Oltre

di Florence
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Primavera (Sei anni prima) ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Bollori (sei anni prima) ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Kiss me (Sei anni prima) ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Complimenti Adrien! (Sei anni prima) ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - La cura (Sei anni prima) ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Amici, confidenti e supereroi (Sei anni prima) ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Interludio ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Marichat/Noirette (Sei anni prima) ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Togheter is better than alone (Sei anni Prima) ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Genitori&Genitori (Sei anni Prima) ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Chiarimenti (?) (Sei anni Prima) ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Adrienette/Mad-rien – Sei anni prima ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Semplicemente... WOW – Sei anni prima ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Il rito dei Kwami ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Il tempo delle mele (Sei anni prima) ***
Capitolo 17: *** Capitiolo 17 - Proprietà Privata (Sei anni prima) ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18- Tutti Pazzi per Mari (Sei anni prima) ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Novità ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Allo Scoperto (Sei anni prima) ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - Control (Sei anni prima) ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Altalena (Sei anni prima) ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - Tutto l'orrore che c'è (Sei anni prima) ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - Il piano di Adrien (Sei anni prima) ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - Partita a scacchi (Sei anni prima) ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - Non è un addio (Sei anni prima ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 - This is the End (Sei anni prima) ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO 28 - Caccia ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 - Lettere ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO 30 - Paused ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 - Appuntamento al Buio ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 - Drops of life ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - You're mine ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - Panta rei ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - Feste, contrattempi e preparativi ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


OLTRE - CAPITOLO 1

Prologo

Le porte della metro si chiusero con uno scatto, il vagone sarebbe stato deserto, se non fosse stato per un anziano che, appisolato in bilico sul pomello del suo bastone, stava completando il suo quarto Tour sotterraneo di Parigi.

Marinette sospirò: era riuscita a fare tardi anche quella sera e non avrebbe avuto il tempo per stendersi un po’ e cercare di riprendere fiato, magari chiamando Alya.

Quando si era iscritta alla IFA per prendere una laurea in Moda e Design non pensava che sarebbe stata una facoltà così esigente e al punto da farla sentire perennemente sola. Aveva stoicamente deciso di seguire già dal Lyceé le sue inclinazioni nel campo della moda, ma la speranza di iscriversi al prestigioso istituto privato dove avevano fatto domanda Adrien, Chloe e molti altri compagni del College si era spenta nel momento in cui aveva letto il prezzo della retta. Erano previste borse di studio per gli studenti più meritevoli, ma con i ritmi che la sua doppia vita le imponeva non avrebbe potuto sperare di riuscire a farcela. Da allora il suo percorso di studi era andato avanti quasi in solitaria, eccezion fatta per un paio di vecchi compagni di College.

Si era data l’ultimo addio sui banchi con Alya ormai da oltre sei anni, dopo che la ragazza aveva scelto una scuola di comunicazione e marketing, per sua fortuna in compagnia di Nino. Almeno lei non era sola.

La prossima sarebbe stata la sua fermata.

Per un breve istante, Marinette provò l’impulso di seguire l’esempio del vecchietto all’altro capo del vagone. Quel giorno voleva solo sparire, nascosta nel buio del labirinto sotterraneo, senza orari, doveri, routine da seguire.

Scese svogliatamente dal treno e salì le scale, lasciando che il vento freddo della sera la sferzasse all’uscita del tunnel. Solo pochi passi la separavano da casa sua e la ragazza li percorse trascinandosi.

Si trascinava ormai da troppo tempo, bloccata in una impasse che aveva cristallizzato la sua esistenza e tarpato le ali a tutti quei meravigliosi sogni che aveva quando era solo una ragazzina. Ci aveva provato ad andare oltre quel dolore vivo e pulsante che non la lasciava mai, si era impegnata seriamente perché la sua vita avesse un senso tangibile, reale, ma non ce l’aveva fatta. Andava avanti per inerzia e mai come quella sera sentiva gravare sulle sue spalle la fatica accumulata.

-Coraggio, Marinette-, pigolò una vocina dalla tasca più interna del suo giaccone. Tikki non usciva con quel freddo e si limitava a parlarle attraverso la stoffa.

Coraggio…

Di certo non le mancava quando, sempre più raramente, affrontava le minacce piccole e grandi di Parigi: una calamità naturale, bande di teppisti e sporadici attacchi armati, un incendio… a volte la chiamavano anche per salvare persone rimaste chiuse in casa, oppure per mere questioni amministrative.

Solo lui non la chiamava più. Non ricordava quasi più il suono della sua voce.

-Sono tornata-, salutò i suoi genitori, sfilandosi la giacca e i guanti e salendo in camera sua.

Sapeva di essere sfuggente, ma in quei giorni non riusciva a tirarsi su di morale in nessun modo e l’unica sua difesa era stare da sola. Un tempo era una ragazza solare, finché non si era resa conto che la sua felicità era appesa a un filo e quel filo sottile avrebbe potuto cedere, se solo avesse compiuto un altro passo falso. Per questo aveva semplicemente sciolto il nodo che la legava e lasciato che tutto andasse avanti, senza di lei.

Si lasciò cadere sul letto, lasciando Tikki libera di svolazzare per la stanza.

-Dovresti cercare di rintracciarlo…-, disse la piccola kwami. Marinette la fissò profondamente, allungando una mano e lasciando che la creaturina vi si posasse sopra. Era incredibile come fosse ormai parte di lei: ne captava i pensieri solo percependo il lamento del suo cuore infranto, sapeva esattamente cosa avesse in testa e quanto le ferisse l’anima.

La avvicinò a sé: -Sai che non lo farò.-

-So che stai sbagliando-, ribattè Tikki, vedendola sbuffare mentre ritirava la mano.

Volò fino alla piccola casa delle bambole, dove teneva nascoste le sue cosine personali e, dopo aver razzolato un po’, bofonchiando tra sé e sé come il disordine fosse una malattia contagiosa, riemerse tenendo tra le zampette un piccolo pacchetto rosa.

-E’ per te-, posò il fagottino tra le mani della ragazza, che l’aveva fissata per tutto il tempo senza proferire parola.

-E’ un giorno speciale?-, domandò di rimando Marinette, ignorando l’amica che scuoteva appena il capo. La ragazza aprì l’involucro rudimentale e ne estrasse un piccolissimo quaderno rivestito in stoffa, tenuto chiuso da un elastico.

Guardò Tikki con aria interrogativa, sfilando l’elastico per scoprire il contenuto.

-Dall’inizio-, suggerì la kwami e Marinette comprese.

Il primo disegno era fatto con le matite colorate: c’era una bambina con le codine nere che teneva in mano una scatolina da cui usciva un esserino rosso.

Il secondo ritraeva una buffa copia di Ladybug con un paracadute aperto sulle sue spalle; il terzo, fatto con i pennarelli, vedeva comparire anche Chat Noir, entrambi alle prese con una tempesta, e poi un quarto disegno, e ancora uno…

-Ci sono tutte le mie avventure…-, mormorò Marinette, lasciando scivolare le sue dita su un ritratto del ragazzo in nero.

-Tutte le nostre avventure-, la corresse Tikki: -Buon settimo anniversario, Marinette!-

La ragazza spalancò la bocca, coprendola immediatamente con la mano: sette anni! Ci aveva pensato tanto ed era riuscita a dimenticare il giorno esatto. Sette anni… era un tempo lunghissimo…

-Tikki!-, acchiappò al volo la bestiolina e la strinse forse al cuore. Sette anni assieme a lei, sette lunghi anni di complicità e combattimenti. E quanti anni erano passati senza di lui?

-Non te lo ricordavi che era oggi?-, le domandò l’amichetta, un po’ contrariata.

Marinette scosse la testa, abbassandola dispiaciuta. Il tempo aveva scelto un modo ironico e crudele di lasciare svanire i ricordi più importanti per lei, l’oblio dei bei tempi passati la attanagliava ogni notte, mentre cercava ristoro in un sonno nero, relegando nell’angolo più buio del suo cuore quello che aveva volontariamente perso.

-Grazie, amica mia-, posò un piccolo bacio sulla guanciotta rossa, sorridendole e sforzandosi di farlo anche con gli occhi.

-E’ pronta la cena!-, annunciò dalla cucina la voce della mamma.

-Andiamo…-, disse Marinette e afferrò Tikki infilandola dentro il cappuccio della felpa.

-Dovresti cercarlo…-, bisbigliò a bruciapelo la bestiolina.

-Mai…-, tagliò corto la ragazza, irrigidendosi dopo essersi seduta a tavola.

Al telegiornale, di sottofondo, avevano preparato un servizio celebrativo per i sette anni di Ladybug: solo lei pareva aver dimenticato quella data importante. I suoi genitori si accomodarono sul divano, per vedere assieme quel programma e ricordare emozionati le gesta dell’eroina che tante volte avevano incontrato e che li aveva sempre aiutati.

-Vado in camera mia. Buonanotte-, con flemma, Marinette salutò i genitori, evitando accuratamente di ascoltare ancora quello che la tv trasmetteva e si ritirò nella sua mansarda.

-C’è una festa in tuo onore, Marinette… Lo sapevi, eppure non ti sei ricordata che giorno fosse oggi…-, Tikki pareva delusa. La ragazza stirò le labbra in un sorriso triste e si buttò sul letto.

Rimase a fissare il soffitto sopra di sé per un tempo indefinito, il suo cuore batteva lento.

-In verità, Tikki, ho contato giorni, ore e minuti da non so quanto tempo fa-, guardò la kwami, comparsa nel suo campo visivo, -perché incontrare te è stata la cosa più meravigliosa di tutta la mia vita-

Si sollevò a sedere e prese Tikki sul palmo di una mano.

-Ma ci sono state anche troppe cose brutte, e tu lo sai… avrei voluto essere felice, ma non sono riuscita ad esserlo. Forse perché romanticamente, giunta a questo punto della mia esistenza aspettavo chissà quale segnale che le cose potessero cambiare-, distolse lo sguardo, per un attimo.

-Ma le cose non cambiano mai, e allora per me è meglio fingere di dimenticare, che ricordare tanto dolore-, sorrise, -Scusami se ti sono sembrata insensibile-

Tikki scappò alla sua mano, tornando a tuffarsi nel crogiuolo della sua tana e riemerse con qualcosa che cercò di nascondere dietro di sé, maldestramente.

Marinette la guardò divertita.

-Ed ecco il tuo segnale, Marinette!-, trillò alla ragazza, porgendole una lettera dalla busta di carta tutta colorata, a cerchi concentrici, nei colori dell’iride. Al centro un bollo nero con su scritto: “Per Ladybug”, in una elegante calligrafia vergata con inchiostro bianco.

Marinette si rigirò tra le mani la lettera, soppesandola. Non era sicura di voler sapere cosa contenesse.

-Coraggio-, la esortò l’amichetta e, in un sospiro, Marinette fece scattare la ceralacca verde che la fermava, con un ideogramma impresso sopra.

Sfilò un semplice pezzo di carta, misero rispetto alla cromia del contenitore. Era completamente bianco.

Lo rigirò tra le mani senza capire, cercò un aiuto in Tikki.

-Limone-, sentenziò la kwami dopo aver studiato il foglio e averlo annusato più volte, -serve una fiamma-

Marinette frugò nella sua borsetta ed estrasse un accendino, sfilandolo da un pacchetto semi vuoto di sigarette. Tikki la guardò male, lei la ignorò.

Quando era molto piccola, alla scuola primaria, era uno dei trucchetti più di moda tra i bambini per scambiarsi bigliettini cifrati di nascosto alle maestre, da leggere a casa con l’aiuto di un genitore.

Passò la fiamma con cautela sul foglio e presto apparvero delle scritte annerite dal fumo.

*

Questo è un invito per TUTTI i portatori.

Sabato 28, ore 22, Centro Massaggi Cuore D’Oro.

Importanti notizie.

IMPORTANTE: venite in borghese, servono i kwami.

*

Dovettero rileggere più volte il testo, perché era impossibile.

-Come l’hai avuta?-, si informò Marinette, destata dalla sua apparente stasi.

-Me l’ha portata… un amico…-, rimase sul vago.

La ragazza assottigliò lo sguardo e piegò da un lato il capo: - Quale amico...?-

Tikki si sforzò di mantenere la sua sicurezza: -Uno di cui mi fido-

Marinette cedette per prima, non aveva più voglia di fare la guerra: - Io mi posso fidare?-, domandò semplicemente e socchiuse gli occhi.

-Assolutamente-, bisbigliò Tikki, -Io lo sento…-

Marinette sprofondò di nuovo nei suoi pensieri, tutta la sua attenzione concentrata su quel pezzo di carta.

Non bastava continuare a servire Parigi rinunciando alla vita che aveva sognato? Non bastava tutto quello che aveva sofferto, le delusioni accumulate, la solitudine che le bucava l’anima? Era necessario riaprire vecchie ferite? Il vecchio Fu stava tirando troppo la corda…

***

Buongiorno a tutti!

Questo è il primo capitolo di una long fiction che sto scrivendo sul mondo Miraculous. Come autrice di fanfiction provengo da altri fandom e la scrittura è stata sempre molto importante per me. Confrontarmi con i personaggi di Miraculous è stata una dolce sfida, sarò felice di sapere dai miei eventuali lettori se l'ho affrontata nel modo giusto o no.

Avevo molti dubbi sul tornare a pubblicare fanfictions e voglio ringraziare quelle persone che mi hanno spronata a farlo, supportata nella nascita di questa storia e aiutata con le loro parole di incoraggiamento: la mia "beta" Martina, che ha preso con grande impegno il compito che, quasi casualmente, le ho affidato; Shainareth, meravigliosa scrittrice qua su EFP e splendida persona e Marco, la insostituibile controparte maschile che mi mancava!

Spero che la storia possa incuriosirvi e vi faccia sognare!

***DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Primavera (Sei anni prima) ***


NOTA INTRODUTTIVA - ATTENZIONE!

Buongiorno a tutti!

Ecco il secondo capitolo di questa storia, o per meglio dire il primo vero capitolo della parte della storia che, come avrete letto dal titolo, si svolge 6 anni prima degli eventi del prologo, cioè al momento dei fatti della serie tv.

Per maggior chiarezza, specifico che questa storia procederà su due linee temporali distinte: la linea del prologo, che si svolge quando Marinette, Adrien ecc ecc hanno circa 21-22 anni e la linea che si svolge 6 anni prima, quindi come nella serie tv. Ovviamente le due linee convergeranno, ad un certo punto.

Cercherò sempre di avvertire nel titolo che momento sto narrando, anche se non dovrebbe essere necessario da quel che scrivo.

Qua inizia la storia che porterà allo stato di tristezza in cui versa Marinette 6 anni dopo (cioè nel prologo).

Spero che questo cambio di registro vi piaccia e invito a farmi sapere cosa ne pensate!

CAPITOLO 2

Primavera - Sei anni prima

C’era qualcosa di diverso quella mattina, Marinette se ne accorse che ancora non si era del tutto destata. Forse era semplicemente quella sensazione quasi dimenticata di aver dormito per tutta la notte e di sentirsi rilassata, oppure il lieve aroma di vaniglia che filtrava attraverso la botola chiusa della sua camera da letto e l’aveva raggiunta come una farfalla, risvegliando anche il suo appetito.

Sentì un leggero mugolio provenire dalla scatola sopra la sua scrivania e, nella luce soffusa del mattino, scorse la sagoma tondeggiante di Tikki che, sbadigliando, si stiracchiava volando verso l’alto.

Ecco cos’era: non era stato il suono della sveglia a rapirla al sonno, né il profumo del forno sotto di lei, ma la luce. Quella mattina ce n’era molta di più e un raggio sottile del primo sole si era intrufolato dritto tra i lembi delle tende di velluto rosa che coprivano la piccola finestra tonda davanti al suo letto.

Marinette stirò le gambe e le braccia socchiudendo appena gli occhi e si sollevò, mettendo mano al suo cellulare per controllare che ore fossero. Aveva una mezz’ora buona prima di essere in ritardo per la scuola, lanciò un’occhiata implorante a Tikki e si lasciò cadere di nuovo sul letto. Inspirò il profumo delle lenzuola che la mamma doveva aver cambiato giusto il giorno prima e abbracciò il grande cuscino a forma di gatto che solitamente usava come testiera, socchiudendo gli occhi e sospirando. Quanto le piaceva rimanere lì, nella sua “cuccia”, senza preoccupazioni o minacce sulla sua vita, come quando era una ragazza normale, con problemi normali, quando il maggiore dei drammi era il dover decidere tra un macaron al lampone o uno al burro salato.

-Se ti vedesse un certo gatto di nostra conoscenza credo che non ti lascerebbe più in pace finché non faresti lo stesso con lui…-, borbottò Tikki, dopo un po’, picchiettandole la fronte: -Muoviti, pelandrona, che il mattino ha l’oro in bocca!-

La ragazza sbuffò tenendo il cuscino premuto sul volto: perché avrebbe dovuto alzarsi così presto? In fondo erano solo le…

-Cosa? Dov’è finito il tempo che avevo? Erano le… Tikki, hai spostato tu l’ora sul mio telefono o…-

Non finì la domanda che dal basso giunse la quotidiana voce imperiosa e dolce di sua madre che la esortava ad alzarsi per non fare tardi a scuola: -…e poi oggi è una così bella giornata, Marinette!-, concluse la donna, diversamente dal solito.

Marinette vide Tikki affacciarsi alla finestra che dava sul terrazzino: -Sono tornate le rondini!-, la sentì esclamare e ancora per un attimo si sentì in pace con il mondo.

Si vestì svelta, infilò al volo le ballerine e agguantò lo zaino, scendendo dabbasso, mentre, con la mano libera, faceva nascondere la sua kwami dentro la sua solita borsetta rosa.

Salutò la mamma con un bacio e andò a farsi strizzare nell’abbraccio forte di suo padre.

-Buongiorno cucciolotta!-, le disse l’uomo mettendole davanti al naso un vassoio con sei macarons di sei colori diversi, sistemati a formare un fiore.

I primi due scomparvero in un sol boccone sotto il morso giulivo di Marinette: -Mi farai diventare una botte-, bofonchiò al padre mentre allungava la mano verso la bottiglia del latte e se lo versava nella tazza.

Solo allora scorse un piccolo vaso posato al centro della tavola, al cui interno erano stati disposti alcuni fiori gialli e lilla, di quelli che crescevano nel giardinetto dietro casa, semi nascosti ai passanti dalla casetta di legno degli attrezzi dei giardinieri comunali.

-Mamma!-, trillò con voce giuliva la ragazza, -È davvero tornata la primavera!-

Sabine le carezzò i capelli attendendo che la figlia buttasse giù l’ultimo morso.

-Ora corri a lavarti i denti e fila dritta a scuola, senza distrarti nei venti metri da qua all’ingresso, mi raccomando!-, le ordinò bonariamente. Con la coda dell’occhio vide suo marito seguire la figlia con sguardo adorante: Tom stravedeva per Marinette e non faceva nulla per nascondere quanto fosse preziosa per lui. Come avrebbe mai potuto fare, quella povera ragazza, a trovarsi un fidanzato, si domandò una volta ancora Sabine e scrollò il capo, avvicinandosi all’uomo e posando una mano sulla sua spalla.

-È un fiore sbocciato, ormai…-, sussurrò lui con gli occhi lucidi, ma la risata della moglie al suo fianco lo riportò alla serietà: -D’accordo, la smetto con i violini…-, si grattò la nuca imbarazzato e sparì nel retrobottega, attraverso la porta di servizio.

Marinette atterrò in quel momento ai piedi della rampa di scale che portava in camera sua, dopo aver saltato gli ultimi tre gradini.

-Oh, ti sei cambiata!-, si stupì la madre, vedendo che al posto della solita giacchetta nera, Marinette aveva indossato un twin set lilla di maglia leggera, sciogliendo i capelli e fermandoli con un cerchietto sottile.

-E’ tornata la primavera!-, trillò la giovane afferrando lo zaino lasciato in fondo alle scale e stampando un bacio sulla guancia della madre. -A stasera!-, la salutò.

Giusto: era martedì e il martedì Marinette andava sempre a studiare a casa di Alya, quindi non sarebbe rientrata prima del tramonto.

Era così cresciuta, ormai.

La prima cosa che Marinette osservò, entrando in aula, fu che Adrien ancora non era arrivato. Chissà se anche lui aveva notato che bel cambiamento c’era stato quel giorno nell’aria: non si poteva che scoppiare di allegria a vedere il cielo azzurro e il sole che iniziava a riscaldare con i suoi raggi tiepidi le pozzanghere ai lati delle strade. Presto si sarebbero asciugate e sarebbe tornata davvero la primavera. Se lo immaginò in versione “bella stagione”, magari con una delle magliette dell’ultima collezione Agreste e gli occhiali da sole, come era apparso sulla copertina di Elle del mese prima… Uno schianto da far sbocciare i fiori al suo passaggio!

E, dopo la primavera, le giornate sarebbero allungate ancora di più e avrebbe fatto caldo: chissà se avrebbero potuto tornare di nuovo con tutta la classe in piscina e se ci sarebbe venuto anche lui! Oh mamma… vederlo in costume!!!! Si fece aria con le mani, sentiva il collo in fiamme.

Certo, l’estate precedente non aveva preoccupazioni né cotte a turbare la sua spensieratezza... e se, alla fine, si fosse vergognata di farsi vedere in bikini da lui? E se fosse stata chiamata a combattere e si fosse persa Adrien in costume? L’estate… chissà come sarebbe stato combattere nelle vesti di Ladybug con il gran caldo afoso dell’Ile de France? Marinette lasciò che i suoi pensieri fluissero dove la fantasia li conduceva. Si vide su tetti assolati balzare verso l’asfalto rovente, con il sole negli occhi. Si appuntò mentalmente di domandare a Tikki se avrebbe avuto problemi o se, magari, così come le mute degli animali, anche lei avrebbe subito un cambio di look, all’aumentare delle temperature.

“Poi te lo immagini quel maniaco di un gatto, se ti vedesse saltare qua e là in shorts…”, pensò e un sorriso le illuminò il volto, mentre scrollava la testa.

-Wow! Che schianto! Fatti vedere per bene!-, Alya la strattonò facendole drizzare le spalle e fissandola entusiasta: - Sei proprio una belle chatte con i capelli sciolti e quella maglietta là! Vedrai che il tuo principe azzurro sverrà ai tuoi piedi!-

Istintivamente Marinette abbassò lo sguardo dove si era fermata la mano di Alya, con il palmo teso verso l’altro. L’amica le sorrideva sorniona: cosa c’era di così divertente?

Dalla maglia sottile si intravedeva l’intimo che non le era venuto in mente di cambiare.

-Oh cavolo!-, sibilò chiudendosi nelle spalle come un riccio e guardandosi attorno furtiva. Incrociò lo sguardo di Ninò, che la fissava strafottente e gli occhi socchiusi: -E così la tua amichetta indossa biancheria di pizzo nero… Alya! Dovresti seguire il…-

-Chi è che indossa cosa?-, la voce divertita di Adrien la raggiunse alle spalle. Armeggiò velocemente con i bottoncini di madreperla del giacchetto del suo twin set e rammentò come, l’anno prima, sua mamma le avesse preso una canotta in tinta da mettere sotto, che al momento giaceva sul fondo del cassetto in camera sua.

-Buo-buongiorno…-, balbettò voltandosi anche lei verso il ragazzo più bello del mondo, fulminando con lo sguardo i due amici che l’avevano appena imbarazzata.

-Stai bene con i capelli così-, disse lui sorridendole e a Marinette saltò il cuore in gola, mentre una vampata di calore alle guance la faceva arrossire completamente. Quel giorno aveva fatto presto a perdere il contegno. Si sentiva le famose farfalle nello stomaco e si rendeva conto di avere stampata in viso la più ebete delle espressioni del suo repertorio.

Adrien si sedette davanti a lei e subito fu catturato dalle chiacchiere del suo amico Nino e dai saluti di quell’oca starnazzante di Chloe che era appena entrata in classe, giusto in tempo per l’inizio delle lezioni.

-Respira, adesso-, bisbigliò al suo orecchio Alya, tenendo lo sguardo fisso all’insegnante e le dita intrecciate pigramente sul banco. Poi le lanciò uno sguardo fugace e strizzò l’occhio: -E ricordati: d’ora in poi mai più quei codini da mocciosetta!-

-Alya!-

Le ore di lezione parevano scorrere a volte rapide, altre come se un pigro folletto avesse premuto il tasto slowmotion sul suo personale riproduttore della realtà. L’ora di storia era uno di quei momenti in cui, complice la primavera alle porte, Marinette sentiva più urgente la voglia di accucciarsi un momentino sul banco e chiudere gli occhi, giusto per pochi istanti, solo per…

-…ain-Cheng?-, sgranò gli occhi udendo solo la parte finale di quella che doveva essere una domanda della professoressa, rivolta proprio a lei. Si sentì precipitare e percepì che anche Alya sobbalzò come ridestata da un sonno profondo.

Per fortuna la donna stava dando loro le spalle, scrivendo alla lavagna alcuni numeri che quasi sicuramente erano date. 1807… cos’era avvenuto nel 1807???

-Friedland: battaglia di Friedland…-, due occhi verdi si voltarono spalancati su di lei trasmettendo l’urgenza che, quelle parole sussurrate, fossero immediatamente ripetute.

-Dupain-Cheng?-, insistette l’insegnante.

-La… battaglia di.. Fri…-

-Friedland!-, bisbigliò di nuovo un po’ più forte il ragazzo, voltandosi con scatto felino nel preciso istante in cui la professoressa faceva altrettanto, puntando come un segugio la ragazza.

-…Fr-Friedland-, Marinette trattenne il respiro, mentre la donna annuiva e passava ad altro; poi lasciò andare l’aria e, davanti a sé, vide il suo adorato salvatore fare lo stesso. -Grazie, Adrien…-, bisbigliò alle sue spalle, fissandolo come avrebbe fissato Dio sceso in terra.

-Contieniti, Marì…-, la riprese l’amica dandole un colpetto sul braccio con il dorso della mano, -Non sbavare…-, aggiunse, piegando le labbra in un diabolico sorrisetto.

Dalla finestra aperta dell’aula giunse il richiamo felice di una rondine e un refolo di vento portò il profumo del sole e l’umido dei primi fiori.

Era proprio tornata la primavera…

***

-… e così abbiamo scoperto come l’innocente Marinette indossi biancheria di pizzo…-, concluse la rocambolesca spiegazione Nino, inventandosi di sana pianta il 70% dei dettagli aggiunti, -…Nero!-, chiosò puntando l’indice sul tavolo della mensa, piccato: -Mentre la mia ‘dolce metà’, si ostina a mettere roba da fit boxe e non si veste mai un po’ più… più…-

-Cos’hai contro la mia biancheria, Nino!?-, Adrien osservò la sua compagna di classe travolgere con il tono della voce il suo amico: teneva le due braccia piegate ai lati del corpo, le mani poggiate sui fianchi. Nino, tanto baldanzoso fino ad un attimo prima, si sottomise a lei come un cagnolino che, alzate le zampette sopra le orecchie, tentasse di proteggersi da una sonora sberla: -Nullanullanulla mia adorata!-, balbettò, riuscendo al contempo ad indicargli, con un lieve gesto del mento, Marinette che si avvicinava con il vassoio tra le mani. La osservò posarlo sul tavolo dove, pochi istanti prima, Alya si era sistemata e la vide cercare l’amica in giro con lo sguardo.

-Marinette ti cerca, Alya,- la avvertì Adrien e la vide allontanarsi senza voltarsi, lasciando ficcato il suo sguardo in quello di Nino finché non fu abbastanza lontana, quindi si girò e raggiunse il suo tavolo.

-L’ho scampata-, dichiarò Nino e tirò giù un grosso sorso di aranciata.

Adrien sorrise, ripensando, nell’ordine, alla sorpresa che Alya e Nino avevano fatto a tutti quel giorno allo zoo, e come fosse possibile che, sotto lo sguardo da micino spaventato che aveva sempre Marinette, nascondesse un’anima da pantera del piz… beh, forse l’ordine non era proprio quello…

“Marinette… ma pensa tu!”

Portò alle labbra una fetta di pizza e, gustandone il sapore, lasciò vagare la sua fantasia su cosa potesse indossare sotto quella tutina attillata la sua amata Ladybug… Percorse con gli occhi della memoria la curva sinuosa dei fianchi, scivolando sul suo didietro sodo – e lo sapeva bene che era sodo, perché non si era mai tirato indietro nel sostenerla proprio da lì, ogni volta che lei gli rocambolava addosso- e… aveva il rigo del reggiseno sotto la tuta? Sì? No? Avrebbe dovuto porci particolare attenzione quando l’avesse rivista, perché se per caso anche lei fosse stata un’amante del pizzo nero, allora… wow

Si rese conto di essersi lasciato trasportare un po’ troppo dai suoi sogni ad occhi aperti quando udì Nino che lasciandolo solo come un baccalà, gli consigliava di provarci con Marinette e mettere fine alle sue agonie di “gatto in calore che sbava davanti a una pizza, un reggiseno e una lolita dagli occhi blu”. Testuali parole.

Aveva detto proprio così: gatto in calore. Oh se solo Nino avesse saputo quanto c’era andato vicino quella volta… -Aspettami!-, urlò dietro all’amico che si allontanava, infilandosi tra i denti al volo l’ultimo boccone e sfilando rapido davanti al tavolo delle due ragazze, senza voltarsi. Se lo avesse fatto, ne era sicuro, avrebbe mostrato non poco imbarazzo.

Figurarsi se avrebbe potuto provarci con Marinette! Non ne sarebbe proprio stato capace! …Con Marinette! Lei era un’amica, le voleva bene, la considerava fantastica ed era in gamba, ma… solo quello, che avesse indossato un perizoma di pizzo o un pigiama di Winnie the Pooh. Un conto era Marinette, un altro Ladybug, che al solo pensiero di saperla in pizzo nero…

-Aspettami Nino!-, doveva correre a casa a farsi una doccia fredda, senza dubbio.

***

Alya finalmente allontanò lo sguardo dal suo telefono, alzando una volta ancora le sopracciglia, come se non credesse a quello che aveva appena letto.

-Problemi?-, farfugliò Marinette mentre lasciava dondolare le gambe sollevate dietro di sé. Era distesa sul tappeto di camera sua con un libro davanti e una matita tra le labbra, i gomiti puntati a terra a sostenerla. Era rilassata e non sembrava affatto la stessa ragazza con cui aveva discusso poche ore prima, dopo il pranzo. Notò che si era tolta addirittura il maglioncino dietro cui si era barricata per tutto il giorno, per evitare occhi indiscreti e si sentì un po’ in colpa, per aver enfatizzato quella trasparenza che, in fondo, non era poi così evidente.

Dopo il pranzo a mensa, Marinette si era convinta che se Nino avesse continuato con quella storia di cosa avesse o non avesse sotto la maglietta lei avrebbe dovuto necessariamente abbandonare gli studi in quella scuola, perché certamente suo padre avrebbe udito che voci correvano sul conto della sua bambina e l’avrebbe spedita dai prozii in Bretagna a studiare per corrispondenza per prendere il diploma di scuola professionale e poi l’avrebbe venduta a qualche convento come ricamatrice esperta e l’avrebbero costretta a prendere i voti e diventare suora e allora non avrebbe più potuto neanche uscire per andare all’edicola e sbirciare di nascosto alla Madre Superiora le copertine di Elle e tutte le altre riviste per rivedere ancora una volta il bel volto del suo amato Adrien Agreste… “Adrien Agreste e Chloe Bourgeois si sposano nella piccola chiesa di Saint Vincent durante un viaggio sulla neve”, prima o poi una avrebbe titolato così e, impegnando l’ultimo cimelio di famiglia che le era rimasto, sarebbe riuscita a comprare di contrabbando dalle spie separatiste bretoni una copia di “WHO? Tutto sulle nozze dell’anno tra Adrien Agreste e Chloe Burgeois: la giovane coppia ha finalmente coronato il suo sogno d’amore, nato tra i riflettori e i banchi di scuola. -All’epoca amavo un’altra ragazza, ma poi credo si sia fatta suora-, pare aver dichiarato il giovano rampollo di casa Agreste, dopo aver strappato con i denti la giarrettiera della sua mogliettina, in partenza per le Maldive per una bollente luna di miele…”. E la povera tapina Suor Marinette si sarebbe impiccata a un pero usando i fazzolettini da lei ricamati legati uno all’altro e avrebbe smesso, finalmente, di soffrire.

Dopo tutto il suo sproloquio aveva trascinato Alya nel bagno delle femmine e l’aveva implorata di prestarle la sua maglia o un sacco di canapa o qualunque cosa avesse per evitare che ancora qualcuno la guardasse come aveva fatto poco prima quel ragazzo del primo anno che...

-Marinette!!! Smettila di comportarti come una ragazzina idiota in preda alle crisi adolescenziali!-, aveva tuonato lei zittendola, -Non c’è nessuno che abbia in mente di guardarti sotto i vestiti-

Aveva esagerato e se n’era resa conto immediatamente, perché da quelle parole buttate là, lo sapeva bene, Marinette aveva di rimbalzo capito che nessuno, tantomeno Adrien Agreste, l’avrebbe mai potuta guardare in quel modo. Aveva abbassato le spalle e se n’era andata mogia mogia a seguire le ultime due ore di lezione.

-Pace?-, aveva proposto Alya al termine delle lezioni e si era offerta di portarla nella gelateria che aveva aperto da poco in Rue de la Harpe, prima di andare da lei a studiare. L’aveva abbracciata e, tra i suoi capelli neri, le aveva mormorato che lei era la sua migliore amica e che, anche se fosse diventata la più fichissima di tutte, se qualcuno avesse provato a importunarla si sarebbe trovato a fare i conti con LadyWiFi.

Marinette aveva trattenuto il respiro a quelle parole e aveva compreso che era proprio vero: Alya era la sua migliore amica e non le avrebbe mai detto qualcosa che l’avrebbe fatta star male.

-Allora, ci sono problemi, Alya?-, ripeté Marinette, dalla sua postazione a terra.

-Nino pensa che Adrien sia molto interessato a toglierti la maglia che indossi-, buttò lì Alya, a bruciapelo. La matita scivolò dalle labbra dell’amica e il suo sguardo rilassato aveva ceduto il posto ad un’espressione allarmata.

-Co…cooosa??- si era tirata su a sedere in modo poco aggraziato attendendo spiegazioni, dettagli, scappatoie, giustificazioni, appoggio.

Alya si morse un labbro: ormai aveva detto quelle parole e in effetti c’era da rimanere stupiti per questa bomba che Nino aveva sganciato.

-A quanto pare-, riprese, gesticolando per spiegare in modo più semplice per il cervello in tilt della sua amica, -Nino sostiene che Adrien si sia fatto un film mentale su di te, quando è stato informato di quello che… aehm… indossi o non indossi sotto i tuoi vestiti… Insomma, pare che il nostro Adrien si sia svegliato, dal letargo con i primi caldi!-, non riuscì a finire il concetto, che vide Marinette sbiancare e un attimo dopo tornare paonazza, mentre annaspava nel tentativo di portare aria ai polmoni.

Le sorrise e, in tutta quell’emozione, lesse felicità e speranza nei suoi occhi, ma anche pudore: la sua dolce, ingenua, innamoratissima Marinette!

-In fondo Adrien è un maschio di quattordici anni… D’accordo che è stato allevato come il principino William, ma… dai, è normale che abbia aperto gli occhi e capito quanto tu sia carina! E a cosa ti aspetti che pensi, per primo? Ai tuoi capelli? Seriamente!? Sveglia! E’ tornata la primavera!-, la invitò a battere il cinque e iniziò ad illustrarle il suo piano, mentre l’amica la fissava inebetita con le guance rosse.

Marinette era incredula e si sentì al settimo cielo per gli incoraggiamenti dell’amica, che la accompagnarono fino al momento di salutarsi.

Decise di tornare a casa a piedi per lasciarsi travolgere da quell’ondata di primavera che sembrava aver rischiarato Parigi e anche la sua vita, in quella tiepida giornata di marzo. Forse il freddo sarebbe tornato, ma in quel momento non le importava.

A cena le parve di essere ancora sospesa tra le nuvole mentre ascoltava in sottofondo i discorsi su ricette e disposizioni delle vetrine che si scambiavano i suoi genitori. La tv, dimenticata accesa in salotto, accompagnava quella serata di speranza e batticuori per qualcosa che forse non era davvero possibile.

-Che ti prende stasera, cucciolottina?-, le domandò suo padre, amorevole e curioso, ricevendo in cambio un sospiro e uno sguardo sognante, mentre sua madre storceva il naso per tutte quelle smancerie.

-Marinette avrà trovato il fidanzato-, buttò lì Sabine ed entrambi figlia e marito strabuzzarono gli occhi a quell’affermazione azzardata.

-Mamma!-

-Sabine!-, esclamarono all’unisono. La donna ridacchiò e placò gli animi con la sua speciale Quiche Lorraine. La cena trascorse tranquilla e, poco dopo, Marinette si ritirò nella sua mansarda, dicendo ai suoi che avrebbe disegnato un po’.

Sospirò di nuovo, guardandosi allo specchio: in fondo quegli ‘abiti dello scandalo’ che avevano accompagnato quella strana giornata non erano nulla di così scandaloso… Si era lasciata suggestionare dalla battuta di Alya e si era quasi rovinata la prima giornata di sole dell’anno. Si spogliò mestamente preferendo farsi un bagno rilassante al disegnare. Aprì l’acqua della vasca, testando la temperatura con una mano e nel frattempo che la vasca si riempiva si lavò i denti, prima di versare nell’acqua fumante un po’ del suo bagnoschiuma preferito, quello al cocco e vaniglia. Si sfilò gli slip e quel benedetto reggiseno di pizzo, che per la cronaca non era nero ma blu notte e gettò tutto nella cesta dei panni sporchi. Accidenti a quando le era balenato in testa di comprarlo.

Entrò in vasca e si rilassò, riprendendo da dove aveva lasciato le sue fantasie su Adrien: subito gli apparvero gli occhi verdi del ragazzo velati dagli occhiali da sole. Erano sul bordo di una piscina e lui iniziva a spogliarsi, sfilandosi la maglietta collezione primavera-estate by Agreste, calandosi i pantaloni in lino color kaki e guardandola ammiccante mentre rimaneva con il solo costume nero attillato che…

-Marinette-, la chiamò Tikki, destandola da quel sogno ad occhi aperti. L’acqua era tiepida, ormai. La kwami era rimasta in cameretta senza accompagnarla in bagno e aveva udito, dalla tv al piano di sotto, quello che stava succedendo.

-Marinette, devi trasformarti subito: è scoppiato un incendio in un palazzo occupato nel XX arrondissement, vicino a Bagnolet. Al telegiornale hanno detto che i vigili del fuoco non riescono a spegnere le fiamme e che Chat Noir è già sul posto… devi correre ad aiutarlo-

La ragazza sospirò: era difficile venire strappata all’estasi del momento e reagire con la solita velocità, tornando con i piedi per terra per prendere in mano la situazione. -Marinette!-, la pungolò Tikki, attraversando la porta chiusa del bagno. Doveva farlo. Inspirò per l’ultima volta il profumo del bagnoschiuma.

-Tikki, trasformami!-, pronunciò le parole emergendo dall’acqua e provò un brivido al contatto con l’aria più fredda; subito dopo l’avvolse il solito calore crepitante della trasformazione. -Andiamo-, si disse, e voltandosi verso la finestra si rese conto che aveva ancora i capelli fradici. -Com’è possibile…-, era la prima volta che si trasformava in una situazione del genere, rifletté. Allora funzionava così: ma se aveva i capelli bagnati, e quindi era rimasta identica a prima della trasformazione, cosa sarebbe successo se si fosse de-trasformata in quello stato? Era in vasca, era bagnata e senza vestiti.

Sarebbe rimasta nuda.

Realizzò in quell’istante che, mai come quella volta avrebbe dovuto stare molto, molto attenta al tempo rimanente della sua trasformazione.

Afferrò un asciugamano dallo scaldasalviette e si frizionò rapidamente la testa, balzando nella notte con i capelli ancora umidi che svolazzavano sciolti al vento.

“Si asciugheranno in un attimo…”, realizzò davanti all’enorme incendio che divampava ai piani più alti dell’edificio diffondendo intorno un calore infernale.

Udì delle urla provenire dall’interno e le grida dei pompieri che lavoravano alacremente con gli idranti e le scale.

-Alla buon ora, My Lady!-, la salutò così Chat Noir, atterrando con un balzo su una tegola vicino a lei: -Cambiato look?-, alzò le sopracciglia sotto la maschera, stirò le labbra in un sorriso obliquo e ci passò la lingua sopra, ammiccando, -Sei molto sexy così, Coccinellina…-

Ladybug, roteò gli occhi sbuffando e lanciò il suo yoyo verso l’antenna che si stagliava sul tetto del palazzo in fiamme.

-Ci sono ancora cinque persone dentro-, la informò il gatto, tornando serio -Una donna con due bambini, un anziano infermo a letto e un uomo, ma credo che abbia perso i sensi nel tentativo di sfondare una finestra, quindi, madame, io la saluto…-

Con un balzo volò verso l’edificio, facendosi scudo con le braccia e sfondando una finestra, buttandosi a capofitto nel rogo.

-Chat!-, urlò Ladybug con tutti i sensi d’improvviso destati e pronti a scattare. Seguì il giovane atterrando con un salto nella stessa stanza. Subito il fumo le riempì i polmoni e iniziò a tossire. Maledizione

Avanzò brancolando senza vedere molto, seguendo il flebile richiamo di qualcuno che doveva trovarsi dietro una porta. Provò ad entrare, ma si rese conto che il legno dello stipite aveva ceduto rendendo impossibile alla porta di ruotare sui suoi cardini; prese una breve rincorsa e la sfondò, trovando dietro di sé uno spettacolo terribile.

La donna, quella di cui sicuramente le aveva parlato Chat Noir, stava cercando in tutti i modi di caricarsi sulle spalle il corpo esile, eppure pesante, di un vecchio: -Papà, aiutami, aggrappati con le mani-, lo implorava, mentre con gli occhi saettava da un figlio all’altro, che piangevano terrorizzati con le spalle al muro.

-Non ce la faccio-, piangeva l’uomo, scivolando alla presa della figlia e cadendo a terra. I nipoti accorsero ad aiutarlo, il più piccolo dei due continuava a chiamare il suo papà, che non dava risposta.

-Di qua!-, vide la mano guantata di nero apparire dal vano di una porta dall’altra parte della stanza e Chat Noir entrò per aiutare gli sventurati, reggendo sulle spalle il corpo dell’uomo privo di sensi che aveva appena recuperato dalla stanza accanto, invasa dal fumo.

-Papà!-, urlò un bambino, terrorizzato.

-E’ svenuto, ci penso io a lui. Tu resta con tua madre!-, ordinò il gatto, poi la vide.

-Ladybug!-, non aggiunse altro, ma le infuse quella scarica di adrenalina che ancora la ragazza non aveva avuto.

Doveva reagire. Ladybug studiò immediatamente la situazione e comprese subito cosa avrebbe dovuto fare, ma mancava un tassello al puzzle. Evocò quindi il Lucky Charm e si vide cadere tra le mani proprio quello che le occorreva.

-Chat Noir, sfonda questo muro!-, ordinò e osservò il giovane richiamare la sua forza oscura e, tramite il potere del Cataclisma, abbattere la parete sottile che li divideva dal vano dell’ascensore.

Il Lucky Charm pareva essere una specie di gommone gonfiabile, di quelli che si usavano per i salvataggi aerei. LadyBug lo fece aprire proprio nello stretto tunnel verticale, dove esso si incastrò.

-Coraggio, tutti dentro!-, gridò al collega e alla donna e corse a mettere in salvo l’anziano, prendendolo di peso e balzando sul gommone insieme agli altri. La plastica cedette sotto il loro peso e l’ascensore improvvisato iniziò a scivolare sempre più veloce: Ladybug lanciò il suo yoyo per calibrare la velocità mentre Chat Noir faceva lo stesso allungando il suo bastone tra le strette pareti che li circondavano. Evidentemente la sua fortuna aveva fatto sì che non ci fosse la cabina ai piani inferiori a bloccare la loro fuga.

Fu un atterraggio perfetto. Subito i due eroi corsero fuori chiamando gli operatori dell’ambulanza.

-L’uomo ha perso i sensi-, spiegò Chat Noir, -Mentre l’anziano ha bisogno immediato di cure-

-E i bambini con la madre… non separateli, cercate di portarli tutti nello stesso ospedale-, si raccomandò Ladybug, mentre il suo orecchino emise il primo dei segnali di fine trasformazione.

Corse a recuperare, non senza difficoltà, il gommone e lo lanciò sopra di sé per far calare su quel teatro di distruzione la magia benefica e creativa del suo Miraculous. Con un intenso luccichio tutto tornò alla normalità e le fiamme si spensero in un attimo.

-Agente…-, si congedò la ragazza, lanciando ancora il suo yoyo verso un appiglio e lasciandosi trascinare via.

L’aria fresca la riportò al mondo. Si fermò su un tetto poco distante e inspirò quanta più aria poté: aveva quasi rischiato di essere travolta dalle proprie sensazioni, quella sera, invece di pensare con lucidità. Era ancora troppo coinvolta dalle parole di Alya e dall’aver visto quella donna impotente tra le fiamme. Si portò una ciocca di capelli -che, sì, si erano decisamente asciugati!-, dietro l’orecchio e si preparò a balzare.

-Dove credi di sparire?-, il capo biondo del suo collega (pensò che chiamarlo “gattomorto” fosse molto adeguato…) le si parò d’innanzi insieme ai due occhi verdi e sornioni. -Dobbiamo fare due chiacchiere…-, Chat Noir si lasciò scivolare giù dal bastone su cui stava appollaiato guardandola al contrario e riprese a parlarle.

-Non mi hai spiegato questa storia dei…-, e indicò i capelli, facendo un gesto con il dito.

-Non c’è nulla da spiegare, Chaton. E adesso, se vuoi scusarmi…-

Ladybug lo scartò e fece per saltare oltre di lui, ma si sentì afferrare per un polso. Un istante dopo avvertì attraverso il suo guanto il respiro del gatto che le stava facendo il baciamano. Si rese conto con suo sommo orrore che il giovane non intendeva mollare la presa dal suo polso, mentre con lo sguardo… praticamente la stava radiografando con quegli occhiacci da gatto!

-Lasciami!-, ordinò la coccinella,saltando ad un passo da lui e percependo quello stesso sguardo scivolare dalle sue spalle al…

-Chat Noir!, Mi stai fissando le tet…!-, istintivamente Ladybug si coprì il seno con le braccia girandosi di tre quarti, ricordandosi in quel momento che, sotto, non aveva niente! Quella giornata era un incubo! Al diavolo gli ormoni, la biancheria intima e i gatti!

Chat Noir mise il broncio, ma solo per un attimo: -Perizoma o slip?-, domandò tra sé e sé con il cervello sprofondato sotto la cintola.

L’unica risposta che ebbe fu una spinta stizzita in pieno petto che gli fece perdere l’equilibrio.

-Pervertito!-, la sentì strillare scandalizzata nella notte, mentre scappava via.

-Ehi ehi ehi! Coccinellina, stavo scherzando!-, le urlò dietro. Troppo tardi.

Rimase a fissare per un minuto buono nella direzione in cui era sparita la sua amata, quindi, con un salto, anche lui scese in basso, tra le strade di Parigi, mentre l’ultimo bip del suo anello preannunciò lo sciogliersi della sua trasformazione.

Adrien Agreste si ritrovò in t-shirt e pantaloni della tuta per strada, incrociò le braccia dietro la nuca e, ciondolando, rientrò verso la sua casa, mentre il suo kwami rintanato in una delle tasche dei pantaloni, masticava camembert.

Niente .

Adesso lo sapeva.

Sotto quella tuta attillata, Ladybug non indossava niente.

-Ma cosa… Che ti prende pervertito di un gattaccio!!!-, strillò Plagg sentendosi mancare l’aria e schizzò fuori dal suo nascondiglio, vedendo di sfuggita lo sguardo di fuoco che quel ragazzino a cui era stato agganciato si era stampato in viso.

Prese il pezzo di formaggio che gli era caduto per terra, lo spolverò con la zampetta e guardò la luna che stava sorgendo dietro il tetto di una chiesa poco distante.

-E’ davvero tornata la primavera…-, bofonchiò. Azzannò il formaggio e corse dietro al suo portatore, mentre in lontananza, tra i tetti di Parigi, un gatto miagolò alla luna la sua fame d’amore.

***DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Bollori (sei anni prima) ***


CAPITOLO 3

Bollori

Sei anni prima

Il piano di Alya era il seguente: in maniera discreta e quasi casuale Marinette avrebbe dovuto rendersi sempre più graziosa e attraente nei confronti di Adrien, allo stesso tempo Alya avrebbe approfondito la conoscenza del suo caro Nino passando quanto più tempo assieme a lui e, poiché Marinette da una parte e Adrien dall’altra erano come le loro ombre, anche Marinette e Adrien si sarebbero frequentati più spesso.

Facile, no?

Marinette ripensò ancora una volta a quella diabolica soluzione che Alya aveva escogitato per far sì che lei riuscisse a conquistare Adrien Agreste e diventare la sua ragazza: ovviamente per primo avrebbe dovuto sforzarsi di essere più spigliata con lui, il che comprendeva smettere di balbettare, fare gesti inconsulti in sua presenza e parlare senza collegare il cervello, ma soprattutto avrebbe dovuto farsi desiderare. Via il ruolo di “migliore amica” e benvenuto a quello di “provocatrice dell’ormone impazzito”. Facile a dirsi… ma per Marinette era semplicemente un’impresa impossibile e contro natura. Per questo Alya si era arrogata il ruolo di consulente d’immagine e aveva schedulato per filo e per segno come avrebbe dovuto presentarsi al suo amato Adrien per risvegliare il quindicenne sopito in lui.

Quel giorno Alya le aveva imposto di approfittare di nuovo delle temperature un po’ più alte e di osare con un’acconciatura differente e una mise adatta.

-Alya, non metterò mai questa cosa per venire a scuola, mio padre mi ucciderebbe e il preside mi convocherebbe subito per espellermi dall’istituto, lo sai bene! E se non lo facesse lui, sarei comunque la prima a nascondermi per la vergogna!”-, attese un innaturale attimo che la ragazza dall’altra parte della linea protestasse e invece, con sorpresa, Alya concordò che non era ancora il momento.

-Nino mi ha detto che ad Adrien piace molto il rosso… non so perché, ma se hai qualcosa di rosso, qualunque cosa, oggi potremmo fare la prova e vedere se il mio ottuso cavaliere ha ragione o no. E metti almeno una gonna!- Non attese nemmeno la risposta e attaccò la chiamata.

-Qualcosa di rosso… Potrei arrivare a scuola trasformata da Ladybug e catturare Adrien con il mio yoyo… Sarei vestita di rosso-, considerò Marinette, guadagnandosi un’occhiataccia da Tikki. -Sto scherzando!-, puntualizzò e si mise alla ricerca di qualcosa da indossare, mentre dal piano di sotto sotto iniziò a filtrare un invitante profumo di caffè appena fatto.

Sua madre era rimasta sorpresa dallo scoprire che a Marinette piaceva il caffè, ma non ne aveva fatto un dramma. -Non sarà troppo piccola?-, aveva invece domandato suo padre preoccupato, mentre la moglie aveva fatto spallucce e lo aveva tranquillizzato dicendo che avrebbe servito solo caffè decaffeinato alla sua bambina. Non si accorgeva, Tom, che in camera di Marinette erano appese foto e foto di un certo ragazzo e che la loro piccina si era fatta grande e bella come una giovane donna? Figurarsi se poteva iniziare a farle la guerra per il caffè: ce ne sarebbero state tante di battaglie generazionali tra loro, che si svegliasse con un caffè e amen!

Marinette si guardò allo specchio e tirò su i capelli, legandoli in una coda alta, prese: dalla cassettiera una maglia corta, leggera, rossa con dei fiorellini bianchi e la indossò sopra l’abito scuro che si era convinta a mettere. Non era sicura che fosse il tipo di look a cui aveva fatto riferimento Alya, ma non aveva altro per testare le convinzioni dell’amica. Quel vestito lo aveva acquistato apposta per la comunione di Manon Chamack, l’anno prima: aveva un corpetto elastico senza spalline che si incrociava in un grazioso decoro sotto al seno ed era completato da un grazioso bolerino di lamé, che però non era appropriato per andarci a scuola. La maglia rossa che aveva trovato trasformava l’abito elegante in un capo casual, adatto per i primi giorni di sole e con un lieve richiamo alle linee della collezione Chanel di quella stagione. Si osservò un’ultima volta allo specchio: poteva andare.

Uscì dalla boulangerie appena in tempo per sentire la campanella della scuola squillare e iniziò a correre, sentendo l’aria tra le gambe.

Pregò che il vento non le sollevasse la gonna. Cosa le era venuto in mente, si sentiva vulnerabile Almeno avrebbe potuto mettere dei collant, ma la sua fede nei dettami di Yves Saint Laurent era troppo forte e lui non avrebbe mai messo su una sua modella delle calze trasparenti! “ Se diventerò come Kate Middleton, ne riparleremo”, pensò tra sé, fedele nei suoi canoni di moda parigina.

Pensò che il giusto compromesso avrebbero potuto essere delle calze autoreggenti, ma si sentiva troppo piccola per un capo così sensuale. Chissà se Adrien piacerebbero…

Il semaforo divenne verde e Marinette riprese la sua corsetta per non fare tardi a scuola.

“Che sciocca”, si disse mentre saliva di corsa la scalinata del College. Una ventata più allegra scompigliò i suoi capelli e sollevò appena la gonna dietro di sé. La abbassò con la mano e istintivamente si guardò alle spalle. Quattro occhi verdi, in ritardo come lei, la fissavano immobili.

Marinette inghiottì e, ignorando la voglia di sprofondare, corse in classe senza voltarsi più.

Tra tutte le persone che non avrebbe voluto incontrare senza un minimo di preparazione psicologica, Adrien e Nathaniel erano in testa. A quel punto, la giornata avrebbe potuto solo essere in discesa...

Alya la accolse con un’espressione di profondo apprezzamento sul viso, mentre annuiva soddisfatta guardando la nuova creatura che stava prendendo vita tra le sue mani. Forse doveva rivalutare l’idea di darsi alla moda, più che alla comunicazione, perché fare la consulente d’immagine le stava venendo proprio bene.

-Che schianto-, le bisbigliò all’orecchio. Marinette scacciò con la mano l’imbarazzo, ma si bloccò nel gesto quando udì Nino usare la stessa espressione, mentre indicava furtivamente ad Adrien di guardare nella sua direzione.

Il ragazzo non parve reagire, neanche per onorare quel sano cameratismo che aveva guadagnato con Nino e non si voltò verso di lei. Marinette sentì il sangue defluire dal suo cervello verso il baratro della delusione e si maledisse per aver fatto di quella stupida conquista la sua missione personale. Ma come poteva pretendere di avere anche solo una speranza che un ragazzo perfetto, dolce, educato, bellissimo e unico come Adrien potesse notare proprio lei.

-Sei veramente carina oggi-, mormorò una voce calda alla sua destra, paurosamente vicina al suo orecchio, facendola voltare di scatto. Marinette sentì sul suo viso il respiro di Nathaniel che le aveva appena rivolto quel complimento e fece un salto all’indietro, spaventata per la pericolosa vicinanza.

Nathaniel sorrise, portò una mano alla testa e, abbassando lo sguardo, se ne andò, rosso in testa e rosso in viso. Adrien, che aveva involontariamente assistito alla scena, si voltò di scatto dandole le spalle, ma Marinette non si rese conto di nulla, trovandolo immobile e teso come poco prima.

-Mayday mayday!-, la prese in giro Alya vedendo lo sguardo deluso della sua amica, -Ci penso io a voi due, dopo. Tu per favore non mi provocare più l’Edward Cullen dei poveri-, fu risoluta mentre indicava il ragazzo dietro a loro, che già una volta aveva messo in difficoltà tutti per la sua cotta per la dolce Marinette.

Le ore della mattina trascorsero in attesa di qualche segnale da parte di Adrien, ma il ragazzo non diede a vedere in nessun modo di aver notato qualche cambiamento in Marinette. Alya la rassicurò sottovoce, appellandosi al sempre attuale “chi disprezza, compra”, sostenendo che non fosse possibile che il loro amico non si fosse accorto di nulla.

E se…

Un pensiero raggelò Marinette: forse all’ingresso di scuola Adrien le aveva visto il sedere, quando quella stupida gonna si era sollevata e lui aveva disprezzato quel che aveva visto. Forse anche di più: e se fosse rimasto disgustato da lei? A pensarci bene… a un certo punto Marinette era certa di aver salutato Adrien e di avergli sorriso a trentadue denti: e lui aveva ricambiato giusto con un cenno distratto della mano, tornando a parlare con Nino. Era disgustato dalla sua ostentazione di una bellezza che non c’era! Non poteva che essere così…

L’idea di “scopriti che lui ti guarda” le si era ritorta contro e, oramai, tutto era andato… perso! Stava umiliandosi cercando in tutti i modi di tirare fuori una femminilità che sapeva di non possedere per sedurre il ragazzo, ma lui era troppo serio, troppo composto ed educato per poter essere sfiorato da discorsi puerili di quel tipo. Stava sbagliando di brutto ad illudersi che il piano di Alya potesse funzionare, era evidente, e non poteva scappare dall’aula ormai: era prigioniera di una gonna scura e di una stupida maglia rossa.

La campanella la salvò dal flusso dei pensieri che stavano iniziando ad affollarsi gli uni sugli altri dando forma alla sceneggiatura di un probabile candidato agli oscar come miglior film straniero. Fece per alzarsi, ma fu colta dalla vergogna e si rimise a sedere, attendendo che la classe si svuotasse, mentre lei simulava di continuare a prendere appunti dalla lavagna.

-Se non vi sbrigate finiranno la pizza prima di arrivare in coda a mensa - , le pungolò Nino dalla porta dell’aula. Alya era rimasta vicina a lei, come se avesse compreso il suo stato d’animo; Adrien, invece era già nel corridoio, sfilato via dalla stanza prima ancora che la campana finisse di gracchiare.

-Sono solo una sciocca-, bisbigliò Marinette all’amica e percepì un lieve colpetto sulla sua coscia proveniente dalla borsetta che portava sempre appresso. Anche Tikki era con lei, lo sentiva. Lei, Tikki, Alya e quella gonna svolazzante che le copriva le ginocchia, ma che evidentemente non era sufficientemente adeguata per un’imbranata cronica come lei.

-Non sei una sciocca, sei solo emozionata, Marinette-, le disse l’amica, -Andiamo, ho già organizzato il nostro pomeriggio dopo la scuola, mia cara e mi ringrazierai… C’è il gelataio al parco… la nuova giostra… quella con i posti a coppia…-, Alya afferrò Marinette per un polso e la trascinò fuori dall’aula, verso un destino incerto. Per Alya era tutto un gioco…

-Quella è una gonna o un vestito?-, domandò indicando la sua mise.

-Vestito, ma è senza maniche-, rispose la morettina, chiedendosi cosa importasse: -Non me la levo la maglia, Alya, nemmeno per tutto l’oro del mondo. Spogliati un po’ tu, piuttosto, che Nino gradirebbe!-, contrattaccò.

***

-Sei piuttosto strano oggi, amico-, notò Nino mentre facevano assieme la coda al self service della mensa, -Cioè, sei sempre strano, ma mi pare che stamattina tu sia entrato in classe che già eri più strano del solito…-

-Non sono strano, Nino-, si difese Adrien, sorridendo alla cameriera addetta ai secondi, -Passo.-

-Ma è rimasta un po’ di pizza o no?-, domandò l’amico alle sue spalle, cercando di sbirciare. In quel momento dalle cucine uscì un'altra teglia di pizza appena sfornata: -Perfetto!-, gongolò.

Con il loro bottino nei vassoi, i due ragazzi si diressero verso il solito tavolo, quando Nino vide Alya che si sbracciava richiamandoli verso l’altro lato dell’enorme stanzone adibito a mensa. Aveva conquistato un tavolo grande.

-Andiamo con loro?-, domandò ad Adrien e lo vide prendere aria e annuire, poco convinto. Non era proprio giornata, non gli andava di stare a chiacchiera con Alya e Marinette, anche perché, sicuramente, tutto sarebbe stato incentrato sul programma di quel pomeriggio. Non gli andava proprio di uscire: la notte prima era successa una cosa con Ladybug e lui… doveva riflettere. Da solo. Perché quando vedeva Ladybug lui si sentiva così aperto e desideroso di un contatto con lei, quando invece con gli amici, le amiche, più era coinvolto, meno aveva voglia di interagire?

-…sei strano. Lo vedi? C’è di mezzo tuo padre… o una ragazza?-, insistette Nino.

Adrien si fermò con il vassoio in mano e, aggrottando le sopracciglia, sbottò: -Non è che sono strano, Nino, è che sono… diciamo che, OK sto pensando ad una ragazza, ma quella ragazza al momento non sta pensando a me, capito?-, spiegò, quasi esasperato. Perché voleva a tutti i costi scandagliare il suo stato d’animo alla ricerca di una falla nella costruzione delle sue relazioni sociali?

-Oh-, fu l’eloquente reazione di Nino. Poi cercò di capire e di mettere insieme le mezze frasi che Alya gli aveva detto, le brevi spiegazioni e quella particolare richiesta di fare gruppo per pranzo.

-Oh!-, ripeté, con altra enfasi, -E quindi è per caso Marinette che…-

Adrien lo sorpassò scuotendo la testa, non lo avrebbe ascoltato un attimo di più. Non era proprio giornata.

Non era Marinette, era Ladybug.

Quella diavolessa di una coccinella gli sfuggiva ogni volta dalle braccia: sii te stesso, si era ripetuto ogni giorno, come in un mantra, al fine di cercare di apparirle sinceramente innamorato di lei, perché sì, in fondo era proprio quello che era. Lui amava quella misteriosa ragazza, e il fatto che quando la vedeva faceva cose che Adrien non avrebbe mai fatto non poteva che esserne la dimostrazione. Certo, non sapeva chi fosse in realtà e cosa facesse della sua vita quando non saltava tra i tetti di Parigi; certo, magari aveva molti più anni di lui e lo vedeva solo come un bamboccio, eppure la sentiva così vicina, così sua, come se fossero stati legati da un filo invisibile svolto per loro dalla notte dei tempi.

Ma ogni volta lei scappava, si prendeva gioco di lui e dei suoi sentimenti. “Gattaccio in calore”, l’aveva chiamato l’ultima volta che l’aveva incontrata. Proprio come l’aveva definito Nino. Aveva cercato di rendere meno evidente l’attrazione fisica che ormai non lo faceva più dormire la notte, doveva ricordarsi che era un ragazzo per bene, come suo padre gli aveva insegnato. Le aveva regalato una rosa, fatto un cortese baciamano, l’aveva gentilmente sollevata per sfuggire ad un attacco e si era perfino fatto colpire per proteggerla, ma lei, niente! Non le interessavano le buone maniere, affatto.

Si stava iniziando a domandare se, oltre che sotto la tuta, non avesse il nulla anche dentro al cuore. E allora si era lasciato andare, per la prima volta davvero.

L’aveva bloccata mentre stava andando via e l’aveva placcata contro al muro. Aveva visto il suo petto alzarsi e abbassarsi scosso dal respiro ansante a pochi centimetri da lui, era eccitato, sapeva di essere bramoso di lei come non mai, stava per posare le sue labbra su quelle rosse e umide… ma lei: -Non lo fare …-, aveva implorato, ed era scappata via, lasciandolo solo dopo avergli assestato una ginocchiata in mezzo alle gambe! Per fortuna che il costume da Chat Noir era fatto per resistere a ben altri colpi. Stava perdendo completamente la ragione per quella ragazza.

E poi c’era Marinette.

Marinette verso la quale stava lentamente avanzando, con un quarto di pizza e una coca diet.

Marinette che Alya e Nino stavano cercando di servirgli impalmata su un vassoio d’argento. Lui non avrebbe dovuto far altro che fare un cenno, e lei sarebbe stata sua. Che romantica conquista! Non ci voleva un interprete lento come Nino o una grande fantasia per capire che lei era cotta a puntino. L’aveva capito da mesi ormai. Quei balbettii, le gote rosse come lanterne ogni volta che lo vedeva, le mani che si torturavano a vicenda se lui le rivolgeva la parola. Marinette: una ragazza unica... eppure era anche lei una delle tante che sospirava per il modello di casa Agreste fino a nascondere quanto fosse speciale

Più lui diventava audace con ladybug, più notava i segnali che Marinette non riusciva a nascondere e provava per lei una tenerezza infinita. La dolce, luminosa Marinette, a cui lui voleva bene come ad una sorella…

E lui come un fratello, si era preoccupato non poco nel vedere la reazione che aveva avuto Mr. Pomodoro, in arte Evillustrator, quando entrambi si erano trovati dietro di lei, all’ingresso di scuola quella mattina. La coda nera ondeggiava sul collo sottile di Marinette e quella maglietta rossa, per un istante, gli aveva ricordato la sua Lady, mentre al Pomodoro erano senza dubbio interessate di più le sue cosce, lasciate scoperte un attimo per una ventata più forte. Marinette li aveva “beccati” ed era scappata, come suo solito. Lui si era voltato istintivamente verso Nathaniel e aveva scorto nel suo sguardo la stessa bramosia del suo alter ego akumizzato. Certo, Marinette era Marinette, e insomma, in effetti era stato un fugace bel vedere, e altrettanto vero era che la ragazza stava facendo un cambiamento notevole, e in meglio, da qualche tempo… eppure… Doveva stare attento a quel ragazzo, perché in un modo o nell’altro Adrien si sentiva chiamato in ballo e lui, a quel gioco, non ci voleva ballare. Non se c’era di mezzo Marinette… Non voleva che lei soffrisse ancora per quello sfigato.

Perché, tu non sei uno sfigato, Adrien, a sbavare dietro una perfetta sconosciuta? Tu non le guardi le cosce di Ladybug? Non sei uguale a Nathaniel?

Alya portò quattro dita alla bocca ed emise un potente fischio: -Quanto ci mettono quei due!-, sbuffò contrariata dal ritardo degli amici, -Mi si fredda la pizza!-

Marinette non l’aveva presa, aveva preferito una zuppa calda: insomma, era primavera, d’accordo, ma le stava iniziando a fare freddo con le gambe scoperte. Mai più…

-Ciao-, le salutò Nino e si accomodò vicino alla sua ragazza, che, felice come una pasqua, decise di contravvenire ad una delle prime regole che si erano imposti e gli stampò un sonoro bacio sulle labbra.

-Wow…-, sospirò il fortunato e afferrò la pizza, sorridendo soddisfatto. Il gelo invece era sceso su Marinette e Adrien, entrambi imbarazzati. Per cosa, in realtà, non era dato saperlo.

-Ci penso io-, bisbigliò Alya tra i capelli del suo ragazzo, e tirò per un polso Adrien, trascinandolo a sedere verso la sua amica. Lui si sbilanciò e allungò una mano per non cadere, finendo con l’agguantare una coscia di Marinette, che cacciò un urletto e si ritrasse come se fosse stata bruciata.

-Scusami, non volevo-, le parole furono un sussurro appena udibile dalle labbra di Adrien, che prontamente si allontanò un poco, staccando la mano e lasciando la gonna un po’ sollevata.

Il bel ragazzo era diventato rosso, allora non era insensibile al fascino di Marinette… notò Alya, sogghignando.

La sua amica, invece, non era dello stesso avviso. La situazione non poteva andare peggio: se lo sentiva, era da quella mattina che non sarebbe potuto andare tutto peggio di così! Lei vestita non a suo agio, Nathaniel che le aveva fatto un complimento non richiesto, la totale indifferenza di Adrien e adesso la sua reazione a quel contatto. Era… disgustato, ecco: era la parola adatta! Disgustato. Oh signore… Si sentiva avvampare per la vergogna o l’emozione o forse per quello sguardo verde mortificato che l’aveva sfiorata un attimo dopo… Oppure si sbagliava… per un attimo infinitesimo quello sguardo smeraldino gli era parso diverso, un’occhiata in tralice, un’increspatura sulle labbra… gli aveva ricordato un altro biondo di sua conoscenza… Se fosse successa una cosa del genere con Chat Noir avrebbe saputo come comportarsi: un’altra ginocchiata nelle sue palline di gatto e a cuccia!

Ma era stato Adrien, il ragazzo dei suoi sogni, che aveva appena palpeggiato la sua gamba e si era scusato, ritraendosi… disgustato . Ok, era la versione corretta.

Marinette abbassò gli occhi sulla zuppa, mortificata e col cuore piccino piccino per quella considerazione che aveva appena fatto. Era certa di essere nella confusione più totale e ringraziò le volute di vapore bollente che le appannavano la vista, perché non voleva illudersi ancora di vedere reazioni che non c’erano da parte di Adrien.

Alya, nel frattempo, stava trafiggendo il suo amico con lo sguardo, pareva una valchiria pronta a infilare con uno spadone il biondo malcapitato. Bene, grazie a lei aveva toccato una coscia di Marinette: adesso doveva dire o fare qualcosa, per forza! Una battuta, un’implorazione di perdono, una battutaccia… E lui? Nulla, immobile come un traliccio!

-Non l’ha fatto apposta-, si affrettò a spiegare Nino al suo orecchio.

-Toccarla no, scappare come se avesse toccato una lebbrosa, sì, per tutti i followers! Sto facendo di tutto perché questo stoccafisso si dia una svegliata e si faccia coraggio con Marinette, e lui???-, sibilò da dietro gli occhiali la ragazza e tornò a dedicarsi all’arte di torturare il suo compagno di classe con lo sguardo. Nino guardò a turno i suoi commensali. Sembravano le tre scimmiette: Alya che si tratteneva dal non parlare, Marinette con le mani alle tempie, sembrava non volesse sentire più nulla nell’arco di un chilometro e Adrien… lui teneva una mano a coprirsi gli occhi dallo sguardo di Alya, fissando un punto indistinto nel suo piatto. Stava facendo freddare la pizza…

-Bella giornata, no?-, fu il misero tentativo assolutamente fuori luogo che Nino buttò lì per uscire da quell’impasse che si era creata. Adrien doveva pur dire qualcosa, reagire, ricordarsi che era a tavolo con loro, prima che Alya combinasse qualche casino. Decise di passare alle maniere forti e colpì con un sonoro calcio lo stinco del suo amico, sotto al tavolo. Adrien sobbalzò abbassando di scatto una mano verso la gamba, ma fu troppo rapido e maldestro e…

-Ahh!-

I tre, e buona parte degli occupanti i tavoli lì vicino, osservarono increduli Marinette Dupain-Cheng urlare e allo stesso tempo rizzarsi in piedi e sfilarsi con la velocità di un trasformista la maglietta rossa che indossava, che lasciò cadere addosso al braccio della sua amica Alya, rimanendo a spalle nude; il corpetto dell’abitino nero scivolato verso il basso, lasciando un po’ scoperto il reggiseno. Le mani alle clavicole, tutte arrossate, per coprirsi.

-Ahi! Scotta!-, fu il secondo urlo, un attimo dopo da parte di Alya, che fece scattare il braccio in alto.

-Ahooo!-, concluse Nino, mentre i suoi occhiali volavano per terra.

Nino aveva colpito con il calcio Adrien, Adrien aveva urtato il piatto di zuppa fumante di Marinette rovesciandoglielo nel decolleté, Marinette si era tolta immediatamente la maglia inzuppata di liquido bollente che aveva lanciato addosso ad Alya, scottandole il braccio. Alya aveva alzato di scatto il braccio e colpito con esso il naso di Nino.

Un uragano.

-Te l’avevo detto che a lei piace il pizzo…-, fu l’unica frase che riuscì ad uscire dalla bocca di Nino, bisbigliata ad Adrien mentre si massaggiava il naso.

Lui guardò la ragazza mortificato: -Marinette… perdonami… io…-, ma era tardi.

La ragazza era scappata dalla sala mensa tenendo le braccia attorno al suo busto riparandosi da mille occhi.

-Corri, deficiente-, lo minacciò Alya e Adrien scattò come una molla per recuperare la sua amica.

Non l’aveva fatto apposta, nulla di quello che era successo era stato fatto apposta, ma era accaduto! La sfortuna del Gatto Nero in quel momento lo stava schiacciando.

La trovò seduta per terra, la testa tra le ginocchia, nel bagno delle femmine. Era entrato noncurante del fatto che potessero esserci altre compagne di scuola ed era stato incredibilmente fortunato a non trovare nessuno tranne la sua amica, che stava piangendo sommessamente.

Si sedette accanto a lei e notò che teneva una salvietta umida a contatto con la pelle del decolleté, tutta rossa. -Marinette, scusami, davvero-, disse cercando di guardarla in viso, -Brucia molto?- Accompagnò le parole con il tocco leggero del dorso della mano sul suo zigomo e vide gli occhi azzurri della ragazza schiudersi su di lui, mentre ancora le guance le si imporporavano. Era consapevole che la stava torturando. Poteva quasi sentire il suo cuore battere furiosamente, eppure non poteva fare nulla per lei. Non voleva prenderla in giro.

-Marinette…-, si alzò e posò le mani calde ai lati delle sue spalle per tirarla su. Allora la guardò, stropicciata in quel leggero abito nero che le fasciava il busto in un elegante intreccio e che si allargava sui fianchi. La maglia rossa aveva coperto fino ad allora la parte più sensuale di lei. Sentì anche il suo cuore accelerare e per un attimo sentì l’impulso di avvicinarsi e… no… non poteva fare nulla. Non doveva.

Lei era Marinette…

Deglutì e spostò lo sguardo, con un gesto rapido si sfilò la camicia che indossava quella mattina e gliela porse, rimanendo con la t-shirt scura.

-Ti prenderai freddo-, aggiunse, muovendo la mano perché lei prendesse la camicia che gli stava prestando.

Vuole che mi copra, non vuole vedermi.

Il cervello di Marinette aveva ripreso a ronzare. Con la delusione nel cuore allungò la mano e, in un ultimo singhiozzo, accettò la camicia e la indossò per sottrarsi alla vista del compagno.

Aprì appena la bocca, per prendere aria. Aveva le labbra umide e rosse.

Adrien la stava fissando. Non voleva, ma la stava fissando. Gli occhi lucidi, le labbra rosse, le mani tremanti. La scollatura profonda… Gli balenò in testa l’immagine di sé stesso che chiudeva uno ad uno i bottoni della sua camicia sul petto di Marinette.

No, la voleva sbottonare, sfiorando la pelle chiara, lentamente...

Si sentì avvampare, ma si sforzò di contenersi e abbassò gli occhi sulle mani della ragazza che, piccole e scattose, incespicando tra loro, annodarono la stoffa in basso, tirandola bene nel mezzo in modo che stesse chiusa. Niente bottoni, maniaco.

-Grazie, Adrien-, sussurrò lei, poi deglutì ancora e lo precedette fuori dal bagno in cui si trovavano.

Uscendo, Marinette vide la sua immagine riflessa nello specchio. Era tutta scarmigliata. Sfilò l’elastico che teneva legati i capelli e li lasciò scivolare sulle spalle, liberando nell’aria un profumo familiare di vaniglia e cocco. Adrien, dietro di lei, trasalì per un attimo e la sua mano si allungò verso quella della ragazza, per fermarla. Ma non lo fece.

Marinette non si voltò e non disse nulla. Tornò al tavolo e si affrettò a recuperare le sue cose, poi andò in classe, in silenzio e con un macigno sul cuore.

-Hai combinato un vero disastro a mensa, Marinette Dupain-Cheng, mi domando con quale coraggio tu non sia ancora scappata da questa scuola di persone perbene!-, la infilò a parole l’odiosa Chloe.

-E poi, guardati: non hai il minimo senso del gusto. Pensi di essere uscita da Grease, per caso? Che cencio ti sei messa addosso?-, indicava la camicia bianca cercando il plauso della folla.

-Smettila Chloe-, la fulminò Adrien, sedendosi al suo banco, -E per tua informazione, quella è la mia camicia. E’ un’Agreste pret-a porter collezione 2016, quindi non definirla cencio, oppure mio padre potrebbe rivedere la lista degli ospiti ben accetti in casa nostra-

***

Marinette inspirò ancora una volta il profumo che quella camicia aveva e ricacciò indietro una lacrima. Era solo una giovane, stupida, illusa adolescente.

-Allora, gelataio?-, trillò giuliva Alya, cercando di distrarla dal dramma che stava vivendo.

-No, Alya, grazie davvero, ma voglio andare a casa-, Marinette la salutò con un sorriso, prese lo zainetto e scivolò via silenziosa, prima ancora che la campanella si fermasse.

Alya cercò di seguirla, ma si bloccò davanti al banco di Adrien, che, a testa china, stava recuperando le sue cose: -Che cosa le hai fatto, ancora?-, gli ringhiò contro.

-Io… niente!-, si difese il ragazzo, alzando le mani davanti al petto e vide Alya sgonfiarsi come un palloncino bucato.

-Niente?-, era incredula, -Le hai bollito le tette, siete rimasti da soli, le hai prestato la tua camicia e… niente!?-

La ragazza sbuffò e sparì, delusa, scuotendo la testa, inseguita da Nino che si scordò perfino di salutarlo.

Che cosa si aspettavano che facesse?

Uscì mesto dalla scuola e salì immediatamente sulla sua auto, mentre in testa quella domanda continuava a torturarlo.

Cosa avrebbe dovuto fare a Marinette?

***

Salve a tutti, rieccomi qua!

Terzo capitolo di questa ff. È il seguito del precedente e quindi anche questo si svolge ai tempi della scuola, 6 anni prima del prologo. Vi avvertirò quando torneremo a vedere cosa fa la Marinette più adulta, tranquilli!

Nel frattempo le cose non vanno bene per la povera Marinette, ma anche Adrien ce la mette tutta per dare il peggio di sé. Come può sbloccarsi una situazione del genere, perennemente in stallo tra la negazione di un’attrazione e l’esaltazione di altre attrazioni?

Spero di mantenere un ritmo di pubblicazione bisettimanale per togliervi il prima possibile la curiosità!

Un caro abbraccio a tutti i miei lettori!

***DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Kiss me (Sei anni prima) ***


Capitolo 4

Kiss me

(Sei anni prima)

-LadyBomb?-, Ladybug era incredula: quella che aveva davanti non era la solita vittima di Papillon, all’apparenza non aveva nulla di strano, una tutina come la sua, o un’armatura, un casco…

-Dammi subito il tuo Miraculous!-, tuonò la nemica, schiacciandola sotto il suo piede e facendole male con il tacco a spillo. Aveva gambe lunghissime e lo spacco di quell’abito di paillettes le metteva ancora più in risalto.

Ladybug cercò di afferrarle la caviglia e liberarsi da quella presa, ma la donna fu più rapida di lei e l’afferrò dal collo, sollevandola alta contro il muro dietro di lei.

-Dammi il tuo Miraculous!-, ripeté sibilando. La mano libera si avvicinò sinuosa al suo viso, diretta verso gli orecchini. Mosse la testa a destra e a sinistra, cercando di parare i tentativi di ghermire i suoi preziosi gioielli, mentre allungava le mani, per fermare quella guantata della vamp che l’aveva catturata.

Dietro di lei, dieci, forse dodici uomini la seguivano, sembravano legati come cani al guinzaglio, eppure potevano scappare, erano liberi…

-Mai…-, Ladybug riuscì ad assestare un violento pugno in faccia a LadyBomb che mollò la presa sul suo collo. Aria, finalmente aria… In un attimo gli schiavi della procace rossa le furono addosso.

-Prendete i suoi orecchini-, ordinò la vittima di Papillon e incrociò le braccia al seno.

***

Cosa avrebbe dovuto fare a Marinette?

Chat Noir continuava a ripetersi quella domanda balzando di tetto in tetto, accorrendo all’SOS inviatole da Ladybug. Secondo Alya avrebbe dovuto corteggiarla, ne era certo, ma la reazione di Marinette gli aveva urlato esattamente il contrario. Sembrava che non volesse venir avvicinata da lui, eppure era certo di piacerle. Cioè… balbettava sempre quando lo vedeva, diceva frasi senza senso e poi aveva una sua foto in camera, l’aveva vista quella volta che stavano allenandosi al videogame. Non c’era altra spiegazione se non quella, quindi perché l’aveva quasi rifiutato?

Ma tanto a lui non interessava, giusto? Quindi perché quella leggera delusione che si sentiva addosso? Si aspettava che lei accettasse le sue scuse, ma in fondo, prendendo la sua camicia, lo aveva fatto, no? Era tutto a posto con lei, nulla era cambiato, no?

Ahh, le ragazze, che mondo sconosciuto e pericoloso che erano!

Adocchiò in basso, in un vicolo, la macchia rossa della tuta della sua collega e vi si gettò a capofitto, rendendosi conto solo all’ultimo che non era lei ad aver attirato la sua attenzione, ma un’altra rossa.

-Ehi, Jessica Rabbit, sei tu la cattiva del giorno?-

La donna non lo degnò neppure di uno sguardo, presa dal combattimento poco distante, ridendo con malvagità. E allora la vide: Ladybug era letteralmente sepolta sotto una moltitudine di uomini, all’apparenza normali, che… ma che stavano facendo?

Avevano le loro mani ovunque sul corpo della sua amata eroina e lei teneva le sue strette ai lati del viso, a proteggere i suoi orecchini, senza alcuna difesa da quell’inusuale attacco così violento. Pensarlo e fiondarsi nella mischia fu un tutt’uno. Ne afferrò un paio per le braccia, allontanò un altro con un calcio e riuscì a raggiungere la ragazza. Fece passare un braccio sotto le sue spalle e, allungando il suo bastone, la trascinò via da quell’assalto.

-Non ho mai sperato così tanto di abbracciarti-, bofonchiò Ladybug sul suo collo, nascondendovi il volto. Inspirò il profumo che aveva addosso il collega. Ero le stesso di Adrien, quello che aveva annusato per tutto il giorno sulla camicia che lui le aveva prestato.

Il suo cuore perse un battito. Ormai era ossessionata, lo vedeva ovunque, sentiva la sua presenza costante anche quando lui non c’era. O forse era solo una difesa del suo cervello e se lo stava immaginando per dimenticare quello che le avevano fatto. Un attacco così… Papillon non era mai stato tanto subdolo, quella volta aveva trovato un modo perverso per abbattere le sue difese: non si era mai sentita così inerme di fronte al nemico. E non poteva permetterselo, perché lei doveva rimanere forte.

Chat Noir si fermò dietro una grande antenna parabolica; -Stai bene?-, le domandò, vedendola rossa in viso.

-Mi hanno preso lo yoyo-, farfugliò lei, tastandosi alla ricerca di strappi nel suo costume o qualcosa di simile. Gli occhi azzurri mal celarono la vergogna che stava provando in quel momento e la confusione che quel profumo le aveva messo in testa.

-Aspettami qua-, le sorrise e con un saltò tornò nella mischia gettandosi a capofitto nella direzione dell’arma, in mano ad uno dei sottoposti della rossa.

-Non farti baciare!-, udì l’urlo di Ladybug che si sporgeva dalla balaustra e, per un pelo, si sottrasse alle grinfie della malvagia sirena. Non avrebbe voluto, ma si ritrovò a colpire con un sonoro pugno uno degli uomini facendogli schizzare via un paio di denti: non erano trasformati in qualcosa… o forse sì, in bestie. Lottando riuscì a recuperare lo yoyo della sua compagna e tornò a sparire nella notte.

-Per te, My Lady-, porse lo yoyo a Ladybug e la vide esitare. -Stai bene?- Domandò di nuovo spostando con delicatezza un ciuffo di capelli dai suoi occhi.

Ladybug annuì, -…solo, non farti baciare-, ripeté lei.

-Lo sai che io aspetto di farmi baciare solo da te, My Lady…-, gli occhi verdi puntati nei suoi. Ladybug scosse la testa levandosi in piedi e roteò la sua arma. Doveva reagire.

-Li ha ammaliati tutti con un bacio-, spiegò a Chat Noir, -Se lo facesse a te… sono certa che le daresti subito il tuo Miraculous scodinzolando. E forse non solo quello…-

-E’ dura resistere al mio fascino-, si avvicinò a lei, -E se mi baciassi tu, mia adorata?-, insistette il gatto con fare sornione.

-Ti sembra il momento?- Chat Noir guadagnò una spinta che gli fece perdere l’equilibrio. Dovette mettere mano al suo bastone per non cadere.

La ragazza era seria, più del solito. Seria e tremendamente imbarazzata per aver avuto tutte quelle mani addosso che la toccavano. E lui aveva visto tutto. Come poteva continuare a comportarsi così in quel momento!? Possibile che non capisse?

-Credo che l’akuma sia nel rossetto, solo che lo ha nascosto nella sua scollatura e non sarà facile prenderlo…-, spiegò, sforzandosi di apparire normale.

-Mi offro volontario per recuperarlo, non resisterà al mio fascino-, Chat Noir strinse le labbra sformando il suo sorriso e assottigliò gli occhi, pregustando l’affondo, -Oggi sono bravo a far spogliare le fanciulle davanti a me-, aggiunse sghignazzando al ricordo del catastrofico pranzo a scuola e Ladybug lo fissò incredula, a bocca aperta.

Cercò qualcosa da dire, ma le parole le morirono in gola. Aveva fatto fino a un attimo prima il gattomorto con lei e con la stessa facilità passava a raccontare le sue gesta con altre donne!? Erano tutti dei porci maniaci gli uomini in quella città!?

Tutti tranne uno… lui non l’aveva toccata apposta...

Si morse il labbro e cercò di allontanare quell’immagine mentre un piano prendeva forma nella sua mente.

-Usa il tuo fascino con quella, allora. Distraila e non farla scappare da qua-, e con una spinta lo fece rovinare ai piedi della rossa. Gli fece segno, dall’alto di non farla allontanare. -E non farti baciare!-, ripeté, ma ormai era tardi e lui…

-Vieni qua, bel micione-, la donna stava richiamando Chat Noir muovendo l’indice davanti al suo naso e, a grandi e lente falcate, si stava avvicinando a lui, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso.

Lo sguardo verde puntato verso l’alto, a cercare il suo aiuto, fu l’ultima cosa che vide di Chat Noir, prima che la vamp allungasse le mani al suo collo e si avvicinasse con la sua bocca carnosa alla pelle tesa sotto al mento. -Che bel campanellino che abbiamo qua-, mormorò con le labbra rosse sul collo del gatto, tirando giù quella che, evidentemente, era una zip e insinuandosi con una mano sotto la tuta nera, e scivolando in in basso graffiando con le unghie laccate la sua pelle, sempre più giù.

-Sei mio…-, si avvicinò per baciarlo.

Ladybug percepì l’attimo esatto in cui Chat Noir smise di opporre resistenza e un lieve ansimo sfuggì dalle sue labbra.

Era troppo! Chat… Doveva fermare quella donna!

Aveva carpito l’ispirazione dalla scena degli orsetti in quel film della Disney che aveva visto con Alya una delle prime volte che era stata a casa sua, insieme alle sue sorelline. Anche Merida aveva i capelli rossi, come la sua nemica. Ironico… Ladybug si buttò a capofitto giù dal tetto, tenendosi al filo dello yoyo, saldamente ancorato ad un comignolo e, prendendo la mira, si infilò con la mano dentro la scollatura della malvagia creatura creata da Papillon, salvando il collega dalle sue grinfie e i loro Miraculous da quelle del loro nemico.

Agguantò il rossetto e lo schiacciò sotto al piede, liberando la farfalla viola.

-Vieni qua, maledetta akuma!-, con stizza aprì lo yoyo e la catturò.

In fondo era stato facile, né lei, né il gattaccio avevano dovuto utilizzare i loro poteri speciali.

In effetti era stato un nemico sui generis. Non erano stati fatti danni, salvo che una decina di donne avevano visto i loro compagni sedotti dal fascino ammaliatore della rossa cantante di un pianobar e l’avevano seguita come topi dietro al pifferaio magico. Avrebbero sicuramente saputo cavarsela da soli.

Li vide barcollare confusi disperdendosi per le strade e non poté fare a meno di ripensare che proprio le loro mani erano state sul suo corpo, tra le sue gambe, strette sul suo seno… Rabbrividì… ecco quali erano i danni più grandi che aveva causato l’akuma… le aveva strappato via l’innocenza di fantasticare su un primo contatto fisico con un essere di sesso maschile. Avrebbe voluto cancellare quell’orrore, avrebbe voluto l’amore, un po’ di amore a scendere come neve su quei pensieri e nascondere quegli incubi. Qualcuno che tenesse a lei, che la rispettasse, che potesse amare…

Adrien...

Una voce incerta richiamò la sua attenzione: era la cantante ormai libera dall’akuma, che non capiva cosa ci facesse per strada da sola. Ladybug si offrì di accompagnarla al suo locale, che era a due passi.

-Non voglio tornare là dentro per farmi trattare come un oggetto-, dichiarò la donna, -Quegli… quei porci non devono più cercare di toccarmi!-, si sfilò i sandali e li scagliò verso la porta del night, tirando su col naso e correndo via, sparendo inghiottita da una fermata della metro. Come la capiva… avrebbe voluto fare lo stesso anche lei! Non voleva più sentirsi violata da mani che non desiderava.

-Che donna!-, fischiò Chat Noir osservando la scena. Raggiunse Ladybug alle spalle e posò le sue mani sui suoi fianchi: -Che donne…-, soffiò sul suo collo. Che voglia che aveva di continuare quello che la rossa gli stava facendo, ma con la sua Lady…

Ladybug avvampò a quel tocco, una scarica elettrica la percorse andando a spazzar via in un istante quella brutta sensazione appena provata… Era quello che voleva, fuoco che ardesse, non che le strappasse via la pelle…

Maledizione… Non con lui, non con Chat Noir!

Il giovane la sentì irrigidirsi e si staccò comprendendo che forse aveva osato troppo. Ne aveva viste altre, di mani sul suo corpo e non gli era affatto piaciuto.

L’aveva messa di nuovo in una situazione scomoda, cercò di raffreddare i suoi bollori e le parlò con il tono più amichevole che riuscì a trovare: -Pensavo…visto che non abbiamo fretta, ti andrebbe di fare due passi…-, la ragazza rimase immobile di spalle a lui. Poteva vedere le sue spalle tremare leggermente, i muscoli delle braccia contratti, i pugni chiusi. Forse era meglio se fosse andato via e l’avesse lasciata da sola a sbollire quella sensazione di vergogna… lui almeno provava proprio quello per essersi fatto vedere in atteggiamenti così equivoci da lei. Ladybug era tutto quello che razionalmente o irrazionalmente desiderava, la voleva come collega, compagna, amica e amante, ma era sempre irraggiungibile. Vederlo tra le braccia di quella rossa non poteva che aver inasprito il giudizio che Ladybug certamente aveva sulla sua serietà. Fece un passo indietro, intenzionato a sparire nella notte e liberarla dalla sua ottusa presenza.

Lei si voltò e lo trafisse con occhi azzurri e cupi, come il cielo in tempesta sull’oceano ruggente. Afferrò il suo campanello e lo tirò a un centimetro dal suo viso.

-Ti stavi facendo toccare dappertutto-, gli ringhiò contro inviperita -E se non fossi intervenuta io, TU, ti saresti fatto baciare!-,

Ladybug sentì sul suo viso il respiro affannato di Chat Noir.

Ma cosa stava facendo? Che cosa gli aveva appena detto??? No...no!

Doveva scacciarlo quel gattaccio ficcanaso sempre pronto a fare le fusa per lei! Doveva mandarlo via, via da quello che aveva visto e aveva fatto, via dalle sue paure, dal disgusto e dallo sporco che si sentiva addosso. Via dalla voglia liquida che le stava rubando l’aria. Guardò i suoi occhi verdi e disarmati. Rivide lo stesso sguardo che aveva intravisto poco prima, quando la rossa lo aveva messo spalle al muro e aveva tirato giù quel campanello. Ma che cosa stava facendo? Forse anche lui, così spavaldo e irruento si era sentito lacerato da quel contatto? Forse, così come era successo a lei, anche Chat Noir poteva essersi sentito violato da quella donna?

Ma soprattutto: perché le dava un fastidio mostruoso ripensare a quella rossa che toccava il suo Chat Noir?

Mollò il sonaglio e si strinse le braccia al petto, guardando i suoi piedi. Non ne poteva più di tutti quegli uomini, tutte quelle mani, tutta quella perversione… Voleva solo amore...

Eppure… sentiva ardere la pelle sotto la tuta, dove lui aveva appena posato le sue mani e doveva ammettere che le piaceva quella sensazione…

Maledizione! N on voleva sentire marchiato a fuoco il tocco di Chat Noir! Non era lui l’amore che cercava!

Anche Adrien quella mattina l’aveva toccata, quando era inciampato ed era caduto sulla sua gamba ed era quella la sensazione che voleva ricordare! Si colpì con la mano il punto sulla gamba e aprì il palmo, sembrava fosse avvenuto in quel momento. Lo stesso fuoco che sentiva in quell’istante, dove era stata toccata dalle mani guantate di nero. Il suo cervello stava andando in tilt, era certa di essere congestionata, si sforzava di trovare scuse arroccandosi su supposizioni.

Adrien non l’aveva fatto apposta , mentre il gatto… in fondo il gatto era solo un…

Avrebbe desiderato ancora le mani di Adrien su di lei?

E quelle del gatto…?

Perché si sentiva avvampare e l’unica immagine che le riempiva la mente erano le mani della donna rossa sulla pelle nuda di Chat Noir, l’unico tocco che voleva era quello sui suoi fianchi?

Doveva restare lucida, per Dio!

Che le interessava in fondo, di Chat Noir? Si fosse fatto toccare da tutte le sgualdrine di Parigi, avesse spogliato tutte le allegre fanciulle del mondo, cosa sarebbe interessato a lei???

Era stata strattonata, palpeggiata da quei maiali che le aveva mandato addosso la cantante e non le piaceva, non lo voleva, da nessuno, tantomeno da lui, quindi il gatto era libero di andar via e inseguire la cantante o…

Ribolliva come una pentola a pressione pronta ad esplodere. Voleva urlargli contro, ma non aveva motivo di farlo, perché a lei cosa doveva interessare quel depravato di Chat Noir, le mani della donna su di lui… le sue mani…non lo voleva.

Voleva solo Adrien…

Non è vero, sei una bugiarda Marinette… ammettilo che vorresti che Chat Noir riprendesse da dove lo hai fermato con la tua insicurezza e la tua sconfinata miopia!

Chiuse gli occhi e strinse ancora le mascelle, doveva calmarsi, ritrovare la sua lucidità e andarsene, doveva…

-Shhh…-, Chat Noir le passò un braccio dietro la schiena, le sue gambe vacillarono scosse da una scarica elettrica.

No… no no no! Perché la sua testa le diceva di andar via e il suo corpo tremava al solo tocco di quelle mani? Non era quello che aveva sognato, non doveva essere lui, voleva solo Adrien.

Voleva solo Adrien?

Di nuovo quel profumo, che l’aveva accompagnata tutto il giorno…

Di nuovo un abbraccio saldo a cui si aggrappò stretta fino a sentir male…

Non aprì gli occhi e si lasciò andare.

Sei tu, Adrien?

Perché sento lo stesso fuoco liquido che ho sentito con te?

Sei tu che mi stringi, Adrien?

Quel profumo… non l’aveva mai notato prima… Lo stesso profumo… Era un sogno?

Non aprirò gli occhi, non smetterò di sognare…

Sentì una mano muoversi dalla sua schiena fino al volto e asciugarle una lacrima, lasciando una scia di brividi al suo passaggio. Non si era accorta di piangere, in fondo lo aveva fatto per tutto il pomeriggio, pensava di avere esaurito le lacrime.

La mano si spostò sotto il mento, leggera, e lei lo sollevò senza porre resistenza, persa in quel profumo, immaginando di non essere là, ma da qualsiasi altra parte, senza la sua maschera, con Adrien… Un soffio leggero sulla sua bocca.

Tenne gli occhi chiusi e lasciò che Chat Noir, finalmente, posasse le labbra sulle sue. Un’altra lacrima rotolò sulla sua guancia, scappando agli occhi chiusi. Un’emozione troppo forte oppure quel che rimaneva di un sogno clandestino.

Un’esplosione di fuoco e scintille nella pancia.

Inspirò e lasciò che i suoi desideri prendessero il sopravvento sulla realtà; allungò le mani dietro la nuca del ragazzo, affondando nei capelli. Un brivido nuovo, inatteso. Diverso e magnifico… Che strana sensazione, eppure aveva tante volte scarmigliato il suo ciuffo ribelle, sembrava non essere la stessa persona in quel momento. Voleva che non lo fosse.

Oppure no?

Socchiuse le labbra e lasciò che tutti i suoi sensi venissero presi in quel bacio. Liberatorio, infuocato, sbagliato.

Era il suo primo bacio e non era così che doveva andare.

Un bacio rubato, eppure un bacio vero.

Un bacio sbagliato, eppure il suo cuore batteva forte.

Finalmente quel bacio, avvolto dal profumo familiare che aveva sempre addosso.

Il bacio che aspettava da tanto tempo, ma voleva che fosse a carte scoperte.

Ladybug si allontanò e una sensazione di freddo e solitudine rapì le sue labbra. Spalancò gli occhi e si ritrovò per un attimo a naufragare in quelli verdi, profondissimi e increduli di lui. Occhi normali.

Sbatté le palpebre e rivide gli occhi del gatto. Era troppo confusa.

Chi aveva baciato? Un sogno oppure quel misterioso ragazzo mascherato, dallo sguardo languido?

Portò una mano alla bocca e indietreggiò, non riuscendo a credere a quello che aveva fatto, che avevano fatto.

Balzò via e sparì nella notte.

Chat Noir espirò. Aveva trattenuto il respiro mentre lei se ne andava via. Era solo.

Le gambe cedettero e crollò in ginocchio sulle fredde tegole, afflosciandosi su se stesso.

Era quello che voleva, no? Aveva vinto lui, alla fine. Aveva baciato la sua amata Ladybug ed era stato bellissimo… Sentì il viso contrarsi in un sorriso e ancora sospirò, alzando gli occhi al cielo.

Aveva baciato Ladybug e non per finta.

Ma chi era Ladybug? Perché si era lasciata prendere così?

Eppure era proprio quello che sognava da notti e notti intere, no? Cosa c’era che non andava? Cos’era quell’amaro che era rimasto in bocca, mentre voleva sentire solo il dolce sapore della sua amata.

Non pensava che avrebbe mai trovato il coraggio, né che lei avrebbe risposto come con la fantasia aveva sperato.

Quella non era Ladybug.

Era una ragazza ferita. E lui ne aveva approfittato.

Quello non era lui.

Era diverso, era… più vero…

Quel bacio non doveva accadere.

Eppure lo sognava da troppo tempo.

Ma non con lui.

Eppure, in qualche modo, era lui

Non era lei in quel momento.

Eppure voleva rifarlo di nuovo e ancora e ancora, fino a perdersi…

***

Buongiorno a tutti!

Spero di essere stata all’altezza del tema trattato in questo capitolo e del primo bacio che si scambiano i nostri cari due eroi parigini!

Non sono una gran fan della LadyNoir, ma… è venuta così!

Fatemi sapere se vi piace! ;P

*** DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Complimenti Adrien! (Sei anni prima) ***


Capitolo 5

Complimenti Adrien! - (Sei anni prima)

La camicia bianca non aveva più addosso il profumo di Adrien. L’aveva lavata e stirata senza che la mamma se ne accorgesse, perché ne sarebbe scaturita una inquisizione da thriller medievale prima e preoccupazioni mostruose sulla violata virtù di sua figlia, dopo, se anche suo padre avesse avuto sentore di qualcosa.

“Mi ero tutta sporcata di zuppa e un mio compagno me l’ha prestata perché faceva freddo. Fine”

Avrebbe potuto dire così e risparmiarsi ogni filippica, ma aveva preferito fare da sé e cancellare ogni traccia di quel profumo che l’aveva assillata per tutta la notte, senza mettere nel mezzo altre persone.

Se lo sentiva addosso, sulla pelle, nei capelli, dentro di sé. Aveva sciolto la trasformazione tornata a casa ed era rimasta a boccheggiare sul suo balcone per un tempo indefinito, mentre l’aria fredda della notte si insinuava sotto il pesante maglione che indossava.

Ogni singolo istante di quella notte era impresso a fuoco nella sua mente.

Cosa aveva fatto…

Era profondamente turbata da due importantissimi dettagli: Chat Noir e Adrien avevano entrambi occhi verdi e quell’obnubilante profumo appiccicato addosso e a lei era bastato questo per lasciarsi andare tra le braccia del gatto, senza pensarci due volte. Sì, perché era stato solo per quello, ne era certa.

Ma... anche Nathaniel aveva occhi verdi… anche… tante persone a Parigi avevano occhi verdi! Non poteva pensare di convincersi che fosse solo per quello che si era lasciata andare in quel modo con Chat Noir! Non era una sprovveduta o una che si sarebbe fatta baciare da tutti i ragazzi dagli occhi verdi di Parigi.

O con tutti quelli che usavano il profumo Forêt Sauvage by Agreste , messo in commercio da tre mesi, due settimane e un giorno, come testimoniava quel ritaglio di rivista attaccato proprio accanto al suo letto dove con Photoshop avevano reso ancora più verdi gli occhi verdi del suo Adrien.

Era, decisamente, idiota.

Per sua fortuna era anche sola in casa. Quella domenica i suoi avevano la giornata libera ed erano andati a fare una gita fuori Parigi. Lei aveva dichiarato che non stava bene, e aveva scaldato il bulbo del termometro sulla lampadina della sua abat-jour, per avvalorare la tesi e rimanere a casa. Avrebbe potuto crogiolarsi nel letto quanto voleva a torturarsi per cercare spiegazioni a qualcosa che era successo e ormai non poteva essere cambiato o giustificato.

Ladybug aveva lasciato che Chat Noir la baciasse mentre Marinette aveva immaginato che stesse accadendo con Adrien, invece che col gattaccio.

-Marinette, io lo so che non hai la febbre…-, pigolò Tikki intrufolandosi tra le coperte, alla ricerca degli occhi dell’amica, -Quindi mi spieghi cos’hai?-

La piccola kwami era preoccupata, aveva percepito un cedimento nel loro legame la sera prima, mentre Marinette era trasformata e lei un tutt’uno con il Miraculous, e allo stesso tempo era riuscita, proprio in quell’istante, a sentire vicinissimo a sé Plagg, il kwami del gatto nero. Era diverso tempo che ne percepiva la presenza, ma non era certa di ricordarsi quale fosse esattamente la sua aura, almeno fino a quella notte.

-Cos’è successo, Marinette, perché non vuoi parlarmene?-

In risposta l’amica nascose la testa sotto al cuscino, stronfiando.

-Sei ancora turbata per quello che è accaduto a scuola con Adrien… oppure per quello che è successo… stanotte?-, le volò accanto, come se starle vicina potesse aprirle il suo cuore: era curiosa, oltre che preoccupata. Aveva dormito assieme all’amica quella notte, da quando erano tornate dalla missione. Era stata proprio Marinette a volerla tenere stretta a sé come un peluche, e così la bestiolina aveva percepito il battito ondivago del cuore dell’amica. Marinette aveva dormito poco e il suo sonno era stato agitato e lei era preoccupata. Era un vero problema che proprio lei non potesse mai assistere alle gesta di Ladybug e non sapere che cosa combinasse esattamente in quei momenti. Lo percepiva, ma non lo vedeva. E quello che aveva percepito quella notte non era una cosa da nulla… Nonostante tutto, Marinette sembrava negare che fosse avvenuto qualcosa capace di incrinare la sicurezza che Ladybug riponeva in se stessa. Quindi doveva essere per altri motivi, che era così acciaccata.

-Pensi che Adrien ti abbia volutamente versato addosso la zuppa, Marinette?-, butto lì, forse era davvero per quello che era successo la mattina prima che era così irritata.

-Sì, come no. Per potermi spogliare e toccarmi, poi appartarsi con me e… baciarmi…-, rispose da sotto il cuscino, sarcastica, la portatrice del suo Miraculous, -Quello l’ha fatto Chat Noir, semmai…-, si lasciò scappare e subito si morse la lingua.

-Che cosa???-, Tikki iniziò a strillare incredula per quello che aveva udito, allora era davvero successo qualcosa quella notte… qualcosa capace di mandare in tilt il legame tra lei e la sua portatrice: - Che cosa ha fatto Chat Noir?-, non era chiaro se fosse furibonda, euforica o semplicemente sconsolata per non aver assistito all’evento.

E poi Chat Noir… Chat Noir… ogni tanto l’aveva visto, ma da come gliene parlava Marinette non doveva essere propriamente uno stinco di santo, esattamente come il suo kwami. Ripensò ad ogni istante della nottata, per quello che poteva significare e continuava a chiedersi a cosa fosse stato dovuto tutto quel fuoco addosso a Marinette. Allora non era stato solo un pensiero o un desiderio… era qualcosa di fisico che era avvenuto! Aveva capito tutto.

-Marineettee! L’ho sentito io che qualcuno ti stava facendo qualcosa, Marinette, ma anche tu… io lo sento come ti senti, lo sai? Quando sei trasformata io sono parte di te e me ne accorgo se sei triste o felice o… Marinette… tu non eri triste o felice… o sbaglio?-, la kwami si fermo in volo sopra di lei, e se possibile le sue guancine divennero ancora più rosse. Eh sì: decisamente Marinette non aveva raccontato tutto…

-Cosa è successo, truffaldina di una coccinella!?-, si stava consumando dalla curiosità. Avesse dovuto testimoniare in tribunale, avrebbe giurato che, la notte prima, Ladybug si fosse sentita prima spaventata e frustrata, arrabbiata e dopo… emozionata quanto mai e…, -Eri per caso… eccitata… in quel senso… Marinette?-, domandò incredula.

Marinette infilò di nuovo la testa sotto al cuscino. “Bella domanda, Tikki, dovresti fare l’analista per adolescenti confuse”, pensò. -Assolutamente no!-, rispose invece, offesa.

Le mancò la presa sulla stoffa del cuscino e il visino di Tikki, che lo stava trascinando via da sé, le apparve furibondo nel campo visivo.

-Senti me, signorina!-, con le zampine minuscole, Tikki l’arpionò per guance, appiccicandosi al suo viso: -Hai poco più di quattordici anni, sei troppo giovane, non ti passi neanche per l’anticamera del cervello l’idea di sfruttare la tua identità segreta per fare cose che… cosa che una ragazzina della tua età non dovrebbe neanche sapere. Sono stata chiara?-

Marinette l’afferrò per la collottola, allontanandola per mettere a fuoco il suo faccino agitato, -Tikki… ci siamo solo baciati… non fantasticare troppo…-. La kwami proseguì.

-Vi siete solo baciati! Mi è già successo in passato, sai? Quella stupidina di una portatrice nel Nuovo Mondo si fece sedurre da un poco di buono: inizialmente fu solo un bacio, poi due… e infine e decise di sfruttare la trasformazione per fare… quella cosa lì. Cosa credeva? Che “io la proteggessi dalle conseguenze del loro gesto”? Ah, ma non è più successo, eh! Eh no! Mi sono esercitata per generazioni e generazioni a creare un costume che fosse il più comodo possibile e allo stesso tempo fosse un’armatura! Un’armatura contro quelle come lei e contro tutti gli uomini!-, gesticolava fendendo ferocemente l’aria. Era davvero Tikki o una piccola furia che si era travestita da Tikki?

-Calmati!-, Marinette la avvolse tra le sue mani, il cuoricino impazzito e gli occhi, preoccupati, ficcati nei suoi.

-Io ci tengo a te!-, pigolò; -Sei la mia portatrice preferita, Marinette… forse perché sei la più giovane-, confessò. -Non voglio separarmi da te troppo presto, come successe con quella ragazza… Dovette riportare il Miraculous al Tempio e io tornai a dormire per troppo tempo…-, rimasero abbracciate per qualche momento.

I pensieri di Marinette accelerarono.

-Tikki, mi stai dicendo che la mia trasformazione, in pratica, è una cintura di castità modello supercomfort?-, esordì liberando il flusso delle domande più strane che si poneva fin dall’inizio della sua avventura: -Ma se mi farà caldo, d’estate? E se mi scappasse la pipì? E perché Chat Noir invece può levarsela, la sua tuta e…-

Ahi…

-Che coooosaaa!?-, era scivolata su una enorme buccia di banana e Tikki stava fraintendendo le sue domande.

-Non è come pensi!-

-Io non penso niente! Sei tu che l’hai detto!-

Furono interrotte dalla suoneria del cellulare di Marinette. -È Alya…-, la sua voce implorante chiese una tregua alla sua kwami: doveva delle spiegazioni anche alla ragazza.

Marinette rispise e ascoltò Alya raccontarle dapprima quanto fosse stato bello andare con Nino sulla nuova giostra che avevano messo in Centro e di come il trambusto di quella mattina avesse ravvivato il loro rapporto.

-…e quindi mi sono comprata anche io un reggiseno di pizzo! Che ne dici? Chissà se piacerà a Nino-, Marinette cercò di abbassare il più velocemente il volume del suo apparecchio per evitare che Tikki trovasse, nelle parole della sua coetanea, qualche conferma alle sue illazioni di poco prima. Marinette lo sapeva: Alya era diversa da lei, spigliata e sicura di sé. Sarebbe stata pronta a fare quel passo, se solo si fosse deciso anche Nino. Sapeva anche che nei loro incontri di studio avevano approfondito la reciproca conoscenza in modi che al solo pensiero la facevano arrossire. Ma lei non era così, Tikki poteva dormire tra due guanciali: non era in grado di pronunciare una frase di senso compiuto al ragazzo che amava, cosa pensava che avrebbe potuto farci di più?

-Mentre tuuu… Cos’è successo con Adrien in quel bagno? Lui dice “nulla”, ma è proprio così? Sembrava così sicuro di sé nel difendere l’innocente fanciulla dalle stoccate di Chloe, che pensavo che qualcosina avesse fatto… Te l’ha offerta lui la camicia o gliel’hai tolta tu? E vi siete rivisti di nascosto ieri sera, dai, dimmi che è così!-, una risata sonora chiuse il terzo grado. Evidentemente i film mentali erano contagiosi.

Marinette prese aria e sbuffò, perché le faceva male rivangare quei momenti che avevano sancito il suo fallimento, -Alya, la cosa più importante che è successa ieri sera è che ho stirato da sola la camicia di Adrien senza bruciarla e domani gliela riporterò. Se invece vuoi sapere altro, a scuola in bagno lui non mi ha né abbracciata, né fatto dichiarazioni d’amore, né... baciata, pff... sia come ‘amica’ che con tutta la passione del mondo. Ha detto bene lui: non è successo niente…-, aveva il timbro spento e voleva chiudere lì la questione.

-Oh…-, Alya fu colta di sprovvista: -Ma con l’abitino che ho trovato per te, vedrai che lo farai cadere ai tuoi piedi, ora più che mai!-, tornò all’attacco rinvigorita.

-Alya, no. Fine del tuo piano, ok?-, Marinette fu risoluta, -Ci vediamo domani a scuola. Ciao-, mise giù senza attendere la risposta dell’amica e si pentì del suo atteggiamento scontroso. In fondo Alya si stava facendo in quattro per lei.

Guardò il muro spoglio davanti a sé, alzò le sopracciglia, prese molta aria e si sgonfiò. -Alziamoci, va’-, si disse.

-Devi finire quello che stavi dicendo: se faccio due più due con i discorsi di prima e quello che hai detto ad Alya, mi immagino che tu abbia rinunciato a conquistare Adrien e invece ti sia perdutamente lasciata sedurre da Chat Noir, cadendo tra le sue braccia, lasciandoti baciare e spogliandolo-, incrociò le braccine, -E NON si fa, Marinette-, il piedino batteva l’aria sotto di sé.

-Ma chi sei, tu, mia mamma?-, ridacchiò la ragazza, cercando di sviare e alzandosi dal letto.

Scacciò con la mano l’esserino petulante che le svolazzava attorno alla testa e si fiondò in bagno, chiudendola fuori. Sapeva che Tikki avrebbe potuto oltrepassare senza problemi la porta, ma non lo fece.

Si aggrappò con entrambe le mani al lavandino e guardò il suo riflesso allo specchio. Aveva il segno del cuscino su una guancia, i capelli arruffati e gli occhi appiccicosi. “Wow… proprio la ragazza da trovarsi accanto al risveglio”, si criticò.

Avrebbe archiviato il piccolo incidente con Adrien e smesso di cercare di conquistarlo: tanto non avrebbe mai vinto quella battaglia, lo sapeva bene, e avrebbe fatto di tutto per dimenticare il modo in cui aveva sprecato il suo primo bacio.

Si pentiva?

Assolutamente…

E si sentiva in colpa per non aver aspettato che fosse proprio Adrien a baciarla per prima. Aveva già il suo cuore, spettava a lui prendersi il primo bacio. Le ripetevano tutte che prima o poi sarebbe successo. Bastava aspettare, no?

E invece si era concessa a Chat Noir.

Le era piaciuto?

Sì, da morire…

***

-Bello eh-

-Plagg…-

-Che credi, l’ho sentito anch’io. Bello quasi quanto il camembert… Non so bene cosa sia stato più bello di tutti, ma è stato davvero bello. È stato quello che penso, micione mio?-

-Plagg…!-

-Pensi che la perversione che ti esplode quando sei Chat Noir sia tutta opera tua, mocciosetto? Io ero un grandissimo amatore in gioventù e lo trasmetto ad ogni mio portatore. Altrimenti col cavolo che facevi quello che hai fatto!-

-PLAGG!-

Adrien si rigirò nel suo letto, affondando il viso tra i cuscini.

-Che avrò mai fatto, poi? L’ho solo baciata-, bofonchiò. Aveva finalmente baciato la sua Lady, vero, eppure non era in quel modo che pensava si sarebbe sentito.

-Oh, non pensare che un bacio sia sufficiente per portartela a letto, caro mio…-, il kwami galleggiò disteso nell’aria, una zampetta a sorreggere il musetto ammiccante, l’altra intenta a far ruotare la coda.

-Nessuno ha intenzione di fare quella cosa lì, Plagg!-, si stava stancando di sentire i suoi più segreti pensieri riportati ad alta voce da quello spiritello malefico. -Dove hai nascosto corna e forcone?-, gli chiese agguantandolo tra le mani.

-Queste mani, se non sbaglio, hanno fatto cose che noi kwami non vorremmo vedere, Adrien, quindi lasciami!-, non era vero, che diavolo stava dicendo?

-Non ho fatto nulla!-, incrociò le braccia al petto, lasciandolo andare, e si voltò offeso.

-Tuuuu? Niente!-, gli fece il verso Plagg, imitando l’espressione che aveva accompagnato quella stessa risposta data ad Alya, a scuola.

-Al diavolo!-, gli lanciò il cuscino e lo mancò di pochi centimetri. Era stufo di quei discorsi senza capo né coda.

-Semmai io sono stato… usato… da questa akumizzata che, insomma, lei come arma usava la seduzione e io dovevo pur salvare Ladybug…-, gesticolò parlando, perché voleva che il kwami non insistesse nell’addurgli colpe esclusive.

D’accordo, aveva baciato Ladybug e forse aveva sbagliato a farlo, ma anche lei aveva dimostrato di essere interessata alla cosa e lui… beh, non era del tutto in sé per quello che la akumizzata gli aveva fatto...

L’ultima volta che qualcuna aveva posto le sue manine sul suo petto era stato ad un servizio fotografico di qualche settimana prima, che ancora sarebbe dovuto uscire, ed era insieme ad altri due modelli. E a dirla tutta si era sentito più imbarazzato che eccitato dalla situazione, come avrebbe dovuto dare a mostrare dalle sue pose. Lui era un... bambino, ancora… a chi voleva darla a bere? Le uniche mani che davvero lo avessero mai toccato erano state quelle di sua mamma e nemmeno le ricordava più!

Ma la sensazione da cui era stato rapito quella notte… la donna in rosso gli aveva fatto qualcosa, un sortilegio… perché... altro che bambino! Aveva una voglia matta che qualcuno continuasse a toccarlo… e Ladybug non era che la ragazza dei suoi sogni: la donna giusta al momento giusto! Aveva sbagliato a insistere con lei, ma forse era successo perché era ancora sotto l’influsso di quella donna, o forse era stato perchè anche Ladybug sembrava così… così…

In fondo era un ragazzo come tutti: ragionava cinquanta con la testa, quaranta col cuore e, per Dio, gli era concesso almeno un dieci di sano ragionamento di ormoni!?

Quella notte si era sentito usato dalla rossa vittima di Papillon, e non gli era piaciuto. O meglio, gli era piaciuto, tanto da mandargli il cervello in tilt e desiderare di provare ancora quella sensazione. Ma lo aveva messo a disagio, accidenti!

-Lo sai perché ti ha dato così tanta noia? Perché tu sai che lei ti stava guardando. O sbaglio?-

Plagg aveva ragione… se lo sarebbe dovuto appuntare sul calendario, un evento di tale importanza. Lo fissava con un sorrisetto da schiaffi dipinto sul muso. Plagg sollevò le sopracciglia.

-Mi leggi nel pensiero?-, domandò all’animaletto, allarmandosi d’un tratto.

-Potrei, ma mi farebbe ribrezzo leggerti la mente, quindi mi limito a leggere e interpretare le tue sensazioni quando… mi indossi, ok?-, azzannò altro formaggio, -E non sono tutte belle sensazioni, quindi per favore, cerca di contenerti un po’-

Adrien si rabbuiò: sì, forse stava esagerando e doveva razionalizzare quello che era successo e la sua posizione.

“Io sono un suo modello e il mio modello è mio padre”, si era ripetuto in un mantra fino a qualche tempo prima di diventare Chat Noir. Gabriel Agreste, integerrimo e irreprensibile, al limite della freddezza: ecco a chi avrebbe dovuto tornare a ispirarsi, il prima possibile… Doveva trattare le donne con distacco, ma gentilezza; i conoscenti come tali, senza assorbire da loro abitudini e vizi; i pettegolezzi non dovevano interessargli, ma solo la sostanza dei discorsi e quelli futili non doveva perdere tempo ad ascoltarli. Doveva essere sempre lucido, rapido e concludente, educato, signorile… Come lui.

Un mostro.

Nel momento in cui aveva mosso i suoi primi passi da solo, fuori dalla gabbia eretta da suo padre, era così che l’aveva visto. Un mostro inumano, ma pur sempre suo padre, al quale non avrebbe mancato di rispetto né lo avrebbe mai deluso.

Di giorno era sempre tenuto al cappio dai suoi stessi principi ormai sclerotizzati da anni di sottomissione e adorazione. Ma di notte poteva fare quello che voleva, perché nessuno tranne Plagg sapeva che lui era Chat Noir. Il compromesso che gli aveva offerto il Miraculous era la sua valvola di sfogo e l’unico mezzo per non impazzire. Bastava non far sapere a nessuno che Chat Noir era proprio lui e nessuno gli avrebbe tolto la sua fetta di libertà.

E forse era proprio quello il punto: stare con Ladybug l’avrebbe portato presto a svelarle la sua identità e allora si sarebbe creato un conflitto tra il suo essere Adrien Agreste e l’essere Chat Noir. Eppure non vedeva l’ora di scoprire chi si nascondesse sotto la maschera rossa e nera. Torturava quella ragazza ogni volta che finiva un combattimento. “My Lady, ti prego svelami chi sei, Meow Meow”!

Ma aveva capito che forse non gli conveniva farlo.

Un controsenso in pelle nera. Ecco cos’era diventato.

E poi c’era quella questione con Marinette…

Perché era stata così fredda e l’aveva scacciato? Non voleva perdere la sua amicizia.

-Pensi che dovrei parlare a Marinette?-, domandò a bruciapelo a Plagg, mandandogli di traverso il formaggio.

-Quella ragazza rischia l’angina pectoris ogni volta che ti vede da lontano e tu, dopo averle guardato il culo a colazione, toccato le gambe per aperitivo, quasi ustionata con la zuppa del pranzo e dopo spogliata con gli occhi come digestivo, pensi che parlarle sia una buona idea?-, gli batté una zampetta sulla fronte, -Se vuoi ucciderla, fai pure. Parlale del tempo, di quanto siano belli i suoi disegni, di cosa hanno combinato Nino e Alya, delle battutacce di Chloè… Parlale ancora di tutto quello che lei non ha bisogno di sentirsi dire.-

Svolazzò fino al tavolo da biliardino: -Ma se non vuoi ucciderla hai due sole chances: o le dici che ti piace, (a proposito: ti piace, Adrien? Eeeh??? Lo sai che io so tutto di te...) poi ti decidi a chiederle di uscire e, prima che svenga, ti metti assieme a lei, oppure, altrettanto chiaramente le dici che hai un’altra e fai in modo che ti dimentichi. Per inciso… così morirebbe comunque… Sta a te…-, schizzò come una scheggia fino al suo viso: -Dipende da quello che provi-

Adrien aprì le labbra, ma non emise suono. Le richiuse boccheggiando alla ricerca di una risposta che non conosceva: in fondo era così… Non voleva ferire Marinette, ma nemmeno illuderla di qualcosa che non era vero: -Io vorrei solo essere suo amico…-, sollevò le spalle alzando i palmi.

-Friendzonare una che è stracotta per te credo rientri nell’opzione ‘ucciderla’, campione-.

Ma dove li pescava quei termini da social network? -Hai per caso usato il mio account Facebook, Plagg?-, lo squadrò dall’alto in basso.

-Certo che no! Ho il mio account personale e ho già fatto strage di ragazzine vogliose grazie ai provini delle foto che ti manda ogni giorno “Spaghetti-Mandolino-Mamma”-, Adrien sbiancò, -Scherzo, moccioso-

Plagg rizzò il muso e si allontanò, lasciando il ragazzo nel dubbio.

In fondo poco gli importava: avrebbe messo le carte in chiaro con tutti e l’avrebbe fatto nelle ventiquattro ore successive.

Lui amava una ragazza, ma quella ragazza non era Marinette: avrebbe fatto in modo che lei cessasse di sperare in qualcosa tra loro, senza dover necessariamente ferirla con frasi brusche o discorsi diretti. Era sicuro di essere in grado di mantenere una bella amicizia con lei, senza dubbio.

Invece a Ladybug avrebbe chiarito che quello che provava non era semplice attrazione e le avrebbe offerto con il cuore in mano la sua totale e imprescindibile fedeltà… perché l’amava, ne era certo!, al punto da accettare una relazione senza che rivelassero le loro identità.

Poteva farcela: tutto sarebbe stato semplice, efficace e lineare. Bastava che parlasse ad entrambe con sincerità e con il cuore.

Camminò fino al bagno e si guardò nello specchio. Essere quasi ogni giorno alle prese con balzi, corse, sollevamenti e combattimenti gli aveva fatto prendere un po’ di muscoli, la maglietta in qualche punto iniziava a tirare. Chissà se sarebbe andato bene per la sua carriera da modello. Se aveva ragione la sua truccatrice, che non smetteva mai di indorarlo ogni volta che riusciva a posare le mani su di lui, sicuramente non avrebbe avuto problemi - . Il riflesso nello specchio ne dava conferma: era innegabilmente un bel ragazzo, ma questo fatto non era tutto rose e fiori come sarebbe potuto apparire. Le ragazze cadevano ai suoi piedi ammaliate dal suo aspetto, ancor prima di presentarsi a lui. Ma ce n’era una che lo conoscesse davvero? Che ne sapevano di come fosse realmente? E se fosse stato uno di quei bastardelli con la puzza sotto al naso, o qualcuno che voleva solo approfittarsi di loro? Avrebbero voluto lo stesso stare con lui? Quanto contava l’esteriorità e quanto quello che era davvero?

Era arroccato su un castello di apparenze costruito a tavolino attorno a lui da suo padre e dai suoi assistenti, ma nessuno si sforzava di aprire la porta e guardarci dentro.

Aveva paura che anche per Marinette fosse andata così. Gli aveva mai parlato chiaramente, aveva mai provato a chiedergli qualcosa di sé? Era sempre carina con lui, anche se con il suo modo di fare imbarazzato, ma cosa provava davvero per lui? Era interessata a sapere cosa avesse nel cuore, quali fossero i suoi interessi e le sue paure? Soffriva davvero per lui, oppure semplicemente era svenuta ai suoi piedi come tutte le altre?

Ladybug invece gli resisteva… e per questo era lei quella che voleva, per questo era rimasto così… così emozionato da quel bacio rubato.

Si leccò le labbra in cerca del ricordo del suo sapore e chiuse gli occhi, iniziando a sognare.

Ed erano sogni… oh si!, dove in fondo che importava di raccontarle tutta la sua vita…

D’accordo, Plagg aveva ragione: era solo un quindicenne guidato da nient’altro che dagli ormoni…

***

Jeans leggeri, sneakers (più caste delle ballerine, indubbiamente), t-shirt e felpa col cappuccio: nemmeno Alix avrebbe saputo vestirsi peggio di lei. Appallottolò i capelli in un abbozzo di coda e uscì di casa, sfilando dritta davanti ai genitori salutandoli con la mano.

-Mari, la colazione!-, strillò la mamma dalla porta della boulangerie.

-Non ho fame-, rispose stancamente, zaino in spalla e fagotto in mano.

Era un nuovo giorno di una nuova settimana e lei sarebbe rimasta fedele all’amore segreto che nutriva per Adrien, aspettando il momento in cui si sarebbe ancora sentita degna di lottare per lui.

Prima o poi succederà , si disse, ma ci credeva poco.

-Ti farà solo male deprimerti a questo modo, Marinette-, Tikki si sentiva in colpa per i discorsi che aveva fatto alla sua amica il giorno prima. Non intendeva che avrebbe dovuto diventare la paladina della sciatteria e della depressione, solo che non doveva fare pensieri strani sui ragazzi, perché ancora era troppo giovane.

Marinette attraversò la strada e arrivò davanti alla scuola nello stesso momento di Alya, che storse la bocca nel vederla.

-Sei finita in una centrifuga?-, la apostrofò, ma non ebbe risposta. -Ehi, non conquisterai mai Adrien se ti farai vedere così! La felpa di un videogame, Marinette…-, giocò l’asso nella manica, ma ottenne solo un cenno con la mano da parte dell’amica.

Entrarono in classe e si sedettero in silenzio. Ovviamente c’era qualcosa di più di quello che era successo a scuola, Alya ne era certa, eppure non si capacitava del fatto che l’amica non l’avesse messa al corrente di tutto. Il suo cambiamento repentino di stile, i suoi silenzi, l’espressione rassegnata eppure tranquilla. Marinette aveva fatto qualcosa che non le voleva raccontare. Se aveva incontrato Adrien, come si era ficcata in testa, le cose potevano essere solo due: o lui l’aveva scaricata o era scoppiata la scintilla. Ma poiché di fuoco appiccato non aveva visto nemmeno l’ombra sulla sua amica, la teoria per cui propendeva era purtroppo la prima e non aveva coraggio di fare domande. Oppure il contrario e lui le aveva detto di mostrarsi il meno provocante possibile per non attirare altri sguardi su di lei… era anche quella un’opzione. Valli a capire gli Agreste…

Quando, dal corridoio, giunse la risata di Nino, Alya sperò che fosse solo e che, per qualche motivo, Adrien quel giorno non sarebbe venuto a scuola: se le sue teorie fossero state vere, un incontro di prima mattina tra Marinette e Adrien avrebbe significato una crisi di panico nell’amica oppure avrebbero stupito tutti rivelando succose novità che lei non accettava di non conoscere in anteprima. Invece fu proprio il biondo ad entrare per primo in aula.

Alya li salutò con la mano e rivolse al suo ragazzo un sorriso ammiccante, in attesa di reazioni inconsulte da parte dell’amica.

-Buongiorno-, le salutò Adrien, educato come sempre.

-Buongiorno-, ricambiò Marinette, stupendo Alya per la tranquillità che aveva nella voce, -Questa è tua: grazie ancora per avermela prestata-, proseguì, porgendo ad Adrien un sacchetto di carta colorata. Ok, non era tranquilla: era mesta.

-Grazie…-, il ragazzo la studiò e notò che teneva lo sguardo basso. I capelli non erano acconciati come sempre in codine, né li aveva sciolti o con la coda, come l’ultima volta che si erano visti a scuola, ma erano raccolti in malo modo sulla nuca, infossati nel cappuccio della felpa sformata che aveva addosso.

Incrociò per un attimo il suo sguardo, mentre lei tornava al suo posto e fu catturato dalla bocca delicata e le labbra rosa, piegate appena all’ingiù. Non ci aveva mai fatto caso prima. Seguì la mano lasciata scorrere sul banco, finché non si sedette. Aveva le dita lunghe e affusolate e per certo ricordava i polsi esili. Perché era vestita così? Era così carina il sabato precedente, in effetti era un peccato nascondere sotto ai jeans le sue gambe, però anche in quel modo si notavano le forme slanciate e toniche.

-Dai, su, uccidila-, Plagg fece capolino dalla sua camicia, portando teatralmente una mano alla fronte e fingendo di svenire.

Si era preparato il discorso da farle e quello era il momento giusto. Si era ripetuto per tutta la sera che Marinette era solo un’amica e che avrebbe presto capito che la cotta per lui era frutto di un’attrazione effimera. Poteva farcela.

-Marinette io…-

Due occhi azzurri e profondi come l’oceano in tempesta si alzarono su di lui, tetri eppure speranzosi.

-Sì, Adrien?-, rispose Marinette e lui fu di nuovo catturato dalle labbra rosa che si muovevano soffici, rimanendo socchiuse.

Non ce la posso fare…

Deglutì: -Bella… bella felpa… ne ho una uguale a… casa…-, la ragazza abbozzò un sorriso e tornò con lo sguardo sul banco.

Marinette si sforzò di non muovere alcun muscolo, ma dentro di sé urlava la tempesta della frustrazione: perché era così pazzamente innamorata di Adrien e perché lui si comportava così? Le aveva appena balbettato una frase di circostanza con occhi sgranati: quella era una prerogativa sua e di tutti gli sfigati, non di uno come Adrien Agreste!

Cercò di rimanere concentrata durante la lezione, ma il pensiero saltava dallo sguardo spaventato di Adrien poco prima alle parole che gli aveva detto, al modo in cui le aveva dette, alla nottata precedente e ad altri occhi verdi e poi tornava sulla sua situazione, cercata da uno e ignorata dall’altro, mandandola in confusione totale.

Inoltre ci si era messa anche Tikki, che più volte aveva cercato la sua attenzione per dirle qualcosa di “importanza vitale”, ma non era mai riuscita a defilarsi e rimanere da sola per ascoltare le sue parole.

In ogni attimo disponibile di quella mattinata, Chloe Burgeois non cessò di prendere in giro Marinette per come fosse vestita. Quando si tolse la felpa, nelle ore più calde del giorno, arrivò a definirla: “sciatta come un camionista all’area di sosta”, e Marinette sorrise, lisciandosi la stoffa nera della maglietta. Quel giorno lei voleva essere sciatta.

Aveva preso la prima maglietta che aveva trovato nel ripiano più alto del suo armadio, sogghignando per l’ironia, mentre la infilava: “La Turnee du Chat Noir”, era perfetta come memento della nottata precedente e tortura per quello che aveva lasciato che accadesse. Le andava un po’ piccola, in fondo chissà quando e chi gliel’aveva regalata. Non aveva importanza. Non avevano importanza le parole al vetriolo di Chloè o quello che pensava Alya: non doveva più conquistare nessuno. Si stava sempre di più formando nella sua testa l’idea che il bacio che aveva concesso a Chat Noir le sarebbe costato l’happy ending della sua storia con Adrien, sarebbe stato il suo contrappasso per aver ceduto a un altro senza aver la fede di aspettare solo lui. Se lo meritava.

Quando Adrien vide la maglietta di Marinette, tesa sul suo seno e con quella immagine stampata sopra, tutti i buoni propositi di tentare di nuovo di chiarire la sua situazione con lei andarono a farsi benedire.

Che diavolo gli prendeva? Era stato compagno di classe di Marinette da mesi e fino ad allora non l’aveva mai guardata… che stava succedendo quel giorno!? Gli tornò alla mente la domanda che gli aveva posto Plagg la sera prima, sopraffatta dalle altre parole: “A proposito… ti piace?”. Scosse la testa per allontanare quel ricordo subdolo.

Doveva parlare chiaramente a Marinette e farle capire che non era interessato a lei in quel senso, non avvampare per le sue tette acerbe nascoste sotto la maglietta… la maglietta del gatto nero!

Il destino era beffardo e si era messo in combutta con Plagg, la primavera e quello che stava guidando la sua mente in quel momento.

Anche perché con che faccia avrebbe affrontato Ladybug quella notte, giocando la sua ultima carta per conquistarla definitivamente?

Chiese il permesso di uscire per andare al bagno. Aveva bisogno di prendere una boccata d’aria e sperare di convincersi a perseguire quanto si era ripromesso.

-Esattamente, cos’è che ti prende?-, gli domandò la parte nera della sua coscienza, svolazzando accanto a lui.

Lo guardò con rabbia e sfiatò dal naso come un toro.

-Amico, seriamente, fai paura…-, Plagg si mise a sedere sul bordo del lavandino, -Non mi vorrai mica dire che non hai il coraggio di parlare chiaro a Marinette?-

Una lampadina si accese nella testa del ragazzo: ecco cos’era! Non era per gli occhi blu, le labbra rosa, la maglietta che tirava proprio lì, che stava indugiando: non stava provando qualcosa, aveva semplicemente paura di farla rimanere male, e allora la sua coscienza cercava mille appigli per scappare.

In fondo sarebbe stato più facile non dire niente e non esporsi. Lei rimaneva nel dubbio e lui si risparmiava di ferirla. Un classico, ma perfetto.

-Ho deciso, Plagg, non parlerò a Marinette, lo capirà da sola che io e lei siamo solo buoni amici-.

Uscì dal bagno di corsa, lasciando il kwami dentro: -Ehi, aspettami! Devo dirti una cosa!-, lo chiamò trapassando la porta e infilandosi nella sua giacca mentre rientrava in classe. Quel deficiente non aveva capito che non poteva continuare ad illudere proprio quella ragazza e non gli aveva dato modo di dirgli una cosa importante.

Si sedette al suo banco molto più tranquillo di prima, tanto che cedette all’impulso di voltarsi verso le amiche del banco dietro al suo e rivolse loro un sorriso palesemente falso. Alya gli fece ciao con la mano e Marinette stirò le labbra in un sorriso teso di circostanza. Ok, in fondo non era così male, poteva accettare di continuare a comportarsi così con lei, proprio come un amico. In fondo che male c’era… Per quanto avrebbe potuto restarci male, prima o poi Marinette avrebbe reagito, come facevano tutte.

Da quel momento avrebbe pensato solo a preparare l’incontro perfetto con Ladybug…

Vagò con i pensieri accompagnato da un profumo, leggerissimo, quasi evanescente, che ogni tanto gli faceva perdere il filo e lo distraeva dalle lezioni. Un profumo familiare, che gli aveva riempito la mente la notte prima e che aveva sentito sopra di lei, tra i suoi capelli e che stava continuando a torturarlo. Fin da quando era bambino si divertiva ad indovinare il nome dei profumi che la mamma cambiava ogni giorno. Una volta aveva scoperto una bottiglia di un profumo non by Agreste ed era stato il loro piccolo segreto, per quel breve tempo che gli era stato concesso assieme: li conosceva davvero quasi tutti ed era certo che non fosse affatto quello che aleggiava attorno a Chloe. Quello era un profumo da 107 euro a flacone, deciso, pungente, prepotente. Proprio come lei.

Invece quell’odore era sottile, delicato, morbido e sensuale, ma leggero come una piuma; andava e veniva, un attimo c’era, quello dopo non più.

Scosse la testa, dandosi del pazzo. Doveva sbrigarsi a venire la sera, perché non poteva più aspettare di rivedere Ladybug. Inspirò, riempiendosi il naso d’aria.

Eppure quel profumo c’era davvero…

La campanella avvertì gli studenti che potevano fare una breve pausa e la classe si svuotò in un attimo. Lui rimase in cerca di un fantasma.

Il profumo non c’era più. Forse stava sognando.

-Adrien-

Socchiuse gli occhi, annusò l’aria accanto a sé; li riaprì sconsolato.

-Adrien?-

Niente, qualunque cosa fosse, non c’era più. Lo avrebbe odorato di nuovo quella notte, ne era sicuro. Avrebbe fatto le cose per bene, quella volta.

-Adrien! Allora? Sei ancora più strano del solito oggi-, Nino lo fece sussultare, battendogli sulla spalla. Alya gli aveva a grandi linee raccontato che secondo lei Marinette non gliel’aveva cantata giusta e che per essere stata vittima di un così grande cambiamento, in solo due giorni, le doveva essere per forza accaduto qualcosa. E se si parlava di “qualcosa” e “Marinette”, non poteva che trattarsi di Adrien. “Quei due si sono incontrati, ci posso mettere la mano sul fuoco, e ci nascondono qualcosa”, gli aveva scritto via whatsapp durante l’ora di chimica, domandandogli di indagare sul fronte Agreste. E lui avrebbe aiutato la sua ragazza.

-Ricominci?-, Adrien era seccato da questo continuo attacco da parte di Nino. Facesse l’amico e lo lasciasse in pace a pianificare la sua serata.

-E dai, me l’hai detto tu che ti piaceva una, no? Uno può avere quella faccia che avevi tu adesso solo se c’è di mezzo una ragazza, amico! Dai retta ad uno che ha più esperienza di te-, si gongolò, gonfiando il petto.

-Non c’è nessuna ragazza di mezzo, Nino, smettila-

Ce n’erano due, per la precisione, infatti…

-Non mi convinci! Dimmi un po’: che hai fatto di bello nel week end? E poi questa “una” chi sarebbe? Per caso la conosco pure io? Avete avuto un incontro galante… eeeehhh, e dillo a Ninuccio tuo che ti consiglia come muoverti!-

Strinse i pugni. -Davvero Nino, credimi!- “E lasciami in pace…”

Perché non c’era più quel profumo?

-Adri, parliamo da uomo a uomo-, gli mise le mani sulle spalle, fissandolo da dietro le lenti dei suoi occhiali, -È evidente che hai qualcosa. Ed è altrettanto evidente che c’entri una ragazza. Ormai ti conosco… e lo capisco che per te è… beh, è più facile, certo, ma è anche più difficile accettare che qualcuna possa essere interessata davvero a te-, incredibile, quanta saggezza per un dj di quindici anni!? Aveva ottenuto tutta la sua attenzione, bravo Nino.

-Però non sono tutte così-, continuò, -Lo vedi tu stesso: c’è Alya, che non ti ha mai guardato e si è accontentata di uno come me, c’è Rose, perennemente in cerca del principe azzurro dei suoi sogni…-

Eccolo… di nuovo la vaniglia nell’aria… doveva trovarla.

- Ninò, ho capito, dai-, cercò di tagliar corto.

-Aspetta, fammi finire-, si avvicinò di più a lui, parlando più piano, -E poi c’è Marinette, che semplicemente è innamorata di te e…-

E dai! Non poteva anche lui dirgli così! D’accordo le confidenze e le perle di saggezza, ma che avevano tutti con questa storia di Marinette!

-Nino, frena, per favore! Non cercare ancora di accoppiarmi a lei… È vero-, confessò al culmine dell’esasperazione, -Hai ragione! C’è una ragazza, contento? Ma non è Marinette-, allargò le braccia, liberando quello che si teneva dentro. Ignorò un guizzo terrorizzato negli occhi dell’amico.

-Lei mi… fa impazzire. È straordinaria, forte, sicura di sé e io… pensavo fosse una battaglia persa, ma ieri notte… L’ho rivista e… da cosa nasce cosa… e insomma, ci siamo baciati… e che bacio, Nino! E non ti nascondo che avrei voluto… insomma…, quello che siete tu e Alya-

Si gonfiò il petto d’aria e sparò: -Questa sera voglio domandarle se vuole essere la mia ragazza, perché io… l’amo-, sospirò ruotando gli occhi verso l’alto, un sorriso ebete in viso e ancora quel profumo sommesso che lo faceva sentire su una nuvola e…

-Oh-

Una pugnalata a doppio filo di lama.

Si ritrovò occhi negli occhi con Marinette, che era già in classe con Alya. Riconobbe la sua voce prima ancora di precipitare in quelle pozze scure. Non ebbe coraggio e si voltò, vedendola uscire come una furia dalla classe. Con la coda dell’occhio vide Alya trascinare Nino in corridoio e li sentì borbottare animatamente, incrociando la professoressa e ignorandola. Seguì il rumore dei passi affrettati della ragazza finché non fu troppo lontana.

Lui invece non si mosse. Non fece niente. Ancora una volta.

Maledizione . Non era così che sarebbe dovuta andare.

***

Buongiorno a tutti!

Avete capito il titolo? Che gli si può dire a quel genio di Adrien!?

A questo giro l’ha fatta grossa… Io intanto farei una standing ovation per Nino, che sa gestire bene gli interrogatori, un po’ meno segnalare i pericoli! Gli andava messo in mano un cartello con scritto: “WARNING!!!”, anche se temo che Adrien lo avrebbe ugualmente ignorato...

E ormai la frittata è fatta...

Al prossimo capitolo, per vedere che cura ci può essere per un cuoricino spezzato…

*** DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - La cura (Sei anni prima) ***


Capitolo 6

La cura (Sei anni prima)

-Sono tornata-, due parole senza tremare. Ottima prova.

-Marinette? Ma non sono ancora finite le lezioni cosa…-

-Ho di nuovo la febbre-, disse sparendo in mansarda, -Ti prego, lasciami dormire-

Abbassò la botola di camera sua e ci mise sopra la chaise-longue: era il suo modo di chiudersi a chiave.

Si sfilò la borsa e la lanciò assieme al cellulare lasciato in vibrazione sulla scrivania.

Afferrò Tikki con delicatezza e la fece entrare nella scatolina in cui la nascondeva di solito.

-Ti prego…-, fu l’ultima cosa che riuscì a dire, prima di salire l’ultima rampa di scale e tirarsi su in terrazza.

Scivolò con la schiena contro il muro e rimase immobile per un tempo lunghissimo, mentre la giornata volgeva alla sera e le prime ombre raffreddavano l’aria. Pianse in silenzio fino all’ultima lacrima, il petto squassato dai sussulti.

Alya la chiamò più volte, ma lei non le rispose.

Il dolore che aveva nel petto non si fermava, traeva alimento da ogni pensiero, ogni movimento, ogni ricordo.

Aveva freddo, ma non si mosse: che si fosse ammalata davvero, che importava?

Aveva visto gli occhi di Adrien, mentre pronunciava quelle parole, la tensione nella sua voce e nei suoi gesti e infine la confessione. Avrebbe domandato ad un’altra di mettersi con lui… e l’amava.

Aveva perso. Lo aveva perso.

Pianse più forte, lasciando che una nuova ondata di tristezza la travolgesse, rannicchiandosi a terra in posizione fetale. I suoi l’avrebbero sentita, forse, o forse il traffico della strada avrebbe coperto il suo dolore.

Una farfalla volò nel tramonto,

una farfalla del color dell’odio e del desiderio,

una farfalla malvagia per lei.

La cercava tra i tetti, leggera come l’aria.

Dove sei, piccolo cuore infranto?

Una manina piccola piccola si posò sulla sua guancia, bagnandosi delle sue lacrime.

-Marinette… tua madre è preoccupata…-, comparve ad avvertirla Tikki, -E tu ti stai davvero ammalando-, la pelle che aveva sfiorato era fredda e la ragazza tremava.

-Io sono con te, Marinette-, aggiunse Tikki e posò un bacino sulla fronte dell’amica. Scottava.

-Tutto quello di cui avevi paura è avvenuto, lo so: adesso la situazione non può che migliorare-, le sorrise e l’abbracciò, a modo suo. Forse aveva ragione davvero. Aveva toccato il fondo, non poteva andare più giù di lì.

-Vieni in camera, ancora non ti ho parlato di quella cosa importantissima che ti farà pensare ad altro! Ci scommetto!-, fece una piroetta su se stessa strappando un sorriso a Marinette e la precedette dentro casa.

-Grazie-, le disse con il cuore un po’ più leggero. Non era sola, poteva sempre contare su Tikki. Stancamente si sollevò e si affacciò alla ringhiera della terrazza. Da lassù la città sembrava piccola e lontana; il vento le muoveva i capelli. Doveva accettare la realtà e prendere un profondo respiro, Tikki le era vicina, ce l’avrebbe potuta fare.

La farfalla viola perse il suo bersaglio.

Era calato il dolore in quel giovane cuore affranto.

Non c’era nulla da avvelenare,

solo rimpianti da sistemare.

La farfalla volò via, in cerca di altre prede.

Marinette rientrò dentro camera sua e liberò la botola dalla poltrona che ne bloccava l’apertura. Si trascinò di nuovo sul soppalco e si infilò sotto le coperte, non stava decisamente bene. Da sotto udì dei rumori, sua madre era entrata nella camera borbottando qualcosa; la donna salì fino al letto e posò la mano sulla fronte della figlia, preoccupata per il suo strano comportamento.

-Marinette! Ma tu scotti!-, esclamò la donna e si precipitò a chiamare il marito di sotto.

-Ti avevo avvertita che ti saresti ammalata-, Tikki mise il broncio imitando il gesto della donna e correndo rapidamente a nascondersi prima che i genitori della ragazza tornassero.

-Tom, dobbiamo chiamare il medico. Trova il termometro, prendi dell’acqua fredda e la medicina-, Marinette non stava mai male, quella era una situazione di emergenza!

-Mamma, sto bene… davvero-

Lascia che mi calmi un po’, mamma, lascia acquietare il mio cuore e ritrovare un angolo di pace.

-Papà è andato a prendere il paracetamolo, vedrai che ti passerà tutto velocemente-, la abbracciò come faceva da piccina, sentendo il cuore batterle irrequieto. -C’è qualcosa che possa fare per te, piccola mia?-

Marinette inghiottì la saliva, le faceva male la gola.

-Fai sparire tutte le foto che ho in camera, mamma. Ti prego-, girò la testa e sparì sotto il piumone. Non avrebbe mai pensato di chiedere a sua madre di essere complice nel cancellare una grande delusione d’amore.

Sabine scosse la testa: ecco cos’aveva sua figlia da qualche giorno. C’era passata anche lei tanti anni prima. Si chiamava Shi e si era messo con la sua migliore amica, lasciandola sola e senza spalla dove piangere.

Marinette sentì il fruscio della carta che si muoveva, il leggero tic del nastro adesivo che si staccava.

La mamma uscì mentre suo padre rientrava con acqua e medicina: -Tieni, prendi la tachipirina. Fiorellino, chiamaci se ti senti male-, le disse baciandole la fronte e scese dabbasso.

***

Chat Noir si guardò un’altra volta attorno. La sua ricerca non aveva avuto successo. Chinò gli occhi verso la città, brulicante sotto i suoi piedi e si soffermò su un tetto.

Quella giornata era stato un disastro totale. Scosse la testa e strinse i pugni, ripensando ad ogni singolo attimo che aveva seguito la sua maledetta confessione d’amore.

-Oh, la piccola Fiammiferaia ha finalmente capito che non è qua la sua storia-, aveva trionfato Chloe Burgeois nell’assistere alla scena completa, subito dopo che Marinette era scappata da scuola. Certo, la cosa l’aveva disturbata, perché nessuno le avrebbe tolto di mente che alla fine se lo sarebbe preso lei Adrien, ma in quel momento era stato più importante infierire sulla sua nemica, che preoccuparsi per i propri interessi.

-Mi domando come possa anche solo lontanamente aver potuto sperare che Adrien fosse interessato a lei! Sabrina, è ridicolo, non trovi? Cioè… Adrien e Marinette, ah ah ah!-, era stata odiosa...

Sabrina aveva riso con lei, ma aveva il volto teso ed era evidente che avesse compreso la gravità di quello che era successo, nonostante fosse la leccapiedi di Chloe.

-Ragazzi! Ragazzi, cos’è questo trambusto?-, aveva protestato perfino la professoressa Bustier, che non era ancora riuscita a iniziare la lezione dell’ultima ora.

Aveva battuto con le nocche sulla cattedra per richiamare l’attenzione e, finché tutti i mormorii non si erano acquietati, aveva continuato ad osservare la sua classe in silenzio.

-Agreste! Può gentilmente rendere noto anche a me cos’è appena successo?-, questo era quello che ci si guadagnava ad essere uno studente modello, anche la Bustier aveva rigirato il coltello nella sua piaga.

Adrien aveva sentito decine di occhi puntati su di sé. Aveva deglutito, indugiando, finché l’insegnante non si era sfilata gli occhiali e l’aveva fissato intensamente.

-Io… Niente… Non è successo niente, Professoressa…-, aveva risposto abbassando la testa.

Qualcuno si era schiarito la voce dietro a lui, qualcun altro aveva bofonchiato qualcosa.

-Tu sei morto-, gli aveva sibilato Alya, e da qualche parte, era risuonato il rumore secco di una matita da disegno spezzata.

Forse si stava lasciando suggestionare troppo.

Era rimasto in silenzio per tutto il resto delle lezioni e, all’uscita, era stato ignorato da Alya e Nino che, senza rispondere al suo richiamo, gli erano passati davanti, uscendo di gran lena dalla scuola.

Aveva raggiunto con passo stanco la sua auto, che lo aspettava, e aveva chiesto di passare dalla Boulangerie del padre di Marinette, prima di rientrare a casa, ma, una volta lì, non aveva trovato il coraggio di entrare.

Aveva soltanto visto i visi preoccupati dei genitori della ragazza, attraverso i vetri delle vetrine.

Poi si era fatto portare a casa.

Plagg, stranamente, non si era ancora espresso. Lo aveva estratto dalla tasca della giacca, ma il kwami non lo aveva degnato di uno sguardo, rimanendo a braccia conserte.

-Sappi, Adrien, che l’hai fatta grossa-, aveva detto soltanto, senza aggiungere altro.

Ebbene, se era stato un così grave disastro, quello che aveva combinato, allora avrebbe trovato il modo di risolverlo da sé. Aveva richiamato il kwami nel suo Miraculous, trasformandosi e subito era scattato tra i tetti della città finché non aveva raggiunto quello della casa di Marinette.

E lì si era fermato, immobile nascosto dietro allo stesso muro dove aveva trovato Marinette, in lacrime, da sola.

Aveva pianto per ore e lui non era stato in grado di avvicinarsi a lei per dire o fare qualsiasi cosa. Aveva trattenuto il respiro per non farsi sentire, ma i suoi sensi di gatto avevano percepito il cuore impazzito accanto al suo.

Come avrebbe potuto risparmiarle tutto quel dolore? Se solo… se solo Chat Noir non fosse esistito. Sì, perché lui era Chat Noir, e Marinette soffriva a causa sua.

In fondo non era colpa di Adrien e in quel momento era conveniente appellarsi al dualismo che rappresentava e addossare ogni colpa a Chat Noir. Adrien era stato solo un ambasciatore delle intenzioni e dei sentimenti di Chat Noir.

Era stato Chat Noir ad innamorarsi di Ladybug, non Adrien.

E sempre lui l’aveva corteggiata allo sfinimento fino a incasinare tutti i suoi sentimenti, strappandole un vero bacio: non Adrien!

E forse era per colpa di Chat Noir che Adrien non aveva avuto voglia di abbassare lo sguardo dai tetti alla realtà della sua vita, che, in quel momento si era manifestata accanto a lui come una persona buona che si sbriciolava sotto la delusione causata da lui stesso.

Un sottile strato di mattoni lo separavano dal lamento straziante di una creatura che non aveva affatto capito. Finalmente se ne stava rendendo conto: Marinette non era come tutte le altre, nessuna aveva mai reagito così. Lei doveva provare davvero qualcosa di potente per… Adrien.

E lui le aveva straziato il cuore, adesso ne era consapevole. Aveva preso una piccola ragazza, l’aveva illusa e poi l’aveva distrutta.

Una constatazione su tutte era stata la più dolorosa: Marinette, forse era l’unica che in fondo lo aveva amato come Adrien. Non suo padre, non sua madre che non c’era più.

Perché non lo aveva compreso prima? Eppure Marinette era l’unica a confortarlo con un solo sorriso, lei che lo faceva divertire con la sua timidezza e lo stupiva ogni giorno con la voglia di vivere e l’euforia che trasmetteva. E lui non lo aveva mai capito. Aveva pensato solo dal suo punto di vista, l’aveva guardata come una falena attratta dalla candela e non si era accorto che invece era una farfalla piena di colori.

Cosa le aveva fatto…

Poi d’un tratto, dal suo nascondiglio sul tetto vicino a Marinette, aveva visto una akuma e aveva capito che era stata creata per la povera ragazza.

Dov’era Ladybug quando serviva?

Lui da solo non sarebbe stato in grado di catturarla, avrebbe dovuto distruggerla, quindi era balzato via, lasciando Marinette sola sul tetto.

Aveva girato in lungo e largo, inutilmente: l’akuma era scomparsa. Doveva assolutamente ritrovarla, ma come?

In equilibrio su un tetto lontano, Chat Noir trovò un luogo più sicuro dove restare. Cercò tra i tetti di Parigi quello che ospitava la terrazza della casa di Marinette e provò di nuovo lo stesso sordo dolore in mezzo al petto per la sofferenza che lo aveva contagiato. Non riusciva più ad essere Chat Noir in quel momento, quindi sciolse la trasformazione: anche se era difficile ammetterlo, aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse e quel qualcuno non poteva che essere Plagg. Il kwami rotolò dal suo anello e rimase steso a zampe larghe per terra.

-Devi aiutarmi-

-Lo faccio sempre. Quindi ora che vuoi, mocciosetto?-, Adrien sbuffò: -C’è un’akuma, ma non sono riuscito a catturarla-, disse spiccio.

-La tua coccinellina ti ha lasciato da solo, stasera?-, lo stuzzicò sollevandosi con flemma, -Solo in una serata di akuma-, mosse teatralmente una zampa davanti al suo viso. C’era rancore, dietro il solito sarcasmo.

-Lei non c’è, e io non so che fare: d’accordo, sono inutile, lo so. Comunque la akuma non ha trovato la sua destinataria ed è volata via-, spiegò spiccio.

-La sua destinataria, eh? Ed per questa specifica destinataria che mi hai fatto stare tutto il pomeriggio a farti fare il gatto sul tetto che scotta…-

-Plagg, concentrati!-

-Ti costerà del camembert extra, lo sai?-

-Lo so! Ora concentrati, gatto!-

Plagg si guardò attorno, picchiettandosi con la zampetta il muso e tenendo sulle spine Adrien: -Oh guarda, un’akuma!-, esclamò poco dopo, indicando la farfalla vicino a loro, -Vai gattino, acchiappala per la tua bella!- e scappò nell’ultimo bagliore del giorno, lasciandolo con la mano alzata e il pugno chiuso, pronto a trasformarsi. Troppo tardi.

-Plagg!-

Non poteva crederci: Plagg era volato via. L’aveva lasciato solo, con il rimorso e la frustrazione di quella che doveva essere la giornata dei chiarimenti e invece era risultata solo un disastro. Solo, su un tetto, e senza trasformazione.

***

-Tikki-, il bisbiglio la raggiunse nell’oscurità. Non era Marinette, quindi se l’era sognato.

-Tikki!-, la voce fu più insistente. Un bagliore attraverso la finestra le fece subito capire quello che stava succedendo. Scivolò silenziosamente fuori dal suo lettino nella scatola a fiori e raggiunse chi la stava chiamando.

-Plagg! Sei proprio tu?-, non poteva credere ai suoi occhi! Il suo vecchio amico Plagg, quel depravato simpaticissimo, stupido, cucciolone di Plagg!

Si abbracciarono stretti stretti e, allontanando leggermente i loro capoccioni, si guardarono negli occhi luminosi.

-Era tanto tempo che volevo venire a cercarti, Tikki-, confessò il gattino, -ma non riuscivo a capire dove fossi-

-Anche per me è stato lo stesso: era ovvio che fossi nei paraggi, in fondo i nostri eroi si incontrano quasi tutti i giorni… Stanno facendo un buon lavoro quei due, vero?-, Tikki avrebbe voluto tantissimo perdersi in chiacchiere con lui, era così tanto che non lo facevano! Ma c’erano questioni di maggiore importanza se Plagg si era rivelato.

-Dov’è il tuo portatore?-, gli domandò confusa.

-Su un tetto, da qualche parte: sono scappato-, rispose sornione, -Quel ragazzo ha le idee poco chiare e mi stava stufando. E poi si è lasciato scappare una akuma, quindi… eccomi qua! C’è bisogno di Ladybug!-

Tikki continuava a non capire: -Come hai fatto a trovarmi?-

-Sono stato tutto il pomeriggio su questo tetto assieme a Chat Noir a badare di nascosto alla tua portatrice dal cuore infranto, e ho percepito chiaramente la tua presenza. E anche due notti fa. E pure stamattina.-

-Anche io stamattina! Ma com’è possibile? Mari… Ehm, la mia portatrice era a scuola e…-, voleva dire che si erano incontrati proprio lì. Ma allora anche Chat Noir…

-Tikki! Sveglia amica mia! Possibile che tu abbia capito nulla?-, Plagg le sorrise e svolazzò fino al soppalco dove Marinette dormiva placidamente. Tikki trattenne il respiro, Marinette non voleva che Chat Noir scoprisse la sua identità e questo forse includeva anche il suo kwami… o no?

-Come sta?-, domandò Plagg alla sua amica, sembrava preoccupato e al contempo affatto sorpreso di guardare in viso l’identità segreta di Ladybug.

-Non bene-, sospirò lei, posando una lieve carezza sulla fronte della ragazza. Era meno calda, fortunatamente. -Oggi lei ha avuto una grande delusione d’amore e…-

-Lo so: Adrien è stato un cretino…-

Ancora Adrien… cosa c’entrava in quel momento Adrien… e se…

-Che coooossaaaaa????-, Tikki esplose come una caffettiera, Marinette si sollevò spaventata svegliandosi di soprassalto.

-Tikki?-, bofonchiò. Si voltò a destra e sinistra con le palpebre socchiuse e crollò giù, riprendendo a dormire.

Plagg trascinò la sua amica fuori dalla stanza, all’aperto. -Vuoi farmi scoprire?-, la rimbrottò.

-Sei tu che non… non avresti dovuto scoprire lei! O meglio, me, noi, cioè, insomma…-, che confusione si stava creando.

-Balbetti come Marinette di fronte ad Adrien: subisci anche tu il mio fascino, piccola Tikki?-, modificò la sua voce, distorcendola come un attore di un film anni quaranta.

-Ho poco tempo-, proseguì tornando serio: -Adesso che entrambi siamo consapevoli di quanto i nostri due portatori siano ottusi e scemi, giungo alla questione più importante: è di fondamentale importanza che Ladybug e Chat Noir continuino a lavorare in coppia perché Papillon è una seria minaccia. Secondo i miei calcoli, la sfortuna del Gatto Nero è quasi del tutto carica e pronta ad avventarsi sul mio portatore, come ogni volta, e ho il vago sospetto che stavolta c’entri proprio la coccinella del suo cuore. In breve Chat Noir ha intenzione di sferrare l’ultimo attacco frontale al cuore della sua bella: se lei lo accetterà, nessun problema e andremo avanti con questo teatrino delle maschere. Ma se Ladybug, ragionevolmente, darà il due di picche al nostro gatto, ci scommetto i baffi di Fu che lui farà qualche sciocchezza e Papillon si prenderà il suo Miraculous-

Si stava alzando il vento freddo, la primavera parigina vacillava, come ogni anno.

-Ti ricordo che l’ultima volta che hai predetto la sfortuna sul tuo portatore, il tutto si è concentrato in un braccio rotto e una colossale litigata con la moglie, e tu sai come l’hanno risolta quella questione… Direi che sono traumi brillantemente superabili e noi potremmo comunque continuare con questo teatrino delle maschere, come lo chiami tu-

Plagg si allontanò: -Io ti ho avvertita, Tikki…-, minacciò sparendo nel buio, -E ricordati che c’è una akuma a giro per Parigi-.

-Ladybug ha la febbre: avverti Chat Noir di coprirsi bene e di iniziare a intrattenere il prossimo nemico da solo…-

La sagoma di Marinette oltre il vetro della finestra la fece sussultare: -Con chi stavi parlando?-, le domandò la ragazza, infreddolita.

-Torna a letto-, la spinse la kwami, senza rispondere, -pensa a rimetterti velocemente…-

Chat Noir da solo non avrebbe potuto fare nulla per Parigi, così come Plagg non avrebbe potuto risolvere la questione della sfortuna sperando di spingere la sua protetta tra le braccia del gattaccio. Marinette era molto fragile in quel momento e si meritava un po’ di riposo e tranquillità.

Quella febbre era, paradossalmente, caduta a fagiolo per evitarle di tornare a scuola, il giorno dopo, perché anche se la ragazza era abituata alle delusioni che la sua infatuazione per Adrien Agreste le aveva causato, l’ultima era stata una batosta veramente enorme per il suo cuore gentile.

Tikki la osservò addormentarsi lentamente. Ogni tanto, un sussulto la faceva ancora tremare.

E pensare che, in fin dei conti, Marinette stava soffrendo perché il suo amato l’aveva tradita… con lei stessa! Era paradossale e la cosa peggiore era che lei non avrebbe scucito la sua bocca per nessun motivo al mondo, perché sapeva che avrebbe mandato ancora di più in confusione la sua amica. Aveva una bomba tra le mani e non l’avrebbe sganciata neanche sotto tortura.

Tikki incrociò le dita affinché la perfida akuma tornasse al mittente senza aver trovato nessuno da contagiare e si acciambello nella sua scatola. Avrebbe protetto Marinette dalle sue pene d’amore in qualche modo.

***

Adrien fissava furibondo il kwami che si ingozzava di Camembert sul suo divano. Aveva preteso una dose extra in ricompensa per un grosso favore che gli aveva fatto e del quale non voleva dire nulla.

-Mi hai mollato sul tetto dei Magazines La Fayette, è questo il grosso favore che mi avresti fatto? Te lo dovrei fare io un favore: dovrei ucciderti!-, gli aveva urlato contro, ma il kwami aveva solo girato la testa e continuato a mangiare.

-C’è una akuma in giro per Parigi, non credi che sia il momento di muoversi e cercare di fermarla?-, insistette una volta ancora il ragazzo.

-Tanto senza Ladybug non puoi fare niente, Adrien-, sghignazzò il folletto.

-Posso usare il cataclisma, e poi lei arriverà, ne sono sicuro-, continuava ancora a sperare in un loro incontro.

-Ladybug ha la febbre. Non verrà-, spiegò laconico, andando a posarsi sul bordo della tv, godendo dell’espressione di stupore sul viso del suo amico.

-E tu come lo sai?-, lo sfidò Adrien, incrociando le braccia e accavallando una gamba sul ginocchio opposto.

Plagg si alzò in volo, gli passò accanto e vorticò attorno ai suoi capelli, per infastidirlo ancora di più.

-Perché io so chi è Ladybug e dove si trova-, disse semplicemente e non tenne conto dei riflessi del ragazzo, che lo agguantò fino a strizzarlo. Aveva gli occhi fuori dalle orbite e le pupille ridotte ad uno spillo dall’agitazione.

-Parla!-, minacciò stringendo la presa, -E’ una bugia, vero? Perché altrimenti…-, gonfiò le narici inspirando aria come un toro.

-Ehi ehi ehi, calma micetto-, lo schernì sfuggendo alla sua presa, -Ora prendi un profondo respiro e ripensi a quello che hai detto. Poi risponderai a questa domanda: “Vuoi davvero sapere chi si nasconde dietro la maschera di Ladybug?” E se non ti piacesse?-, si abbassò fino al tavolino davanti a lui e continuò a sorridergli mostrando i dentini.

Adrien aprì la bocca per rispondere e il kwami lo zittì posando un dito sulle sue labbra: -Riflettici prima-, aggiunse e andò a rintanarsi nel suo rifugio preferito.

Adrien si sforzò di non sbraitare contro il suo amico e provò a riflettere.

In fondo Plagg aveva ragione: alla luce degli ultimi fatti, voleva davvero sapere chi fosse Ladybug?

Per lui, Ladybug era il massimo che potesse essere una donna: coraggiosa, forte, intraprendente, grintosa, simpatica, dolce, premurosa, bella da paura, sexy quanto mai ed eccitante nella sua tuta aderente, ma nel momento in cui aveva sentito la sua conquista così vicina, stava iniziando a vacillare la sicurezza in se stesso. Al di là dei discorsi sulla sicurezza reciproca intrinseca al mistero su loro stessi, lo attanagliava un dubbio molto più terra terra. E se lei non avesse gradito la sua identità da Adrien Agreste? Se lo avesse trovato solo un bamboccio sciocco al pari un qualunque toyboy da rivista patinata? Ma soprattutto: era sicuro di essere prossimo a conquistarla, oppure era stata solo l’illusione di un ragazzetto abituato ad avere tutte ai suoi piedi? Bastava guardare quello che aveva fatto a Marinette, per dubitare di lui in ogni sua forma.

La sua più grande remora nell’avvicinarsi a Ladybug era quella: così spavaldo con la maschera e altrettanto insulso senza, ecco come si sentiva. Era capace di fare soffrire una povera ragazza come Marinette, ma non aveva il coraggio di domandarle scusa o di cercare di consolarla. Era questo che una donna voleva? Un codardo in maschera?

Forse era meglio aspettare che l’eroina di Parigi catturasse da sola l’akuma, lui aveva altro da fare per sperare di essere davvero qualcosa di simile ad “un uomo”.

Doveva riparare al suo danno: non lo aveva fatto in tutto il pomeriggio, era finalmente giunta l’ora.

-Plagg, trasformami!-, tuonò e vide l’espressione terrorizzata del kwami un attimo prima di venire risucchiato nel suo anello, -Sono le quattro di notte Adrien…!-, furono le ultime parole che poté pronunciare.

“Per stanotte, Ladybug, lascio la akuma tutta per te: devo salvare una povera fanciulla in difficoltà”, pensò, uscendo di soppiatto dalla sua finestra.

Ancora un balzo e avrebbe raggiunto il balcone della camera di Marinette Dupain-Cheng. Era stata una conquista, per lui, o una sconfitta totale? Poteva affiancare Marinette alle altre dopo quello che aveva visto quella sera?

Prima di lei c’era stata Pauline, che lo aveva conosciuto in Giappone per un servizio fotografico e aveva fatto carte false per restare sola con lui: “io ti amo!”, gli aveva miagolato sul collo, facendosi trovare in biancheria intima nella sua camera d’albergo: “e io ho tredici anni!”, gli aveva risposto lui, lasciando la ragazza scandalizzata. Lei ne aveva diciotto e faceva la modella da tre. L’aveva vista piangere di delusione e vergogna e l’aveva aiutata a rivestirsi per sgattaiolare fuori dalla sua stanza. Non aveva raccontato a nessuno quella storia, ritenendola imbarazzante per entrambi ed era certo di averla archiviata senza preoccuparsi minimamente di quello che davvero poteva aver provato la ragazza.

E poi Karin, la figlia del suo insegnante di piano, che lo spiava ogni volta dalla porta socchiusa della stanza dove si tenevano le sue lezioni. Aveva la sua stessa età e due grandi occhi color nocciola. Quando lo vedeva diventava rossa e le rare volte che parlavano insieme si vedeva che era imbarazzata e felice. Lui era carino con lei, proprio come con Marinette, ma nulla di più. Un bel giorno la porta della stanza venne chiusa e non vide più Karin. In realtà neanche ci pensò.

E infine Chloè: con lei aveva dovuto mettere più volte in chiaro la situazione. Certo, era solo grazie a lei se aveva potuto iscriversi di nascosto a suo padre alla Le Grand e sempre per sua intercessione che il genitore alla fine si era convinto a lasciarlo frequentare le lezioni, ma non aveva potuto accontentarla quando gli aveva chiesto di mettersi insieme a lui. Per tre volte ci aveva provato e per tutte e tre le volte Adrien gli aveva risposto che non poteva vedere in lei nulla di più di una amica d’infanzia. Chloè aveva battuto i piedi per terra e lo aveva baciato sulla guancia: “Prima o poi sarai mio”, aveva dichiarato ogni volta e la mattina dopo era come se non fosse successo nulla.

Marinette, invece, ne era uscita devastata; era giunto il momento di fare qualcosa per lei.

Aprì senza fare rumore la finestra tonda e scivolò nella stanza. Poteva sentire il respiro affannato della ragazza provenire dal suo letto. Si avvicinò senza fare rumore e notò un bicchiere con i blister aperto di qualche farmaco. “Paracetamolo”, lesse al buio e sfiorò la fronte della ragazza con le labbra: in effetti Marinette era parecchio calda. Era colpa sua se era stata tutta la sera al freddo a piangere con il cuore infranto e si era raffreddata. Doveva aggiungere anche quella alle pene da espiare.

In quell’istante due occhi azzurri si aprirono a un passo dalla sua bocca e Marinette schizzò all’indietro, sbattendo un gomito nel muro e mugolando di dolore.

Chat Noir scattò nella direzione opposta, vedendola pronta a urlare.

-Shhh...-, portò rapidamente una mano guantata alla sua bocca, per non farle far rumore, -Non aver paura-

Un rumore proveniente da sotto il soppalco mise in guardia i suoi sensi.

Marinette aveva gli occhi spaventati. Aveva incontrato altre volte Chat Noir come Marinette, ma lui non si era mai provato a osare un approccio di quel tipo con lei, ed era quantomeno assurdo che lo facesse proprio in quel momento, dopo quello che era successo tra di loro quando lei era Ladybug…

Ma lui non lo può sapere chi sei veramente, Marinette.

-Che…che ci fai qua?-, domandò in un sussurro.

La domanda era pertinente.

Che diavolo ci era andato a fare a casa di Marinette? Cosa avrebbe dovuto risponderle?

“Vedi cara, sai: io sono Adrien in realtà e volevo chiederti scusa per ciò che hai sentito. Lui lo sa che tu lo ami profondamente e non è colpa sua se non può corrispondere il tuo amore, ma solo mia di me medesimo gatto Chat Noir, perché sono io quello innamorato di un’altra e quindi, niente, Adrien ti stima molto...”

