisogno di avere qualcuno, di non essere solo. Il desiderio di qualcuno accanto, di qualcuno che potesse difenderlo, per quanto distante potesse essere, per quanto questo "qualcuno" in cui stava riponendo tante speranze, era una palla di fuoco distante milioni di anni luce, destinata a spegnersi come le altre. Forse si era addirittura già spenta, ed il ragazzo stava riponendo le sue speranze su un mero fascio di luce che viaggiava nell'universo, futile memoria di una stella ormai morta.
Ma il ragazzo non contemplava questa cupa possibilità, forse per ingenuità, forse perché aveva bisogno di quella stella, di quella speranza, e per questo ci si attaccò con tutte le sue forze.
La fissava con il volto rigato da lacrime silenziose, gli occhi che riflettevano quell'unico barlume in cui riponeva ogni suo desiderio, ogni suo bisogno. Gli sembrò addirittura che la stella iniziasse a brillare di una luce sempre più intensa, il velo di lacrime davanti ai suoi occhi gli dava quell'impressione. 
La stella persisteva, unica luce rimasta in quella volta ormai spoglia, vegliava, in un abisso di oscurità, su quel ragazzo con gli occhi che rilucevano di speranza. Questi, dal canto suo, si era convinto che se avesse distolto lo sguardo dalla sua stella, lei se ne sarebbe andata, quindi si stava concentrando al massimo per non perdere il contatto visivo, per quanto difficile potesse essere mantenere una visuale decente con gli occhi gonfi di lacrime. Li asciugava delicatamente, per non chiuderli, con le dita lunghe e snelle, asciugandole poi sulla tela ruvida di quegli abiti che non conosceva. Si stava giusto per chiedere come avrebbe mantenuto il suo intento, considerata la necessità di battere le palpebre, quando quella stella sopra di lui si fece più potente. Brillò improvvisamente, un'esplosione di luce invase quello spazio desolato, inondandolo di un bagliore purissimo, un bianco così intenso che costrinse il ragazzo a chiudere gli occhi.

Quell'esplosione durò un'istante. Il ragazzo si alzò in piedi, stropicciandosi gli occhi, per riabituarli all'ambiente scuro che lo circondava, cercando di fare veloce per controllare che la sua compagna stesse ancora vegliando su di lui. Quando riuscì a vederci bene però, il suo cuore perse un battito. A pochi metri da lui si trovava una creatura imponente, fiera e minacciosa, e il giovane sentì il sangue raggelarsi nelle vene, notando i due occhi che lo fissavano. La belva ricordava un leone, la criniera era folta e il manto liscio, curato. Dalla schiena partivano enormi ali da pipistrello, sottili come fogli ma possenti come quelle di un'aquila. Il corpo terminava con una coda da scorpione, scattante e letale. Mentre lo sguardo del giovane ammirava quella perfetta macchina di morte, quello della belva non si era spostato, concentrato sugli occhi verdi del ragazzo. I loro sguardi si incrociarono, e l'umano percepì la fierezza della creatura che gli stava di fronte, ma non percepì ostilità alcuna, decise così di ricambiare quello sguardo intenso, sperando che l'animale non lo cogliesse come un affronto, decidendo di punirlo con una delle armi di cui il suo corpo era dotato per natura.

Fu allora che accadde ciò che il ragazzo non si sarebbe mai aspettato. La belva, nella sua imponenza, chinò il capo, guardando in basso, ed emettendo un verso simile ad un gorgoglio, si sdraiò al suolo. Il giovane si rese conto solo a quel momento di aver trattenuto il fiato sin da quando aveva posato lo sguardo sull'animale. Ricominciando a respirare, notò che la volta si era ripopolata di stelle, riportando la luce in quel luogo e permettendogli così di guardare bene quell'essere così imponente che gli giaceva sdraiato a breve distanza. Questi emise un altro verso, stavolta più prolungato, come per attirare l'attenzione dell'altro.
Il piccolo umano prese coraggio e mosse un passo verso l'animale, titubante. Avanzò, senza abbassare lo sguardo, fino a quando solo un paio di metri si frapposero tra i due. Lo sguardo del felino si fece più serio. "Posso?" chiese il ragazzo, tendendo una mano verso la creatura.
I riflessi umani del giovane non furono abbastanza veloci da schivare l'aculeo avvelenato che scattò in direzione del suo petto.