-Cosa ci fai in camera mia, Chat Noir?-, ripeté Marinette, alzando il tono della voce. Il giovane riportò ancora la mano sulla sua bocca, bloccandole il polso con l’altra. Marinette fu travolta in un attimo dalla stessa strana sensazione che aveva preceduto quel maledetto bacio nel loro ultimo incontro.

Di nuovo un fruscio dietro di sé mise in allarme Chat Noir che notò lo sguardo della ragazza, guizzato per un istante verso un punto alle sue spalle. Ma non accadde nulla e non ci fece più caso.

-Aspetta…-, non poteva rischiare di farsi trovare in camera sua, né di farla aggravare di più. La sollevò di peso dal letto con tutte le coperte e, tenendola infagottata, la portò fuori, sul terrazzino.

-Ma cosa fai!?-, strillò lei, divincolandosi e scoprendosi.

-Voglio solo parlare, non prenderai freddo-, la rassicurò, sistemandola nel bozzolo che le aveva creato. Marinette lo fissava iraconda con le labbra strette e l’espressione piccata. Che cosa voleva da lei quel gatto tentatore che l’aveva irretita solo la notte prima e continuava a metterla in una situazione di strano disagio. Non era pronta a… a… lui...

-Sei buffa-, le sorrise l’eroe mascherato, e la vide sciogliersi appena. Marinette veva gli occhi lucidi per la febbre o forse per le troppe lacrime, sembravano due piccole pozze di montagna illuminate dalla fredda luce della luna.

-Cosa vuoi da me?-, gli chiese, timorosa.

Per un attimo le balenò in testa l’idea che Chat avesse capito chi si nascondeva sotto la maschera di Ladybug: e se fosse stato quello ciò che di così importante Tikki non era ancora riuscita a parlare? Non poteva essere stata scoperta così facilmente, l’unica opzione è che lui l’avesse seguita fino a casa sua dopo che si erano baciati.

Si sentì avvampare, apparentemente senza una ragione precisa: l’idea di essere così vicina e sola assieme a colui che le aveva rubato il primo bacio la metteva profondamente a disagio. Soprattutto perché ci aveva pensato e ripensato e nonostante i suoi sforzi, ogni tentativo di convincersi che era stata una cosa sbagliata era rimbalzato sulla sensazione che ancora la accompagnava, al ricordo. Burro che si scioglieva dentro e scorreva lento e caldo dalla sua parte più profonda fino in fondo alla sua pancia.

Provò un attimo di sollievo nel ripensare a quella sensazione, come un balsamo per le ferite di quel giorno.

Chat le accarezzò con il dorso di un dito la guancia, lasciando una scia bollente sulla sua pelle già calda per la febbre. Ci mancava solo lui a mandarla ancora di più in confusione, maledizione! Marinette avrebbe voluto scomparire, mentre la vicinanza del giovane era di nuovo subdola e tentatrice.

-So che oggi è stata una brutta giornata-, esordì lui. Non sapeva perché l’avesse accarezzata, non rientrava nei suoi piani, ma anche le parole che aveva appena proferito erano del tutto in conflitto con le sue intenzioni di rimanere sul vago. Ma cosa stava dicendo? Non poteva reggere l’inganno troppo a lungo…

-So che qualcuno ti ha fatto star male-, continuò. Chiuse gli occhi dandosi dell’idiota e decise di proseguire come gli veniva, senza piani. Era il suo cuore a parlare.

-Non è nulla-, fu un sussurro, ma lui notò lo sguardo piombare in basso, verso la botola che l’avrebbe riportata al caldo dentro casa. Cercava una via di fuga, la stava mettendo spalle al muro.

-Chi te l’ha detto-, domandò sollevando di scatto la testa, stupendolo per la rapidità del gesto.

-Un uccellino…-, rispose laconico, sviando lo sguardo, - Scherzo. Una persona che ti è vicina ed è preoccupata per te e dispiaciuta tantissimo per come hai preso dei discorsi che hai sentito-, la anticipò, ma non resse il contatto visivo con lei. Si alzò e posò le mani sulla ringhiera del terrazzino, il peso caricato sulle spalle. Se stava cercando un aiuto nella notte, di certo non lo avrebbe trovato.

E se Ladybug ti trovasse lì? Domandò una vocina nella sua testa: colto in flagrante a importunare un’altra fanciulla in piena notte: “lo sapevo che eri solo un gattomorto!”, gli avrebbe sibilato l’eroina dei suoi sogni.

Ricacciò indietro il pensiero: doveva prima pensare a sistemare il cuore di Marinette e dopo a se stesso.

-Che sei venuto a fare?-, domandò alle sue spalle Marinette.

-La verità è che… non lo so…-, confessò, ed era vero. -Suppongo che, chi mi ha mandato, abbia pensato che avrei potuto farti stare meglio-

“Già, ma come?”, strinse tra le dita il ferro. Aveva sbagliato a precipitarsi da lei senza prima aver elaborato un piano.

Marinette si rannicchiò di più nella coperta. Solo Adrien avrebbe potuta farla stare meglio, purtroppo il gatto aveva poche chances di riuscire nell’impresa, constatò. Anche se doveva ammettere che stava iniziando a guardarlo con occhi un po’ diversi: decisamente le aveva fatto provare forse la sensazione più intensa della sua breve vita.

-Mi passerà-, sospirò, -Mi passa tutte le volte…-, aggiunse tra sé e sé, ma sapeva che non sarebbe stato come tutte le altre volte. Chat si voltò a guardarla: -…tutte le volte?-, domandò, incredulo.

-Beh, sai com’è, a forza di delusioni, prima o poi non farà più male-, sostenne la fanciulla allargando una mano per spiegare a gesti. La coperta scivolò di nuovo lasciando scoperta la sua spalla. Chat fu rapidissimo a ricoprirla, notando di sfuggita che indossava una maglia nera e rosa.

-Ci sono passato anche io-, le confessò abbassandosi davanti a lei e spostandole una ciocca di capelli dagli occhi. Ma lui, finalmente, aveva avuto una giusta ricompensa per le sue pene d’amore. Marinette invece no, per causa sua: di un idiota col sorriso da copertina. Era una cara ragazza e quella era indubbiamente la prima volta che riusciva a parlare con lei senza che balbettasse o diventasse rossa dalla vergogna. E gli piaceva.

-Quindi lo sai come si sta-, concluse per lui Marinette, dondolando la testa.

-Grazie Chat-, ruppe il silenzio dopo un po’, -E grazie a chi ti ha mandato da me-. La guardò e il suo sorriso, anche se appena accennato, gli parve sincero.

-Io non ho fatto nulla-, constatò lui, sollevando le spalle.

Marinette parve riflettere. -Tu hai…-, iniziò, turbata da un respiro affannato, -Tu mi hai fatto capire che esisto per qualcuno-, spiegò e fu travolta da un brivido.

Il ragazzo si chinò su di lei e di nuovo posò le labbra sulla sua fronte, per sentirle la febbre. Anche la mamma faceva sempre così, quando era piccolo e si sentiva male. Non avrebbe mai potuto credere ai suoi occhi che il gracile, piccolo Adrien fosse diventato un modello e un supereroe.

Marinette fu scossa da un altro sussulto, ma ben differente dal precedente e da qualcosa che riconobbe subito. Di nuovo quella sensazione di burro che le colava dentro.

-Devo riportarti in casa-, constatò Chat Noir scuotendo la testa, -ti è risalita la febbre-, la prese di nuovo tra le sue braccia e con un salto atterrò senza fare rumore accanto al suo letto.

-Sembravi un gatto-, era una frase che avrebbe voluto dire dalla prima volta che lo aveva incontrato come Ladybug, ma aveva timore che quel baldanzoso di un eroe avrebbe potuto fraintendere le sue parole. -Non hai fatto alcun rumore-, spiegò piano.

-Ma io sono un gatto, Principessa-, gli rispose lui con spavalderia, a bassa voce: -Sono agile come un gatto…-, si pavoneggiò saltando sulla ringhiera del soppalco e atterrandovi sui piedi, reggendosi con una mano, -Sono veloce come un gatto-, sussurrò al suo orecchio un attimo dopo, dopo essersi avvicinato davvero rapidamente. Marinette si lasciò andare un gridolino un po’ divertito, un po’ sorpreso.

-…sono silenzioso come un gatto-, continuò lui, soddisfatto per aver fatto distrarre la ragazza, -…sono matto come un gatto…-, si appese con le gambe alla finestra che dava sul terrazzino, penzolando davanti al suo viso. Le sorrise obliquo a testa in giù, e non si aspettò la reazione di Marinette.

-… sei arruffato come un gatto…-, disse lei, scompigliandogli i capelli biondi e facendolo sbilanciare. Chat si tenne per una mano alla finestra, mentre rientrava nella stanza con aria bonariamente di sfida.

-E sei dolce come un gatto-

Marinette lo colse di sorpresa bloccando ogni suo contrattacco, abbracciandolo stretto stretto, a testa bassa. Le era venuto d’istinto, eppure lei non avrebbe dovuto avere tutta questa familiarità con Chat Noir. Ma l’aveva fatto e non intendeva mollarlo, perché le faceva un po’ meno male dentro al cuore. Chat Noir rimase immobile, le braccia staccate da lei, lo sguardo spaventato. In trappola tra le braccia sottili di una ragazzina a cui aveva spezzato il cuore.

Marinette aprì un occhio su di lui e lo vide imbarazzato. Adorabile…

-Grazie-, gli disse e lo lasciò andare. Si sedette sul primo scalino e si strinse le ginocchia in un abbraccio. Si vergognò per il suo comportamento con lui: se solo avesse scoperto chi era! Come era stato possibile che, dopo tutto quello che era successo, si fosse sentita tanto a suo agio con quell’intruso, da mettersi a giocare con lui?

-Grazie a te-, bisbigliò Chat Noir sul suo orecchio, attraverso i capelli, provocandole ancora un altro brivido lungo la schiena. Anche lui provò un brivido al sapore di vaniglia e cocco. Ecco da dove proveniva il profumo!

Serrò i denti e scosse la testa per mandar via quel pensiero.

-Adesso entra dentro e cerca di dormire. Dovrai prendere un’altra pasticca, mi sa-, constatò afferrando il blister, -Quanto tempo è passato?-

Era premuroso: un aspetto del suo compagno di avventure a cui non aveva mai prestato davvero attenzione, realizzò Marinette.

-Non lo so, dovrei chiedere a mia mamma…-, confessò, sentendosi d’un tratto colpevole per aver fatto entrare uno sconosciuto in camera sua. In fondo aveva solo quattordici anni. Ma lui non era uno sconosciuto…

-D’accordo, Principessa-, riprese il ragazzo-, allora è meglio che io vada via-. Marinette si rabbuiò.

-Cerca di riposare e domani niente scuola, mi raccomando!-, la apostrofò scompigliandole i capelli e notando purtroppo il velo che aveva coperto di nuovo lo sguardo azzurro. Sapeva che la notte avrebbe riportato la sofferenza a galla, una sofferenza di cui lui era il primo colpevole. Doveva uscire prima di dire una parola di troppo, confuso dai suoi occhi dolci feriti.

-Vorrei poter fare qualcosa di più per te-, mormorò, uscendo dalla finestra, -Ci ho provato, ma in realtà non so come fare per farti star meglio-, ammise tra sé e sé e guardò giù per la strada cercando un posto dove atterrare.

-Torna a trovarmi-

Lo udì appena mentre spiccava il balzo e si rese conto che non se l’era sognato quando guardò in su e sentì il suo volto allargarsi in un sorriso. Marinette lo fissava dall’alto, le mani strette sulla ringhiera del terrazzino, i capelli arruffati e solo un pigiama leggero a coprirla. I suoi occhi blu brillavano nella debole luce della luna.

Sparì nella notte e sperò che anche lei tornasse in camera.

“Wow…”, fu l’unico pensiero di senso compiuto che riuscì a formulare, prima di buttarsi alla ricerca di Ladybug e dell’akuma.

In lontananza apparvero i primi bagliori del giorno, che si prospettava sereno, a dispetto delle temperature rigide del precedente.

Chat Noir si arrese: nessuna traccia della farfalla né della donna in rosso del suo cuore.

Rientro con un balzo affrettato in camera e sciolse la trasformazione, trovando davanti a sé gli occhi furenti di Plagg.

-Ok ok, ti vado subito a prendere il camembert…-, lo anticipò mettendo le mani avanti a sé e sgattaiolando in cucina.

Plagg rimase solo, fissando il punto dove era sparito il ragazzo. “Sei proprio un deficiente, Adrien Agreste”, pensò tra sé e sé, scuotendo la testa e attese il suo pasto a gambe incrociate davanti alla tv spenta.

***

Buonanotte a chi leggerà ora, buongiorno a chi lo farà domani!

Questo era solo l’inizio della cura, buona Marichat a tutti!!! Fatemi sapere che ve ne pare per adesso… con tutti i se e i ma!

A presto!

*** DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Amici, confidenti e supereroi (Sei anni prima) ***


Capitolo 7

Amici, confidenti e supereroi (Sei anni prima)

Marinette ancora non rispondeva alle sue chiamate. Alya sbuffò scaraventando la cartella sulla sedia accanto a sé, lasciata vuota dall’amica. Non aveva potuto fare niente per evitare la catastrofe che si era consumata il giorno prima davanti ai suoi occhi increduli e addormentati.

Avrebbe potuto dire o fare qualsiasi cosa, fermare Marinette, rincorrerla, sviare il discorso che stavano ascoltando, interrompere con qualsiasi scusa Adrien mentre stava descrivendo la sua attività notturna a Nino, qualsiasi cosa pur di proteggere la sua amica. Invece era rimasta ad ascoltare con attenzione perché l’informazione era troppo più importante della prevenzione. Ecco cosa aveva fatto: aveva annusato che il discorso si sarebbe rivoltato contro di loro, eppure la curiosità aveva avuto il sopravvento sul suo giudizio. E ne aveva pagato le spese solo Marinette.

Aveva afferrato il suo zaino senza nemmeno chiudere la zip e si era precipitata come un treno fuori dall’aula. Alya la conosceva: quante volte l’aveva vista piangere e tutte le volte, prima di cedere alle lacrime, il suo naso diventava rosso e le labbra iniziavano a tremare. Era riuscita a non dare a vedere quello che sarebbe accaduto di lì a pochi secondi, lasciando la classe apparentemente senza mostrare particolari reazioni, per chi non la conoscesse. Era semplicemente uscita di corsa, come un passeggero distratto che all’ultimo momento si renda conto della sua fermata della metro.

Attraverso le vetrate l’aveva vista avanzare a passo svelto, urtando almeno due o tre compagni delle altre classi fendendo la folla che si accalcava a rientrare in classe, senza fermarsi. A capo chino, dopo qualche metro e svariati colpi dati e ricevuti senza volontarietà, aveva visto la sua schiena iniziare a sussultare e, mentre svoltava l’angolo iniziando a scendere le scale, si era portata una mano alla bocca, per contenere il suo grido di dolore.

L’aveva chiamata, invano.

Nino l’aveva raggiunta trafelato. -Fermala-, lo aveva implorato Alya, spedendolo a corsa dietro la loro amica, ma era arrivato troppo tardi. Lei era uscita dalla scuola, dopo una brevissima spiegazione data al custode del piano terra ed era semplicemente andata via.

Rientrando in classe, Alya aveva premeditato di strozzare e spellare con le sue stesse mani quello stupido, insensibile, idiota di Adrien, ma era stata fermata dalla professoressa Bustier che stava entrando in aula.

Poco prima aveva ascoltato solo l’ultima parte del crudo attacco auto referenziante che la perfida Chloe aveva sferrato ai danni della povera amica assente e non aveva potuto reagire per difenderla. Anche perché, si era domandata, come avrebbe fatto a difendere Marinette da qualcosa che, automaticamente, era stata confermata dalla romantica confessione di Adrien?

Quel… bamboccio… aveva anche dato la sua versione dei fatti per giustificare il trambusto alla professoressa Bustier: “Non è successo niente”. Per lui era tutto niente…

D’altronde, cosa aveva appena fatto, in risposta alle stilettate della odiosissima gallina spennata?

Niente.

-Tu sei morto-, gli aveva sibilato Alya.

Solo nel momento in cui erano usciti dall’aula, passandogli accanto velocemente, gli aveva lanciato un’occhiata e aveva scorto uno sguardo sconvolto e preoccupato. Forse il bamboccio qualcosa riusciva a capire…

-Buongiorno-, sobbalzò nell’udire proprio la voce di Adrien, quella mattina, che scivolò al suo posto senza aggiungere altro. Aveva l’aria preoccupata e la testa da un’altra parte.

-Buongiorno-, la risposta di Alya fu glaciale e forse lo avrebbe anche apostrofato in malo modo se non fosse sopraggiunto Nino.

-Ciao-, la salutò il suo ragazzo con un eloquente cenno del capo verso il posto vuoto accanto a lei.

-Non mi ha ancora risposto al telefono, non ho avuto coraggio di chiamare i suoi genitori-, gli spiegò, -Non so come stia, se è tornata a casa ieri sera, insomma, nulla… Oh Nino, sono preoccupata-, il ragazzo le prese una mano.

-Dopo passiamo a trovarla, dai, vedrai che sta be…-

-Credo che… Marinette abbia la febbre-, spiegò Adrien, senza voltarsi. Il suono della sua voce era spento, forse aveva capito che doveva giustamente ritenersi colpevole di ogni sofferenza della povera ragazza, constatò Alya. -E tu come lo sai?-, sibilò Alya dietro al suo orecchio, facendogli sinceramente paura. Adrien si maledisse per le sue parole affrettate e strinse la penna che aveva in meno fino a farsi diventare bianche le nocche. Doveva dare una risposta: ma quale?

-Amico, che nascondi?-, gli si parò davanti Nino, abbassandosi sul banco. Una perfetta squadra per la santissima inquisizione.

Adrien guardò l’amico negli occhi, senza dire nulla, deglutì: era in trappola. Stava per farfugliare qualcosa quando fu “salvato” dall’arrivo rumoroso di Chloe: non aveva mai apprezzato così tanto la sua presenza a scuola come in quel momento. Si lasciò torturare dai suoi discorsi vuoti e inutili, ma salvatori, per una volta tanto, finché non iniziò la lezione di storia.

Gli piaceva, la storia, perché bene o male parlava delle gesta di qualcuno che era stato ricordato nel corso del tempo. Un re, uno stratega, una persona qualunque che si era distinta per il suo coraggio e la determinazione nel voler cambiare il futuro del mondo. La sua storia non l’avrebbe scritta nessuno: “potenzialmente un eroe, praticamente un deficiente capace solo di far soffrire una ragazza buona”... non ne sarebbe mai valsa la pena.

Si sforzò di non cedere alla stanchezza, ma anche di non precipitare di nuovo nei pensieri che avevano accompagnato le sue ultime ore.

Aveva raggiunto la consapevolezza di essere del tutto inutile come Adrien Agreste: aveva fatto soffrire Marinette, non aveva voluto rendersi conto di quanto contasse per lui fino a quel momento e l’aveva annientata nelle sue speranze future. Anche con coloro che definiva “amici” aveva sempre mantenuto le distanze, nonostante tutto. All’ombra di suo padre non aveva saputo aprire la sua casa a Nino ed era sempre sfuggente con tutti. Catalogava le ragazze o come piccole fan sfegatate della sua immagine, senza conoscerlo davvero o come qualcosa di molto simile a “sorelle”, senza soffermarsi a capire cosa effettivamente potessero essere i loro pensieri, paure e sogni.

Invece come Chat… Chat Noir aveva fatto un ottimo lavoro con Marinette, solo poche ore prima: il sorriso fiorito sulle labbra della ragazza, mentre da lontano lo seguiva sparire nella notte, era stato un premio speciale per lui, che in realtà non meritava nulla. Aveva addotto tutte le colpe proprio alla sua identità mascherata, ma stava iniziando a domandarsi se non fosse Adrien Agreste a indossare davvero la maschera, più che Chat Noir.

Per la prima volta da quando erano in classe insieme, nascosto dietro quella maschera di pelle nera, aveva osato avvicinarsi a lei e cercare di guardare oltre la ragazza impacciata e imbranata e aveva scorto una perla lucente, una personalità spigliata e una figura complice. Era riuscito a farla star bene ed era felice, anche se il loro tempo era stato breve. Si era sentito a casa, insieme a lei.

Eppure sapeva che non avrebbe potuto fare molto di più se non confortarla con la sua amicizia, perché a lei piaceva Adrien, e Adrien l’aveva ridotta a uno straccio.

Mentre lui, beh… Chat amava la sfuggente Ladybug. Marinette amava lo sfuggente Adrien. Quanto aveva in comune con quella ragazza, e non se n’era mai accorto!

“Passerò a trovarla di nuovo, stasera”, pensò, arrendendosi a non riuscire a seguire la lezione, preso da tutti quei pensieri. Le avrebbe portato un regalo, ecco cosa ci voleva per far tornare il sorriso alla ragazza e aveva già un’idea di cosa avrebbe potuto essere.

Più tardi avrebbe ricominciato la sua ronda, alla caccia della sua bella Ladybug che sembrava essere sparita nel nulla. Lo rodeva il dubbio che, con quel bacio, invece di avvicinarla a sé l’avesse fatta sparire spaventata e non riusciva ad accettare che forse l’aveva persa.

Quando pensava a quel momento veniva attanagliato da dubbi così profondi da estraniarlo completamente dalla realtà, gliel’aveva fatto notare anche Plagg, proprio quella mattina: “Moccioso, non riesci più a controllare la tua testa”, gli aveva detto. Quindi per Adrien non fu una doccia fredda ritrovarsi nell’ufficio del preside: la Bustier sosteneva che per tre volte gli aveva posto delle domande e lui aveva fatto scena muta; si sarebbe beccato una nota formale e suo padre l’avrebbe saputo… ma in fin dei conti non gli importava molto il rischiare di venire di nuovo costretto in casa e non frequentare più la scuola. In quella scuola non aveva combinato che guai.

In ogni caso la notte poteva fare quello che voleva grazie a Chat.

Ed essere finalmente se stesso.

-Amico, ora fermati e ascoltami-, Nino lo afferrò per le spalle e lo trascinò nello spogliatoio della palestra, poco prima che uscisse, al termine delle lezioni. Alya lo aspettava là dentro.

-Che ci fa lei qui?-, si destò solo vedendo la ragazza in un luogo dove non avrebbe dovuto essere.

-Ti uccido!-, le rispose lei digrignando i denti e stringendo i pugni. Era veramente furente.

-Tu devi dirmi, ora, come sai che Marinette ha la febbre. Devi dirmi perché sei così cieco da non aver capito che lei ha una cotta mostruosa per te e come hai fatto ad essere così insensibile da decantare le tue avventure notturne davanti a lei, e chi diavolo è questa tizia di cui saresti innamorato!-, gli ficcò il dito in mezzo al petto, premendo fino a sentire male. -Ma che persona sei, Adrien Agreste?-, disse con un filo di voce.

Adrien deglutì.

E ora come faceva a spiegargli che lui era semplicemente Chat Noir e aveva una doppia vita in cui Marinette, incidentalmente, era inciampata? O mentiva e si cavava d’impaccio o lasciava che i due lo infilassero da parte a parte.

-Sono stato da lei e… ecco, ci siamo chiariti. Lei sa che per me è una carissima amica, sono sincero: per me Marinette conta davvero tanto. Mi ha detto che... non vuole parlarne più. E anche io sono d’accordo, che è meglio non parlarne più… Quindi… per favore… non parliamone più, ok?-

Alya lo fissò incredula: -Seriamente Adrien pensi di liquidarci così?-, lo sfidò. Voleva che quel deficiente capisse i suoi errori e che per rimediare a quello che aveva fatto accettasse semplicemente l’amore di Marinette e…

-Alya, a me dispiace che Marinette stia male a causa mia, ma… non ci posso fare niente! Io vorrei ricambiare quello che lei prova… ma non posso! Perché… anche se forse non ve ne siete accorti, ho anche io una mia esistenza, una mia vita privata, conosco altre persone e credo di avere il diritto di… innamorarmi di chi voglio e… quando voglio-, concluse il discorso a testa bassa, -Mi dispiace davvero… ma in questa vita, in questo momento io non posso innamorarmi a comando di Marinette, perché amo già un’altra ragazza e…-, alzò gli occhi verdi sull’amica, sembrava disperato: -Alya, anche io sono nella stessa situazione di Marinette… perché è vero che c’è stato un… bacio, ma…-, lasciò cadere il discorso e si voltò di spalle agli amici.

-Non pensate che io non capisca quello che prova Marinette, non credete che non ci stia male anche io, che ne sono la causa diretta. Ma… io non posso fare nulla per lei… per adesso-

Si lasciò sfuggire le ultime due parole, non ci fece caso lui per primo.

-Ora, se volete scusarmi…-, si liberò dal fugace rapimento a cui l’avevano sottoposto gli amici e uscì dallo spogliatoio a testa bassa. Nino e Alya non lo fermarono.

Parlare ad altre persone di se stesso era una cosa che non faceva mai. Era stato liberatorio, ma allo stesso tempo aveva riaperto il dubbio e la ferita. E aveva mentito ai suoi amici.

Doveva trovare Ladybug…

***

Poltrire a letto, crogiolarsi tra le coperte morbide e calde, mentre il sole filtrava alto dalla finestra davanti al suo letto; non dovere per forza fare presto, correre, scattare, ascoltare i pettegolezzi, il chiacchiericcio della strada, i commenti a scuola… “Mi ci potrei abituare”, pensò tra sé Marinette.

Aveva patteggiato con Tikki che non avrebbero parlato di quello che era successo durante la notte, ma che lei avrebbe cercato ogni briciolo di forza dentro di sé per non soccombere alla batosta inflitta dalle parole di Adrien. La sua piccola amica era molto pensierosa, quella mattina, e non aveva insistito più di tanto nel cercare di indagare su come mai si fosse comportata in un certo modo con un gatto di loro conoscenza.

“In fondo non ti era mai capitato di interagire in modo così intimo con lui mentre sei Marinette”, aveva tagliato corto, accettando di non fare più domande.

Lei stessa aveva deciso di non essere del tutto sincera con la sua amica e non aveva fatto più cenno a “quella cosa importantissima” che le voleva dire.

Era Plagg, la cosa importantissima: Plagg e il fatto che lui era presente accanto a loro proprio mentre erano a scuola. E se c’era Plagg, c’era anche il suo portatore e se il suo portatore era in classe non poteva che essere un compagno di classe di Marinette e quindi un compagno di classe biondo di Marinette.

Non avrebbe potuto più dirle : “Mari cara, lo sai che Chat Noir, proprio quello che hai rifiutato per mesi, che poi hai baciato, che ti ha fatta divertire stanotte, quello di cui non vuoi parlare adesso è lo stesso ragazzo per il quale hai pianto per ore e ore di fila al freddo, quello che ti ha spezzato il cuore, quello che pensavi di amare?”

No, decisamente non era il caso e c’erano troppe domande a cui avrebbe dovuto rispondere e troppe che avrebbe dovuto porre alla sua amica. Meglio lasciar perdere.

In realtà l’unica domanda che le riecheggiava in testa l’avrebbe dovuta porre proprio al gatto, o, meglio, al suo kwami, nonché sua vecchia conoscenza fin dai tempi dei tempi.

Perché senza l’influenza del suo kwami, ne era certa, l’efebico Adrien Agreste non sarebbe mai andato a confortare Marinette vestito in pelle nera, dopo averle spezzato il cuore.

Plagg era stato un semidio venerato dagli Assiri, prima ancora che gli Egiziani concepissero l’idea di un dio-gatto. In realtà era esistito, ancora prima che il tempo iniziasse a scorrere, un eroe mitologico affiancato a Bastet, dalle sembianze di un gatto a cui era stato associato il potere di vedere nell’oscurità e penetrare nei sogni delle persone, per manipolarli a suo piacimento, perché in vita essi obbedissero al volere suo e degli altri Dei maggiori. Si narrava che si infilasse nei sogni delle vergini e le portasse a compiere atti impuri, che poi torturasse le vecchie con desideri ormai irraggiungibili e allo stesso modo si comportasse con i maschi, portandoli alla follia. Ma non era del tutto vero. E quell’eroe non era neanche Plagg e in realtà lui non c’entrava nulla con i gatti, ma aveva sfruttato quella nomea per suo tornaconto.

Plagg era semplicemente un semidio: troppo forte per stare tra gli uomini, troppo misero per vivere tra gli dei. La persona sbagliata al momento sbagliato: sempre.

E come un semidio si era sempre atteggiato nella pletora degli altri kwami. Quando erano stati scelti loro sette, Plagg aveva fatto carte false per poter essere lo spirito vitale dell’anello magico a cui si era legato. Gli avevano detto che il Gatto Nero avrebbe avuto più potere degli altri e lui aveva voluto diventarne lo spirito. Un po’ come Jafar… aveva riflettuto Tikki nel vedere la prima volta Aladdin assieme a Marinette: fenomenali poteri cosmici, in un minuscolo spazio vitale. Quando il grande spirito si era visto rimpicciolire fino alle dimensioni di un topo, lei ne era certa, Plagg si era maledetto per la sua decisione affrettata.

Perché lo aveva fatto? Per la gloria, Tikki ne era certa, e quando gli era stato chiaro che la gloria se la sarebbero presa solo i suoi portatori, mentre lui sarebbe semplicemente stato ignorato, la sua vocazione era andata miseramente scemando.

Da allora era sempre stato sprezzante dell’esistenza sua e dei portatori, seppur intimamente votato alla sua missione di proteggere l’umanità dal male.

Adesso l’umanità avrebbe dovuto proteggere lui da Tikki, perché se solo lei avesse lontanamente percepito la sua presenza nell’arco di un miglio quadrato, l’avrebbe scovato, preso, inchiodato al suolo e gli avrebbe estorto ogni notizia utile su quello che Chat Noir, meglio noto come Adrien Agreste, sapeva o non sapeva della sua Marinette. Perché c’era qualcosa di perverso nel fatto che proprio Chat Noir fosse andato a consolare Marinette, dopo che Adrien l’aveva distrutta dicendo che si era innamorato di una misteriosa ragazza che aveva baciato, cioè Ladybug.

Tikki ci stava perdendo la testa e non si capacitava di come la sua protetta fosse stata sfortunata ad innamorarsi dell’unico ragazzo sulla terra che aveva rifiutato con tutta se stessa nelle vesti di Ladybug. Rifletté se forse era stata colpa delle direttive iniziali che proprio lei aveva dato alla ragazza, insieme agli orecchini della coccinella. “Non svelare a nessuno la tua identità, ne andrà della tua missione!”, l’aveva messa in guardia e non pensava che sarebbe durato così tanto il segreto, quando aveva fatto la sua comparsa Chat Noir.

“Adesso cederà…”, si domandava ogni volta che tornava se stessa dopo una trasformazione, avendo percepito quel lieve fremito del cuore che forse la stessa portatrice ignorava. “Adesso cederà!”, si era ripetuta quando aveva conosciuto di persona il bel biondo con gli occhi verdi, una volta che Marinette non era ancora trasformata.

In totale onestà, lei era stata la prima a prendere una sbandata per il gatto in pelle, ma non l’avrebbe ammesso neanche se l’avessero torturata di nuovo. Era il suo tallone d’Achille il genere maschile e, almeno quello, era giusto che rimanesse il suo piccolo enorme segreto.

Ma sapere che c’era Adrien, sotto quel costumino attillato, aveva fortunatamente messo a tacere le sue piccole voglie.

Lei non era mai stata né una semidea, né una dea, tantomeno una regina o chissà quale creatura leggendaria: era stata venduta dal padre che aveva solo sei anni e votata al culto del Dio Sole. Era diventata una sacerdotessa e per un po’ aveva prosperato e si era divertita, finché non era caduta in disgrazia per aver concesso qualcosa di più di una preghiera ad alcuni devoti locali e arsa sul rogo alla bellezza di sedici anni.

Erano stati tempi molto bui in cui gente all’apparenza onnipotente aveva giocato con le esistenze del popolo, dando vita a leggende che tuttora esistevano, e ad altre che che erano andate dimenticate nel flusso del tempo.

Il suo spirito, così lei lo chiamava, era stato ghermito proprio da quello strafottente di un semidio di Plagg e donato al tempio dei Sette come sacrificio alla causa.

Più banalmente Plagg era apparso per un’unica volta nella sua vita nel posto giusto al momento giusto e l’aveva salvata dal rogo poco prima che venisse divorata dalle fiamme. Gli serviva un sacrificio umano da fare agli dei e lei era capitata a fagiolo, già un po’ abbrustolita, come diceva lui. “Se io fossi un dio, vorrei che mi venisse offerta una vergine in segno di rispetto”, le aveva spiegato, baciando a forza la sua bocca rossa e trascinandola con sé mentre la sua carne in più punti bruciava e lui continuava a stringerla con le mani larghe, per prendere quel che poteva da quel fugace contatto.

In realtà i Sette, quando l’avevano vista, ferita, fragile e indifesa, e sicuramente non più vergine, avevano preso l’offerta di Plagg come un oltraggio; gli avevano urlato di essere uno stolto per essersi fatto ammaliare dalla freschezza della ragazza e avevano avuto pietà di lei e di quel suo corpo delizioso, già straziato dalle fiamme, proponendole la stessa vita eterna che anelava Plagg.

Ovviamente lei aveva accettato, mossa più dal desiderio di vendetta verso quel borioso semidio che per amor della sua stessa vita, e aveva tripudiato quando, come parziale risarcimento per il trattamento subito, i Sette avevano scagliato “la maledizione del gatto nero” sul suo rapitore. Per sempre condannato ad amarla, per l’eternità destinato a non possederla. Avevano rinchiuso il grande Plagg in un gattino, che per dispetto era stato privato della sua minuscola virilità prima di sigillare le loro anime in quei corpicini immortali.

In qualche modo l’influenza di Plagg portava i suoi portatori ad avvicinarsi a quelli del Miraculous della coccinella, come se l’ex potente semidio avesse potuto finalmente arrivare alla sua Tikki.

E questo era un altro dei problemi in cui stava sprofondando quel triangolo, anzi, no, quadrilatero in cui la sua innocente Marinette era stata coinvolta.

-Marinette, cosa provi per Chat Noir?-, aveva promesso di non fare domande, ma aveva ceduto quasi subito, perché c’era un particolare che non poteva controllare in nessun modo, e la pungolava da quando le era venuto in mente.

Marinette, nascose la testa sotto al cuscino: -Non ti rispondo, perché lo sai-, le parole arrivarono attutite.

-Non dirmi che sei stata ferrea nella tua decisione di respingerlo, Marinette, perché tu sai che io so…-, la ammonì la coccinella, -E perché è da tre giorni che ti torturi ripensando a quel bacio che vi siete scambiati!-

Marinette emerse dalle coperte: -Io non mi torturo-, si oppose e incrociò le braccia al petto, -Io… rifletto-, ammise.

Tikki ricordava la sensazione che aveva provato, attraverso Marinette, durante quel bacio: il semidio Plagg non era stato l’unico ad essersi preso la maledizione, forse qualcuno dei cari Sette Dei aveva preso male che Tikki fosse venuta meno ai suoi voti monacali, oppure la sua sete di vendetta non era piaciuta… L’evirazione del gatto era stata la sua stessa pena. Investita dell’energia rigenerativa del sole e della magia della creazione, simbolo di fortuna e amore, Tikki avrebbe per sempre pianto la lontananza da lui.

Un filtro d’amore: con la testa lo avrebbe strozzato, ma con il cuore (e tutto il resto), lo avrebbe desiderato per tutta la sua vita eterna. Ma non lo avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, perché in fondo Plagg era stato solo una sventura per lei. Costretta a desiderare l’unico essere che l’aveva intrappolata in un’esistenza di brama infinita. Fortunatamente Tikki era stata brava a imporsi un ferreo autocontrollo e a coltivare la sua razionalità e, di epoca in epoca, era pure riuscita a diventare amica dello scontroso Plagg.

Il problema era che, in qualche modo, anche la sua portatrice veniva ogni volta infusa di questa energia creativa e, toccata dal sacro fuoco dell’amore, tendeva a lasciarsi trasportare più del dovuto in determinate situazioni. E Tikki, questa cosa qua, non riusciva né ad ammetterla, né a sopportarla e si era votata al mantenere il più possibile lontane da queste storie le sue ragazze.

“Sei diventata peggio di una madre superiora, rilassati!”, le aveva detto Plagg l’ultima volta che si erano incontrati, circa duecento anni prima. “Questa è una questione tra te e me”, aveva messo in chiaro Tikki, “Loro non devono risentirne”

Fortunatamente non era detto che la portatrice della coccinella incontrasse il portatore (o la portatrice, era ironicamente accaduto anche quello…) del gatto nero. Così come non era detto che l’oggetto del suo desiderio fosse proprio il suo doppio. C’erano state portatrici votate anima e corpo alla loro missione, tanto votate da riuscire in quello che lei non era riuscita ad obbedire, e si erano fatte monache. Altre che invece avevano preteso per loro una vita semplice, con affetti, amicizie e problemi normali. E così per molti e molti secoli Tikki e Plagg avevano vissuto abbastanza tranquilli, rassegnati a non ricordare più le gioie terrene e mai condivise della loro piccola carne.

-E le tue riflessioni a cosa hanno portato?-, aveva atteso svariati minuti, contando i secondi sulle lancette dell’orologio sulla scrivania.

Marinette sospirò: -Che non lo so. O meglio: so che non ho alcun interesse sentimentale per Chat Noir, almeno come Ladybug intendo, però ammetto di essere stata attratta da lui, l’altra sera, come se non fossi io…-

Nel pensare alla maledizione che li accompagnava, Tikki non prestò attenzione alle parole che erano sfuggite a Marinette, e la ragazza trasse un sospiro di sollievo. “Cosa ho detto?”, si domandò, trasalendo.

Il suo cellulare vibrò di nuovo. Quella volta doveva rispondere ad ogni costo.

-Alya! Scusami per come sono andata via ieri…-, iniziò.

Piccola, dolce Marinette, che chiedeva scusa dopo tutto quello che aveva passato.

Notò che la ragazza non fece domande dirette riguardanti ciò che era accaduto e non pronunciò mai il nome di Adrien. Marinette gliene fu grata e, al termine della chiamata, rimase per qualche secondo col cellulare spento tra le mani e l’espressione sollevata.

-Anche questa è andata…-, borbottò, -Adesso devo solo guarire per tornare a proteggere Parigi-, riprese con voce salda, -E al diavolo tutti i ragazzi biondi della terra!-, si sentì di concludere, ridacchiando tra sé.

-Mi dovrò buttare sui mori…-, parlottò guadagnandosi un piccolo pugnetto sulla testa da parte di Tikki: -Tu devi pensare a studiare, guardare i cartoni animati, giocare con le amiche e proteggere Parigi-, sentenziò.

-Ma Tikki, ho quattordici anni… lo sai che sono cresciuta per tutte queste cose… Avrei voluto vedere tu, a quattordici anni!-, scese nella sua stanza sgusciando fuori dalle coperte.

“No, Marinette, meglio per tutti che tu abbia visto com’ero, a quattordici anni…”, rifletté la kwami e scosse la testa, ridacchiando da sola.

Marinette scese in cucina, Tom fu il primo a vederla: -Marinette! Non prendere freddo!”, fu subito da lei per proteggerla, come aveva sempre fatto. La fece accomodare sul divano e la coprì col plaid: -Ti va di vedere un po’ di televisione mentre io ti preparo… cosa vuoi piccola cara? Una camomilla, tè, cioccolata, del latte caldo…?-

-Un tè andrà bene, grazie papà-, era impagabile avere dei genitori come i suoi.

Sentì suo padre armeggiare con le scatolette e l’acqua, in cucina, mentre lei si sistemava sul divano.

-La mamma?-, domandò.

-E’ andata a ricomprarti la medicina-, rispose suo padre, -Il tè come lo vuoi? Vaniglia, verde, tè nero…?-

-Nero-, rispose Marinette sicura e si sentì avvampare, senza motivo.

Sul tavolino davanti al divano c’erano i joypad abbandonati dalla loro precedente partita: -Ti va di giocare?-, domandò al padre, ricevendo una risposta affermativa.

Rimase in attesa del tè e del suo sfidante, mentre distrattamente guardava la tv. Il talent show gastronomico che stava guardando Tom era appena concluso e stava iniziando l’ennesimo telegiornale.

Le prime immagini trasmesse risalivano ai fatti di poco prima: in bilico sulla Tour Eiffel stava un enorme… coso… che lanciava qualcosa di simile a… pizze?... in faccia agli agenti sotto la torre. Come una scheggia, una macchia nera fu sopra di lui e, Marinette vide Chat Noir con un sol gesto strappare dalle mani del mostro uno strumento tondeggiante e mentre era già stato catturato dal mostro, far esplodere il suo cataclisma sull’oggetto, liberando una akuma, mentre il pizzaiolo (erano pizze, ok), di Rue Montaigne tornava alle sue dimensioni naturali.

Chat Noir non avrebbe potuto fermare quella akuma da solo, in alcun modo: doveva intervenire. Scattò in piedi, mentre suo padre rientrava in salotto.

-Visto che roba? Chat Noir ha afferrato la farfalla malvagia da solo e in qualche modo l’ha portata via-, posò il tè sul tavolino accanto i joypad: -Si è allontanato dietro un pilone, ci sono stati due lampi di luce intensa e poco dopo è riapparso e ha chiamato di nuovo quel potere che ha lui… il catta…-

-Cataclisma…-, bisbigliò incredula Marinette, mentre le immagini continuavano a scorrere davanti a sé.

-… e ha fatto in mille pezzi la farfalla! E’ diventato bravo anche lui, eh?-, si sedette soddisfatto accanto alla figlia, spegnendo la tv. Era un servizio registrato.

-Partitina?-, la sfidò afferrando uno dei due joypad.

***

Era riuscito a cavarsela anche senza Ladybug, non riusciva a crederci!

-Non montarti troppo la testa, moccioso-, lo zittì Plagg, azzannando il suo formaggio: -Senza di me non avresti fatto nulla-

-No, senza camembert, piccolo otre che non sei altro! Ho fatto bene a portarmi dietro questa geniale invenzione!-

Adrien si rigirò tra le mani un tubetto metallico: “Paté au camembert aux noix”, -Fantastico, in un istante puoi ricaricarti così!-

-Non ci riprovare più-, il gattino aveva ancora in bocca quel saporaccio di noci che gli stolti produttori avevano osato accoppiare al suo camembert e che Adrien gli aveva sparato in gola. In effetti doveva ammettere che era pratico succhiare avidamente un etto alla volta di formaggio fuso, ma dovevano lavorare sugli aromi.

-Intanto ho sconfitto da solo Papillon!-, Adrien era al settimo cielo, il pugno stretto davanti a sé.

-Hai solo ucciso una farfalla, moccioso-, constatò Plagg.

-Che importa? Era solo un insetto malvagio-, Adrien fece spallucce.

Plagg svolazzò davanti al suo naso: -Ti ricordo che anche una coccinella è un insetto e che quel particolare insetto sarà furioso al limite della malvagità quando scoprirà che hai fatto tutto senza aspettarla-, gli fece notare la pallina nera volante.

-Plagg, allontanati da me, puzzi troppo di Camembert e noci-, Adrien si turò il naso con superbia, gongolandosi del suo successo.

-Invece, quando Ladybug vedrà come sono stato bravo, allora sì che cadrà ai miei piedi!-, si battè le cosce con le mani aperte e si tirò su: -Andiamo, ho lezione di scherma e poi cena con mio padre-

Prese Plagg e lo infilò nella giacca.

-E stasera devo fare gli straordinari…-, pensò ad alta voce, pregustando il doppio incontro a cui avrebbe presenziato. -Rifoccilati, coso nero , che stanotte dovrai farli anche tu-

***

Marinette alzò la penna dalla carta rosa del suo diario segreto, rendendosi conto solo allora di aver riempito la pagina, sovrappensiero, di piccoli cuoricini neri e di tante lettere “A”. Tikki la guardava senza parlare, dall’alto della sua mensola.

-Dovresti scrivere quello che provi in questo momento-, le suggerì dopo qualche minuto di stasi, -potrebbe essere liberatorio-.

Marinette ruotò la testa verso di lei: -La verità, Tikki, è che devo prima rivedere Adrien per dirti quello che provo-, chiuse il diario nella sua custodia e lasciò che la kwami le saltasse tra le mani.

-Da una parte sento di detestare anche solo l’idea di quello che ha fatto Adrien e sono sicura di odiare con tutta me stessa questa misteriosa ragazza-, Tikki abbassò gli occhi, colpevole: come poteva rimanere impassibile sapendo che Marinette stava dichiarando di odiare… se stessa?

-Dall’altra mi sento sempre più convinta che Adrien sia il miglior ragazzo sulla terra. In fondo lui non mi ha mai dato false speranze o lasciato che mi illudessi. Ho fatto tutto da sola, Tikki, è questa la verità! Lui è sempre stato coerente nel suo comportamento verso di me… e non ha di certo raccontato quelle cose a Nino con l’intento di ferirmi. E per questo sento di… amarlo e rispettarlo anche di più, se possibile. E poi non sono la sola che ha una cotta per lui, anche Chloe potrebbe aver sentito quello che ha detto ed esserci rimasta male o…-, un pensiero prese forma nella sua testa e Marinette divenne d’un tratto rossa come un peperone. Tikki si allarmò.

-E se… se fosse Chloe… se fosse lei la misteriosa ragazza che Adrien ha ba…baciato e che ama???-, le sarebbe scoppiato il cervello, a giudicare da come stava ribollendo.

-Calmati, Marinette!-, Tikki le prese la faccia tra le mani: -Sono sicurissima che non si tratta di Chloe, e intendo che so che non è lei-

-Come fai ad esserne certa?-, lo sguardo guizzava su di lei alla ricerca di una conferma.

-Perché Chloe ti avrebbe sicuramente mandato un messaggio con la foto del loro bacio-, spiegò con linearità Tikki. Aveva dribblato la domanda con una eleganza degna del miglior bluffatore di Las Vegas.

Marinette trasse un sospiro di sollievo e poggiò una guancia sulla scrivania, accasciandosi. -Quello che non capisco è come sia possibile che Adrien possa aver baciato questa tipa di notte… suo padre non lo fa mai uscire di giorno, figuriamoci se gli permetterebbe di farlo di notte! E secondo il suo calendario degli impegni non ci sono state feste o altri eventi mondani, negli ultimi giorni-

-E questo esclude anche ogni possibile sciacquetta da quattro soldi o modella che potrebbe aver trovato a queste feste-, Tikki proseguì per lei, cercando di farsi notare in quello sguardo azzurro perso nel vuoto. Avrebbe voluto dirle che Adrien era uscito di casa di notte trasformandosi in Chat Noir, perché lo faceva sempre e che la ragazza che aveva baciato era nientepopodimeno che Ladybug, ma sarebbe stato troppo complicato da farglielo digerire, così senza alcun preavviso.

E soprattutto non voleva e non poteva farlo.

-Marinette, smetti di pensarci!-, una strategia prese piede nella sua mente: -Non hai pensato neanche un secondo che forse Adrien ha raccontato una bugia a Nino perché semplicemente è invidioso del fatto che lui ha la ragazza…-, poteva reggere davvero una scusa così?

Marinette si drizzò con sguardo stralunato: aveva pianto per una giornata intera, si era presa un raffreddore da guinnes dei primati e aveva saltato la scuola solo per una… bugia!? Oh sì! Una scintilla guizzò nel suo sguardo: sarebbe stato fantastico!

Si rilassò riprendendo Tikki tra le mani e stringendola al suo viso.

-Forse hai ragione, piccolina-, la speranza aveva riportato la luce ai suoi occhi e la kwami era soddisfatta della sua idea geniale.

-Vedrai che non è successo nulla di nulla, Marinette. Adrien semplicemente dorme, dorme e non si accorge che è tornata la primavera e che la più carina della principesse è ancora in attesa che lui si svegli!-, “carina la battuta”, si complimentò con se stessa Tikki.

-Principessa…-, sentì Marinette bisbigliare, quel nomignolo riportato alla mente proprio da lei.

Autogol.

-Ma allora perché Chat è venuto da me dicendo che qualcuno era in pensiero per quello che avevo sentito? Cioè, Tikki: se fosse stata solo una scusa di Adrien a Nino, che motivo ci sarebbe stato di mandare da me addirittura Chat Noir per controllare come stessi? No, dai, sicuramente mi avrebbero semplicemente mandato un messaggio: ”Mari, Adrien stava scherzando, tranquilla!” e invece no… nessuno ha avuto coraggio di dirmi le cose direttamente. Hanno mandato Chat Noir da me… Cioè, hanno chiamato un supereroe e gli hanno detto: “Chat Noir, vai ad aiutare una povera ragazza ferita!”: non può essere solo una bugia, capisci???-, la versione di Tikki si stava sgretolando e Marinette stava ripiombando nel panico.

-Forse Chat Noir non è stato mandato da nessuno, allora, ed è venuto da solo-, cercò di tappare la falla nel ragionamento la piccola kwami, aprendone altre mille. Si maledisse per la sua lingua lunga.

-E perché Chat Noir avrebbe dovuto sapere che stavo male, se nessuno l’ha mandato? Come fa a conoscere me e tutta questa storia?-, la disperazione stava virando in pura preoccupazione: -E soprattutto, perché sarebbe venuto a consolarmi? Lui è così… è sempre così sicuro di sé, spavaldo, non si preoccupa mai davvero di quello che posso pensare io di lui… cioè, non io-io, io-Ladybug! Ohhh… insomma Tikki!-

Non c’era verso di acquietare il suo cuore. La creaturina rossa la vide annaspare per sbloccare il suo telefono che per poco le scivolò dalle mani e chiamare concitatamente la sua amica.

-Alya, ciao… Sì sto meglio. No… certo che non ho visto Adrien da ieri! Altrimenti sarei morta, risorta e rimorta da capo… Ascoltami… devo chiederti una cosa veloce, scusami. D’accor… d’accordo, ne parliamo domani di questo, ascoltami ora e rispondi sincera: tu per caso ne hai parlato a qualcuno di quello che è successo ieri a scuola e… hai mandato qualcuno da me per… per cercare di…-, Tikki le suggerì le parole, senza che rischiasse un ulteriore scivolone: - per sapere come stavo?-

Alya rimase in silenzio, cercando di capire cosa diavolo stesse farneticando l’amica.

-Io… no, Mari cara… non ti ho chiamata prima per non disturbare… cioè, ci ho provato in realtà, ma tu non hai mai risposto…-, una pausa colma di attesa, -Sicura di non aver visto Adrien, eh? ... Ok, perché... chi è venuto allora da te per…consolarti?-

Ecco, Alya non aveva frainteso le parole che Marinette stava per lasciarsi sfuggire.

-Io… cioè… non è che è venuto qualcuno del tipo che mi ha suonato e ‘ciao, come butta stasera’, oppure…-

-Marinette?-

Il terreno era esageratamente sdrucciolevole, non era dell’umore per continuare ad arrampicarsi sugli specchi senza scivolare. Buttò giù la comunicazione e, per sicurezza, spense il cellulare e lo ficcò sotto a un cuscino. Prima o poi avrebbe spiegato il tutto alla sua amica.

Più poi che prima , rifletté tra sé…

***

Il tragitto dalla sua villa alla palestra di scherma, che nient’altro era se non la sua stessa scuola, fu infinito: un corteo di manifestanti contro l’attuale amministrazione regionale aveva bloccato i boulevard e sarebbe quasi certamente arrivato in ritardo. Se fosse sceso e si fosse trasformato in Chat Noir, invece, ci avrebbe messo un attimo balzando di tetto in tetto.

Adrien sbuffò seccato e guardò distrattamente il cellulare. C’era un messaggio di Alya. Strinse i denti mentre la app si apriva, prevedendo problemi:

Non ho creduto a una parola di quello che ci hai detto prima.

Ti aspetto all’ingresso di scuola, prima della tua scherma.

Tira fuori le palle e non provare a evitarmi:

dobbiamo assolutamente parlare.

Lasciò cadere il telefono sul sedile accanto a sé, sbattendo la nuca sul poggiatesta, mentre l’auto svoltava attorno all’isolato della scuola. Gli toccava prepararsi qualche scusa credibile e non aveva tempo per farlo.

Dannazione.

***

Altro aggiornamento notturno!

Che dirvi… in questo capitolo Adrien deve fare i conti con le sue geniali esternazioni e rendere conto ai suoi più cari amici… mentre Marinette è spezzata in due tra il disagio delle parole di Adrien e il “ommamma come sono stata bene” con il gattone biondo…

E voi? Con chi stareste meglio?

#iostocongattoboy ! :-P

*** DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Interludio ***


Buonasera a tutti,

ho ritardato un po’ per questo aggiornamento perché volevo cercare di sistemare alcune questioni relative al seguito della ff: spero che questo capitolo vi risvegli la voglia di saperne di più del seguito della storia.

ATTENZIONE: vi segnalo che il capitolo, che è solo un breve interludio, come dice il titolo, si svolge come il prologo SEI ANNI DOPO LA SCUOLA. QUINDI QUA VEDIAMO LA MARINETTE DI 6 ANNI DOPO!!!

Cercherò di pubblicare il prima possibile il capitolo successivo!

Grazie ancora alla mia Beta Martina e alla carissima Chiara!

8 - Interludio - Sei anni dopo

Quando aveva quindici anni il tempo sembrava scorrere più lentamente. Ogni secondo doveva assumere un significato nel fiume degli eventi e ogni gesto, frase, cenno o pensiero andava scomposto e analizzato fino ad attribuirgli uno specifico senso.

Ormai poche cose avevano ancora senso.

Il caffè della mattina, prendere un buon voto a un esame, cucirsi un nuovo abito, sperare di essere presa a un colloquio di lavoro.

Riguardare vecchie foto, perché ricordare era un po’ come morire, piano piano, dolcemente persa in una vita che non c’era più. Avrebbe dovuto stamparle tutte quelle foto che aveva scattato negli anni più spensierati e tenerle appese sopra il suo letto per ricordare come si faceva ad essere felici. Molte le aveva perse grazie alla tecnologia, altre, dolorosamente, a volte ritornavano a galla dopo essere rimaste sepolte per anni e le bucavano un po’ il cuore.

Si sforzò di allontanare lo sguardo da quegli occhi verdi che la fissavano dal display del suo telefono.

-Alya ti ha cercata, oggi pomeriggio, dovresti richiamarla…-, la mamma stava affettando le verdure per la sua quiche, ma la linea tesa delle spalle lasciava sfuggire una nota di preoccupazione.

Anche le chiacchierate vere con Alya, sempre più rare, le mancavano ed erano tra le poche cose che ancora avessero un senso. Ormai erano diventate sempre più pragmatiche e meno liberatorie, sebbene il conforto che provava nel sentire quella voce familiare e invariata nel tempo era un balsamo a cui ogni tanto doveva ricorrere.

-Ok, lo farò dopo le lezioni-, rispose Marinette, soffiando sul tè bollente e osservando le volute di vapore svanire nell’aria.

-Dovresti uscirci, oltre che sentirla per telefono-, il coltello produsse un suono secco, come se fosse stato lasciato cadere sul tagliere.

Marinette si voltò verso la madre: -Alya esce con Nino, mamma, da più di sei anni-, le fece notare. Per quanto ancora avrebbe dovuto fare da terza incomoda, secondo sua madre?

Sabine annuì e la figlia non vide la sua espressione contrita, le labbra tirate fino ad incresparsi. Riprese il coltello e continuò a tagliuzzare un porro.

-E allora tu con chi esci, la notte?-, domandò a bruciapelo. Si teneva dentro quella domanda da troppo tempo, non pensava che sarebbe mai riuscita a dirlo davvero, ma le era sfuggita dalle labbra prima che riuscisse ancora una volta a mordersi la lingua e tacere. Aveva iniziato a percepire nuovamente i debolissimi scricchiolii della scaletta di legno del soppalco e il sottile cigolio della botola sul terrazzino. Che Marinette ogni tanto fumasse, lo sapeva da quando era tornata da loro, con la coda tra le gambe dopo la sua grande delusione. Ma quel tipo di rumori notturni andava avanti da ben prima che la figlia si trasferisse, era iniziato più di sei anni prima, ma per molto tempo Sabine aveva pensato che fossero solo sue fissazioni. “Stava dormendo, tu ti fai troppi film in testa, Sabine. Ma chi vuoi che ci fosse?” , l’aveva rassicurata Tom, a quel tempo, quando per la prima volta aveva avuto la netta sensazione che in camera di sua figlia ci fosse qualcun altro.

Era stato qualche tempo prima che Marinette, quella dannata notte di maggio, era stata ritrovata priva di sensi per strada , dopo una disperata ricerca da parte di tutti i suoi amici e della polizia.

Anche un vecchio cinese, che poi riconobbe essere il massaggiatore più caro di tutta Parigi, quello con lo studio in Rue du Pince, li aveva aiutati a cercare la figlia.

Marinette non aveva voluto mai parlare di quello che era accaduto quella sera: “Non è successo nulla: sto bene”, aveva dichiarato al suo risveglio: “va tutto bene”.

Ma non aveva più veramente sorriso, aveva perso quello che di più prezioso aveva. Ed era rimasta sola negli anni a discapito della vita che si era illusa di ricostruire, tempo dopo, e del castello di carte che aveva sapientemente eretto attorno a sé, simulando di essere una ragazza come tutte, con una relazione come tutte, sogni e progetti.

-Io non esco la notte, mamma-, rispose senza vacillare, -Io la notte dormo.-

Sabine inspirò chiudendo gli occhi e lasciò perdere.

All’epoca si erano rivolti ad uno dei migliori psicologi di Parigi, cercando consigli per aiutare in modo discreto la figlia, che non voleva farsi aiutare e sosteneva che “andava bene così”: la teoria che avevano accettato era stata quella di una profonda delusione d’amore che, unita al carattere fin troppo solare della ragazza, l’aveva portata a caricare di troppa aspettativa un certo rapporto sentimentale fino a perdere del tutto fiducia nel mondo. Avevano consigliato anche una accurata visita medica alla ragazza, sospettando una violenza sessuale, ma non ce l’avevano fatta ad affrontare quel genere di discorsi con una ragazza di nemmeno quindici anni.

“Loro non sanno niente di me”, aveva tagliato corto Marinette, l’unica volta che, tramite la sua amica Alya, avevano provato ad indagare. “Nessuno sa niente di me, Alya, neanche tu. E io voglio che nessuno sappia qualcosa di me”. Aveva detto Marinette.

Quello che i suoi genitori non sapevano, però, era che Marinette aveva aggiunto altre informazioni alla sua confessione: “Tuttavia c’è una cosa che voglio che tu sappia, Alya: tu ed esclusivamente tu”, aveva confessato, “Ma non dovrai mai e poi mai dirla a nessuno. Neanche a Nino, neanche a… non deve saperlo nessuno, Alya, promettimelo”

Aveva infilato la mano nella sua giacca e tirato fuori Tikki, immobile come se fosse un peluche. Alya l’aveva guardata confusa, senza capire dove volesse arrivare.

“Tikki, trasformami”, aveva sussurrato Marinette con occhi tristi, lo sguardo spento. Davanti ad Alya, che era la sua più grande fan e l’ammiratrice numero uno, la sua migliore amica Marinette era diventata Ladybug.

Superato l’iniziale smarrimento misto ad euforia per la scoperta, Alya aveva preso una grande boccata d’aria e aveva ficcato gli occhi in quelli della sua amica. Di tutte le domande che aspettava di farle da tanto tempo, quella che le aveva posto fu la più importante: “Tu sei felice?”, le aveva domandato, e Ladybug aveva scosso la testa, abbassando lo sguardo.

“Per proteggere Parigi devi essere felice”, l’aveva ripresa Alya. Aveva posto le mani sulle sue spalle e aveva piegato la testa per guardare i suoi occhi lucidi: “Ti aiuterò io a tornare felice”.

Si erano abbracciate per un tempo lunghissimo e Marinette aveva sentito, al di là della tuta di Ladybug, che il cuore di Alya era pronto ad esplodere, travolto da tutte quelle verità nascoste. E che non l’avrebbe tradita mai.

Poi si era lasciata andare.

“Senza di lui… io non potrò più essere felice”, aveva confessato, affondando il viso sulla spalla dell’amica, sfilandosi freudianamente un orecchino e ritornando ad essere solo Marinette in cerca d’aiuto. Alya l’aveva tenuta stretta e nel frattempo osservava l’esserino rosso che svolazzava davanti al suo naso.

“Faglielo rimettere”, le aveva detto con una vocina simile a quella di un topino di Cenerentola.

“Rimettilo”, aveva quindi ripetuto Alya: “Senza Ladybug, Parigi è fottuta. Senza Marinette, io sono fottuta”

Aveva scostato da sé l’amica per guardarla e sorriderle: “Andiamo Maribug, ora non fare la bambina e ascoltami…”

E dopo l’aveva aiutata a tirarsi su di morale, l’aveva aiutata con la scuola, i rapporti con gli altri. Le aveva persino trovato un fidanzato, uno di quelli veri con cui avrebbe potuto metter su famiglia. Marinette le aveva promesso di fare del suo meglio, ma c’erano giornate in cui proprio non ci riusciva.

Quella era una di quelle giornate.

Succedeva ogni qual volta di notte sognava lui. Non si erano più incontrati dopo quella volta e di lui le era rimasto solo il ricordo sbiadito. Papillon gliel’aveva portato via.

-Se hai finito con i consigli, mamma, io andrei…-, disse alla madre, avvicinandosi e posandole un leggero bacio sulla tempia. Grazie a Dio quel corso di disegno dal vero che l’università aveva organizzato la sera, spostandosi per Parigi, era caduto a fagiolo

-Una mamma non la finirà mai di dare consigli, lo sai…-, le rispose Sabine, guardandola. -Solo… stai attenta, d’accordo?-, domandò e lasciò che la ragazza uscisse, indossando un leggero trench color kaki.

Quella sera, se tutto fosse andato senza problemi, se tutti gli invitati si fossero presentati, se la fortuna l’avesse assistita, forse, avrebbe finalmente rivisto Adrien Agreste.

***DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Marichat/Noirette (Sei anni prima) ***


ATTENZIONE: con questo capitolo torniamo nel passato, a sei anni prima dell’inizio della nostra storia. Buon divertimento!

***

Capitolo 9 - Marichat/Noirette (Sei anni prima)

L’incontro con Alya era stato breve e putativamente indolore, se effettivamente la ragazza si era bevuta la sua versione dei fatti.

Marinette le aveva detto di non averlo visto, facendo saltare completamente la credibilità di quello che aveva raccontato ai suoi amici a scuola, ma evidentemente per Alya non era quello il crimine maggiore di cui Adrien si era macchiato, bensì il fatto che effettivamente qualcuno fosse andato dalla ragazza e che lui ne fosse a conoscenza: d’altronde lui stesso aveva ammesso di essersi informato su come stesse Marinette tramite un non ben definito “amico”.

“Quindi non hai avuto il coraggio di andare di persona a vedere come stava e… ci hai mandato qualcun altro…. Non dirmi che ci hai mandato la segretaria di tuo padre!?”, aveva domandato Alya, senza dissimulare una profonda delusione.

“Alya… non pensare che per me Marinette conti così poco, ti prego…”, le aveva risposto, senza il coraggio di aggiungere altro. La ragazza l’aveva fissato per un tempo lunghissimo, i suoi occhi avevano lasciato trasparire la delusione fortissima per la situazione in cui si era cacciata la sua amica, a causa di due occhi verdi e un sorriso da copertina.

“Quello che hai detto a Nino, è vero?”, era giunta anche la fatidica domanda.

Non aveva risposto, non sapeva cosa rispondere.

“Hai un’altra?”, la domanda di Alya lasciava presupporre troppe ipotesi sottintese: un’altra rispetto a chi? Avere un’altra in che senso? Se Ladybug era la sua ragazza fissa? Si dette dell’idiota da solo.

Aveva risposto più o meno con la verità: “Te l’ho già detto, Alya… E’ vero: sono innamorato di una ragazza, ma non posso dirti chi sia, anche perché… se è questo che intendevi, lei non è la mia ragazza. Anche se mi piacerebbe tanto…”

“La conosco?”, aveva insistito Alya e lui aveva negato muovendo la testa e aveva cercato di spiegarsi: “Non dovevo dire quelle cose a Nino, dovevo tenermelo per me, ma lui stava insistendo e io… gli ho solo detto a verità. Lo so che è solo colpa mia se siamo in questa situazione, ma come potevo sapere che lei mi stava ascoltando… e poi io… non pensavo di interessare così tanto a Marinette… ”

Alya aveva alzato gli occhi al cielo: “E io non pensavo che dietro il tuo visino pulito, l’apparente perspicacia e l’ipotetico buon cuore ci fosse un perfetto idiota!”, aveva borbottato, andandosene e lasciandolo come un baccalà davanti al portone della loro scuola.

La lezione di scherma era stata liberatoria, ma nonostante fosse stato una furia, non era riuscito a rispettare nessuna delle regole del gioco.

-Oggi, tu non hai rispettato le nessuna regola-, lo riprese Plagg una volta a casa, dopo aver cenato con Gabriel. Un cena rapida, silenziosa, anonima.

Inutile se non fosse stato che suo padre aveva tenuto accanto a sé il famoso libro delle ispirazioni, quello con tutte le immagini dei Miraculous che gli aveva causato non pochi problemi, tempo addietro. Ogni tanto lo aveva aperto, aveva controllato qualcosa e appuntato mentalmente , inghiottendo con lentezza il suo pasto. Se avesse voluto continuare a lavorare avrebbe potuto farlo senza costringerlo a cenare in sua presenza.

-Sarà per la prossima volta: D’argencourt se ne farà una ragione, per oggi-, rispose Adrien, portandosi i capelli indietro. Si sentiva accaldato.

-Io non parlo del gioco della scherma, marmocchio-, incrociò le zampine, - parlo del gioco dell’amore-

Adrien sghignazzò: -Tu, che parli a me di amore?-, era ridicolo. L’unica cosa che Plagg avrebbe potuto amare era una forma di Camembert...

-Già, perché, se non te fossi accorto, poco fa hai detto ad Alya che non sapevi che Marinette era innamorata di te, che tu ami un’altra, che tu non stai con quest’altra, ma accidentalmente l’hai baciata, e che però ti sei preoccupato per Marinette al punto da mandarle qualcuno per sapere come stava-

-E quindi?-, Adrien non capiva dove voleva arrivare.

-Sei davvero idiota, sai: Alya ha ragione. E quindi O non ti sei accorto che Marinette va in tachicardia ogni volta che ti vede O te ne sei accorto e le mandi un supporto dopo averla pugnalata alle spalle, ma se è vera questa seconda affermazione, tu l’hai praticamente abbandonata e sedotta, ecco! E NON si fa!-

-Forse volevi dire “Sedotta e abbandonata”, si dice così…-, spiegò Adrien.

Plagg si accanì sul suo naso: -No, sciocco: tu l’hai prima abbandonata come Adrien e poi hai provato a sedurla come Chat Noir! E sei sempre la solita persona! Hai iniziato a giocare con i suoi sentimenti e nemmeno te ne rendi conto! Come se non bastasse quello che hai già combinato a Marinette! Speravo che qualcuno della tua stazza ti spiegasse questo concetto elementare, ma evidentemente ha ragione Alya: non c’è modo di spiegartelo perché tu sei solo un perfetto idiota!-

Adrien afferrò il kwami: -Plagg! Ma cosa stai farneticando!? Io non ho sedotto nessuno… o meglio Chat, non ha sedotto nessuno, né ha mai provato a sedurre Marinette! Smetti di torturarmi con questi discorsi, ti prego!-

Adrien lasciò andare la presa e Plagg volò davanti al suo viso con aria truce: -Scommetti?-

Adrien lo guardò incredulo: -Cosa dovrei scommettere, io so già che è falso! Marinette si sarà anche innamorata di me, ma io non ho mai provato a confonderla o sedurla come Chat-

-Scommetti?-, ripeté, sicuro, il bestiolino, allungando la zampetta.

Adrien strinse la manina: -Ok, scommetto… ma… cosa?-

Plagg indicò la notte ormai calata fuori dalla finestra: -Trasformati e vai da lei: se hai ragione, la troverai a guardare la tv con i suoi genitori al calduccio. Ma se ho ragione io…-, Plagg sghignazzo e fu risucchiato nell’anello di Adrien.

-…se hai ragione tu… ti strozzo-, sibilò tra i denti il gatto nero e con un balzo sparì tra i tetti di Parigi.

***

-M’ama… Non m’ama…-, Marinette apriva e chiudeva le zampette di Tikki distesa sulle sue ginocchia ripetendosi quel mantra.

-Non sono una margherita e non mi staccherò un braccio affinché tu possa urlare “M’amaaaah, te l’avevo dettooooh”-, tra un “M’ama” e l’altro, però, Marinette le faceva un piccolo grattino sul pancino e questo era sufficiente per rimanere ferma al suo posto prestandosi a quel ridicolo giochetto.

-Però ti piace farti coccolare, eh?-, le sorrise Marinette. Finalmente era più serena.

Aveva cenato con i suoi genitori e il papà si era esibito nel lancio delle omelettes, riuscendo a farne cadere solo una, accidentalmente addosso alla mamma, e suscitando le sue ire, tra risate e armonia.

Tikki si stiracchiò.

-Sembri un gatto-, biascicò Marinette, quasi in dormiveglia dopo essersi accasciata sulla chaise longue.

-Non sono un gatto!-, s’impuntò la creatura, alzando di un tono la vocina.

-Gatto!-, sussultò Marinette con il cuore in gola. Si voltò agitata verso Tikki, le mani che correvano ai capelli cercando di lisciarli: -Tornerà?-, domandò guardando la tuta di peluche che indossava, quella con il cappuccio da unicorno… impresentabile.

Si alzò di scatto sbalzando Tikki a terra e infilandosi con la testa nel suo armadio. Volarono alcune maglie di pile, due felpe… -Eccolo-, trillò felice e si sfilò velocemente la tuta, infilandosi in un caldo pigiama nero, molto più sobrio, che le avevano regalato delle vecchie conoscenti dei suoi, l’anno prima.

-Marinette…-, Tikki la osservava preoccupata, indecisa su quale dei due epiloghi alla serata avesse preferito.

Da una parte, Marinette sola e nuovamente depressa a piangere sul suo cuscino.

Dall’altra la ragazza che ricominciava a ragionare, anche se a intermittenza, ma trafitta anche dal fascino di Chat Noir.

-Marinette-, la chiamò ancora, -Ma cosa stai facendo?-, domandò preoccupata.

La ragazza si fermò a guardarla, occhi negli occhi, una gara a chi avrebbe abbassato per prima lo sguardo.

Marinette deglutì e si voltò: -Io…-

Sentì la manina di Tikki sulla sua spalla.

-Sono stupida, vero?-, le sorrise, timida e rosa sulle guance.

Tikki stava per risponderle affermativamente, ma lei fu più lesta: -E’ che sono stata bene… lo so che stiamo parlando di Chat Noir, il mio collega, il tipo che mi importuna da quando abbiamo iniziato a fare i supereroi. Lo so, Tikki. E so anche che lui è innamorato di Ladybug, o almeno credo, perché lui l’ha confessato a Marinette proprio stanotte… Io pensavo che fosse solo un gioco, e invece anche lui sta male, proprio come me-

Afferrò dalla sedia del computer la sua felpa rosa e bianca e sospirò, continuando ad ammettere : -E so anche che Ladybug l’ha baciato, Tikki-, avvampò, -Ma stanotte Ladybug non c’era… e lui era così… così… amichevole, sembrava una persona vera, senza la maschera del cascamorto. Stai tranquilla che a Ladybug non interessa il suo amore… ma a Marinette serve qualcuno che…ecco: lui mi ha fatta star bene-

Si voltò verso l’amica: -Ho bisogno di stare bene, Tikki, cerca di capirmi… Con Chat Noir non può succedere nulla di più di una bella amicizia. Il mio cuore è già impegnato, anche se fa tanto male…-

Posò le mani sulla scrivania, il volto basso e un grande lacrimone pronto a sfuggire dai suoi occhi.

Tikki non sapeva cosa dire, l’analisi di Marinette era lucida e completa. In fondo erano due ragazzi soli, entrambi respinti da coloro che credevano di amare, meritavano il loro angolo di universo.

Accidentalmente erano anche le stesse persone che li respingevano, ma quello era un altro discorso.

La guardò e le sorrise.

La ragazza si sollevò e prese una profonda boccata d’aria, tirando sulla testa il cappuccio della felpa. Salì di corsa gli scalini del soppalco, aprì l’accesso al terrazzino e si sollevò sulle braccia, uscendo nella notte stellata.

Sarebbe stata di nuovo bene.

***

Chat Noir deglutì, immobile all’ombra di un comignolo.

Aveva perso la sua scommessa: Marinette era affacciata al balcone e scrutava l’orizzonte in cerca di qualcosa. Aspettava lui, se lo sentiva

Ringraziò che Plagg non fosse presente per rinfacciargli la sua vittoria e si chiese come fosse stata possibile una previsione del genere.

Non aveva fatto o detto nulla a Marinette che avrebbe potuto far pensare al fatto che lui stesse flirtando con lei. Soprattutto non era stata e non era sua intenzione farlo. Come avrebbe potuto? Era la stessa Marinette di cui aveva parlato con Alya, che aveva visto scappar via, quella che aveva maciullato e lasciato da sola. Non ci aveva mai flirtato con Marinette pur sapendola disponibile, di certo non avrebbe iniziato allora e senza un motivo.

Eppure era tornato da lei. Marinette glielo aveva chiesto e lui aveva obbedito.

Quasi… perché si stava struggendo nell’indecisione di cosa fare. Mostrarsi avrebbe significato che era pronto a passare del tempo con lei, scappare invece, che era solo un codardo.

La ragazza rabbrividì: faceva freddo e chissà da quanto quella povera ragazza era lì ad aspettarlo.

Balzò verso il balcone, facendo leva con il suo bastone sulle tegole dei tetti di Parigi. Si rese conto che lei si era accorta del suo arrivo perché la vide portarsi una mano ai capelli, come faceva in classe quando era imbarazzata. Le atterrò davanti, senza produrre rumore.

-Buonasera-, salutò sorridendo e se l’immaginò iniziare a balbettare, come faceva sempre.

-Buonasera gattone, ti sei fatto attendere!-, rispose invece lei allegra, assestandogli una leggera gomitata in un fianco. Il suo sorriso era apparentemente felice, sembrava rilassata come forse non era mai riuscito a vederla. Chat Noir sollevò stupito le sopracciglia.

Con Adrien solo una volta, forse, Marinette era riuscita ad interfacciarsi senza imbarazzo: quando, prima ancora di conoscersi, avevano litigato per via del chewingum appiccicato sul suo banco da Chloe.

Le piacque questa Marinette ritrovata con cui avrebbe potuto interagire senza la barriera della sua vera identità.

-Un gatto non è mai in ritardo-, la punzecchiò. -Ora entra, Principessa, che ti prenderai freddo.-

Era la seconda volta che Chat Noir le diceva così. Era premuroso da parte sua, non se lo sarebbe mai aspettato, soprattutto considerato che a Ladybug ripeteva sempre di spogliarsi, invece di coprirsi per non prendere freddo… Ma era lo stesso eroe, quello che stava seguendola dentro camera sua, o di nuovo Theo l’Impostore?

Marinette gli fece strada scendendo lungo le scalette del soppalco: quello era il suo piccolo mondo, anche se da un paio di giorni mancava qualcosa di fondamentale.

L’ultima e unica volta che Adrien era entrato in quella stanza, l’aveva fatto passando dalla porta di casa e poi dalla botola che fungeva da porta a quella pittoresca mansarda. Il mondo sembrava rigirato, visto dalla prospettiva di Chat Noir.

-Qua c’erano attaccate tutte le foto di Adrien-, spiegò Marinette senza alcuna vergogna: -Le ho tolte-

Il ragazzo fissò le pareti su cui si vedevano lievi ombre, non le aveva notate prima.

-Adrien…-, era strano pronunciare il suo nome in una circostanza simile, -Le tenevi da molto tempo?-, domandò con delicatezza, indicando il luogo dove c’erano state le foto.

-Penso che fossero lì da poco dopo che è iniziato l’anno scolastico-, Marinette si sedette in punta alla chaise longue, le parole fluivano come in un confessionale e si sentiva più leggera ad ogni frase.

-Le ho tolte solo una volta, quando lui è venuto in camera mia per… studiare-, tagliò corto con un gesto della mano.

Chat non ricordava di aver mai studiato in casa di Marinette: evidentemente si riferiva a quella volta dei videogames.

-E tu?-, le domandò la ragazza, -cosa nascondi della tua bella nel tuo covo segreto?-, assottigliò lo sguardo, incrociando le braccia al petto e accavallando una gamba.

Il giovane le si avvicinò e la fissò dritto negli occhi: quante volte aveva guardato quelle pupille allungate, doveva ricordarsi di chiedergli una cosa a riguardo…

-Marinette, non sono Batman: io non ho un covo…-, cercò di farle capire, comprendendo che avere a che fare con un supereroe, in effetti, poteva apparire fuorviante.

-Ok, allora riformulo la domanda: cosa nascondi della tua bella nella tua cameretta?-, ridacchiò, immaginandosi tanti orsacchiotti con le maschere di Chat Noir.

Chat sedette a terra davanti a lei a gambe incrociate. Poteva finalmente essere sincero con qualcuno che non lo avrebbe mai giudicato per quello che era in realtà.

-Dunque… ho un poster… ho comprato su internet la bambola snodata… ah, già, ho anche il plaid!-

-E ci fai le cosacce, su quel plaid?-, lo schernì ridacchiando Marinette, portando una mano alla bocca, ricordandosi che era notte ed era in camera sua con un ragazzo. E suo padre russava al piano di sotto.

-Signorina!-, Chat le scompigliò i capelli, -Le brave ragazze non le pensano nemmeno queste cose!-, non sapeva se offendersi o ridere per la sua spigliatezza. Che strano pensare a quante cose non conoscesse di Marinette!

-Quindi?-, la ragazza afferrò un cuscino e lo lanciò verso di lui, immobilizzandosi d’un tratto: ma cosa stava facendo? Stava scherzando con Chat Noir di cosa lui facesse con l’immagine di Ladybug…? Cioè, lei ERA Ladybug!

Oh signore… arrossire e coprirsi le guance fu un tutt’uno.

Non avrebbe retto molto il suo segreto, se non fosse stata la prima a darsi un contegno.

-Ok, scusami…-, la vocina piccola piccola…

Il gatto con un guizzo la sorprese alle spalle: -E tu ce le hai fatte le cosacce con le foto del tuo amichetto?-, sussurrò nel suo orecchio e vide il riflesso della ragazza, nello specchio, diventare rosso come un peperone.

-Cambiamo discorso, ok?-, si affrettò a suggerire lei.

Chat si stupì del fatto che Marinette non aveva balbettato nemmeno dopo un tale affondo. Annuì e si andò a mettere comodo sulla sedia girevole.

-Come stai?-, le chiese, notando come la ragazza non avesse smesso di sorridere.

-Non ho più la febbre. Forse dopodomani torno a scuola-, spiegò, -Sarà un duro colpo per me rivederlo-, ammise.

Avrebbe ricominciato a balbettare e arrossire per un nonnulla.

-Adrien non se lo merita-, gli sfuggì dalle labbra. Stava iniziando a perdere il lume della ragione, lo sapeva. Adrien era lui.

-Adrien non sa che io sto male-, lo corresse infervorata Marinette.

-Non esserne sicura…-, si lasciò sfuggire lui, -Ma non si merita ugualmente che tu stia male per lui. Nessuno dovrebbe star male per qualcun altro. Quindi, per favore, smetti di stare male per lui-, l’avrebbe implorata, qualunque cosa pur di allontanare il senso di colpa.

Marinette si chinò accanto a lui, per guardarlo dal basso: -Anche tu stai male per Ladybug?-

Un pensiero forte e chiaro balzò alla mente dei due, contemporaneamente.

-Come fai a sapere che lei è Ladybug?-

“Come faccio a sapere che è Ladybug??? Lui non hai mai detto il suo nome!”

Marinette si morse un labbro, piegando le sopracciglia: -Io…-, si guardò rapidamente intorno cercando una via d’uscita, nel caso in cui il discorso fosse scivolato su dettagli complicati tali da tradire la sua identità, ma lui sarebbe stato più rapido in ogni caso e l’avrebbe messa in trappola…

“Sìì Marinette”, si disse, e ragionò, sciorinando la più ovvia delle spiegazioni: il gossip.

-Lo sanno tutti che ci provi con Ladybug-

-E’ così evidente che sono innamorato di Ladybug?-

Parlarono in contemporanea, si guardarono ad occhi sgranati, risero trattenendosi fin quasi alle lacrime.

-Dovremmo fare flick flock-, singhiozzò lui, asciugandosi il bordo di un occhio.

-Flick flock si fa se abbiamo detto la stessa parola-, lo corresse lei, riprendendo fiato.

Stavano ridendo delle disavventure amorose di Chat Noir. Di qualcosa che faceva male a entrambi, eppure ridevano. Marinette non stava così bene da tanto, tanto tempo. Lui scrollò la testa, pensando a quanto sarebbe stato più facile vivere essendo se stessi in ogni momento e con ogni persona.

-Grazie-, le disse posando le mani sulle sue spalle. Lo sguardo verde saldo e tranquillo.

Marinette sentì che il cuore perse un colpo. -E di che?-, domandò sorridendogli e si sentì chiusa in un caldo abbraccio. Il volto sul petto di lui. Era esattamente dove il suo cuore ferito voleva che fosse, ma non riusciva a capacitarsi del perché.

-Dovrei prendermi un gatto…-, bisbigliò rilassandosi al ritmo del cuore che batteva calmo sotto il suo orecchio.

-Adotta me-, disse lui, iniziando a fare lo stupido. -Miao! Purrr! Miaaaaooo!-, strusciò il capo sulla sua spalla, senza lasciarla andare. Era quasi un dolore fisico sapere che non avrebbe potuto rimanere in quella posizione per molto tempo. Non era la persona giusta al posto giusto, affatto.

-D’accordo… allora per la prossima volta che tornerai da me, ti farò trovare una lettiera profumata!-, gli scompigliò i capelli biondi e avvertì lo stesso profumo che tornava a colpirla con la forza di un pugno nello stomaco e la dolcezza di mille farfalle alzate in volo.

Per un istante si perse negli occhi smarriti di lui.

-Stai bene Marinette?-, dal basso giunse la voce impastata di sonno di Tom Dupain, nella mansarda calò il gelo. D’un tratto il suo mondo vorticò e, quando il viso di suo padre fece capolino dalla botola, illuminato alle spalle, Marinette si rese conto di essere sotto le coperte, nella stanza buia. Da sola e col cuore che batteva all’impazzata.

-Tutto ok…-, farfugliò, presa dalla vertigine che il senso di vuoto le stava provocando.

Si guardò attorno, in cerca della presenza di Chat Noir, vide il padre annuire mentre richiudeva la botola. La stanza precipitò nell’oscurità.

-Stava dormendo, tu ti fai troppi film in testa, Sabine. Ma chi vuoi che ci fosse?-, la voce ovattata del padre filtrò dal piano sotto di lei, accompagnato dal rumore della porta di camera che si chiudeva e la rete del lettone che cigolava, sotto il suo peso.

Com’era possibile… Aveva immaginato tutto?

Corse con la mano verso l’interruttore della abat jour, tremava. Si fermò: aveva paura di scoprire se quello che stava accadendo fosse vero.

Il respiro accelerò, il cuore batteva forte. Perché?

Inghiottì, ma aveva la bocca completamente asciutta.

Udì un piccolo rumore, era stato lui? O Tikki… o il vento, o…

Allungò una mano nel buio, in quella direzione. V oleva che fosse lui…, ma afferrò solo l’aria.

“Adesso Chat si farà vedere”, era un pensiero fisso. Immobile sotto le coperte, iniziò ad abituarsi al buio e si sollevò sui gomiti per guardarsi intorno. Si sentiva osservata, ma forse era solo la sua immaginazione.

-Dove sei?-, sfuggì alle sue labbra tese.

Voleva andare da Tikki, ma se lui fosse stato ancora nella sua stanza, avrebbe scoperto tutto.

Dopo un po’ non riuscì a resistere e accese la luce, guardandosi affannosamente attorno.

Niente, era sola. Scese dal soppalco e guardò sotto la scrivania, dentro l’armadio, dietro la chaise longue.

Tornò su e si issò sul balcone. Si affacciò a destra e a sinistra e scrutò i tetti, per cercare la silhouette nera del ragazzo che stava scappando.

Niente.

Il vento freddo le arruffò i capelli sul viso, li sentì appiccicarsi a lacrime che non ricordava quando aveva versato. Un brivido la percorse dalla testa ai piedi e, rassegnata, tornò dentro, col magone nel cuore.

Spense la luce e si intrufolò sotto la coperta, rannicchiandosi quanto poté.

Aveva immaginato tutto: un amico, una persona che era cambiata da quello che conosceva. Forse era solo il frutto della sua immaginazione: non poteva esistere un ragazzo che stava bene con lei sia come Marinette, che come Ladybug.

Stava impazzendo.

-L’ho solo immaginato, sono una idiota-, mormorò, lasciando che le lacrime inzuppassero il cuscino e cedette al sonno senza smettere di piangere.

***

Erano due le cose successe quella sera che non avrebbe mai potuto cancellare dalla memoria e avrebbe conservato insieme ai ricordi più cari dei suoi affetti d’infanzia, quando c’era ancora qualcuno che gli volesse davvero bene.

La prima era il calore che aveva sentito dentro di sé quando Marinette aveva detto: “la prossima volta che tornerai da me”. C’era tanta dolcezza in quelle parole… tanto affetto e la sicurezza che sarebbe tornato.

Tornavano le persone fedeli, tornavano gli amici e tornavano i genitori, quasi sempre. Tornava la primavera e tornavano i conti se non c’erano errori e lì, lui errori non ne vedeva.

Tornerai da me… c’era possesso nelle ultime parole, c’era fiducia. C’era Marinette.

E lui era tornato: pochi minuti dopo averla infilata di corsa nel letto ed essere sparito spegnendo le luci, quando il padre era apparso in camera. Si era sentito avvampare per la vergogna, come se fosse stato un amante che doveva nascondersi al grido di “Cielo, mio marito!”.

Ma non era così… non c’era niente di sbagliato in quello che stavano facendo, niente di trasgressivo.

Avrei potuto passare più tempo con lei da sempre e capire quanto fosse una persona speciale. Marinette lo faceva stare bene.

Aveva atteso che l’uomo chiudesse la botola e si era avvicinato a lei. Allora l’aveva vista allungare le mani nel buio, respirare preoccupata annaspando come un cieco lasciato solo in mezzo al deserto.

-Dove sei?-, aveva sussurrato e lui aveva pensato di continuare quella mosca cieca un altro po’, in fondo era un gioco ed era divertente.

Finché non l’aveva vista con la luce accesa, un velo di terrore nello sguardo, la ricerca febbrile e il dubbio che non fosse stato reale.

Stava accucciato nell’ombra, in un posto dove non lo avrebbe potuto vedere, e non si palesava a lei.

“Perché l’ho fatto?”, si era domandato in un secondo tempo, ma non aveva saputo rispondersi.

Marinette gli era passata accanto e non lo aveva visto, era uscita in terrazza, si era spenzolata per guardare sul tetto accanto a lei, aveva fissato a lungo i profili delle case.

Poi era rientrata e si era infilata nel letto: -L’ho solo immaginato, sono un’idiota…-, nella sua voce aveva percepito frustrazione e tristezza, tutte cose che dovevano essere sanate e invece erano riaffiorate come pus da una ferita infetta.

Avrebbe potuto dirle che era lì, ma continuò a guardarla, nascosto eppure vicino a lei, finché non fu certo che si fosse addormentata.

Solo allora si era avvicinato e aveva posato un lieve bacio sulla sua guancia umida.

-Perdonami...-, aveva sussurrato al suo orecchio, inspirando il profumo che gli era già familiare, -Tornerò da te-

Le aveva lasciato un piccolo dono, vicino al letto, ed era scappato via.

Quella notte sapeva che Ladybug lo avrebbe cercato per avere spiegazioni in merito alla sua performance in solitaria contro il pizzaiolo akumizzato. Attese per un po’ girellando sui tetti di Parigi, udendo il fruscio intermittente e lontano del traffico notturno e ascoltando i rumori della natura, lontana dalle strade.

Era pronto a rivedere Ladybug?

Non l’aveva più vista, né sentita dalla notte del bacio.

Osservò per l’ennesima volta lo schermo del suo bastone-comunicatore, ma non c’erano messaggi per lui.

Azionò il localizzatore, ma non fu possibile vedere dove fosse la sua bella.

E alla fine se ne andò e rientrò a casa sua, in silenzio, con la testa piena di domande e poche risposte nel suo cuore.

Aveva bisogno di vedere Ladybug, di spiegarle cosa fosse accaduto, di chiederle scusa per quello che aveva fatto e per essere sicuro che fosse davvero quello che voleva. Aveva bisogno di riempire i suoi occhi con l’immagine di Ladybug, perché dentro di lui scavava silenzioso il tarlo di non riuscire più a ricordare il suo viso.

Pregò che l’indomani Papillon fosse stato in forma e avesse spedito un’altra delle sue farfalle su qualcuno, così avrebbe avuto sicuramente modo di rivedere la sua coccinella.

Prima di sciogliere la sua trasformazione prese e aprì una confezione di camembert, per mettere a tacere il suo kwami prima che iniziasse a tormentarlo. Lo vide prendere forma incazzato come al solito e subito allargarsi in un sorriso, alla vista del formaggio, ignorandolo completamente.

Ne approfittò e si buttò sul letto senza farsi la doccia, né spogliarsi e simulò di essere crollato all’istante nel mondo dei sogni.

Udì Plagg leccarsi le zampe, dopo aver spazzolato il formaggio, e ruttare. Lo sentì vicino a sé, che lo scrutava per cercare di capire se fosse sveglio o meno. Gli avrebbe fatto una bella ramanzina, ne era sicuro.

Poco dopo l’animaletto si posò sul letto e si accucciò accanto a lui, rigirandosi un paio di volte per trovare la posizione più comoda, e iniziò a ronzare come un minuscolo motorino. “Micro gatto-micro fusa”, lo prendeva in giro Adrien.

***

“Un kwami dorme, un kwami non dorme. Un kwami riflette, un kwami risolve. Un kwami sa

Con la pancia piena, Plagg riusciva indubbiamente a riflettere meglio. Come kwami era abituato a percepire ogni sensazione dei suoi portatori, quando erano trasformati tramite il Miraculous, ma sapeva che non sempre le emozioni si traducevano in sensazioni. E a lui quella volta interessava capire cosa si agitasse nella testa, o nel cuore, del suo ragazzo.

Aveva preferito fingere di dormire e lasciarlo libero di fingere a sua volta: acciambellato accanto a lui riusciva a interpretare ogni variazione del suo battito, finché non si era lasciato travolgere dalla stanchezza.

Una cosa che un kwami era in grado di fare, e lui del gatto nero era il migliore, era pilotare le azioni del portatore scegliendo per lui come comportarsi nel momento in cui percepiva un corto circuito nelle sensazioni.

Quella notte aveva scelto due volte: quando non aveva fatto sì che Chat Noir si mostrasse a Marinette, lasciandolo nascosto nel buio e quando lo aveva fatto andar via dal tetto su cui si era appollaiato, aspettando invano Ladybug, perché aveva fame.

Era chiaro che Ladybug e Marinette fossero la stessa persona e altrettanto chiaro, nonché strabiliante, il fatto che solo poche ore prima Chat Noir fosse stato capace di catturare da solo una akuma: ma non avrebbe potuto fare a meno della sua collega e portatrice della coccinella, perché la distruzione senza la creazione avrebbe finito per portare caos in lui e tra tutti. E Ladybug era Marinette e se avesse mandato in tilt ancora Marinette, anche Ladybug ne avrebbe risentito. E non potevano permetterselo per Parigi.

Ma la maledizione del gatto nero, come la chiamava lui, stava dando il meglio di sé, portando i due eroi a incasinare in maniera chirurgica ogni cosa.

Marinette era stata messa ko da Adrien. Ladybug era stata turbata oltremodo da Chat Noir.

E adesso anche Marinette stava iniziando a perdere il lume della ragione per Chat Noir, perché era evidente, anche per un daltonico sentimentale.

Contestualmente Adrien pareva interessarsi marginalmente a quello che provava Marinette, mentre Chat era totalmente preso dal leccare le ferite d’amore della ragazza. Allo stesso tempo sentiva ruggire il gatto in calore dentro di sé, pronto a buttarsi su Ladybug come lui faceva sul camembert.

Ci mancava solo che Ladybug fosse pronta a dichiarare il suo amore ad Adrien e il quadretto sarebbe stato completo. Altro che “Closer”…

Insomma, quei due erano fottuti, in un verso o nell’altro.

Marinette avrebbe dovuto ritrovare la sua tranquillità e Adrien calmare i suoi bollori. E viceversa.

Il ragazzo si rigirò nel sonno, schiacciandolo. Plagg rantolò, non riuscendo a liberarsi: menomale che non gli era essenziale respirare.

Il problema era però uno e di proporzioni bibliche: i bollori e le agitazioni erano condivisi tra entrambi i portatori e per calmare gli uni si sarebbero dovute aumentare le altre, e viceversa.

Erano in un cul de sac.

Plagg valutò se fosse stato il caso di vedere le carte dell’avversario e lasciarli giocare la partita sapendo delle rispettive identità, e non seppe darsi risposta.

“Il marmocchio ha paura…”, constatò.

Dopo che aveva ferito involontariamente Marinette e aveva fatto zing con lei nella sua versione in pelle nera con la stessa velocità con cui Chloe offendeva i suoi amici, il grande Adrien Agreste era andato nel panico

E Plagg lo aveva percepito tutto quel panico strisciante sulla pelle del ragazzo: panico per una domanda equivoca di Marinette, panico per il profumo che gli aveva velato la coscienza per qualche istante. Panico per non vedere Ladybug correre in suo aiuto, panico per non averla vista neanche quella notte. Panico quando aveva realizzato che, prima o poi avrebbe dovuto incontrare a faccia scoperta Marinette, dopo tutto quello che aveva provato, e panico perché non aveva la minima idea di come si sarebbe sentito senza la protezione della maschera e di un campanello d’oro. Panico perché avrebbe dovuto rispondere agli spiritelli che si stavano azzuffando nel suo cuore, e Plagg lo percepiva…

La cosa che più gli mancava del suo essere quasi umano non era avere un pene da infilare in ogni buco, come gli aveva rinfacciato Tikki, una volta, ma non poter più sentire quella sensazione di panico, quella vertigine che si prova ad essere in bilico sul burrone e voler spiccare il volo.

Non lo avrebbe ammesso mai con nessuno, ma Adrien Agreste era il portatore che più lo stava facendo sentire vivo e, per questo, il suo preferito. E anche quello con più soldi, quindi quello che gli comprava il camembert migliore.

E sapeva che, ben presto, una solenne mazzata sarebbe caduta sul capo di quel ragazzo, perché il quadro era ormai chiarissimo.

Due rette parallele così vicine da sentirsi unite eppure destinate a non incrociarsi mai.

-Marinette…-, bofonchiò nel sonno Adrien, afferrando Plagg e abbracciandolo come fosse stato un peluche.

“Marinette un cazzo”, avrebbe urlato Plagg, ma aveva il muso attaccato alla pancia del ragazzo e sentiva puntare sulle sue zampe tutta la sua voglia per lei.

***

Eccoci qua… casino eh?

Questo capitolo mi ha un po’ fatta tribolare, perché avevo dipinto un Adrien più rabbioso di quello che in realtà il personaggio sia… spero che la versione finale sia soddisfacente!

Vi ringrazio in anticipo, se vorrete farmi sapere se il capitolo è stato di vostro gradimento!

Un abbraccio a tutti!

Flo.

***DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Togheter is better than alone (Sei anni Prima) ***


10 - Togheter is better than alone (Sei anni Prima)

Quando aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu Tikki, troneggiante sopra di lei, braccia conserte ed espressione truce.

-Stanotte hai pronunciato due volte nel sonno il nome “Adrien”, e ben tre volte il nome “Chat”-, esordì, -E’ mio dovere di amica e guida spirituale farti notare che se vuoi davvero sostituire nel tuo cuore Adrien con Chat Noir, dovresti almeno prima sapere chi è. E dopo dimenticarlo!-

Marinette aprì bocca per protestare, ma fu zittita, -E intendo metterti in guardia con tutta me stessa dalla totale inattendibilità di quel gattaccio, dal suo doppiogiochismo e dalla sua faccia da schiaffi.-

La ragazza inspirò, stava iniziando a scocciarsi di quella paternale.

-Chat Noir ci ha provato per mesi e mesi con Ladybug, fino a strapparle un… bacio?, e quindi ha prontamente dimostrato la sua fedeltà correndo tra le braccia di un’altra due dotti dopo-, concluse, aprendo le braccia come a lasciare il palcoscenico alla ragazza.

Marinette soppesò con cura le parole che avrebbe voluto dire a Tikki per farle capire che non era minimamente interessata a Chat Noir in quel senso. Ed era convinta che fosse lo stesso per lui.

Inoltre… si era immaginata tutto, quindi cosa c’era da parlarle in quel modo?

Allagò le braccia per tirarsi su e urtò qualcosa accanto a lei, e le parole dell’arringa che si stava apprestando a dire le morirono in gola.

-Ah, già, il gattino ti ha lasciato un regalino, stanotte-, chiosò Tikki.

-Com’è possibile?-, domandò Marinette rigirandosi tra le mani il campanello dorato della tuta di Chat Noir.

-Come ti ho già spiegato, non tutte le vostre trasformazioni funzionano allo stesso modo-, azzardò Tikki. In effetti il campanello avrebbe dovuto scomparire assieme a Chat Noir, o ancora prima non sarebbe stato possibile staccarlo dalla tuta.

Marinette era incredula: non era stato un sogno, Chat era stato veramente in camera sua, avevano davvero parlato e giocato… Tikki parlava, parlava, ma lei non la ascoltava più: non se l’era immaginato, era… era tornato davvero da lei!

-Tu. Sei. Ladybug!!!!!!!-, tuonò la bestiolina, colpendo il campanello e facendolo cadere.

L’oggetto rotolò giù dal soppalco e terminò la sua corsa arrestandosi alla botola. Marinette lo seguì con occhi spaventati e rimase a fissarlo in silenzio.

La kwami si gonfiò d’aria, la sbuffò via, scosse la testa e avanzò agitata verso la sua amica. Aveva esagerato...

-Scusa, non volevo…-

Gli occhi azzurri di Marinette la catturarono, al loro interno una tempesta.

-Hai ragione. Io sono Ladybug-, disse in un soffio spezzando il silenzio. Doveva davvero chiarire qualcosa che riguardava quel gatto.

-Tikki, trasformami-, pronunciò e davanti ai suoi, sfilarono per un attimo gli occhi increduli di Tikki.

L’aveva fregata .

Ladybug osservò la sua tuta, allungando le mani avanti al viso e percorrendo con i palmi tutta la superficie dell’abito. Non c’erano cuciture, né zip, né bottoni. Si chinò a raccogliere il campanello e lo soppesò.

Era un normale campanello di metallo, non qualcosa di magico, non un giocattolo.

Chiuse gli occhi e lasciò che fluisse dentro di sé l’energia che le parole di Tikki avevano fatto scaturire.

Era scattata una molla nella sua testa. Lei non indossava un abito da Ladybug, lei era Ladybug, con ogni fibra del suo corpo. E Tikki faceva parte di lei.

Sfiorò la maschera che Ladywifi aveva provato a toglierle e sentì solo la sua stessa pelle.

Fece un salto e per la prima volta si rese davvero conto che aveva una forza enorme.

Afferrò il suo yoyo e lo soppesò tra le mani; poi iniziò a rotearlo e, sì, lo faceva ad una velocità incredibile.

Non era lo yoyo a muoversi, ma lei a farlo.

In quel momento la luce verde sulla sua arma iniziò a lampeggiare.

-Maledizione-, imprecò e con un balzo uscì da casa sua e volò sui tetti di Parigi. Non aveva nemmeno fatto colazione.

***

Finalmente la sua collega aveva ripristinato le comunicazioni.

Chat Noir continuò a correre dietro lo sciame impazzito di api scappate dal laboratorio di ricerca nei pressi della Villette, con il comunicatore all’orecchio.

”Rispondi”, pregò.

Era allergico anche alle punture di ape, oltre che alle piume di piccione e alle graminacee e per la prima volta, di fronte ad un’emergenza quasi normale, aveva paura.

Lo sciame davanti a sé cambiò direzione di volo e si rivolse contro di lui, tornando indietro.

Imprecò scansandolo per un soffio, nascosto spalle al muro in una rientranza del grattacielo.

-Hai paura di queste apine pelosette?-, domandò una voce così familiare eppure eccitante, ogni volta. Ladybug teneva le api lontane con il suo yoyo.

-Alla buonora-, le disse staccandosi dal muro e fissando gli occhi nei suoi, -Eri andata in vacanza?-, la apostrofò.

-Il gattino oggi è nervosetto…-, notò lei.

-Non sono nervoso, sono allergico alle api-, Chat afferrò alla vita Ladybug, era arrabbiato con lei perché era sparita, e allo stesso tempo la desiderava vicino a sé con ogni fibra del suo corpo: nell’attimo in cui l’aveva vista ogni dubbio su cosa provasse per lei era svanito e lui si era sentito obnubilato dalla sua presenza finalmente vicino a sé; -E mi sei mancata-

L’avrebbe baciata. Al diavolo le api, i mostri, Papillon e i loro doveri: rivederla aveva acceso la miccia ci un fuoco che era deflagrato in ogni sua cellula. Nonostante tutti i suoi pensieri, nonostante i dubbi, lui la voleva con tutto se stesso.

Ladybug deglutì: gli occhi felini di Chat Noir la fissavano seri e ardenti mentre la stringeva e, specularmente a lei, roteava la sua arma per tenere lontani gli insetti. Di solito sghignazzava o le faceva gli occhi da James Dean, ma in quel momento era… sembrava diverso. Più consapevole.

Per un istante vide la stessa espressione seria che aveva avuto con Marinette, preoccupandosi della sua salute e della sua delusione amorosa. Il suo cuore perse un battito, il respiro sussultò.

-C’è lo zampino di Papillon?-, gli domandò sforzandosi di mantenere la voce salda, distogliendo lo sguardo e cercando intorno a sé qualche segnale di un mostro.

-Non ne sono sicuro-, le rispose Chat Noir. Voleva chiudere questa storia il prima possibile e poi riuscire a parlare con lei.

Usando le loro armi come enormi ventilatori, in breve riuscirono a indirizzare tutte le api verso l’interno del laboratorio di ricerca, che era deserto. Stavano per rinchiuderle dentro le loro arnie, quando una presenza si materializzò davanti a loro, animata da milioni di piccoli insetti.

-Io sono Bumblebee e voglio i vostri miraculous-, sentenziò ergendosi sulle loro teste come un enorme golem fatto d’api. Chat Noir sbuffò rumorosamente, seccato da quel contrattempo che avrebbe rubato loro chissà quanto tempo.

-Lo dicevo che c’era di mezzo un’akuma-, esclamò Ladybug, ma le parole le morirono in bocca, nel momento in cui la creatura che si era presentata come Bumblebee si dissolse in uno sciame di insetti che presero a volare vorticosamente in tutto il laboratorio, producendo un ronzio acuto e minaccioso. Ladybug osservo con attenzione, ma non vide oggetti in cui avrebbe potuto nascondersi l’akuma: a chi avrebbero dovuto dare la caccia?

-Dov’è l’akuna?-, Chat Noir sentiva le api attorno a sé, tante, tante api, che ronzavano arrabbiate e la porta del laboratorio era troppo distante per scappare senza passare attraverso lo sciame.

-Proteggiti!-, udì l’urlo di Ladybug, che continuava a far girare lo yoyo, ma un breve dolore lo colse al collo, sotto al mento.

-Mi ha punto, maledizione!-, la voce del ragazzo lasciò trasparire il panico.

Di nuovo la creatura si riformò e gli parlò a nome di Papillon, -Hai affrontato da solo una mia akuma, Chat Noir, non pensavo che ne saresti stato capace-, le api giravano attorno alla sua testa, intravedeva la sagoma di Ladybug oltre la spessa coltre, che non riusciva a fendere neanche con i suoi artigli. Le sue urla gli arrivavano deformate dal ronzio che rimbombava nella sua testa, mentre un fuoco lo consumava partendo dal suo collo.

-Voglio farti una proposta-, continuò la voce, -Lavora con me, prendi il Miraculous di Ladybug e portamelo. Senza di lei potremo conquistare il mondo, tu ed io-.

La puntura bruciava e pulsava da impazzire: “il coraggioso Chat Noir ucciso da un’ape”, avrebbero titolato i giornali. Portò la mano alla gola e sentì che l’insetto era ancora attaccato al suo pungiglione.

Lo strappò sentendo una fitta e lo guardò: -Maledetta…-

Mentre sentiva l’aria iniziare a mancargli, pensò che sarebbe stata l’ultima volta che usava il suo potere e la stava sprecando per rabbia .

-Cataclisma-, ringhiò e chiuse la mano intrisa di energia distruttiva sull’insetto che si divincolava sul suo palmo. Sarebbe bastato aspettare e l’ape avrebbe cessato di vivere da sola. Ma temeva di non riuscire a vederlo.

Aprì la mano mentre il mondo sembrava diventare lontano, senza colori.

L’ultima cosa che vide, prima di svenire, fu una farfalla viola spiccare il volo sfuggendo al suo pugno.

Le api si fermarono tutte assieme, liberando a Ladybug la visuale sul compagno che cercava di raggiungere. Una akuma sfuggì alla mano chiusa del ragazzo, nel momento in cui lei lo vide crollare privo di sensi.

La terra parve tremare sotto ai suoi piedi, un’ondata di panico strisciante la attanagliò alle gambe. In un istante catturò la farfalla con il suo yoyo e raggiunse il giovane.

Non respirava.

Cosa doveva fare… come poteva… Non era stata attenta in classe quando la professoressa di scienze aveva spiegato la lezione sugli insetti e aveva citato ragni, scorpioni e imenotteri come letali per alcune persone predisposte. Cosa andava fatto? Succhiato il veleno dalla puntura? Non ricordava…

Fece l’unica cosa in suo potere ed evocò il Luchy Charm, che si presentò a lei come un barattolo di miele.

Doveva usarlo e poi far cadere sul mondo la sua magia, ma c’era poco tempo.

Svitò il barattolo e lo avvicinò ad un’arnia, sperando che tutte le api smarrite che si erano posate a giro per il laboratorio ne sentissero il richiamo. Ogni secondo era prezioso e quegli insetti ci mettevano troppo tempo.

Si buttò per terra e sollevò la testa del ragazzo sulle sue gambe, sentendo le lacrime scivolare sulle guance, mentre pregava silenziosamente perché il piano avesse successo.

Non poteva pensare di perdere proprio lui… Chat era uno sbruffone, ma le voleva bene… Era il suo complice da quasi un anno e aveva iniziato a conoscerlo davvero solo due giorni prima, senza la sua maschera rossa a pois neri. Non poteva perderlo in quel momento… Chiuse gli occhi e posò un baciò sulle sue labbra. Svegliati, pregò, ma lui non era Biancaneve e lei non era il Principe Azzurro. Si alzò incredula, sola in una stanza asettica con il cuore a pezzi.

Non attese che le api entrassero tutte nell’arnia e vi infilò la mano dentro. Dolore. Qualche puntura, ma non importava.

Afferrò il vaso del miele e lo lanciò in aria, urlando con tutta da disperazione che aveva dentro.

***

Dov’era?

Inspirò una lunga boccata d’aria. Aria…

C’era solo il cielo sopra di lui e una piacevole sensazione di calore sotto il suo collo.

Una mano si mosse tra i suoi capelli, la seguì con lo sguardo.

-Buongiorno-, disse semplicemente Ladybug, il viso girato dalla parte opposta al suo.

Allungò una mano verso di lei e si accorse che non aveva il guanto nero. Non aveva neanche tutto il resto: non era più trasformato in Chat Noir! Si tirò su di scatto e sentì la testa girare vorticosamente.

-Piano ragazzo-, la voce seria di Plagg lo impaurì. Era morto…?

L’esserino posò la zampina sul suo viso. -Trasformati-, gli ordinò, -Lei sta aspettando-

Adrien si voltò verso Ladybug e si accorse che era ancora girata dalla parte opposta a lui. Teneva gli occhi serrati.

Obbedì al suo kwami e riprese le sembianze di Chat Noir, solo allora Ladybug si girò verso di lui.

-Mi hai fatto prendere uno spavento…-, gli si buttò al collo e finalmente pianse tutta la paura che aveva dentro. Lasciò che si calmasse.

-Cos’è successo?-, le domandò massaggiandosi una tempia, -Io… non ricordo-

-Ti sei fatto pungere da un’ape, stupido gatto-, gli spiegò, staccandosi da lui e tirando su col naso, -Ma sei stato bravo, perché quell’ape conteneva l’akuma, e tu l’hai liberata”

Wow, e l’aveva fatto da solo?

-E poi sono morto-, continuò per lei.

-No, stupido, e poi ho usato il Lucky Charm-, come se fosse una cosa da nulla. Ladybug lo guardava incredula e timorosa che potesse scomparire da un momento all’altro.

Il sole pallido penzolava a metà cielo. Era ancora mattina.

-Ho tenuto gli occhi chiusi-, gli prese una mano e lo guardò. -Mi ero assicurata che stessi bene e poi ho chiuso gli occhi.-

Chat Noir annuì: -Hai conosciuto Plagg…-, constatò.

-Oh, sì-, ridacchiò Ladybug, lasciando la sua mano e portando le sue alle guance, come per contenere un rossore -Che tipo!-

-Come avete fatto con il camembert?-, domandò.

-Siamo sul tetto di un centro commerciale: ho sciolto la trasformazione e ho comprato camembert e biscotti per il mio kwami-, spiegò pragmaticamente.

-Wow-, che donna

-Volevo dirti che… sei stato bravo, davvero, sia prima che ieri. Mi dispiace non esserci stata-, abbassò il viso.

-Plagg mi ha detto che avevi la febbre. E’ vero?-, le domandò e Ladybug divenne rossa. Come faceva a saperlo!?

-Io…Sì… no, cioè… avevo la febbre, ma stavo bene eh!-

Chat Noir era esterrefatto: Ladybug che balbettava? Per una domanda così innocua?

-Tranquilla-, le sorrise, -Ho fatto da solo senza problemi. Seguivo quella akuma già da un pezzo-

Lo sguardo interrogativo lo fece andare avanti: -Era destinata una ragazza che conosco… problemi di cuore… ma… qualcosa deve averla fatta star meglio e la akuma l’ha lasciata in pace. Io ero… in zona-, un gesto vago con la mano.

Era lei quella ragazza … aveva rischiato di rovinare tutto per la sua debolezza. Cosa sarebbe successo se l’akuma l’avesse raggiunta? Non riusciva a capacitarsene.

-Grazie Ladybug, mi hai salvato, e io…-, Chat Noir si portò una mano alla nuca, lievemente imbarazzato, sapendo che doveva il prima possibile chiarire quello che era accaduto tra loro due notti prima. Si sentiva come una teiera dimenticata sul fuoco, prossima a sbuffare e fischiare.

Provò a dire qualcosa, ma non sapeva come iniziare il discorso. -Io…-, alzò gli indici per darsi uno slancio, ma li richiuse subito nei pugni, scuotendo la testa. Serrò i denti e trattenne il fiato.

Era così tenero! Era palese che voleva dire qualcosa e non sapeva come fare… L’occasione giusta per punzecchiarlo.

-Hai bisogno di una spinta?-, lo guardò come un adulto guarda un bimbo in difficoltà e sorrise nel vederlo stringere le labbra e inghiottire, voltandosi.

Sollevò il palmo di una mano, l’altra conserta in vita e spalancò la bocca, ma di nuovo soffiò via l’aria sgonfiandosi e non produsse suono.

Era un’agonia solo il guardarlo. Ed era dolcissimo.

-Chat…-, posò una mano sulla sua spalla, non lo avrebbe più deriso e lo tirò appena, per farlo voltare. Aveva il viso rosso ed era chiaramente imbarazzato. Di riflesso, lei comprese e arrossì.

-Pper me è stato importante-, sputò il rospo, finalmente e annuì, mestamente soddisfatto di avercela fatta.

Ora sarebbe toccato a lei dire qualcosa…

Ladybug sospirò. La parola giusta? Eccitante, come aveva notato Tikki, ma non poteva dirlo così.

-Per me è stata una sensazione… nuova…-, sì, poteva andare.

Chat sbatté gli occhi due volte: -Vuoi dire che non avevi mai…-, Ladybug annuì, imbarazzata.

Cazzo… le aveva rubato il primo bacio…

-Io… non volevo… ecco… capisco che per una ragazza…-

-E’ stato importante anche per me, Chat-, lo tranquillizzò. Ma il terrore che aveva appena provato e la prepotente paura di perderlo pochi minuti prima montarono nel suo petto come la marea. Non voleva più provare il terrore che un amico potesse sparire per sempre. Soprattutto lui.

Se me ne innamoro, sono fottuta.

Un pensiero netto, non da lei quello che le balenò in testa, ma perfetto per quello che le ribolliva dentro.

Prese quanta più aria poté e lo guardò.

-Ma non dovrà accadere più-, affermò e abbozzò un sorriso di scuse.

-Oh-, fu l’unica reazione di Chat che non scollò gli occhi da lei.

La vide cincischiare qualche istante torturandosi la punta di un guanto, lo sguardo basso che ogni tanto guizzava verso lui per carpire un segnale di qualunque genere; spostò il peso da una gamba all’altra.

Lo fissò con occhi da cucciolo, sperando in qualsiasi reazione da parte sua, allungò una mano e la ritrasse prima di sfiorarlo. Infine svuotò i polmoni e, scuotendo la testa, con un balzo sparì.

Non erano neanche le dieci di mattina ed era stato appena scaricato dall’amore della sua vita. Grandioso.

***

-Adrien, questo è intollerabile!-, mentre rientrava furtivamente dalla finestra di camera sua udì un colpo alla sua porta, presumibilmente l’ultimo di una lunga serie. Non era usuale che la voce di Gabriel Agreste risuonasse tra le mura della loro casa, ancor meno che ne fosse lui la causa.

Chat Noir si affrettò ad aprire l’acqua nella doccia e vi si buttò sotto, mentre scioglieva la sua trasformazione e si spogliava rapido.

Fradicio, afferrò un telo e corse alla porta, coprendosi meglio che poté.

Ruotò la chiave e aprì appena l’uscio.

-Fammi entrare-, tuonò Gabriel, forzando la sua resistenza. Per terra c’era una scia di acqua, i capelli biondi del figlio grondavano. Aveva la faccia sconvolta.

-Sono le dieci e mezzo, Adrien-, e tu avresti dovuto essere in classe due ore fa-, buttò un occhio ai panni bagnati abbandonati per terra sulla porta del bagno.

-Vorrei sapere cosa hai fatto stanotte per non sentire la sveglia, le mie chiamate e Nathalie alla tua porta. Ho lasciato il mio appuntamento e sono corso qua, perché volevo vedere con i miei occhi cosa stesse succedendo-

Ecco, quello faceva più paura dello sciame di api.

Gabriel batté con i pugni sulla scrivania, smuovendo appena il mouse e facendo risvegliare il computer, in sospensione.

Gli apparve l’immagine di sua moglie assieme a quello sciagurato. Digrignò i denti e si voltò, ripensando alla suo ultimo fallimento.

-Adesso vestiti e vieni con me-, ordinò al figlio, lanciando un ultimo sguardo alla foto di sua moglie e sbattendo la porta.

Adrien si lasciò cadere sul letto, inzuppando il cuscino con i capelli. Scostò con la mano un ciuffo dagli occhi.

Maledizione…

Non era fisicamente in grado di affrontare una discussione con suo padre dopo quello che gli era appena successo.

Aveva rischiato di morire due volte: per quella maledetta ape e per le parole di Ladybug.

Lei non lo voleva, mai più, e invece, per Dio!, lui non voleva che lei!

Si rizzò a sedere e nascose la testa tra le mani, lasciando che le lacrime si confondessero con l’acqua che scivolava sul suo viso.

Perché? Perché salvarmi allora? Perché mi fai questo My Lady?

Era un dolore impossibile da sostenere, si sentiva mancare l’aria, avrebbe urlato, ma non poteva.

Lui non poteva.

Gli balenò l’immagine di Marinette da sola sul suo balcone, sfatta dopo ore di pianto disperato e solo allora comprese che cosa doveva aver passato la sua amica.

Strinse i denti e afferrò qualcosa dal suo armadio. Infilò dei pantaloni di felpa e una fruit e, asciugandosi gli occhi con i palmi delle mani, si affrettò a raggiungere suo padre.

***

Marinette stava immobile con il viso nascosto tra le mani, i gomiti sulla scrivania e, tra di essi, una piccola pozza di lacrime.

Ladybug aveva fatto quello che lei le aveva consigliato, allora perché, guardando la sua amica di nuovo in quelle condizioni, Tikki si sentiva così male?

Non aveva emesso un suono. Il suo era un pianto d’addio, un pianto in punta di piedi. Il pianto di chi sparisce dall’uscita laterale per non dare nell’occhio.

Aveva affondato la lama in profondità nel cuore di Chat Noir, sentendo come ogni fibra della sua spumeggiante vitalità veniva recisa e, mentre lo faceva, non era riuscita a guardarlo con gli occhi di Ladybug: era stata Marinette a calare la falce ed era stato come soffrire assieme a lui.

Con che cuore ci aveva scherzato, solo poche ore prima? Per scoprire i suoi punti deboli e poi colpirli.

-E’ finita-, mormorò voltandosi finalmente verso la sua kwami, -Non era vero che più in basso di com’ero non ci potevo finire-, si sforzò di sorriderle, ma le sue labbra si piegarono in un broncio struggente.

Tikki si avvicinò a lei e non poté fare altro che abbracciarla, a modo suo.

Di una cosa era certa: la bambina si era fatta donna e aveva rinunciato a tutti i suoi sogni.

-Starò sempre con te-, le disse e una lacrima scivolò sul suo visino tondo e si aggiunse a quelle della sua cara Marinette.

***

Buongiorno a tutti: questo capitolo è importante per le dinamiche LadyNoir della storia, mi raccomando ricordatevelo per bene, che poi vi interrogo!

Vediamo uno Chat in totale balia della sua bella e una Ladybug in balia dei suoi principi e di una forza che le è estranea, in qualche modo.

Tikki si sente spettatrice, carnefice e vittima dei suoi stessi consigli, ma finalmente comprende che la sua protetta ha due gambe ed è in grado di camminare da sola

Gabriel Agreste… agitato il papino, no? :-P

Un abbraccio a tutti e fatemi sapere che ve ne pare!

***DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Genitori&Genitori (Sei anni Prima) ***


11 - Genitori&Genitori (Sei anni prima)

Gabriel Agreste richiuse il pesante tomo con un movimento lento, come a cercare di memorizzare ancora una volta quell’immagine che lo tormentava da mesi.

L’anello era sempre stato lì, sotto al suo naso da chissà quando, e lui l’aveva ignorato.

Prese aria per cercare di affrontare nel modo più conveniente la situazione. Il Miraculous del Gatto Nero doveva essere suo senza ulteriori ritardi e sarebbe stato proprio Chat Noir a consegnarglielo.

Portò una mano al nodo della cravatta, sentendo il leggero gonfiore della spilla nascosta sotto di essa.

Era ad un passo da ottenere metà del suo trofeo e ancora una volta era andato tutto perduto grazie alla sua avversaria.

Ma stavolta aveva rubato un’informazione preziosissima e sapeva che l’avrebbe usata senza remore.

Adrien bussò poco dopo ed entrò nello studio senza ricevere il permesso. Aveva gli occhi lucidi e i capelli ancora bagnati. Avanzò scalzo fino alla sua scrivania, la sua faccia era immobile come una maschera di bronzo solcata da due occhiaie profonde.

Rimase in piedi davanti a lui senza proferire parola. Se ci fosse stata sua madre, ne era certo, sarebbe corso immediatamente da lei a farsi abbracciare, come faceva ogni volta che era giù di morale.

-Siediti-, gli ordinò e il ragazzo obbedì, contraendo impercettibilmente le mascelle.

Le mani raccolte in grembo, fissava un punto dietro a lui, immobile.

-Devo parlarti-, gli disse senza troppi preamboli, invitandolo ad avvicinarsi al tavolo, per osservare il suo computer.

Premette il tasto play sul riproduttore video e subito apparvero i fotogrammi sgranati di una telecamera di sorveglianza di un laboratorio.

Adrien lo riconobbe immediatamente e raggelò.

-Senza dubbio tu sai chi sia questa persona-, chiese Gabriel, indicando Chat Noir e Adrien annuì.

Era in trappola e non sapeva se ne sarebbe uscito.

Tutta la scena della sua aggressione da parte dello sciame di api gli scorse davanti agli occhi senza audio: vide una enorme palla nera attaccarlo e, di lato all’immagine, Ladybug che cercava di farsi strada per aiutarlo. Poi, d’un tratto, le api si dispersero e fu di nuovo visibile la sua figura stesa a terra, subito soccorso dalla ragazza in rosso.

Sapeva com’era finita storia, era vivo e vegeto e lo doveva solo al suo intervento, ma le immagini mute gli mostrarono cose che non conosceva.

Ladybug disperata sopra di lui che lo chiamava e piangeva fino a chinarsi e baciarlo sulla bocca.

Subito dopo un bagliore e un barattolo di miele creato dal nulla richiamò le api fino a che lei non usò ancora il suo potere, rimettendo a posto ogni cosa.

La vide chinarsi ancora su di lui e alzare gli occhi al cielo, poi lo sollevò tenendolo per un braccio e si allontanò di là, uscendo dal campo: fortunatamente la registrazione non aveva ripreso altro.

Per un istante Adrien trasse un sospiro di sollievo, ma non era quello l’importante, quanto quello che Ladybug aveva fatto mentre lui era incosciente. Lei lo aveva baciato!

-E altrettanto certamente sai anche chi sia questa ragazza…-, riprese Gabriel, distogliendolo dalle emozioni che tornavano ad azzuffarsi dentro di lui.

-E’ Ladybug-, rispose aprendo bocca per la prima volta.

Sotto al tavolo le unghie stavano bucando i palmi dentro ai pugni serrati. Allentò un attimo la presa, avvertendo un impercettibile movimento del suo anello.

Solo allora comprese in che trappola fosse caduto e si maledisse per non essere stato più furbo.

-Come puoi vedere, Adrien, Ladybug ha dimostrato una particolare apprensione per la sorte del suo collega-, Gabriel chiuse il suo computer portatile e incrociò le dita davanti al figlio.

Adrien annuì, cercando di rimanere impassibile.

-E’ quindi lecito supporre che tra i due supereroi di Parigi ci sia qualcosa di più di un semplice rapporto di squadra-, continuò, scrutandolo alla ricerca di una qualsiasi reazione.

-Mi hai chiamato per parlare di gossip?-, contrattaccò Adrien, sollevando un angolo della bocca.

-Il gossip smuove le opinioni, Adrien, e le opinioni influenzano le masse. Il mio lavoro come stilista è quello di intercettare queste masse e le loro opinioni e far sì che diventino le mie opinioni quelle che seguiranno d’ora in poi-, si allungò verso di lui: -In poche parole, sì: ti ho chiamato per parlare di gossip-, rifletté la stessa espressione del figlio.

-In questo caso specifico, i fatti singolari sono due: primo per la seconda volta consecutiva una akuma è stata fermata da Chat Noir, che però sembra essere ‘caduto in battaglia’ e, secondo, finalmente è svelata la relazione che c’è tra Ladybug e Chat Noir.-

Adrien si sforzò di non muovere neanche un muscolo, ma avrebbe voluto urlargli contro che quello che stava dicendo non era vero, che quelle immagini erano solo una tortura per lui, che conosceva l’epilogo e che per nulla al mondo avrebbe voluto che Ladybug si fosse scoperta su una sua così grande debolezza, a causa sua.

Un leggero movimento nella sua tasca lo mise in allarme, era in trappola, non avrebbe potuto uscirne: suo padre aveva chiaramente scoperto che lui era Chat Noir e avrebbe cercato in ogni modo di impedirgli di trasformarsi ancora.

-Cosa pensi che succederebbe a Ladybug se il suo principe azzurro scomparisse-, riprese Gabriel, sporgendosi verso di lui, -O se decidesse di schierarsi con il suo più grande nemico, per esempio, collaborando con lui?-

Fu un flash.

“Lavora con me, prendi il Miraculous di Ladybug e portamelo. Senza di lei potremo conquistare il mondo, tu ed io”

Quella voce…

-Papà…-, fu un bisbiglio perso nel caos che ruggiva dentro di lui.

Gabriel studiò l’espressione terrorizzata sbocciare sul volto del figlio, ne percepì da lontano la paura, la vide negli occhi sgranati, e nei muscoli tesi del collo.

Si alzò e, lentamente, si mise dietro a lui.

Posò le mani sulle spalle del ragazzo: tremava.

-Tu hai un anello molto simile a quello di Chat Noir, Adrien-, infine parlò, -Da dove viene?-

Adrien chiuse gli occhi e si sforzò di rallentare il suo cuore che correva all’impazzata come un tir diretto contro un muro.

Conta fino a dieci e dopo rispondi con la verità, piccolo mio.

O se la verità può ferire di più di una leggera bugia, menti.

Ci sarà sempre tempo dopo per chiedere scusa.

Glielo aveva detto la mamma una volta, tantissimi anni prima. Lui aveva involontariamente fatto cadere un vaso antico nello studio di suo padre, mentre giocava con il suo aeroplanino radiocomandato ed era subito corso da lei, terrorizzato.

“C’erano le finestre aperte e il vento ha fatto perdere il controllo dell’aeroplano”, le aveva spiegato, singhiozzando.

La donna lo aveva guardato seria, gli aveva accarezzato la testa e dopo si era aperta in un sorriso dolce e complice: “Dai la colpa al vento, allora: in fondo è colpa sua”, gli aveva suggerito ed anche quello era andato a mischiarsi nella lista dei loro segreti.

-Allora, Adrien?-, insistette Gabriel, stringendo appena la presa sulle spalle del figlio.

-Me lo ha regalato la mia ragazza, ma non sarai contento di sapere chi è-, rispose e sentì un colpetto nella tasca.

La presa sulle spalle si allentò impercettibilmente: Adrien stava cercando di bluffare?

-Chi è-, chiese, vedendo le carte.

Il ragazzo si girò verso di lui e ficcò gli occhi nei suoi: -Si chiama Marinette ed è una grande fan di Chat Noir-, concluse, rizzandosi in piedi per guardarlo direttamente.

Si sforzò di ricordare quel visto una decina di anni prima, quando era ancora un bambino e lui il suo eroe, ma non ci riuscì. Davanti a sé vedeva solo un uomo dalle mille maschere, pronto a ferirlo in ogni possibile modo.

Davanti a sé, con ogni probabilità, c’era Papillon.

L’unico scopo era uscirne vivo giocando le sue carte con tutta la scaltrezza che poteva avere. Riprese.

-Se avesse visto lei, questo video, credo che sarebbe morta dallo spavento-, fece un passo in avanti, costringendo il padre a indietreggiare, -Ma per fortuna sua e mia non lo ha visto. Ho sempre il timore che mi lasci per inseguire quell’eroe da quattro soldi-

Un altro passo. Dall’altra parte, silenzio.

-E io non voglio che questo accada e sai perché?-, fece una pausa e prese aria, -Perché io la amo-

Un passo avanti.

-Amo tutto di lei, amo le sue fissazioni-, e con un breve movimento alzò la mano che portava l’anello, -Amo la sua dolcezza e la amo per quello che è, che a te piaccia o no-

Si avvicinò ancora, sfiatando aria a pochi centimetri da lui.

-Non dici nulla, papà?-

Ancora un passò: era quasi a metà stanza.

Gabriel strinse i denti e assottigliò lo sguardo. Per un attimo volle credere alla versione del figlio: in fondo sarebbe stato un sollievo sapere che non era contro di lui che aveva combattuto per tutto quel tempo.

-Ha un cognome, questa Marinette?-, domandò e vide un sorriso obliquo increspare il viso del figlio. Negli occhi un lampo.

-Dupain-Cheng, ed è la figlia di un fornaio-, Adrien sferrò l’ultimo attacco: -Ma io ho dovuto tenere tutto nascosto e sai perché? Perché tu non accetteresti mai che tuo figlio sia fidanzato con una ragazza così umile, non è vero? Tu pensa: il figlio del grande stilista Gabriel Agreste e la ragazza di strada! Sicuramente avevi già pensato a chi fosse più adatta per la mia immagine, non è così? O forse dovrei dire “per la tua immagine”?-

“Mamma, come fai volere sempre bene a papà, anche quando è così arrabbiato?”, gli aveva domandato dopo che si era calmato, in braccio a lei. Aveva pianto tantissimo e non riusciva a capire dove avesse sbagliato.

“Perché io lo conosco da tanto, tanto tempo, Adrien-, gli aveva sorriso, riempiendolo di baci su tutto il viso.

“Lui mi considera sbagliato, non mi vorrà mai bene davvero”, la mamma aveva puntato un dito sul suo nasino.

“Non dire così, Adri, tuo padre in fondo è un uomo dal cuore grande. Anche io pensavo di essere sbagliata, per lui, eppure lui non si è mai arreso, con me”, un luccichio negli occhi di giada.

“E tu ti sei mai arresa, con lui?”

“Mai: quando l’ho conosciuto ero solo una ragazza di strada, come mi chiamava lui, e ho lottato per diventare una principessa degna di Gabriel Agreste”

Un colpo sordo in mezzo al cuore: due occhi verdi come quelli della sua ragazza di strada conficcati su di lui. Una storia che pareva ripetersi e di cui lui era totalmente all’oscuro.

Strinse di più le mascelle, lasciò che l’aria fluisse nei polmoni senza dare a vedere che si stava agitando.

Adrien si scostò un poco e incrociò le braccia, sporgendosi verso il suo orecchio.

-Quindi, non ho capito, in definitiva per cosa mi hai chiamato, papà?-, la sua voce appena sussurrata.

Gabriel chiuse gli occhi e scosse la testa, spostandosi di lato e lasciandogli via libera per uscire.

-Visto che ormai oggi ho saltato la scuola, ti chiedo il permesso di andare a trovare la mia ragazza a casa sua, perché è malata ed è rimasta a casa-, aggiunse, inghiottendo la paura appena vinta.

-Vai-, rispose in un soffio lo stilista e attese che gli sfilasse accanto.

-Sarò impaziente di conoscere Marinette-, disse restando immobile, mentre la porta si chiudeva alle spalle del figlio.

Non si sarebbe arreso così facilmente…

***

Merda!

Adrien percorse i metri fino alla sua camera senza respirare, vi entrò come una furia e si infilò al volo calzini e scarpe da tennis, poi afferrò la prima felpa che gli capitò sottomano e uscì come una furia, quasi correndo verso il giardino.

-Andiamo-, accompagnò con un gesto della mano l’ordine rivolto al suo autista e montò in auto prima di lui.

-Forza, forza-, lo incitò, -Portami alla boulangerie accanto a scuola-

Solo quando il cancello si fu richiuso dietro l’auto ed ebbero svoltato l’angolo, svuotò i polmoni e si lasciò scivolare sul sedile, chiudendo gli occhi. Il cuore batteva forsennato in petto, le orecchie gli fischiavano.

Non aveva mai provato così tanta paura come poco prima e aveva bisogno con tutto se stesso di scappare da suo padre.

Non riusciva a mettere insieme un pensiero di senso compiuto, tanto era disorientato, sconvolto e preoccupato.

Aveva, nell’ordine, ricevuto un rifiuto definitivo da Ladybug, scoperto che il loro nemico era proprio suo padre e messo in mezzo a quella guerra sovrannaturale Marinette.

“Sarò impaziente di conoscerla”

Quella era una minaccia nella lingua di Gabriel Agreste e ogni cellula del suo corpo lo stava maledicendo per aver tirato in ballo proprio lei.

Perché ho detto Marinette?

Certo, doveva tirarsi fuori da quella situazione e sul momento era stata l’unica vera soluzione che aveva trovato… ma perché nominare proprio lei? Eppure gli era venuto naturale raccontare quella storia, aveva un senso, se l’era immaginata reale, mentre ne parlava al padre: non poteva che essere Marinette il pezzo del puzzle mancante nella sua versione.

L’auto si fermò davanti alla vetrina della boulangerie e l’autista grugnì qualcosa di incomprensibile come al solito.

-Torna pure a casa, io mi trattengo per un po’ e dopo rientro con la metro-, scese dall’auto e, per non dare nell’occhio, infilò direttamente nel negozio.

***

La campanella all’ingresso tintinnò allegra mentre si richiudeva. Un ragazzo biondo si appoggiò con le spalle alla porta, i palmi piantati su di essa come a voler tenere fuori qualcosa; chiuse gli occhi per un attimo sollevando la testa al cielo e sospirò, riaprendoli. Sembrava spaventato.

Tom lanciò un’occhiata veloce al di là della vetrina, ma non notò nulla di anomalo. Erano tempi di akuma, quelli e non sarebbe stata la prima volta che avrebbe offerto riparo a qualche sventurato. Tom si volse di nuovo allo specchio che aveva nel retro e che gli mostrava in modo indiscreto se ci fossero clienti nel negozio. Notò che il ragazzo si stava guardando intorno con aria stravolta, forse aveva bisogno davvero di aiuto: si mostrò a lui con un saluto e un sorriso cordiale e lo scorse inspirare il profumo di biscotti appena sfornati, con le narici aperte e le guance rosse.

-Tu devi essere uno dei compagni di Marinette, se non sbaglio-, lo salutò appoggiandosi al bancone con un gomito: era il biondino che faceva il modello, quello che, se non aveva sbagliato, aveva appena causato non poche delusioni alla sua cucciolotta.

Il ragazzo lo guardò dal basso, sforzandosi di apparire disinvolto, gli rivolse un sorriso di circostanza e si schiarì la voce.

-Buongiorno Monsieur Dupain: sì, sono Adrien, vado in classe con sua figlia-, uno sguardo fugace ai cornetti esposti in vetrina, -Sarebbe possibile vedere Marinette? So che è stata male… passavo di qua e… avrei piacere di salutarla…-

Tom represse un sorriso: qualunque cosa avesse combinato quel ragazzo alla sua bambina, sembrava anche lui un cucciolo smarrito… fosse stato per lui l’avrebbe già perdonato!

-Mia moglie è salita proprio ora per vedere come sta-, gli spiegò, -Mentre aspettiamo che torni giù, ti andrebbe di mangiare qualcosa?-

Allargò le braccia come a mostrare tutte le sue creazioni al giovane, che non represse un sorriso e, dopo una impercettibile esitazione, accettò l’invito.

-Prendo un croissant a…-, non sapeva decidersi.

-Questi sono i preferiti di Marinette-, indicò con la pinza da dolci quelli coperti di zucchero a velo rosa, -I croissant alla fragola-

Adrien annuì soddisfatto e allungò le mani verso l’uomo per prendere il suo piatto.

Aveva una fame da lupi, nonostante la giornata fosse stata costellata di attimi di perfetto terrore -lo shock anafilattico che per poco lo stava ammazzando, il rifiuto di Ladybug e la scoperta su suo padre-, ed era stato proprio il profumo di pace che si respirava in quel luogo che l’aveva tranquillizzato.

Affondò i denti nel croissant e non riuscì a trattenersi dal mugolare soddisfatto alzando lo sguardo e facendo un gesto con la mano: -Marinette ha ottimi gusti-, disse con la bocca piena, coprendosi con la mano non appena se ne rese conto.

Tom alzò le sopracciglia fugacemente: doveva ammettere che la figlia, in effetti, aveva ottimi gusti non solo in fatto di croissant. Visto per bene dal vivo, Adrien era molto più carino che sulle foto che aveva attaccate in camera fino a pochi giorni prima. Sembrava cresciuto dall’ultima volta che era stato da loro, per quel videogame. Magari fosse stato carino un terzo di lui, da giovane!

-Dimmi un po’-, gli domandò, -Come mai giovanotto, tu non sei a scuola?-

Adrien inghiottì l’ultimo boccone che per poco non gli andò di traverso e si pulì con un tovagliolino: -Avevo… avevo un servizio… Cioè, dovevo lavorare per mio padre-, spiegò, perché non era automatico che il padre della sua amica fosse a conoscenza della sua carriera di fotomodello. Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, perché erano troppo simili a quelli di Marinette e non voleva più mentire o far soffrire la ragazza, non lo avrebbe retto.

-Se tiro la pancia in dentro, che dici, potrei fare il modello anche’o?-, scherzò Tom e gli strappò una risata sincera.

In quel momento si aprì una porta sul retro e rientrò la madre di Marinette. Avanzò verso di loro con espressione interrogativa, sebbene le labbra tirate lasciassero presupporre un certo qual risentimento che, pensò Adrien, non poteva che essere addotto al fatto che lei sapesse cosa aveva passato la figlia a causa sua.

-Buongiorno Madame-, la salutò abbassando lo sguardo.

-Ciao Adrien, va tutto bene?-, ricambiò con dolcezza il saluto, sorridendogli mentre accennava un lieve inchino, tipico delle sue usanze. Aveva lo stesso sorriso dolce della figlia e uno sguardo che riusciva a bucarti l’anima, se si fosse fatto avvicinare abbastanza a lungo.

-Tutto bene, grazie…-, Adrien si portò imbarazzato una mano alla nuca.

-Il nostro ragazzo qua voleva sapere se poteva salire a trovare Marinette-, spiegò Tom alla moglie, lanciandole un’occhiata di soppiatto.

L’espressione sul viso di Sabine si rattristò: -Marinette… sta dormendo Adrien…-, si morse il labbro inferiore, -Se… se è una cosa importante, posso svegliarla…-, un guizzo di curiosità balenò negli occhi neri come l’ebano.

Adrien sentì l’imbarazzo per quella domanda affiorare alle sue guance: -No, non c’è problema, Lasciatela dormire… Tornerò più tardi.-

Non concesse il tempo di replicare e, dopo aver galantemente insistito per pagare il cornetto altrimenti offerto da Tom, e salutato la coppia, uscì rapidamente dalla boulangerie.

-Che cariiino!-, squittì Tom, stringendosi da solo le mani.

-Assolutamente!-, si unì a lui la moglie, -Speriamo che fosse una cosa importante!-, aggiunse.

I due si guardarono e scoppiarono a ridere, ricominciando a lavorare agli impasti. Sabine colpì dolcemente con il suo fianco quello del marito e ripresero a parlottare tra loro con il linguaggio degli innamorati.

***

Eccoci qua al nuovo capitolo… ho amato davvero scriverlo, è pronto ad un bel pezzo, ma mi ritrovo a pubblicarlo giustappunto dopo l’uscita unofficial di Gorizilla… e vabbè, la stesura è precedente, sappiatelo!

Direi che questo capitolo dove vediamo “contrapposti” i due padri della storia esce nel giorno adatto, no?

Un augurio a tutti i papà, a quelli come Gabriel, quelli come Tom e a quelli che conosco io!

Un bacio a tutti!

*** DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Chiarimenti (?) (Sei anni Prima) ***


12 - Chiarimenti (?) - Sei anni prima

Adrien uscì di soppiatto dal forno dei genitori di Marinette, immediatamente tutte le sue paure tornarono a schiacciarlo non appena ai suoi sensi non giunse più quel caldo profumo rassicurante che c’era nel negozio.

Il cielo si era coperto di nuvole e tirava un vento freddo, da est. Rabbrividì nella sua felpa leggera e si strinse nelle spalle, svoltando nel primo vicolo oltre il negozio.

Si fermò in un angolo appartato, nascosto al corso principale da alcuni cassonetti strapieni e si sedette su uno scalino di un qualche retrobottega. Finalmente trovò il coraggio di frugare nella tasca della sua felpa e di estrarre Plagg.

Era a zampine conserte e teneva gli occhi serrati: faceva l’offeso perché non lo aveva ancora interpellato?

-Plagg-, lo scosse un po’ e notò che la sua testolina ciondolava. -Plagg!-, chiamò più forte scacciando quel brivido di terrore che lo aveva preso stringendogli il collo come una tagliola, finché il kwami non si decise a socchiudere i suoi occhi verdi.

-Plagg, che ti prende?-, domandò preoccupato e l’animaletto gli rispose stringendo le labbra: un attimo dopo il suo ghigno si sciolse in un broncio dolcissimo e Plagg (Plagg!) si ritrovò a frignare attaccato al viso di Adrien.

-Mi hai fatto morire di paura, sciagurato!-, piccole lacrime schizzavano il viso incredulo del giovane, imbarazzato da quella inusuale e inattesa dimostrazione di affetto del suo piccolo amico.

-Ero sicuro che si prendesse l’anello! E prima per poco non ammazzi entrambi con quell’ape! Accidenti a te, Adrien: sei il più terribile dei miei portatori!-, e nel dirlo stringeva la sua faccia strusciandosi come un gattino vero.

-Tranquillo-, lo rassicurò Adrien e gli sorrise. -Non ti libererai di me così facilmente!-

Il kwami si sforzò di ritrovare il suo consueto aplomb, si allontanò appena, prese aria e gonfiò il petto come un canarino prima di un acuto.

-Adesso, ragazzo, è il momento-, sentenziò serio.

Adrien lo guardò smarrito: -Il momento… per cosa?-, domandò temendo la risposta.

-Per il Camembert!-, gli occhietti avevano ripreso la loro usuale brillantezza.

Adrien si tastò nelle tasche della felpa, ma era fresca di bucato e difficilmente Nathalie gli avrebbe fatto trovare dentro pezzi di formaggio sporzionati e imbustati. Allargò le mani, desolato.

Plagg, misteriosamente, annuì: che avesse compreso la situazione? Scese verso il suolo e si fermò davanti ai piedi di Adrien, guardandolo senza dire nulla.

-Come ti senti, ragazzo-, chiese dopo un po’.

Adrien scosse la testa e affondò il viso tra le mani.

-Come mi sento…-, bisbigliò…, -Come uno che è uscito illeso dal tritacarne, ma sa che il tritacarne c’è ed è lì per lui-, con le mani mimò l’iperbole, -Come uno che…-, precipitò lo sguardo al suolo sporco, -Uno che è stato scaricato dalla donna della sua vita…-

Plagg non poté fare a meno di sorridergli obliquo: -Sei eccezionale… di tutte le cose successe oggi, questa per te è la più tragica?-, in fondo lui era a conoscenza di dettagli non trascurabili… e forse l’analisi di Adrien non era neanche così errata, perché tutto, in qualche modo, li avrebbe ricondotti a lei: Ladybug.

-Tuo padre è Papillon, Adrien-, esordì con una chiarezza disarmante: -Ho percepito per la prima volta la presenza di Nooroo, il kwami della farfalla, nella stanza assieme a lui e, prima che potesse sentire me, mi sono disconnesso.-

Adrien comprese lo stato catatonico in cui lo aveva ritrovato poco prima.

-In che senso?-, lo intuiva, ma voleva la sua conferma.

-Se ti fossi provato a trasformare, non sarebbe successo nulla. Ho sciolto il mio legame con l’anello affinché Nooroo non mi percepisse-, Plagg volò sulla sua mano e dette un paio di colpetti al metallo dell’anello.

-Ma è ancora qua, quindi è tutto sotto controllo-, Adrien posò una leggera carezza sulla testolina nera e per la prima volta, come un gattino vero, Plagg non iniziò a ringhiare.

-Ho però il dubbio che Nooroo si sia volutamente manifestato a me, per mettermi in guardia dal suo portatore-, riprese, -Nooroo è sempre stato un kwami saggio e disponibile, ma risente più di molti altri dell’influenza del suo portatore a cui è devoto come il famoso genio della lampada. Papillon sta usando i suoi poteri in modo sbagliato e Nooroo è il mezzo con cui lui esercita questo potere. Nooroo evidentemente si sente in colpa, se lo conosco bene… Ha fatto quello che poteva per aiutarti, Adrien, ma non sperare che possa accadere di nuovo, perché se Papillon dovesse mandarti contro un mostro per ammazzarti, non credo che lui sarebbe pronto a rischiare di nuovo la sua pelle per salvarti-, alzò l’indice, -Quindi, in guardia Chat Noir-

Adrien annuì in segno di aver capito tutto, poi prese coraggio e rivelò altri dettagli che Plagg non aveva potuto sentire.

-Comunque mio padre non ha scoperto che sono Chat Noir, perché gli ho inventato una storia-, spiegò e si rese conto dello stupore del suo kwami, -Mi ha chiesto dell’anello e io gli ho raccontato che me l’ha regalato la… mia ragazza, che è una fan di Chat Noir.-

-La tua… ragazza? Cioè tu avresti inventato di avere la ragazza e che questa ha una sbandata per Chat Noir?-, scosse la testa, non riuscendo però fare a meno di guardarlo ammirato: -Tu stai veramente messo male a perversioni, moccioso…-

Adrien riprese la spiegazione: -Ho usato dei… colpi bassi… ma evidentemente sono riuscito a scavare e ritrovare in parte il mio vecchio padre, perché d’un tratto lui ha smesso di interessarsi al mio anello.-

Plagg volò fino al suo viso: -Se conosco Gabriel Agreste almeno un decimo di quello che lo conosci tu, non può essersi arreso così facilmente, però.-

-Infatti-, ammise il ragazzo.

-In cosa ha riversato il suo interesse, allora?-, aveva paura di conoscere la risposta. Adrien storse la bocca in una smorfia di dolore: -Nella mia… ragazzainventata-

Plagg inspirò portando una zampina all’incrocio degli occhi, -E chi sarebbe, questa fantomatica ragazza che ti sei inventato?-, li chiuse prevedendo da solo la risposta.

Adrien deglutì a fatica: -Ma…Marinette…-

***

L’ultima fetta di camembert finì divorata dalle piccole fauci del kwami, che ancora non aveva rivolto la parola al suo portatore da quando aveva sentito il nome del capro espiatorio che egli aveva inventato. Il suo sguardo aveva parlato al posto suo e Adrien, in colpa come un bambino trovato con le mani nella marmellata, senza aggiungere altro, aveva preso il suo amico e si era diretto verso il primo posto disponibile che vendesse formaggio. Fortunatamente, nella fretta di abbandonare la sua casa, scappando da suo padre, oltre alla felpa aveva agguantato al volo anche il portafoglio. Difficilmente il truce proprietario della minuscola gastronomia dov’era entrato gli avrebbe altrimenti fatto credito.

Ne aveva comprate tre scatole, nel dubbio, ed era subito tornato a nascondersi nel vicolo dietro il palazzo di Marinette.

Aveva necessità che Plagg si rifocillasse e tornasse a parlargli, perché, ne era consapevole, non sarebbe riuscito a venire a capo dell’intricato groviglio di pericoli in cui aveva messo quella povera ragazza, senza il suo aiuto.

Marinette… Chissà come l’avrebbe presa, se avesse saputo che, ufficialmente, era passata da essere “la rimbalzata”, come l’aveva sentita appellare da qualcuno, in classe, a “la fidanzata”. Doveva assolutamente chiarire quella situazione prima che la ragazza ricevesse un’altra terribile batosta.

Mi dispiace .

Non c’erano altre parole per definire il rimorso che provava sapendo quanto lei ci era rimasta male per le sue affermazioni. Avesse anche solo sentito la metà del dolore che stava provando lui in quel momento, sarebbe stato comunque troppo. E qualcosa gli lasciava presagire che, forse, ne aveva provato anche più di lui.

Sentiva la necessità fisica di una spalla su cui piangere e un cuore caldo che lo aiutasse a contenere le sue pene, come faceva la mamma, quando lui vi trovava rifugio dopo una delusione o una mortificazione inflittagli dal padre.

Suo padre… chissà da quanto tempo nascondeva quel terribile segreto, e perché. Doveva trovare assolutamente il modo di farlo redimere e aiutarlo a combattere i suoi stessi demoni, e per farlo ci sarebbe voluta senza dubbio anche Ladybug. Ma che sofferenza il solo pensiero di rivederla e accettare le sue ultime parole… soprattutto dopo i fotogrammi che Gabriel gli aveva mostrato e che mettevano in una luce completamente diversa tutto quello che lei gli aveva imposto.

-Devo andare da Marinette-, mormorò catturando la totale attenzione di Plagg. Guardò il kwami con occhi imploranti: -Ho bisogno di andare da lei…-

Plagg fece per parlare, ma Adrien fu più lesto: -Se non mi calmo, non riesco a riflettere per cercare un modo per salvare tutti-

-E… pensi che andare da Marinette sia il modo giusto per calmarti?-, una nota di sarcasmo mal celata, -Pensi che “Ciao Marinette, sono quello che ti ha scaricata due giorni fa. Ah, volevo dirti che, se per caso qualcuno te lo domanda, ora dovresti rispondere che sei la mia ragazza, cortesemente”-, gli occhi verdi ridotti a una lama: -Ti diverte così tanto giocare con i sentimenti di quella ragazzina, Adrien?-

Infatti: il punto era proprio quello: non voleva andare a chiarire questa nuova incresciosa situazione e alimentare nuove crisi esistenziali nella ragazza. Lui voleva solo passare un po’ di tempo assieme a lei per leccare e farsi leccare le ferite. Doveva vederla: in fondo era solo grazie ad una enorme, smisurata bugia su di lei che era riuscito ad uscire vivo dalle grinfie di Papillon in persona…

Perché aveva nominato proprio lei? La risposta in fondo era abbastanza semplice: perché era stata la sua ancora di pace nella travagliata esistenza in cui stava naufragando negli ultimi tempi. Perché non era stato così in pace se non nelle due volte che era andato da lei, ed era come se la conoscesse da sempre. Perché le voleva bene e lei lo faceva stare bene e sapeva che valeva anche il contrario. E perché l’aveva lasciata da sola, la notte prima, al buio e impaurita. Perché sentiva il bisogno fisico di vederla.

-Con che faccia riuscirai a farti rivedere da lei, sapendo che l’hai messa nei guai?-, insistette il kwami.

Adrien puntò i suoi occhi verdi su di lui, sentendo crescere attimo dopo attimo l’urgenza di trovare il suo spicchio di pace vicino a quella ragazzina.

-Con l’unica faccia che l’ha fatta ridere e l’ha liberata dalla maschera della timidezza-, spiegò con un bagliore negli occhi, -Plagg, trasformami!-

***

Come anticipato da sua madre, Marinette stava ancora dormendo.

Chat Noir si infilò furtivamente nella sua stanza, senza fare rumore e la trovò acciambellata sulla chaise longue. Aveva addosso un plaid di pile stampato con tante coccinelle, probabilmente era stata proprio Sabine a coprirla, quando era salita a vedere come stava. Da un angolo spuntava una delle mani della ragazza: stringeva qualcosa, un oggetto tondo e lucente.

Chat comprese subito cosa fosse e chiuse gli occhi. Doveva cercare di mantenere tutta la sua calma.

Si sedette per terra, vicino a lei, e si mise a guardarla nella luce vellutata di quella tarda mattinata di marzo che filtrava dalle tende. Era così bella.

Un’altra cosa che non aveva notato di quella ragazza… Marinette era davvero bella, i suoi lineamenti mischiavano i tratti sensuali degli orientali, presi da sua madre, alla schiettezza dell’aspetto tipicamente francese del padre. La bocca, quella bocca che aveva fatto saltare i suoi piani di chiarimento un paio di giorni prima, non somigliava a nessuno dei suoi genitori: era una sua splendida prerogativa.

In quel momento, sotto quella luce magica in cui si potevano vedere i corpuscoli della polvere sospesi nell’aria, Marinette era il suo angelo dal potere di far calmare il suo cuore ferito e spaventato.

Scostò con un dito un capello che si era impigliato alle lunghe ciglia nere e si avvicinò alla sua pelle. Rimase sospeso a un sospiro da lei, sfiorandola solo con il pensiero.

Chinò la testa sulla poltrona, accanto al suo viso e rimase a fissarla in quell’attimo incastonato nel tempo.

***

Un leggero soffio sul suo viso le fece arricciare il naso. Marinette percepì qualcosa accanto a sé, prima ancora di svegliarsi. Aprì lentamente gli occhi, sentendo di essere prossima al limite impalpabile tra i sogni e la realtà, dove tutto è ancora possibile. C’era un angelo biondo accanto a sé. Sorrise. Era ancora presto per cedere alla vita reale, poteva continuare a sognare ancora un po’. Lui era addormentato e i ciuffi arruffati gli coprivano interamente gli occhi, lasciando scoperti la punta del naso e quelle labbra che voleva baciare. Le stesse labbra che ritornavano nei suoi sogni ogni volta.

Ancora un soffio sul suo viso causò potente la sensazione dolorosa di essere rapita al sogno, precipitando in un mondo un po’ meno luminoso. Ma quel sogno non andava via…

Marinette sospirò sentendo le labbra curvarsi in un sorriso, com’era bello potersi perdere nell’immaginazione e rimanere per sempre intrappolata nel limbo di un dormiveglia popolato di sogni in grado di pilotare. Il suo respiro mosse i capelli davanti a lei.

Nero.

C’era qualcosa di nero sotto ad essi e, nel suo sogno, allungò una mano per spostarli e capire cosa fosse.

Le labbra dell’angelo biondo si schiusero appena, un leggero ronzio catturò parte del silenzio della sua bolla e rimase lì, di sottofondo, come una nota stonata in una melodia di arpe.

Aprì di più gli occhi e la sensazione di torpore magico svanì. Era sveglia.

Il ronzio invece persisteva. Anche l’angelo biondo non era scomparso.

Marinette sbatté due volte le palpebre, per accertarsi di essere sveglia e mosse una mano per avere ulteriore conferma. Il suo corpo rispondeva, non era intrappolata in un sogno, come a volte capitava.

Ma quello che vedeva e sentiva, però, non mutò di una virgola.

Sollevò appena la testa per cambiare il suo punto di visuale e trasalì sentendo un’ondata di fantastico terrore agguantarla mentre il cuore accelerò.

C’era Chat Noir accanto a lei. Si sporse: era accasciato a terra accanto alla chaise longue e si era addormentato con la testa reclinata accanto a lei.

La linea del collo tesa da un lato mostrava i tendini in tensione: si sarebbe svegliato con un bel torcicollo, pensò. Poteva mettergli qualcosa sotto per sollevargli il capo… Appallottolò la coperta con le coccinelle, stando attenta a non fare movimenti bruschi, che l’avrebbero svegliato. Non c’era nulla che le aveva suggerito di lasciarlo dormire, ma non poteva fare a meno di osservare il suo volto rilassato, senza i soliti sorrisi maliziosi o le smorfie.

Affondò con la mano sotto la testa bionda, per sollevarla appena e infilare la coperta; il calore in cui si infilò, passando tra i capelli e la pelle del viso, tra il collo e la linea del mento, la fecero avvampare, come se avesse toccato qualcosa di proibito.

La sua pelle era morbida anche se, in alcuni punti, una leggera peluria si iniziava a sentire chiaramente: non ci aveva mai fatto caso, forse perché Chat Noir era biondo… Come Adrien

Un pensiero che pietrificò la sua mano e le fece perdere un battito. Non avrebbe mai “sentito” la prima barba di Adrien, perché pensarci?

Riuscì nel tentativo di sistemare la coperta alla bene e meglio sotto al capo di Chat, e quando sfilò la mano lui aprì e chiuse le labbra, come se avesse qualcosa in bocca. Il ragazzo mosse il braccio e alzò una mano sulla poltrona, accanto alla testa, posandola sulla quella di Marinette. L’aveva intrappolata.

Perché semplicemente non lo aveva svegliato, come una persona minimamente assennata avrebbe fatto ritrovandosi un… un… uno in camera sua!?

Si sforzò di calmare quella sensazione strana che stava montando dentro di lei.

Lo aveva visto quasi morire, solo poche ore prima.

Stai calma, Marinette…

Gli aveva dato lei il colpo di grazia, dopo che si era accertata che stesse bene e aveva sentito il suo cuore andare in frantumi.

Stai calma…

Aveva pianto per lui, confortata da Tikki, per quello che aveva fatto a Chat Noir. Perché lui era tornato? Dopo quello che lei gli aveva detto… perché era tornato?

Calma

Le ci volle qualche attimo per discernere la sua identità da quella di Ladybug. Era Ladybug che l’aveva respinto, non Marinette. Eppure era stata una decisione di Marinette: Chat Noir non poteva stare con Ladybug, non era prudente, non era deontologicamente corretto dei confronti della loro missione, non era…

Il ragazzo inspirò, muovendosi e aprendo lentamente gli occhi. Una fitta di dolore al collo gli stirò la bocca in una smorfia, la mano si arpionò a quello che aveva sotto di sé.

La vide, il viso cambiò espressione, la mano mollò la presa su quella della ragazza come se si fosse ustionato.

-Scu… scusami-, affrettò a giustificarsi, -Non… volevo svegliarti…-, la guardò preoccupato per una sua reazione.

Marinette sorrise: -E dopo io non ho voluto svegliare te. Avrai un bel torcicollo adesso-, piegò le sopracciglia in un’espressione desolata.

Finalmente poteva rivedere quegli occhi azzurri e placidi come dei laghetti. Sapeva di dover apparirle sconvolto: si sentiva stropicciato come una camicia uscita dalla lavatrice e a terra dopo essere stato schiacciato da un caterpillar. Lui era sconvolto, in effetti, tanto da crollare addormentato sotto al peso degli ultimi eventi, ma si sentiva già un po’ meglio.

Il suo stomaco brontolò, mettendolo in imbarazzo e strappando una risata silenziosa all’amica.

-Aspetta qua-, disse Marinette, dopo aver guardato che ore fossero.

Si alzò dalla chaise longue: aveva dei leggings neri che le fasciavano le gambe e un lungo vestito di felpa grigio che calava fino a metà coscia. Era scalza. Sollevò la botola e, con un’occhiata complice, scomparve inghiottita dalle scale sotto a lei.

Il campanello che stringeva nella sua mano quando era arrivato in camera sua giaceva sulla poltrona, nascosto in parte da un cuscino.

Si alzò e stirò i muscolo del collo, fortemente indolenziti per il pisolino improvvisato. Si guardò intorno, a metà tra la curiosità e l’imbarazzo.

Su una sedia c’era un mucchio di vestiti uno sull’altro: pantaloni, delle magliette girate alla rovescia, una gonna scura, la fascia di un reggiseno. La sua attenzione fu totalmente catturata da quell’oggetto e, con la punta di uno dei suoi artigli, lo sfilò dal cumulo di stoffa. Eccolo lì: il primigenio pomo della discordia e di tutti quei discorsi idioti di cui Nino gli aveva infarcito la testa. Un reggiseno di pizzo blu scuro. Si sfilò uno dei guanti neri e lo afferrò, per saggiarne la stoffa. Chiuse per un istante gli occhi, scosse impercettibilmente il capo, rimise il guanto e nascose di nuovo quel tesoro in mezzo alla pila di abiti.

Li scorse rapidamente e riuscì a ricordare ogni singolo giorno in cui la ragazza li aveva indossati, a scuola. La gonna scura che penzolava tra le gambe della sedia faceva parte di quell’abito delizioso che Marinette aveva indosso quando lui le aveva prestato la sua camicia.

Era stato un idiota.

Aveva ragione Alya… non era stato capace di fare niente, ma soprattutto di sforzarsi di capire chi fosse Marinette. Perché, ne era certo, stava iniziando a conoscerla solo allora, protetto dalla sua maschera nera.

Si allontanò dalla “sedia delle meraviglie” udendo il rumore di passi che si avvicinavano e si rimpiattò in un angolo. Dalla botola aperta, per prima cosa, apparve un vassoio con una piccola montagna di leccornie che emanavano un profumo squisito. Dopo apparve la testa nera di Marinette e il suo sorriso complice. Chat Noir si palesò a lei, mentre richiudeva la botola: -Ho detto che avevo dei compiti arretrati di fisica da finire e avrei mangiato in camera mia-, mise il vassoio sulla scrivania, sedendosi su una delle due sedie girevoli rosa e lo spinse verso di lui, -Il che è vero, purtroppo, quindi dopo che avrò sfamato il mio gattino, dovrò mettermi a studiare-, lo guardò in tralice, sogghignando deliziosamente.

Chat allungò la mano verso una fetta di torta salata.

-Quella è al salmone-, spiegò Marinette, -Se ti piace il salmone, è molto buona-

Sistemò un tovagliolino sul tavolo davanti a lei e prese un involto dal colore più chiaro: -Questo è un involtino primavera riveduto e corretto-, allungò la mano verso a Chat Noir, nel caso volesse favorire, ma lui con un cenno elegante rifiutò. Marinette azzannò il suo involtino e se lo scostò rapidamente dalla faccia, quando schizzò fuori un po’ di liquido che le colò sul mento. Chat rise e senza pensarci allungò una mano a pulire lo schizzo dal viso della ragazza e poi se lo portò alla bocca: -Mmmh… buono-, ridacchiò, ma Marinette sembrava pietrificata. E rossa come un peperone.

Chat si rese conto che non era stata una idea molto adatta alla situazione e, sedendosi composto, mangiò la sua torta salata in silenzio, lasciando che la ragazza tornasse da sola al suo colore naturale.

-Quiche Lorraine-, Marinette indicò all’amico un altro pezzo che stava puntando e, mentre riprendeva a masticare, gli fece segno di ok con il pollice, affinché lo prendesse lui.

-Prendo da bere-, avvisò e scese di nuovo in cucina, ritornando poco dopo con due bottiglie.

-Succo d’arancia rossa e acqua-, spiegò.

A Chat Noir non passò inosservato che aveva preso un solo bicchiere: -Non potevo dare nell’occhio-, si giustificò lei, sfuggendo alla sua occhiata.

-Faremo a mezzo-, le disse senza staccarle gli occhi di dosso e si versò del succo vermiglio.

Marinette deglutì, cercando nella stanza se ci fosse qualche bicchiere abbandonato. Doveva essercene uno accanto al suo letto, di sopra. Chat Noir le offrì il suo bicchiere e lei ne bevve. Al diavolo.

-E adesso qualcosa di dolce…-, aveva preso dalla vetrina qualche dolce avanzato dalla mandata della mattina: certo, non erano propriamente adatti ad un dessert, ma forse il bigné con il cioccolato che indicò al ragazzo poteva andargli ugualmente bene.

Allungò la mano sulla sua scelta e si scontrò con le dita del gatto.

Entrambi attratti dal croissant alla fragola, entrambi si ritirarono come scottati.

Dejà-vu.

Stessa scrivania, stessa circostanza, stessa scelta.

Stessa scossa elettrica.

-Prendilo tu-, dissero all’unisono e si bloccarono per un attimo: verde nell’azzurro. Poi Chat Noir scoppiò a ridere.

-Ne ho già mangiato uno prima, prendilo tu, davvero!-, spiegò il ragazzo e afferrò il bignè al cioccolato.

Marinette aggrottò le sopracciglia: che stava dicendo?

Si scosse vedendolo ripetere il suo stesso errore nel mordere con troppa foga il bigné, scostandosi quando la cioccolata gli colò al lato della bocca. Lui sollevò rapido una mano, ma lei fu più lesta e lo bloccò.

Stava impazzendo…

Si allungò verso di lui, sempre di più, senza staccare gli occhi da quelli verdi, sentendo la mente sommersa da burro fuso che colava ovunque. Sempre più vicina finché non posò le sue labbra sulla pelle di Chat Noir, sotto la sua bocca e succhiò il rivolo di cioccolata.

Il ragazzo le afferrò i polsi, bloccandola prima che potesse muoversi, la bocca a un respiro dalla sua. Gli stava esplodendo il cuore nel petto e nella testa un ronzio impetuoso.

Che stava succedendo?

-E’ rimasto anche un macaron al caramello, lo vuoi tu Marinette?-, il vocione di Tom, dal piano di sotto.

Si staccarono in un movimento doloroso per entrambi e Chat Noir tornò al suo nascondiglio, nell’ombra.

Marinette deglutì, incredula per quello che aveva appena fatto.

-No, grazie papà, non ho più fame-, rispose ad alta voce, di rimando al padre. -Ora studio-, aggiunse, a indicare che non voleva essere disturbata.

Mise una mano sul tavolo e prese più aria che poté, poi, con un gesto nervoso, si versò un grosso bicchiere d’acqua e lo bevve tutto d’un fiato.

Merda.

Che diavolo aveva fatto? Sentiva su di sé lo sguardo di Chat Noir, affondò il viso in una mano e si massaggiò il viso, per cancellare quello che aveva fatto, quello che aveva provato.

-Scusami-, disse con un filo di voce, -Non so che mi è preso-

Il ragazzo emerse dal cono d’ombra e avanzò verso di lei, lentamente. Nella sua testa si affollavano domande, emozioni; nel suo corpo si risvegliavano sensazioni che aveva provato solo con Ladybug.

Chi era quella che aveva davanti? Si comportava con una sicurezza che aveva visto solo nell’eroina del suo cuore, eppure era la stessa ragazza che, se si fosse tolto la maschera, avrebbe iniziato a balbettare dicendo frasi senza senso.

-Non importa-, le rispose, accovacciandosi al suo fianco, una mano tra i capelli biondi, -Lei mi ha rifiutato…-, le disse sapendo di avere le guance rosse come un ragazzino.

Marinette chinò lo sguardo e iniziò a torturarsi le mani, senza guardarlo.

-Scusami-, continuò lui, -Non credo di aver davvero capito quello che hai passato l’altro giorno… Adesso lo so come ci si sente…-, le confessò.

Marinette si piegò verso di lui e gli prese la testa tra le mani, guardandolo con occhi trafitti dal dolore. Scostò un ciuffo di capelli e andò a posare un bacio caldo sulla sua fronte, sopra l’inizio della maschera. Poi lo abbracciò, stringendolo al suo seno, e pianse su di lui tutta l’amarezza che aveva provato quella mattina, quando proprio lei lo aveva colpito nel mezzo al cuore, lasciando che i singhiozzi le squassasseo il petto.

La credevo una ragazzina dolce e allegra,

ma infantile nelle sue cotte adolescenziali come tutte le altre.

Lo credevo capace solo di vantarsi e flirtare,

come se fosse la mission della sua intera esistenza.

Non riusciva a parlarmi, si agitava…

riusciva ad avere un’interazione normale con tutti, tranne che con me.

Ogni ragazza che incontrava, faceva il galante,

scherzava con qualche battuta, un baciamano…

Perché doveva essere diverso quello che pensava di me?

Se solo avessi scoperto prima questa parte di lei…

Sarò ancora in tempo?

Se solo non fossi stata così frettolosa ad allontanarlo da me…

potrà mai perdonarmi?

-Marinette-, Chat Noir la allontanò da sé posando le mani all’altezza della sua vita, la guardò con occhi umidi, anche da dietro la maschera, -Potrai mai perdonare Adrien per averti spezzato il cuore?-

Le mani sopra di lei erano grandi e calde, lo sguardo disarmato. Non voleva rispondere a quella domanda, ma in quel momento più che mai voleva una risposta da lui. Per la prima volta, doveva sapere a chi stava, lentamente ma inesorabilmente, affidando il suo cuore. Se Marinette lo avesse saputo, forse Ladybug si sarebbe sentita libera di ricambiare il suo amore.

Si alzò in piedi lasciando che lui la seguisse e allungò le mani fino al suo viso afferrando i lati della maschera nera. Se le loro trasformazioni fossero state uguali, non sarebbe riuscita a toglierla.

Tirò leggermente e la maschera si mosse. Chat Noir le rivolse uno sguardo di supplica, ma non la fermò.

Era una delle decisioni più difficili di tutta la sua esistenza e le stava mandando in tilt il cervello. Il petto si alzava e si abbassava al ritmo del respiro affannato, il sangue pulsava al limite dello shock.

Inghiottì e mosse ancora la maschera. -E tu potrai mai perdonare Ladybug…?-, bisbigliò col fiato corto.

Non poteva finire così.

Se Marinette avesse scoperto chi c’era dietro la maschera, non l’avrebbe mai perdonato, né Adrien, né Chat Noir. E allora fece quello che si era imposto di non fare mai a Marinette e crollò miseramente nella sua decisione di non ferirla mai più.

Afferrò di nuovo i suoi polsi e strinse, senza farle male, ma quel tanto affinché capisse che doveva lasciare quella maschera.

Poi la baciò e si perse.

Marinette sentì la forza gentile di Chat Noir nel trattenerla prima che potesse togliere la sua maschera e cedette a lui, senza opporre resistenza. In fondo scoprire chi fosse non era così importante in quel momento. I suoi polsi erano catturati dal giovane che sembrava non intenzionato ad abbandonare quel contatto. Fece appena in tempo a scorgere una scintilla nuova negli occhi felini nascosti dalla maschera, che prese fuoco anche lei e non si ritrasse al contatto con le labbra morbide che l’avevano rapita.

Per la seconda volta, Chat Noir la stava baciando. Sentì l’onda delle emozioni assalirla infuocandole la schiena e la nuca e si rese conto che bruciava di una elettricità diversa dalla prima volta che era successo. C’era qualcosa di diverso in lui, un’urgenza più disperata, più autentica, una scoperta inattesa. E nella sua risposta a lui, comprese di aver raggiunto quel disperato bisogno che inseguiva ogni notte e ogni giorno, da quando aveva toccato con mano cosa significasse essere innamorata di qualcuno.

Lui non è Adrien, stai di nuovo cercando un sostituto in questo sconosciuto!

La sua coscienza l’avrebbe fermata, ma ogni altro atomo del suo corpo e della sua anima, se mai fosse stata realmente tangibile, le urlavano di non farlo.

Tu non sei la sua Ladybug!

Era lei quella sbagliata, era lei il ripiego per Chat Noir… lui la stava sostituendo con un’altra

Ladybug lo ha rifiutato. “Non dovrà accadere più”, gli aveva detto.

A Marinette fu chiaro che anche lui ne fu consapevole nel momento in cui percepì la sua rabbia iniziale per qualcosa che stava succedendo e non andava fatto, lasciare immediatamente il campo allo smarrimento.

Le labbra del ragazzo si allontanarono colpevoli dalle sue, cosa stavano facendo? Stavano cedendo al più classico dei cliché, accettando di essere entrambi un ripiego per l’altro? I due innamorati respinti che si consolavano a vicenda?

Marinette percepì l’assenza in quel breve distacco e non volle. Cercò un segno in quegli occhi verdi e smarriti e comprese che in quel momento Chat Noir non era un ripiego, ma il suo dolcissimo e segreto desiderio. Si aggrappò alle spalle grandi del ragazzo e riprese il contatto con la sua bocca, sicura, fiera, felice. Aveva scacciato i suoi fantasmi, forse. Si sentiva libera e allo stesso tempo rapita da quella consapevolezza e da quel bacio.

Era quello che voleva, era il bacio della sua favola, perché lei, alle altre favole ormai non ci credeva più.

Si aggrappò a quell’istante sentendo che Chat Noir la sosteneva stringendola a sé con un braccio attorno alla schiena e una mano sulla sua nuca e si perse nei mille piccoli baci strappati che dava e prendeva. Volle guardare i suoi occhi e li vide socchiusi su di sé, scintillanti di un desiderio sconosciuto. Li richiuse e sprofondò una favola di burro e zucchero, aprendo appena le labbra e lasciando che anche lui si perdesse lungo la linea del mento, scivolando verso il collo sottile per poi tornare alla sua bocca, sfiorando e graffiando e mordendo con delicatezza.

Dentro di lei i timori e le delusioni schizzavano in aria esplodendo in tanti colorati fuochi d’artificio, mentre il rimbombo la scuoteva nel profondo, colpendo nella sua pancia, tra le sue gambe.

Chat Noir staccò da lei per riprendere aria e vide lo sguardo languido, le guance imporporate e il petto che si alzava e abbassava per il respiro affannato. Un gemito sfuggì alle sue labbra rosse come fragole che tornarono a catturare le sue, in una magia che sembrava non avere fine.

Oh Signore, dove aveva avuto gli occhi per tutto quel tempo? Dov’era rintanato il suo cuore ottuso di ragazzino in cerca di una favola da supereroe? Aveva avuto a un passo da sé Marinette per tutto quel tempo e non si era mai voltato a guardarla. La bugia che aveva raccontato a suo padre, d’un tratto era diventata il suo più grande desiderio. Ah, se lei fosse stata davvero la sua ragazza da quando aveva l’anello! La strinse di più a sé e le fu addosso, facendole colpire la scrivania dietro di lei. La sollevò finché non fu a sedere su di essa e sentì che lei stringeva con le gambe attorno ai suoi fianchi.

Stava per esplodere, ne era certo e ben presto se ne sarebbe resa conto anche lei se avesse continuato a stringerlo a quel modo!

-Marinette-, si allontanò con voce roca, afferrando le sue cosce, perché lo liberasse prima di perdere la testa. Le dita scivolarono sulla stoffa morbida dei pantaloni, carezzando la tensione dei suoi muscoli.

Ma chi se ne frega! Urlò una voce dentro di sé e non mollò la presa su quelle gambe lunghe, anzi, lasciò che le sue mani le esplorassero, mentre quelle di lei, più piccole, scivolarono dal suo viso sul collo fermandosi ad armeggiare con la sua zip.

-Il campanello-, bisbigliò, -Ecco a cosa serviva-, sorrise sulle sue labbra afferrando la chiusura della giacca.

La fece scorrere in basso di qualche centimetro scoprendogli la pelle del collo e posò le labbra all’incrocio delle sue clavicole, lasciando una scia di piccoli baci bollenti.

Oh Signore, ti prego, fai che non smetta mai più…

Abbassò ancora la zip e aprì la sua tuta fino a scoprirgli il petto, si insinuò con mani leggere in una carezza fatta di elettricità, arrivò con i suoi baci umidi fino al cuore e vi posò l’orecchio. Poi si fermò, lasciando che lui l’abbracciasse.

Ascoltò quel cuore impazzito rallentare sempre di più, stretta a lui con il viso sulla sua pelle, mentre Chat Noir di quando in quando, lasciava un piccolo bacio tra i suoi capelli. Il ciclone si stava placando.

Quel profumo dolce che lo aveva conquistato… Chat Noir sentiva di ritrovare la calma ad ogni respiro, facendo intimità della sensazione straordinaria che provava anche solo stando stretto a lei, con la testa affogata tra i suoi capelli.

Realizzò che era quello che desiderava fare dal momento che era entrato in quella stanza, ma ne aveva paura più della paura stessa.

Invece era successo… forse quella strana amicizia fatta di consolazioni e dolcezza sarebbe finita, ma ne era valsa la pena… forse…

-Chi sei?-, gli domandò Marinette muovendo le labbra sulla sua pelle scoperta. La strinse un po’ di più, poteva perderla solo pronunciando un nome e non lo avrebbe accettato. Ci era andato vicino già due volte negli ultimi giorni.

-Uno che non ha capito niente…-, mormorò tra i suoi capelli in risposta e si allontanò per guardarla. Il suo anello emise un bip.

-Stai per ritrasformarti?-, gli domandò con tranquillità, persa nel verde alieno dei suoi occhi, allontanando le mani dalla sua pelle.

-E tu come lo sai-, le posò un bacio in basso vicino al collo e intrecciò le dita alle sue, spostandosi da quella posizione. Marinette chiuse le gambe, d’un tratto profondamente turbata dalla sensazione di vuoto che ogni centimetro in più tra loro le provocava.

-Lo… lo so e basta-, allungò una mano e gli tirò su la zip della tuta. Avrebbe voluto abbassarla di più, invece, e perdersi subito di nuovo in un bacio bollente con lui. Si sentiva avvampare, ma la sua testa gli imponeva di fare il contrario. Si era spezzato qualcosa, forse soltanto la sua consapevolezza di essere sicura di quello che aveva sempre creduto di sapere sull’amore, la fedeltà e i sensi di colpa.

-Ho ancora tempo-, disse lui, cercando una scusa per non andar via.

-Devo studiare…-, che scusa patetica

Lo guardò cercando dentro di sé una risposta, ma le domande erano troppe perché una sola risposta fosse sufficiente a chiarire quella sensazione di smarrimento in cui sentiva che avrebbe potuto precipitare da un momento all’altro.

Chat Noir l’amava… amava Ladybug e gliel’aveva detto in tutti i modi, lo aveva confermato anche a Marinette. E Ladybug gli aveva chiuso il suo cuore... perché Marinette invece lo stava spalancando a lui? Dov’era finito Adrien? Marinette amava Adrien, era ferita ma nonostante tutto era salda nel sentimento che provava.

Cos’era quello struggimento che stava provando cercando di fissarsi nella mente ogni singolo millimetro del volto mascherato davanti a sé? Perché più guardava quelle labbra rosse per i baci che gli aveva rubato, più avrebbe voluto tornare a succhiarle e morderle finché non avessero fatto parte totale di sé.

Dov’erano finiti Ladybug e il rassicurante pensiero di Adrien?

Chi era quel misterioso ragazzo del quale non aveva mai voluto conoscere l’identità e che in quel momento, invece, voleva che la portasse lontano, nel luogo dove i pensieri non ci fossero stati più. Solo loro due, senza maschere, nomi, alter ego, imbarazzi, paure… Puro istinto e basta...

E chi diavolo era lei? Ladybug? Marinette?

La consapevolezza della risposta ebbe l’effetto di pietrificare le sue mani, ancora intrecciate a quelle del giovane davanti a lei.

Ho un cuore solo e sta battendo all’impazzata per due persone diverse.

-Ti prego…-, Chat Noir sollevò il suo mento con un dito, -Dimmi che non… che non sei pentita. Ti prego…-, aveva già vissuto quella mattina l’abbandono a seguito di un bacio rubato e non voleva perdere di nuovo ogni cosa. Non riusciva ancora a capire come si fosse cacciato in quella situazione: dov’era finito tutto l’amore per Ladybug? In quel momento esisteva solo Marinette.

La ragazza lo guardò titubante, le labbra rosse strette nel dubbio, zitta.

-Se ho sbagliato io ti chiedo scusa, Marinette, ma non…-, non avrebbe retto ad un altro abbandono.

Un altro bip.

Marinette si alzò iniziando a camminare nervosamente su e giù per la stanza. La mano sinistra stretta alla sua vita, la destra abbandonata sulle labbra. Camminava e guardava a terra, torturandosi nel dubbio. Chat Noier era arrivato da lei confidandole che Ladybug l’aveva scaricato: non avrebbe retto sapendo di essere solo un rimpiazzo per se stessa.

Ma come diavolo aveva potuto Ladybug scaricare uno come lui?

Stava iniziando a impazzire sul serio.

-E’ successo per ripiego?-, gli chiese. La domanda era pertinente, ma lei per prima sapeva che era rivolta a entrambi.

Chat deglutì. Un altro bip. Gliene rimanevano due, anche se non capiva il perché.

-Sono stata il tuo ripiego, Chat Noir?-, insistette a voce più alta, fermandosi e appoggiando la schiena alla colonna del soppalco. Portò entrambe le mani agli occhi: chi tace acconsente, si diceva, no?

Tu non sei stato il mio…

-Sei stata la più straordinaria scoperta che abbia mai fatto-, le rispose accanto al suo orecchio: era appeso per i piedi al soppalco e penzolava accanto a lei. Posò un ultimo, innocente bacio sulla punta del suo naso e si tirò su, uscendo dalla finestra sul tetto e sparendo.

Marinette si lasciò scivolare con la schiena sulla colonna, rimanendo seduta a terra, col cuore in gola e il fiato corto.

-Speriamo che quel povero ragazzo non si sia ritrasformato su un tetto, aveva così poco tempo…-, Tikki la raggiunse: ora sarebbero arrivati i rimproveri. Svolazzò attorno a lei, che teneva gli occhi tappati con le mani per la vergogna di quello che l’amica aveva appena visto.

-Sei una piccola traditrice-, le sibilò la kwami nell’orecchio e, infilandosi nella sua casa delle bambole, finì il discorso: -te la sei voluta godere tutta da sola questa esplosione di passione, non hai voluto condividerne neanche un pezzettino con la tua amica del cuore!-

Marinette ascoltò incredula le parole della creatura e sorrise. Era certa che le stesse sfuggendo qualcosa di estremamente importante… ma non gliene importava nulla in quel momento.

Pensava solo agli occhi di Chat Noir e a quell’abbraccio rubato nel quale si era sentita finalmente al posto giusto nel mondo.

***

A volte si scrivono e si immaginano cose che sono puro e semplice sogno, pura e semplice fantasia. Voli pindarici, sensazioni bellissime che però non ci appartengono, perché sono parte delle nostre storie e lì vivono confinate.

A volte però tutto questo non va così e ti ritrovi tra le mani un capitolo giusto nel momento sbagliato. O viceversa è sbagliato il capitolo o sono sbagliati entrambi. O forse davvero non è poi tutto sbagliato, forse era giusto così… forse, ma forse… ma sì…

*** DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Adrienette/Mad-rien – Sei anni prima ***


Capitolo 13

Adrienette/Mad-rien – Sei anni prima

Il lampo di luce verde lo irritò quanto mai. Fortunatamente era almeno riuscito a buttarsi a capofitto giù dal tetto di Marinette ed era atterrato nel solito vicolo, giusto in tempo perché i suoi poteri svanissero e Plagg schizzasse fuori dal suo anello.

-Che diavolo ti è preso?-, lo afferrò al volo: non aveva usato alcun potere speciale, perché la trasformazione era scaduta?

-Ma tu sei matto?-, gli sputò addosso Plagg, -Tu mi vuoi uccidere!-

-E sto per farlo…-, Adrien strizzò l’animaletto come se fosse un antistress. Sapeva che non gli avrebbe fatto male, ma voleva tenerlo sulle spine.

-Non torneresti più nelle grazie della tua…WOW, cavolo di una santa donna di Marinette!-, si liberò dalla presa: -Io DEVO conoscerla!!!-

Adrien osservò la scena, imbarazzato per il suo stesso kwami.

-Lei è stata, cazzo, marmocchio, erano più di mille anni che non mi sentivo così!!!-, schizzava come una scheggia impazzita da un punto all’altro dello spazio attorno a lui, non una menzione al camembert. Adrien lo seguì con una sottile voglia di gelosia omicida.

-Plagg, ora smettila-, aveva la voce tirata, era tornato nelle sue corde, eppure si sentiva più Chat che mai. Avrebbe potuto schizzare di nuovo in cima al palazzo senza maschera, per tornare a fare quello che aveva interrotto.

-Ma tu non capisci! Credi a uno che è vissuto tanto tempo prima di te e ne ha viste di donne! Pfff! Ti sei trovato una supermegabomba, altro che il bacetto da checca che hai dato a Ladybug… Adrien, ragazzo mio: io approvo il tuo fidanzamento con Marinette-, gli posò una zampetta sulla spalla.

-Guarda che non sei mio padre-, osservò glaciale il biondo, -E soprattutto, credo di avere un problema in più di quanti non ne avessi finora…-

Mi sto innamorando di lei…

Plagg si fermò a mezz’aria. Adrien aveva ragione… Chat Noir gli aveva appena fottuto l’unica possibilità di tornare nelle grazie della ragazza e, finalmente, aggiustare i danni che aveva combinato fino ad allora e mettere a tacere la curiosità di PapinoPapillon.

-Potrei rivelare a Marinette che io sono Chat Noir e tutto si sistemerebbe, no?-, lo anticipò il ragazzo con la soluzione più scontata. Plagg rifletté un attimo, poi optò per quella più complicata.

-No, dovrai fare quello che sei riuscito a fare in numero 3 incontri con lei: vai e riconquistala come Adrien-, incrociò le zampe soddisfatto e ne allungò una stringendo il nodo, il palmo aperto verso Adrien.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e vi posò sopra l’ultimo pezzo di camembert che aveva conservato.

-E’ più probabile che riconquisti Ladybug-, bofonchiò tra sé. Ma quest’ultima opzione, l’avrebbe desiderata? Non sapeva darsi una risposta. Era completamente in tilt e gli sembrava di girare come un matto attorno ad un problema inesistente.

-Plagg-, guardò seriamente il suo kwami, -ti prego, aiutami e dimmi che non sto impazzendo…-

Nella pausa che fece, Plagg seppe già quale fosse il dilemma amletico.

-Io… amo, o meglio, credevo di amare Ladybug… e ho sempre ignorato Marinette. Ma poi ho scoperto che è una ragazza adorabile e… Plagg, non solo Chat Noir, ma anche Adrien si sta innamorando di lei-, fece gli occhi da cucciolo, -Sto impazzendo?-, chiese ancora, -Come ho potuto essere così cieco di fronte a lei per tutto questo tempo?-

Sarebbe bastato dirgli: “No, Adrien, è tutto normale, perché Ladybug in realtà è Marinette”, ma non voleva né poteva farlo senza il permesso di Maestro Fu.

-Ricorda sempre che “’l’essenziale è invisibile agli occhi’, ragazzo-

-Il Piccolo Principe-

-No, quello è un plagio: fu un kwami di nome Trixx il primo a dirlo, e il suo portatore visionario gli rubò la frase a effetto, dovrebbe farsi pagare anni e anni di copyright.-

Adrien sorrise alla battuta e comprese che non avrebbe avuto una risposta chiara da Plagg. Poteva trovarla solo dentro di sé. Era consapevole di essere inaspettatamente, completamente, perdutamente, irrimediabilmente, magicamente, sorprendentemente innamorato di Marinette.

Ma non riusciva a smettere di pensare anche a Ladybug…

E poi c’era lui… Lanciò un’occhiata distratta al suo orologio: era giunta il momento di rientrare verso casa: non era sicuro che sarebbe riuscito a farlo davvero, sapendo chi si nascondeva tra quelle mura.

-Dovrò comportarmi normalmente con mio padre, suppongo-, si incamminò a passo lento verso la strada principale, per prendere alla prima fermata una metro che lo riportasse nel covo del nemico: casa sua.

Durante il tragitto, la voglia di tornare al negozio dei Dupain fu fortissima. Voleva rivedere subito Marinette, quella ragazza stava facendo impazzire tutte e due le sue identità, catturando l’unica anima che aveva e facendone un frullato insieme al cuore.

Come avrebbe fatto a rivederla a scuola, prima o poi, senza avere stampato nella memoria tutto quello che Marinette aveva fatto... a Chat Noir? Probabilmente sarebbe morto per l’emozione e l’eccitazione e la vergogna di esserci semplicemente lui, sotto quella maschera seducente di pelle nera.

Scese nella metro e si impose di non pensarci, almeno per un po’, aveva altri problemi altrettanto gravosi. Giunto a casa non dovette suonare il campanello, perché il cancello si aprì al suo arrivo.

Entrò con lo spirito di un condannato sul miglio verde e fu subito fermato da Nathalie.

-Suo padre è appena partito per un viaggio di lavoro. Ha confermato gli impegni che aveva preso per lei con i fotografi e si è raccomandato che non salti le sue lezioni-, lo informò.

-Quando tornerà?-, le domandò: avrebbe voluto urlare al cielo un ringraziamento.

-Quando avrà trovato quello che sta cercando-, rispose laconica la donna. -Le ricordo che la lezione di piano è annullata, ma alle diciassette e venti arriverà la sarta per prendere le misure per il nuovo abito: secondo suo padre ha messo su un po’ di muscoli e vuole che non ci siano problemi per la sfilata di fine mese. La cena verrà servita alle diciannove e quindici-, girò sui tacchi e sparì nel suo ufficio.

Aveva ben due ore per riflettere sulla sua vita prima di doversi svegliare di nuovo.

Si buttò sul letto e crollò in un sonno buio.

***

Marinette era inquieta più che mai. Si sforzava di studiare la lezione di Fisica, ma più che altro rosicchiava il tappo della penna con cui cercava di scrivere le varie formule da ricordare.

Sul suo viso era rimasto un rossore diffuso, non aveva osato toccare più né il bicchiere da cui aveva bevuto, assieme a Chat Noir, né quel croissant alla fragola, che la chiamava come la più subdola delle sirene.

Abbassò sconfortata la testa sul libro, chiudendo il tablet con un gesto stizzito.

-Non ce la farò mai a capire cosa mi sia preso-, buttò fuori il rospo.

Tikki le fu accanto, ma non c’erano molte spiegazioni da darle che già non conoscesse.

-Conosci Chat da mesi ormai, sapevi che lui era innamorato di Ladybug, ma non gli hai mai davvero creduto anzi, lo hai allontanato e, nel momento in cui pensavi di essertene convinta, ecco che Chat appare in una veste nuova e, lasciamelo dire, irresistibile, alla Marinette di tutti i giorni. Hai sovrapposto lo Chat-eroe-latinlover allo Chat-complice-ragazzodellaportaccanto e alla fine hai ceduto-, le sorrise, -E’ normale, Marinette, è umano…-

-Ma è sbagliato…-, ammise a sguardo basso, -Io so che lui ha dei doveri, e ne dovrei avere anche io in realtà… Ladybug lo ha rifiutato per non dargli altri grattacapi, per non avere un tallone d’Achille per…-, alzò gli occhi e sorrise, coprendosi le guance con le mani: -Però hai ragione…… è irresistibile!-

-Ho sempre avuto dubbi sull’affidabilità di quel gattaccio, ma devo ammettere che oggi si è comportato come un signore, nonostante qualche ragazzina vagamente insicura lo abbia provocato fino allo stordimento… Tu lo sai che uno come lui ci avrebbe messo meno di due secondi e mezzo a buttarti sul letto e spogliarti, Marinette?-, Tikki era parecchio strana… non era da lei parlare in quel modo.

Marinette salì sul letto appena citato e vi si lasciò cadere supina, a braccia aperte, fissando il punto da cui era sparito Chat Noir.

-E Adrien?-, si domandò con aria contrita. Dov’era finito il suo bel compagno di classe, in quale angolo della sua esistenza era stato relegato?

-Adrien è sempre accanto a te, ricordatelo Marinette, perché è qua-, la kwami toccò con la manina il petto dell’amica, più confusa che mai.

-Come?-

-A suo tempo, Marinette cara, riuscirai a capire davvero per chi batte il tuo cuoricino impazzito-, le posò un bacino sulla guancia e si avvicinò all’orecchio: -Nel frattempo, dimentica quello che ti ho detto l’altro giorno… vivi, Marinette, vivi e cerca di vivere ogni momento prendendo quanta più felicità puoi, da chi vuoi…-

Si allontanò dalla ragazza e vide lo stupore fiorito sul suo dolce viso. La guardava con le gote rosse e la bocca a forma di “o”.

-E adesso studia, perché una fidanzata ciuca non la vuole nessuno!-, rise come una piccola pazzerella e volò qua e là per la stanza, sprizzando felicità da tutti i pori.

***

Ritornare a scuola dopo una burrasca come quella che aveva subito Marinette era a dir poco destabilizzante, soprattutto dal momento che non aveva la minima voglia, per la prima volta in vita sua, di incontrare i suoi amici. L’aria fresca della mattina non sarebbe riuscita a cancellare quello strisciante senso di vergogna che provava per tutto quello che avrebbe dovuto gelosamente tenere nascosto: un nuovo amico, un confidente segreto, un bacio rubato e uno sciame di farfalle nello stomaco che avrebbe fatto invidia a Papillon stesso.

In aggiunta a tutto ciò, la sera prima, Marinette aveva avuto la notizia dai suoi genitori che, mentre era in camera sua “a riposare”, era passato a trovarla nientepopodimeno che Adrien, il quale, testuali parole dei suoi, “sembrava piuttosto agitato e ansioso di vederla”.

Si vestì con i suoi abiti preferiti e legò i capelli nei soliti codini che tanto amava. Prese la borsetta, vi nascose Tikki e scese in cucina. Mangiò poco a colazione, così suo padre le dette da portare in classe un vassoio di dolci, da offrire anche ai suoi amici. Prima di uscire volle portare con sé un segno che non aveva immaginato ogni cosa degli ultimi giorni: tornò di corsa in camera sua e prese il campanello dorato di Chat Noir, legandolo a un cordino e passandoselo attorno al collo. Lo nascose sotto la maglia, sperando che non si notasse troppo il gonfiore che le penzolava sotto al seno. Tornò giù e salutò i suoi.

Un bacio, un abbraccio e di nuovo in campo per combattere una vita che sembrava essere più complicata di quella di Ladybug stessa.

Entrò nella scuola salutando da lontano alcuni ragazzi che conosceva, affiancò Rose che la diede il bentornata con due baci sulle guance, domandandole se si fosse rimessa e andò a sedersi al suo posto. Alya non era ancora arrivata e sarebbe stato il caso che lo avesse fatto il prima possibile, perché Marinette non aveva il benché minimo coraggio di affrontare da sola l’ingresso di Adrien.

Entrarono Chloe con Sabrina, Juleka e Milene e dopo di loro Nathaniel, che si fermò vicino a lei e la salutò con un sorriso.

-Volevo chiederti se… dopo la scuola… ti andrebbe di fermarti a fare insieme i bozzetti per la professoressa Bustier…-, si propose diventando dello stesso colore dei suoi capelli, ma il suo sguardo rimase saldo e determinato. Marinette fu colta alla sprovvista dalla proposta del ragazzo con il quale si sentiva ancora a disagio, nonostante fossero passati mesi dalla sua akumizzazione.

-Buongiorno Marinette. Nathaniel…-

E infine arrivò Adrien e la sua voce colpì Marinette con la stessa forza di un cazzotto alla bocca dello stomaco. Non fece in tempo a sollevare gli occhi su di lui e scorgere il suo sguardo velatamente astioso nei confronti del loro compagno di classe, che il ragazzo pronunciò delle parole che mai, neanche nel più meraviglioso dei suoi sogni, Marinette avrebbe pensato di udire.

-Mi dispiace Nath, ma dopo la scuola Marinette è già impegnata con me.-

Si andò a mettere tra lei e il contendente, facendole l’occhiolino e avvicinandosi pericolosamente al suo viso: -Non ho avuto il tempo di avvertirti, Marinette… ti chiedo scusa: io vorrei… parlarti a quattr’occhi oggi pomeriggio, per favore-, le bisbigliò all’orecchio, lasciandola avvampare e non attendendo una risposta.

Si avvicinò fin quasi a sfiorarle la guancia con le labbra e nel leggero soffio del suo respiro, Marinette perse a tavolino ogni partita che si era riproposta di giocare.

Adrien si sedette e le diede le spalle, senza aggiungere altro, senza voltarsi. Marinette non poteva avere idea del terremoto che si stava agitando anche nel cuore del ragazzo, dall’apparenza così sicuro di sé, come mai lo aveva visto.

Me lo sono sognato?

Mai come in quel periodo travagliato della sua esistenza la ragazza aveva iniziato a dubitare dei suoi stessi occhi, sballottata come un relitto nella tempesta delle emozioni che la travolgevano, mutevoli e inattese, giorno dopo giorno.

-Marinettina mia, ti ritrovo esattamente con la stessa espressione in cui ti ho lasciata?-, la voce di Alya fu l’ancora a cui aggrapparsi. Marinette era incredula: tutto quello che era appena accaduto non poteva essere possibile, non era giusto, era… fuori tempo massimo! Se era effettivamente accaduto.

La sua mente sembrava procedere intervallata da black out di coscienza durante i quali era come se un sadico scienziato si fosse divertito a interferire tra due differenti realtà parallele con il solo scopo di confonderle ancor di più le idee. Se fosse stata bendata e legata ad una sedia, al buio, avrebbe potuto giurare ad una Corte Suprema che la persona che l’aveva avvicinata poco prima, bisbigliando al suo orecchio quell’invito inatteso era la stessa che si era intrufolata nottetempo nei suoi sogni, stendendosi vicino a lei e tenendola abbracciata in un limbo al confine tra il sonno e la veglia; la stessa che, in modo molto più tangibile, aveva stretto a sé in un disperato bacio e della quale stava in quel momento stringendo tra le mani il campanello dorato.

Ma i suoi occhi erano ben aperti e in tanti avrebbero potuto testimoniare che era stato Adrien Agreste a parlarle e non Chat Noir.

-Adrien mi ha chiesto di vederci dopo la scuola-, bisbigliò all’orecchio dell’amica che contenne un’esclamazione di meraviglia e portò una mano alla bocca. Quando Alya interpretò lo sguardo smarrito dell’amica, comprese che doveva essere successo qualcosa di epocale di cui lei ancora non era stata messa al corrente. Odiava non essere la prima a conoscere ogni pettegolezzo, specie se si trattava della sua migliore amica e ancor più odiava quando era lei stessa a tacerle i suoi segreti.

Cercò per le prime ore della mattinata di estorcere a Nino qualche informazione, ma anche il suo ragazzo era all’oscuro della situazione.

-Indaga!-, gli ordinò, quando i due gruppi dei maschi e delle femmine si separarono prima di entrare nei rispettivi spogliatoi, per la lezione di educazione fisica.

-Che ti è preso prima: non aspettavi da tutta la vita un invito da lui?-, l’abbracciò mentre stavano finendo di prepararsi.

-Alya… è complicato da spiegare… in questi giorni ho riflettuto molto e…-

-E deve essere successo un cataclisma perché tu non stia saltellando come un unicorno sotto lsd e vomitando arcobaleni!-

Marinette la fissò con le pupille piccine piccine e poi scoppiò a ridere rumorosamente, da sola, tenendosi la pancia: -Un cataclisma! Alya, sei eccezionale! E’ stato proprio un cataclisma che mi ha travolta!-

Le sue compagne la fissavano perplesse, saltando con lo sguardo da lei ad Alya la quale, facendo spallucce, si tirò fuori da questa esplosione di nervosismo nella sua forma più pura e scivolò silenziosamente in palestra cercando di mantenere un dignitoso silenzio stampa.

Marinette era incredula per come il destino e la sfortuna avessero deciso di accanirsi facendosi beffe di lei.

Aveva atteso più di ogni altra cosa di ricevere un minimo di considerazione da parte di Adrien e quando arrivavano le sue attenzioni? Immediatamente dopo che si era buttata tra le braccia di un altro, ovviamente! E non per una avventura trascurabile, ma in seguito ad una sbandata di un calibro che ancora non riusciva a definire. Chiamare Chat Noir “un altro” era come definire “vestiti” dei capi di haute coutre di Gabriel Agreste o di Louis Vuoitton…

Mon Chaton , ecco come l’avrebbe chiamato.

Aveva passato tutta la nottata in dormiveglia, torturata dal ricordo della sensazione meravigliosa che baciare Mon Chaton le aveva procurato e la vergogna per averlo fatto non una, bensì due volte e in due vesti diverse.

Nei suoi giri mentali aveva realizzato un altro dettaglio non trascurabile che l’avrebbe condotta dritta dritta a bruciare all’inferno: Ladubug aveva rifiutato Chat Noir e subito dopo si era tolta la maschera ed era andata con… lui stesso! Aveva tradito lui, i suoi amici, la sua devozione per Adrien e anche Ladybug stessa… e stava perdendo del tutto la testa, aizzata dalle frasi sibilline di Tikki, per quel gatto che credeva di conoscere e che invece non conosceva per niente.

“Sto iniziando a pensare a me stessa in terza persona”: si disse, guardandosi allo specchio mentre si sistemava i capelli. Alzando le braccia sentì il campanello muoversi all’altezza dello stomaco. Avrebbe dovuto toglierlo, si sarebbe notato sotto la maglia sportiva che usavano come divisa, ma non ce la faceva proprio a staccarsene, come se quell’oggetto le potesse dare la forza di non dimenticare le ultime decisioni prese. Come avrebbe potuto affrontare a quattrocchi Adrien, sapendo quello che aveva sempre provato per lui, con la consapevolezza che le cose erano radicalmente cambiate?

Alya rientrò nello spogliatoio, per sollecitarla: la vide seduta con le braccia tese poggiate alle ginocchia, la testa bassa e pensierosa. Si sedette vicino a lei e posò una mano su quella dell’amica.

-Quando vuoi, io ci sono-, le disse e Marinette le sorrise.

-Dimmi solo una cosa, Marinette: prima mi hai detto che in questi giorni hai riflettuto molto. Ecco… io vorrei sapere solo se… hai riflettuto da sola o con qualcun altro-, Marinette rimase a bocca spalancata per la domanda ficcante, come sempre, dell’amica e il tono di rosso che le sue guance assunsero rispose per lei.

-Come supponevo-, Alya strinse il pugno in segno di vittoria: -Allora fai capire a quel bamboccione di Adrien Agreste che se vuole riconquistarti dovrà usare ben di più del suo fascino da copertina e due occhioni languidi-, le batté una mano sulla coscia e, con un cenno del capo, la invitò ad uscire per iniziare la lezione di educazione fisica.

***

-Adrien mi ha solo detto: “Nino, avevi ragione tu su Marinette” e poi mi ha fatto pat-pat sulla spalla-, bisbigliò il ragazzo all’orecchio di Alya durante i giri di corsa di riscaldamento.

Erano rimasti appartati e potevano osservare un nuovo assetto del loro gruppo classe, che li stava mandando in brodo di giuggiole: una delle cose che più avevano in comune Alya e Nino era la stupenda semplicità con cui si perdevano nei pettegolezzi, meglio ancora se riguardanti i loro amici. Vedere i loro compagni che correvano attorno alla palestra divisi a gruppetti, con Alix e Kim in testa, e, tra tutti, il nuovo triangolo capeggiato da Marinette seguita a stretto giro da Adrien, sulla destra e Testa di Pomodoro, a sinistra, che si scambiavano occhiate al vetriolo era il pettegolezzo più stratosferico che avessero mai avuto modo di infarcire di ipotesi e dietrologie.

-Sono sicura che Nathaniel è stato da Marinette: era lui senza ombra di dubbio che era andato a trovarla e consolarla! Non lo vedi come pende dalle sue labbra?-, i pettegolezzi affannati in corsa erano i più salutari per dei ragazzi di quindici anni innamorati e curiosi.

-Più che altro vedo Adrien che sta per travolgere Nath a spallate-, Nino riportò gli occhiali al loro posto, -Ma che gli è preso oggi?-

-Sembra un gatto che segna il territorio, guardalo come gli taglia la strada!-

-Come sono carini! Chi vincerà secondo te, Alya?-, Rose li aveva raggiunti e correva tenendosi le guance, come se potessero scapparle via tutti i cuoricini che strabuzzavano dal suo sguardo incantato.

L’insegnante dette il segnale di interrompere la corsa, Marinette, infastidita da quello che aveva visto accadere alle sue spalle, si allontanò dai due galletti e corse in mezzo a Nino e Alya, che rimasero muti come pesci.

-Adesso stretching a coppie: a terra e allungate i muscoli delle gambe e delle braccia-, indicò con un suono del fischietto il professor Poirot.

Marinette si attaccò al braccio di Alya, che fece spallucce a Nino e accettò di fare coppia con l’amica.

-Non dire niente, ti prego…-, la supplicò Marinette, lasciandosi tirare le braccia fino a schiacciarsi del tutto sulle sue gambe.

-Ma come fai?-, la guardò sconfortata Alya, -Guarda che io sento mal..ah, piano Mari, non sono di gomma, io!-

-Alya, che gli sta prendendo ad Adrien?-, uno sguardo timoroso, completamente scollegata dalla realtà, mentre allungava come una ballerina il dorso su una gamba stesa a terra.

-Marinette, se continui ad essere così elasticamente snodabile come una gatta, gli prende uno shock, proprio come a me! Ma non eri tu quella legata come un ceppo?-

Cazzo…

-Ahi!-, ogni volta che facevano ginnastica, Marinette si sforzava di apparire goffa e stanca, perché aveva paura che qualcuno avesse potuto riconoscere qualche movenza come quelle di Ladybug, ma con tutti i pensieri che aveva in testa, le era passato di mente. -Ohiohiohio, hai ragione…-

Che strana, strana ragazza…

***

-Amico, cosa c’è che non va, oggi?-, Nathaniel si era deciso a chiarire con Adrien il perché di un atteggiamento del tutto ingiustificato e nuovo.

Gli allungò una mano per aiutarlo a tirarsi su, ma Adrien la rifiutò: lo sovrastava di almeno dieci centimetri e i suoi occhi verdi lo squadravano socchiusi.

-Voglio dire… che ti ho fatto?-, Nath era un ragazzo sensibile e uno dei punti sensibili era proprio il suo amore non corrisposto per Marinette.

-Non mi piace che ronzi troppo accanto a Marinette-, gli rispose sgarbatamente Adrien.

Nath spalancò incredulo gli occhi: -Ma non sei stato proprio tu a farla soffrire per aver confessato di avere già la ragazza? Come puoi parlarmi così? E che cosa vuoi adesso da lei!?-

Era successo perché non era stato Adrien a parlare… stava iniziando ad essere umpulsivo come Chat Noir, doveva darsi una calmata. Il suo atteggiamento era stato oltremodo sgarbato, non da lui. Adrien lasciò uscire l’aria dai polmoni e abbassò la testa.

-Scusami, hai ragione…-, posò una mano sul braccio del compagno, -E comunque… io non ho nessuna ragazza in verità…-

Il Pomodoro sbiancò.

Adrien si appartò per allacciarsi meglio una scarpa. Aveva appena detto altre due bugie in una: secondo quanto sapeva suo padre, una ragazza esisteva e doveva trattarsi proprio di Marinette. Secondo l’identità di Chat Noir, che pulsava nelle sue vene quel giorno più che mai, quella ragazza doveva essere proprio lei, che gli aveva riempito i sogni e acceso i sensi di un desiderio che pensava non avrebbe mai potuto provare. E oltre alle sensazioni bollenti che ancora sentiva sulla sua pelle, quello che gli faceva più di tutti battere il cuore era stata la tenerezza e la complicità con cui lei lo aveva accolto e reso complice della sua intimità, dei suoi sogni e delle paure. Aveva visto il cielo rischiararsi nei suoi occhi mentre passava dal racconto di qualcosa che aveva perso, alla consapevolezza che aveva di fronte lui, di cui si era fidata e a cui si era affidata per farsi leccare le sue ferite.

Marinette era a pochi metri da lui e ogni tanto ne percepiva lo sguardo su di sé. Era uno sguardo ferito, dubbioso, eppure sapeva che poteva esserci ancora speranza per il suo lato civile nel cuore della ragazza. La voleva come Chat e la voleva come Adrien e l’avrebbe conquistata e riconquistata diventando il suo stesso nemico altre cento volte.

Nel tempo in cui il professor Poirotcomunicò ai suoi allievi che avrebbero dovuto dividersi in due gruppi per provare il percorso motorio che aveva preparato nel frattempo, tutti in classe già sapevano che Adrien non aveva più la ragazza.

Chloè si avvicinò a lui e lo agguantò nelle sue spire, stringendogli un braccio e sbattendo le sue ciglia truccate: -Vieni con me dopo la scuola, Adrienuccio mio? C’è Jagged Stone all’hotel da papino…-

-Mi dispiace, Chloe, ma dopo la scuola Adrien è già impegnato con me-, Marinette si intrufolò tra i due, sostenne lo sguardo di Adrien senza mostrare cedimenti o iniziare a parlare a vanvera e gli si mise a fianco a braccia incrociate. Se non avesse saputo che non poteva essere lei, Adrien lo avrebbe definito “un atteggiamento da Ladybug” - e si sentì squagliare.

Marinette sentiva ul cuore battere furioso nel suo petto: la notizia che era arrivata anche alle sue orecchie l’aveva presa e schiaffeggiata. D’accordo che, comunque fosse andata, lei gli aveva perdonato tutto e continuato a garantire l’amore eterno, d’accordo che aveva tradito questo voto concedendosi la più meravigliosa delle sensazioni assieme al suo chaton, d’accordo che aveva accettato di essere ormai, inesorabilmente innamorata di entrambi, ma sapere che, così di botto, Adrien Agreste si rimetteva di nuovo sul mercato, dopo tutto quello che era successo a causa della sua uscita di pochi giorni prima, aveva risvegliato in lei una rabbia sopita che non pensava di possedere.

Se Adrien non avesse detto che aveva la ragazza lei non si sarebbe sentita uno straccio, Chat Noir non sarebbe andato in suo soccorso, lei non avrebbe vacillato, Ladybug forse non lo avrebbe mollato, Chaton non sarebbe tornato a farsi leccare le ferite da lei, lei non se ne sarebbe innamorata e magari quella mattina lui l’avrebbe lo stesso invitata a trovarsi dopo la scuola: c avolo Adrien Agreste, sei davvero un ritardatario seriale!

Aveva voglia di strangolare quel sensuale collo bianco come il latte per tutto il casino irrimediabile che la sua situazione sentimentale, appena ritrattata, aveva causato nella sua vita.

E adesso che era di nuovo un ragazzo libero, chi avrebbe davvero voluto nel suo cuore Marinette? Il sogno della sua vita o il dolce gatto appena scoperto?

-Vinca il migliore-, sibilò Marinette straziando con lo sguardo Adrien, senza aggiungere altro.

Adrien non fece in tempo neanche a capire se Marinette aveva usato un doppio senso per riferirsi al diverbio con Nath, oppure… il migliore tra lui e… il suo nuovo amore segreto, cioè sempre lui? Ma più probabilmente si riferiva alla gara, dal momento che, quando il professore soffiò nel fischietto, la ragazza schizzò davanti a lui come una scheggia. Erano stati accoppiati nel primo giro di corsa ad ostacoli nel percorso motorio.

Lo “Chat Noir” dentro di lui rizzò il pelo e si gettò all’inseguimento, decisamente elettrizzato e, wow… eccitato dal giocare al gatto e al topo proprio con il suo dolcissimo incubo.

Un giro completo della palestra, un rettilineo ad ostacoli, salto e capriola sul tappeto verde, quadro svedese su e giù, un altro giro di corsa, arrampicata sulla pertica e suonare la campanella in cima: gli altri ragazzi erano sbiancati a vedere il grado di difficoltà di quella prova fisica che avrebbero dovuto superare. Marinette invece stava dando un discreto distacco ad Adrien, che però era più veloce di lei e la riprese.

-Sfida accettata-, le soffiò accanto, sorpassandola e trafiggendola con il suo sguardo- Un attimo dopo però si “sentì” usato come trampolino proprio da lei, nel mentre che lui stesso stava balzando sul trampolino. Ma cosa…

Il professore fischiò un comportamento scorretto della ragazza.

Marinette atterrò davanti a lui con una capriola e sul suo volto balenò un sorriso obliquo, Adrien era eccitato come non mai e sapeva che non doveva farlo, ma l’afferrò per una caviglia, facendole perdere l’equilibrio e sorpassandola, scavalcandola e schiacciandola sotto di sé per un interminabile e adrenalinico istante.

Aveva il cuore che andava a mille e non per lo sforzo.

Il professore fischiò per il gesto scorretto del biondo, ma Marinette si riprese subito e fu più agile di lui nell’arrivare al quadro svedese, in cima al quale fece una capriola da trapezista e riprese la discesa, lasciandolo appeso per i piedi. Gli sfilò accanto e, per un istante, i loro visi capovolti furono uno davanti all’altro. Il campanello appeso al collo era sgusciato fuori dalla maglietta, e penzolava tra loro tintinnando. Marinette fu percorsa da un brivido e per perse l’appiglio. Istintivamente Adrien la afferrò per il polso senza staccare gli occhi da quelli azzurri della ragazza. Riflessi da gatto.

Un grido di spavento proveniente dal gruppo dei compagni diede nuova carica alla loro eccitante gara.

Toccarono terra in contemporanea e ripresero a correre per l’ultimo giro della palestra gettandosi occhiate pari a dardi di fuoco finché entrambi si arrampicarono sulle pertiche.

Suonarono nello stesso momento la campana posta in cima, si voltarono l’una verso l’altro rossi in viso ed euforici e: -Ben fatto!-, esclamarono in contemporanea, appesi a tre metri da terra, battendo tra loro le nocche dei pugni chiusi.

Il cuore di Marinette perse un colpo, la sua espressione virò dalla felicità al terrore in un battito di ciglia e spalancò la bocca, vedendo riflesso lo stesso stupore sul viso di Adrien.

-Quattro minuti e ventisette secondi: ragazzi siete stati eccezionali! Ora venite giù-, la voce del professore li scosse da quella breve e infinita agonia; -Avete avuto un comportamento non proprio corretto… ma penso proprio che sarete voi a rappresentare la scuola alle prossime gare giovanili.-

I compagni di classe, rompendo le righe, li accerchiarono stupefatti e galvanizzati dalla gara all’ultimo sangue che avevano visto: -Altro che le sfide di Kim e Alix-, disse qualcuno, -Fatelo di nuovo!-, strillò qualcun altro.

L’insegnante richiamò tutti al contegno e diede il via per la gara della seconda coppia.

-Ti prego stai accanto a me…-, Marinette implorò Alya alla quale si era aggrappata visibilmente scossa. La ragazza non sapeva che dire, era scioccata quanto tutti gli altri per quello che aveva visto e in più sapeva bene che Marinette era piuttosto imbranata, quindi incapace di sopravvivere ad una gara del genere e non avrebbe mai dato sfoggio di qualche sua dote nascosta, se non avesse avuto un più che ottimo motivo.

Adrien, invece, era il ragazzo dalle mille sorprese e non c’era niente di particolarmente strano nella sua performance. Ma una cosa su tutte l’aveva lasciata senza parole, incapace di sostenere come avrebbe dovuto la sua amica, che stava iniziando a tremare aggrappata a lei: il gesto che i due si erano scambiati al termine della gara, un gesto inequivocabilmente legato alla coppia di eroi che avevano rubato la sua privacy e quasi tutto il suo tempo libero da mesi e mesi.

***

Adrien aveva chiesto al professore il permesso di uscire e si era rintanato in bagno. Plagg non era con lui e non aveva visto nulla, ma gli bastò scorgere il suo viso sconvolto per capire che si era perso l’evento clou della giornata.

-Marinette è Ladybug-, disse Adrien, guardando il suo riflesso nello specchio.

Plagg volò accanto a lui, indeciso se dire qualcosa o tacere. Il suo lato sadico prese il sopravvento: -Non so che cosa sia accaduto di là, ma ti posso garantire che aspettavo questa geniale uscita da un momento all’altro, marmocchio. E se ti fossi innamorato di Wonder Woman, ora avresti detto “Marinette è Wonder Woman”. Un conto è quello che vorresti, un altro è la realtà-, incrociò le zampine, complimentandosi da solo per il discorso da premio pulitzer che aveva imbastito.

-Plagg, Marinette è davvero Ladybug!-, insistette Adrien, -tu non hai visto quello che ha fatto… e… wow…-, infilò una mano sotto al ciuffo biondo per liberarsi la fronte. Era accaldato e il suo cervello stava andando in fumo.

-Lei ha fatto dei salti… cose che ho visto fare solo a Ladybug e poi… quel gesto…-

Il suo cuore batteva all’impazzata, speranzoso che quella scoperta corrispondesse a verità: era quella la soluzione a tutto… ai dubbi, al richiamo che quelle due ragazze… o forse quell’unica ragazza esercitava su di lui. Sarebbe stata la cosa più grandiosa della sua esistenza! E probabilmente lo era davvero!!!

Grazie, Dio, Grazie!!!

Un boato dalla palestra richiamò la sua attenzione. Si precipitò a vedere cosa stesse succedendo e trovò i suoi amici a fare di nuovo il tifo per la coppia successiva in gara.

Alix scattava come un gatto arrampicandosi sul quadro svedese, mentre il ragazzone saltava giù con un balzo da gorilla. Entrambi corsero a perdifiato fino alle pertiche, ma la vittoria fu del compagno, più alto e muscoloso. Come se fosse accaduto al rallenty, Alix gli sorrise accettando la sconfitta e gli allungò il pugno, esattamente come avevano fatto lui e Marinette solo pochi minuti prima.

-Oh merde-, bisbigliò Adrien sentendo tutte le sue certezze sgretolarsi.

Per la prima volta si stava rendendo conto che essere un supereroe significava avere un’esistenza sotto i riflettori e stuoli di emuli in giro per la città.

Marinette, in un angolo, fissava stralunata quella scena. Adrien la guardò con dolore: voleva davvero metterla in una situazione di imbarazzo perpetuo?

***

Scusatemi tanto per il ritardo nella pubblicazione… un po’ di casini vari, Pasqua, malattie, la vita

Ma eccoci qua con questi ragazzini che iniziano ad annusarsi e a intuire qualcosa!

Per chi non sapesse cos’è il quadro svedese, ecco qua https://it.wikipedia.org/wiki/Quadro_svedese .

Non so se è un o strumento ancora utilizzato nelle scuole: ai miei tempi esisteva e ce lo facevano scalare.

Un abbraccio a tutti e grazie per aver letto!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Semplicemente... WOW – Sei anni prima ***


Capitolo 14

Semplicemente WOW (Sei anni prima)

Adrien era stato di parola: anche se l’aveva evitata per tutto il resto delle lezioni, al momento dell’uscita da scuola aveva atteso che i loro compagni sfollassero l’aula e si era finalmente voltato verso Marinette.

Alya, come al solito, stava di guardia al fianco dell’amica, il viso velato da curiosità e preoccupazione.

-Posso andare?-, bisbigliò all’orecchio di Marinette, che annuì in silenzio e la salutò con un tocco della mano.

Alya sfilò davanti a lui assottigliando lo sguardo quel tanto da trasmettergli il disagio di una leggera minaccia e prese per braccio Nino; -Lasciamoli soli-, gli disse in un piccolo bacio.

Marinette avrebbe voluto evaporare piuttosto che vivere ogni secondo di quella lunga agonia al rallentatore. Non si era ancora scrollata di dosso la sensazione che l’aveva quasi pietrificata, appesa come un vitello sgozzato a frollare in cima a quella sciocca pertica. Per un lungo, lunghissimo istante aveva avuto la totale consapevolezza che quello che aveva davanti non poteva che essere Chat Noir.

Stessi capelli biondi, stessa corporatura, stessi movimenti durante quella strana corsa ad ostacoli. Ma soprattutto, anche se cercava di pensarci il meno possibile, stesso profumo e stesso brivido che aveva provato in quel breve attimo in cui erano stati più vicini. E stessa pace scovata nel più profondo di quegli occhi verdi, che l’avevano fissata attoniti come quelli di Chat Noir, dopo che si erano baciati, solo una manciata di ore prima.

E ancora la presa salda sul suo polso con cui l’aveva acchiappata al volo, stesso sguardo più profondo della notte scura mentre gareggiava con lei, impegnato verso la meta.

Se Adrien fosse stato Chat Noir, non solo lei non aveva di che pentirsi temendo di aver tradito il suo amore per il ragazzo, ma sarebbe stato tutto semplicemente al posto giusto.

Sarebbe stato spiegato il motivo per cui lui aveva detto di aver baciato un’altra (era lei, quell’altra!), il perché Chat Noir sapesse che Marinette aveva avuto una grande delusione d’amore, e avrebbe giustificato anche miliardi di altri minuscoli segnali che troppo spesso lasciavano nel dubbio la parte più vispa e recondita della sua coscienza.

Sarebbe stato come mettere la tessera finale di un mosaico e finalmente riuscire a capirne il disegno.

E soprattutto sarebbe significato che lui provava qualcosa per lei, perché Chat Noir aveva baciato Marinette!

-Scusami per come mi sono comportato stamattina-, esordì serio il ragazzo, -E se ti ho messa in difficoltà con Nath.-

Marinette scacciò quel pensiero con un cenno della mano. Non voleva parlare di Natahiel in quel momento.

-E scusa se ti ho afferrata per un piede, prima a ginnastica-, fece un piccolo passo verso di lei, accorciando le distanze.

Marinette si irrigidì: stava a lei parlare e non era mai stata brava a farlo di fronte ad Adrien.

E se fosse stato davvero Chat?

-Sono stata io a… usarti come trampolino per prima… Quindi sono io che mi devo scusare-, era riuscita a parlare senza combinare pasticci.

-E scusa se anche io ti ho messo in difficoltà con Chloe. Ero nervosa-, ammise e si portò una mano ai capelli, torturandosi un ciuffetto ribelle.

-E’ stata una bella gara-, riprese Adrien, ripensando incredulo a come Marinette avesse scalato quel diabolico strumento per avvolgersi sinuosa come un serpente in cima ad esso. -Quella cosa che hai fatto lassù-, indicò in alto, ripensando a quei movimenti, -sembravi una ballerina di…-

Meglio non proseguire. Marinette colse il senso delle parole non dette e si trovò tra le dita il cordino rosso con cui aveva improvvisato una collana. Lo sfilò un po’ dal colletto della maglia, vi passò due dita, lo rilasciò, ci avvolse il pollice. L’imbarazzo la stava consumando come una bacchetta d’incenso.

Adrien allungò la mano su quel filo rosso e, scostando le mani della ragazza, estrasse con estrema lentezza dal suo nascondiglio la vistosa palla di metallo che ben conosceva.

Era calda per il contatto con la pelle di Marinette, si sentì avvampare a questa considerazione.

Marinette si scostò, indietreggiando appena, ma il campanello rimase tra le mani del ragazzo; si rese conto che non riusciva più a tenere calmo il suo respiro e vedeva con crescente disagio il suo petto che si alzava e abbassava.

-Checosavolevidirmi?-, gli chiese tutto d’un fiato, cosciente di avere il viso in fiamme.

Adrien mollò la presa sul campanello che ricadde sul seno della ragazza producendo un lieve suono ovattato.

Quale che fosse la domanda che avrebbe voluto porle quella mattina, ciò che uscì dalla sua bocca fu tutt’altro e lui fu il primo a rimanerne sconcertato.

-Tu sei Ladybug?-

Dannazione.

Marinette si ritrasse come scottata da un getto bollente, scosse la testa, annaspò, puntò i piedi a terra e lo guardò esterrefatta, boccheggiando nel tentativo vano di formulare una qualunque risposta di senso compiuto che non fosse un’ammissione della sua identità segreta.

-Fa che miagolo di ziotidie ti tendono in vesta?-, esclamò infervorata. Doveva scappare scappare scappare, emigrare in Groenlandia, darsi alla pesca, farsi monaca, salire sul primo shuttle e farsi sparare sulla luna.

Cercò di farsi strada verso la porta dell’aula con braccia alte davanti a sé, scartando Adrien che la fissava incredulo e sul punto di scoppiare a ridere.

-Che latro vioi?-, gli ringhiò a un palmo dal naso e, inciampando nel piede del ragazzo, crollò rovinosamente sbattendo pancia e faccia sulla cattedra, proprio davanti a loro. Le caddero lo zaino e il sacchetto con le paste che il papà le aveva dato quella mattina e di cui lei si era dimenticata.

Adrien immediatamente cercò di aiutarla ad alzarsi, ma Marinette fu più lesta di lui e corse a nascondersi sotto la cattedra. Avrebbe potuto uscire dalla porta, a pochi passi da lei, ma qualcosa dal profondo le impedì di farlo. Si accucciò sotto al tavolo e inalò una lentissima boccata d’aria.

Voleva rimanere al buio in quell’angolino e piangere fino alla sua ultima lacrima, da sola, morta di imbarazzo per quello show che avrebbe tolto ogni dubbio anche al suo kwami: una ridicola, imbranata, patetica ragazzina in preda alle crisi d’amore dell’adolescenza, ecco cos’era lei. Niente più di quello.

Dalla fessura tra il piano della cattedra e le pareti laterali di copertura poteva vedere Adrien girato verso di lei: non si era mosso. Spostava il peso leggermente in avanti, poi tornava dritto. Due, tre volte, indeciso se avvicinarsi o lasciarle lo spazio che cercava.

Il leggero tonfo sopra la sua testa le fece comprendere che aveva appoggiato una mano sulla cattedra.

-La cosa che dovevo chiederti stamattina, Marinette, in realtà era un’altra -, riprese Adrien, con un tono di voce diverso. Parlava alla ragazza nascosta a un battito di cuore da lui, ma parlava innanzitutto a sé stesso.

-Io sono un ragazzo solo, Marinette: tu, Nino, Alya… siete i miei primi amici, le prime persone che abbiano mostrato interesse alla mia vita, a come sono davvero. Ho un rapporto tremendo con mio padre e lui…-, sospirò pesantemente, -Tende ad essere un po’ troppo esigente sulla mia condotta… E questo mi ha messo in una situazione sgradevole, con lui. Sospetta che io… che io non sia la persona che pensava fossi e mi ha messo alle strette con domande alle quali… Ho dovuto inventare cose…-

Fece una pausa: qual era davvero la domanda che avrebbe voluto fare a Marinette? Di cosa doveva parlarle?

Aveva appena visto gli occhi spaventati della ragazza saettare attorno a lui alla ricerca di una scappatoia e invece di andar via era riuscita a mettersi da sola in trappola, sotto la cattedra. Stava rannicchiata proprio come quella volta che l’aveva vista piangere tutte le sue lacrime da sola, sul terrazzo di camera sua. Avrebbe voluto prendere le sembianze di Chat Noir per nascondersi là sotto assieme a lei e stringerla a sé, dicendole che non doveva agitarsi, perché c’era lui accanto a lei. L’avrebbe fatta star bene, sarebbe riuscito a calmarla, lo sapeva: lo aveva già fatto.

Eppure quella dolce e indifesa creatura era la stessa che aveva visto scattante durante la loro sfida in palestra e animata da una grinta nello sguardo che, se n’era convinto, poteva avere solo Ladybug. E Ladybug era la donna dei suoi sogni e allo stesso tempo aveva iniziato a investire di quel ruolo anche la stessa Marinette… Erano la stessa persona? Potevano davvero essere la stessa persona?

Prese fiato e si fermò a riflettere per un attimo: la cosa più sorprendente, non era la risposta a quella domanda, ma il fatto che si stava rendendo conto che non gliene interessava nulla.

Aveva a un passo da sé la timida amica imbranata, la dolcissima ragazza che gli aveva rubato l’anima e forse la scattante eroina dei suoi sogni ed era una sola cosa che voleva, indipendentemente dal suo nome o dall’identità che lui poteva immaginare. La sentì muoversi appena, un respiro più forte, doveva finire il suo discorso perché la stava tenendo troppo sulle spine.

-Ma perché ti sto dicendo tutto questo…-, domandò più a se stesso che a lei, spezzando l’innaturale silenzio che si era creato tra loro.

Si abbassò fino alla fessura della cattedra attraverso la quale riuscì a scorgere gli occhi della ragazza. Si sedette a terra e rimase lì, inchiodato a quello sguardo azzurro che pareva non comprendere.

Dall’atrio della scuola provenivano, di quando in quando rumori sordi di banchi che venivano spostati e cestini svuotati. L’impresa di pulizia stava alacremente preparando le varie aule lasciate vuote e sistemando i corridoi.

Una porta sbattuta fece sussultare Marinette, che staccò lo sguardo da quello di Adrien.

-Stanno per arrivare qua-, mormorò la ragazza, -Dobbiamo andare prima che ci trovino ancora dentro la scuola-, uscì dalla sua caverna segreta e si alzò per sollecitare il ragazzo.

Adrien non si era mosso e stava ancora chino accanto alla cattedra, guardando il vuoto che la ragazza aveva appena lasciato. Marinette notò che aveva la testa appoggiata sulla sua spalla, il collo completamente reclinato verso di essa.

Ti verrà il torcicollo .

Studiò la linea dei muscoli e la pelle bianca del collo del ragazzo e netta fu la sensazione di deja vu. Allungò una mano ai suoi capelli e gli spostò una ciocca dagli occhi. Non si era mai avvicinata così tanto ad Adrien Agreste, ma non provò quel brivido di novità che avrebbe supposto. Solo allora lui ruotò lo sguardo e la ferì con i suoi occhi verdi, profondi, calmi eppure tempestosi come un lago durante un temporale.

-Andiamo-, Marinette gli porse la mano e sorrise, per Adrien fu come l’alba che attendeva dopo una notte troppo lunga.

In quel momento sarebbe morto per lei, afferrò delicatamente la mano che lei gli porgeva e vi posò un bacio delicato come una farfalla, tirandosi in piedi.

-Andiamo-, ripeté e strinse di più la piccola mano. Nessun batticuore per nessuno dei due: solo calda, inattesa consapevolezza.

Afferrarono tutte le loro cose e scivolarono lungo i muri non illuminati dei corridoi fino al portone della scuola, da cui sgattaiolarono in una risata soffocata e complice.

-E’ tardi-, constatò Marinette, vedendo i lampioni già accesi, -I miei mi staranno aspettando...-

-Chiamali, dì che sei da Alya e che torni prima di cena-, Adrien la supplicò con urgenza e sguardo implorante, -Ti prego…-

Marinette non osò parlare e scrisse un messaggio di chat alla sua mamma, sperando che la perdonasse.

Si rese conto solo allora che stavano camminando verso il piccolo parco vicino alla scuola, lui la guidava tenendola ancora per mano; nell’altra aveva lo zainetto rosa e il sacchetto con le paste.

-Hai fame?-, gli domando Marinette, fermandosi su una panchina ed estrasse il vassoio; -Peccato, questi si sono schiacciati…-, lo mise nel mezzo e allungò una mano, -Prego…-

Alzarono entrambi istintivamente lo sguardo nel momento in cui percepirono di stare puntando lo stesso dolce dalla glassa rosa e cambiarono entrambi traiettoria in un muto accordo involontario.

Il croissant alla fragola rimase inviolato, ma fu la volta di un piccolo bigné al cioccolato di essere preso di mira.

-E’ tuo! E’ tuo…-, alzò le mani Adrien imbarazzato e divertito per aver ancora fatto quel teatrino come il giorno prima, in camera della ragazza.

Marinette, incredula, lo vide prendere il dolcetto e avvicinarlo a lei, alle sue labbra. Le aprì, tremante e morse il bignè.

Una volta un cliente particolarmente antipatico chiese i danni a suo padre per colpa di quei bigné troppo farciti: la crema si era rovesciata tutta addosso al suo abito elegante al primo morso. Tom aveva pagato a sue spese la lavanderia e raddoppiato la farcitura: il bignè deve prenderti e con tutta la sua violenta dolcezza catapultarti in un mondo morbido e accogliente. Questa era la sua filosofia, questi i suoi bignè, dal primo all’ultimo.

Marinette sentì il rivolo di cioccolata scivolare dalle sue labbra e fissò lo sguardo in quello di Adrien, perché voleva scrutare oltre i suoi occhi di smeraldo, oltre la sua apparenza e i suoi vestiti, oltre il tempo e lo spazio.

Sei tu?

E fu normale per lei vederlo avvicinarsi sempre di più, finché non si piegò sulla sua bocca e succhiò via la cioccolata.

Era lui…

Si aggrappò al suo collo incredula e felice, incapace di pensare che era proprio lui il ragazzo che le aveva rubato due volte il cuore e poco importò se il suo primo vero bacio con Adrien sarebbe stato un bacio al sapor di cioccolata.

Che importava quello che voleva dirle quella mattina? Che cosa tutto il patimento e l’estasi degli ultimi giorni e il pensiero di come si era comportata con uno sconosciuto e quel reggiseno di pizzo, la zuppa versata, un campanello dorato, il quadro svedese, il calore che Chat Noir le aveva acceso nell’anima.

Nulla, perché solo in quel momento sapeva di essere lì, viva, pulsante, in pace con le sue due identità tra le braccia del ragazzo che amava.

-Ti amo-, lo sentì bisbigliare al suo orecchio e si sentì male dalla gioia che le spaccava il petto e voleva sprizzare da ogni sua cellula.

-Ti amo perché sei timida, imbranata, perché sai che vuol dire piangere e sai come rialzarti. Ti amo Marinette, sei stata la mia scoperta più bella. Sei stata una spalla, un’amica, una principessa da salvare e la mia ancora di salvezza. Ti amo chiunque tu sia, perché quello che conta è quello che tu rappresenti per me.-

Rimase stretta nel suo abbraccio mentre lui le mormorava quelle parole e la soffocava di tanti piccoli baci.

Non fu il primo, non fu il più ardente, ma sicuramente fu il bacio che più attendeva. Gli prese il viso tra le mani, sollevandogli il ciuffo e volle fissare nella sua mente ogni più piccolo dettaglio di lui. La fronte spaziosa, le sopracciglia folte, il naso dritto, le ciglia lunghe, quella leggera peluria chiara ai lati del viso e la bocca, che tornò a coprire con la sua finché le labbra non furono rosse e iniziarono a bruciare, mentre la sera raffreddava l’aria oltre la loro bolla di amore.

-Tu pensi che l’abbiano capito?-, domandò Tikki, stritolando la zampetta di Plagg, a cui si era attaccata.

-La probabilità non è alta, ma lascio loro un minimo di fiducia-, rispose Plagg, guardandoli torvo.

-Ti devo riportare a casa, Cenerentola-, osservò Adrien spezzando l’idillio, mentre in lontananza una chiesa completava sette rintocchi.

Marinette mugolò il suo disappunto e si strinse tra le braccia del ragazzo.

-Ma prima finisco un discorso-, la scostò da sé tenendola per le spalle e la guardò serio: -Mio padre…-, un sospiro, -…sospetta di me e… mi ha domandato da dove venga questo anello-, lo indicò e solo allora Marinette si rese conto che Adrien portava un anello molto simile a quello di Chat Noir, ma di metallo.

-Gli ho detto che me l’ha regalato la mia ragazza e che quella ragazza sei tu-, confessò tutto d’un fiato, imbarazzato, portandosi una mano alla nuca, come faceva sempre in quelle situazioni.

Marinette gli prese la mano e fissò l’anello. Vi posò un bacio sopra e gli sorrise: -Dove eravamo quando te l’ho regalato?-, domandò semplicemente, -E tu cosa mi hai dato, in cambio?-

Adrien sorrise come un bambino e il suo sguardo guizzò al vassoio: -In cambio del tuo amore, mia Principessa, ti dono questo croissant alla fragola…-, Marinette sorrise e scosse la testa perché non voleva cancellare il sapore del suo bacio.

-Eravamo in questo parco, fuori dalla scuola-, riprese, più serio, Adrien, -Era una giornata di autunno e tu eri la ragazza più imbranata della classe, con una cotta mostruosa per il sottoscritto. Ma eri innamorata anche di Chat Noir, un coraggioso supereroe che salva le fanciulle in difficoltà, per questo hai comprato… in quella cartoleria laggiù…-, indicò un punto oltre il parco, -Questo gadget, e con questo ti sei inginocchiata ai miei piedi mi hai chiesto di essere il tuo ragazzo-, si mise comodo stendendosi sulla panchina e poggiando la testa in grembo alla ragazza.

-Ah, è andata così?-, lo pungolò.

-Ma io ero troppo innamorato di un’altra-, Adrien aprì le mani avanti a sé, come se stesse raccontando una favola a dei bambini, -E ti risposi: ‘Non posso Marinette, io amo Ladybug’!-, guadagnò un colpo di nocca sulla fronte.

-No, tu mi dicesti: adorata fanciulla, è un oltraggio che una bella ragazza come te chieda per prima una cosa così importante, lascia che prenda il tuo anello e sia io a propormi-, ridacchiò, immaginando la scena, -E quindi tu mi dicesti Marin-

Adrien si tirò su di scatto, la afferrò delicatamente per le spalle e scivolò giù dalla panchina, in ginocchio di fronte a lei, gli occhi gli brillavano come due stelle rubate alla notte: -Marinette, vuoi essere la mia ragazza?-

***

TA-DAAAAAN!!!!

Ecco come la mia mente bacata ha scelto di far avvenire questo strano, sofferto, desiderato, sognato, agognato, inatteso primo vero bacio!

I due si conoscono già: sono due colleghi, sono due complici, sono amici veri, di quelli che li trovi una volta sola nella vita e che riescono a farti sentire a casa, e sono anche innamorati, sebbene sia complicato per entrambi ammetterlo. Ma a questo punto la coppia Adrinette è libera di farlo!

Ebbene, il titolo: … l’ho scritto dopo la ff e… non ne ho trovati di migliori! Una persona che ha letto il capitolo in anteprima, mesi fa, notò che il titolo era adatto, spero tanto che lo sia anche per gli altri miei lettori!

Un bacio al cioccolato a chi mi segue, ai lettori fedeli, a tutte le Marinette e le Ladybug che mi leggono e a tutti gli Adrien e gli Chat Noir!

A presto,

Flo!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Il rito dei Kwami ***


ATTENZIONE ATTENZIONE: questo capitolo si svolge 6 anni dopo il tenero bacio e dichiarazione di amore Adrinette del precedente capitolo. Dimenticate la cioccolata, i bigné, le fragole e quant'altro. Adesso siamo nel "presente" e Marinette sta sempre molto, molto male.

Buona lettura!

******************

Capitolo 15 - Il rito dei kwami (6 anni dopo)

Il rumore dei suoi tacchi riecheggiava nell’androne vuoto della stazione della metro di Gare d’Austerlitz. Aveva il passo affrettato, si sentiva mille occhi addosso pur essendo sola.

Ai piedi aveva dei vecchi stivali a mezza gamba e addosso una gonna lunga al ginocchio, una giacca leggera che aveva finito di cucire da poco e il trench.

Aveva steso un leggero velo di trucco sugli occhi per farli apparire meno segnati dal sonno e aveva raccolto i capelli con una matita da disegno. La tracolla le batteva a ritmo su una coscia via via che procedeva.

Si affrettò su34 per le scale e finalmente riemerse all’aria aperta: dall’altra parte dell’incrocio lampeggiava l’insegna del centro massaggi del maestro Fu. Portò una mano alla borsa per essere sicura che Tikki fosse sempre lì dentro e deglutì, era pronta.

-Eccoci-, Alya la raggiunse un attimo dopo in compagnia di Nino, che la salutò con un gesto delle dita. L’amica la prese sottobraccio e insieme suonarono il campanello del centro massaggi.

Fu li fece entrare e li osservò uno ad uno: -Caspita quanto siete cresciuti-, esclamò e si lisciò la barbetta. Poi li scortò nell’altra stanza, fermandosi sulla porta.

Mise una mano sul petto di Marinette, guardandola intensamente con i suoi occhietti neri: -Devi essere forte e portare pazienza-, disse e le strinse un braccio, facendoli entrare.

Non erano i primi. Seduta a gambe incrociate davanti al tavolino da tè stava una loro vecchia conoscenza.

-Lei è Nathalie Sancoeur, assistente personale di Gabriel Agreste e del figlio Adrien-, spiegò Fu, pur immaginando che non fosse necessario, -E’ venuta in rappresentanza del Pavone, della Farfalla e del Gatto Nero…-, si soffermò a guardare Marinette e vide la rassegnazione dipinta sul suo viso.

Davanti alla donna, su un drappo di velluto, c’erano i tre miraculos appena citati.

-Buonasera-, disse Nathalie rivolgendosi a loro tre. In quegli anni era dimagrita e i suoi capelli non portavano più le meches rosse, ma erano uniformemente neri e lisci ai lati del viso magro. Mise le mani al suo tablet e andò in videoconferenza con Gabriel Agreste.

-“Monsieur Papillon”, non ha ricevuto il mio invito?-, domandò serafico Fu, avvicinandosi allo schermo del tablet, per essere inquadrato. Marinette avrebbe voluto fare lo stesso per sbirciare se, oltre al padre, ci fosse traccia anche di Adrien.

-Mi dispiace non aver potuto partecipare, purtroppo mio figlio e io ci troviamo all’estero e non abbiamo potuto liberarci per raggiungervi-, si giustificò lo stilista, con appena un filo di strafottenza volutamente non celata nella voce.

-Ad ogni modo, è necessario che troviate il tempo di ascoltare quello che ho da dirvi, visto che è solo a causa vostra e per voi che siamo qua riuniti stasera-, Fu mosse lievemente la testa , sapeva che quella che stava per porre era una domanda scomoda: -Adrien è lì con lei?-

Marinette sentì il cuore accelerare improvvisamente, incerta su quale fosse la risposta che avrebbe voluto udire.

-Sono qua-, quella voce fu come una fucilata per lei. Le risuonò nel petto e nella mente ed ebbe la capacità di riportarla per un istante a quella che era stata la sua vita, troppo tempo prima. Non ricordava quanto facesse male al cuore, non aveva più davvero coscienza di cosa significasse averlo perso… o averlo avuto. In realtà non ricordava quasi più il suono della sua voce e quelle due semplici parole l’avevano ghermita e sbattuta nel più profondo degli incubi neri.

Sono qua .

Gliel’aveva detto tante volte, quando di notte lei si destava e lo cercava nel buio della sua camera, sperando che Chat Noir fosse tornato da lei. Ma lui non era più tornato.

Alya mise una mano sulla sua, non si era accorta che stava straziando la stoffa della sua gonna, chiusa in uno spasmo. Si sforzò di rilassarsi.

Avrebbe voluto vederlo, capire se era sempre l’Adrien che aveva amato, vedere com’era cambiato in tutti quegli anni. Le copertine patinate non le guardava più, faceva troppo male e anche le rare volte che in tv davano servizi su di lui, cambiava canale. I suoi occhi sarebbero stati limpidi come quando era insieme a lei, oppure avrebbe visto ancora quell’ombra scura a catturargli l’anima?

Eppure, compagno della voglia di rivedere Adrien, strisciante come un serpente, il panico di non ritrovarlo più la attanagliava. Il suo petto non riusciva più a trattenere l’aria, le luci sembravano più forti, a tratti il buio. Si sentiva soffocare. Fu la richiamò al presente,

-Signori Agreste, qua sono presenti la portatrice del Miraculous della Volpe, quello del Miraculous della Tartaruga e quello della Coccinella-, disse Nathalie, informando i suoi principali.

-Mademoiselle Dupain-Cheng! Spero che non porti ancora rancore nei miei confronti, me ne dorrei-, disse la voce profonda e melliflua di Gabriel. Marinette abbassò lo sguardo, senza rispondere. Doveva reagire.

-Il gatto le ha morso la lingua?-, ironizzò l’uomo e l’ira più pura prese a strisciare tetra e ruvida dentro la ragazza. “Devi essere forte e portare pazienza”, le aveva detto Fu. Portare pazienza…

Marinette inspirò per dare quanto più ossigeno al suo cervello: -Il gatto mi ha morso il cuore, Monsieur Agreste, pensavo ne fosse informato. Ma fortunatamente ne ho sempre uno, a differenza sua-, rispose a tono, cancellando dalla sua testa l’informazione che Adrien la stava ascoltando.

Devo essere forte.

-Noto che ha affinato anche la dialettica, oltre alle sue doti di talentuosa stilista. Ho avuto modo di vedere alcuni suoi modelli: molto interessanti. Peccato che, a quanto mi hanno detto, non sia stata notata ancora da nessuna Maison degna di questo nome-, le disse Agreste, senza ricevere risposta in cambio.

Forte…

-State buoni…-, pregò Maestro Fu; -Datemi i vostri Miraculous-, chiese poi ai ragazzi che obbedirono, mal celando la loro riluttanza.

Il vecchio chiamò con un cenno della mano tutti i kwami, che accorsero al centro del tavolo apparendo dai loro nascondigli. Marinette incrociò per un istante lo sguardo di Plagg e comprese che anche lui era teso come una corda di violino.

Fu aprì l’antico libro misterioso che era stato di Gabriel Agreste e lesse ad alta voce una litania in cinese che era scritta in un angolo di una delle pagine. Marinette riconobbe subito i segni di un’affumicatura sulla carta giallina, tutto intorno alla scritta: evidentemente qualcuno aveva scoperto dei messaggi segreti nascosti tra le pagine del grande tomo e li aveva decifrati, usando la stessa tecnica che Fu aveva adoperato negli inviti rivolti a tutti loro.

I kwami chiusero gli occhi iniziarono a fluttuare girando in cerchio, si tenevano per le zampette e variavano la velocità come se stessero decodificando un segnale. Si fermarono ed aprirono tutti i contemporanea gli occhi.

-Cosa vedete?-, domandò Fu, visibilmente in ansia.

-Non riusciamo a farlo, senza Pollen-, dichiarò Wayzz, lanciando un’occhiata al vecchio. L’uomo alzò gli occhi al cielo, borbottando qualcosa tra sé e sé e andò ad aprire lo scrigno nascosto sotto al grammofono. Estrasse una scatoletta scura e la aprì davanti ai presenti, accecandoli con il bagliore che si produsse.

-Ciao, sono Pollen e sono il tuo kwami!-, ronzò una vocina acuta: si guardò intorno e, per un attimo, parve non capire la situazione.

-No, Pollen, non è ancora il tuo momento-, spiegò con rammarico Fu e la bestiolina, che aveva le sembianze di una grossa ape, abbassò la testa, dispiaciuta.

-Vieni tra noi-, la chiamò Tikki e le prese la mano: -Dobbiamo vedere. Te lo ricordi?-, le spiegò e tutti insieme iniziarono di nuovo a girare a mezz’aria sopra i Miraculous, mentre Fu ripeteva la litania arcaica.

Quando si fermarono, nessuno di loro si mosse né parlò. L’aria si sarebbe potuta tagliare a fette, il silenzio ronzava nelle orecchie di tutti i presenti. L’unico rumore fu causato dalla sedia di Nathalie, che si mosse per voltare il tablet verso il cerchio dei kwami. Anche gli Agreste dovevano partecipare a quel momento. Soprattutto loro, comprese dopo poco Marinette.

Gli esserini riaprirono uno ad uno gli occhi, Wayzz parlò per primo: -Io sento le anime di due portatori del mio miraculous-, asserì, indicando Maestro Fu e Nino.

-Io sento che al mondo pulsa l’anima di un solo portatore del mio Miraculous-, dichiarò Tikki e dopo di lei, ripeterono lo stesso anche Plagg e Nooroo.

-Non ci non anime in vita legate al mio Miraculous-, disse Pollen.

Infine parlò Duusu, il piccolo pavone: -C’è un solo portatore del miraculous del Pavone al mondo, in questo tempo. Io percepisco solo l’anima di Nathalie Sancoeur- .

Tutti videro chiaramente nel monitor del tablet la mano di Gabriel Agreste invadere tutto lo schermo, che divenne nero: aveva chiuso la connessione dopo aver avuto la risposta alla domanda che lo tormentava da anni e anni.

Emilie Agreste, che era stata la portatrice del Miraculus del Pavone prima che lui lo cedesse a Nathalie, non c’era più.

Nella saletta del centro massaggi era calato il silenzio. Tutti avevano capito le implicazioni di quelle rivelazioni, ma soprattutto era chiaro che, volente o nolente, Papillon avrebbe dovuto scendere a patti con la realtà: tentare di attivare assieme i Miraculous di Coccinella e Gatto Nero avrebbe forse riportato indietro sua moglie, ma a scapito di una vita umana.

Lo aveva appreso molti anni prima proprio in quella stanza, tramite suo figlio: chi avesse attivato entrambi i Miraculous dello Yin e Yang avrebbe perso la sua vita, se avesse desiderato in cambio di riportare indietro un’anima che non c‘era più. Differentemente, se si fosse trattato di altre richieste, il prezzo sarebbe stato proporzionalmente inferiore.

Marinette si alzò dalla sedia, sparendo nel corridoio. Tikki la seguì a gran velocità.

-Non pensare di fare sciocchezze-, pronunciò agitata la piccola kwami e le si parò davanti.

La ragazza respirava in affanno: ritrovare la madre era il più grande desiderio di Adrien e lei lo sapeva. Nonostante le loro vite si fossero separate da così tanto tempo, non era passato giorno in cui lei non avesse rivolto un pensiero di speranza per la sua ricerca. Non un giorno senza dimenticare gli occhi tristi e profondi del ragazzo, quando aveva rinunciato a lei per cercare sua madre. Non un giorno di rimpianto e di sottile dolore. Nonostante tutti i cambiamenti, nonostante il tempo avesse plasmato i loro aspetti e li avesse resi due adulti, nonostante la loro connessione unica non ci fosse stata più, ogni giorno Marinette si sentiva grattar via un pezzo di anima, sapendo che era un giorno in meno della sua esistenza senza l’unico vero infinito amore che aveva mai scaldato il suo cuore.

Aveva continuato a cercare e studiare in solitudine, sperando che la donna fosse stata in vita, per non dover arrivare ad un sacrificio estremo e aveva visto le sue speranze sgretolarsi dopo tanto tempo di silenzio. “Tornerò quando l’avremo trovata”, gli aveva detto Adrien in un ultimo bacio. Le aveva bisbigliato in un orecchio dolci promesse, che l’avrebbe pensata ogni giorno, che la ricerca sarebbe stata rapida, che al suo ritorno sarebbe corso da lei e sarebbe stato finalmente davvero felice. I suoi occhi verdi l’avevano fissata da dietro un velo di lacrime: lui sapeva già di mentire.

E infatti non era più tornato.

Erano passati sei anni, e dopo tutto quel tempo passato a ricordare ogni singolo istante di quella straziante note, in quel momento, Marinette ne era certa: l’avrebbe perso per sempre, insieme alla sua speranza, dal momento che Emilie Agreste non c’era più. Era sicura che Adrien non avrebbe mai perdonato il suo antico egoismo nel non volergli concedere il suo Miraculous, ma sarebbe stato troppo rischioso, se l’avesse fatto. Quello sciocco ragazzo avrebbe fatto gesti che non poteva permettersi.

Eppure una domanda la tormentava: da quando la madre di Adrien era morta? Avrebbe forse potuto salvarla sei anni prima, se solo avesse avuto la forza di imporsi sul ragazzo e attivare il potere congiunto dei loro Miraculous? E se fosse stato a causa della sua debolezza che tutto, ogni sogno, ogni speranza, erano andati in frantumi?

Ormai aveva perso ogni cosa, ma poteva ovviare alla sua scelta del passato; non le sarebbe costato molto donare al suo antico amore l’ultima prova di quanto fosse significato per lei. Avrebbe potuto esaudire il più grande desiderio di Adrien. L’unico modo per farlo sarebbe stato rinunciare al suo miraculous e sacrificare una vita umana: la sua.

-Lo farò io…-, sussurrò guardando Tikki, senza vederla. -La mia vita non ha più alcun senso, potrei darne uno a lui-, inghiottì e tornò nella saletta per annunciare a tutti la sua decisione.

-Lo far…-

-Non dire sciocchezze!-, Fu l’aggredì verbalmente e agitò il suo bastone davanti a lei: -Cosa penseresti di ottenere? Ti sacrificheresti per…?-

Marinette tratteneva il respiro, consapevole di essere a un passo dal esplodere: perché le avevano fatto sentire la voce di Adrien, perché era stata messa in quella situazione difficile? Pensavano davvero che fosse un’eroina forte e dura come la pietra? Lei era sabbia, ormai. Si era sgretolata.

-Datemi gli orecchini-, sussurrò mentre nei suoi occhi aveva solo l’immagine di un giovane Adrien, ma due mani ferme la trattennero posandosi sulle sue spalle. Gli occhi color del mare di Nathalie la trafissero: -Non faccia la melodrammatica, Mademoiselle Dupain-Cheng! Non servirebbe a nulla... Non torniamo a ipotesi ormai accantonate da anni. Gabriel Agreste ha girato in lungo e largo per cercare ogni modo possibile e impossibile per evitare una simile evenienza e non lo ha trovato. Aveva bisogno di certezze prima di abbandonare la sua speranza. Adesso le ha e le garantisco che non tornerà sull’argomento-, parlò per la prima volta con un’urgenza e una determinazione che non le si addicevano.

-In quanto ad Adrien, le posso assicurare che mai e poi mai ha preso in considerazione questa stupida idea-, le sorrise e abbassò le mani: -quello non era lui…-

Prese aria: -In definitiva, Marinette, sacrificarsi per amore sarebbe quindi una scelta avventata e inutile che non è mai, mai, stata presa seriamente in considerazione da nessuno.-

Fu l’affiancò: -Senza contare che, nel tuo caso, essendo una delle due metà dello Yin e Yang, l’altra non potrebbe in ogni caso continuare ad esistere.-

-Ma se prendessi il suo miraculous, lui non sarebbe più niente-, teorizzò Marinette, ancora salda nella sua idea. Nathalie e Fu si aprirono come un sipario, lasciando passare tra le loro teste il piccolo kwami nero. Plagg si avvicinò con volto serio a Marinette e la guardò scuotendo appena il capino tondo.

-Io farò sempre parte di Adrien, Marinette, finché sarà in vita: voi due siete legati da un sottile filo che è dipanato dall’inizio del tempo e che irrimediabilmente lega i portatori della Coccinella e del Gatto Nero. Se ti annientassi con il potere dei vostri Miraculous, anche lui subirebbe la stessa sorte.-

Anche Duusu si avvicinò a Marinette: -E poi c’è un’altra cosa…-, ammise, abbassando la testa e chiudendo la coda, mortificato.

Nathalie lo guardò senza capire cosa intendesse e lo accolse sul palmo della sua mano.

-Ecco… io… in realtà temevo già che Emilie Agreste non ci fosse più, perché nel momento in cui si è tolta definitivamente la spilla del Pavone, non ho più percepito alcun legame con lei. Come se sapesse che era destinata a scomparire… Ma non ho mai capito il perché. C’è una remota possibilità che anche se si tentasse un sacrificio di tale portata, lei non tornerebbe più.-

-Dovete dimenticare Emile Agreste e la sua ricerca. Ciascuno di voi,-, concluse Fu, in una sentenza definitiva.

A cosa era servito, dunque, separarsi da lui e perdersi?

Marinette sentiva la testa girare come se fosse stata su una giostra velocissima, portò le mani alle tempie e, per un istante, perse l’equilibrio. Nathalie la sostenne lesta: -Va stesa-, comandò e fece un cenno a Fu di prendere qualcosa.

-Mari…-, Alya era accorsa a suo capezzale: -Mari, quanto sei sciocca!-, ammise, -Plateale, scontata e sciocca-, si chinò ad abbracciarla, mentre anche Nino entrava nel suo campo visivo.

-Ragazza, qua siamo deboli di cuore, non ci fare scherzi-, le disse e si chinò accovacciandosi accanto a lei.

-Fatele aria-, comandò Fu avvicinandosi. Marinette si mise a sedere, -Sto bene Maestro Fu, davvero…-, puntellò una mano dietro di sé per alzarsi, ma l’omino la fermò con un gesto.

-Prima tu bevi questo-, le disse e le passò un bicchiere che puzzava di alcool: -Tutto d’un fiato!-

Marinette tirò giù il contenuto del bicchiere e si sentì bruciare la gola. Le scappò un colpo di tosse e si portò una mano al petto. -Che cos’era?-, domandò spaventata.

-Baijiu-, sorrise l’uomo, con convinzione: -Mia nonna si tirava sempre su a Baijiu, quando si spaventava per un topo o si sentiva mancare.- Nathalie lo guardò torva: -Così la farà ubriacare-, aiutò Marinette ad alzarsi e la fece tornare nella sala dove ancora c’erano i Miraculous. Afferrò gli orecchini e li porse alla ragazza.

Marinette li soppesò tra le mani e trafisse con il suo sguardo azzurro la donna davanti a sé: -E’ così diversa da prima, Nathalie-, notò con trasporto, -Perché è sempre stata fredda e distaccata, mentre adesso…?-

La donna abbassò lo sguardo, la sua testa ondeggiava appena nell’indecisione se rispondere o meno a quella domanda. Approfittò del fatto che gli altri Portatori fossero impegnati a sgridare Fu per la scelta del cordiale dato a Marinette e prese le mani della ragazza tra le sue.

-Anni fa mi offrii di evocare il potere congiunto del Gatto Nero e della Coccinella al fine di far tornare indietro Emilie Agreste. Avrebbe significato avere il cinquanta per cento delle probabilità di perdere la vita, se lei fosse stata morta, ma ero pronta a farlo, per lui-, fece una pausa, era doloroso rivangare certi momenti.

-Ma Adrien venne in mio soccorso e mi implorò di non farlo. Mi disse che io ero stata per lui quasi come una madre, anche se fredda e distaccata, come il rapporto con suo padre richiedeva. Mi disse che non avrebbe permesso che io facessi una cosa del genere per Gabriel. Mi abbracciò e disse: “Non voglio perderla, ma per salvarla devo sparire”-, strinse di più le mani di Marinette, -Non so se si riferisse a sua madre o a te… ma piangeva mentre me lo chiese e io non potei fare a meno di abbracciarlo e promettergli che avrei cercato in tutti i modi di far sì che potesse essere felice, in qualche modo. Allora mi chiese di imbastire una bugia che fosse abbastanza credibile per te e per tutti gli altri. Tutti noi abbiamo finito per sprofondare in quella bugia...- Si alzò e le diede le spalle.

-E da allora anche io ho mentito all’uomo che amo, sperando che prima o poi, forse, lui mi avrebbe perdonata.-

Marinette la guardava con la bocca spalancata, incredula che dietro la maschera da cyborg della donna si nascondesse siffatta anima, torturata dall’interrogativo che le parole della donna avevano acceso.

-Credo che per fare felice Adrien, l’unico modo sia proteggere te, Marinette e cercare di concedervi di recuperare il tempo perduto… Adesso che ufficialmente non c’è più nulla per cui lottare…-

L’arrivo di Alya la zittì: in breve Nathalie riacquistò la sua espressione atona e mise mano al suo tablet. Sembrava che non fosse la stessa persona con cui aveva parlato un attimo prima e che le aveva dato del tu, come se fossero compagne di avventure, piuttosto che rivali in una magica lotta per la supremazia e la rivalsa. In realtà, e lo sguardo che Nathalie le aveva rivolto ne era la prova, erano solo due donne che soffrivano per amore.

Il liquore che le aveva dato Fu aveva avuto il risultato di mettere lo stomaco di Marinette in subbuglio. Le girava ancora la testa e si sentiva un fuoco in pancia. Avrebbe vomitato volentieri. Tikki mostrò di capire il suo stato e chiese a Fu che altro avrebbero dovuto fare quella sera, e nel futuro.

-Papillon non sarà più un problema-, disse Fu, poi guardò Nathalie: -O no?-, domandò.

La donna inspirò incerta sulla risposta da dare: -Sicuramente non sfrutterà più il potere del Pavone per ottenere il comando delle menti più deboli-, affermò per quanto le poteva concernere.

-E io che farò?-, la vocina di Pollen, triste per quanto sarebbe accaduto, spezzò il silenzio che aveva seguito la dichiarazione di Nathalie.

-Dovrai tornare a dormire per un po’, piccola Pollen-, affermò con tristezza l’uomo, aprendo la scatolina e lasciando che la kwami vi rientrasse da sola.

-Vorrò incontrarvi tutti di nuovo, e la prossima volta pretendo che ci siano anche gli irraggiungibili Agreste-, bofonchiò l’omino: -Ho grandi progetti per voi-, affermò sorridendo e facendo segno che la riunione era conclusa.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Il tempo delle mele (Sei anni prima) ***


ATTENZIONE: questo capitolo è collocato temporalmente durante la serie tv. Quindi 6 anni prima del precedente. Torniamo al flash back.

Armatevi di pazienza, che è parecchio lungo… diciamo che compensa il precedente :-P

16 - Il tempo delle mele (Sei anni prima)

Da mesi Marinette si era abituata ad aver difficoltà nel prendere sonno: la notte dopo la sua prima battaglia non aveva chiuso quasi del tutto occhio. D’altronde come avrebbe potuto farlo, nel momento che la sua vita era stata sconvolta da una tale responsabilità a solo quattordici anni?

Ma quella notte era diversa… perché si sentiva così inquieta e strana? In fondo aveva appena vissuto il giorno più bello della sua vita, cosa c’era che non andava? Si rigirò nel letto, in attesa. La piccola sagoma di Tikki riluceva appena davanti alla finestra tonda, mentre scrutava i tetti di Parigi.

Alla domanda di Adrien aveva risposto con un bacio e vi si era annullata, venendo del tutto assorbita dalla nuova e splendida sensazione che la sua vicinanza le stava suscitando. Si guardava intorno e vedeva solo lui: lui con gli occhi penetranti e dolci, con il sorriso sincero, lui che aveva braccia forti per accogliere la “sua piccola principessa”, lui che aveva riempito l’aria col suo profumo e i sogni con l’elettricità dei suoi baci.

-Andiamo-, le aveva sussurrato all’orecchio e, stringendola con le mani grandi alle spalle, l’aveva fatta alzare dalla panchina dei giardini per riportarla a casa sua.

Salutarsi sulla porta di casa era stata un’impresa difficilissima, così come cercare di tenere nascosta quella felicità che parlava di sé attraverso gli occhi lucenti e la pelle accaldata.

-A domani-, lo aveva salutato abbassando lo sguardo e iniziando a contare i secondi che l’avrebbero separata dal loro nuovo incontro. Che si sarebbero detti, dopo aver lasciato decantare per una notte intera quei dolcissimi attimi? Come avrebbero dovuto comportarsi a scuola? Che avrebbe dovuto raccontare ad Alya?

-A dopo…-, un guizzo malizioso negli occhi aveva acceso il saluto di Adrien, prima che lei salisse le scale di casa.

-E se non avessi capito nulla, Tikki?-, domandò Marinette, facendo sussultare l’amichetta, che la raggiunse vicini al letto.

-E se… semplicemente… Adrien non fosse Chat Noir?-, aprì le mani in grembo: -In fondo non l’ha mai ammesso… Né io ho chiesto nulla. L’ho semplicemente dato per scontato.-

Che si fosse aperta una voragine sotto di lei, se avesse preso un siffatto abbaglio!

Tikki sbuffò: -Plagg l’aveva detto…-, borbottò tra sé e sé.

-Plagg?-, forse c’era una speranza allora, -Quando lo hai…?-, un gesto vago con la mano, la domanda chiaramente implicita.

-Mentre ti stavi facendo mangiare la faccia da Adrien-, spiegò la kwami, facendo arrossire l’amica: due braccine stizzosamente lasciate crollare verso il basso.

Quindi era Chat Noir, se c’era Plagg insieme a lui. Marinette si lasciò cadere di nuovo supina sul letto.

-Sinceramente… pensi che sia normale il fatto che non sia particolarmente sconvolta da questa sconvolgente notizia?-, era più una domanda a se stessa che rivolta alla bestiolina.

-Sinceramente, Marinette?-, Tikki era esausta per quella situazione, -Sinceramente mi domando come abbiate potuto passare più di metà delle vostre giornate a meno di un metro di distanza e non esservene accorti da mesi-, le sorrise.

-Stai dicendo che siamo due idioti?-, domandò Marinette, riflettendo sul fatto che però anche una mente sveglia come Alya avrebbe potuto arrivarci, o Nino o…

-Siamo due idioti, Marinette, è inutile illudersi che le cose non stiano così-, Marinette sussultò quando la testa bionda di Chat Noir fece capolino dalla finestra sopra il suo letto, intrufolandosi nel discorso e nella sua camera.

Era venuto!

-Cia…ciao…-, salutò, rannicchiandosi a sedere con le ginocchia al petto in un angolo del letto.

Chat Noir, non Adrien, era davanti a lei, accovacciato per portarsi alla sua altezza.

-Buonasera, Principessa-, le disse, prendendole una mano e baciandola.

Che tenerezza gli faceva Marinette, piccola e dubbiosa, mentre lo guardava con occhioni grandi e sinceri. La bocca semi aperta, gli angoli leggermente piegati all’ingiù!

L’ultima volta che era stato lì non sospettava nulla che lei potesse essere Ladybug, c’era andato solo per Marinette e il loro incontro era finito nella maniera più straordinaria che avrebbe potuto immaginare.

Poi si era messo nel mezzo Adrien…

-Marinette-, si avvicinò a lei, che non pareva essere a suo agio, non come il giorno prima, almeno, -Va tutto bene?-, le posò una carezza sullo zigomo con il dorso della mano guantata, Marinette socchiuse gli occhi al contatto, imprigionando la mano tra la sua guancia e il collo.

-Sì-, un soffio, -Solo che… è strano…-, lasciò che il ragazzo si insinuasse con la mano tra i suoi capelli dietro la nuca, reclinò la testa, scoprendo il collo.

-Vuoi che sia lui?-, le domandò, avvicinandosi alla pelle candida e provocandole un brivido con il leggero soffio delle sue parole.

Marinette non rispose, crogiolandosi nella carezza che Chat Noir continuava a farle sulla testa e nei piccoli baci che le aveva posato sul mento. Cercò la mano del ragazzo e si adoperò per sfilargli il guanto.

-Viene via-, constatò, passando ad interessarsi alla cintura, semplicemente annodata attorno alla sua vita. Allungò la mano fino alle orecchie nere: erano sempre state un mistero per lei.

-Attenta ragazzina…-, la voce roca di Chat Noir e quello sguardo affilato sgretolarono la sua sicurezza. Lasciò perdere le orecchie, scivolò con il tocco di un polpastrello su tutto il bordo della maschera e arrivò più giù, a quella zip che le aveva aperto le sette meraviglie del suo cuore.

-Attenta…-, mormorò ancora il ragazzo con il viso affondato nell’incavo del collo di Marinette. La sentì armeggiare con lo scollo della maglia del pigiama e ci infilò una mano dentro. Adrien spalancò gli occhi venendo dolcemente straziato da un brivido lungo tutta la schiena.

-E’ tuo-, Marinette estrasse il campanello caldo di lei e si sfilò la collana improvvisata, cercando di sciogliere il doppio nodo. Sorrise lievemente imbarazzata, perché non le riusciva, provò a tirare la stoffa, ma peggiorò soltanto la situazione.

-Sei buffa-, constatò Chat Noir, godendosi il rossore indispettito che affiorò fino al naso di Marinette, -Non mi ero accorto che eri così incantevole-, anche attraverso le pupille allungate, Marinette vide uno sguardo dolcissimo e disarmato e per la prima volta fu certa che c’era Adrien, sotto la maschera.

Il ragazzo prese la collana e, con i denti, spezzò il cordino: -Che ci vuoi fare?-, diede un leggero colpetto sul naso di Marinette con il campanello. Lei lo afferrò e tornò ad armeggiare alla zip della sua tuta di pelle. Le sue mani si muovevano con la stessa sicurezza di quelle delle sarte che lo avevano sempre misurato, imbastito, decorato e impacchettato prima delle sfilate.

-Ecco: adesso sei Chat Noir-, esclamò e fece tintinnare il globo dorato con un leggero colpetto dell’unghia.

Lui sorrise sornione e stava per risponderle con una delle sue classiche battute, quando Marinette afferrò il campanello e tirò giù, senza prevviso, e con tutta la veemenza e l’urgenza di una quindicenne innamorata, lo spogliò abbassandogli la giacca e attaccandosi al suo petto nudo.

-Ma…Marinette…!-, aveva allargato le mani, colto alla sprovvista dalla passionalità della ragazza e la fissava stretta a sé, che strusciava il viso sulla sua pelle. Sentì un lieve ronzio scaturirgli dentro e non riuscì a controllarsi, evidentemente imbarazzato. Avrebbe voluto staccarla, ma anche ricambiare in tutto e per tutto il trattamento e perdersi sulla sua pelle.

-Lo sapevo che facevi le fusa-, biascicò Marinette staccandosi con riluttanza da lui e tirando su la zip; -E… il tuo costume è fantastico, seriamente!-, fece passare un dito sulle cuciture all’altezza delle spalle, ne apprezzò la curvatura.

-Anche il tuo è fantastico, credimi Marinette!-, si liberò del tutto dalle sue grinfie di gattina eccitata, sbilanciandola finché non fu supina sotto a lui. Rimase su di lei con il peso distribuito tra le ginocchia e le mani affondate nel materasso ai lati della faccia di Marinette.

-Plagg, trasformami-, ordinò senza prevviso e i suoi occhi tornarono ad essere normali, puntati su di lei, per godersi ogni istante del suo scontato e meraviglioso imbarazzo.

Il kwami nero le atterrò in mezzo al petto.

Adrien Agreste era nel suo letto, stava sopra di lei e la guardava con un’espressione da… aiuto!!!

Marinette si sollevò sui gomiti cercando di indietreggiare per sottrarsi a quella posizione sconveniente che le avrebbe causato un infarto di lì a poco e solo allora vide gli occhietti socchiusi di Plagg conficcati nei suoi, la stessa espressione di Adrien sul visetto tondo e le due zampette aperte innocentemente sui suoi seni. Marinette con una manata lo fece volare via, urlando e il kwami finì spiaccicato sul muro.

-Plagg!-, strillò Tikki accorrendo al capezzale dell’amico. Vide il suo ghigno, afferrò il libro di fisica che Marinette aveva lasciato accanto al letto e glielo tirò sulla testa, -Maniaco!-, squittì.

La ragazza allungò una mano verso l’esserino per chiedere scusa, ma fu catturata in un abbraccio dolcissimo del suo Adrien. Dimenticò presto gli spiritelli e si accucciò nel calore dell’abbraccio del ragazzo.

-Non sai da quanto tempo sognavo una cosa del genere-, gli confessò mordicchiandosi la punta di un dito, -Scusami per… poco fa-, in effetti era stato un comportamento veramente poco consono alla sua consueta apparenza. Com’ere possibile che a Chat Noir aveva ripetutamente messo le mani dentro alla tuta senza provare la minima vergogna, mentre con Adrien era tutto così più complicato?

-Non ti scusare-, fu torturata da un lungo bacio sul collo, -Sentiti libera di spogliarmi quando vuoi e dove vuoi-, sussurrò sulla sua pelle Adrien: Oh Mamma! Quella non era una frase da Adrien…: -Ma se mi avverti, prima, sarebbe ancora meglio-, completò e tornò a guardarla con occhi…da Plagg.

-Parlavamo del tuo costumino-, un sorriso a labbra stirate, -Lo sai che è come se non avessi niente addosso, cara Ladybug?-, passò un dito lungo il suo braccio, impigliandosi nella stoffa del pigiama, -Non che non mi piaccia…-, dal polso passò al fianco, -…Ma temo che piaccia anche a molti altri…-, lungo la gamba, -… e io sono molto, molto geloso…, girò verso il ginocchio, -…e vorrei che certe curve non diventassero di pubblico dominio...-

-E’ un’armatura-, rispose Marinette, ghiacciando i bollenti spiriti di Adrien. I suoi occhi perplessi domandarono tacitamente una spiegazione: -Non si può togliere. Non ci sono zip o cuciture… è spalmata sopra a me-, gli sorrise sghemba, -C’è un solo modo per toglierla…-, catturò le sue labbra in un bacio: -E’ sapere chi c’è sotto la maschera e infilarsi in camera sua di notte, quando non è trasformata…-

-E quello lo posso fare solo io-, concluse per lei Adrien.

-Assolutamente-, era felice della possessività intrinseca in quella affermazione.

-Quindi, se Chat Noir fosse riuscito a conquistare Ladybug, non avrebbe potuto sperare di… approfondire il loro contatto… senza passare da Marinette?-, una domanda scontata, a quel punto.

-Se per te è un peso, dimmelo-, si tirò su, chiaramente consapevole che era una domanda retorica pure la sua.

-Dovrò spogliare Marinette, allora-, le sorrise sulle labbra lasciandole un brivido sospeso in mezzo al cuore, e l’abbracciò, mostrando come, in quel momento, aveva cose più dolci e importanti a cui pensare. Marinette sapeva di essere rossa, rossa e appagata.

-Non hai idea di quanto sia felice che dietro quell’armatura ci sia tu-, esordì con semplicità, -Anche se mi dovrò abituare all’idea di non avere più una ragazzina imbranata che balbetta alle mie spalle-

-Non sperare che la mia fosse una copertura-, ammise Marinette, -Io sono molto, molto imbranata…-

-Ma almeno smetterai di balbettare?-, le rivolse un sorriso fiducioso a trentadue denti. Un ciuffo biondo gli ricadde su un occhio, lo spostò con la mano, tirandosi indietro i capelli. Era bellissimo!!!!

-Non sbabbettrerò più, daccrodo-, rispose in un sospiro, senza rendersi conto di quel che aveva appena detto. Adrien si illuminò in un sorriso allegro, soffocò una risata e la abbracciò stringendole delicatamente la testa tra il petto e l’incavo del gomito, -Che ragazza che ho!-, la prese in giro.

Marinette si sentì di nuovo colta dal calore improvviso di un lanciafiamme.

-Riguardo a… questa cosa qui…-, non riusciva a chiamarla con il suo nome, -Come dobbiamo comportarci con tutti gli altri?-, gesticolava avanti a sé cercando di spiegare le parole non dette.

-Sei la mia ragazza?-, era una domanda?

-Io… sì?-, era una risposta!?

-E allora comportati come se fossi la mia ragazza!-, ovvio.

Marinette si mise a gambe incrociate e lo fissò seria: -Io non lo so come si comporta la ragazza di Adrien Agreste-, spiegò piccata: -La ragazza di Nino Lahiffe è semplicemente se stessa, Alya lo schiaccia, povero Nino… ma ogni tanto si fanno le coccole davanti a tutti. La ragazza di Ivan è timida come sempre e gli lancia sorrisi e occhiate allo zucchero…-, stava a lui parlare, no? No???

-Ok… io non so come si comporta la ragazza di Adrien Agreste, hai capito? Ho il terrore che Chloe mi strozzi, ho il terrore che la gente pensi “con che racchia sta quello strafigo di Adrien?”Ho il terrore di metterti in imbarazzo per… quello che sono e per come mi comporto e…-, le tappò la bocca con un bacio.

-La ragazza che Adrien Agreste vorrebbe-, le spiegò, -E’ semplicemente Marinette, con i suoi pregi, i suoi difetti, le sue cadute e quegli attacchi di passione come hai fatto poco fa…-

Marinette abbassò lo sguardo.

-E Marinette che ragazzo vorrebbe?-, le domandò.

-Uno che non si vergogni di lei-, rispose sicura.

Adrien scosse la testa e alzò le sopracciglia, mettendosi disteso supino con le braccia dietro la nuca.

-Sto con la rappresentante di classe, wow…-, Marinette si stese accanto a lui, la testa appoggiata nell’incavo della spalla. Fu chiusa in un dolce abbraccio.

-Sto con un fotomodello, wow…-, intrecciarono le loro dita.

Era tutto perfetto.

***

-Sveglia!-, Tikki la stava colpendo ripetutamente con la gomma di una matita, sembrava in allarme.

-Akuma?-, biascicò riparandosi gli occhi con un braccio. Aveva la lampada della scrivania puntata negli occhi, -Ma che…?-, si tirò su.

Un braccio l’afferrò dalla vita, riportandola giù. Ricadde con un tonfo su qualcosa di rigido, liscio e caldo.

-Ahi-

Marinette si voltò a sinistra, verso la testa bionda che aveva parlato. Il volto coperto dai capelli scarmigliati, la guancia schiacciata contro il cuscino, la schiena che si muoveva lenta ad ogni respiro.

-Adrien?-, era incredula: la carrozza avrebbe dovuto trasformarsi in zucca durante la notte, no? Non andava così per tutte le ragazze innamorate?

-Sveglialo prima che succeda una tragedia-, suggerì Plagg, a braccia conserte.

-Adrien! Che ci fai ancora qua?-, la voce spaventata sentendo, dal piano di sotto, rumore di tazze e posate.

-Dormo con la mia ragazza-, rispose Adrien con la bocca affondata nel cuscino. Si tirò appena su, un occhio verde aperto su di lei: -Buongiorno Principessa-, si lasciò ricadere giù.

-Adrien, svegliati-, Marinette cercò di farlo girare supino: se sua madre fosse entrata in quel momento sarebbe scoppiato un putiferio. Lui l’agguantò e la fece mettere a cavalcioni sulle sue gambe.

-Ci siamo addormentati?-, realizzò guardandosi intorno, con una mano si grattò la testa, muovendo i ciuffi di capelli. Era bello da far male.

-Accidenti…-, stampò un bacio sulle labbra del ragazzo, che sorrise e aprì del tutto gli occhi.

-Ci voleva tanto?-, ammiccò in tutta la sua essenza di Chat Noir.

-Devi andar via! Subito!-, lo spinse giù dal letto, sul pianale del soppalco, alzandosi e aprendo la finestra sul tetto. L’aria fredda li fece rabbrividire.

-Vai!-, lo spinse con tutta la sua forza e richiuse appena in tempo.

-Marinette, tutto a posto?-, dalla botola fece capolino la mamma. Non le sfuggì la finestra spalancata: -Hai caldo?-, domandò appoggiandosi con i gomiti alla botola come Giulietta al balcone: -E’… andato tutto bene ieri pomeriggio… da Alya?-

Marinette si voltò verso di lei a bocca aperta in una chiara espressione di stupore: sua madre sapeva?

-Tutto… bene…-, le rispose, chiudendo la finestra e sperando che Plagg fosse uscito assieme ad Adrien. In caso contrario lo avrebbe trovato surgelato in cima al tetto, con indosso solo una maglietta. Notò infatti con terrore che, ai piedi del letto, c’era la camicia di Adrien “… quando diamine se l’è tolta…?”

-Quella ?-, indicò con un guizzo dell’indice la mamma, riferendosi proprio a quella camicia.

Marinette sapeva di avere uno strano ghigno in faccia, la bocca storta in una specie di sorriso. Alzò le sopracciglia, scuotendo appena la testa, il mento increspato e le labbra serrate: -Non lo sai, eh?-, la mamma richiuse la botola sogghignando.

A Sabine Cheng in fondo stava bene che Marinette avesse segreti con lei e accettava anche che questi segreti potessero riguardare un ragazzo. Era quel ragazzo che la preoccupava.

Troppo bello, troppo gentile, troppo raffinato, troppo popolare, troppo distante dalla figlia. Povera Marinette, quanto l’avrebbe fatta soffrire…

***

Alya era già davanti al portone della scuola, immaginandosi che Marinette avrebbe voluto parlarle di qualcosa riguardante Adrien. Se c’era di mezzo Nath, immaginava, il biondo avrebbe dovuto decidersi se era interessato a lei o se aveva un’altra, come il comportamento del giorno prima aveva lasciato trapelare.

Scorse Marinette in attesa al semaforo accanto alla panetteria e si sbracciò per richiamare la sua attenzione.

Stava mettendo via il cellulare in tasca, quando un ragazzino sullo skate la urtò, facendoglielo cadere a terra.

-Ehi!-, gli urlò contro, vedendo che, a due passi da lei, la stessa sorte stava toccando ad un vecchietto al quale cadde il cappello per terra.

-M ci stai attento?-, ringhiò Alya alle spalle dello skater, raccogliendo il cappello e porgendolo all’uomo.

-Non siamo tutti così…-, gli disse, quasi scusandosi per la maleducazione del suo circa coetaneo, -Sta bene?-, si chinò su di lui. L’omino la squadrò dal basso in alto e sorrise: -Molto bene, grazie-

Unì i palmi delle mani davanti al petto e fece un leggero inchino, riprendendo la sua strada.

-Alya!-, Marinette la raggiunse correndo dalla direzione opposta al vecchino, si fermò mettendole una mano sulla spalle e prendendo fiato. Sorrideva felice e i suoi occhi sembravano brillare come due brillanti su una corona.

Non fu necessario che si dicessero niente, Alya si aprì in uno stratosferico sorriso inspirando quanta più aria potè entrare nei suoi polmoni e avrebbe gridato, se non avesse saputo che non era il caso di attirare l’attenzione su Marinette. L’amica la strinse a sé raggiante, incredula per qualcosa che, in verità, Alya non sapeva bene cosa fosse.

-…e?-, chiese quindi Alya, impreparata alla risposta.

-E… volevo che lo sapessi prima da me-, squittì emozionata Marinette. Prese aria, sospirò e: -Mi sono messa insieme ad Adrien!-, esclamò portandosi entrambi i palmi alle guance rosse, era euforica, quasi saltellava.

Non era quello che Alya si aspettava… uno scambio di battute equivoche, forse… un bacetto, dai, fin lì ci poteva arrivare con la fantasia, ma quello… quello era una cosa ENORME!!!

-E me lo dici così???-, l’apostrofò incredula per quello che le era stato appena confidato. Sottile strisciò nella sua testa il dubbio che forse Marinette poteva aver frainteso qualche atteggiamento del ragazzo.

-Non dirlo a nessuno, ti prego-, le prese le mani, improvvisamente seria, -E’ ancora… presto…-, spiegò, rafforzando il dubbio di Alya.

-Sei sicura che voi… cioè, non è che magari…-, Marinette comprese cosa la ragazza stesse cercando di domandarle e in cuor suo se ne sentì ferita, ma non lo diede a vedere.

-Alya, sono sicura. Credimi e basta-, per un attimo Marintte parve ad Alya così distante da lei, come una donna fatta e finita, certa della sua storia e della direzione in cui avrebbe veleggiato la sua vita.

-Ed è bellissimo!!!!-, le saltò al collo entusiasta, la donna fatta e finita!

-Ti farai strangolare da Chloe-, constatò Alya, rafforzando in Marinette la convinzione che veramente quella avrebbe potuto essere la sua fine.

-Ma tranquilla, tanto arriverebbe Chat Noir a salvarti…-, l’occhiolino che le lanciò Alya, pronunciando quelle parole, la raggelò. E se non fosse stata la sola a capire?

Alya la prese sottobraccio: -Ora voglio tutti i dettagli. Te l’ha chiesto lui? Dove te l’ha chiesto? A che ora? Vi siete baciati? Ma con la lingua o senza e…-

-Alya! Ti prego…-, Marinette aveva le mani sugli occhi, impreparata a sottoporsi ad un terzo grado del genere.

-Oh, va bene. La smetto solo perché tu non sei una ragazza normale, ma una bambina addormentata: possibile che stai con il ragazzo più bello di Parigi e te ne vergogni?-, sbottò Alya, spingendo Marinette verso la scuola, -C’è Nino-, Alya si staccò da lei e corse a dare un bacio in punta di labbra al suo fidanzatino.

E lei che avrebbe fatto, se avesse visto Adrien? Sarebbe corsa a baciarlo come Alya?

-Buongiorno Principessa-, si sentì prendere una mano, da dietro, -Dormito bene stanotte?-, Adrien le fece l’occhiolino e ricacciò una risata, vedendo il rossore distribuirsi sul viso della ragazza. La sua timida Marine…-

-Avrei dormito più comoda se il mio cuscino mi avesse coccolata di più…-, due occhi azzurri lo fissarono seri, -Intendo più carezze, più contatto-, con un eloquente guizzo delle sopracciglia lo infilò candidamente con parole inadatte al momento. Marinette sogghignò, guardando Adrien farsi paonazzo.

-E così sono riuscita a far arrossire Chat Noir…-, bisbigliò al suo orecchio, ridendo.

Adrien si portò una mano alla nuca, come faceva sempre quando era in imbarazzo, sorridendo.

-Touché-, si ripromise che gliel’avrebbe fatta pagare la successiva volta che si fossero incontrati appesi a qualche grattacielo.

Solo allora Alya si accorse di loro e, come un toro alla carica, li puntò, trascinandosi dietro il povero Nino.

-Dovremmo spiegare qualcosa…-, ebbe il tempo di dire Marinette, prima di essere raggiunti.

-Hey, Bro…-, Nino aveva un’espressione imperscrutabile, a metà tra il complice e il risentito. Adrien abbozzò un sorriso e abbassò lo sguardo: come Marinette temeva, era imbarazzato per il fatto di essersi messo proprio con lei.

Ninò colpì con un leggero pugno il bicipite del biondo e proseguì oltre: -Grande, Bro!-, esclamò poco convinto, allungandogli poi un eloquente sorriso in tralice e una strizzata d’occhi.

-Tutto qui?-, si domandò Marinette e Adrien fece spallucce: com’erano strani i ragazzi…

-Ma quella lì-, Marinette indicò sollevando il mento, -Non credo che avrà un reazione così…-

-Nel caso cadesse di nuovo vittima di un’akuma… ti prego, NON fare sciocchezze-, la implorò lui e subito si sentì arpionare al collo da Chloe, che li raggiunse al passo delle valchirie.

Marinette la fissava indispettita mentre quella stupida oca baciava la guancia del suo ragazzo e gli parlava biascicandogli nell’orecchio: -Adrien caro, mi dispiace che siano state messe in giro delle brutte voci sul tuo conto. Ma io non ci credo, tranquillo! Lo so che non può essere vero, perché tu hai classe. Ti aspetto a casa mia dopo la scuola, tu sei così bravo… me le faresti delle ripetizioni, Adrienuccio mio?-

Marinette ringhiò prima di parlare e si sforzò di non strillare: -Anche oggi Adrien è impegnato con me, dopo la scuola-, sibilò all’orecchio di Chloe, che la scacciò come se fosse stata una mosca, -Che schifo! Smettila di sognare, Marinette: torna a pulire la farina nel negozio di tuo padre-, la schernì.

Marinette cercò di ricordare i numeri dopo il due, sforzandosi di contare fino a dieci prima di reagire alle parole di Chloe, quando la mano di Adrien prese la sua, forzando il pugno serrato in cui stava covando parte della sua rabbia e intrecciando le dita con lei.

-Mi dispiace Chloe, anche oggi sono impegnato con Marinette…-, ripeté le parole della ragazza, -E anche domani, e dopodomani…-, nel dirlo aveva iniziato a posare dei piccoli baci sulle nocche delle dita della ragazza, intrappolate alle sue, lasciando a bocca aperta Chloe e chi era lì intorno. La bionda si voltò stizzita: -Non finisce qui-, minacciò mentre entrava in aula.

-Wow! Dimmi che l’ha fatto per davvero?-, domandò stralunata Alya a Nino, che fece spallucce. Si fermò per un attimo a guardare la sua creazione e il viso imbarazzato e felice della sua migliore amica: “ve lo proteggerò io questo amore”, pensò tra sé.

Sembrava che le cose andassero bene, almeno dopo metà giornata a scuola passata a perdersi senza più ritegno nella figura di Adrien, seduta a un passo da lei.

-Ti prego, facciamo a scambio di posto-, domandò Alya al biondo all’ennesima volta che lui si voltò verso Marinette, -mi state facendo salire il diabete.-

E così, per la prima volta, Marinette e Adrien sedettero vicini e nessun ostacolo fermò più le loro mani, intrecciate sotto al banco.

-Devi diventare mancino-, borbottò lei, all’ennesima volta che Adrien sfilò la sua per prendere appunti.

-Comunque oggi dopo la scuola non posso davvero…-, bisbigliò guardandola dispiaciuto: -Ho uno servizio fotografico e non posso mancare-, scosse il capo, mesto. -Tornerò a trovarti stasera, ok?-

Marinette annuì.

-Cerca di non dimenticare da me la camicia anche stanotte, però-, bisbigliò tra i denti, -Mia mamma l’ha vista…-

Adrien arrossì facendo cadere involontariamente l’astuccio per terra. Madame Bustier picchiò con il dorso della penna sulla cattedra, per far fare silenzio.

“Potrei venire nudo, così non rischio”

Marinette lesse il bigliettino che gli aveva passato Adrien e per poco non si strozzò con un colpo di tosse. Lo appallottolò e lo infilò in tasca, imbarazzatissima. Il ragazzo, invece, non aveva spostato lo sguardo dalla cattedra fissando l’insegnante a mani conserte con una splendida faccia da schiaffi.

Non sarebbero arrivati a fine anno scolastico senza essere stati sospesi almeno tre volte, ne era certa.

***

L’auto di casa Agreste era già in attesa fuori dalla scuola, quando i ragazzi uscirono al termine delle lezioni.

Marinette si domandò solo allora come aveva fatto Adrien a giustificare la sua assenza da casa per tutta la nottata.

-Devo andare-, le disse il ragazzo passandole accanto. Marinette notò con una punta di dolore che non si attardò a salutarla, né la sfiorò. Quando la portiera si aprì e ne uscì la segretaria di suo padre, si sentì radiografata da lei dalla testa ai piedi. Abbozzò un saluto alla donna, con il cenno di una mano.

Dal finestrino chiuso, uno sguardo verde la salutò languido mentre l’auto partiva.

-Segui Adrien-, comandò Chloe all’autista salendo sulla sua auto, -Alla fine sei rimasta sola-, sibilò a Marinette andando via, attraverso il finestrino aperto. Il suo sguardo trasudava disprezzo e una netta soddisfazione.

Marinette strinse i denti: avrebbe voluto dirgliene quattro alla bionda ossigenata, ma ormai quella era partita all’inseguimento. Vedendo la scena, Alya si offrì di rimanere un po’ a studiare con l’amica, anche perché la sua curiosità era davvero alle stelle e doveva in tutti i modi capire cosa fosse accaduto e come e dove e soprattutto perché tutti sapevano esattamente quello che già sapeva lei.

Stavano allontanandosi dalla scuola, quando Marinette si sentì chiamare da Nathaniel, che, con passo svelto, cercava di raggiungerle. Inspirò preoccupata, Alya la guardò pregustando una nuova puntata della telenovela che stava avvenendo quel giorno.

-Marinette, posso parlarti oggi?-, domandò quasi esasperato il ragazzo. I suoi occhi imploravano un minimo di considerazione, le sue mani sembravano sudate e teneva la testa un po’ incassata nelle spalle.

Marinette si sentì in imbarazzo per lui e, in un gesto involontariamente gentile, toccò la spalla del ragazzo con la mano: -Dimmi, Nath-, gli sorrise mortificata, sapendo che se lui era così agitato era solo per causa sua.

Nathaniel gettò un’occhiata ad Alya, avrebbe voluto essere da solo, ma non avrebbe ottenuto nulla di più e mostrò le sue carte.

-Io, pensavo… se ti andasse di trattenerci assieme per i bozzetti del corso di moda… Tu sei molto brava e io, vorrei capire come fai a indicare le misure per bene e… Magari se ti andasse di uscire insieme, dopo, per un gelato o…-, l’entusiasmo gli morì in gola vedendo gli occhi dispiaciuti di Marinette.

-Oggi non posso, Nath-, gli disse semplicemente, -Magari… magari un’altra volta-.

Si sentiva più a disagio che mai, sapendo di essere “la sua Adrien”, ma non poteva farci nulla.

Nathaniel annuì con gli occhi bassi e fece un cenno di comprensione con la mano.

Le ragazze lo salutarono e si voltarono. Era così difficile vedere soffrire qualcuno…

-Marinette, tu mi piaci tanto…-, Nath l’aveva afferrata per un polso, prima che si allontanasse lungo la via di casa. Il suo sguardo era cupo e completamente rapito dall’immagine di lei.

-Ehi!-, si intromise Alya, fermando la mano del loro compagno.

-Alya, per favore, non sono affari tuoi-, masticò tra i denti Nathaniel, sforzandosi di mantenere la calma.

-Tranquilla…-, Marinette cercò di mediare, altamente incerta su come avrebbe potuto fare.

-Marinette, io vorrei poter passare del tempo con te, da solo… Ti prego…-, cavolo, che doveva rispondergli!?

Il suo telefono si mise a squillare allegramente, Marinette lo tirò fuori dalla borsetta e vide che era Adrien a chiamarla. Era il suo Lucky Charm in quel momento: -Devo rispondere-, disse a Nathaniel liberandosi dalla sua presa.

-Pronto-, la sua voce era agitata, le mani entrambe strette sul cellulare. Non ascoltava le parole di Adrien, aveva solo un terrore matto che Nathaniel potesse fare qualche gesto avventato o che, peggio, potesse arrivare una akuma.

-Vai via! Lasciala stare, Marinette ha il ragazzo, fattene una ragione!-, Alya scacciò bruscamente Nath, che si richiuse nelle sue spalle e, con le mani nelle tasche della felpa, se ne andò a passo affrettato, passando accanto a Marinette e lanciandole un’occhiata che la fece gelare.

-Marinette? Che sta succedendo?-, dall’altro capo del telefono Adrien stava alzando la voce, preoccupato.

-Niente. E’ passato-, rispose Marinette dopo alcuni secondi di silenzio. Deglutì: -Era Nathaniel-, disse semplicemente.

-Va tutto bene? Dove sei vengo da te?-, la ragazza sorrise: com’era tenero il suo ragazzo! Non stavano insieme nemmeno da ventiquattrore ed era già così protettivo. In realtà, però, lui era sempre stato protettivo con lei, solo che non lo aveva riconosciuto dietro la maschera di Chat Noir.

-E’ andato via. Spero che non lo trovi una akuma-, bisbigliò con la bocca attaccata al telefono.

Adrien sospirò: -No, stai tranquilla: per oggi non arriveranno akume…-, ne era certo, perché suo padre non era in città…

-Mi manchi…-, confessò Marinette, capendo da sola che si erano visti solo una manciata di minuti prima.

-Anche tu, Principessa-

-Fai il bravo-, se lo immaginava già a farsi vestire e truccare per un nuovo servizio fotografico. Era così distante da lui…

-Sono sempre bravo-, soffocò una risatina, -Ti amo-, sussurrò e mise giù.

Marinette strinse il telefono al cuore, incredula per quella nuova, sorprendente sensazione di appagamento e sicurezza che traeva da Adrien. Perché a lei veniva così difficile dirgli quelle due semplici parole?

C’erano cinquanta metri scarsi dalla scuola a casa sua, ed era già successo un uragano nel suo cuore.

-Ti prego, Alya, andiamo-, Marinette prese sottobraccio l’amica e si diresse come un treno a casa.

Presero qualche dolcetto dalla boulangerie, prima di salire su e finalmente si chiusero nel loro piccolo mondo tutto rosa.

-E adesso che il pericolo Nath-Maniaco è scampato-, iniziò Alya stravaccandosi sulla chaise longue, -La mia migliore amica mi racconta per filo e per segno ogni più piccolo, turpe dettaglio della sua nuova e sconvolgente love story!-

Marinette scosse il capo e si andò a sedere in punta alla chaise longe, tenendo le mani sulle ginocchia serrate tra loro.

-Che vuoi che ti dica, Alya…-, rovistò nella sua fantasia per cercare di imbastire una storia credibile in tempo record, -Ieri Adrien mi ha chiesto di parlare e… ha detto che era dispiaciuto per come io… per come ero rimasta male l’altro giorno… e mi ha detto che non era niente vero…-

Alya alzò le sopracciglia: a lei Adrien aveva spergiurato il contrario, in realtà…

-.. e alla fine mi ha abbracciata chiedendomi scusa…-

-Ma abbracciata come “sei la mia migliore amica” o abbracciata come “vieni qua che ti voglio mangiare”?-, una mano sospesa in aria a destra e una a sinistra, nel mezzo la sua faccia interrogativa.

Abbracciata come “dove eravamo rimasti…?”, pensò tra sé Marinette, ricordando la nottata.

- Beeeehhh... diciamo che… insomma… ci eravamo già visti prima e…-

-E non hai detto nulla alla tua migliore amica??? E’ stato lui a venire a trovarti allora? Brutto bugiardo!-, Alya era infervorata come davanti ad una puntata di Grey’s Anatomy. A Marinette non andava che la sua vita venisse analizzata a quel modo, in fondo lei non era stata così invadente quando Alya si era messa con Nino.

-Alya, scusami, non mi va di parlare ancora di questo-, si alzò e iniziò a tirare fuori dallo zaino il tablet e il libro di Storia Dell’Arte, -Abbiamo da studiare Renoir adesso…-

-Con Nino è stato tutto così facile… sai, in totale onestà un po’ mi rode che lui abbia pensato che eri tu la ragazza che gli piaceva…-, Marinette si voltò di scatto verso l’amica. Parlava fissando un punto indistinto sul soffitto, un braccio sollevato, a disegnare immaginari ghirigori nell’aria, e l’altro molle sulla chaise longue, -Ma alla fine la normalità è quello che fa per noi. Da quando ci siamo dati il nostro primo bacio abbiamo fatto grandi progressi, Mari… Beh, diciamo che anche a me non va di parlare molto di questo, però volevo che sapessi che sono cose belle… perché è troppo bello quando ti senti triste e arriva lui che con un semplice sguardo ti rimette a posto, e anche se Nino è… com’è, credimi, lui sa sempre come rimettermi a posto. E quello che vedo in te e Adrien è lo stesso, però…-, si voltò verso di lei, improvvisamente seria, -Non capisco come abbiate fatto ieri a fare quelle cose in palestra… Voglio dire… tu ti reggi a malapena in piedi, Marinette, rendiamocene conto! Eppure lì accanto a lui sembravi essere nel tuo ambiente, sei stata.. wow! E alla fine?-, la guardò con un punto interrogativo in mezzo agli occhi.

Marinette rifletté lo stesso dubbio. Che diavolo stava farneticando?

-Alla fine quella cosa lì… per un attimo ho pensato che sotto sotto voi due poteste essere Ladybug e Chat Noir!-, si era alzata a sedere e continuava a parlare con le mani, rivolte verso di lei.

-E sarebbe… fantastico!-, si diede la spinta per alzarsi in piedi e la guardò soddisfatta. -Adesso, Renoir a noi!-

Marinette rimase muta come un pesce, gli occhi sgranati in una muta espressione di domanda. Qualunque cosa avesse detto, ne era certa, avrebbe sicuramente finito per ritorcersi contro di lei. Trasse un sospiro di sollievo.

-Un’ultima cosa: bellino il campanello di Chat Noir che avevi ieri al collo… Dice che lui non ce l’abbia più: mica l’avrà regalato alla mia migliore amica?-, il naso di Alya la puntava come quello di un segugio e gli occhi balenavano da dietro le lenti.

-Io non ho un campanello-, affermò in sua difesa. In fondo era vero, glielo aveva restituito giusto in tempo.

-Ieri ce l’avevi!-, Alya le allargò lo scollo per sbirciare dentro la sua maglietta.

-Ehi!-, Marinette si ritrasse spazientita.

-Ok, non c’è. Però... belle tette. Ti consiglio di mostrarle un po’ di più al tuo ragazzo…-, le fece l’occhiolino, ottenendo che diventasse rossa come un peperone.

-Alya!!!-

Alla fine, in qualche modo, le ragazze riuscirono a studiare per il giorno dopo. Marinette non vedeva l’ora che la sua amica se ne andasse, per poter essere finalmente libera di sbollire un po’ per conto suo.

Nel frattempo, ne era certa, Adrien stava passando di mano in mano cambiando e ricambiando posa e abito. Per la prima volta provò una scarica di sana gelosia.

“Voglio sapere che stai facendo”

Rimase con il dito sospeso sul display del suo cellulare, indecisa se inviargli quel messaggio oppure no. Era quasi l’ora di cena, non si era ancora fatto vivo… perché!?

Si decise ad accendere il pc: ogni tanto, quando non aveva voglia di pensare, si metteva a cercare ispirazione per i suoi modelli su Pinterest o si perdeva a guardare i video tutorial che Facebook le propinava. La prima cosa che le saltò agli occhi furono i banner pubblicitari abilmente elaborati da google sulla base delle sue ricerche. Era passato un soffio, eppure le pareva che si trattasse di una vita prima, quando cercava e ricercava le foto di Adrien su internet.

Pubblicità dei nuovo jeans by Agreste, nuova eau de cologne pour femme by Agreste, “casting per modelli Parishot”, perfino la pubblicità del Ladyblog.

Di click in click scoprì ben presto che negli ultimi giorni era stata aperta una nuova pagina Facebook su Adrien e nel gruppo “Tutte pazze per… Hot Top Boys” si mandavano spoiler di spezzoni di una nuova pubblicità.

Non ne sapeva niente, pensava che Adrien si limitasse a posare per le foto. Aprì senza molto entusiasmo uno dei link e vide alcuni secondi di un nuovo spot per la linea di intimo sportivo.

Cavolo…

Erano tre modelli, Adrien e due che non conosceva, languidamente addormentati su uno scoglio e tre o quattro sirene li stavano abbracciando, toccando…

La morbosa curiosità la portò a leggersi uno ad uno i thread sul gruppo Facebook: parlavano di quei ragazzi come di animali in vendita, si fregiavano di aver visto di persona questo o quello e che fosse o non fosse in un certo modo. Una discussione freschissima iniziava così: “E’ vero che Adrien Agreste non sta più con la Burgeois, ma ha un’altra ragazza?”, ogni parola era un angolino della sua autostima che crollava a brandelli sotto le unghie perfide dei pettegolezzi. Adrien e Chloe? Roba da pazzi, ma era da pazzi che non fosse neanche vera. In fondo era lei la nota stonata in quel jet set così lontano dalla sua realtà.

Si impose di smettere di leggere e scese per cena, ingoiando l’angoscia e il senso di inadeguatezza che le gravava sul petto. Mangiò poco e non volle il dessert.

La mamma le fece qualche domanda più strana del solito, a cui Marinette non rispose.

Aveva il bisogno fisico di annullarsi e dimenticare per un po’ quelle immagini. -Vado a farmi un bagno-, annunciò, sottintendendo che non disturbassero almeno per un po’ di tempo.

Si spogliò velocemente e non attese che l’acqua fosse a temperatura per infilarsi nella vasca. Sparse un po’ di bagnoschiuma e rimase con le orecchie in mezzo alle bolle, mentre l’acqua continuava a scrosciare e cancellare ogni rumore. I pensieri fluivano.

Lei e Adrien erano legati da un destino ben più solido di quello che stuoli di sue coetanee in fiamme potevano anche solo immaginare. Loro erano Ladybug e Chat Noir, sembrava fossero destinati a stare insieme, era così. Non poteva che essere così. Marinette constatò che, mentre Adrien non aveva avuto problemi a mostrarsi apertamente nelle vesti di Chat Noir, lei ancora era restia. Il motivo gorgogliava nel più intimo e difficilmente lo avrebbe ammesso a chicchessia. Lei non si sentiva all’altezza di Ladybug, poco importava se Adrien o chiunque altro avesse affermato il contrario. Marinette aveva avuto paura di un povero cristo come Nath, quel pomeriggio: Ladybug non avrebbe temuto un akumizzato di fattezze ben peggiori di Evilillustrator. Lei, semplicemente, aveva paura.

Aprì gli occhi per chiudere il getto dell’acqua, prima di allagare tutta la casa e fu spaventata da due occhi verdi allungati a un millimetro da lei. Soffocò un urlo e si ritrasse spaventata: -Adrien!-

Cavolo, era nuda sotto tutte quelle bolle!

-Pervertito!-, gli lanciò una palla di schiuma ignorando il suo sorriso allegro.

-Guarda che non si vede niente-, ammise lui, sedendosi sul bordo della vasca, -Purtroppo…-

Rannicchiata in modo che fosse il più coperta possibile, Marinette passò all’attacco, non potendo difendersi in alcun modo.

-A te piacerà farti vedere tutto nudo, a me no!-, squittì in un filo di voce.

Adrien allungò una mano fino alla vasca e riaprì l’acqua: lo scroscio avrebbe coperto almeno in parte le sue proteste.

-Dipende da chi mi guarda-, spiegò ammiccando.

-Tutte-, Marinette batté i palmi nell’acqua, schizzando ovunque, -Ti guardano tutte, non lo capisci?-

Chat Noir si scostò colpito dalla foga di quelle parole: era una scenata di gelosia?

-Principessa, lo sai che io non ho occhi che per te… e Ladybug-

-Sono gli occhi delle altre, che mi preoccupano-, si morse il labbro inferiore. Era ridicola e lo sapeva bene, -Per favore, puoi uscire?-, la sua voce tradiva una sottile esasperazione.

Il ragazzo la fissò per un attimo con sguardo preoccupato, si avvicinò a lei e la baciò sulla fronte.

-Fai con comodo-, la rassicurò e uscì dalla finestra dalla quale era entrato. L’avrebbe aspettata nascosto in camera sua, ne era certa.

Fortunatamente Marinette aveva preso un cambio, prima di chiudersi in bagno. Quel gattaccio… E se fosse entrato mentre lei era… a fare la pipì, per esempio? Doveva iniziare a temere per la propria privacy? Allora anche Ladybug poteva fare lo stesso e avere le porte di casa Agreste spalancate?

Si lavò i capelli e si sciacquò, uscendo dalla vasca e asciugandosi con l’accappatoio a pois che teneva dietro la porta. Passò rapidamente il phon per togliere il grosso dell’acqua e si rivestì. Accidenti… notò che aveva preso solo parte del suo cambio: mutande, calzini e la maglia lunga del pigiama… Le sarebbe toccato rientrare furtivamente in camera sperando che lui l’attendesse in terrazza.

Invece lo trovò in piedi, chino sulla scrivania a curiosare in quello che stava facendo al pc. La mano destra sul mouse e la sinistra col palmo aperto sul legno del tavolo. Gli occhi scorrevano tra le varie pagine e le discussioni, tra le foto e video che non dovevano essere ancora online. La udì arrivare, ma non si mosse. Era difficile farle capire che quello rientrava nel “Pacchetto Agreste”…

-Sono solo bugie quelle su Chloe-, le disse mogio, immaginando quello che la ragazza avesse pensato nel leggere quelle cose, -E sono bugie anche altre cose che ho letto.-

Si voltò verso di lei, che lo guardava con i pantaloni del pigiama in una mano: aveva su due calzettoni sformati che le penzolavano e una maglia larga e sottile. Le gambe nude tremavano e l’espressione che aveva in viso era di un cucciolo ferito.

-Plagg, trasformami-, bisbigliò correndo verso di lei e chi l’abbracciò fu solo Adrien. Marinette rimase immobile, era mortificata per quello che il suo ragazzo aveva appena visto.

-Non volevo che tu sapessi quello che io…-, si strinse a lui. Sentiva il calore della sua pelle attraverso la maglietta: Adrien era vero, non era solo un viso su una copertina, era vero, ed era con lei.

-Ti amo-, gli disse, e si lasciò baciare dolcemente a fior di labbra. Sorrise perché le era venuto dal cuore, vincendo l’imbarazzo che quelle due parole, con tutte le aspettative di cui erano infarciti libri e storie da bambine, implicavano.

-Devi imparare a conviverci, Marinette-, Adrien le prese il viso tra le mani e la baciò ancora, -Questa è la mia vita e ti posso garantire che farei volentieri a cambio con qualunque altra banale attività da quindicenne-, abbassò lo sguardo, -Ma non posso.-

Marinette si sollevò sulla punta dei piedi e gli diede un bacio sulla guancia, -Mi ci abituerò-

Ed era vero. In fondo si era abituata in un solo giorno a baciare l’oggetto dei suoi più reconditi sogni, nonostante il timore ed era la cosa più bella che avesse mai fatto.

Le tornò in mente la domanda di Alya, sul “tipo di bacio” che si fossero dati e si vergognò… si sentiva ancora una bambina, per certi aspetti, mentre sapeva che certe urgenze erano normali alla sua età. Si affrettò a chiudere tutte le finestre sul suo pc.

-Però, Marinette, se ti presenti così, a me mi fai morire-, le disse in un orecchio Adrien, cingendole i fianchi da dietro e affondando con la faccia tra i suoi capelli. Le sue mani tremavano appena chiuse su di lei. Sarebbe potuta morire lì, felice.

-Le tue gambe devono stare coperte, se non vuoi che succeda qualcosa di tragico come l’altro giorno a scuola…-, aveva una voglia di allungare le mani e carezzare quella pelle profumata, Cristo se lo voleva…

Marinette si beò di quel contatto e si allungò verso di lui, abbracciando la sua testa sulla spalla.

-Spostati-, era impossibilitata ad obbedire, se lui le stava addosso. E onestamente non era così tanto impellente ricoprirsi… Adrien si allontanò e lei si piegò per mettere i pantaloni.

Quello che il ragazzo intravide dallo scollo largo della maglia, quando lei si chinò per vestirsi lo fece avvampare. Si sforzò di non dare a vedere il suo turbamento e si mise buono buono seduto in un angolo, cercando di calmarsi.

-Ehi, cucciolo…-, Marinette scivolò davanti a lui seduta sulla sedia con le rotelle, -Che hai?-

Sto per morire d’infarto perché ho appena visto il tuo seno nudo, ma per il resto tutto bene.

-Plagg, cos’ha?-, si rivolse al kwami, che si rintanò in un angolo, senza fiatare, borbottando qualcosa.

-Aehm… Marinette, prova a non chinarti davanti a lui…-, sussurrò all’orecchio della ragazza Tikki, con un sorrisetto malizioso. Marinette portò istintivamente una mano al seno sussultando e pregò che Adrien non avesse visto molto.

Avevano dormito abbracciati, che c’era di così strano, in fondo?

-Ho bisogno di chiederti un grosso favore, mon chaton-, Adrien si scosse, perché lo chiamava così?

-Devo saperlo quando vieni in casa mia… potrebbe essere, ecco… imbarazzante… come prima-, sperava che avesse capito.

-D’accordo-, le promise: -Solo quando dormi allora-, le lanciò un sorriso storto e… no, non era d’accordo.

-Tornando a quelle idiozie-, si avvicinò al pc e con velocità riaprì le ultime pagine visitate con un sol tasto.

-Questo è messo in post produzione-, indicò qualcosa in un angolo e chiuse la finestra, -Questo è vero, ma ti garantisco che non è andata esattamente così…- Si era fermato sul video delle sirene. In effetti le mani addosso gliele avevano messe, ma l’atmosfera non era di certo intima e sensuale come la grafica aggiunta faceva desumere.

-E oggi?-, chiese candidamente Marinette, -Che hai fatto?-

Adrien si sedette e scostò i capelli dalla fronte, -Foto con completo di mio padre, foto con completo di mio padre con giacca in mano, foto con camicia, pantaloni e cravatta lenta, foto con delle rose qua e là…-, mosse una mano, -e così via. Sempre solita roba…-

-E Sirene avviluppate non ce n’erano?-, strusciò il naso contro il suo, sollevata.

-No…-, la negazione lasciava presupporre un seguito, che non arrivò. Marinette lo scrutò con sopracciglia increspate: -…Ma…?-, domandò.

Adrien si allontanò di un passo da lei, indeciso su come affrontare un argomento che gli premeva, ma che sapeva sarebbe stato doloroso.

-Ma c’era Chloe a vedere-, ammise, pregando perché Marinette non facesse una scenata.

La ragazza espirò, guardando a schiena curva un punto più scuro sul parquet della sua camera.

Adrien aspettò che dicesse qualcosa, dopo un po’ mise le sue mani sulle spalle di Marinette e la forzò a guardarlo: aveva il faccino truce, se fosse stata piccola, sicuramente avrebbe messo su un delizioso broncino.

-Non dici nulla?-, le domandò. In risposta Marinette scosse la testa e inghiottì.

Adrien sospirò: -Come ti ho già detto prima, non c’è nulla né c’è mai stato nulla tra me e Chloe, se non che siamo cresciuti insieme e questo evidentemente le dà il diritto di seguirmi come se fossimo parenti.- Allargò le mani cercando il modo migliore per esprimere il suo pensiero: -Chloe è convinta che prima o poi le chiederò di essere la mia ragazza… ma purtroppo per lei non ha capito che non accadrà mai e che questo suo atteggiamento mi impedisce di poter essere suo amico sincero. A Chloe non rivelerei mai il mio segreto né le permetterei di rubarmi il cuore-, si avvicinò a Marinette e le prese ancora il viso tra le mani, -Perché il mio cuore e il mio segreto sono già di tua proprietà.-

Le labbra di Marinette tremarono stendendosi in un timido sorriso, allungò una mano al volto di Adrien e prese delicatamente un ciuffo di capelli tra le dita, come se volesse accertarsi che fosse vero e reale.

-E poi preferisco di gran lunga le more, alle bionde-, aggiunse con un sorriso strafottente e la divorò in un bacio.

Marinette si lasciò andare dopo una simile arringa difensiva e per la prima volta si sentì un passo avanti a Chloe e tutte le sue cattiverie. Ricambiò il bacio di Adrien con tutta la sua piccola passione, vincendo morso a morso la sua timidezza e ricordandosi che, alla fine, lei era Ladybug e lui quello Chat Noir che le aveva per primo squarciato il velo della timidezza e rubato nel modo più bello che potesse esserci stato il suo primo bacio.

-Ridillo-, soffiò tra le sue labbra, dischiudendole a lui. Lo sentì aprirsi in un sorriso mentre cercava di approfondire il loro bacio.

-Preferisco le more-, sussurrò, riprendendo dove era stato fermato, ma Marinette si staccò da lui, tirando delicatamente con i denti il suo labbro, -No, quell’altra cosa-

Adrien si chinò a baciarle il collo, tenendo con una mano affondata tra i capelli neri la testa reclinata di Marinette. -Ridillo-, insistette con un gemito la ragazza.

-Il mio cuore è tuo-, sussurrò sulla sua pelle bianca; Marinette affondò le mani tra i suoi capelli e lo tirò appena per scostargli la testa dal suo collo: -Non mi basta solo il tuo cuore, voglio tutto-, gli occhi languidi accompagnarono le mani che scesero fino alla sua schiena.

Adrien si sentì avvampare, voleva lasciarsi andare e perdersi in quella richiesta; tornò a baciarla sulla bocca e la forzò senza trovare alcuna resistenza alla timida lotta che le loro lingue iniziarono a ballare.

Avrebbe voluto lasciare libere le sue mani di muoversi sul corpo di Marinette, toccare quello che aveva visto poco prima, sentire il calore della sua pelle, ma era troppo, troppo presto per andare oltre.

Si staccò con riluttanza, percependo che anche per lei andava bene così: si guardarono ed entrambi erano accaldati, con le labbra rosse e gli occhi che scintillavano. -Grazie-, Marinette gli sorrise con una dolcezza che era quasi struggente, lui la abbracciò stretta stretta quasi avesse paura che potesse sparire da un momento all’altro e prese a baciarle i capelli ancora umidi. -Ti amo, ti amo, ti amo-, ripeteva con il cuore in gola ad ogni bacio e sentiva le labbra umide della ragazza lambirle la pelle dove era appoggiata.

Rimasero abbracciati con la sola luce tremolante del monitor acceso nella stanza ad illuminare quegli attimi di infinito che avevano scoperto essere più preziosi dell’aria.

Un “bip” proveniente dal pc li disturbò, Marinette si sciolse a malincuore dall’abbraccio per spegnerlo, ma si fermò, capendo che era stata una notifica dell’aggiornamento di una pagina instagram. La curiosità fu più forte di lei e si ritrovò davanti ad alcune foto rubate ad Adrien: lui con un completo, lui con la giacca in mano, lui con la cravatta allentata e sempre lui, con svariate rose. “LadybugChic2002” le aveva appena postate e condivise sulla pagine “Tutte pazze per… Hot Top Boys”. Marinette si voltò verso Adrien, i capelli arruffati e sparsi sul viso bellissimo: -Credo che la tua amichetta ti abbia paparazzato-, riuscì a dire prima di scoppiare a ridere come un’idiota, da sola.

Almeno non le aveva mentito sulle foto scattate, era già un ottima prova di fiducia.

Adrien osservò a denti stretti quella pagina e per un attimo fu tentato di arrabbiarsi, ma la reazione di Marinette gli suggerì che non ne valeva la pena.

-Chloe non farà mai strada come fotografa-, disse soltanto, -E la prossima volta voglio che ci sia tu, insieme a me. Vedere la mia ragazza che mi guarda, invece che gli spaghetti di mammà, renderà le mie foto molto più hot…-, si prese in giro da solo e intrecciò le dita a quelle di Marinette, che, con l’altra mano, spense il pc.

-È tardi, che pensi di fare?-, domandò lei improvvisamente rattristata. Il ragazzo guardò istintivamente l’orologio e spalancò gli occhi.

-Devi dormire My Lady-, sembrava preoccupato.

-Devi dormire pure tu Mon Chaton: domani interroga a Storia dell’Arte-, Adrien storse la bocca e inspirò tra i denti, colto alla sprovvista. In tutta quella situazione si era completamente dimenticato dei suoi doveri scolastici.

-Se mi presti il libro, potrei rimanere qua in silenzio mentre tu dormi e leggere qualcosa ora-, era una richiesta sincera, più che una proposta. Marinette gli posò un bacio sulla guancia: -Se rimani qua mentre dormo, e dormi con me, ti prometto che domani verrà Ladybug a salvarti dal professor Poiren-, lo guardò con occhi dolci: -Resti con me?-, domandò.

-Considerato che mio padre ancora non è tornato e che posso sgattaiolare quando voglio domattina prima della mia sveglia, direi che la sua richiesta è accolta, mia signora-, la afferrò da sotto le ginocchia passandole un braccio dietro alle spalle e la portò sul soppalco, mentre lei si divincolava trattenendo gli strilli per non farsi sentire dai suoi genitori.

-Prima o poi ci farai scoprire-, mormorò Adrien sulla sua bocca, accogliendola in un dolce abbraccio, -Marinette, tu mi piaci tanto-

Le stesse parole di Nathaniel!

Marinette si irrigidì a quel pensiero che era balenato nella sua mente: non aveva affrontato la questione con Adrien e non sapeva bene come farlo, in realtà. Aveva paura che si arrabbiasse e che il loro splendido idillio venisse in qualche modo spezzato da quella paura strisciante che lei covava nel petto.

-Cosa c’è?-, Adrien si era accorto che aveva detto o fatto qualcosa di sbagliato. Si tirò su mettendosi su un fianco, le testa appoggiata al pugno chiuso, il gomito accanto a lei, sul cuscino.

-C’è… una cosa che mi sono dimenticata di dirti…-, Marinette si girò dall’altra parte, dandogli le spalle. Il tocco caldo della mano del ragazzo sul suo fianco la fece trasalire, per un istante.

-Ti ascolto-

-Si tratta di Nath…-, la mano si irrigidì, lo sentì prendere aria. -Oggi lui mi ha chiesto di nuovo di… uscire insieme… e ha detto quello che mi hai detto tu adesso-

-Marinette mi piaci tanto?-, domandò Adrien, atono.

La ragazza annuì senza parlare e si rannicchiò un poco. -Ho avuto paura, Adrien…-, era sincera.

Fu stretta in un abbraccio morbido e possessivo allo stesso tempo, le parole soffiate tra i suoi capelli: -Domani voglio che sia chiaro a tutti che tu sei la mia ragazza-, la strinse un po’ di più, -Non mi importa se ti vergogni o se Kurtzberg o Chloe ci rimarranno male o se qualcuno scatterà foto e le metterà su facebook: domani il gatto marca il territorio-, disse con voce dura.

Marinette cercò la mano del ragazzo e la strinse forte al petto, travolta dal brivido che quella minaccia significava per lei.

***

Quando si svegliò era sola. La finestra sul tetto era rimasta appena socchiusa e l’aria gelida del primo mattino filtrava proprio sopra la sua testa. Era consapevole che Adrien era andato via e sapeva che non sarebbe ritornato. Uscì dal tepore delle coperte e si allungò per chiudere la botola, quindi serrò le tende e tornò a rannicchiarsi laddove prima c’era lui.

Era inquieta per la minaccia meravigliosa che Adrien aveva fatto solo poche ore prima e si sentiva come un trofeo di un duello tra cavalieri. Aveva sempre pensato che nessuno avrebbe mai potuto considerarla alla stregua di un premio o un oggetto, ma con suo sommo stupore aveva da poco compreso che, se si trattava di Adrien, era pronta a fare da trofeo, coppa e anche scudiero, contemporaneamente.

Si rigirò più volte, ma le mancava il calore del suo ragazzo a confortarla; scese dal soppalco e andò giù in cucina, a prendere un bicchiere di latte. In casa tutto sembrava immobile e silenzioso, ma più giù, nella pasticceria, sapeva che le mani forti del babbo stavano lavorando già da tempo per preparare dolci, pane, croissant.

Decise di scendere da lui e lo trovò che impastava con tutta la sua forza.

-‘giorno-, gli disse, sbadigliando, -Posso stare un po’ qua?-

Tom la salutò andando ad abbracciarla con tutta la farina addosso e le diede subito un croissant della sua prima infornata.

-Non dormivi, cucciolotta?-, si sedette accanto a lei, guardandola come una cosa preziosa. Marinette alzò le spalle, affondò i denti nel croissant e alzò in un’espressione di godimento gli occhi al cielo.

-Papà, sei fantastico-

L’uomo sorrise compiaciuto: -Hai fatto la stessa espressione che ha fatto il tuo amico l’altro giorno-, la squadrò di sottecchi e notò il rossore imporporarle le guance. -Come si chiama?-, le domandò.

Marinette fece la vaga: -Non so a chi ti stia riferendo…-, diede un altro morso e la marmellata di fragole le riempì la bocca.

-Quello che ti piace, Marinette-, il rossore aumentò.

-A… Adrien…?-

Tom sorrise soddisfatto: -Sì, proprio lui: hai ragione, sai? E’ davvero un bravo e bel ragazzo.-

Il croissant le sarebbe andato di traverso… Marinette bevve un sorso di latte che si era portata da casa.

-A mamma e me piace molto. Quindi…-, portò una manona alla nuca e sorrise, più imbarazzato della figlia, -Noi approviamo-

Marinette non fece in tempo a pararsi la bocca prima di spruzzare tutto il latte in faccia al padre, presa alla sprovvista dalla reazione di tosse, risa, affogamento che la colse a quelle parole.

Lo guardò con occhi spalancati, mentre lui, con uno strofinaccio, si asciugava ridacchiando.

-E tu sei contenta, insieme a lui?-, domandò in un ultimo affondo: era rosso almeno quanto la figlia.

Marinette non aveva il coraggio di alzare lo sguardo, si limitò ad annuire stringendo tra le mani il bicchiere tanto che le nocche erano diventate bianche.

-Bene-, Tom si alzò e si avviò verso il laboratorio,- Allora… a noi farebbe piacere conoscerlo…-

Marinette si dileguò colta dal più profondo imbarazzo: come aveva fatto suo padre a sapere che lei e Adrien… Corse in camera sua senza notare la mamma, ferma vicino alla porta interna della pasticceria.

Sabine guardò la faccia rossa della figlia che le correva davanti, poi quella del marito e sorrise.

Era in pace.

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Capitolo 17
*** Capitiolo 17 - Proprietà Privata (Sei anni prima) ***


Capitolo 17

Proprietà privata (Sei anni prima)

Era giunto il momento per Marinette di mettere in atto tutti gli insegnamenti che Alya le aveva dato in fatto di conquistare il genere maschile.

-Casomai cambiassi sponda-, le aveva detto una volta l’amica, -Sappi che avrai una spasimante lesbica che non ti darà mai pace-. In fondo, nonostante le risultasse difficile mettere in pratica le idee di Alya e sapesse che quelle erano solo parole di conforto, sapeva che lei aveva riposto molta fiducia nella naturale sensualità che riteneva Marinette emanasse.

Alla luce delle rivelazioni che erano state fatte, era abbastanza chiaro il perché Adrien amasse il rosso, ma, sebbene Marinette avrebbe voluto vederlo accendersi come un cerino vedendola arrivare il più rossa possibile, aveva paura che qualcuno avrebbe potuto riconoscere in lei Ladybug.

Quella mattina quindi decise di indossare qualcosa che aveva cucito mesi prima in onore del suo partner di avventure e che mai, mai, avrebbe pensato di indossare davvero.

Si guardò le gambe: erano le stesse gambe che Adrien le aveva detto di coprire… prese le parigine nere che aveva modificato secondo il modello ispirato a Chat Noir e le indossò, tendendole sulle ginocchia, su fino alle cosce. Chissà che ne avrebbe pensato “il suo Chaton”... Le sarebbe servita inoltre della biancheria adatta… e ce l’aveva. Basta col pizzo, era certa che anche Adrien sarebbe stato d’accordo.

Ma che sto pensando!

Marinette si prese le guance tra le mani: era ancora una ragazzina, cosa le venivano in mente certe immagini che… Oddio se le venivano in mente!

Doveva essere la prima a calmarsi, in fondo le parole di Adrien erano state dettate solo dalla rabbia del momento: “il gatto marca il territorio”… brrr le faceva quasi paura e che dolcissima, trasgressiva paura…

Prese la gonna nera a ruota: era molto corta, accidenti… Forse era un po’ cresciuta da quando l’aveva cucita, ma riusciva a coprire almeno il bordo delle calze, sarebbe andata bene.

La maglia era invece molto semplice, verde, con un charm a forma di campanellino dorato che avrebbe ciondolato tra le sue scapole, creato apposta in stile Chat Noir. Non aveva mai realmente capito perché aveva disegnato e cucito in gran segreto quel modello, in fondo non aveva mai avuto nessun interesse per lui prima…

O forse no…

Si rese conto che avrebbe dovuto prendersi una pausa e iniziare a riflettere seriamente su quando fosse stato l’attimo in cui aveva iniziato a pensare a Chat Noir non solo come un collega, ma come qualcosa di più. Le tornarono in mente le parole di Alya: “Chi disprezza, compra”… e chi meglio di lei lo aveva disprezzato allo sfinimento, quel povero ragazzo che poi aveva scoperto essere il più grande sogno d’amore?

Tirò su i capelli in una crocchia scomposta, per lasciare il collo scoperto e si coprì con un cappottino rosa che le permise di uscire di casa senza commenti da parte di sua madre.

Trotterellò fino a scuola, fiduciosa che quel giorno tutto sarebbe stato perfetto. “Pensa positivo” si ripeté fino a perdere il significato delle parole.

Quando entrò in classe, stranamente senza fare incontri di alcun tipo, Adrien era già arrivato. Stava in piedi appoggiato al banco e guardava distratto il suo telefono, una mano nella tasca dei jeans; percepì l’arrivo della sua ragazza prima di vederla e alzò su di lei occhi verdi e magnetici. Non ne poteva più di stare lontano da Marinette anche se erano passate sì e no due ore.

Un bravo ragazzo avrebbe dovuto salutarla, farla sedere al suo posto e dirle due parole di scuse per come l’aveva abbandonata quella mattina, ma quando la vide tutti i buoni propositi andarono a farsi friggere e senza una parola l’agguantò con un braccio attorno alla vita e uno dietro al collo e la baciò.

Addio gambe… Marinette vacillò squagliata, incredula e presa alla sprovvista, mentre una sfera di estremo calore l’attanagliava alla pancia e catturava ogni goccia di sangue dalla sua testa. Si lasciò andare al suo abbraccio e si fece baciare, socchiudendo appena le labbra e intrecciando le dita attorno al collo del ragazzo. Dov’era? Non avrebbe saputo dirlo. Era in paradiso, forse, e il paradiso aveva il dolce sapore delle labbra di Adrien.

Chi si allontanò per primo non fu chiaro a nessuno dei due: Adrien guardò gli occhi lucidi di Marinette, le labbra rosse per il suo attacco e le guance imporporate: -Buongiorno amore mio-, le sussurrò all’orecchio aprendosi in un sorriso, noncurante di chi ci fosse intorno.

C’erano Juleka e Kim, che avevano assistito attoniti alla scena e c’era Nino, appena arrivato, che con uno -Wow!-, si appuntò mentalmente di fare la stessa cosa quando fosse arrivata Alya.

Marinette sorrise imbarazzata all’amico e sovrappensiero sfilò il cappotto dirigendosi verso il corridoio per riporlo nello spogliatoio.

-Dai a me-, le disse Adrien, lanciandole uno sguardo infuocato mentre la studiava dalla testa ai piedi. Certamente quella visione in minigonna non era per tutti, avrebbe dovuto fare quattro chiacchiere con lei, in privato. Molto in privato…

Quando Alya entrò in classe vide Marinette con le spalle poggiate al muro, la testa tra le nuvole, le labbra rosse e l’espressione sognante; si diresse in tromba verso di lei, ma fu agguantata da Nino che provò a baciarla, -Ma che fai?-, lo brontolò scacciandolo e dirigendosi verso l’amica, noncurante della delusione del suo ragazzo.

-Marinette, è giunto il momento: sto per innamorarmi di te!-, le disse euforica.

-Ora la bacia anche lei-, grugnì Kim dall’altra parte dell’aula.

Alya afferrò Marinette per le spalle: -Cosa hanno udito le mie orecchie??? Chi ha fatto cosa?-

La ragazza abbassò lo sguardo arrossendo, in realtà era divertita dalla situazione, si sentiva vagamente come una principessa o una miss sul podio, ma sapeva anche che sarebbe stata una sensazione breve e volatile. La sua amica la scostò da sé, per ammirarne la mise: -Che brava maestra che hai avuto-, asserì gongolandosi, -Fatti vedere-, e nel farlo fece compiere una mezza piroetta a Marinette, tenendole la punta delle dita.

Adrien, rientrando, la vide con la gonna che si alzava e un campanello che ciondolava sulle sue scapole scoperte e desiderò come non mai trasformarsi in Chat Noir e rapirla. Fu un pensiero concreto: avrebbe potuto farlo, in realtà e chissà come ci sarebbe rimasta la dolce Marinette se le avesse tirato un colpo così basso… Avrebbe potuto rapirla e portarla a casa sua saltando di tetto in tetto, tanto suo padre non c’era… Sicuramente Nathalie sarebbe stata fuori e a sorvegliare la casa forse ci sarebbero state solo un paio di donne delle pulizie. L’avrebbe portata in camera sua e stesa sul suo grande letto dalle lenzuola di raso e…

-Adrien?-, qualcuno lo stava tirando per una manica.

-Adrien, ci sei?-, uno strattone più forte: ovviamente una sola persona poteva turbare quei sogni ad occhi aperti e quella persona era Chloe. La ragazza aveva qualcosa da farsi perdonare, o meglio ce l’aveva “LadybugChic2002”.

-Buongiorno a te, Chloe-, con tutto l’impegno che poteva metterci, non riusciva ad essere aggressivo nei suoi confronti e anche a sarcasmo non era padrone della materia.

-Adrienuccio caro, allora, sei soddisfatto del tuo lavoro di ieri? Io sono rimasta e-sta-sia-ta dalla tua professionalità e da come ti stavano bene quei vestiti-, strillava con il solo scopo di farsi sentire da Marinette. Dal canto suo, la ragazza si era messa a sedere al suo banco e ascoltava il teatrino di Chloe con il mento poggiato sui palmi delle mani, fingendo disinteresse e aspettando di vedere una reazione da parte di Adrien. Il gatto doveva marcare il territorio, no?, pensò fiduciosa.

-Anche oggi hai una sessione di foto, giusto?-, Chloe si era avvicinata a lui, pericolosamente. Marinette notò con un lieve disappunto che la bionda era più magra di lei e più alta, al di là del trucco vistoso e quell’orrendo colore di capelli era obiettievamente una ragazza molto attraente… perché Adrien non le diceva qualcosa???

-Dove mi porti di bello oggi, Adrienuccio?-, Chloe si strinse al braccio del ragazzo. Marinette stava per alzarsi e andare a dirne quattro a quella gallina, ma il ragazzo la precedette di un soffio.

-Mi dispiace Chloe, ma oggi ho annullato tutti i servizi fotografici : c’è stata una fuga di immagini ieri sera e mio padre ha già avvertito le autorità che stanno indagando su chi possa essere stato. Dice che hanno trovato le mie foto caricate su Facebook da… come si chiamava, Principessa?-, si voltò verso Marinette che avvampò e fece cadere dalle mani la matita che nel frattempo aveva preso per fare qualche schizzo. Lo guardò frastornata, articolò qualche suono senza senso. Perché mai l’aveva chiamata con quel nomignolo, così intrigante e allo stesso tempo così puerile? L’aveva fatto Chat Noir, una volta… era dunque Chat quello che stava parlando a Chloe in quel momento?

Sii Ladybug!

La sua coscienza a pois doveva prevalere su di lei: con un metaforico scatto di reni tornò lucida e -Quale dici, mio Hot Top Boy? Quella che abbiamo visto ieri sera a casa mia? Mi pare si chiamasse… “LadybugChic2002”…- , scandì bene Marinette, rimanendo a braccia conserte ad osservare la reazione della compagna, che passò dal rosso peperone al bianco cadaverico per la paura.

Adrien stirò le labbra in un sorriso sarcastico e andò a prendere posto accanto alla sua ragazza; entrambi rimasero molto composti, con le mani in bella vista sui banchi e lo sguardo dritto alla cattedra, dove stava arrivando e sistemandosi la professoressa Bustier.

Ressero per quasi dieci minuti, finché la lezione ebbe inizio e nessuno pensò più al loro show di pochi minuti prima, fortunatamente riservato a pochi intimi spettatori. Ma la mano di Adrien, a un certo punto, un po’ per la noia della lezione, un po’ per la voglia che aveva addosso da quando si era svegliato, scivolò sotto al tavolo, infischiandosene del fatto che dietro di lui ci fosse Ivan. Gli dispiaceva solo che non ci fosse anche Kurtzberg, ma evidentemente il Pomodoro non aveva avuto abbastanza coraggio di farsi rivedere, quella mattina. Avrebbe trovato un altro modo per fargli capire come stessero le cose: non aveva mandato giù che, ancora, lui fosse interessato a Marinette, nonostante fosse ormai chiaro che lei era impegnata.

La mano rimase ferma a mezz’aria, indecisa dove posarsi; Adrien buttò un’occhiata in basso e la mise sul ginocchio della ragazza che, voltandosi con occhi sgranati verso di lui e le spalle tese, non poté che socchiudere la bocca in un’espressione di estremo stupore.

La calza che indossava era liscia e sottile e le piccole orecchie nere applicate all’altezza delle ginocchia dovevano essere di pelle o qualcosa del genere. Adrien deglutì: la sua parte felina scalpitò per uscire allo scoperto e la mano agguantò tutto il ginocchio. Marinette sussultò e le sue guance si imporporarono parlando al posto suo.

Quando sentì il calore della mano addosso alla sua gamba, la prima cosa a cui pensò, scattando come una molla, fu quello che era successo pochi giorni prima a mensa. Ogni volta che metteva una gonna, Adrien Agreste finiva per toccarle le gambe! Ma se la volta prima si era ritirato come scottato dal contatto con pezzo di brace, in quel momento la sua mano stava indugiando sulla sua gamba in maniera molto poco conveniente al luogo dove si trovavano.

Era bollente e grande e Marinette sentì quasi un dolore fisico in mezzo alla pancia, scioglierla e scivolare giù. Adrien non poteva farle una cosa del genere, non mentre erano in classe con la Bustier a spiegare Boudelaire e lei non poteva difendersi in nessun modo, se non lanciandogli occhiate che lasciavano intendere volontà contradditorie.

Era una tortura deliziosa, ma non sapeva quanto avrebbe potuto reggere ancora…

Anche Adrien dal canto suo era rosso, indubbiamente doveva essere rosso perché si sentiva avvampare fino alle orecchie, ma non voleva nella maniera più assoluta staccarsi da quella coscia velata di nero. Cavolo si stava riprendendo tutto il tempo perduto a grosse manciate ed era una sensazione talmente trasgressiva da fargli male e impedirgli di smettere!

Mosse la mano sulla stoffa liscia, le sue dita scivolarono nella parte più interna e morbida. La sentì muoversi appena, era a disagio la sua Marinette, eppure quegli occhi lucidi e il rossore che spuntava da dietro i pugni con cui stava cercando di coprirsi il viso gli urlavano di andare avanti. Salì ancora di qualche centimetro finché non sentì sotto le sue dita che la calza era finita e c’era solo la pelle morbida e calda della sua ragazza.

Espirò portando l’altra mano a coprirsi la bocca, si strinse le guance e abbassò lo sguardo.

Poteva smettere, no? Bastava staccare la mano e liberare entrambi da quella liquida bollente scoperta.

E invece andò più in su e sentì che Marinette stringeva tra loro le cosce; vide che inghiottì e riprese aria, facendo gonfiare il petto e dietro di lei la piccola campanella dondolò sulle sua schiena.

Infilò un dito sotto il bordo della calza, sentì il segno prodotto sulla pelle, allungò un’occhiata alla ragazza e si incrociarono in tralice. Marinette piegò in basso le sopracciglia, giusto un poco, in una timida richiesta di pietà.

Quando Adrien staccò la mano dalla sua gamba e, spostandola sui suoi jeans deglutì e le lanciò un'altra occhiata obliqua languida da far male, Marinette avrebbe potuto mettersi a urlare.

Cercò di darsi un contegno e si piegò tremante sullo zainetto rosa ai suoi piedi estraendone una bottiglietta d’acqua. La stappò, fece accidentalmente cadere il tappo per terra e ne bevve un sorso, due, qualunque cosa pur di calmarsi.

Adrien alzò la mano e, sotto lo sguardo azzurro attonito della ragazza, chiese di poter uscire per andare in bagno. Sfilò di rimpiatto scivolando accanto al muro e uscì nel corridoio freddo, tirando un sospiro di sollievo; si precipitò in bagno e infilò la testa sotto il getto di acqua fredda del lavandino.

-Tu vuoi morire…-, lo avvertì Plagg, facendo capolino dalla sua giacca: -Hai presente che se continui così ti viene un infarto? Mi sembrava di stare in una discoteca con musica house, accidenti a te, moccioso pervertit…uuuhhh! Ma che vedono i miei occhi! Fossi in te ci metterei anche qualcos’altro sotto l’acqua!-, Adrien si tirò su infradiciandosi la maglia e schizzando tutto lo specchio. Era sempre rosso: maledizione, non era buono a fare quelle cose, non riusciva ancora a contenersi.

“Se la vuoi fare sporca, cerca di farla pulita” era stato il consiglio di un suo collega più grande, quando lo aveva beccato a palpeggiare allegramente una modella, durante un servizio fotografico. Toccava e sorrideva all’obiettivo del fotografo come se fosse stato pienamente in sé. E la ragazza rispondeva senza remore al suo palpeggiamento, con viso truce come si addiceva al tipo di scatto richiesto. Al posto suo, Adrien sarebbe morto per autocombustione, ne era convinto.

Si chiuse in una toilette e rimase attaccato con le spalle alla porta finché non si fu un po’ calmato. Affondò le mani nei capelli bagnati, scostandoseli dalla fronte, gli occhi rivolti al soffitto. “Ora stai calmo”, si ripeté.

Stai calmo, accidenti!

Dopo un tempo incalcolabile udì le porte del bagno che si aprivano e chiudevano, seguite dal rimbombo di passi pesanti.

-Adrien?-, era Ivan.

Maledizione… aveva visto davvero tutto?

-Sei qui Adrien?-, i passi si fermarono davanti alla porta del suo rifugio, -La Bustier chiede se stai bene… Che le devo rispondere, Adrien? Che staresti meglio se ti avesse mandato Marinette per finire quello che le stavi facendo?-

Ecco la doccia fredda che mancava…

Adrien aprì la porta e uscì, tutto fradicio, ma, nonostante tutto, molto, molto tranquillo. In qualche modo aveva ritrovato il suo aplomb Agreste, forse per la voce del ragazzone che in quel momento gli ricordava troppo l’asinello di Winnie The Pooh. Si soffermò a guardare un istante in quegli occhi innocenti e lievemente complici e gli passò accanto.

-Grazie Ivan, mi asciugo e torno in classe-, disse ostentando una sicurezza tipica di chi è avvezzo ai riflettori e agli obiettivi. Glissò completamente sul perché fosse tutto bagnato, ormai Ivan l’aveva capito da solo.

Intanto Marinette stava rosolando a fuoco basso immobile sul suo posto, sforzandosi di non dare a vedere il suo profondo, mostruoso, bellissimo imbarazzo: era decisamente una tortura per lei il modo in cui quel gatto aveva deciso di marcare il territorio...

-E se ti toccava più su, che facevi? Ti mettevi a urlare come la Ryan in Harry Ti presento Sally? T’immagini la faccia della Bustier!!!-, durante l’intervallo Alya non finiva più di prenderla in giro, dopo che entrambe si erano precipitate nello spogliatoio e Marinette aveva sputato il rospo sul perché di quella fuga del suo Adrien.

-Alya! Io non… Adrien non lo farebbe mai!-, strillò tra le dita che le coprivano il viso paonazzo.

-Vedrai come sarai tu a chiederglielo! Aspetta che i tuoi vadano una sera a cena fuori da soli e sono sicura che il tuo biondino sarà pronto a riprendere da dove ha lasciato, anzi, direttamente da qualche centimetro più in alto!-, Alya continuava a prenderla in giro e Marinette serrò di più le mani sul suo viso, vergognandosi come una ladra. Teneva gli occhi chiusi e non vide al di là della piccola finestrella vetrata in alto sulla porta, che stava entrando a scuola anche il suo pretendente dai capelli rossi.

-Ahia…-, disse Alya, rivolgendole uno sguardo preoccupato. Il giorno prima era stata proprio lei a trattare male il ragazzo, a discapito del fatto che non fossero propriamente affari suoi e la sua assenza di quella mattina le era parsa provvidenziale. Ma evidentemente Nathaniel aveva una qualche buona ragione per entrare in ritardo a lezione.

-Che c’è?-, chiese Marinette, tirandosi su le calze e sistemandosi i capelli. Doveva rendersi presentabile e rientrare in aula.

-È arrivato Nathaniel…-, rispose Alya precedendola fuori dallo spogliatoio, incrociando le dita perché non succedesse niente di eclatante. Marinette la seguì con lo stesso pensiero in testa, ma anche una certa paura che uno dei due ragazzi potesse improvvisamente perdere il lume della ragione.