 

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Salve a tutti :3 
Spero che questo secondo capitolo possa attirare ancora di più la vostra attenzione :3
Lasciate un commento se vi va! ^^

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


Lìf si puntò con tutto il peso per far pressione sul petto del corpo che le era sdraiato davanti.
Il sangue sgorgava dalla ferita profonda, insozzandole le mani e macchiandole la veste bianca, i capelli albini le si schiacciavano sulla fronte sudata, dalla quale partivano goccioline di sudore che le rigavano il viso, scorrevano fino al naso minuto e cadevano, infine, sulle sue mani, che si muovevano veloci per sostituire i panni ormai zuppi di sangue con quelli ancora buoni.
Mentre con una mano continuava a far pressione sul taglio, avvicinò l'altra ai capelli e rimosse il fermaglio che teneva la lunga treccia bianca arrotolata sul capo, facendola ricadere sulla spalla destra. Tese la mano davanti a sé, tenendo sul palmo il gioiello a forma di foglia, lasciando che la luce dell'ambiente facesse brillare l'oro che lo ricopriva, poi lo lasciò cadere a terra. Questo scivolò dalla sua mano, e cadde dondolando verso il terreno, leggero come una piuma, rilucendo di una calda luce dorata, dapprima flebile, poi sempre più intensa, fino ad inondare la stanza non appena toccò il suolo, portando con sé un inusuale profumo di primavera tutto intorno. Quando la luce si affievolì, al posto della foglia si ergeva un cervo maestoso, col manto ambrato e il palco finemente decorato da fili dorati, gli occhi scuri fissi sulla ragazza, ancora intenta a tamponare la ferita sul corpo esangue.
Lei alzò lo sguardo, incrociando gli occhi dell'animale, poi sorrise, allungando la mano fino ad accarezzare il muso del cervo, che si limitò a muovere le orecchie in segno di approvazione.
Soddisfatto delle attenzioni ricevute, posò infine lo sguardo sul corpo che gli si parava davanti, mentre Lìf scostava i panni per controllare la ferita: la perdita di sangue si era ridotta, ma non era un buon segno, la vittima ne aveva perso molto, e se non avesse agito in fretta sarebbe stato tutto perduto.
"Al mio tre." sussurrò la giovane, spostando i panni impregnati di sangue. "Uno. Due. Tre!" Lìf soffiò tutta l'aria che aveva in corpo in direzione della ferita, e congiuntamente il cervo sbuffò dalle narici un'aria calda, umida, con un debole profumo di muschio. I due fiotti d'aria si scontrarono e si fusero assieme, e colpendo il corpo ferito formarono cristalli di ghiaccio sulla superficie del petto, cristalli scarlatti, tinti di quel sangue che si apprestavano a fermare.
Il flusso della perdita sembrava arrestarsi, e Lìf tamponò la zona con cura per accertarsi che tutta la ferita fosse stata debitamente coperta dal ghiaccio, che iniziava già a emettere rivoli di vapore verde, a indicare che il suo potere stava agendo a dovere contro l'emorragia.
Lìf tirò un sospiro di sollievo e si lasciò cadere al suolo, stremata. "Ottimo lavoro, Duneyrr. Grazie, come sempre." Si allungò per grattare il cervo dietro le orecchie, fissandolo in quei profondi occhi color nocciola, poi posò la fronte sul muso dell'animale, che poco dopo iniziò a svanire, lasciando dietro di sé null'altro che scintille dorate, ed un fermaglio a forma di foglia.

"Molto bene." riecheggiò una voce alle sue spalle. "Hai agito velocemente e con diligenza, nonostante forse avresti potuto limitare ulteriormente il deflusso di sangue. Non posso darti il punteggio massimo, ma di sicuro all'esame non avrai difficoltà. Ottimo lavoro, Guaritrice."
Lìf sentì l'insegnante allontanarsi alle sue spalle, mentre annotava qualcosa sul proprio inseparabile blocco di fogli. La giovane si arrotolò la treccia bianca sul capo, andando a fissarla con il fermaglio. Si sentiva tutto sommato soddisfatta, non le premeva così tanto ricevere il massimo dei voti, e l'unica cosa di cui sentiva il bisogno in quel momento era lavarsi via il sangue finto che si stava velocemente seccando sulle sue mani. Si alzò, sistemandosi la veste insanguinata attorno alla vita, mentre il manichino cui aveva appena salvato la vita veniva portato via da alcuni Mephit dell'Aria, che preparavano la sala per la prossima esercitazione, mentre alcuni Mephit del sale si stavano accanendo contro le macchie di sangue finto rimaste sul terreno. Lìf li salutò cortesemente con un cenno del capo, ma loro parvero non notarlo. Si diresse verso l'uscita, cercando di ricordare cos'altro avrebbe dovuto fare quella mattina, prima dei corsi del pomeriggio.

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