Rientrando in aula, Marinette andò quasi a sbattere contro Adrien, che l’attendeva trepidante ai primi banchi, davanti alla porta. La trattenne posando le sue mani sulle braccia della ragazza, piegò un poco la testa e la guardò con occhi colpevoli e dolcissimi, -Scusami… non so che mi sia preso…-, ammise lasciando crollare il suo sguardo a terra.

Marinette piegò gli avambracci fino a sfiorargli il petto e si chinò appena per incatenare il suo sguardo: -Segnati dove eri rimasto…-, gli sussurrò stirando le labbra in un sorrisetto malizioso; Adrien si riaccese come una miccia, la scintilla brillò di nuovo nel verde dei suoi occhi, si piegò sul collo scoperto della ragazza e lo baciò, riempiendosi le narici del profumo della sua pelle. Con una mano era salito al suo volto, che accolse in un morbido giaciglio quando lei vi si abbandonò sopra. Lasciò scivolare il pollice alle labbra rosse e le sfiorò.

-Tu non sai quello che vorrei fare…-, mormorò al suo orecchio con voce roca, abbracciandola stretta. In quel momento incrociò lo sguardo con quello atterrito del suo compagno di classe dai capelli rossi, che stava entrando in classe e ogni proposito di comportarsi in maniera dignitosa e adeguata al luogo dove si trovavano andò a farsi benedire.

Si era ripromesso che gli avrebbe fatto capire in maniera cristallina come stessero le cose: non avrebbe voluto osare oltre con Marinette, ma il senso di possesso ebbe la meglio e, senza abbassare lo sguardo da lui, allentò un poco l’abbraccio per baciare la sua ragazza sulla bocca.

-Non importa che me lo mostri a scuola, riparliamone più tardi…-, sussurrò Marinette sorridendo sulle sue labbra, premendo appena i palmi aperti sul suo petto, perché si allontanasse un poco da lei. Quella mattina il pubblico era veramente scarso, ma nel bel mezzo dell’intervallo con tutti i compagni che andavano e venivano nel corridoio, non le andava di esibire oltremodo un certo tipo di comportamento. Avevano a disposizione tutto il giorno e anche la notte, se non fosse loro bastato, per scambiarsi quelle effusioni che aveva tanto sognato.

Adrien indugiò un secondo di più sulle sue labbra, staccandosi con un leggero morso e le sorrise felice e fiero, sentendo la spinta sul suo petto.

-E dai…-, ci riprovò, tornando con le labbra su quelle della ragazza. Marinette non fu l’unica a percepire la sua insistenza e, se lei ne fu compiaciuta, per Nathaniel fu la goccia che fece traboccare il vaso.

-La vuoi lasciare?-, s’intromise ostentando un coraggio che difficilmente possedeva davvero. Premette con la mano sulla spalla di Adrien, per allontanarlo dalla ragazza, che sussultò per quella apparizione improvvisa.

-Nath, tranquillo, è tutto a posto…-, cercò di spiegare Marinette, mettendosi nel mezzo tra loro. Non si era accorta dell’ingresso del compagno e certamente non avrebbe voluto essere colta in quel frangente proprio da lui.

-Togli quella mano-, ringhiò Adrien rivolto a Nathaniel. Marinette capì che le cose non si sarebbero limitate ad un semplice battibecco, perché non aveva mai visto gli occhi del suo amato così scuri e arrabbiati. Nathaniel in risposta si voltò verso di lei e l’afferrò per un polso.

-Ehi!-, Marinette si ritrasse, ma lui non la lasciò. Che gli prendeva al Nathaniel che credeva di conoscere da così tanti anni?

-Lasciala!-, gli intimò a voce più alta Adrien. Un piccolo capannello di compagni di classe si era avvicinato, più per curiosità che altro; tra loro si fece strada Nino che cercò di mettersi nel mezzo per raffreddare gli spiriti, con le mani alzate in segno di resa.

-Fate i bravi…-, provò a contenerli.

-Nino, per favore, non metterti nel mezzo-, disse tra i denti il suo amico lanciandogli un’occhiata furibonda.

-Ora smettetela per favore…-, tentò di nuovo di smorzare la situazione Marinette, cercando di liberarsi dalla presa sul suo polso, inutilmente. Le dita lunghe di Nathaniel la stringevano tanto da farle male. Marinette sentì prepotenti le lacrime affiorare alle sue ciglia. Aveva paura, così come il giorno prima, e il fatto che ci fosse Adrien e che fosse visibilmente arrabbiato non migliorava la situazione.

Infatti lui afferrò Nathaniel per il colletto della giacca, stringendolo in una mano. Marinette sentì lo strattone che gli diede ripercuotersi sul suo braccio intrappolato.

-Ti ho detto lasciala!-, urlò Adrien. Qualcuno dal corridoio si affacciò per capire cosa stesse accadendo.

Marinette avrebbe voluto mettersi a strillare di smetterla a tutti e due: stava vivendo un un sogno bellissimo, perché si stava trasformando nel peggiore e più paradossale incubo che avesse mai vissuto? In fondo Nath era solo un amico, un ragazzino spaurito che quando ci aveva provato con lei la prima volta, aveva riassunto in una scena romanticamente platonica tutto il sentimento che provava. Non aveva mai provato a sfiorarla, né a tentare altri tipi di approccio, allora perché lo stava facendo proprio nel momento in cui ormai avrebbe dovuto essersi rassegnato? E Adrien… era davvero così facile per lui accendersi come una carica esplosiva pronta a tutto pur di difenderla? Dov’era il dolce, educato, pacato Adrien che l’aveva conquistata con tutta la sua gentilezza e i modi delicati? Le stava facendo paura anche lui, non poteva perdere la sua razionalità in quel modo, davanti a tutti!

-Fermatevi!-, Nino cercò di staccare la mano di Adrien, che lo tenne lontano con l’altro braccio teso: -Nino, non farmi arrabbiare pure tu…-

-Basta, vi prego…-, una lacrima solcò il viso di Marinette che allungò una mano verso il suo ragazzo.

Ebbe l’effetto di un secchio d’acqua fredda su Adrien, che mollò il bavero di Kurtzberg e di colpo sentì l’enorme e vergognoso peso di quel che stava facendo gravargli sulla coscienza. Che diavolo stava facendo? Non era da lui reagire a quel modo, non era da lui nemmeno comportarsi come aveva fatto da quella mattina con Marinette! La vide piccola e indifesa, a dispetto della sua identità segreta che solo lui conosceva: c’era solo Marinette in quel momento, la dolce, mite Marinette. Si sentì un mostro e il senso di protezione che aveva appena lasciato che si comportasse in quel modo sbagliato lo portò a capitolare. Scuotendo la testa come per scacciare via i pensieri brutti che aveva appena lasciato prendessero il sopravvento su di lui, allungò le braccia verso la piccola Marinette e la strinse amorevolmente a sé, circondandole il capo con un braccio e baciandole i capelli.

-Scusa-, le disse piano, mentre lei si aggrappava alla sua maglia, con la sola mano libera. L’altra era ancora intrappolata.

Nathaniel lasciò la presa sul suo braccio e uscì di corsa dall’aula. Gli rimbombava il cuore nella testa, sentiva il palmo con cui aveva stretto il polso di Marinette bruciargli come se avesse toccato la mela proibita nel giardino dell’Eden.

Era finita… Se solo fosse riuscito ad esprimerle i suoi sentimenti quando aveva una maschera a coprirgli il viso, o se avesse potuto parlarle il giorno prima! In fondo non le avrebbe mai fatto del male, solo voleva che lei sapesse che la sua non era una semplice cotta. Ne era certo, lui la desiderava come se fosse la cosa più bella al mondo, adorava il suo carattere solare e quel suo essere imbranata al limite della comicità, eppure sempre sicura e pronta ad aiutare il prossimo.

Ma aveva fatto prima Adrien. Quel damerino figlio di papà, prepotente di Adrien che poteva avere ai suoi piedi tutte le ragazze del mondo e invece gli aveva rubato proprio lei. Lo pensava un bravo ragazzo, quanto si sbagliava! Che ne sapeva lui di quel che voleva dire penare per un amore? Pendere dalle labbra della persona amata e guardarla giorno dopo giorno sperando in un segnale da parte sua? Lui aveva tutto e subito, in ogni cosa. Quella sua faccia d’angelo gli spalancava tutte le porte, anche quelle del cuore di Marinette.

Avrebbe voluto tornare là e spaccargliela per farlo diventare un mostro, così Marinette non lo avrebbe più guardato e si sarebbe accorta di lui e sarebbe stata sua, per sempre. La collera e la frustrazione per quello che aveva fatto montavano dentro di lui come una marea nera, lo sentiva chiaramente ad ogni respiro ansimante che faceva. Aveva le unghie conficcate nei pugni stretti, i denti serrati e sapeva che doveva allontanarsi il prima possibile, per non dare di nuovo in escandescenza o cadere nel patetico, ma era appena entrato a scuola oltretutto presentando una giustificazione con una firma falsa fatta da lui e non poteva imn nessun modo andare via, se non scappando e mettendosi ancor più neki guai. Sentiva su di sé gli occhi di chi lo aveva seguito con curiosità fuori dall’aula, tutti piccoli, inutili osservatori di un segreto che sarebbe dovuto essere solo suo e di Marinette.

Maledizione Marinette, perché non hai voluto darmi una possibilità!

Si tastò la tasca della felpa: la lettera che avrebbe voluto darle era ancora là. Ci aveva speso tutta la notte fino all’alba e solo allora era crollato dal sonno con il magone in petto e tante speranze a tormentarlo. Per questo aveva fatto tardi, per lei stava perdendo la ragione! Eppure non poteva finire così… forse avrebbe potuto provarci, avrebbe potuto consegnarle quella lettera, almeno Marinette avrebbe letto quello che lui provava davvero. Si voltò e fece per rientrare in classe, stringendo la lettera tra le sue mani. L’avrebbe lasciata sul banco della ragazza e non avrebbe più detto o fatto niente. Quello che vide, però, cambiò tutto. Marinette era seduta sulle scalette, la gonna corta lasciava intravedere le sue gambe; accanto a lei, Adrien la guardava con amore, catturando lo sguardo della ragazza. Vide che le faceva coraggio accarezzandole il braccio che sembrava arrossato per la stretta a cui lui l’aveva costretta, l’altra mano corse al volto umido per asciugare le lacrime che ancora lo rigavano, ancora un tocco sulle sue labbra, ancora un timido bacio posato sulla sua bocca.

...no… No, non ce la poteva fare!

L’aveva persa per sempre!

Non la vide, ma comprese esattamente l’istante in cui le sue emozioni furono raggiunte dalla presenza maligna. Era già successo una volta, ricordava ancora quella straziante sensazione di perdita della sua libertà. La farfalla si posò sulla lettera che stringeva e per un istante si fermò come se gli stesse concedendo un’altra possibilità di calmarsi. Ma no… Nathaniel non voleva, non riusciva ormai più a calmarsi. L’akuma venne assorbita dalla carta e nella sua mente calò la tenebra.

***

Perdonatemi per il ritardo… Ormai ci sarete abituati però! :-P

A mia discolpa vi dico che la vita vera mi ha assorbita tanto, troppo forse, ma è l’unica che posso davvero avere la concessione di vivere, quindi… mi tocca!!!! :-P

Mi sono dedicata al lavoro, alla casa, alla famiglia, a gatti vari (...) e anche a Ladybug, sebbene in un’altra, dolcissima forma! Chi sa, sa, chi non sa, vedrà!

A questo punto… beh, infamatemi tranquillamente per l’attesa e per questo capitolo in cui ho descritto un Adrien decisamente OOC: chiedo umilmente venia e spero però di essere riuscita in minima parte a riportarlo nei ranghi alla fine di questa scena.

Ovviamente vi sarete accorti che Papi-Papillon è tornato! Muahahahahah!!!!

Bacioni a tutti, alla prossima!

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Capitolo 18
*** Capitolo 18- Tutti Pazzi per Mari (Sei anni prima) ***


-Sono arrabbiata anche con te, accidenti-, gli stava rimproverando dopo aver ripreso un po’ di forza, -Era necessario mettere così espressamente in chiaro la situazione? Lo sapevi che lui ci sarebbe stato male-.

Adrien la guardò corrugando la fronte: davvero era seria? Proprio lei che lo aveva aiutato a dare una lezione a Chloe, giusto poche ore prima? Che cambiava? Loro due stavano insieme e doveva essere chiaro a tutti, no?

-Ti avevo avvertita, comunque-, si limitò a dire in sua discolpa e non immaginò che quel piccolo diverbio, così come velocemente era calato su di loro, altrettanto velocemente potesse dissolversi: -È da stanotte che fantasticavo su cosa intendessi per “il gatto marca il territorio”… Beh, se vuoi, possiamo riprendere il discorso quando siamo soli, ma forse dovremmo essere più cauti, qua a scuola…-, un guizzo elettrico negli occhi azzurri, un brivido lungo la sua schiena.

Adrien si sciolse da lei alzando le sopracciglia con un rapido cambio d’espressione, la guardò cercando di rimanere serio per molti secondi, quindi si avvicinò al suo orecchio: -Principessa, devo ammettere che riesci sempre a stupirmi, io… sinceramente non ti avrei mai fatta così spudorata… Ma ti garantisco che se l’avessi saputo prima, cavolo… te l’avrei chiesto da mesi di metterti insieme a me!-, si allontanò e riprese l’espressione seria, come una faccia di bronzo. Senza muovere altri muscoli, strizzò l’occhio e si allontanò da lei, mentre la campanella annunciava che le lezioni stavano ricominciando.

Si ritrovarono pochi istanti dopo di nuovo seduti a fianco, a scanso di equivoci entrambi con le mani occupate da penne, libri o quel che trovarono.

Poco prima che il professore di Storia dell’Arte entrasse, Alya si voltò verso Adrien: -Ascolta, biondo: lo so che sono fidanzata con Nino e che voi due state insieme, ma riprovati a fare eccitare così Marinette alle mie spalle durante una lezione e ti prometto che voi due vi ritroverete a consolarvi a vicenda-, con il dito indicò lui e Nino, buttando un bacino verso la sua amica.

Marinette si allungò su Alya e le colpì il capo con le nocche di una mano: -Scema!-, le disse piccata.

Ma per cosa l’avevano presa tutti? Era la giornata nazionale dell’ormone a piede libero?


-Adesso dovrebbe arrivare Ladybug a salvarmi dall’interrogazione vero?-, chiese Adrien sottovoce dopo un po’, ricordandosi le parole della ragazza di quella notte, mentre il prof scorreva l’elenco dei loro nomi con il dito e il silenzio era asceso tra i suoi alunni. Marinette gli sorrise dolcemente, in fondo era preparata, avrebbe seriamente potuto offrirsi volontaria per l’interrogazione su Renoir e risparmiare un rischio al suo amato.

In qualche perverso modo fu quello che avvenne realmente: il professore non aveva neanche finito di sistemarsi alla cattedra che un urlo di terrore squarciò il silenzio della scuola.

Adrien e Marinette ci misero un istante per capire di cosa si trattasse, nel momento in cui un mostro dalle fattezze umane (e che fattezze, pensò tutta la parte femminile dell’istituto!) divelse la porta della loro classe e puntò un dito nella loro direzione.

-Tu. Sei. Mia-, tre parole rivolte a Marinette che non fece in tempo neanche a muoversi, così come il suo ragazzo: il mostro dalla lunga chioma rossa colpì con violenza Adrien scaraventandolo con forza micidiale sul muro alla sua sinistra. Dopo si gettò su di lei.

-Adrien!-, Marinette urlò attonita per il colpo violento che il ragazzo aveva preso: era immobile a terra, il sangue che gli imbrattava il viso, -Adrien!-, ripeté mentre veniva caricata sulla spalla dal mostro. Non avrebbe potuto in nessun caso trasformarsi, dal momento che Tikki era lontana da lei, chiusa nello zainetto rimasto in classe. Sarebbe stata la fine…

Ivan e Nino erano accorsi immediatamente accanto al loro amico che stava riaprendo gli occhi; Alya invece era corsa dietro al mostro inseguendolo fuori dall’aula, seguita dal professore che urlava ai suoi alunni di mantenere la calma e a tutti quelli fuori di mettersi in salvo.

Adrien si portò una mano alla tempia e una fitta di dolore gli trafisse il cervello; aveva la vista annebbiata, vedeva delle facce, c’era Nino, forse anche Chloe, ma era tutto così sfocato.

-E’ ferito!-, strillò la ragazza e si gettò al suo fianco allontanandogli la mano dal grande taglio che aveva sul sopracciglio e che buttava molto sangue.

-Chiamate qualcuno!-

-Tampona la ferita!-

-Dobbiamo aiutare Marinette!-

-Qualcuno chiami Ladybug e Chat Noir!-

Urlavano tutti attorno a lui, non capiva più niente, se non che Marinette era in pericolo e che quel mostro era palesemente Nathaniel akumizzato. E se c’era un’akuma, c’era anche suo padre. Maledizione!

Si puntellò sui gomiti per sollevarsi, una fitta violenta alla testa lo fece vacillare, -Stai giù-, una mano sul petto e una dietro la nuca, per farlo stendere, vociare confuso, rumori e strilla provenienti da fuori l’aula.

No! No, no no! Dovevano lasciarlo, doveva trasformarsi subito.

-Marinette…-, chiamò con voce rotta, allungando una mano. Vedeva male, gli occhi bruciavano ed erano impastati di sangue: che lo facessero andare!

-Lasciatelo-, non riconobbe chi parlò, ma qualcuno lo sostenne sotto le ascelle e si trovò in posizione verticale. Lo fecero sedere sul primo posto vicino, Sabrina arrivò con una cassetta bianca con la croce sopra, sentì che le ragazze armeggiavano mentre qualcuno usciva di corsa dall’aula.

-Marinette-, si divincolò cercando di sfuggire ai suoi amici, ma le mani di Kim lo tenevano inchiodato alla sedia.

-Tu non vai da nessuna parte così-, ordinò truce Ivan, lo stesso Ivan che una manciata di minuti prima l’aveva trovato fradicio e su di giri in bagno. Tutta la sua vita gli sembrava che stesse andando a una velocità eccessiva, troppi eventi, troppe sensazioni e dolore tutti insieme.

-Sta fermo-, lo costrinse Chloe, mentre Juleka e Rose lo medicavano. Vide che gli mettevano un grosso cerotto sulla fronte, sentì una fitta; -No, non tiene-, qualcuno strappò via il cerotto, la ferita riprese a pulsare e qualcosa di viscido gli colò sull’occhio. Dov’era Marinette?

-Per favore, lasciatemi-, implorò ancora, ma troppe mani lo trattenevano, troppi amici su di lui. Per lui.

Non avrebbe mai pensato di essere così importante per loro. Li guardò tutti attorno a sé, non si sarebbe mai dimenticato i loro sguardi preoccupati.

Mancavano Nino e Alya, forse erano con Marinette…

-Che è successo?-, chiese stringendo i denti, mentre Rose tagliava un pezzo di uno sterilstip e qualcuno premeva sulla sua fronte con forza.

-Stai fermo-, Chloe gli prese il viso tra le mani, permettendo alle compagne di medicarlo, si avvicinò a lui, gli ficcò gli occhi nell’anima. Sarebbe stata lei a dirglielo, perché in fondo gli voleva troppo bene, nonostante avesse distrutto le sue speranze.

-Un mostro ha preso Marinette-, inghiottì, perché in fondo la violenza e la velocità con cui era avvenuto il tutto l’avevano spaventata a morte. Vide il viso di Adrien sbiancare ancora di più tra le sue mani.

-Fatto-, disse Rose applicando una garza sul cerotto e Kim lo lasciò libero di scattare come una molla. Un forte capogiro e si sentì cadere a terra, fu proprio Chloè a sostenerlo, subito aiutata da qualcun altro. Era Kim.

Adrien lanciò uno sguardo implorante all’amico: -Ho bisogno dei tuoi muscoli-, lo pregò e, sorreggendosi a lui, “corse” fuori dall’aula.

Il tumulto che c’era stato in classe si ripeteva in molte parti dell’istituto: urla, muri sfondati, professori fuori dalle aule: un classico degli attacchi degli akumizzati, ma perché era successo? Suo padre era tornato e lui non lo sapeva. Doveva stare in guardia più che mai.

Alya e Nino stavano correndo nella sua direzione: -L’ha presa! È Nathaniel, ma non è Evillustrator. È diverso…-

-Sembra… sembra un incrocio tra Hercules e King Kong, però molto grosso e molto figo!-, se non fosse stato un momento tragico, Alya avrebbe colpito con una sberla la testa di Nino per quel paragone fuori luogo.

-In ogni caso Adrien, direi che lui è marcio di gelosia e la vuole tutta per sé-, spiegò Alya ad entrambi: Nino l’aveva raggiunta giusto in tempo per afferrarla per un piede e fermarla dall’essere colpita da una sedia lanciata da SuperNathan. Si era sentito un po’ eroe anche lui, ma nel tumulto che seguì avevano perso di vista Nathaniel e Marinette.

S’intromise Kim: -Ci penso io a questo mostro!-, colpì col pugno il palmo dell’altra mano e storse le labbra in un ghigno.

-Lascia fare ai veri Eroi, è meglio! Vedrai che Ladybug arriverà in fretta-, Alya cercò di rassicurare tutti, soprattutto Adrien. Quelle parole furono come un cazzotto nello stomaco: il ragazzo ricordava chiaramente l’immagine di Marinette che non aveva né la borsa né tasche dove avrebbe potuto contenere Tikki, mentre erano abbracciati sulle scalette di classe.

Tornò verso l’aula inciampando e cercando un appiglio in aria, per poco non cadde per terra e batté una spallata sul muro sfondato dove fino a pochi minuti prima c’era la porta. Gli sembrava di essere su un aereo durante un temporale, non riusciva a rimanere in equilibrio, sbatteva ovunque, provava dolore. Doveva trovare Tikki ad ogni costo e portarla a Marinette. Nella testa che pulsava furiosamente c’era un unico pensiero: Nathaniel si era messo tra lui e Marinette, Nathaniel era comandato da suo padre e con ottima probabilità, per lui Marinette sarebbe stata una vittima sacrificabile con interesse, allo scopo di eliminare una grande distrazione per il figlio.

La minaccia era reale, non capiva come aveva fatto a non pensarci prima… Era stato solo uno stupido a comportarsi in quel modo con il ragazzo… aveva portato Papillon dritto dritto al cuore dei suoi affari personali, aveva mostrato al suo nemico quello che non voleva mostrare a suo padre: gli aveva consegnato su un piatto d’argento la vittima giusta per una akuma, al momento giusto.

Afferrò lo zaino e si piegò sotto al banco per assicurarsi che non ci fosse altro, uscì di nuovo spingendo via qualcuno che lo voleva fermare, corse nella direzione esattamente opposta a dove era andato il mostro, verso gli spogliatoi, il bagno, un qualunque posto appartato. Sbandò e si trovò schiacciato contro il petto di qualcuno che urlava, si afferrò alla sua maglia, poi alla parete e proseguì fino ad una porta chiusa.

Plagg uscì allo scoperto non appena furono soli e volò dritto alla testa del ragazzo: -Hai preso una bella botta-, cercò di capire l’entità della ferita, -Mi sa che dovrai tornare a farti mettere dei punti o ti rimarrà una cicatrice-, posò la zampina sulla garza che stava già macchiandosi di sangue.

-Al diavolo le cicatrici, ha preso Marinette!-, aprì lo zaino della ragazza e subito Tikki schizzò fuori. Aveva udito le loro conversazioni e sapeva che erano da soli.

-Dobbiamo trovarla-, squittì preoccupata. In un bagliore verde Plagg venne assorbito dall’anello di Adrien che si trasformò rapidamente in Chat Noir. Spiccò un balzo verso il davanzale, ma una fitta violenta alla testa lo lasciò senza fiato; andò a sbattere contro la parete sotto alla finestra.

Maledizione…

La trasformazione non aveva migliorato di tanto il suo stato di salute.

-Attento Chat!-, Tikki corse da lui e posò la sua piccola fronte su quella dell’eroe mascherato. Chat Noir spalancò gli occhi sbalordito: era il potere della Creazione quello che sentiva fluire in lui? Sentiva un formicolio alla base della nuca, un leggero frizzore sulla ferita, aria, ossigeno e qualcosa che non seppe definire dentro la testa. Tikki, esausta, crollò verso terra, ma fu fermata dalle mani grandi e gentili del giovane. -Tieni-, le disse afferrando uno dei biscotti che erano ancora nel suo rifugio, dentro lo zaino rosa.

Infilò Tikki nella sua tasca e, abbastanza rinvigorito, si aiutò con il suo bastone allungabile per scappare dalla finestra.

Aveva bisogno di tutti i suoi sensi di gatto per individuare la direzione presa da Kurtzberg. Si sforzò di riflettere… dove avrebbe potuto portare Marinette?

Se fosse stato il contrario, certamente avrebbe scelto il luogo dove si erano scambiati il primo vero bacio…

Ma non esisteva un luogo equivalente per Nath, vero?

Ripensò a tutte le volte che lo aveva visto ronzare attorno alla sua Marinette, ma l’immagine che la sua memoria gli riportava era di un ragazzo al margine, tranquillo, silenzioso, gentile. Come poteva essere diventato un mostro… Per lei…

Gli doveva render merito di essere stato il primo a capire che immenso meraviglioso fiore ci fosse dietro il viso sorridente e timido di Marinette, forse le piaceva da molto prima che lui iniziasse a frequentare la scuola, forse soffriva per lei nell’ombra da anni.

Prese aria chiudendo gli occhi… era stato cieco per tutti quei mesi, aveva voltato le spalle a tutte le piccole storie che vivevano accanto a lui. Avrebbe dovuto essere un eroe, il braccio destro di Ladybug, un ragazzo perfetto, consapevole di cosa volesse dire soffrire e quindi più sensibile di altri alla sofferenza. E invece era stato cieco, chiuso nel suo piccolo mondo dove aveva lasciato entrare solo Nino e pochi altri.

Si sforzò di pensare a dove sarebbe potuto andare Nathaniel.

In bilico sul davanzale della finestra, tornò dentro e corse a cercare Chloe: era l’unica che avesse conosciuto Marinette e Nathaniel da un tempo sufficientemente lungo. Gli parve paradossale interrogare proprio lei… ma sapeva che sarebbe stata la sola a potergli dare le informazioni che cercava.

La trovò ancora in aula, seduta scomposta mentre guardava un punto davanti a sé, senza vedere nulla. Rose, in un angolo della classe, piangeva tutta la tensione accumulata per l’intervento d’urgenza che aveva eseguito proprio sulla sua fronte. -Io non lo so se ho fatto bene… Gli avrò fatto male… Queste cose le ho viste fare solo una volta…-, e Mylene la rassicurava che, tra tutti lei era stata senza dubbio la migliore nel curare il loro “Adri”. Di nuovo il suo cuore perse un colpo: o era ridotto veramente male o i suoi amici erano un gruppo molto più coeso di quel che avrebbe mai potuto pensare.

-Ho bisogno del tuo aiuto-, soffiò rapidamente verso Chloe, che sobbalzò per lo spavento, -Tu hai passato tanti anni insieme a Marinette e Nathaniel… Fatti venire in mente qualche momento, qualche posto che li possa in qualche modo legare: sono certo che l’ha portata proprio là e… devo avvertire Ladybug-, inventò, per spronare la ragazza.

-Ma scherzi? Pensi davvero che io abbia perso tempo a guardare cosa facevano quei due? Per chi mi hai presa?-, aveva incrociato le braccia al petto e si era voltata con sdegno, tirando in fuori il labbro inferiore e dandogli il profilo. Chat Noir sbuffò e mise una mano sulla sua spalla. -Seriamente Chloe… non lo dirò a nessuno che hai aiutato Marinette…-, era quello il nodo? Forse.

Chloe girò lo sguardo verso di lui, senza muovere altri muscoli, poi guardò in basso: -In gita… al primo anno di College… mi pare che Nathaniel abbia regalato qualcosa a Marinette, forse un pinguino di peluche… Eravamo al Museé Rodin, dicevamo tutti che era un posto strano, ma lui sembrava felice in quell’ambiente. Lo ricordo tutto baldanzoso che la cercava con un pacchetto in mano. Povero illuso… per tutte noi ragazze lui era solo una femminuccia.

Dietro la maschera, Adrien deglutì: che si riferisse proprio al pinguino tutto sdrucito che aveva visto in camera di Marinette? Sembrava lo conservasse gelosamente… Un brivido gli corse sulla schiena.

Era comunque una traccia da seguire.

Ringraziò con un cenno del capo la ragazza e si gettò giù dalla finestra, incrociando le dita e sperando che il potere infusogli da Tikki gli risparmiasse un altro incontro scomposto con qualcosa di duro.

Corse come un matto saltando di tetto in tetto, ogni scatto, ogni colpo, ogni botta martellava nella testa e nel petto lasciandolo squassato come un relitto sbattuto sulla riva.

Vide la sagoma del Musee Rodin da lontano, cercò traccia del mostro dai capelli rossi, ma tutto pareva tranquillo. Scese in basso, rimpiattandosi nell’ombra: era difficile che fosse dentro l’edificio, più probabile nel parco circostante.

Si sforzò di ragionare come avrebbe potuto fare Nathaniel, ma non gli venne in mente nulla.

-Tikki aiutami-, domandò alla piccola kwami aprendo la tasca in cui era nascosta.

Se non poteva ragionare come Nathaniel, avrebbe sfruttato i suoi sensi di gatto. Scivolò tra le siepi in silenzio, captando gli odori che gli arrivavano alle narici. L’umido e l’odore di foglie e terra era il più forte.

Chiuse gli occhi.

Un fiore, poco distante, forse un bucaneve.

Rose, tante rose senza fiori e acqua stagnante del laghetto.

Procedette ancora ad occhi chiusi, ascoltando i suoni più deboli, sentendo il vento insinuarsi tra i rami secchi e produrre un sibilo impercettibile a orecchio umano. Un sospiro.

Si voltò verso la direzione in cui gli era parso di udirlo. Un leggero ringhio e un gemito, come di un piccolo animale caduto in trappola.

Marinette…

Le gambe gli vacillarono, cosa stava succedendo?

Lasciò perdere la sua copertura e iniziò a correre balzando sulle statue e le panchine. Tikki sfrecciava al suo fianco.

Le sagome delle statue controluce lo confusero per un attimo: doveva sforzarsi di ricordare quali fossero presenti nel parco e quali no. Un leggero bagliore lo attirò verso un luogo più appartato: un campanellino, come quello che c’era sulla maglia di Marinette.

Scattò oltre gli archi di siepi nella parte in ombra del parco, affinò i sensi, assaggiò l’aria, tese le orecchie e strinse gli occhi. Rosso.

Non era preparato a quella visione.

Si immobilizzò e il campanellino gli cadde di mano. Tikki portò una zampina alla bocca, incredula.


Marinette era seduta sull’erba secca, aveva la maglia strappata in alcuni punti, i capelli sciolti e le lacrime che gli solcavano il viso. In grembo teneva il capo di Nathaniel, apparentemente addormentato, che non aveva più quella sembianza mostruosa. Nella sua mano c’era un pezzo di carta, l’altra era intrecciata a quella di Marinette.

Una farfalla bianca, una akuma, si posò sulla mano libera della ragazza. Poi volò via.

In qualche modo Marinette era riuscita a liberare Nathaniel e a purificare l’akuma.

Chat Noir si avvicinò a lei scoprendosi e Marinette, nel vederlo, gli sorrise dando sfogo a tutte le sue lacrime.

-Lui mi ama davvero-, pianse sulla spalla del ragazzo che intanto l’aveva abbracciata, -Non fargli del male-, lo implorò.

-Come hai…-, Tikki si avvicinò a Marinette, ma la ragazza scosse il capo: non avrebbe risposto a quella domanda.

Dietro la maschera Adrien avrebbe voluto urlare. Tirò Marinette verso di sé, lasciando Nath disteso tra le foglie e prese tra le sue braccia la sua amata. Una delle sue calze era scivolata in basso, le gambe dove poche ore prima aveva lasciato una scia di desiderio, erano graffiate in molti punti. I loro sguardi si incrociarono: in entrambi si agitava la tempesta; tutti e due erano naufragati, ma finalmente erano riuniti.

Marinette allungò le mani al viso di Chat Noir e lo tirò verso di sé, baciandolo e l’effetto su di lui fu come il potere di Tikki.

La portò lontana da quel posto, camminando lentamente finché non raggiunsero le guardie al cancello. Lì Chat Noir avvisò che c’era un ragazzo privo di sensi da soccorrere.

A quel punto spiccò un balzo verso il tetto e sparì con lei.


Quando fermò la sua corsa erano nel parco vicino alla scuola. Sciolse la sua trasformazione e sentì che le forze lo abbandonavano con essa. Marinette si resse al tronco di un albero per non cadere.

-Adrien?-, preoccupata lo sorresse e lo fece sedere su una panchina. Solo allora vide la medicazione sulla fronte del ragazzo, che era rimasta coperta dalla maschera.

-Adrien!-, strillò spaventata, ma lui le coprì la bocca con la mano, tirandola verso di sé. Voleva vuotare il sacco, dirle che aveva avuto una paura matta di perderla, che non poteva immaginare cosa sarebbe potuto accadere se le fosse stato fatto del male… Marinette era al suo fianco da mesi e si stava rendendo conto solo allora quanto facesse già parte di lui ancor prima che si svelassero. Era stata un’amica, ed era vero, ma era la sua migliore amica… un’anima in armonia con lui che gli era entrata dentro e si era scavata il posto più vicino al cuore. Marinette era così e ne aveva appena avuto la conferma: era capace di prodigi che andavano oltre lo scibile, riusciva a toccare corde nascoste nell’anima della gente. Poteva purificare un’akuma con la sola forza del suo amore verso la vita e il prossimo. Le fece una carezza: era il suo più prezioso gioiello. Sospirò e il dolore lo colse per un attimo.

-Mi sta esplodendo la testa-, le disse, pronto ad aprirle del tutto il suo cuore, -Sono confuso e spaventato come forse non lo sono mai stato finora. Ho avuto paura di perderti, che ti avesse fatto del male, ho cercato di capire cosa fosse scattato nella sua testa e credo che invece avrei dovuto cercare subito nel suo cuore. Non so cosa sia successo in quel parco, ma ho provato la forza che aveva… Ho mille pensieri in testa, non capisco più niente, non so più chi sia mio padre, ma c’è una sola cosa di cui sono certo-, abbassò lo sguardo, era spaventato.

-Io ti amo Marinette-, sussurrò e sfiorò col dorso delle dita il viso della ragazza, -Più di ogni altra cosa al mondo-

La strinse a sé abbracciandola e lasciando che il pianto disperato gli spezzasse il respiro. Aveva davvero temuto di non vederla più e si era sentito inghiottito dal vuoto. Aveva bisogno di piangere come un bambino per poi rialzarsi come un uomo. Anche se aveva solo quindici anni, anche se ufficialmente stava con lei solo da pochi giorni, era pronto ad essere l’uomo che la vita gli aveva chiesto di essere. E voleva esserlo con lei al suo fianco.

-Ti amo…-, ripeté affondando nei suoi capelli e sentendo calore per la stretta che la ragazza ricambiava.

Marinette puntò le mani sul suo petto e sciolse l’abbraccio, guardò il volto del suo Adrien, la pelle macchiata di sangue e il gonfiore che si spandeva sotto la fasciatura. Percorse con i polpastrelli ogni centimetro del suo viso, si sporcò del sangue misto a lacrime, sfiorò la sua bocca, si avvicinò e ancora lo baciò come se fosse la cosa più dolce e pura dell’universo.

-Ti amo anch’io, non sai quanto… Ti amo attraverso il tempo e lo spazio-, un altro bacio, -Ti amo…-


Gli sorrise, era stanca e provata da tutte quelle emozioni. Un rumore alle loro spalle e delle grida.

-Li abbiamo trovati!-, un flash, tumulto.

Rimasero a fissarsi per secondi che durarono una vita intera, mentre qualcuno li raggiungeva, li toccava, li separava.

-Chiamate due ambulanze!-, urlò qualcuno.

-E’ mia figlia!-, la voce agitata di Tom, poco distante.


Furono portati via, analizzati e medicati dopo l’aggressione subita. Furono definiti i “Romeo e Giulietta” del Pronto Soccorso.

Dopo qualche tempo, Nathalie Sancoeur, la segretaria del padre di Adrien, lo raggiunse e firmò per procura i fogli per portarlo via, prima che gli venisse suturata la ferita.

-Lo faremo fare in una clinica più affidabile. Il signor Agreste ha un’assicurazione sulla sua immagine-, spiegò spiccia e lo condusse altrove.


***


Il telegiornale delle sette era già iniziato quando Tom e Sabine rientrarono con la figlia in casa.

-Ti ho detto che sto bene, papà-, insistette Marinette all’uomo che la portava in braccio su per le scale.

I suoi genitori erano sollevati, ma avevano il viso di chi ha visto la morte negli occhi e ne è rimasto scioccato. Sabine si mise a cucinare per la cena e Tom sistemò Marinette sul divano.

Sullo schermo scorrevano le immagini della loro scuola. C’erano stati diversi danni e alcuni ragazzi e professori erano rimasti lievemente feriti. Apparve una foto sfuocata di loro due che si baciavano, nel parco e pensò che avrebbe potuto esplodere in mille coriandoli e sparire. Si sforzò di continuare ad ascoltare.

Marinette seppe dal TG che Adrien era stato portato in clinica per accertamenti, dopo aver battuto violentemente la testa, “la ragazza, Marinette Dupain-Cheng non ha subito particolari ferite ed è stata subito dimessa. Ancora non è stata sciolta la prognosi sul terzo ragazzo coinvolto, ritrovato nel parco della villa Rodin e la cui identità è rimasta per il momento segreta”.

Una sofferenza profonda gli torse l’anima. Era stata tutta colpa sua… Doveva chiamare Adrien.

Si rese conto solo allora di aver perso la sua borsa e lo zaino. Come avrebbe fatto a chiamarlo, sentire Alya… per un attimo si sentì smarrita e si scosse con il suono del campanello di casa.

Senti parlottare suo padre con qualcuno e un minuto dopo Alya e Nino erano davanti a lei, nel suo salotto.

-Ci hai fatto spaventare a morte!-, le disse l’amica, abbracciandola fino a soffocarla; -Fai piano Alya, non vedi che è ferita?-, le disse Nino.

Marinette scrollò la testa indicando che non si era fatta nulla e Alya prese a raccontare.

-È una cosa stranissima, non riesco a capire come sia stato possibile che Nath sia stato salvato dall’akuma senza che Ladybug abbia usato il suo potere… Anzi, senza che Ladybug si sia vista!-

-È la prima volta che le cose non vengono rimesse a posto da lei con il suo potere miracoloso-, continuò Nino, -Eppure noi siamo sicurissimi che quel mostro che ti ha preso fosse Nathaniel, Marinette, e che ci fosse di mezzo una akuma-.

La ragazza rimase ad ascoltarli a lungo, senza parlare, senza fare congetture o svelare misteri.

-Mi sono solo ritrovata nel giardino qua vicino-, disse semplicemente confermando la versione data in ospedale, -È un peccato che ora debbano essere fatti i lavori nella scuola… e tutto per causa mia!-, si portò le mani ai capelli, realizzando solo in quel momento la verità.

-Questo è tuo-, le disse Alya porgendole lo zaino. Prese subito il cellulare e vide che aveva molte chiamate e messaggi persi: tutti i suoi amici avevano cercato di contattarla per sapere come stesse, un dolce calore le abbracciò il suo cuore malconcio.

Cercò sulla rubrica e scelse il numero del ragazzo che voleva sentire.


-Pronto-, gli rispose la voce tremante dall’altra parte.

-Ciao…-, disse lei e sorrise.


Il suo segreto, quello che era stato compiuto senza il potere del Miraculous, non lo avrebbe rivelato a nessuno.




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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Novità ***


Ed eccoci di nuovo ad un capitolo ambientato nel presente, ovvero 6 ANNI DOPO tutti gli altri.

L’ultima volta avevamo visto Marinette, Alya e Nino da Maestro Fu alla riunione a cui avevano partecipato anche Nathalie (nel ruolo di portatrice del Pavone) e i due Agreste in videoconferenza.

Vediamo cosa succede dopo.

Al termine del capitolo contate almeno fino a quattromiliardiduemilionisettecentomilaquattrocentoottantuno prima di infamarmi, ok? :-P

Un bacione a tutti, vi voglio bene!!!!

PS: sarò assente per qualche giorno, non potrò leggere le vostre proteste… ma sappiate che il passato è passato! :-)


19 - Novità (6 anni dopo)


Erano passati una decina di giorni dalla tormentata riunione a casa di Maestro Fu, ogni sera Marinette riceveva una telefonata da parte di Alya che si assicurava di come stesse. Si erano incontrate una volta sola, un paio di giorni dopo e Alya le aveva fatto una proposta molto interessante.

Era parecchio tempo che Marinette pensava di andare via di casa: non riusciva più a sostenere quell’atmosfera idillica che sembrava essere rimasta incastrata nel tempo. Non era più una ragazzina, non riusciva più a stupirsi per una omelette lanciata per aria dal papà o accettare che la mamma le rifacesse il letto la mattina.

Era tornata all’ovile, con la coda tra le gambe, quando la sua unica vera storia seria era miseramente fallita dopo qualche mese che era andata a convivere. “Non sarai troppo giovane? Non hai neanche 20 anni!”, le avevano detto i suoi, ma lei aveva sentito il bisogno di allontanarsi, pensare ad altro, immaginarsi una persona che non era, per scacciare quei fantasmi che ogni tanto tornavano prepotenti a tormentarla. “Sei sicura che sia quello giusto?”, le aveva chiesto sua mamma e Marinette ci aveva creduto davvero, quando le aveva risposto di sì e si era fatta accompagnare a scegliere insieme le tende per la sua nuova casa.

Si era perfino convinta con tutta se stessa che i sentimenti che provava erano autentici, ma, a posteriori, non poteva che ammettere di aver usato quel povero ragazzo come un incredibile ripiego e l’unica cosa che la fermava dal tormentarsi per i sensi di colpa era che forse anche lui aveva fatto lo stesso nei suoi confronti.

Quella sera Marinette si era decisa che avrebbe accettato l’offerta di Alya di andare a stare da lei. L’aveva chiamata con una scusa, accertandosi che fosse in casa.

Erano amiche da una vita, erano “colleghe” e non c’era indubbiamente una soluzione migliore per entrambe visto che il caro amico DJ non accennava minimamente a lasciare il nido.

Aveva parlato ai suoi e accettato la delusione negli occhi del padre e quel lampo di terrore che era balenato negli occhi della mamma. Sabine aveva paura che Marinette soffrisse ancora e la voleva con sé, per proteggerla. Sapeva che sua figlia aveva un segreto, nonostante non lo avesse mai voluto conoscere, sapeva quanto aveva patito da ragazzina per un qualcosa di più grande di lei e mai, mai, aveva considerato le sue come pene d’amore adolescenziali.

Ma la voleva con sé.

Marinette si era presentata a casa di Alya alle sette, con una bottiglia di champagne economico e una bella confezione di sushi, ma le cose non erano andate proprio nel verso che sperava.

Nino le aveva aperto la porta e Marinette si era accorta immediatamente che c’era qualcosa di strano. Alya sembrava agitata, ma non ci aveva fatto molto caso, presa dal volerle comunicare il prima possibile che si sarebbe trasferita da lei. Aveva tirato fuori il sushi e la bottiglia e Alya aveva buttato la testa all’indietro, passandosi le mani tra i capelli.

-Sono incinta-, le aveva detto. Così, senza preavviso, senza che avesse ancora chiara la situazione. Sul tavolo in cucina c’era ancora lo stick del test di gravidanza con due chiarissime linee blu: l’arrivo di Marinette era stato provvidenziale, per loro. Nino era confuso quanto mai, euforico da una parte e terrorizzato dall’altra. Entrambi l’avevano travolta di parole e domande cariche di dubbi, paure, speranze, progetti; avevano condiviso con lei quei momenti intimissimi e, nonostante Marinette avesse cercato di dare tutto il suo appoggio cercando di rimanere il più lucida possibile, sentiva di essere sbagliata in mezzo a loro. Quello era è diversa essere un momento solo per loro. Si sentiva fluttuare guardando la scena dall’esterno: lei era lì, ma la sua anima non riusciva davvero a partecipare a quei momenti, non voleva essere nel mezzo, non riusciva a sostenere il peso di tutto quell’amore. Aveva diviso il sushi con Nino e insieme si erano scolati lo champagne, mentre Alya non aveva potuto farlo: -Sono incinta!-, ripeteva, come a trovare uno scopo a quella sensazione terribile e magnifica che l’aveva attanagliata in fondo alla gola. -Non posso!”-, ripeteva ogni volta che il fidanzato provava a offrirle qualcosa e si sfiorava la pancia, forse neanche rendersene conto. L’aveva guardata con occhi spaventati e le aveva semplicemente detto: -Ho paura, Marinette, io no idea di come si faccia la mamma!-

Invece era già madre, in lei era già scattata la molla della protezione, ogni sua cellula aveva risposto al richiamo del miracolo che stava vivendo e nei suoi occhi brillava già un coraggio che non aveva ancora mai visto.

-Tu sei perfetta-, l'aveva tranquillizzata Marinette, prendendole una mano. Tremava e gli occhi scuri scintillavano, nonostante la paura dell'ignoto. Dopo sei anni, finalmente Alya aveva trovato il suo angolo di vero amore. Aveva costruito qualcosa.


***


-… e quindi ci trasferiremo appena trovato un appartamento abbastanza grande per… il bambino-, disse Alya rasserenata, dopo una lunga conversazione con l’amica. Marinette la ascoltava con la testa che fluttuava nel suo lago di champagne da quattro soldi e delusioni, ma era realmente felice per lei.

Ovviamente, data la situazione, si era morsa la lingua e aveva taciuto il vero motivo della sua visita di quella sera. Niente convivenza con la sua migliore amica: ancora una volta, era semplicemente oltre tempo massimo.

Andrò a dormire sotto a un ponte se i miei non mi vorranno più… pensò alzando di nuovo il calice per brindare alla grandiosa notizia.

Quando fu il momento, salutò i suoi più cari amici abbracciandoli calorosamente e promettendo ad Alya una collezione completa di abitini fatti a mano per il bambino o bambina che fosse.

In fondo era una cosa meravigliosa.

Uscì a tarda sera guardando in alto alle sue spalle le luci dell’appartamento di Alya che si spegnevano, una ad una. Anche quella non sarebbe stata casa sua.

Inciampò nel marciapiede e riuscì a non cadere, reggendosi ad un lampione.

E lei l’avrebbe trovata la sua strada? La sua fetta perfetta di felicità?

-Sei ubriaca-, commentò Tikki, sgusciando dalla sua tasca.

-Sono allegra-, ribatté Marinette.

-Sei allegra come un becchino che porta la bara, Marinette. Vuoi prendere in giro proprio me? Allora levati quegli orecchini e buttali via-, era piccata, non voleva più vederla soffrire.

Camminando erano arrivate al Lungo Senna prima del Pont des Invalides. Marinette si appoggiò con la schiena alla spalletta e prese una sigaretta dalla borsa. -Lo sai che sei una stupida?-, la aggredì la vocina di Tikki. Marinette sbuffò scocciata: -Una sigaretta, Tikki. Una. Sono tre settimane che non fumo, dammi tregua per favore!-

Tikki si ritirò offesa nella borsa di Marinette, la ragazza rimase a guardare le volute di fumo che si alzavano sulla sua testa.

Prese il cellulare e avviò una chiamata: aveva bisogno di sentirlo. Forse era troppo tardi però… Stava per chiudere quando dall’altro capo ci fu la risposta.

-Pronto-, una voce arruffata. Era Paul. Sicuramente li aveva disturbati.

-Scusami… non volevo svegliarvi…-

-Mari cara, non importa… Te lo passo-, li aveva svegliati, accidenti alle sue idee malsane. Le persone normali dormivano a quell’ora. C’erano solo lei e la sua sfrenata voglia di buttarsi nella Senna a giro a disturbare la gente.

-Ehi…-, la voce calda e così familiare le riscaldò un pochino il cuore. Le tornò in mente quando si svegliava accanto a lui, la mattina e lui le baciava la fronte e le diceva “Ehi, buongiorno tesoro”. Momenti spazzati via dal tempo.

-Ciao Nath, scusa per l’ora-, tirò una boccata di fumo. Sentì un fruscio e comprese che il ragazzo si stava muovendo.

-Dimmi tesoro, che hai?-, l’aveva sempre chiamata così e non aveva smesso neanche dopo il naufragio della loro relazione, neanche dopo che erano diventati soltanto amici, neanche quando ormai nel suo cuore c’era posto solo per Paul.

-Sono stata da Alya, speravo di potermi trasferire da lei, ma… non può-, un altro tiro dalla sigaretta, -Quindi sono sola e vago come un cane randagio per strada. Mi ci vorrebbe un abbraccione dei tuoi, per tirarmi su…-, lo sentì ridacchiare attaccato alla cornetta, dall’altra parte del telefono.

-Vieni a stare da noi!-, esclamò giulivo, -lo sai che sei la benvenuta. E poi devo farti vedere dei personaggi che ho disegnato per un fumetto nuovo che ho in mente, vorrei il tuo parere!-

Da quando Nathaniel aveva capito cosa volesse davvero dalla sua vita, i rapporti con Marinette avevano guadagnato in schiettezza e lui, finalmente, era sereno. Era stato il suo primo fidanzato serio, nonché l’unico che fosse durato anni e mai, finché non lo aveva trovato tra le braccia di Paul nudi nel loro letto con ancora il cartellino dell’Ikea attaccato sopra, lo aveva visto davvero felice.

-Quasi quasi ci faccio un pensierino…-, rispose stando al gioco.

-Hai bisogno che venga a prenderti?-, aveva domandato più seriamente, ma Marinette gli aveva detto di no, salutandolo. Era un pochino più serena, parlare con Nath le faceva quell’effetto. Aveva sofferto per il suo tradimento, più per il fatto che Nath le avesse tenuto nascosto qualcosa di così grande per anni, che per il reale epilogo che aveva avuto la loro storia. Lui era stato “la sua prima volta”, il suo compagno per un tempo che le era parso, a posteriori, solo una farsa. Erano stati colleghi, compagni e amanti. Tutta una enorme farsa.

Si erano ritrovati grazie ad Alya che glielo aveva servito già cotto a puntino su un vassoio d’argento: dal tempo del college, Nathaniel era rimasto sempre fedele al sentimento che provava per lei e, proprio quando si era decisa a provare ad essere “normale”, lo aveva incontrato di nuovo e aveva scoperto un Nathaniel sconosciuto. Era stato dapprima molto spavaldo con lei, l'aveva conquistata nel modo in cui una donna sola vuole essere conquistata, ma poco dopo era tornato il Nathaniel di sempre. Dopo la scintilla, l’aveva stordita di frasi d’amore conservate per anni, e di dolcezza, sicurezza e gesti gentili. In fondo era esattamente quello che Marinette voleva. Lui l’aveva aspettata per anni, considerandola sempre come il suo sogno immarcescibile, la sua musa, la più dolce delle scoperte. E quando si erano messi insieme l’aveva fatta sentire una regina e la più debole delle fanciulle da proteggere: a Marinette era piaciuto dimenticarsi di Ladybug e della forza che sentiva di aver perso, si era adagiata in quella nuova versione di sè. Nath, dal canto suo, era stato sempre gentile e delicato con lei, come un fiore, aveva aspettato tanto che lei gli si concedesse e aveva fatto tutto con delicatezza, gentilezza, lentezza. Sembrava un idillio fatto toni rosa pastello. Troppo dolce, troppo stucchevole perfino. Si era sentita avvolta in una bolla di sapone e custodita per il tempo che questa aveva retto alla forza della verità.

Poi era scoppiata.

Oh, se era scoppiata… Da quando aveva iniziato a vedersi con Paul, il dolce Nath era diventato un’altra persona. Era più vitale, concreto, attivo e dinamico; prendeva decisioni e le sembrava quasi che la trattasse come complice e non come “la donna da venerare”. Metteva abiti più sexy, si mostrava senza problemi a lei che si era quasi sentita lusingata e forse per la prima volta aveva apprezzato quel loro strambo rapporto. L’aveva portata a convincersi di desiderarlo davvero, come uomo, non solo come dolce fidanzato rispettoso. Ma poi… niente… era andata a quel modo…

Era stata solo una grande presa in giro. Da principio lo aveva odiato per un po’, più perché quella voglia che gli aveva risvegliato sarebbe rimasta insoddisfatta per sempre, che per il tradimento in sé.


Poi aveva capito che ognuno doveva avere il diritto di essere felice e lo aveva relegato nell’angolo del suo cuore dove stavano gli “e se” che non aveva mai potuto davvero vivere.

E se con Nath le cose non fossero andate così? E se lui non avesse scoperto di essere gay e l’avesse sposata, come le aveva promesso? E se lei avesse accettato continuando quella relazione, anche se non era mai stata davvero felice? E se fosse stata lei, quella sera, ad aver confessato alla sua migliore amica di essere incinta? E se… come sarebbe stata la sua vita, se…

Scosse la testa e schiacciò sotto il tacco dello stivale la cicca ormai finita. Cercò un cestino e la gettò dentro.


E se invece non fosse mai stata Ladybug?

In studio di vento portò via il mozzicone che rotolò scomposto fino alla base del marciapiede.

La Tour Eiffel, in lontananza, scintillava come ogni notte. Un breve flash la riportò alla sua prima avventura in calzamaglia rossa: no, lei era sempre Ladybug, quella era ormai una consapevolezza radicata nella sua esistenza.

Il ricordo di Adrien l’assalì violento.

E se lui non se ne fosse andato via? Un tuffo al cuore la colpì e dovette fermarsi per riprendere fiato. Lo champagne lavorava alacremente per creare nella sua testa mostri e rievocare fantasmi ormai svaniti.

E se lui non l’avesse dimenticata? E se fosse tornato da lei?

-Non sai neanche chi sia diventato-, borbottò sforzandosi di prendere aria per schiarirsi le idee.

E allora si soffermò a guardare i lampioni che si specchiavano sulla Senna e immaginò di darsi quelle risposte che non avrebbe mai conosciuto. Poteva almeno fantasticare su chi fosse diventato il ragazzino di cui era innamorata. Era sempre stata così brava a fantasticare, in fondo, bastava solo riprendere la mano.


Adrien aveva quasi ventidue anni ormai. Era stato un modello via via sempre più famoso, aveva partecipato a molti spot, si era fatto più alto e invece che la scherma aveva iniziato a giocare a… pallavolo, e aveva due spalle larghe dove appoggiarsi e piangere. Aveva viaggiato in lungo e largo e conosciuto tante donne, tante storie ognuna in ciascuna città dove era stato. Aveva amato ciascuna di loro e si era fatto la fama di esser un gran latin lover, ma non si era mai legato a nessuna. Aveva un cane e tre gatti, ma nessun criceto. Aveva un tatuaggio, forse due, ma uno era riservato solo per le sue donne e un piercing all’orecchio. Guidava moto potenti ed era sempre al centro del gossip. Era scappato in India per meditare, poi aveva affrontato la traversata dell’Atlantico in solitaria su una barca a vela con il suo diario e la pelle bruciata dal sole. Aveva scalato il K2 e aveva cavalcato i cammelli in Afghanistan. Portava i capelli lunghi e aveva fatto crescere la barba.

E non era più stato Chat Noir.



-Sto male…-, si disse riscuotendosi da quel film mentale che aveva creato la sua mente alacre, mentre la Senna scorreva placida sotto a lei.

Si sentiva inquieta e non voleva tornare a casa. Voleva solo chiudere gli occhi e dimenticare, lasciarsi andare al sonno e non pensare più a niente.

Da quando aveva sentito la sua voce, da Maestro Fu, non dormiva quasi più, mangiava poco e solo dietro costrizione e aveva gli incubi. Sono qua, diceva la voce, ma lui non arrivava mai...

Vedeva la sagoma nera di Chat Noir allontanarsi in un tunnel sempre più buio, sempre più lontana e piccola, e lei rimaneva sola.

Se perdere Nath era stata una sorpresa, perdere Adrien era stato come strapparsi il cuore dal petto e gli occhi dal viso e tutto il tempo passato non aveva minimamente lenito le sue ferite.

Erano sei anni che, volente o nolente, non viveva più.

Ogni tentativo fatto in quegli anni era stato per pura sopravvivenza, illudersi di amare Nathaniel per prima cosa.


La fermata della metro non era lontana, si sarebbe infilata nel tunnel e avrebbe lasciato che il frastuono delle ruote sulle rotaie coprisse l’eco del suono di quella voce. Altrimenti sarebbe impazzita.

Viveva in equilibrio costante sulla punta di una montagna di dolore, ogni novità la destabilizzava. Ogni sensazione che le ricordasse un passato che non sarebbe mai tornato la dilaniava.

La vita degli altri andava avanti, evolveva: Alya e Nino avrebbero avuto un bambino, Nathaniel aveva nuovi progetti che lo rendevano entusiasta. Lei non aveva nulla.

Solo l’effimero ricordo di un periodo in cui era stata la protagonista e la vittima di una dolce storia d’amore.

-Al diavolo lo Yin e Yang…-, biascicò riprendendo a camminare.


Non aveva percorso neanche un centinaio di metri che un’auto si affiancò a lei, procedendo a passo d’uomo. Un brivido le percorse la schiena. Cosa volevano da lei? Marinette accelerò: la metropolitana era ormai a pochissimi passi, là dentro sarebbe stata al sicuro. Avrebbe potuto correre e trasformarsi e tutte le sue paure sarebbero state dissolte.

Udì il leggero soffio del finestrino che si abbassava, le ruote schiacciavano le foglie cadute ai lati della strada, facendole crepitare tetramente.

Sentiva degli occhi puntati su di lei, ma non aveva il coraggio di voltarsi. Notò con la coda dell’occhio che si trattava di una coupé scura e, dal leggero ruggito del motore a bassi giri, doveva trattarsi di un modello molto costoso.

Procedette per gli ultimi metri e svoltò oltre l’ingresso in stile Art Noveau della stazione, sparendo per le scale. Si affrettò a scendere gli scalini e trasse un sospiro di sollievo, percependo lo spostamento d’aria che annunciava l’arrivo imminente del treno. Vi balzò dentro a corsa, udendo in lontananza passi affrettati che provenivano dalle scale. Qualcuno era dietro di lei. Pregò perché le porte si chiudessero e, quando avvenne, finalmente riprese a respirare, le mani attaccate al vetro e gli occhi in cerca del suo cacciatore.

Fu una frazione di secondo soltanto, ma per quell’attimo, prima che il treno perdesse la visuale della stazione curvando in galleria, le parve di intravedere un uomo alto, con i capelli biondi, giunto in banchina un attimo troppo tardi.


Tutto il mondo le cadde addosso.



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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - Allo Scoperto (Sei anni prima) ***


20 - Allo scoperto


-Potrei perdermi nei tuoi occhi, c’è tutto il mare, l’oceano…-

-…le foche, i tonni… Baciami invece di parlare…-, si allungò verso la sua bocca.

-Cosa deve fare un bravo ragazzo di questi tempi per non apparire un maniaco, me lo puoi dire Marinette?-, si ritrasse mettendo su un po’ di broncio. Oddio era bellissimo!

-Baciami-, ripeté.

-Ho mal di testa-, Adrien socchiuse gli occhi e si lasciò andare disteso supino sul letto di Marinette. Lei rimase a fissarlo su un fianco, le labbra increspate e la fronte corrugata.

-Quelle sono scuse da donna-, azzardò. In quella posizione avrebbe potuto montargli a cavalcioni e non gli sarebbe sfuggito.

-Ho sbattuto contro un muro e, come forse non hai notato, mi hanno messo tre punti proprio qui-, ad occhi chiusi portò un dito alla fasciatura.

Marinette si avvicinò e vi posò un bacio leggero come una piuma.

-Ahi-, disse Adrien.

-Bugiardo-, un altro bacio sull’occhio chiuso.

-Ahi-

Marinette sorrise sulla sua pelle, mentre posava un altro bacio sullo zigomo dove un bel livido blu faceva mostra di sé.

-Ahi-

-Posso continuare all’infinito, lo sai?-, bisbigliò mentre baciava la sua guancia.

-Anch’io. Ahi-, sorrise, sempre ad occhi chiusi e la lasciò fare.

Marinette si avvicinò di più e lo baciò vicino alla bocca.

-Ahi-, le aveva preso un ciuffo di capelli, intanto e ci stava giocherellando attorcigliandoselo attorno al dito.

Un bacio sulla punta del naso. -Ahi-

Sfiorò appena le labbra del ragazzo, senza soffermarsi, come se fosse stata un soffio di vento leggero.

-Ahi-

-Non ti ho baciato-

-Appunto-, aprì un occhio e le sorrise. Non voleva più giocare a quel gioco, aveva vinto lei. Si tirò su con uno scatto di reni e ribaltò le loro posizioni, lasciando Marinette per un istante confusa.

Si avvicinò per baciarla, era quello che voleva, ma le sue labbra incontrarono il palmo della mano della ragazza che si tirò su: l’espressione d’un tratto mutata in un profondo stupore.

-Ti rendi conto Adrien che sei qua da mezz’ora, chiuso in camera mia senza essere entrato da quella finestra?-, non se ne capacitava. Alzò le mani davanti al petto e le mosse come per spiegare qualcosa di inspiegabile: -E’ successo tutto troppo velocemente-, iniziava ad agitarsi.

La lasciò bollire nella sua insicurezza per qualche istante, godendo le sue espressioni che viravano dall’incredulità alla paura, dalla sorpresa alla rassegnazione.

-Ormai siamo praticamente fidanzati in casa!-, quasi fosse stata un’epifania folgorante s’immobilizzò a bocca aperta.

-È un problema per te?-, le domandò Adrien, tornando sul fianco e piegando in una smorfia di dolore le labbra. Quella ferita pulsava da far paura e aveva male ad ogni cosa che si trovasse sul suo lato sinistro.

-Sì! Cioè… no… cioè: mia mamma ti ha accolto con un abbraccio e mio padre ti ha fatto pat pat sulla spalla come se fossi uno di casa. Lo hanno saputo dalle televisione, te ne rendi conto? Il mondo intero ci ha visti mentre ci baciavamo tutti sporchi e sanguinolenti. O meglio, ha visto il modello Adrien Agreste che baciava una perfetta sconosciuta col vestito strappato e …-

-Shhh-, posò un dito sulle sue labbra; -I tuoi sono contenti-, constatò, -Io sono contento e non mi importa del mondo intero-, la guardò deciso: -E tu sei contenta?-

Marinette si sgonfiò come un palloncino: eccome se era contenta! Gli sorrise: era un sogno diventato realtà, era la cosa che aveva immaginato per mesi e mesi, sentiva la gioia esploderle nel petto, al pensiero che proprio lei, Marinette, poteva essere diventata la ragazza di Adrien, era…

I suoi pensieri furono interrotti dal rumore di alcuni colpi alla botola. Marinette sgranò gli occhi, facendo un cenno veloce al ragazzo, mentre ribolliva nella sua testa quel senso di vergogna mista a stupore: -I miei ora bussano! Te ne rendi conto? Bussano!!! Non hanno mai bussato, sono sempre semplicemente entrati e SBAM! Adrien è così…-

Adrien schizzò come un fulmine giù dal soppalco per non farsi trovare in pose compromettenti al suo primo ingresso ufficiale nella casa della sua ragazza. Cavolo quanto girava ancora la testa… Si resse al muro in fondo alle scalette.

-Adrien!-, Marinette fu accanto a lui immediatamente, il suo amore non stava bene, maledizione. Di nuovo bussarono, -Avanti!-, rispose con aggressività e si sistemò un braccio di Adrien sulle spalle per sostenerlo e aiutarlo a riprendersi: -Non devi fare movimenti così veloci-, lo sgridò.

-Adrien caro!-, chiamò la mamma con lo stesso tono usato da Marinette, dopo aver fatto irruzione nella cameretta con un piatto di biscotti. Aveva visto la figlia sorreggere quel povero dolce ragazzino che le aveva buscate per lei ed era chiaro che non stava per niente bene.

Insieme lo fecero sedere sulla chaise longue.

-Forse è stato azzardato uscire di casa, non trovi?-, gli domandò la mamma, premurosa. Marinette notò gli occhi di Adrien brillare di una dolcezza che ancora non aveva avuto modo di osservare, mentre sorrideva grato alla donna che aveva messo al mondo la sua ragazza.

-Per sua figlia questo ed altro-, ostentò una galanteria che conquistò la madre e fece drizzare un sopracciglio alla figlia, -Ho solo… male alla ferita-, farfugliò. In realtà aveva male dappertutto, ma soprattutto aveva una voglia di perdersi con la sua Marinette e non essere più disturbato da anima viva.

Marinette era decisamente in imbarazzo.

-D’accordo... Mamma, lo facciamo mettere buono buono disteso qua e gli prendiamo un po’ di ghiaccio, ok?-, spinse letteralmente la madre di sotto, sbuffando stranita: -Fai il cascamorto, adesso?-

Adrien le sorrise e lei capitolò. -Ti prendo il ghiaccio-, e seguì sua madre.


***


Ci mise un po’ per spiegare ai suoi che non sapeva nulla che Adrien sarebbe andato a trovarla e che non era decisamente il caso di chiamare suo padre.

Prese un tovagliolo pulito e vi avvolse la busta con il ghiaccio. Doveva trovare il modo più indolore per chiedere ad Adrien cosa avesse inteso il giorno prima con quella frase: “Non so più chi sia mio padre”.

Tornò di sopra, si sedette accanto a lui sulla poltrona e posò delicatamente il ghiaccio sulla sua faccia.

-Lo so che fa male…-, no, non lo sapeva, i suoi graffi non facevano male. Non sapeva cosa significava essere colpiti così duramente senza essere protetti dai poteri dei Miraculous. Non sapeva come mai non aveva usato il Lucky Charm e sistemato ogni cosa, comprese le ferite di Adrien. Non lo sapeva e basta. Era successo e non voleva più pensarci, ormai era troppo tardi.

-Devo chiederti una cosa-, lasciò a lui il compito di tenere su il ghiaccio e strinse le mani in grembo, iniziando ad infilare le unghie una sotto l’altra come faceva quando era nervosa. Si morse il labbro inferiore e lo guardò dal basso, in tralice. Adrien le stava concedendo tutto il tempo che le occorreva, sperava che gli avrebbe spiegato quello che aveva visto nel parco del Museè Rodin il giorno prima.

-Ieri tu mi hai detto una cosa… Io non capisco che cosa volevi dire, scusami…-, iniziò invece Marinette, sembrava mortificata.

Il ragazzo le sorrise scuotendo la testa delicatamente, lasciò che andasse avanti.

-Hai detto: “Non so più chi sia mio padre”… che intendevi Adrien?-, sollevò su di lui gli occhi stanchi e preoccupati.

In effetti in tutto il trambusto e l’eccitazione di quei primi incontri, aveva dimenticato un dettaglio importantissimo, ma la volontà di procrastinare quella confessione era stata la causa principale del suo silenzio.

Senza che lui li chiamasse, Tikki e Plagg comparvero al fianco dei ragazzi, come fossero stati muti spettatori di un segreto che andava condiviso e taciuto.

Adrien deglutì e prese aria. Doveva avere coraggio.

-Forza moccioso-, lo spronò bonariamente Plagg, la sua voce era decisamente molto più seria del solito.

Puntò i suoi occhi verdi su Marinette e disse quello che sapeva: -Mio padre… io credo di aver scoperto per caso che lui…-, diavolo com’era complicato! Marinette si avvicinò un poco, era tutt’orecchi.

-Mio padre è Papillon-, disse d’un fiato tanto che la ragazza sbatté più volte le palpebre pensando di non aver compreso bene le parole.

-Mio padre è Papillon-, ripeté più lentamente prendendo una mano della ragazza tra le sue. La osservò realizzare il concetto appena udito, vide il colore che l’abbandonava e il viso che si apriva in un’espressione di puro orrore. Annaspò cercando aria, le spalle si alzavano e abbassavano seguendo il respiro affannato. Adrien si avvicinò, ma lei mise le mani avanti e si alzò, non voleva essere toccata.

Era esterrefatta da quello che aveva appena sentito e nemmeno per un istante la sua mente aveva pensato ad un patetico scherzo. Se Adrien le aveva detto così, non poteva che essere perché ne era convinto.

Il suo più grande nemico, che voleva la sua fine come Ladybug e per colpa del quale era stata rapita e maltrattata il giorno prima era il padre di Adrien!?

Crollò con le spalle basse, alzando gli occhi al soffitto e mormorando qualcosa tra sé, scuoteva la testa.

Adrien era profondamente addolorato per quella reazione, temeva che non avrebbe più accettato neanche lui…

Quando Marinette si voltò, era indubbiamente Ladybug, anche se non aveva la maschera.

-Quando l’hai scoperto?-, domandò spiccia.

-Quando gli ho detto… di te…-, si alzò lasciando che il ghiaccio rimanesse sulla poltrona e si mise davanti a lei, -Sospettava che fossi Chat Noir. Voleva prendere l’anello. Per questo ho inventato che fosse un falso-

-Per questo hai inventato di avere una ragazza? E che fossi io?-, gli urlò contro. Adrien prego che i signori Dupain non avessero sentito nulla. Con le mani le fece cenno di abbassare la voce.

-Per salvarti le penne mi hai messa nel mezzo? Conto così poco per te?-, riprese la ragazza, sibilando parole velenose che non pensava, ma che le erano uscite per la tensione del momento.

-È per questo che ha mandato Nathaniel? Per farmi fuori?-, puntava l’indice sotto il mento del ragazzo. Iniziò a tremare, l’indice non era più così saldo. Una lacrima le sfuggì, tirò su col naso perché non voleva piangere. Inghiottì cercando di restare calma, inutilmente. Non c’entrava nulla la storia di Nathaniel, lo sapeva bene che era stato solo a causa sua e di Adrien se quel povero ragazzo si era arrabbiato così tanto. Ma aveva voglia di urlare, di scappare… perché se era vero che Papillon era il padre-carceriere del suo fidanzato, allora le cose non avrebbero potuto avere un lieto fine, se lo sentiva...

Lo guardò ancora e in quegli occhi verdi come il mare dopo la tempesta e leggermente lucidi, si volle perdere, per non pensare più. Adrien l’abbracciò stretta per proteggerla dalle sue paure e la tenne sul suo cuore.

-Lo risolveremo insieme-, le disse baciandole la testa e la cullò in un lento senza musica di sottofondo.

-Non è detto che Papillon continui a farvi del male, se sapesse delle vostre reali identità-, azzardò Tikki e Plagg annuì. Adrien si decise a parlarle anche di un’altra questione.

-Non credo che Nathaniel ti avrebbe mai potuto “fare fuori”, Marinette… ho letto la lettera che stringeva in mano… Lui… credo che lui provi per te un sentimento sincero…-, quant’era difficile ammetterlo, maledizione!

-Lo so-, gli rispose, -È un bravo ragazzo…-, e non aggiunse una parola in più.



***



La sera prima Gabriel era stato chiamato allarmato direttamente dal sindaco Burgeois in persona: era stato l’uomo a informarlo dell’incidente occorso alla scuola dove andavano i loro figli e che Adrien era stato ferito. Chloe lo aveva chiamato dopo che lo avevano visto uscire di corsa dall’aula e sparire. Avevano controllato tutta la scuola insieme ai poliziotti intervenuti, ma di Adrien si era persa ogni traccia.

Gabriel aveva ringraziato compostamente l’uomo, imbarazzato per non aver potuto aiutare diversamente lo stilista, aveva messo giù la comunicazione e premuto un pulsante sulla sua consolle telefonica.

Si era concesso un istante per pensare a quello che stava accadendo, quindi aveva serrato le mandibole e scaraventato tutto quello che aveva davanti a sé per terra, in un ringhio disperato.

Nathalie Sancoeur l’aveva trovato con i palmi sul tavolo e la testa reclinata tra le spalle tese. A testa bassa, senza apparentemente tradire quella rabbia che ruggiva in sé, le aveva detto di seguirla.

Aveva aperto la cassaforte dietro il dipinto che raffigurava sua moglie, preso il libro e un altro oggetto e l’aveva condotta nel suo regno solitario. -Nooroo, trasformami-, aveva chiamato davanti alla donna ed era riapparso come Papillon.

-Nathalie, ho qualcosa per te-, si era avvicinato a lei e le aveva appuntato al petto una spilla. Un battito più forte del suo cuore lo aveva fatto ben sperare.

-Dusuu, mostrati-, aveva ordinato mentre Nathalie si guardava attorno senza osare muoversi. Un piccolo essere volante tutto blu aveva fatto capolino da un angolo in ombra nella stanza e si era avvicinato alla donna, titubante. Nathalie lo stava fissando immobile, nessuna emozione stava trasparendo oltre le lenti dei suoi occhiali.

-Ti sto offrendo il Miraculous di mia moglie, Nathalie. Ti sto dando la possibilità di diventare potente-, l’aveva presa per le spalle e scossa. Quella donna lo confondeva come nessun’altro al mondo, sembrava del tutto insensibile ad ogni emozione o sensazione esterna. Probabilmente quello era il primo contatto fisico che aveva con lei e si era stupito di trovare carne morbida sotto agli abiti che indossava. Era arrivato a pensare che fosse un robot… aveva sogghignato sentendo di nuovo quel battito più rapido sotto le sue mani. Era più forte di lui nel non lasciar trasparire quello che le bruciava dentro, ma lui sarebbe stato più scaltro.

Aveva portato una mano al petto dove aveva appena fissato la spilla e con un gesto secco l’aveva strappata via, rovinando la giacca della donna. Nessuna reazione.

-Ma ad una condizione: resta fedele a me-, si era chinato sul suo collo e le aveva parlato nell’orecchio con voce morbida, affondando una mano tra i sui capelli, -Sei l’unica che mi sia rimasta fedele, non potrei sopportare una delusione proprio da te, Nathalie…-

Aveva allungato la mano contenente il Miracuolus: -Lavora ancora con me e non me lo dimenticherò-.

La donna aveva deglutito e guardato negli occhi Papillon; erano mesi e mesi che conosceva quel segreto e mai una volta ne aveva fatto menzione con Gabriel, certa che ci fosse un disegno in tutto quello che stava accadendo. Aveva allungato la mano e preso il Miraculous. Con un gesto aveva aperto il gancio e aveva fissato la spilla sul suo cuore.

-Dusuu, trasformami-, aveva pronunciato con voce ferma: sapeva cosa dire perché lo aveva visto fare tante volte proprio a lui.

-Brava ragazza…-, Papillon aveva preso una mano della sua nuova identità e vi aveva posato un bacio sopra.

-Cosa devo fare-, gli aveva domandato lei, guardando il suo costume blu pavone, senza dare nell’occhio.

-Aiutami a fermare quel ragazzo-, aveva preso una mano della nuova eroina e l’aveva portata alla sua tempia.

Nella testa di Nathalie era apparsa chiara come un pugno in faccia la visione che aveva Papillon. Un enorme akumizzato dalla criniera fulva, un uomo alto più di due metri, pieno di muscoli. Una macchina da guerra umana. Tra le sue braccia c’era una ragazza, l’aveva riconosciuta subito.

-SuperNathan, prendi gli orecchini di Marinette e abbandonala dove ti trovi. Non farle del male-, aveva comandato Papillon, ma il mostro non era parso ascoltarlo.

-Il tuo potere Nathalie: tu puoi comandare la mente degli altri. Usalo attraverso me: io posso ricattarli, illuderli, ma solo tu puoi averne il controllo.-

Nathalie aveva posato entrambe le mani sulla testa di Papillon e aveva inspirato.

-Fermati-, aveva detto e il mostro si era immediatamente bloccato. Uno scambio di sguardi tra lei e Papillon.

-Dimmi dove ti trovi-, aveva chiesto ancora.

-Musee Rodin-, una voce nelle loro teste.

-Mettila giù-, aveva ordinato e Nathaniel aveva obbedito.

Attraverso gli occhi di Nathaniel avevano visto Marinette alzarsi in piedi e tentare la fuga.

-Non farla scappare-, avevano comandato insieme al mostro.

Marinette si divincolava, la maglia si era impigliata tra i rami, si era strappata.

-Prendi i suoi orecchini-, un nuovo comando.

Nathaniel aveva allungato una mano e Marinette aveva cercato di fermarlo “Per favore, non farlo Nath”, una preghiera disperata. La ragazza aveva alzato una mano al volto del mostro e si era fermata sulla sua guancia deformata dalla rabbia. “Per favore Nath… io ti voglio bene”.

-Prendi gli orecchini-, aveva ripetuto Nathalie.

“No… No Nathaniel, ti prego… Non farlo…”, si era avvicinata a lui e lo aveva abbracciato.

Papillon aveva percepito una frattura nel suo legame mentale con l’akumizzato, aveva stretto i pugni.

“Ci sono io con te… Non scapperò più, ma non farlo… Torna te stesso… Si può sistemare tutto Nathaniel… Ricordi quello cosa successe proprio qua, quando eravamo bambini…? Sei ancora il mio SuperNathan, ricordatelo… Non rovinare tutto Nath, ti prego… lo sai che sei importante per me.”

-Fermala-, Nathalie aveva sovrapposto il comando a quello di Papillon, che l’aveva guardata contrariato.

-Prendi gli orecchini!-, aveva tuonato lui ed entrambi avevano guardato impotenti la ragazza avvicinarsi al mostro e posare un bacio sulla sua guancia, abbracciandolo, incurante del fatto che avrebbe potuto stritolarla tra le sue braccia.

Invece il mostro aveva fatto cadere il foglio che stringeva.

La connessione si era interrotta.

-Noooo, maledizione!-, aveva tuonato Gabriel.


Marinette Dupain-Cheng era riuscita a portargli via una sua creatura: Papillon aveva percepito attraverso gli occhi del suo akumizzato, quali fossero i motivi per cui rabbia e gelosia ribollivano così forte in lui. Era geloso di Marinette e del suo ragazzo… Quindi Adrien non aveva mentito sul ruolo che quella ragazzina era per lui… e lo aveva fatto con un tempismo eccezionale.

Il video con le api, le parole del figlio, la gelosia di Nathaniel, quello che aveva fatto quella ragazzina dai capelli neri… tutto conduceva ad un’unica considerazione: lei era Ladybug. Ne era certo come era certo che Adrien fosse Chat Noir, e per questo voleva quegli orecchini. Avrebbe potuto dare l’ordine di uccidere la ragazzina e sarebbero stati suoi, ma non ce l’aveva fatta. Non con la ragazza di suo figlio.

Il pensiero che più di tutti l’aveva bloccato dall’essere più incisivo con la volontà del mostro era però un altro: perché Chat Noir non si era fatto vedere? Il sindaco gli aveva detto che Adrien era sparito, tutto sembrava tornare con le sue teorie. Ma dov’era finito… Qualcosa dentro di sé stava sgretolandosi dalla paura di aver potuto indirettamente fatto del male ad Adrien. Era stato ferito dal suo mostro e non sapeva in che modo: ecco perché Chat Noir non c’era. Doveva trovarlo e riprendersi suo figlio, a tutti i costi!

Lui era più prezioso di qualunque Miraculous...

Aveva colpito con una spinta Nathalie, facendola cadere e tentato di richiamare ancora il suo sottomesso per mandarlo a cercare Adrien, ma non era più riuscito a connettersi con lui.


Era scivolato in ginocchio sul pavimento. Era stato uno stupido. Nathalie, all’apparenza così simile a Zara quando aveva indossato i panni del Pavone, si era avvicinata e, chinandosi su di lui, l’aveva abbracciato. Si era lasciato andare ad un pianto silenzioso e carico di rabbia, attendendo che la sua trasformazione si sciogliesse.


Il resto dei pettegolezzi l’aveva saputo dai giornali.

Non era andato di persona a prendere Adrien al pronto soccorso, non si era fatto vedere in clinica mentre lo suturavano né era stato a trovarlo in camera sua a tarda serata. Si era informato solo dell’esito della TAC che avevano fatto al ragazzo per via del brutto colpo che aveva preso: andava tutto bene, fortunatamente non c’era da preoccuparsi.

La mattina dopo si era fatto vedere per un attimo. Si era avvicinato al figlio ed esaminato la benda.

-Spero che non rimanga una cicatrice troppo visibile. Per il momento sono annullati tutti i servizi fotografici, le lezioni di scherma e non andrai a scuola per un po’-, aveva detto. Si era voltato per un attimo: -E quella ragazza, Marinette Dupain-Cheng? Ho sentito che è stata rapita. E’ tutto a posto?-, aveva finto interesse, con scarsi risultati. -Sta bene, grazie a Dio...-, aveva risposto Adrien stringendo i pugni. Ci teneva davvero, quindi… Era meglio che non si affezionasse troppo a lei. Ladybug gli serviva.

-Per il futuro, ti chiedo di evitare di farti riprendere in situazioni sconvenienti, o sarò costretto a prendere provvedimenti-, aveva ordinato.

-Ti informo che andrò da lei, più tardi-, si era opposto il ragazzo con voce salda.

Gabriel se n’era andato senza aggiungere altro e si era chiuso nel suo studio, dal quale in realtà non era mai uscito per i tre lunghi, interminabili giorni passati, trascorrendo il tempo a spiare, con tutti i sistemi di sicurezza che aveva dentro e fuori la villa, i movimenti di un certo Chat Noir che andava e veniva come se fosse casa sua.

***


Gabriel Agreste Richiuse nella cassaforte il libro e soppesò la scatoletta con il Miraculous del Pavone che Nathalie gli aveva porto.

-Lo tenga lei-, disse restituendola, -So che mi posso fidare-.

La donna abbassò lo sguardo: era tornato al “lei”.

-C’è altro che devo fare?-, domandò prima di uscire dallo studio. Gabriel ci pensò un po’ su, si sedette alla scrivania e incrociò le dita sotto al mento: -Impedisca in ogni modo a mio figlio di uscire stanotte. Voglio proprio vedere se verrà qua da noi a trovarlo la cara Ladybug…-

Nathalie annuì e uscì dalla stanza stringendo la scatoletta tra le mani, consapevole che sarebbe stato un compito relativamente facile convincere Adrien. Doveva solo fare un po’ di pratica…


**************************


Eccoci qua.

E’ stato un periodo un po’ duro e non ho trovato il tempo materiale per ricorreggere e scrivere. Inoltre dovevo sciogliere un bel nodo di questa ff.

Mi è stato fatto notare che nel precedente capitolo c’erano diversi errori “ortografici”: non sono errori ortografici, ma il risultato di aver cercato di sfruttare ogni momento per correggere e scrivere e averlo fatto da callulare. Veloce eh, ma poi scrive quello che vuole cambiando intere frasi!

Ho in produzione diversa robina, per ora pubblico questo aggiornamento e spero di essere più solerte nei prossimi giorni.

Un abbraccio a tutti di cuore.


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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - Control (Sei anni prima) ***


Capitolo 21 - Control (Sei anni prima)


Adrien chiamò il suo autista e si fece passare a riprendere da casa di Marinette. Nonostante la buona volontà da parte di entrambi, quello che era successo con Nathaniel e la confessione di chi fosse realmente Gabriel Agreste, avevano turbato il loro giovane rapporto in un modo ancora incomprensibile. C’erano delle implicazioni, era innegabile e inevitabile. C’era un rischio maggiore, c’era una strisciante paura di avere il nemico a un passo da sé e probabilmente anche di essere ormai senza maschera.

Erano rimasti abbracciati stretti stretti sulla chaise longue di camera di Marinette per interminabili minuti, in silenzio. Era stato proprio l’assenza di condivisione delle loro paure e dubbi ad aver instillato in entrambi la consapevolezza che la loro relazione era ben più complicata di una semplice storia tra quindicenni. Erano colleghi, prima che fidanzati. Erano due amici naufraghi nell’oceano dell’incertezza. Erano soli e il fatto che fossero uniti avrebbe potuto causare ancora più rischi a entrambi. Non lo dicevano, ma lo comprendevano in maniera cristallina. E quella consapevolezza aveva gravato in modi diversi sugli animi dei due giovani. Marinette aveva chiaro più che mai il suo compito di salvare Parigi dalla malvagità di Papillon, e poco le importava che si trattasse proprio del padre di Adrien. La sua teoria era la non violenza e aveva avuto conferma della sua bontà proprio il giorno prima, quindi non era spaventata all’idea di dover affrontare l’unico genitore che fosse rimasto al suo ragazzo. Avrebbe combattuto con il suo potere buono, avrebbe lottato anche contro Gabriel Agreste se fosse stato necessario: lui era il male, lo vedeva così ed era un male da purificare, proprio come le sue akume.

Adrien invece voleva capire le motivazioni di suo padre e farlo ragionare per cercare di riappacificare il loro rapporto. Era sicuro che in qualche modo il fatto che Gabriel possedesse il Miraculous della Farfalla dovesse essere correlato alla sparizione di sua madre. Perché tanto l’aveva capito, non era un bambino: la mamma non era morta in viaggio, o se lo era, in ogni caso non sarebbe stata una cosa comprovata. Lei era scomparsa, forse spaventata proprio da Papillon. O a causa di Papillon.

Di una cosa, comunque, entrambi i due ragazzi erano certi, cioè del profondo sentimento che sentivano crescere in loro, minuto dopo minuto. Ma era un sentimento rischioso per tutti.

Adrien muoveva lentamente la sua mano sulla schiena di Marinette, perché era sua, perché la voleva proteggere, perché non voleva che si allontanasse da lui, mentre Marinette sfiorava con le sue labbra il petto del ragazzo, percependo anche attraverso la stoffa la sua pelle morbida e i muscoli del torace. Dovevano andare avanti e rimanere insieme? Avrebbe comportato prima o poi la rottura con la famiglia di Adrien, se lo sentiva, la cosa migliore sarebbe stato allontanarsi forse, eppure non ce la faceva. Lei voleva l’amore che quel biondino le infondeva nel petto. Voleva i suoi abbracci e i suoi baci, ma non voleva che questo egoismo potesse causare un rischio per lui.

Si guardarono negli occhi, entrambi li avevano enormi e lucidi: si sorrisero mestamente e Adrien la strinse di più a sé, in un ultimo abbraccio, posando sulla sua fronte un bacio.

-Devo andare-, le disse, -Prima che accada qualsiasi cosa, devo cercare di parlare con mio padre-.

Lo sguardo costernato della ragazza lo fece indugiare: seriamente voleva staccarsi da quel calore per gettarsi nelle fauci del lupo?

-Stai attento-, gli disse Marinette, preoccupata, ma consapevole che non c’erano altre possibilità di affrontare quel grande rischio, -Io potrei venire con te come Ladybug: potrei rimanere da qualche parte nei paraggi e, se hai bisogno sono subito da te…- I suoi occhi azzurri erano velati dalla paura e anche da una strana ombra, che non sfuggì al ragazzo. Non erano mai stati più vicini eppure più lontani di così.

-Cos’altro c’è, amore mio…?-, Adrien prese il volto di Marinette tra le mani, con delicatezza; la ragazza abbassò lo sguardo. Era una situazione difficile. Il suo potere era andato oltre quello che conosceva, le potenzialità del suo Miraculous la affascinavano e spaventavano in quel momento più che mai. Non doveva meravigliarsi se Papillon lo voleva per sé.

-Nathaniel… io… non so come ho fatto a… farlo calmare e tutto il resto-, alzò di nuovo gli occhi, era confusa, spaventata, li abbassò ancora. C’era qualcosa che gli voleva dire, ma non trovava le parole. Non sapeva lei per prima quel che era accaduto: ne percepiva la gravità ma non sapeva spiegare cosa fosse.

-Perché sei speciale-, la anticipò lui e la strinse a sé, lasciando che si rilassasse sul suo petto.

Trascorsero gli ultimi brevi momenti insieme di quella giornata in quel modo, vicini e preoccupati.

-Stasera tornerò a trovarti-, la informò Adrien, preparandosi per andare via, quando ricevette il segnale da parte del suo autista, che lo aspettava per strada.

-E’ meglio se ti riposi, hai preso una bella botta e te l’hanno anche scritto nel referto: “Riposo”-, rispose Marinette, allungandosi per baciarlo sulle labbra, prima di scendere giù attraverso il negozio. Non ce la faceva proprio a frapporre tra loro un muro che li avrebbe, forse salvati. Lo accompagnò fino all’auto, salutando con un breve cenno della mano l’autista.

-Stanotte torno-, le disse Adrien piantando lo sguardo nel suo e, con un sorriso sicuro, sparì dentro l’auto.




***



Per i genitori di Marinette la notizia più eclatante relativa al giorno prima era stata che la loro figlia e Adrien Agreste stessero insieme. Tom in particolare aveva dovuto buttare giù un rospo di proporzioni enormi per accettare quello che, in verità, aveva sperato dal momento che Marinette gli aveva presentato il compagno di classe. Era partito molto prevenuto vedendo ogni santo giorno quel faccino sbarbato e perfetto attaccato al muro nella cameretta di sua figlia: fosse stato un modello qualunque, o un attore, sarebbe stato diverso, perché non sarebbe realmente esistito, ma il giovane Agreste esisteva e la faceva soffrire molto più di un Leonardo di Caprio qualunque.

Erano abituati ormai agli attacchi dei mostri mandati da Papillon e più volte lui e la sua famiglia si erano trovati coinvolti. Ogni volta veniva messo a posto tutto da Ladybug, ogni volta nessuno si faceva male o rimanevano brutti ricordi. Ma quel giorno, quando aveva visto il sangue sul volto del ragazzo e Marinette così preoccupata e sconvolta stretta a lui, e quando aveva saputo quello che era accaduto alla sua adorata figliola, rapita da un mostro, aveva avuto paura, forse per la prima volta davvero.

Fortunatamente la paura si era dissolta alla stessa velocità con la quale aveva invaso il suo cuore nel momento in cui Alya era corsa in negozio cercando concitatamente Marinette e spiegando l’accaduto.

Ma, visto che anche quella volta i segni dell’attacco della bestia ai danni della sua bambina erano stati irrisori, quel che più aveva colpito lui e Sabine era indubbiamente stata la rivelazione della sua storia con Adrien. Quella sarebbe durata (Tom ne era certo), un livido e un taglio sarebbero passati in pochi giorni.

Tutta la certezza che aveva l’uomo si basava su un fatto semplice: Adrien le aveva buscate per sua figlia così come lui aveva fatto per Sabine moltissimi anni prima.

Scosse la testa vedendo la figlia rientrare in negozio, dopo aver accompagnato il ragazzo alla sua auto: si faceva troppi castelli in aria, doveva prendere il rapporto tra Marinette e Adrien come una semplice storia di due ragazzini di quindici anni, niente di più.

La figlia gli passò vicino e gli rivolse un sorriso imbarazzato, dopo sparì nella sua stanza.


-Ha avuto paura, Tom, cerca di comprenderla-, esordì Sabine comparendo dal retro, ed è molto imbarazzata sapendo che noi sappiamo che ha un fidanzatino…-

Sabine si asciugò le mani su uno strofinaccio e si avvicinò a lui, attese di udire il rumore della botola di camera di Marinette che si chiudeva e riprese: -Quel ragazzo ha più bisogno di affetto e calore umano di chiunque abbia mai conosciuto. Deve avere tanto sofferto, poverino…-, si avvicinò a lui e lo abbracciò.

Ecco perché la storia tra Marinette e Adrien sarebbe durata, ci ripensò Tom, perché non c’era nessuno brava come sua figlia a donare un incondizionato calore umano a chiunque… figurarsi al ragazzo per cui aveva perso la testa!

Tom prese una grande boccata d’aria, si strofinò le mani e tornò nel laboratorio a impastare sfoglia per i suoi croissant.



***



Nathalie guardò un un’ultima volta il riflesso del suo viso nello specchietto della cipria, aveva il volto tirato, più del solito. Quella sera avrebbe testato di nuovo il suo influsso su Adrien. Non si capacitava di come era stato possibile che Gabriel le avesse dato un così grande potere, in grado perfino di comandare lui stesso. Avrebbe potuto usarlo a suo piacimento, convincendolo ad avvicinarsi a lei, a non vederla più solo come una segretaria-assistente-governante; avrebbe potuto aprire le porte di ogni camera di Villa Agreste, avrebbe potuto diventare la sua amante, anche la sua signora, se l’avesse voluto. Finalmente avrebbe sentito lo sguardo di quell’uomo che tanto bramava scivolare su di lei, avrebbe provato il sapore delle sue labbra, avrebbe lasciato che, poi, fosse lui a fare quello che avrebbe voluto.

Rigirò la spilla a forma di coda di pavone tra le dita, la appuntò sul suo petto: avrebbe dovuto fare pratica prima di compiere passi falsi, o tutto quello che voleva avrebbe potuto scapparle di mano in un attimo.


Quando scorse dalla finestra del suo studio l’auto con Adrien che rientrava a casa, Nathalie prese un profondo respiro e si affrettò a far uscire dal suo nascondiglio quel minuscolo pavone fluttuante che era il suo kwami.

-Ti sei saziato?-, gli domandò e l’esserino annuì. A Duusu non piaceva essere il responsabile delle azioni che i suoi portatori, dalla notte dei tempi, avevano compiuto a danno di altre persone. Solo raramente il suo potere era stato usato esclusivamente per fare del bene: il più delle volte l’ingordigia personale del portatore prendeva il sopravvento sulla sua missione e finiva per divorarlo. Così era accaduto per la sua precedente portatrice, che aveva rinunciato a lui dopo anni di falsità ai danni delle due persone che amava di più al mondo. Diceva che lo faceva per Adrien, ma in realtà lo faceva solo per sé stessa, lui lo sapeva bene.

Nathalie lo accolse sulla sua mano, con l’altra posò una lieve carezza sulla testolina blu e lo fissò intensamente negli occhi. Sembrava ruggisse la tempesta, nei suoi, perfino il respiro era spezzato, sebbene molto sapientemente riuscisse a non darlo a vedere, il cuore batteva all’impazzata. Il potere del Pavone era troppo anche per una donna di ferro come lei.

Deglutì e per un attimo staccò lo sguardo da quello del kwami.

-Duusu, aiutami a usare il tuo potere in maniera corretta-, chiese a bassa voce, poi si voltò e si trasformò.

Il suo costume era parecchio vistoso: come avrebbe potuto avvicinare Adrien senza farsi notare? Provò a togliersi quella strana sopragonna che terminava con delle piume e ci riuscì: rapidamente si rese conto che anche il costume era in realtà solo una sua costruzione mentale e le cose che non voleva svanivano tra le sue mani. Non erano niente di più che vistosi orpelli impalpabili sui suoi usuali abiti. Era come plasmare la realtà sulla base dei suoi pensieri: avrebbe potuto essere Pavone quando avesse voluto e nessuno se ne sarebbe reso conto, quindi…

“Perfetto”.

Prese un profondo respiro e uscì dalla stanza nel momento in cui il giovane Agreste rientrava nella sua, chiudendosi la porta alle spalle.

Attese qualche istante e bussò alla sua camera, Adrien non rispose.

-Adrien-, lo chiamò con l’orecchio appoggiato al legno, udendo i passi del ragazzo e il tonfo del suo peso che si buttava sul letto. Doveva essere esausto. Ottimo…

-Adrien!-, insistette, sentendolo sbuffare dall’altra parte e alzarsi per andare ad aprirle.

Aveva l’espressione seccata e chiaramente era molto stanco e provato, nonostante ciò fu garbato con lei, come al solito.

-Buonasera Nathalie-, le rivolse perfino un sorriso.

-Suo padre l’attende alle diciannove e trenta per la cena in sala da pranzo-, gli comunicò senza lasciar trapelare alcuna agitazione per l’atto che stava per compiere ai danni del ragazzo.

-Dica a mio padre che stasera preferisco non cenare, ho troppo mal di testa-, tagliò corto.

Nathalie ebbe come primo impulso quello di prendersi cura del ragazzo: in fondo era quasi un figlio per lei… forse troppo grande per essere davvero un figlio suo, ma a conti fatti era la cosa più simile che avesse mai avuto.

-Vuole che le porti un antidolorifico?-, si offrì, ma il ragazzo scosse la testa, chiaramente intenzionato a chiudere lì il loro colloquio.

-A suo padre farebbe piacere che venisse per cena-, riprovò, ma Adrien scosse ancora la testa: -Apprezzo il suo tentativo, ma no: non cenerò con mio padre stasera. Scendo più tardi da me in cucina a prendermi qualcosa-, con la mano spinse appena la porta, per chiuderla.

Nathalie inspirò e pensò intensamente al suo potere: Controllo.

Toccò lievemente la mano di Adrien poggiata sulla porta e lo guardò dritto negli occhi: -Suo padre l’aspetta per cena-, scandì le parole una ad una, guardandolo negli occhi.

-Alle diciannove e trenta-, concluse il ragazzo, con lo sguardo fisso davanti a sé, annuendo inebetito. Ogni pensiero sembrava essere svanito dalla sua mente.

Bingo!

-Adesso riposi, Adrien, le faccio portare un cachet-.

-Grazie Nathalie, prenderò il cachet-, rispose con voce piatta il ragazzo e chiuse la porta, tornando a sdraiarsi sul letto.

Chiuso nel suo armadietto, Plagg stava divorando la terza forma di camembert della serata. Sazio, uscì dal nascondiglio, svolazzò fino al suo amico e si stese accanto a lui.

-Sto per scoppiare-, farfugliò e crollò addormentato.


Quando bussarono alla sua porta, Adrien si voltò con lentezza: quanto tempo era passato da quando era rientrato in casa, cos’era accaduto? Si sentiva frastornato e confuso. Si alzò provando ancora la fitta alla testa e andò ad aprire. Era una delle cameriere con un vassoio per lui: -Ecco la sua medicina-, gli disse porgendoglielo, -Tra un quarto d’ora sarà pronta la cena-, aggiunse la ragazza e si congedò.

Adrien aggrottò le sopracciglia, gesto che gli costò non poco dolore e del quale si pentì istantaneamente: medicina? Quale medicina? Rimase impalato sulla porta di camera sua, un fruscio sulla sinistra anticipò la comparsa di Nathalie, i suoi sensi si destarono impauriti: doveva stare in guardia da lei, non capiva il perché ma sapeva che doveva farlo.

-Adrien, è il cachet, lo prenda-, gli disse avvicinandosi a lui. Perché non lo aveva portato lei stessa? Sembrava come se fosse rimasta nell’ombra per osservare le sue mosse.

-Sto bene-, le mentì il ragazzo, facendo per rientrare nella stanza, ma Nathalie lo chiamò e istintivamente lui si voltò ancora nella sua direzione e di là non spostò più lo sguardo.

-Adrien: io ti controllo. Questa medicina ti farà vivere tranquillo per qualche ora. E poi non ricorderai più nulla. Sarà come l’oblio che cadrà sulla tua mente e sulla tua volontà. Prendila-.


Il potere funzionava anche telepaticamente come le aveva spiegato poco prima Duusu: doveva pronunciare il nome della persona e poi le parole “io ti controllo”, fissandolo negli occhi. Nathalie ne era entusiasta, anche se sapeva che poteva usare il suo potere solo per pochi minuti e su una sola persona. Vide Adrien bere l’acqua e inghiottire la sua medicina senza battere ciglio. Il ragazzo tornò in camera, indossò una felpa col cappuccio e la seguì in silenzio fino alla sala da pranzo, dove Gabriel lo attendeva curioso di verificare lo stato del suo soggiogamento.

La cena fu svelta: Gabriel voleva che l’effetto del potere di Nathalie avesse la possibilità di protrarsi finché non si fosse palesata Ladybug e aveva udito già tre dei cinque bip che la spilla del pavone indossata dalla donna aveva emesso.

Con un cenno della mano, l’uomo chiamò a sé la sua assistente: -Nathalie, fagli chiamare la sua ragazza. Ora-, disse frettolosamente e, alzandosi, decretò la fine del pasto.

Adrien si congedò con la sua solita educazione e tornò in camera sua, quando fu sull’uscio, Nathalie gli disse semplicemente: -Non pensi neanche un istante a lasciare la sua stanza passando dalla finestra: se vuole vedere la sua ragazza, la faccia venire qui. Le dica che si sente male. Adesso-.

E dietro la porta chiusa, Nathalie udì la voce del ragazzo che chiamava Marinette al cellulare e si scusava dicendole che non si sentiva bene e che non sarebbe andato da lei. -Se vuoi venire tu, tra un’oretta, mi farebbe piacere…-, aggiunse poco prima di riagganciare. Sapeva che, se Marinette era Ladybug, come Gabriel sosteneva, sarebbe arrivata puntuale, in un tempo sufficiente perché Adrien non avesse più alcun ricordo di quella strana serata.

Tornò nel suo studio mentre la trasformazione si scioglieva, restituendole il piccolo Pavone affamato che la guardò con evidente rimprovero, quindi osservò dalle telecamere di sicurezza le attività all’esterno della loro villa: pochi minuti ed ecco una figura longilinea vestita di rosso che con un balzo entrò dentro la finestra di camera di Adrien, volutamente lasciata aperta.



***


I chicchi di riso e di lavanda continuavano a cadere per terra: era stata una cerimonia bellissima e coinvolgente, ma ancor di più era stato toccante il modo in cui i suoi amici li avevano festeggiati all’uscita dalla sontuosa Saint Chapelle dove si erano appena legati in un vincolo eterno. Una dolce cascata bianca e lilla li aveva sorpresi quando, radiosi ed emozionati, avevano varcato il portale guardandosi negli occhi: quello era il loro momento, l’attimo che aspettavano da così tanto tempo.

-Ti amo!-, aveva gridato all’orecchio di Marinette mentre il gioioso corteo li accerchiava cospargendoli con quel lancio programmato, ma sempre inatteso. Lo sguardo azzurro, lucente e velato di lacrime di gioia, aveva risposto al posto della voce rotta della ragazza. Di sua moglie.

-Grazie… grazie infinite!-, l’aveva udita rivolgersi a non ben precisati interlocutori, poi l’aveva vista stringersi in un abbraccio poderoso e fraterno con Alya, elegantissima nel suo abito lungo color del mare.

-Goditi tutta la tua felicità, amica mia!-, le aveva risposto la ragazza, asciugandosi una piccola lacrima sfuggita al suo occhio, -Sono così felice per te!-

I due sposi si erano riuniti e non avevano più smesso di tenersi per mano per tutto il tempo in cui gli invitati li avevano avvicinati per salutarli e congratularsi con loro. Di comune accordo erano saliti a bordo della sfarzosa auto nuziale ed erano partiti alla volta del castello in cui li avrebbe attesi il ricevimento. Un turbinio di fiori, tulle bianco, profumi e sapori li aveva catturati in quello che sembrava il giorno più bello delle loro vite. Quante avventure avevano passato insieme! Quanti pericoli e quanta paura!

E alla fine era arrivato il momento del commiato: uno ad uno gli invitati si erano congedati con gli ultimi ringraziamenti e auguri, il castello si era lentamente svuotato finché erano rimasti solo loro due sposi e le rispettive famiglie.

-Portami a casa-, le aveva sussurrato nell’orecchio la sua meravigliosa moglie e lui aveva obbedito. Aveva guidato velocemente la silenziosa auto ed aveva aperto le porte della casa, una villa in realtà, che avevano scelto fuori città, nella quiete della campagna, ma a due passi dalla vita di Parigi.

-Ti amo Adrien-, gli aveva detto all’orecchio varcando la soglia e la passione li aveva colti immediatamente, vincendo sulla stanchezza e le emozioni di quella giornata infinita.

L’aveva portava nella loro camera e aveva iniziato a scioglierle i capelli.


I chicchi di riso e lavanda cadevano uno ad uno per terra, qualcuno si insinuava nelle pieghe del corsetto di pizzo bianco. -Ti voglio-, le disse stringendola a sé e Marinette lasciò che la facesse voltare per sciogliere i nastri dell’abito che aveva disegnato lei stessa.

-Sono tua-

Le baciò il collo, fece scivolare le mani sui fianchi coperti da seta e pizzo, chiuse gli occhi per sentire solo quel profumo dolce e fresco, che gli obnubilava i pensieri. Non avrebbe dovuto farlo.


Non si accorse di quel che stava accadendo e neanche Marinette, perché teneva anche lei gli occhi chiusi per bearsi solo del contatto delle labbra morbide di suo marito.

Adrien con una mano sollevò la gonna vaporosa, cercò la gamba di sua moglie, risalì più su, toccò e assaggiò con le dita quella dolce rotondità coperta da uno slip di pizzo di cui sentiva il contorno sotto i polpastrelli. Solo quello voleva, stare con lei, essere suo, con gli occhi chiusi e tutta una vita di istanti come quello davanti.

Non si accorsero del bagliore nella penombra, non si resero conto del colpo sordo attutito.

Lei provò solo un ultimo, straziante, rapidissimo eppure infinito dolore. Lui vide solo il rosso del sangue che si allargava sull’abito candido.

Gli scivolò tra le braccia, giù a terra, e non si mosse più. Gli occhi azzurri spalancati, il petto immobile, la bocca socchiusa.

Non fece in tempo a capire, a pensare, a reagire che lo vide: Papillon irruppe con un balzo. Il fucile ancora fumante tra le mani. Lo allontanò da lei con una spinta poderosa e subito fu sulla ragazza per ghermire i suoi orecchini.

-Finalmente sono miei!-, ruggì la voce familiare eppure così aliena.

-E sarà mio anche questo…-, si avventò sul ragazzo pietrificato a terra laddove era stato spinto. Gli prese la mano, cercò l’anello, lo strattonò, glielo sfilò con la forza. Lasciò lì la fede luccicante, di quella non gliene importava nulla. Rise di una risata maligna e profonda e, con la stessa rapidità con cui era arrivato, balzò via dalla finestra aperta e sparì nella tenebra.

-Marinette!-, rapidissimo lui fu sulla ragazza: gli occhi sempre aperti, il volto schizzato di sangue; -Marinette!-, la scosse dalle spalle, la strinse a sé, posò l’orecchio sul suo petto e sentì il sangue caldo appiccicarsi al suo viso.

-Marinette!!!-, un urlo, il dolore che distrugge ogni futuro, ogni felicità; -Marinette! Reagisci, parlami…-.

Invano.

-Marinette…-

Si accasciò sul corpo esanime e lasciò che il dolore lo divorasse.

Il petto e la schiena spezzati dalle urla e dal pianto. Nessuno da chiamare in soccorso. Nessuno.

Era solo.

-Marinette…-

Due mani lo afferrarono dalle spalle, ma non le sentì, cercavano di portarlo via da lei, di strapparlo da quegli occhi azzurri aperti nello sgomento.

-Lasciami…-, si divincolò, cercò di scappare a quella presa.

-Adrien!-, quella voce… quella voce!

Gli occhi di Marinette erano sempre vitrei… eppure quella voce…


-Adrien!-, uno scossone più forte, un violento e istantaneo capogiro. Si sentì come risucchiato via dal corpo della donna che amava, la vide farsi piccola e nel buio sparire.

-Adrien! Svegliati!-, la voce! La sua voce!

Mani sul viso, la testa che girava.

-Adrien! Apri gli occhi-, anche uno schiaffo leggero.

Ma che diavolo…




-Che è successo? Dove sono?-, Adrien sobbalzò nel suo letto, ridestandosi da quell’incubo che lo stava stritolando. Sentiva su di sé un lieve peso. Ladybug? Che… cosa ci faceva lì… La testa stava per scoppiargli dal dolore e dalla confusione.

-Hai avuto un incubo, Adrien. Ma ora è tutto finito-, nella voce un lieve tremore di precoccupazione.

Adrien si sollevò sui gomiti ritrovandosi faccia a faccia con lei. Il suo cervello si rifiutava di collaborare. Era stato tutto un sogno quindi? Il matrimonio, la felicità… la tragedia… Era tutto finto?

Prese più aria che poté e sentì prepotente una fitta alla tempia. Espirò, si guardò attorno: sì, era tutto a posto, quello era stato solo un incubo.

Allungò una mano al volto mascherato della ragazza, sfiorò il profilo e lasciò che lei intrappolasse quella carezza sulla sua spalla, piegando la testa. Sbatté più volte gli occhi e lasciò che le idee si facessero il più chiare possibile.

Era stato solo un sogno: Papillon non aveva ucciso Marinette, lei era viva sulle sue gambe e lo guardava preoccupata.



Un attimo… cosa ci faceva Marinette, anzi Ladybug in camera sua a quella tarda ora di sera?

-E’ pericoloso, perché sei venuta qui?-, domandò, sforzandosi di riprendere il prima possibile la sua lucidità.

Ladybug rimase in silenzio, col fiato sospeso e le labbra semi aperte. Che domanda era quella?

-Mi hai chiamato tu-, sussurrò velocemente, mentre il tarlo del dubbio prendeva strada nella sua testa.

-Io? Cosa? Ma se non ci siamo neanche sentiti…-, Adrien sembrava sincero. Confuso, spaventato e sincero. Che diavolo stava succedendo? Ladybug afferrò il suo telefono e glielo porse, accigliata. Il ragazzo la guardò scettico: d’accordo che risvegliarsi con addosso la sua Ladybug era un piacere, ma la sua espressione lo preoccupava. Seriamente: non avrebbe mai potuto chiederle di raggiungerlo a casa sua, non sapendo quante telecamere di sicurezza avesse installato suo padre lungo il perimetro dell’edificio. Non dopo quel sogno…

La ragazza lo spronò con un’occhiata: Adrien si affrettò a controllare la cronologia delle chiamate e...maledizione: -Vedi?-, esclamò lei.

Lui portò una mano alla testa… che l’avesse battuta più forte del previsto? Di certo l’incubo doveva essere l’effetto di quella ferita, delle sue paure, eppure...

-Stai bene?-, Marinette sembrava preoccupata, più di quando aveva saputo di Papillon: in effetti era una cosa molto, molto strana.

-Credo di sì…-, Adrien la guardò: attraverso la maschera i suoi occhi blu assumevano un colore ancora più intenso, le labbra erano rosse come il costume e leggermente umide. Era lei… ed era viva! Era la sua Marinette, la sua Ladybug… il suo amore.

Quant’era strano il corpo umano! In un attimo le preoccupazioni che lo stavano stritolando si liquefecero e le sentì scivolare giù lungo il suo corpo, lasciando la sua mente completamente vuota. Ladybug era lì, lo guardava preoccupata, respirava facendo alzare e abbassare quel seno strizzato nella tuta… ed era seduta a cavalcioni sopra di lui!

Cavolo… non poteva ritrovarsela addosso al risveglio! Con tutta la buona volontà di bravo ragazzo era… troppo anche per lui. Ladybug sopra di lui, al risveglio! Come dire che uno dei suoi sogni erotici segreti stava avvenendo sul suo letto e lui… deglutì, doveva cercare, sforzarsi almeno di non essere troppo… troppo…

Ma sono sveglio!?

Per un attimo rimase immobile cercando di capire se stesse per caso sognando.

-Adrien?- Ladybug prese il volto di Adrien tra le sue mani, avvicinandosi a lui e quindi spostando il peso anche sul suo appoggio. Vide il ragazzo arrossire e deglutire, poi abbozzare un timido sorriso. Strinse quella testa bionda che amava tanto al petto, facendo involontariamente affondare il suo viso dove era più morbida; -Mi hai fatta preoccupare, non ti svegliavi in nessun modo… Che stavi sognando di così terribile...?-

Che stavo per spogliarti e fare l’amore con te, Marinette, sognavo che non stavo più in me per toccare la tua pelle nuda, ma poi ti hanno ammazzata...


Le dita guantate si insinuarono tra i suoi capelli, forse Ladybug nemmeno se ne stava rendendo conto di quel che gli stava facendo… Sfiorò con un dito il cerotto sulla fronte, aveva lo sguardo preoccupato.

Doveva trarre il massimo dalla situazione, sogni o non sogni...

-Se ti ho davvero chiesto io di venire, sono stato solo uno stupido… ma.. visto che sei venuta…-, le mostrò un sorriso obliquo e la tirò a sé. Al diavolo il bravo ragazzo e quegli sciocchi incubi! Non ce la faceva proprio a fingere fino a quel punto in quel frangente, incubi o no era un ragazzo e quel risveglio era stato una manna dal cielo! Che Chat Noir venisse fuori con tutta la sua sfrontatezza!

Era la prima volta da quando stavano insieme che aveva modo di avere tra e sue braccia Marinette in versione Ladybug, la prima ragazza che lo aveva attratto e della quale si era preso una fortissima cotta. Marinette indugiò un istante e ad Adrien fu chiaro che avrebbe voluto sciogliere la sua trasformazione nel momento in cui si toccò un orecchino come per toglierselo.

Eh no, insettina...

-Ferma-, mormorò, prendendole con delicatezza il polso e tirandola a sé. Avvicinò le labbra all’orecchio e le leccò il lobo, sentendo l’orecchino caldo del suo calore.

Di nuovo Marinette fu travolta da quel sorriso impertinente di poco prima: le era chiaro che Adrien la volesse come Ladybug… lei era Ladybug… gli cinse la testa con le mani e lasciò che la baciasse. Era già successo quando indossava quella maschera, ed era stato a lui che aveva regalato i suoi primi baci.

Il tocco delle labbra del ragazzo fu così strano, senza la maschera nera a coprirgli il viso: era quello che aveva sempre sognato, forse? O forse no, avrebbe preferito che Adrien fosse solo di Marinette? Oh, poco importava… il suo amore la stava… oh Signore sì! La stava decisamente baciando.

-A...Adrien…-, si lasciò sfuggire in un gemito mentre una mano del suo ragazzo scivolava dietro la sua schiena, scendendo pericolosamente in basso: era come essere nuda sotto al suo tocco, e dall’enfasi che ci stava mettendo, anche lui doveva avere avuto la stessa impressione.

L’altra mano la teneva bloccata a sé, stretta contro al suo viso, mentre la sua bocca, ormai porto violato, accoglieva tutta la passione che poteva esserci in quel bacio.

Un pensiero veloce rabbuiò Marinette per un istante, mentre l’emozione si faceva liquida dentro di lei e quella sensazione ancora così sconosciuta prendeva forma e nome nella sua testa. Adrien non l’aveva mai toccata, baciata con tanta passione mentre era solo Marinette… desiderava quindi ancora di più Ladybug a lei?

Un ansimo del ragazzo, quando involontariamente lei strinse con i denti sul suo labbro, la richiamò dai suoi pensieri; la mano di lui si spostò dalla schiena sul fianco e scese più giù, sfiorando la sua coscia che la tuta a pois non nascondeva affatto.

Marinette posò una mano sul petto del ragazzo, spingendolo appena: voleva far andare via Ladybug, aveva bisogno di un po’ d’aria, tornò all’orecchino, ma, di nuovo, lui la fermò. C’era qualcosa di diverso rispetto ai suoi baci: c’era una spinta maggiore, una decisa urgenza che non tardò a manifestarsi quando dalla coscia, la mano aperta di Adrien passò dietro al suo gluteo e se ne impossessò, spingendola verso di lui.


-Ti voglio…-, l’aveva detto o pensato?

La gonna bianca ed enorme sollevata, la mano che cercava e cercava la pelle nuda, il contorno di pizzo, la sua coscia, la linea di quel sedere da favola…



-Sono tua…-



Un’esplosione, una fitta violenta alla testa. Il nero, il rosso che macchiava il bianco. Adrien si blocco e con un gemito guardò la ragazza davanti a sé scivolare a terra: sangue, rosso, rosso, tutto rosso.

-Adrien! Che hai?-, mani rosse sul suo viso. Sangue forse? Sbattè gli occhi una, due volte, finché la visione non fu nitida.

-Adrien!-


Niente sangue. Non stava vivendo un incubo.


Prese aria, cavolo che gli stava accadendo?

Stava rovinando un momento unico con Ladybug, che lo fissava ormai attonita.

-Chiamo tuo padre? Stai male?-

Tuo padre!?

Quel Papillon che avrebbe ucciso per i suoi orecchini?

Adrien espirando con forza l’aria di cui si era gonfiato i polmoni scivolò da sotto la ragazza che rimase a guardarlo in ginocchio sul suo letto. La vide sgonfiarsi e accartocciarsi sul materasso, mortificata per tutto quello che stava succedendo.

-Devi andare via-, le disse rendendosi conto del tono anche troppo rude. Ma lei era in pericolo in quella casa. Non avrebbe mai permesso che la sua Ladybug potesse rischiare la vita andando a tuffarsi proprio in mezzo alla tela del ragno.

-Adrien…?-, Marinette aveva lo sguardo confuso, accidenti: in effetti lui si stava comportando proprio come un cretino. La guardò farsi piccina piccina e arrossire: era riuscito a metterla in imbarazzo.

-Scu...scusa… non volevo-, la guardò pronunciare quelle parole come d’un tratto illuminata da una qualche, errata, consapevolezza. Si alzò dal letto e fissò così intensamente la finestra che, se fosse stato possibile, l’avrebbe vista smaterializzarsi e varcarla in un istante. Non era quello che voleva lui però!

La prese per un polso prima che lei si decidesse a muoversi e la tirò a sé, fino a farla scontrare sul suo petto. L’avrebbe baciata, le avrebbe fatto capire che non voleva altri che lei. Tutto il resto era solo il frutto di una forte botta alla testa.

A bocca spalancata per lo stupore e l’imbarazzo, Ladybug accettò il contatto con le labbra del ragazzo, che dalla fronte scese a ricoprirla di tanti piccoli baci; reclinò la testa indietro, lasciando che la bocca del suo ragazzo potesse avere accesso sotto al collo. Le fece il solletico la leggera peluria del volto, la eccitò. In un attimo il fuoco che aveva appena toccato si riaccese. In fondo a lei piacevano tutti attori più grandi e con la barba, si ritrovò a pensare in un breve istante, come sarebbe stato Adrien, più avanti, con la barba a solleticarle la pelle e…

-Mi fai impazzire…-, si lasciò sfuggire dalle labbra rosse.

Lui alitò sul suo collo risalendo con la mano su fino alle costole, più su, più su, fino al suo seno, bisbigliò al suo orecchio: -Tu mi fai impazzire, sempre, in ogni istante… Ladybug-



Eccolo lì l’errore. Ladybug.


-Adrien… fermo…-, non era pronta ancora, non si sentiva pronta a quel genere di contatto… forse… sentiva tutta la voglia che lui aveva per lei e ne provava altrettanta, ma… Fermò con un tocco deciso la sua mano prima che andasse più su e si staccò da lui: era forte come Ladybug, bastava solo volerlo e decisamente lo voleva. O meglio, non lo voleva, ma doveva…

Il viso accaldato e gli occhi lucidi lo rendevano ancora più meravigliosamente bello. Perché si era allontanata da lui? Sarebbe tornata a baciarlo immediatamente, ma non voleva che fosse Ladybug.

Si sfilò con gran velocità l’orecchino, prima che lui potesse ancora bloccarla.

-Adrien: sono io-, gli disse e un lieve sgomento velò lo sguardo del ragazzo. -Sono io, Marinette, non Ladybug-. Il ragazzo le tappò la bocca con la mano. -Non dire quel nome!-, sibilò guardandosi intorno. Marinette si sentì una deficiente e forse era ciò che realmente era o appariva agli occhi increduli di Adrien.

-Lo so che sei tu-, le rispose lui lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. Marinette lo guardava agitata. La sua dolce, piccola, meravigliosa, sexy, cara, insostituibile Marinette. Le si avvicinò lentamente, le sorrise e scosse la testa inclinandola. Iniziò a parlare il più piano possibile.

-Quello che mi fai… me lo fai tu, Marinette… anche se per prima ho conosciuto Ladybug, non amo Marinette perché è Ladybug, semmai Ladybug perché è Marinette…-, vide gli occhi della ragazza velarsi di lacrime, istantaneamente. Marinette portò le mani alla bocca, per contenere l’emozione, e si gettò tra le braccia del suo amore: l’unico che avrebbe potuto farla sognare con una frase simile, con una considerazione simile di sé. L’unico così sciocco da portarla per mano verso un pericolo più grande di loro.

-Grazie…-, bisbigliò sul suo petto, lasciandosi accarezzare la schiena dalle mani grandi del ragazzo. Sotto al suo orecchio il cuore di Adrien batteva forte, ma era calmo e sicuro.

-Perdonami se ti ho messo paura… Io… tu… mi sei capitata addosso così e… stavo facendo un incubo… E’ difficile… perdonami...-, le disse scostandola da sé e spostando un ciuffo di capelli che le copriva l’occhio. Marinette abbassò lo sguardo, era un po’ in imbarazzo. In effetti sì, le aveva messo paura per la voracità del suo contatto, anche se le era piaciuto da impazzire…

-Come ti senti?-, gli domandò preoccupata per le repentine variazione di umore che stava vedendo alternarsi nel suo amato. Lui strinse le labbra e annuì, per farle capire che andava tutto bene. Ma era davvero così? Che cosa stava sognando prima che lei lo svegliasse? Perché sembrava così spaventato… e perché poi invece si era lasciato andare come se non avesse più altre occasioni nella vita?

-Forse dovremmo un po’ rallentare… da quel punto di vista…-, si sforzò di guardarlo con aria lievemente colpevole e imbarazzata: -Siamo...giovani… forse troppo giovani ancora…-

Adrien annuì sorridendo: in realtà lui aveva una gran voglia di lei, ma avrebbe rispettato la sua volontà e atteso i suoi tempi. -Certo: solo quando saremo pronti-, lasciò intuire e la baciò sulla fronte. La strinse forte forte e la fece stendere accanto a sé, nel suo grande letto, tenendola tra le sue braccia come se fosse stata la cosa più preziosa di tutte, il naso affondato tra i capelli profumati.

-Ti amo-, le sussurrò piano.

-Ti amo anche io, non sai quanto-, gli rispose lei, sentendosi protetta e felice.

Avrebbero potuto rimanere abbracciati su quel letto per l’eternità: tutto sembrava perfetto, tutto era al suo posto. I loro cuori battevano in sincronia e le anime pulsavano ritrovate e tranquille.


Ma era troppo pericoloso.


-Marinette, non fraintendermi… adesso è meglio se vai via davvero. Ho paura per te-, si sforzò di rimanere il più calmo possibile. Non era sicuro che suo padre avesse davvero capito l’identità di Ladybug, quindi era meglio non rischiare ancora.

Due grandi occhi azzurri lo fissavano sapendo che era la cosa giusta da fare, ma che era tanto difficile separarsi da lui.

-Vieni con me-, le porse la mano e, con grande stupore da parte di Marinette, si chiuse nel lussuoso bagno con lei e aprì l’acqua nella doccia.

-Non deve sentire nessuno quello che sto per dirti. Ti farò uscire io dalla villa-, le spiegò Adrien sottovoce, elaborando un piano nella sua testa, -Allontanati senza dare nell’occhio e dopo trasformati e corri più veloce che puoi a casa di Nathaniel e infine a casa tua. Quando sarai là, fai in modo di essere vista: non voglio che Ladybug sia associata solo ad Adrien Agreste, nel qualcuno ti avesse vista entrare qua dentro. Ladybug stanotte è andata a trovare i ragazzi coinvolti nell’incidente. Tutti. Capito?-

Marinette comprese: il piano di Adrien aveva un senso.

-D’accordo-, gli disse e si fece aiutare ad uscire inosservata dalla grande villa tetra nella notte.


Pochi minuti dopo una soffiata anonima allertò il Ladyblog che Ladybug era stata vista in almeno due zone di Parigi volare tra un tetto e l’altro legata al sottile filo del suo yoyo. La paladina della giustizia parigina si prendeva cura dei giovani ragazzi coinvolti nell’ultimo incidente a base di akume, mistero e magia.



***



Non c’erano telecamere in camera di Adrien Agreste, ma esistevano le porte e le porte, da che mondo e mondo, erano fatte per origliare. Nathalie non aveva mai osato farlo prima, troppo seria e ligia al dovere: ma il dovere sembrava aver preso una strana, meschina forma e lei avrebbe continuato a fare il suo dovere.

Il tallone di Achille del giovane Adrien era la sua bella, ovviamente. Aveva quindici anni, non c’era assolutamente da meravigliarsi di questa cosa, ma la sua bella, evidentemente, era una ragazza di vecchi principi e non così facile, sebbene rapida ad infiammarsi come un cerino… Avrebbe sfruttato questa informazione a suo favore, decisamente.

C’era solo un dubbio da chiarire: Adrien aveva accennato ad un incubo, che fosse stato causato dalla sua magia? O era solo una conseguenza della botta in testa? Avrebbe chiesto informazioni al suo kwami in merito.

Girò i tacchi e, in silenzio, tornò nel suo studio. Radunò le sue cose, prese la spilla del pavone, la appuntò alla giacca e uscì, per tornare a casa sua.


Gabriel Agreste sarebbe presto stato molto, molto orgoglioso di averla come aiutante.



***


Eccoci qua. Se sapeste quando ho scritto la prima stesura di questo capitolo mi odiereste… Ebbene, dopo mesi l’ho ripreso in mano e ho dato un taglio ben differente alla storia.

Vuoi la mia vita, vuoi l’esigenza di trama, mi hanno fatto intraprendere questa strada e questa sarà.

Spero che il luuungo capitolo sia stato di vostro gradimento e che ci si possa rivedere presto online con una nuova pubblicazione.

Come spiegato precedentemente, ho una vita e non molto tempo per scrivere. Questa è una trama complessa e vorrei che le cose filassero lisce e con una loro logica. Per questo mi occorre tempo.

Purtroppo ho avuto più tempo negli ultimi giorni, per fortuna per la scrittura, ovviamente! Spero di avere un pochino meno tempo la prossima settimana ma di riuscire comunque a dedicarmi a questa avventura che mi sono impegnata a concludere.


Un bacio a tutti voi, a chi lo vuole e a chi non lo vuole! :-P


Flo.


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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Altalena (Sei anni prima) ***


CAPITOLO 22 - ALTALENA (SEI ANNI PRIMA)




Le pareti della loro aula erano state risistemate alla meglio dopo quello che Nathaliel Kurzberg akumizzato aveva combinato. Anche se non c’erano segni evidenti di sangue, tutti in quella stanza conoscevano il luogo esatto dove Adrien aveva sbattuto la testa ed era crollato. Tutti ricordavano come il loro amico se ne fosse andato di corsa barcollando come un ubriaco, senza attendere di essere opportunamente curato e di come fosse sparito, ricomparendo solo ore dopo nel giardino vicino a scuola, ripreso dalle telecamere di France 3, mentre baciava Marinette.

Tutti, professori compresi, sapevano che il giovane Agreste e la brunetta figlia del fornaio si erano messi insieme e tutti, Chloé Burgeois compresa, avevano capito che la cosa era piuttosto seria e sentita.

Per questo nessuno immaginò che, dietro il visetto triste di Marinette, quando varcò la porta dell’aula si nascondesse una paura più profonda della semplice apprensione per il ritorno di un mostro a scuola e della malinconia per il fidanzato che era sempre assente.


-Adrien non verrà-, comunicò la ragazza alla sua amica Alya, che per prima la accolse con un abbraccio. Né lui, né Nathaniel avrebbero frequentato le lezioni per un bel po’.

-Non preoccuparti per lui, ci è abituato…-, tentò di sdrammatizzare Nino, -L’ho sentito poco fa, mi ha chiesto di prendere qualche appunto per lui durante le lezioni… forse potresti portarglieli tu, che ne dici Marinette?-

Nino era un caro ragazzo: Marinette gli sorrise grata e annuì in silenzio. Non ci sarebbe tornata a casa di Adrien, non data la situazione, ma avrebbero comunque trovato il modo di incontrarsi.

-Tu lo hai visto? Come sta?-, le domandò Chloé più preoccupata che in tono provocatorio, come suo solito. Marinette fece cenno di sì col capo: -Gli fa un po’ male la testa, dove ha la ferita-, rispose, -Ma complessivamente sta abbastanza bene-, si affrettò a puntualizzare, onde evitare che qualcuno si preoccupasse oltre modo.

-... solo che adesso suo padre non gli permetterà più di uscire di casa, se lo conosco-, concluse Nino, incrociando le braccia al petto.


Marinette guardò l’amico di sottecchi e sospirò, andando a sedersi: il posto accanto al suo sarebbe rimasto vuoto per chissà quanto tempo.

Solo pochi giorni prima, mentre lei se ne stava seduta lì con indosso una corta gonna nera, Adrien si era mostrato esageratamente audace e l’aveva fatta esplodere in mille coriandoli di passione che non credeva neanche avrebbe mai provato in vita sua.


Ormai era sola.


Sola con i ricordi, sola con la sensazione di fuoco sulla sua pelle, sola con il patema d’animo di sapere il suo amico, innamorato e collega nella tana del loro nemico.

Per pochissimo tempo aveva avuto qualcuno con cui condividere il suo segreto, e quel qualcuno, a causa sua, le era stato allontanato. Marinette lo sentiva: qualcosa si era rotto quella notte tra lei e Adrien. Incastrata tra i gesti appassionati che si erano scambiati, lo sapeva, c’era una paura strisciante, un sentimento del tutto in contrasto con i gesti che il ragazzo le aveva rivolto e, forse, le era parso di scorgere anche una punta di fiducia nel crudele Papillon. In qualche modo Adrien si stava inesorabilmente allontanando da lei. Ma non poteva che essere così e lei lo sapeva da sempre… come avrebbe potuto un ragazzo con una vita già di per sé complicata, aggravata dall’identità del padre, “stare insieme” nientepopodimeno che alla ragazza più forte e potenzialmente pericolosa di tutta Parigi? Come avrebbe potuto continuare ad essere il suo ragazzo mentre suo padre non voleva altro che vederla distrutta? Chiunque sarebbe crollato, se stretto in una morsa del genere. In fondo al cuore, però, Marinette nutriva sempre la speranza che Gabriel Agreste non fosse davvero lo spietato nemico che aveva sempre immaginato.

“In fondo è suo padre”, si ripeteva per convincersi che, effettivamente, se Papillon avesse avuto la certezza dell’identità dei due supereroi, forse non avrebbe torto loro un capello, quasi sicuramente non al figlio. E quindi poteva perfino avere un senso che Adrien potesse in qualche modo tentare un incontro con lui al fine di concludere la loro lotta per i Miraculous che già aveva fatto male a tante, troppe anime.

Ma proprio per questa eventualità non così lontana, Marinette ne era certa, sentiva la paura sottile strisciare sulla sua pelle al solo pensiero: l’idillio tra loro era destinato a soccombere alla contingenza delle loro stesse identità.


Si sforzò di seguire le lezioni senza dare peso al vuoto che aveva a fianco, si sforzò di partecipare ai momenti conviviali in classe con gli altri compagni, si sforzò di non correre come un’evasa al termine delle lezioni per tornare a rifugiarsi in casa sua.

Si sforzò di non piangere, sopraffatta da quella sensazione di fine imminente. “Non può durare così poco”, si raccontava.

Si sforzò di essere normale e più che lo faceva, più sentiva che no: nulla avrebbe più potuto davvero essere normale.

-Devo proprio scappare, Alya!-, si giustificò con l’amica sparendo oltre le vetrine della panetteria e venendo immediatamente assalita da un dolcissimo profumo di burro e marmellata. Suo padre era in laboratorio a cucinare e non fece molto caso al ritorno della figlia.

Marinette salì in camera sua e si sdraiò sul letto, fissando la finestra sul tetto: “Lo chiamo o non lo chiamo?”, si domandò. Era quello il dubbio che la tormentava in realtà. Adrien era stato abbastanza chiaro nel pretendere che Ladybug non venisse associata alla sua figura. Ma Marinette? Che doveva fare la piccola “Giulietta” che tutti avevano visto in tv? Era pericoloso anche far vedere lei in compagnia di Adrien? Era sconveniente? Oppure semplicemente lui non voleva che si sapesse che davvero aveva la ragazza?

Forse le sue erano solo paure e nulla stava turbando la sicurezza di Adrien nel loro rapporto. Forse le paure erano vere e, maledizione, se non lo avesse chiamato non lo avrebbe mai capito.


-Non aver paura, Marinette! Lo so che hai voglia di sentirlo… e allora chiamalo! Pensi che non ti voglia più solo perché ieri sera è stato confuso? Il vostro legame va ben oltre piccole paure o imbarazzi direi, non trovi?-, le parole di Tikki, che le svolazzò attorno, effettivamente avevano un senso. L'esserino, nel sorriderle le passò il cellulare, tirandolo fuori dalla borsetta. Forse l’aveva convinta e le sue erano solo semplici paure di una ragazzina confusa.

Come prima cosa Marinette controllò se ci fossero stati messaggi per lei, ma non c’era alcuna notifica. Volle andare a controllare l’orario dell’ultimo accesso a Whatsapp del suo Adrien: le 22:40, l’orario in cui lei gli aveva scritto di essere tornata a casa, la sera prima, dopo aver fatto visita a Nathaniel. Era strano. Non aveva ricevuto risposta a quel messaggio, ma sapeva che lui l’aveva visualizzato. Era strano il suo silenzio. Forse davvero stava riflettendo su quale posizione prendere. Era stato strano lui ed era stato strano il tono con cui le aveva detto “ti amo” la sera prima. Era un po’ come se un presagio di fine aleggiasse attorno ad ogni pensiero e ricordo che aveva.

-Chiamalo!-, la spronò Tikki, ma la ragazza preferì inviargli un breve messaggio per informarlo che era a casa e se volevano potevano incontrarsi.

-Non risponderà, lo sai vero Tikki?-, sedette sconsolata sulla sedia della scrivania e scosse la testa.

-Non capisco perché tu abbia questi pensieri! Hai mai pensato di essere un po’ troppo apprensiva e melodrammatica, amica mia? Vedrai che il tuo Adrien ti risponderà il prima possibile e che va tutto benone-, le sorrise.



E invece Adrien non rispose. Non visualizzò neanche il messaggio e il motivo fu chiaro dopo pochi minuti: un tonfo quasi impercettibile sulle loro teste avvisò che Adrien, o meglio Chat Noir, era arrivato di persona a trovare la sua ragazza.

Marinette si affrettò ad aprire la finestra e lo vide scivolare in camera sua, sinuoso e meraviglioso come ogni volta.

-Ciao-, gli disse col cuore in gola, ancora turbata dalla sottile angoscia di quella breve attesa in cui era rimasta sospesa tra il credere che tutto andasse bene e il contrario di ciò.

-Ciao-, le rispose quella voce che non aveva mai saputo riconoscere fino a poco tempo prima. Era sempre stato lui, eppure non lo aveva capito. Quante cose non aveva capito di lui? Quante cose non sapeva di lui?

Rimasero in piedi uno davanti all’altra per un momento interminabile, finché Marinette non resse più e corse ad abbracciarlo affondando il suo viso sotto al collo di Adrien, inspirandone l’odore ad occhi chiusi, sentendo solo il cuore batterle forte nel petto e nelle orecchie.

-Ehi, tranquilla! Avevi paura che non venissi a trovarti?-, le domandò con occhi scintillanti il ragazzo, -Non ti posso più vedere a scuola, stai pur certa che verrò sempre a trovarti!-, la strinse al suo petto facendole una carezza sulla testa.

Marinette deglutì quel groppo di paura che lentamente stava sciogliendosi nel calore del loro abbraccio. Adrien aveva ragione, Tikki aveva ragione: perché aveva quella paura? Non c’era un motivo reale.

Gli sorrise allontanandosi da lui; -Come stai oggi?-, gli domandò preoccupata e lui alzò gli occhi.

-Tranquilla! Sto bene! Non deve andare male per forza, sai?-, le disse prendendola in giro.

-Ah, certo, no!-, rispose piccata la ragazza, colta sul vivo, -In fondo non hai passato la notte sotto lo stesso tetto di Papillon!-

-Magari l’ho passata altrove, tra le braccia di qualche gattina…-, la schernì bonariamente lui e corse a stringerla di nuovo in un dolce abbraccio.

Marinette si oppose con una lieve spinta. -Lasciati baciare, per favore-, chiese lui, avvicinandosi alle sue labbra e sfondando ogni barriera. Ecco: andava tutto bene, doveva convincersene.

-L’unica gattina che vorrei sempre con me sei tu, dai che lo sai!-, le disse staccando le labbra da quelle della ragazza. Sembrava sincero, era così. Doveva essere così.

Marinette lasciò che la tensione l’abbandonasse per un po’ e si sedette sul bordo del letto. Chat Noir si accomodò al suo fianco e le prese una mano, iniziando a giocherellare con le sue dita.

-Ad ogni modo sto meglio. Stamattina mi hanno medicato la ferita e dopodomani dovrò andare al controllo in clinica. Pare che non resterà la cicatrice, o almeno solo un lievissimo segno facilmente camuffabile con un ciuffo… Più in basso forse, sul sopracciglio, ci sta che non mi ricrescano bene i peli e… secondo me una cicatrice sul sopracciglio ci può stare, che ne dici?-, le sorrise scostandosi la maschera.

-Perché la tua maschera si toglie e la mia no?-, chiese perplessa Marinette.

-Forse perché io vesto i panni di Chat Noir, mentre tu sei davvero una Ladybug?-, azzardò lui, -In fondo hai purificato una akuma senza essere trasformata…-, rifletté.

Ed era vero: quell’osservazione la infuse di una consapevolezza nuova. Si voltò verso di lui, con espressione seria: -Quindi tu dici che potrei rinunciare al Miraculous e tutto sarebbe uguale?-, chiese.

Chat Noir stirò il viso in un’espressione di meraviglia, una lieve fitta al sopracciglio lo fece mentalmente imprecare: -No! Non intendo questo! Io… non lo so che intendevo, ok? Ma non farti venire strane idee!-, i suoi sensi da gatto lo stavano mettendo in guardia da qualcosa che al momento gli sfuggiva.

Marinette rimase in silenzio, pensierosa, per un po’. Chat Noir si alzò in piedi, dandole le spalle.

-Perché tuo padre vuole i nostri Miraculous?-, domandò d’un tratto la ragazza, affiancandolo e posando una mano sulla sua spalla.

-La verità? Non lo so-, Adrien allargò le mani, era sincero: -Non lo so, perché dubito altamente li voglia per trasformarsi in Ladybug e saltellare da un tetto all’altro o per miagolare alla luna vestito… così. Ed è questo che mi tormenta: perché vuole i nostri Miraculous al punto di mettere a repentaglio la vita di così tante persone ogni volta che crea un akumizzato? Pensa di ottenere un super potere che lo faccia diventare un ibrido tra un gatto, una coccinella e una farfalla? E cosa ci farebbe, a quel punto?-, la reazione del ragazzo, che gesticolava esagitato in mezzo alla stanza, apparve a Marinette un po’ esagerata. Ma forse il punto era che lei aveva alcune informazioni che lui non possedeva.

Quando Marinette aveva mostrato a Fu il libro dei Miraculous di Gabriel Agreste (sciocca, sciocca! a non aver pensato prima ad una sua connessione con Papillon!), lui gli aveva parlato di un potere così forte da incrinare l’equilibrio dell’universo. Era chiaramente quel tipo di potere che cercava Papillon, ma non capiva lo scopo.


-Credo che la cosa che mio padre voglia di più al mondo sia rivedere mia madre-, disse a bassa voce Adrien, cercando con lo sguardo quello della ragazza. -Forse pensa che con un potere straordinario non troverebbe più ostacoli nella sua ricerca e potrebbe violare ogni segreto e ogni distanza-, azzardò.

Era quella la risposta che Marinette cercava: in quel momento le parole di Fu le tornarono prepotenti in mente. Se avesse voluto ritrovare una persona scomparsa, una persona morta, Papillon avrebbe potuto facilmente farlo con i loro Miraculous… ma a che prezzo?

Un brivido le fece accapponare la pelle e sulle braccia sentì la pelle d’oca e i peli rizzarsi. Papillon avrebbe ghermito una vita in cambio di quella di sua moglie e le vite più prossime che avrebbe potuto distruggere, senza saperlo, erano quelle di suo figlio e la sua.

-Tuo padre non dovrà mai, MAI prendere i nostri Miraculous, hai capito Adrien?-, lo afferrò per un braccio e lo strattonò. Tikki si avvicinò a loro e puntò gli occhietti blu in quelli verdi del ragazzo: -Dillo anche al tuo kwami quando smetterà di ingozzarsi di formaggio: se Papillon prende i vostri Miraculous, è meglio se iniziate a correre, correre lontano più che potete…-

Chat Noir assottigliò lo sguardo, fece un passo indietro, si mise inconsciamente in una posizione di difesa. La coda della sua tuta si sollevò e le orecchie si mossero. Lui non se ne rese conto.

-Cosa mi nascondete?-, domandò in un soffio, tutti i sensi in allerta.

Tikki scambiò una rapida occhiata con Marinette e si avvicinò a lui per parlare, ma la ragazza la fermò con un cenno.

-Non c’è nulla da nascondere Adrien, solo non riesco a fidarmi in nessun modo di tuo padre, voglio che tu lo sappia-, gli disse avvicinandosi a lui. Stava procedendo su un terreno molto scivoloso che avrebbe potuto causare una rottura tra loro, ma era suo dovere in quel momento proteggere il ragazzo che amava, la sua vita e anche l’universo intero da un pericolo che forse neanche Papillon conosceva. Doveva allontanare Adrien da Gabriel e doveva farlo prima che qualcuno ci rimettesse la vita. Doveva usare tutta la sua persuasione affinché Chat Noir non cedesse al fascino oscuro di Papillon, anche a costo di ferire il fragile ragazzo che amava.

-Il fatto che gli manchi tua madre è encomiabile, vuol dire che l’amava molto… è il modo in cui ha sempre trattato te che non va bene! Ti ha sempre forzato a seguire le sue scelte, le sue decisioni. Ti ha probabilmente mortificato ogni volta che non risultavi alla sua altezza, non è così? E in cambio? Che ti ha dato in cambio, Adrien?-, gli prese una mano, sperando che lui capisse.

-Mi… ha… protetto… Ha protetto la nostra famiglia…-, sussurrò il ragazzo, non credendo per primo alle sue parole. Il tocco delicato della mano di Marinette sul suo viso scoperto lo spezzò. Chiuse gli occhi e attese che proseguisse.

-Ti ha tenuto in trappola con il ricatto di perdere il suo affetto. Ti ha ignorato quando avevi bisogno di lui, quando cercavi un contatto con lui. Ti ha mentito sulla sua identità-, non voleva dirgliele quelle cose maledizione! Ma le pensava ed era giusto che non ci fosse altro che sincerità tra loro, e in qualche modo doveva mantenere Chat Noir dalla parte dei “buoni”, opposto a Papillon. Adrien deglutì, quando Marinette riprese.

-Tuo padre ti ha vincolato alla sua obbedienza facendoti credere che tu avessi bisogno di lui. E tu hai bisogno di lui, ovviamente, perché siamo solo ancora dei ragazzini… ma non è così che si fa. Ti ha torturato psicologicamente perché se tu non ti fossi comportato come atteso, avresti ricevuto solo disprezzo da lui. Ti ha mai ascoltato, Adrien? Si è mai davvero preoccupato di come stessi, se ti mancasse la mamma o… se fossi contento di aver trovato una ragazza? E’ come se ti avesse investito di un ruolo falso in cui tu sei rimasto per tutto questo tempo obbediente e in silenzio al solo scopo di ricevere da lui un affetto che forse non arriverà mai. Perché lui... è Papillon…-

-Adesso basta!-, la fermò con impeto Chat Noir, rimettendo la maschera al suo posto, -Basta! Quello che tu dici è… è tutto vero, credi che non lo sappia? Io sono solo un potenziale peso per Gabriel Agreste, non sono lui che avrebbe voluto rimanesse al suo fianco, sono solo l’eredità che gli ha lasciato mia madre, ma lui avrebbe preferito centomila volte lei a me!-, si voltò appoggiandosi con i pugni chiusi alla scrivania, -Ma che ci devo fare? Continuo a sperare che prima o poi, se mi comporterò sempre bene, se sarò il figlio che vorrebbe che fossi, prima o poi si accorgerà che esisto e mi darà un briciolo del suo… affetto. Un tempo, quando ero piccolo, lui era affettuoso con me, giocava con me e tutto sembrava andare bene. Ma poi devo essere stato io a rovinare tutto, devo aver fatto qualcosa, ne sono sicuro, ma non so cosa! E lui si è allontanato...-

Marinette lo abbracciò: era stata troppo dura con lui. Lo baciò sulla schiena e ascoltò il cuore decelerare dopo quella sfuriata.

-Perdonami-, gli disse.

-Non è questo il punto… tu sei stata l’unica a dirmi in faccia le cose come stanno. Anzi, tu e quel rintronato di Plagg. Forse perché siete gli unici che davvero mi volete bene-, si voltò verso di lei, gli occhi erano lucidi.

-...Ma non è questo il genere di “bene” che vorresti davvero… Giusto?-, Adrien voleva una famiglia. Era un ragazzo di quindici anni alle prese con il suo giovane amore, ma era una famiglia il suo più grande desiderio.

-Non fraintendermi Marinette… io… ti amo… non posso pensare di perderti… Ma la mia situazione è molto più complicata della tua, cerca di comprendermi. Devo tenere al sicuro te, che sei la cosa più preziosa che abbia, da mio padre, che è l’altra unica cosa preziosa che mi sia rimasta-, la abbracciò e parlò sulla sua spalla: -A volte penso che sarei disposto a dare la vita per sapere che voi due state bene e che non siete più in guerra tra voi..-


Ed era quello, era proprio quello, il rischio maggiore in quel momento.


-Sei un cretino e basta-, gli disse Marinette in faccia staccandosi da lui; -Credi che io o tuo padre saremmo in pace, se tu “dessi la tua vita”? Allora sì che ci ammazzeremmo a vicenda incolpandoci di aver ucciso la nostra ragione di vita. -Tu non… Non devi nemmeno pensarla una cosa così, sciocco, sciocco gattaccio!-, gli mollò un pugno simbolico sul petto, scuotendo la testa per scacciare i pensieri che la stavano assalendo.

Il rischio tangibile era che Adrien si coalizzasse col padre per risultare, una volta per tutte, alla sua altezza: e se Chat Noir si fosse coalizzato con Papillon, anche se in buona fede, lei lo avrebbe perso per sempre. Quella paura legittima si insinuò nella testa di Marinette assieme a tutte le altre e lei non poté fare altro che affondare nel suo sguardo senza impedire al suo cuore di battere all’impazzata.

E dopo lo abbracciò stringendosi quasi spasmodicamente al suo collo, cercò il suo volto, gli strappò quella inutile maschera e lo baciò con la disperazione di chi sa di avere una bomba innescata tra le mani.

Adrien rispose al suo bacio, volle lasciare alle spalle per qualche attimo quei pensieri orrendi e dolorosi che aveva fatto, volle dimenticare la sua reale condizione familiare, volle perdersi solamente nel bacio e nell’abbraccio che quella minuta ragazza dal piglio di un leader gli stava regalando.

Gli voleva bene, lei sì che lo amava! Lei era… tutto quello che aveva sempre sognato… lei c’era, lei si preoccupava per lui, lei era disponibile, forte, coraggiosa. Lei aveva affrontato le paure più buie per lui, lei aveva sofferto, aveva osato, era riuscita a spezzare le catene che lo legavano. Lei l’aveva fatto impazzire con un bacio e con i suoi occhi magnetici. Lei era la sua ragazza, l’amica che aveva sempre voluto, una compagna, una collega in guerra, una sorella che lo amava. Lei era semplicemente Marinette, e per lei avrebbe lottato e non si sarebbe fatto più strozzare dalla paura e dal buio dei suoi pensieri velenosi.

-Ti amo Adrien, rimarrò sempre con te-

-Non dirlo-, le tappò la bocca con un altro bacio, le sue mani strinsero più forte le spalle di Marinette, senza che lui se ne rendesse conto. Anche sua madre l’aveva detto l’ultima volta che era partita senza fare ritorno. Le cose che più amava, erano quelle che per prime aveva perduto: sua madre, l’affetto del padre. Non voleva perdere anche lei.

-Con me tu sei in pericolo. Io ti amo, ma è meglio se…-, era difficile, maledizione. Si sentiva legato ad una terribile altalena che lo avvicinava alla felicità e un attimo dopo lo faceva ripiombare nel più cupo sconforto.

-... se non ci amassimo-, parlò Marinette al posto suo; -siamo ciascuno il tallone di Achille dell’altro. Lo so. Per questo non ho mai rivelato a nessuno la mia identità. Per questo so che siamo in pericolo adesso più che mai-, Marinette aveva capito tutto. Forse era anche lei su quell’altalena e stava cercando in qualche modo di frenare quella folle corsa. La ragazza si accucciò sul suo petto e lasciò che lui la cullasse un po’.



Fu proprio mentre si guardavano negli occhi, cercando scappatoie da una situazione a dir poco claustrofobica, che un nuovo mostro attaccò, proprio accanto a loro. Furono le urla provenienti dalla pasticceria tre piani sotto a darne l’annuncio.

Incredula per quanto sembrava stesse accadendo, con l’angoscia di aver udito proprio sua madre gridare, Marinette si trasformò rapidamente in Ladybug.

-Andiamo-, comandò a Chat Noir ed entrambi si buttarono nella nuova battaglia.





-Sei stato seguito-, azzardò Ladybug fissando costernata la devastazione che era stata fatta nella pasticceria.

-Non mi hanno seguito!-, si difese Chat Noir, senza celare la sua stizza.

-E’ per questo che noi due… E’ una cosa troppo rischiosa, maledizione!-, Ladybug aiutò la madre ad uscire da sotto l’espositore dei confetti che le era caduto su una gamba.

-Come stai?-, domandò preoccupata vedendo un livido vistoso e del sangue.

-Non preoccuparti per me, cerca mio marito!-, le rispose la donna.

-E’ qui!-, chiamò Chat Noir, sorreggendo da sotto il braccio quell’omone gigantesco tutto bianco di farina.

-Menomale che sono atterrato sui sacchi da 50 chili!-, esclamò vedendo la moglie, -Che ti ha fatto quel… quel…-

-Calmi, ci pensiamo noi-

-E’ salito al primo piano-, pigolò Sabine, lasciandosi aiutare a sedere su un pancale rovesciato.



-Cerca me!-

-Cerca te?-

Dissero in contemporanea Ladybug e Chat Noir, irrompendo nel salotto di casa Dupain.

-Che disastro…-, osservò inorridita Ladybug, scorgendo alcuni cimeli di famiglia distrutti a terra.

-Sistemerai tutto-, la rassicurò lui.

-Comunque, sappiate che cerco entrambi-, esclamò uno strano… coso… che si era perfettamente mimetizzato con la carta da parati del vano scale. Si scagliò velocemente sulla ragazza, spalmandosi su di lei e risalendo lungo il suo esile corpo.

-Gli orecchini! Sono miei!-, parlò ancora “la cosa”.

-Levamelo di dosso!-, strillò Ladybug inorridita.

-Non toccare così la mia ragazza!-, esclamò Chat Noir, afferrando con le mani quella che sembrava essere la testa, ormai rossa a pois neri per via del mimetismo, dello strano akumizzato camaleontico.

Tirò con tutta la sua forza finché non riuscì a staccare quella enorme medusa colorata da Ladybug.

-Allora inizierò da te!-, disse il mostro, e iniziò ad avvilupparsi al braccio del giovane.

Chat Noir notò che, con un tentacolo, teneva stretto qualcosa che somigliava ad una lettera.

-Cataclisma!-, evocò il suo potere, riempiendosi la mano della sua forza distruttiva, -Forza Ladybug!-

L’eroina seguì il suo esempio ed apparve un singolare Lucky Charm: un computer portatile con sopra il logo di una famosa multinazionale francese.

Ci mise poco a capire cosa doveva fare.

-Guarda qua-, richiamò l’attenzione del mostro sul pc acceso sulla schermata in cui si richiedevano le credenziali di accesso. -Chi sei?-, chiese e lesse l’etichetta sul pc: -Sei André Geober?-, iniziò a digitare quel nome. Il mostro si voltò verso di lei.

-Dammi la tua password di accesso!-, gli chiese e il mostro si strinse di più su Chat Noir che lanciò un urlo.


-Stupido! Stupido! Non devi torcere un solo capello a Chat Noir, ti avevo avvertito! Sei un buono a nulla!-


Il mostro spalancò quelli che parevano due occhi e allentò la presa. -Sono solo un buono a nulla-, ripeté tra sé e alzò gli occhi su Ladybug: -Aucun… Aucun80-

-Cosa?-

-La password! Ladybug è la sua password!-, urlò Chat Noir staccandosi del tutto dalla presa del mostro.


---

-Prendi quegli orecchini o il tuo licenziamento sarà effettivo!-

---


André portò due tentacoli alla testa, maledizione, che cosa stava diventando?



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-Cosa farai senza un lavoro? Verrai considerato una nullità da tutti!-

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Ma fu più veloce Ladybug a sbloccare il pc. Rapida aprì Outlook: una mail in arrivo.

“Revocato provvedimento disciplinare”

-Guarda!-, girò il pc verso il mostro, -Guarda! Va tutto bene!-


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-No! Ti sta prendendo in giro! Non darle ascolto!-

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-Guarda!-, Ladybug si avvicinò al mostro che, stritolato dal comando di Papillon e la sua situazione la afferrò tenendola sospesa a mezz’aria. -Guarda!-, comandò una volta ancora la ragazza, ma il pc le scivolò dalle mani. Se si fosse rotto, non avrebbe più avuto merce di scambio.

Chat Noir fu più lesto e lo fermò a pochi centimetri da terra. Lui fu meno diplomatico e si mise ad aprire la mail incriminata e la lesse ad alta voce.

-Con la seguente si invita l’Ing. André Geober a presentarsi presso l’ufficio HR della sua sede per la rinegoziazione del suo contratto lavorativo.

Il provvedimento disciplinare precedentemente comunicato non è più effettivo a causa di un evidente errore di destinazione. Ricordiamo all’Ing Geober che il suo lavoro ℅ la nostra azienda è sempre stato molto apprezzato, così come la sua ineccepibile condotta.

La Direzione-

Chat Noir guardò negli occhi la strana creatura: -Wow! E così sei un ingegnere eh? Quando ero piccolo volevo fare l’ingegnere da grande, poi mi hanno messo a fare… lasciamo perdere e congratulazioni!-, con un balzo il ragazzo approfittò dell’attimo di smarrimento dell’akumizzato e, utilizzando il Cataclisma sul pavimento sotto a lui, lo fece precipitare di un piano.

-Chat Noir!-, strillò inorridita Ladybug pensando alla sua povera casa.

-Prendi la lettera!-, gli urlò di rimando lui afferrando alcuni tentacoli e tenendo fermo la creatura.

Ladybug non se lo fece ripetere due volte, raccolse la lettera caduta a terra e la strappò con un sol gesto.


Pochi minuti dopo era tutto a posto: la casa, la gamba di Sabine, lo stato lavorativo dell’Ingegner Geober. Ladybug e Chat Noir si congedarono dai coniugi Dupain e balzarono via lontano, cavalcando i tetti nel tramonto.

-E’ un bastardo-, soffiò tra i denti Adrien mentre la trasformazione si scioglieva, in un vicolo poco distante, -Un bastardo ad aver mandato subito un altro mostro... -

-Ti avrebbe protetto, hai visto no?-

-Ma non avrebbe protetto te!-, Adrien affondò le mani tra i capelli con disperazione: -Quel mostro aveva licenza di scagliarsi contro di te, non contro di me! E non lo permetterò mai! Tu sei il mio tallone di Achille, maledizione, sarai sempre in pericolo finché io non…-


Era tutto chiaro… era così semplice quello che avrebbe dovuto fare per proteggerla.


-Adrien non dire così…-, Marinette corse ad abbracciarlo, non riusciva a trovare parole per rassicurarlo perché non c’erano. Allungò le braccia al suo collo per baciarlo e fargli sentire che lei c’era, c’era sempre per lui.

-No-


Adrien si scostò allontanandosi.

-Non baciarmi. Non farlo più-, disse soltanto.

Guardò Plagg che stava finendo il suo formaggio. -Andiamo-, lo sollecitò.

-Adrien, ma che ti prende?-, cercò di opporsi Marinette, allungando una mano verso di lui.

-E’ troppo rischioso…-, rispose lui.

-Ma che cambia se tu ed io…-, Marinette non capiva, che c’era di male se loro due si amavano, semplicemente? Non avrebbe cambiato nulla nelle intenzioni di Papillon, anzi, forse le avrebbe peggiorate ancora.


-Ti ho detto che ti amo… e credo che sia così, ma non voglio che questo sentimento prenda il sopravvento sulla mia ragione, Marinette. Devo rimanere lucido, non permettere a mio padre di usare la nostra storia per ottenere il suo scopo… Io devo essere lucido, devo ragionare da solo, Marinette... e salvare tutti…-, prese un profondo respiro, lasciò uscire lentamente l’aria dal naso, si guardò i piedi: -Anche mio padre-

Alzò la mano e si trasformò in Chat Noir, scappando rapido via nel crepuscolo che si avvicinava e avvolgeva ogni pensiero con la sua tenebra.



***



Atterrò dopo un lungo salto davanti al portone di casa sua. Tanto ormai tutti sapevano chi fosse Chat Noir là dentro, a che sarebbe servito fare un ingresso meno trionfale. Abbassò la maniglia, ma era chiusa a chiave. Non avrebbe sfondato la porta di casa sua, non si sarebbe ritrasformato per cercare le chiavi nella tasca dei jeans e non avrebbe suonato il campanello.

Era proprio sfortunato, non c’era molto da dire. L’unica nota positiva di quell’ingresso trionfale che stava miseramente diventando grottesco era che almeno Plagg non stava assistendo alla scena.

Mordendo un’imprecazione balzò sulla parete, per cercare un altro accesso che non fosse la finestra di camera sua. Non aveva intenzione di passare da lì, non in quel momento in cui la rabbia stava prendendo il sopravvento sulla prudenza.

Salì fino al tetto e si calò dalla parte opposta, sul retro. Non gli capitava spesso di osservare quel lato della sua casa, e fu la prima volta che notò che la vetrata del piano superiore aveva l’insolita forma a farfalla. Si bloccò d’un tratto nella sua corsa: Cosa?? La vetrata? Non c’era una vetrata in casa sua, ma solo il tetto… eppure… In quel momento scattò come un meccanismo che portò la vetrata ad essere chiusa con un movimento circolare. Di nuovo fu tutto tetto.

-Ma che diavolo!?-, doveva assolutamente capire quel che stava succedendo.

balzò rapidamente sul cornicione e attivò il potere del Cataclisma: suo padre era ricco, avrebbe riparato al suo danno.

Un attimo e la copertura non c’era più, rivelando la vetrata con un foro al centro. All’interno Papillon lo fissava costernato. Chat Noir entrò con un salto e si mise davanti a lui.


-Dobbiamo parlare-, gli disse e si rese conto che alcune farfalle avevano iniziato a comparire come materializzandosi dal pavimento della sala.

-Sei mio padre, no?-, fu la domanda retorica, -E allora parliamo-, stava immobile in posizione di attacco: la coda irta e le orecchie in avanti. Tutti i suoi sensi erano in allerta, il cuore gli avrebbe sfondato il petto se non si fosse un po’ calmato.

-Chat Noir…-, iniziò Papillon.

-Ho un nome, lo conosci-, lo interruppe immediatamente il ragazzo.

Papillon piegò quasi impercettibilmente il capo, abbozzando un sorriso: -Adrien, allora. Ebbene finalmente giochiamo a carte scoperte-

Per lui era solo un gioco… -Sei proprio un bastardo…-

-L’educazione, Adrien! L’educazione…-, il ghigno di Gabriel Agreste era ben distinguibile anche sotto la maschera argentata. Fece un passo verso di lui, accorciando le distanze; -Cerca di calmarti, figliolo, oppure potresti essere la prossima vittima di una akuma…-, lo schernì. In effetti la curiosità di sapere cosa sarebbe accaduto se avesse akumizzato un portatore di Miraculous quando era trasformato era forte. Avrebbe potuto controllarlo e agilmente fargli prendere quei maledetti orecchini che continuavano a sfuggirgli.

L’anello del gatto nero -se ne compiacque silenziosamente- ormai era già suo.

Adrien inspirò pregando perché quella non fosse solo una enorme sconfinata trappola.

-Non mi akumizzerai, perché non sapresti come controllarmi-

-Come faccio ogni volta, mettendoti di fronte a quanto meschino, piccolo e inutile tu sia per il resto del mondo e quanto invece potresti diventare forte e felice se ti unissi alla mia causa-, gli rispose spostando il peso da una gamba all’altra.

-Io sono già felice e non mi unirò mai alla tua causa di sfruttare le paure e le debolezze delle persone per farne tuoi schiavi-


Un bip ruppe il silenzio. Un istante dopo un altro bip fece lo stesso.


-Stai per ritrasformarti-, constatò Adrien. Forse quel misero secondo di vantaggio su suo padre avrebbe potuto fare la differenza.

-Anche tu, mi pare di aver notato-

-Ma dopo di te-

-Io non sono solo, tu sì-, sorrise Gabriel stirando il volto in maniera plateale, -Le Plume Bleu!-, chiamò.

Adrien spalancò gli occhi, il suo anello emise un altro bip: perché diavolo non era stato preceduto da quello del padre?

E dove si trovava, cos’era quella stanza enorme all’interno di casa sua? Ma soprattutto …chi era Le Plume Bleu???

Una botola si aprì improvvisamente al fianco di Papillon e dal basso comparve una…

-Chi è lei?-, Adrien tremò nel vedere una donna vestita di blu, con una vistosa ed enorme gonna e un cappello con la veletta che le copriva quasi del tutto il volto.

-Comandi-, disse la donna con voce atona. Era Nathalie, non poteva che essere lei! Solo lei si rivolgeva con quel tono sottomesso e combattente allo stesso tempo a suo padre.

-Aspetta…-, parlò lentamente Papillon e si avvicinò al figlio, mentre l’anello nero emise un altro bip. Adrien non capiva… aveva udito un solo segnale provenire dal padre, perché il suo Miraculous pareva scaricarsi più velocemente? Colpa del suo stato d’animo o di quell’insoddisfatto di Plagg che non voleva rimanere intrappolato nell’anello troppo a lungo oppure…

-Tic Tac… Tic Tac…-, a un palmo dal suo volto, Papillon piegò la linea delle labbra verso il basso: -Il tuo tempo sta scadendo velocemente, Adrien… puoi decidere subito di unirti a noi e tutto andrà per il verso giusto. Altrimenti… ti restano meno di due minuti prima che tu torni ad essere solo il povero, obbediente, grazioso, gentile Adrien Agreste, con una ferita da controllare dopodomani e la lezione di Cinese che lo attende alle 7,30 in biblioteca-

-E per la cronaca, non sfrutto le debolezze della gente per piacere personale, ma per un semplice importantissimo scopo: rendere felice mio figlio-, allargò le braccia mentre il quarto bip riecheggiava nel salone.

-Le Plume Bleu: inizia-, comandò alla donna, voltandosi e allontanandosi di qualche metro.

-Non so se fun…-

-Inizia!-

Nathalie guardò il ragazzo attraverso la veletta blu: lo aveva già fatto poche ore prima, sarebbe riuscita a controllarlo di nuovo. Se si fosse avvicinata l’avrebbe sicuramente catturata.

-Chat Noir, io ti controllo-, disse senza staccare gli occhi da quelli verdi del ragazzo e percepì la sua volontà farsi di burro e crollare.


L’ultimo bip si spense nell’aria e il piccolo kwami del gatto nero schizzò fuori dall’anello, mentre il ragazzo tornava nelle sue vesti civili.

-Adrien, avvicinati-, la donna provò a testare il suo potere e si scambiò un’occhiata veloce con Papillon. Il ragazzo fece alcuni passi nella sua direzione.

-Ho poco tempo-, la incalzò lui, mentre un secondo bip veniva emesso dalla spilla viola.

-Adrien, dammi il tuo anello-, comandò ancora Nathalie, trattenendo il respiro e sperando che tutto andasse per il verso giusto.

-Adrien non farlo!-, strillò Plagg, esausto, avvicinandosi al volto del ragazzo. Posò le zampette sul suo volto, cercò di guardaro oltre la malia nei suoi occhi, ma non vide reazioni.

-Dammi l’anello. Adesso!-, ordinò perentoria Le Plume Bleu e l’ultima cosa che Plagg vide fu Adrien che si sfilò il Miraculous. Subito dopo fu di nuovo risucchiato nel metallo in cui aveva dormito per secoli.


-Dammelo!-, Papillon si avventò sulle mani della donna strappandole l’anello. Lo alzò davanti al volto, osservandolo emozionato crepitante di potere. Senza parlare, senza aggiungere altro, ordinò al suo kwami si scogliere la trasformazione ed entro nella botola da cui la donna era uscita.

-Fagli dimenticare ogni cosa-, fu il suo ultimo comando prima di sparire.


Nathalie trasse un profondo respiro: non doveva andare così… Davanti a lei c’era il ragazzo che aveva visto crescere, inebetito e immobile come una statua di cera.

Scosse la testa espirando: forse il suo compito non poteva essere limitato all’obbedienza nei confronti di Gabriel, avrebbe dovuto iniziare a pensare con la sua testa e decidere cosa fosse meglio per tutti.

-Andiamo-, fece cenno al ragazzo che la seguisse e con l’altra mano si liberò con un gesto di tutto il costume che aveva creato per l’occasione.

Scese tenendo il ragazzo per mano fino alla sua camera e lo accompagnò fino al letto. Lo fece stendere e gli sfilò le scarpe da ginnastica. Si sedette sul letto accanto a lui, sapendo di poterlo controllare.

-Adrien, dimentica tutto quello che hai visto. Dimentica la stanza segreta, dimentica che tuo padre è Papillon, dimentica di avermi vista. Pensa solo al tuo giovane amore, ai tuoi amici, pensa ai compiti di scuola e ricorda solo queste cose-, posò una carezza sulla fronte del ragazzo, stando attenta a non toccare i cerotti e gli chiese scusa.

-Dimentica l’orrore, dimentica quello che ti ha detto tuo padre. Perdonami, se puoi. E adesso addormentati.-

Si alzò e uscì piano dalla stanza, vedendo gli occhi del ragazzo chiudersi e sentendo il respiro farsi pesante.


Aveva una colpa in più sul cuore. Un pericolo in più per lei, o forse una chance in più.

Entrò nel suo studio e chiuse la porta alle sue spalle lasciando che l’aria fluisse dai suoi polmoni con mestizia.

-Dusuu, trasformami-, ordinò e si trovò davanti una volta ancora i due occhietti penetranti e arrabbiati del piccolo pavone.

-L’hai fatta grossa, donna-, gli disse il pennuto.

-Mi chiamo Nathalie… lo sai…-

-No, ti chiami “serva di Papillon”… lo sai!-, si girò arrabbiato, arruffò le penne e andò a rintanarsi in un angolino dell’ufficio.

-Non mangi?-, le domandò la donna-

-Non ho fame-

-Come vuoi. Se ti venisse fame, sai dove trovare il tè-, concluse Nathalie, andando a sedersi in silenzio alla scrivania.

Aveva commesso un grande errore.



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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - Tutto l'orrore che c'è (Sei anni prima) ***


Avevo provato a pubblicare diverso tempo fa, ma non faceva EFP: pubblico dunque oggi due capitoli insieme, il 23 e il 24. Buona lettura!

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Capitolo 23 - Tutto l’orrore che c’è (Sei anni prima)


Un mal di testa così potente Adrien non lo ricordava neanche dopo il colpo infertogli da Nathaniel. Neanche dopo quella volta che, l'anno prima, l’avevano costretto ad ubriacarsi di tequila e vodka al termine di una sfilata, a soli tredici anni. Neanche quando aveva pianto per ore e ore lacrime che non cadevano più, dopo aver avuto la notizia che la mamma non sarebbe tornata a casa.


Si svegliò praticamente paralizzato nel letto: ogni più piccolo movimento gli procurava una fitta violenta alla tempia o in mezzo agli occhi o dietro la nuca.

Come diavolo aveva fatto a ridursi a quella maniera? Cos’era successo di così devastante la sera prima? Si sentiva come se gli avessero estirpato a forza un pezzo di cervello dal cranio, come se ogni più piccola energia fosse stata concentrata nella sua testa e lì fatta esplodere.

-Plagg?-, chiamò con un filo di voce, senza ricevere risposta.

Quel buono a nulla del suo kwami sicuramente se la stava dormendo dopo aver fatto indigestione di formaggio, ne era sicuro come era sicuro di essere Chat Noir.

Si sollevò a fatica, cercò di alzarsi e perse l’equilibrio. Maledizione… Inspirò, cercò di ossigenare quel cervello marcio che si ritrovava nella testa, barcollò fino al bagno e si guardò allo specchio.

Non fece in tempo ad elaborare il concetto che il suo colorito fosse verde che un potente conato lo sorprese e fece appena in tempo a chinarsi sulla tazza del water e vomitare anche l’anima.

Quello scansafatiche di Plagg avrebbe potuto almeno portargli conforto, dirgli qualcosa…

Allungò la mano per prendere una salvietta e solo allora si rese conto di non avere più l’anello al dito.

Un capogiro forte precedette l’ondata di panico che lo assalì stritolandogli le budella come mano rapace e spezzandogli il fiato in gola.

Dove… dove cavolo… Si guardò attorno, annaspò, cercò nelle tasche dei jeans che ancora indossava dalla sera prima… c’era il cellulare, dannazione che se ne faceva del cellulare!?!?

-Plagg!-, chiamò a gran voce, tornando in camera, guardando nel letto, sotto al cuscino, -Plaaagg???-

Nessuna risposta.

Guardò l’orologio, erano le nove e mezzo e non avrebbe potuto chiamare Marinette per correre in suo aiuto… Maledizione, non avrebbe dovuto in ogni caso chiamare Marinette per farsi aiutare!

Era in trappola… aveva perso il suo Miraculous! Eppure la sera prima era rientrato in casa e si era ritrasformato in camera sua, come tutte le volte…





...o no?




Un dubbio lo attanagliò: lo aveva fatto anche la sera prima? Lo faceva sempre… ma la sera prima lo aveva fatto? Cercò di ricostruire passo passo le sue azioni da quando aveva lasciato Marinette. In effetti no: non ricordava bene quello che era successo. Ma perché avrebbe dovuto accadere diversamente dal solito? Doveva sforzarsi, ricordare...


Papillon.

Occhi grigi.

Una risata malefica.


Papillon.

“Sei meschino, piccolo, inutile, Adrien!”

Papà…


Il respiro stava facendosi affannato, il sapore di acido corrodeva la gola, la testa mostruosamente lo straziava. Era stato come scavare con un piccone dentro il suo cranio: immagini grezze, indistinte come pietre incastrate nella terra, avevano per un istante sfiorato la sua coscienza, come ombre risalite per un attimo dall’Ade e lì ricadute.
Doveva ricordare.


Piume blu.

Occhi grigi.

Papillon.

La lezione di cinese delle 7:30.


A quella lezione non ci era mai andato, evidentemente: ma allora come mai nessuno era andato da lui a sollecitarlo, svegliarlo o rimproverarlo? Doveva sforzarsi di ricordare.

Una boccata d’aria, di nuovo un conato di vomito, tosse, dolore.

Dolore.


Io ti comando.

Adrien, devi obbedire!

Papà.


Tic Tac Tic Tac

Papillon.

Tic Tac Tic Tac Tic Tac

Occhi grigi.

Papà.





Papà.


-Sei tu!-, in un rantolo Adrien si trovò accartocciato per terra, la testa nascosta tra le sue braccia sembrava stesse per eruttare lava incandescente.

Papillon era suo padre.


Si sforzò di aprire gli occhi e respirare. Un attimo di lucidità gli sbatté in faccia quello che aveva appena scoperto e che eppure non pareva nulla di nuovo alla sua più intima coscienza.

Ma… sì: dentro di sé lo sapeva già cosa nascondeva suo padre… e allora perché gli era parso di non conoscere più quella verità?

Si sforzò di ripensare a quel che fosse accaduto la sera precedente, ma nulla, solo un penetrante e atroce dolore ad ogni tentativo di attingere all’area della sua memoria.


La sottile paura che fosse incappato nelle grinfie di Papillon lo strinse ancora in una morsa da togliergli il respiro. Non ricordava nulla di quello che era successo poche ore prima, sapeva solo di aver fatto un lunghissimo sonno senza sogni che lo aveva lasciato a dir poco stordito.

Prima era rientrato in casa deciso ad affrontare suo padre e poi…


Infilò rapidamente le scarpe, notando che erano sistemate ordinatamente ai piedi del letto e lasciò la sua camera per cercare nei meandri di quella villa oscura l’uomo che credeva dalla sua parte fino a pochi giorni prima e che per un breve attimo aveva dimenticato chi fosse in realtà. Dimenticato…

Com’era possibile dimenticare una simile verità!?

Oltrepassò svelto il corridoio del primo piano e si diresse filato nello studio del padre, nel quale entrò senza bussare. Ad un primo colpo d’occhio la sala sembrava vuota, ma avanzando un poco nella sua penombra, Adrien scorse immediatamente la longilinea figura del genitore in piedi davanti alla cassaforte nascosta dietro il quadro che ritraeva la mamma. Era aperta: sicuramente stava nascondendo l’anello del Gatto Nero.

-L’hai preso tu-, tuonò avvicinandosi di gran lena all’uomo. Non era necessario specificare cosa.

-Ovviamente-, rispose lui senza staccare gli occhi da quel che stava facendo.

-Lo voglio indietro. Adesso-, Adrien aprì di più l’anta della cassaforte andando a far urtare il quadro che la copriva sul muro adiacente.

-Fai attenzione-, sibilò il padre.

-L’anello-, incalzò Adrien e non si aspettò che Gabriel si voltasse di scatto verso di lui: in una mano stringeva Plagg, che lo guardava in silenzio, costernato.

-Plagg!-, Adrien, palleggiò lo sguardo tra il suo kwami e gli occhi di ghiaccio del padre, -Gli fai male!-

-Non posso fare male a un kwami, lo sai bene, e lo sa anche lui-, guardò la creatura nera e lo liberò. Plagg corse subito in volo dal suo amico. -Mi dispiace Adrien, io ero lì accanto a te, ma non ho potuto fare nulla perché lei non ti prendesse l’anello, mi dispiace!-

-Lei?-, cosa stava dicendo Plagg?

-Il Pavone! Lei ti controlla-, il kwami fece una pausa notando l’espressione sconvolta di Adrien: -Non ricordi nulla?- , domandò cauto e in risposta vide oscillare il capo del suo amico.

-Lei è un nuovo…-

-Plaagg! Sparisci!-, chiamò con fare teatrale Gabriel Agreste, con aria soddisfatta e iraconda, sfilandosi l’anello che teneva al dito e chiudendolo repentinamente in una scatoletta. Plagg scomparve d’improvviso, senza riuscire a dire più una parola.

-Sei un bastardo…-, sibilò Adrien stringendo i pugni.

-L’educazione, figliolo! Te l’ho già detto una volta… Ma lasciamo perdere…-, si avvicinò al figlio chiudendo alle sue spalle la cassaforte con dentro il Miraculous; -E così mi mancano solo gli orecchini di Ladybug per completare la mia ricerca. Suppongo che tu non saresti così gentile da prenderli al posto mio, vero?-, domandò ghignando.

Adrien lo guardò con disprezzo mordendosi la lingua.

-E allora sarà bene che faccia da solo… Ho già pronto tutto. Nooroo, trasformami!-, chiamò a gran voce e fu avvolto da una esplosiva luce violacea.

-Ed ecco a voi, Papillon!-, annunciò gaudente, mentre Adrien, di sale, non muoveva un muscolo.

Se avesse voluto usare la violenza per recuperare il suo Miraculous, ormai era troppo tardi.

-Chi è lei?-, domandò piuttosto, per guadagnare tempo. Plagg lo stava mettendo in guardia da qualcuna, aveva pagato caro il suo azzardo.

Papillon ignorò completamente la sua domanda e chiaramente prese il controllo mentale di qualcuno: c’era forse un qualche akumizzato in giro? Non avrebbe osato tanto…

-Volpina: attacca-, prese aria e parve concentrarsi molto intensamente. Adrien non sapeva se fermarlo, colpirlo… ma con cosa!? Aveva nominato Volpina… una delle loro nemiche più pericolose, Ladybug da sola sarebbe stata in trappola! Doveva assolutamente fare qualcosa, forse trovare il modo di forzare la cassaforte mentre Papillon era distratto e...

-Impostore, fai quello che devi-, disse l’uomo e Allora Adrien comprese: Papillon era in grado di comandare più di un akumizzato per volta, e quella volta avrebbe vinto.

Adrien impallidì: l’Impostore era identico a lui, avrebbe immediatamente convinto la sua Ladybug che fosse il vero Chat Noir mentre lui… era impotente da solo in una stanza con Papillon davanti.


-Basta!-, afferrò una sedia dalla scrivania e la lanciò in direzione del padre. A Papillon fu sufficiente un debole gesto della mano per farla volare via, lontano da sé. Adrien lo guardava esterrefatto, crollò giù.

-Non farle del male-, si limitò a implorare.

-Se la tua coccinellina farà la brava, non si farà male-, rispose il perfido uomo che aveva creduto di amare.



***



Doveva cavarsela da sola: Adrien ormai non sarebbe arrivato, era evidente che qualcosa si fosse rotto, ma soprattutto non poteva che essergli accaduto qualcosa e se era davvero così, c’era un’unica spiegazione: Gabriel Agreste lo aveva in pugno.


-Stavolta sarà difficile fermarmi!-, urlò in una risata Volpina, quella nemica che mai aveva accettato le sue scuse e che più di ogni altra era parsa subdola e pericolosa. Le scagliò contro una raffica di pietre: Ladybug sapeva che erano solo un’illusione, ma qualcosa la colpì con violenza al viso e il caldo sapore del sangue le inondò la bocca in pochi istanti.

Maledizione!


Poteva essere ancora la collana, l’oggetto che la teneva legata a Papillon? Era stato così prevedibile? Ladybug fece scattare lo yoyo nel mezzo di una seconda raffica rivolta a lei, mentre con un braccio si proteggeva la testa: un altro sasso la colpì alla mano, stavolta Volpina mischiava fatti a illusioni, era ancora più pericolosa di quando l’aveva affrontata la volta precedente.

Lo yoyo si scontrò al centro del petto della nemica e mandò in frantumi la collana, ma non successe nulla, se non che Volpina esplose in una diabolica risata: -Ritenta, Ladybug, forse sarai più fortunata!-, la schernì ancora.

Come pronosticato, l’akuma non si nascondeva nel posto più prevedibile.

Ladybug si distrasse per un istante a cercare di ricordare quanti più dettagli possibile della sua nemica Lila Rossi, e abbassò la guardia permettendo a Volpina di sferrarle un altro attacco, stavolta con un vero e proprio calcio nel costato.

La ragazza fu sbalzata a qualche metro da dove era avvenuto l’impatto, con la coda dell’occhio vide una vetrina che si sarebbe sicuramente infranta, avrebbe dovuto salvarsi usando lo yoyo, ma il dolore era acutissimo. In quella frazione di secondo che accompagnò i suoi pensieri, Ladybug non si rese conto dell’ombra scura che la afferrò e protesse dall’urto in un abbraccio grande e familiare.

-Chat Noir!-, esclamò con il respiro spezzato dal dolore, -Sei arrivato!-

Il compagno le rispose con una strizzata d’occhio e la fece rimettere in piedi: -Andiamo, abbiamo una nemica da sconfiggere. Questo è un discorso tra il gatto e la volpe…-, scherzò e balzò nella direzione di Volpina, scartando alcune sue letali spade immaginarie, lanciate a gran forza verso di lui.

-Stai attento, stavolta non sono tutte illusioni!-, fece in tempo a dirle Ladybug, che qualcosa di affilato sfiorò impercettibilmente il volto di Chat Noir, che si graffiò velandosi di una goccia di sangue.

-Chat Noir!-

-Non è niente-, il giovane si asciugò con il dorso della mano il sangue e strizzò ancora l’occhio verso Ladybug. Era diverso dagli ultimi giorni, notò lei, rincuorata dal fatto che quello sembrava essere di nuovo il vecchio compagno scanzonato e allegro.

-Brutta brutta Volpina…-, cantilenò Chat Noir avvicinandosi all’avversaria, -Dove nascondi la tua akuma?-, si scambiò uno sguardo d’intesa con Ladybug e scattò alle spalle della nemica, placcandola dalle braccia e tenendola ferma.

-Il flauto!-, comprese Ladybug e si gettò sullo strumento, che ancora era stretto nella mano di Lila.

Lo strappò via a forza e lo spezzò, facendo leva sul ginocchio, ma neanche da lì uscì alcuna farfalla, mentre l’illusione della loro nemica, che lei aveva creato, svanì tra le braccia di Chat Noir.

-E’ più potente-, constatò lui e balzò su un tetto più in alto, per controllare da dove potesse generare le sue repliche la perfida volpe. Nel fare ciò, lasciò Ladybug da sola e di nuovo Volpina le fu addosso, stavolta con tutta la sua fisicità.

-Gli orecchini!-, l’akumizzata allungò una alla testa della sua avversaria tenendole con l’altra bloccate entrambe le braccia, -Sono miei!-, arrivò a sfiorarne uno, ma Chat Noir fu di nuovo nella mischia e l’aggredì alle spalle, scaraventandola lontano. Volpina parve accusare il colpo, rimanendo ferma e confusa accasciata a terra; uno sguardo di rancore nei confronti del giovane.

-Scappiamo!-, urlò lui alla sua compagna, che, confusa, si lasciò afferrare di peso e portare lontano da lì.

-Adrien! Dobbiamo fermarla, non scappare!-, protestò una volta lontani.

-E’ troppo pericolosa: non ha altri oggetti addosso in cui possa nascondersi l’akuma, devi proteggere il tuo Miraculous-, si guardò intorno per qualche istante; -Di là: resta nascosta in quel vicolo e scogli la trasformazione, così non potrà trovarti Ci penserò io a farla allontanare finché non troviamo una nuova strategia-, le disse.

-N...No!-, si oppose Ladybug: era la prima volta che Adrien le proponeva una simile fuga, che le chiedeva di tornare ad essere solo l’indifesa Marinette.

-Fallo-, insistette lui, -O mi costringerai a metterti al sicuro a modo mio-, minacciò allungando una mano al suo orecchio.

-A...Adrien che stai facendo?-, Ladybug era confusa più che mani… a tal punto Adrien aveva paura di suo padre?

Se si fosse trasformata in Marinette avrebbe potuto scappare, d’accordo, ma avrebbe perso il suo potere e in quel momento ne aveva tutto il bisogno.

-Ritrasformati!-, le ringhiò contro lui, avvicinandosi a lei e prendendola per le spalle: -Io non… posso perderti…-, disse con tono più dolce e la tirò a sé, per baciarla.

Bastò il semplice contatto delle loro labbra perché Marinette comprendesse tutto. Sgranò gli occhi incredula e spaventata, non aveva margine di fuga: in un vicolo, spalle al muro, con quel ragazzo sconosciuto che la stava tenendo stretta.

Lui non era Adrien! Il suo tocco gentile, anche nei momenti più spaventosi, lo avrebbe riconosciuto tra un milione.

Sperò che lui la finisse di baciarla, ma invece che staccarsi, quel… quella persona cercava di sfondare la barriera delle sue labbra.

-No…!-, si oppose tra i denti Marinette, cercando di staccarsi da lui, ma ormai era sua preda. Scostò con forza la testa, finché non si liberò almeno per guardarlo negli occhi. Era esterrefatta: era identico a lui era…

-Impostore… Sei tu!?-, si lasciò scappare, facendo cadere ogni sua copertura.

-Pensavo baciassi meglio, cara Ladybug…-, gli rispose il nemico e rapido afferrò uno dei suoi lobi per staccare l’orecchino.

-Lasciami!-, strillò Ladybug, scalciando come un mulo, ma ormai totalmente alla sua mercé.

In un istante furono raggiunti da Volpina.

-Tienila ferma, li prendo io-, ordinò l’italiana, ma l’Impostore protestò.

-Il merito è mio se siamo qua-, fece notare e, puntando un ginocchio sulla pancia della sua prigioniera, si posizionò meglio per staccare gli orecchini.

-Togliti di mezzo!-, si adirò Volpina, con una spallata e anche lei allungò le mani sulla testa di Ladybug che si ritrovò sola ad urlare la sua rabbia bagnata di lacrime.




****



-E’ un vero peccato che tu non possa vedere quello che sta accadendo-, Papillon schernì suo figlio, ancora fermo davanti a lui, incapace di formulare alcuna ipotesi valida.

L’uomo allargò le braccia, sul suo viso un enorme sorriso maligno: -E tutto grazie a te e al lavoro che hai fatto, facendo innamorare quella povera mocciosa!-, l’avrebbe abbracciato come un perfetto Giuda, tanto era preso dall’euforia da darsi a comportamenti inusuali, ma Adrien non lo avrebbe mai concesso e quindi rimase immobile a gongolarsi dello spettacolo che scorreva davanti ai suoi soli occhi. In quel momento Adrien notò qualcosa di viola che luccicava in mezzo alla spilla che teneva ferma la cravatta del padre. Se non era quello il miraculous della farfalla, avrebbe perso la sua battaglia per sempre.

E allora si avvicinò lui al genitore preso nella sua battaglia, finché non gli fu così prossimo che, deglutendo e abbassando gli occhi disse: -Hai vinto: sarò dalla tua parte, ma non farle più fare del male-, e poi, rapido e rapace, senza che Papillon avesse il tempo di rendersi conto di quanto aveva stupidamente abbassato la guardia, gli strappò la spilla dal collo.


Con un urlo Papillon scomparve lasciando Gabriel Agreste al suo posto. Un kwami violetto scappò via dalla spilla e svolazzò barcollando fino a terra.

-Tu non sai cos’hai fatto-, sibilò Agreste alzando gli occhi sul figlio traditore. Un brivido rotolò lungo la schiena di Adrien mentre l’uomo riprese: -Adesso la tua Ladybug è in balia dei suoi aggressori e nessuno li può controllare.-

Adrien sentì la gola farsi improvvisamente secca e annaspò alla ricerca di una qualsiasi soluzione, senza quasi rendersi conto che il padre si riprendeva il bottino sfilandoglielo dalle mani.

-Nooroo! Svelto, mangia!-, ordinò alla farfalla che, lemme lemme, si avvicinò al suo pasto, già pronto su un piedistallo nella stanza. Era consapevole anch’esso che la situazione stava prendendo una brutta piega.

-Qual è l’ultimo ordine che hai impartito?-, domandò al suo portatore.

-Di prendere il miraculous di Ladybug.-

-A entrambi?-, chiese Nooroo, preoccupato.

-A entrambi...-

Nooroo annuì lentamente e mandò giù a forza un altro boccone, rivolgendosi verso Adrien.

-Ragazzo, qua ci sono in gioco poteri e controlli che non hai mai visto né conosciuto. Non dovevi fare quella mossa…-,gli disse, poi l’esserino tornò a parlare ancora al suo padrone: -Manda lui a salvarla-, era più un tentativo che una reale richiesta.

-Assolutamente no-, sentenziò Agreste. Per Adrien fu come una sveglia a colpi di cannone: -Posso farlo, dimmi dove sono le akume e io lo farò velocemente-, provò a convincere il padre.

-Ma certo! E poi scapperai con il tuo miraculous e io li avrò di nuovo persi entrambi!-, osservò Gabriel, -Nooroo, hai fatto?-, chiese scocciato alla farfalla, che annuì, pulendosi la bocca con una zampetta.

Gabriel fu lesto a ritrasformarsi e a comandare ai suoi akumizzati di smettere di litigare tra loro. Uno dei due avrebbe preso in un modo o nell’altro il Miraculous di Ladybug.

Adrien, pugni chiusi e mascelle serrate, osservava qualcosa che non poteva vedere attraverso le espressioni del padre. E voleva solo urlare o morire; per il resto era in un cul-de-sac, senza sapere che fare e con il mal di testa più forte della storia che stava tornando imperiosamente a galla nel suo cranio.

L’espressione preoccupata del padre lo convinse che stava accadendo qualcosa di molto strano, e la rabbia che mostrò a un certo punto, distraendosi del tutto da quello che gli stava accadendo attorno, fu la molla che fece scattare Adrien.

Approfittando di una serie di dialoghi al vetriolo che stava scambiandosi con uno dei due akumizzati, Adrien sgusciò silenziosamente dalla stanza e chiuse rapidamente la porta alle sue spalle, si voltò di slancio per correre fuori di casa e andare a cercare e aiutare Ladybug, scese a due a due le scale della villa, arrivando in un baleno al portone, che aprì con veemenza e…

L’impatto con Nathalie, di rientro a casa, fu violento ed entrambi caddero a terra rimanendo per un attimo confusi.

La testa di Adrien prese a pulsare ancora di più e, con un gemito, il ragazzo portò entrambe le mani alle tempie.

-Adrien, mi dispiace… Si sente male?-, domandò con premura una colpevole Nathalie, rialzandosi e porgendo una mano al ragazzo. In risposta ebbe la più tagliente delle occhiate. Adrien si tirò su da solo e, nel farlo, non poté non notare qualcosa di blu e metallico che faceva capolino dal bavero della giacca della donna. Comprese tutto in un attimo: una spilla blu a forma di pavone.

Ecco chi era lei.

-Sei uguale a lui-, sibilò e, senza aggiungere altro, si voltò e uscì di casa.

Corse al pulsante da cui si poteva aprire il cancello dall’interno della villa, urlando imperiosamente al guardiano che lo sbloccasse e, una volta che le due parti di pesante ferro battuto iniziarono cigolando ad aprirsi, svicolò tra esse e corse via, per strada.

Percorse correndo alcune centinaia di metri con il cuore in gola e la testa che pulsava, senza avere ben chiara la sua meta, svoltò ad un incrocio e si infilò nel primo posto sicuro che riuscì a trovare, cioè una libreria poco distante da casa sua.

-Desidera?-, domandò senza entusiasmo l’uomo dietro al bancone, ma Adrien fece cenno di non essere interessato a nulla, con una mano e, guardandosi attorno con cautela, tornò per strada. Doveva capire in che direzione andare, maledizione: non ne aveva idea…


Senza una ragionevole certezza si diresse verso la boulanjerie del padre di Marinette, che non era così lontana da casa sua, vi entrò e fu accolto dallo sguardo preoccupato dell’uomo che gli domandò cosa fosse accaduto, lasciando il lavoro.

-C’è Marinette?-, domandò Adrien senza troppi preamboli e Monsieur Dupain, alzando le spalle, gli fece presente che a quell’ora doveva essere a scuola.

-E tu perché non ci sei andato?-, poi gli tornò in mente la prigionia forzata a cui era costretto dal padre; -Come stai Adrien? Ti vedo un po’ strano…-, azzardò l’uomo e, di nuovo, Adrien liquidò anche lui con un laconico saluto, uscendo dal negozio e trovandosi ancora per strada.

Si sentiva perso e solo.



-Cerchi di tranquillizzarsi, Adrien…-, fu raggiunto dalla voce calma di Nathalie che, evidentemente, lo aveva seguito.

Una vampata di rabbia lo assalì e dovette fare affidamento a tutta la buona educazione che gli era stata impartita, in buona parte proprio da quella donna, per non scagliarsi contro di lei.

-Come posso essere tranquillo se Marinette è in pericolo, mentre tu e mio padre giocate a controllarmi!-, si sforzò di non urlare e sentì male alla gola.

Nathalie abbassò lo sguardo: quel ragazzo aveva ragione, lei aveva fatto qualcosa di spregevole.

-Se solo… se solo tu non mi avessi portato via l’anello…-, le nocche delle mani erano bianche, tanto le stava stringendo in pugni. Le unghie stavano conficcandosi nei palmi e presto avrebbe ceduto ad un pianto disperato. Sentiva le lacrime spingere prepotenti nei suoi occhi: troppo dolore, frustrazione, troppa angoscia per non sapere dove fosse la sua Marinette, troppa paura per quel silenzio che, in assenza del comunicatore di Chat Noir, lo stordiva e gli procurava un panico nero.

-Non credo che suo padre potrebbe fare del male a-

-Non credi??? Non lo sai neanche tu di che pasta è fatto mio padre!-, urlò Adrien avvicinandosi con impeto alla donna; -E tu sei sua complice!-

Poi si sgonfiò come un palloncino lasciato aperto: -Se solo comprendessi come mi sento… sono impotente… Ne ha mandati due, stavolta e lei è davvero in pericolo!-

Nathalie non era a conoscenza dell’ultimo attacco del suo capo e rimase stupita da quelle parole: Gabriel voleva chiudere la sua caccia il prima possibile, evidentemente, tanto che non aveva atteso il suo rientro a casa.

Fece un passo verso il ragazzo: era così disperato e vulnerabile in quel momento… si ricordò di quando fu lei a comunicargli che la mamma non sarebbe più tornata a casa, perché Gabriel non aveva voluto farlo personalmente, si rammentò delle lacrime del ragazzo, di quei singhiozzi che avevano continuato a riecheggiare per giorni tra le cupe pareti della villa e nel suo animo.

Per tutti gli anni che aveva frequentato quella famiglia aveva sempre assistito a periodi altalenanti in cui la Signora Agreste era presente, e Adrien felice e sereno come ogni bambino, e altri in cui la donna spariva in silenzio e il piccolo restava da solo, per settimane, silenzioso e schivo. Non riusciva ad interagire con nessuno dei suoi compagni di classe, le insegnanti che si erano susseguite, ignare della situazione familiare, dopo qualche anno avevano consigliato al padre di mandare Adrien in terapia, perché presumibilmente affetto da disturbi relazionali e psichiatrici e Gabriel lo aveva chiuso in casa, affidando proprio a lei la sua educazione. Troppa saccenza da parte di quelle misere insegnanti nel catalogare il figlio, troppa debolezza in lui, che sembrava non riuscire ad accettare le assenze della madre. Troppa crudeltà in entrambi i genitori, che alternavano periodi di gioiosa attività familiare, in cui tutti parevano rinati, a lunghe e buie parentesi di solitudine. Adrien non voleva vedere nessuno, non accettava più di andare a scuola con gli altri, voleva solo ubbidire al dictat di stare in casa e imparare con Nathalie. Sporadici e imbarazzanti erano stati gli incontri con la figlia di André Burgeois, durante i quali la viziatissima ragazzina aveva schiacciato con la sua scoppiettante personalità la tranquilla e remissiva indole di Adrien.

A volte il ragazzo si confidava con lei, e Nathalie sentiva un calore alieno nel cuore, qualcosa che iniziava a sembrare affetto per quel fardello biondo che le era stato affidato e sul quale erano state riposte molte aspettative dal suo capo. “Non affezionarti”, si ripeteva ogni volta che Adrien andava ad abbracciarla in seguito a qualche successo o quando arrivava la notizia del ritorno della madre; “Non affezionarti”, si diceva ancora quando il ragazzino correva in lacrime da lei per una nuova partenza.

“Non affezionarti”, si era imposta quando Adrien era diventato un giovane adulto e, per la prima volta, aveva preso la decisione di spiccare da solo il volo e tornare in una scuola vera.


“Non affezionarti”: era la più grande bugia della sua esistenza.

Si chinò sul ragazzo e lo abbracciò: tremava come una foglia.

-Perdonami-, bisbigliò al suo orecchio sentendo per la prima volta dopo un tempo immemore le lacrime colare dai suoi occhi; -Perdonami…-, ripeté in un mantra finché non sentì che il ragazzo si stava calmando e la tensione nei suoi muscoli andava diminuendo.

Si allontanò da lui quel poco che bastava per guardarlo negli occhi: -Ti aiuterò a salvarla-, gli disse e cercò di capire in che direzione andare. Stava deliberatamente tradendo la fiducia di Gabriel, ma in quel momento era la cosa giusta da fare.

Trascinò Adrien in un vicolo e liberò dalla sua borsetta un piccolo kwami dai colori accesi di un pavone: -Lui è Dusuu e ci aiuterà-, lo rassicurò.

Il kwami si concentrò e scandagliò ad occhi chiusi lo spazio attorno a loro, come fosse un radar: il suo silenzio fu breve eppure apparve infinito agli occhi di Adrien.

-Non la trovo-, pronunciò infine, senza apparente dispiacere, -Non essendo libera, non percepisco la kwami della Coccinella-, spiegò.

Nathalie strinse le labbra, contrariata, Adrien la guardò attonito: cos’altro avrebbero potuto fare?

-Il Ladyblog-, disse Nathalie e per la prima volta Adrien fu davvero sorpreso dall’acutezza della sua istitutrice.

Entrambi sbloccarono i loro smartphone per accedere alla pagina web del blog, ma immediatamente si resero conto che non c’erano aggiornamenti salienti.

-E’ strano…-, Adrien era pensieroso, di solito Alya era in prima fila a documentare ogni apparizione di akumizzati.

-L’unica soluzione è tornare alla villa e usare il mio potere su Gabriel…-, constatò sottovoce Nathalie e solo in quel momento Adrien comprese quanto il legame tra la donna e suo padre fosse complicato. Nathalie lo guardò intensamente, quasi a chiedere la sua opinione e il ragazzo vacillò: e se questo potere di cui non sapeva nulla, se non di esserne stato vittima, si fosse rivolto contro di loro, nel tentativo di usarlo contro Papillon?

-Io vado-, decretò Nathalie e compose un numero sul cellulare per chiamare l’autista che l’aveva condotta fino a lì.

L’auto scura apparve all’incrocio della strada e la donna vi andò incontro, ma proprio in quel momento il telefono di Adrien si mise a squillare.

-Marinette!?-, esclamò tra il sorpreso e il felice, leggendo il nome di chi gli stava telefonando. Subito strusciò il dito sullo schermo per rispondere e, quando all’altro capo udì la voce della sua ragazza, il mondo parve molto più lontano da lui, che aveva iniziato a fluttuare a un metro sopra di esso, finalmente sollevato.


Nathalie si era bloccata con una mano sulla maniglia della portiera dell’auto, osservando Adrien. Bastò uno sguardo scambiato con lui e disse all’autista di farsi un altro giro: lo avrebbe richiamato quando fosse stato il momento. Si avvicinò al ragazzo e attese che chiudesse la telefonata.




***



Papillon era esterrefatto.

Ben due dei suoi più valenti soldati non erano stati in grado di prendere a Ladybug i suoi orecchini. Sciolse la trasformazione e scagliò verso la parete con un potente calcio la sedia che poco prima Adrien aveva usato contro di lui, mandandola in pezzi.

Aveva fallito ancora e non gli rimaneva che l’ultima estrema ratio per ottenere il suo scopo.

La priorità in quel momento però era calmarsi: a mente lucida avrebbe architettato un piano che non avrebbe dato adito ad altri fallimenti.


E dopo, finalmente, avrebbe potuto riabbracciare Emilie.



***


-... e a un certo punto tutto è diventato colorato e strano, come se la realtà fosse cambiata. Ho pensato che Volpina avesse creato un’altra delle sue illusioni per confondermi e mi sono messa subito in guardia. Quei due prima hanno litigato tra loro e dopo hanno cercato di fare squadra per prendermi gli orecchini... però a quel punto entrambi sembravano confusi quanto me… Non ho idea di cosa sia accaduto, Adrien! Di colpo c’è stata una luce molto forte come se fossimo stati nel mezzo alle esplosioni dei fuochi di artificio eppure… non lo so, Volpina sembrava preoccupata, come se non stesse comandando lei quelle visioni! E a un certo punto ho visto una figura vestita di arancione sfrecciare davanti a loro e colpirli, finché non sono stati entrambi a terra: non ho idea di chi o cosa fosse. A quel punto ho evocato il Lucky Charm e sono riuscita in un colpo solo a trovare e liberare due akume. Le ho catturate entrambe insieme, una cosa assurda! E non ho neanche capito da dove siano uscite! Le avevo già cercato negli oggetti che avevano indosso, come la collana, o quel bastoncino che mordicchia sempre Théo e che presumibilmente era stato trasformato nel bastone… E’ stato tutto molto, molto strano… Comunque in qualche modo sono riuscita a fermarli e liberarli… Lila non capiva nemmeno dove fosse, mentre Théo se l’è data subito a gambe e non sono riuscita neanche a fermarlo, perché gli orecchini hanno iniziato a emettere bip velocissimi… Anche questa è una cosa strana… forse perché ho preso due akume in un colpo solo. Fatto sta che sono salva-, Marinette fece una pausa e guardò il soffitto sopra di sé.

-E’ tutto finito…-, le disse Adrien, tenendole la mano.

-E’ tutto finito-, ripeté lei, osservando mesta il dito su cui non c’era più l’anello del Gatto Nero. - Mi dispiace così tanto per Plagg…-, aggiunse baciando il dorso della mano di Adrien.

-Troverò il modo di riprendermelo il prima possibile-, la rassicurò il ragazzo, pensieroso.

Marinette annuì, turbata, -E io ti aiuterò a farlo-


-Credo che Maestro Fu ti debba delle spiegazioni-, osservò Tikki, apparendo tra loro due.

-Chi è Maestro Fu?-, chiese dubbioso Adrien e notò come le due si scambiassero un’occhiata silenziosa.

-Fu è il Guardiano dei Miraculous, quello che ti ha donato il potere del Gatto Nero e che conserva tutti gli altri Miraculous rimasti-, gli rispose la kwami, volando davanti al suo viso: la sua espressione era palesemente preoccupata.

-Vuoi dire che…-, Adrien guardò stupefatto Marinette.

-Forse ci sono altri combattenti in giro per Parigi-, concluse al posto suo la ragazza, osservando come, se non fosse stato per l’inatteso aiuto di quella figura in arancione, sarebbe ormai stata spacciata.

-Devo parlargli-, concluse Marinette, alzandosi e versandosi un bicchier d’acqua.

-E questo Maestro Fu sa perché mio padre vuole i tuoi orecchini?-, la domanda di Adrien era fin troppo ingenua. Tikki e Marinette si scambiarono un’altra occhiata e nessuna delle due gli dette una risposta.

-Dove si trova?-, insistette il ragazzo e, a malincuore, Marinette ritenne che fosse giusto che anche lui, che era il più diretto in causa, dovesse avere le risposte che cercava.


-Promettimi che ci andremo insieme-, gli disse mentre lo accompagnava fuori da casa sua.

-Promesso-, la rassicurò Adrien, ma nella sua testa aveva già elaborato il suo piano.

La abbracciò lisciandole i capelli e annusando ancora una volta quel profumo delicato che tanto amava, ma non volle baciarla. Faceva troppo male.

Se avesse provato ancora il calore delle sue labbra… il sapore della sua bocca… non sarebbe riuscito ad andare fino in fondo.


-A domani-, le disse.

-A domani...-, rispose lei, con un gran peso sul cuore e guardò la porta di casa chiudersi alle spalle di Adrien.

Era ormai tardi e, sperava, avrebbe avuto il tempo l’indomani di riparlarne ancora con il suo amore e cercare una soluzione comune.



***



-Nathalie, devi fare una scelta-, Adrien fu lapidario e non lasciò il tempo alla donna di rispondere alle sue parole. Mentre l’auto scivolava silenziosa nella notte, il ragazzo sottovoce spiegò per telefono alla donna quale fosse il suo piano. Se tutto fosse andato per il verso giusto, Marinette sarebbe stata fuori pericolo entro poche ore.



Ma lui l’avrebbe persa per sempre.











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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - Il piano di Adrien (Sei anni prima) ***


Capitolo 24 - Il piano di Adrien (Sei anni prima)


Nathalie lo avrebbe aiutato. Suo padre si sarebbe opposto a costo di far del male a qualcuno. Marinette non lo avrebbe mai perdonato.


Adrien allacciò le stringhe delle scarpe e si alzò: il sole non era ancora sorto e la nottata passata in bianco lo aveva convinto che il suo piano era l’unico da portare avanti.

Controllò per l’ultima volta che la corda da arrampicata che aveva assicurato alla zampa del pesante letto fosse sufficientemente salda e fissò meglio le cinghie dell’imbracatura: finalmente tutta l’attrezzatura che aveva acquistato per utilizzare la parete da arrampicata in camera sua si stava rivelando utile.

L’ultima volta che era uscito dalla finestra della sua stanza lo aveva fatto con un balzo e puntando il suo bastone magico in un preciso punto del giardino, quella volta gli toccava farlo come un evoluto galeotto che stesse fuggendo dalla sua prigione: al cinema stavano dando il remake del film della famosa evasione di Henri Charrière… ironia della sorte, il titolo era “Papillon”...

Adrien ghignò al pensiero e si lasciò scivolare giù lungo la parete della loro villa. Se Plagg lo avesse visto, così imbracato e imbranato, non avrebbe smesso di ridere per mesi.

Toccò terra e si sentì riavere. Gli restava “solo” da oltrepassare il muro di cinta, ma dall’altra parte, lo sapeva, Nathalie lo stava attendendo. Slacciò la corda e cercò sul muro facendosi luce con la torcia del cellulare l’altra corda lanciata per lui dalla sua complice. La trovò, si legò e dette il segnale. In pochi minuti e facendo appello a tutte le sue forza da giovane atleta, si arrampicò sul muro e, da lì, saltò giù, sul materasso che la donna aveva predisposto per lui.

-Andiamo-, gli disse e lo fece salire sulla sua auto personale.

-Guidi una cabrio?-, domandò Adrien alla donna, senza nascondere un sorrisetto canzonatorio.

-Guido anche la moto, se è per questo-, le rispose lei, senza battere ciglio, -Ma non fa curriculum, quindi tuo padre non lo sa-, puntualizzò. -Oppure lo sa ma evita di parlarne con me-, aggiunse senza staccare gli occhi dalla strada.

Non appena si furono allontanati dalla villa, la guida di Nathalie si fece molto più sportiva di quel il ragazzo avrebbe potuto pensare. Un giorno, se fosse vissuto abbastanza da prendere la patente, avrebbe voluto ancora lei, come insegnante.


Il resto del viaggio trascorse in silenzio: entrambi sapevano che stavano rischiando molto più di quel che razionalmente potevano pensare. Marinette non era stata molto precisa nello spiegare ad Adrien chi fosse Fu e dove si trovasse, ma le doti di segugio di Nathalie erano molto sviluppate e fermò la sua auto proprio davanti al centro massaggi del maestro.

-Io ti aspetto qua-, disse al ragazzo, scambiandosi con lui una profonda occhiata. Lui annuì e indugiò un istante, prima di suonare al campanello. Erano appena passate le cinque di mattina, chiunque lo avrebbe mandato a quel paese…

Premette il pulsante tre o quattro volte e si immaginò che un uomo orientale possente e saggio aprisse con un grande aplomb.


-Ma chi è che rompe a quest’ora???-, udì invece dall’altra parte della vetrina del negozio: un attimo dopo un arzillo vecchietto alto la metà di lui aprì la porta, con indosso una ridicola camicia hawaiiana abbottonata tutta storta.

-Ohibò!-, fu l’unica cosa che disse prima di guardarsi furtivamente attorno e di trascinare Adrien all’interno, chiudendo a doppia mandata la porta dietro a loro.


Il centro massaggi era… un centro massaggi di quelli dove a volte era stato quando col padre erano andati per lavoro in Cina. Ma l’omino preseguì oltre una porta scorrevole e lo fece accomodare direttamente nella sua casa, conducendolo in una stanza spaziosa.

-Wayzz, sveglia-, disse picchiettando con il dito sulla tromba di un vecchio grammofono posto su un mobile in un angolo, nella sala dove lo aveva fatto accomodare.

-Tè?-, chiese poi al ragazzo, che annuì in silenzio. Era scortesia rifiutare il tè ad un cinese, ricordò, e attese che il vecchietto ritornasse, o che questo Wayzz si facesse vivo.


Da che domanda avrebbe potuto iniziare? Come mai era stato scelto come portatore del Miraculous del Gatto Nero? Cosa sarebbe successo ora che non lo aveva più? Che avrebbe potuto fare Papillon se avesse preso anche il Miraculous di Ladybug?


-Sei stato un grande sciocco a farti rubare l’anello-, lo sorprese alle spalle l’omino, portando il vassoio con il tè, -Al posto tuo mi sarei sotterrato con la testa nella sabbia-, gli lanciò un’occhiata di rimprovero, -Ad ogni modo il passato è passato, pensiamo a come rimediare a questo problema.-

Si sedette sul futon davanti al ragazzo e chiamò di nuovo Wayzz, iniziando a frullare con il pennello da tè la miscela nella tazza di coccio.

Adrien non ne poteva più di aspettare tutte quelle cerimonie: -Che succede se Papillon prende anche il Miraculous di Ladybug?-, domandò a bruciapelo.

Fu si fermò e puntò gli occhietti neri su di lui: -Dipende da qual è il suo più grande desiderio: l’uso congiunto dei due Miraculous può realizzare qualsiasi desiderio chi li indossi domandi.-

Adrien non ci pensò due volte: -Lui vuole ritrovare mia madre… cioè… sua moglie… Cioè…-

Praticamente gli aveva detto chi era Papillon… ma Fu lo sapeva?

-Quindi chi ha rubato il Miraculous della Farfalla è tuo padre?-, l’uomo scrollò le spalle, apparentemente incredulo; -E dove si trova tua madre?-, domandò con flemma, dopo aver sorseggiato un po’ di tè.

Adrien abbassò lo sguardo.

-Credo sia morta-, rispose dopo una piccola pausa, la sua voce ridotta ad un sussurro.

A Fu andò di traverso il tè. -Wayzz!-, strillò ancora e in men che non si dica apparve un piccolo kwami fluttuante, sembrava una tartaruga.

-Wayzz… spiega tu a questo sciagurato che si è fatto rubare Plagg cosa succede se si usano i due Miraculous Ying e Yang per riportare in vita qualcuno!-, Fu mise il broncio e sfilò dalla tasca uno smartphone.

Adrien sollevò stupito le sopracciglia.

-Qualcuno muore-.

Era stato il kwami a dire quella frase, forse. Adrien continuò a fissarlo come se non l’avesse udita davvero.

-Hai sentito, biondino?-, chiese Fu, navigando tra le app.

-Qualcuno muore-, ripeté il kwami e solo allora Adrien prese coscienza delle parole che aveva udito.

-Qua… qualcuno?-, domandò, -Qualcuno chi?-

La piccola tartaruga iniziò a spiegare: -Se la creazione e la distruzione si trovano nello stesso istante nella stessa persona allora l’effetto incrociato che…-

-Muore chi evoca il desiderio, chi attiva i due Miraculous in maniera combinata-, tagliò corto Fu, -O, nella malaugurata ipotesi che qualcosa vada storto, potrebbe morire qualcun altro sulla faccia della terra, che non è dato sapere chi sia-, guardò il ragazzo di sottecchi.

-Ma non conta chi sta già male ed è moribondo: se si vuole “far resuscitare” qualcuno, nella maggior parte dei casi muore una persona giovane e in salute. E’ il prezzo che costa quel tipo di miracolo-, si affrettò a puntualizzare.

Adrien era rimasto immobile, i pugni chiusi sulle gambe piegate nella posizione in cui si era seduto per terra sul futon. Qualcuno sarebbe morto… Non era quello che immaginava.

-E cosa può andare storto?-, si informò dopo una pausa in cui il suo cervello aveva immaginato mille differenti scenari, ognuno dei quali era improponibile, tranne quello in cui fosse lui a compiere quella maledetta magia.

-Oh, tante cose, ragazzo…-, il tono della voce del vecchio cinese sembrava essersi addolcito, -E’ necessario che tuo padre sappia che, qualora intendesse usare un simile potere, con ottima probabilità non riuscirebbe ugualmente a rivedere sua moglie-, era una valida argomentazione, ma… come fare a farlo capire a Gabriel?

Adrien prese la tazza e bevve un sorso di tè, doveva pensare…

-Però tu hai detto “Credo sia morta”...-, quella era la pulce nell’orecchio che Adrien stava sentendo ronzare.

-Già… non ne abbiamo la certezza in realtà-, si affrettò a spiegare, puntando tutta la sua attenzione sull’uomo e quel che stava per dire.

-Utilizzare il potere dei Miraculous a solo scopo personale è qualcosa di profondamente sbagliato, Adrien, ma ogni errore può essere corretto anche con un altro errore. In pratica, in casi come questo, il fine-

-...giustifica i mezzi-, concluse Adrien, -E quindi che intende?-, non capiva.

-Il vostro più grande nemico è Papillon, lo scopo di Papillon è ottenere i vostri Miraculous e lo fa per ritrovare sua moglie… Se ritrovasse sua moglie forse Papillon non avrebbe più ragione di esistere o di essere malvagio e quindi i problemi di tutti noi sarebbero risolti-, spiegò in maniera lapalissiana aprendo le mani sul tavolino in teak.

Adrien stava iniziando a capire.

-Ma, perché c’è un enorme MA, ragazzo!, se tua madre fosse davvero morta, l’uso dei vostri Miraculous sarebbe letale per Papillon e tu perderesti tuo padre. Non puoi quindi permettere che accada una simile cosa. D’altra parte, se tua madre fosse viva, non ci sarebbe un prezzo così alto in cambio, ma noi non possiamo saperlo-, si alzò e iniziò a camminare con le mani congiunte dietro la schiena, pensieroso. La situazione poteva addirittura volgere a loro favore, se solo avessero avuto la certezza sulla sorte della donna che Papillon cercava.

-Dovremmo cercarla ancora… ma allora sarebbe vanificato l’uso dei Miraculous e mio padre non lo accetterebbe. La cerca da anni, io credo, e questa è l’unica soluzione rimasta-, il ragionamento di Adrien era giunto a un nuovo vicolo cieco.

-E’ troppo rischioso usare i Miraculous senza sapere se tua madre è viva o morta: chi lo facesse avrebbe il cinquanta per cento di probabilità di morire-, cercò di spiegarsi al meglio l’uomo.

Adrien annuì: aveva capito e aveva anche purtroppo intuito cosa sarebbe successo se Papillon avesse saputo del prezzo che chi avesse espresso il desiderio avrebbe pagato.

-Non si farebbe scrupoli a farlo fare a qualcun altro-, bisbigliò tra i denti, ma Fu udì ugualmente le sue parole.

-Per questo è necessario che lui non prenda mai il Miraculous di Ladybug-, concluse nel più ovvio dei modi quel ragionamento.

Adrien portò le mani alla testa: cosa avrebbe dovuto fare allora?

-La cosa più prudente è far capire a Papillon che il suo scopo non è cercare il Miraculous di Ladybug, ma cercare tua madre. Non credo che abbia fatto tutti i tentativi per trovarla, almeno questo è quel che mi è giunto alle orecchie…-, l’insinuazione nella sua voce non sfuggì ad Adrien.

-Cosa intende?-, domandò prontamente.

-Tuo padre conosce molto più di quel che immagini su tutto quello che gira attorno ai Miraculous, così come lo conosceva tua madre, ma fondamentalmente è un uomo pigro. Pigro e autoritario. Credo che mandare terze persone, sebbene esperti di salvataggi e di investigazioni, sulle sue tracce, sia stata una mossa errata. Siete voi, i portatori, gli unici che realmente potreste capire cosa sia accaduto a tua madre. Dimmi, ragazzo: ti sei mai fermato ad ascoltare il tuo Miraculous?-, la domanda lasciò sorpreso Adrien che alzò le spalle, senza capire.

-I kwami si sentono tra loro, percepiscono la loro esistenza, la loro presenza in uno spazio ben definito-, la sera prima il kwami di Nathalie ci aveva provato, in effetti.

-Allo stesso modo i portatori possono sentire la presenza di altri portatori, quando attingono all’essenza del loro potere. Tu lo sai che hai un potere, Adrien?-, domandò.

-Avevo…-, rispose mogio il ragazzo.

-Sbagli, ce l’hai sempre: solo che non lo sai se non hai con te Plagg. Ma quel potere c’è, ti pervade dal momento che entri ad essere un tutt’uno con un kwami. E’ una sorta di marchio che si stampa sulla tua anima e sulla tua matrice-

-Io non… capisco…-

-Marinette. La conosci Marinette, giusto?-, domandò facendogli l’occhiolino, -Pochi giorni fa so che è stato sconfitto un akumizzato eppure Ladybug non è apparsa e non ha rimesso a posto le cose con il Lucky Charm. Ebbene, come credi che abbia fatto Marinette a sconfiggere da sola l’akumizzato?-

Adrien non disse nulla, Fu alzò gli occhi al cielo e sbuffò, -Ha attinto la forza dal potere che pervade la sua essenza. Lei è creazione, lei è Ladybug anche se non è trasformata e lei ha saputo purificare l’akuma con la sua forza interiore. Non ha la più pallida idea di come ha fatto, suppongo, ma l’ha fatto.-

Fu prese la mano del ragazzo: -Ed è questa forza interiore quella che ti può permettere di solcare il mondo e trovare altri portatori, comprendere chi può essere adatto a diventarlo, riconoscere e ritrovare chi ami anche a distanze sovrumane.-

Adrien stava iniziando a capire cosa fare.

-Io ho trovato tu e Marinette proprio così-, spiegò Fu, -Adesso concentrati, chiudi gli occhi e sforzati di sentire solo l’energia che brucia dentro di te-, disse ad Adrien.

Il ragazzo obbedì.

-Senti dentro di te che c’è una piccola parte di pura energia che è quella che viene fuori quando diventi Chat Noir, cerca di capire qual è-, lo spronò, -E lascia che quest’energia fluisca fuori da te, che si espanda attorno a te, che cerchi qualcosa di altrettanto forte e magico con cui danzare.-

Adrien si sforzava, ma… era facile a dirsi! Cercò di mettere da parte ogni pensiero e ogni preoccupazione e ripensò a ogni volta che chiedeva a Plagg di trasformarlo: anche lui effettivamente faceva qualcosa, anche lui ci metteva una reale parte di sé. Sentì una vibrazione nella sua anima, come un crepitio o una scintilla e si aggrappò a quella sensazione. Si concentrò su di essa e d’improvviso fu come avvolto da una potente luce che si espandeva attorno a sé e si infilava nelle pieghe della realtà.

Sussultò quando questa forza sprigionata da se stesso andò quasi a scontrarsi con qualcosa: era… era una luce analoga, una forza dello stesso tipo, un’energia che riusciva a riconoscere come affine alla sua: era un portatore!

Aprì gli occhi e, nella direzione dove aveva sentito quella vibrazione vide Fu, che gli sorrideva sornione: -Mi hai percepito, ho notato-, gli spiegò e, nel farlo, indicò il braccialetto sul suo polso.

-Lei è un… portatore?-, chiese incredulo. Che avrebbe potuto fare in battaglia un vecchietto, seppur arzillo, come lui?

-Esatto!-, Fu alzò il pollice ammiccando, -Adesso rifallo ed espanditi ancora.-


Adrien riuscì a percepire Nathalie, come portatrice del Pavone, che lo aspettava ancora in auto per strada. E ci provò ancora, sforzandosi moltissimo, sentì la sua Marinette e un dolce calore diffondersi nel suo cuore.

-Fallo ancora-, strizzò l’occhio Fu.

Adrien sentì una vibrazione nel suo campo di forza lontana da sé: un altro portatore, qualcuno che conosceva. Ma sì! Era… era…

-Anche lei???-, domandò incredulo al maestro.

-Chi credi che abbia salvato la tua Ladybug ieri?-, gli rispose l’uomo e Adrien si sentì sollevato: alla fine di tutto, non avrebbe lasciato Marinette da sola.


-Ho capito-, disse dopo una lunga pausa di riflessione, durante la quale Fu terminò il suo tè e Wayzz andò a prendersi un po’ di alghe, dal frigorifero.

-C’è solo una cosa che mi sfugge completamente: se si può fare questa cosa… perché non possiamo scoprire adesso se mia madre è viva? Potrebbe farlo lei, Maestro… i suoi poteri e la sua esperienza sicuramente sono molto più adatti dei miei…-, lo guardò speranzoso, sentendosi a un passo dalla soluzione a tutti i problemi della sua esistenza.

Fu gli sorrise a labbra strette, abbassò lo sguardo per un attimo e infine ficcò i suoi occhietti in quelli enormi di Adrien: -Tutto questo non funziona se il portatore che stiamo cercando ha volontariamente chiuso ogni comunicazione energetica con il potere ultimo dei Miraculous. Tuo padre: riesci a percepirlo?-, prese una mano di Adrien tra le sue dita ossute e deformate dall’età: -Io non riesco, perché lui si sta nascondendo per sua scelta. Papillon non vuole essere rintracciato. Fino ad ora per me era come un fantasma: così vicino eppure così lontano, senza sapere dove fosse o chi fosse davvero. Forse avvicinandosi veramente molto a lui o cogliendolo in un momento in cui le sue difese sono abbassate sarebbe possibile riuscirci. Non possiamo sapere se tua madre ha fatto una scelta analoga oppure se…-, troncò la frase e aumentò la stretta sulla mano serica del ragazzo, scuotendo il capo, come a scacciare una brutta immagine.

Era tutto molto chiaro.

Adrien ringraziò l’uomo e strinse le sue mani con una forza misurata e densa di parole non dette; si alzò e si diresse verso l’uscita del Centro Massaggi.

-Un’ultima domanda…-, chiese voltandosi pensieroso verso Fu, un istante dopo portò una mano alla nuca, lievemente imbarazzato: -Come… come potrei fare io, per esempio, o mio padre o… insomma, come si possono attivare gli orecchini di Ladybug?-

Fu alzò le sopracciglia tirando la testa indietro come un pollo, Adrien si affrettò a spiegare: -Sono orecchini e Marinette li indossa perché ha i lobi forati: mi domandavo come…-

Fu comprese e sorrise al ragazzo: -Orecchini, gemelli, spillette… basta che rimangano due: io credo che funzionerebbe ugualmente... Oppure c’è sempre l’opzione più sicura “Chi bello vuol apparire, un po’ deve soffrire”-, gli battè lievemente la mano sul braccio; -Vai adesso, prima che la tua complice là fuori si spazientisca…-

Fu strizzò l’occhio al ragazzo e aprì per lui la porta.

-Non dica a Marinette che ci siamo visti-, lo pregò Adrien; -Io tornerò-, fu l’unica cosa che aggiunse prima di varcare la porta del centro massaggi e salire in auto con Nathalie.

Fuori albeggiava, la città era quasi del tutto pervasa da una luce gialla e una leggera nebbiolina copriva all’occhio la vista più lontana.



-Dobbiamo sbrigarci adesso: ci hai messo un sacco di tempo, devi rientrare prima che tuo padre si accorga della tua assenza-, lo rimproverò la donna, schizzando veloce lungo i Boulevard ancora senza traffico.

-Non è necessario che tu corra-, le disse il ragazzo: -La chiacchierata che ho fatto con Fu è stata molto, molto interessante. Adesso so cosa fare e cosa dire a mio padre-

Nathalie notò che Adrien appariva molto più tranquillo rispetto a quando erano partiti, eppure qualcosa gli rodeva la mente e lo rendeva ancora più pallido.

-Altri problemi?-, gli domandò rallentando: erano giunti in prossimità della villa e se volevano parlare senza che nessuno li sentisse sarebbe stato meglio farlo dentro la sua auto chiusa.

Allo scopo si fermò del tutto e sollevò la capote, voltandosi verso il ragazzo pronta ad ascoltarlo.

Adrien prese un grande respiro: doveva essere conciso e rapido, dal momento che il discorso era ingarbugliato e il tempo scarseggiava.

-Allora, facendo un riassunto stringato… L’uso congiunto dei Miraculous del Gatto e della Coccinella permette a chi li indossi entrambi di realizzare un suo desiderio. Ogni desiderio ha però un prezzo e se mio padre li avesse entrambi e chiedesse di riavere mia madre, gli scenari sarebbero due: nel caso in cui mia madre fosse viva, in qualche modo in cambio del suo ritrovamento potrebbe accadere per esempio che mio padre perdesse un oggetto al quale tiene molto, o comunque qualcosa di non irreversibile. Se invece mia madre fosse… morta… allora riportarla indietro significherebbe che un’altra persona dovrebbe pagare con la sua stessa vita: molto probabilmente chi usasse i Miraculous o… qualcuno di molto vicino. A lei…Cioè... o lui… o...-

Nathalie annuì: era molto sveglia e certamente aveva compreso ogni sfumatura, come infatti dimostrò in risposta.

-Tuo padre deve saperlo: non può mettere a repentaglio così la sua vita!-, esclamò da principio; -La mia paura è che cerchi qualcuno che lo faccia al posto suo…-, abbassò lo sguardo.

In quell’istante c’erano almeno due persone in quell’auto che stavano interrogando la propria anima alla ricerca di una risposta pesantissima: sarebbero stati pronti a farlo al posto di Gabriel?

-Non farti neanche sfiorare l’anticamera del cervello di offrirti per fare questa cosa!-, mise le mani avanti Adrien: gli era ormai chiaro quanto Nathalie tenesse a Gabriel… ma non poteva arrivare al punto di rischiare la sua vita perché l’uomo di cui era molto probabilmente innamorata si riunisse con la moglie!

La donna non rispose e sbuffò aria dal naso.

-Neanche tu-, disse dopo un po’.

-Morire per far tornare mia madre? E lei poi come vivrebbe? Che rimorsi la accompagnerebbero per tutta la vita?-, scosse la testa, -No, assolutamente no…-. Quell’idea lo aveva sfiorato poco prima, quando Fu aveva iniziato a parlargli del potere terribile e infinito dei Miraculous, ma con la stessa velocità aveva scartato a priori quella folle ipotesi.

-Però c’è un’altra persona che potrebbe scioccamente offrirsi…-, iniziò il ragazzo.

-...O che potrebbe essere convinta da Papillon, magari se usasse il Pavone per essere più persuasivo. Dobbiamo proteggerla-, concluse Nathalie incrociando lo sguardo con Adrien.



Marinette.



-Mio padre non deve più avere modo di prenderle gli orecchini. A questo ci penserò io, ma avrò bisogno del… tuo potere-, disse Adrien e le spiegò rapidamente il suo piano.

Si avvicinarono cautamente alla Villa, le corde che Adrien aveva usato per la sua fuga sembravano essere ancora al loro posto, ma il ragazzo scelse di entrare dalla porta principale: in ogni caso avrebbe parlato il prima possibile al padre mettendolo di fronte alla realtà dei fatti.

-Ci vediamo più tardi-, disse a Nathalie, salutandola e usò le sue chiavi per sbloccare i vari sistemi di sicurezza e rientrare in casa.




***



Marinette non era riuscita a chiudere occhio quella notte, un brutto presentimento l’aveva tenuta sveglia a rigirarsi nel suo letto. Prima che il sole spuntasse, fu presa dalla voglia matta di trasformarsi e andare da Adrien: non era tranquilla sapendolo senza il suo Miraculous e l’aria altrettanto preoccupata che aveva indossato Tikki, sapendo Plagg nelle grinfie di Papillon, non l’aveva di certo aiutata.

Inoltre continuava a domandarsi chi fosse stato ad aiutarla nell’ultima battaglia contro Volpina e l’Impostore: doveva chiedere spiegazioni a Fu e doveva farlo il prima possibile. Avrebbe chiamato Adrien appena fossero state almeno le sette e mezzo di mattina e, prima di andare a scuola, avrebbe fissato con lui il luogo e l’ora dove incontrarsi per andare insieme al centro massaggi. Era giusto che anche lui conoscesse il Maestro e cercasse in lui le risposte alle domande che sicuramente lo attanagliavano.

In più doveva dire ad Adrien che il libro che conservava suo padre avrebbe potuto aiutarli nella loro lotta contro il male che quell’uomo aveva portato nella sua casa: e come avrebbe giustificato che sapeva dell’esistenza di quel libro? Che avrebbe pensato Adrien di lei, che gli aveva taciuto tutta quella storia fino ad allora?

“Andrà tutto bene”, si ripeteva in silenzio continuando a fissare l’ora sulla sveglia: come avrebbe retto al sonno di quella giornata, dopo aver passato tutta la notte insonne?

“Adrien si tranquillizzerà dopo aver parlato con Fu”, decretò quando l’ora fu matura al punto da alzarsi e, con lentezza, prepararsi per la nuova giornata. Le facevano male le ossa e si sentiva stanca, di una stanchezza che gravava sul suo cuore come un presentimento di sventura. In qualche modo doveva farsi coraggio e convincersi che le sue erano solo paure infondate. Riflettendoci, aveva avuto una gran fortuna ad essere stata aiutata nella battaglia del giorno prima, proprio quando il suo Chat Noir era stato messo fuori gioco: doveva prendere quel fatto come il primo di una serie di eventi fortunati. Era o non era la portatrice della Fortuna e della Creazione? Si sforzò di sorridere.

“Adrien resterà sempre accanto a me”, si disse guardandosi allo specchio. Gli occhi erano di un colore più cupo del solito, incorniciati da due ombre grigie che svelavano la carenza di sonno, i capelli ancora arruffati e le labbra, nonostante la forza di volontà, piegate all’ingiù. Una lacrima scivolò sulla sua guancia: il triste presagio che qualcosa si fosse spezzato e tutto fosse prematuramente prossimo alla fine le toglieva il respiro, nonostante i suoi sforzi per convincersi che tutto stesse andando bene. Marinette tirò su col naso, si asciugò gli occhi con il dorso di una mano e lavò via sotto l’acqua fredda quel momentaneo attimo di privata debolezza.

Doveva andare bene.

Attese fino alle sette e mezzo cincischiando nel legarsi i capelli e vestendosi svogliatamente, quindi inviò al suo ragazzo un messaggio su Whatsapp: “Come stai? Devo parlarti, dobbiamo fissare per andare insieme da chi ti ho detto ieri sera. Ti amo”

Osservò il display del cellulare finché non si spense automaticamente e, lasciandosi andare ad un tetro sospiro, si alzò e iniziò a preparare lo zaino per la scuola, sforzandosi di non pensare.

Sapeva bene però che Adrien non le avrebbe risposto; strinse i denti, si scambiò un’occhiata eloquente con Tikki, mentre la faceva entrare mogia mogia nella sua borsetta, e scese giù.


Anche quel giorno, se lo sentiva, sarebbe stata sola.




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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - Partita a scacchi (Sei anni prima) ***



Capitolo 25 - Partita a scacchi (Sei anni prima)





Da che aveva memoria, Adrien non era mai entrato nella camera di suo padre prima che lui si fosse alzato. Non lo aveva mai disturbato nella sua privacy, neanche quando c’era la mamma che, da piccolo, lo chiamava nelle pigre mattine delle domeniche inondate di sole per andare a fare le coccole con lei nel lettone.

Mai.

Era sempre rimasto sulla soglia di quella stanza, fino a quella mattina.

Bussò due volte, perché, nonostante tutto, non poteva dimenticare la sua educazione in nessun caso, ma poi abbassò la maniglia ed entrò.

Era buio, ma dal bagno adiacente era evidente lo scrosciare dell’acqua nel lavandino. Si avvicinò e, di nuovo, bussò con le nocche sulla porta socchiusa. Gabriel si voltò di scatto, indignato per quell’intrusione.



-Chi diavolo si permette di-

-Sono io, dobbiamo parlare-, Adrien non aveva atteso il permesso per entrare nella stanza da bagno del padre e lo aveva colto ancora in procinto di prepararsi: Gabriel Agreste era davanti a lui con un affilatissimo rasoio a mano libera nella destra e parte del volto coperto di chiazze di schiuma nivea; indossava i pantaloni lunghi di un pigiama di seta scura ed era scalzo.

Adrien notò per la prima volta una lunga cicatrice perlescente che attraversava in tralice tutto il torace del padre: non l’aveva mai visto così umano e reale davanti a sé, prima di allora. Gabriel aveva muscoli ben definiti e, solo in quel momento, Adrien si rese conto di quanto suo padre fosse ancora giovane e prestante.

-Le tue conversazioni non potevano attendere che io scendessi per la colazione?-, domandò questi al figlio, palesemente stizzito, pulendosi il viso con un asciugamano e lasciando cadere il rasoio nel lavandino.

-No, stavolta no-, rispose Adrien, notando che, senza abiti, la spilla che gli permetteva di trasformarsi il Papillon non poteva essere lì con lui. Era fortunato a indossare un anello, se lo avesse mai recuperato.

Il guizzo dello sguardo grigio dell’uomo attirò l’attenzione del giovane verso un indossatore di acciaio su cui erano stati sistemati gli abiti che avrebbe vestito quel giorno: lì accanto, sulla toilette laccata, ecco la piccola spilla viola con le ali bianche, vicina ad una cravatta perfettamente stirata.

-Ad armi pari-, Adrien si avvicinò al padre e ficcò i suoi occhi in quelli del genitore, allungando una mano come fosse una barriera tra l’uomo e il suo Miraculous, -Voglio parlarti ad armi pari.-

Gabriel deglutì e, irrigidendosi, incrociò le braccia al petto; -Sentiamo-, concesse al figlio schioccando la lingua sul palato, indispettito, -Ma dobbiamo parlare proprio in bagno?-, aggiunse visibilmente irritato da quella inusuale trasgressione al suo protocollo fatto di eleganza e regole ferree.

-In bagno-, Adrien era di poche parole, ma il fuoco che ardeva nel suo sguardo bastò a Gabriel per non obiettare ulteriormente.

-Se sei venuto perché vuoi indietro il tuo anello sappi che-

-Sta’ zitto. Per una volta nella tua vita sta’ zitto e ascolta me-, lo fermò prima che le parole del padre potessero fargli cambiare idea.

-Parla allora.-

Adrien trasse un profondo respiro: doveva usare tutta la persuasione, di cui non aveva mai potuto sperimentare il valore su suo padre, per convincerlo ad ascoltare il suo piano.

-Io so perché tu vuoi il Miraculous di Ladybug e perché hai preso il mio-, prima che l’uomo lo interrompesse con una delle sue frasi, si affrettò a proseguire, -Ma non è una buona idea-.

Gabriel abbozzò un sorriso sarcastico, ma non ebbe modo di proseguire il suo discorso.

-Chi esprimerà il desiderio di riportare qua mamma, morirà.-

Le pupille di Gabriel si dilatarano come unico segnale dello sforzo fatto dall’uomo per non dare segni di reazione alle parole di Adrien.

-Lo sapevi?-, domandò il ragazzo spostando il peso da un piede all’altro. Il rasoio si mosse nel lavabo, scivolando sulla sottile patina di schiuma che colava dalla lama.

-E lo sapevi che a morire potrebbe essere anche qualcun altro, non necessariamente chi attiva l’incantesimo?-, incalzò Adrien, attingendo a un coraggio che non supponeva di avere, -Presumibilmente una persona che desideri più del portatore stesso che quel miracolo avvenga.-

Gabriel deglutì e serrò le mascelle, ma non aprì bocca.

-Io lo voglio da morire, papà. Io voglio da morire che la mamma torni da noi. Da morire.-

L’aveva detto: aveva lanciato la bomba e doveva solo aspettare che suo padre la lasciasse deflagrare. Picchiò un pugno sul marmo del mobile del bagno, facendo scivolare ancora il rasoio che arrestò la sua caduta incastrandosi sull’orlo dello scarico.

Lui era quel rasoio: sull’orlo del precipizio, in bilico tra riuscire a salvare la sua famiglia e la sua amata Marinette e lo sprofondare graffiando con la sua lama pericolosa il cuore di chi non meritava di soffrire. Lui era la lama: poteva colpire suo padre in un milione di modi, ma il più facile era quello di morire per le sue colpe; poteva straziare Marinette in un altro milione di modi, ma il più facile era quello di sparire, lasciandola sola e senza una spiegazione. Giù per lo scarico, fine. Se riusciva a non colpire l’uno, avrebbe ferito l’altra, e viceversa.

Il suo compito era quello di evitare entrambe quelle due sventurate ipotesi, a costo di affondare con la lama nel suo stesso cuore e farne brandelli. In ogni caso il sipario sarebbe calato su di lui e Chat Noir. Si concentrò e riprese a parlare.

-E morirei davvero se tu avessi entrambi i Miraculous, perché che li usassi io, che fossi tu, o che fosse qualcun altro, credo che nessuno più di me possa volere che la mamma torni.-

Gabriel aggrottò le sopracciglia, nella sua testa i pensieri, le congetture e i ragionamenti che aveva costruito in anni e anni di ricerche stavano lentamente smantellandosi per lasciare spazio ad un vuoto pneumatico. Fino ad allora il discorso era stato lineare: prendere i due Miraculous, fare l’incantesimo e “riportare viva da lui” Emilie e dopo cancellare per sempre dalla loro vita quei maledetti talismani che a conti fatti avevano portato solo sventura alla loro famiglia. A quel punto, se le parole del figlio erano vere, doveva rivedere i suoi piani...

Adrien realizzò che aveva poco tempo prima che nuove idee balsane si impossessassero della mente contorta di Papillon e Marinette fosse di nuovo sulla lista per il sacrificio.

-Se la mamma tornasse, se io morissi, se tu morissi per farla tornare… che senso avrebbe?-, Adrien allungò una mano verso il padre, fino quasi a sfiorare il petto sfigurato: -Che senso avrebbero tutte le nostre battaglie, tutto l’odio e tutte le speranze? Che senso avrebbe tutto questo?-

Gabriel si voltò di scatto serrando i pugni, di nuovo uno sguardo fulmineo al suo Miraculous posato sulla consolle accanto a loro. Gli tornò per un istante in mente il titolo di una canzone che, anni prima, quando erano solo due innamorati felici, Emilie cantava di continuo: Stuck in a moment you can’t get out of. Anche lui era bloccato in quell’istante: bloccato senza sapere da che parte scappare. Doveva bluffare e colpire nei punti deboli di Adrien per capire se anche lui stesse bluffando.

-Come sei arrivato a queste melodrammatiche conclusioni?-, domandò sibillinamente al figlio, - È una tua idea o te l'ha messa in testa quella tua amica?-



Marinette.



Papillon aveva volato sul fiore più prezioso, non era valso a nulla far concentrarel’interesse del padre sulla sua sorte in caso chiunque avesse attivato l’incantesimo.


Marinette.


-Non nominarla nemmeno-, si adirò il ragazzo, sentendo il sangue salire alla testa. Stava facendo tutto per proteggere quella ragazza e non avrebbe permesso che suo padre riportasse il discorso su di lei. Marinette non era e non sarebbe stata la vittima sacrificale dell’ingordigia e della stupidità terrena di suo padre. Lui non conosceva i rischi reali, non sapeva niente di quel che era importante conoscere.

-Credi che io sia troppo giovane o stupido per poter conoscere da solo qualcosa in più di te sui Miraculous?-, insinuò il ragazzo.

L'uomo si voltò nuovamente verso il figlio, sul viso aveva dipinta una maschera di sarcasmo: - In realtà… sì. Anzi, mi meraviglio di come tu possa essere così sciocco e avventato da osare venire a sfidarmi sapendo di non avere più l'aiuto del tuo Miraculous-, le parole di Gabriel erano velenose, ma da esse traspirava il dubbio strisciante che quello che aveva appena saputo potesse essere vero.

Adrien non lasciò che la provocazione lo sfiorasse, attese un istante sforzandosi di calmarsi e inspirò.

-Non sto sfidandoti, ma cercando di farti ragionare: se userai un potere così forte, in ogni caso resterai sconfitto. Sono qua per metterti in guardia da un errore del quale potresti pentirti per sempre.-

Gabriel alzò gli occhi al cielo: quel ragazzo stava crescendo e lui non se n’era mai reso conto. Adrien parlava con logica: lui doveva destabilizzarlo, minare la sua sicurezza e impossessarsi da solo della verità. -Sono menzogne-, azzardò quindi, -Cosa ne sai tu del vero potere dei Miraculous?-, si avvicinò al ragazzo, l’espressione di nuovo cangiata suo figlio doveva rimettersi al proprio posto.

Adrien vacillò per un istante, rendendosi conto di avere Papillon avanti a sé che lo incalzava: quello non era più suo padre, anche se non c’erano maschere a celarne i tratti.

-Stai cercando di farmi deviare dal mio scopo ultimo, credi che non sia chiaro? Non hai più il tuo anellino e non sai come proteggere la tua bella, quindi hai inventato queste frottole per combattermi senza dover combattere davvero. Ma tutto ciò è sciocco: nonostante ciò, mi congratulo con te per essere arrivato alla conclusione di quale sia lo scopo dei Miraculous che sto cercando, ma ti consiglio di non fare l’errore di sottovalutarmi, Adrien-, allungò rapido una mano alla consolle e afferrò la piccola spilla viola. Avrebbe vinto lui, usando le stesse armi del figlio.

Per un istante Adrien sentì il suo cuore fermarsi. Non erano più ad armi pari, ma qualcosa non andò come pensava.

-Sai che me ne posso fare di questo?-, Gabriel alzò il pugno in cui teneva stretta la spilla davanti al volto del figlio, quasi volesse colpirlo; -Eh lo sai Adrien?-, tuonò. Il braccio teso fremette, poi lo abbassò.

-Nulla. Non ci farei nulla con il potere della Farfalla, se non stessi vivendo da più di dieci anni in un incubo del quale tu non sai niente!-, la sua voce divenne bassa, lo sguardo spento si fermò su un punto inesistente in basso, davanti a sé.

Adrien rimase interdetto, senza capire le parole del padre: non si era trasformato in Papillon per combatterlo, aveva anzi fatto l’opposto. A che gioco intendeva giocare Gabriel Agreste? Il ragazzopercepì nitida la sensazione del terreno che si iniziava a sgretolare sotto ai suoi piedi, togliendogli l’appoggio, la sicurezza del contesto: chi aveva davanti? Papillon o Gabriel?

-La mia vita si è fermata quando questa spilla è comparsa, e con essa quella del Pavone: credevo di poter avere un potere eccezionale e invece non ho niente. -, riprese il padre, -Non ho più niente! Perché queste due spille mi hanno portato via tua madre e mi hanno lasciato solo con i miei rimorsi e le mie colpe. Credi che non lo sappia? Credi che non me ne renda conto di cosa è Papillon? Credi che non sia consapevole di essere stato un pessimo genitore, per te?-, Gabriel scosse la testa, senza staccare gli occhi dall’abisso che c’era tra lui e suo figlio. -Ma è solo con il potere di Papillon che posso ritrovare la mia Emilie e non sarete né tu, né la tua amichetta, né le tue storielle inventate a farmi desistere dal mio scopo.Perché se sono ancora in vita, se non mi sono lasciato morire in quel giorno d’autunno quando Emilie non tornò più a casa, se ho continuato a vivere e a costruire un futuro per te è solo perché ho uno scopo che non abbandonerò mai!-

Sollevò repentinamente lo sguardo e schioccò al figlio la più velenosa delle occhiate: -Se solo avessi saputo prima che eri proprio tu Chat Noir! Sono stato io, lo sciocco, avrei risparmiato tempo! Tempo che avrei potuto dedicare a cercare mia moglie invece che combattere contro un ridicolo supereroe incapace di essere al mio pari-, di nuovo il mostro stava prendendo il sopravvento sull’uomo. Adrien comprese che doveva impegnarsi con tutta la sua volontà per non mandare all’aria il suo piano: davanti aveva un muro e non sarebbe stato facile abbatterlo.

-La mamma è morta-, disse semplicemente, sforzandosi di non cedere al tentativo di destabilizzarlo perpetrato dal padre.

-Tua madre non è morta!-, esplose Gabriel, perdendo ogni rimasuglio di eleganza che ancora aveva, schizzando goccioline di saliva davanti a sé, con gli occhi spalancati, -Non è morta…-

Adrien serrò gli occhi, immaginando che sarebbe stato colpito da uno schiaffo o qualcosa del genere, ma non accadde. Quello che invece osservò con costernazione fu qualcosa che non aveva previsto e che lo ferì più di ogni altro colpo il genitore avrebbe potuto infliggergli: Gabriel si lasciò scivolare a terra, come un sacco vuoto, con lo sguardo basso e lasciò che il peso delle sofferenze e del tempo caricasse e incurvasse le sue spalle. Una mano rimasta mollemente appoggiata al bordo del mobile accanto a cui si trovava, le dita rivolte al rasoio, l’altra semi aperta con il dorso a terra. Il Miraculous della farfalla scintillava in quel palmo. Sollevò lo sguardo su Adrien per un istante, tornando poi a guardare il nulla avanti a sé.

In quell’attimo, e per un attimo lungo come il ricordo di un bambino, Adrien rivide suo padre. Rivide il giovane stilista affranto che fissava un foglio bianco alla debole luce della scrivania della sua camera, mentre cercava di addormentarlo nelle notti in cui gli incubi di un bambino lasciato solo tornavano a dilaniarlo. Rivide l’uomo stanco che osservava il portone di casa chiudersi alle spalle della donna che amava, ogni volta che lei andava via.

Rivide la sofferenza che in breve tempo egli aveva imparato a mascherare da superbia e scontrosità. Rivide il Gabriel Agreste che ogni giorno osservava ritratto nel quadro in cima alle scale e sentì male all’anima. Nessuno doveva mettere a repentaglio la sua vita per quella folle ricerca, nessuno avrebbe rischiato di patire ancora.

-Se non è morta, allora noi la troveremo-, gli disse, accovacciandosi vicino al padre mentre posava la mano sulla spalla nuda dell’uomo. La sua pelle era fredda, Adrien afferrò l’accappatoio dal gancio sul muro accanto a sé e coprì il padre, invitandolo ad alzarsi.

-Forse sono a conoscenza di alcune cose sui Miraculous che tu non sai-, iniziò quando Gabriel si fu ricomposto ed ebbe inforcato gli occhiali.

-Spostiamoci di là-, propose e osservò che l’uomo, uscendo dalla stanza, posò la piccola spilla che gli donava il potere dove stava quella mattina.




Avrebbe vinto ad armi pari.




La camera da letto era ancora nella penombra, mentre fuori la luce era ormai completa e dalle tende filtrava insinuandosi nella stanza. Gabriel andò ad aprirne una, tirando verso destra il pesante drappo di velluto e fece cenno al figlio di sedersi su una delle due poltrone poste su di un lato della stanza, sistemate come un piccolo salotto.

Adrien sentiva di aver conquistato la fiducia e l’attenzione del padre, gli rimaneva solo la parte più complicata: convincerlo che il suo fosse il piano vincente per ritrovare la madre e contestualmente mettere al sicuro Marinette, facendo sì che Papillon non tornasse mai più ad attaccare Parigi e che non fosse necessario ricorrere all’uso congiunto dei due Miraculous.

Facilissimo.

Avrebbe dovuto essere prudente e non sprecare quell’unica, miracolosa occasione che aveva avuto in vita sua di farsi ascoltare dal padre.

Gabriel, chiamando la colazione dall’interfono, un attimo prima di sedersi accanto ad Adrien, provò a giocare le sue ultime carte. Era sempre stato bravo a bluffare, a manipolare e a vincere; quella volta non avrebbe fatto eccezione, nonostante l’avversario fosse chi di più caro aveva accanto.

-In due anni i miei ricercatori non sono riusciti a trovare Emilie da nessuna parte nel mondo. Le ricerche si sono concentrate più che altro in Tibet e nell’Asia centrale: il motivo penso che lo comprenderai da solo, figliolo. Eppure io so che lei è viva anche se non l’hanno trovata ancora. Io voglio i Miraculous per farmi dire il luogo esatto dove si trova e riportarla a casa.-

Era solo questione di dettagli: farsi dire il luogo esatto per trovarla non significava riportarla in vita. Nessun rischio, quindi, perché Adrien avrebbe potuto impedirgli questa ricerca?

Difatti il ragazzo annuì restando in silenzio. In realtà stava cercando il modo più convincente per parlare a suo padre, ma fu anticipato: -Spero che, alla luce di questo, il giudizio che tu hai sull’operato del mio alter ego possa ammorbidirsi…- Gabriel aveva uno sguardo a metà tra il fiducioso e il lusinghiero, pensò Adrien, forse avrebbe compreso quello che gli stava per dire.

-Io credo che… D’accordo, tu cerchi la mamma… ma… Il fine non giustifica i mezzi, padre! Non può giustificare i mezzi che hai usato tu, akumizzando tanti innocenti e mettendo a repentaglio la vita di altre persone che hanno come noi una famiglia, speranze, futuro-, Adrien si morse la lingua nello stesso momento in cui parlò, ed ebbe la conferma del passo falso che stava facendo quando vide lo sguardo del padre farsi più sottile.

-Quella gente non ha riportato nessuna conseguenza. Ma se tu sceglierai di unirti a me come Chat Noir riavrai il tuo Miraculous e potrai prendere quello di Ladybug senza più usare i… mezzi usati da Papillon. Non ci saranno più akumizzati, nessuna paura per le strade di Parigi, nessun rischio per la gente comune-, Gabriel allungò una mano verso il figlio senza staccare gli occhi da quelli verdi del ragazzo, che gli ricordavano ogni volta quelli della moglie, -E quando avremo tutti e due i Miraculous e Parigi sarà libera da ogni malvagità, decideremo come usarli. E insieme a tutti gli abitanti di Parigi, anche la tua Marinette rimarrà al sicuro, per sempre-

Adrien vacillò: Marinette rimarrà al sicuro. Non aveva vagliato questa ipotesi mentre costruiva il suo piano. In effetti poteva sottrarre lui stesso il Miraculous alla ragazza ed evitare che fosse ancora messa in situazioni di pericolo, salvo il pericolo primario che avrebbe potuto essere se fosse stata lei a usare i due Miraculous insieme. Ma se non avesse più avuto gli orecchini, effettivamente, quel pericolo sarebbe stato ridotto e...

-Potremmo provare a localizzare la mamma: cercheremo il mezzo meno rischioso per evocare quel potere che vai dicendo essere così pericoloso e… vedrai che la troveremo, Adrien-, fu un lampo nello sguardo che lo tradì e mostrò ad Adrien quale fosse la reale motivazione per quella adulante richiesta.

Ecco quello che voleva: liberarsi del grande nemico Ladybug per poter usare indiscriminatamente i Miraculous nonostante tutto: Gabriel non aveva creduto ad una sola parola di quelle che lui gli aveva spiegato fino ad allora! E allora chi avrebbe protetto Marinette, se fosse rimasta senza i suoi poteri? Avrebbe combattuto anche senza di essi, la conosceva. In un modo o nell’altro la ragazza avrebbe messo in pericolo la sua vita ancora per colpa di suo padre. Doveva fermarlo, abbatterlo, renderlo innocuo.

-La mamma è morta invece, e usare i Miraculous come vorresti fare tu ha un prezzo troppo alto da pagare, per tutti-, si oppose stringendo tra le mani i braccioli della poltrona, doveva restare fermo nella sua volontà, ma calmo, o non ne sarebbe uscito.

-Ti sbagli-

-Puoi essere tu a sbagliarti-

-Io non mi sbaglio mai-

Adrien si mosse di scatto lasciandosi andare ad una risata spontanea e rumorosa; -Tu non sbagli mai? Ma se proprio tu, il grande Papillon hai dovuto attendere che il mio Miraculous ti piovesse letteralmente tra le mani, perché non sei stato in grado di prenderlo diversamente? E non lo hai fatto neanche da solo, ma solo grazie all’aiuto che ti ha dato Nathalie! Tu che non sbagli mai!? Tu che mi hai trattato sempre come un malato da tenere nascosto, come un asociale da mostrare solo per tornaconto della tua Maison! Papà, non renderti più ridicolo di quanto già tu non appaia ai miei occhi!-, la frittata si era automaticamente rigirata.

-Non ti permetto di rivolgerti così a me!-, eccolo lì il buon vecchio Gabriel Agreste!

Adrien passò all’attacco, al diavolo i buoni propositi!, alzandosi in piedi e gesticolando davanti al padre, che ormai era più in basso di lui: -Così come? Dicendo la verità? Pensaci: c’è un solo modo per accertare che la mamma non sia morta e tu non sei riuscito a metterlo in pratica. Non l’hai trovata, perché hai sempre sbagliato il modo in cui cercarla! Perché non sei stato tu in persona a farlo, ma gente che hai comprato come compri ogni cosa nella tua esistenza-, scosse la testa e si diresse come una furia verso il bagno: avrebbe preso il Miraculous di Papillon così come lui aveva preso il suo e allora sarebbero stati davvero ad armi pari.


L’arrivo della cameriera con la colazione interruppe la corsa di Adrien verso la spilla; il ragazzo si bloccò con una mano sulla maniglia della porta della stanza da bagno e, nascosto nel cono d’ombra in cui si era trovato, osservò la domestica posare sul piccolo tavolino in radica un vassoio d’argento con sopra due bricchi fumanti, due tazze e alcuni dolci. Giselle uscì silenziosamente come era arrivata.

-Non farlo-, disse semplicemente Gabriel senza alzarsi dal suo posto, conscio di quel che ronzava nella testa del figlio. Adrien si fermò e prese aria: aveva ragione suo padre: non poteva farlo, non poteva diventare lui stesso Papillon.


Io ho sempre ragione…


Non era con la guerra che avrebbe riportato la pace nella sua vita: Adrien aveva solo quindici anni, ma sapeva bene come voleva che andassero le cose, indipendentemente da quale fosse stata la via più breve. Doveva immediatamente tornare a seguire il suo piano e iniziò dal tornare a sedersi da dove si era alzato. Far ragionare Papillon, ecco quello che era il suo unico scopo. Far breccia in quella muraglia di granito che era la volontà di suo padre.

Gariel era un uomo sempre attento alle novità, pronto e curioso, avrebbe fatto leva su quello.

Adroien riprese la sua arringa: -Ho parlato con il guardiano dei Miraculous e…-

-Il “guardiano dei Miraculous”?-

Bingo.

L’attenzione di Gabriel era stata totalmente calamitata, a quel punto. L’uomo posò la tazza e si sporse in avanti verso il figlio. Adrien doveva essere furbo per non mettere in pericolo anche Maestro Fu; c’era già abbastanza carne al fuoco per versarvi benzina sopra.

-Sì, il “guardiano dei Miraculous”: è una persona, è vera, è innocua e no, non è il caso di metterti a cercarlo perché non avrebbe nulla per te, se non un po’ di saggezza da donarti. Ad ogni modo… La cosa importante non è questa, quanto ciò che mi ha detto e che conosce bene, perché lo ha già visto accadere: chiunque evocasse il potere congiunto dei Miraculous della Creazione e della Distruzione avrebbe il cinquanta per cento di probabilità di rintracciare la mamma, che tu credi fermamente viva, ma anche il cinquanta per cento di probabilità di morire, riportando indietro dalla morte lei. E ci sono solo due persone così coinvolte in questa storia che, per ripristinare l’equilibrio, potrebbero perdere in cambio la loro vita: o tu o io.-

L’attimo di silenzio che seguì parve ad entrambi eterno. Fu il più grande tra i due Agreste a sbloccare l’empasse, con un nuovo colpo di coda.

-Potrebbe morire chi li evoca....-, insinuò Gabriel, versandosi del caffè.

-O tu, o io-, ribadì il figlio, battendo due volte di taglio la mano sul bracciolo della poltrona a ribadire il concetto. Il padre non lo stava guardando, la sua mente era già a lavoro pensando a come sfruttare la nuova informazione, se solo avesse saputo maggiori dettagli.

-Parlami di questo “Guardiano dei Miraculous”...-, disse dopo un po’, riportando la tazza alle labbra e soffiandoci dentro. Adrien strinse i denti.

-Parlami di cosa ne pensi di questi fatti che ti ho appena spiegato, perché sono fatti-, lo incalzò Adrien, iniziando a vacillare nel suo intento, stanco di andare a sbattere contro un muro di gomma.

Gabriel fece spallucce e bevve un sorso, quando allontanò la tazza dal volto aveva le sopracciglia alzate e la bocca stretta. Avrebbe vinto lui, ne era sicuro.

-So molte cose sui Miraculous, per questo posso affermare che stai bluffando per salvare nel tuo classico modo pacifista la tua fidanzata Marinette Dupain-Cheng, meglio conosciuta come Ladybug-, quella risposta mise per un attimo KO la volontà di Adrien, che non riuscì a trovare una replica.

-Per esempio, so che con il Miraculous del Pavone posso ottenere dagli altri che obbediscano alla mia volontà-, continuò allora lo stilista, -Come sta accadendo in questo momento, mentre tu e io stiamo qua chiusi in casa a sorseggiare caffè e intanto i due fantomatici e pericolosissimi Miraculous della Creazione e Distruzione vengono congiuntamente attivati da… ops, proprio dalla cara Ladybug! Quindi, secondo te, stiamo per morire, Adrien? O tu o io?-, stirò le labbra nel più vile dei sorrisi e bevve un altro sorso, lasciando nello sgomento Adrien, -Allora è bene che mi affretti a finire il tè.-


Nathalie! Che fosse stato tutto un bluff, il suo? Che fosse davvero solo la complice di Papillon e che lo avesse preso in giro per tutta la notte precedente? Un brivido di terrore scivolò lunga la schiena di Adrien, graffiando la sua anima con la più pura delle paure. Lui non aveva l’anello e nemmeno suo padre lo portava al dito… quello che aveva appena detto poteva avere un senso! Nathalie, sua complice, con il suo potere e l’anello avrebbe potuto verosimilmente convincere Marinette a...

Si alzò nuovamente di scatto dalla sua poltrona dirigendosi come una furia verso la porta della stanza: doveva fermare quello che stava succedendo là fuori, doveva salvare Marinette e impedire che fosse soggiogata da Le Plume Bleu.


-Fermati-, la voce di Gabriel era pacata, ma l’autorità che esercitava sul figlio non mancava, -Nathalie in questo momento non sta controllando la mente della povera Marinette, che non sta facendo un bel niente, se non seguire la lezione a scuola-, rivelò semplicemente, ostentando la soddisfazione del vincitore. -Sono io che sto controllando la tua mente e senza alcun artificio magico.-

Adrien si voltò lentamente verso l’uomo: si era fatto prendere in giro come un pivello. Aveva creduto a quel piano perfettamente malvagio e così logico, si era scoperto definitivamente su quelle fosse la maggiore delle sue paure: perdere Marinette. Ormai aveva dato vinta la partita al padre senza neanche rendersene conto, succube delle sue manipolazioni come sempre era stato.

In silenzio tornò sui suoi passi, ma non si sedette subito.

-Come vedi, alla fine vinco io, con o senza orecchini...-, aggiunse Gabriel, coprendo il sorriso sorto sulle sue labbra con la tazza e sentendosi d’un tratto più rilassato.

-Li prenderò io quegli orecchini-, disse Adrien guardandolo dall’alto in basso: la sua voce era salda non meno dello sguardo immobile in quello del padre, sul cui volto non tardò a mostrarsi una leggera espressione meravigliata e perfida, che subito sbiadì.

-Se come hai appena ammesso non li ha Nathalie, li prenderò io, ed eseguirò io stesso il rituale magico: ho il cinquanta per cento di probabilità di farcela e riportare la mamma a casa-, non era mai stato così sicuro di quello che stava proponendo, nonostante i ragionamenti logici che aveva concluso poche ore prima nello studio di Fu, -E il cinquanta per cento di morire, perché tu ti ostini a non capire la reale situazione ed evidentemente hai bisogno di prove tangibili.-


Scacco al Re.


Il ragazzo non aggiunse altro, si voltò ed uscì dalla stanza, quella volta per davvero, deciso a portare a termine il suo piano senza l’aiuto di Papillon.

I passi affrettati di Gabriel non tardarono a raggiungerlo, un attimo dopo la voce tonante del padre andò strozzandosi e svanì nel corridoio tetro del palazzo.

-Fermati!-, gli urlò contro, ma Adrien non lo ascoltò e compose immediatamente il numero di telefono di Nathalie.



-E’ iniziato. Gioca le tue mosse. Mi fido di te-, le disse solamente.





Ognuno avrebbe preso il Miraculous della persona che amava. Lo avrebbero fatto quella sera stessa, senza aspettare troppo tempo: si sarebbe concesso solo il tempo di un ultimo addio. Sovrappensiero Adrien salì sull’auto e ordinò spiccio all’autista che lo portasse al 18 di Rue du Dragon. Da lì sarebbe immediatamente corso a scuola.

Quattro posti erano già stati riservati nella first class del primo volo per Shangai. I bagagli glieli avrebbero spediti nei giorni successivi.

Il sole di maggio era già caldo e Adrien, scendendo dall’auto posteggiata davanti alla scalinata dell’Istituto, sapeva che stava facendo la scelta giusta.






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Capitolo 26
*** Capitolo 26 - Non è un addio (Sei anni prima ***


“La signorina Marinette Dupain-Cheng è desiderata in presidenza con la massima urgenza”


Il messaggio passato sull’altoparlante nel corridoio lasciò tutti di stucco. La Signorina Bustier interruppe la sua spiegazione e spostò lo sguardo sulla sua alunna preferita che, inevitabilmente, era impallidita: gli occhi azzurri terrorizzati sembravano enormi su quel piccolo viso triste e stanco.

-Vai-, disse semplicemente la professoressa, mentre nell’aula era calato il silenzio: era molto infrequente che venissero trasmessi messaggi di quel genere e le rarissime volte che era accaduto non era mai stato per qualcosa di buono.

Alya strinse la mano dell’amica mentre scivolava silenziosa via dal suo banco: perfino Chloé Bourgeois rimase zitta, esterrefatta per quella situazione decisamente inusuale.


Marinette chiuse silenziosamente la porta alle sue spalle e iniziò a correre con il cuore in gola, domandandosi cosa stesse accadendo e perché proprio lei, che era la paladina della giustizia a Parigi, si stesse trovando in quella situazione.

-Stai tranquilla, Marinette, vedrai che non è nulla di grave-, pigolò Tikki, facendo capolino dalla sua borsetta.

-Tikki ha ragione, tranquilla, Marinette!-

Più che le parole, più che la voce, furono le mani calde che la trattennero dalla vita in un rapidissimo abbraccio rubato, che fecero tremare Marinette di una paura e al contempo di una felicità estrema, tanto che si lasciò andare a un pianto rumoroso, con la testa affondata nel petto di Adrien.

-Signorina Dupain-Cheng, si tranquillizzi…-, udendo la voce del Preside Damocles che si stava avvicinando, Marinette alzò gli occhi e si costrinse a tornare forzatamente alla realtà: -Ho usato l’interfono per chiamarla perché mi sembrava che l’urgenza del Signor Agreste nel parlare il prima possibile con lei, fosse ben motivata…-, l’uomo incrociò le mani dietro alla schiena e attese che Adrien si spiegasse.

-Aehm… mio padre ha fissato un’intervista esclusiva con Nadja Chamack tra mezzora nel suo studio televisivo… L’intervista… Dai, Marinette, ce ne aveva parlato…-, Adrien spalancò gli occhi sperando che la ragazza, sebbene frastornata, gli reggesse il piano, del quale lei non sapeva nulla.

-Ah… Ah! Ma certo! L’intervista! Come dimenticarsene!-, stirò le labbra in un sorriso forzato verso Damocles e sperò che Adrien continuasse per lei.

-Se può scusarci, Monsieur Damocles, la mia auto è già qua: non vorremo fare aspettare la Signora Chamack, giusto?-, Adrien prese Marinette per le spalle, spingendo lievemente perché la ragazza iniziasse a camminare.

Damocles rimase per un istante interdetto, poi scosse il suo testone canuto e comprese: -Certamente Signor Agreste: mi raccomando, fate presente alla tivù che la nostra scuola ha subito ingenti danni e che… mi capisce… non è giusto che sia solo suo padre a impegnarsi per la ristrutturazione come mi ha appena annunciato…-, allungò le mani avanti a sé, agitandole per cancellare le ultime parole dette: -Non che non sia un gesto di infinita gentilezza da parte di suo padre, non mi fraintenda! Tutti noi siamo infinitamente riconoscenti per la impareggiabile proposta che mi ha appena riferito, ma…-

-... vuole che si sappia che la scuola è stata presa di mira da un akumizzato, che non c’entra niente, che è parte lesa e che anche il Ministero deve fare la sua parte come minimo segno di indennizzo per tutti i disagi occorsi-, completò per lui Adrien.

Damocles serrò la bocca e annuì vigorosamente, sull’attenti: -Esattamente!-, disse solamente, lasciando sfilare davanti a sé i due giovani e guardandoli sparire oltre il portone della scuola. Non era da lui consentire che una minorenne lasciasse senza opportuna autorizzazione della famiglia l’edificio, ma… c’era la tivù, la Chamack… e Adrien Agreste era senza dubbio un ragazzo molto, molto affidabile.



-Che sta succedendo???-, domandò Marinette tirando per una mano il suo ragazzo, una volta che ebbero chiuso dietro di loro la porta dell’edificio. Era tutto così strano, esigeva una spiegazione, o almeno sperava di averla… Esigeva anche un bacio, quello sì, ma la tristezza nel suo animo sapeva che era finito il tempo dei baci.

-Taaa Daaan!-, esclamò Adrien, mostrando rapidamente la sua mano destra alla ragazza: sul dito anulare faceva di nuovo mostra di sé uno scintillante anello argentato. Marinette strinse la mano del ragazzo tra le sue, portandola al petto: -L’hai riavuto!? Come hai fatto!-, era emozionata, tanto che Adrien poteva sentire attraverso la stoffa il cuore che le batteva furiosamente.

Il ragazzo portò la mano alla nuca, alzando lo sguardo verso destra: -Beh, alla fine sono suo figlio… E’ bastato chiederglielo civilmente…-, sciorinò velocemente.

Marinette aggrottò per un attimo le sopracciglia, vagamente perplessa.

-Hai affrontato da solo Papillon?-, domandò liberando la mano di Adrien, -Un’altra volta?-, esasperata sul punto di scoppiare, si voltò di spalle al ragazzo.

-Non l’ho affrontato, gli ho semplicemente parlato-, le disse lui, posandole una mano sulla spalla con tono addolcito e di colpo serio; -E adesso vorrei parlare a te…-, confidò mentre Marinette si voltava verso di lui, di nuovo con il cuore in gola.

-Andiamo sulla nostra panchina-, le disse abbozzando un dolce sorriso e la prese per mano, facendo cenno all’autista che poteva andare via, mentre passarono davanti all’auto di famiglia Agreste.


In quei pochi minuti che trascorsero prima di giungere al giardino vicino alla scuola, dove si erano scambiati le prime vere promesse d’amore e dove si erano ritrovati al termine della furiosa battaglia contro Nathaniel, entrambi rimasero in silenzio. Adrien stava pensando alle parole migliori per far accettare alla ragazza la sua decisione, Marinette invece aveva una paura matta che tutto stesse per finire. In un attimo, in una bugia, in qualcosa di inspiegabile e troppo, troppo atroce.

Le ci vollero pochi minuti per comprendere che le sue paranoie erano reali.

-Ho convinto mio padre a lasciar perdere la caccia al tuo Miraculous-, esordì il giovane, sedendosi a cavalcioni della panchina di pietra, vicino a lei, -Lui… mi ha spiegato il vero motivo della sua ricerca e io non posso che comprenderlo-, ammise abbassando lo sguardo.

-E quindi?-, domandò Marinette, sentendo la voce uscire dalla sua bocca fin troppo nitida e cristallina, in netto contrasto con la tempesta che stava agitando il suo cuore. Papillon l’aveva irretito, ecco quello che era successo davvero, mentre lei dormiva, andava a scuola, viveva una vita normale! Maledizione… Lei era Ladybug, doveva proteggere la sua città e quelli che amava, non dormire e fare la brava ragazza!

-E quindi… Il libro: te lo ricordi il libro di mio padre?-, chiese Adrien mostrando un palmo verso l’alto, Marinette si sentì avvampare: come faceva Adrien a sapere che lei sapeva del libro di suo padre?

-Lo so che avevi dubbi sulla sua identità già da tempo, credi che non ricordi il nostro scontro con Il Collezionista? Io e Plagg parliamo, e Plagg parla anche con Tikki… Insomma, il libro…-

Era inutile fingere di cadere dalle nuvole a quel punto, Marinette annuì, il ragazzo riprese: -Sul suo libro c’è scritto che se… userà due Miraculous in un luogo prossimo alla cosa che si desidera, quella potrà apparire davanti a lui: e lui ha già due Miraculous, il suo e il mio-, si inventò Adrien, cercando di apparire il più convincente possibile.

Marinette rimase zitta, fissando un punto davanti a sé: si sentiva come nell’occhio del ciclone, era l’attimo della calma, del riprendere il fiato, della consapevolezza: Adrien mentiva.


-E quindi?-, ripeté, in tono molto più lugubre e vide il ragazzo agitarsi sul suo posto.

-E quindi… per un po’ di tempo dovrò andare via assieme a lui per… per fare questo rito nel posto dove si suppone sia…-, dapprima si interruppe, poi la guardò aprendo le mani davanti a lei, scuotendole, enfatizzando le sue parole: -Facciamo tutto per mia madre, Marinette!-, si scoprì.

Marinette rimase immobile e in silenzio, per un attimo, ad occhi chiusi indecisa se urlare quanto fossero false tutte le cose che le erano appena state dette o cercare di accondiscendere Adrien.

-Tua madre?-, domandò riprendendo fiato e coraggio, dopo un po’. Aveva riaperto gli occhi e le lacrime li stavano appannando completamente.

Adrien alzò lo sguardo al cielo, stizzendosi. Era facile bluffare con suo padre, quasi impossibile farlo con quella ragazza: -Non fare così adesso! Marinette!-

-Scusa…-, rispose lei abbassando la testa e torturandosi un’unghia con quelle dell’altra mano, mentre tirava su col naso.

-Non devi scusarti-, Adrien, scosse la testa e strinse forte i pugni: stava sbagliando tutto, eppure era la cosa che sentiva a più giusta per proteggere quella ragazza e la sua stessa esistenza.

-Non è colpa tua se mia madre è sparita, né mia, né di mio padre forse: ma non si trova, forse è morta o forse no, e forse, forse, abbiamo una traccia e sappiamo dove trovarla. E’ solo questione di un po’ di tempo: andiamo lì, facciamo questa “magia”, dopo torniamo e staremo per sempre insieme, ok?-, le prese le mani tra le sue, erano gelide.

Marinette sfilò una delle sue mani da quella tiepida stretta e la avvicinò al volto bellissimo del ragazzo; lasciò una carezza dolce e si soffermò sfiorando con il pollice le labbra rosa. Sorrise mesta e allontanò la mano.

-Il modello: Adrien, lìmitati a fare il modello-, prese aria e si alzò, dando ancora le spalle al biondo che era rimasto piuttosto confuso dalle ultime parole. Adrien la vide allontanarsi appena e sentì il vuoto attanagliarlo al cuore: avrebbe dovuto essere forte, più forte che mai per perseguire il suo scopo, anche se faceva così male. Marinette prese aria, scosse impercettibilmente la testa e improvvisamente si voltò verso di lui; una lacrima rigava il volto pallido su cui risaltava il blu cupo dei suoi occhi umidi.

-E se usassi il mio Miraculous? Se lo facessimo noi due insieme?-, propose in un estremo tentativo la ragazza. Adrien sospirò: se l’aspettava quella domanda, avrebbe dovuto affondare ancora e ancora il coltello nel petto della sua piccola Marinette, prendendola in giro e allontanandola sempre di più da sé.

-Non possiamo farlo insieme perché dovremmo essere vicini al luogo dove si suppone che sia mia madre-, tentò di convincerla.

-E se fosse morta?-, quella era una domanda a trabocchetto, Marinette sapeva come sarebbero andate davvero le cose, o stava bluffando?

-Non è morta-

-Dovresti parlare con Maestro Fu prima di fare mosse affretta…-

-Ci ho parlato: so perfettamente come funzionano i Miraculous-, Adrien si morse la lingua nell’istante in cui rispose a Marinette. Nei suoi occhi lesse la delusione sorgere dietro il velo delle lacrime: le aveva promesso che sarebbe andato insieme a lei, che avrebbe agito con lei, e invece… Invece… Avrebbe avuto ragione se si fosse veramente arrabbiata.

-E allora come fai a credere a quello che dici che c’è scritto nel grimorio di tuo padre!?-, Marinette era ormai esasperata, senza capire a che gioco davvero stesse giocando il ragazzo che credeva di conoscere e che aveva disatteso la promessa della sera prima.

-Avevi detto che ci saremmo andati insieme da Fu-, riprese lei, incrociando le braccia al petto, -Non ti lascio, Adrien: faremo questa cosa insieme, per Dio!-


-Tu non puoi venire-, tagliò corto Adrien, sentendo le fibre del piccolo cuore della ragazza iniziare a lacerarsi.

-Senza il mio Miraculous la vostra ricerca sarà vana-, la voce di Marinette si stava affievolendo, il dolore stava prendendo il sopravvento su di lei.

-Con il tuo Miraculous la ricerca potrebbe essere fatale. E tu lo sai-, fu il turno di Adrien di mostrarsi irritato di fronte ai tentativi disperati di Marinette di non lasciarlo andare via.

-Dammelo-, Marinette si avvicinò a lui, allungandosi verso la sua mano destra, il volto contratto e gli occhi spalancati.

Adrien si ritrasse, sbalordito da quella mossa inattesa.

-Ma che...?-

-Dammi il tuo Miraculous, per favore-, di nuovo la ragazza allungò la mano con il palmo aperto verso il suo interlocutore.

-Che ci vorresti fare?-, Adrien stringeva il pugno destro nel sinistro, come a proteggerlo.

-Lo faccio io: io rappresento la creazione, no? Posso farlo io. Non evaporerò come neve al sole e non morirò di schianto qua davanti a te-, lacrime salate rigavano il volto della ragazza mentre con tutta la sua forza cercava di proteggere da qualcosa di troppo pericoloso e sconosciuto colui che amava davvero.

-Dammi il tuo, piuttosto, e lo faccio io!-, replicò il giovane con le pupille ridotte a spilli dalla tensione e la paura che qualcosa potesse andare storto.

-No-, Marinette abbozzò una risata tra le lacrime, -No Adrien… Non lo avrai mai il mio Miraculous, non metterai mai in così serio rischio la tua vita…-, alzò la testa come a cercare la forza nel cielo; -Lo faccio io-, un singhiozzo spezzò il fiato sull’ultima parola e la piegò in due.

Adrien si avvicinò lesto a lei e la abbracciò stretta stretta tenendo il volto bagnato sul suo petto e posando lievi baci sui capelli neri.

-Shh, calmati amore mio…-, sussurrò sulla sua testa.


Amore mio…



-Non chiamarmi così… tu mi vuoi lasciare! E’ per colpa mia, Adrien? Ho… no… io… io sono la nemica di tuo padre, è così? E’ per quello che sono, che vuoi...-, fu più un lamento che parole vere e proprie, ma arrivarono dritte alle orecchie e al cuore di Adrien, che la strinse di più e la baciò.

Voleva baciarla da giorni, voleva che le cose non fossero mai cambiate, voleva sentire sempre il sapore salato delle sue labbra bollenti e tremanti, voleva non allontanarsi mai e poi mai da lei. Voleva passare tutto il suo tempo a perdersi negli occhi grandi e azzurri come il mare e come il cielo, voleva sentire sotto le sue mani quel corpo esile eppure forte come un uragano, voleva annusare il profumo dei suoi capelli e della pelle morbida e lattea, voleva baciarla ancora e ancora…


Ma non poteva.

Non poteva…


-Devo farlo, Marinette…-, la guardò con sguardo ferito e disperato, tenendo il volto pallido tra le sue mani grandi, -Devo partire, devo andare via a cercare mia madre. E’ importante, cerca di capirmi… devo salvare la mia famiglia, devo salvare la mia mamma… Non è per causa tua o perché tu sei Ladybug o… tu non c’entri-, la strinse ancora al petto e baciò la fronte imperlata di sudore freddo, sperando che non comprendesse mai che il vero motivo per cui la stava abbandonando era per proteggere lei.

-Tornerò quando l’avremo trovata-, un altro piccolo bacio, -E dopo non me andrò mai più.-

Si perse negli occhi azzurri dolci e sofferenti e diede fiato a tutti i suoi veri sogni, forse per la prima volta nella sua vita,

-Marinette… Tornerò, te lo prometto, e verrò subito da te e staremo insieme, andremo al cinema insieme, e poi anche… anche a Eurodisney! Ci vuoi andare a Eurodisney con me, Marinette? Io non ci sono mai andato, lo sai? Vuoi scappare insieme a me e nasconderci in un posto sicuro che sia solo per noi? Ti preparerò una cena sulla Tour Eiffel e dopo… dopo… Quando saremo più grandi partiremo insieme e…-, non ce la faceva più a parlare e riuscì solo ad abbracciarla così stretta da impedire al suo petto di sussultare per i singhiozzi e al fiato di uscire spezzato. Le voleva fare davvero quelle cose con lei, voleva davvero passare la sua esistenza con lei, ma prima doveva metterla in salvo.
Inspirò profondamente il profumo dei capelli del suo amore unico: non lo voleva dimenticare mai e spalancò al cielo gli occhi, perché le lacrime si seccassero da sole e non lo tradissero.

-Tornerò presto da te, Marinette. Te lo prometto: tornerò prestissimo e staremo per sempre insieme-, la baciò ancora una volta e poi si allontanò da lei per fissarla con occhi verdi velati di lacrime.

-Non farlo, ti prego. Non escludermi dalla tua vita-, disse soltanto Marinette, coprendosi la bocca con una mano, come a contenere il dolore che premeva per uscire. Tu non c’entri: Adrien aveva chiuso il suo mondo e l’aveva lasciata sola. Era quello che più di tutti temeva.

-Tu sei la mia vita e io tornerò da te. Questo non è un addio, Marinette… devi credermi-, il cellulare nella sua tasca vibrò e Adrien lesse rapidamente il messaggio che gli era arrivato. Doveva andare.

-... ma è ora di andare…-, lo anticipò lei, stirando le labbra.

-Già…-, gli rispose Adrien arruffandosi i capelli sulla nuca.

In lontananza un clacson richiamò la loro attenzione.

-Allora… se non è un addio... a presto…-, disse Marinette a un passo dalla disperazione più nera.

-Sì… a presto…-, Adrien mosse appena la mano verso di lei, ma non poteva. Si sforzò di sorriderle, si voltò e corse via, senza guardare indietro.











E quindi?




Quindi era finita.





***



Le ci era voluto poco: Nathalie sciolse la sua trasformazione e immediatamente aprì una bustina di tè per il suo piccolo pavone.

-Non capisco perché tu non lo beva, come fanno tutti-, gli domandò attraversando a grandi falcate il corridoio di Villa Agreste,

-Se lo mangi è più buono-, rispose Dusuu, con il becco pieno.

-Sono gusti…-, replicò la donna alzando le sopracciglia; nel frattempo arrivò la risposta al messaggio che aveva appena inviato.


“Sto tornando, ma non ho il Miraculous”


Nathalie soffocò una lieve imprecazione sbuffando come un toro: sarebbe toccato pensarci a lei, ancora una volta. Se le avessero dato il suo Miraculous mesi prima, quanto lavoro in meno ci sarebbe stato da fare a Parigi!

-Dusuu, dobbiamo ricominciare a breve, vuoi un’altra bustina di te?-, domandò al suo kwami.

-Darjeeling, per favore-, le rispose il pavone. Nathalie lo guardò meravigliata: -Iniziano le richieste speciali, vedo…-, e deviò verso la cucina della villa, prima di uscire per accogliere Adrien.


Dusuu stava strappando una bustina di tè pregiato, quando Adrien li raggiunse in cucina.

-Ho quasi fatto-, dichiarò il kwami.

-Non c’è fretta, per il momento-, lo tranquillizzò il ragazzo e si avvicinò impaziente a Nathalie.

-Ce l’hai?-, chiese a bruciapelo. La donna annuì ed estrasse dalla tasca della giacca un involto, porgendolo ad Adrien.

-Non ho trovato la scatola-, disse la donna, ma poco importava al ragazzo, che svolse il fazzoletto e vide brillare tra le sue mani l’anello del Gatto Nero.

-Finalmente-, sussurrò e lo posò un istante sul tavolo di cucina, per sfilarsi l’anello d’argento che somigliava tanto al Miraculous e che aveva ingannato persino Marinette. Lo lasciò cadere a terra e indossò prontamente il suo.

Plagg apparve davanti a lui in un bagliore, sgranò gli occhietti felini e gli si buttò al collo!

-Adrien! Quanto mi sei mancato!-, una simile dimostrazione di affetto era a dir poco inattesa.

-Anche tu, Plagg-, il ragazzo tenne il kwami sulla sua mano, avvicinandosi al frigorifero, -Quale luogo migliore per un ritorno trionfale sulle scene!-, scherzò con la morte nel cuore: l’aver ritrovato il suo amico, però, aveva in minima parte lenito il dolore che lo stava soffocando da quando si era voltato e aveva salutato Marinette.

-Attento Adrien!-, scattò Plagg, mentre il ragazzo stava cercando del formaggio nel frigorifero, -E’ lei la traditrice!-, sentenziò indicando Nathalie con un dito.

Adrien sorrise e lo stesso fece Nathalie: -Calma, lei è dei nostri-, gli spiegò il ragazzo, mettendo sotto al naso del kwami una fetta di camembert.

In breve Adrien, Nathalie e Dusuu spiegarono all’ignaro Plagg tutto quello che era accaduto nel poco tempo in cui lui era rimasto intrappolato nell’anello.

-...e quindi ho comprato quest’anello che avevamo visto tempo fa in quel negozio e che era così simile al tuo Miraculous. Marinette non si è accorta di nulla…-, al kwami non sfuggì lo sguardo perso del suo amico nel raccontare di come aveva detto addio alla sua amata. Che avrebbe potuto fare per lui? Aveva ormai già stabilito ogni cosa.

-Non ho capito però Gabriel che sta facendo in questo momento-, domandò l’esserino nero inghiottendo l’ultimo boccone di formaggio.

-Dorme placido come un bambino nel suo letto di raso-, disse d’un fiato Nathalie e agli occhi maliziosi di Plagg quelle parole lasciarono sottintendere tante, tante cose non dette.

-Già che c’eri non potevi prenderti anche il suo Miraculous speciale?-, ammiccò rivolto alla donna, ma Nathalie, mantenendo tutto il suo aplomb, gli spiegò che aveva fatto sì che Gabriel non ricordasse di aver mai avuto l’anello, ma soltanto la sua spilla viola.

-E ora che si fa?-, domandò ripulendosi un dente con uno stuzzicadenti, disteso pancia all’aria fluttuando a due passi dal suo amico.

Adrien lo fissò indeciso se proseguire sul suo piano o meno, socchiuse gli occhi, espirando lentamente e li riaprì di scatto: -Rubiamo gli orecchini a Marinette-.




***



Non era raro che a maggio ci fossero temporali improvvisi e quello che colpì Parigi in quel grigio pomeriggio non sorprese nessuno degli abitanti della città, eccezion fatta, forse, per Monsieur Dupain e Madame Cheng, che non avevano avuto ancora notizie della figlia. Avevano saputo da Alya che Marinette era stata richiamata dal preside Damocles verso la fine della mattinata e il preside in persona li aveva chiamati per informarli che la ragazza si era recata presso lo studio di Nadja Chamak per un’intervista, ma, una volta che Sabine aveva cercato Nadja, sua vecchia amica, lei aveva negato ogni cosa.

L’ipotesi più probabile, visti anche i fatti occorsi negli ultimi tempi e certe rassicurazioni che aveva fatto loro Alya, era che Marinette fosse insieme al suo ragazzo per una “fuga d’amore”. A Tom questa cosa non piaceva per niente.

La ragazza non rispondeva al cellulare e, con buona probabilità, la sua era una scelta deliberata.

Non si era mai comportata a quel modo prima di allora, Marinette!

-Aspettiamo ancora una mezz’ora, poi la cerchiamo da quell’Agreste-, aveva proposto Tom, stringendo in un abbraccio la moglie.

-In fondo la scuola è finita solo da un’paio d’ore, sicuramente ne starà approfittando per passare del tempo con Adrien-, si convinse la donna, guardando la pioggia battere sulle vetrine della loro boulangerie.

Non lo potevano sapere, ma Marinette era molto, molto più vicina a loro di quel che potessero immaginare: sola, fasciata nella sua tuta rossa a pois, osservava Parigi dall’alto di una delle due torri di Notre Dame e mischiava le sue lacrime con la pioggia che la bagnava, ma non lavava via il dolore che sentiva forte nel suo animo.

Adrien l’aveva confusa, fatta volare in un mondo magico mentre le raccontava dei suoi sogni e poi precipitata nella disperazione più cupa, andandosene via senza aggiungere altro. Era in pericolo, era da solo, non avrebbe retto alla forza di persuasione di Gabriel Agreste, prima ancora di quella di Papillon. In qualche modo doveva proteggerlo.

-Si farà akumizzare-, sussurrò alla pioggia, -Oppure lo farò io-, abbassò gli occhi e, scuotendo la testa disperata, si buttò giù.



***



-Non percepisco Tikki: Marinette è trasformata in Ladybug-, annunciò Dusuu lasciando a bocca aperta Plagg.

-Tu “senti” Tikki?-, domandò esterrefatto.

Il pavone alzò gli occhi al cielo: -Lo avresti potuto fare anche tu e da parecchio tempo, se solo ti fosse ricordato di come ci possiamo espandere per trovare i nostri simili e di come possiamo semplicemente “ascoltare” il mondo che ci circonda-, spiegò con aria spocchiosa Dusuu.

-Ma figurati! Plagg ha sempre e solo pensato al suo formaggio e al formaggio e anche… aspetta? Ah, sì, al formaggio!-, Adrien incrociò le braccia al petto, indispettito: se solo quello sciocco di un kwami avesse fatto il suo lavoro, avrebbe scoperto l’identità di Marinette molto, molto prima.

-Comunque, in questo momento posso fare poco per aiutarvi-, concluse Dusuu.

Adrien ripensò alla lezione impartitagli dal maestro Fu la notte precedente e chiuse gli occhi, inspirando lentamente e lasciando che le sensazioni e l’energia del suo potere lo avvolgessero come una coperta sottile.

Percepì immediatamente Nathalie, accanto a lui, e poco distante, nella parte più riservata della villa, l’aura addormentata di suo padre: evidentemente, nel sonno, la sua barriera cadeva. Espanse i suoi sensi ancora di più e si concentrò più che poté, scandagliando come un radar la città attorno a lui. Di nuovo sentì prossima la nuova forza che aveva scoperto quella notte stessa, ma Marinette non era lì. Forse avrebbe fatto prima a trasformarsi e cercarla, ma non volevo più mostrarsi a lei, non voleva riproporre ancora un nuovo addio. Stava per rinunciare alla sua missione, quando eccola: un’aura appena pronunciata, debole e sbiadita, nei pressi di Notre Dame.

-L’ho trovata-, avvertì gli altri e piantò il suo sguardo in quello di Nathalie.

-Fai quello che ti ho detto, per favore-, la implorò.

La donna lo guardò preoccupata: -Non è necessario che tu le infili in testa quelle idee, Adrien… non… non rovinare tutto quello che c’è stato tra voi con queste falsità. Ti prego.-, prese le mani del ragazzo tra le sue, due occhi verdi la fissavano grandi e spauriti. Stava per compiere il passo del non ritorno.

-Non deve per nessun motivo credere che lo stia facendo per lei. Non deve mai, mai, pensare di venire a cercarmi. Non deve più rischiare per causa mia-, le disse.

-E puoi farlo in un altro modo, Adrien…Non è necessario scomparire dalla sua vita facendole credere che tu sia una brutta persona che non ha alcun interessa in lei. Marinette può capire le tue vere motivazioni, le preoccupazioni, può comprendere perché lo fai e sostenerti, ne sono certa e se le spiegherai che non le stai davvero dicendo addio, forse potrebbe perdonarti-, riprovò a convincerlo la donna.

-L’unico modo e che lei arrivi a detestarmi. Io la conosco, lei vorrà ritrovarmi in ogni modo! Deve sentirsi abbandonata, rifiutata, considerata come qualcosa che io ho solo usato e preso in giro. Devo spezzarle il cuore perché lei non mi cerchi più e non metta a repentaglio la sua vita. Non ci sono vie di mezzo.-, spiegò spiccio e si alzò, -Andiamo-, e, con un cenno, entrambi si trasformarono in Chat Noir e Le Plume Bleu.



***



-Io non ho un bastone che si allunga e mi catapulta a centinaia di metri, Chat Noir!-, le proteste della mora nuova supereroina arrivarono lontane all’orecchio di Adrien che, a grandi falcate, attraversava la città per raggiungere la sua amata.

Sotto a lui, balzando più lentamente tra un tetto e l’altro, Nathalie Sancoeur si dava da fare per stargli dietro, nonostante avesse una certa età.

-Ci mettevi meno in auto!-, la sbeffeggiò Adrien, sentendo scorrere nelle sue vene la verve che lo contraddistingueva quando vestiva i panni di Chat Noir e guardava il mondo attraverso quella maschera che permetteva al suo vero io di uscire allo scoperto,s enza remore, senza filtri dati dal suo nome, senza freni.

-Occhio ragazzo, che potrei riprendermi anche il tuo Miraculous-, lo sfidò la donna, con un leggero fiatone.

-Ci siamo-, Chat Noir arrestò la sua corsa e balzò accanto a Le Plume Bleu; la guardò negli occhi indicandole un punto indistinto in basso, in uno dei vicoli più stretti dell’Ile e posò una mano sulla sua spalla: -Fallo-.

Natahlie provò a dissentire ancora una volta, ma, aumentando la pressione sulla sua spalla, Chat Noir ripeté: -Fallo-.

-Sii consapevole che così la ferirai a morte, le toglierai ogni fiducia in se stessa e la farai soffrire per tutta la sua vita…-, disse la donna ficcando lo sguardo in quello del ragazzo, che non batté ciglio.

-Lo farò-, Nathalie si arrese e si congedò, dirigendosi verso Ladybug, mentre il sole sprofondava oltre il transetto della cattedrale, perdendosi tra le nuvole che lo inghiottirono e resero subito più cupo il crepuscolo su Parigi.


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Capitolo 27
*** Capitolo 27 - This is the End (Sei anni prima) ***


Capitolo 27 - This is the End (Sei anni prima)



-L’aereo parte tra quattro ore e noi saremo a bordo-

-Tu sei folle! Non andremo da nessuna parte senza quel Miraculous e senza Ladybug!-, Gabriel, furibondo, scaraventò per terra il suo tablet con un colpo secco del braccio. Davanti a lui Chat Noir lo guardava più determinato che mai a portarlo via di lì: ma come avrebbe potuto avere un senso andarsene senza poter usare quel Miraculous, senza avere la certezza che la merce di scambio fosse effettivamente valida?

-Tua madre è viva e se tu non mi lasci prendere quegli orecchini non la ritroveremo mai!-, tuonò portando una mano alla gola e liberandosi del foulard che, senza la sua spilla, non aveva più senso di essere indossato. Si sentiva soffocare, aveva un mal di testa furibondo, segno che Nathalie, la buona, cara, fidata Nathalie, aveva usato il suo potere su di lui.

La donna lo fissava da un angolo in ombra, il più lontana possibile da lui nella grande sala della sua villa, colpevole e consapevole di esserlo. Era l’unica che avrebbe dovuto tenere a freno, considerò con rabbia Gabriel, e non l’aveva fatto. Era stato uno stupido.

-Se la mamma è morta, e lo sai bene, usare i due Miraculous sarà un suicidio!-, sbraitò Chat Noir, balzando davanti al viso del padre, puntando gli occhi felini ridotti a minuscole fessure in quelli dell’uomo.

-Non mi fai paura, anche se sei trasformato-, lo affrontò lo stilista, allontanandolo da sé con una mano.

-Ho il Cataclisma…-, gli ricordò il figlio, muovendosi silenzioso fino alle sue spalle, -E Nathalie ha il tuo Miraculous: o vieni con noi o rimarrai solo, senza poteri e infelice per l’eternità.

-Non useresti il Cataclisma su di me: tu sei un codardo, Chat Noir! Ti ho studiato a lungo in questi mesi e so perfettamente di che pasta è fatto il biondo micino che salta di tetto in tetto. Tu sei buono solo a penzolare dalle labbra della tua bella coccinella, senza uno scopo, senza una meta, senza una vera ragion d’esistere!-, pestò il tablet, ormai in briciole sul pavimento.

Chat Noir si bloccò, rimuginò sulle parole del padre, si avvicinò a lui: il suo sguardo era cupo, la volontà ormai ferrea.

-Hai ragione-, gli sibilò in un orecchio, -Io non ho alcuna vera ragione di esistere: non ho più una madre, non ho l’affetto di mio padre e ormai non ho neanche più quello della ragazza che amo-, lo spinse indietro fino a farlo sedere di schianto su una poltrona. Un tremito nella sua mano chiusa a pugno a pochi centimetri dal volto del padre tradì la sua paura.

Si allontanò repentinamente dall’uomo di molti metri ed estrasse dalla tasca sul suo fianco qualcosa. Nathalie trasalì e immediatamente attivò la sua trasformazione, lasciando basito e impietrito Gabriel che li guardava, per una volta senza capire cosa stesse accadendo.

Chat Noir avvicinò le mani ad un orecchio e fece qualcosa nella penombra. Gabriel non riusciva a vedere, si alzò per avvicinarsi al figlio che gli ruggì contro: -Sta’ seduto!-

Era sofferenza quella che permeava dalla sua voce roca? Che cosa stava…? Gabriel scattò verso la parete e sollevò con un colpo solo tutti gli interruttori dell’illuminazione, inondando la stanza di luce.


Sangue.


Notò il sangue per prima cosa, mentre la testa pulsava e qualcosa di incomprensibile lo faceva restare immobile, come ipnotizzato dalla sottile striscia scarlatta che scivolava lungo il collo del figlio e si perdeva nel colletto della tuta nera. Non parlò, non chiese, comprese immediatamente quando Adrien, con un gemito sopito, allontanò le mani dal secondo lobo, anch’esso sporco di sangue e una potente luce si frappose tra loro. Una enorme coccinella confusa apparve fluttuando davanti al ragazzo, guardandosi intorno per comprendere la situazione.

-Adrien!?-, squittì Tikki con vocina timorosa -Adrien, che succede? Dov’è Marinette?-, ma venne ignorata dal giovane che fece un passo indietro, aumentando la distanza tra lui e gli altri due portatori nella stanza.

-Io non ho ragione di esistere, padre-, ripeté quindi, -Per questo ti dimostrerò quanto ti sbagli per ognuna delle tue previsioni sulla mamma! Non servirà a nulla quello che farò, ma tanto io non servo a nulla! Sono stato una delusione come figlio e come eroe. Non è così? -, tuonò con il viso coperto di lacrime e schizzato di sangue; -e ho deluso anche la mia Marinette-, sussurrò piano abbassando la testa, tanto che solo Tikki lo poté sentire.

-Adrien, non farlo!-, Nathalie corse verso di lui, pronta a usare il suo potere speciale.

-Nathalie, stanne fuori!-, urlò ferocemente il ragazzo, le lacrime pungevano ai lati degli occhi, -Tikki, trasformami!-



E Tikki non poté fare altro che obbedire ed essere risucchiata ancora negli orecchini che Adrien aveva conficcato a forza nella sua carne. Tikki avrebbe contribuito assieme a Plagg a distruggere quel povero, dolce, coraggioso e cocciuto ragazzo che Marinette tanto amava. Fu quello l’ultimo pensiero che ebbe, prima di provare per la seconda volta nella sua esistenza terrena la fusione che seguì. Fu come essere un tutt’uno con Plagg, come era accaduto in vita, quando erano una donna reale e uno stupido, stupido semidio. Fu come unirsi in un unico corpo, e, tra loro, come un oggetto sacrificale, Adrien. Anch’egli stupido, stupido oltre ogni dire.


-Vuoi ritrovare tua moglie, padre?-, urlò il giovane da sotto una maschera nuova e terribile. Guardò fugacemente il suo nuovo costume e non capì più se fosse un portatore di distruzione o se la creazione ribollisse sotto la sua pelle. Rosso e nero, la passione e la distruzione. Cos’era diventato… cos’era quel fuoco che bruciava dentro di sé, pronto a deflagrare e fare tabula rasa di ogni cosa?

Era una sensazione travolgente, nuova, incredibilmente potente. Era il potere dei Miraculous, qualcosa da cui stare il più possibile alla larga. Allargò stupefatto gli occhi, spostò appena le mani verso il basso e si accorse che poteva alzarsi dal suolo.


Forte! Come Iron Man!


Fu un pensiero fugace, forse il suo ultimo pensiero di senso compiuto, considerò.

-Ho studiato il grimorio, so che devo fare-, dichiarò e si preparò al sortilegio. Non era il suo momento di tenersi alla larga del pericolo: per salvare la sua famiglia e la ragazza che amava doveva invece ficcarcisi a capofitto.


Ho il cinquanta per cento di probabilità di riuscirci.


Se vince Tikki, va tutto bene; se vince Plagg, sono fottuto.


Ne aveva altri, di pensieri di senso compiuto, constatò, e molto più calzanti alla situazione, ma più avesse pensato, più sarebbe stato difficile andare avanti nel suo scopo. Quindi, senza aspettare altro, iniziò a declamare la formula magica.


-Nooo!!!!-, Gabriel Agreste, l’uomo dall’imperturbabilità di granito, quello che non si sarebbe scomposto per nulla al mondo, gli era appena piombato addosso trascinandolo al suolo, travolgendolo, stupendolo e poi bagnandolo con lacrime calde e salate che colavano copiose sul viso e sul collo. -Fermo! Fermo Adrien!-, l’uomo lo placcò come fosse stato un giocatore di rugby e rimase steso praticamente su di lui, singhiozzando sul corpo immobile di quel figlio così testardo eppure così meraviglioso che non aveva mai saputo scoprire davvero.

-Toglili!-, le mani si muovevano febbrili sul viso del figlio, che si fece sfilare in una nuova stilettata di dolore gli orecchini, tornando ad essere per magia solo Chat Noir.

Con un po’ di fortuna le cicatrici non sarebbero rimaste, balenò nella mente di Adrien, troppo sconvolto, troppo stupito, troppo tragicamente grato per quel che stava avvenendo.
Era un potere troppo forte… che cosa stava per fare...


-Basta, basta ti prego…-, Gabriel lasciò cadere il Miraculous della Creazione, che tanto aveva desiderato e si attaccò al collo del ragazzo, -Non farlo più figliolo… Perdonami!-

Era un abbraccio doloroso e spasmodico, c’era tutto il dolore taciuto e nascosto per anni; ormai la tensione aveva rotto la pietra che intrappolava il cuore di Gabriel Agreste e quello che stava implorando Adrien era un altro uomo. Si capiva dagli occhi chiari arrossati per le lacrime, dal torace scosso da tanti, forti singhiozzi, dalle mani tremanti che non stavano ferme e si contorcevano cercando un contatto con la pelle del figlio, dalla bocca umida che si apriva e chiudeva in un lamento continuo. Si capiva dal cuore che batteva all’impazzata come fosse stato quello di un neonato appena venuto al mondo, nell’attimo di terrore seguente al taglio del legame con l’unica ragione di vita conosciuta fino ad allora.

Gabriel afferrò il viso del figlio tra le mani apparentemente fragili: -Perdonami-, ripeté ancora una volta e se lo strinse al petto, come non aveva mai fatto in tutti quegli anni.



Adrien sorrise con il volto affondato nella camicia del padre: ce l’aveva fatta.




***



-E’ qua!-, un grido accanto a lei, mani sulla sua fronte, mani che la spostavano.

-E’ qua, l’ho trovata!-, una voce sconosciuta, oppure no: Kim? Forse era lui.


Kim!?


-Marinette!-, passi in corsa che si avvicinavano, rumore di schizzi nella pioggia.


Era freddo, tanto, tanto freddo.



-Marinette!-, la mamma! Era lei!



Era buio tutto intorno, buio e freddo.


-Oddio, Marinette!-



Un bagliore, ombre nel buio, un po’ più di luce.



-Amore, amore mio!-, sentì le mani piccole della mamma, calde sul suo viso, l’abbraccio minuscolo eppure forte.

-Tom! Corri!-, ed ecco l’abbraccio grande, che la tirò su e per un istante le spezzò il fiato.

-Amore mio, cos’hai? Che è successo... Come… come stai?-

-Sabine, calmati, è confusa-, il papà la strinse di più al suo petto. Era caldo e confortante.




-Ho mal di testa-, la voce le uscì roca, la gola bruciava e gli occhi anche, tanto, davvero tanto, come se avesse pianto fino a diluire i suoi pensieri nelle lacrime, fino a…


-Che ci faccio qua? Dove sono?-, ancora la voce roca, non le pareva sua. Vedeva tutto sfocato come nel ricordo di un incubo.

-Marinette!-, quella era Alya, eccola, eccola proprio accanto a lei, e Nino, anche.

-Per fortuna ti abbiamo trovata…-, l’amica la tirò a sé, quasi strappandola dalle braccia del padre, la strinse forte, farfugliò parole strane, cariche di sensi di colpa per qualcosa che lei avrebbe potuto evitare. Parole familiari eppure stonate, fuori contesto.

-Dobbiamo portarla al pronto soccorso-, propose Nino, rivolgendosi ai genitori della ragazza, indicando, non con un leggero imbarazzo, gli abiti strappati della figlia, i pantaloni sbottonati.

Tom, con l’aria più seria che mai avesse avuto dipinta sul viso stanco, annuì semplicemente e ringraziò silenziosamente il ragazzo. Quindi si affrettarono ad avvertire la Polizia, che aiutava nelle ricerche, e attesero l’ambulanza che li portò al più vicino Ospedale.



***



Adrien aveva sciolto la sua trasformazione e raccolto entrambi i kwami che aveva sfruttato, per consentire loro di recuperare le forze; Gabriel, sempre vicino a lui, seduto per terra spalle al muro, osservava le creature con un misto di attrazione e terrore: tanto vicino a ritrovare la moglie, grazie a loro, così prossimo a perdere il figlio. Si sentiva come se gli fosse passato sopra un carro armato, avesse fatto manovra e se ne fosse andato, lasciandolo moribondo nel mezzo al deserto.

-Avevi ragione, Adrien, sarebbe stato un errore madornale-, constatò sfilandosi gli occhiali e pizzicandosi la radice del naso, a occhi chiusi, -Barattare un affetto per un altro-, riaprì gli occhi chiari sul figlio, avvicinò una mano al suo viso e lasciò una lieve carezza: -Amavo alla follia tua madre-, iniziò sorprendendo il ragazzo e la donna nell’ombra, non distante da loro, -E l’amo ancora. Non sopporto l’idea di averla persa, a ogni respiro mi sento strappare via un frammento di anima, non sapendo dove sia, se sia viva, oppure se non ci sia più-, abbassò il volto, affondò le dita tra i capelli poggiando i gomiti sulle ginocchia.

-Voglio ritrovarla, Adrien, voglio poter guardare ancora una volta quegli occhi verdi e puri, ma non a questo prezzo. Accetto di rimanere per sempre un non vivo, se così posso dire, ma non posso accettare in cambio che tu metta a repentaglio la tua vita per questo scopo.-

Si alzò e fece qualche passo zoppicante, le spalle erano curve, l’eleganza dimenticata, -Sono stato solo uno sciocco, solo uno sciocco…-, tremava, anche se si sforzava di non darlo a vedere. L’emozione, la paura e il dolore nel suo animo erano troppi anche per uno come Papillon, cedette e andò a cercare l’angolo più lontano del salone, dove poter versare in silenzio le sue lacrime amare.

-Padre…-, Adrien si alzò per portargli conforto: era così lontana la figura autoritaria e schiva che aveva vissuto lasciandolo in disparte per tutta la sua adolescenza, che l’affetto più puro premeva per cercare un vero contatto con lui.

Gabriel alzò una mano, bloccandolo, l’altra la teneva stretta ad un lembo della tenda di velluto, muovendola quel poco che bastò per osservare come la sera stesse avvicinandosi.

Voleva piangere il suo dolore e il pentimento da solo.


Nessuno dei due uomini si rese conto di quel che, furtivamente, fece Nathalie: la donna raccolse da terra gli orecchini ancora sporchi di sangue e li raggiunse.


Aveva un piano, aveva uno scopo. E aveva il potere di farlo.


-Signori...-, li chiamò con voce altisonante per farli voltare entrambi. Un attimo dopo, usando il suo potere, li fece suoi e senza indugio sfilò l’anello dal dito di Adrien .



***


-Ti ricordi quello che è successo, Marinette?-, domandò una voce femminile molto gentile, mentre con una torcia, qualcuno le osservava la dilatazione delle pupille,

La ragazza scosse il capo: aveva il vuoto più totale in testa, non ricordava né come fosse finita in quel vicolo puzzolente e stretto, né cosa fosse accaduto prima. Sapeva solo che non aveva più i suoi orecchini e che aveva perso Tikki.

Mentre la trasportavano via, facendola scivolare con la barella su cui l’avevano stesa all’interno dell’ambulanza, aveva scorto per un istante, in mezzo a tanti sconosciuti, il volto teso e preoccupato del Maestro Fu. Avrebbe voluto chiamarlo, chiedergli aiuto, spiegazioni, ma l’aveva immediatamente perso di vista e non aveva elaborato nessuna scusa valida per pretendere di farlo richiamare lì al Pronto Soccorso: in fondo per lei era un emerito estraneo.


Adrien avrebbe dovuto essere lì con lei, ma anche lui non c’era. Aveva provato a chiedere a sua mamma se c’era qualcuno dei suoi amici in sala d’aspetto ed era riuscita a scambiare due parole solo con Alya.

-Lui lo sa?-, le aveva chiesto furtivamente, in un abbraccio, ma l’amica aveva stretto le labbra e scosso la testa, senza poter aggiungere alcuna spiegazione. Forse non lo aveva chiamato, o forse non era stata capace di trovarlo.



***


-Liberi-, Nathalie sciolse il suo controllo mentale su Adrien e Gabriel in un sussurro e li vide sbattere confusamente le palpebre davanti a lei. Adrien ci mise un istante a capire che non aveva più, di nuovo, il suo Miraculous, Gabriel ne impiegò uno in più per capire quello che la sua segretaria aveva in mente di fare.

-Te lo impedisco, Nathalie Sancoeur-, le disse in tono di comando, nonostante la voce ancora lievemente e meravigliosamente rotta dall’emozione provata.

Nathalie affinò lo sguardo e scosse lentamente la testa: -Gabriel, credo che, stranamente, tu non abbia molto potere su di me, in questo momento-, gli disse lasciandosi andare ad un familiare “tu”, che lasciò entrambi gli Agreste perplessi.

-Ho il Miraculous del Pavone, quello della Farfalla, l’anello del Gatto Nero e adesso anche gli orecchini della Coccinella-, constatò aprendo il palmo della mano destra davanti a loro, -E nessun kwami, al momento, mi può impedire di fare quello che posso e voglio fare-, si avvicinò al suo titolare, allungò una mano fino al suo cuore e lo sfiorò, da sopra la giacca, il gilet e la camicia di seta. Gabriel non mosse un muscolo, si limitò a guardarla di nuovo preda del terrore.

-Farei tutto per te-, gli sussurrò Nathalie in un orecchio e gli rivolse il più addolorato degli sguardi, -Ogni cosa, come tu hai fatto per Emilie-, posò un bacio sulla guancia dell’uomo e si allontanò di nuovo da lui, con un salto all’indietro possibile solo grazie alla trasformazione ancora attiva. Avrebbe voluto baciarlo sulle labbra che mai aveva osato violare, ma non era una ladra, non si sarebbe comportata in quel modo.

-Non farlo…-, soffiò tra i denti Gabriel, sapendo cosa stesse, di nuovo, per accadere. Allora anche Adrien comprese.

-Non farlo Nathalie!-, urlò correndo verso la donna. Non poteva finire a quel modo, lei glielo aveva promesso.

-Per tutti e due, per la vostra famiglia-, sorrise Nathalie scoprendo un nuovo potere: puntando l’indice verso Adrien riusciva a tenerlo lontano da lei, come se ci fosse una barriera invisibile. Si stupì per prima di quanto fossero inattese e astruse le possibilità dei Miraculous; dopo aprì la mano destra davanti a sé, soffermandosi un istante a pensare quale fosse il modo più semplice per arrivare al suo scopo.

Si lasciò sfuggire un lieve gesto di stizza, comprendendo l’assurdità della situazione: doveva assumere il potere del Gatto e della Coccinella, ma per farlo doveva sciogliere la sua trasformazione e quindi Adrien si sarebbe catapultato su di lei, impedendole ogni mossa.

-Non farlo-, ripeté il ragazzo, in tono più calmo, smettendo di opporsi a quella mano invisibile che lo manteneva fermo, -...tanto non ti riesce!-, la schernì bonariamente, -Come quella volta che provavi a insegnarmi i sistemi di equazioni-, rammentò sorridendo alla donna, che immediatamente si accigliò e comprese di essere arrossita, lanciando uno sguardo furtivo verso Gabriel. Non aveva mai ammesso di aver fallito nell’educazione del ragazzo, era andata lei stessa a ripetizioni di matematica, per poter essere una brava educatrice per lui.

-O come quella volta che non ti riusciva il passaggio in Do maggiore nella sesta di Schubert e allora me l’hai messo su Youtube e sei rimasta con me fino a notte fonda finché non l’ho imparato…-, Nathalie strinse le labbra, lasciando l’indice puntato contro il ragazzo, deglutì. Erano colpi bassi. Un nuovo sguardo furtivo verso l’uomo che amava e che non avrebbe mai voluto deludere.

-O ancora come quando avevi deciso di farmi i cupcakes per il mio compleanno, tre anni fa, che eravamo solo tu e io, e ti sorpresi di notte in cucina, tutta sporca di crema al burro perché ti era esploso il coperchio della planetaria…-, Adrien si lasciò scappare una risata, Gabriel si morse l’interno della guancia, per non perdere l’espressione seria che aveva di nuovo impostato, dopo quell’inatteso gesto affettuoso della sua segretaria. Nathalie era umana e lui non se n’era mai reso conto. Umana e passionale, attaccata come non aveva mai neanche immaginato alla sua famiglia e a quel figlio che invece lui aveva abbandonato.

-Sei un traditore, Adrien!-, sibilò Nathalie e ficcò gli occhi in quelli del ragazzo. Si guardarono in cagnesco per un tempo indecifrabile, poi entrambi si lasciarono andare a un sorriso tenero, che sciolse la tensione creata. Nathalie abbassò la mano liberando dal suo potere Adrien e lui, completamente sbilanciato verso di lei, quasi le cadde addosso, finendo per stringerla in un abbraccio.

-Sei stata come una madre per me, Nat… Non fare stupidaggini proprio adesso!-, il ragazzo si allontanò appena e posò le mani sulle braccia di La Plume Bleu, subito sotto le sue spalle, -E non rifarla mai più quella cosa con il dito per favore!-, con una lievissima esitazione si allungò verso la donna e la abbracciò di nuovo, affondando con la testa sulla sua spalla.

-Ne ho già persa una, di mamme, non voglio perdere anche te, che sei madre, amica e complice-, sussurrò in modo che solo la donna potesse ascoltare quelle parole, poi aumentò la stretta trasformando un abbraccio timido in un vero e proprio gesto di affetto.



-Se volete scusarmi, credo che abbiate prenotato dei posti su un volo che partirà tra… tre ore, se non erro-, si intromise Gabriel, spezzando quel dolce attimo. Era attratto da quel calore desueto, attratto come non avrebbe mai pensato di esserlo dalla complicità della donna con il suo ragazzo. Se lo sarebbe ripreso tutto il tempo buttato via, oh sì! Lui, Adrien ed Emilie, se l’avessero trovata. Si sarebbe ripreso la sua vita e avrebbe lasciato alle spalle gli errori, le fissazioni e tutte le gabbie che aveva costruito attorno al figlio e al suo cuore.

-Giusto-, annuì la donna liberandosi dall’abbraccio del ragazzo, -Dusuu, trasformami-, comandò e il suo kwami fu sbalzato via dalla spilla blu e prontamente afferrato dalla donna.

-Prendete-, disse agli Agreste, passando loro l’anello e la spilla viola e permettendo anche a Plagg e Nooroo di comparire tra loro.

-Wow! Cos’è, una festa?-, domandò il gatto nero, rivedendo finalmente dopo secoli il suo amico alato.

-Che ne facciamo di questi?-, domandò Nathalie soppesando gli orecchino rossi e neri che ancora tenevano intrappolata Tikki. Adrien guardò il padre, che annuì.

-Cercheremo mia madre in Tibet con i nostri poteri, senza che sia necessario arrivare a scomodare quella magia estrema-, stabilì il ragazzo, -Quegli orecchini sono troppo pericolosi in mano nostra. In tre non siamo riusciti a fare altro che ferirci e metterci paura senza arrivare a concludere nulla. Fai in modo che tornino a Marinette, ma non subito: fallo… quando noi saremo ormai lontani-, aggiunse e sentì una mano posarsi da dietro sulla spalla destra.

-Se mai potrai perdonarmi per tutto il male che ti ho fatto, ti prometto che d’ora in poi sarò al tuo fianco nelle tue decisioni-, gli disse Gabriel, lasciando che la sua voce solenne e al contempo pentita trasmettesse la sua buona volontà e anche l’ammirazione per la strabiliante maturità che il figlio aveva dimostrato nell’ultimo periodo.



-Due ore e tre quarti...-, aggiunse dopo un po’ e si congedò dalla sala.





***


Nathalie, in subbuglio come un mare di magma ribollente sotto la calma superficie del vulcano, radunò le sue cose e si avvicinò alla porta, ma Adrien la fermò trattenendola per un polso.

-Che è successo con Ladybug-, domandò preoccupato.

-Ho fatto quello che mi hai comandato-, gli rispose la donna, si voltò senza battere ciglio e uscì.

Aveva di nuovo indossato la sua maschera da cyborg, constatò il ragazzo: non avrebbe cavato una parola in più dalla bocca della donna.




Nathalie percorse il corridoio buio lasciando che i suoi tacchi producessero un ticchettio sgradevole e si diresse verso il suo studio, per prendere le cose che aveva preparato per il viaggio. Soppesò gli orecchini e li mise in un cofanetto di legno. Aveva mentito ad Adrien: non aveva raccontato a Marinette quello che lui le aveva detto di dirle, in ogni caso nessuno avrebbe mai davvero saputo cosa aveva fatto.

E lei sapeva di aver fatto la cosa giusta.

Mise il cofanetto in una busta e la sigillò; prese le sue borse e uscì, spegnendo la luce dietro a sé.




***




Adrien le aveva rubato gli orecchini e a breve sarebbe partito per l’estremo oriente. Avrebbe fatto una sciocchezza solo per proteggere lei e la sua meschina esistenza. Adrien l’amava con tutto se stesso, glielo aveva detto qualcuno di affidabile, ma che non riusciva in nessun modo a ricordare chi fosse, come se avesse rubato parte dei ricordi di quella orrenda serata insieme ai suoi preziosi orecchini.

“Nonostante quello che penserai, nonostante quello che lui vuole che tu pensi, ricorda sempre che Adrien l’ha fatto anche per te e che tornerà, ma tu non dovrai cercarlo, mai, o per lui sarà la fine”.



Facile…


Marinette decise che avrebbe dovuto trovare il modo di andar via da quell’ospedale il prima possibile e correre da lui, accertarsi che stesse bene e lasciare che ogni cosa, lentamente, fosse tornata a un giusto equilibrio. Doveva fermarlo prima che partisse, maledizione, anche se lo scopo di quelle parole che le riecheggiavano nella mente era esattamente il contrario. Ma chi glile aveva dette? A chi doveva dare ascolto: a voci di fantasmi ignoti o al suo cuore?

Sarebbe corsa a Villa Agreste e avrebbe affrontato Adrien di petto: qualunque cosa, l’avrebbero fatta insieme, ma... per farlo avrebbe dovuto aspettare almeno la mattina successiva, quando la mamma fosse tornata a trovarla: forse l’avrebbero dimessa all’ora di pranzo o nel pomeriggio e allora avrebbe agito. Doveva anche parlare a tutti i costi con Fu, doveva farsi aiutare da Alya, doveva trovare una scusa, ritrovare subito Tikki, doveva…

E invece era intrappolata in un ospedale.

Guardò la notte oltre il doppio vetro della finestra della sua stanza: sarebbe tornato il sereno, a quanto lasciavano presagire le tremule stelle che punteggiavano il cielo abbagliato dalle luci della città. L’indomani avrebbe cercato di convincere ancora una volta Adrien a non andar via. Ce l’avrebbe fatta.

Prese un profondo respiro e si sfiorò un lobo nudo, mettendo a fuoco la sua immagine riflessa nella finestra. Poi chiuse gli occhi e appoggiò la fronte sul vetro freddo, aspettando il sonno che avrebbe spento la sua coscienza per un po’.


In lontananza le luci lampeggianti di un aereo di linea, l’ultimo di quel lunghissimo giorno, solcarono una fetta di cielo e scomparvero nella notte, andando verso est.



Marinette fu scossa da un brivido e aprì gli occhi.

Inutile rimanere rannicchiata davanti a una finestra chiusa sul nulla. Si trascinò con lentezza fino al letto e vi si rintanò.


Doveva solo passare la nottata, poi si sarebbe ripresa Adrien.




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Capitolo 28
*** CAPITOLO 28 - Caccia ***


CAPITOLO 28 - CACCIA



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Vi ricordate dove avevamo lasciato Marinette nella parte del “6 anni dopo”? Bene, ve lo rammento io qua sotto e vi comunico che… Eccoci tornati nel loro presente!!!
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Non aveva percorso neanche un centinaio di metri che un’auto si affiancò a lei, procedendo a passo d’uomo. Un brivido le percorse la schiena. Cosa volevano da lei? Marinette accelerò: la metropolitana era ormai a pochissimi passi, là dentro sarebbe stata al sicuro. Avrebbe potuto correre e trasformarsi e tutte le sue paure sarebbero state dissolte.

Udì il leggero soffio del finestrino che si abbassava, le ruote schiacciavano le foglie cadute ai lati della strada, facendole crepitare tetramente.

Sentiva degli occhi puntati su di lei, ma non aveva il coraggio di voltarsi. Notò con la coda dell’occhio che si trattava di una coupé scura e, dal leggero ruggito del motore a bassi giri, doveva trattarsi di un modello molto costoso.

Procedette per gli ultimi metri e svoltò oltre l’ingresso in stile Art Nouveau della stazione, sparendo per le scale. Si affrettò a scendere gli scalini e trasse un sospiro di sollievo, percependo lo spostamento d’aria che annunciava l’arrivo imminente del treno. Vi balzò dentro a corsa, udendo in lontananza passi affrettati che provenivano dalle scale. Qualcuno era dietro di lei. Pregò perché le porte si chiudessero e, quando avvenne, finalmente riprese a respirare, le mani attaccate al vetro e gli occhi in cerca del suo cacciatore.

Fu una frazione di secondo soltanto, ma per quell’attimo, prima che il treno perdesse la visuale della stazione curvando in galleria, le parve di intravedere un uomo alto, con i capelli biondi, giunto in banchina un attimo troppo tardi.


Tutto il mondo le cadde addosso.



La metro si fermò alla stazione di Chemin-Vert, la voce sintetizzata avvertì i passeggeri di prestare attenzione nello scendere dalla carrozza. Marinette si destò appena in tempo per gettarsi tra le porte che stavano richiudendosi e barcollò arrestando la sua corsa sulle mattonelle luride della banchina. Si guardò attorno, come se l’uomo che aveva visto in un’altra stazione a chilometri di distanza avrebbe potuto essere lì ad attenderla. Nessuno: la stazione era deserta; un neon lampeggiava in un angolo, producendo uno strano ronzio che lei udì non appena il treno fu lontano.

La ragazza si sforzò di restare calma, in fondo l’uomo che aveva visto poteva essere chiunque. Si era messa in salvo da un probabile molestatore, ecco cos’era successo, ecco perché avrebbe dovuto essere sollevata invece di lasciare che il tarlo del dubbio le scavasse la testa in cerca di un falla nel suo ragionamento. Era rimasta immobile attaccata al vetro del treno per minuti in cui avrebbe potuto dubitare che il suo cuore avesse battuto: negli occhi solo l’immagine sfuggente di un uomo alto, con i capelli biondi e un giubbotto di pelle nera, che guardava il treno andar via. Un braccio teso verso il convoglio, le gambe in tensione. Avrebbe potuto giurare di aver udito il suo nome gridato disperatamente, se non fosse stato solo il frutto della sua fervida immaginazione: il frastuono del treno che sfondava il muro d’aria, entrando in galleria, aveva infatti coperto ogni altro rumore.

Poi, piano piano, aveva preso coscienza che il suo battito c’era ed era debole e veloce. Come il fruscio d’ali di un uccellino che prova a volare.


Non poteva essere lui, in nessun modo. Marinette aprì la borsetta e due piccoli occhi blu la fissarono silenziosi. Se fosse stato lui, forse Tikki avrebbe sentito la presenza di Plagg e glielo avrebbe detto. O forse la kwami si sentiva ancora vincolata al giuramento che le aveva fatto tanti anni prima.

Sarebbe bastato chiedere, ma Marinette non lo fece. Abbassò lo sguardo, inalò una boccata d’aria puzzolente di ferodi sbriciolati e sudicio stratificato e si diresse verso le scale.

Non era lui: poteva esserne certa.

Adrien Agreste non avrebbe perso tempo a rincorrerla, non più.




***



Marinette aveva fatto molto tardi, maledizione. Non aveva avuto il cuore di tornare subito a casa, aveva preferito continuare a camminare un po’ lungo la Senna e, dopo, si era rifugiata sulla panchina di Places des Vosges dove tutto era iniziato. Il parco aveva subito diverse modifiche negli anni, ma quella panchina non era mai stata toccata. Aveva sfiorato la pietra fredda e consunta dal tempo dove Adrien l’aveva baciata per la prima volta davvero. Chiudendo gli occhi poteva ancora sentire il profumo di cioccolata sulle sue labbra e vedere il luccichio innocente e felice di due grandi occhi verdi che le avevano aperto le porte dell’anima di quell’amore perduto.

Tikki non parlava più. Da diverso tempo si limitava a guardarla e rispettare il suo silenzio.


Silenzio: Marinette voleva solo sprofondare nei ricordi e nulla più.



Da quando Fu aveva decretato la fine del viaggio attorno al mondo intrapreso dagli Agreste alla ricerca della signora Emilie, ogni momento poteva essere quello buono per pensare di ritrovare sulla sua strada Adrien. Quella sera ci era andata vicino… si era illusa molto bene che fosse lui, ci aveva creduto per un po’. Ma era tempo di ricacciare la parte di lei che ancora sperava e di concentrarsi su quella che era ormai la sua vita.


Inserì con delicatezza la chiave nella porta di casa, per non fare il minimo rumore e chiuse alle sue spalle la porta accompagnandola fino all’ultimo. Salì in camera sua dopo essersi levata gli stivali e pregò perché la botola non cigolasse, come ogni tanto aveva preso a fare.

Si buttò a sedere sulla vecchia poltrona, la testa abbandonata tra le mani, i gomiti puntati sulle ginocchia. Doveva reagire.

Un leggero colpo alla botola la fece sussultare. Sua madre apparve dalla fessura che aveva socchiuso.

-È tardi, Marinette-, le disse e per la prima volta le parve veramente invecchiata. Aveva due occhiaie scure e le rughe attorno agli occhi sembravano essere più profonde.

-Lo so, scusa...-, le rispose aiutandola ad entrare in camera sua.

-Va tutto bene?-, sua mamma captava ogni suo più piccolo vacillamento, ogni peggioramento del suo umore. Sempre.

-Così così-, Marinette volle essere sincera. Strinse le labbra in un sorriso confuso e fece spallucce.

-Com’è andata da Alya? Vi siete accordate per il tuo trasferimento?-, si vedeva che la mamma soffriva per quella decisione, ma Marinette volle subito chiarire la situazione. Le mise le mani sulle spalle e la guardò convinta negli occhi.

-Non andrò a vivere con Alya, ma voglio trovare ugualmente un posto solo per me, mamma. Sto bene con te e papà, ma… Devo farlo-.

La donna annuì in silenzio, ormai nessuna notizia tendeva più a meravigliarla: -Anche io lo feci, ma non attesi di avere quasi ventidue anni: me ne andai che ne avevo nemmeno diciannove e fu la scelta migliore della mia vita, perché iniziai a viaggiare e passai da Parigi. Se non avessi odorato il profumo dei croissant di tuo nonno, il giorno che stavo per tornare in Cina con la coda tra le gambe, tu adesso non saresti qua-, il sorriso si aprì sul suo viso stanco.

Marinette non si aspettava una risposta del genere, in nessun modo avrebbe pensato che la mamma fosse d’accordo con la sua decisione.

-Toglimi solo una curiosità-, le domandò-, come mai Alya ha cambiato idea?-

Marinette ingoiò due boccate d’aria prima di dare la notizia alla madre, sapendo che sarebbe stata una piccola delusione in più per lei. Sabine voleva dei nipotini, anche se non lo aveva mai ammesso, ma da come guardava i bimbi delle sue amiche era più che evidente.

-Alya… Alya è incinta, mamma, e sarà Nino ad andare a vivere con lei-, disse Marinette d’un fiato.

-Ovviamente!-, la mamma fu lesta nel completare la frase.

-Ovviamente...-, ripeté Marinette e si sforzò di mostrarsi il più felice per la notizia; -Tu pensa che le avevo portato champagne e sushi! Ci è toccato ingozzarci di sushi e scolarci la bottiglia da soli a me e Nino! Vedessi la sua faccia: era felice e sconvolto allo stesso tempo! E Alya… piccola… non sembrava lei, si toccava la pancia e non se ne rendeva nemmeno conto! E’ una notizia… Wow…-, si accoccolò tra le braccia della mamma che ridacchiava nell’immaginare quelle scene. Sabine aveva visto crescere gli amici di Marinette, assieme a lei e le faceva piacere sapere che Alya e Nino avessero finalmente coronato un bellissimo percorso di vita insieme. Invece Marinette avrebbe voluto per un attimo scomparire dall’universo perché non riusciva più a reggerne il peso da sola.

-Non sei scandalizzata?-, domandò la ragazza alla madre, dopo qualche istante, guardando una fetta di cielo attraverso la finestra lontana.

-E perché dovrei?-, rispose la mamma, -In fondo è un naturale evolversi della loro storia. Sei tu quella che ha scandalizzato tutti, cara mia!-, la schernì bonariamente, facendole l’occhiolino, -O meglio è stato lui. Tu hai commesso solo un madornale errore di valutazione, lo definirei!-

Quando la figlia era tornata da lei furibonda e distrutta dopo aver scoperto il tradimento del suo fidanzato, con una valigia mezza aperta e i capelli scarmigliati, le lacrime ormai secche sulle guance e quell’espressione incredula sul viso, era stata Sabine ad accoglierla e consolarla, tenendola abbracciata sulla chaise longue come in quel momento: -Ma ormai quello ti ha fatto Nathaniel è acqua passata-, disse alla figlia, stringendole una mano tra le sue, -E la mia cara Alya è felice-, aggiunse sorridendo.

-Anche Nathan è felice-, ammise Marinette, -L’ho sentito prima…-, ed era contenta per lui, anche se il rammarico non l’aveva mai veramente abbandonata.

-Era molto che non lo chiamavi?-, sua madre avrebbe potuto scrivere un intero trattato su “come aiutare una figlia tradita dal compagno per un altro uomo”: senza Sabine, Marinette sarebbe stata molto, molto più in crisi.

-Un po’-, Marinette si alzò e si tolse il giubbotto che ancora indossava.


La mamma rimase in silenzio, fissandosi le mani che teneva in grembo. Con un’unghia si torturava la pelle sotto alle altre. Anche lei doveva dire qualcosa di importante alla figlia, era suo diritto sapere.

-Poco dopo che sei uscita, prima… È… passata una persona che ha chiesto di te...-, più che le parole dette, fu lo sguardo della donna che raggelò Marinette. In un istante la ragazza fu ai suoi piedi, mise le mani sulle sue e la fissò con occhi enormi e il cuore impazzito, con un presagio perforante in testa.


Non era stata una sensazione… lo sapeva!


-Ecco... io gli ho detto che eri fuori, da un’amica-, la donna abbassò gli occhi, era mortificata, aveva sbagliato; -Forse avrei dovuto chiamarti…-, aggiunse scuotendo la testa, sperando che la figlia la perdonasse.

-Chi-, non era una domanda, Marinette sapeva già…, -Chi era-

Sabine la guardò e una piccola lacrima scivolò sulla sua guancia: -Non voglio che tu soffra di nuovo…-, mormorò, la bocca storta in un broncio.

-Chi era-

Marinette si alzò di scatto e si coprì il viso, poi fece scivolare le mani fino ai capelli, dove le infilò tirandoseli indietro, -Chi.-

Voleva sentire solo un nome, una conferma.



-Adrien-



***



“Non voglio che tu soffra di nuovo”: le parole della mamma la tormentarono per tutta la notte, finché le prime luci dell’alba non fecero capolino filtrando dalle tende e Marinette decretò che era finito il tempo a disposizione per compatirsi distesa a letto.

La sera prima, dopo che la mamma le aveva detto il nome che voleva sentire, lei aveva annuito e, senza aggiungere altro, era salita sul soppalco e si era lasciata cadere sul materasso. La mamma, silenziosamente, aveva atteso un po’ e poi era scesa di sotto.


Soffrire di nuovo… Non aveva mai smesso di farlo. Era stata brava a nasconderlo quando sorrideva radiosa accanto a Nath dopo che si erano fidanzati e fantasticavano sul farsi una famiglia insieme.

Si era illusa che realmente la scoperta del tradimento fosse stato un duro colpo per lei. Invece, intimamente, si era sentita libera… Delusa, tradita, offesa, ma libera. Libera di soffrire ancora, forse. Libera di tornare ad essere grigia e triste per qualcosa che ogni persona sana di mente avrebbe dovuto dimenticare subito. Non aveva mai smesso davvero di soffrire per l’addio di Adrien e non lo avrebbe mai fatto. La mamma poteva stare tranquilla.


La sofferenza aveva solo un sapore ed era quello dell’assenza.


La sua sofferenza andava avanti da sei anni, tre mesi e sette giorni e non si era mai veramente attenuata o placata o modificata. Era un dolore sordo che rimbombava di continuo nei suoi pensieri più tristi e anche in quelli felici. Era un sottofondo costante, una colonna sonora della sua esistenza successiva a quel maledetto giorno di maggio in cui Adrien era sparito senza darle la possibilità di parlargli, senza che si spiegasse davvero con lei. Era come un cancro latente, viscido, subdolo e incurabile, che piano piano l’aveva messa in ginocchio e lei si era arresa, si era abituata all’idea che il cielo non avrebbe più potuto essere davvero azzurro e il sole splendente. Era grigio, tutto maledettamente grigio. Grigio il suo maglione lilla, grigio il colore dei suoi occhi, grigia quell’alba tersa e fredda che odorava di muschio e pane appena sfornato.

Lei lo sapeva bene: non avrebbe potuto soffrire “di nuovo”, perché non aveva mai smesso di farlo. Soffrire di più, forse? Soffrire in modo diverso? Soffrire perché oltre alla parola fine avrebbe potuto esserci un nuovo inizio per Adrien, ma non con lei?

Quante volte ci aveva pensato a quello che poteva essere successo nel mentre che lei semplicemente soffriva, ignara di ogni cosa che riguardasse l’esistenza dell’unico uomo che mai avesse amato.

Forse Adrien si era rifatto una vita? Era sposato? Perché non aveva chiesto maggiori dettagli a sua mamma, perché non lo aveva fatto a casa di Fu, quando aveva avuto modo di chiarire ogni dubbio in presenza della Sancoeur.

Perché semplicemente era rimasta sotto la sua coltre grigia, protetta dalle informazioni, dalle novità, da qualcosa che avrebbe potuto farle ancora più male?

Ma soprattutto: le importava di saperlo?

Marinette alzò gli occhi alla finestra sul tetto, riflettendo, mentre il cielo schiariva a vista d’occhio in un miracolo che si ripeteva anche quel giorno, anche per lei.


Sì, assolutamente le importava, ma, quale che fosse stata la risposta, avrebbe mentito a tutti, di nuovo, come allora. Avrebbe sorriso contenta di qualsiasi cosa le fosse stata detta, perfino per qualcosa che avrebbe significato che Adrien Agreste era stato strappato per sempre da lei. In fondo, mentre il grigio le corrodeva l’anima, lei aveva sempre sorriso. Perché per tutti gli altri Marinette in realtà non soffriva più da tempo, da quando aveva ripreso ad uscire, a frequentare la scuola, da quando si era messa con Nathaniel.

Eppure la curiosità di conoscere quale vita avesse vissuto Adrien si era aggrappata alla sua mente come una sanguisuga e aveva lasciato che il suo cervello costruisse storie, proprio come allora.

Adrien aveva avuto figli, forse? Avrebbe potuto, come Alya e Nino… come Kim e Alix, che aveva rivisto qualche tempo prima. Perché lui no? Era un’ipotesi più che plausibile, e forse la sera prima l’aveva cercata proprio per chiarire la sua posizione, dal momento che stava tornando a Parigi con la sua famiglia.


Oppure Adrien era ancora solo, proprio come lei?

Ma, se anche fosse stato, come poteva sperare che sarebbe tornato da lei?


Tornare da lei… no, era passato troppo tempo e alle persone normali che non si lasciavano divorare dal grigio, il tempo permetteva di dimenticare.

Sicuramente era passato dalla pasticceria per una visita di cortesia. Perché altro avrebbe dovuto?

Lei non era più la ragazza dal sorriso dolce e gli occhi allegri che era stata sei anni prima. Era una grigia creatura appannata e stanca. Anche se Adrien fosse stato disponibile, felice di rivederla e pieno di buone intenzioni, lei lo avrebbe fatto scappare con il suo squallore.

Era cambiata, sia fisicamente che emotivamente. La dolce e solare Marinette non c’era più da sei anni, tre mesi e sette giorni.

Da quanto non sentiva più palpitare il suo cuore? Sarebbe stata in grado di farlo ancora? Probabilmente no.


Adrien… non si capacitava del fatto che davvero fosse passato a cercarla mentre lei non c’era.

Forse allora era davvero lui che l’aveva seguita giù per le scale della metro la sera prima. Ma perché non l’aveva chiamata prima che lei scappasse? Forse, semplicemente, non l’aveva riconosciuta...

Da quel poco che aveva visto lei, invece, se l’uomo della metro era davvero Adrien… cavolo com’era cambiato! Si sentì avvampare per quella constatazione e si stupì di esserne ancora in grado.

Quell’uomo era alto almeno venti centimetri più di lei… al confronto si sentiva una nanerottola. Ed era bello, bello da morire. Lei invece era ingrassata, senza dubbio… era maturata, ammorbidita, deformata; ogni volta che corrucciava la fronte il solco tendeva a restare sempre più impresso, a breve avrebbe visto le prime rughe e i primi capelli bianchi. Non era più la Marinette di allora, così come lui non era più lo stesso Adrien che conosceva, solo che lei stava galoppando verso la decadenza, mentre lui… lui… Gesù come doveva essere bello!


Ma d’altronde chi si aspettava di rivedere, se mai si fossero realizzati quei sogni che ricorrevano notte dopo notte? Un ragazzino timido dal sorriso dolce pronto a ricominciare da dove erano rimasti con la fidanzatina del suo cuore?

Adrien era un uomo, ormai, accidenti, e che uomo! Il sogno del giovane amore fedele a cui lei si sarebbe concessa per primo, si era dissolto in un languore inusitato, da troppo tempo dimenticato. Voleva incontrarlo, perdersi nella sua immagine, fare quello che non avevano mai fatto; voleva riprendersi il suo sogno!

Eppure era stata la prima a distruggerlo. Lei la prima a non rimanergli fedele cadendo tra le braccia di Nathaniel. Non lo aveva aspettato. Aveva scelto di provare a rifarsi una vita, almeno esteriormente, di lasciare che altre mani completassero quello che il suo vero amore non aveva osato fare, per suo rispetto.


Adrien invece, per quel che poteva ricordare, era stato di parola: “Tornerò quando l’avremo trovata”, le aveva detto con un ultimo bacio che in quel momento più che mai bruciava sulla sua anima e sulle sue labbra.

Ce n’erano passati altri cento, mille di baci dalla sua bocca, ma non erano mai riusciti a cancellare quella sensazione dolce e amara allo stesso tempo, che le mancava più dell’aria stessa.


Marinette si arrampicò sul letto e aprì la finestra, uscendo sul terrazzino. Il vento del mattino era frizzante e portava odore di cambiamento: Adrien era a pochi chilometri da lei, guardava lo stesso cielo, sentiva lo stesso vento sulla pelle, respirava la stessa aria. Era davvero tornato.

La sensazione straziante di saperlo fisicamente lontano da lei, che l’aveva accompagnata in ogni istante della sua vita negli ultimi anni, repentinamente stava tramutandosi in un brulichio di pensieri sconnessi che assaliva la sua testa e annientava ogni tentativo di ragionare. Adrien era nella sua stessa città. Adrien era l’aveva cercata. Adrien poteva tornare in qualunque istante, oppure non tornare più e ripartire senza riuscire a incontrarla. Adrien era finalmente vicino a lei.

Eppure era così lontano...

L’aveva cercata, ma Marinette non conosceva il vero motivo. Tutto il resto dei suoi viaggi mentali era solo una sua supposizione.

Forse era stato solo per una visita di cortesia, forse solo per mostrarle che aveva mantenuto la sua promessa ed era effettivamente tornato al termine del suo lungo viaggio. O forse voleva solo rivedere i suoi vecchi amici e aveva pensato di iniziare da lei. Oppure no e magari aveva già parlato con Nino, solo che la notizia della gravidanza di Alya glielo aveva fatto passare di mente e il ragazzo non le aveva detto nulla quella sera.



Sarebbe impazzita se avesse continuato a fare quei pensieri, accidenti.

Tornò in camera e si rimise dentro al letto, sforzandosi di dormire un altro po’, pregando per non sognare nulla.

La sveglia la sorprese pochi istanti dopo, o forse erano passate ore e lei non se n’era resa conto. Aveva ancora in testa gli stessi pensieri della sera prima, come se avesse solo messo in pausa il cervello per un po’ con un telecomando. In qualche modo non aveva sognato o, se era successo, non lo ricordava. Sapeva solo di essere estremamente stanca.



Si decise ad alzarsi dal letto e si trascinò giù per le scale fino al bagno, si lavò e si pettinò, notando che aveva tante, decisamente troppe doppie punte. “Lo farò”, appuntò mentalmente pensando alla tortura di tornare dal parrucchiere. L’ultima volta che lo aveva fatto, più di un anno prima, aveva dovuto combattere per non farsi tingere i capelli di rosso tiziano. Bastava il suo ex ad averli di quel colore, a lei andava bene il nero, cupo come la notte senza stelle.

Tornò in camera sua e passò in rassegna la mobilia e tutte le cose che aveva accumulato in quei due anni in cui era tornata a vivere con i suoi. I ricordi d’infanzia erano in cantina, stipati in due scatoloni catalogati come “Chibi-Mari”. Nella casa nuova, se mai ne avesse trovata una abbordabile, sicuramente avrebbe voluto le due sedie con le rotelle, fide compagne di nottate passate a disegnare e il cuscino fatto a gatto. Non lo avrebbe scambiato per niente al mondo. La chaise longue, la scrivania… via tutto. Avrebbe ricomprato quello che serviva e scelto cose che l’avessero fatta respirare di nuovo.

Ogni volta che posava lo sguardo su quella chaise-longue le tornava prepotente in mente l’immagine di Chat Noir addormentato e bellissimo. Lui, sempre e soltanto lui. Tutto ruotava attorno a lui, la sua vita e i suoi rimpianti.


Scosse la testa per scacciare quel pensiero e scese in cucina. Salutò i suoi, già al lavoro da ore, scambiò una rapida occhiata densa di parole non dette con la mamma e uscì. Ormai i suoi genitori non insistevano più per farle la colazione, era una battaglia persa.

Quando fu per strada, la prima cosa che Marinette notò fu il rumore: c’era un frastuono non indifferente proveniente dal traffico cittadino e dal caos di clacson, motori e gente che inveiva rivolta alla lunga colonna di mezzi in fila al semaforo.

Si tuffò nella bolla silenziosa della metro e prese al volo il treno per andare in facoltà, l’attendevano due ore di lezione e poi una pausa, un’altra ora e poi il pranzo. Nel pomeriggio avrebbe chiamato Alya, indubbiamente, e poi c’era da andare all’agenzia immobiliare e controllare se al negozio in Rue du Point cercavano ancora una commessa…

Si era ripromessa che non avrebbe fatto il primo passo per cercare Adrien. Ci aveva riflettuto mentre l’andatura oscillante della metro l’aveva cullata per il tempo del suo breve viaggio. Avrebbe dovuto reagire e non lasciarsi travolgere dalla serie di eventi che stavano inesorabilmente tornando a segnare la sua esistenza. Non sarebbe andata a bussare a casa di Adrien, non lo avrebbe cercato nei meandri della metro di Parigi, non avrebbe chiesto notizie a Fu, né a a Nino. Non lo avrebbe spiato di notte, né di giorno.


Avrebbe atteso e basta. Se Adrien teneva a lei, si sarebbe fatto vivo per primo.




Ma le notizie arrivarono a lei senza che potesse evitarlo, già dalla mattinata.

-Hai sentito cosa si dice in giro? Che gli Agreste sono tornati a Parigi!-

-Mia zia ha detto di aver visto Gabriel Agreste al Charles de Gaulle scendere da un volo AirFrance tre giorni fa, incredibile!-

-Ho visto il figlio, che strafigo che è! Sì, era lui, ci potrei giurare perché aveva le braccia scoperte e c’era lo stesso tatuaggio!-


Di tutte le cose che aveva sentito, quella del tatuaggio era la più assurda. Più di Gabriel sul volo di linea proveniente da Bangkok, più di quelli che dicevano di aver visto con lui un bambino piccolo. Adrien non si sarebbe mai fatto un tatuaggio, suo padre non gliel’avrebbe mai permesso e non avrebbe potuto farlo di nascosto, come aveva fatto lei. Tanto più che una cosa del genere sarebbe sicuramente arrivata alle sue orecchie in qualche modo: sicuramente quello che avevano visto non era lui.

Era tutto semplicemente grottesco. Tanto era stata amplificata la notizia della loro partenza per la Cina, tanto sembrava trovare eco nel gossip più bieco questo loro fantomatico ritorno, neanche fossero stati dei reali esiliati dopo la Grande Guerra.

Che fossero tornati era fuori discussione, la mamma lo aveva confermato, ma che avessero portato con loro tutti quei pettegolezzi era piuttosto improbabile.




Al termine delle lezioni, come si era ripromessa, Marinette si preparò per andare all’agenzia immobiliare. Si mise in coda per prendere un panino al volo al bar dietro la facoltà. Davanti a lei c’era una che conosceva, di un anno più grande, che parlava concitatamente al telefono.

-Te lo giuro! Sono stata poco fa da Mahlia Kent perché mi serviva del velluto e c’erano Gabriel e Adrien Agreste con un bambino! Te lo giuro! Due anni, circa, forse tre. Sì, ce l’aveva in collo lui. Vedessi com’è diventato! Te lo ricordi com’era? Ecco, di più! Da orgasmo! Da scoparselo qua in coda al bar senza se e senza ma!-










Cinque minuti dopo, Ladybug spiava, appollaiata sul tetto dell’edificio vicino, quello che stava succedendo dentro Villa Agreste.

Non aveva saputo resistere.

Si era data dell’idiota, infantile, gelosa, insicura, stupida, immatura, vigliacca, puerile ragazzina, ma non era riuscita a fermarsi. Lei doveva vederlo. Doveva sapere!

Un pungolo infilato tra le costole, ecco cos’aveva significato per lei udire quelle parole! Un pugnale incastrato nel costato, uno squarcio nell’anima, una ferita insanabile su un ricordo puro.


Un bambino…


Perché si era costretta a stare alla larga per tutti quegli anni dalle riviste di moda, dai gossip di facebook e dalle trasmissioni sui vip? Magari avrebbe saputo qualcosa, magari la gente lo sapeva che gli Agreste stavano tornando! E lei? chiusa nel suo bozzo a compatirsi e crogiolarsi nell’inanità della sua esistenza. “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore!”, si era ripromessa… che enorme, sconfinata cavolata!

Lontano dagli occhi, sempre nel mio cuore, pensava invece.

Il tempo non aveva lenito nulla della sua sofferenza, così come la stoica resistenza alla ricerca di informazioni non aveva dissetato la sua voglia di sapere di lui, finché non era esplosa nel più patetico dei modi.


Dalla grande vetrata chiusa, Ladybug poteva vedere un gran daffare dentro la villa. Una pila di scatoloni veniva via via abbassata dalle mani veloci di facchini che, dietro gli ordini precisi della fida Sancoeur, smistavano nelle varie stanze tutte quelle cose. La donna si muoveva svelta sui suoi tacchi e controllava una a una le scatole. Era la regina della casa, senza dubbio: chiunque si fosse portata appresso Adrien avrebbe dovuto passare il giudizio della nuova putativa padrona del castello.

Ladybug cercò di avvicinarsi di più, finché non decise di arrampicarsi proprio sul tetto della villa, lungo uno dei due bracci che collegavano il corpo dell’edificio al cancello, spenzolandosi arretta al filo del suo yoyo. Vide Nathalie ricevere una chiamata sul suo telefono e annuire, scrutando fuori dalla finestra nella sua direzione, poi la donna tornò al suo lavoro, senza interrompersi. Per un attimo Ladybug pensò di essere stata scoperta, ma non accadde nulla e rimase in bilico sul tetto a colmare la sua sete di informazioni, attraverso lo studio di quel lavorio silenzioso che avveniva al di là delle vetrate.

Fu allora che vide Nathalie uscire dalla sua visuale e rientrarvi trascinando un triciclo rosso da bambini. Indicò un punto dentro la villa e uno degli addetti caricò sulla sua spalla il giocattolo, prendendo con l’altra mano uno scatolone con una scritta a pennarello sopra: SUN.

Nathalie lo seguì portando alcuni peluche e una palla di gommapiuma. Un piede di Ladybug scivolò sulla tegola umida e lei andò giù come un sasso, cadendo di schiena nell’erba bagnata del giardino. Non fece un singolo tentativo di tenersi o di afferrarsi con il suo yo-yo. Semplicemente andò giù e non si mosse.

Dopo un po’ si decise ad alzare gli occhi e, capovolta rispetto alla sua visuale, vide una piccola porta da calcio giocattolo, una bicicletta senza pedali poggiata al muro e un monopattino.

Rimase immobile con un macigno sul petto, incapace perfino di formulare un qualunque pensiero.


-Se stai comoda, rimani pure lì, ma ti prenderai un raffreddore-, una voce familiare la raggiunse alle spalle; Ladybug aprì gli occhi e si tirò su, puntellandosi sui gomiti: Nathalie era accovacciata accanto a lei. La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, osservando senza espressione il volto della donna.

-Marinette, va tutto bene?-, le domandò questa con tono più preoccupato e serio, posando una mano sulla spalla coperta dalla tuta rossa e nera, usando la stessa premura che aveva mostrato qualche giorno prima, durante il loro raduno a casa di Fu.

Ladybug avvampò per la vergogna e farfugliò delle scuse affrettate, fece scattare lo yoyo e sfuggì alla donna, senza chiedere e senza ascoltare nulla.

Rimase rimpiattata con le spalle al muro sopra un tetto molto lontano da lì, il cuore le martellava in petto e le lacrime scendevano senza che potesse far nulla per arrestarle. Una sola enorme consapevolezza la triturava: lei era lì, immobile su un tetto a piangere come una stupida; Adrien, intanto, si era fatto una nuova vita e aveva un bambino.




***



Nathalie alzò gli occhi verso i tetti, guardando il punto in cui Ladybug era scomparsa: era ancora una sciocca ragazzina con la propensione alla drammaticità e al saltare a conclusioni affrettate. Il cigolio del cancello richiamò la donna alla sua realtà. L’auto scura di famiglia, orgogliosamente guidata dal loro fidato “gorilla”, che finalmente era tornato alla sua attività preferita, si fermò a pochi passi da lei e la portiera posteriore si aprì.

-Nati!-, il piccolo Sun, di ritorno dal suo primo giro per Parigi, saltò giù dall’auto e corse verso di lei, allungando le braccia per essere preso in collo.

-Ciao cucciolo-, la donna lo accontentò sollevandolo, quindi rivolse l’attenzione verso Gabriel e Adrien che prendevano dall’auto le loro cose, -Dov’è il tuo papà?-, chiese Nathalie al piccolo.

-È lì-, rispose il bimbo indicando l’auto e corse nella stessa direzione, sgusciando via dalle braccia della donna.

Nathalie lo raggiunse e lo prese per mano, in modo che non disturbasse gli Agreste; si affiancò ad Adrien e gli fece cenno che si abbassasse appena per comunicargli una cosa riservata.

-Lei è stata qui-, disse semplicemente e al giovane caddero di mano un peluche sgualcito e una piccola giacca Agreste collezione bimbo, di color rosso coccinella.





***




Il comunicatore di Ladybug prese a suonare riportandola a galla dallo stato catatonico in cui si trovava, era Carapace. Strano…

Il ragazzo non chiamava mai, era sempre e solo Rena Rouge che intratteneva le comunicazioni tra loro.

-È successo qualcosa nella zona dello Stade de France-, le disse e Ladybug comprese che stava correndo, -Si è aperta una voragine nel mezzo alla strada, ci sono alcune auto coinvolte e una decina di feriti-

-Arrivo-, rispose Ladybug, assolutamente sconcertata per quelle assurde parole: una voragine? Che diamine stava succedendo? Forse che il ritorno di Adrien avesse compreso anche il ritorno degli akumizzati di Papillon? Stentava a credere ai suoi stessi pensieri. Da quel che aveva inteso a casa di Maestro Fu, le era parso che Papillon avesse ormai sotterrato l’ascia di guerra nei loro confronti.

Arrivò sul posto e vide esattamente quello che Carapace le aveva descritto: una voragine, urla, fuoco, terrore nel suo stato più puro. Svolse la corda dello yoyo per afferrare un braccio che aveva visto spuntare dal buco e tirò su miracolosamente una donna insanguinata che urlava. Ripeté l’operazione, ma doveva prima spostare un’auto. Carapace la raggiunse in un batter d’occhi e afferrò la corda dello yoyo per aiutarla a issare quell’enorme peso. Ci voleva una terza mano, ma erano solo loro due.

-Non ce la faccio…-, soffiò Ladybug allungandosi più che poteva verso il cratere per afferrare altre persone, mentre nello stesso tempo tirava la corda assieme al suo collega.

Ci fu un forte boato e dalle viscere di quel disastro uscì qualcosa di paurosamente simile ad un robot dei cartoni giapponesi.

-È un akumizzato!-, gridò Carapace, coprendosi con il suo scudo e scivolando verso le persone che erano state vomitate fuori dal cratere.

Ne prese tre, Ladybug ne mise in salvo altre due, poi evocò il Luck Charm mentre il robot sparava colpi nella loro direzione.

-Maledizione!-, quello che le piovve tra le mani fu un oggetto tanto inutile quanto ironicamente sbagliato: una palla di gomma da bambini, identica a quella che aveva visto in mano a Nathalie.

Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa con cui poter usare la sua potente arma e, dopo un po’, comprese che avrebbe dovuto farla incastrare nella bocca del ridicolmente grande cannone da cui il robot sparava i suoi colpi. Studiò angoli e rimbalzi e, con un salto, calciò il morbido pallone contro un muro. Andò a rimbalzare sullo scudo di Carapace, sul palo di un lampione e infine si assestò esattamente dove doveva.

-Tutto questo non ha senso-, esclamò realizzando che, istantaneamente, il robot si dissolse nell’aria come fosse stato tutto un sogno ad occhi aperti e, al posto del cratere, erano comparse tre o quattro auto accartocciate tra loro, tutte con le lamiere contorte a compenetrarsi l’una con l’altra.

Non avevano mai estratto qualcuno da un buco, ma da un enorme sinistro stradale; non avevano cercato di sollevare un’auto, ma si erano agganciati ad un estintore che stava lì accanto, immobile e imperturbabile.

I presenti si guardavano spaesati, i feriti urlavano, nessuno capiva più niente.

Era stata tutta un’illusione.

Senza pensarci due volte, Ladybug lanciò in aria il pallone, che era rotolato fino ai suoi piedi, e con un bagliore, tutto tornò alla normalità.

I feriti si rialzarono senza ricordare alcunché, le auto si rimisero ciascuna sulla sua carreggiata e il traffico riprese a scorrere lento e chiassoso.

-È assurdo-, constatò Carapace, mentre gli orecchini di Marinette iniziavano ad emettere i bip di fine trasformazione.

-Dobbiamo dirlo a Fu-, propose la ragazza, scambiandosi un’occhiata eloquente con Nino: c’era un solo potere in grado di creare tali illusioni ed era quello di Alya.

-Ha riportato Trixx al Maestro proprio oggi… non può essere stata lei!-, mise le mani avanti il ragazzo e Ladybug, incredula e pensierosa, schizzò via ragionando su cosa fosse accaduto, seguita a ruota dal compagno.

Avevano realmente salvato delle vite, ma erano stati messi in grave difficoltà. Era davvero tutto assurdo.



Una volta accertati che la situazione fosse davvero tornata alla normalità, i due supereroi si nascosero in attesa che la trasformazione di Marinette si esaurisse. Carapace la guardò: -Vuoi un passaggio?-, chiese e al cenno affermativo se la caricò in spalla e scattò verso il centro massaggi di Fu, nel quale entrarono dal retro.

Lo trovarono che stava per prepararsi il tè; il tintinnio del campanello sulla porta del centro massaggi indicò che qualcuno era uscito in quel preciso istante. L’uomo accompagnò con lo sguardo oltre le vetrine la persona che era appena stata lì e pregustò un po’ di riposo accompagnato da buon tè. Quando vide entrare dal retro, un attimo dopo, Marinette Dupain-Cheng e Carapace, Fu si picchiò la fronte con il palmo della mano: -Siete proprio dei dilettanti-, esclamò, -Due bravi portatori sarebbero venuti in incognito per non farsi riconoscere e avrebbero suonato al campanello sulla strada, come fanno tutti… non sarebbero entrati dalla finestra del bagno!-

Si affrettò a chiudere tutte le finestre e serrò le vetrine: se quel duo stranamente assortito era lì da lui poteva significare una sola cosa: grane in vista.


-Menomale lei sta bene, Maestro-, Marinette iniziò a cercare in giro per la casa, entrò nel centro massaggi e si guardò attorno. Lo stesso fece Nino, una volta smessi i panni di Carapace e si avvicinò al grammofono, cercando il modo per aprirlo.

-Ehi, giù le mani, ragazzino!-, lo rimbrottò il vecchio, colpendo piano la sua mano col bastone.

Non c’era nulla che non andasse in quel posto.

-C’è stato un attacco, sembrava un mostro akumizzato, ma alla fine si è rivelata solo una grande illusione-, iniziò Marinette.

-Un’illusione come quelle che crea Rena Rouge, ma Alya proprio oggi le ha riportato il Miraculous della volpe, quindi non può essere stata lei-, continuò Nino.

-Frena frena frena, Lahiffe! Io non ho visto Alya oggi!-, dichiarò Fu, allarmato per le parole appena udite e nessuno ebbe il coraggio di aggiungere altro. Il gelo che era calato tra loro fu interrotto dalla suoneria del cellulare di Nino. Un pensiero fugace lo fece indugiare dal rispondere, lo stesso pensiero che aveva sfiorato le menti di Fu e di Marinette, mentre un brivido di terrore si faceva beffe di loro. Nino prese il telefono e lesse il nome ad alta voce: -M.me Cesaire-. Vacillò.

-Pronto-, rispose.

Marinette e Fu lo videro sbiancare mentre la voce concitata dall’altro capo della linea parlava senza soste. Si portò la mano alla nuca, dopo a coprirsi la bocca, -Sì… ha ragione… Lo avremmo fatto il prima possib…-, Marinette interpretò chiaramente le parole non dette e si voltò verso il maestro.

Lasciò che Nino finisse di parlare con la futura suocera e nel frattempo ragguagliò il vecchio sugli ultimi sviluppi relativi alla coppia di amici.

-Non è necessario che Alya riporti il suo Miraculous, anche se aspetta un bambino!-, constatò semplicemente Fu, -non è la prima e non sarà l’ultima a rimanere incinta durante la sua missione!-

A Marinette non sfuggì l’occhiata in tralice che l’uomo le riservò e, dopo aver sentito il calore salirle alle guance, si dette dell’idiota per la rapida conclusione a cui era arrivata la sua fervida immaginazione. Nino agganciò la comunicazione e li guardò per un attimo prima di parlare: nei suoi occhi c’era paura.

-Alya è ferita, al pronto soccorso. È stata aggredita qualche ora fa non lontano da qua. Ha battuto la testa e la pancia. Sua mamma dice che è fuori pericolo e anche… anche il bambino sta bene… Non avevamo ancora detto nulla ai nostri genitori, mi ha fatto una bella ramanzina…-, si grattò la nuca, - Ma Alya è molto agitata, la madre dice che continua a piangere e ripete: “me l’hanno preso”... io… scusatemi... devo andare da lei-, concluse e si diresse come una furia verso la porta.

Fu annuì in silenzio, Marinette scattò per seguire l’amico, ma fu trattenuta dall’anziano.

-Chiamami-, si raccomandò a Nino e lo seguì con lo sguardo mentre lui correva via, quindi si sedette davanti al Maestro, che l’attendeva.

-Io e te dobbiamo parlare-, le disse Fu, versandole una tazza di tè.

Marinette annuì. Gli avrebbe domandato quello che sapeva su Adrien e sui Miraculous.

Fece per aprire bocca, ma l’uomo la fermò con un gesto della mano. La ragazza rimase in attesa senza parlare, aspettando un qualunque segnale da parte dell’uomo. Fu si riempì la tazza, inspirò l’odore del tè, socchiudendo gli occhi, guardò le volute di vapore alzarsi e ne bevve un sorso, soddisfatto. Poi fece un sospiro.

-Adrien è stato qua: è uscito nel momento esatto in cui voi siete entrati dal retro-, posò la tazza sul tavolino e sorrise alla faccia incredula di Marinette, -Yin e Yang. Nero e Bianco. Notte e Giorno-, si alzò, -Distruzione e Creazione-, fece un passo verso di lei, -Sfortuna e Fortuna-, le mise sulle spalle le mani deformate dall’artrite, -Adrien e Marinette-.



L’aveva perso ancora una volta per un soffio. La ragazza portò una mano al cuore, faceva così male…

-Siete lontani eppure così vicini, tutto il dolore che avete patito per la vostra separazione verrà ripagato-, riprese Fu, si voltò e andò a frugare nel cassetto accanto al grammofono. Ne estrasse alcuni plichi formato A4 piegati in due e li mise in mano a Marinette.

-Cosa sono?-, domandò la ragazza con voce tremante, guardando dentro ad uno di essi: in ciascun plico c’erano tante buste di carta bianca, ne poteva contare almeno una trentina, forse molte di più.

-Lettere. Lettere che Adrien ti ha scritto in tutti questi anni, ma che non ha mai inviato per paura che tu provassi a ritrovarlo e lo seguissi. Me le ha consegnate La Plume Bleu qualche tempo fa: Adrien crede che siano andate perse. Sono tutte catalogate e in ordine. Perdonami se le ho lette prima di te, ma ti ho risparmiato questo lavoro.-

Marinette provò la voglia atroce di urlare, strapparsi ogni cosa di dosso e annientarsi. Cosa aveva fatto…? Si era crogiolata nel suo dolore distruttivo ed era riuscita ad andare avanti, semplicemente accantonando la sua esistenza e illudendosi che poteva farcela anche senza di lui, relegandolo nell’angolo cupo della sua coscienza, quello che avrebbe continuato a sanguinare mentre lei continuava a far finta di vivere.

Adrien invece aveva pensato a lei ogni momento di quel suo lungo addio e aveva scritto per lei tutte quelle lettere.

-Leggile-, le disse Fu, -E dopo cercalo. Ma non andare da lui senza averle lette tutte, non lasciarti confondere dal contorno, punta all’essenziale. Lo Yin senza lo Yang non ha senso di esistere-, sorrise una volta ancora e poi prese aria.

-Bene! Abbiamo esaurito questo discorso, ora pensiamo ad Alya, Trixx e Pollen!-, esclamò richiamando la ragazza, ancora accartocciata su se stessa mentre stringeva al seno quella carta vergata per lei.

Attese che riponesse con grande cura tutti i plichi nella sua borsa, tirando fuori e buttando per terra le cose che erano di troppo, la vide prendere un bel respiro e bere d’un fiato la tazza di tè, ormai freddo.

-Da quello che mi avete raccontato ho ottime ragioni per credere che il miraculous di Alya sia stato trafugato e caduto in mani sbagliate, nonché avventate-, spiegò l’uomo, -Ho altresì ottimi motivi per supporre che LadyBug e Carapace da soli non siano in grado di recuperarlo e porre fine a questo sciocco gioco di potere...-

-Non è vero-, protestò Marinette colta sul vivo. Ripensò alle maldestre acrobazie che aveva fatto poco prima con Carapace nel vano tentativo di sradicare un idrante da terra, completamente confusi dall’illusione e si costrinse a dare ragione al maestro, abbassando la testa mortificata.

-Attendiamo ulteriori conferme da parte di Alya, poi avrai un nuovo compito da svolgere per me-, le spiegò Fu.

-Che compito?-, Marinette trepitava dalla voglia di uscire da quel posto e rintanarsi lontana dal mondo per leggere le lettere di Adrien.

-Ragazza, devi portare pazienza-, la redarguì l’uomo, -In ogni caso prima inizi a focalizzarti su questo compito, meglio è: ricordi Pollen?-

Marinette annuì, intuendo il seguito della storia: -Dovrai trovare una persona di tua fiducia che pensi possa affiancarti in modo sinergico e che sia meritevole di indossare il miraculous dell’ape-.

Le mise in mano un pettinino per capelli, di metallo. Marinette se lo rigirò tra le mani: a chi avrebbe potuto affidare tale fardello… Le vennero in mente le sole persone che aveva vicino, cioè sua madre, suo padre, Nathaniel e Manon.


-Nathaniel-, scandì, e Fu la guardò di sottecchi: - Sei sicura di poterti fidare davvero di lui?-

Un colpo basso: Marinette deglutì e si sforzò di ragionare. In fondo Nath aveva tradito la parte di lei che si aspettava una relazione sentimentale, non la sua amicizia. Le era sempre stato vicino anche se in realtà non sapeva poi molto di tutto quello che lei... Fu onesta: -È l’unico a cui possa chiedere-, ammise allargando le braccia.

Chissà che faccia avrebbe fatto Nathaniel quando avesse realizzato di essere stato fidanzato nientepopodimeno che con Ladybug!

Fu annuì e riprese il pettinino, premette dietro l’ape e ruotò i denti: -Ora è una fibbia per una cintura: suppongo che tenere in testa un oggetto così vezzoso non sarebbe stato ben accolto dal tuo ex fidanzato-, Marinette non si lasciò sfuggire il leggero tono insinuante di Fu. Evidentemente era di quelli che dividevano il mondo in bianco e nero, senza pensare che era nelle sfumature tutta la bellezza dell’esistenza.

-Avrebbe gradito ugualmente-, azzardò stando al gioco, -Quello che conta è l’essenza, non l’apparenza-.

Fu annuì sorridendo: la ragazza si mostrava ben saggia e questo era un bene.

-Rispondi-, le disse indicando il cellulare che, per terra accanto alla sua borsetta, stava vibrando in modalità silenziosa.

Marinette non se lo fece ripetere, dal momento che era Alya che la stava chiamando: -Come stai?-, quasi l’aggredì.

-Sto bene, Maribug, ma sono spaventata a morte e preoccupata per Trixx… Fagiolino però sta bene: abbiamo appena sentito il suo cuoricino battere… è una cosa meravigliosa!-, Marinette fu sollevata e sinceramente felice per quelle parole che sgorgavano dal cuore dell’amica.

-Ci penso io a Trixx-, la rassicurò, -tu pensa a star bene e a dar da mangiare a… Fagiolino?!?-, si scambiò un’occhiata perplessa con Fu, che sorrise sornione: li stava vedendo crescere come suoi nipoti ed era bellissimo! Incrociò le dita perché anche la sua adorata Marinette potesse entro breve trovare finalmente la sua felicità e la invitò gentilmente a metter giù, con un cenno della testa.

-Devo ammettere che vi facevo più vispi, voi giovani d’oggi. Ai miei tempi esisteva solo il salto della quaglia o l’astinenza: ma oggigiorno… lo sanno anche i muri che ci sono tante precauzioni…-, voleva vedere la ragazzina arrossire.

-Indosso il Miraculous della coccinella e rappresento il potere della Creazione, Maestro Fu e posso ben scommettere che il loro non è stato propriamente un incidente, ma voglia di essere completi con un figlio-, gli rispose invece la fanciulla con sicurezza. In qualche modo era certa delle sue parole, sgorgate senza quasi rifletterci, come se realmente fosse stata infusa di una saggezza ancestrale collegata al suo potere.


Sostenne con ardore lo sguardo in quello dell’uomo; un istante dopo, capitolò.


Un figlio…



-Adrien ha un figlio…-, sussurrò con voce spezzata lasciandosi scivolare per terra, d’un tratto era diventata pallida come un cencio.

Fu immaginò che gli stesse per chiedere la conferma, ma ancora una volta quella ragazzina dalle mille sorprese lo stupì: -Lui è felice?-, gli chiese semplicemente, abbozzando una specie di sorriso, che nonostante tutto si vedeva che spuntava dal suo cuore. L’uomo si avvicinò a lei e le prese una mano.

-È felice, ma non è completo senza il suo Yang-, poi l’abbracciò.

In un angolo, quasi dimenticata, Tikki tirò su col nasino: non avrebbe più accettato altro dolore per la sua cara amica. Si avvicinò ai due e attirò l’attenzione di Fu.

“Glielo dica”, pensò intensamente; “Lo scoprirà da sola, sarà molto più bello”, gli rispose telepaticamente Fu e le fece l’occhiolino.





Sarà molto più bello.





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Capitolo 29
*** Capitolo 29 - Lettere ***


Capitolo 29 - Lettere

Cara Marinette Amore mio,

siamo partiti all’alba, destinazione Tokyo. Non pensavo saremmo andati in Giappone come prima meta, eppure è abbastanza lontano da Parigi e questo mi basta. Ci deve essere l’oceano e un continente tra te e mio padre, perché non so cosa potrebbe succedere se lui cambiasse idea e si facesse riprendere dalla brama di potere o se tu decidessi di cercarmi. Migliaia e migliaia di chilometri tra te e me. Il mio cuore si sta strappando, lo sento.

Sono frastornato e mi sento a pezzi, non avrei mai e poi mai pensato di poter essere io il motore di questo viaggio che mi porta via da te. Ora che i tuoi occhi non mi possono vedere e giudicare, ti confesso di aver pianto come un bambino lasciando la mia casa, scappando da te… Ho pianto davanti a Plagg, davanti a mio padre, anche davanti al suo staff. Ho pianto all’aeroporto mentre mi stavo imbarcando e ho continuato a piangere durante il primo volo che abbiamo preso. Ora sono da qualche parte in medio oriente, stiamo facendo scalo, so che devo essere forte perché sono ancora troppo vicino a Parigi e potrei decidere di tornare indietro, ma non accadrà. Non finché non avrò reso veramente innocuo mio padre e avrò tentato ogni strada per ritrovare mia madre.

Una volta ho letto su un libro che l’uomo è un albero, i suoi genitori sono le radici, i figli le foglie e l’amore della sua vita è il sole: è vero, potevo farmi bastare il mio sole, ma sarei rimasto un albero senza radici, sarei nessuno, perché le mie radici sono state mutilate e rischio di crollare, proprio come un vecchio albero.

Sono confuso e spaventato, so di non essere stato presente come avresti meritato negli ultimi tempi e di essere stato così debole da farmi vincere dal turbine degli eventi. E soprattutto perdonami per averti confusa con il mio comportamento a tratti possessivo e in altri momenti scostante.
Non posso pensare a come ti starai sentendo… a cosa starai soffrendo: c
redo che il tuo cuore sia stato spezzato da menzogne che ho chiesto io stesso che ti venissero raccontate, perché tu non pensassi neanche lontanamente di cercarmi o di fare sciocchezze con il tuo Miraculous. Ti ho baciata l’altra sera al parco e poi ti ho fatto dire che non conti nulla per me, che sei solo una pedina nei piani di mio padre… Perdonami… perdonami se puoi, ma ero disperato e non avevo altro modo per tenerti lontana da me se non spezzarti il cuore, perché è così che doveva andare.

Per proteggere te, per proteggere la mia famiglia, ho dovuto farti credere che tu non contassi più nulla per me. Ma non è così, non è mai stato così da quando ho capito quanto fossi importante per me e non lo sarà mai, comunque vada a finire la mia folle avventura.

Se ti faranno del male queste confessioni, dimenticale e ricordami solo per quello che ti fa star bene. Ma cosa scrivo a fare… non te le spedirò mai queste lettere… non ce ne sarà bisogno, perché presto io tornerò da te, te lo giuro… e chiarirò tutto a voce, guardandoti in quegli occhi che tanto amo.

Devo rimettermi in viaggio, posso scrivere solo nei momenti in cui sono lontano da loro: negli ultimi giorni sono successe tante cose che non ti ho raccontato e adesso posso affermare che mi fido di Nathalie e di mio padre, ma nonostante tutto non riesco a convincermene del tutto, devo rimanere lucido e prudente. Ma soprattutto non voglio che i miei pensieri per te vengano letti da altri, non voglio che la mia anima venga esplorata e tradotta da chi non deve saperne nulla. Se mio padre scoprisse che in fondo muoio di paura e di rimpianti, temo che tornerebbe subito a Parigi, ti prenderebbe il Miraculous e farebbe una pazzia. E’ meglio per tuttiche piano piano si dimentichino di Ladybug e di me e te insieme.

Ma tu non dimenticare mai, ti prego Marinette, anzi, c’è una cosa che devi ricordare sempre e per sempre: anche se sono solo un ragazzo di quindici anni, io ti amo come se ne avessi cento e ti giuro che lo farò fino alla fine della mia vita.

E che tornerò da te.

Tuo per sempre,

Adrien

***

La borsa di Marinette era piena e pesante: quando entrò in casa salutò appena i suoi che le rivolsero uno sguardo preoccupato e corse in camera. Mai come in quel momento avrebbe voluto essere già via di là e vivere in una casa tutta sua, dove avrebbe potuto piangere senza essere udita e urlare tutta la disperazione che le bruciava in petto, senza far preoccupare nessuno.

Fece cadere alla rinfusa per terra tutti gli oggetti che teneva in borsa finché non prese i plichi con le lettere che le aveva dato Fu. Un’etichetta aggiunta in un secondo momento indicava che queste erano state separate per anno e su ciascuna busta c’era un numero sequenziale. Quando le aprì, Marinette scoprì che ogni busta conteneva molte lettere scritte su carta sottile: ne contò centonovantotto, forse centonovantanove. Avrebbe impiegato ore per leggerle tutte, sebbene alcune fossero solo di poche righe.

Prese la prima lettera e inspirò cercando di farsi forza: se quello che le aveva detto Fu era vero, aveva tra le mani tutta quella che era stata la vita di Adrien negli ultimi sei anni.

Non aveva avuto più notizie di lui dal loro ultimo incontro in Places des Vosges, prima che se ne andasse, ma le era stato chiaro dopo poco tempo che la sparizione del suo Miraculous e la perdita dei ricordi di quella sera di maggio avevano un denominatore comune, cioè Adrien.

Lo aveva scoperto un pomeriggio, rientrando a casa dopo la scuola, un paio di settimane dopo quella bruttissima giornata, quando sua madre aveva portato in camera sua un plico su cui c’era semplicemente scritto “M.lle Doupain-Cheng”. Marinette aveva indugiato a lungo ad aprirlo e si era rifugiata sul suo letto sul soppalco, sospettando che contenesse qualcosa di molto importante. Non riceveva praticamente mai posta e quel pacco non era neanche affrancato, il che le era parso a maggior ragione inusuale. Aveva sperato con tutto il suo cuore che contenesse un messaggio da parte di Adrien o qualsiasi indizio che le portasse informazioni sul ragazzo, ed era rimasta delusa quando aveva trovato solo un fazzoletto appallottolato. Lo aveva svolto con il cuore che batteva forte nel petto e le erano caduti in grembo i suoi orecchini.

La gioia che aveva provato nel rivedere Tikki, che si era subitaneamente materializzata davanto a lei, aveva permesso per un po’ a Marinette di alleggerire l’enorme fardello che pesava sul suo cuoricino spezzato.

Ma subito dopo la kwami l’aveva prontamente informata che era stato Adrien a impossessarsi del suo Miraculous: per un breve tempo, Tikki era stata parte di lui assieme a Plagg, quando il ragazzo aveva attivato il sommo potere dello Ying e dello Yang per usare il potere della creazione e della distruzione assieme.

Era stato Adrien Agreste, quindi, ad abbandonarla, tradirla e depredarla per poi scomparire. In un primo momento Marinette non aveva voluto neanche crederci, poi si era dovuta arrendere all’evidenza che non aveva capito nulla del ragazzo che amava. Aveva sempre e solo pensato che ci fossero confusione e dolore in Adrien, tanta insicurezza e anche tanto bisogno di essere amato, ma si era trovata di fronte all’evidenza che dietro il suo lo sguardo turbato e la sua riservatezza, Adrien fosse squassato dalla tempesta che si agitava silenziosa nel suo animo. La sua mente aveva architettato un piano preciso e spietato per arrivare ad impossessarsi degli orecchini e usarli come merce di scambio con Papillon: lei era stata solo una pedina in quei giochi, il ragazzo aveva fatto tutto da solo., senza coinvolgerla e farla preoccupare. L’unica consolazione che Tikki le aveva potuto dare era stata la certezza che nessun desiderio era stato espresso da Adrien mentre indossava entrambi i Miraculous, quindi nessuno aveva messo a repentaglio la propria esistenza per cercare di riportare a casa Emilie Agreste: non c’era stata nessuna magia in quella notte di Maggio, solo il silenzio che Adrien aveva lasciato dietro a sé.

Nel cofanetto non c’era altro, oltre agli orecchini e al fazzoletto: non una lettera, non parole di spiegazione. Marinette se lo era rigirato a lungo tra le mani, ma quella scatoletta anonima aveva continuato a rimanere vuota, come vuoto era il suo cuore da quando Adrien era scomparso. A ben pensare, considerando la modalità anonima e superficiale con cui erano stati impacchettati i suoi orecchini, non c’era nulla di evidente che avesse potuto correlare quel cofanetto al ragazzo che Marinette amava: Adrien sembrava così attento, lui non avrebbe mai manipolato una cosa così preziosa in quel modo frettoloso. Forse, in definitiva, non era stato lui a rimandarle il Miraculous, ma qualcuno che, nonostante la poca cura, le aveva voluto più bene di lui.

Forse davvero Marinette non aveva capito nulla di Adrien.
Allora, strisciante, si era insinuato in lei il dubbio che veramente il ragazzo avesse cambiato vita e si fosse lasciato alle spalle il loro legame dimenticandosi di lei, di quello che era stata la loro amicizia prima e quel dolce amore poi. Lentamente si era convinta che non potevano essere veri quei ricordi sfumati che aveva della notte in cui era stata ritrovata da Kim: Adrien era andato via senza una spiegazione e le parole su cui aveva basato la speranza di riabbracciarlo forse erano state solo frutto della sua immaginazione. Qualcuno le aveva detto che tutto era stato fatto per amore, ma non ricordava chi lo avesse detto e ogni cosa sembrava voler dimostrare il contrario.

Probabilmente Adrien non l’aveva mai davvero voluta con sé nel suo disegno di vita e lei si era immaginata tutto, anche quella spiegazione che per un po’ l’aveva consolata.

E, lentamente, poco a poco ogni giorno, Marinette aveva iniziato ad andare avanti pensando a lui sempre meno, finché Adrien era diventato solo il primo pensiero fugace al mattino e l’ultimo della sera. Per anni il ricordo del ragazzo l’aveva accompagnata nel sonno tra lacrime via via sempre meno copiose e il suo volto dolce e gentile era sfuggito quasi subito dai suoi sogni, sempre meno frequenti, fino a scomparire del tutto.

Che stupida che era stata.

Marinette guardò ancora la firma sul foglio che teneva in mano: si era sbagliata di grosso a pensare che Adrien l’avesse dimenticata e quelle lettere ne erano la prova. Ogni parola significava per lei una colpa lasciata a macerare per anni nel suo cuore svuotato; ogni volta che vedeva scritto il suo nome sulla carta, era acido gettato sulla sua pelle. Adrien aveva scritto tutte quelle lettere per lei: era incredibile.

La ragazza sentì il cuore perdere un colpo e un pensiero grattò la sua mente svuotata per accogliere quelle intime confessioni, come un tarlo malefico capace di divorare ogni fibra della sua residua coscienza: lei non aveva scritto niente ad Adrien, ogni suo pensiero se l’era tenuto per sé e aveva avvelenato il suo animo per sei infiniti anni, tramutando la mancanza di lui in rancore e la solitudine in rimpianto; si era addirittura forzata a convincersi che lui l’avesse tradita per cercare di soffrire di meno. E, per questo, lei non lo aveva cercato, non aveva lasciato nessuna prova per dimostrare quanto le era mancato il suo più grande amore. Aveva sofferto in silenzio, si era sforzata di dimenticarlo, lasciando che per tutti gli altri si fosse trattato solo di una breve infatuazione adolescenziale, temporanea come un raffreddore: aveva permesso che tutti, lei per prima si fossero convinti che il tempo avesse lenito le ferite e l’oblio avesse mangiato ogni dolore, così come le avevano consigliato di fare.

Dimenticalo, se è scomparso senza più ricercarti significa che non era degno di te. Significa che non ti voleva bene. Significa che sei stata fortunata.”

Alla ragazza tornarono in mente quelle parole sentite fino alla nausea, come acqua sporca che torni su da uno scarico intasato: avrebbe voluto urlare e spaccare qualcosa, sfogare la rabbia e il dolore sopito e urlare finalmente al mondo quel maledetto “io lo sapevo!” che ruggiva dentro di lei da allora. Avrebbe voluto distruggere qualcosa a mani nude, facendosi del male, punendosi fisicamente per l’accettazione e il grigiore in cui aveva scelto di sopravvivere quando invece avrebbe potuto vivere, se solo lui non le avesse negato la sua presenza.

***

Amore mio,

a Tokyo la vita sembra la stessa che a Parigi: mi hanno iscritto ad una scuola, c’è chi mi insegna scherma, mi fanno le foto, suono il piano. Eppure è tutto completamente diverso.

Manca il sole, manca l’aria, manca la voglia di svegliarsi la mattina e di prender sonno la sera.

Guardo ad ovest, perché tu sei lì. Il giorno che io vivo, tu lo vivrai domani, i miei pensieri per te ti arriveranno mentre dormi.

Chissà che cosa sogni, amore mio…

Io non sogno più: non ho prospettiva per adesso, speravo di andare in Cina e affrettare la nostra ricerca, invece siamo ancorati a questa isola per far fiorire gli affari di mio padre e crearci un alibi credibile. Papillon si sta ridimensionando, Gabriel Agreste ha la meglio su di lui e io devo fargli da Grillo Parlante e farlo ragionare per riportarlo verso la strada che abbiamo intrapreso e che ogni tanto pare dimenticare.

Se mia madre è viva, la troveremo e non servirà a nulla usare in nostri Miraculous. Se invece è morta, nessuno morirà per riportarla indietro. Per questo adesso Tikki è con te: perché non avrei mai e poi mai potuto fare questa cosa da solo, anche se ci ho provato, anche se ti ho detto che era quello che avrei voluto fare. Ci ho provato, Tikki te l’avrà raccontato, ma non ho avuto il coraggio. E’ sempre stato quello il mio problema: la mancanza di coraggio...

Ho detto a mio padre che ho promesso che tornerò da te e che non voglio fare come ha fatto mia mamma, ma ho commesso un errore. Lui si è chiuso di nuovo in se stesso, non ha compreso cosa significhi davvero speranza, promesse, attesa. Si è sentito punto nel vivo ed è tornato più cocciuto di prima. E’ un uomo estremamente fragile, anche lui.

Lui non lo vuole capire, non si vuole arrendere, non pensavo fosse capace di tanto amore, ma tanto amore l’ha portato a troppa rabbia e disperazione. Si è accartocciato sulla sua perdita e non riesce a muoversi da lì. “La ritroveremo quando voglio io”, mi ha detto, quando gli ho chiesto cosa ci facciamo ancora a Tokyo. Papillon ha paura e anche io ne ho da vendere. Probabilmente lui non è ancora pronto a scavare a fondo per capire cosa sia accaduto a sua moglie e per certi versi posso comprenderlo.

Ho chiesto di mantenere il più possibile basso il mio profilo pubblico, perché non voglio distrazioni, non voglio fama, non voglio che tu abbia informazioni su di me e pensi a qualche assurda sciocchezza per ritrovarmi; forse però mi vedrai in foto su qualche rivista… vorrei tanto poter essere io a vedere te, il tuo sorriso, le tue espressioni buffe quando mi guardavi e arrossivi, ma ho chiesto di non sapere più nulla su di te, perché anche la mia forza potrebbe vacillare. Eppure vorrei sentirti balbettare di nuovo in mia presenza, arrossendo come una piccola fragola matura, vorrei poterti abbracciare e affondare il naso tra i tuoi capelli, baciare le tue labbra morbide e rimanere stretto a te tutta la notte, ma non possiamo. In nessun modo tu devi venire da me o io devo tornare, se non quando Papillon non ci sarà più.

Ci è stato concesso troppo poco tempo. Custodisci il tuo miraculous, non fartelo mai portare via. Io tornerò.

***

Un'altra lacrima rotoló giù dalla guancia di Marinette mentre stringeva tra le mani l'ennesimo foglio che Adrien le aveva scritto. Si trattava di un diario, più che di una vera serie di lettere indirizzate a lei, perché alcune di quelle non gliele avrebbe mai potute spedire.

Oh quanto poco aveva potuto conoscere quel ragazzo e quanto, invece, lo amava, incondizionatamente, anche con i suoi sensi di colpa, con i suoi misteri e quei segreti che, parola dopo parola, le trituravano il cuore!

La calligrafia elegante e sottile era uno degli aspetti di lui che non ricordava. Si perdeva tra quelle lettere familiari eppure sconosciute e ogni volta che compariva il suo nome non poteva fare a meno di notare che era scritto con più cura delle altre parole, come fosse un segno di rispetto o di amore.

Aveva avuto la conferma che quel che aveva sospettato anni prima, cioè che il famoso plico in cui le erano stati riconsegnati i suoi orecchini, provenisse da Adrien, in qualche modo. All’epoca non aveva voluto dare retta alle sue sensazioni, si era barricata nella certezza che lui l’avesse dimenticata e basta. Era sparito, non aveva più avuto una parola per lei, era diventato un estraneo: le era bastato questo per convincersi che fosse vero, ma nel profondo del suo animo aveva sempre sperato, e forse anche saputo, che non poteva essere stato così.

Lettera dopo lettera non aveva ancora chiuso occhio, nonostante fosse notte inoltrata, rapita dalla scoperta che tutta la vita di Adrien era descritta in quelle pagine e ogni momento di quei lunghi anni di attesa le veniva svelato in un crescendo di sofferenze, rimpianti e speranze.

Quasi non si accorse che in lontananza lungo la Senna, ma non così distante da non essere udito fin dalla sua mansarda, svariate auto della polizia e ambulanze a sirene spiegate stavano infrangendo il silenzio della notte. Fu Tikki ad avvertirla e spronarla ad accorrere nelle vesti di Ladybug: era suo dovere ricordare che, prima di tutto, lei era l'eroina di Parigi.

Scorse con un tremito le ultime parole della lettera che aveva tra le mani: era una richiesta accorata di proteggere il suo potere e di aspettarlo. Come pugnalata al cuore, si mise in marcia, si trasformò e si gettò a capofitto nella mischia.

Parigi aveva bisogno di eroi.

***

Marinette amore mio,

sto impazzendo chiuso in questa villa esotica, da solo. Ho solo la compagnia di Plagg, unicamente quel pazzo kwami che prima o poi strozzerò con le mie mani. Nathalie sembra avere preso le distanze da me, ma anche da mio padre in realtà. Quella donna è misteriosa tanto quanto sorprendente, mi piacerebbe che prima o poi anche tu la conoscessi per quello che è, ma intanto resto da solo.

Voglio uscire, voglio incontrare i miei amici, voglio venire da te e baciarti strapazzarti di coccole. Voglio baciarti, mi manca la tua pelle… Ho dei vaghi ricordi riaffiorati dopo mesi e mesi di oblio: forse il regalo che mi ha fatto Nathalie comprende anche l’aver perso alcuni ricordi che erano preziosi per me… che è successo realmente tra noi, Marinette? Ho negli occhi la tua immagine nel mio letto vestita di bianco. Siamo insieme, stiamo per unirci come fare l’amore, ma poi scompare tutto, c’è solo paura. Nathalie non sa a cosa mi stia riferendo, ha ammesso di aver usato il suo potere su di me per cancellare parte della mia memoria e come conseguenza io non riesco a controllare bene i brandelli di ricordi di così tanto tempo fa, perché sono stati sconvolti, tagliati, accartocciati come un foglio di brutta copia gettato via. Ricordo solo fuoco e dolore, passione e angoscia e non so cosa sia davvero successo con te. Abbiamo fatto l’amore, Marinette? Ti sei donata a me? Non dormo più da quando ho questo pensiero… non posso più continuare a parlare da solo con un pezzo di carta, voglio sentirti vera tra le mie mani, voglio i tuo baci i tuoi graffi… Voglio scappare con te ed essere solo tu ed io.

Credevo di non averti mai sfiorata, dimmi che è così ti prego, voglio portare con un me un ricordo bello e puro di noi due insieme. O forse è tutto frutto della mia immaginazione. Non riesco più a capirlo, ma quando ci ritroveremo, Marinette sarà tutto bellissimo. Qualunque cosa sia accaduta, sarà come ricominciare da zero, senza errori, pressioni, incomprensioni, paure.

Siamo ripartiti: addio Tokyo, grazie a Dio. Credo che la mia eredità sia aumentata di un bel po’ con questa simpatica sosta e non me ne può importare di meno. Adesso hanno tappezzato con le mie foto mezzo Giappone, vorrei scappare a gambe levate. Lo so che ti arrabbierai, ma qua le ragazzine sono ancora più moleste di Chloé: sono riuscite addirittura ad infilarsi in casa nostra, mi hanno aggredito letteralmente. Mio padre urlava “chiamate la sorveglianza”, ti ricordi Josh, l’autista?, ne ha prese alcune di peso e le ha scaraventate in giardino. Per fortuna è intervenuta Nathalie: ha imparato a usare bene il suo Miraculous e le ha tutte convinte a rimettere a posto, pulire  casa e andarsene. Mio padre l’ha guardata con ammirazione e io per un attimo ho pensato che avremmo potuto tornare a Parigi, perché non occorreva più continuare questa ricerca.

Non voglio che lui dimentichi mia mamma, io non voglio dimenticarla, ma vorrei solo arrivare alla fine di questo incubo.

E tu che cosa fai, amore mio? Come ti trovi nella nuova scuola, hai anche tu degli ammiratori che ci provano con te? Sarei offeso se non ce ne fossero…

Ma io tornerò. Lo giuro.

Tuo per sempre,

Adrien

***

Lo scenario che Marinette trovò era infernale: dalla stazione della metropolitana del Louvre uscivano come topi in fuga dalla nave che affonda, decine e decine di persone con abiti stracciati e visi inespressivi, ciascuna con un ordigno tra le mani, ciascuna senza anima.

Pur essendo notte fonda, c’erano molte persone che urlavano e cercavano di scappare ovunque. Ladybug corse verso di loro e riuscì a farne allontanare un piccolo gruppo, mentre alle loro spalle gli altri urlavano dilaniati da morsi e colpi.

La prima squadra di assaltatori mandata dall’esercito indossava giubbotti antiproiettile e maschere protettive, avanzava in formazione compatta. La prima linea degli zombie sganciò le sicure e lanciò le bombe: gli agenti caddero a terra feriti e terrorizzati, chi poteva se la dava a gambe rompendo le righe e facendo precipitare nel caos le forze dell’ordine.

Ladybug ritornò nella mischia, voleva capire cosa diavolo fosse quell’allucinazione splatter che stava lasciando feriti tutto intorno a lei. Era convinta che si trattasse proprio di un inganno, come il giorno prima, quando aveva affrontato quella specie di robot vomitato dalla terra assieme a Carapace.

Afferrò un soldato immobile al suolo e cercò di farlo alzare per portarlo via di lì, confidando che l’uomo collaborasse, quando un colpo violento sulla schiena la fece cadere a terra senza fiato. Si voltò appena in tempo per vedere su di sé uno di quei mostri armato di un lungo tubo di ferro. Provava un dolore atroce al costato, ma doveva a tutti i costi reagire. Si difese scalciando con le gambe, cercando di farlo indietreggiare e si rese conto che non era un’illusione, ma era reale. Lo colpì con entrambi i piedi e lo fece cadere all’indietro, vide con orrore la carcassa andare in pezzi e le ossa staccarsi dalla carne. Quello non poteva essere vero!

Cercò di caricarsi un ferito sulle spalle e lanciò lo yo-yo per avere un appiglio che la potesse far scappare dal cuore dell’attacco.

Mollò la presa decine di metri più lontano, nello stesso luogo dove aveva messo al riparo i primi turisti, osservò ferite simili a strappi sulla carne del giovane privo di sensi e per un attimo temette che potesse risvegliarsi e attaccarli.

Lo lasciò alle cure delle altre persone e corse verso un’ambulanza per indicare ai soccorritori il luogo dove stava radunando tutti quelli che poteva salvare.

-Ladybug, anche lei è ferita!-, la informò senza nascondere la paura un giovane volontario della Croix-Rouge, indicando la sua schiena. La ragazza cercò di ruotare la testa per guardare cosa fosse, mentre il dolore si amplificava ad ogni movimento: effettivamente aveva un profondo squarcio nella tuta e, sotto ad essa, una ferita solcava la sua pelle, proprio al di sotto del piccolo tatuaggio nero che custodiva sulla schiena, tra le scapole

-Si faccia medicare…-, la pregò il ragazzo, ma Ladybug scosse la testa e tornò verso il fronte di non-morti che continuavano a terrorizzare le forze armate. Non era mai accaduto prima che la sua tuta cedesse, mai.

Non poteva essere reale, ad ogni passo ne era sempre più convinta. Oltrepassò i soldati e rimase da sola, nel mezzo tra i due schieramenti immobili.

Uno degli zombie tolse la sicura e lanciò ai suoi piedi una bomba.

***

Amore mio,

la Cina è sterminata: sono passati quasi diciotto mesi e ancora non abbiamo iniziato davvero a cercare la mamma. Vorrei sapere dove si trovano i tuoi parenti, vorrei conoscerli, ritrovare un piccolo frammento della tua famiglia quaggiù, per sentirmi meno solo.

Tra tre giorni sarà il mio compleanno: 17 anni. Non potrà che portarmi sfortuna, ma tanto ci sono abituato.

Stanotte, per la prima volta da allora, mi sono trasformato in Chat Noir e ho iniziato a correre come un pazzo verso ovest. Ho corso per ore finché non sono crollato. Plagg mi ha abbandonato e ho dovuto chiamare mio padre per farmi venire a prendere. Ci hanno messo mezza giornata a trovarmi. Non mi sono mai sentito così in trappola per una mia decisione. Come ti dicevo, la sfortuna si accanisce su di me.

Di colpo, una sera non tanti giorni fa, mi sono tornati alla mente quei momenti che abbiamo vissuto insieme quella notte in camera mia. Ho ricordato chiaramente la tua pelle morbida, il tuo profumo speciale; ricordo la passione che mi aveva travolto e che non avevo mai pensato di poter provare. Mi sono bruciato, quella notte ed è successo di nuovo quando tutto mi è tornato alla memoria: ho iniziato a pensare a te non solo come mia anima gemella, ma anche come una meravigliosa creatura di carne e pelle, come a qualcosa di proibito che avrebbe potuto essere solo per me. Quanto avrei voluto continuare a vivere assieme a te, scoprirci piano piano, riprovare ancora quei momenti… Avrei voluto essere il primo per te… Ma spero di tornare per esserlo, prima o poi. Mi aspetterai? Forse sono un illuso a sperarlo. Adesso, chissà tu cosa fai, con chi sei… E’ per questo che sono scappato, perché volevo correre da te… Perché tu sei mia.

Ora mi hanno riportato a casa, le mie idee sono meno confuse, la mia passione sta lentamente ridimensionandosi. Lascio che il tempo passi inesorabile e ogni secondo lontano da te è un rintocco sull’orologio che segna l’evolvere della mia pazzia.

Shangai è asfissiante, vorrei almeno poter raggiungere finalmente il Tibet, tanto lo sappiamo bene che, se mia madre è viva, si trova là. Ma Papillon è tornato alla carica e vuole cercare l’altro libro dei Miraculous, perché ha scoperto che ne esistono due e in uno dei due sono racchiusi maggiori segreti. Lui ha l”’edizione sbagliata”, a quanto pare, e ci sta coinvolgendo in questa folle ricerca. In qualche modo forse tutto ciò ha un senso, perché lui sostiene che, con il nuovo libro, potremmo scoprire molte più cose e concludere la ricerca senza alcun tipo di rischio o uso improprio dei Miraculous. Ma tanto quello non accadrebbe, perché i tuoi orecchini lui non li avrà mai.
Mi sento solo, sono solo. E tu sei troppo lontana da me…

Ho conosciuto una famiglia, sono persone carine e per bene, la figlia ha un anno meno di noi e ti somiglia un po’, ma i suoi occhi non sono azzurri, non c’è cielo né mare dove perdersi. Lei non è te, nessuno potrà mai essere te.

Cerco una fetta di azzurro, ma non esiste. Il cielo è grigio, il mare non c’è, gli occhi, qua, sono tutti neri.

Quando tornerò a casa, perché io tornerò, te lo prometto, voglio passare una settimana solo a guardare i tuoi occhi e naufragarci. E poi un’altra settimana di baci, e una di carezze. Voglio ricominciare da quella notte, da quei baci, dalla tua pella così calda sulla mia.

Voglio fare l’amore con te, Marinette…

Tuo, tuo, tuo, per sempre solo tuo,

Adrien

***

-Via di lì!-, fu l’ultima cosa che Ladybug riuscì a udire, prima che un boato enorme  la facesse volare a metri di distanza e un dolore fortissimo la stritolasse come una morsa di ferro.

Era esterrefatta, dolorante, incredula. Sanguinava. Ma se fosse stata una vera bomba, lei non sarebbe più stata in grado di rendersi conto di tutto ciò. Si guardò attorno nella vana speranza di vedere un lampo verde accorrere al suo fianco, ma si rassegnò all’idea di essere sola e nei guai. Nemmeno Carapace l’avrebbe aiutata ormai.

Si sentì sollevare di peso da braccia forti e spostata in un luogo più sicuro.

-Volevi farti ammazzare?-, un soldato le urlò da dietro una bandana nera, la fece stendere, qualcuno controllò l’entità delle sue ferite. -E’ un miracolo che sia ancora viva-, disse l’altro.

Ladybug si aggrappò alla spalla di uno dei due per sollevarsi, -Aiutami-, chiese e fu rimessa in piedi. Inspirò cercando di non urlare dal dolore, -Andate da chi ha bisogno-, ordinò e, con un balzo e mille coltellate nel costato, sparì da lì e salì fino alla cima di un edificio adiacente allo slargo dove stava avvenendo lo scontro.

Notò immediatamente che era tutto immobile: uno degli zombie, quello che per primo l’aveva colpita con una spranga, annusava l’aria cercando qualcosa attorno. Solo quando si fermò, puntando nella sua direzione, Ladybug comprese che era caduta nella sua trappola: erano illusioni, ma era lei il vero scopo di quell’attacco mezzo reale, mezzo immaginato.

Non ce l’avrebbe fatta da sola, quella volta più che mai se lo sentiva e urgeva un aiuto. Rammentò dell’attacco delle Sapotis e scosse la testa: non voleva tirare Nath in ballo, non era pronto, non era sufficientemente forte e non sapeva neanche quali poteri avrebbe potuto affiancarle, ma non aveva altra scelta.

Scoccò un’occhiata feroce al suo nemico e si sottrasse alla sua vista, volando via appesa al filo del suo yo-yo.

Nelle retrovie, attaccato ad un comunicatore, il comandante delle truppe speciali osservava senza parole lo scenario di pura follia che il monitor gli rimandava.

-Sono illusioni-, Ladybug si fece strada fino al comandante, lo aveva raggiunto subito dopo la sua fuga: -Mi guardi: sarei morta altrimenti e non è questa tuta magica a proteggermi. C’è qualcosa di vero che si muove là dietro, ma il resto sono tutte illusioni. Ho messo al sicuro un ragazzo: aveva segni di morsi sul suo corpo, ma l’assicuro che non è diventato uno zombie…-

Il comandante annuì attendendo altre informazioni: -Le prometto che sistemerò tutto, ma adesso ho bisogno che troviate il modo di intrattenere questi cattivi finché non sarò di ritorno… devo andare a chiamare rinforzi. Loro vogliono me, quindi se sgomberate l’area non dovreste ricevere nuovi attacchi: per il resto... improvvisate!-, suggerì, e con un balzo scappò via.

***

Marinette Purrincipessa del mio cuore!!!

Non ci crederai mai, ma il tuo Principe ha finalmente preso la patente!

Credo che mio padre l’abbia comprata, perché non so quanto siano stati obiettivi gli esaminatori, qua in ambasciata. Ad ogni modo, amore mio, quando tornerò ti verrò a prendere con la mia auto e scapperemo insieme, ti va?

Lasciamo i kwami a casa, solo tu e io, lasciamo anche i telefoni e ogni cosa che possa disturbarci. Scappiamo da tutti i doveri e i ricordi che fanno male, scappiamo e dimentichiamoci di tutto. Saremo solo Marinette e Adrien e nient’altro.

Basta ricerche folli, basta gelosie, basta responsabilità.

Basta nascondersi perché sei biondo, perché ti riconoscono, perché è pericoloso, perché non è abbastanza adatto, basta anche scappare.

Mi basterebbe rimanere chiuso in una stanza con te per tutta la vita e averti tutta per me…

Anzi, sai che voglio fare? Compro una macchina, ti rapisco e guido finché non siamo sul mare. Ci chiudiamo dentro e passiamo un giorno intero a fare l’amore sui sedili.

Non arrossire, Marinette! Non vergognarti più di mostrarti a me o dell’effetto che fanno le mie mani sulla tua pelle… Amore mio…

Scusami, forse ero troppo allegro prima… Abbiamo brindato io e Josh scolandoci una bottiglia di Tequila: gli ho detto che non avrei più avuto bisogno di lui, quando saremo tornati e lui ha finalmente parlato! E’ stato un evento.  Ha detto: “Tanto mi toccherà venire a recuperarti con una tanica di benzina, ti conosco fin troppo bene, biondino”: INCREDIBILE!!! Come conosciamo poco le persone che vivono a un metro da noi… Come conoscevo poco te!

Non ce la faccio più a stare lontano dalla mia Marinette, quasi quasi metto benzina e scappo da te!

Ti amo dolce ragazza dei miei sogni.

***

Doveva rimanere lucida, doveva pensare e ragionare. Chi poteva esserci dietro un simile attacco? Mancò la presa su una grondaia e per poco non cadde nel vuoto; imprecando si tenne al filo dello yo-yo e si dondolò fino ad arrivare all’appiglio più vicino.

Non ce la faceva da sola… si sentì schiacciare dal peso di quella consapevolezza, strinse i denti e con un urlo soffocato riuscì a tirarsi sù, sentendo il fuoco sulla schiena. Che cosa diavolo aveva inventato quel bastardo di nemico sconosciuto? Come aveva fatto a squarciarle tuta e pelle?

Roteò lo yo-yo e lo agganciò al comignolo della sua casa, lasciandosi andare e atterrando sul balcone.

Doveva prendere il miraculous dell’ape e portarlo a Nathaniel immediatamente.

Entrò di soppiatto in camera sua, frugò nella borsa e prese la scatoletta: solo allora i suoi occhi scorsero le lettere di Adrien, sparse per tutto il pavimento e sul letto.

Non era riuscita a finire di leggerle tutte, sentiva il richiamo di quel disperato grido di aiuto che silenziosamente era andato perso nel tempo.

Le parole scritte dal suo unico vero amore avevano colpito come gocce di acqua inesorabili ogni più piccola particella della sua anima e del suo cuore e non poteva lasciare che tutto andasse perduto proprio nel momento in cui lui finalmente era tornato…

Anch’io vorrei fare l’amore con te…

Strinse i denti e si lasciò cadere giù dalla finestra tonda di camera sua: il filo teso dello yo-yo la riportò su, verso le stelle, nella direzione della casa che anni prima aveva abitato e arredato nel vano tentativo di dar vita alla sua illusione personale con Nathaniel Kurtzberg.

Una lacrima volò via e cadde giù, da qualche parte sui tetti di Parigi.

***

Marinette, amore mio,

ho ritrovato una tua foto nel mio cellulare: è la foto di Ladybug, quando non sapevo che fossi tu. E’ l’unica che ho e mi domando come posso essere stato così cieco a non riconoscerti sotto la maschera.

Guardo e riguardo questa foto e ti vedo bellissima… Quel costume mi manca tanto, Marinette… mi manca tanto afferrarti e farti volare attaccata al tuo yo-yo, mi manca sentire il tuo peso tra le mie braccia, mi mancano i momenti in cui il tuo profumo leggero mi solleticava per un attimo i sensi e io perdevo la testa e mi comportavo come un idiota.

Ecco: ora sono il più idiota dei gatti che camminano tra i tetti di Lhasa. Miagolerei alla luna, se la vedessi, ma ci sono solo nuvole e sprazzi di stelle lontanissime.

Guarda quella stella accanto a Sirio, quella si riesce a vedere tra le nuvole, ma forse tu non ci riuscirai da Parigi: c’è troppa luce. Qua imperano il buio e il silenzio e io posso immaginare un cielo stellato solo per noi…

Ti voglio Marinette… La tua assenza mi fa male… Ho giurato di rimanerti fedele, e mi ci sto impegnando non sai quanto. Ma non lo sapevo che in Tibet, oltre i monaci, ci sono anche tante, tante ragazze… Hanno tutte gli occhi neri, ma a volte mi giro e ne vedo una che somiglia  a te. Esile, piccolina, con lo stesso taglio degli occhi e un sorriso dolce… ma non sei tu e io impazzisco, Marinette! Aiutami, dimmi cosa devo fare, come devo resistere a questo vuoto che mi buca l’anima e a questa voglia che cresce ogni volta che penso a te!

Abbiamo trovato una pista. Tra tre giorni saliremo più in alto, dove vivono alcuni monaci eremiti che forse hanno informazioni per noi.

Una donna mi ha visto e ha pronunciato il nome di mia madre. Lei è stata qui… ma nessuno adesso sa dove sia. Dobbiamo parlare con un uomo che vive tra le montagne, troppo in alto per trovarlo senza altre avventure.

Vorrei avere le ali e volare da te per riprendere un po’ di fiato. Mi basterebbe un tuo bacio, uno solo e veloce, per ritrovare un po’ di forza.

O forse impazzirei.

Io tornerò, ricordalo sempre… Ma voglio sapere cosa fai, se stai bene, se ti ricordi di me e di quello che eravamo.

Ho bisogno di sapere dove sei… con chi sei… E non lo saprò mai…

Ti amo, amore mio.

***

Adrien era da qualche parte a Parigi, così vicino a lei eppure così disperatamente lontano. Aveva mantenuto la promessa, era tornato ed era andato a cercarla, forse l’aveva vista e inseguita, ma ormai era lontano di nuovo. Anni luce da lei, incastonato in una nuova vita, nuovi amori, figli.

Lo sentiva… Di nuovo mancò la presa, stavolta con lo yo-yo, tuffandosi nel vuoto; di nuovo i suoi riflessi la salvarono dal cadere sul suolo duro e freddo. Di nuovo provò dolore sulla pelle dilaniata. Di nuovo le lacrime presero a spingere prepotenti sotto le palpebre serrate.

Doveva smettere di pensare e concentrarsi sulla sua missione. Aveva un Miraculous tra le mani e non poteva concedersi il lusso della distrazione. Avevano già perduto quello della Volpe, non avrebbe consegnato in mani sbagliate un altro potere così grande.

Si pentì di  non aver chiesto a Maestro Fu quale fosse il potere dell’Ape, per un attimo le balenò l’idea di indossarlo lei per amplificare i suoi poteri: sarebbe stato possibile? Avrebbe sopportato tutto quel potere, nelle condizioni in cui versava?

Si fermò sul tetto piatto di un distributore di benzina, stava avvicinandosi di nuovo al luogo dove imperversava la furia dell’illusione. Se una persona poteva accogliere su di sé il potere della Coccinella e quello del Gatto nero, per arrivare ad avere un potere enorme, allora avrebbe potuto provare a fare lo stesso con quello dell’Ape.

Aprì la scatoletta e lasciò che Pollen si manifestasse a lei.

-Mi chiamo Pollen e son… Oh, ciao Marinette-, trillò la vocina della enorme ape così simile in dimensioni e fattezze alla sua Tikki. La creaturina guardò la ragazza davanti a sé e storse la bocca: -Non capisco, che ti è accaduto?-, domandò indicando le ferite sul suo corpo.

-Ho bisogno di una mano…-, le rispose Ladybug e prese la fibbia, cercando un posto su di sé per agganciarla.

-Che vuoi fare, Ladybug?-, la kwami agitò le zampine davanti a sé, volando attorno alle mani di Ladybug: -Tu non puoi prendere il mio potere!-, la mise in guardia, cercando di allontanare il miraculous da lei.

-Devo, Pollen!-, Ladybug cercò di essere il più convincente possibile, -Non riesco a fermare il nemico con i miei soli poteri-, spiegò mostrando ancora le sue ferite.

-Ma tu non puoi!-, insistette Pollen, lottando furiosamente per prendere il suo Miraculous: -Ti potrebbe uccidere!-

Ladybug frenò ogni resistenza e guardò la bestiolina: -E allora? Vinceranno loro?-, domandò abbattuta e incredula.

-Trova chi ti aiuti-, fu logica risposta, -una persona che possa accogliere il mio potere e che sia abbastanza saggia da saperlo usare per fare del bene-.

Ladybug strinse i pugni: non poteva che obbedire al volere di Fu e andare a cercare Nathaniel. Aprì la scatoletta per farvi rientrare Pollen e balzò nella direzione giusta, scuotendo la testa e maledicendosi per le conseguenze che avrebbe avuto la sua scelta.

***

Ho infranto la mia promessa, amore mio.

Ho indagato su di te, ho violato la tua vita.

Ho scoperto che sei andata avanti, che lui ha vinto.

Non posso biasimarti, né posso biasimare lui, perché probabilmente anche io avrei fatto lo stesso, avendo vicina una persona come te.

Ci sto male, ti mentirei se dicessi il contrario, mi sento spaccato in due: una parte che vorrebbe scappare e prenderti e portarti via da lui, un’altra parte che capisce e spera che tu possa essere felice. Ma tu non devi essere felice senza di me!

E con grande vergogna, profonda vergogna, ammetto di aver tradito anche io la promessa che ti ho fatto. Ho “conosciuto” altre ragazze, ho cercato di ritrovare qualcosa di te in loro, sono stato con loro, inutile girarci intorno.

Non voglio dirti di più, perché voglio dimenticare.

So che lo farò ancora e che me ne pentirò ancora. So che non mi capirai e che forse è tutto perduto, ma io ti amo, ti amo visceralmente e non posso più, mai più fare a meno di te.

Siamo saliti tanto in alto con le guide Sherpa e usando i droni, così in alto che ho pensato di poterti vedere da lassù. Ma ho visto solo nuvole e sogni infranti e ho pianto.

Ha pianto anche l’uomo che stavamo cercando e che abbiamo trovato nell’ultimo luogo della nostra ricerca. Ha pianto e io ho capito che noi non conoscevamo affatto mia mamma: era una matrioska di misteri, la donna dalle sette vite, la persona più ammaliante della terra e più sfuggente. Non me la ricordo quasi, la mamma: più la cerco, più sfuma l’immagine che ho di lei.

Ho iniziato a sperare ogni giorno di più che arrivi la notizia che è morta. Sono un mostro a pensarlo e una bestia a scriverlo, ma io voglio solo tornare da te. Non mi interessa più nient’altro...

È te che voglio stringere tra le mie braccia, sono tuoi gli occhi che mi devono guardare, è abbracciato a te che voglio addormentarmi dopo aver fatto l’amore. Non l’ho ancora fatto l’amore, Marinette, aspetterò te, anche se ora stai con un altro.

Qua ci sono solo sesso e bugie, patetiche scuse e fughe. E ogni volta è una ferita sulla mia anima, una ferita di cui non riesco a fare a meno, perché significa che per qualche istante non ho pensato a niente, neanche a te,

Ho iniziato a bere, sai? L’avresti mai detto? Quel bravo ragazzo che ero… bevo e fumo, e qua hanno anche roba pesante. Ho iniziato con una tequila per festeggiare e adesso è una droga, perché mi stordisce e mi impedisce di pensare a te. E di soffrire.

Ci sposteremo in Myanmar e lì sarà la fine, me lo sento.

Ma io tornerò, vivo o morto tornerò da te e finalmente sarai mia.

Sarai mia prima o poi, Marinette...

***

Nathaniel Kurzberg era stato il suo primo amico. All’età di undici anni, al loro primo anno di College insieme, Marinette e Nathaniel erano amici inseparabili: sedevano vicini, studiavano insieme, durante la ricreazione stavano sempre appiccicati a scambiarsi figurine o a leggere fumetti, il pomeriggio andavano al parco e giocavano a fare i supereroi.

Per questo Marinette non si era mai resa conto che l’interesse che aveva il ragazzino non era pura e semplice amicizia: tra i loro compagni iniziavano a fiorire i primi discorsi innocenti di amore, qualche ragazzina iniziava ad avere il ciclo e in tanti non parlavano che di baci e carezze e ”cose da grandi”. Nathaniel voleva qualcosa di più, cercava di capire cosa significasse essere attratti da una femmina e allora si era dichiarato, pensando che ne sarebbe seguito un bacio appassionato, come nei film, e tanto, tanto amore. Era andato a comprare un peluche alla sua amica e un bel giorno, in gita al Musee Rodin, glielo aveva regalato, chiedendole se avesse voluto essere la sua fidanzata.

Marinette lo aveva guardato incredula, si era messa a ridere e “stai scherzando vero, SuperNathan?”, gli aveva detto, prendendo il pacchetto e strizzando l’amico in un abbraccio fraterno. E lui, con la coda tra le gambe, aveva annuito e ammesso che era stato solo uno stupido scherzo.

Avevano continuato a giocare a fare i supereroi per qualche mese, finché il ragazzo non era stato preso di mira da alcuni compagni più grandi e lei lo aveva difeso a spada tratta.

“Non ho bisogno del tuo aiuto, so cavarmela da solo”, l’aveva rimproverata lui e si era battuto da solo, buscandone più di quelle che aveva dato. Da allora non erano più stati amici per la pelle e, via via che crescevano e Marinette diventava sempre più carina, lui si allontanava da lei, confuso, intimidito e desideroso di altri tipi di attenzione da parte della ragazza, sui cui fantasticava di continuo.

Gliele aveva rinfacciate tutte quelle piccole sciocchezze da ragazzini, la volta che si erano incontrati di nuovo grazie ad Alya. Era successo più tre anni prima, forse, Marinette quasi non lo ricordava più di preciso. Lei era sempre più bella, secondo quanto le veniva detto, e lui, incredibilmente, non era più il ragazzino mingherlino che andava a scuola con loro, ma si era fatto un gran bel ragazzo, dalla parlantina sciolta e dallo charme veramente stuzzicante. Le aveva detto di essersi sentito ridicolo più e più volte, ripensando a tutti i pasticci che aveva combinato, di non ricordare nulla di quando era stato akumizzato la seconda volta e l’aveva rapita, ma che quell’episodio lo aveva fatto riflettere molto sul suo modo di porsi con le donne. Aveva anche ammesso che la cotta che aveva per lei era stata oggetto di molte sedute da uno psicologo e che alla fine aveva capito che in realtà avrebbe voluto solo che loro due continuassero a essere amici fraterni come da piccoli.

Avevano scherzato per ore come vecchi amici davanti ad una birra che era diventata calda, poi, inaspettatamente, Nathaniel si era avvicinato a lei e l’aveva baciata.

La prima reazione di Marinette era stata quella di tirargli un ceffone: come si era permesso quello stupido ragazzino testa di pomodoro… ma un istante dopo aveva capitolato. Aveva un disperato bisogno di amore e di contatto fisico e si era aggrappata a lui come un naufrago alla zattera, trasformando un bacio dato per rivalsa in un turbine di passione repressa per troppo tempo.

Nathaniel, riemergendo da quell’inaspettato uragano, l’aveva guardata stupito: “Non pensavo fossi così passionale!”, le aveva detto al settimo cielo e si era tuffato anima e corpo nel rifarsi degli anni persi a desiderarla, a dispetto di quel che il suo psicologo gli aveva consigliato.

Lei era il suo Tesoro e lui continuava ad essere SuperNathan, ogni giorno e ogni notte.

Marinette si fermòograve; in prossimità della strada adiacente alla sua vecchia abitazione. Soppesò la scatoletta tra le mani: -SuperNathan…-, mormorò e se la portò alle labbra, prendendo quanta più aria riuscì. Rivide gli occhi verdi del giovane appannati dalla vergogna e dal piacere, quella fredda notte di pioggia; ricordò il suo corpo nudo, la voce agitata che la implorava di ascoltarlo, di capire. E dopo, ricordò il pianto dirotto di Nath mentre prendeva dalla loro casa le sue cose e le ficcava senza logica in una valigia troppo piccola per contenerle tutte; ricordò le braccia forti e gentili dell’“altro”, che consolavano quello che aveva creduto essere l’uomo della sua vita, con gesti di amore che lei non avrebbe mai saputo dargli Provò ancora quella sensazione orrenda di sentirsi un “di più”. Sporca, inutile, maledetta, nuda anche lei di fronte a un tradimento che non aveva mai pensato di dover gestire.

Una luce si accese nell’appartamento, ne seguì un’altra, un’ombra passò davanti alla finestra. No, erano due. Si mossero per un po’, le loro ombre divvennero una e fu di nuovo notte in casa di Nath.

Ladybug strinse la scatoletta e scappò via: avrebbe vinto il nemico da sola, in qualche modo, senza rovinare l’esistenza all’uomo che l’aveva rovinata a lei.

***

Amore mio,

siamo tornati alla civiltà comunemente intesa come tale. Mio padre è più inquieto che mai, tortura Nathalie che ormai, è evidente, non vive che per lui. La illude di abbandonare la ricerca di mamma, poi ritratta e si butta in altre indagini e procrastina il nostro ritorno a casa.

L’altra sera mi ha detto di andar via, di lasciar perdere i suoi fantasmi e tornare alla mia vita, perché per adesso lui non intende tornare, ma finché avrà il miraculous della Farfalla non ho fiducia a lasciare questa ricerca incompiuta nelle sue sole mani. D’altra parte non posso né voglio privarlo anche del suo potere, ma ho paura che non rispetti il patto e venga da te per riprendersi gli orecchini: quindi devo  rimanere qua, a controllarlo.

Non me ne ha voluto parlare direttamente, ma credo che mio padre abbia trovato degli scritti, poche cose, ma credo che abbiano rafforzato in lui l’idea che possa far tornare la mamma usando i nostri poteri. Ma per poter creare, deve essere distrutto qualcosa: la distruzione dovrà vincere sulla creazione un attimo dopo che essa si sarà manifestata. Dice che saprà come farlo e chi dovrà farlo, dice che devo stare tranquillo che la mia vita non ne sarà sconvolta, ma nel mio linguaggio vuol dire che la sua vittima d’elezione sei sempre tu. E io dovrei essere il tuo carnefice. Tanto lo so che non può essere diversamente. O tu o lei. O io.

Ormai mio padre ha Nathalie dalla sua, lei gli obbedisce ciecamente e non so se avrebbe il coraggio di fermare ancora i suoi piani, come fece quattro anni fa, prendendo il suo Miraculous e rendendolo innocuo. A volte mi ubriaco talmente tanto che al mattino non ho ricordi di quel che è successo la sera prima: mi domando sempre se sia per causa mia o perché Nathalie ha usato il suo potere su di me. E’ un inferno, Marinette… Tu non dovrai mai sapere quello che ho fatto, che ho provato, che ho patito… Ma nonostante tutto sono convinto di aver fatto la scelta giusta: ti ho messo io nei guai, servendo la tua identità su un piatto d’argento a Papillon, io dovevo proteggerti e continuerò a farlo.

Quindi rimango ancora qua, alla volta dell’Indocina. Mio padre continua a intrattenere i suoi interessi commerciali, disegna, crea, vende, guadagna, usa la mia immagine facendomi sfilare e fotografare, costringendomi a sorridere come se fossi solo un involucro senza un’anima straziata dentro. Lui ci riesce a rimanere apparentemente se stesso, io no, sono mostruosamente cambiato. Il ragazzino che conoscevi non esiste più e ho paura di questa cosa, perché potrebbe significare che l’uomo che sto diventando non sarà più accettato da te.

Mi sono fatto un tatuaggio, sai? Te lo mostrerò quando tornerò: ci riderai su, oppure lo vedrai prima su qualche rivista o se dovrò fare altre sfilate per lui, ma non per il momento. Finora l’ho sempre tenuto nascosto, ma temo che durerà ancora poco.

Ciao Marinette, anche se mi hai dimenticato, io ti amo sempre come allora.

***

Pollen era ben nascosta in un posto in cui nessuno l’avrebbe potuta trovare: Ladybug aveva patteggiato con lei che, nel malaugurato caso che fosse stato realmente necessario, le avrebbe permesso di usufruire dei suoi poteri, ma non del potere speciale, che sicuramente l’avrebbe messa in serio pericolo.

Con le mani libere e un po’ più rinfrancata da quel “piano B” che si era assicurata, Ladybug corse a perdifiato fino al luogo dove la battaglia aveva imperversato e ancora fiumane di zombie, reali o immaginari che fossero, erano vomitati dalla terra e si accanivano contro le forze armate, sebbene la battaglia apparisse arrivata a un punto di empasse. La ragazza si concesse qualche minuto per studiare la scena: non era affatto chiaro cosa muovesse quello scenario apocalittico e cosa, soprattutto, fosse stato usato contro di lei di così potente al punto di strappare la sua tuta magica e colpirla laddove era solo una ragazza normale. Sentiva dentro di sé che le forze andavano diminuendo sempre di più e che il dolore presto avrebbe avuto il sopravvento sulla sua ragione.

Il comandante delle forze armate a cui aveva dato istruzioni, evidentemente, aveva preso alla lettera le sue parole e stava patteggiando, munito di megafono, giubbotto antiproiettile e almeno cinque o sei cecchini a coprirgli le spalle, sulle modalità di resa da parte del nemico che comandava quell’esercito mostruoso di morti viventi, in caso Ladybug fosse tornata come suo ostaggio. Era evidente che le sue argomentazioni stessero per giungere al capolinea, era inevitabile per Ladybug tornare al suo dovere.

Un pensiero fugace, Nathaniel e il suo Paul al sicuro nella loro casa, le diede la spinta: avrebbe protetto Parigi, avrebbe protetto chiunque negli anni si era appoggiato a lei, avrebbe protetto i suoi amici, i suoi genitori, avrebbe per una volta ancora fatto il suo lavoro di supereroina pronta a sfidare la morte pur di garantire ai più deboli la loro fetta di tranquillità.

Chiuse gli occhi e prese aria: lei aveva forse perso ogni speranza, ogni reale ragione di vivere quella piccola vita che aveva sognato una volta, quando era solo una ragazza ingenua e felice su una panchina di Places des Vosges, ma non avrebbe mai abbandonato la sua gente.

Lanciò il suo yo-yo e si gettò dritta nella mischia degli zombie.

***

Marinette… è così difficile.

Dopo tutti questi anni è tutto cambiato.

Anche il programma di mio padre è cambiato:  dopo i riflettori nella grande città, siamo tornati  ancora una volta dove la povertà imperversa.

Il Jet Set mi sembra un mondo ormai lontano e alieno, anche se sono passate solo alcune settimane.

Mi sono abituato a sentir cantare i bambini nel fango, mentre cercano di giocare con un vecchio pneumatico abbandonato. Ho fatti miei gli odori di questi luoghi e i sapori.

Sono diventato amico di tante persone, finalmente rivivo un po’.

Ho avuto altre donne, Marinette, e continuo a farlo, ma lo saprai già per colpa di quelle foto che mi hanno scattato di nascosto e che sicuramente hanno fatto il giro del mondo. Non sono bravo a nascondermi alle telecamere, non ne ho voglia. E non ho più voglia di fingere che non sia accaduto, non con te… che senso avrebbe... Sono stato con prostitute, vergini impaurite, donne famose e semplici ragazze comuni.

Ma ti giuro: nessuna, neanche una di loro è riuscita mai a darmi un millesimo della passione che tu sei riuscita a donarmi con un solo bacio stampato sulle mie labbra.

Nessuna in tutto il mondo è come te.

E io tornerò da te.

***

-Sono qui-, Ladybug urlò forte, in modo che tutti la sentissero e si calò verso di loro, -Allontanatevi-, chiese al comandante quando fu più prossima al nemico.

Il fronte degli zombies si aprì lasciando passare avanti quello che, a prima vista, Ladybug poté definire solo “un enorme pipistrello con volto umano e corna da demonio”.

L’abominevole creatura allungò una mano verso di lei e immediatamente il suolo attorno ai piedi della donna iniziò a creparsi e dieci, venti mani scheletriche uscirono dalle pieghe dell’asfalto per stringerla e trattenerla.

Provò a muoversi, ma aveva le gambe completamente intrappolate da qualcosa che sicuramente non era ciò che vedeva. Usò lo yo yo come un’enorme lama rotante e recise cose che si staccarono da lei con suoni orribili.

Qualcosa di viscido e caldo le era schizzato sulla pelle e se lo sentiva colare sul viso.

Era finita dritta nella trappola, non riusciva a capire cosa fosse reale e cosa no.

Il mostro alzò entrambe le mani e tutti gli zombie fecero cerchio attorno a Ladybug: -Dammi i tuoi orecchini-, la voce, cigolante e mostruosa allo stesso tempo, parve pronunciare quelle parole con un forte accento straniero.

-Chi sei?-, domandò in risposta Ladybug, continuando a far girare la sua arma.

-Quello che prenderà i tuoi poteri-. Alle sue spalle, come evocato da quelle parole, si innalzò un muro di fuoco che avanzava verso di lei alla stessa velocità del mostro. I non-morti cadevano arsi e triturati dal quel fuoco che si incurvò come un’onda sulla sua testa. Se era un’allucinazione, era perfetta, perché il calore che Ladybug sentiva e che la schiacciava verso terra era reale.

Avrebbe potuto richiamare il Lucky Charm, ma dopo avrebbe avuto pochi minuti per attingere all potere dell’ape e completare l’opera.

Quei secondi di indugio le furono fatali: nel momento in cui aprì la bocca per urlare la sua formula magica, l’onda infuocata si chiuse su di lei. Marinette chiuse gli occhi, era la fine.

Un calore simile a un abbraccio forte e potente l’avvolse portandola via, in un lungo e dolcissimo deja-vu.

Non pensava che sarebbe stato così bello morire.

È la fine. Perdonami Adrien…

***

Marinette,

Nathalie mi ha informato che non vivi più con i tuoi, ma sei andata a stare con lui. Sono felice per te.

No, è una bugia.

Vuoi la verità? Lo ammazzerei con le mie mani qui e adesso se potessi. Sono folle di gelosia, Marinette, sento un artiglio che mi strizza le viscere solo a pensare alle mani di Nathaniel Kurtzberg sul tuo corpo. Se penso che sono sue le mani che ti danno piacere, Marinette e non le mie! Io… io...

Devo calmarmi. Un buon motivo in più per non spedire mai queste lettere: ecco come reagisce il grande Adrien Agreste di fronte a qualcosa di inevitabile! Sono patetico…

Prima che affoghi questa rabbia nell’oppio, perché lo faccio, Marinette, voglio che tu sappia che sto cambiando e ho paura.

Ecco il tuo bravo ragazzo dal faccino pulito, guardami! Ho la barba, ora, e l’ho lasciata crescere come un selvaggio, non mi importa più di nulla… Qualche giorno fa mi sono ferito cadendo da un albero dove ero salito con dei bambini e mi sono fatto una cicatrice su una spalla: apriti cielo! Mio padre stava per annullare tutta la ricerca e spedirmi a Los Angeles per farmi operare! Ma io me le tengo le mie cicatrici, tutte.

A partire dalla prima, che mi ha fatto proprio il tuo uomo, sbattendomi contro al muro della nostra aula un giorno di tanti anni fa. Te lo ricordi quel giorno, Marinette? È stato allora che ho capito che sei tu la più forte, tra noi due. Tu quella che riuscirà sempre a stare a galla, mentre io sto affogando nella melma.

Io tornerò, Marinette, perché te l’ho promesso, ma non prima aver trovato il modo di accettare che tu non sarai più mia.

Il dolore mi apre l’anima e fa coriandoli di tutti i miei sogni.

***

Ladybug aprì gli occhi stordita, senza riuscire a capire cosa fosse realmente successo. Era rannicchiata in un angolo, a una decina di metri dal luogo esatto dove il fuoco l’aveva avvolta. Non sentiva la sua pelle bruciare, non aveva altri segni neri sulla sua tuta: il fuoco, gli zombie non c’erano più. Udì le sirene delle ambulanze e il clangore di metallo strappato e sbattuto, si voltò in quella direzione, poco distante da lì. Si alzò e vacillò per un capogiro. Portò una mano alla schiena, le faceva molto male e anche sulla spalla aveva una nuova ferita, come se la tuta che per anni l’aveva protetta, d’un tratto avesse iniziato a cedere sotto i colpi misteriosi che aveva preso; si aggrappò a un muro per sostenersi, -Pollen!-, chiamò forte, e si voltò verso l’alto, nella ricerca del kwami, ma non ebbe risposta.

Non aveva scelta: doveva tornare e finire da sola quello che si era riproposta. Strinse i denti e si rialzò, non si sarebbe fatta di nuovo schiacciare dalle illusioni del mostro. In quel momento ci fu un boato metallico e percepì lo spostamento d’aria. Le orecchie ripresero a ronzare e gli occhi a bruciare per la polvere che li graffiava. Corse verso il centro dell’esplosione, richiamando il Lucky Charm.

E nel mentre appariva in alto sopra di sé un lungo fucile di precisione, le parve di udire in mezzo al ronzio e ai suoni ovattati, una voce che non sentiva da troppo tempo.

-Cataclisma!-

La giovane donna andò giù sotto al peso del fucile e rimase un istante seduta a terra compatendosi per la sua infinita idiozia. Si alzò scuotendo la testa, per far andare via quegli assurdi pensieri. Forse era alla fine e i ricordi la stavano chiamando a sé. Puntò l’arma verso la nuvola di fumo che ancora non si era dissolta, cercando di mettere a fuoco.

Solo allora lo vide e il suo cuore si fermò per un istante lungo come tutta la vita.

***

Quando tornerò, Marinette, non avrai di fronte una persona meschina e grigia, nonostante tutto.

Ho gioito quando ho saputo che Nathaniel ti ha lasciata. Ho gioito nel sapere che non ti toccherà mai più e che è stata tutta un’enorme farsa, che lui non ti merita e che tu non hai tecnicamente mai amato un altro “uomo”. Ho gioito pur sapendo che tu invece ci sarai stata tanto male, doppiamente tradita.

Ho gioito perché alla fine ho pensato che saresti tornata strisciando da me…

E poi mi sono odiato, mi sono fatto schifo, mi sono ubriacato, ho spaccato il naso a mio padre con un pugno, mi sono ribellato al potere di Nathalie, ho gettato via il mio anello e sono scappato.

Sono rimasto sette giorni e sette notti da solo senza un tetto, senza cibo, senza poteri.

Ho vagato nel nulla lasciando che questo nulla riempisse il vuoto della mia esistenza.

Ho pianto la mia vergogna e ripulito il mio corpo dall’odio e dal veleno.

Mi sono lasciato andare fino allo sfinimento, poi mi ha trovato Lyn.

Mi ha portato nella sua struttura e mi ha dato acqua e riso, mi ha rasato il viso e mi ha lavato.

Mi ha sorriso e mi ha accolto tra i suoi bambini.

Lyn è una suora cattolica e si occupa di un orfanotrofio in Laos.

Siamo arrivati perfino in Laos per trovare mia madre, mi ero dimenticato di scrivertelo!

Il Laos… benedetto sia il Laos, ha riportato speranza e luce nella mia anima confusa!

È lì che ho conosciuto Sunan e ho capito quanto in realtà fosse facile tornare ad amare.

Ho trovato il coraggio di chiamare mio padre e lui si è subito precipitato da me; per la seconda volta mi ha salvato in questa sfida contro la mia stessa esistenza, anche se l’ho rallentato ancora, anche se gli ho spaccato il naso, anche se ho scelto cosa fare della mia vita senza che lui fosse interpellato in merito.

Gli ho presentato Sunan e senza fare domande è stato felice di accogliere nella nostra casa i suoi grandi occhi neri.

È  così cambiato Gabriel Agreste: la sua corazza resiste, ma ormai è fatta solo di un sottilissimo strato che lo protegge dal mondo esterno. Sono cambiato anche io e in parte è stato grazie a Sun, che ha riportato in vita il ragazzino perbene che avevo lasciato scomparire. Piano piano sto tornando quello che ero, piano piano sto riacquistando un poco di dignità.

Torneremo in Europa tra qualche mese, Londra o Milano o Berlino. Altri proseguiranno la nostra ricerca lungo il cammino che abbiamo segnato.  Tu ed io saremo di nuovo sotto lo stesso cielo.

Tornerò da te, Marinette e ci aiuteremo a vicenda a mettere sulle nostre anime i cerotti che ci aiuteranno a guarire.

Insieme.

Ti prego… insieme...

***

Chat Noir era immobile con un ginocchio piegato a terra davanti ad un uomo piccoletto, dai tratti orientali, circondato da una intricata trama di fili, metallo e plastica polverizzati dal potere del Cataclisma. Al collo dell’uomo penzolava la collana di Alya.

Chat Noir, il suo Chat Noir!, si alzò in piedi, sovrastando di almeno venti, venticinque centimetri l’uomo che aveva preso in trappola. Lo afferrò per il bavero, tirandolo su.

Ladybug crollò in ginocchio lasciando cadere il fucile, crollando in un pianto muto, mentre nel petto le stava esplodendo il cuore: Adrien era lì, a pochi passi da lei e le aveva appena salvato la vita.  Adrien.

Aveva lunghi capelli biondi sciolti sulle sue spalle ampie, era così… cambiato… Era più alto, più grande, più muscoloso, più adulto…

Lo vide disarmare il cinese e tenerlo fermo con una sola mano. Con l’altra fece cenno ai soldati che lo accerchiassero, bisbigliò nell’orecchio del comandante alcuni ordini. Prima che lo portassero via, con un gesto rabbioso, Chat Noir strappò la collana con il Miraculous della Volpe dal collo dell’uomo; questi sputò nella sua direzione e, scalciando, gli urlò contro parole sconosciute in cinese, mentre l’anello del Gatto Nero emise un primo bip.

Allora Chat Noir si voltò verso di lei e la guardò.

La giovane si tirò su di scatto con il cuore che batteva a più non posso nel petto e lo vide fare un passo nella sua direzione. Non poteva essere vero, non voleva soccombere ancora alle illusioni, doveva andar via di lì, chiarirsi le idee e rifugiarsi nei suoi sogni infranti leccandosi le ferite riportate; con un balzo e aiutata dal suo yo-yo, schizzò via e si nascose su un tetto di Parigi.

Chat Noir la inseguì usando il suo bastone e fu davanti a lei in un batter d’occhio.

Era vero, quindi, non se l’era immaginato. Adrien era tornato…

Il giovane aveva gli occhi lucidi e verdi come non li aveva avuti mai, la tuta sembrava voler scoppiare sotto i muscoli tesi. La sua bocca era socchiusa e le labbra rosa si muovevano appena. Con una mano si portò indietro i capelli, scoprendo del tutto il viso, in un movimento naturale.

Si avvicinò di un passo, ma Ladybug indietreggiò: non riusciva a collegare la testa ai suoi movimenti e far calmare un po’ quel cuore impazzito che pulsava nelle tempie e dentro al petto. Non avrebbe saputo dire o fare nulla, in quel momento, forse solo scoppiare a piangere e perdere l’occasione di parlargli.

Chat Noir si avvicinò ancora, coprendo la distanza tra loro, si chinò davanti a lei e posò ai suoi piedi il miraculous della Volpe, quindi si alzò, mentre l’anello aveva ripreso a emettere bip.

Erano vicini, così tanto vicini che lui avrebbe potuto udire il cuore della ragazza battere allo stesso ritmo con cui vibrava la pelle morbida del collo. Allungò una mano fino alla sua spalla e la sfiorò vicino al punto dove la carne era ferita a causa di un colpo infertole. Strinse forte le mascelle e un soffio d’aria uscì dalle sue narici.

Maledetta lega tibetana.

Marinette fu travolta dalla forza del brivido che l’attraversò, aprì la bocca, cercò l’aria, cercò lui, sollevando tremante una mano come per cercare di capire se lui fosse reale o solo un sogno. Chat Noir vi avvicinò la sua, sfiorò la punta delle dita, chiuse gli occhi e finalmente espirò tutta l’ansia che aveva sul cuore. Marinette era viva, era davanti a lui, era finalmente vicina a lui. Sorrise e per Marinette fu come fosse spuntata finalmente l’alba sul mondo.

Il bip dell’anello di Chat Noir si fece insistente, il giovane tornò serio, intrecciò per un breve istante le dita con quelle di Ladybug e scappò via, sparendo in pochi attimi nel buio della notte.

***

Marinette,

abbiamo trovato il libro. Nessuna traccia di mia madre, ma con questo libro potremo riuscire a capire se sia viva o no, quando ci riuniremo tutti a Parigi. Se è viva, potremo usare i nostri poteri per richiamarla ovunque lei sia.

Se è morta, vorrà dire che finalmente seppelliremo tutti il suo fantasma.

E poi potrò davvero tornare da te.

Se mi vorrai, se ci sarà ancora posto per me nella tua vita. Io tornerò comunque e metterò il mio cuore tra le tue mani: deciderai tu cosa farne.

Non sarò solo, ci sarà anche Sunan: è mio fratello a tutti gli effetti, ci “spartiremo” le vestigia dell’impero Agreste un giorno. Ma per adesso lui è solo un bambino di poco più di tre anni.

Quale che sia la risposta che i kwami ci daranno, so che mio padre ha un nuovo motivo per vivere ed è il suo nuovo figlio, quello che non trascurerà mai, quello che avrà una vita normale. Quello che è anche un po’ mio figlio in realtà.

La povera Nathalie si è vista scavalcata una volta ancora dal piccolo nuovo Agreste, ma vedo speranza nei suoi occhi: se ancora non ha mai usato il suo potere per costringere mio padre a capitolare, un motivo ci sarà.

Voglio che tu lo conosca, Sun: è veramente una goccia di luce in mezzo al grigio della mia esistenza.

E poi voglio che tu torni da me.

Se mi vorrai, se ci sarà ancora posto per me nella tua vita.

Verrò a cercarti, ti implorerò di perdonarmi per tutte le bugie che ti ho detto e per come mi sono comportato. 

Ti chiederò di essere clemente con me, di accettarmi per quello che sono diventato e di capire il perché è successo. Metterò il mio cuore tra le tue mani: deciderai tu cosa farne.

Non ho più cercato informazioni su di te in questi ultimi anni, non so se hai trovato un altro o se sei sempre sola a leccarti le ferite che ti abbiamo inferto Nathaniel e io, prima di lui.

Ma ho visto una tua foto, di pochi giorni fa: sei cresciuta, non sei più la ragazzina che ricordavo. Eri un bocciolo profumato e delicato, ora credo che tu sia diventata una strabiliante rosa rossa piena di profumo e di bellezza. Non sai quanto ti desideri Marinette, ora più che mai.

Voglio perdermi in te e voglio che anche tu ti perda in me. Voglio amarti e svegliarmi con te per tutto il resto dei miei giorni, voglio imparare da te, crescere con te, invecchiare con te.

Marinette amore mio. Io sto tornando.

----------

ANGOLO AUTRICE:

Ci ho messo l’anima in questo capitolo, mi sono fatta del male pensando al dolore che prova nel suo cuore e sulla sua pelle Marinette, ho sofferto davvero per la responsabilità e l’angoscia di Adrien.
Ho scritto le lettere e la parte narrata presente e ho dato la struttura che ha il capitolo grazie al prezioso suggerimento di un amico.

Tutto questo circa 9 mesi fa. La storia si è quasi bloccata da allora e in tutto questo tempo, mentre scrivevo quei difficili capitoli del “6 anni prima”, ho pensato al momento in cui avrei pubblicato questo capitolo, a cui sono profondamente legata e che mi emoziona sempre tantissimo, sebbene nemmeno esso sia sfuggito alle mie modifiche da scrittrice mai soddisfatta del proprio lavoro. Ecco: ora credo di aver trovato il modo giusto per dire tutto quello che andava detto in questa narrazione.

E’ stata una lettura lunga, per voi, ma spero vi abbia coinvolti almeno un decimo di quello che ci ho messo io a scriverlo, mentre mi scorrevano negli occhi le scene come in un film.

Spero di aver reso il tempo che è passato per Adrien, lasciando che fossero sempre più evidenti la sua disperazione e le sue pulsioni sessuali che cambiano, anno dopo anno. Spero che sia chiaro che queste lettere sono state scritte da Adrien in momenti diversi, in luoghi diversi, in seguito a esperienze diverse che lui ha fatto; spero che sia arrivata a tutti la dolorosa parabola che la sua esistenza ha sofferto lontano da Parigi.

Spero anche  di aver reso la disperazione della povera Marinette, pronta ormai a battersi fino alla fine, senza più nulla da perdere e la sua sofferenza sia fisica che  psicologica.

Un complimento a chi ha colto l’esatta identità del piccolo Sun che era apparso nel precedente capitolo, un grazie a chi ha saputo aspettare che ve lo spiegassi.

Tre ringraziamenti speciali: a Chiara, che comunque c’è, a Michy, che mi ha fatto da beta in questa ultima revisione, e a Marco, per i suoi consigli e il sostegno nel confezionare questo capitolo, che non è la fine della ff, lo so, ma per me significa inizio, fine, nuovo inizio e tutto quello che c’è nel mezzo. Un “brindisi” all’amicizia, all’attesa, alla speranza e al povero Plagg che ogni 3x2 è stato maltrattato in questi anni! XD

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Capitolo 30
*** CAPITOLO 30 - Paused ***


Capitolo 30- Paused

Chat Noir vide la mano guantata di rosso che tremando si alzava verso di lui,

vi avvicinò la sua, sfiorò la punta delle dita,

chiuse gli occhi e finalmente espirò tutta l’ansia che aveva sul cuore.

Il bip del suo anello si fece insistente,

Chat Noir riaprì gli occhi, intrecciò per un breve istante le dita con quelle di Ladybug

e scappò via,

sparendo in pochi attimi nel buio della notte.

Finalmente era a casa.

Marinette chiuse la finestra sopra il soppalco di camera sua, scese con lentezza gli scalini e si fermò in mezzo alla stanza. Guardò Tikki svenuta sul suo palmo, infilò l’altra mano in tasca ed estrasse la scatoletta che le aveva dato Fu, da cui uscì Pollen.

-Aiutala per favore-, chiese alla kwami gialla, indicandole la sua simile. L’ape si avvicinò a Tikki e posò una manina sulla sua fronte, lasciando che l’energia primaria fluisse in lei, finché questa non aprì gli occhioni azzurri e lucidi.

-Marinette… mi dispiace…-, pigolò Tikki mortificata e la ragazza la strinse a sé, grata che l’avesse aiutata fino allo stremo delle sue forze, nella sua battaglia più difficile da quando era Ladybug, poi la fece adagiare nella sua casa delle bambole.

Pollen si sedette vicino a Tikki e le prese le zampine: -Devi ricaricarti-, le disse e si voltò verso Marinette, che era rimasta ferma, come avulsa da quel momento e persa nei suoi pensieri.

-Marinette, dalle da mangiare!-, la spronò l’ape e la ragazza si destò scacciando i fantasmi che le affollavano la mente e aprì una scatola di latta. -Prendi-, disse alla sua amica porgendole un grosso biscotto.

-C’è anche Trixx da aiutare-, incalzò Pollen e solo allora Marinette ricordò di avere in tasca la collana di Alya.

-Ma non c’è Trixx!-, constatò con mille domande in testa: effettivamente… dov’era!?

-Trixx, coraggio...-, Pollen sembrava avvezza ad aver a che fare con i suoi compagni kwami e infatti la piccola volpe si mostrò a lei apparendo da dietro la sua coda come lo Stregatto di “Alice nel Paese delle Meraviglie”: Trixx sapeva rendersi invisibile o mimetizzarsi, evidentemente. Aveva il musino triste e sembrava molto, molto stanco. Marinette lo accolse nelle sue mani e guardò gli occhietti lucidi.

-Mi manca Alya-, confidò il volpino in un soffio e la ragazza gli promise che la mattina dopo lo avrebbe riportato alla sua amica. -Ora però devi ricaricarti e poi raccontarmi tutto quello che sai su chi ti ha rapito-.

Scese in cucina cercando di fare il più piano possibile e da lì arrivò alla pasticceria, per prendere tutte le cose che le servivano. Quando tornò su, presentò alla piccola volpe una ciotola piena di semi di girasole e un barattolo di miele per l’ape.

Trixx fu felicissimo di quel lauto banchetto e in breve riacquistò la sua forza. Tikki chiese per piacere un altro biscotto e Marinette la tenne in grembo mentre lo sgranocchiava e riprendeva forza.

-Mi dispiace per le tue ferite…-, la vocina contrita della kwami turbò Marinette che di rimando chiese se anche lei fosse stata ferita, quando la tuta si era squarciata. Tikki scosse la testolina e volò dietro alla schiena di Marinette. Con movimenti gentili le allargò lo scollo della maglia che indossava e scoprì l’area colpita: la ferita era chiusa, ma rimaneva comunque una lunga strisciata più rossa.

-Ci vorrà qualche giorno-, le disse sfiorandole la pelle.

Marinette sussultò perché, anche se esteriormente sembrava tutto a posto, la schiena le faceva ancora molto male.

-Perché il Lucky Charm non ha rimesso tutto a posto?-, domandò esausta, lasciandosi cadere a pancia in giù sul suo letto.

Trixx e Tikki si avvicinarono a lei: non avevano una risposta, se non che forse le era mancata la fiducia nel compiere il suo canonico Miracolo.

Marinette chiuse gli occhi: era esausta e incredula per quello che l’aveva travolta. Dopo che Chat Noir era scappato via, lei aveva provato a seguirlo, ma le ferite e il peso del fucile l’avevano ben presto fatta desistere. Aveva lanciato l’inutile arma in aria in un gesto stizzoso e tutto, apparentemente, era tornato per magia alla normalità: la strada era di nuovo in ordine, gli agenti e l’esercito si erano radunati per rientrare dopo il falso allarme, i feriti non avevano più saputo perché fossero lì. Solo le ferite sulla sua pelle e sul suo cuore sembravano non aver avuto miglioramenti.

L’unica cosa interessante in quel post-battaglia era stata che il criminale dai tratti orientali che Chat Noir aveva catturato era ancora nelle mani del comandante delle forze armate ed era stato portato via su un grosso SUV nero.

Chat Noir…

Non le sembrava vero… Chat Noir l’aveva aiutata, proprio come allora e l’aveva messa in salvo: Marinette, dopo la confusione iniziale, aveva capito che era stato  l’abbraccio morbido e saldo del suo Chat Noir ad averla accolta mentre il fuoco si chiudeva su di lei, non il seducente richiamo della morte, come aveva pensato nell’attimo del terrore. Lui l’aveva messa in salvo e si era battuto con forza e determinazione, andando chirurgicamente ad usare il Cataclisma sull’armatura artigianale che l’uomo si era costruito e da cui azionava tanti differenti tipi di armi da fuoco e da taglio con cui aveva simulato l’inferno, in parte riuscendoci. Lei, la grande Ladybug, non aveva capito niente.

Sulla sua schiena non si era inferto un colpo di spranga, ma una sciabolata vergata con una lama fatta con una lega particolare, unica nel suo genere e realizzata in Tibet, capace di spezzare i legami di un kwami con il suo portatore. Nel luogo dove era avvenuto il primo sigillo dell’esistenza dei Miraculous, lì si era continuato per millenni a lavorare anche alla loro distruzione. Queste erano tutte le informazioni che Trixx aveva saputo riferire a Marinette, nei pochi minuti prima di nascondersi, una volta che la trasformazione di Ladybug si era sciolta.

Per tornare a casa, stanca e dolorante per quella ferita quasi immaginaria, Marinette aveva chiesto aiuto a Pollen: l’unica che fosse stata ancora in forze e, per pochi istanti, aveva indossato i panni di un’eroina gialla e nera che volava nel cielo di Parigi. Quello doveva rimanere un segreto tra loro quattro…

Marinette si voltò verso l’ape, mogia mogia in un angolino.

-Che è successo Pollen?-, le domandò temendo che stesse male. Trixx le disse a bassa voce nell’orecchio che Pollen detestava il miele: -Lei “va” a fiori-, le spiegò, lasciandola incuriosita.

Marinette si alzò dal letto e, aperta la finestra sul tetto, si issò faticosamente verso il balcone, guardandosi intorno. Con una mano fece cenno a Pollen: -Vieni, devasta le rose di mia mamma-, disse facendole l’occhiolino e la fece uscire, tutta felice.

Tikki era sazia e, finalmente rigenerata, decise di affrontare con Marinette la più difficile delle sue conversazioni, perché solo lei poteva davvero sapere come si era sentita la sua ragazza in quella notte infinita.

Aveva provato rabbia, paura in tutte le sue declinazioni, sollievo, era stata combattuta dal dubbio, aveva provato la sensazione di morire.

E poi il suo cuore aveva straziato la piccola kwami, temendo che non avrebbe potuto reggere all’emozione dell’incontro con il suo unico amore e poi di un altro abbandono.

-Finisci di leggere le lettere-, implorò l’amica, mettendole in mano le ultime, quelle più importanti, quelle che avrebbero fatto capire a Marinette che non era andato tutto perso, come lei aveva dedotto, avendo dovuto interrompere la lettura prima delle spiegazioni finali su chi fosse il bambino che viveva a casa Agreste.

Fu le aveva comandato di non anticipare i tempi, di lasciare che la felicità le arrivasse inattesa e fosse per lei una rinascita, dopo anni e anni di stanchezza e dolore. Ma lei voleva che Marinette trovasse un po’ di conforto senza dover ancora aspettare.

-Lo farò Tikki, lo farò…-, rispose stanca, chiudendo gli occhi. Si era distesa di nuovo, quella volta di fianco e, senza che nemmeno se ne rendesse conto, aveva già bagnato di lacrime tiepide e salate il cuscino sotto di sé.

-È importante che tu lo faccia ora, che legga tutto quello che Adrien avrebbe voluto che tu sapessi-, provò ancora la bestiolina.

-In realtà Adrien non voleva che io leggessi le sue lettere-, constatò Marinette, -Lui avrebbe solo voluto avermi vicina in tutti questi anni-, si rannicchiò tirando le gambe al petto, rimase in posizione fetale mentre i kwami le stesero la coperta addosso.

-E poi mi basta aver rivisto i suoi occhi: erano limpidi, il suo peggio è passato e io non posso che essere felice per lui-, con quelle parole mormorate, Marinette crollò nel sonno più profondo e Tikki, ascoltando la lenta risacca del suo cuore, comprese che, a modo suo, la ragazza era davvero sincera.

Fuori albeggiava e i tre kwami si ritrovarono sul balcone per vedere la luce squarciare il nero di quella notte infinita.

-Lui la ama davvero…-, disse Pollen.

-Anche lei lo ama in un modo infinito-, proseguì Tikki.

-E allora che stupidi che sono!-, chiosò Trixx, accavallando le zampette e sgranocchiando serafico l’ultimo seme di girasole.

***

Sabine entrò in camera forzando la botola tenuta ferma dalla chaise longue: infilò una mano nella fessura e spostò con un colpo la poltrona. Sua figlia non rispondeva alle sue chiamate da più di venti minuti ed era preoccupata.

Entrò nella stanza e vide qualcosa di terribile e meraviglioso allo stesso tempo: centinaia di fogli sparsi a terra, ognuno scritto dalla stessa mano. Si chinò e ne prese uno a caso.

Marinette, Amore mio dolce,

sono passati quattro anni, otto mesi, venti giorni e una manciata di ore da quando non sono più vicino a te. Il periodo più lungo della mia vita in apnea, lontano dall’aria che mi fa vivere, lontano dai tuoi sorrisi e dai tuoi occhi meravigliosi.

Sento che ogni ricordo che ho di te sta lentamente svanendo: non sono sicuro che i tuoi occhi fossero proprio del punto di azzurro che mi figuro, né che veramente i tuoi capelli avessero quel taglio che ricordo. E il profumo della tua pelle… ricordo che era di vaniglia e cocco, ma non ricordo davvero quale fosse. Sento che l’aria che ho trattenuto per tutti questi anni e mi che mi comprime il petto, poco a poco dovrà andar via e dovrò respirare di nuovo e ho paura, una paura matta, irrazionale, strisciante di perdere il tuo ricordo.

Vorrei poter vedere ancora una volta la tua bocca, disegnare col dito il profilo del tuo corpo su una fotografia, ma non ho tue foto, non più… Le ho perse tutte e quel giorno ho davvero pianto come un bambino disperato, ho implorato mio padre di farmi tornare da te, di abbandonare questa missione, di lasciare che i fantasmi non ci tormentassero più.

Mi ha detto che saresti diventato tu il mio fantasma.

 

Forse mio padre aveva ragione e tu sei davvero il mio fantasma, ma io non smetterò mai, MAI, di pensare a te come il mio amore unico, perfetto, grande, infinito, di quelli che capitano solo una volta nella vita e che non devi mai lasciare scappare, per i quali devi lottare fino all’ultimo giorno, perché è l’unica cosa per cui valga la pena esistere.

 

Tu lo sai perché sono andato via, non dimenticarlo mai: sono andato via per te, per permetterti di non avere più paura, perché tu non fossi più in pericolo. Lo sai, anche se ho voluto che pensassi altro, lo sai perché io so che noi due siamo legati in un modo che esula dalla normale realtà.

 

Oggi è una giornata così… l’unica cosa che vorrei è tenerti abbracciata e ascoltare il tuo cuore.

Ti amo Marinette, sempre e comunque e io tornerò da te.

Adrien

***

Sabine deglutì, sentendo il sapore salato di una lacrima scesa fino alle sue labbra. Si guardò attorno e si chinò sulle altre lettere, leggendo parole a caso: amore, dolore, tornerò, paura, felicità, Marinette, Marinette, Marinette…

Perché aveva permesso a quel ragazzo di andar via, quando era passato a chiedere di sua figlia?

Perché non lo aveva fermato, non aveva insistito perché le lasciasse un suo recapito telefonico, non si era messa a parlare con lui, non gli aveva domandato dove stesse, per quanto tempo, come mai fosse tornato dopo così tanti anni?

Ricordava quel giovane uomo che era entrato in negozio, poco prima che chiudesse. Era molto alto, la maglia tirava sotto ai suoi muscoli ed era bello, talmente bello che non aveva riconosciuto subito che fosse Adrien. Aveva i lineamenti più marcati, la linea del mento squadrata, i capelli lunghi, fermati in una coda e tirati indietro.

Aveva capito che era lui solo quando lo aveva guardato negli occhi e aveva scorto lo stesso mistero limpido che aveva visto tanti anni prima.

Si era portata la mano alla bocca incredula, gli aveva stretto le mani, ma poi, punta nella sua essenza di madre, si era ritratta: era per colpa sua che Marinette era cambiata. Era stato lui a lasciarla e a fare appassire la gioia nel cuore di sua figlia. Era stato a causa sua se lei si era persa alla deriva di una vita appesa nell’attesa che avvenisse qualcosa, era stato per lui che aveva cercato consolazione tra le braccia sbagliate di un altro che l’aveva fatta soffrire ancora e ancora.

E allora gli aveva solo detto che “no, Marinette non c’era, sarebbe dovuto ripassare”. E l’aveva visto andar via, decisamente amareggiato.

Rimise la lettera per terra, accanto a tante altre e, nel farlo, lesse qualcosa che non avrebbe dovuto e rimase pietrificata.

Cercò con avidità altre informazioni in mezzo a tutti quei fogli, si comportò come una folle, pazza, inferocita madre, non curandosi di fare rumore e svegliare sua figlia.

Salì sul soppalco e la vide distesa sul letto, i capelli sciolti a coprirle il viso, il respiro regolare.

Era mezza scoperta e aveva la maglia tirata giù, sulla schiena: c’era una lunga strisciata rossa che la solcava da parte a parte, proprio sopra al piccolo tatuaggio del gatto nero che si era fatta di nascosto a suo padre. Guardò i suoi orecchini, non li aveva mai tolti, da che ricordasse, dopo che li aveva “ritrovati”, in seguito a quella notte terribile. Frugò tra le sue cose, nella scrivania, trovò un libricino fatto di fogli spillati a mano: c’erano disegni elementari di tutte le avventure della più grande eroina di Parigi, poi una busta colorata, un invito su carta bruciacchiata.

Questo è un invito per TUTTI i portatori.

Sabato 28, ore 22, Centro Massaggi Cuore D’Oro.

Importanti notizie.

IMPORTANTE: venite in borghese, servono i kwami.

Era successo poche settimane prima: quella sera Marinette era tornata tardi ed aveva gli occhi lucidi.

Ripensò a tutti gli attacchi che anni prima c’erano stati a Parigi, tutti a opera di malefiche akume che avevano seminato il panico. Ogni volta, Marinette spariva se c’era Ladybug a combattere. Si era chiesta solo di rado come facesse la figlia a scappare sempre prima che il rischio di essere colpita la potesse raggiungere, era arrivata a credere nella fortuna o nella sua cautela, o che fosse smidollata, ma non aveva mai fatto altri collegamenti.  

Eppure dov’era Marinette quando loro erano stati attaccati dagli animali dello zoo? Perché quella volta gli eroi di Parigi erano corsi proprio da loro, tra tutte le case e i negozi che c’erano? Ed era accaduto anche in altre occasioni: se c’era Ladybug, ormai il quadro stava dipingendosi chiaro nella sua mente, spariva Marinette. E ogni volta arrivavano Ladybug e Chat Noir a sistemare tutto.

Una coccinella dai codini neri e un gatto biondo.

Un brivido la fece tremare e dovette sorreggersi alla scrivania per non crollare a terra.

Sua figlia era Ladybug.

Non era mai stata pavida, non aveva mai abbandonato i suoi cari per la paura: lei era corsa a proteggerli per primi. Sempre.

Per un istante credette di svenire, sopraffatta da quella indicibile rivelazione.

Doveva essere forte almeno un millesimo di quello che la sua piccola bambina era stata per tutti quegli anni, di nascosto a tutti, eccetto che a lui.

Rimise a posto la lettera, l’invito, il libricino, salì sul soppalco e baciò Marinette, la sua bambina, la sua eroina. La coprì con cura e scese, cercando di non pestare quelle preziose lettere.

Uscì dalla cameretta e tornò giù, scendendo le scale con gambe di burro: aveva alcune telefonate da fare.

***

Tra tutte le persone che avrebbero potuto cercarlo una volta tornati a Parigi, Gabriel Agreste non avrebbe mai pensato che si presentasse alla sua porta proprio la madre di Marinette Dupain-Cheng.

Era alta poco più di una bambina, abbastanza in carne e con uno sguardo risoluto e fiero.

-Devo parlarle di suo figlio-, disse spiccia, senza neanche una presentazione e rimase in piedi, puntando un dito sulla scrivania davanti a lei.

Gabriel le fece cenno di proseguire, -Ho assoluta necessità, ora, di avere tutti i possibili recapiti di Adrien. Voglio sapere dove si trova, qual è il suo stato, se sta bene, se è da solo, se è felice. E poi voglio che appena lo vede gli comandi di mettersi in contatto con me-.

Il piglio deciso, l’immobilità della donna, lo sguardo affilato: era proprio la madre di Laybug, non avrebbe avuto dubbi a riconoscerla tra altre cento cinesi che si fossero presentate al suo cospetto.

Indicò alla donna una sedia, affinché ne facesse uso e per primo si sedette sulla sua.

Alzò l’indice verso di lei in segno di scuse perché doveva sbrigare una piccola cosa prima di darle tutta la sua più completa attenzione e premette il tasto sul suo interfono.

-Nathalie, annulla i miei impegni per stamani e, quando ti richiamo, vieni con Sunan, per favore-

Quindi si voltò verso la donna, che probabilmente fu la prima persona a Parigi a veder sorridere il glaciale Gabriel Agreste.

Gabriel non aveva mai davvero fatto capire a suo figlio quanto fosse incuriosito e ammirasse la sua bella Ladybug: era stata un’avversaria coraggiosa e leale, intelligente e forte e per prima lo aveva spiazzato con i modi in cui affrontava i problemi che lui le causava. Dove lui spendeva ferocia, lei reagiva con acume e un’intelligenza fuori dal normale. La sua acerrima nemica si era battuta con le unghie e con i denti perché non le venisse sottratto il suo potere e aveva dimostrato una forza incredibile anche senza usarlo al pieno delle sue potenzialità. Ma la cosa che più l’aveva incuriosito e affascinato era la ragazza sotto la maschera. L’aveva conosciuta come una delle tante ammiratrici di Adrien e aveva poi scoperto come fosse brillante anche nella comune passione per la moda. Seguiva, tramite le informazioni che Nathalie gli forniva, i suoi progressi e aveva avuto modo di toccare con mano i suoi prodotti: quando non dormiva, lui riguardava sempre i video di quel che avveniva tra le mura di casa sua, sapeva perfettamente che la sciarpa azzurra che Adrien adorava non era stato un suo regalo, ma di Marinette.

Se da un lato la coraggiosa Ladybug gli era ostile, dall’altro non poteva che ammirare la scelta fatta dal figlio. Che gli avesse regalato una copia dell’anello del Gatto Nero in quanto fan di Chat Noir era palesemente stata una bugia fin da quando l’aveva sentita uscire dalla bocca di Adrien, anni prima, ma che ci fosse dell’interesse da parte della ragazza nei suoi confronti, quello gli era parso vero. Allora aveva iniziato a indagare su di lei e ormai conosceva tutto. Tutta la storia dei suoi, tutta la sua carriera scolastica, amici, nemici, ambizioni, voti; si era informato su tutto quello che la ragazza aveva fatto in quei sei lunghi anni in cui il figlio aveva domandato di non essere informato su di lei. Sapeva della sua infelice relazione con quel ragazzo gay, sapeva che era sola nonostante l’aiuto degli altri supereroi e proprio quella mattina aveva realizzato che nella notte appena passata Ladybug si era trovata a fronteggiare da sola un nemico più grande di lei. Sapeva che Adrien aveva cercato di ritrovarla da quando erano atterrati a Parigi e che mai aveva smesso di amarla, in nessuna situazione, da quando erano scappati a Lhasa a quando era tornato da lui con un bambino tra le braccia.

Erano stati sfortunati a non essersi ancora incontrati e per un po’ non sarebbe stato possibile: Adrien si era offerto di completare da solo la battaglia che avevano combattuto a fianco per tutti quegli anni.

-Adrien è in volo, Madame Cheng. Sta tornando in Tibet. Atterrerà tra circa… sette ore, se non ci saranno ritardi-, vide il terrore dilagare sul viso schietto della donna; -Ma tornerà-, aggiunse con decisione e lei trattenne il respiro.

-Posso liberamente affermare che sia seria intenzione di mio figlio cercare, trovare e riunirsi a Marinette-, prese un respiro: anche a lui che era più duro del porfido, realizzare certe cose faceva uno strano effetto; -Ma la mia domanda è: Marinette vorrà riunirsi ad Adrien?-, e nel dirlo si chinò verso la donna, che lo fissò con aria indagatrice.

-Marinette ha sofferto molto per causa sua. Vostra, credo. Quello che decideranno a noi non deve interessare e in ogni caso suppongo che sarà premura dei ragazzi informare noi genitori su come evolverà la storia-, si mosse sulla sedia e si mise più comoda, appoggiandosi allo schienale, -Lei intanto, cortesemente, mi faccia mettere in contatto subito con il ragazzo-, ripeté.

-Non lo troverà in Tibet-.

-Posso provarci, ho molti amici da quelle parti-.

Gabriel si esibì in una risata sincera: -Intendo che Adrien sarà di ritorno tra pochi giorni e che dopo potrà trovarlo qua quando vorrà-, imitò la donna e appoggiò la schiena alla poltrona.

Sabine Cheng sostenne lo sguardo dello stilista per qualche secondo, dopo abbassò la testa: -Glielo dirà a quel povero ragazzo che mia figlia l’ha sempre amato durante tutti questi anni, anche se ha fatto cose che avrebbe preferito non fare e non ha aspettato come una reclusa il suo ritorno?-; la donna non era più così sicura di sé.

Gabriel sorrise perché gli ricordava Emilie: “Andrò bene per te, anche se non sei stato il mio primo amore?”, gli aveva chiesto poco prima di sposarlo. Emilie non c’era più, doveva concentrarsi solo su suo figlio, da quel momento in poi.

-Avranno modo di parlare tra loro di quello che è successo in questi anni, ne sono certo, l’uomo si mosse sulla poltrona e premette il tasto dell’interfono. Poco dopo la sua segretaria bussò alla porta.

Sabine si voltò verso la donna, che aveva visto alcune volte anni prima: era dimagrita e aveva un bel bambino in braccio.

-Vieni Sun-, il Signor Agreste si alzò e prese dalle braccia della donna il piccolo, poi lo avvicinò a Sabine, che sgranò gli occhi. Un’idea le attraversò la testa, poteva mica essere che… Tremò al pensiero che sua figlia potesse saperlo.

-Lui è mio figlio adottivo Sunan, ha poco più di tre anni e se è qua adesso è solo grazie ad Adrien che l’ha conosciuto e si è affezionato così tanto a lui. Avrebbe potuto adottarlo lui stesso e diventarne a tutti gli effetti il padre, ma non lo ha fatto: credo c’entri Marinette in questa decisione…-, fece una pausa e scostò un ciuffo nero dalla fronte del bambino, -Madame Cheng, volevo che sapesse che per me essere il padre di un bimbo così bello e felice è una cosa che mi riporta indietro a quando non fui un buon padre. È solo grazie ad Adrien se ora ho una seconda possibilità e in qualche modo grazie anche a sua figlia, che lo ha reso un così bravo ragazzo, a discapito del mio pessimo esempio e della vita che l’ho costretto a condurre tra riflettori, telecamere sotto pressione costante. Adrien è un ragazzo riservato, in realtà, e vorrebbe solo poter vivere la sua fetta di felicità.-

Sabine non sapeva cosa rispondere ad una siffatta dichiarazione, in ogni caso fu anticipata dall’uomo: -E se Marinette è stata così brava da conquistare Adrien in quel brevissimo tempo in cui sono stati insieme, si immagini che potrebbe fare in una vita intera-, strizzò l’occhio e mise giù il bambino che andò di corsa con le braccia aperte a schiantarsi sulle gambe di Nathalie.

-Mamma BUM!-, trillò il piccolo e la donna lo prese in braccio.

-Nati, non mamma-, lo rimbrottò lei e, senza osare guardare nessuno, uscì in silenzio dalla stanza, mentre il piccolo le copriva di baci il volto austero spostandole gli occhiali.

Sabine guardò l’uomo, poi la porta e si alzò, per congedarsi. Si scambiarono una stretta di mano seguita dal saluto cerimoniale cinese della donna. Vicino alla porta Sabine si voltò:  -Se quella donna è stata così brava da conquistare un bambino che ha perso la sua vera famiglia in così poco tempo, si immagini che potrebbe fare a chi la conosce da una vita intera-, ricambiò l’occhiolino, sorridendo sorniona al signor Agreste e uscì.

Gabriel alzò le sopracciglia e increspò le labbra, tornò a sedersi sulla sua poltrona e si voltò verso la finestra, dove il bambino aveva iniziato a giocare a palla sotto gli occhi attenti di Nathalie.

-Madame Cheng, quasi quasi libero una akuma per San Valentino e do a lei i poteri di Dark Cupido, ma al contario…-, mormorò tra sé e sé.

Adrien stava andando a Lhasa a consegnare personalmente alla giustizia Po-Lum-Tsa, mentore e compagno spirituale (e forse non solo spirituale) di sua madre Emilie, dopo che lei aveva abbandonato le vesti di portatrice del Miraculous del Pavone e aveva scelto di abitare quelle terre per nascondere il suo doloroso segreto e le decisioni che aveva preso contro ogni logica. In sei anni di viaggi e ricerche, ecco cosa aveva ottenuto Gabriel: la consapevolezza di non aver mai davvero conosciuto sua moglie e di averla persa perché non era stato in grado di capire la sofferenza che provava e la solitudine in cui si era chiusa. Emilie non li aveva abbandonati solo per brama di potere, come lui aveva sempre creduto, ma principalmente per un desiderio di vivere che l’aveva consumata: aveva scoperto di essere gravemente malata e si era convinta che più potere avesse tratto dalla magia dei Miraculous, più la sua vita avrebbe potuto allungarsi. Gabriel aveva scoperto solo brandelli della sua storia raccolti qua e là tra tribù sperdute e santoni tibetani: per ogni luogo che lei aveva calcato c’era sempre qualcosa che riconducesse ai Miraculous. Prima di partire l’uomo non sapeva che ci fossero persone che erano a conoscenza di quelle fantastiche meraviglie e ne avevano addirittura fatto un culto segreto e non supponeva neanche che sua moglie fosse andata da loro per cercare una cura mistica al cancro che la stava consumando già da anni, senza che lui ne avesse mai avuto sentore. E insieme alla cura, si era messa a cercare sempre più potere, come se da quella magia intrappolata in strani amuleti avesse potuto trarre la forza per essere essa stessa donatrice di lunga vita.

Era iniziato tutto con il suo primo viaggio, anni prima che si sposassero, quando lei ancora stava bene: al suo rientro in Francia Emilie aveva riportato con sé la spilla del Pavone, ma non aveva ancora avuto la volontà di usarla. Al secondo viaggio aveva trovato il Miraculous della Farfalla e l’aveva donato a lui: “Saremo i più forti del mondo”, aveva detto apparendogli nelle vesti di Le Paon, ma lui non le aveva creduto e le aveva chiesto di non usare più i loro poteri. All’epoca cercava solo una vita normale, sebbene sopra le righe per via della sua professione in ascesa, un matrimonio, un figlio. Ed Emilie gli aveva dato un figlio e per qualche tempo tutto era parso perfetto. Ma poi qualcosa era cambiato, Emilie era diventata di colpo triste e taciturna, qualcosa sembrava roderle l’anima e di nuovo aveva iniziato a pensare ai Miraculous, sapendo che avevano la proprietà di allungare le vite dei loro portatori, e ne voleva sapere sempre di più. Il suo non lo aveva più perché aveva promesso al marito che non lo avrebbe più usato, ma aveva scoperto che esistevano altri Miraculous, tra cui quelli dello Ying e dello Yang e che tramite essi avrebbe potuto esprimere un suo desiderio ed essere infinitamente potente, per questo aveva intrapreso la loro ricerca nelle terre di origine, riprendendo a viaggiare e a sperare, pur essendo dilaniata dalla lontananza dal suo piccolo amato Adrien. Ma era anche per Adrien che se ne andava, per sopravvivere alla sua malattia e per trovare anche per lui la panacea di ogni problema. Voleva che la sua vita fosse lunga più di ogni altro, perché suo figlio era il suo capolavoro e non avrebbe mai accettato che il tempo o la morte se lo prendessero. Ogni tanto, senza preavviso, tornava a casa e ogni volta che tornava e passava del tempo con lei, Gabriel riusciva a rivedere la sua Emilie, felice, luminosa, reale; ma dopo un po’ i suoi demoni e le sue brame la richiamavano lontano, la ricerca doveva proseguire, lei doveva andare a curarsi con nuova energia, nuove speranze, nuovi folli desideri e, fino a quando non riusciva a partire di nuovo per il suo Tibet “in cerca di qualcosa di speciale”, come lei diceva, era scostante, triste, tormentata. E allora spariva e stava via mesi, lasciando da solo Adrien, che avrebbe voluto solo averla vicina.

Finché una volta non era più tornata.

“In cerca di qualcosa di speciale…”

Gabriel guardò fuori dalla finestra: Sunan giocava a palla con Nathalie. Eccola là la cosa speciale, la più speciale di tutte: un bambino felice e una donna che gli stesse accanto. Quello che lui ed Emilie si erano persi. Se solo sua moglie si fosse aperta con lui, se solo avesse accantonato quel senso di inadeguatezza e inferiorità che aveva sempre provato nei suoi confronti e per il quale aveva cercato i Miraculous; se solo si fosse confidata con lui e gli avesse dato la possibilità di aiutarla a combattere quella battaglia… E invece Emilie aveva scelto di restare da sola con i suoi demoni e le convinzioni che aveva appreso e fatto sue in tutti quegli anni di lontananza.

Gabriel aprì la finestra e lasciò entrare l’aria fresca, si piegò sul davanzale e osservò Sun colpire la palla verso Nathalie che, cercando di non sporcarsi e di rimanere il più composta possibile, la calciò verso di lui con la sua decolleté tacco dodici, sorridendo felice.

L’uomo richiuse la finestra e si sedette alla scrivania. Inspirò e chiuse gli occhi, toccandosi sovrappensiero la fede con il pollice della stessa mano. Aprì il secondo cassetto e ne estrasse un fascicolo con un’etichetta bianca che non forniva indicazioni sul suo contenuto. Lo soppesò tra le mani: i suoi occhi avevano perso ogni luce, la calda influenza del piccolo Sun sembrava averlo abbandonato lasciandolo di nuovo solo con i suoi demoni. Aprì il fascicolo e iniziò ad estrarre una ad una una serie di foto, una pugnalata dopo l’altra. Le aveva avute dai suoi investigatori privati sparsi per il Tibet. Ritraevano Emilie nei vari periodi del tempo che aveva trascorso da sola, dopo la sua “scomparsa”.

Non cercarmi.

Tieni Adrien lontano dal potere, lontano dall’illusione.

Crescilo al posto mio, amalo anche per me.

Perdonami.

Io ti amerò per sempre, ma devi ricordarmi per come ero, non per come sono.

Io non sono più la tua Emilie, non sono più la mamma di Adrien…

Io non sono più nessuno…

Portò alle labbra l’unico foglio scritto in mezzo alle immagini della donna magra, sempre più macilenta, con i capelli tagliati in malo modo, sporca. Ma gli occhi… quegli occhi verdi erano sempre fieri e brillavano, fino all’ultimo.

Gli tremò una mano mentre estraeva l’ultima fotografia: il tavolo di un obitorio, gli occhi verdi chiusi per sempre.

Lo aveva scoperto poco prima di ripartire per l’Europa, se l’era tenuto per sé per non crollare nella disperazione, perché non voleva accettarlo… non poteva! Allora aveva preteso che venisse fatto quel ridicolo rito dei kwami… e aveva costretto Adrien ad assistere, perché non aveva avuto il coraggio di dirglielo lui che sua madre era morta e che aveva sprecato sei anni della sua giovinezza per inseguire un sogno che non avrebbe mai potuto realizzarsi.

Aveva pensato per un istante di poter comunque attingere al potere del Miraculous di Adrien e di Ladybug per riprendersela, ma, guardando il suo ragazzo mentre Nathalie mostrava attraverso lo schermo del tablet i portatori presenti a casa di Maestro Fu,  aveva capito che non aveva il diritto di uccidere per la seconda volta Adrien portandogli via la cosa che più amava al mondo. Suo figlio aveva trattenuto il respiro guardando Fu, i kwami e i suoi amici che ormai erano cresciuti, ma quando era apparsa Marinette un sorriso leggero come un pensiero aveva increspato le sue labbra e i suoi occhi avevano brillato come non vedeva da anni.

E allora Gabriel aveva deciso di arrendersi.

Aveva consegnato a Nathalie le lettere scritte da Adrien e da lui raccolte in tutti gli anni di viaggi passati. Le aveva sottratte al vento a cui Adrien le affidava ogni volta: il ragazzo scriveva di notte, di nascosto e poi baciava ogni volta quei fogli sottili e li abbandonava dove capitava, su un davanzale aperto, nel fitto della foresta, su un fiume. Alcuni li aveva strappati, altri erano imbrattati di fango e alcool. Gabriel si trasformava in Papillon e mandava le sue akume a ritrovare quelle lettere. Le aveva lette tutte. Aveva letto speranza, dolore, disperazione e aveva compreso quel che suo figlio provava per la ragazza a cui lui voleva togliere la vita. Si era sentito meschino, aveva capito di essere stato solo un mostro.

Lui, il famoso Gabriel Agreste, non aveva mai scritto una sola riga per la moglie scomparsa. Aveva pagato terzi perché la trovassero al posto suo. Non aveva voluto cercarla finché non era stato Adrien a convincerlo, o forse a costringerlo.

Radunò le foto e le rimise nel fascicolo; lo chiuse e andò a prendere una cartella nera, più spessa, in cui lo infilò. Si avvicinò alla grande libreria del suo studio, salì sulla scaletta e sistemò la cartella nera nel mezzo ad altre cartelle nere, anonime, identiche. Dimenticate.

Tornò giù e lentamente si avvicinò alla poltroncina dove pochi minuti prima era stata seduta Sabine Cheng: era stato onesto con lei, tutto il suo dolore l’avrebbe convertito in possibilità. Voleva che Adrien avesse la stessa possibilità di tornare a vivere che lui aveva regalato a Sunan e che il piccolo donava a tutti quelli che gli stavano vicini.

Si sedette e si sfilò gli occhiali, pizzicò tra l’indice e il pollice la radice del naso e lasciò che, per la prima volta da quando erano tornati a casa, le lacrime trovassero la strada per liberarlo dall’odio con cui aveva avvelenato per troppi anni la sua esistenza.

Una pallonata fece tremare i vetri della sua finestra e Gabriel sussultò, lasciando cadere a terra gli occhiali e poi rise per la sua reazione e mentre rideva le lacrime gli rigavano il viso e la schiena tremava per il pianto e per il riso. Tirò su col naso e si asciugò gli occhi con i palmi delle mani. Allentò la cravatta che in quel momento stringeva come un cappio e rise, rise di nuovo. Rise e si lasciò scivolare a terra, in mezzo alle lacrime, da solo nel suo studio.

Era tutto finito.

***

Il sole sembrava già molto alto, quando Marinette si svegliò: si sentiva completamente rintontita, come se le fosse passato addosso un tir. Si voltò nel letto e a stento trattenne un urlo di dolore quando la sua schiena strusciò contro il materasso. Si sollevò di scatto e una violenta vertigine la rapì per un attimo. Aveva nitidi i ricordi della notte, i colpi presi, la paura avuta, l’incertezza su cosa farne del Miracuolus dell’ape e, infine, l’emozione che aveva provato nel rivedere Chat Noir.

Sospirò, chiedendosi se in fondo non fosse stato solo un sogno. Le bastò alzare lo sguardo che Tikki le volò accanto: aveva il musino dispiaciuto per aver visto quanto l’amica ancora fosse sofferente per i colpi subiti. Furono affiancate da Trixx e Pollen.

-Che ore sono?-, domandò la ragazza massaggiandosi il viso. Potevano essere le nove come le undici.

-E’ mezzogiorno passato…-, le comunicò Tikki, temendo che l’amica avrebbe dato in escandescenza.

Marinette invece annuì come per metabolizzare l’informazione e rimase calma, a metà tra la rassegnazione e la spossatezza.

Allungò una mano al comodino per cercare il suo cellulare, scacciò con un movimento del dito le notifiche che non le interessavano e controllò i messaggi e le chiamate perse.

Ovviamente c’era Alya: aveva provato a contattarla svariate volte e infine aveva concluso i suoi tentativi con un messaggio di chat: “Mi hanno rimandata a casa. Quel deficiente di Nino non si è accorto dell’attacco. Come stai?”

Le rispose immediatamente che stava bene e che sarebbe subito andata da lei: “Ho una sorpresa”.

Si alzò dal letto lamentandosi per il dolore alla schiena e scese dal soppalco. Le lettere che aveva lasciato sparpargliate per tutta la stanza non c’erano più: cercò con orrore Tikki che la rassicurò, indicandole che le aveva rimesse a posto per lei.

-Ricordati di finire di leggerle…-, le disse ancora, ma Marinette aveva un bisogno quasi fisico di farsi una  doccia, pur prevedendo grandi dolori e rimandò l’impegno ancora una volta.

Riuscì a giovarsi del tepore dell’acqua, nonostante si solito preferisse immergersi nella vasca e rilassarsi per tempi lunghissimi, ma era troppo tardi e aveva fretta. La ferita non era aperta e l’acqua le scivolò addosso portando via l’odore della paura che l’aveva travolta quella notte.

Si vestì con quello di più morbido che riuscì a trovare e fece nascondere i tre kwami nella capiente borsa di cuoio che l’accompagnava negli ultimi tempi. In casa sua non c’era nessuno, si fermò al negozio e vide suo padre impegnato con alcuni clienti ai quali stava mostrando dei bozzetti per una torta, sua madre non c’era. Non volle disturbare il genitore, quindi lo salutò da dietro la vetrina con un cenno della mano e si incamminò verso la fermata della metro.

-Non potevi almeno prendere qualcosa da mettere sotto ai denti?-, la rimproverò Tikki, ma Marinette sentiva lo stomaco chiuso per tutte le emozioni e stanchezze che stava accumulando e aveva preferito evitare di mangiare. -Ti sentirai male, prima o poi-, insistette la kwami, ma Pollen le fece cenno di lasciar perdere. Era entrata in sintonia con quella ragazza e aveva potuto sentire come le battesse forte il cuore per l’emozione e il patimento per quell’amore che sapeva di aver perduto. Tutto il resto passava in secondo piano.

La metro era in ritardo quel giorno, forse non avevano ancora ristabilito a modo la circolazione dopo l’allarme di quella notte. Una volta sopra, Marinette si trovò a scegliere se passare prima da Fu, per riportargli Pollen, o da Alya, per riportarle Trixx. Bastò uno sguardo d’intesa con l’ape e lasciò perdere Fu.

Era stata a casa di Alya solo due giorni prima, le pareva impossibile che fossero accadute così tante cose nel frattempo: dopo anni di stasi, il suo mondo magico e terribile stava rimettendosi in moto come un vecchio orologio dagli ingranaggi arrugginiti. Lento e inesorabile.

C’era stato un nuovo super cattivo, nuove battaglie, ma soprattutto di nuovo era apparso Chat Noir. Doveva parlarne con Fu, perché quell’incontro era stato… surreale. Continuava a domandarsi se l’avesse davvero incontrato o se si fosse immaginata tutto e provava vergogna di esternare le sue domande ai kwami, che non avevano fatto parola di quell’incontro inatteso.

Giunse di gran lena sotto casa di Alya e suonò il campanello. Immaginò l’amica scapicollarsi per aprirle, ma a rispondere al citofono fu la voce di Nino. Arrivata su fu sempre lui che la accolse alla porta del loro appartamento. Aveva il volto teso e imbarazzato.

-Mi dispiace Marinette… so che hai avuto molti problemi, e io… Non c’ero…-, la ragazza stava per risponderle, quando la voce di Alya, proveniente dalla camera da letto, la precedette.

-Marinette! Sono qua!-

La ragazza sorrise a Nino e gli fece cenno che non importava dispiacersi, perché tutto era andato bene. Poi andò verso la camera di Alya e vide una cosa che non avrebbe mai pensato.

La sua amica era stesa a letto, contornata da due telefoni cellulari, il tablet e il pc portatile, il viso stanco eppur rabbioso per la sua condizione. Aveva una flebo a un braccio.

-Alya…-, Marinette corse al suo capezzale, che cosa era successo?

-Ho avuto un piccolo distacco di placenta, mi hanno detto… Il bambino sta bene, ma devo rimanere ferma per un po’ di tempo e tenere questo coso al braccio-, disse indicando la flebo. A Marinette non sfuggirono gli effetti personali di Nino sul comodino dall’altra parte del letto, segno che la loro convivenza era già ufficiale.

-Mia mamma si è arrabbiata tantissimo!-, esclamò divertita e sconvolta allo stesso tempo, -Non immaginava che sarebbe potuta diventare nonna così giovane e con due figlie ancora piccole!-, in effetti era così, ma era anche una cosa bellissima e il fatto che Nino fosse stato accolto in casa di Alya era la conferma che ogni tassello era al suo posto. Il ragazzo andò a stendersi sul letto, di traverso ad Alya, per avvicinarsi a lei e controllare qualcosa sul suo braccio.

-Ho un infermiere meraviglioso-, proseguì Alya, indicandolo, -Anche se come supereroe lascia un po’ a desiderare…-, gli lanciò un’occhiataccia e riprese a parlare. Sembrava euforica, spaventata, agitata e curiosa, tutto assieme.

-Dimmi come stai, Marinette… Che è successo stanotte? Ci ha chiamati Fu, non ho idea di come abbia fatto a sapere cosa stava accadendo, ma quando Carapace è arrivato…-, indicò il compagno, che terminò il racconto al posto suo.

-Quando sono arrivato non c’era più nulla. Solo i segni di una qualche colluttazione e questo, per terra-, si frugò in tasca e passò all’amica un oggetto che la riportò indietro di una vita intera.

Marinette fissò incredula quello che aveva in mano, boccheggiò non riuscendo a dire nulla di concreto, stirò il viso in un sorriso che le impedisse di piangere e guardò Nino: -E invece mi hai aiutata, non sai quanto-, lo toccò sul braccio e strinse al cuore il portafortuna che una timida ragazzina di quattordici anni aveva regalato al suo grande amore, tanto tempo prima.

-Non me lo sono immaginato-, sussurrò tenendo Tikki stretta accanto a sé. Un sorriso le illuminò il viso stanco e un dolce tepore la fece sentire bene.

Tikki comprese e commossa scostò dal polso di Marinette il golf che la copriva. C’era un braccialetto simile a quello che aveva trovato Nino nel posto dove era apparso Chat Noir, un braccialetto che Marinette non aveva mai tolto, nemmeno quando si era fidanzata con Nathaniel.

-Mi spiegate qualcosa?-, domandò Alya allargando le braccia e solo allora Marinette si ricordò del piccolo Trixx nascosto nella sua borsa.

-Te lo spiegherà lui-, rispose all’amica prendendo il volpino tra le mani e consegnandoglielo.

Alya si aprì in un enorme sorriso, abbracciando l’animaletto e portandoselo al viso per baciarlo.

-Non sai quanto sono stata in pensiero-, gli disse cercando di non commuoversi, -Io ti ho perso, Trixx! Sono stata debole e ho lasciato che ti portassero via!-

-E d’ora in poi non accadrà più-, la rassicurò Marinette, -Anzi, Trixx rimarrà qua con te a farti compagnia finché il tuo… fagiolino non sarà nato!-

Vedere Alya arrossire fu la migliore delle cure per Marinette: Nino si avvicinò alla sua compagna e posò una mano sulla sua pancia.

-Anche io avrei una sorpresa per te-, disse il ragazzo a Marinette: era una cosa a dir poco inusuale. Erano amici da una vita, eppure non erano mai davvero entrati in confidenza. La ragazza alzò le sopracciglia, attendendo che proseguisse.

-Alya mi ha detto che tu avresti voluto venire a stare qua con lei… ma poi è venuta fuori questa cosa…-, chinò la testa, leggermente in imbarazzo, -E io ti ho “rubato” il posto. Ma l’appartamento dove vivevo… sarebbe mio. Cioè è di mia proprietà, intendo… ecco... se ti fa piacere, Marinette, puoi andare a stare lì…-

Pollen e Wayzz fecero capolino dai loro nascondigli: tutti attendevano una risposta da parte della ragazza, tutti sapevano come stesse e cosa avrebbe potuto significare per lei trovare la sua meritata autonomia.

-E dai, Marybug! Accetta e basta! Non devi mica fare un contratto con Nino, eh! Se non ti troverai bene o non ti andrà di stare a casa sua, puoi sempre cercarne un’altra più bella e comoda. Ti garantisco che Mr Carapace ti aiuterà a traslocare le tue cose e ti libererà da tutte le sue cianfrusaglie-, come dire di no ad Alya?

Marinette sorrise e strinse la mano che Nino le stava porgendo, -Affare fatto-, gli disse, poi lo tirò verso di sé per sussurrargli qualcosa di privato, -Non lasciare nulla di compromettente in quella casa, altrimenti sei una tartaruga morta…-, gli fece l’occhiolino e accettò l’abbraccio sincero dell’amico.

Le braccia di Nino sulla sua schiena fecero tremare di dolore Marinette, quella maledetta ferita pulsava e doleva ancora tantissimo.

-Tutto bene?-, le chiese il ragazzo, preoccupato.

-Tutto bene-, rispose Marinette, facendo forza sulle braccia di Nino per tirarsi su, implorandolo con lo sguardo di non dire nulla alla sua fidanzata,

-Basta voi due, qua c’è una donna gelosa!-, la povera Alya scalpitava per non potersi muovere, avrebbe voluto essere d’aiuto per l’amica, soprattutto per aiutarla a spiccare il volo.

Nino le lasciò un po’ da sole e andò a preparare un tè, portandosi dietro tutti e quattro i kwami. Anche Marinette avrebbe voluto essere utile per Alya e sostenerla in quella grande avventura che era la maternità: -Stanotte ho incontrato Chat Noir-, le disse invece, arrossendo; -Questo l’ha perso lui, glielo avevo regalato io tanti anni fa…-, indicò il braccialetto portafortuna che aveva trovato Nino e Alya, incredula, rimase zitta per ascoltare il seguito della sua storia. Avrebbe voluto chiederle cosa si erano detti, come stesse, se si fossero ritrovati “bene”... qualunque cosa: bruciava dalla curiosità, ma sapeva che era un argomento molto, molto delicato che faceva tanto male all’amica.

-Adrien è tornato… Mi ha anche cercata ma non ci siamo ancora incontrati, a parte stanotte, durante la battaglia-, Marinette alzò i suoi grandi occhi azzurri sull’amica: era agitata, commossa, rassegnata e felice, tutto insieme, -Credo che lui… abbia un figlio. Ha trovato una donna in Laos, credo… lei si chiama Sunan e vive con loro-, abbassò lo sguardo ferito, -Non chiedermi come lo so, ma lo so…-.

Alya non sapeva che dire… le sembrava tutto così assurdo, come un insieme di note stonate buttate lì a caso.

-Sei sicura di questo?-, chiese solamente, perché… no, non ci credeva nemmeno un po’.

-Sì, sono sicura-, strinse il portafortuna e prese un grande respiro, -Ce la farò!-, sorrise ad Alya e si alzò per aiutare Nino che rientrava con il vassoio del tè.

-Tu sapevi che Adrien è tornato, Nino?-, chiese Alya al compagno, prendendo la tazza che le passava. Ne annusò i vapori: -Ma che roba è?-, domandò arricciando il naso.

-Tisana al finocchio-

-Ma fa schi…-

-Zitta-

-Nino dov’è il mio tè?-

-Non puoi bere tè adesso, ti eccita e non ti serve proprio eccitarti ancora di più. E poi hai già preso il caffè stamani. Che ti ha detto il dottore?-

Marinette li guardava affascinati, incredula di come la vita potesse cambiare da un momento all’altro, così com’era accaduto ai suoi amici. Il giorno prima allegri e spensierati pensando a ogni pensiero che potesse girare per la testa e il giorno dopo concentrati su un solo, enorme obiettivo.

Alya sbuffò e si rassegnò alla sua tisana: -Almeno rispondi-, incitò il ragazzo.

-Se sapevo di Adrien? L’ho letto in sala d’attesa mentre aspettavo che ti dimettessero. Figurati se Monsieur Agreste avrebbe potuto farmi uno squillo…-, scosse il capo e bevve un sorso, sembrava a disagio.

-E cosa diceva quello che hai letto?-, Alya era decisa ad andare fino in fondo per smentire le teorie di Marinette. Dalla cucina proveniva sommesso il chiacchiericcio dei kwami, contenti di poter stare riuniti anche con Pollen, dopo così tanto tempo.

Nino prese un respiro e bevve un sorso di tè. Non sapeva se era una domanda a trabocchetto, essendo presente Marinette.

-Che… lo stilista Gabriel Agreste e il figlio sono tornati a Parigi con tutta la banda-, liquidò il discorso.

-Definisci “banda”-, Alya non stava scherzando, voleva davvero che lui fosse più preciso.

-Non lo so Alya… sono solo articoli da paparazzi, lo sai... -

-Che ha un figlio, no?-, Marinette sembrava tranquilla mentre pronunciava quelle parole. Nino la osservò bere del tè e posare delicatamente la tazza sul tavolino accanto a lei. Suppose di poter parlare liberamente: forse dopo tutto quel tempo e la sofferenza, Marinette aveva accantonato l’idea di riconquistare Adrien.

-C’è un bambino, sì…-, confermò, -In realtà nessuno sa chi sia. L’hanno fotografato insieme ai due Agreste-.

-È il figlio, Nino… il figlio di Adrien, sicuramente...-, Marinette incrociò le gambe e posò le mani in grembo. -E quindi è finita-, concluse aprendo le mani e stringendosi nelle spalle, con un sorriso sforzato.

Guardò i suoi amici negli occhi e si alzò dalla poltrona. Si chinò per prendere la sua borsa e iniziare ad andare via.

-Non può essere il figlio di Adrien, Marinette-, constatò Nino fermandola: -Quel bambino ha almeno tre anni… lo avrebbe fatto… a diciottanni? Diciannove? Beh, all’epoca Adrien mi scriveva e non mi ha mai e dico mai accennato a nessuna donna, amante, compagna o figlio. Aveva un solo enorme pensiero in testa...-

La confessione di Nino lasciò a bocca aperta le due ragazze, Alya era incredula per le parole del suo fidanzato… non le aveva mai detto nulla del fatto che avesse avuto notizie del comune amico!

-È stato lui a farmi giurare che non avrei mai raccontato nulla… in fondo era mio amico e… a me che costava?-, alzò le spalle e riprese, -Comunque, ecco, ci eravamo sentiti dopo che io sono diventato Carapace e ho saputo della sua identità e vi garantisco che tre anni fa Adrien aveva altri problemi… e diventare padre non era di sicuro uno di quelli.-

E poi c’era arrivato prima lui, d’accordo, a quel prezioso traguardo di vita! Per una volta aveva fatto qualcosa meglio e fatto bene, era stato più bravo di Adrien Agreste.

Marinette era senza parole… E allora chi era quel bambino e chi era Sunan?

-Io credo che dovreste incontrarvi e chiarire ogni cosa tra voi-, sostenne Nino.

-Incontrarci? Oh, ottima idea: quasi quasi mi presento a casa sua e ne discuto a quattrocchi prima con il padre, patteggio cosa farne dei Miraculous, delle sue akume e poi anche di questo bambino, sai com’è, già che ci siamo gli chiedo anche di chi sia figlio… E poi mi trasformo in Ladybug, rapisco Adrien e lo porto… a casa tua Nino, ok?-, Marinette era più confusa che mai, si stava scaldando senza un ragionevole motivo, gesticolava in preda all’agitazione. Se ne rese conto guardando i volti turbati dei suoi amici.

-Alya, scusami se sono un po’ alterata… ti verrò a trovare con più calma domani, scusami davvero… Anzi, se hai bisogno di qualcosa dimmelo-, poi si rivolse al ragazzo: -La tua proposta è seria?-, gli domandò.

Nino annuì sorridendole: -Allora mercoledì pomeriggio, se sei libero, ti aspetto alle tre a casa mia per aiutarmi col trasloco. Ho bisogno di andare a vivere da sola.-

Chiamò Tikki e Pollen che si congedarono dai loro amici kwami e, dopo aver baciato una Alya attonita e incredibilmente silenziosa, uscì dall’appartamento.

Era entrata con tante domande in testa e ne aveva ancora di più… Nino non era stato onesto con nessuna delle due, ma aveva dimostrato di essere un buon amico per Adrien. Non si era fatto problemi di segretezza riguardo ai Miraculous e aveva mantenuto intatto un sottile filo con l’amico.

Marinette camminò rapidamente fino alla fermata della metro e si diresse verso il centro massaggi di Fu.

Forse avrebbe avuto qualche informazione in più, forse avrebbe potuto davvero capire cosa era successo quella notte. Forse avrebbe trovato le risposte che cercava.

Entrò nel centro massaggi e si diresse sul retro: Fu l’attendeva con aria preoccupata.

-Non ti sei fidata a lasciare Pollen al tuo amico, vero?-, le domandò senza troppi preamboli e Marinette annuì.

-Hai fatto la scelta giusta, ancora una volta!-, Fu si aprì in un sorriso, -E le scelte giuste pagano, come hai potuto appurare tu stessa-, si avvicinò alla ragazza e prese le mani tra le sue.

-Ma la tua sofferenza, i dubbi che ti attanagliano, la paura che hai provato hanno rischiato di metterti seriamente in pericolo, Marinette-, le rughe sul viso dell’uomo parevano più profonde che mai, lo sguardo era stanco, -Hai letto le lettere che ti ho dato ieri?-

Marinette annuì e abbassò lo sguardo, -Chat Noir è stato così… freddo…-, disse semplicemente.

Fu si allontanò da lei e prese a camminare con le braccia dietro la schiena, in silenzio, ascoltandola.

-Perché si è comportato così? Non mi ha detto nulla, mi ha solo sfiorato una mano ed è andato via. Sembrava cercare un contatto… ma poi è andato via. Fine...-, un altro poco e Marinette avrebbe pianto davanti all’uomo che poteva toglierle i poteri, se avesse voluto.

-E tu come ti sei comportata con lui? Gli hai parlato? L’hai cercato?-, era così evidente la paura di entrambi che Fu non si capacitava di come non avessero fatto a capirlo ancora. Due enormi, infiniti zucconi… talmente identici e lontani anni luce per poter davvero rimanere separati a lungo, in quella vita.

-No-, era stato solo un pensiero confuso fino a quel momento, ma la consapevolezza di quel che avrebbe potuto fare e non aveva fatto colpì Marinette come un pugno nello stomaco. Non lo aveva cercato e non avrebbe potuto fare diversamente se non voleva distruggere anche il ricordo che aveva di lui.

-E non lo cercherò più. Lui ha la sua vita e io sono stata solo una parentesi che lo ha travolto e confuso. Sono sicura che non mi abbia parlato perché… semplicemente non voleva. Non importa se io starò male, non voglio più vivere di sogni e speranze, non sarò io a turbare la sua vita. Non lo disturberò.-

Aveva anteposto il suo folle sogno di poterlo finalmente avere per sé con quella che era la realtà. Ormai avevano due vite troppo lontane, due esistenze che avrebbero dovuto restare parallele per non tornare a ferirsi e soffrire.

-Mi limiterò ad amarlo senza che lui lo sappia-, ammise la ragazza ed estrasse dalla borsa la scatoletta con il miraculous dell’Ape; -Tenga: Nathaniel Kurtzberg non era la persona adatta a questo compito-, gli disse rimettendo al Maestro dei Miraculous la piccola Pollen.

La kwami volle salutare la sua ultima portatrice, seppure lo era stata solo per pochi minuti e si strinse al suo volto: -Alla fine sarai felice, Marinette, devi solo convincertene-, non poteva dire di più. Si avvicinò alla scatoletta e lasciò che il gioiello la chiamasse a sé.

Pollen scomparve in un bagliore.

-Sei proprio una brava ragazza, Marinette, ma hai un terribile difetto-, disse Fu accompagnandola verso il futon su cui faceva i suoi massaggi: -Salti alle conclusioni sbagliate troppo rapidamente. Non hai mai spesso di immaginare le tue storie, eh?-, le sorrise e la fece stendere a pancia in giù.

-Adesso vediamo di curare le ferite della tua pelle, tra qualche giorno penseremo al tuo cuore-, fece suonare una campanella vicino al suo orecchio e le sfiorò la fronte con una mano.

-Adesso rilassati-.

E tutto fu inondato dalla luce.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 - Appuntamento al Buio ***


Capitolo 31 - Appuntamento al Buio

Che ne sapeva di lei?

Stralci di informazioni di seconda mano, fatti riveduti e corretti a seconda di chi li narrava, impressioni, commenti, pettegolezzi e supposizioni. Eppure quello sguardo che aveva incrociato solo una manciata di notti prima era lo stesso che era marchiato a fuoco nella sua mente, nonostante fosse pieno di sgomento e paura. Era Marinette, la sua Marinette che aveva riempito quasi ogni istante della sua vita negli ultimi sei anni. Aveva sfiorato la sua mano, la pelle ferita della sua spalla; aveva visto le lacrime accumularsi ai lati degli occhi e aveva percepito quel lievissimo profumo, sempre lo stesso, impregnato di stanchezza e orrore.

Perché era andato via? Perché il dovere aveva superato la voglia che aveva di lei, il sentimento di totale fedeltà nella sua eroina, la necessità di prendersi cura della donna ferita che aveva davanti? Aveva scelto di chiudere definitivamente ogni capitolo della storia che l’aveva tenuto lontano da lei, come se rimandare la cattura di Lum-Tsa avesse potuto lasciare aperto il rischio di un ritorno dei fantasmi che aveva finalmente vinto. Aveva scelto di rimandare l’attimo in cui l’avrebbe davvero ritrovata per farlo da uomo libero e nuovo.

-Excuse me, can you go ahead, please…?-, una voce dietro a lui lo riportò al suo presente e Adrien colmò la distanza con chi lo precedeva.

In coda al controllo passaporti dell’aeroporto di Lhasa, il ragazzo si sforzò di scacciare dalla sua testa l’immagine della donna che amava sola, sfinita e ferita. Cercò di prestare attenzione allo scorrere della fila avanti a lui e sistemò meglio lo zaino che portava sulle spalle. Ma la mente finiva sempre dove non avrebbe dovuto; Adrien continuava sovrappensiero a rigirarsi tra le mani il suo documento, cercò di concentrarsi su di esso e sul momento in cui l’avrebbe mostrato al personale dell’aeroporto: la foto che lo ritraeva non rispecchiava affatto la persona che era in quel momento. I suoi capelli erano molto più lunghi di allora e la barba incolta, che non tagliava da poco prima di rientare a Parigi, lo rendevano completamente irriconoscibile. Aveva avuto già diversi problemi nel viaggio di andata, ma non era certo quello il momento di ovviare alla sua scarsa somiglianza con quella minuscola foto.

Nei giorni che aveva passato nella capitale tibetana, Adrien aveva ancora una volta fatto visita all’abitazione che era stata di sua madre, alla ricerca di qualsiasi ricordo di lei.

Nelle sue precedenti incursioni alla squallida baracca arroccata su un aspro crinale, quella piccola abitazione era sembrata in qualche modo trasmettere ad Adrien qualche segnale di sua madre, come se, osservando bene i dettagli nascosti tra gli oggetti presenti, avesse potuto trovare la chiave per richiamare la donna indietro dal mondo sconosciuto in cui aveva scelto di vivere.
Quella volta, invece, non aveva trovato altro che polvere, confusione e sporcizia.

Avrebbe tanto voluto dare una degna sepoltura alla donna che aveva tanto amato e che più di ogni altro era riuscita a rendere la sua infanzia un ricordo rarefatto e puro, nonostante fosse stata proprio lei a portargliela via, quando era scomparsa. Emilie Agreste avrebbe vissuto per sempre in un posto speciale della sua anima e -ne era certo- lo avrebbe aiutato ad andare avanti.

-The passport, please-, domandò ad Adrien la guardia oltre il gabbiotto trasparente e lo scrutò lievemente seccato per la poca somiglianza con la foto del documento. Con un gesto della mano lo invitò a mettere il dito sul lettore di impronte digitali, che si illuminò di verde: ok, era proprio lui, un timbro e sarebbe stato libero di rifugiarsi sull’aereo che lo avrebbe riportato a casa.

Addio Tibet, a mai più.

***

-E questa è l’ultima!-, lo sgradevole suono del nastro da pacchi tirato con foga accompagnò le parole di Marinette che, fascia in testa e felpa sdrucita, aveva finalmente impilato ogni scatola già pronta una sull’altra. Aveva fatto tutto a tempo di record.

-Sei sicura che Nino sia in grado di aiutarti?-, domandò Sabine perplessa. Era davvero un gran mucchio di roba e trovava strano che quel povero ragazzino quasi macilento avrebbe potuto aiutare davvero la figlia nel trasloco. Le sarebbe bastato trasformarsi in Ladybug nottetempo e portare tutto da sé: oh se ce l’avrebbe fatta! La donna si morse la lingua per non proporre alla sua ragazza quella soluzione tanto logica quanto tabù, si alzò lisciandosi i palmi sull’abito di seta e scese giù.

-Chiamo tuo padre ad aiutarti-, stabilì allontanandosi.

-Se ti trasformassi in Ladybug potresti traslocare tutto da sola stanotte, lo sai Marinette?-, domandò Tikki sgusciando fuori dalla casetta delle bambole.

-Non lo farò, e poi solo tu avresti potuto pensare ad una cosa così folle!-, colpì con la delicatezza di un battito d’ali di una farfalla il musetto della kwami e si lasciò cadere esausta sulla poltrona in camera sua: quella non l’avrebbe seguita nella sua nuova casa. Se mai -e nella sua mente la parola “mai” lampeggiò come fosse stata un’insegna a neon- avesse accolto un ragazzo lì, e ancora fu solo uno il nome che prese a lampeggiare nel suo immaginario malato, lo avrebbe fatto direttamente nel letto. O sul pavimento. Ma forse… già, Nino doveva avere anche un divano vero e proprio…

Con un sospiro Marinette alzò le sopracciglia e scosse la testa, dandosi da sola della stupida e si rimise in moto. Le mancavano tutti i vestiti, da infilare ancora una volta nelle valigie che l’avevano già accompagnata per i precedenti traslochi, non doveva perdere tempo in fantasie impossibili, doveva essere concreta e andare avanti.

-Quando mi sarò sistemata voglio dare una festa, Tikki-, informò l’amica, -Ci saranno tutti quelli che conosco, i ragazzi di facoltà, quelli che erano a scuola con me, quasi quasi invito anche Fu, che ne pensi?-, Tikki la guardò divertita. Non era da Marinette lasciarsi andare a proposte così audaci, dato il suo stato d’animo sempre sommesso.

-Fu sarebbe il primo a presentarsi con del saké o anche tequila, forse…-, constatò la coccinella.

-Inviterò anche Nath e Paul, sicuramente. Juleka sta con Rose, lo sapevi?-, chiese alla amichetta rossa.

-Certo che lo so, e lo so da prima che finiste la scuola, che credi?-, rispose con aria di superiorità.

-E Chloe…-

-Sta con…-

-Marinette, eccomi, che vuoi che faccia?-, l’ingresso di Tom Dupain interruppe la serie di pettegolezzi tra ragazze. Marinette sorrise al padre e gli indicò le scatole: -queste vanno a casa di Nino-, spiegò.

-A casa tua, se non sbaglio-, la corresse l’uomo, sorridendole. Mai avrebbe pensato di essere così felice che la figlia fosse di nuovo in grado di prendere il volo da sola.

-A casa mia, già…-, si gongolò Marinette. Il Maestro Fu non le aveva solo fatto passare il dolore fisico, ma anche riportato un po’ fiducia e voglia di vivere dopo tutte le grandi batoste accumulate negli ultimi tempi. -A proposito, stavo pensando di dare un rinfresco per i miei amici, appena mi sarò sistemata: posso contare su di te, Papone?-, domandò all’uomo facendogli gli occhi dolci.

Tom sorrise e annuì, -Ovviamente-, aggiunse e si caricò sulle spalle due scatoloni, iniziando a scendere dabbasso.

-Basta che me lo dici in anticipo…-, puntualizzò l’uomo.

-Sabato: pensi che si possa fare?-, propose Marinette: sarebbe stato dopo tre giorni, era poco tempo, vero, ma aveva voglia di dare un colpo di spugna il prima possibile alla sofferenza che la attanagliava quando non aveva altro a cui pensare.

-Come li porterai alla casa nuova?-, domandò Tom, indicando tutte le scatole e le valigie della figlia, una volta raggruppate al piano terra dell’edificio dove vivevano.

-Alle tre arriva Nino e mi aiuta lui. Credo abbia noleggiato un furgoncino-, spiegò la ragazza; guardò l’orologio: mancava poco ormai all’ora X. Lasciò le sue cose ordinate nell’androne del palazzo e si rifugiò in pasticceria, stranamente aveva una gran fame.

***

-Avanti-, erano passati anni, eppure la voce di Gabriel Agreste era sempre apparentemente seccata da ogni interruzione della sua importantissima vita da supercattivo e stilista, anche dopo che non era più un supercattivo, almeno ufficialmente.

Ninò entrò nello studio dell’uomo con una leggera esitazione, ma era deciso ad affrontare l’argomento Adrien con lui.

-Buon pomeriggio Signor Agreste-, esordì sentendo le gambe farsi rigide tutto a un tratto. Come poteva subire ancora l’autorità che ogni dettaglio di quel luogo emanava?

-Buon pomeriggio, Nino-, l’uomo si alzò dalla scrivania, dove stava finendo di appuntare alcune cose e gli andò incontro porgendogli la mano. Nino raggelò, valutando inconsciamente se fosse il caso di mettersi sulla difensiva; -O dovrei dire “Carapace”?-, aggiunse Gabriel, stringendo la sua mano calorosamente.

Nino rimase in silenzio: era ovvio che Agreste conoscesse la sua identità segreta, ma sentirselo dire in faccia gli faceva ugualmente uno strano effetto.

-Sei venuto per avere informazioni su Adrien, immagino…-, proseguì Monsieur Agreste, lasciando la sua mano e indicandogli una poltrona del piccolo salotto che c’era in un angolo dello studio.

-Esattamente-, Nino deglutì, non del tutto a suo agio, nonostante buona parte del lavoro sporco l’avesse già fatta l’ex-Papillon al posto suo.

-Adrien è in Tibet, sta per tornare in Francia, arriverà sabato-, si accomodò sulla poltrona davanti a quella di Nino e continuò: -E’ andato a Lhasa a portare personalmente in carcere l’uomo che abbiamo cercato per tutti questi anni-.

-Credevo aveste cercato la signora Agreste in questi anni!-, esclamò Nino, confuso.

Lo stilista sorrise annuendo: -E invece abbiamo trovato solo lui. Emilie, come già sai, è deceduta, ma quell’uomo…-, si interruppe stringendo le mascelle, in un evidente fermento d’ira.

-Capisco, non si preoccupi-, lo fermò Nino, allungando una mano verso quella di Gabriel e guardandolo negli occhi, -Pensi a suo figlio, adesso-, aggiunse soltanto, con una consapevolezza che sorprese anche lui.

Gabriel prese aria e si rilassò, alzando lo sguardo sul giovane, poi annuì come in risposta a una domanda non posta: -Devo pensare ai miei figli, entrambi, hai ragione-, e sorrise.

Nino spalancò gli occhi: cosa aveva appena udito?

-Sei venuto a chiedermi per conto della tua fidanzata chi sia il bambino che sta facendo parlare di sé sulle riviste di gossip e anche sui social network, no?-, continuò fissando un Nino ammutolito.

-E’ mio figlio adottivo, non è il figlio di Adrien… puoi pure dire ad Alya Cesaire di stare tranquilla…-, e incredibilmente, gli fece l’occhiolino.

Calma.

Nino sentiva la testa elaborare quelle informazioni come fosse stato un antico motore a vapore, probabilmente gli stavano fumando le orecchie, era plausibile.

-Avevo ragione allora!-, esclamò soltanto, chiudendo un pugno in segno di vittoria.

-Avevi ragione…-, lo supportò Gabriel, -Ma Adrien è affezionato infinitamente a lui: è stato il primo che lo ha conosciuto e accolto. Gli piacciono molto i bambini, evidentemente…-

-Anche a me, anche a me!-, partì in quarta Nino, pentendosi immediatamente di quella risposta avventata e sciocca che vide specchiata nell’espressione dell’uomo seduto di fronte a sé.

-... mi fa piacere…-, disse quest’ultimo, senza capire. Nino si gongolò, tronfio del suo essere “quasi” padre, proprio come lui.

-Il 13 luglio, anch’io!-, esclamò entusiasta, -Posso vederlo?-, chiese poi, e Gabriel fu seriamente confuso.

-Scusa… di cosa stai parlando, Nino? Adrien non c’è, te l’ho già detto, tornerà sabato pomeriggio… Che succede il 13 luglio?-, domandò nella più umana delle domande.

Nino comprese di essersi lasciato lievemente andare e arrossì. Che avrebbe dovuto dire, a quel punto? Pensa come Alya, pensa come Alya!

Gabriel alzò le sopracciglia allargando appena le mani, sollecitando una risposta.

-Vede… ecco… la… mia futura moglie e io… avremo un bambino, la data prevista per il parto è il 13 luglio e… avrei voluto dare la notizia direttamente ad Adrien, per questo sono venuto qua…-, era difficile improvvisare, come faceva Alya e mostrarsi al contempo educato.

Alya...

-Congratulazioni!-, Gabriel Agreste proruppe in una sincera esclamazione e il suo volto si illuminò: quale migliore circostanza che avere i loro amici con tanti progetti in testa, per suo figlio e la sua tanto, tanto, tanto desiderata Marinette?

Aveva letto ciascuna delle lettere che Adrien aveva sparpagliato a giro per l’Asia e non era mai stato così sicuro di quel che volesse dire amare qualcuno oltre le avversità, il tempo, gli errori e le folli decisioni di un padre egoista, crudele e stupido come lui. Aveva lasciato quell’uomo nel faldone rivestito di cartone nero confuso tra tutti gli altri, proprio in quella stanza, da qualche parte della libreria. D’ora in poi avrebbe voluto essere solo un padre.

-Ti chiederò aiuto, Nino-, disse a bassa voce al giovanotto davanti a lui: -Sono sicuro che sarai un buon padre, così come sei stato un ottimo amico per Adrien: potresti avere qualcosa da insegnare anche a me, in futuro-, sorrise ancora una volta e si alzò dalla sua poltrona.

Ninò guardò l’orologio: erano le tre passate, Marinette lo stava aspettando e non poteva farle pensare che l’avrebbe delusa anche lui. Ma era stato così inusuale, piacevole e travolgente trattenersi a Villa Agreste e giocare qualche minuto con il piccolo Sunan che continuava ad appropriarsi del suo cappellino e a metterselo in testa, a ridere e prendersela con le scarpe del suo nuovo padre, su cui saliva e scendeva graffiandole, noncurante delle centinaia di euro che potevano valere.

Era stato tutto così surreale… Non avrebbe raccontato tutto ad Alya e Marinette, solo lo stretto indispensabile per far sì che la prima non si facesse venire una crisi in gravidanza e la seconda… beh, a lui bastava che la sua amica fosse felice.

Gabriel gli aveva assicurato che avrebbe contattato Adrien appena avesse fatto scalo a Pechino e si sarebbe assicurato che il figlio lo chiamasse, a qualunque ora avesse potuto: era indispensabile che Adrien sapesse quello che stava succedendo a Parigi, prima di tornare e precipitare di nuovo nella vita di Marinette come un tornado.

Svoltò in velocità nella strada che costeggiava Places des Vosges e guidò quel furgoncino come un pazzo fino a casa di Marinette, che ormai lo aspettava volgendo verso una rassegnata disperazione con una tazza di tè fredda e un croissant smangiucchiato davanti a sé.

Nino si scusò infinitamente e stette ben attento a non spifferare nulla di quel che aveva saputo finché non fossero stati lontano dalla casa dei genitori di Marinette.

-Circola molta gente nel tuo palazzo, Nino?-, gli domandò Marinette, seduta accanto a lui nel furgoncino.

-In che senso?-

-Come facciamo a portare su tutta la mia roba, intendo… forse potremmo rischiare di trasformarci e farlo con i nostri super poteri?-, Nino alzò le sopracciglia e la guardò ridacchiando, intenerito per quella domanda strana: -C’è l’ascensore, Marinette…-, continuò a sogghignare mentre la ragazza divenne rossa e incrociò le braccia al petto, guardando oltre il finestrino.

Parcheggiarono poco dopo, davanti al portone del palazzo nel quale Marinette avrebbe ricominciato la sua nuova vita.

-Non volevo ridere prima-, le disse Nino, mentre stavano caricando gli scatoloni nell’ascensore, -Ma sei così dolce, a volte-, poi si rammentò che Marinette era un’amica e che amica! -Cioè, intendo… Non fraintendermi!- e divenne tutto rosso.

Marinette scoppiò in una risata cristallina, la prima dopo un’infinità di tempo, sincera, spontanea, rigenerante, contagiosa, tanto che anche Nino si mise a ridere assieme a lei: -Se ci fosse Alya ci avrebbe già strozzati entrambi!-, esclamò con le lacrime che gli spuntavano dagli occhi. Marinette, schiacciata tra l’ascensore e gli scatoloni, si aggrappò ad uno di essi riuscendo a farlo scivolare andando ad appoggiarsi con il suo peso sulla pulsantiera e facendo scattare l’allarme.

Le risate tra i due amici si moltiplicarono, alcuni vicini di casa uscirono dalle loro tane e si affacciarono per capire cosa stesse accadendo, Nino cercò di tranquillizzare tutti, sforzandosi di rimanere serio e di affrettare quel disastroso trasloco che stava portando un po’ di allegria nei loro cuori.

-Ce l’abbiamo fatta-, Nino chiuse la porta dietro alla pila di scatole e valigie di Marinette e si tolse il berretto: -Benvenuta a casa tua, Marinette!-, le disse mettendole in mano un mazzo di chiavi a cui era attaccato un buffo portachiavi di peluche.

-Questo lo cambio-, si affrettò a comunicare la giovane, allargando le mani verso Nino e abbracciandolo, in segno di profonda gratitudine.

-Alya ci guardaaaa-, con voce simile ad un fantasma, Nino si staccò da lei e, mantenendo le mani sulle sue braccia, fece calare di almeno dieci gradi la temperatura nella stanza: -Devo parlarti, Marinette. Di Adrien-

***

-No, io non ci credo!-, Alya si tirò su sistemando il cuscino dietro alla schiena. Non ne poteva più di stare ferma a casa facendo la spola tra il letto, il divano e il bagno. Era una donna attiva, quell’immobilità forzata la stava mettendo a dura prova, soprattutto alla luce degli sviluppi che quella storia stava prendendo.

-Ti dico che Gabriel Agreste ha adottato un piccoletto in Laos, che lui lo chiama “papà” e che Adrien non è suo padre. Ah, e chiama anche “mamma” la signorina Sancoeur, ma questa è un’altra storia. Ho già detto tutto a Marinette, non sapeva se piangere o ridere-, Nino affondò le mani nel tubo di Pringles e ne afferrò una manciata, infilandosele in bocca.

-Ma perché non c’ero!? Nino, hai assistito a cose che noi umani non potremmo nemmeno immaginare e me le dici così? Comunque io lo sapevo… non poteva che essere così!-, Alya colpì con i pugni il cuscino accanto a sé, lasciando cadere la testa all’indietro; -E com’era? Agreste intendo. Sempre simpatico come una spinta dalle scale?-

-In verità è stato molto gentile e amichevole. Gli ho detto di te, insomma, di noi… mi ha addirittura chiesto dei consigli! Ma ti immagini!?!?!-, Alya rimase a bocca spalancata e stava per parlare quando Nino la precedette: -Mi dovrà chiamare Adrien, venerdì non so quando, quindi preparati ad essere svegliata nel cuore della notte, ma stavolta il tuo quasi maritino ha intenzione di fare fino in fondo la parte di cupido e…-

-Che hai detto?-, Alya aveva agguantato Nino per un braccio, strizzando gli occhi fino a ridurli a due fessure e ficcandoli in quelli neri del suo compagno, che deglutì.

Che ho detto? Mamma che ho detto!? Nino non sapeva cosa avesse fatto di sbagliato, quella volta.

-Ho detto che… Adrien… mi chiamerà e devo spiegargli di Marinette e…-

-Prima-

-Che… che ho detto, Alya!?-, non capiva, accidenti com’era suscettibile quella ragazza, con gli ormoni impazziti poi…

La mano le scivolò giù e si riunì all’altra sul grembo della giovane, che di colpo abbassò lo sguardo imbronciata.

-A...lya?-, ma che… stava piangendo!?

-Il tuo quasi maritino…-, due occhi nocciola scintillanti di lacrime si voltarono di scatto verso Nino, che per una santa volta capì.

Prese le mani della sua compagna nelle sue e la guardò intensamente: non era affatto preparato a quel momento, avrebbe voluto fare le cose diversamente, ma… era quello il momento, quando i tasselli di quelle loro vite strane, usurpate da poteri più grandi di loro, centrifugate più e più volte e infine, finalmente, unite e in pace andavano ciascuno al proprio posto.

-Alya, vuoi sposarmi?-

***

Adrien mise giù la conversazione, ringraziando che la linea non fosse caduta e almeno qualcosa nella sua esistenza fosse andata a buon fine: doveva sbrigarsi a telefonare a Nino prima che chiamassero il suo volo. Forse se non si fosse dimenticato di accendere il cellulare, una volta atterrato a Pechino, avrebbe potuto leggere prima il messaggio di suo padre e affrettare i tempi.

Si era informato su come stesse Sun, che era raffreddato e, mentre parlava a telefono, aveva adocchiato al Duty Free e acquistato un peluche per il bambino, che in quel momento spuntava con tutta la testa dalla busta di plastica colorata che si portava appresso, oltre allo zaino. Avrebbe anche dovuto mettere qualcosa sotto ai denti, ma la sua fame avrebbe potuto aspettare.

Si sedette nella lounge Gold e scorse la rubrica alla ricerca del numero del suo amico, sperando che fosse rimasto sempre lo stesso in quegli ultimi anni e controllò la carica della batteria, mentre la chiamata stava partendo. A Parigi sarebbero state le due di notte e si maledisse non poco per aver rimandato così tanto quella telefonata. Per lo meno sapeva che non avrebbe disturbato nessuno, oltre al suo amico e, con buona pace della sua coscienza, posò il sacchetto con il peluche sul tavolino davanti a sé, mentre una hostess gli portava una bottiglia di San Pellegrino e un bicchiere con una fetta di limone.

Gli rispose la stessa voce che non era mai cambiata negli anni, solo un po’ impastata dal sonno.

-Adrien-, disse soltanto, pur non potendo avere il suo numero in rubrica, evidentemente suo padre aveva informato il ragazzo di una probabile chiamata notturna e lui la stava aspettando.

-Ciao Nino-, gli rispose e per un istante gli parve che nulla fosse cambiato.

Sentì dei rumori ovattati, segno che Nino si stava alzando dal letto e dopo poco il rumore di una porta che si chiudeva.

-Adrien! Che piacere bro!-, Nino sembrava essersi del tutto svegliato, fortunatamente.

-Come te la passi?-, Adrien si stava ancora domandando il perché di quella urgenza nel volerlo contattare.

-Alla grande, bro! Dopo ti racconto tutto, dimmi di te, piuttosto! Una coccinella amica comune mi ha detto che sei tornato a Parigi… in realtà l’avevo già capito per il polverone che voi Agreste alzate ogni volta che muovete il culo!-, lo schernì.

Era vero: difficile passare inosservati viaggiando in carovana con un bambino nuovo di zecca e sei anni in più addosso.

-Come sta?-, non ci fu bisogno di specificare a chi si riferisse.

Ci fu una pausa dall’altra parte e Adrien per un istante ebbe paura.

-Non bene-, ebbe in risposta.

-Ma le ferite… come sta?-, la salute di Martinette era la cosa che in quel momento gli premeva di più.

-Ferite?-, Nino non ne sapeva nulla, evidentemente il Lucky Charm aveva sistemato tutto, Adrien trasse un sospiro di sollievo.

-Ah, sì… beh, si sta riprendendo-, no, il Lucky Charm allora non aveva sistemato tutto, maledizione; ma quel che Nino aggiunse lo preoccupò ancor di più: -Non sono le ferite sulla sua pelle che ci preoccupano, ma quelle sul suo cuore. Torna a casa, Adrien-

In tempi non sospetti avrebbe preso in giro Nino per il pathos e il romanticismo che aveva messo in quella richiesta sincera, ma non era il momento: -Sto tornando-, gli rispose.

-Marinette è stata male, Adrien, molto male negli ultimi anni, ma da quando ci siamo riuniti per… quella cosa…-

-Per il rito dei kwami-

-Sì, ecco, da allora è veramente giù-, era evidente che Nino stesse cercando le parole più adatte per dirgli altro, Adrien avrebbe voluto solo potersi teletrasportare a Parigi e stringere Marinette in un abbraccio.-

-L’ho vista-, ammise, -Non avevo mai visto Ladybug in quelle condizioni e non parlo delle ferite e della stanchezza per il combattimento. Io…-

-Perché te ne sei andato, allora?-, sottile, ecco finalmente l’accusa che Adrien si aspettava da sei lunghi anni,

Allontanò per un attimo il telefono dal viso e alzò gli occhi al cielo, poi lo avvicinò di nuovo all’orecchio: -Ora non ci sono più fantasmi, dovevo farlo per non lasciare questa cosa incompiuta, ma ora sto tornando-, ripeté con enfasi.

-Ha visto il bambino, ha creduto che fosse tuo figlio-, fu come un cazzotto nello stomaco: quella era un’eventualità che non aveva mai sfiorato la sua mente. Sunan era suo fratello ormai, ed era sempre e solo stato uno sprazzo di felicità per tutti… e invece per Marinette aveva rappresentato l’ennesimo tradimento.

-Non è mio figlio-

-Lo so, me l’ha spiegato tuo padre, ma lei ha accusato tantissimo il colpo-

-Io…-

La voce di Ninò, d’un tratto virò e cambiò colore: -Ma io invece l’ho fatto per davvero!-

Che stava dicendo? Non…

-Alya aspetta un bambino! Capisci Adrien?-, Santo Cielo che notizia bomba! Era il momento di dare anche a Nino la sua fetta di soddisfazione e quella era una enorme soddisfazione!

-Congratulazioni! E come… dimmi, come sta Alya? Quando nascerà?-, doveva comprare al volo un altro peluche, pensò Adrien, portando un occhio all’orologio: non ce l’avrebbe mai fatta…

-A Luglio. In realtà Alya ha avuto dei problemi… ma… speriamo che vada tutto bene, deve solo riposare e tu sai quanto…-

-Alya al riposo! Si sentirà come una tigre in gabbia suppongo, se non è cambiata in tutto questo tempo!-

-Appunto! Te lo stavo per dire io… E’ ancora all’inizio della gravidanza ma… E poi… le ho chiesto di sposarmi e lei ha accettato! Quindi, visto che stai tornando, hai già il tuo primo impegno ufficiale come mio futuro testimone-, Nino era al settimo cielo, non avrebbe in ogni caso dovuto rovinare quel momento di felicità al suo amico.

-Marinette lo sa?-, gli domandò, sforzandosi di non apparire ansioso.

-Sa del bambino, per adesso, e devo dire che è stato chiaro che fosse felice per noi e allo stesso tempo disperata per… insomma, per tutto il resto-, di nuovo la voce più spenta. -Adrien, tu devi sapere alcune cose, prima di tornare da lei, però, ti prego, so che vorrai correre tra le sue braccia, ma… appena arrivi, appena ti sarai sistemato, vieni subito da me che devo parlarti a quattrocchi.

-D’accordo-, era giusto così, Nino aveva ragione, non poteva rischiare di fare o dire cose che avrebbero potuto far soffrire ancora di più la sua Marinette.

L’altoparlante chiamò il suo volo, Adrien imprecò mentalmente e si affrettò a chiudere la conversazione con l’amico. Appena tornato a casa, dopo aver salutato Sun, sarebbe corso da lui per chiarire tutto.

Afferrò al volo zaino e sacchetto e corse verso il gate.

***

Vi aspetto per un piccolo party

sabato 1 alle ore 19

alla mia nuova casa

in Avenue du Daumesnil, 49.

Un abbraccio a tutti!

A parte Alya, che aveva già in programma una visita di controllo per il venerdì e che probabilmente avrebbe fatto di tutto per essere alla sua festa, avevano visualizzato il messaggio anche Alix, Rose, Chloé e Paul.

Chloé, inaspettatamente, fu la prima a risponderle che le avrebbe fatto piacere rivedere i suoi vecchi amici e che sarebbe venuta da sola, perché il suo fidanzato non era libero quella sera. Che cosa strana… pensò Marinette con una punta di vecchio astio: farle notare che lei aveva un fidanzato…

Rose e Juleka avrebbero partecipato e Kim avrebbe accompagnato Alix per poi raggiungerla dopo un’oretta, perché aveva un allenamento in piscina.

Nathaniel ci sarebbe stato, che lo avesse voluto o meno: non sapeva che solo poche notti prima Marinette gli aveva letteralmente parato il culo mettendo a repentaglio la sua vita, ma questo gli era costato una presenza coatta, che la giovane gli avrebbe imposto ad ogni costo.

In fondo stava rimettendo insieme i pezzi di una vita andata all’aria anche per colpa sua: era giusto che si prendesse le sue responsabilità e tornasse a incontrare i vecchi amici di scuola, che gli piacesse o no.

Nino aveva riacceso un barlume di speranza nella sua vita e, quando l’aveva lasciata da sola a sistemare le sue cose nella casa che lui aveva sgomberato, si era sentita un po’ più tranquilla. Adrien quindi non aveva davvero nessun figlio: il bambino di cui aveva visto i giocattoli a Villa Agreste era suo fratello adottivo. C’era qualcosa di profondamente strano in tutta quella storia, in realtà; Marinette non si capacitava di come uno come Gabriel Agreste, che aveva reso infelice suo figlio crescendolo come un recluso con soli obblighi e doveri e nessun diritto di essere libero, avesse potuto pensare di replicare l’esperienza su un altro bambino, per di più già sfortunato di suo.
Tikki l’aveva messa in guardia da strani pensieri che avrebbero potuto avvelenarle l’anima in un momento in cui non c’era proprio bisogno di altre paure e problemi, eppure, evanescente come un filo di fumo, qualcosa stava iniziando a fermentare nella testolina di Marinette.

La giovane si sforzò di prestare attenzione a quel che stava facendo: erano rimasti da svuotare due scatoloni pieni di oggetti per la cucina, biancheria e tutte le sue cose dei cucito e ancora non aveva deciso come organizzare davvero la sua nuova casa.

L’appartamento di Nino era piccolo, ma funzionale: c’era un’ampia zona giorno con un cucinotto separato in cui c’era solo un piccolo tavolo, giusto per un pasto frugale per massimo due persone, la camera da letto e una stanza più piccola che Nino usava come suo studio di mixaggio e che lei, abbastanza logicamente, aveva pensato di dedicare alle sue attività. Aveva fatto mettere in quella stanzina fin da subito la macchina da cucire e il manichino, perché era certa che fosse il luogo migliore, ma in un secondo momento, uscendo sulla grande terrazza che sovrastava i palazzi adiacenti, Marinette si era resa conto che l’amico le aveva liberato anche la piccola stanza esterna, che lei aveva sempre considerato come una serra: era interamente finestrata con una struttura in ferro verniciata di bianco, sul tetto c’era una finestra velux che faceva entrare ancora più luce. Una volta, anni prima, Nino aveva dato una festa d’estate sulla sua terrazza e Alya aveva decorato quelle vetrate con tendaggi blu e viola e un filo di led.

Era ormai quasi buio, quando Marinette aveva esplorato quella zona della sua nuova abitazione e, bagnata dagli ultimi raggi rossastri del tramonto, aveva rivisto quella serra: era stato amore a prima vista. Avrebbe allestito là dentro il suo laboratorio, anche se indubbiamente avrebbe fatto più freddo e per arrivarci, in caso di pioggia, si sarebbe bagnata. Si era stretta nel maglione pesante che aveva addosso ed era andata in esplorazione. La porta rimaneva un po’ incastrata, ma si apriva e la luce… sì, funzionava. Da fuori non si vedeva bene quello che c’era dentro, perché le famose tende di Alya erano ancora appese a coprire in parte la visuale, quindi Marinette dovette entrare all’interno, prima di capire: nel mezzo alla stanza, coperto con un telo e decorato con un bel fiocco rosso e nero, c’era un regalo. “Per Maribug”, riportava semplicemente il biglietto appuntato con uno spillo. La giovane scoprì l’oggetto alto quanto lei e i suoi sospetti furono confermati: si trattava di un manichino maschile in stoffa scura, imbottito. Era quello che aveva visto mesi e mesi prima in un magazzino fuori città, dove aveva trascinato Alya per alcuni acquisti; lo avrebbe voluto comprare, ma era troppo ingombrante per camera sua, troppo costoso per le sue tasche e “inutile: tanto io non disegnerò mai più abiti da uomo”.

L’ultimo schizzo che ricordava di aver fatto, lo aveva regalato ad Alya, cinque anni prima; rappresentava un abito dal taglio elegante, ma con dettagli casual, indossato da un ragazzo biondo con gli occhi verdi: “Il mio modello non c’è più, continuerò a disegnare solo cose per donne”, aveva detto con il cuore spezzato mentre porgeva quel disegno all’amica.

E in quel momento, quel bozzetto era lì, davanti ai suoi occhi, appuntato al manichino e pronto ad essere realizzato.

“Ora il tuo modello è tornato, datti da fare”, c’era scritto dentro al biglietto e la firma dei suoi amici portava tutto l’affetto che essi le avevano sempre riservato.

Era così evidente che sarebbe stata proprio quella, la sua stanza del cucito? Lei era davvero un libro aperto agli occhi di chi le era stato sempre vicino? Un tepore accompagnato da un senso di calma si irradiarono nel petto di Marinette: non era mai stata sola, anche quando si era creduta abbandonata da tutti.

Il suono del campanello la destò dalle sue considerazioni. Si ripromise di telefonare il prima possibile alla sua cara amica e corse ad aprire la porta di casa sua, per la prima volta!

Sabine uscì sbuffando dall’ascensore: detestava i luoghi chiusi e gli ascensori le avevano sempre messo paura, ma aveva le mani piene di pacchi e pacchettini e aveva dovuto rassegnarsi a prenderlo.

-Mamma! Che ci fai qui?-, domandò sorpresa Marinette, aiutando la donna a liberarsi le mani e sfilare il cappotto.

-Sono venuta ad assicurarmi che avessi cibo per la cena e per curiosare come una mamma ha il dovere di fare nella tua nuova casa-, rispose senza battere ciglio e poi abbracciò la figlia. Sembrava molto emozionata, ogni segnale positivo in quei giorni era da prendere come manna dal cielo.

Marinette la portò a vedere l’appartamento; aveva già sistemato abbastanza bene la camera da letto -doveva ancora mettere i vestiti nell’armadio, ma l’avrebbe fatto prima di dormire-, e si fece aiutare dalla mamma a rifare il letto, rendendosi conto solo allora che le sue lenzuola erano troppo piccole per il letto matrimoniale di Nino.

-Andiamo a comprarle domattina, per adesso… prendi queste-, Sabine le passò un involto in cui c’era una parure di lenzuola nuove, coloratissime con tanti disegni di macaron e cupcakes. Marinette spalancò gli occhi, strillò come una bambina  per la sorpresa e abbracciò la mamma tenendola stretta stretta: -Grazie, mamma! Sono bellissime! Erano proprio quelle che volevo!-

-Lo so, so usare anche io Amazon… e le tue password sono così… banali!-, la donna strizzò l’occhio a Marinette che la guardava ora con la bocca spalancata.

Ma cosa… -Mamma! Che hai fatto!?-, era passata in un attimo dall’euforia alla paranoia. Lei su Amazon ci passava le ore a cercare… di tutto!

-E ho anche questo, direttamente dal tuo carrello…-, aggiunse Sabine, schiarendosi la voce e porgendo alla figlia un secondo pacchetto al cui interno c’era quel completino intimo rosso a pois neri che Marinette aveva per un attimo pensato di… La ragazza avvampò come un peperone: -Ma com’è possibile che tu abbia fatto tutto questo in… in due giorni!? Ve l’ho detto solo l’altro ieri sera che avrei cambiato casa e…-

-Prime... -, Sabine fece la faccia seria, -E’ più veloce di ogni cosa. Anche del pensiero, anche di… Ladybug…-, insinuò e si voltò per guardare dentro l’armadio, stringendo le labbra.

Non sfuggì a Marinette quell’atteggiamento inusuale, la ragazza aggrottò le sopracciglia e, pensierosa, preferì non aggiungere altro.

-Dovresti dare una pulita, prima di mettere i tuoi vestiti-

-Mamma, c’era Nino, non un estraneo…-

-Una pulita e questa carta da cassetti profumata!-, e, di nuovo, Sabine estrasse dalle sue borse di Mary Poppins dei rotoli di carta rosa a pois neri; -Prendimi forbici e nastro adesivo-, chiese alla figlia e, mentre lei dava una passata di detergente al frigo e ci infilava le cose che le aveva portato la donna, questa rivestì rapidamente ripiani e cassetti con quella deliziosa protezione. Era avvezza a fare pacchetti pieni di dolci in tempi da record, la sua abilità manuale era evidente e utile. Ecco da chi aveva preso realmente Marinette.

-E adesso… che altro mi fai vedere?-, chiese alla figlia, accarezzandole il visino perplesso.

Marinette fece segno di entrare nella stanzetta ancora vuota.

-Ci farai il tuo laboratorio, qua?-, domandò guardando oltre la finestra.

-Credo che lo farò in terrazza-, rispose la ragazza, -C’è un’altra stanza-, e invitò la madre a uscire per mostrarglielo. Era proprio perfetto per lei, ebbe anche la benedizione della mamma, che le fece notare come quella stanza fosse dotata anche di un radiatore: Marinette avrebbe passato lunghe serate a cucire al caldo sotto le stelle.

Dopo un paio d’ore di pulizie, sistemazioni e spostamenti di oggetti e scatole, Marinette e Sabine avevano quasi completato la rimise-en-forme della nuova casa della giovane. Il tocco maschile di Nino era stato scalzato via dalla delicatezza delle decorazioni e dei toni di colore scelti da Marinette e arricchiti dai tanti piccoli dettagli portati dalla donna.

In qualche modo ricordava molto la cameretta a casa dei suoi, ma Sabine aveva aggiunto il rosso, che lì mancava.

-Perché mi hai portato tutte queste cose?-, domandò Marinette rigirandosi un porta spugna da lavello a forma di coccinella. Poi indicò il porta scottex, della stessa linea e dei cuscini, sempre in tono.

Sabine si fermò: aveva a lungo riflettuto su come comportarsi con la ragazza e aveva deciso di aprirle il suo cuore.

-Perché tu sei la mia Ladybug-, le sorrise e non staccò lo sguardo da quello della figlia, che, lentamente, allargò gli occhi e fu sopraffatta da un’onda di panico. Sabine si avvicinò a lei e la cinse con un braccio. -Hai affrontato tante difficoltà e ti sei sempre rimessa in piedi. Hai bisogno di coccinelle: portano fortuna! Andiamo a mangiare qualcosa adesso-, la rassicurò quasi si fosse trattato di aver scoperto una marachella e la spinse delicatemente in cucina.

Marinette rimase in silenzio a lungo, perché non era certa che sua madre avesse davvero colto il punto della situazione, finché non si assentò per andare in bagno.

Sedette sul wc pensando che anche in quella stanza c’erano da sistemare molte cose e che non poteva essere possibile che sua mamma sapesse che davvero lei era Ladybug. Si lavò le mani e si accorse che erano stati appesi degli asciugamani con le coccinelle vicino al lavandino. -Ma quando…?- Sua mamma non era entrata in bagno, le pareva. Stava per domandare spiegazioni alla donna quando, rientrando in cucina, la vide con i gomiti poggiati sul tavolo e il viso affondato tra le mani, sembrava preoccupata e pensierosa.

Marinette si annunciò schiarendosi la voce e subito sua madre sollevò il viso sorridendo, lasciando la figlia nel dubbio. Erano quasi le otto e mezzo e la mamma sarebbe dovuta tornare a casa. Marinette la spronò a prepararsi per andare via, ci avrebbe pensato lei a rimettere tutto a posto e lavare i piatti. Aprendo i vari armadietti scoprì con gioia che Nino aveva la lavastoviglie e decise di mettere dentro tutto e non pensarci fino al giorno dopo.

-Dovrai fare le volture per le bollette e pensare a come sistemare un po’ quella terrazza-, Sabine proprio non voleva lasciarla da sola: era arrivato il momento che temeva, quello che avrebbe sancito la vera separazione da sua figlia. Non c’era Nathaniel, quella volta, ad assicurarle che non fosse sola, ma, dalla sua, Sabine aveva la certezza che la sua bambina se la sarebbe cavata contro tutto e tutti, perché lei era Ladybug.

Doveva solo non soccombere alle sue sofferenze e ai demoni che la torturavano da troppo tempo. Si congedò dalla figlia dandole un bacio sulla fronte e scese giù con l’ascensore; sapeva che quella notte la ragazza l’avrebbe passata a sistemare in maniera maniacale ogni dettaglio della sua casa, finché non fosse diventato il suo nuovo nido.

Salendo sulla Metro, Sabine ripensò alla stanza vuota: lì, decisamente, ci sarebbe stato bene un piccolo parco giochi per Sunan Agreste. Avrebbe provveduto in qualche modo a portare qualcosa di interessante, senza dare troppo nell’occhio…

Marinette, affacciata al terrazzo sull’attico, controllò che la mamma fosse uscita dal portone e avesse preso la strada per la Metro. Era freddo, ma una sigaretta, quella sera, non gliel’avrebbe negata nessuno.

-Di nuovo?-

-Tikki… E basta!-

-Ok… posso mangiare un altro macaron?-

-Di nuovo...? Fai pure-

Attese che la kwami rientrasse in casa e si accese la sigaretta, osservando le volute di fumo alzarsi nell’aria ferma di quella sera. Era ormai quasi dicembre, non poteva più permettersi di uscire fuori senza giacca o si sarebbe presa un malanno.

Fumò senza fretta, assaporando la sua piccola trasgressione e osservando il panorama di Parigi scintillante davanti a sé. Da casa di Nino -la sua casa, perché si era già affezionata e, finché glielo avessero concesso aveva già stabilito che sarebbe rimasta a vivere lì-, si riuscivano a vedere sia la Tour Eiffel che la cupola de Les Envalides, scintillante come una palla di natale appesa all’albero della notte.

Natale… poco più di un mese e Marinette avrebbe trascorso il suo ottavo Natale senza essere finalmente fidanzata con Adrien, senza scartare i regali insieme, senza nulla di lui, se non il saperlo finalmente al sicuro.

Spense la sigaretta in un vaso con poca terra dentro annotandosi mentalmente di comprare dei posacenere e rientrò in casa.

Prese il telefono e scrisse un messaggio ad Alya, chiedendo se poteva chiamarla; prima sarebbe dovuta andare a fare pipì, che le scappava forte.

In risposta, il cellulare le vibrò tra le mani.

-Maribug!!! Devi saperlo per prima!!!-, Marinette fu assalita dall’amica, mentre in sottofondo poteva udire Nino blaterare qualcosa che sembrava una richiesta accorata di stare zitta.

-Alya, che succede?-, si affrettò a domandare la giovane, rabbrividendo per il freddo appena preso in terrazza.

-Me l’ha chiesto!!!-

Più forte, la voce di Nino si intromise nella conversazione: “Alya per favore, non puoi aspettare almeno domani?”

-No, Nino, non posso aspettare domani, lei deve sapere!-

Marinette sussultò: che avessero notizie nuove di Adrien? Che fossero buone notizie?

-Che è successo? Alya!-, si intromise a quel punto.

-Ti metto il vivavoce… Nino: mi ha chiesto di sposarlo!-

“Alya! Cristo Santo, ma non possiamo avere un po’ di privacy?”

-Ohu…-, commentò Marinette. Uno strano silenzio mise in pausa l’euforia di Alya, la disperazione buona di Nino e il nulla che aveva appena riempito la testa di Marinette.

-Ohu? Tutto qua?-, domandò Alya, senza nascondere un briciolo di risentimento.

“Ma lasciala un po’ in pace, dai!”

Lei ha già i suoi problemi a cui pensare, non dirle anche questo!

Le parole non dette da Nino, ma scontate nella testa di Marinette, la richiamarono alla realtà: -E’ bellissimo! Congratulazioni! Nino, sei un grande!-, esclamò cercando di mostrare quanto più entusiasmo possibile, mentre una piccola parte di lei si sentiva morire dentro.

La manina di Tikki si posò sulla sua: -Sii Ladybug-, le consigliò, mesta.

E Marinette obbedì, perché ormai la sua vita andava così.

-Vi ho chiamati per ringraziarvi infinitamente per il regalo che ho trovato nella serra qua a casa di Nino… e a questo punto, cari miei, visto che ho ben due manichini, sarete costretti a farvi confezionare da me gli abiti per il vostro matrimonio!-, ecco, quella era la cosa giusta da dire e da fare. Poi ebbe un fugace pensiero: -Sempre che abbia il tempo per cucirli! Voi due state facendo tutto troppo in fretta!-, li rimproverò, pentendosi quasi immediatamente per la sua proposta. Si guardò attorno e vide solo immobilità, udì solo silenzio: quell’impegno che si era appena preso le avrebbe riempito il tempo e l’avrebbe tenuta lontano dai pensieri, ne era certa.

Tikki osservò la sua amica sorridere mentre ascoltava le parole di Alya, vide i suoi occhi azzurri alzarsi, muoversi attorno come per dar forma alle idee che le fiorivano in testa, e ogni tanto abbassarsi, quando il peso della realtà tornava prepotente e meschino a colpire.

-... Adrien?-, chiese a un tratto Marinette, immobilizzandosi.

-Nino ti ha detto della sua visita a Villa Agreste, no?-, chiarì Alya.

-Sì… me ne ha parlato: avevate ragione voi sul bambino, ok, ma questo non cambia nulla-, tagliò corto.

-Ma lo vuoi capire che Adrien è tornato e… ti ha protetto e che sicuramente sarà presto a casa per te? Devi chiamarlo, Marinette, il prima possibile!-, la incitò Alya, che aveva tolto il vivavoce.

-Non lo chiamerò, Alya, lui ha la sua vita, avrà i suoi impegni e tutto il resto. E poi… non ho bisogno di sentirlo, per sentirmi protetta-, stabilì indispettita.

-Questa l’hai presa pari pari dalla scatola degli assorbenti! Ridicola!-, la schernì Alya che in cuor suo sperava ardentemente che l’amica potesse finalmente vivere la sua fetta di felicità, ma era altrettanto consapevole che avrebbe dovuto prendersela e tenersela stretta, perché con i maschi, o fai così o tanti saluti.

-Ma...ma… come osi?-, Marinette decise di metterla sul ridere e riportò il discorso su altre questioni, -Beata te, piuttosto, che non dovrai più usarli per un bel po’!-, questioni di donne, le migliori per far desistere Alya dal tormentarla ancora.

Chiacchierarono ancora per un po’, passando dallo stato di salute di Alya, al nome per “Fagiolino”, al matrimonio, alle reazioni di Nino, alla festa che ci sarebbe stata il sabato seguente.

-Buonanotte-, la telefonata si concluse e Marinette si lasciò cadere sul divano, svuotata.

-Si sposano, anche-, comunicò a Tikki, che lo sapeva già. Tutte le chiacchiere non avevano minimamente saziato la fame di affetto che la faceva sentire come unica in mezzo al Sahara. Era passato troppo tempo da che Marinette avesse provato qualcosa di minimamente simile alla gioia che stava provando Alya, qualcosa che fosse vero amore, non come la sua effimera storia con Nathaniel.

-Ci sarà anche per te l’attimo di gioia splendente, Marinette, forse esiste già al di là del tuo orizzonte e ti basterebbe alzarti un po’ in punta di piedi per vederlo-, le sfiorò una guancia, -Ma arriverà, te lo prometto.-

La giovane prese aria ed espirò dal naso facendo rumore, si dette lo slancio e si alzò

Lei voleva Adrien, lo voleva come amico, collega, innamorato e amante. Lo voleva vicino a sé dalla mattina alla sera, voleva rifarsi di tutto il tempo perduto, voleva essere stretta in un abbraccio che la scaldasse e la facesse sentire protetta.

-Al diavolo la protezione e gli assorbenti!-, esclamò mentre correva in bagno prima di farsi la pipì addosso, tanto aveva rimandato per via della telefonata.

-TIKKI!!!!-, chiamò pochi secondi dopo e, a seguire, masticò a denti stretti svariati improperi. Si era dimenticata di contare i giorni e i suoi assorbenti erano chiusi in fondo ad uno scatolone.

***

Alya era già accomodata sul divano con le gambe allungate e una fasciatura fasulla ad una caviglia. Era troppo presto per annunciare al mondo la sua gravidanza, ma altrettanto scomodo presentarsi ad una festa e rimanere immobile tutta la sera senza un valido motivo.

-Allora, mi raccomando Nino: se te lo chiedono, sono caduta dalla scala mentre montavamo il lampadario in camera da letto e mi sono storta una caviglia, capito?-, si assicurò che la versione fosse condivisa. Accanto a sé, per terra, due stampelle nuove di zecca avvaloravano la loro messinscena.

Nino si aggirava per quella che era stata la sua casa fino a una settimana prima incredulo di fronte alle trasformazioni attuate da Marinette. In realtà tutto era nello stesso posto in cui l’aveva lasciato, ma i dettagli e le aggiunte fatte dalla ragazza l’avevano completamente cambiata. Nonostante fosse inizio dicembre, la serata sembrava essere mite e forse Marinette avrebbe potuto utilizzare anche il terrazzone per far accomodare i suoi ospiti, tanto più che suo padre le aveva prestato uno scaldino a fungo che usava per il suo dehors che avrebbe confortato i più temerari dall’accendino facile,

Adrien non lo aveva chiamato: aveva controllato sul sito del Charles De Gaulle e pareva che ci fossero diversi ritardi dovuti alla perturbazione in atto su buona parte dell’Europa dell’est. Da Pechino avrebbe fatto scalo a Mosca e probabilmente il maltempo aveva comportato cambi del programma all’ultimo minuto. Ogni tanto il giovane controllava se avesse messaggi da leggere o chiamate perse, ma dopo un poco dimenticò la questione, appena i vecchi compagni di classe, alcuni dei quali non vedeva da anni, iniziarono ad arrivare alla festa.

Marinette aveva fatto le cose in grande, seppur senza eccedere minimamente nello stile né nella preparazione. Semplicemente aveva messo musica di sottofondo, candele e fili di luce a led sparsi qua e là e aveva attinto all’autunno per le decorazioni del servizio e per il menù. I suoi genitori erano arrivati con il furgone per le consegne poco dopo che Alya e Nino erano saliti e si erano congratulati con loro per la novità del bambino. Sabine aveva lasciato che Nino la sostituisse nell’aiutare Tom a portare in casa tutti i vassoi con canapé, stuzzichini dolci e salati e quant’altro aveva inventato la sua anima di cuoco-pasticcere per festeggiare quell’evento così importante per la figlia e si era messa vicina ad Alya a tenerle compagnia, mentre Marinette finiva di prepararsi e sistemava le ultime decorazioni in casa: ghirlande di foglie dai colori autunnali e rami con bacche rosse nei vasi nuovi.

Quando uscì dal bagno, la mamma e la sua migliore amica la radiografarono dalla testa ai piedi: aveva indossato un abito di maglia marrone, dallo scollo a barca e, sopra le calze di cotone beige a fantasia, i suoi soliti stivali stringati marroni. I capelli erano sciolti sulle spalle scoperte e aveva usato colori caldi per il trucco. Aveva messo l’eyeliner a delineare i grandi occhi, ma, nonostante tutti gli sforzi, non era riuscita a togliersi quell’espressione a metà tra una bambina al primo giorno di scuola e una povera donna tradita e abbandonata.

-Sorridi-, le dissero quasi in contemporanea le sue due più fide consigliere. Marinette incrociò le braccia al petto: -Ah ah ah-, disse passando davanti a loro e sistemandosi qualcosa all’altezza del sedere.

-Cerca di essere un po’ più elegante…-, la riprese la madre.

-Ha le sue cose…-, le spiegò sottovoce Alya, ridacchiando senza farsi sentire.

-Oh, capisco il perché di quella amabile aria da funerale…-, constatò la donna, alzando appena le sopracciglia.

Il loro argomento di conversazione passò nuovamente davanti a loro con le braccia piene di bottiglie che andò a sistemare sul tavolino accanto ai bicchieri e tovaglioli, mentre in cucina Tom e Nino armeggiavano sbuffando e chiedendosi dove mettere tutte le cose che c’erano.

-Mettetele di qua-, comandò loro Marinette, facendo spazio sul tavolo più grande, dove aveva preparato i vassoi.

Un quarto d’ora dopo, i genitori di Marinette si congedarono, salutando affettuosamente la figlia e i suoi amici; solo allora Nino comunicò che non aveva avuto più notizie di Adrien, ricevendo in cambio un’occhiataccia al vetriolo da parte della sua fidanzata.

-Torno subito-, annunciò Marinette, uscendo in terrazza con una sigaretta in mano.

***

I primi ospiti iniziavano ad andare via: era stata una piacevole reunion tra loro e l’occasione per fare nuove conoscenze e scoprire legami che erano oscuri a molti di loro. Juleka e Rose erano perfette insieme e, inevitabilmente, avevano fatto subito amicizia con Paul, arrivando a ridimensionare il tanto detestato Nathaniel dei tempi del liceo. Non sapevano nulla del fatto che, negli anni seguenti il diploma, lui e Marinette erano stati insieme e l’argomento, molto spinoso, fu sorvolato lasciando molti interrogativi nelle menti delle due giovani donne.

Chloé era stata forse la più gentile, inspiegabilmente, portando perfino a Marinette un piccolo regalo per la nuova casa e mostrandosi gioviale nonostante l’aria sempre altezzosa. Era fidanzata con un chitarrista e questa commistione tra chic & grunge, come diceva lei, l’aveva cambiata e migliorata. Ma chi, più di tutti, aveva suscitato scalpore era stata la piccola Alix, arrivata da sola con una bel pancione pieno e l’aspetto rilassato. Kim, l’aveva raggiunta dopo un bel po’ e l’aveva baciata senza alcun tipo di vergogna, andando subito a salutare la loro ospite. Era stato gentile con Marinette, forse memore di quando era stato proprio lui il primo a ritrovarla priva di sensi per strada. Era rimasto molto colpito da quell’episodio e aveva capito che non valeva la pena di mostrarsi dei supereroi spavaldi nella vita, quando anche le persone più buone del mondo, senza apparente motivo, potevano essere bersaglio di atti crudeli e non serviva a nulla mostrarsi i più forti, se non si poteva davvero fermare la violenza, cosa che lui non era in grado di fare.

-Ciao, rimaniamo in contatto, mi raccomando-

-Assolutamente, mi ha fatto piacere rivederti!-

-Complimenti per la casa-

-Stai benissimo, un abbraccio!-

-Come va?-, erano rimasti solo loro due oltre Alya e Nino, così Nathaniel aveva raggiunto Marinette in terrazza e si era finalmente deciso a parlare con lei, mentre Paul, rimasto dentro casa, chiedeva maggiori dettagli sull’incidente domestico di Alya.

Marinette sbuffò via il fumo dell’ennesima sigaretta di quella sera: Alya era dentro e non le avrebbe dato fastidio, la mamma non c’era e Tikki, per una buona volta era nascosta nel suo comodino e non le avrebbe potuto fare da grillo parlante.

-Domanda di riserva?-, rispose al giovane, stringendosi nel cappotto che aveva appoggiato sulle spalle.

-Cosa c’è che non va?-, Nathaniel mise un braccio attorno alle spalle di Marinette, mentre Parigi si stendeva sotto di loro.

-Tutto e nulla-, rispose lei, rendendosi conto che era ormai arrivata al filtro. Si svincolò dall’abbraccio e spense la sigaretta in uno dei nuovi posacenere che aveva appena comprato.

-Tesoro, che c’è? Seriamente… Non ti vedevo così da…-, Marinette si mise davanti a lui, aveva bevuto un po’ troppo e si sentiva confusa. Nathaniel la guardava preoccupato e per un attimo Marinette rivide la stessa espressione che aveva scorto in passato, quando stavano insieme. Fu assalita dai ricordi, da quel dubbio strisciante che era andato ad adagiarsi sulla pila delle sue insicurezze.

-Facevo così schifo a letto, Nath?-, gli domandò lasciando l’uomo a bocca aperta. Cosa avrebbe dovuto risponderle?

-Io… Ero… ero io il problema, Mari, lo sai bene…-, certo, per quello non avevano mai avuto una buona intesa sotto le lenzuola.

-Facevo schifo…-, Marinette abbassò la testa, appoggiando i gomiti sul parapetto della terrazza e guardando a terra davanti a sé.

-Dai, che c’entra adesso?-, Nath le mise le mani sui fianchi, avvicinandosi a lei. Da occhi ignari, avrebbero potuto essere additati come due in procinto di baciarsi.

Marinette lasciò scivolare le sue mani sulle braccia dell’amico: -Lui è tornato…-, ammise, senza distogliere lo sguardo dal pavimento in finto cotto.

Nath fece schioccare la lingua, quando si parlava di Marinette, due soli erano gli esseri viventi che l’avevano turbata tanto da ridurla a quel modo: lui e Adrien Agreste.

-L’hai visto?-, domandò ignorando volutamente quel sottile senso di rabbia che lo coglieva ogni volta che quell’individuo balenava nei suoi pensieri.

Marinette alzò le sopracciglia, poi scosse la testa: -No-, un no secco, che non avrebbe atteso repliche.

-Coraggio-, Nath non le disse altro, solo l’abbracciò e la strinse forte finché non la sentì sciogliersi un po’. Oltre al vetro, dentro casa, tre paia di occhi li guardavano, ognuno con in pensiero differente in testa.

-Credo che sia ora di andar via-, osservò Paul, che sapeva di aver fatto soffrire abbastanza quel portento che era Marinette e non voleva che quello sciocco del suo fidanzato la riportasse a fondo assieme al suo vecchio vizio di mostrarsi così intimo con lei.

Dopo di loro, anche Alya e Nino se ne andarono, caricandosi due enormi sacchi di nettezza da buttare nel cassonetto sotto casa e scusandosi per non aver potuto aiutare a rimettere a posto meglio.

E così, la festa era già finita e a Marinette restava solo un sapore dolce amaro in bocca, la testa che girava e poco altro. Ma che l’aveva fatta a fare.

Tikki, rimasta sola anche lei dopo aver spettegolato tutta la sera con i suoi amici Trixx e Wayzz, si era decisa ad affrontare l’argomento “Adrien”: Marinette non poteva semplicemente restare ferma e aspettare un segnale da parte sua, oltretutto le era debitrice quantomeno della vita, visto com’erano andate le cose solo poche notti prima. E poi voleva rivedere Plagg, le mancava tantissimo quello sciocco gatto così smargiasso eppur tenero. Quando si erano rivisti da Fu aveva capito che anche lui, incredibilmente, era molto cambiato in quei sei anni, molto più di quanto non avessero fatto i precedenti secoli che aveva vissuto.

La giovane si era messa subito a ripulire la casa, fortunatamente in buona parte il caos era stato già riassunto e gettato da Nino nel cassonetto, ma restavano tutte le decorazioni, i tavoli da sistemare e vassoi e piatti da mettere in lavastoviglie.

-E questo di chi è?-, sentì dire Marinette, vedendola rigirarsi tra le mani uno zaino dall’aspetto unisex che qualcuno, evidentemente si era dimenticato nella stanza vuota, adibita a guardaroba.

La ragazza sbuffò, stanca e infastidita dalla cosa e iniziò a rovistare all’interno per capire di chi fosse l’oggetto dimenticato. C’erano solo scartoffie, un blocco con appunti incomprensibili e alcuni biglietti da visita di gente sconosciuta che non richiamavano nessuno dei presenti alla festa. Lasciò lo zaino vicino alla porta di casa e si affrettò a mettere in terrazza tutte le candele e spegnerle là, per non appestare l’interno di puzzo di cera bruciata. Si era tolta gli stivali e aveva messo delle pantofole più comode, era andata in bagno a sistemarsi e si era fermata i capelli con una fascia rossa a pallini che le aveva regalato la mamma, uno dei suoi sibillini doni per la casa nuova.

-Fa freddo-, constatò buttando un’occhiata al termostato per aumentare la temperatura e indossò una felpa di pile sopra l’abito di maglia.

-Sei proprio sexy così!-, le disse Tikki, volando attorno al suo viso e cercando di scherzare con lei.

-E tu sei proprio una mangiona-, le rispose Marinette, sfilandole dalle zampette l’ennesimo macaron che la piccola kwami stava piluccando.

-Erano avanzati!-, disse questa in sua difesa e prese una ghirlanda di lucine a led, andando a metterla attorno al collo dell’amica.

-Così sembro un albero di Natale-, osservò lei, -Ho anche il puntale incorporato… anzi, direi che ne ho almeno un paio e ben ramificati!-, scherzò sulla sua condizione di “cornuta”, come amava definirsi quando era indecisa se disperarsi o riderci sù; -Paul è stato carino-, proseguì, per rimarcare il fatto che si stava riferendo alla sua storia con Nath e non a quello che era stato il passato di Adrien.

-Paul è sempre carino-, puntualizzò la kwami.

-Anche se mi ha portato via quello che avrebbe potuto essere mio marito…-, puntualizzò Marinette, che aveva voglia di farsi del male.

-Ragazza, quando la smetterai di dire sciocchezze?-, Tikki si parò di fronte a lei e la guardò negli occhi: -Ho sentito la tua domanda a Nathaniel di poco fa: ti rendi conto di quanto tu sia sciocca? Nathaniel è un pomodoro e tu non potrai mai competere con un cetriolo, rimanendo nel campo delle insalate… perché tu sei un macaron!-, provò a farla tornare il sorriso, ma non le riusciva fare battutine adatte senza arrossire; fortunatamente Marinette non se ne sarebbe accorta in ogni caso.

-Adrien: cosa intendi fare con lui?-, fu diretta oltre ogni dire. La sua amica non fu da meno.

-Oltre a sposarlo, avere una casa enorme, tre figli, un cane un gatto e un criceto? Bah, direi farci l’amore finché non mi viene l’artrite alle anche, per esempio, oppure… che so… scappare con lui su quell’auto che doveva comprare e che non ha mai fatto… oppure-, ecco la parte folle della ragazza che usciva, ma le faceva bene sfogarsi, pensò Tikki e si sedette attendendo che lo sproloquio avesse fine; -Ah, e poi  farlo entrare qua, in casa, adesso, spogliarlo e non farlo andare mai più via? Va bene?-

Fu interrotta dal campanello.

-Alleluja, il proprietario dello zaino è venuto a riprenderselo!-, esclamò alzando gli occhi al cielo e aprì il portone tramite il bottone sul citofono, senza chiedere chi fosse e riprendendo a mettere a posto la casa.

-Permesso, Nino?-, chiese qualcuno, mentre lei aveva aperto l’acqua nel lavello in cucina. Si asciugò rapidamente le mani e lo raggiunse nell’ingresso.

Adrien era di fronte a lei, con barba incolta, i capelli lunghi e un peluche in mano.

***

-Chissà se Adrien ce l’ha fatta ad atterrare…-, si domandò Nino, aiutando Alya a scendere di macchina, una volta sotto casa loro.

-Controlla-, lo esortò la donna, aprendo il portone e chiamando l’ascensore.

Prima di cercare su Google la pagina del Charles De Gaulle, Nino si ricordò di guardare i messaggi. Ecco: se n’era dimenticato e… ecco, appunto, ce n’era uno di Adrien. Guardò Alya, con un vago presentimento.

Sono atterrato solo ora, ha fatto ritardo. Sto venendo da te.

-Sta arrivando-, disse alla fidanzata.

-Dove?-, chiese lei, precedendolo dentro l’ascensore.

-Da me…-, si guardarono in un istante muto.

-Gli hai detto che ora vivi qui, vero?-, domandò Alya, temendo la risposta.

Nino portò una mano alla fronte, abbassando lo sguardo: -No…-

***

Era bellissima.

Come la vide, credette di impazzire, sentì il sangue inondargli la testa e poi defluire, lasciandolo stordito, tutto si riempì della sua immagine: era stanca, vestita in modo stranamente assortito, aveva una fascia in testa ed una collana di lucine lampeggianti. Era semplicemente bellissima.

Senza la maschera, il viso che cercava da anni era davanti a lui, innocente come allora, conturbante come quello di una donna, ormai.

-Marinette…-, sfuggì alle sue labbra e senza rendersene conto, fece un passo verso di lei, che lo fissava con occhi increduli, la bocca socchiusa; le cadde di mano uno strofinaccio.

-Adrien…-, sussurrò in un sospiro, sembrava stesse trattenendo il fiato. Sbatté le palpebre più volte, chiuse la bocca, deglutì, -Entra-, gli disse e chiuse la porta di casa dietro a lui.

Nel fare quel movimento Marinette si accorse di avere al collo una collana di lucine a led e in un moto di vergogna la sfilò rapidamente, gettandola sul divano poco distante, -Scusa…-, sibilò. Poi si strappò via la fascia, lasciando che i capelli le ricadessero sulla fronte. allargandosi selvaggiamente come la criniera di un leone.

Che ci faceva Marinette a casa di Nino? Perché non c’era nessun altro?

-Che cosa… ci fai qui?-, gli domandò lei con un filo di voce, di rimando ai suoi pensieri. Di nuovo le vene sul collo presero a pulsare, come Adrien aveva già notato poche sere prima. Portò la mano alla testa, per lisciarsi i capelli, era rossa in viso e in evidente imbarazzo.

Oh Signore! Era… bellissima

Tikki apparve accanto a lei e guardò Adrien, Plagg schizzò fuori dalla tasca del giaccone del giovane e si parò vicino a lui. Di comune intesa, i due kwami sparirono e si infilarono in cucina.

Marinette comprese di essere sola, solo lei e Adrien.

-Nino… mi aveva detto di raggiungerlo subito…-, spiegò il giovane. Non si era mosso di un millimetro, nella sua mano teneva stretto il peluche di un piccolo panda, in bilico su una spalla c’era uno zaino, forse il suo bagaglio a mano.

-Non vive più qua, si è trasferito da Alya-, la voce di Marinette tradì una sottile delusione e non si sforzò di non apparire risentita: se Adrien non sapeva di trovare lei in quella casa il loro comune amico doveva averne combinata una delle sue; -Io… accomodati…-, gli disse, nel panico più totale.

Aveva immaginato un incontro al tramonto in riva alla Senna, sguardi, silenzi, una carezza, una fisarmonica in lontanaza, i loro corpi che si avvicinavano e poi finalmente un bacio… Invece aveva bevuto abbastanza e fumato troppo, chi avrebbe voluto baciare un catorcio come lei!?

Si trovarono seduti vicini, lui sul divano e lei sulla poltroncina accanto, in silenzio, senza parole da dirsi.

Faccio schifo… Oh Gesù, ma perché proprio a me queste cose?

Marinette si torceva le dita, senza parlare, dando sfuggenti occhiate al suo riflesso nel vetro della finestra. Era ridicola, stanca, oscena. Perché, perché doveva essere accaduto così??? Sei anni di sogni, dolore, sofferenze, ricordi, speranze e… si era fatta trovare con una collana di lucine a led al collo e l’alito pesante…

Lasciò uscire con forza l’aria dalle narici, liberando con essa la sua frustrazione e dandolo a vedere ad Adrien.

-Marinette… scusami… credo che… è meglio se vado via e…-, lui fece per alzarsi.

-No-, Marinette lo fermò, afferrando il suo braccio. Avevano passato sei anni lontani, non se lo sarebbe più fatto scappare, -Resta…-, spostò la mano e dalla manica dell’abito spuntò il suo braccialetto speciale.

Adrien sorrise, lo sfiorò, alzò lo sguardo su di lei: era così vicina e così bella…

-Perché sei andato via…?-, la voce piccina, fu come un lamento. Una lacrima punse forte forte e le sue palpebre stanche non seppero come trattenerla.

-Sono tornato-, gli rispose Adrien in un soffio, prendendole una mano, -E non andrò più via-.

Marinette si aggrappò a lui spostandosi al suo fianco sul divano e lo soffocò in un abbraccio infinito, caldo, doloroso, disperato. Adrien chiuse gli occhi: era finalmente a casa.

La strinse anche lui con la stessa forza, senza farle del male, lasciandole appena modo di respirare, affondò la faccia tra i suoi capelli e gli tornò tutto in mente. La morbidezza, la sensazione magica di cui si era alimentato per quell’infinito incubo nero, quel profumo…

-... è tutto finito…-, sussurrò sul collo della giovane che aumentò la stretta e si aggrappò con le mani alla sua giacca. Adrien sentiva le lacrime della sua Marinette filtrare attraverso la felpa che aveva e che era lasciata scoperta dal giaccone e iniziava a sentire caldo, molto caldo.

Marinette si allontanò da lui, staccandosi in un sospiro, gli sorrise, finalmente tranquilla e rimase a fissarlo, beandosi di quel viso che finalmente era vero davanti a lei. Era così strano rispetto al ragazzino che ricordava… era davvero un uomo quello che era tornato da lei. Si soffermò sugli occhi, splendidi come allora, ma velati di una tristezza che sembrava averlo catturato per non lasciarlo più, scese sulla bocca, contornata da quella barba che… cavolo, non se l’aspettava Adrien con la barba! Allungò una mano e la posò sulla sua guancia: ruvido, morbido, maschio. Prese un po’ d’aria e abbassò lo sguardo ancora: indossava ancora il giaccone, che maleducata che doveva essergli sembrata a non avergli chiesto di toglierlo e poi...

-Cavolo, ti ho macchiato tutto di trucco!-, si rese conto entrando in un apparente stato di panico, diventando rossa e portandosi le mani al viso: -E io sembrerò un panda!?-,  si alzò di scatto correndo in bagno e lasciandolo lì con un sorriso ebete sul viso e la felpa macchiata delle sue lacrime.

Adrien si costrinse a reagire, boccheggiò, cercò di capire come era stato possibile che fosse avvenuto tutto così velocemente, senza che nemmeno se ne fosse reso conto. Solo due ore prima sorvolava una perturbazione sopra la Germania e in quel momento si trovava in condizioni pessime, dopo un viaggio di trenta ore e pochissime di sonno, nel salotto della nuova casa di Marinette, con lei splendida, meravigliosamente perfetta eppure imbarazzata esattamente come sei anni prima. Si alzò e sfilò la giacca, ringraziando che i loro kwami avessero deciso di spiarli senza darne l’annuncio e si ricordò di avvisare con un messaggio il padre che si sarebbero visti la mattina dopo, direttamente. Non che avesse particolari idee in testa, ma non voleva di certo doversi ritrovare ad interrompere qualunque cosa per chiamare il paparino, come fosse stato un bambino.

In quell’appartamento doveva esserci stata una festa: al di là delle lucine che Marinette indossava, ce n’erano altre in terrazza e alcuni bicchieri di carta giacevano seminascosti sul bordo del caminetto che Nino aveva sempre usato come porta riviste. Di quella casa ricordava le lunghe partite a Ultimate Mecha Strike III con Nino e poco altro, e che si chiedeva come avesse potuto viverci con i suoi genitori, essendo un appartamento così piccolo. Evidentemente era rimasto a vivere lì da solo, dopo che i suoi avevano preso una casa più grande; infine lo aveva lasciato a Marinette e “casualmente” si era dimenticato di dirglielo, quando lo aveva invitato a casa sua con la massima urgenza.

Marinette stava tornando e lui non poteva farsi trovare a curiosare o mandare messaggi; tornò a sedersi in fretta sul divano e infilò il naso nel colletto della felpa: sperava di non puzzare troppo dopo quell’estenuante viaggio infinito…

-Scusami-, gli disse la giovane tornando a sedersi sulla poltrona: aveva sistemato il trucco, che non colava più e si era pettinata, profumava di buono e dentifricio alla menta. Si era tolta la felpa di pile, rimanendo solo con un abito che le lasciava scoperte le spalle. Il pensiero di Adrien balzò a poche notti prima: la spalla destra di Ladybug ferita, la tuta rossa strappata. La sua mano si mosse automaticamente fino a sfiorare la sua pelle nuda e non gli sfuggì il lieve sussulto che la ragazza cercò di nascondere.

-Eri ferita-, le disse, non vedendo alcuna cicatrice. La guardò accigliato, senza comprendere.

-E’ stato il Lucky Charm, anche se ha rimesso a posto solo esteriormente-, spiegò lei.

-In che senso?-

-Faceva male-, rispose lentamente, senza staccare gli occhi da quelli verdi del giovane, -Un male terribile-, abbassò lo sguardo e fissò le sue mani, strette in grembo, -Poi Tikki e Fu mi hanno fatto qualcosa e sono stata meglio-, sembrava crucciarsi per qualcosa.

Nella sua testa, mentre raccontava, scorsero di nuovo le immagini di quella notte terribile, il dolore, la stanchezza mortale, la paura per Tikki, l’emozione di aver rivisto proprio lui e tutte le lettere sparse sul pavimento di camera sua. Parole su parole abbandonate al vento da quel meraviglioso uomo che finalmente era vicino a lei.

-Ti ho aspettato tanto, ho sperato… ma poi sono andata avanti-, uscì dalla bocca di Marinette, come fosse una confessione che non riusciva più a tacere.

Adrien le prese una mano: -Lo so, e …-

-Lo so che lo sapevi-, uno sguardo fugace al suo viso, come atto di colpevolezza.

Adrien non volle indagare.

-Anche tu mi sei mancata tanto… troppo forse e… io ho fatto cose che…-

-Lo so…-

-Il bambino, Sunan... non è mio figlio, Marinette-, negli occhi di Adrien si agitava una tempesta silenziosa. Avrebbe voluto farsi carico di almeno metà del dolore che aveva dovuto provare Marinette venendo a conoscenza che era tornato a Parigi con un bambino, un bambino

-Lo so. Credo di sapere molte cose, Adrien-, la giovane lo guardò di nuovo con aria colpevole, per la prima volta con espressione comprensiva.

Senza che se ne fossero resi conto, avevano intrecciato le dita delle mani che tenevano unite, come se i loro corpi agissero prima che le loro menti pensassero.

Adrien prese aria e sospirò: -Io non so molto di te, invece-, stirò le labbra in un sorriso mesto a cui seguì un attimo di silenzio. Era difficile riassumere sei anni di torture in pochi minuti.

Lo stomaco di Adrien, che non mangiava da poco dopo il decollo da Mosca, ruppe il silenzio, il giovane sgranò gli occhi, curvando le labbra in un sorriso imbarazzato, Marinette sentì il cuore riempirsi di calore.

-C’è stata una festa, stasera, e in cucina ho molte cose avanzate. Mi sembra che tu abbia fame-, si alzò liberando la sua mano da quel timido legame e, con un gesto della testa, lo invitò a seguirla nell’altra stanza. -Qua c’è qualcosa di salato e qua…-, aprì la credenza ed estrasse un vassoio coperto con della carta stagnola, -...ci sono i dolci-.

Liberò la sedia da alcune buste vuote che erano rimase in disordine e prese un piatto dal mobiletto, invitando il giovane a sedersi. Gli mise davanti tre vassoi carichi di cibo e gli porse un bicchiere vuoto, poi si diresse al frigo, lo aprì e cercò qualcosa da bere: -Ho delle bibite o birra, che prendi?-, gli domandò facendo capolino da dietro la porta dell’elettrodomestico.

-Basta l’acqua-, rispose il giovane, sedendosi davanti a quel ben di Dio e lanciando un’occhiata alla sua musa.

-Ti faccio compagnia-, Marinette prese un bicchiere anche per sé e la caraffa dell’acqua, versandola per entrambi. -Mangia…!-, spronò il biondo, che era immobile come intimorito dalla situazione. Adrien alternò occhiate ai vassoi e a lei: aveva fame, d’accordo, ma non voleva che i suoi bisogni passassero avanti alla necessità impellente che aveva di chiarirsi con lei e di poterle finalmente aprire il suo cuore.

-D’accordo, inizierò io…-, con un sorriso, Marinette prese un macaron rosa e lo portò alle labbra, dandogli un piccolo morso. Era meravigliosa… Per quanto tempo Adrien aveva riempito i suoi pensieri dell’immagine di Marinette che addentava quel famoso croissant alla fragola, per quanti anni aveva sognato di poter sfiorare ancora la sua bocca morbida…

-Mangia…-, il tono più serio, il gesto che l’accompagnò -la giovane si sedette davanti a lui, per non mettergli ansia- lo riportarono alla realtà fatta di mini quiches, vol-au-vent farciti, mini panini imbottiti e tante altre meraviglie.

Ad ogni morso era come mordere lei… menomale che non aveva chiesto la birra, altrimenti quel minimo apporto di alcool l’avrebbe sicuramente mandato fuori dal tracciato che doveva assolutamente seguire. Bevve l’acqua e Marinette gliene versò subito un altro bicchiere.

-Quando la rivedrai, concedile tempo. Fai in modo che possa ritrovare prima l’amico, poi un confidente, e dopo una spalla su cui sfogare i suoi anni di separazione e due braccia che la stringano forte. Solo allora, scopala.-

Il consiglio geniale eppur retorico di Plagg riecheggiava nella testa di Adrien, che in quel momento era troppo concentrato per non apparire più un selvaggio a digiuno da sei mesi piuttosto che un uomo il quale, volente o nolente, doveva farsi perdonare sei anni di assenza. Era già partito col piede sbagliato, piombadole in casa senza preavviso, aveva iniziato dall’abbraccio e… gli toccava recuperare ogni brandello di ricordo che aveva, ricucirli insieme e creare una calda coperta di sicurezza e affetto che la scaldasse con tutto il sentimento che lui sentiva esplodere nel suo petto.

Più volte, soprattutto quando si intratteneva con qualche donna trovata a giro per l’Asia e l’unica cosa che contava era il suo piacere, si era domandato come avrebbe affrontato il momento in cui avrebbe rivisto Marinette: sarebbe riuscito a guardarla ancora con occhi puri, con il cuore di un timido ragazzino innamorato? In quel momento la guardava furtivamente tra un boccone e l’altro, sorridendole e lasciando che le briciole si incastrassero tra la sua barba. Si era presentato a lei nelle peggiori condizioni che avrebbe potuto, se l’avesse accettato così, non avrebbe avuto nessun ostacolo.

Il cibo era ottimo, doveva provenire dal laboratorio di Tom Dupain, decisamente e l’atmosfera, mentre si rifocillava, si faceva sempre più calda. Senza pensarci, Adrien si tirò su le maniche della felpa che indossava, scoprendo gli avambracci.

-Una coccinella?-, Marinette stava fissando attonita il suo braccio sinistro dove faceva bella mostra di sé un piccolo tatuaggio di un insetto il cui significato era evidente. Adrien inghiottì il boccone e si pulì rapidamente le labbra con un tovagliolo di carta, annuendo verso di lei.

-Mi sono fatto un tat…-

-Lo sapevo-, lo interruppe la giovane, allungando una mano al disegno, senza osare avvicinarsi troppo, -Ma non sapevo cosa fosse-.

Adrien portò la destra alla nuca, lievemente in imbarazzo, proprio come faceva allora, -Forse sono stato un po’ banale… ma era quello che volevo fosse marchiato per sempre sulla mia pelle-, non seppe come fosse riuscito a trovare le parole, ma in qualche modo la sua lingua era stata più efficiente del suo cervello.

-Non è banale-, disse Marinette, con voce tremante, si alzò e si mise di spalle, di fronte a lui. Si abbassò accovacciandosi ai suoi piedi, chinò la testa, scostò i capelli che le coprivano le spalle e, tirando dal basso, fece scendere appena lo scollo del suo abito di maglia.

-Oh-, fu l’unica cosa che elaborò Adrien, vedendo un minuscolo tatuaggio di un gattino stilizzato proprio in mezzo alle scapole di Marinette. Un paio di centimetri sotto si intravedeva il laccio del reggiseno, rosso.

Adrien non si trattenne, scivolò in ginocchio per terra, dietro a lei; allargò appena le mani attorno alle braccia della ragazza, abbassò il viso e sfiorò con un bacio la pelle marchiata che voleva, che aveva sempre voluto da troppo tempo.

Un sospiro e il cuore affrettato tradirono il brivido che attraversò tutto il corpo di Marinette, piegò di più la testa, scoprendo il collo, lasciò che fosse lui, se voleva, a prendersela.

Adrien posò del tutto le mani sulle sue braccia e le labbra sulla sua schiena e la baciò, salendo verso il collo, lasciando una scia di piccoli baci bollenti, ognuno dei quali era un pezzo di vita che si riprendeva indietro, un anno della sua esistenza, tempo perso a bramare quella pelle profumata, liscia, sua.

La barba la solleticava, non era affatto una cosa spiacevole, ma del tutto nuova per lei. Mosse appena le spalle, un gesto provocante, forse, che si tradusse in un maggior contatto di quella bocca che avrebbe voluto vedere, prenderla, amarla senza mai smettere.

I baci erano arrivati in alto, sul collo, dove il sangue pulsava veloce e lì si fermarono. Adrien la strinse in un abbraccio morbido e caldo, rimanendo con la testa nell’incavo della spalla. L’avrebbe rispettata e non sarebbe andato oltre, non quella sera, non in ginocchio nella cucina della casa che era stata di Nino.

-Non sai quanto mi sei mancata-, bisbigliò tra i capelli, con le labbra ancora vicine alla pelle del collo di Marinette. Ebbe in cambio una carezza e il calore di quell’abbraccio, d’un tratto, svanì: la donna si era alzata e, in piedi davanti a lui, gli porgeva la mano per fare altrettanto.

Gli stava sorridendo. Attese che lui si fosse alzato e lo abbracciò stretto alla vita, appoggiando la testa sul suo petto, ascoltando il cuore che galoppava e, piano piano, iniziò a rallentare.

-Hai ancora fame?-, gli domandò senza spostarsi.

Sì, di te…

-No, grazie…-, la baciò tra i capelli, chinando la testa e poi alzò gli occhi guardandosi intorno: una piccola cucina traballante piena di vasetti rosa, rossi e coccinelle. Le tendine sicuramente nuove, rosa con dei fiocchi neri e i tanti dettagli richiamavano lei. Tutto parlava di lei. Era lì che doveva succedere, nel posto più normale e intimo. A casa.

Il bip di un messaggio attirò l’attenzione di Marinette: qualcuno sicuramente stava cercando Adrien. -Resta con me, ti prego…-, le sfuggì dalle labbra e trattenne il respiro, facendo occhi da cucciolo spaventato. Lui le sorrise, decisamente rilassato e annuì.

Scusandosi con un gesto della mano, prese il suo telefono e lesse il messaggio, o meglio i messaggi.

Suo padre che gli diceva “no problem”, in risposta al suo.

Nathalie che gli diceva “Sun non vede l’ora di vederti, ma fai pure il tuo”, con un occhiolino.

Suo padre che aggiungeva “Ah, Sun ha un po’ di febbre, nulla di che, volevo solo che non ti spaventassi, se quando torni io fossi fuori”.

Josh che gli mandava un pollice su, un occhiolino e una bottiglia di champagne stappata.

Orange FR che gli dava il benvenuto.

Nino che urlava: “FERMOOO!!! NON ABITO PIU’ IN AVENUE DU DAUMESNIL!!! NON ANDARE LI’, FERMOOOOO!!!!”

Rispose solo a uno di questi messaggi: “Grazie”, digitò semplicemente, e premette invio.

-Eccomi-, tornò da Marinette, che lo attendeva sul divano.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 - Drops of life ***


Capitolo 32 - Drops of life

L’odore del caffè appena fatto si insinuò tra i sogni di Marinette; aprì lentamente gli occhi. C’era luce tutto intorno e inizialmente non riuscì a capire dove si trovasse. Si guardò attorno e comprese che era stesa sul divano della sua nuova casa, coperta con il plaid imbottito che aveva traslocato solo pochi giorni prima.

Come mai era lì? Non ricordava di essersi addormentata, ma era certa che fosse stato tra le braccia di Adrien.

Si tirò su lentamente, cercando di non spezzare quel silenzio magico che aleggiava nell’appartamento, sentiva il cuore gonfio di emozione e di pace.

Un rumore di stoviglie, proveniente dalla cucina, le confermò di non essere sola.

-Adrien?-, chiamò con voce arruffata, immaginando che invece si fosse trattato solo di Tikki.

-Eccomi-, la voce precedette di pochi attimi il giovane, che uscì dalla cucina con un vassoio in mano: c’erano due tazzine di caffè fumante, due cucchiaini e la zuccheriera; -Buongiorno…-, la salutò e si avvicinò a lei, posando sul tavolino da fumo quello che aveva preparato.

Marinette dovette sbattere due volte le palpebre: Adrien indossava solo una maglietta bianca e i pantaloni della sera prima, aveva i capelli sciolti, che gli sfioravano le spalle e si era rasato il viso. La giovane si rese conto che lo stava fissando con la bocca aperta, incredula per quella meraviglia. Lanciò un’occhiata fugace ai suoi abiti: aveva ancora addosso il vestito di maglia della festa e si sentiva gli occhi appiccicosi, segno che non doveva essersi struccata. Piano piano, come in un lungo flash-back, ricordò tutto quello che era accaduto tra loro.

-Vuoi farti una doccia e metterti comodo?-, gli aveva domandato a un certo punto, indicando lo zaino che lui aveva portato con sé.

-D’accordo-, le aveva risposto; considerato che aveva dietro un cambio di biancheria e una piccola trousse da viaggio, gli pareva la scelta migliore, nell’ottica di rispettare la sua promessa e rimanere con lei.

-Ti prendo gli asciugamani-, si era offerta Marinette ed era tornata poco dopo con alcune cose che avrebbero potuto fargli comodo: asciugamani, una maglietta bianca abbastanza grande per lui, una felpa extralarge nera con il cappuccio.

-Grazie-, nel prendere quelle cose, l’aveva stretta a sé e baciata sulla testa, -Faccio veloce-, aveva assicurato e Marinette era tornata in cucina, a sistemare, con il cuore che martellava forte forte nel petto.

Adrien era stato di parola, aveva fatto una doccia veloce e si era tamponato i capelli che, una volta riapparso in salotto, apparivano lunghi e sconvolti: in una parola, meravigliosi.

-Credo che dobbiamo parlare…-, Marinette l’aveva accolto così, seduta sul divano con le gambe strette tra loro e il musetto curioso.

-Già…-, si era seduto accanto a lei, mettendo un braccio attorno alle sue spalle e accavallando una gamba sull’altra. Era scalzo. Maledetti piedi da modello!

Avevano iniziato a parlare e parlare e parlare… Sei anni erano lunghi da riassumere in poche parole e le lettere che Marinette aveva letto non sembravano esattamente rispecchiare quelli che, anni dopo, erano i veri ricordi di Adrien. Di alcune cose aveva parlato in tono più distaccato, della fatica, delle crisi di disperazione che aveva avuto: traspariva da lui una qualche maturità acquisita nel tempo, un’aura quasi mistica di chi aveva viaggiato tanto, per capire che l’unico posto dove volesse tornare era da lei.

Uno sbadiglio, il jet-lag: Marinette lo aveva tirato per un braccio e lui si era lasciato scivolare con la testa fin sulle sue gambe e l’aveva osservata parlare dal basso, cullato dal suo respiro e dai movimenti oscillanti che lei produceva, aiutandosi con le mani per esprimere i concetti più dolorosi.

Aveva affrontato solamente di sfuggita il discorso di Nathaniel ed era arrossita, confessando però tra le righe che era capitolata dopo poco alle proposte orizzontali del ragazzo, che aveva rappresentato per lei -...quello che l’oppio, purtroppo, è stato per me: una scappatoia e la mia rovina-, aveva concluso al posto sui Adrien. Erano stati in una sintonia perfetta, quasi irreale, ma ancora nessuno aveva davvero parlato di quelli che, in cuor loro, avevano da sempre definito come “tradimenti”.

Mentre parlava, Marinette gli aveva accarezzato sovrappensiero la fronte ed era scesa tra i capelli che si erano ormai asciugati, mentre teneva l’altra mano sul cuore di Adrien. Erano così vicini, così intimi, eppure nessuno dei due aveva fatto una mossa di più, nessuno aveva osato varcare la soglia che entrambi agognavano da anni.

Poi, a un certo punto, Adrien era crollato addormentato tra le sue braccia, Marinette aveva afferrato un plaid dalla cesta in vimini che stava tra il divano e la poltrona e lo aveva coperto, beandosi della sua immagine, riempiendosi la mente di quel tesoro che aveva addosso. Si era chinata per baciarlo sulla bocca, ma non l’aveva fatto: non era così che avrebbe dovuto farlo. Aveva sorriso e si era appoggiata con la testa all’indietro, sullo schienale imbottito.

Era stanco, Adrien, aveva viaggiato per due giorni consecutivi, dopo altri due giorni di viaggio intervallati soltanto da un breve, ma difficile compito che lo aveva atteso a Lhasa. Le aveva confessato che non riusciva più a dormire bene da anni, ci metteva tanto ad addormentarsi e si svegliava spesso, sudato, senza ricordare nulla dei suoi incubi.

Marinette aveva guardato il piccolo peluche che Adrien aveva con sé al momento che era arrivato: lo aveva preso per Nino e Alya, pensando di trovarli in quella casa. Era stato più gentile di lei, che non aveva preso nulla per la sua amica.

E dopo anche lei doveva essersi addormentata, non aveva idea di quando fosse potuto accadere e si era risvegliata lì, sistemata e coperta a dovere.

-Wow…-, disse semplicemente, scoccandogli un’occhiata in tralice e prendendo la tazzina, mentre con l’altra mano indicava il suo viso.

Lui portò una mano alla nuca, imbarazzato: si era dato una sistemata per lei, era inutile negarlo: -Avevo un rasoio usa e getta… sai i kit che danno in aereo…-, tentò di spiegare.

-Sei stato bravo a districarti in tutta quella barba, allora… Credevo che gli Agreste avessero il barbiere personale, pronto ai piedi del letto ogni mattina-, gli fece l’occhiolino e lo vide sorridere, scuotendo la testa piano, per la battuta.

-No, mi dispiace deluderti-, si sedette accanto a lei e prese il suo caffè.

-Zucchero?-, chiesero in contemporanea.

-No, amaro-, risposero in coro e scoppiarono a ridere. Era la cosa più bella… casa, luce, calma, famiglia…

-Se non te le sei già finite tutte, dovrebbero esserci anche delle pastine di mio padre, di là-, propose Marinette.

-Ho controllato: c’è un solo croissant alla fragola… che si fa?-, Adrien la guardò, posando la tazzina vuota sul vassoio e si inclinò avvicinandosi su di lei, che avvampò e si affrettò a posare la sua, prima che cadesse dimenticata sul tappeto.

-A...drien…-, ce l’aveva ormai quasi addosso, a dividerli solo il plaid che Marinette non aveva ancora tolto.

-Ti prego…-, la voce di lui era quasi un lamento, mentre le passava una mano tra i capelli, tirandoli indietro, -Ti prego…-

Non ce la faceva più… l’aveva guardata dormire troppo a lungo, era tornato a farsi una doccia fredda, aveva pensato di ammazzare il tempo tagliandosi la barba, si era asciugato, rivestito, aveva fatto il caffè, ma voleva solo lei, la voleva da troppo tempo. L’aveva quasi baciata, una manciata di minuti prima, ma si era fermato perché voleva che lei ne fosse consapevole.

Marinette sentì il cuore balzare fuori dal petto, la vicinanza era troppa, oh cavolo… Sei anni di attesa per avere un bacio da lui e… Oh, Cavolo!

Afferrò i suoi capelli lunghi, vi affondò le mani, prese la sua testa e sì, pregami ancora, pensò, mentre si gettava su quelle labbra che non aveva mai scordato.

E se lo prese, quel bacio, disperato, magico, violento eppure dolcissimo, si lasciò stringere e buttare giù e sentì il peso del suo Adrien sopra di lei, si scostò per invertire le loro posizioni e gli montò a cavalcioni sopra, senza staccare la bocca, la lingua. I capelli dell’uno sul volto dell’altra e viceversa, le labbra che si staccavano e tornavano a cercarsi, morsi, brevi sguardi liquidi, sangue e passione e assenza di dolore. Un bacio maturo, così diverso dall’ultimo che ricordava.

Adrien scivolò con la bocca più giù, sfiorando ogni centimetro della sua pelle, inspirando il suo profumo, sentendo il petto alzarsi e abbassarsi e la baciò ancora, sulle clavicole evidenti, sul collo morbido, fino all’attaccatura dei seni sodi, maledettamente sensuali, mentre teneva le mani sulle cosce di Marinette, coperte solo dal velo sottile dei collant che indossava, e la tirava a sé.

-Adrien…-, sfuggì alle labbra di lei, mentre la voglia che conservava da troppi anni la scioglieva dentro e fluiva nel suo corpo, in ogni centimetro di pelle. Si lasciò baciare e tenne stretta la testa bionda, intrecciando le dita nei capelli lunghi, strusciandosi, prendendo fuoco.

Lo voleva, voleva tutto di lui, voleva che il sogno non finisse mai.

Fu in quel momento che il campanello di casa squillò e non fu possibile ignorarlo.

-Mi dispiace…-, Marinette si tirò su rossa in viso, avrebbe volentieri ucciso chiunque aveva interrotto quel momento, senza esclusione. Barcollò scalza fino alla porta lanciando un’occhiata languida ad Adrien, rimasto seduto con la testa crollata sullo schienale e le braccia larghe. Alzò la cornetta del citofono e chiese chi fosse, prima di aprire il portone dabbasso, con il pulsante.

-Tesoro, sono qua-, la voce di Nathaniel la sorprese al di là del legno della porta, accompagnata da tre colpetti veloci.

Maledizione…

Marinette socchiuse la porta, giusto il necessario per fare capolino: -Nath, che ci fai qua?-, domandò non riuscendo a nascondere del tutto la sua irritazione.

-Ho dimenticato lo zaino…-, la squadrò per quel che poteva vedere di lei: -Ma… ehi! Che ti è successo?-, le domandò corrucciandosi, vedendo che la giovane non si era cambiata dalla sera precedente, aveva il trucco scomposto, i capelli arruffati e soprattutto gli occhi lucidi e le guance rosse…

-Nath, per favore, prendi il tuo zaino e vai-, Marinette afferrò l’oggetto che era ancora vicino alla porta di casa e glielo passò, tenendo il braccio teso davanti a sé, senza invitarlo ad entrare, tenendo ben ferma la porta, da cui, se fosse stata aperta, si sarebbe visto immediatamente il divano del salotto.

Il suo ex prese lo zaino e la sua espressione si fece d’improvviso seria, quando un pensiero balenò nella sua testa: quando Marinette gli aveva comunicato che sarebbe andata a vivere da sola, alla luce di quello che lei gli aveva raccontato tempo addietro e di come sembrava disperata solo poche ore prima, sul terrazzo di quella casa, aveva avuto il sottile terrore che, una volta sola, la donna avrebbe potuto fare qualche sciocchezza. -Va tutto bene? Marinette?-, domandò veementemente, mettendo una mano aperta sulla porta, per controllare che non ci fossero stati problemi.

-Sì, Nath, va tutto bene. Ti ho detto prendi il tuo zaino e vai-, dentro casa, Adrien urtò il tavolino, muovendosi e le tazzine tintinnarono.

-Chi c’è lì? Tesoro, te lo richiedo: è tutto ok qua dentro?-, curiosità mista a preoccupazione, un mix letale si era preso la mente di Nathaniel.

-È tutto ok. Per favore, Nath, adesso vai!-, troppa agitazione, Marinette stava nascondendo qualcosa… Il giovane provò a spingere per aprire la porta ed entrare, ma trovò resistenza.

-Nath, adesso basta, sono affari miei. Torna da Paul-, Marinette fu più forte e chiuse la porta in faccia al suo ex, nel momento in cui Adrien l’aveva raggiunta, sfiorandole con una mano il fianco. Marinette tremava.

-Era lui?-, le domandò, facendola voltare: la giovane aveva il viso contratto, si chiuse a riccio nelle spalle e incrociò le braccia al petto. Vedere la reazione che aveva avuto per quell’intrusione lasciò Adrien perplesso e una sensazione di rabbia lo sfiorò.

Marinette si allontanò ed entrò in cucina per prendere un bicchier d’acqua. Era rimasta in silenzio, senza rispondergli. Bevve e posò il bicchiere nel lavello, rimanendovi ferma davanti con le mani inchiodate al bordo e la testa infossata tra le spalle.

-Marinette…?-, Adrien l’aveva seguita, deciso a mettere da parte le sue furie vendicative delle quali si era alimentato per un tempo immemore, anni prima.

-Adrien… credo che dovremmo parlare…-, la voce della donna era seria, quasi rassegnata. Si avvicinò a lei, le mise una mano sulla spalla, come per chiamarla verso di sé, -Sì, hai ragione-, ammise e la fece voltare.

-Sediamoci-

***

-Lo ammazzo…-

-Calmo… evidentemente Pomodoro ci tiene alla mia Marinette-, Tikki aveva afferrato la coda di Plagg. Erano rimasti chiusi in camera da letto dalla sera prima e avevano potuto raccontarsi tutto quello che si erano persi in quegli anni di separazione.

-Ci tiene come a qualcosa su cui un gatto abbia marcato il territorio!-, sbraitò.

-Shhhh, non disturbiamoli anche noi, per favore!-

Plagg si voltò verso la kwami rossa: aveva ragione. Si sedette a mezz’aria, accavallando le zampette e incrociando le braccine.

-E noi che si fa?-, domandò, sentendo che la fame stava per diventare insopportabile.

-Entriamo nel frigo da dietro, magari qualcosa per te c’è-, propose Tikki, precedendolo attraverso l’armadio e il muro che divideva le due stanze.

-Ti adoro quando sei così intraprendente, zollettina di zucchero!-

***

-Sono stata per anni senza pensare a nessun ragazzo, finché Alya non mi ha organizzato quell’incontro con Nathaniel-, iniziò Marinette, provando un senso di vergogna graffiante, -E lui… lui era così gentile, brillante… anche se io l’ho preso in giro, sapendo che non avevo alcun interesse per lui… alla fine ci siamo baciati-, le guance erano rosse e lo sguardo basso, sulle ginocchia piegate.

-Non c’è nulla di male-, Adrien, sulla poltrona, conosceva già il seguito della storia e cercava di essere il più diplomatico possibile: in seguito sarebbe toccato a lui raccontare tutto quello che aveva fatto e non aveva intenzione di mentire.

-Ho sbagliato nei miei confronti: ero sola e disperata e ho pensato bene di tapparmi gli occhi e mettere da parte il mio cuore, lasciando che lui mi “salvasse” dalla mia condizione-, alzò lo sguardo: -Ho avuto paura di rimanere per sempre sola, che nessun altro mi avrebbe voluta: Nathaniel mi è apparso come la mia ultima possibilità-. Quant’era stata sciocca, a posteriori.

-Sono sicuro che invece avevi la fila di ragazzi a cui interessavi-, si lasciò sfuggire Adrien.

Marinette lo guardò piegando la testa e sospirando; era doloroso ripercorrere proprio con lui quel percorso e le sue scelte sbagliate, ma le avrebbe fatto bene farlo, lo capiva.

-Ci siamo visti altre volte da soli, dopo quell’incontro: lui mi ha portato delle rose, mi ha regalato un quaderno con i suoi disegni e degli orecchini-.

Se lo ricordava di quella volta: -No, grazie, non posso accettarli-, gli aveva risposto senza tentennamenti, -I miei non li voglio levare per nessun motivo-, gli aveva sorriso e preso la sua mano, tirandolo verso di sé: -Ma se vuoi posso farmi perdonare in qualche altro modo…-

Era stato allora che, dopo una salita in ascensore verso l’appartamento di lui, fatta di baci, mani che si infilavano ovunque e gemiti, lei gli si era concessa, in cambio di un regalo negato per non perdere la sua vera identità.

-Capisco…-, Adrien cercava di non dare a vedere che era molto, molto irritato da quella storia e si sforzava di non immaginare la sua Marinette tra le braccia di quell’individuo che aveva sempre poco sopportato, nonostante il suo carattere benevolo. Ma voleva sapere a tutti i costi una cosa, era una questione meschina, ma doveva saperlo.

-E ti è… Cioè… hai sentito…-, cosa cazzo stava chiedendole!?

-No, non mi è piaciuto. E sì, ho sentito male, molto male. Soprattutto male alla mia dignità, che ho calpestato e che ho messo nelle mani di…-, una lacrima scivolò rigandole la guancia di nero. La strusciò via con la mano e vide la macchia.

-Adrien, scusami, devo andare in bagno-, si alzò senza attendere repliche e si chiuse in bagno, dove armeggiò non poco aprendo e chiudendo l’acqua, sbattendo e colpendo qua e là.

-Tikki!-, chiamò a un certo punto e Adrien si avvicinò preoccupato alla porta.

-Hai bisogno?-, le domandò attraverso il legno.

-Adrien… no, scusami… chiamami Tikki… volevo cambiarmi e non ho abiti e…-

-Non importa…-, appoggiò la fronte alla porta chiusa, -Esci, dai-, la voce morbida, il tono rassegnato.

Marinette aprì la porta, mostrandosi in accappatoio e con gli occhi lucidi. Aveva tolto il trucco e Adrien rivide in un flash la ragazzina imbranata che sedeva dietro a lui, nella classe al College. Le sorrise e non resistette dall’abbracciarla.

-Permesso…-, Marinette era in imbarazzo: a dividerla dal suo Adrien c’erano solo l’accappatoio e degli slip. Ah, no: anche l’assorbente!!!! Si maledisse per ogni singola goccia di sfortuna che, a dispetto del Miraculous di cui era portatrice, la perseguitava da sempre.

Adrien la lasciò passare, desiderando di infilarsi in camera assieme a lei. Dovette trattenersi, la vide chiudere la porta dietro a sé e uscì in terrazza, doveva prendere una boccata d’aria.

La mattina era già matura e fuori era freddo, almeno rispetto al clima a cui si era abituato negli anni precedenti. Anche Sun doveva esserne stato vittima: ricordò il messaggio di suo padre e tornò dentro, prendendo il suo cellulare.

Stranamente nessuno l’aveva ancora disturbato. Compose il numero di casa e attese.

Gli rispose Nathalie e gli disse che il piccolo si era un po’ aggravato nella notte, aveva la febbre alta, ma era già stato visto dal pediatra che aveva prescritto un antibiotico.

-Non c’è fretta che tu torni…-, gli disse prima di agganciare, ma forse Sun non la pensava proprio allo stesso modo. Quel bambino gli si era affezionato almeno quanto Adrien si era affezionato a lui e in quel momento si sentiva costretto tra due fuochi: rimanere con Marinette o andare da suo fratello?

-Eccomi-, la giovane tornò da lui, completamente cambiata. Aveva dei leggings neri e un maglione oversize dello stesso colore. Si sedette sul divano, sperando che la sua parte di tortura fosse finita. Adrien prese posto di nuovo sulla poltrona: era bellissima Marinette a quel modo, con i capelli fermati in alto con una penna: se si fosse avvicinato troppo, sarebbero finiti di nuovo come poco prima.

-E poi?-, Adrien non fu diplomatico nel porre quella domanda a bruciapelo. Marinette sbuffò contrariata e sollevò le ginocchia al petto, reggendole con le braccia.

-E poi l’abbiamo rifatto ancora, e ancora e alla fine abbiamo deciso di andare a vivere insieme e sposarci, visto che lui aveva riportato gli orecchini in gioielleria e li aveva cambiati con un anello-, fece una piccola pausa, come aveva potuto pensare una cosa simile, tre anni prima? Aveva solo diciannove anni, era una bambina e Nath era solo un ripiego. In fondo il suo tradimento l’aveva salvata.

 -Abbiamo scelto i mobili, ordinato la cucina a Ikea, comprato le poltrone, le tende… e una sera, tornando prima dal corso di design che frequentavo, sono entrata in camera e ho trovato Nath che era a letto con un altro uomo, lo baciava in un modo in cui non aveva mai baciato me, se lo...-, guardava avanti a sé, ne parlava quasi in terza persona, -se lo scopava come non aveva mai fatto con me. Allora ho capito, ho capito tutto... Ho fatto i bagagli e sono tornata a casa dai miei. Da allora sono sempre stata sola.- Si voltò verso Adrien, il suo viso era una maschera incolore.

-È tutto-, disse e tirò giù le ginocchia, -Sono stata a un passo dallo sposarmi per ripiego con un uomo che non mi amava, che aveva interessi sessuali ben diversi da me e che non mi ha mai, e dico mai, appagata. Io riuscivo a stare con lui solo perché ogni volta immaginavo di farlo con te… Però Nathaniel ci teneva a me e come hai visto ci tiene ancora, e io ci sono cascata.-

Si alzò e tornò in cucina, per bere ancora.

-In fondo sono la sua migliore amica...-, continuò, pensando di essere sola, -La migliore amica di Nath, la migliore amica di Paul, che ha preso il mio posto, la migliore amica di Alya che si sposa e aspetta Fagiolino e la migliore amica di Nino, che si sposa e ha messo incinta Alya-, sbatté il bicchiere sul piano della cucina e si voltò. Adrien la guardava corrucciato.

Non ricordava quell’aspetto di Marinette: accalorarsi e parlare da sola, perdendo quasi la ragione.

-Dimmi anche tu che sono la tua migliore amica e ho fatto full!-, una risata amara, quando si voltò e lo vide.

Adrien fece qualche passo verso di lei: -In realtà sì: vorrei poterlo dire anche io. Che sei la mia migliore amica, la mia insostituibile compagna di avventure e… chissà…-, allungò una mano al suo volto e scostò una ciocca di capelli neri scappata allo chignon improvvisato.

-Sei molto bella senza codini-, azzardò.

Marinette sorrise, un velo di sarcasmo: -Non li porto più da… credo sei anni, sai?-, incrociò le braccia al petto e tornò sul divano, precedendolo.

-Adesso tocca a te-, stabilì seria.

Era difficile scegliere da dove iniziare… Adrien si focalizzò su una macchia astratta sul tappeto e pensò con cura.

-Si chiamava Zhi-, strinse le labbra, non ne avrebbe voluto parlare, -Era una ragazza cinese di un paese dove ci eravamo fermati qualche giorno, prima di spostarci in Tibet per la prima volta. Mi ricordava tanto te...-, alzò gli occhi su Marinette e tacque. Quel silenzio si sarebbe potuto tagliare a fette; -Somigliavano tutte a te-, tornò a guardare per terra, serrò le mascelle, spostò il peso sui gomiti, fermi sulle sue ginocchia, -Ma nessuna era te-.

Questo Marinette lo sapeva già, in qualche modo, quindi non rimase scioccata da quelle confessioni, quanto dall’amarezza con cui Adrien gliele stava facendo. Ma doveva concedere anche a lui di parlare, perché, in un modo o nell’altro, era necessario per poter ripartire.

-Di molte di loro non ho neanche ricordo: so che la sera finivo ubriaco e la mattina dopo mi trovavo da solo, in un letto sfatto, con un gran mal di testa e un nome inchiodato nei miei pensieri, il tuo. E allora mi rivestivo, lasciavo un po’ di soldi e andavo via, prima che qualcuno vedesse che stavo piangendo.-

Marinette avrebbe voluto alzarsi e abbracciarlo, dicendogli che lei c’era e che non avrebbe mai più permesso che lui se ne andasse, ma ancora non si mosse. Mancava un ultimo tassello del mosaico e voleva che lui gliene desse conferma.

-In definitiva sono sempre stato solo anche io, perso in un mondo sconosciuto dove l’unica cosa che potevo fare per non impazzire nei miei ricordi era perdermi in incubi e situazioni surreali, mettendo mano al portafoglio e  sfruttando la mia notorietà per tenere a freno le lingue lunghe di gente purtroppo troppo facile a cedere-, volle essere più esplicito che poté: -Non ho mai amato nessuna, non ho mai pensato di legarmi a nessuna. Non ho nessuna, Marinette, sono ancora legato alla ragazza che avevo sei anni fa e che dentro di me non ho mai lasciato-, quando alzò il viso, i suoi occhi erano lucidi. E allora Marinette si avvicinò a lui, sedette sulle sue gambe e lo abbracciò, tenendo la testa bionda a contatto con il suo cuore, in modo che sentisse quello che le stavano facendo le sue parole.

-E io sono sempre qua. In realtà ti ho sempre aspettato, da allora-, disse semplicemente e baciò la testa bionda di Adrien.

Lui si strinse a lei, abbracciandola e beandosi del dolce peso sulle sue ginocchia e del respiro calmo, che accompagnava il galoppo del cuore che, piano piano, andava acquietandosi.

Avrebbero potuto rimanere legati in quel modo per altri sei anni, senza parole, senza altro che il loro contatto.

***

-Plagg, ti prego, aspetta ancora…-, Tikki pregò il suo amico, spazientito e infreddolito dentro al frigo di Marinette.

-Non c’è formaggio qua! L’unica cosa che ci assomigli è il ripieno di quella quiche gelida! Io ho fame!!!-

-Plagg… suvvia… sei una creatura millenaria, hai bisogno di dimenticarti proprio adesso che puoi resistere per altri mille anni senza mangiare!?-, aveva fame anche Tikki, ma di biscotti e dolcetti era piena la casa.

-Io ho affrontato sei anni in una terra ostile dove la cosa più simile al camembert era un formaggio di capra puzzolente che non gli legava neanche le scarpe! Io so che a Villa Agreste Nathalie mi ha preparato una forma del miglior camembert di Normandia che mi aspetta sola soletta e CHE IO NON POSSO PIU’ ASPETTARE DI MANGIARE!!!!-, attraversò la porta del frigo e si fiondò in salotto, spezzando la più dolce delle atmosfere.

-Plagg...-, strillò Tikki, inseguendolo.

-Plagg!?-, domandò confusa Marinette, vedendo il kwami comparire furibondo davanti a loro.

-Plagg!-, esclamò Adrien, portando una mano alla bocca per non dire qualcosa di sbagliato.

-Adrien, IO HO FAME-, fu cristallino, diretto al punto, conciso.

Marinette osservò il viso divertito, imbarazzato e abbastanza furioso di Adrien e il faccino stizzito di Tikki e scoppiò a ridere.

Oh che sensazione meravigliosa! Oh che calore che sentiva irradiarsi in ogni angolo del suo corpo e della sua anima! Presto la sua risata contagiò anche Adrien e Tikki. Tutto era surreale e meraviglioso.

-IO HO FAMEEEE!!! Smettetela di ridere!-, Plagg afferrò il viso di Adrien e lo guardò con ira, il giovane lo prese per la collottola e, semplicemente, lo lanciò alle sue spalle. Poi baciò ancora Marinette sulla bocca.

Era tutto perfetto.

***

-Io Non Ci Posso Credere… IoNonCiPossoCredereeeee!!!!!-, Alya dovette essere fermata da Trixx e Wayzz dall’alzarsi di slancio dal divano e correre come una furia da Nino, che era in cucina a prepararle il brunch, dimentica del suo stato precario.

-NINO!!!!-; il ragazzo accorse con il grembiule, un guanto da forno in mano e, nell’altra, un mestolo: -Alya, che è successo?-.

Wayzz si parò di fronte a lui: -Calmo, respira: va tutto molto bene: Alya ha solo ricevuto un messaggio da Marinette…-, lo guardò intensamente per un istante, abbassò il capino e scuotendolo, andò nello studio, nascondendosi sotto un cuscino. Non era fatto per le romanticherie e quelle cose da donne. Era un kwami millenario e se era sempre vissuto in pace con il mondo era stato perché non si era mai, mai, domandato cosa ci fosse di così bello nell’amore.

-NinoNinoNino!!!! Leggi!-, Alya si penzolava dal divano porgendogli il suo smartphone, la chat di whatsapp con Marinette aperta attendeva ancora una risposta.

Sono con Adrien.

La vie est belle…

(grazie…)

-WoWOWOWOWWOO!!!!!! Grande Bro!!!-, Nino lanciò per aria il guantone e il mestolo, che colpì Trixx.

-Grande Maribug!!!! Ce l’abbiamo fatta!!!!-

-Sono stato un gra-aaande!!!-

-E io ti sposo!!!!!-

Trixx li guardò disgustati e li lasciò ai loro festeggiamenti. Volò nello studio e raggiunse Wayzz sotto al cuscino.

-Cicuta ne hai?-, domandò e si tappò le orecchie.

***

Ormai Marinette ne era convinta: tutto si era sistemato. Poco importava se in realtà le sue ferite ancora ogni tanto facessero male, o se aveva trattato in modo sgarbato Nathaniel, o se sicuramente avrebbe avuto una distrazione enorme che le avrebbe rallentato la preparazione degli abiti che aveva promesso ai suoi amici per il loro matrimonio. La sensazione frizzante e calda che sentiva dentro di sé le bastava per essere ottimista: ogni cosa avrebbe potuto sistemarsi.

Quel giorno aveva promesso ai suoi che sarebbe tornata a pranzo a casa, ma fu sufficiente mandare un messaggio a sua madre: “Non torno, scusa, ma sono felice oggi” per sentire la coscienza a posto come non accadeva da anni.

Dopo la sfuriata di Plagg, aveva insistito perché Adrien andasse con lui a Villa Agreste, aggiornasse suo padre su quel che aveva fatto in Tibet, passasse del tempo con il bambino e si sistemasse. Andava bene così, per il momento: lui era tornato ed era tornato da lei, in un modo o nell’altro.

Tikki le aveva detto che aveva fatto bene a dire al giovane di andare dal suo fratellino, che si era dimostrata una donna matura e così si sentiva: matura e pronta a ricominciare lasciando finalmente la paura dietro di sé.

L’attrazione che c’era stata con Adrien era stata una ventata di poesia sulla sua vita triste e, come un colpo di spugna su una finestra sporca, aveva ripulito dall’oppressione la sua visuale sul futuro. Si sentiva libera, anche se…

-Forse ho sbagliato a lasciarmi andare subito con lui-, osservò dopo aver riflettuto da sola in terrazza; Tikki la guardò e incrociò le zampette: -Non è quello che volevi?-, domandò con convinzione.

Marinette si sedette sul bordo del letto, in camera: -Abbiamo parlato della mia storia con Nath e di tutte le donne che lui…-, lasciò cadere la frase, togliendo un filo dalla coperta, pensierosa, -Spero che non mi annoveri tra loro…-

-Credi che a lui interessi solo averti… in quel senso, Marinette?-, come poteva adesso convincersi quell’idea, dopo tutto quello che aveva letto nelle lettere e dopo le parole dolcissime che Adrien le aveva detto: Tikki e Plagg avevano origliato buona parte delle loro conversazioni, distogliendo imbarazzati l’attenzione nei momenti in cui i loro umani avevano optato per un linguaggio più diretto della parola.

-Spero di no-, le disse semplicemente la giovane, guardando l’orologio: era ora di pranzo e comunque preferiva rimanere da sola piuttosto che andare dai suoi.

-Forse dovrei chiamare Alya e spiegarle la situazione…-, propose più per convincere se stessa che in una vera domanda alla piccola amica.

-Le farebbe piacere, ne sono certa-, forse parlare con Alya era la cosa giusta per raddrizzare l’umore della sua amica, che era così sciocca da crearsi problemi anche dove non ne esistevano.

Marinette riprese il cellulare dal comodino, dove lo aveva lasciato ore prima e se lo rigirò tra le mani, iniziando dal leggere i messaggi che aveva ignorato fino ad allora, quando aveva inviato il veloce whatsapp a sua madre.

A parte Alya che le aveva risposto in caratteri maiuscoli che VOLEVA sapere tutto il prima possibile, il messaggio che più la colpì, in quanto accompagnato da un lungo sequel di risposte, era quello di Chloe, che, usando la chat di gruppo creata proprio da Marinette per invitare tutti i suoi amici alla festa della sera prima, dava l’annuncio al popolo del ritorno di Adrien: “Dovevamo chiamare anche Adrikins! Guardate, sembra fosse all’aeroporto proprio ieri sera, di ritorno da un viaggio!”, accompagnato da una foto paparazzata presa da internet.

Era quello che l’avrebbe aspettata? Riflettori puntati su di lei e sull’uomo che amava senza ripensamenti reali da quando lui le aveva chiesto scusa, porgendole il suo ombrello, una vita prima? Cosa sarebbe successo se si fossero diffuse altre immagini di lui che usciva quella mattina sotto casa sua? Sperò ardentemente che nessuno lo avesse seguito fino a lì: in ogni caso sarebbe stata informata dalle news sparate da Chloe…

Avrebbe mai potuto passeggiare per le vie del centro mano nella mano al suo amato, senza essere aggrediti da una folla di fotografi? Sarebbe mai riuscita a passare del tempo con lui girando per negozi o facendo la spesa al supermarket? La pace che aveva riempito il suo cuore, di colpo, sembrava marcire sotto quella luce cattiva della minaccia di una vita senza privacy, proprio a lei che aveva fatto della riservatezza la sua filosofia di vita, da quando aveva vestito i panni di Ladybug per la prima volta.

Si decise a comporre il numero di Alya, che, tra i tanti, aveva commentato anche la foto inviata da Chloe con un “Sei fidanzata adesso, non rompere più le scatole al povero Adrien, lascia che si possa fare gli affaracci suoi senza galline che vadano a beccare troppo vicine a lui!”. Diretta, come sempre. “Non sono una gallina, ma Adrien è Adrien e sarà sempre il nostro VIP preferito!”, le aveva risposto Chloe, ricevendo tante faccine in risposta.

Marinette scosse la testa: erano solo infantili e stupidi discorsi fatti alle spalle di un uomo buono che aveva sofferto tanto, mentre la gente non aspettava altro che di poter sparlare di nuovo su di lui.

-Pronto!!!-, rispose Alya, concitatamente, -Vogliosaperetutto!-, la travolse.

-Ciao Alya, innanzitutto come stai?- le rispose Marinette, decisa a procrastinare le sue confessioni e i suoi dubbi.

-Sto bene, ma tu non puoi mandarmi quei messaggi senza avvertire, lo sai che sono a rischio aborto!-, Marinette sbuffò alzando gli occhi al cielo: se Alya aveva intenzione di metterla sul patetico, non avrebbe retto neanche un secondo di più.

-E adesso sono a rischio figlio-con-macchie, se non soddisfi subito la mia voglia di gossip!-

-Puoi definirla in un altro modo, la tua curiosità morbosa, per favore?-, Alya era così: estrema in ogni sua forma di esternazione.

Marinette fece un grande respiro: -Adrien è tornato da me. In tutti i sensi, mi ha detto che vuole ricominciare da quel giorno di sei anni fa, che il bambino è suo fratello e che tutte le donne che ha avuto in questi anni non significano nulla per lui-, disse rapidamente e Alya iniziò la sua replica con un prolungato strillo simile al verso di un’aquila.

-MA-, Marinette volle essere molto chiara in merito da subito, -questo non significa che adesso io e lui ci sposeremo dopodomani e venerdì io sarò incinta, chiaro?-, gelò l’amica, -Significa solo che ho ritrovato un po’ di pace, che ho ritrovato lui-, mormorò le ultime parole e l’amica rispose solo con un lieve mugolio.

-Ha sofferto tanto, Alya-, tentò di spiegarsi.

-Anche tu hai sofferto tanto, non provare nemmeno a negarlo. Hai sofferto così tanto che ti sei quasi sposata con Testa di Pomodoro, per la disperazione di essere sola senza di lui!-

-TU mi hai spinta tra le braccia di Nathaniel, se non lo ricordi!-

-IO avevo solo perso una sfida con lui, TU hai fatto tutto il resto!-, si accalorò Alya, comprendendo che stava sbagliando decisamente approccio. Quindi si sforzò di rimanere calma; -Marinette, come stai adesso?-, chiese in tono completamente differente, calmo e fraterno.

L’amica ci mise un po’ a rispondere: -Non mi sembra possibile che sia accaduto veramente… continuo a girare per casa spaesata, non rendendomi conto che Adrien sia stato davvero qua… Ha un tatuaggio, lo sai?- domandò entusiasta. Alya lo sapeva e bene, lei aveva visto le foto e, quando Marinette aveva fatto il suo, non lo credeva possibile: “quei due sono davvero legati da un filo invisibile”, aveva detto a quel tempo a Nino.

-No, davvero? Dimmi tutto!-, rispose invece.

-Una coccinella! Te ne rendi conto Alya!? Una coccinella! E quando io gli ho mostrato il mio… Ecco…-

-Mm mm… continua pure porcellina mia, lo sai che mi eccitano i racconti hot!-

-ALYA!-, Marinette aveva portato le mani al viso, facendo cadere il telefono sul letto e riprendendolo immediatamente dopo, con qualche manovra rocambolesca.

-Mi ha baciata-, confessò, -Prima sulla schiena, fino al collo. È stata una cosa…-, Marinette non trovava le parole, ma in fin dei conti nemmeno voleva farlo, perché forse non doveva raccontare quelle cose di Adrien a nessuno, erano solo loro e tali dovevano rimanere.

-Sono felice per te-, le rispose l’amica in tono dolce, -E poi?-

-Poi… poi nulla, abbiamo parlato, e poi lui si è addormentato e dopo anche io-, avrebbe concluso il racconto così.

-Mi stai prendendo in giro, spero-, la voce di Alya era cambiata, tornando la stessa di sempre, inquisitoria, curiosa.

-No, Alya, la cosa importante è che ci siamo ritrovati, che lui sia tornato-, ed era proprio così, -Mi ha detto che non andrà più via-, aggiunse.

-E non avete fatto…-, SESSO, ecco quel che avrebbe voluto dire. E Marinette avrebbe voluto risponderle che non avrebbe voluto fare sesso con Adrien, ma solo fare l’amore, finalmente, quando i tempi fossero stati maturi. Si attardò a rispondere e fu anticipata: -Ah, già, tu hai le tue cose… Certo che sei proprio sfigata eh!-

Marinette rise, era la cosa più saggia da fare per non gettare benzina sul fuoco della curiosità dell’amica.

-Vabbè, prima o poi…-, insistette l’altra e in risposta ebbe un mugugno scocciato; -Tanto prima o poi verrai tu a raccontarlo a me, ti conosco…-

-Stamattina si è presentato Nathaniel-, la stupì Marinette. In un baleno nella mente di Alya si dipinse uno scenario di guerra, con i due uomini di Marinette in lotta tra loro. Adrien aveva picchiato Nathaniel e Marinette aveva urlato, poi aveva trattenuto Adrien e gli aveva detto che amava solo lui.

-L’ho mandato via, è stato insistente…-, fermò i suoi pensieri l’amica. Poi riprese: -Perché Nath è così possessivo nei miei confronti, Alya? Voglio dire… lui ha fatto la sua scelta e adesso ama Paul. Perché ha cercato in tutti i modi di entrare in casa e cercare di vedere chi ci fosse?-, ...e Adrien l’aveva difesa, sferrando un pugno sul muso di Testa di Pomodoro e…

-Menomale che è andato via-, concluse Marinette.

Alya si sforzò di dare all’amica la giusta risposta: -Forse perché lui ha sempre saputo di essere un ripiego, per te e sa anche quanto tu abbia amato Adrien, nonostante tutto quello che c’è stato tra voi. E adesso non vuole che tu sbagli di nuovo con un altro come avevi fatto con lui-, rifletté.

Era plausibile, in fondo. -Forse hai ragione… Ma adesso non sbaglierò più: se è Adrien, quello giusto, non sbaglierò più-, sembrava decisa.

-Ovvio che sia Adrien quello giusto! Ma di cosa hai ancora paura?-, a volte Marinette la spiazzava, con le sue frasi stupide.

-Di perderlo ancora, per colpa mia-, la gelò Marinette, ed era proprio la sua paura più grande; -Non sono fatta per una vita di pettegolezzi, io voglio solo la mia fetta di pace e Adrien… hai visto i messaggi di Chloé, no? Lui come si muove attira i fotografi… Non so se sono alla sua altezza-, ammise.

Alya sospirò: non poteva dare torto alla sua amica fino in fondo, in fin dei conti Adrien era un personaggio ingombrante e per un bel pezzo almeno avrebbe fatto parlare di sé. -Tu sei alla sua altezza come lui lo è alla tua. L’unica cosa che puoi fare, se vorrai concedere a voi due una possibilità, è andare oltre i pettegolezzi e le falsità che ti troverai a dover affrontare. Dovrai pensare solo a quello che c’è nel tuo cuore e a come vuoi passare la tua vita futura: se con lui, barattando una fetta della tua riservatezza, oppure senza di lui, infilandoti da sola un coltello nel cuore finché non avrai vita-, le disse.

-Grazie, Alya-, le rispose Marinette, semplicemente, e mise giù.

Sapeva cosa voleva, e avrebbe fatto di tutto perché avvenisse.

***

Sun giocava un po’ mogio con il nuovo peluche che Adrien gli aveva portato; la febbre era un po’ calata, ma spesso il suo corpicino veniva squassato da violenti colpi di tosse.

-Che ha detto il medico?-, aveva chiesto il nuovo fratello a Nathalie, che si prendeva cura di lui.

-Ha la bronchite, purtroppo, deve prendere per una settimana l’antibiotico e fare l’aerosol, ma ovviamente a lui non piace-, aveva spiegato la donna, poi, sfiorando il braccio di Adrien, aveva azzardato a domandargli come stesse.

-Ho visto Marinette-, per un istante gli occhi del giovane avevano brillato, -Sono piombato a casa sua per errore… Nino mi aveva detto di andare subito da lui, ché mi doveva parlare proprio di Marinette, ma non mi aveva informato che non viveva più dove io ricordavo… Ma questo lo saprai già…-, guardò di sottecchi Nathalie che ammise con uno scatto delle sopracciglia.

-È stato un colpo, rivederla…-, Adrien prese dalle mani di Sun il peluche che il bimbo gli porgeva e, dopo, tirò su il piccolo e se lo mise a sedere sulle sue ginocchia. Il bambino si strinse a lui, abbracciandolo: -Mi sei mancato-, disse con vocina piccola, in un accento straniero.

-Anche tu, Sun, ma sono tornato presto-, cercò di spiegargli.

-Papà mi ha detto che tornavi ieri e non sei venuto-, affondò il musetto un po’ moccioso sulla felpa di Adrien, oh quanto era affezionato a quel ragazzone alto e biondo che lo aveva portato via dal suo incubo!

-Hai ragione-, gli spiegò Adrien, scostandolo per guardarlo negli occhi, -Ma dovevo fare una cosa importante, cucciolo… puoi perdonarmi?-, domandò in un sorriso dolce.

-Cì-, rispose fiero il bambino e sgattaiolò via dalle gambe del fratello, tornando a giocare con il suo nuovo amico peloso.

Nathalie seguì il bambino con lo sguardo e prese una mano di Adrien: era tanto cambiata quella donna e rivederla negli stessi ambienti dove, anni prima, era stata a tratti una carceriera per lui, lasciava Adrien ogni volta stupefatto.

-È bellissima…-, riprese il giovane, piegando il capo in segno di sottile pudore, -È così… cambiata… Eppure è sempre lei, come la ricordavo, tranne gli occhi-.

Nathalie piegò le sopracciglia, non comprendendo.

-I suoi occhi… sembravano spenti, quando ha aperto la porta, e poi piano piano hanno assunto un aspetto diverso: ho visto gli occhi neri di Sun, in quelli di Marinette, gli occhi di chi ha sofferto tanto e finalmente ha trovato una speranza-.

Nathalie strinse di più la mano, capiva perfettamente quello che il ragazzo stava cercando di esprimere; -Le ho fatto così male, ha sofferto tanto, troppo… Io… credo che ci vorrà un po’ prima che possa perdonarmi-, ammise.

Nathalie sorrise e scosse la testa: -Perdonarti? Voi due siete uguali: l’ultima volta che l’ho vista da Fu, anche lei si torturava pensando che tu non avresti mai perdonato lei, per non averti dato gli orecchini. Secondo me vi fate davvero troppi problemi! La felicità è dietro l’angolo, non fatevela scappare ancora!-, una richiesta fatta col cuore da una donna che per prima non aveva mai avuto il coraggio di svoltare lo stesso angolo della vita.

-Cosa dovrei fare, allora?-, le domando Adrien, come se stesse chiedendo consiglio a sua madre.

-Sii te stesso, senza rimpianti, senza sentirti in colpa, senza forzarla, senza continuare a vivere nel rimorso, senza mandare di nuovo tutto all’aria in nome di nulla di reale. Sii Adrien, con lei, dimostrale quello che provi per lei-, incrociò le braccia al petto.

-Io l’amo-, fu schietto e anche Sunan, all’affermazione, interruppe per un attimo i giochi e lo guardò, come avesse capito i loro discorsi.

-E allora fai in modo che lo capisca davvero-, concluse Nathalie; -Sun, vieni che facciamo quel giochino con la macchinetta che spara l’aria!-, provò a convincere il piccolo, che le sgusciò via dalle mani, perché non voleva fare l’aerosol. Adrien rimase per qualche istante a guardare quella scena e non trovò nessun ricordo di quando era bambino. Scosse la testa e si alzò: -Vieni Sun, che ti insegno io come si fa a farlo da veri uomini!-, incitò il fratello.

Si sedettero al tavolo dove Nathalie aveva preparato tutto e Adrien tenne il bambino in braccio, mentre gli passava la mascherina attorno alla testa. -Ne abbiamo una anche per Mr Pandy?-, chiese alla donna e replicò il gesto con il peluche: -Adesso voi due soldati ascoltate le direttive!-, iniziò scherzando, Sun era completamente rapito dalle sue parole e dai suoi gesti.

-In alto la mano! (dovete rispondere “Signorsì, signore”)...-, suggerì al bambino, mostrando come doveva fare, -Riproviamo: In alto la mano!-

-Sississì signorsì-, rispose Sun attraverso la mascherina.

-Allungat mano!-, e mimò il gesto.

-Giraaat manopola!-, ordinò e prese la manina del fratellino, facendogli ruotare la manopola che azionava la macchina. Subito un ronzio rumoroso li fece sobbalzare e la mascherina di Sun fu riempita dall’aerosol; il bambino fece per toglierla.

-Soldato! Nessuna insubordinazione!-, lo riprese Adrien e bloccò la manina olivastra, -E adeess: Aria dentro da bocca-, e tirò su, -Aria fuori da bocca!-, e soffiò.

Piano piano il piccolo iniziò a prendere la cosa come un gioco e imparò a farlo da solo. Nathalie li osservava a bocca aperta, in un angolo.

-È da stamani che la nostra Nati ci sta provando… l’avevo detto che era una cosa da uomini-, Gabriel Agreste era tornato e aveva fatto la sua apparizione nella stanza del piccolo sorprendendo sia Adrien che Nathalie. Salutò il figlio con una leggera pacca sul braccio, strinse delicatamente le spalle di Sun, si avvicinò a Nathalie e le posò un lieve bacio sulla guancia. La donna trasalì, ma si sentì sfiorare una mano dal suo “capo” che le scoccò un’occhiata eloquente e si sforzò di non dare alcun segno di stupore. Adrien, invece, fece tanto d’occhi e increspò il mento, strizzando tra loro le labbra, senza dire nulla.

-Torno subito-, avvertì Gabriel, indicando la giacca che ancora indossava e, con un cenno della testa, comunicò alla sua segretaria di seguirlo nell’altra stanza.

Adrien rimase da solo con Sun e si concentrò sulle inspirazioni ed espirazioni del piccolo, per non pensare a quello a cui aveva appena assistito e che lo aveva scioccato.

-Gabriel, ma cosa…?-, Nathalie esplose non appena furono abbastanza lontani, lo tirò per un braccio verso la cucina e pretese delle spiegazioni. Perché l’uomo si era comportato così, e perché quella guancia bruciava come se l’avessero appoggiata su una padella rovente?

Gabriel si sfilò la giacca, la lasciò cadere disordinatamente su una sedia e si voltò verso di lei: -Perdonami… ma ho due figli e dovevo insegnare al più grande come ci si comporta quando si torna a casa dalla donna che si desidera…-, le disse e la prese per una mano, tirandola fino al suo petto.

Che cosa stava succedendo??? Nathalie non capiva, sentiva solo qualcosa di indescrivibile e strano, qualcosa che… poi sentì le labbra di Gabriel sulle sue e la padella divenne un falò.

-Dov’è Nati?-, domandò Sun, togliendosi la mascherina. Adrien era sovrappensiero e non lo fermò in tempo: ormai la sessione di aerosol poteva dirsi terminata, perché difficilmente il giovane avrebbe avuto la pazienza di ricominciare da capo. Già… dov’era Nati? Ormai erano passati diversi minuti dalla fugace apparizione di suo padre… Quello che Adrien aveva visto aveva qualcosa di familiare e allo stesso tempo irreale: era così che suo padre salutava la mamma ogni volta che rientrava a casa e la trovava ad aspettarlo ed era così scontato eppure strano che avesse riproposto lo stesso gesto con… Nati!

Era stato via solo pochi giorni, possibile che fosse successo tutto quello che non era successo in sei anni proprio allora?

-Dov’è Papi? Ho fame!-, insistette Sunan e scese dalla sedia, correndo verso la porta, scappando al tentativo di fermarlo di Adrien.

Il giovane scosse il capo e si mise all’inseguimento del fratellino: era ora di pranzo e, stranamente, in casa non c’era nessun profumino aleggiante a indicare che fossero state date disposizioni in merito. Rincorse il bambino fino alla porta della cucina, dove il piccolo si era fermato e guardava a bocca aperta qualcosa. Si voltò verso Adrien: -Adri, perché Papi sta mangiando la faccia a Nati?-, domandò piano piano nel suo francese stentato. Adrien sgranò gli occhi e lo raggiunse per guardare con i suoi occhi suo padre che “mangiava la faccia” della cara vecchia Nathalie. Per un attimo nella vita volle essere perfido e prendersi una piccola vendetta per i sei anni sprecati con Marinette.

-Quando avete finito di sconvolgere il piccolo Sun con queste immagini, gentilmente, telefonateci per ragguagliarci sulle novità-, si godette le espressioni imbarazzate dei due e poi si congedò: -Papi… Nati… i “bambini” escono fuori per pranzo. Divertitevi-, prese Sun di peso e corse via con lui sulle spalle, che rideva felice.

Era finalmente tornato a casa senza i suoi incubi a tormentarlo e aveva immaginato qualcosa di molto differente: un pranzo in famiglia finalmente liberi dagli interrogativi  striscianti su sua madre, liberi dall’ombra di Lum-Tsa, ma in definitiva... perché rimanere lì? Tutti, anche il vecchio Papillon e la sua spalla Le Plume Bleu avevano diritto alla propria fetta di felicità. Per una volta avrebbe lasciato la casa a suo padre e si sarebbe comportato da adulto.

Sun tossì e la coscienza di Adrien subì un leggero affronto.

-Giù le braccine-, disse al fratellino legandogli la sciarpa attorno al collo, -Il cappellino… bravo e ora il giubbottino, infilò rapidamente la sua giacca e prese le chiavi dell’auto con il seggiolino: -Adesso ti porto a conoscere una persona speciale… stringi forte Mr Pandy-, disse al bambino infilandolo in auto e lo baciò sulla fronte.

Adesso ti porto a conoscere la mia Marinette…

***

Come poteva mangiare dopo tutte le cose che aveva passato nelle ultime ore? D’un tratto l’idea di vivere da sola, avere i suoi spazi, le sue pause, i suoi tempi, i suoi luoghi dove disperarsi senza occhi che la controllassero e la consolassero, le pareva del tutto sbagliata.

Avrebbe voluto condividere con qualcuno tutta la sorpresa, la gioia e la paura che stava vivendo, urlare al mondo che la sua sofferenza era finita e allo stesso tempo farsi abbracciare da braccia affettuose pronte a spronarla a fare la cosa giusta.

D’un tratto avrebbe voluto avere accanto a sé, semplicemente, un vero amico.

Alya, per quanto sempre sopra le righe, era la migliore in quel compito, ma assieme a Nino erano impegnati in qualcosa di troppo grande per loro, per potersi accollare anche il fare da balia a una sciocca donnicciola euforica e spaventata; Paul le voleva bene, ma in fondo era quasi un estraneo per lei e il sentimento non era del tutto corrisposto da lei; Nath… Nath si era comportato male, al di là delle motivazioni e non voleva neanche pensare a rivederlo nell’immediato. Scosse la testa, ripensando alla battuta che aveva fatto ad Adrien sul “full”. Che sciocca che era stata e che falsa che era con se stessa nel fare la cernita dei suoi amici per tornare a desiderare sempre una sola persona.

Il suo cellulare trillò rapidamente tra le mani, era un sms: “È sempre il tuo numero, Marinette?”, chi le stava scrivendo?

Rispose semplicemente “Sì” e inviò.

“Sei sola a pranzo?”, di nuovo un messaggio da quel numero sconosciuto. Ma chi diavolo…

“Sì”, rispose ancora e stava per chiedere chi fosse, ma fu anticipata da un altro sms: “Hai posto per due”?

Ma per chi l’avevano presa, per il ristorante all’angolo?

“Dipende da chi parla”, rispose, lievemente seccata, ma anche divertita da quell’improbabile scambio a suon di vecchi sms.

“Un adorabile bambino e suo fratello biondo”, ebbe in risposta e, prima che potesse articolare alcun pensiero, il campanello di casa squillò.

-Adrien!-, rispose, senza chiedere chi fosse.

-E Sunan-, la informò il ragazzo e salì su.

Sunan… come poteva approcciarsi al bambino che per qualche tempo aveva quasi odiato, credendolo il figlio di Adrien e un’altra? Come poteva essere stata così meschina e patetica?

L’ascensore si era fermato all’ultimo piano e Marinette aveva solo un attimo per ricomporre le sue idee e i suoi sentimenti. La porta si aprì e: -Ciao, lui è Mr Pandy e io sono Sun-, le disse un soldo di cacio alto meno di un metro, con una buffa zazzera nera e due occhioni enormi. Marinette capitolò e si piegò per portare il volto all’altezza del piccolo.

-Ciao Sun, ciao Mr Pandy-, rispose, -Io sono Marinette-.

Adrien le sorrise e non poté fare a meno di attrarla a sé con un rapido abbraccio e baciarla sulla bocca, come se ne avesse avuto più bisogno dell’aria stessa.

-Ma a Parrigi si mangiano le facce di tutte le signore?-, chiese Sun, e Adrien scoppiò a ridere sulla bocca della sua amata.

-Entriamo, ti spiego...-, disse a Marinette e le passò un braccio sulle spalle.

***

Avevano mangiato ancora avanzi, per Sun Marinette aveva preparato della pasta Italiana che suo padre le aveva infilato in dispensa e poi gli aveva dato una vera fetta di torta che era “buonissimissima”.

-Per fortuna non gli è passato l’appetito-, constatò Adrien, mettendo una mano sulla fronte del piccolo, per sentire se avesse ancora febbre. Corrugò le sopracciglia, scuotendo la testa: -Non ne ho idea-, ammise. Marinette andò a cercare un termometro, ancora nel beauty case con cui aveva traslocato e prese il bambino sulle gambe, tenendolo con la schiena appoggiata al suo petto: -Ecco, alza il braccino-, gli disse e gli provò la febbre.

-Ci sai fare-, Adrien la guardava ipnotizzato.

-Anni di baby sitter a Manon Chamack, ricordi?-, le rispose piano la giovane, sentendo che il bambino si stava rilassando tra le sue braccia, -Anche tu ci sai fare, sei proprio bravo con lui-, ammise guardando imbarazzata fuori dalla finestra.

Il termometro emise dei brevi bip e Marinette lo sfilò cautamente da sotto l’ascella del bimbo: -Trentasette e nove… Piccolo…-, posò il termometro sul divano accanto a loro e passò una mano tra i capelli del bambino, che non aveva abbandonato un solo attimo il peluche regalato da Adrien.

-Pensavo fosse per Alya-, Marinette indicò il pupazzo.

-Ne avevo presi due, uno per Sun e l’altro, più piccolo, per Nino e Alya… è rimasto nello zaino, mi sa-, rispose Adrien, poi si avvicinò al fratellino e lo osservò: -Si è addormentato-, alzò gli occhi su Marinette che gli fece cenno di metterlo a dormire nel suo letto. Adrien piano piano lo sfilò dalle braccia della giovane per permetterle di alzarsi e la seguì fino alla camera.

-Ho le lenzuola pulite-, lo informò Marinette, alzando le coperte e aiutando a sfilare le scarpe al bambino, -Ecco, mettilo così-, gli sistemò il cuscino e lo coprì; Adrien si chinò sul fratellino e gli diede un bacio sulla fronte. Era così adorabile…

Un pensiero balenò nella testa di Marinette: e se Sun fosse stato davvero figlio di Adrien, che le sarebbe importato? Lui era tornato solo per lei e glielo aveva dimostrato… non sarebbe cambiato nulla se quella creatura fosse stata generata dal suo unico amore o da sconosciuti, nulla. Quello che contava era solo l’amore che Adrien dimostrava nei confronti del bambino e che aveva fatto capitolare Marinette.

Lasciarono la porta socchiusa nella camera e tornarono in salotto, facendo piano.

-A volte ha degli incubi, urla mentre dorme e si sveglia tutto sudato-, iniziò a raccontare Adrien, -Altre volte lo vedi che sta sognando, vedi che ha paura, ma non riesce a svegliarsi e quelle volte io soffro con lui. Ha visto più orrore e miseria Sunan in tre anni di esistenza di quanta ne vedremo mai noi in una vita intera-, guardò Marinette, -Per questo ho voluto portarlo via da lì, per questo vorrei che tu capisca che lui è importante per me-.

Marinette gli sorrise, sfiorando la punta di un suo dito e risalendo sul palmo della mano, disegnando ghirigori invisibili, in silenzio.

-L’ho capito perfettamente. E ho capito che siete entrambi due persone uniche-, intrecciò le dita a quelle di Adrien, -Potrete mai accettarmi assieme a voi?-, domandò abbassando lo sguardo, come un mendicante che chiede con timore e vergogna di poter entrare ad una mensa.

-Sciocca-, le disse Adrien e Marinette sentì un brivido scorrerle lungo la schiena, -Il cuore di Sun è grande, ha posto a sufficienza per accogliere nella sua vita tutta Parigi. Il mio è già tuo da quando ti ho conosciuta, mi manca solo che tu accetti questo fatto, perché io possa convincermi di averti finalmente ritrovata-.

Marinette sorrise con dolcezza: che calore, che tenerezza quelle parole! Che balsamo sulle ferite invisibili della sua anima, che sensazione! Allungò una mano al volto di Adrien e gli fece una carezza, soffermandosi sulla sua pelle.

-Ti amo Adrien Agreste, ti amo da sempre, ti ho amato per tutti questi anni e credo che ti amerò per sempre, che ti piaccia o no-, sussurrò sentendo quelle parole riempirla di un’energia nuova, infondendole pace nel momento stesso in cui aveva dato voce ai suoi più intimi sentimenti; -Ti amo e vorrei passare la mia vita insieme a te-, concluse avvicinandosi a lui, posando un lieve bacio sulle labbra rosse del suo amore e accucciandosi sul suo petto, perché lui la stringesse a sé intrecciando le braccia davanti a lei, mentre continuava a baciarle la testa e i capelli.

-Non andrò mai più via-, disse di nuovo, come quella mattina, -Perché tu sei la mia casa e tutta la mia vita-.

No, lui non avrebbe seguito le orme di sua madre, avrebbe lottato fino alla fine solo per rimanere accanto a Marinette. Per sempre.

-Ti amo-, sussurrò tra i suoi capelli, tenendola stretta al suo cuore.

Rimasero immobili abbracciati per un tempo non quantificabile, minuti che li ripagavano di mesi di separazione. Tante volte, negli anni, entrambi si erano chiesti come fosse possibile continuare a vivere rimanendo attaccati all’idea che avevano l’uno dell’altra, senza che i sentimenti si affievolissero, che il desiderio di rivedersi si spegnesse; tante volte si erano maledetti per quel tormento che non li abbandonava mai, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Il loro premio aveva valso l’attesa, quegli attimi di profonda unione li stavano iniziando a ripagare di ogni lacrima versata e di ogni pensiero disperato. Erano semplicemente venuti al mondo per stare insieme.

-Cos’era che mi dovevi spiegare?-, si rammentò dopo un po’ di tempo Marinette, riferendosi a quello che aveva detto Sunan quando erano arrivati a casa sua. Adrien soffiò dal naso, bloccando sul nascere una piccola risata: -Mio padre e Nathalie: pare che finalmente abbiano capito che sono fatti l’uno per l’altra-, rispose.

-Ah!-, Marinette fu sorpresa da quella rivelazione; sapeva quanto la donna soffrisse per il suo capo, ma non credeva che potesse davvero avere qualche speranza, -Raccontami-, si sforzò di non apparire troppo incuriosita.

-Si stavano baciando appassionatamente sul tavolo in cucina, prima… questo è il motivo per cui ho portato via Sunan e abbiamo chiesto asilo alla morettina più bella di tutta Parigi. E per i dolci che nasconde nella sua credenza, ovviamente-, la baciò ancora tra i capelli, sorridendo.

-Wow… Quando l’ho vista da Fu non mi sembrava in procinto di realizzare il suo sogno…-, rifletté Marinette, lasciandosi andare a qualche giudizio di troppo.

-Neanche la settimana scorsa, se è per questo!-, constatò Adrien, -Sono rimasto molto stupito anche io… e credo pure Nathalie, dal momento che quando mio padre è tornato e le ha dato un bacio sulla guancia è diventata di tutti i colori dell’arcobaleno!-

Marinette imbastì una breve risata, -Sembra che tutto stia andando al posto giusto-, osservò muovendosi dalla sua posizione per guardare Adrien negli occhi: -E noi due?-

Due lanterne azzurre fissavano Adrien alla ricerca della sua anima e di una consacrazione della loro condizione.

-Cosa intendi?-, il giovane assottigliò lo sguardo, perdendosi in quello della sua amata.

-Che cosa siamo, noi due?-

Adrien ci pensò, prese la mano della donna e la baciò, non riusciva a farne a meno; -Due pezzi di un puzzle che finalmente si sono ritrovati-, la guardò intensamente e si chinò sulla sua bocca. Fu un bacio lento e leggero come una lieve risacca che lambisce la spiaggia, senza muovere il fondo. L’acqua era limpida e la schiuma evanescente, e come l’acqua penetrava tra ogni granello di sabbia, così il sentimento che li univa permeava ogni loro cellula, facendoli sentire leggeri e liberi.

-Te l’ho già chiesto se volevi essere la mia ragazza, anni e anni fa-, riprese Adrien, -Ma forse te lo sei dimenticato…-, un altro bacio a fior di pelle, -Vuoi essere ancora la mia ragazza, Marinette?-

Lei sorrise sulle sue labbra  e sussurrò un sì piccino, -Vuoi diventare la mia fidanzata e la mia compagna, ora che siamo “grandi”?-, lui l’abbracciò, facendola sedere a cavalcioni delle sue gambe.

-Sì…-, Marinette non staccava la bocca dalla sua, tenendo stretto il viso tra le mani, per non farlo scappare mai più.

-Sei pronta a ricominciare insieme?-

-Sì…-, le labbra si fecero più audaci, il bacio più passionale, l’atmosfera più calda, le mani trepidanti.

-C’è Sunan di là…-, bisbigliò Adrien senza fermare il suo impeto.

-Credo che abbia già avuto la sua dose di sconvolgimenti, per oggi-, ammise Marinette e si allontanò dal suo viso, sprofondando con la faccia sul petto del ragazzo.

-Facciamo i bravi…-, le diede manforte lui, alzando lo sguardo al soffitto sperando di riuscire a calmare i bollenti spiriti il prima possibile.

-Facciamo i bravi-, gli fece eco Marinette e rimase su di lui, come un koala sul tronco di un albero, sazia eppure sempre più affamata. Sospirò, -Come dovrò comportarmi?-, gli chiese.

-In che senso?-, nella mente accaldata di Adrien presero forma immagini di Marinette nuda sul suo letto, che lo accoglieva tra le sue gambe e…

-Tu sei un VIP…-, che cos..?

L’immagine svanì con la stessa rapidità con cui si era formata: -Cosa c’entra?-, le domandò confuso.

-Io sono una ragazza normale e tu sei il VIP ritornato dopo anni di assenza, bello come il sole, splendido come un attore di Hollywood, chiacchierato più della Royal Family e… insomma, io che devo fare con te? Come lo devo fare?-, allontanò il viso da lui per guardarlo negli occhi: -Chloé ha già sbandierato a tutti i primi gossip su di te, in coda al bar le donne ne parlano… Non sei più un ragazzino protetto dall’ufficio PR della Maison, adesso sei un uomo sbattuto in prima pagina sui tabloid. Per me è una cosa strana… io non sono nessuna e non so come devo comportarmi. Ecco…-, si era fatta piccina, descrivendo il problema, piccina e invisibile.

-Io sono un uomo normale, continuerò a fare la mia vita normale, mi risparmierò di leggere quelle riviste e non accetterò mai che questi pettegolezzi possano inficiare la nostra vita futura-, le spiegò. E così anche a casa non era al sicuro dalle malelingue e dai curiosi…

-Sunan: tutti dicono che sia tuo figlio. Di te dicono che sei tornato “più bello di prima, più maschio di prima”... non che non sia vero, ma…-, arrossì, poi, punta nell’orgoglio, aggiunse: -Un maschio come te è difficile da nascondere se vogliamo andare a fare la spesa insieme o al cinema o al parco con il bambino o… crederanno che io sia la baby sitter, forse oppure la tua segretaria o...-, gesticolava e i suoi polsi furono bloccati da quelli dell’uomo.

-Allora sposami e mettiamo a tacere ogni cosa-, Marinette spalancò la bocca e rimase immobile a fissarlo con gli occhi sgranati.

***

Gabriel guardò l’ora sul comodino, aveva fame, ma era abituato a saltare i pasti. Si passò le mani sul viso, massaggiandolo per schiarirsi le idee. Dalla finestra filtrava ormai la poca luce del crepuscolo, segno che aveva dormito almeno un paio d’ore, d’altronde avevano passato la notte in bianco per Sunan. Era confuso… aveva agito d’impulso come non faceva da anni e dopo… dopo si era lasciato trasportare da qualcosa che non ricordava più cosa volesse dire. Si voltò: la schiena nuda di Nathalie si muoveva appena ad ogni respiro, d’istinto la coprì con il piumino per non farla raffreddare. Si sollevò su un fianco, reggendosi sul braccio piegato accanto a lei, poteva sfiorare la sua pelle calda e liscia. Nathalie… e pensare che anni e anni prima, quando lei era solo una giovanissima stagista e ancora Emilie non era entrata nella sua esistenza, aveva provato una fortissima attrazione per lei.

Ormai la sua vita era stata stravolta, sbriciolata, le sue speranze fatte a brandelli e gettate via. Emilie non c’era più, ma solo quella mattina, uscendo presto per comprare personalmente le medicine per il piccolo Sunan, si era fermato a riflettere in riva alla Senna. L’aria era fredda e il vento pungeva le mani e filtrava attraverso il cappotto troppo leggero. Aveva alzato il bavero ed era rimasto in ascolto dell’acqua che sbatteva contro le sponde in un ritmo ipnotico. Emilie… erano stati fidanzati per poco più di un paio d’anni, si erano sposati e negli anni seguenti lei era diventata sempre più evanescente, scomparendo piano piano come un dipinto lasciato sbiadire sulla facciata di una chiesa antica. Lei c’era, tornava, viveva con loro, ma la sua presenza era sempre più sfumata. Quanto aveva vissuto davvero il loro matrimonio? Quanto era stato coinvolto dalle ambizioni della donna e quanto lei aveva ascoltato le sue, i suoi progetti, i sogni? Ogni volta che aveva provato a renderla partecipe dei suoi successi o dei suoi dubbi, lei partiva.

Nathalie non si era mai allontanata, aveva vissuto per decenni nell’ombra della sua famiglia, e mai lui si era interessato a lei, mai aveva provato la curiosità umana di sapere cosa facesse fuori dal lavoro quella segretaria così diligente ed efficiente. Si era dimenticato della graziosa stagista quando nella sua vita era entrata Emilie, ma Nathalie era sempre rimasta al suo fianco, in sordina, in un angolo. In attesa.

La notte precedente l’aveva passata accanto a Sun, tenendolo stretto mentre lui piangeva e tossiva e bagnando e strizzando pezze di stoffa per fargli abbassare la febbre. -Ti do il cambio-, gli aveva proposto lui più volte, ma Nathalie, con un discreto sorriso e un cenno della testa aveva sempre detto che non importava, che ci poteva pensare lei. Ci pensava sempre lei, ci aveva pensato sempre lei a tappare i buchi, a far quadrare i conti, a organizzare la casa, il lavoro, la sua stessa esistenza. Sempre dal suo angolo silenzioso.

-Nathalie, è mio figlio ormai, posso darti il cambio!-, le aveva detto ad un certo punto, esasperato da quella abnegazione e deferenza e lei, leggera come una piuma, gli aveva risposto: -Stai accanto a me, allora: Sun non è mio figlio, ma gli voglio bene come se lo fosse. Per favore, non mandarmi via…-. Aveva mosso un passo fuori dall’angolo, aveva trovato il coraggio di essere se stessa anche senza l’impellenza di una magia o di una catastrofe imminente, come era successo sei anni prima, proprio in quella casa.

Erano rimasti insieme fino a che il pediatra non aveva risposto al telefono ed era arrivato a visitare il piccolo: -Non siate così apprensivi, vostro figlio ha solo un po’ di bronchite!-, aveva esclamato il dottore e Nathalie aveva fatto un passo indietro, era tornata nell’angolo, imbarazzata, lasciandolo da solo ad ascoltare la spiegazione della cura da seguire.

L’acqua della Senna veniva e tornava indietro e ogni volta si avvicinava sempre di più ad una linea disegnata sull’argine. “Ora la tocca”, aveva pensato Gabriel, perso in quel ritmo, “ora la tocca”, ma l’acqua non arrivava mai alla linea. Se n’era andato seccato da qualcosa che aveva iniziato a rodergli dentro. Nemmeno lui era mai riuscito ad arrivare a quella linea: era un padre, per Adrien, ma non poteva considerarsi un buon padre; era uno stilista famoso, ma non provava alcuna soddisfazione da ciò; era stato un marito devoto, ma sua moglie se n’era andata via. Solo Nathalie era sempre rimasta a vegliare su di lui, dal suo angolo. D’un tratto un brivido scaturito dal suo cuore l’aveva fatto bloccare in mezzo alla strada: era Nathalie la sua linea, lo era sempre stata e lui non l’aveva mai capito. Lei era la linea dritta che aveva segnato ogni momento della sua vita, c’era sempre stata, non lo aveva mai abbandonato, anche quando aveva scoperto che era Papillon, anche quando l’aveva cacciata via, in Cina, perché non sopportava più che qualcuno lo vedesse soffrire e perdere la ragione. D’un tratto quel brivido si era allargato alle mani e alle gambe e aveva portato una leggera sferzata di elettricità: a chi riferiva per primo ogni dubbio, problema, successo? A chi si rivolgeva ogni volta che aveva bisogno di un consiglio, un aiuto o solo per non sprofondare nel silenzio? Chi era che l’aveva seguito in capo al mondo e ritorno, senza mai usare il suo potere per distoglierlo dalla sua crociata? Sempre e solo lei.

Il suo sguardo cadde in basso: per terra, sottile in mezzo alla strada, avevano tracciato una riga lunga e sottile per segnare il percorso di una gara podistica. Seguì quella linea fino a casa, accelerando il passo, con il cuore che martellava come risvegliato da decenni di coma.

-Sono tornato-, aveva detto spezzando il silenzio della casa.

-Shh! Svegli il bambino!-, l’aveva ripreso lei, uscendo dal cono d’ombra dell’angolo in cui si era seduta, sulle scale. Era esausta e stropicciata per la notte passata in bianco.

-Ho l’antibiotico-, aveva annunciato lui, con il cuore che continuava a galoppare.

-Lo prenderà quando si sveglia-, si era imposta lei, senza timore, -Ora è meglio che riposi-

-D’accordo-

-Ha chiamato Adrien, voleva sapere di Sun. È a casa di Marinette… Gli ho detto che non c’è fretta di tornare…-, aveva piegato il capo, guardandolo a braccia incrociate: non avrebbe ammesso repliche.

Lui aveva annuito senza dire nulla, gli era passato accanto e si era soffermato a guardarla negli occhi, quindi si era chiuso nel suo studio. Aveva bisogno di riflettere su cosa era diventato e cosa rappresentasse Nathalie per lui.

Gabriel si chinò sulla donna e posò un bacio leggero sulla spalla che ancora spuntava dalla coperta, lei si mosse e nel sonno si voltò verso di lui, mostrandogli il volto disteso e il petto nudo. Una mano sotto al cuscino, l’altra abbandonata accanto a lui. Mosse le labbra, tirò su le gambe rannicchiandosi in posizione fetale. Avevano fatto l’amore e quello che lui aveva provato era stato qualcosa di unico e diverso. Si era sentito compreso come non mai, aveva sperimentato quanto il desiderio si stesse scontrando con il senso del dovere e quel pudore che aveva sempre contraddistinto Nathalie. Si era lasciato amare, baciare, toccare, erano stati abbracciati in un mistero che ad ogni sguardo trapelava dagli occhi increduli e lucidi della donna.

-Non è possibile-, l’aveva udita sussurrare per un istante, mentre lui affondava dentro di lei e lei, con lo sguardo appannato, allungava le braccia, per stringerlo a sé, perché voleva essere un’unica cosa con l’uomo che amava.

E alla fine l’aveva baciato, sfatto, stanco, anch’egli incredulo e appagato. L’aveva baciato su uno zigomo e sul petto e si era rannicchiata al suo fianco rimanendo stretta a lui finché non si era mosso, sfilando il braccio su cui lei era appoggiata, perché si era informicolato.

-Scusa-, aveva balbettato Nathalie spaurita, scattando verso l’altra metà del letto, coprendosi con le coperte. Si era messa di nuovo nell’angolo, d’un tratto consapevole di quel che era successo.

-Scusami tu-, le aveva risposto, -Scusa se ci ho messo così tanto tempo a capire che tesoro ho sempre avuto accanto-, e aveva aperto le braccia, per farla tornare da lui.

-Nathalie-, la chiamò piano, dispiacendosi perché la stava svegliando. La donna aprì piano gli occhi blu, li sbatté, tentò di mettere a fuoco quello che aveva davanti al viso, li spalancò, poi rammentò e si aprì in un sorriso.

-Gabriel…-, la gioia nel pronunciare quel nome, in quel momento, vicina a lui.

-Nathalie… quando deve riprendere l’antibiotico Sun?-, l’uomo piegò le sopracciglia, scusandosi per la domanda necessaria, seppure fuori luogo. Lei parve recuperare in un istante il suo piglio da segretaria: -Alle quattro e mezzo: che ore sono?-

-Le cinque…-, si rizzarono entrambi contemporaneamente a sedere nel letto e si guardarono strizzando entrambi appena gli occhi, un sottile terrore nei loro sguardi.

-Ma è con Adrien!-, constatò Nathalie, allungando una mano verso il comodino, dove aveva lasciato i suoi occhiali qualche ora prima.

-È uno sciagurato, l’ha portato via e il bambino sta male!-, si adirò Gabriel, a sua volta inforcando i suoi occhiali.

Per terra, da qualche parte nella stanza in penombra, il cellulare dell’uomo ricevette un messaggio e vibrò. Lui si alzò e cercò a tastoni l’oggetto, noncurante del suo essere nudo.

Sono tornato a prendere la medicina per Sun:

quanta e quando devo dargliela?

Firmato: Chat Noir

>^_o_^<

L’uomo scosse la testa e sorrise: in fondo andava tutto bene, bastava non essere genitori apprensivi.

***

-Aem! Aem chaoyusai!-, un leggero tonfo e passettini leggeri.

Adrien drizzò le orecchie e si sollevò sorreggendo per le braccia Marinette, ancora sopra di lui e incredula per le sue parole; -Pho!-

-Sunan!-, esclamò la giovane, levandosi per permettere ad Adrien di correre dal fratello, che piangeva.

-Aem! Aem chaoyusai…-, Adrien lo trovò sulla porta della camera, in piedi e scalzo e lo prese in braccio portando il visino davanti al suo: -Ya kangvon, Sunan. Khoni yuthini…-

Abbracciò il bambino portando una mano alla sua nuca e infilando le dita nel colletto della maglia del piccolo.

-Mi sembra che scotti-, informò Marinette, che li fece sedere sul divano e riprese il termometro.

-Trentotto e sette, sta salendo… Che medicine deve prendere? Io… io non ho nulla, non mi sono organizzata e… non ho idea di cosa… forse il doliprane oppure...-, si sentiva in colpa! Accidenti, non poteva aver pensato a qualcosa del genere quando aveva traslocato?

-Tranquilla, Marinette! Lo so che non hai una farmacia in cantina… non serve. Adesso chiamo Nathalie e poi vediamo come fare-, dicendo così le passò il bambino che aveva gli occhi lucidi e continuava a dire quelle parole sconosciute.

Adrien, davanti a loro, misurava a grandi falcate il salotto, aspettando una risposta dall’altra parte.

-Niente, non lo sente-, dichiarò chiudendo la chiamata, -faccio un salto a casa mia e prendo quello che serve, ci metterò pochissimo-, le fece l’occhiolino e corse a nascondersi in bagno, perché il piccolo non assistesse a quel che voleva fare. Un bagliore filtrò da sotto la porta chiusa, ma il bambino non se ne accorse, intento a toccare una ciocca dei capelli di Marinette.

-Chao panaem khongkhony bo?-, mugolò sul suo collo mentre Chat Noir, silenzioso, sgattaiolava fuori dalla finestra e, balzando di tetto in tetto, si dirigeva verso Villa Agreste.

Marinette non capiva nulla, ma sapeva che doveva solo parlare al piccolo col cuore. Lo tenne stretto a sé, lasciando che si accucciasse come meglio voleva e iniziò a sussurrare una dolce ninna nanna per calmarlo, passandogli la mano sulla schiena in un susseguirsi di carezze. Il piccolo si spostò meglio e affondò il viso sotto al suo collo, lasciando che il battito del cuore di Marinette lo calmasse.

-Piccolo amore…-, bisbigliò lei, provando una sensazione inusuale e travolgente. Adrien era tornato portando con sé quel fagotto di una dolcezza estrema, aveva rischiarato come un’alba la sua grigia esistenza e aveva aggiunto il colore di quegli occhi neri e luminosi.

-Marritett!-, Sun provò a dire il suo nome, alzando la testa verso di lei.

La giovane sorrise e lo aiutò: -Ma-ri-nette-, scandì il suo nome e il piccolo lo ripeté, rotolando sull’ultima sillaba.

-Mari...rette, ho sete-, le disse e si lasciò mettere seduto come un soldatino sul divano, in attesa di un bicchier d’acqua; Marinette tornò con due bicchieri: -Questo è per Sun-, gli disse, aiutandolo a bere, -E questo è per Mr Pandy-, spiegò, avvicinando un bicchiere vuoto al muso del peluche. Sun rise e, anche se tossì subito dopo, sembrava essere spuntato il sole nella stanza.

Tre colpetti veloci alla finestra sul terrazzo avvisarono che Adrien cercava di farsi aprire.

-Brrr…-, entrò strofinandosi tra loro le mani; legato a un polso aveva un sacchetto con svariate scatole all’interno: -Non ho osato domandare… ma ho scritto un messaggio a mio padre, spero lo legga. Prima o poi… Questi li ho trovati sulla credenza in cucina credo siano tutti per lui-, si sedette accanto alla donna e insieme analizzarono i vari flaconi di sciroppi.

-Cefpodoxim…, mi sa che è l’antibiotico-, asserì Adrien.

-Doliprane: guarda, c’è la posologia per peso. Quanto pesa?-, il giovane rispose alzando le sopracciglia, non ne aveva idea; -Ma dai Adrien, è tuo fratello! Non sai quanto pesa?-, lo apostrofò bonariamente.

-Non so quanto peso io, che vuoi che ne sappia quanto pesa lui!-, rispose piccato; -Comunque, poi ci sono le fialette dei fermenti lattici e questo: Petit Drill, per la tosse-, lesse l’etichetta: -È naturale, questo penso possa prenderlo senza problemi…-

-Ma se gli diamo il Doliprane sarà meglio aspettare un po’, non trovi?-, obiettò Marinette.

Stavano affogando in un bicchier d’acqua, alle prese con qualcosa di assolutamente più complicato di affrontare un mostro akumizzato.

-No, è meglio se prima prende questo, non senti quanta tosse ha?-

-Ma dobbiamo fargli scendere la febbre!-

Il telefono vibrò tra le mani di Adrien. -Pronto, Nathalie-, rispose avendo visto il nome del chiamante; -Nathalie aiutaci che non sappiamo che pesci prendere! No, non occorre che veniate… NO, lo so fare da solo. Dimmi solo che devo dargli-

Marinette alternava gli sguardi tra Adrien, tutto preso dallo scrivere su un post it cosa e come doveva fare per aiutare il suo fratellino e il bambino, che continuava a far bere per finta il panda e, ogni tanto, tossiva fortissimo.

-Grazie… ciao-

Adrien passò a Marinette il foglietto: quella calligrafia… la giovane sussultò correndo con la mente alle lettere che aveva gelosamente conservate in un nascondiglio sicuro, e si dedicò al contenuto.

-Ok: quindi subito antibiotico e paracetamolo e più tardi quello per la tosse. Ok…-, leggendo si era alzata per preparare le medicine, dalla cucina chiese a gran voce se Adrien si fosse informato sul peso del bambino.

-Ne deve prendere cinque millilitri-, fu la risposta e, alzando gli occhi al cielo, si domandò come facessero gli uomini a vivere senza conoscere dettagli fondamentali su chi stesse loro vicino.

Marinette coprì Sun con la sua coperta e gli mise in mano un macaron al cioccolato, mentre Adrien accendeva la TV su un canale per bambini, -Vedrai che tra un po’ starai meglio-, disse al piccolo e fece un cenno all’uomo di seguirla in cucina.

-Lo metto nel frigo-, gli fece presente, sventolando davanti al suo naso la scatola dell’antibiotico. Adrien annuì e si versò dell’acqua. Sunan lo aveva interrotto nel momento più importante degli ultimi sei anni della sua vita e non sapeva come trovare il coraggio per riprendere quel discorso. Pregò che fosse Marinette a tornare sull’argomento, ma la giovane mise su l’acqua per il tè e si sedette al tavolo.

-È veramente un amore-, confessò, parlando del bambino, -Prima mi ha detto qualcosa nella sua lingua, ma non ho capito…-, si strinse nelle spalle.

Adrien si sedette davanti a lei, -Ricordi cosa ti ha detto?-; Marinette ripeté il gesto, -No… forse qualcosa come “Ciao panam bo”?-, provò a ricordare.

-Chao panaem bo…-, Adrien sorrise dolcemente: -Ti ha scambiato per sua madre, forse…-, le spiegò, vedendola arrossire, imbarazzata.

-Lo fa anche con Nathalie, la chiama mamma e ne ha ben ragione, visto come si è occupata da subito di lui e gli si è affezionata, ma nel tuo caso… credo che abbia visto in te i lineamenti orientali che gli hanno davvero ricordato la sua vera mamma-, spiegò.

-Sarà stato per la febbre-, tagliò corto la donna e preparò il tè, versando sul filtro l’acqua bollente.

Fuori era buio e presto sarebbe arrivata l’ora di salutarsi: -Dovresti riportarlo a casa sua-, disse semplicemente. Adrien concordò con un cenno della testa, -Ti abbiamo disturbata a sufficienza, per oggi: perdonami-, un’idea balenò per la prima volta nella sua testa: -Forse avevi degli impegni e io… Non ci ho pensato, scusami-

Marinette rise con delicatezza: -Ma quali impegni? Adesso poi, che Alya e Nino sono fuori dai giochi, che impegni dovrebbe avere una zitella come me, di domenica pomeriggio di inizio dicembre?-

Adrien scosse la testa, cosa c’era che non andava nella percezione che aveva di se stessa la sua meravigliosa Marinette?

-E di lunedì mattina, che impegni hai?-, le domandò a bruciapelo.

-Io… avrei il corso di taglio…-, Marinette serrò i denti, abbozzando un sorriso sforzato, -E dopo quello di disegno dal vero e…-

Adrien incrociò le braccia sul petto: -E…?-

-E dopo avrei promesso a mia mamma di andare insieme al centro commerciale che hanno aperto verso il Bois de Boulogne e…-

-E…-

-E alle sette dovrei andare da Alya a parlare dei loro abiti per il matrimonio e…-

-E…!-, iniziavano ad essere troppi impegni, accidenti!

-E dopo avevo pensato di andare al cinema…-

-Da sola!?-, domandò Adrien, allargando le braccia davanti a sé.

-E con chi?-, Marinette abbassò lo sguardo sulla sua tazza di tè: quella era stata la sua vita fino ad allora. Sollevò di nuovo la testa e guardò Adrien: -Sai cosa?-, iniziò con tono mutato, -Ti aspetto qua da me domattina verso le nove, andiamo insieme a fare colazione al bar, e poi facciamo quello che ci pare: che ne dici?-

Adrien allungò le braccia verso di lei e la guardò in tralice: -Per me va bene, ma non so che idee avesse Chat Noir…-, sorrise sornione e si alzò: -Sunan, iniziamo ad andare a casa, che tra non molto è ora di cena-, avvisò il fratello.

Quando rimase da sola, Marinette lasciò accesa la TV sui cartoni animati e si rannicchiò sul divano: la casa era vuota, senza di lui e gli schiamazzi di Sun… si fermò un attimo a riflettere quanto la sua vita fosse cambiata in meno di una settimana, dopo anni di stasi. Avrebbe dovuto assolutamente avvertire sua mamma di quello che era successo, glielo doveva, dopo aver compreso quanto la donna si fosse rammaricata per non aver combinato un incontro tra lei e Adrien, quando si era presentato in pasticceria. Forse era stato meglio così: le cose erano andate, spontaneamente, senza programmi.

Sfilò di tasca il telefono e compose il numero di casa, sperando che fosse proprio lei a rispondere. Tentennò non poco nel dare la notizia alla donna, che l’aveva mitragliata di domande sulla festa e se si fosse stancata a risistemare da sola.

-Mamma, Adrien è venuto da me-, le disse ad un certo punto e il silenzio dall’altra parte la turbò. Forse la sua famiglia non avrebbe accettato un riavvicinamento con lui, dopo tutto quello che era successo, invece fu sorpresa dalla dolcezza con cui la madre accolse la notizia: -Sapevo che l’avrebbe fatto… Marinette, non pensare più al passato, hai una vita meravigliosa da vivere. Fallo con lui, è quello giusto-, le disse, -Vorrei poterti abbracciare-, aggiunse, -Ma sto cucinando e…-

-Posso venire a cena a casa?-, domandò la figlia, che non vedeva l’ora di fare altrettanto.

-Ma certo, puoi sempre venire a casa tua, ogni volta che lo vorrai e senza mai domandarlo-, rispose la donna e fu sicura che Marinette li avrebbe raggiunti in un baleno.

La giovane spense la TV, si sgranchì le gambe e chiamò Tikki.

-Ti va di tornare a prendere la tua casa delle bambole?-, le domando facendo l’occhiolino, e si trasformò in Ladybug.

Prima di spegnere le luci e chiudere casa, scrisse un post it e lo attaccò al vetro della finestra, dopo uscì in terrazza e con un balzo scomparve tra i tetti di Parigi.

***

NOTE:

Prima che lo scriva qualcuno di voi, me lo scrivo da sola: NESSUNO PUO’ METTERE NATI IN UN ANGOLO!!!

Toh! (qua ci dovrebbe essere un fotomontaggio, ma non so metterlo, quindi se lo volete vedere, cercatelo su wattpad: https://www.wattpad.com/670939431-oltre-capitolo-32-drops-of-life

Ahahahahah!!!

Seconda di pooooiiii… non odiate il piccolo Sun per il momento che ha interrotto… mica pensavate che dopo 32 capitoli vi servissi così sul piatto d’argento tutto e subito!

Pazienza che… arriverà quel che deve arrivare!

Ciaociaociao… chao!

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - You're mine ***


Capitolo 33 - You’re mine

 

 

Il post-it era ancora dove Marinette l’aveva lasciato prima di andare a cena dai suoi; guardò l’orologio, era quasi mezzanotte, forse Chat Noir sarebbe passato da lei più tardi. Entrò in casa e sciolse la trasformazione, lasciando che Tikki si rifocillasse ancora con qualche biscotto. Dalla sua vecchia camera, Marinette aveva preso la casa delle bambole di quando era bambina, quella in cui la kwami aveva fatto da anni la sua piccola casa: -Dove preferisci che te la sistemi?-, domandò all’amica volante.

Tikki si avvicinò pensierosa alla sua umana: visti gli ultimi sviluppi, forse avrebbe preferito non avere il suo rifugio in camera di Marinette, d’altronde, data la presenza già confermata del bambino, anche andare a colonizzare per prima la stanza lasciata vuota le sembrava pretenzioso: -Nella serra, così controllo i tuoi lavori-, rispose all’amica, tanto, in ogni caso, avrebbe potuto raggiungerla dentro in un batter d’occhio.

Marinette la guardò contrariata: -Ti vuoi mettere fuori, come un cane o un gatto!?-, osservò piegando la fronte.

-Di gatti credo tu ne abbia già uno e non credo di somigliare a un cane-, rispose la kwami a denti stretti: -Andrà bene nella serra-, ribadì e Marinette aprì ancora la porta finestra per trasportare la casetta dove la sua proprietaria aveva richiesto. Nell’attraversare la terrazza si guardò attorno, scrutando la notte: forse Chat Noir era ancora impegnato, l’avrebbe raggiunta più tardi, cercò di convincersi.

Rientrò in casa e si accucciò sul divano sotto alla coperta, per guardare un po’ di TV: erano successe troppe cose in ventiquattro ore e, anche se dormire sarebbe stata la scelta migliore, il suo cervello doveva ancora realizzarle tutte e un programma di cucina sarebbe stato l’ideale per riflettere. O addormentarsi.

 

Adrien le aveva chiesto di sposarla.

Vero che la domanda era passata in secondo piano nel momento stesso in cui l’aveva posta, sia per come ci era arrivato, sia per le urla di Sunan, ma Marinette era certa di avergli sentito pronunciare qualcosa che, senza ombra di dubbio, sembrava una proposta di matrimonio.

Era la seconda che riceveva in vita sua e indubbiamente l’unica alla quale avrebbe voluto e dovuto rispondere di sì: ma avrebbe davvero potuto? Era una domanda reale o scaturita dal contesto?

La giovane si trovò a riflettere su come per Adrien la vita in prima pagina fosse bene o male un qualcosa di assodato fin dalla sua prima infanzia. In fondo era il figlio di due personaggi pubblici e ancora prima che per il suo aspetto e la sua professione, era stato da sempre abituato a condividere le sue cose personali con mezza Francia e un’altra metà di mondo. Lei non avrebbe potuto in nessun modo invertire quella tendenza, né in realtà sentiva di averne il diritto: se aveva in mente di condividere la sua vita con Adrien, avrebbe dovuto accettare che lui non era un uomo come tutti gli altri, ma qualcuno che l’avrebbe portata con sé sotto i riflettori.

 

In TV il cooking show che stava seguendo era ormai finito e stavano scorrendo i titoli di coda: aveva passato almeno un’ora rubata al sonno a rimuginare nel dormiveglia su cosa l’avrebbe attesa e in definitiva l’unica risposta reale che poteva darsi era che non gliene sarebbe importato poi molto. Lei voleva solo poter passare la sua vita insieme ad Adrien. Tikki, sistemata la sua casetta, entrò passando attraverso la finestra chiusa e si andò ad acciambellare come un gatto sulle gambe di Marinette: -Non dormi?-, le domandò sbadigliando. La ragazza sospirò: forse Chat Noir sarebbe arrivato e non aveva intenzione di perdere tempo prezioso facendosi trovare addormentata; -Vorrei trasformarmi di nuovo e andare a Villa Agreste-, ammise, abbassando lo sguardo. Tikki annuì: non sembravano esserci più problemi con Papillon e quindi una visita notturna alla casa del giovane non avrebbe dovuto trasformarsi in qualcosa di pericoloso. -D’accordo-, disse alla ragazza e attese di essere richiamata all’interno del suo Miraculous.

 

 

La notte era fredda e tirava un vento sottile da nord, presto sarebbe arrivato l’inverno, quello vero, con cieli tersi, giornate cortissime e una grande voglia di rintanarsi in casa davanti al camino. Il grande camino di Villa Agreste, troneggiante nella sala da pranzo, non accoglieva nessun fuoco, quella notte, e nella silenziosa casa tutto sembrava immobile. Ladybug si fermò davanti all’ingresso: non avrebbe suonato per farsi aprire, ovviamente, ma per un attimo qualcosa dentro di lei aveva urlato perché quella non fosse più una situazione sopportabile. Papillon era ormai solo un ricordo, Le Plume Bleu e il suo subdolo potere non l’avrebbero più irretita e nessuno avrebbe più cercato di rubarle gli orecchini; eppure era di nuovo in modalità ninja per cercare di incontrare il suo amore, proprio come anni e anni prima. Sbuffò sentendosi d’un tratto soltanto una sciocca donnicciuola incapace di attendere l’arrivo del suo uomo e, lanciato lo yoyo, decise di farla breve e irrompere silenziosamente in quella che era stata la camera di Adrien.

Aprì piano piano la finestra dall’esterno e, nella penombra silenziosa, riconobbe ogni dettaglio di quella che era stata la stanza delle meraviglie e dei suoi sogni, quando era alle prime armi con il suo potere e agli esordi della colossale cotta che aveva avuto per il giovane Agreste. Il divano, la TV, i videogames e l’angolo con il computer erano rimasti immutati negli anni, così come all’apparenza sembrava essere rimasto tutto uguale sul soppalco. Ladybug entrò scivolando come una gatta senza far rumore e percorse i pochi metri che la separavano dal grande letto di Adrien trattenendo il respiro. Quello che vide le aprì il cuore e la fece sospirare rumorosamente: Adrien dormiva supino con un braccio sollevato sul cuscino e, quasi fosse stato un peluche abbandonato sul suo fianco, Sunan lo abbracciava tenendo una gamba su quella del grande nuovo fratellone. La zazzera nera gli copriva gli occhi, accanto a lui c’era Mr Pandy. La giovane si avvicinò a loro e li coprì delicatamente con le coperte scivolate giù dal letto. Sunan si mosse aggrappandosi di più ad Adrien e lui voltò appena la testa. Ecco perché Chat Noir non l’aveva raggiunta: un gattino dolce e malaticcio l’aveva letteralmente inchiodato nel suo nuovo ruolo. Ladybug si chinò sul giovane e posò un bacio leggerissimo sulle sue labbra, quindi, silenziosa come era arrivata, scivolò via nella notte di Parigi e, in poco tempo, fu di nuovo al caldo della sua nuova casa.

Disse a Tikki che andava tutto bene e che le avrebbe fatto piacere se quella notte la kwami avesse voluto farle compagnia nel lettone; si preparò, indossò calzettoni pesanti e un vecchio pigiama e si infilò sotto le coperte fredde. Avrebbe preferito avere un compagno a tenerle caldo, ma era decisamente giusto così. Aveva ventidue anni e una vita davanti, avrebbe fatto ogni passo al momento giusto, non un attimo prima e, in quanto alla domanda di Adrien, avrebbe atteso che glielo proponesse di nuovo, in fondo non c’era fretta più per nulla.

Tikki attese che Marinette si fosse addormentata e scappò via dal suo abbraccio: finalmente anche lei aveva una sua casa in un ambiente privato e se la sarebbe goduta alla grande. Passò dalla cucina, fece scorta di cibo e bevande e andò a casa.

 

 

 

***

 

-Gabriel, ho in linea Madame Cheng… te la posso passare?-, la voce di Nathalie proveniente dall’interfono, d’un tratto, gli parve così innaturale: doveva rivalutare anche quella cosa, visti gli ultimi sviluppi. Rispose affermativamente, era il caso di affrettare ogni questione che avrebbe potuto procrastinare ancora le spiegazioni e le rivoluzioni che aveva a lungo ponderato durante la notte.

La madre di Marinette voleva informarlo che “aveva fatto un ottimo lavoro con il suo ragazzo” e che, conseguentemente, “anche loro erano felicissimi della piega che sembrava aver preso la situazione tra Marinette e Adrien”. Gabriel la liquidò senza entrare in dettagli, ripetendosi che avrebbe dovuto assolutamente parlare con il figlio: era stato egoista a non aver voluto mostrarsi  ancora aperto con lui e realmente felice di come le cose stessero andando. Aveva anche diverso lavoro da sbrigare, doveva portare Sun dal pediatra per il controllo e prepararsi per la conferenza stampa del giorno dopo, dove sarebbe stato affrontato, tra gli altri, il discorso concernente il loro ritorno in patria e, conseguentemente, la loro lunghissima assenza.

Mise giù la cornetta del telefono e sfilò gli occhiali, massaggiandosi la radice del naso: erano appena le otto e mezza di mattina e già era oberato di cose da fare, si sentiva schiacciato dal peso di molte questioni irrisolte e decisamente aveva bisogno di altro caffè.

Tre colpi veloci alla porta annunciarono l’ingresso di Nathalie: aveva in una mano un vassoio con una tazza di caffè e, sotto l’altro braccio, il suo immancabile tablet; vestita e acconciata come sempre, dietro le lenti azzurrine nascondeva uno sguardo impassibile, come se con un colpo di spugna fosse tornato tutto a sei anni prima. Si avvicinò alla scrivania e posò la tazza davanti all’uomo, ma, diversamente da ogni volta, non attese alcun segnale e si sedette di fronte a lui, frapponendo tra loro il tablet acceso. -Il pediatra è alle undici e trenta, Sun ha già preso l’antibiotico stamattina, Adrien sta ancora dormendo: era esausto. In merito ti consiglio di chiedergli qualcosa… almeno circa il suo ritorno a Parigi... -, la donna alzò lo sguardo, no, decisamente non era impassibile, -Sun mi ha detto che “Adrien ha mangiato la faccia a Maritette” e che quella “signora” gli piace molto perché sa fare le coccole e gli ha dato una torta buonissima: che ne dici di invitare qua la Signora Maritette, una sera di queste?-, gli fece un occhiolino e sorrise, un istante dopo riprese il suo piglio organizzativo ed elencò tutti gli impegni lavorativi della giornata.

Gabriel constatò di aver smesso di ascoltare le parole della sua segretaria dopo “la conf-call delle 12.45 con Tokyo”: la guardava parlare con la solita professionalità e, ad ogni movimento della sua bocca, ad ogni piccolo gesto delle mani, la sua testa tornava prepotentemente a quello che era accaduto il giorno prima tra loro. Una mano di lei corse al viso, svelta spostò dietro l’orecchio un ciuffo di capelli scivolato sugli occhi, l’altra rapida scorreva sul calendario aprendo le note sul tablet; stava seduta con le spalle leggermente in avanti, ogni tanto alzava lo sguardo su di lui e lo guardava da sopra le lenti, parlava e parlava…

-Gabriel, hai sentito?-, il tocco della mano di Nathalie sulla sua lo destò dalla trance in cui stava galleggiando, -Va tutto bene?-, gli chiese la donna.

Lui la guardò spaesato per un istante, rimise gli occhiali e bevve d’un sorso il caffè ormai tiepido: -Passiamo dalla pasticceria dei genitori di Marinette, di ritorno dal dottore: voglio comprare della torta buonissima per noi-, disse alla donna, che sbatté le palpebre sollevando involontariamente gli angoli della bocca all’insù.

-E va svegliato Adrien, deve raccontarmi tutto, sono stato egoista a non occuparmi anche di lui ieri sera a cena… Continuo a sbagliare, con lui…-, si avvicinò con il busto verso Nathalie: -Aiutami tu, per favore-, le chiese, -E… un’altra cosa…-, si tirò indietro sulla poltrona, unendo le mani all’altezza dello stomaco: -Dove hai dormito stanotte, Nathalie?-

La donna sbatté più volte le palpebre: -A casa mia… perché?-, domandò in risposta. Aveva sbagliato a fare quello che aveva lasciato che accadesse con il suo capo… Lo guardò mentre si alzava e, girando attorno alla scrivania, si fermò dietro di lei. Posò le mani sulle spalle e si chinò fino al suo volto: -Perché c’è qualcosa di cui vorrei parlarti…-, le bisbigliò nell’orecchio e, in un soffio, si avvicinò fino a posare un bacio sulla sua guancia.

 

 

 

***

 

Il cellulare vibrò ignorato sul comodino e si spense: non era stato messo in carica la sera prima ed era giunta la sua ultima ora, per quella mattina. I colpi alla porta accompagnati dalla voce di Nathalie non lo sfiorarono nemmeno; non si accorse di Plagg, che cercava di svegliarlo tirandogli i capelli e rimase incosciente quando qualcuno si sedette sul letto, vicino a lui.

Adrien non dormiva così profondamente da troppo tempo. L’ultima volta che aveva guardato suo figlio dormire, pensò Gabriel, forse risaliva all’epoca della scuola primaria, una volta che aveva voluto sorprenderlo con le mani nel sacco, disteso sul divano con la TV ancora accesa. Era identico ad allora: bello come il suo angelo personale, indifeso, dolce come quando era ancora un neonato, solo più alto, molto più alto e molto più adulto.

-Adrien-, lo chiamò piano, indeciso se svegliarlo o meno. Solo una cosa avevano carpito lui e Nathalie la sera prima, cioè che aveva un appuntamento alle nove di mattina da Marinette Dupain Cheng… -Adrien, sono le nove meno un quarto…-, riprovò a svegliare il ragazzo, senza risultati.

-Monsieur Agreste, perdonnez-moi…-, Plagg, con estrema gentilezza, chiese al padre di Adrien di allontanarsi per un istante e si avvicinò al giovane: -NATHANIEL KURTZBERG STA ENTRANDO IN CASA DI MARINETTE PROPRIO IN QUESTO MOMENTO!!!-, urlò con quanto fiato aveva in gola dritto nell’orecchio di Adrien e, non contento, appena il ragazzo si tirò su con faccia spiritata e sguardo assassino, lesto gli infilò in bocca una fragrante fetta di camembert stagionato venti mesi.

Gabriel si godette la scena a braccia incrociate al petto, mollemente appoggiato alla porta socchiusa.

-PLAAGGG!!!-, sputacchiando il formaggio e pulendosi la bocca con il dorso della mano, Adrien si rese conto di avere una piccola folla ad ammirare il suo risveglio, quasi fosse stato la nuova Maria Antonietta di Francia. Oltre a Plagg, che se la rideva battendosi le manine sulle zampe, c’erano suo padre e Nooroo, che, per la prima volta dopo secoli, stavano ridacchiando.

-Adrieeeeen!!!-, ecco anche Sun, strillante dal corridoio: appena fece il suo ingresso nella stanza del fratello, i due kwami si nascosero alla sua vista. Il bambino saltò sul letto: -Farai tardi da Maritette!-, gli strillò in un orecchio; Gabriel, avvicinandosi per acciuffarlo, ribadì il concetto: -Sono le nove meno dieci…- e fece l’occhiolino a suo figlio.

-Adesso lasciamolo solo, Sun, saluta Adrien, lo rivediamo più tardi…-, suggerì l’uomo al bambino e lo portò via dalla camera di Adrien: si sarebbe trasformato in Chat Noir, per fare prima, era abbastanza semplice, quindi portò il piccolo lontano da lì. Era ancora piccolo per venire a conoscenza di certi segreti e forse sarebbe stato il caso addirittura che non li scoprisse mai, almeno lui.

 

 

 

***

 

Quando Chat Noir bussò alla sua finestra, Marinette stava allacciandosi gli stivali, seduta sul letto in camera sua; fu Tikki ad avvertirla che il giovane ritardatario era finalmente arrivato. La ragazza lasciò perdere la seconda stringa e corse ad aprire al supereroe preferito.

-Sono in ritardo, perdonami…-, si scusò il giovane immediatamente, sciogliendo la trasformazione e lasciando che Plagg raggiungesse la sua amica kwami nell’altra stanza.

Marinette si avvicinò arrossendo, -Non preoccuparti-, gli disse, constatando quanto la versione in pelle dell’uomo che amava la facesse immediatamente sciogliere in un bagno di emozioni.

-Vuoi un caffè?-, gli domandò, osservando l’espressione vagamente arruffata del biondo.

Decisero che avrebbero fatto colazione insieme fuori, al primo bar che avesse avuto qualcosa di interessante da offrire loro; -Ti va di andare a fare una passeggiata?-, gli chiese ancora la giovane, sforzandosi di vincere la sua paura per i paparazzi che probabilmente avrebbero incontrato lungo la loro strada.

Adrien tirò su il bavero del giaccone e Marinette gli infilò sulla chioma vistosa un cappello di lana scuro a righe, che lo mascheravano abbastanza bene; a sua volta lei indossò un piumino pesante e un berretto con un pompom in cima.

-Andiamo-, gli disse prendendolo sottobraccio e insieme uscirono sulla strada già trafficata.

 

 

Le uniche volte che Marinette era stata in giro senza una meta, a inizio dicembre, era stato con Alya, andando a cercare i regali di Natale per parenti e amici, ma non era mai stata veramente libera di godersi l’aria fredda e quell’atmosfera che nascondeva il fermento delle festività ormai prossime. Quell’anno avrebbe dovuto vedersela da sola con la preparazione dell’albero di natale e di tutte quelle cose che andavano fatte, o almeno era quello che aveva pensato fino a quel momento: avere Adrien accanto a sé che camminava alla sua velocità trattenendole la mano intrecciata alla sua, nascoste nella tasca della sua giacca rendeva ogni pensiero e ogni prospettiva completamente diversa.

Erano in imbarazzo, non sapevano cosa fare o dove andare, le direzioni da prendere erano molte, ma la meta non c’era per nessuna di esse: erano loro stessi la meta, erano quelle mani intrecciate, era lo scintillio degli occhi e i sorrisi che spuntavano dalle sciarpe di lana, era la punta del naso rosso e la pioggerella gelida che li aveva colti dopo qualche tempo, era stato quel bacio rubato al sapor di cappuccino e la voce che era libera di arrivare al cuore di ciascuno dei due.

Era prendersi per mano e allontanarsi come due bambini per poi strattonarsi con gentilezza e andare a sbattere spalle contro petto, in una danza sconosciuta eppure così naturale, era guardare la felicità negli occhi riflessi nelle vetrine illuminate, era appuntarsi gli orari della metro, per non perderla ancora o pensare che poco distante, ai Magazines La Fayette, c’erano i saldi del Black Friday ancora attivi, per acquistare quella teiera che Marinette aveva visto di sfuggita o il pupazzo più bello per Sun.

La meta era pensare a cosa fare insieme quel pomeriggio e la sera dopo, era camminare e rincorrersi e baciarsi ogni volta che volevano, come due quindicenni felici, come non era mai stato loro concesso.

-Devo tagliare i capelli-, osservò ad un certo punto Adrien, sentendo alcune ciocche umide bagnargli il volto.

-D’accordo, così tornerai quello che mi ricordavo-, Marinette accolse di buon grado la proposta, -Ma io non farò più i codini, sono cresciuta, ormai-, aggiunse anticipando il giovane, in una buffa espressione.

-Sei cresciuta e sei bellissima: non tagliarli, mi piacciono così-, le disse e sfilò dalla sciarpa la chioma nera della donna, facendo scivolare le dita tra i capelli di seta.

-Vorrei farti un regalo-, la stupì Adrien.

-Me lo hai già fatto sabato-, lo corresse lei. Adrien la guardò intensamente: -Un regalo vero-, alzò gli occhi ripensando agli ultimi anni, -Non sai quante volte ho visto in giro cose che avrei voluto fossero tue: c’era una seta, una volta, che ti sarebbe piaciuta tantissimo… Era azzurra come i tuoi occhi e sono sicuro che ne avresti tirato fuori un bellissimo abito degno di una principessa-, prese le mani piccole tra le sue e le avvicinò alle sue spalle.

Fu un pensiero veloce e inopportuno, ma ormai aveva catturato l’attenzione di Marinette: -Alya!-, esclamò senza troppi preamboli, -Le ho promesso che mi sarei occupata dei loro vesititi per il matrimonio…-, avrebbe dovuto buttare giù qualche bozzetto, ma non sapeva né quando si sarebbero sposati né se la pancia della donna, per allora, sarebbe stata vistosa o meno.

-Ti va di andare a trovarli?-, domandò Adrien, che non vedeva l’ora di salutare il suo amico Nino. Marinette si aprì in un grande sorriso: -Sono sicuramente in casa e non li disturberemo…-, ammiccò e, tirando a sé il giovane per la mano, lo condusse di nuovo sottoterra, per prendere la metro giusta.

 

 

***

 

Avevano pattuito che la versione mignon di Mr Pandy avrebbe trovato casa da Marinette, così se Sun fosse tornato da lei, avrebbe avuto il suo amichetto anche lì, quindi, sulla strada per arrivare da Alya, Marinette e Adrien si fermarono a comprare un nuovo regalo per il piccolo “fagiolino”.

-Abitino o giocattolo?-, domandò il giovane, sfilando il cappello e allentando la sciarpa. Entrando nei negozi a Parigi, d’inverno, c’era la stessa escursione termica che aveva trovato in oriente uscendo dalla casa con l’impianto dell’aria condizionata per buttarsi nel forno liquido delle strade tropicali.

-Forse è meglio se gli prendiamo una pianta?-, la giovane era in crisi: non aveva mai pensato di doversi trovare a risolvere un siffatto dilemma; dalla sua borsetta fece capolino Tikki: -Non potete prendere un abitino, non sapete neanche se sia maschio o femmina!-, constatò.

-Io opterei per una forma di Camembert: finché nascerà e sarà svezzato avrà raggiunto la stagionatura ottimale per essere inserito nelle prime pappe liquide-, propose Plagg, dalla tasca interna della giacca di Adrien.

-Plagg, questa è la cazzata più grande che ti abbia sentito dire negli ultimi sette anni-, lo rimproverò Adrien e a Marinette saltò subito alle orecchie la parola colorita usata dal suo accompagnatore: se lo ricordava come un ragazzino educatissimo e rispettoso… ma le piaceva il nuovo uomo che stava diventando!

-Che ne dite di questo?-, distogliendo l’attenzione dai ciuffi biondi scarmigliati del modello, che stava iniziando a farsi notare all’interno del negozio, Marinette mostrò un pupazzetto di una piccola volpe con gli occhi grandi travestita da tartaruga, con una zucca in mano.

-È perfetto!-, esclamò Adrien; poco importava se era una rimanenza di Halloween, era indubbiamente la cosa più azzeccata per il figlio di Rena Rouge e Carapace!

Si battibeccarono un po’ discutendo su chi avesse dovuto pagare il regalo e concordarono che, insieme al peluche, Marinette avrebbe aggiunto un piccolo libro di aforismi sulla maternità.

-Secondo me Alya te lo tira dietro…-, osservò Tikki, ma desistette dalle sue rimostranze, notando l’espressione sognante dei due giovani, che uscivano dal negozio mano nella mano, maneggiando con cura maniacale il pacchetto che era stato loro preparato.

Dal canto suo, Plagg era interessato solo al raduno che avrebbe finalmente fatto con i suoi vecchi amici: Wayzz e Trixx erano i suoi vecchi compagni di scappatelle, quando ancora stavano tutti nel magico mondo incantato dei kwami e lui sembrava essersi interessato a quella giovane kwami che sembrava una coniglietta…

 

 

La sorpresa di Nino quando, aperta la porta di casa al grido di “Maribug, siamo in salotto, entra pure!”, vide comparire da dietro l’angolo il suo amico Adrien, fu quasi commovente. Si alzò di scatto, incredulo, inciampando nella gamba del tavolino da fumo, si resse alla libreria, proseguì fino a lui e portò entrambe le mani al viso, a coprire la bocca spalancata. I suoi occhi brillavano increduli come quelli di un bambino la mattina di Natale: -Non ci posso credere…!-, sussurrò e gli buttò le braccia al collo.

Alya si rizzò sul suo posto, volle provare ad alzarsi, c’era chiaramente qualcosa di troppo importante da perdersi anche quella volta, Marinette la vide e la aiutò, ma appena la sua amica scorse il suo sguardo brillante, si rimise a sedere: aveva capito già tutto. Le strinse le mani sorridendole, finalmente gli occhi di Marinette erano di nuovo come sei anni prima. Finalmente la sua amica era felice.

 

Rimasero a casa di Nino e Alya per diverso tempo, consegnarono il loro regalo che fece ridere la futura mamma e commuovere il suo compagno, mentre i kwami facevano comunella in un’altra stanza. Era tutto perfetto, era così che sarebbe dovuto andare in tutti gli anni precedenti, se solo Papillon non avesse rovinato la vita al figlio e alla sua Marinette. L’unica consolazione di Adrien era che Nino e Alya non erano in pratica stati coinvolti nella lotta contro suo padre, anche se era stata proprio quest’ultima a pagare più di tutti per l’ultimo strascico che gli Agreste si erano portati in patria. In qualche modo Adrien si sentiva colpevole per quello che era successo all’amica e volle scusarsi con lei.

-Se non fossi stata KO, probabilmente avrei aiutato io stessa Maribug nell’ultima battaglia contro il cinese-, spiegò la giovane, -E così voi due non vi sareste rivisti: non tutto il male viene per nuocere Adrien… però, visto che Fagiolino non è più in pericolo, visto che hai riportato il cinese nella giusta prigione e visto che tuo padre ha sotterrato l’ascia di guerra, a questo punto voglio esigo e pretendo che anche voi due pelandroni vi diate da fare per mettere in cantiere un amichetto per nostro figlio!-

Alya era sempre stata esagerata nelle sue espressioni e anche quella volta non aveva mancato di mettere in profondo imbarazzo i suoi amici, alle prese con la scoperta di qualcosa di molto più importante delle rispettive identità.

-Alya!-, la sgridò Marinette. Adrien arrossì e non disse nulla: in fondo non c’era niente di ancora definito con la sua adorata supereroina preferita e non avrebbe di certo messo in discussione la loro situazione in presenza di altre persone.

-Adrien mi ha fatto conoscere suo fratello-, cambiò discorso Marinette, -Sunan è un bambino dolcissimo, dovreste conoscerlo e fare pratica-, propose, presa da quella nuova idea, -Sempre che Adrien ve lo lasci conoscere…-, si rivolse al biondo sorridendo dolcemente.

-Oh, ma io lo conosco già Sunan!-, confessò Nino, -E’ proprio come dici tu Marinette: è un bambino simpaticissimo!-; Alya alzò gli occhi al soffitto, considerando come si fosse persa alcuni tra i momenti più significativi per la sua esistenza sociale.

-E’ sempre attivo il Ladyblog?-, le domandò Adrien, per parlare d’altro. In qualche modo non era ancora pronto a presentare Sun per quello che era davvero significato per lui, cioè un nuovo inizio, perché ne voleva un altro con Marinette che fosse ufficiale e definitivo.

-Ogni tanto pubblico qualcosa, ma ho la tendenza a sottolineare le gesta di Rena Rouge, ultimamente…-, Alya gli fece l’occhiolino, riflettendo sul fatto che Adrien non aveva mai visto lei e Nino trasformati: -Vedessi quanto siamo fighi io e Nino!-, gli spiegò.

-Allora dovremmo fare un raduno di eroi con cena natalizia!-, propose il giovane in risposta, -Credo che anche mio padre e Nathalie, che, vi assicuro, sono dalla parte dei buoni adesso, non vi abbiano mai incontrati in quelle vesti-

-Non credo di essere pronta a incontrare Papillon davanti ad un tè!-, esclamò Marinette, mordendosi la lingua un attimo dopo; -Cioè… intendo…-

Adrien le prese la mano e vi posò un piccolo bacio: -Lo so cosa intendi-, disse piano, poi si avvicinò a lei e le sussurrò nell’orecchio -Stavolta faremo le cose per bene, te lo giuro-.

 

Quando lasciarono l’appartamento di Alya era ormai buio. Avevano pranzato da loro e, mentre Mariette e Nino cucinavano, Adrien aveva avuto modo di chiedere privatamente ad Alya come fosse stata la vita di Marinette in tutti quegli anni.

Le aveva chiesto di essere sincera, perché voleva davvero sapere quanto male le avesse fatto, perché non accadesse mai più; si era mostrato fragile e aveva raccontato alla giovane anche le sue pene.

Alya gli aveva raccontato molte cose che Marinette aveva taciuto: il fatto che per un certo periodo la ragazza avesse smesso di studiare; che aveva iniziato a diciassette anni a fumare e dopo non aveva mai davvero smesso di farlo, a causa dello stress; che spesso di notte si trasformava e rimaneva da sola in piedi fino all’alba sulla Tour Eiffel, sperando che lui tornasse. Gli aveva detto che non era stato facile per l’amica accettare tutto il casino che c’era stato con Nathaniel Kurtzberg; che in realtà neanche l’aveva mai vista coinvolta una sola volta; che a volte, quando d’estate andavano in vacanza da sole per qualche giorno, di notte Marinette ripeteva il suo nome, nel sonno e piangeva.

-Ma ora è felice: lo sento. Non deluderla-, gli aveva chiesto perforandolo con lo sguardo nocciola.

 

La notizia positiva di quella visita era stata che Alya avrebbe potuto piano piano riprendere la sua vita normale entro pochi giorni, giusto in tempo per organizzarsi per le feste di Natale che di lì a poco ci sarebbero state. Lei e Nino avevano deciso di sposarsi in primavera, nel secondo trimestre della gravidanza; avrebbero stabilito quanto prima la data, a seconda di cosa avessero deciso di organizzare per la cerimonia e il ricevimento. Marinette aveva preso loro delle misure per gli abiti e aveva raccolto le loro preferenze.

-Per qualche sera credo che non potrò uscire con te-, aveva annunciato in un bacio sulla bocca ad Adrien, rientrando a casa, -Dovrò buttare giù qualche idea per i loro abiti-, aveva spiegato. -Ti lascerò lavorare nel tuo laboratorio, ma non potrai impedirmi di venire a trovarti, o suonando alla porta, o atterrando sul tuo tetto dopo un salto…-, le aveva risposto lui, succhiandole un labbro avidamente.

-Saliamo…-, riuscì a dire soltanto la donna, sentendo il fuoco riprendere a bruciarle la carne dal suo interno e la voglia matta di lui esplodere nella sua testa e tra le gambe.

-Non salirò a casa tua adesso-, fu la decisione raggelante di Adrien: le fece un sorriso obliquo e assottigliò lo sguardo: -non avere fretta di avermi troppo tra i piedi, My Lady… potrei non andarmene più...-, le disse e si congedò.

Marinette rimase stordita e tutta rossa in piedi nell’androne del suo palazzo, mentre il suo bel principe, a grandi falcate, se ne andava via, salutandola con un cenno della mano dall’altra parte della strada.

 

-Mi farà morire…-, sussurrò lei, appoggiando le spalle alla porta dell’ascensore.

-Non ti ha uccisa in questi sei anni, ormai non muori più-, constatò Tikki dalla sua borsetta, proprio mentre le porte scorrevoli si aprivano e Marinette crollava di schiena dentro la cabina, in una risata liberatoria.

 

 

 

***

 

 

-Adrien, spero che non ti opporrai alla mia proposta-, più che una domanda, le parole di Gabriel Agreste suonavano come una decisione già presa e ratificata. Il giovane accavallò le gambe, bevendo un sorso di tè. Avrebbe tenuto suo padre sulle spine finché fosse stato in grado di reggere la parte.

-E se non volessi?-, domandò con tono duro, -Voglio dire… c’è Sun, che non è abituato, e poi… non pensi che per me sia una cosa complicata da accettare?-

-Hai già vissuto per sei anni sotto lo stesso tetto di Nathalie, cosa dovrebbe esserci di diverso, adesso?-, Gabriel serrò le labbra, non pensava di avere quel tipo di risposta. Aveva finalmente deciso di fare sul serio con la sua assistente e non avrebbe ammesso ostacoli.

-Ma qua siamo a casa! Casa, papà! Casa è dove sono cresciuto, dove ho preso le mie prime sgridate, dove ho vissuto quasi segregato in quella camera che sembra un castello, dove…-

-... dove hai iniziato a trasformarti in Chat Noir e farmi perdere la testa con la tua identità! Dove io ho creato uno sciame di farfalle cattive, dove tu e io abbiamo avuto le nostre più belle litigate e dove Nathalie ha ricevuto il Miraculous del Pavone! E’ casa nostra quanto sua, ormai...-, proseguì l’uomo, come se parlasse dell’ovvio.

-Ad ogni modo io non credo che…-

-Sun ha bisogno di una madre e chi meglio di te può capire questa ovvietà?-, Gabriel stava andando dritto verso l’esasperazione.

Adrien posò la tazza e congiunse le mani all’altezza dello stomaco: -Ad una condizione-, si piegò verso il padre, che imitò il suo gesto: -Non chiamerò Nathalie mamma-, sorrise sornione e riprese la tazza di tè, alzandola in un brindisi analcolico.

-Oh, questo è certo!-, in un misto di imbarazzo e soddisfazione, Gabriel alzò la sua tazza, abbassando lo sguardo nel momento in cui sentì un lieve calore salire alle sue guance.

-E Nathalie mi insegnerà davvero a guidare la moto-, Adrien stirò le labbra in un sorriso, godendosi l’espressione meravigliata del padre.

-Nathalie… cosa?-, domandò scuotendo il capo.

-Motocross: non lo sapevi? E anche in pista. E’ una forte, lei!-

Gabriel sgranò gli occhi non riuscendo a non sorridere: allora erano tanti i segreti che quella donna gli aveva tenuto nascosti negli anni!

-Una volta mi ci ha portato, ma non te l’abbiamo mai detto: avevo diciassette anni, in Giappone. Tu eri impegnato con la collezione… quella con le stoffe di batik, ricordi?-, lo stilista annuì, tornando con la memoria a quegli anni in cui ancora non aveva in nessun modo accantonato l’idea di usare tutto il potere che avrebbe potuto trovare per far tornare da sé la moglie.

-E dove ti avrebbe portato, scusami…?-

-A Motegi, ovviamente. C’era il MotoGP. Siamo stati ai paddock e il giorno dopo la gara abbiamo provato le moto in pista. Una meraviglia!-

-Mi stai dicendo che Nathalie, la mia Nathalie, guida le moto da corsa?-, che importava mostrarsi freddi e calcolatori, quando un vecchio ricordo di gioventù tornava prepotente alla memoria?

-E bene, anche!-, chiosò Adrien. Gabriel sapeva cosa regalare alla donna: perfetto. La sua vecchia Yamaha era ancora nell’angolo più remoto del garage, dimenticata da anni di inutilizzo.

-Hai altre condizioni da porre?-, domandò al figlio, aspettandosi ogni possibile domanda assurda. A dir poco sarebbe venuto a scoprire altre mille segreti sulla misteriosa compagna silenziosa che non l’aveva mai abbandonato, nonostante un matrimonio infelice, un figlio e la follia di diventare Papillon.

-Una sola: sposala-, Adrien si alzò e, portando due dita alla fronte, salutò il padre, che era rimasto di sale; -Ah, magari non questa primavera, che abbiamo già il matrimonio di Alya e Nino e sarebbe poco carino eclissarli con il vostro… Papà…-, si congedò, mettendo la mano sulla maniglia della porta.

-Fallo anche tu-, gli disse alle spalle l’uomo e Adrien sorrise. Senza voltarsi, aprì la porta: -Lo farò-, rispose e andò via.

 

 

***

 

La conferenza stampa di martedì quattro dicembre era stato un fulmine a ciel sereno. Adrien aveva ben altri programmi per quel giorno, ma suo padre gli aveva chiesto la cortesia di accompagnarlo. Si sarebbe parlato anche del loro viaggio in oriente e Adrien avrebbe dovuto dare il suo contributo alla versione dei fatti: nel breve tragitto in auto verso l’auditorium, Nathalie lo aveva informato di cosa avrebbero dovuto raccontare. Erano tutte baggianate su campagne pubblicitarie, lancio di nuove collezioni, esperienze personali in terre esotiche accompagnate da una profusione di piccoli aneddoti accattivanti e simpatici.

-Ti prego Nathalie, usa il tuo potere su di me e fammele dire tu tutte queste cavolate, a me non riuscirà sicuramente!-, aveva capitolato Adrien all’ennesima lettura della scaletta che avevano preparato per lui il padre e la sua nuova segretaria/compagna.

-Sei adulto e sono sicura che non ne avrai bisogno. Oltretutto assumi sempre un’espressione un po’ ebete quando lo faccio… dobbiamo rilanciare anche la tua immagine e non è il caso che appaia che hai riportato danni permanenti da abuso di oppio, ragazzino!-, la donna gli fece l’occhiolino e tornò a immergersi nelle sue scartoffie. Seduto davanti a lei, Gabriel la guardava ammirato, come se solo allora, dopo anni, si fosse dissolta la cortina che non gli aveva mai permesso di guardare oltre il suo ruolo e scoprire il portento che aveva avuto accanto.

-Avevo promesso a Marinette che sarei andata a prenderla all’università-, borbottò Adrien, incrociando le braccia al petto, piccato.

-Che ne diresti di invitarla da noi per cena?-, gli domandò il padre, scambiandosi un’occhiata con Nathalie, che annuì avviando una telefonata al cellulare.

Era presto. Adrien era sicuro che fosse troppo presto per Marinette entrare nella tana del leone, sebbene questo non avesse più denti e artigli: -Non credo che sia ancora il caso-, rispose accigliandosi. Sicuramente sarebbe stato imbarazzante per tutti.

-L’unico vero problema sono io-, constatò lo stilista, guardando fuori dal finestrino oscurato, -Dal momento che Sun lo ha già conosciuto e che con Nathalie sembra che ci sia del feeling… è evidente che sia io il problema, non è così?-, l’amarezza del tono usato, per un attimo intenerì Adrien.

-E’ che forse… noi ancora non… Abbiamo avuto solo due giorni per ritrovarci in fin dei conti, credo che forse…-, con le mani a disegnare cerchi in aria, Adrien si trovò d’un tratto messo alle strette.

-Non ci sono problemi, figliolo, me lo dirai tu quando sarà il momento giusto-, lo tranquillizzò Gabriel, sfiorandogli una mano: -Ti chiedo solo, ora in conferenza, di mantenere il riserbo su quello che riguarda tutta la storia di tua madre e anche su chi sia… lei…-, nel parlare gli mostrò sul tablet una foto presa da un profilo instagram: era sfocata e non centrata, ma Adrien riconobbe immediatamente se stesso e Marinette, nel negozio di giocattoli solo il giorno prima. Si morse un labbro, trattenendo un’esclamazione colorita.

-Dì che non eri tu e facciamo prima-, lo tranquillizzò l’uomo, passandogli un elastico per capelli: -Legali così non si noterà troppo la somiglianza: in fondo sei preso quasi di spalle, potrebbe essere chiunque-.

Nathalie chiuse la conversazione con una delle loro domestiche, che si era presa l’impegno di accudire Sun in loro assenza e lo guardò: -Tagliali, dammi retta-, disse ad Adrien nel momento in cui arrivarono al luogo convenuto per la conferenza stampa. Gli passò un giaccone blu navy: -Metti questo-, gli disse e, atteso che il giovane lo indossasse, precedette gli Agreste fuori dall’auto.

 

 

 

***

 

 

All’uscita dalla facoltà, Marinette lesse il messaggio che Adrien le aveva inviato un’oretta prima: era inutile esserne delusa, perché era inevitabile che anche lui avrebbe dovuto riprendere le sue attività lavorative. Nel poco tempo in cui erano stati da soli, il giorno prima, aveva capito che forse al giovane sarebbe interessato riprendere gli studi, ma era evidente che non avesse chiaro cosa avrebbe potuto interessargli davvero. Adrien era un modello: non era una cima in informatica, non aveva più praticato la scherma per anni, né suonato assiduamente il pianoforte. Non aveva particolari attitudini se non essere semplicemente unico e fare il modello. Marinette sarebbe dovuta scendere a patti con quella realtà e di conseguenza raddrizzare la rotta della sua esistenza: lei voleva fare la stilista, in qualche modo che ancora non le era chiaro e non aveva particolari conoscenze (eccezion fatta per Gabriel Agreste, che più che un aggancio lo avrebbe definito un “rivale” sotto molti aspetti), né mezzi economici per sfondare. Ma aveva un modello tra le mani e non se lo sarebbe lasciato scappare. Forse era giunto il momento di ricominciare a disegnare anche abiti maschili, fantasticando liberamente su cosa avrebbe voluto che il suo Adrien indossasse davvero.

-Il mio Adrien…-, sussurrò camminando di gran lena verso la stazione della metropolitana, nell’ottica di tornare a casa presto e riprendere i suoi disegni. Forse avrebbe dovuto riferirsi a lui come “il mio ragazzo”, oppure “il mio compagno” o “il mio fidanzato”... ma era davvero così che stavano le cose?

Si fermò d’un tratto e un pedone che era dietro a lei la urtò, apostrofandola in malo modo; -Mi scusi…-, gli strillò dietro la giovane, riprendendo a navigare con la mente dove era stata interrotta. Adrien le aveva chiesto di essere di nuovo (o ancora) la sua ragazza… ma non poteva definirsi sua compagna o fidanzata. Non erano ancora pronti i tempi.

Si convinse a non rimuginare troppo su quei discorsi e a essere propositiva per il futuro. Aveva ventidue anni e un ragazzo: potenzialmente davanti a sé c’era una moltitudine di attività che avrebbero potuto fare insieme, dall’uscire la sera per ricominciare a frequentare qualche locale, all’andare qualche volta a ballare o perfino pensare a scappare insieme per fare un viaggetto romantico. Avrebbe dovuto comprargli un regalo per Natale e soprattutto “presentarlo” ai suoi. Gli avrebbe preso uno spazzolino da denti da tenere in casa sua e, perché no, un paio di pantofole calde e qualcosa per stare comodo e poi gli ci sarebbe voluta la sua tazza personale e… avrebbe dovuto lasciare che Adrien si fermasse a dormire da lei ancora, e ancora, e ancora.

 

Avrebbero dovuto fare l’amore, conoscersi, apprezzarsi, condividere i momenti del sonno e del risveglio.

 

-Tikki!-, Marinette chiamò a gran voce la sua kwami, noncurante del fatto che si trovassero per strada: -Devo farmi la ceretta!-, annunciò a gran voce e una vecchietta che le stava passando accanto la guardò stralunata.

-Bambina mia, la ceretta si fa d’estate! D’inverno, se non hai grandi velleità, pensa a mettere la maglietta di lana sotto a quel cappottino leggero, che è meglio!-, Marinette scoppiò a ridere in faccia alla povera donna impicciona, si scusò per la maleducazione e schizzò via. Oh, lei aveva velleità, eccome!

Il bozzetto dell’abito per Nino avrebbe potuto attendere ancora qualche ora: Marinette, ricordando vecchie brutte esperienze domestiche, si fermò al grande centro commerciale che era situato a pochi passi dalla fermata della metropolitana.

-Marinette, che cosa stai facendo!?-, la chiamò Tikki dalla sua borsetta.

-Vado a farmi fare la ceretta, Tikki, no?-, glielo disse come fosse una cosa ovvia e alla piccola divinità sorsero mille interrogativi in testa. Avrebbe dovuto dirglielo che, in quanto portatrice, le sarebbe bastato esprimere quel piccolo desiderio che la sua kwami l’avrebbe esaudito senza sottoporsi a tale tortura? In passato era stata zitta, ma forse, dato il clima, la fame che lei aveva e…

Troppo tardi: Marinette aveva varcato le porte del centro estetico al piano terra ed era già stata accolta da una receptionist.

-Come possiamo esserle d’aiuto, Mademoiselle?-, le domandò la donna, asciutta come un’acciuga e con delle unghie più lunghe di un braccio di Tikki.

-Vorrei fare una depilazione-, rispose la giovane, con un lieve accenno di titubanza.

-Abbiamo la depilazione laser, quella a luce pulsata, quella al miele, al caramello o la classica ceretta-

-Andrà bene l’ultima penso-, le rispose Marinette, deglutendo: non aveva idea di cosa stesse parlando la donna, sapeva solo che Alya, ogni volta che, dopo una litigata o un periodo di stanca, riprendeva la sua attività preferita con il caro Nino, le raccontava di essere stata a fare la ceretta.

-Se desidera, abbiamo un’estetista libera anche adesso-, la informò la donna alla reception e Marinette, senza indugio, accettò e si fece scortare nel piccolo box bianco dove aleggiava un delizioso aroma di frutti di bosco e tè verde.

-Che zone intende trattare?-, le fu chiesto, e Marinette, in preda a un discreto imbarazzo, farfugliò qualcosa che l’estetista tradusse in “total body” e scrisse sulla cartellina che lasciò sul mobiletto accanto al lettino.

-Per favore, si spogli e indossi questo-, Marinette prese dalle mani della donna una bustina di plastica con dentro qualcosa di carta usa e getta. Una volta sola, iniziò a spogliarsi.

-Sei un belvedere-, le disse Tikki, sbirciando dalla borsetta.

-Girati, per favore!-, Marinette era ormai arrossita del tutto e il suo imbarazzo aumentò, aprendo la bustina ed estraendone qualcosa di non ben identificato. -Cosa dovrei farci con questo?-, domandò sul filo della disperazione: stava già pentendosi della sua decisione, oltretutto non si era informata sui costi della depilazione e non voleva lasciarci un capitale.

-Credo tu debba rimanere nuda e mettere quello-, le suggerì la kwami, -E’ un perizoma, Marinette! Come quelli che piacciono tanto ai maschi, ma di carta!-, eppure Marinette aveva già avuto una relazione e certe cose doveva pur saperle! Ma all’epoca, un po’ per l’età più giovane, un po’ perché era un periodo in cui lei e Marinette non avevano un buon rapporto, Tikki non aveva partecipato poi molto alla vita intima dell’amica. Sapeva che non era Nathaniel l’uomo adatto a lei e, quasi in uno sciocco moto di ripicca, non aveva voluto sapere nulla di quel che la sua umana faceva o non faceva con lui.

Aveva appena finito di indossare il malefico perizoma di carta, che l’estetista bussò alla porta del box ed entrò. Marinette non aveva ancora tolto il reggiseno.

-Buon pomeriggio, mi chiamo Claire. Quello lo tenga pure, non si preoccupi-, disse a Marinette, poi chiese conferma delle aree che avrebbe dovuto trattare, studiando la pelle della giovane.

-Qua non ha nulla, è inutile passare la cera-, disse sfiorando con il dorso della mano le cosce della ragazza, -L’inguine come lo facciamo? Classica, americana, brasiliana, hollywood, francese, vajazzling…?-

Marinette la guardò come se le avesse chiesto di calcolarle a mente la radice quadrata di demilasettecentotrentatre e indugiò, -Faccio tutto pulito?-, domandò più direttamente l’estetista, sorridendole.

-O...ok-, rispose Marinette, sempre ignara di quel che le stesse chiedendo la donna e si stese, -Allora segno “hollywood”-, le confermò la ragazza.

La cera era calda e la sensazione a contatto con la pelle le ricordò d’istinto il fuoco lasciato dalle armi in lega tibetana, ma, dopo un primo disagio, Marinette si abituò al calore sulle gambe e al lieve dolore degli strappi. Collaborò spostando o alzando le gambe, si fece strappare anche la peluria sotto le ascelle e sulle braccia (“Ma ne ha così pochi qua!”, “Tolga, tolga! Ormai che ci sono!”) e piano piano si rilassò.

-Bene, adesso allarghi questa gamba, sì così, la appoggi pure sulla mia spalla. Ecco, ora sentirà un po’ di caldo, ma passa subito-, l’avvisò la signorina, spostando completamente quel ridicolo lembo di carta. -Vado!-

 

 

 

-Me lo dovevi dire che cos’era la Hollywood, Tikki!-, con diverse decine di euro meno sulla carta prepagata e un bruciore diffuso su tutte le parti intime, Marinette uscì furibonda nel pomeriggio gelido di Parigi, -Adesso sono… sono…-

-Liscia e pronta ad essere gustata come un gelato di André-

-Tikki!!!!!!-

Era stata una dura prova, si era coperta di ridicolo, aveva sentito male, aveva urlato a qualcuno di immaginario in mezzo di strada. Ma per un po’ di giorni, quant’era vero che si chiamava Marinette Doupain-Cheng, non avrebbe avuto alcun problema a spogliarsi davanti ad Adrien…

 

Se solo si fosse degnato di farle sapere se aveva finito la sua conferenza stampa…

 

 

***

 

 

“Era lei ieri, Adrien, nel negozio di giocattoli di Avenue Carnot?”

“Chi era questa donna?”

“E’ la sua nuova fiamma?”

“La sua fama la precede, tornerà sulle passerelle?”

“Il suo nuovo look ha fatto impazzire le donne di mezza Francia, cosa ha da dirci in merito?”

“L’hanno paragonato a Brad Pitt di Sette anni in Tibet, non trova che sia adeguato come parallelo?”

“E’ vero che ha avuto molte storie negli ultimi anni in Cina? Ha la fama di un latin lover, cosa ci può raccontare sull’argomento?”

 

 

-No comment-, era forse il decimo no comment che ripeteva e si stava ormai facendo tardi.

Adrien era sulle spine, non era più abituato a tutto quel teatrino mediatico che lo precedeva e lo accompagnava come uno stormo di uccelli rapaci che lo seguissero in ogni sua mossa.

-Il Signor Agreste non intende rilasciare dichiarazioni sulla sua vita privata-, Nathalie stava cercando di salvarlo da quella situazione sconveniente, suo padre rigirava nervosamente una penna tra le dita. I giornalisti continuavano a prenderlo d’assalto.

-Te l’avevo detto che era una pessima idea farmi venire qua-, sussurrò Adrien al padre coprendosi la bocca con una mano, -Adesso mi stanno bombardando di domande e lo sapevi che non voglio stare sotto ai riflettori!-

Gabriel inspirò quanta più aria poté, sbatté, pur con grazia, le mani sul tavolo e si versò dell’acqua.

-Adrien sarà il modello di punta della prossima campagna Primavera-Estate, come sempre. Ma oltre il suo contributo professionale non abbiamo altro da commentare-, esordì.

Si sistemò gli occhiali e riprese: -Forse può interessarvi sapere che a breve lancerò una nuova linea Mariage, con modelli che stiamo ultimando e che sicuramente saranno di moda negli atelier tra qualche mese. Posso darvi qualche anticipazione, si tratta solo di bozzetti…-

Quando uno stilista si metteva a disegnare una collezione da sposa, anche il più accanito giornalista affamato di gossip non poteva che cedere al richiamo del dettaglio importante o del significato occulto delle pieghe di una gonna.

In pochi attimi l’attenzione della pletora di impiccioni fu di nuovo catalizzata dallo stilista che mostrò frettolosamente qualche bozzetto che aveva buttato giù la mattina stessa.

Nathalie lo guardò accigliata, dal momento che non era stata messa a conoscenza di quell’ultima novità della Maison.

-Gli influssi orientali di cui mi sono riempito gli occhi negli ultimi anni faranno da padroni nella prossima linea spose e i materiali utilizzati spazieranno dallo shantung al batik, perché il colore sarà la primadonna della collezione-, continuò a briglia sciolta Gabriel, finché ogni tipo di rumor su suo figlio non si fu placato.

-Cosa ci è stato a fare per tutti questi anni in oriente?-, domandò una giornalista rampante senza troppi preamboli.

-Conoscere nuove culture, allargare il mio bacino d’utenza, aprire nuove filiali in Giappone e Cina-, fu la risposta ufficiale.

-Questo lo sappiamo già, ma abbiamo avuto notizia del fatto che avete trascorso molto tempo anche in zone povere e sottosviluppate come la Cambogia o il Laos-

-Chi è il bambino che è stato visto con voi all’aeroporto?-

-E’ suo figlio, Adrien?-

-E’ di quella donna che era nella fo…-

-E’ mio figlio-, rispose Gabriel, con una punta d’astio. Non c’era verso di scampare alle domando più dirette e affilate.

-Quindi non è suo nipote, Gabriel Agreste? Allora ci dica chi è quella cinese che era…-

-Ripeto: è mio figlio!-

-E’ suo figlio di sangue, lo ha avuto con una donna del luogo oppure quella nella foto è…-

-E’ mio figlio adottivo e non intendiamo rispondere a domande personali che esulino dallo scopo di questa conferenza stampa-, li zittì l’uomo.

-Ci penso io-, con un lieve tocco della mano su quella del suo capo, Nathalie prese la parola.

-Il bambino è nato in Laos da entrambi genitori del luogo che non potendolo mantenere lo hanno affidato ad un orfanotrofio. Ha tre anni e mezzo. E’ stato adottato secondo le leggi locali dal Signor Gabriel Agreste e adesso è a tutti gli effetti suo figlio. Non abbiamo altre dichiarazioni da rilasciare.-

-Ha fatto come Angelina Jolie, Monsieur Agreste?-, una risatina in lontananza.

-No comment-, ribadì Nathalie.

-Chi farà da madre al piccolo?-, domandò un altro, da dietro.

-No comment!-, ripeté Nathalie.

-Come concilierà il lavoro con questa inattesa paternità?-, un’altra domanda sciocca.

-Chi crescerà il bambino?-

-NO COMMENT!-, Nathalie si alzò in piedi e sbattè con violenza il palmo della mano sul tavolo, zittendo tutti. Si sedette compostamente e sorrise sfacciatamente alla pletora di giornalisti.

-Adesso, se non avete altre domande, possiamo dichiarare chiusa questa conferenza stampa, grazie a tutti-, li congedò con un gesto elegante delle mani e rimase imperturbabilmente immobile finché il brusio non si fu acquietato.

 

-Possiamo andare, direi-, invitò dunque gli Agreste, che, al pari dei giornalisti, erano rimasti zitti e al loro posto, guardandola di sottecchi in modo quasi intimorito.

Nathalie si alzò e li precedette, allontanandosi appena da loro.

-Che donna-, sfuggì alle labbra di Gabriel, che la guardò compiaciuto sparire dietro l’angolo.

-Papà, sappi che approvo!-, gli fece eco Adrien, -Ma non vi perdono di avermi portato al macello…-

-Ti faccio notare che, nonostante ti avessimo avvertito di smentire che fossi tu in quella foto, hai risposto con un laconico no comment. Lo sai che significa?-

Adrien guardò il padre confuso, -Significa che hai ammesso di essere tu nella foto, in compagnia di una bella ragazza dai tratti orientali e gli occhi blu… per questo ti hanno chiesto se Sun fosse tuo figlio… Devi essere più attento, ragazzo-, si alzò e increspò le sopracciglia, in un’espressione di chi la sa molto più lunga di te.

-Ad ogni modo Nathalie è stata esaustiva-, gli si avvicinò a un palmo dal viso, -Ti ha tirato fuori d'impiccio e in questo momento, se la conosce bene, si sta mordendo l’interno di una guancia perché avrebbe voluto rispondere “io” a tutte le domande successive. Fammi andare da lei…-

Adrien, lasciato indietro, sospirò e per un istante ripensò a quanto fosse facile la vita quando aveva quindici anni e a Parigi era semplicemente conosciuto come il figlio giovane e angelico di uno stilista dall’indole di ghiaccio che aveva Elsa come assistente personale-

 

Devo chiamare Marinette…

 

 

***

 

 

Stasera sono a cena dai miei: ti va di unirti?

 

Adrien rimase a fissare per qualche minuto lo schermo del suo smartphone, indeciso se rispondere o meno al messaggio di Marinette.

Non aveva voglia di stare ancora in mezzo alla gente, voleva solo passare un po’ di tempo con Sun, che si sentiva molto meglio e lo aspettava per una partita a mini calcio nel salone di casa e dopo stare tutta la sera abbracciato a Marinette, sul suo divano. Eppure gli sembrava scortese non accettare il suo invito, considerato anche il fatto che personalmente non aveva alcun motivo per non volerlo fare, se non una qualche incertezza sul suo effettivo legame con la ragazza. Quindi non aveva alcun motivo per rifiutare.

Iniziò a digitare la sua risposta, quando ricevette un altro messaggio:

 

Ho detto ai miei che non posso, forse è ancora troppo presto…

Non fraintendermi, ti ho scritto di getto, ma forse è meglio se

lasciamo passare ancora qualche giorno prima di…

insomma, se vuoi, io sono già a casa e quando vuoi,

se vuoi, mi farebbe piacere vederti.

 

 

Oh certo che voleva! Lanciò un’occhiata sfuggente a suo padre, che si era seduto davanti a Nathalie nella limousine e senza troppe parole, la guardava con occhi nuovi che mai gli aveva visto prima. La donna ogni tanto ricambiava quegli sguardi, abbozzava un timido sorriso, voltava appena il viso verso di lui, “il terzo incomodo” e tornava ad abbassarli. Era diventata timida, Nathalie, almeno nei suoi confronti: se prima era stata sempre molto aperta e diretta, negli ultimi giorni si vergognava quasi di comunicare con lui. Era stata “beccata” a baciarsi con suo padre e sicuramente trovava la sua posizione molto, molto cambiata.

Gabriel le sorrise, incatenando il suo sguardo, abbassandosi mentre lo stava facendo lei per sfuggirgli, per l’ennesima volta.

-Nati...-, disse piano l’uomo, e allungò una mano verso quella della sua assistente, che istintivamente la ritrasse. -Nati, è tutto ok: benvenuta nel mondo di chi sente puntato il dito contro, in una conferenza stampa-, disse a voce più alta. Adrien non poté fare a meno di voltarsi verso i due e seguire, quasi ammaliato, quella scena inusuale e ipnotica.

La donna lasciò che il suo capo le prendesse la mano e inclinò appena la testa all’indietro, sospirando e comprendendo che non aveva senso fingere che le cose non fossero cambiate.

-La risposta a quelle domande è: Nathalie Sancoeur-

-Come?-, Nathalie sbatté due volte le palpebre, senza comprendere davvero quello che le era stato detto.

-Sei tu che ti occupi di Sun, sei tu che lo crescerai e sei tu che io voglio gli faccia da madre-, proseguì Gabriel. Adrien poteva essere a un metro da loro come a vagare nello spazio profondo: a suo padre in quel momento non importava.

Nathalie di nuovo abbassò lo sguardo, ritrasse la mano, poi rimase ferma un istante; alzò gli occhi su Gabriel e sorrise.

-Lo farò-, disse piano, -Ma non perché me lo dici tu: lo farò perché voglio davvero tanto bene a quel bambino-, aggiunse sorridendo. Accavallò le gambe e dipinse sul suo viso un’espressione soddisfatta.

Gabriel si voltò verso Adrien con un palmo in su, come a indicare di ammirare la donna davanti a sé.

-Che donna!-, esclamò Adrien, facendo il verso al padre, sorrise e si voltò verso il finestrino, mentre la limousine scivolava silenziosa nel traffico della città.

Riattivò lo schermo del suo telefono e rispose a Marinette:

 

Ho finito poco fa la conferenza stampa,

voglio stare un po’ con Sunan che me lo aveva chiesto,

dopo verrò da te e ti porterò a cena fuori.

Fatti bella, se è possibile essere più bella di come sei già.

 

Premette invio e abbandonò la testa sul sedile dell’auto. Era possibile che le cose stessero davvero andando così bene?

 

 

***

 

Marinette non si era fatta prendere dal panico: aveva scelto accuratamente l’abito più adatto alla serata che le si prospettava, pur non sapendo dove Adrien avesse intenzione di portarla a cena. In ogni caso, i suoi abiti sarebbero andati bene.

Aveva messo dei leggings neri eleganti e li aveva abbinati agli stivali col tacco che ancora non aveva indossato quell’inverno: non era un tacco molto alto, ma erano comodi e non avrebbe rischiato di inciampare. Sopra aveva messo una canottiera nera lucida che spuntava appena da sotto un grande maglione lavorato a mano, di un bianco candido. Era di lana mohair e la faceva apparire molto delicata, pur mantenendola calda, ma era molto scollato. Guardandosi allo specchio, si trovò davanti a un dilemma: era meglio indossare una sciarpa oppure una semplice collana? In mancanza di un monile adeguato, fece fare due giri attorno al suo collo esile a una sciarpa di seta colorata che aveva acquistato anni prima durante un viaggio con Alya. Si truccò gli occhi riuscendo a fare un bell’effetto smoke e mise del lucidalabbra rosa. fermò i capelli in uno chignon e sperò che non si rovinasse troppo indossando il cappello, quando fosse uscita. Il termometro segnava già quattro gradi e non aveva intenzione di ammalarsi per apparire sexy in una serata di dicembre.

Si domandò se Adrien sarebbe salito da lei, anche perché non sapeva quando sarebbe arrivato, così lasciò gli stivali vicino alla porta e si mise sul divano con le gambe rannicchiate, iniziando a buttare giù qualche schizzo per l’abito di Alya. Sicuramente per lei il più adatto sarebbe stato un abito dalle forme geometriche ben definite, che non mettesse troppo in risalto la pancia, ma che non la mascherasse a tutti i costi: Alya andava fiera della sua gravidanza, era fin troppo evidente e non l’avrebbe voluta nascondere. Provò a disegnare qualcosa con uno scollo a barca molto largo e una vita stile impero. Cancellò il segno della cintura che aveva fatto e che non la convinceva. La vedeva bene in una stoffa liscia e uniforme, ma che doveva lasciare a bocca aperta quando fosse stata vista di spalle. Chiuse il modello in un panneggio da entrambi i lati, unendoli in un punto più o meno all’altezza della fine della schiena e da là sotto disegnò una seconda gonna di un’altra stoffa, pizzo forse, oppure un laminato che fosse in contrasto con il bianco serico del resto dell’abito. Pensò alle maniche a tre quarti, che arrivassero appena sotto il gomito e si ripiegassero su loro stesse in un richiamo della stoffa del retro.

Cancellò ancora e aggiunse uno strascico di quella stoffa che ancora non riusciva bene a immaginare, non troppo lungo, che terminasse in un semicerchio che desse l’idea di una coda di sirena. Disegnò il manichino e mise dei capelli raccolti dietro la testa, con dei ciuffi ricadenti sul collo e sulle spalle. Avrebbe dovuto convincere l’amica a indossare delle lenti a contatto, almeno per quel giorno, perché tutti potessero vedere le meravigliose sfumature nocciola dei suoi occhi grandissimi.

-Ecco-, sussurrò, sistemando gli ultimi dettagli. Era il primo abito da sposa che disegnava, eccezion fatta per i primi modellini con cui si era innamorata, da bambina, del mondo della moda. Le pareva così adatto ad Alya, era grintoso eppure romantico, adatto ad una giovane madre, ma abbastanza prezioso per dare degno valore a chi lo indossasse… ma non poteva fermarsi ad un solo modello, avrebbe dovuto proporle altre opzioni, darle possibilità di scegliere, osare qualcosa di più originale ed estroso, perché forse quel modello era troppo classico per una tipa tosta come Alya.

Strappò il foglio dal blocco e iniziò a fare un altro disegno: corto, avrebbe osato qualcosa di corto. Una gonna molto larga con sottogonna vaporosa, che richiamasse lo stile anni cinquanta e un corpetto di pizzo con maniche che finivano a punta sui polsi. La gonna era appena più lunga sul retro e ben sostenuta, in contrasto con la parte superiore. Ci sarebbe stato bene un velo corto e come scarpe qualcosa con un nastro alla caviglia. Le piaceva.

Girò il foglio dietro al blocco e iniziò a pensare ad un altro modello, quando il campanello squillò. -Adrien!- esclamò storcigliandosi dalla posizione che aveva preso sul divano e correndo al citofono. Quando udì la sua voce, per un istante le gambe cedettero e si portò una mano ai capelli, in un istintivo gesto di sistemarseli.

-Sali?-, gli domandò e Adrien rispose affermativamente.

La prima cosa che balenò nella mente di Marinette, appena udì quel “sì”, fu che aveva indossato il perizoma che le aveva suggerito Tikki. Fu come un flash vedersi con solo quello addosso: era nero e leggermente trasparente e lasciava intravedere l’opera che l’estetista le aveva fatto.

Quando Adrien comparve davanti a lei, non si era ancora infilata gli stivali e lo aspettava rossa in viso. Lui la guardò dapprima perplesso e confuso, ma in un istante la sua espressione cambiò in una curiosa meraviglia.

-Buonasera…-, le disse lanciandosi sulle sue labbra, colpendola con quel gesto inatteso, lasciandola a tappeto, imbarazzata e desiderosa di averne ancora.

-Buo… buonasera-, gli rispose legando le braccia attorno al suo collo e contrattaccando al bacio stampato che le aveva infuocato le labbra, con qualcosa di molto, molto più passionale.

Plagg sgusciò via dalla tasca della giacca di Adrien mostrando un’espressione più che disgustata, Tikki lo raggiunse e lo trascinò nella sua nuova casetta, nella dependance sul terrazzo. Forse era il caso di lasciarli soli…

 

Marinette vide la sua immagine per un istante riflessa nello specchio che c’era vicino all’ingresso: era completamente avvinta ad Adrien che la stringeva alla vita e ai fianchi; lo specchio le mostrava una faccia di sé che non conosceva, un’espressione persa e indomabile, la curva della schiena accentuata dal contatto con il corpo del suo amore.

Si trovò a trascinarlo verso il salotto, le sue mani non rispondevano più ai comandi impartiti dalla testa, ma forse non c’era stato nessun comando ad indicare che non dovesse sfilargli quel giaccone pesante e non dovesse infilare una mano sotto alla maglia del giovane.

Lo udì gemere per il contatto delle sue mani fredde sulla pelle bollente del suo corpo; lei fece lo stesso, quando anche le mani di Adrien scivolarono sotto al maglione bianco e cercarono la sua pelle, nascosta dalla canottiera sottile.

Stava succedendo quello che era già accaduto una notte di tanti anni prima, nella camera del ragazzo, quando lei era arrivata trasformata in Ladybug. Si sentiva liquida e ardente nello stesso tempo e poco importava se da qualche parte c’era un tavolo riservato per loro due al ristorante.

Probabilmente nulla l’avrebbe trattenuta dal fare quello che il suo cuore e la sua pelle aveva sognato per anni e desiderato nelle lunghe notti d’inverno o quando era più caldo e dalla finestra aperta sopra il suo letto aspettava invano che apparisse Chat Noir.

-Marinette…-, Adrien non si aspettava un benvenuto di quel tipo, non si aspettava che la ragazzina che aveva stereotipato negli anni e che aveva popolato ogni suo sogno, potesse essere d’un tratto vera, reale, fatta di carne bollente e di curve sinuose, senza alcun vincolo a trattenerla. Non si aspettava che Marinette potesse essere una donna così travolgente. Poteva fermarsi, raffreddare la situazione, ponderare, non bruciare le tappe che avrebbero dovuto essere scandite con molta più calma se avessero avuto quei sei anni rubati alla loro vita o poteva lasciarsi finalmente andare. Decise di farsi travolgere da quello che sognava da anni e nulla -nulla- lo avrebbe fermato.

-Un attimo…-, morse senza farle male l’orecchio di Marinette e si staccò da lei. Estrasse dalla tasca posteriore dei jeans il cellulare e lo spense. Ammiccò verso la ragazza, che fece lo stesso e premette l’interruttore del motore per abbassare la persiana della grande vetrata del salotto: i kwami non dovevano disturbare.

-Se suonano alla porta, io…-, disse in un soffio e ci rise su, tornando di slancio tra le braccia di Adrien.

-Andranno via…-, constatò il giovane e la sollevò tenendola dalla vita, lasciando che lei allacciasse le gambe attorno ai suoi fianchi e le braccia attorno al collo: era così leggera eppure fisicamente grande. Aveva cosce lunghe e quei glutei da cui la sorreggeva erano così tondi e sodi, fasciati nella stoffa lucida dei pantaloni attillati. Aprì le mani su quelle due colline per sentirne appieno la loro forma, strinse appena le dita, come se stesse appropriandosi di qualcosa di suo.

Si avvicinò al divano e si chinò per adagiarvi la donna, che lo stava baciando al collo e che si staccò da lui lasciando un filo di saliva sulla sua pelle.

Guardò in quegli occhi azzurri e cupi come il profondo del mare: mai nessuna l’aveva fatto sentire così. La testa era d’un tratto diventata vuota, come se le paure e i pensieri, le contingenze e i sogni si fossero fusi tutti insieme e fossero svaniti lasciando spazio solo all’istinto che gli sussurrava sempre più forte di andare avanti. L’aria nella stanza era diventata calda, i jeans tiravano, il respiro diventava corto suo malgrado: il volto di Marinette era arrossato, gli occhi socchiusi, la bocca sembrava di burro e zucchero e lo chiamava per essere assaggiata ancora e ancora.

Si abbassò su di lei, schiacciandola in parte col suo peso, premendo la voglia che aveva di lei senza vergogna sulle sue gambe; sentì che scivolavano sotto di lui per accoglierlo, si legavano alle sue, lo cercavano. Sostenendosi su un braccio, si chinò a baciarla e fu catturato dalla bocca scarlatta che morse e graffiò, mentre le mani sottili della giovane si insinuarono tra i suoi capelli per tenerlo avvinto a sé. A ogni respiro, a ogni ansimo, il seno coperto dagli abiti si alzava e abbassava come a cercare un contatto, la lana prudeva leggermente: andava tolto quel maglione…

Adrien si alzò, tenendosi sulle ginocchia tra le gambe di Marinette e la prese per i polsi, tirandola a sé: quegli occhi brillavano e brillarono di più al suo sorriso dolce e complice; -Permetti…-, bisbigliò al suo orecchio baciandola sul collo, prese i lembi inferiori del pullover e lo sollevò, facendole alzare le braccia fino a sfilarlo del tutto. Non le lasciò tempo e la strinse di nuovo a sé, affondando il viso nello scollo della canottiera, baciando la pelle bollente e inspirandone il profumo. Fece di più e, chiedendo il permesso con una sola occhiata, ripeté il gesto con la sottile stoffa. Il reggiseno che indossava Marinette era nero, di stoffa leggermente lucida e liscio al tatto, come Adrien ebbe modo di sperimentare senza chiedere ulteriori permessi, beandosi per quelle forme tonde e per il gemito che sfuggì alle labbra della donna.

-Sta a me…-, arcuandosi indietro come fosse un serpente e rialzando la testa, Marinette sfidò il giovane con un sorriso sottile e obliquo e si insinuò con le mani sotto alle sue maglie, sfilando tutto assieme. Risero complici, perché come prevedibile il ragazzo rimase imbrigliato nella massa di maglia e pullover e Marinette ne approfittò per far guizzare gli occhi sul torace e l’addome così asciutti, muscolosi…

-Aiutami…-, sforzandosi di non spezzare il momento, Adrien cercò di sfilare il capo dai due colletti che si erano ingarbugliati; -No…-, gli rispose Marinette e un attimo dopo, seguente a uno sbuffo di impazienza, Adrien sentì che lei lo abbracciava, stringendosi al suo torace nudo e poggiando la guancia sul suo cuore.

 

Amore mio…

 

Con un gesto quasi stizzoso, il giovane riuscì a liberarsi delle maglie e contraccambiò l’abbraccio, sentendola piccola e snella tra le sue braccia. Anche se l’aria era calda, con la pelle nuda e accaldata provarono entrambi un brivido. O forse era piacere? Fu la scossa che serviva, si scambiarono un’occhiata decisa, la tenerezza si tramutò di nuovo in passione, Marinette si lasciò cadere di nuovo sul divano e arcuò la schiena, sollevando il sedere, iniziando a sfilarsi i leggings.

-Faccio io…-, sussurrò Adrien, che fu ben attento a lasciare al loro posto gli slip e lentamente scoprì le gambe lunghe e lisce, finché non arrivò alle caviglie e tolse i pantaloni. Marinette indossava dei calzini neri, uno ad uno furono tolti. Non si aspettava che lui le baciasse un piede, lo ritrasse sorpresa, si rannicchiò sul divano come un gatto scontroso, ma con una voglia matta di giocare col topo. -Andiamo di là-, lapidaria, quasi un ordine e lui la prese tra le braccia in un gesto rapido, come quando volavano di tetto in tetto con le loro tute da eroi, come aveva fatto solo pochi giorni prima, nel loro primo incontro dopo troppo tempo. Allora credeva di stare per morire, in quel momento seppe che sarebbe morta, ma in un modo più bello...

Allacciò le braccia attorno al collo di Adrien e affondò il viso nell’incavo della spalla. Come una sposa si fece portare in camera e adagiare sulle coperte pulite. Svicolò rapida, sedette sul bordo del letto e lo agganciò con le gambe, -Fermo-, gli disse e portò le mani alla sua cintura, tirò, sganciò, sfilò e poi alzò gli occhi in una tacita richiesta. Fece passare il primo bottone dalla sua asola non potendo ignorare l’effetto che gli faceva; quindi il secondo, il terzo e, senza rendersene conto, si ritrovò supina sul letto, travolta dal suo uomo che aveva ripreso a baciarla sul viso, sulla bocca, sul collo.

-Ti amo Marinette-, lo sentì dire e il cuore le esplose nel petto.

-Ti amo anche io, ti amo da sempre-, gli rispose e lo baciò mordendogli il labbro, lottando con la sua lingua, riempiendosi del suo sapore. Lo voleva da sempre, finalmente nulla avrebbe potuto fermare quel desiderio che l’aveva consumata negli anni.

Lui armeggiò con i pantaloni e li sfilò, lasciando che con le gambe lei li spingesse giù; dovette aiutarsi con le mani, li tolse e li lasciò cadere a terra. La stanza era debolmente illuminata dalla luce accesa nel salotto, gli occhi si erano abituati alla penombra e lei gli appariva  bellissima: l’intimo nero faceva risaltare la pelle bianca come il latte, i capelli si erano sciolti e le coprivano parte del petto. Li spostò con un dito, riempiendosi gli occhi delle sue forme snelle e sinuose nei punti giusti, scese più in basso e notò la trasparenza degli slip e quello che si intravedeva da essi e sentì altro sangue defluire dal suo cervello ormai spento.

La voleva da impazzire, ma avrebbe assaporato ogni istante facendo le cose con calma; la baciò sul bordo del reggiseno, sulla pelle tesa dello stomaco, sempre più giù lasciando una scia di baci bagnati, sentendola inarcarsi al suo contatto, immaginando quello che la poca stoffa rimasta ancora nascondeva alla sua vista.

Marinette sentiva i peli delle gambe di Adrien solleticare le sue: cavolo, aveva fantasticato per anni su un ragazzino sbarbatello e aveva ritrovato un uomo con tutto quello che doveva esserci… Non aveva avuto il tempo di guardarlo come avrebbe dovuto, come uno studioso di storia dell’arte in estasi davanti al David, ma lo avrebbe fatto: in quel momento aveva altri pensieri in testa e sensazioni che la infuocavano sul corpo ad ogni bacio che il suo David personale le lasciava. Era come se una scia di elettricità la stesse percorrendo, toccando con dolorosa gentilezza ogni centimetro del suo addome, facendo quasi male dalla voglia che, scendendo sempre più giù, le pompava nelle vene. D’istinto mise le mani sulle spalle nude del giovane spingendolo in basso e quando lui alzò una mano fino a prenderle un seno, sussultò.

Lo strinse con passionale delicatezza,  cercò il bordo della stoffa, lo spostò perché ne voleva ancora e ancora; infilò le dita sotto allo spallino e lo portò giù, per scoprire la pelle che bramava ma era complicato, non scendeva, lei era distesa e...

-Dai...-, sussurrò e si allontanò un poco per farla tirare su. Fu veloce a baciarla ancora e ad abbassare entrambi gli spallini, voleva ancora e con le mani la cinse dietro e si avventò  sul gancio che gli impediva di liberarsi dell'ostacolo tra lui e quello che bramava. Ci volle poco alle sue mani esperte per sganciarlo, ma, nel momento in cui ci riuscì e calò giù l'indumento, Marinette istintivamente portò le braccia a coprirsi il seno e nella penombra il suo viso apparve ancora più arrossato. Non avrebbe violato quella protezione in modo scorretto, lui sapeva come fare… Tornò a stringerla in un abbraccio e la baciò ancora sul viso, sugli occhi chiusi, si insinuò con il naso sotto al suo orecchio, lo mordicchiò finché da sola Marinette sciolse il suo nodo e gli legò le braccia dietro la schiena ampia e accaldata, stringendosi a lui con tutta se stessa. Al contatto del suo petto con i seni morbidi e nudi della sua amata, Adrien pensò che sarebbe stato bello che il tempo si fosse fermato in quel momento in cui tutto era perfetto. Ma voleva di più! Voleva tutto, voleva lei e voleva essere per lei quello che non aveva potuto rappresentare per causa sua.

La spinse in avanti e la vide reclinare la testa, sorretta dalle sue mani aperte sulla nuca, si chinò a baciarla ancora, a pochi centimetri dalla sua pelle delicata, si avvicinò e la sfiorò con la bocca. Era tutto quello che voleva, tutto quello che gli aveva urlato nella testa per anni, come una sirena inferocita contro lui: un povero Ulisse incatenato all’albero di una nave che ci aveva impiegato più di sei anni ad allontanarsi dal pericolo.

Marinette rimase immobile, si concesse solo qualche gemito di piacere e soffocò la voglia che aveva di mostrare al suo sogno personale cosa le piacesse: negli anni aveva imparato a conoscersi e sapeva come muovere le sue mani… ma Adrien era decisamente più consapevole di lei, nonostante tutto. Quindi chiuse gli occhi e si lasciò cullare in un universo di piacere. Sentì che si allontanava un po’ dal suo corpo, lo guardò e comprese che la stava ammirando e che i suoi occhi guizzavano dal seno all’ultima parte di lei ancora minimamente coperta da qualcosa. E le sue mani seguirono quei guizzi, la sua voglia di lei aumentava e la frenesia con lei, -Mi fai impazzire…-, sfuggì alla bocca rossa prima che tornasse a prendersi le sue soddisfazioni, mentre i capelli scivolavano sul ventre di Marinette e la facevano fremere. Lei sentì che una mano, rimanendo a stretto contatto con la sua pelle, andava più giù, sempre più giù, verso la stoffa. Prese aria, perché il suo cervello, se ancora ne aveva uno, ne avrebbe avuto molto bisogno. Adrien alzò gli occhi su di lei: smeraldi affogati in una voglia liquida e incastonati su un volto perfetto, arrossato, languido, bello da svenire e rendersi conto che era ancora tutto un sogno. Ma non era più così, Marinette ne era consapevole e non aveva mai pensato davvero a “come sarebbe stato”. E com’era, dal momento che senza ulteriori richieste, lui voleva sbarazzarsi dell’ultimo ostacolo e insinuava una mano sotto gli slip. Si accorse che un sorriso malandrino fiorì sulla bocca di Adrien, incollata alla sua, e uno sbuffo più rumoroso fu il segnale di approvazione per quel che c’era, o non c’era, sotto gli slip. Marinette lo imitò, ripensando alla buffa scena di quel pomeriggio e all’imbarazzo che aveva provato: no, era solo pudore, ma non c’erano più né pudore né imbarazzo in quel momento, c’erano solo lei e Adrien e tutto il resto dell’universo non la sfiorava minimamente.

Adrien invece...

Aveva perso un ragazzino inesperto e acerbo e in cambio era tornato da lei un uomo che sapeva cosa fare, come toccarla, come prendersela. Lei era probabilmente l'ennesima che aveva spogliato e toccato ma la sola che lo avrebbe tenuto per sempre con sé, ne era certa più che mai, perché non voleva più dover rinunciare a quelle mani, alle sue labbra, alla pelle calda e morbida, alle sue… oh signore! alle sue dita!

Le sfuggì un gemito più forte e le mani strinsero d’istinto le coperte sotto di lei. Si sentì spingere di lato perché si voltasse e rimase immobile a pancia in giù sul letto. -Sei bella, sei maledettamente bella, Marinette-.

Adrien, in contemplazione della sua donna, non resistette e si chinò a baciarla su un gluteo, che era lasciato scoperto dal perizoma, quindi, senza troppi discorsi, glielo sfilò e con lo stesso impeto, la fece rimettere supina. Era sua e lui sarebbe stato soltanto di Marinette, finché avesse respirato ancora.

 

 

***

 

-Avranno finito?-, Plagg aveva fame e le scorte di cibo che Tikki si era premurata di nascondere nella sua casa delle bambole erano ormai terminate.

-Quando la finirai tu di essere così poco delicato!?-, gli rispose la kwami, girando sdegnosa la testa, -Non la finiranno mai, se è per questo: sono stati separati per sei anni, cosa pretendi? Una sveltina e ciao-scusa-devo-andare-devo-dare-da-mangiare-al-cane!?-

Più rossa che mai, Tikki incrociò le braccine e si sedette sul divanetto in plastica. Faceva freddo, ma fortunatamente quella stanza era riscaldata. Scosse la testa, pensando a quanto potessero essere stupidi a volte i maschi e pregò perché Adrien fosse diverso.

Plagg, zitto zitto, andò a sedersi accanto a lei e insieme rimasero a fissare le lucine lampeggianti che Marinette aveva messo sul terrazzo.

-Mi hai dato del cane?-, domandò dopo molto tempo a Tikki.

-Già…-, rispose lei senza voltarsi, mentre lui si alzò in volo e raggiunse la vetrata. Vi appoggiò la fronte e guardò in basso: -Mi ha dato del cane…-, sospirò.

Tikki lo sorprese con un abbraccio e un sorriso splendente: -Sei mancato anche tu a me, non sai quanto!-, trillò e lo trascinò sulla porta della casetta di plastica: -Ecco-, esclamò e lo baciò.

Un piccolo rametto di vischio li guardava dall’alto, un ronzio simile a fusa si diffuse nella dependance sulla terrazza e a Plagg poco importò se i loro umani “avessero finito”...

 

 

***

 

Marinette si svegliò per la fame: il suo stomaco aveva grugnito poco delicatamente e le ci volle qualche istante per realizzare quello che era accaduto. Sentiva solo un piacevole tepore, le coperte ben appallottolate attorno a sé e un cuscino molto caldo, morbido, vivo che respirava sotto di lei. Sorrise e lo baciò. Non aveva idea di che ore fossero, ma certamente era notte. Lo baciò ancora e si protese per raggiungere il viso rilassato di Adrien. La luce in salotto era ancora accesa e lo poteva osservare bene: la barba stava ricrescendo, ma non era ispida, bensì dolce, come lui. Gli occhi si muovevano sotto le palpebre, segno che stava sognando, un leggero sorriso si formò sulle labbra rilassate del giovane, che si stirarono appena. Marinette fece scivolare la mano sul suo petto, si concesse quegli istanti, prima che anche lui si svegliasse, per imprimersi nella mente l’effetto che il contatto con il suo corpo nudo le suscitava. Era abbandonata al suo fianco, una gamba sopra di lui, il seno schiacciato sul petto dove una leggera peluria le faceva il solletico. Disegnò dei ghirigori sulla pelle di Adrien, si protese verso il suo viso e rubò un bacio. Adrien non era una principessa delle favole e non si svegliò, allora Marinette insistette e lo baciò ancora, spingendosi più su con le gambe. Era il risveglio che aveva sempre sognato, accanto a lui, sopra di lui, con lui. Finalmente aveva fatto l’amore per la prima volta in vita sua e non c’era stato nulla che non fosse stato semplicemente perfetto. Finalmente era con Adrien.

 

 

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 - Panta rei ***


Capitolo 34 - Panta rei

 -Sveglia, pelandrone-, sussurrò Marinette all’orecchio di Adrien, intrufolandosi con il naso tra i suoi capelli scarmigliati; lui si mosse appena e piegò la testa dalla sua parte. Era così caldo e placido che la giovane pensò quasi di desistere dal suo intento e lasciarlo dormire. Non aveva idea di che ore fossero, probabilmente non era più possibile uscire per cena fuori. Lo abbracciò cingendolo con il braccio libero e si accucciò con la testa nell’incavo della sua spalla; rimase ferma ad ascoltare il battito calmo del suo cuore, mentre con la mente volava alta su un futuro indistinto, ma senza dubbio assolutamente felice. Era quello che voleva, quello che aveva sempre sognato. Si soffermò a pensare a quanto avesse sofferto e si fosse sentita sola e abbandonata da tutti in quegli anni passati: certo, i suoi genitori e gli amici più stretti le erano sempre rimasti vicini, si erano sempre premurati di sapere come stesse e avevano fatto i salti mortali per rallegrarla ogni volta che fosse stato possibile, ma lei era e si sentiva irrimediabilmente sola e derelitta. E si sentiva a quel modo anche la settimana prima, perfino mentre a casa sua gli amici e i vecchi compagni di scuola ballavano e ridevano tra loro ricordando aneddoti divertenti del tempo della scuola o sostenendo nuove conversazioni: li aveva guardati in silenzio divertirsi e socializzare, aveva ascoltato le loro storie di vita senza avere nulla da raccontare su di lei. Era stata presente, sorridente, socievole, ma la sua mente non era lì. Era ancora accartocciata in un angolo assieme alla ragazzina spaurita ritrovata quella maledetta notte di maggio in un vicolo sporco e bagnato di Parigi. Lei stava in piedi tra loro, ma la sua anima era in ginocchio da allora.

Eppure era bastato un abbraccio di Adrien per fare evaporare come rugiada scaldata dal sole quella sensazione; era stato sufficiente un suo bacio per riprendere a respirare esattamente da dove si era messa in pausa, tanti anni prima. Mosse appena la mano sul petto del giovane, la aprì per assaporare con il tatto la sua vicinanza e ripensò a quello che era successo tra loro. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe concesso più a nessuno che non avesse amato davvero di toccarla, spogliarla, prendersela come aveva lasciato fare a Nathaniel, buttando via, in una disperata ricerca di qualcosa di effimero che la stordisse come assenzio in una notte senza luna, i suoi ricordi più preziosi.

Ma in quel momento sentiva che era tutto cambiato, che poteva davvero dire di aver voltato pagina e di averlo fatto grazie e con l’uomo che aveva sempre aspettato e a cui si sentiva legata da qualcosa di più profondo della contingenza che avevano vissuto. Lei e Adrien erano stati creati per stare accanto, per condividere sguardi, risate, pensieri, per sanare l’un con l’altra le rispettive ferite e per durare per sempre.

Le aveva detto ancora di essere innamorato di lei e Marinette ci aveva creduto: nonostante fosse consapevole che attorno al suo cuore Adrien avesse eretto una muraglia fatta di dolore e rassegnazione, proprio come aveva fatto lei stessa, aveva capito che infine si era lasciato andare e aveva accettato di poter essere finalmente felice. Accanto a lei.

-Ehi-, il cuscino di Marinette si mosse e una mano grande e calda si posò sulla sua spalla nuda.

-Buongiorno!-, gli disse allegra e incredibilmente arzilla, -Anzi, buonanotte, credo…-, lasciò che fosse il suo cuore a guidare i gesti e si sollevò fino all’altezza del viso del giovane, per posare un bacio morbido sulle sue labbra assonnate.

-Che ore sono?-, le domandò Adrien, ricambiando il bacio con dolcezza. La abbracciò e la fece stendere sopra di lui: era pesante, ma era un peso gentile e che avrebbe voluto avere su di sé per molto, molto tempo.

-Non lo so, ma il mio stomaco dice che ha fame-, con i seni che sfioravano il suo petto nudo, Marinette gli sorrise e fu mattina in quella stanza buia.

-Coccinella affamata…-, un altro bacio, un altro abbraccio fin quasi a soffocarla.

-Non volevo svegliarti… cioè, ci ho provato, ma dormivi così beatamente che non ho insistito…-, Marinette sentiva ogni parte del corpo nudo sotto a lei, ogni parte. Forse Adrien l’aveva fraintesa, anche se l’idea di ricominciare da capo non la disdegnava affatto: ma avevano tempo, tutta la vita, rifletté, se non avessero fatto di nuovo sciocchezze.

-Mangiamo qualcosa?-, gli domandò con vocina da bambina e alzò di su lui gli occhi azzurri da cucciolo.

Il giovane la fece scivolare da sopra di sé, sostenendola con gentilezza perché non apparisse che voleva allontanarla, la baciò ancora e si sollevò a sedere sul letto. Si rese conto solo allora che erano entrambi sotto al piumino che l’aveva riscaldato e cullato in un sogno bellissimo.

Non aveva la minima voglia di uscire da quel caldo nido, ma se Marinette aveva fame, l’avrebbe accontentata a costo di portarla sulle spalle a cena al Jules Verne.

-Aspetta-, la ragazza si mise in ginocchio dietro a lui e lo abbracciò ancora, tornando a infilarsi rapida sotto alle coperte, quando lui si voltò per guardarla.

-Ti vergogni?-, ammiccò colpendola gentilmente sul naso con la punta di un dito e la vide stringere le labbra e alzare gli occhi verso l’alto. Era irresistibile e si chinò per baciarla ancora e ancora.

-Ti ho detto che ho fame…-, ridacchiò sulle sue labbra lei, braccata e immobilizzata come un capretto davanti a un lupo.

-Ho capito che hai fame… anche io ne ho…-, Adrien fece scivolare la mano sul suo fianco e non si fermò nel risalire verso la sua carne morbida, che lo chiamava come il canto di una sirena.

-Ma non quella fame!-, puntualizzò Marinette, lasciandolo fare. Ok, anche lei aveva fame, sia di un bel quintale di gelato, che di lui. Le mani di Adrien varcarono il confine tra le coccole e qualcosa di più bollente, la toccarono, lasciarono il posto alla sua bocca che baciò la pelle di Marinette e la succhiò, infuocandola come una lanterna accesa per l’ultimo dell’anno. Poi si staccò da lei.

-Andiamo: che si mangia?-, il giovane si godette l’espressione estasiata della sua ragazza mutare in sana irritazione giocosa, lei si alzò di scatto, per assalirlo e lui la afferrò, stringendola nel più dolce e appassionato degli abbracci del buon risveglio.

La guardò e per la prima volta Marinette scorse la felicità negli occhi del giovane: non lo aveva mai visto con quell’espressione, nemmeno quando si erano appena dichiarati più di sei anni prima, nemmeno quando si erano rivisti. Era contagioso.

-Sei bellissima, non sono sicuro di avertelo detto ieri sera, cioè... prima-, parlò sorridendo tenendola stretta a sé, come se fosse pronto a spiccare un salto e volare con lei tra le braccia tra i tetti di Parigi.

-Grazie-, la sua risposta stupì per prima Marinette: non era abituata ad accettare i complimenti, si meravigliò di non aver risposto qualcosa tipo “non sono affatto bella, rispetto alle modelle che sei abituato a frequentare”, oppure “Tu sei più bello, in fondo sei pagato per essere bello!”.

-Prego, è la verità: sei una donna bellissima-, ribadì lui, -Dai, che si mangia?-, mosse la testa velocemente indicando la porta e la fece scendere dalle sue gambe. Non gli sfuggì l’imbarazzo di trovarsi nuda davanti a lui, afferrò un lembo della coperta per coprirsi e lui lo tirò nella direzione opposta, ridacchiando. Quindi Adrien si mise a pancia in giù sul letto, mostrandole senza problemi il suo didietro e si spenzolò a ricercare, da qualche parte per terra dall’altro lato del letto, la sua biancheria intima, -Ecco-, gliela passò, rigirandosi supino e la guardò coprirsi gli occhi con una mano. Era adorabilmente buffissima.

-Ti ci dovrai abituare-, le disse, -perché intendo farlo ancora e ancora e ancora e an…-

-Ok! Ho capito!-, trillò Marinette, infilandosi rapidamente slip e reggiseno; con le mani dietro alla sua schiena, cercando di agganciare i due gancetti ribelli, sfilò a grandi passi davanti a lui e si chinò per ricambiare il favore e cercare tra le coperte appallottolate e per terra i vestiti di Adrien. Aveva un corpo sinuoso e sensuale, fatto che non era sfuggito a Chat Noir quando, nel mezzo della battaglia contro il vile cinese, si era prodigato per aiutare la sua Lady. Doveva informarsi su quale fosse l’opinione dei parigini sull’essere protetti da una supereoina così sexy… E poi doveva parlare con Tikki, forse… O forse no, perché alla fine, quella meraviglia era ancora e sempre e di nuovo e per sempre sua.

-Hai proprio un bel sederino…-, due mani la agguantarono propriò lì, Marinette squittì come una topolina in gabbia, un’ondata di nuova voglia la prese come se tutto il suo corpo fosse stato fatto di metallo liquido e Adrien fosse la sua calamita.

-Gelato!-, esclamò lui, deglutendo poiché colto dallo stesso ardore; si affrettò a infilare i boxer che, accidentaccio, erano attillati, e a seguire i jeans, -Hai del gelato?-, chiese più pacatamente, una volta che aveva controllato i suoi spiriti e, seduto sul bordo del letto, stava infilandosi le scarpe.

Marinette si chinò verso di lui, lasciando che il suo push up traboccasse un po’ nella sua direzione. Portò i capelli tutti su una spalla, con un gesto rapido, e avvicinò pericolosamente il viso al suo: -Mmm… chissà…-, gli disse. Poi si tirò su, si voltò e gli sfilò davanti, con tutto quello che il perizoma lasciava scoperto e che lui aveva appena saggiato.

-E adesso raffreddati-, lo gelò a parole ed estrasse dall’armadio una enorme tuta di pile multicolore con un cappuccio da unicorno, vi si infilò dentro e chiuse fino in cima la zip, si diresse verso la cucina e… -Ma ha anche la coda!?-, rise lui. Povera Marinette, non sapeva che, con quell’indumento, che lei riteneva sciatto, era più sexy che mai… Aveva anche delle pantofole abbinate, vistose e ridicolmente sexy!

La raggiunse che razzolava dentro il congelatore, piegata sui talloni.

-Nocciola… Panna…-, gli passò senza voltarsi due barattoli non sigillati di gelato, -Ce ne dovrebbe essere un altro…-, aprì il cassetto inferiore e tirò fuori della verdura surgelata, due pizze e: -Eccolo: tiramisù-. Rimise dentro quello che aveva messo all’aria e si alzò con il bottino tra le mani.

-E sono le dieci e venti-, informò Adrien. Non era tardi, in fondo avrebbero anche potuto uscire per quella cena che le aveva promesso…

-Avrei un’idea, se ti va…-, Marinette si avvicinò con movenze suadenti a lui e si allungò fino a parlare piano piano al suo orecchio: -Pizza, gelato e Netflix?-, gli domandò solleticandolo con i leggeri soffi che emise. Adrien si accigliò, incrociò le braccia al petto e assunse l’aria più solenne che gli riuscì: -Signorina Dupain Cheng, la sua proposta è quanto di più vicino al paradiso possa esserci, approvo ogni singola parola!-

Marinette lo imitò e, senza voltarsi, allungò una mano verso il forno e ruotò la manopola per accenderlo, lo chiamò verso di lei muovendo l’indice della mano alzata e lo abbracciò cingendolo al collo: -E dopo la pizza, il gelato e Netflix… direi che possiamo ricominciare da capo…-, gli morse il lobo di un orecchio e sentì di essere davvero, finalmente, mostruosamente felice.

***

-Sono sei notti che non torni a dormire a casa, Adrien-, Gabriel lo guardò lievemente accigliato, Sun stava mangiando o meglio litigando con Nathalie che non riusciva a farlo stare fermo al suo posto a mangiare quello che aveva nel piatto. Adrien giocherellò con la forchetta, facendo rotolare nel suo piatto una polpetta.

-E lei invece?-, indicò con il mento Nathalie: in effetti si era perso il trasferimento ufficiale della donna a casa loro e, nonostante suo padre glielo avesse chiesto abbondantemente per telefono, via messaggi e di persona, non c’era stato un vero e proprio chiarimento tra i due, quantomeno sulla situazione che si era ormai definita.

-Io ci torno a dormire a casa, Adrien, anzi, ci resto…-, rispose lei senza neanche voltarsi a guardarlo: Nathalie era come la dea Kalì, era ovunque, sentiva ogni cosa, sistemava ogni cosa.

-E fai bene: così almeno questo povero vecchio non si sente troppo solo-, Adrien bevve un sorso di vino, alzando il bicchiere per brindare verso l’alto.

-Non sono vecchio-

-Sei vecchio-

-Non è vecchio-

-Va beh, vecchio o no voi due ormai fate coppia fissa, avete un bel bambino, quindi direi che il fatto che io torni o no qua a dormire... che vi importa!?-, il ragionamento non faceva una grinza.

Gabriel abbassò lo sguardo come per incassare il punto preso, ma non era una questione di vincere o perdere: in definitiva avevano vinto tutti in quel lunghissimo ed estenuante gioco. -Vorrei sapere se le cose ti vanno bene, va meglio se te lo chiedo direttamente?-, provò, mangiando una forchettata di verdura.

-Alla grande!-, esclamò Adrien, con la bocca piena. Si pulì le labbra e bevve dell’acqua: -Alla grande papà! Anzi volevo chiederti cosa ne pensassi se non tornassi proprio più a casa e…-

-Vuoi andare a vivere da Marinette?-, gli domandò il genitore a bruciapelo.

Adrien tossì: non era esattamente quello che aveva in mente, pensava più a farsi una casa sua, ma in definitiva il risultato sarebbe stato lo stesso, forse.

-Più o meno…-, bevve di nuovo, -E poi pensavo anche di riprendere gli studi. Il diploma che ho preso vale a tutti gli effetti anche qua in Francia, giusto?-, voleva accertarsene prima di fare passi falsi.

-Lo sai che è valido…-

-Ecco allora potrei iscrivermi a qualche facoltà oppure…-

Gabriel osservò Nathalie, che si era rimessa al suo posto e, lasciato Sun a giocare con le patatine nel suo piatto, in qualche modo si sentiva chiamata in causa nell’argomento. -Cosa vorresti studiare?-, gli domandò l’uomo, seriamente dubbioso sul futuro disciplinare del figlio.

Adrien alzò lo sguardo, in effetti non era chiaro neanche a lui dove volesse parare. Forse aveva avanzato quell’idea solo perché si sentiva in qualche modo un nullafacente, mentre Marinette ogni mattina, seppur con fatica, si preparava e correva a seguire le lezioni all’università pubblica.

Guardò il padre: -Onestamente non lo so, ma vorrei poter dimostrare di essere buono in qualcosa-, ammise.

-Se ti va, potrei insegnarti qualche cosa del mio lavoro e magari potrebbe venirti la voglia di metterti a seguire la parte burocratica di quella che è la gestione di una casa di moda-, gli propose Nathalie. Prendere lezioni da lei avrebbe significato farlo in maniera “segreta” agli occhi del pubblico e poter passare di nuovo del tempo con quella donna che era importante anche per lui. Gli aveva fatto da madre, in fondo, prima di esserlo per Sunan e si era sempre mostrata aperta nei suoi confronti.

-È complicato?-, le domandò dandosi dello sciocco mentre pronunciava quelle parole.

Nathalie piegò la bocca in un ghigno: -Dipende dal tuo stilista: se è in buona, è tutto liscio come l’olio, ma se si comporta come tuo padre, che a volte è incontentabile circa materiali, tempistiche, realizzazioni dei prototipi, tempi di produzione, diffusione del materiale pubblicitario, scelta delle modelle e dei modelli eccetera eccetera, può diventare un compito alle volte noioso…-, lanciò un’occhiata eloquente verso il suo nuovo compagno e poi gli sorrise: -Ma sono sicura che di vecchi antipatici come lui non ce ne siano molti in giro a Parigi…-, aggiunse, aggiudicandosi pure lei un punto.

-Quando avrete finito di parlare male di me, vorrei sapere a chi vorresti, un domani, affiancarti, se sceglierai questa strada-, la domanda era lecita, la risposta scontata.

-A Marinette Dupain-Cheng: secondo me lei ha moltissima stoffa, è brava, crea modelli con la testa nel futuro e i piedi nella tradizione e sa osare quanto basta per entrare in punta di piedi nel jet-set della moda e scalzarti il titolo di miglior stilista di Parigi-, affermò entusiasta il ragazzo.

-Datti alla pubblicità-

-Scegli la facoltà di pubblicità-, commentarono all’unisono Gabriel e Nathalie, scoppiando a ridere e, meraviglia!, prendendosi la mano davanti a lui.

Pubblicità… in fondo lui viveva già di pubblicità e poteva essere un’idea azzeccata.

-Ma… esiste?-, domandò perplesso.

Nathalie aggrottò le sopracciglia, pensierosa, Gabriel si voltò verso di lei: -Alla ESCP potresti seguire i corsi di Marketing e Management, come ho fatto io, e poi fare un master in pubblicità-, si pronunciò la donna, -Ma sarebbe un percorso lungo: sei sicuro di sentirtela?-, domandò al giovane.

Adrien ci pensò un po’ su: se voleva avere qualcosa tra le mani e poter aiutare la sua Marinette avrebbe accettato anche anni e anni di studi.

-Mi potrebbe interessare…-, rispose. Sun attirò l’attenzione dei tre rovesciando il bicchiere pieno di acqua sulla tovaglia e il discorso fu presto accantonato, ma rimase a ronzare nella testa del biondo per molto tempo a venire.

Una volta messo ordine sulla tavola, concluso il pranzo e giocato un po’ con il bambino, padre e figlio si concessero un altro round di chiacchierate a quattr’occhi, mentre Nathalie si offrì di tentare di mettere un po’ a nanna il piccolo. Quel pomeriggio lo avrebbero portato a visitare la scuola dell’infanzia dove avevano pensato di iscriverlo ad anno nuovo e volevano che il bambino fosse il più riposato -e tranquillo- possibile, prima di uscire. Adrien si era offerto di accompagnarli, perché quello era un grande passo per il suo piccolo gnomo festoso e non voleva perderselo.

-Vuoi bere qualcosa?-, chiese Gabriel al figlio, prima di affondare nel divano. Da quando erano tornati a casa, Gabriel aveva ridotto il personale presente in casa e aveva iniziato ad apprezzare quelle piccole gioie della vita domestica che erano cucinare, apparecchiare, sparecchiare e tenere in ordine i giocattoli di Sun. Non avrebbe rinunciato per nulla al mondo alla sua lavanderia privata, perché, nonostante fosse evidente che quella che inizialmente era stata curiosità, poi attrazione, e infine stava diventando un tenero amore verso la sua Nathalie aveva in gran parte influenzato la sua scelta di privacy, non avrebbe però giustificato una fiducia cieca nel lasciarle lavare e stirare i suoi capi, ciascuno così importante, così costoso, così assolutamente sacro… Gli abiti eleganti erano e sarebbero rimasti il suo primordiale amore, sebbene avesse iniziato ad ammorbidirsi anche nel suo look e, di tanto in tanto, scegliesse semplici pullover al posto dei completi preziosi o, in casi rarissimi, banali e orrende tute da casa.

Adrien rifiutò la proposta e l’uomo andò a occupare la sua poltrona, sfilandosi le pantofole di camoscio e incrociando i piedi sul pouf, davanti a sé.

-Credo di non averti mai visto così rilassato, papà-, ammise Adrien: era più elegante lui con i suoi jeans firmati e la camicia di flanella di Abercrombie & Fitch, di suo padre, stravaccato in poltrona con indosso una tuta di felpa grigia, sebbene ovviamente firmata.

-Si cambia, Adrien, si cambia-, rispose laconico Gabriel, ripensando alle decadi passate nella seta e nei completi tagliati su di lui, con il collo strizzato da cravatte italiane e le giornate bigie e solitarie nella sua tetra magione. Si voltò verso il ragazzo: -Mi dispiace-, disse semplicemente.

-E di che!?-, domandò Adrien, che era così felice negli ultimi tempi che non si sarebbe fatto scalfire da nulla.

-Perché so già che sarò un padre migliore per Sun di quanto non lo sia mai stato per te-, ammise l’uomo, abbassando lo sguardo.

Adrien inspirò: la sua infanzia era stata un’altalena di grandi episodi annacquati da una bigia attesa che la mamma tornasse da loro; dell’adolescenza, quell’adolescenza che aveva avuto il suo culmine negli anni della Du Pont, in effetti Adrien ricordava solo la condizione di costrizione in cui era stato costretto dallo stesso uomo che in quel momento gli stava chiedendo perdono, con il cuore in mano.

-Sei stato il padre che mi ha permesso di essere felice adesso. E “adesso” è il momento migliore per essere felice. Sei stato quello che si è inventato di diventare Papillon e grazie al quale io ho potuto avere il mio Miraculous e, in fin dei conti, conoscere e innamorarmi di Marinette-, gli rispose. -Sii un grande padre anche per Sun. Per me lo sei già-, allungò una mano verso quella dell’uomo e la strinse. Era così: aveva provato odio e rancore verso di lui, frustrazione e dolore in tenera età, ma finalmente era fiero dell’uomo che Gabriel Agreste aveva scelto di diventare, una volta esorcizzati gli spiriti che lo tenevano legato a un’esistenza incerta e maligna.

-Tu hai vinto i tuoi demoni e io i miei. Pensiamo solo al futuro-, concluse Adrien, quindi si guardò intorno, focalizzandosi sul mobile bar. -Cosa volevi offrirmi da bere?-, domandò al padre: forse era il caso di santificare quel momento e berci su.

Si versarono due dita di cognac e ripresero a parlare; Adrien non lesinò battute qua e là sui cambiamenti fatti dall’uomo in quell’arco brevissimo di tempo e Gabriel volle sapere come stavano procedendo le cose tra suo figlio e Marinette.

-Papà… E dai!-, fu la risposta di Adrien alla domanda più intima che l’uomo gli pose, se avesse o meno “fatto cose” con la sua ragazza.

-Chiedevo…!-, si difese il genitore, buttando giù l’ultimo sorso di liquore.

-Comunque sì, e ho intenzione di continuare per molto tempo, d’accordo?-, Adrien rise e imitò il padre; -Per questo vorrei poter avere una casa tutta mia in cui anche Marinette possa andare e venire come io faccio a casa sua. Abbiamo fatto la spesa insieme e quando siamo rientrati a casa sua...-

-Me ne sono accorto… e anche mezza Parigi, grazie ai paparazzi-, lo interruppe Gabriel, facendogli cenno che proseguisse.

-Insomma, non è che stia facendo il parassita con lei, ma forse vorrei degli spazi miei, che possa definire “casa mia” e in cui, se vengo beccato dai fotografi, almeno non debba sentirmi un ospite perpetuo a casa della mia ragazza-, concluse Adrien.

Gabriel rifletté: anche lui, ai tempi in cui aveva avuto le sue prime fiamme, aveva pensato la stessa cosa, in fondo era una richiesta legittima; -Non vuoi goderti ancora un po’ questa situazione da figlio di papà?-, domandò schiettamente al giovane. -Pensaci: se prendi una decisione adesso, in qualche modo lei si sentirà vincolata alle tue scelte. Se ti prendi una casa, quella potrebbe diventare un domani anche la sua casa e non avrebbe modo di metterci la sua parola. Con tua madre accadde così: questa villa era della mia famiglia da generazioni e fu scontato venire a vivere qua, ma Emilie non l’ha mai sentita sua, si è sempre solo sentita asfissiata dalla notorietà che si sobbarcava solo uscendo ed entrando qua dentro… Se lasci un altro po’ le cose così, invece, forse il peso della tua personalità pubblica graverà meno sulla privacy e la libertà di Marinette e un domani potrete scegliere insieme la vostra abitazione, se vorrete.-

Era un discorso sensato.

-E cosa dovrei fare allora?-, domandò cercando realmente un aiuto e un consiglio in un uomo che sicuramente aveva molta più esperienza di lui.

-Potresti proporle di andare insieme in una nuova casa in affitto, o dividere le spese di quella dove vive lei, per un po’, mentre nel frattempo vi prendete il vostro tempo per cercare un’altra sistemazione migliore e-

-Ma la casa di Marinette è già perfetta: ha anche preparato una stanza per Sun! Ieri ce l’ho portato e vedessi com’era felice!-, nella stanza inutilizzata a casa sua, Marinette aveva recuperato il suo letto da ragazza e un comodino e poi aveva fatto la sorpresa al bambino facendogli trovare una tenda di Ikea, di quelle con il tubo per giocare, un tappeto morbido e una piccola postazione con un tavolino e due seggioline azzurre: una per lui e una per Mr Pandy.

-Sunan mi ha raccontato tutto, quando lo hai riportato qua… tanto che Nathalie è venuta stizzita da me quando ha scoperto che Ikea ha battuto la Stokke… letteralmente a tavolino!-, risero entrambi alla battuta, erano momenti preziosi che Adrien, ma anche Gabriel, avrebbero conservato per sempre nella loro memoria.

-E con lei come va?-, domandò Adrien, anche se conosceva già la risposta.

-Nathalie è un portento: ho scoperto molte più cose di lei negli ultimi mesi, azzarderei nelle ultime settimane, che in anni e anni di collaborazione insieme. Pensa che si è cancellata da sola lo stipendio perché ha stabilito che vivere qua era già di per sé un lauto stipendio. Ovviamente ho usato argomentazioni convincenti per farla desistere da questa idea, ma mi ha stupito come abbia preso le redini di questa casa in un così breve tempo. E intanto continua imperterrita con il suo lavoro.-

Adrien alzò le spalle: -Non ho difficoltà a crederlo, ma forse ti sfugge che Nathalie ha sempre avuto le redini di questa casa e, prima di Sun, ha fatto da madre a me…-, lo disse con il tono più pacato e dolce possibile, per non ferire i sentimenti del padre.

Il sorriso svanì dal volto di Gabriel, guardò in basso, verso le mani che teneva vicine in grembo: -Lo so. Nathalie c’è sempre stata per te e io ho fatto molto male anche a lei, l’ho usata, l’ho maltrattata in passato e sono sicuro di averla ferita tantissimo imbarcandomi e facendola imbarcare nella nostra ricerca. Io lo sapevo che Nathalie provava qualcosa per me, ma pensavo fosse solo ammirazione, una sorta di sindrome del maestro, ma mi sbagliavo…-, rialzò gli occhi, dritti verso un punto non ben definito davanti a sé: -E sono stato cieco a non comprendere che anche io provavo molto di più che ammirazione nei suoi confronti. Pensavo fosse soddisfazione per il suo comportamento ligio e ineccepibile sul lavoro, o gratitudine per quello che faceva per te-, si voltò verso Adrien e increspò le labbra: -Invece ne ero innamorato, ma non lo avevo capito. Ho inseguito il fantasma di tua madre, che ci ha abbandonati per qualcosa di più grande di lei, l’ho venerata fino a che non ho saputo che non c’era più. E quando ho saputo che non c’era più, ho provato quasi un senso di liberazione, perché mi sono voltato e ho visto Nathalie sotto una luce completamente diversa, come se il riflettore puntato su Emilie di colpo si fosse spento e finalmente fossi riuscito a vedere che ce n’era un altro acceso su di lei.- Fece una pausa, -Perdonami, se puoi.-

Adrien alzò le sopracciglia: -Io!? Di cosa dovrei perdonarti, scusa!?-, la domanda era spontanea.

-Di aver dimenticato tua madre in così breve tempo-, la risposta fu schietta.

Adrien scosse il capo, sorridendo al padre: -Mamma era svanita ormai da anni, lo sappiamo entrambi. Tutti e due in oriente non cercavamo più lei, ma noi stessi: non è così?-

Gabriel non rispose, perché le parole di suo figlio lo avevano fulminato. Forse Adrien aveva ragione, forse, davvero, il loro viaggio era stato solo un’odissea attraverso quelli che erano i punti saldi nella loro esistenza, alla ricerca di qualcosa che, entrambi, avevano già.

-Grazie-, disse al figlio e lasciò che un po’ di sano silenzio calasse tra loro.

Esordirono quasi in simultanea: -E poi vorrei chiedere a Marinette di sposarmi, quando sarà il momento giusto-, -Chiederò a Nathalie di sposarmi, a breve.-

Risero, sorrisero, si abbracciarono, batterono palmi sulle spalle l’uno dell’altro, si lasciarono andare a battute goliardiche, presero altre due dita di cognac, brindarono, poi si fermarono un attimo e si guardarono negli occhi.

-A mamma-, disse Adrien.

-A Emilie, che avrebbe voluto che fossimo felici entrambi-, aggiunse Gabriel e una lacrima scivolò dietro ai suoi occhiali.

***

-Sorpresa!-, Alya si era presentata alla porta di Marinette dopo averla tempestata di messaggi su Whatsapp per tutto il giorno, cercando di capire i suoi spostamenti e carpire quando fosse in casa da sola. I medici le avevano dato il nulla osta a riprendere una normale vita da donna in piena forma e incinta e come prima uscita lei aveva deciso che doveva a tutti i costi andare a trovare la sua amica del cuore. Prima dei suoi genitori, prima delle sorelle, prima di tornare all’università o andare a fare finalmente la spesa da sola in modo da non dover ogni volta bacchettare Nino per averle comprato un sapone della marca sbagliata o il formaggio con le noci, quando lo voleva senza, oppure la cioccolata senza noci, quando a lei piaceva quella che le aveva.

Marinette si aprì in un gran sorriso vedendola dietro alla sua porta: l’amica non aveva suonato il campanello dabbasso, complice un mazzo di chiavi che era avanzato a Nino e che, non senza vari ripensamenti, lei aveva usato per aprire il portone sulla strada.

-Alya!-, Marinette la fece entrare immediatamente in casa, si affrettò a sistemarle il divano, spostò il poggia piedi in preda al terrore di farla attendere troppo, la aiutò col cappotto e si prodigò per lei, che, tra il serio e il faceto, si fece coccolare ancora un pochino, per l’ultima volta forse, dalla sua amica.

-Notiziona! Sono tornata funzionante al cento per cento!-, esclamò la giovane scattando in piedi e allargando le braccia.

-Ma è meraviglioso!-, trillò Marinette, noncurante dei servigi appena offerti, inutilmente, all’amica. L’importante era che lei stesse bene, che Fagiolino stesse bene e che tutto, ma proprio tutto, stesse andando finalmente a gonfie vele.

-Fammi un caffè come si deve-, chiese all’amica, in vena di stravizi, -e dopo…-, ammiccò, perché tra loro non c’era bisogno di troppe parole.

Alya volle sapere nel dettaglio se Marinette e Adrien avessero fatto sesso, quante volte, il livello di gradimento, la dotazione del giovane, la durata dei rapporti, la loro frequenza e cos’altro avessero fatto. Marinette glissò su quasi tutte le risposte, semplicemente annuendo alla prima e dilungandosi sulle cene a base di pizza surgelata a orari improbabili, sulle uscite al Mc Donald e sul fatto che avesse rivisto tutto Games of Throne su Netflix, perché Adrien non lo conosceva. Era anche andata all’Ikea per organizzare la stanza a Sun.

-A parte che sei bastarda a non condividere con me le informazioni che ti ho chiesto (io l’ho fatto, ricordi? Eh, ricordi, ingrata?), credo che guardarsi Games of Throne sia segno di vero amore reciproco, e la varietà dei vostri pasti serali mi dà già da sola l’idea delle risposte che hai omesso!-, Alya colpì con una gomitata l’amica e si rimpinzò di biscottini che Tikki guardò svanire uno dietro l’altro dalle sue scorte personali.

-Se Nino la scopre, sono guai-, spiegò Trixx alla kwami in punto di piangere. Alya aveva il valore della glicemia al limite e non avrebbe dovuto lasciarsi andare, anche se comprendeva l’euforia della sua portatrice.

Per cambiare discorso, Marinette pensò di mostrare all’amica i bozzetti che aveva preparato per lei; prese il blocco degli schizzi e, visibilmente emozionata, li mostrò uno ad uno ad Alya, descrivendo nel dettaglio tutte le cose a cui aveva pensato. La ragazza guardava le carte attenta, il viso serio, ma Marinette non scorgeva ancora nessun guizzo negli occhi nocciola dell’amica nel vedere quei modelli. Si sentiva colpevole per essersi assunta quel compito prendendo forse sottogamba la sua importanza; cercava di evidenziare i pregi di ciascun modello, ma niente: Alya non sembrava convinta. Si arrese all’evidenza che non era tagliata, forse, per disegnare abiti e, con la scusa di andare un attimo in bagno, si guardò allo specchio, disperandosi per la sua misera condizione di stilista immatura e piena di sé, incapace di interpretare perfino i gusti della sua più cara amica.

Si sforzò di mantenere la calma e si ripropose di chiedere ad Alya cosa avrebbe voluto per il suo giorno più importante, ma, quando tornò in salotto, la ragazza l’attendeva con un foglio spiegazzato in mano e gli occhi lucidi.

-È lui-, disse semplicemente, porgendo a Marinette il primo bozzetto che aveva disegnato e che era rimasto abbandonato da qualche parte. La giovane stilista guardò il disegno e poi l’amica, confusa.

-C’era questo foglio che spuntava tra i cuscini del divano, ecco… io l’ho tirato fuori e… è lui Marinette: è perfetto, è quello che sognavo-, la abbracciò con trasporto e Marinette pensò che quel bozzetto, il primo che aveva immaginato per l’amica e che aveva tracciato pensando a lei, alla sua personalità scoppiettante eppure romantica, alla sua condizione al momento del matrimonio e riuscendo a sentirlo come quello “giusto”, era rimasto incastrato tra i cuscini del divano su cui lei e Adrien si erano coccolati per giorni, su cui avevano mangiato gelato guardando la tv, ci si erano seduti sopra e lo avevano reso testimone di momenti di passione e di amore puro. Lo aveva dimenticato, pensando scioccamente che la prima idea, quella fatta di solo istinto, non potesse di certo essere quella giusta.

-Lo avevo rimosso…-, ammise grattandosi la nuca, poi sorrise ad Alya, -In totale onesta è quello che mi ha fatto più di tutti pensare a te, quello con cui ti vedevo meglio, ma… ero sicura che non avrebbe potuto piacerti: è abbastanza normale, non trovi?-, i suoi occhi erano due pozzi profondi di stupore e incertezza.

-È perfetto, Marinette, è lui!-, ribadì; le prese le mani e la guardò attraverso le lenti: i suoi occhi scintillavano: -Fidati del tuo istinto, tu mi conosci forse meglio di chiunque altro e hai disegnato tutto quello che sono, che vorrei essere, che vorrei apparisse nel momento in cui mi legherò a Nino per tutta la vita-, la abbracciò e la strinse a sé come qualcosa di prezioso di cui chiedere sempre grazie al destino per averla fatta incontrare.

Marinette sentì il suo cuore esplodere di gioia per aver fatto felice l’amica e di emozione per aver colto le sue più intime sfumature; -Adesso viene la parte difficile… realizzarlo!-, confessò ad Alya, che prontamente la rassicurò dicendole che avrebbe fatto un ottimo lavoro, come sempre.

Marinette le prese di nuovo le misure, sapendo che, nell’idea che aveva in testa, quel modello avrebbe potuto essere aggiustato anche all’ultimo minuto per adattarsi alla pancia che si sarebbe vista abbondantemente al momento del matrimonio: bastava regolare la stoffa del panneggio che aveva contemplato quasi fosse un lussuoso grembiule e sistemare le eventuali pinces per renderlo adatto a qualsiasi dimensione Fagiolino avesse deciso di assumere.

-Che stoffa vorresti per la parte dietro e le maniche?-, domandò ad Alya, segnandosi le ultime misure prese sul suo quaderno del cucito, che teneva nel laboratorio in terrazza, -Ci starebbero bene sia il pizzo, sia un lamé…-

-È una bella domanda…-, ammise Alya, che era stata tentata dal pizzo, ma aveva scorto tra gli scampoli che Marinette conservava nella sua cesta rosa varie altre opzioni altrettanto interessanti.

-Possiamo andare insieme al negozio di stoffe, se ti va, così puoi farti un’idea. Quest’anno va di moda il pizzo, ma io ci vedrei bene anche uno shantung o una seta dupion o qualcosa di sfumato… magari leggermente colorato. E ti direi di osare con l’arancio o l’oro, a questo punto!-, ammiccò indicando il ciondolo che Alya teneva al collo. La giovane strillò felicissima alla proposta e si trattenne dal saltellare euforica, poi, in un attimo, il suo sguardo si velò: -Sarò una balena per allora-, constatò mortificata. Marinette le prese una mano: -No, sarai bellissima e Nino impazzirà ancora e ancora per te. Vieni che ti faccio vedere qualcosa che ho buttato giù anche per lui!-

Rientrarono in casa e Marinette stabilì che avrebbe messo a fare un tè, perché si era infreddolita ad andare e venire dalla terrazza. Solo allora Alya notò un dettaglio che inizialmente non aveva notato: -Non fumi più?-, chiese, non vedendo in giro né posacenere né pacchetti di sigarette.

Marinette si fermò davanti a lei a bocca aperta, si lasciò cadere seduta sul divano abbandonando le braccia sulle ginocchia: era incredibile come non avesse fatto caso a quel dettaglio importante eppure insignificante della sua esistenza. -No, a quanto pare, no…-, rispose all’amica, scuotendo la testa per l’incredulità di quella notizia.

-Non me ne ero resa conto, sai?-, ammise, domandandosi se in qualche modo stesse perdendo il ben dell’intelletto. Semplicemente non ci aveva più pensato, da qualche giorno e non le era mai venuta la voglia di farlo. Alya sorrise: -Ah, l’amour!-, disse soltanto.

-Vado a fare il tè-, Marinette si alzò e corse in cucina, rimuginando su quel fatto inusuale, che l’aveva lasciata perplessa: sapeva che il fumare era strettamente legato al suo stato d’animo, ma l’aveva sempre considerato anche un piacere. Forse, a pensarci bene, non era così ed era esclusivamente il modo con cui lei si voleva fare del male, sapendo che nella sua sofferenza poteva convincersi, laddove il destino e il mondo crudele la stavano stritolando in una successione senza fine di eventi disastrosi, che anche lei poteva prendersi il lusso di partecipare a quella gara a chi potesse ferirla di più. Forse pensava che, se lo faceva da sola, avrebbe fatto un po’ meno male. Forse semplicemente non si voleva bene, non si credeva degna di poter essere libera da qualcosa di brutto. Ecco perché fumava: perché sapeva che le faceva male ed era il suo modo contorto per far sì che, almeno in quei momenti, fosse sua la mano del boia e non di altri. Scosse ancora la testa e decise di non pensarci più: stava bene, finalmente non aveva motivo per autoinfliggersi una pena maggiore di quella che aveva già patito. Adrien aveva fatto anche quel miracolo.

Mentre il vapore iniziava a far soffiare la valvola del bollitore, pensò a come la sua vita fosse cambiata da quando la speranza si era riaccesa nel suo animo e la presenza dolce e reale di Adrien la stesse curando piano piano da tutto il male che sentiva dentro.

-Lo ami tanto, non è così?-, le domandò Alya, comparsa sulla porta della cucina. Marinette annuì, sentendo che iniziava ad arrossire un po’, ma Alya era la sua amica del cuore, a lei si sarebbe potuta aprire in tutto e per tutto.

-Non so come faccia a resistere a tutto l’amore che sento… a volte… a volte credo che potrei scoppiare. Quando lo vedo, quando arriva da me o lo incontro fuori dalla facoltà io… mi viene un groppo in gola perché ripenso alle volte che immaginavo di vederlo per strada, o dentro qualche negozio e poi capivo che non era lui. Non sai cosa provi quando mi abbraccia, quando guardo nei suoi occhi e vedo la stessa libertà che sento adesso. Mi sento in pace, Alya… nemmeno a quindici anni mi sono mai sentita così in pace, a casa, come adesso…-, spense il gas sotto al bollitore e versò il tè nella teiera.

-La cosa strana è che non ho paura di perderlo, non più. So che lui è qua per me, che mi vuole, che ci tiene a me. So che sono il suo primo pensiero al mattino e l’ultimo alla sera e anche se è passato pochissimo tempo da quando l’ho ritrovato io… sento che voglio stare tutta la mia vita con lui, che voglio svegliarmi sempre accanto a lui, bisticciare con lui su cosa guardare in tv, scacciarlo dal bagno, se devo andarci io, rotolarmi con lui tra le coperte, guardarlo mentre gioca con suo fratello… mi sento esplodere il cuore nel petto dalla felicità. E non sento più quel vento gelido pronto a portarmi via ogni cosa, non ho più paura.-

Si sedette alla tavola e sospirò; Alya, imitandola, si lasciò scivolare su una sedia e non riuscì a trattenere una lacrima e poi un’altra e si lasciò andare ad un pianto liberatorio e quasi teatrale.

-Sono gli ormoni!-, ripeteva tra un singhiozzo e l’altro, mentre Marinette la teneva stretta a sé, abbracciandola come la sorella che era sempre stata per lei.

-Prendiamo il tè, che sistema tutto-, suggerì Marinette, sentendo il cuore più grande e più caldo di quanto già potesse esserlo.

Bevvero il tè, parlottarono ancora del più e del meno, occhi negli occhi che scintillavano complici da una vita, ma che finalmente condividevano una fetta di felicità ponendole sullo stesso magico piano. Sorelle e amiche, per sempre unite, per sempre fedeli.

-Fammi vedere i bozzetti per Nino-, riprese Alya, ricordandosi la promessa di Marinette e l’amica le mostrò quattro o cinque mise differenti che aveva pensato per il suo caro amico e padrone di casa.

-Questo l’ho chiamato: Nino non aumentare l’affitto- scherzò.

-Non te lo fa pagare l’affitto, che ti lamenti?-, la riprese Alya.

-Vedrai quando sarete sommersi da pannolini puzzolenti e cari un occhio della testa, se non verrete a battere cassa!-, la provocò Marinette, -Ad ogni modo, è un completo classico, ma dal taglio moderno con dettagli molto sui generis, come puoi vedere. Ha un farfallino al posto della cravatta, ma se devo essere sincera… non mi convince affatto!-, scoppiò a ridere strappando via dalle mani di Alya il primo foglio; -Questo va già meglio-, spiegò, mostrandole il secondo abito, dove non c’era un vero e proprio completo, ma uno spezzato nei colori preferiti dal ragazzo e un buffo cappello a metà tra un cilindro e un berretto da baseball.

-Marinette, buttalo via, ti prego!-, fu la reazione di Alya, che rise assieme alla sua amica, che ammise di non avere ben chiaro quale avrebbe potuto essere un abito adatto a un tipo come Nino.

-E poi c’è questo… è classico, ma cool e ha perfino il panciotto… ma è di felpa, inorridisco solo a dirlo… felpa e jeans…-, guardò Alya dal basso verso l’alto, come a cercare pietà per l’ultima idea che aveva avuto. La ragazza strinse la bocca, analizzò il bozzetto, chiese alcune delucidazioni e suggerì di metterci in ogni caso un cappello, magari un’idea geniale tipo la famosa “bombetta-piccione”, come la chiamava lei.

Marinette prese matita e gomma e recepì le modifiche richieste: -Ed ecco a voi Mr Cool Panciotto!-, esclamò.

-Mi piace…-, Alya unì tra loro le punte di tutte e dieci le dita e si lasciò affondare sulla sedia, incassando la testa tra le spalle. Risero di cuore entrambe, approvarono il modello scelto e sperarono che anche lo sposo avrebbe gradito. Come richiamato dal classico “si parla del diavolo”, Nino chiamò Alya sul cellulare.

-Pronto? Ciao Mr Cool Pancho!-, rispose trillante e, al ragazzo che giustamente non aveva capito nulla, disse un laconico, -Niente, niente, capirai…-, riprendendo a ridere con l’amica.

Si era fatto tardi e Alya doveva rientrare a casa per non esagerare con le prime giornate di libera uscita. Quella sera sarebbe andata a cena dai suoi e, anche se sarebbe stata coccolata e viziata, voleva passare da casa a riposare un po’.

Si salutarono sul pianerottolo dell’ultimo piano: -Sei un’amica preziosa-, disse a Marinette, -Non cambiare mai-, aggiunse e la baciò sulla guancia, prima di sparire in ascensore.

Marinette pensò che anche lei avrebbe potuto fare un salto dai genitori per vedere il grande albero di Natale che, come da tradizione, i suoi avevano già preparato. Era la prima volta che lo facevano senza di lei, ma Marinette aveva dovuto declinare l’invito perché era troppo presa dalle lezioni in facoltà e dal suo ritrovato amore. Indossò il cappotto e chiamò Tikki, che vide di buon grado, in quella uscita al freddo, l’occasione per recuperare un po’ di biscotti freschi alla boulanjerie. Adrien non sarebbe tornato prima di cena ed era un ottimo modo per ingannare l’attesa.

In realtà Marinette aveva un altro motivo per voler vedere i suoi: le frullava in testa già da qualche giorno l’idea di chiedere ad Adrien di trasferirsi da lei, ma voleva prima parlarne ai suoi e forse, anche se non era sicura di sentirsi pronta, presentare il suo fidanzato ai genitori. In fondo loro Adrien lo conoscevano già e sapevano tutto di quel che lei aveva provato e ancora provava per lui, ma non avevano avuto modo di parlare con il nuovo Adrien, che aveva sulle spalle sei anni in più e una marea di esperienze e sofferenze. Avrebbe anche dovuto affrontare con loro il discorso delle feste di Natale, che si avvicinavano inesorabilmente e, come ogni evento comandato, rischiavano di dividere le famiglie e ingarbugliare anche le situazioni apparentemente più normali.

Scese dalla metro e riemerse in una Parigi ormai avvolta dalla notte, anche se erano solo le cinque e mezzo del pomeriggio; tutto intorno poteva vedere già diverse decorazioni luminose fare mostra di sé dai balconi e dentro le case del vicinato, qualcosa di simile ad una malinconica euforia si annidò nel suo cuore, al ricordo di quando, da bambina, si faceva accompagnare dal papà a vedere tutte le decorazioni per fare poi l’elenco delle più belle. La vetrina della boulanjerie aveva sempre rispecchiato l’atmosfera festosa, riempiendosi di lucine lampeggianti e di decorazioni di vero abete e bacche rosse, che, con la mamma, Marinette raccoglieva a inizio dicembre, conservandole con cura e decorandole con neve spray o glitter dorati e argentati.

Quell’anno tutto sembrava uguale al solito, anche se stranamente il negozio era vuoto. Aveva aperto un grande supermercato, poco distante, con un bel banco forno e pasticceria e gli affari dei genitori di Marinette avevano subito un sensibile arresto. Tom non si era perso d’animo e aveva pensato a nuove creazioni del tutto originali che sfornava di continuo, per stare al passo con i prezzi più bassi del supermercato, offrendo ai suoi clienti più affezionati la sua originalità e la qualità di cui andava famoso.

-Oh oh oh!-, esclamò a gran voce Marinette entrando nella pasticceria e richiamando i suoi genitori, la mamma alla cassa e il papà nel retrobottega.

-Marinette!-, esclamò Sabine, che ormai contava le apparizioni della figlia sulle punte delle dita di una mano. Da quando Marinette si era fatta la sua casa, il vuoto che aveva lasciato nel suo nido era tangibile e a volte faceva male. Ma il ritorno di Adrien aveva avvolto i sonni dei coniugi Doupain-Cheng in quattro coperte, perché avevano potuto apprezzare la felicità che, finalmente, era tornata a illuminare il volto della loro bambina adorata.

-Ciao piccolo biscottino speziato!-, la salutò suo padre, uscendo imbiancato di farina, come suo solito.

-Stavo iniziando a dimenticare il profumino di questo posto… e adesso ho anche una gran fame!-, li stuzzicò Marinette e si fece offrire dalla mamma una fetta di tarte tatin, che in fondo rimaneva una delle sue preferite.

-Prova questo e dimmi che ne pensi-: Tom le mise davanti al naso un macaron all’aspetto molto simile ai soliti che preparava sempre, anche se arricchito con alcune decorazioni natalizie. Cosa poteva esserci di strano in un perfetto macaron di Monsieur Dupain!? Marinette lo azzannò con poca grazia e sgranò gli occhi: era semplicemente perfetto! La mandorla delicata si fondeva alla ganache bianca alla mela caramellata e la spolverata di cannella rendeva il tutto meraviglioso.

-Incartamene qualcuno, ti prego!-, esclamò leccandosi i baffi: Adrien li avrebbe adorati, ne era certa; -Mi fate vedere l’albero di Natale?-, domandò poco dopo, abbassando gli occhi in preda ai sensi di colpa per non aver contribuito a prepararlo assieme ai suoi.

-Oh, non è niente di che-, spiegò Sabine, -Quest’anno lo abbiamo fatto in miniatura-, si giustificò. Marinette salì in casa, lasciando scivolare la mano sul corrimano delle scale di cui conosceva a memoria ogni nodo, prevedendo le venature della pietra di ogni scalino, riconoscendone il suono, perché quella era stata e sarebbe sempre rimasta la sua casa.

Si sforzò di celare una leggera delusione quando effettivamente vide l’albero di Natale nel solito posto dove ogni anno veniva allestito, ma non occupava l’intera parete del salotto, come in passato, ma solo una piccola parte, perché in effetti era piccolo, anche se squisitamente decorato.

-È delizioso-, si sentì di dire alla mamma e si sfilò la sciarpa e il cappotto.

-Come stai?-, le domandò la donna, sedendosi vicina a lei, sul divano, -Vuoi un tè?-, e domandò, ma Marinette rifiutò gentilmente spiegando che lo aveva preso da poco assieme ad Alya, che era andata a farle visita.

-Fortunatamente lei e il bambino sono fuori pericolo e adesso Nino avrà una bella gatta da pelare in casa, con quella furia di Alya tra i piedi!-, si espresse la giovane, immaginando quanto fosse felice ed euforica l’amica. Aveva voluto che le lasciasse il foglio con il bozzetto dell’abito per Nino, perché, pur sapendo che lo avrebbe forzato a scegliere proprio quello che lei aveva già scelto per lui, voleva almeno apparentemente che il fidanzato si sentisse coinvolto nella decisione. Aveva chiesto a Marinette invece di conservare gelosamente il bozzetto del suo, perché voleva che fosse una sorpresa per tutti. “Ti concedo di farlo vedere solo ad Adrien”, le aveva detto sorridendo, perché tanto sapeva che a lui non avrebbe nascosto più nulla.

-Come stai?-, ripeté la mamma e Marinette le rispose aprendosi in un sorriso spontaneo. La donna la sfiorò con una carezza sul volto e a sua volta ricambiò il sorriso, grata al Cielo che la sua bambina avesse finalmente trovato la pace che meritava. E Ladybug? Aveva ritrovato il suo Chat Noir? Si morse la lingua per non fare quella domanda assolutamente fuori luogo e in un flash le apparvero alcuni commenti che, anni addietro, avevano fatto lei e Tom guardando il telegiornale. Sostenevano, un po’ come tutti, che quei due supereroi non potessero che essere una coppia nella vita reale, chiunque fossero davvero: ci avevano azzeccato, sebbene per anni quella situazione fosse venuta meno.

-Vorrei chiedere ad Adrien di venire a stare da me... Posso, mamma?-, Marinette guardò la donna con occhioni grandi e supplicanti a cui Sabine non poté che cedere, sentendo sulle spalle, per la seconda volta in pochi anni, tutto il peso dell’età.

-Non devi chiederlo a me, amore mio, ma al tuo cuore. E credo che anche lui ti risponderebbe lo stesso, oppure… “sciocchina, ovvio che sì!”-, le prese le mani e le strinse tra le sue, poi le domandò qualcosa di più imbarazzante: -Ma Adrien ci vorrà venire a stare nella tua umile dimora?-, era qualcosa a cui Marinette non era preparata.

Per quello che aveva interpretato del ragazzo… beh, sì… Aveva trovato Sunan in un orfanotrofio nel quale aveva vissuto lui stesso per qualche giorno, era stato sempre in bilico tra una vita in mezzo all’oro e un’altra vita derelitta sull’orlo della disperazione, sudore mischiato a fatica e a sacrifici.

-Penso di sì-, rispose dopo averci riflettuto qualche secondo, -Penso che a lui interessi stare con me, indipendentemente dal posto-, osservò e la mamma annuì convinta.

-E poi… vorrei… ecco… non proprio “farvelo conoscere” nel senso di fare la conoscenza, perché lo conoscete già, quanto… “presentarvelo di nuovo”, ok?, per quello che lui rappresenta adesso-, Marinette gesticolò imbarazzata, le sue guance erano diventate un po’ più rosse, per l’imbarazzo, oltre che per l’escursione termica tra fuori e dentro casa.

-E come vorresti farlo?-, Sabine non mutò espressione.

-Io… non saprei… forse… pensavo ad una cena qua a casa… Ma se la cosa vi mette in imbarazzo io allora…-, mise le mani avanti, agitandole nervosamente.

-Ho già in mente il menù, e tuo padre sa già quali dessert servire per fare colpo su Adrien!-, la stupì la donna, ancora una volta.

Marinette la guardò a bocca aperta: la mamma era… era… la abbracciò in uno slancio di affetto, poi si ricompose: -Guarda che papà non ha bisogno di fare colpo su Adrien, e nemmeno tu!-, volle chiarire, a scanso di equivoci, -Lui vi adora e vi adorava già ai tempi della scuola, anche perché lo avete preso per la gola la prima volta che è stato qua, ricordi?-, le due donne risero assieme e, quando Tom salì in casa, dopo aver affisso il cartello Torno Subito alla porta della boulanjerie, le trovò teneramente a chiacchierare e riuscì a cogliere distintamente almeno tre importantissime parole: Adrien, Natale, convivere.

-Frena frena frena!-, esclamò udendo la terza parola, -Chi vuole convivere con chi?-, domandò allarmato e Marinette sentì come un colpo in mezzo alle spalle. Lo guardò preoccupata e i suoi occhi da cucciolo fecero sorridere il genitore.

-Adrien da te, va bene, ma tu in quel lugubre palazzaccio tutto stucchi e ottone no!-, disse serio, incrociando le braccia al petto.

Sabine lo guardò stralunata: che idee balzavano in mente all’uomo, santoddio!?

-No, io… papà… non è che voglia… cioè…-

-Ma smettila con queste idiozie, vecchio pancione! Non lo vedi che Marinette entra in paranoia se esordisci in questo modo ignorante!?-, Sabine riprese il marito e lo colpì con l’asciughino, che aveva ancora tra le mani. Tom si fece piccino, per quanto fosse possibile per un uomo della sua stazza: -Ma non intendevo negare qualcosa o…-

-Intendevi mettere bocca nella vita di Marinette e tu sai come la pensi a proposito!-, abbaiò Sabine, inscenando una buffa lite senza senso.

-Ehi ehi ehi! Tranquillo papà… Non mi ha sfiorato neanche l’anticamera del cervello l’idea di trasferirmi a Villa Agreste, e poi non credo che ci sarebbe posto per me, adesso che c’è il bambino…-

Tom fu invitato a sedersi e Marinette, con tutta la delicatezza del caso, finalmente spiegò ai genitori la situazione di Sunan, Gabriel, la scoperta della morte della moglie e il nuovo legame con la sua assistente Nathalie,

-Io lo sapevo…-, disse tra sé e sé Sabine, in evidente segno di vittoria: si capiva lontano un miglio che tra quei due c’era un’attrazione profonda che andava ben oltre i loro ruoli ed era chiaro anche a un cieco che la donna si sentisse in tutto e per tutto la madre del bambino! Era facile come fare due più due: panna e cioccolato, mele e cannella, Marinette e Adrien, Monsieur Agreste e la sua segretaria!

Sarebbe stato un Natale bellissimo, Sabine se lo sentiva.

-Allora, ritorniamo alla domanda iniziale: quando vuoi venire qua a cena con il tuo Adrien e “ripresentarcelo” con tutti i crismi?-, domandò alla figlia, mentre Tom sgranò gli occhi in allarme e la sua mente rapida corse alla lista dei manicaretti e dei dolcetti che aveva già pensato di cucinare, per fare colpo sul ragazzo.

Marinette guardò i genitori, lentamente, prima uno e poi l’altra: -A giudicare da quanto voi teniate a fare bella figura… direi che aspetteremo un invito ufficiale quando avrete finito di concordare portate, vini, dolci, apparecchiatura, varie ed eventuali, così non vi stressate inutilmente, ok?-, fece l’occhiolino alla mamma e, allungando un braccio verso di lui, chiamò a sé il padre, per stampargli un bacio dolce al lucidalabbra gusto fragola sulla sua facciona infarinata.

-Quanti ne hai presi?-, Tikki si accertò che la sua umana avesse fatto abbondante scorta di biscottini al cioccolato.

-Tranquilla, vedrai che basteranno per un po’, se non torna Alya…-, Marinette rise e portò Tikki vicina al suo viso, guardò i suoi occhioni azzurri e le posò un bacino sulla testa.

-Grazie, amica mia-, le disse aprendosi in un sorriso.

-Di cosa?-, domandò l’esserino.

-Di esserci sempre stata, nel momento della gloria, in quello della disperazione e adesso, che finalmente sono felice.-

***

Le ultime settimane che precedettero il Natale furono frenetiche e cariche di avvenimenti importanti.

Adrien era stato invitato ufficialmente a cena dai genitori di Marinette e, dopo un primo momento di imbarazzo da parte di tutti, era stata Sabine a rompere il ghiaccio chiedendo scusa al giovane per non essere stata cordiale la prima volta che lo aveva rivisto, quando lui era tornato per cercare sua figlia. Adrien si era sciolto come un panetto di burro al sole e aveva confortato la donna dicendole che era evidente che lei avesse giustamente anteposto la figlia alle richieste di uno sconsiderato che era sparito tanti anni prima senza più farsi sentire, lasciando la povera Marinette in preda ad atroci sofferenze per tutto quel tempo.

“So che anche tu hai sofferto tanto”, le aveva detto Sabine e lui, senza rispondere nulla a parole, aveva abbassato lo sguardo, che si era di colpo fatto lucido. Aveva alzato appena le spalle e, dopo un attimo di riflessione, si era voltato verso la donna mostrandole un dolce sorriso: “Adesso siamo tutti insieme qua, godiamoci la cena, che sono certo sarà memorabile!” Avevano parlato del più e del meno, evitando argomenti spinosi e ogni tre frasi Adrien si era dilungato a tessere le lodi del cibo preparato dai genitori di Marinette e su come gli fosse mancata la cucina francese, negli ultimi anni. Si era infine commosso come un bambino la mattina di Natale quando Tom gli aveva messo davanti al naso un vassoio colmo di dolcetti e petit patisserie che aveva ideato apposta per l’occasione. Adrien sarebbe stato anche un ottimo cliente per le sue future creazioni, ma rimaneva il primo a cui Tom, che già si vedeva come un perfetto suocero per lui, avrebbe voluto chiedere un parere “maschile”, differentemente dalla sua usuale clientela.

Era stata una serata serena e gioiosa, che aveva lasciato nei cuori di tutti e quattro i commensali una profonda impronta positiva. Marinette e Adrien erano tornati a casa uscendo nella sera fredda tenendosi stretti a braccetto, avevano camminato per alcuni minuti per smaltire qualche caloria fino al lungo Senna, l’avevano percorso per un po’ e infine erano tornati verso luoghi a loro più familiari. A buio, la scalinata della Du Pont non sembrava così amichevole come era loro apparsa durante gli anni del Lycee, e perfino la “loro panchina” in Places Des Vosges non appariva più un posto così intimo e piacevole. Si erano guardati sorridendo dolcemente e Adrien aveva sussurrato alla giovane donna, con un bacio sulla testa coperta da un cappellino di lana, “Andiamo a casa”. Marinette aveva annuito e si era stretta a lui: “Sì, a casa”, aveva aggiunto sentendo in quel momento più che mai come avesse finalmente trovato la sua dimensione terrena.

I paparazzi ormai si erano abituati alle apparizioni del capellone rampollo Agreste assieme alla giovane donna dai tratti orientali e ormai tutti conoscevano il suo nome, la sua attività, quella dei suoi genitori e persino dove abitasse. Nino, con il quale si erano visti più volte, aveva detto che la sua vecchia casa non era mai stata così famosa e tenuta lustra dai vari condomini come nell’ultimo periodo. Nonostante ciò, fortunatamente, l’interesse del gossip su Adrien era presto scemato, e Marinette aveva ripreso a uscire di casa con più tranquillità.

Quando le prime foto su di lei erano trapelate, la giovane aveva subito da parte degli amici più intimi un bombardamento di messaggi e telefonate: chi voleva sapere come e quando fosse tornato Adrien, chi se stessero davvero insieme, Chloé l’aveva chiamata stizzita accusandola di essere a conoscenza del ritorno di Adrien anche prima della famosa festa e di non averlo invitato perché sapeva che ci sarebbe stata pure lei: “Avevi paura che te lo soffiassi sotto al naso, vero?”. Era evidente che fossero state vere le voci che la vedevano essersi separata dal chitarrista con cui aveva condiviso qualche mese di relazione e che la vera natura di Chloé, in un modo o nell’altro, era tornata fuori, sebbene magistralmente celata per anni e anni,

Nathaniel l’aveva attesa fuori dalla facoltà, un giorno in cui si era assicurato tramite non meglio note “spie segrete e rete di infiltrati” che non sarebbe andato Adrien a prenderla. Le aveva portato un fiore di calendula, talmente arancione da apparire accecante sullo sfondo del suo cappotto grigio e aveva esordito con un semplice “Perdonami”.

Avevano passato un po’ di tempo a parlare insieme davanti a una cioccolata calda in un bar vicino all’università e Nathaniel aveva fatto un solenne mea culpa  di tutto quello che riteneva aver sbagliato nei confronti della donna. “Voglio che tu sia felice, hai capito?”, le aveva intimato quasi con rabbia alla fine della sua confessione, “Che tu sia felice come io non sono mai stato in grado di renderti, sia come fidanzato che come amico. Voglio che tu acquisisca la forza di mandare a quel paese la gente egoista come me, quelli impiccioni come me e quelli che ti costringono a mantenere un filo invisibile come fosse un cordone ombelicale, quasi fosse qualcosa di dovuto. Come me.- Aveva fatto una pausa fissando silenzioso i residui della bevanda scura rappreso sui bordi della tazza, -L’ho capito solo dopo diversi giorni che la mattina dopo la festa, quando sono venuto da te, non eri sola, ma c’era lui. Dovevi farmi capire che ti stavo rompendo le scatole in maniera più esplicita, dovevi colpirmi, dirmi in faccia che la tua vita non era più affar mio e io avrei capito. Sono una persona che si impegna per non far del male agli altri, ma non ci riesco… Ti ho ferita troppo, ti ho umiliata e dopo ti ho costretta a rimanere amica mia e di Paul. Vola libera, Marinette, vola finalmente dall’unico che abbia il diritto di riempire il tuo cuore e di chiamarti tesoro. Tu rimarrai per sempre la mia unica e sola donna e io ci sarò sempre a proteggerti, qualunque cosa possa il futuro avere ancora contro di te”. Le aveva preso una mano e baciata silenziosamente, lasciando che una lacrima calda scendesse sulla sua guancia. Marinette gli aveva sorriso: forse non era mai davvero riuscita a comprendere appieno Nathaniel, i suoi fantasmi, il suo modo altalenante di comportarsi con lei, ma era certa che fosse realmente un amico, una persona che faceva parte della sua vita, un tesoro da non gettar via. Finita la parte drammatica, il lato goliardico del giovane aveva preso il sopravvento e aveva iniziato a tempestare Marinette di battutine a doppi sensi sul suo nuovo compagno fino a confessare che per la prima volta nella sua vita era davvero invidioso di lei: “Il fatto che in qualche modo io sia stato bisex e che adesso abbia un compagno non mi spalma automaticamente fette di prosciutto sugli occhi: non sai che fortuna tu abbia a godere di quel meraviglioso pezzo di uomo che è Adrien Agreste!!! Cioè… lui è… santo cielo com’è! È bello, è biondo, è muscoloso, è alto, è… Se per caso decideste di fare una cosa a tre, chiamami: Paul capirà e se non capirà... ne sarà valsa comunque la pena!!!”; si era guadagnato un pugno particolarmente violento su un braccio e si era strozzato con l’ultimo sorso freddo di cioccolata, ma era stato bene e con lui anche Marinette.

Se mai avesse voluto fare una cosa a tre, si sarebbe ricordata dell’offerta… aveva pensato tra sé e sé, tornando verso casa e, quella sera, aveva voluto prendersi del tempo per ammirare davvero quanto fosse bello Adrien: in condizioni normali, svestito, nudo, nel momento dell’amplesso, mentre dormiva. Era stata l’unica volta, forse, che le era tornata voglia di fumare una sigaretta, ma accucciarsi tra le braccia molli del suo uomo che ronfava placido accanto a lei era stata indubbiamente la scelta migliore e che avrebbe fatto per sempre.

L’unica nota stonata in quel coro angelico che sembrava essere diventata la sua esistenza era stata la bocciatura ad un esame che Marinette effettivamente non aveva affatto preparato: lì per lì si era sentita una fallita, aveva visto crollare la sua carriera prima ancora di poterla iniziare, ma poi, con più calma, aveva compreso che non le importava un granché, non in quel momento magico che stava vivendo. E poi, se si fosse messa a studiare a modo, sicuramente ce l’avrebbe fatta a prendere un buon voto, alla successiva sessione.

Infine era arrivato anche l’invito ufficiale a casa Agreste: non potendo più procrastinare, Adrien l’aveva convinta a partecipare a una cena nella villa del padre, pur sapendo che sarebbe stato un momento complicato per tutti. Marinette si era sentita morire, ma, per amor del suo amore, aveva accettato di affrontare quell’ultima, estenuante, prova. Adrien era andato a prenderla a casa sua dopo essere passato dalla boulanjerie di Tom: voleva portare un dolce “buonissimissimo” al fratellino e fare allo stesso tempo una sopresa all’amata, ma quel che più aveva fatto scalpore era stato il fatto di essersi presentato da lei con un nuovo look. Complice un pomeriggio di libertà in cui Marinette e Alya si erano recate a cercare la stoffa per l’abito da sposa, Adrien aveva trovato il tempo di andare dal parrucchiere per tagliarsi i capelli: finalmente aveva di nuovo un aspetto curato, più serio e rassicurante, ricordava molto il ragazzino del tempo passato e, nonostante sentisse freddo alla nuca, si era sentito immediatamente a suo agio con il nuovo taglio. Marinette l’aveva accolto a bocca aperta, elettrizzata dal rivedere davanti a sé la versione ufficiale di quello che Adrien rappresentava ai tempi della scuola. L’attrazione suscitata da quella novità aveva ritardato l’uscita di casa della coppia, ma, in qualche modo rocambolesco e complice, Marinette e Adrien erano riusciti comunque a prepararsi per tempo e presentarsi all’ora spaccata in cui erano stati attesi a Villa Agreste. Un po’ guidando, un po’ volando e saltando tra i tetti scuri di Parigi, mettendo a repentaglio l’incolumità della creazione di Tom Dupain e ridendo felici come ragazzini.

Erano stati accolti da Nathalie, che per la prima volta si era ritrovata a fare gli onori di casa non solo nelle vesti dell’assistente del proprietario, ma anche di sua compagna. La donna era stata allo stesso tempo precisa, altera ed efficiente, come anni prima, ma anche cordiale, radiosa e deliziosamente agitata per tutta quella strana situazione. Marinette ne era rimasta affascinata e aveva notato quanto la donna fosse cambiata, anzi trasformata, dall’ultima volta che l’aveva vista quasi rassegnata dare ordini ai traslocatori su come sistemare i giocattoli del bambino. In qualche modo aveva compreso che avrebbe dovuto prendere spunto da lei per riuscire a gestire il suo nuovo ruolo di ex-nemica e nuova amica-quasi parente di Monsieur Papillon, perché tutto stava cambiando, ma non doveva essere percebibile per non spaventare e non spaventarsi. Quando Gabriel aveva raggiunto Nathalie assieme a Sun, un forte silenzio era caduto nell’ingresso monumentale della villa in marmo e radica. Perfino il bambino aveva compreso a modo suo la solennità del momento e aveva smesso di strillare e torturare il padre. Marinette e Gabriel si erano a lungo guardati negli occhi senza parlare; un turbine di domande, emozioni, rancori, paure, aveva urlato nelle loro menti, poi, dopo poco, Gabriel aveva fatto scendere dalle sue braccia Sun e aveva porto una mano a Marinette, con un mesto sorriso di scuse e buoni propositi. La giovane donna aveva mantenuto la sua posizione per qualche istante, poi aveva ricambiato il gesto e si era aperta in un sorriso dolcissimo. La stretta di mano si era trasformata in un elegante baciamano e un lieve rossore si era dipinto sul viso della giovane, finalmente in imbarazzo, come avrebbe dovuto essere al primo incontro ufficiale con il genitore del suo fidanzato. Adrien si era lasciato sfuggire un silenzioso sospiro di sollievo e si era scambiato un’occhiata fugace con Nathalie. -Se puoi, perdonami-, aveva poi detto Gabriel a Marinette; -Se può, mi accetti come amica-, aveva risposto la giovane e, con un altro sorriso complice, vincendo l’imbarazzo, aveva accettato il braccio che l’uomo le aveva porto per condurla fino alla sala da pranzo. Pochi convenevoli per la cena meno formale che si fosse mai tenuta in quella austera sala: Nathalie si era fatta dare i cappotti da Adrien e Marinette e Gabriel aveva annunciato che, “per loro sfortuna”, quella sera la cena era stata preparata da lui e la nuova compagna. Adrien era stato travolto da qualcosa che non provava da anni e anni, un senso di aria familiare che aveva smesso di aleggiare nella sua abitazione da troppo tempo, anche prima che la madre avesse iniziato a viaggiare a est. Aveva sentito come non mai il sacrificio fatto dal suo unico genitore nel mostrarsi il più umano e abbordabile possibile, un sacrificio fatto per mettere a suo agio Marinette, ne era certo. E aveva anche scorto quella sottile tensione che a volte aveva colorato il viso del padre per i motivi più futili, ma genuini, ogni qualvolta aveva avuto paura di fallire in cose di poco conto, ma che per lui valevano come oro, abituato all’eccezionale più che al familiare: insegnare ad Adrien ad andare in bicicletta, riparare un suo giocattolo, comprare un regalo azzeccato per lui o sua madre. Nell’attesa di iniziare il pasto, mentre Nathalie, in cucina, tratteneva in maniera signorile le imprecazioni per qualcosa che era andato storto, accompagnato da un forte rumore di cocci infranti, Adrien aveva cercato un argomento di conversazione in cui sia suo padre che la sua fidanzata avessero potuto trovarsi coinvolti, ma era stato anticipato dalla battuta che l’uomo gli aveva rivolto circa il suo nuovo taglio: “Ho improntato una linea della nuova collezione sul modello dal capello lungo e ti presenti così?”. Adrien era arrossito, si era portato una mano alla nuca, si era sentito morire, anche se sapeva di aver fatto una scelta sacrosanta, poi aveva capito che l’uomo stava scherzando e aveva scorto il sorriso sornione di Marinette, mentre giungeva anche l’atteso il commento di Nathalie a riguardo. La donna aveva approvato il taglio che Adrien aveva scelto e presto aveva trovato in Marinette una ottima interlocutrice, con cui si era appartata in cucina, sebbene anche Gabriel fosse stato interessato ai discorsi delle donne e Sun avesse deciso che era l’ora di iniziare a rompere a tutti le scatole, piantando diverse grane su pupazzi, giochi, costruzioni, torte e cartoni animati.

Era stata una serata tranquilla e familiare come mai Adrien aveva pensato di poter trascorrere nella sua vecchia casa e con suo padre.

Prima di congedarsi, Marinette aveva voluto parlare da sola con l’uomo, instillando un profondo turbamento nell’animo del suo fidanzato, che non avrebbe mai saputo cosa Ladybug e Papillon si fossero detti. Aveva colto solo un deciso: “No”, del padre in risposta ad una domanda fattagli da Marinette e l’argomento era stato chiuso lì.

“Torneremo a trovarli, stai tranquillo”, gli aveva detto la giovane rientrando a casa, dopo la lunga cena: “Credo che la tua famiglia sia molto interessante da frequentare e non voglio dovermi pentire di non averlo fatto abbastanza…”, gli aveva posato un bacio sul petto e l’aveva abbracciato stringendosi a lui, mentre percorrevano i pochi metri tra l’auto, recuperata lungo la strada, e il portone di Avenue du Daumesnil.

La tua famiglia…

Adrien aveva provato un senso di caldo intenso a quelle parole, si era sentito per un attimo una persona normale, con una vita normale, e per quell’attimo aveva dimenticato tutte le sofferenze e le privazioni relazionali a cui era stato sottoposto per tutta la sua giovinezza.

Pensò a Gabriel, Nathalie e Sun: un’accozzaglia eterogenea di estrazione e inquadramento, tre persone che solo il destino aveva potuto riunire sotto lo stesso tetto, ed erano loro, ormai, la sua famiglia.

Almeno fino a quando non avrebbe deciso di farsene una propria con tutti i crismi…

Infilò le chiavi nella serratura dell’appartamento all’ultimo piano e aprì la porta: -Eccoci a casa-, dichiarò e mai sentì parole più vere uscire dal suo cuore.

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Questo capitolo avrebbe dovuto essere l’ultimo, ma mentre lo scrivevo, e scrivevo, e scrivevo, sentivo che dovevo dire ancora qualcosa su questa storia. Mi era stato consigliato di troncarla al precedente, ma io no, sono testarda, e ho voluto mettere fino all’ultima goccia di inchiostro virtuale per trasmettere ogni cosa mi frullasse in testa.

Probabilmente per qualcuno sarà un “di più”: se volete, stampate il capitolo precedente e scrivete a mano, in fondo, la parola FINE. Da me la vedrete scritta tra due capitoli. Ma l’ho scritta, eh! Incredibile, ma sono arrivata alla fine!

Sono giunta fin qua da sola, ho scritto di testa mia questa appendice, chiamiamola così, perché volevo dare spazio anche alla vita vissuta in coppia da Adrien e Marinette, non mi bastava farli incontrare di nuovo, volevo concedere loro un po’ di spazio in più.

Forse ho caricato troppo alcuni personaggi e altri mi sono sfuggiti di mano. Vi lascerò le mie considerazioni in merito alla fine della storia.

A stretto giro pubblicherò il capitolo 35 e infine l’epilogo e spero di soddisfarvi.

Grazie a tutti per l’attenzione.

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 - Feste, contrattempi e preparativi ***


Capitolo 35 - Feste, contrattempi e preparativi

Era ormai giunto quasi Natale: presi dal tumulto di eventi, piccoli malanni di stagione, cambiamenti dell’ultimo momento di set fotografici e date degli esami, ripensamenti della futura sposa su alcuni importantissimi dettagli della location che avevano scelto e del futuro sposo sul fatto di stare cacciandosi in una unione alle volte un po’ oppressiva, Marinette e Adrien non avevano potuto neanche pensare di addobbare la casa per le feste o di acquistare i regali di Natale, almeno quelli che già non erano stati recapitati da Amazon.

A suo padre Marinette aveva ordinato un set particolare di stampi in silicone per realizzare una serie di nuove torte moderne, che spesso Tom trascurava, a favore di macarons o prodotti più tradizionali; a Sun era stato comprato tutto quello che la gerla di Babbo Natale avrebbe potuto contenere, più un altro metro cubo di giocattoli. Adrien aveva dovuto nascondere alcuni oggetti nel bagagliaio della sua auto e trasferirli nel garage a casa di suo padre, perché nell’appartamento di Marinette sarebbero stati presto scoperti dal bambino, alla prima visita.

Per Nathalie avevano entrambi voluto riflettere a lungo su cosa fosse più adatto: in primis Adrien aveva pensato ad una penna stilografica, ma Marinette lo aveva fatto ragionare che una penna avrebbe potuto essere un regalo significativo solo se capace di veicolare un sentimento che il ricevente potesse trascrivere su carta, altrimenti sarebbe stato un semplice oggetto, per lo più inutile, visto che ormai quasi più nessuno scriveva ancora sui fogli. La controproposta di Marinette era stata un casco da moto particolare, visto che Adrien le aveva raccontato della passione della donna per le due ruote, ma entrambi avevano riflettuto sul fatto che “la maternità” di Nathalie la avrebbe tenuta lontano dalle piste per molto tempo e forse non sarebbe stato neanche quello un regalo adatto. Un quadro, una spilla, una collana, una sciarpa, degli sci, un piccolo elettrodomestico, libri: le avevano pensate di tutte e non avevano trovato alcuna idea veramente valida che li soddisfacesse entrambi, finché un giorno, quando stavano giocando con Sun, il bambino non aveva osservato che “la sua mamma Nati” adorava i gatti, ma che non ne aveva mai potuti tenere con sé, perché aveva sempre fatto un lavoro complicato. Avrebbe potuto essere un azzardo, decisamente, ma Adrien si era preso la responsabilità di regalare a Nathalie un gattino… e chi meglio di lui avrebbe potuto farlo! Il gattino era rimasto a casa di Marinette per qualche giorno, giusto il tempo di affezionarsi a lui, prima di essere chiuso in una scatola di cartone con dei croccantini e carta con cui giocare, in attesa di essere consegnato alla sua padrona ufficiale.

Alla sua mamma, Marinette aveva deciso che avrebbe scelto personalmente un nuovo maglione caldo e morbido, non appena avesse avuto il tempo di andare a cercarlo. Ad Alya e Nino avrebbero regalato qualcosa per la casa, perché ok erano i loro più cari amici e meritavano il meglio, ma il meglio lo stavano già vivendo e quindi perché non regalare loro uno splendido set di tazze da tè, o una stravagante raclettiera o, perché no, un decanter pomposo che avrebbero odiato per il resto dei loro giorni? Alla fine avevano optato per un molto più banale, ma utile, set di barattoli in vetro e acciaio e in ognuno di essi avevano inserito un pensiero più piccolo: un ciondolo in filigrana, un portachiavi, un olio per massaggi (prima o poi lo avrebbero usato…), due paia di guanti colorati.

Gabriel era stato un problema. Adrien si era riservato di scegliere in solitaria un regalo adatto a suo padre, Marinette invece si era a lungo chiesta se fosse stato il caso di fare anche lei un pensiero all’uomo.

A Fu non avevano pensato, ma avevano ricevuto uno strano invito portato loro dai kwami, che informava di un incontro tra supereroi più o meno “coatto”. Avrebbero dovuto presentarsi trasformati, tutti, in un luogo da definire. Sarebbe stata la prima volta che “i cattivi” Papillon e Le Plume Bleu avrebbero incontrato ufficialmente Ladybug e gli altri due nuovi eroi. “Forse vuole fare qualcosa tipo Justice League”, aveva avanzato Adrien, “oppure come gli Avengers”, aveva continuato, mentre guardavano la tv sul divano, una sera tranquilla a casa loro. Marinette aveva sperato che fosse proprio così e che non ci fossero strane sorprese all’orizzonte con ritorni di nemici pericolosi e temibili. Ok essere Ladybug, ok difendere Parigi, ok sacrificare parte della sua vita per un bene superiore, ma voleva anche vivere tranquilla e in pace nel nuovo contesto che aveva appena iniziato ad assaporare.

L’incontro con Fu sarebbe stato il venti dicembre, solo cinque giorni in più e sarebbe stato Natale. I genitori di Marinette e Gabriel avevano avuto la puntualità di invitare i ragazzi a casa loro, contemporaneamente, per festeggiare il Natale e questo aveva creato non poco scompiglio nella coppia. Se anche avessero provato a convincere lo stilista ad anticipare alla Vigilia, Gabriel, Nathalie e Sun sarebbero rimasti da soli per il pranzo di Natale. “Facciamoli venire tutti qua”, aveva proposto Marinette e si era molto meravigliata di ricevere senza alcuna attesa due adesioni al suo invito. Sarebbero stati a pranzo a casa sua ben in sette persone, avrebbero dovuto spostare il divano e allungare il tavolo del salotto, ma ce l’avrebbero fatta.

Erano stati giorni molto, molto faticosi, e poi altri ancora spesi a preparare, agghindare, abbellire, comprare, spendere, fare indigestione di luci, suoni, colori, cibo, volti, sguardi, saluti, regali, convenevoli.

Marinette e Adrien avrebbero voluto solo la loro pace, solo loro due, nel loro nido d’amore, nel loro silenzio. Avevano parlato a lungo, di tante cose, si erano sfogati, compresi, analizzati e perdonati. Si erano appoggiati l’uno con l’altra e avevano compreso che erano entrambi faro, mare e roccia. Erano ormai diventati una coppia immarcescibile, ed era avvenuto in pochi giorni, tutto con la stessa naturalezza che se fosse avvenuto in sei anni di più. Avevano vinto il tempo, il gap che li aveva tenuti distanti, avevano appianato ogni divario. Si conoscevano, si ammiravano, avevano saputo andare oltre le colpe reciproche e senza troppe storie si erano perdonati e compresi. Ogni tanto uno dei due rammentava un dettaglio del suo passato, qualcosa che avrebbe dovuto conoscere anche l’altro e glielo confessava. La prima sbandata di Adrien per la figlia di un diplomatico tedesco, a Tokyo, un litigio particolarmente frustrante con Nathaniel, un combattimento con ragazzi sbandati tra i vicoli di Parigi, una corsa in solitaria, sulla moto, nel nulla delle campagne cinesi. Marinette e Adrien riuscivano sempre a comprendersi, perdonarsi, supportarsi, senza mai andare oltre un broncio o una presa in giro.

Il loro primo litigio vero era stato a riguardo della scelta del menù di Natale: pesce per Adrien, carne per Marinette. “Non mi piace il pesce, non lo cucinerò!”, aveva obiettato lei; “Il pesce è adatto al natale, a tutti piace il pesce!”, “Il pesce è da snob, a me non piace il pesce, se vuoi il pesce, vai al ristorante con la tua famiglia e io vado dai miei! Buon Natale.”

E poi si erano baciati, avevano sorriso, si erano dati di stupidi, avevano deciso di non fare né carne né pesce e si erano amati, rotolandosi sul tappeto in salotto, sul divano, mentre la cena allegramente bruciava, dimenticata nel forno in cucina.

Carne o pesce, che importava? Avrebbero mangiato vegetariano e tanti saluti.

Ma giunti in cima all’Arc du Triomphe, in una notte piovosa e gelida, trasformati in Ladybug e Chat Noir e acquattati nell’ombra per non farsi notare dai pochi pedoni in giro a quell’ora, avrebbero accettato senza dubbio sia carne che pesce, che entrambi cotti insieme nella creme brulee, pur di essere lasciati tornare al calduccio nella loro casa. Erano stati raggiunti da Carapace e Rena Rouge, che aveva anch’essa imprecato per la scomodità del luogo, viste le sue condizioni e per il freddo. Papillon era apparso in un turbine di farfalle bianche, e stretta a lui c’era Le Plume Bleu, che si era staccata come una sciatrice giunta al culmine dell’impianto di risalita sulla neve, ed era rabbrividita. Era stata una sensazione strana: loro due erano stati i loro nemici, sebbene non si fossero mai mostrati a Ladybug. Per Rena Rouge e Carapace, invece, erano stati solo il fantasma di qualcosa di grande e cattivo da temere, che solo una volta la Volpe di Parigi aveva direttamente affrontato.

“Abbiamo lasciato Sun con la baby sitter che stava piangendo come un salice tagliato, si può sapere dov’è il nostro caro Maestro Fu?”, aveva domandato un incredibilmente loquace Papillon, creando involontariamente una manciata di farfalle al solo tocco stizzito del bastone sul freddo marmo viscido e consunto dallo smog.

“Sono qua”, aveva risposto la voce del vecchio, provenendo dall’alto. Poi, con un balzo, era apparsa ai sei una strana piccola figura travestita da Babbo Natale. “Pollen, fine trasformazione”, aveva detto e in sol attimo, al posto di qualcosa si simile a “SuperBombo”, era apparso un Babbo Natale in camicia hawaiana. “Brr… che freddo!”, aveva esclamato il vecchietto, e subito era stato subissato da calorosi improperi per la pessima scelta del luogo di quel ritrovo. Ma Fu, aiutato dalla piccola kwami gialla, aveva presto rallegrato gli animi di ognuno di loro, consegnando personalmente un piccolo dono. Era un libricino per ciascuno, rilegato a mano, in cui erano riportate tutte le formule magiche e le più importanti nozioni su ciascun Miraculous: “Il mio tempo non sarà infinito e, nonostante qualche screzio, voi sei siete la miscela perfetta per mantenere vivo e attivo il potere dei Miraculous. Non voglio che i kwami tornino a dormire e non voglio affidare a una sola persona un potere così grande. Tutti sbagliamo, io ho sbagliato in passato e credo che sia meglio che ciascuno di voi si prenda la responsabilità di diventare in tutto e per tutto il guardiano del suo Miraculous e, un domani, tramandarlo a qualcuno di altrettanto degno. E poi ci sono anche queste…”, aveva esclamato, iniziando a distribuire delle calze di maglia rosse e bianche, ciascuna contenente altri piccoli doni. “Apritele ciascuno a casa propria, gustatevi i miei pensieri per voi!”. Poi, con un inchino, aveva richiamato Pollen nella fibbia ad ape che aveva scelto di indossare e se n’era andato via, lasciando il gruppetto di supereroi da soli, sul tetto dell’Arc du Triomphe. Aveva voluto fare un ultimo regalo a effetto anche a Parigi, girando i riflettori che illuminavano la struttura del monumento proprio sul suo culmine e mettendo in luce i sei nuovi eroi di Parigi. Si erano uditi alcuni schiamazzi dal basso, le poche persone presenti avevano messo mano ai loro smartphone per fotografare l’eterogeneo gruppo e il giorno dopo alcuni giornali avevano titolato con: “I Protettori di Parigi di nuovo insieme”. Gli articoli seguenti avevano tessuto le lodi di un redento Papillon, secondo “anonime informazioni di testimoni affidabili”, della nuova misteriosa eroina Le Plume Bleu e dei quattro storici protettori della città. Anche Parigi aveva avuto il suo regalo: la prospettiva di un futuro più tranquillo, con sei paia d’occhi a vegliare su di essa.

Sarebbe stato un meraviglioso Natale per tutti.

Papillon si era preparato un piccolo discorso per i suoi colleghi, aveva scelto di mantenere un profilo basso, ma di chiarire che il suo impegno futuro sarebbe stato volto alla sicurezza di tutte le persone che ne avrebbero avuto bisogno. “Se da grandi poteri derivano grandi responsabilità, come diceva Peter Parker, da chi ha fatto tanto male non può che derivare una maggiore responsabilità nel fare tanto più bene al prossimo. Mi impegno ad aiutarvi, sostenervi, seguirvi e... guidarvi, se sarà necessario e lo vorrete, per garantire la sicurezza e la pace in questa città e fino a dove i nostri poteri potranno condurci”.

Aveva perfino meritato l’applauso entusiasta dei due maschietti del gruppo, ritornati per pochi attimi due ragazzini complici nella loro goliardia. Infine Le Plume Bleu aveva avuto una chiamata sul suo cellulare dalla baby sitter e, con soddisfazione di tutti, quella strampalata quanto significativa reunion sul tetto gelido aveva avuto fine.

“Sun ha fatto la pipì a letto, non vuole che la baby sitter lo cambi e sta piangendo”, aveva sentenziato la donna senza battere ciglio e, con tutta la sua eleganza, aveva stretto i denti, fatto un sorriso e comandato a Papillon di muoversi a tornare a casa.

Carapace aveva giurato di sentirle dire, mentre la coppia scappava via, qualcosa tipo “Stavolta lo cambi te, il letto!”, ma non ne era stato sicuro, quindi aveva deciso di tenere per sé quel pettegolezzo. Presto sarebbero stati argomenti di discussione anche per lui e Alya e preferiva starne alla larga finché fosse stato possibile.

***

La mattina di Natale Marinette fu svegliata dal suono insistente della sveglia di Adrien, che continuava a gracchiare invano nell’orecchio del giovane; guardò l’ora sul suo cellulare: perché quel santo ragazzo aveva puntato la sveglia così presto? Represse un verso di sconforto e rotolò nel letto verso di lui per scavalcarlo e allungarsi a spegnere quell’orrendo strepitare che l’aveva abbondantemente irritata. La sera prima aveva avvertito Adrien che aveva puntato la sua sveglia per avere tempo di preparare ogni cosa, per quale motivo doveva essere privata di quasi un’ora di buon sonno? Strusciò più volte il dito sul display dell’I-phone e, nel ritirarsi per rientrare nel letto, fu afferrata dalle braccia calde e ancora molli del giovane.

-Buon Natale-, sussurrò all’orecchio di Marinette la voce morbida e assonnata di Adrien; in un sorriso lei fece per rispondere, ma le sue labbra furono catturate da quelle affamate di lui che non lasciarono più. Oh, sì, che ottimo Natale si prospettava, riscaldato da mani ardenti, baci infuocati e pelle, pelle calda, imperlata di sudore e fremente!

Marinette si lasciò spogliare, baciare, toccare, e a sua volta baciò e toccò e si godette ogni secondo di quel magico risveglio, ogni attimo di passione, di piacere, ogni coccola e ogni sguardo, ogni bacio, ogni brivido sulla pelle sfiorata dalle labbra di Adrien.

Dopo si accucciò sulla sua spalla, sazia e felice, prese un bel respiro e “Buon Natale anche a te, amore mio!”, esclamò, incredula che, per la prima volta nella sua esistenza da quando era bambina, quel giorno avesse tutte le carte in regola per essere davvero un ottimo Natale. Adrien la baciò e si allungò verso il cassetto del suo comodino, tirando fuori qualcosa. Si sollevò a sedere nel letto, poggiando la schiena alla stoffa della struttura imbottita e lasciò che Marinette si sistemasse, infagottandosi dentro al piumino.

-Ancora buon Natale, amore mio-, le disse il giovane, scoprendo un piccolo pacchettino rosso, che le porse.

-Adrien, ma…-, Marinette non si era preparata a festeggiare il loro primo Natale insieme in un modo così romantico e quel pacchettino così piccolo era quantomeno emozionante. Non doveva pensare a nulla di particolarmente strano, non era il tempo, non era ancora il momento. Guardò Adrien in un misto di curiosità e timore e prese il suo regalo, rigirandoselo per qualche istante tra le mani, poi, dopo un gesto di incoraggiamento dell’amato, sciolse il fiocco di velluto che teneva ferma la carta e lo scoprì, trattenendo il respiro prima di  aprire il piccolo cofanetto. Era un gioiello…

-Coraggio… e tranquilla...-, le disse con una carezza Adrien, che sapeva di correre il rischio di essere frainteso: non c’era un anello in quella scatola, non avrebbe mischiato una festa comandata con qualcosa che doveva essere solo il frutto di una loro specifica decisione. Aveva già acquistato l’anello con il quale un giorno le avrebbe chiesto di sposarla, ma lo custodiva in un luogo sicuro, in attesa del momento perfetto.

Marinette aprì la scatolina e scoprì un ciondolo bellissimo, con una grossa pietra rossa contornata da tanti piccoli brillanti; rimase a bocca aperta senza riuscire a dire nulla. Non era avvezza a ricevere in regalo dei gioielli, non cose che certamente erano così preziose: quello era un rubino, ne era sicura, ed era un rubino enorme! Sentì l’emozione salirle alla gola, gli occhi iniziare a pungere e una irrefrenabile voglia di stritolare Adrien in un abbraccio. Non si curò della coperta che scivolò e la lasciò scoperta e si gettò al collo del suo uomo, coprendogli di baci il viso, sentendo il sorriso aprirsi sulla sua bocca e le mani tornare a stringerla. Adrien le scostò i capelli dal collo, prese la collana che le aveva appena regalato, aprì il gancino e la sistemò al suo posto sul collo di Marinette, ammirando quel bellissimo rubino a incorniciare il suo decolleté perfetto e nudo.

-Ti amo-, le disse in un dolce sorriso. Marinette si rannicchiò ancora su di lui e volle che Adrien la stringesse ancora e ancora, finché non squillò anche la sveglia del suo cellulare.

-Ora possiamo davvero alzarci-, Adrien aveva calcolato tutto puntando la sua sveglia così in anticipo: ancora una volta si era dimostrato eccezionalmente sorprendente e meraviglioso.

-Sei stato geniale-, mormorò sul suo collo Marinette, tutto d’un fiato, -E questa collana è meravigliosa! Grazie, grazie amore mio!- Guardò con occhi colmi di riconoscenza e gioia Adrien: -Ce l’ho fatta!-, rise di se stessa portando entrambe le mani alle sue guance arrossate e si sollevò di nuovo a sedere, piegando la testa per osservare il ciondolo che le aveva tolto la parola, -È bellissima…-

-Il mio regalo per te è...-, si voltò a destra e sinistra, scivolò via da letto, -Aspettami qua-, ordinò al giovane e indossò al volo slip, reggiseno e una maglia, rabbrividendo per l’aria fresca della casa. Corse nella cameretta di Sun e cercò in fondo a una scatola di giocattoli il pacchetto che aveva nascosto là dentro. Tornò in camera e lo consegnò ad Adrien: -Non è nulla di lontanamente confrontabile con questa meraviglia…-, si scusò anticipatamente, -Ed anche un doppione, in effetti…-

E mentre Adrien scartò la sua nuova sciarpa di un morbidissimo cachemire nera e grigia a doppio strato, sapientemente cucita a mano e con le sue iniziali ricamate in filo metallizzato nero, Marinette ripensò a quel pomeriggio di tanti anni prima, quando la sua sciarpa azzurra era stata fatta passare per un modello Agreste.

-C’è anche un cappello-, indicò al giovane, -Ora che non sei più capellone ti farà freddo alla testa…-, spiegò arrossendo appena, allargò con le mani un berretto double face realizzato con la stessa maglia di cachemire e confezionato da lei e lo calzò sulla testa del giovane. Il suo regalo era costato poco, sia in termini di soldi che di lavoro, ma ci aveva messo tutto il suo amore nel confezionarlo di nascosto al ragazzo, nei ritagli di tempo, a volte di notte.

-Sono bellissimi-, la ringraziò Adrien, stringendola in un ultimo abbraccio: quel regalo significava calore e nessuno come Marinette gli aveva mai donato un calore così pulsante e inarrivabile in ogni atomo del suo corpo e della sua anima, se mai l’anima avesse avuto un peso.

-Adesso muoviamoci però, o faremo tardi!-, esclamò Marinette, quando la sua sveglia  squillò di nuovo, lasciando che un sottile terrore per tutto quello che dovevano preparare la attanagliasse: -Non ce la faremo mai!-, guardò Adrien preoccupata e mentalmente si maledisse per aver proposto di festeggiare il Natale a casa loro.

-Coraggio! Certo che ce la faremo! E ripensa sempre ai piatti rotti di Nathalie e all’arrosto bruciato di mio padre…-, la sollevò Adrien, togliendosi il cappello e infilandosi rapidamente una tuta da casa.

Fecero una rapida colazione a base di caffè e biscotti e per prima cosa sistemarono il salotto mettendo il tavolo nel mezzo e allungandolo per ospitare tutti i loro parenti, poi si dedicarono alla preparazione delle varie portate che avevano deciso: alla fine aveva vinto Marinette la piccola diatriba tra carne e pesce, perciò iniziò a cuocere lo stufato che aveva messo a insaporire nel vino la sera prima. Ad Adrien toccò pelare le cipolle per la zuppa e tante lacrime furono versate dal giovane nello svolgere quell’ingrato compito. Di tanto in tanto la giovane si avvicinava a lui e lo prendeva in giro bonariamente, facendogli notare come fosse cosa buona e giusta che si pentisse tra lacrime di dolore per averla lasciata da sola per tutto quel tempo. Adrien rideva, in mezzo alle lacrime e la ripagava pan per focaccia, dicendole che avrebbe dovuto piangere lei, al suo posto, per aver osato tradirlo con un qualunque parigino dalla testa di pomodoro, invece di attendere come Penelope al telaio il suo ritorno. -E non solo con lui!-, lo zittì Marinette, -Prima o poi ti racconterò di tutti i miei ex!-, lo schernì la giovane, rigirando lo stufato. Ormai i tempi bui erano solo un ricordo, né triste né felice: dagli errori, dalla sofferenza, quei due avevano imparato che ogni esperienza porta conoscenza e che solo grazie alla conoscenza, finalmente, potevano essere loro stessi con le anime messe a nudo e il cuore pronto ad essere finalmente colmato di felicità.

L’orologio continuava a girare insensibile, quindi i preparativi dovevano essere affrettati: Adrien e Marinette prepararono la zuppa, cossero per quattro lunghe ore il Beuf a là Borgougnonne, bevvero caffè, prepararono la tavola, sistemarono i formaggi di un piatto da portata e prepararono anche il pranzo per i quattro kwami: dell'ottimo Camembert al cognac per Plagg, macarons dolci di vari tipi e biscotti per Tikki, svariati tipi di tè per Dusuu e fragole caramellate per Nooroo. Riempirono dei vol-au-vent di crema al tartufo preparata da Marinette la sera prima e corsero a prepararsi.

-Sei bellissima-, sussurrò Adrien all'orecchio della sua donna, quando finì di allacciarsi le scarpe rosse col tacco, che aveva preparato per l'occasione, abbinate ad un delizioso abito di velluto rosso dallo scollo a cuore. La collana che le aveva regalato completava egregiamente la sua mise, Marinette era proprio una modella mancata, ma per questo era solo e soltanto sua.

C’era un albero di Natale non troppo grande in un angolo del salotto, accanto al televisore e, ai suoi piedi, erano già stati disposti tutti i regali acquistati o preparati dalla coppia: -Se tuo padre porta altre cose, sicuramente non entreremo in salotto per il pranzo-, constatò Marinette, considerando che ancora mancava una scatola grande, da sistemare sotto l’albero, quella con il gattino di cui si stavano occupando Tikki e Plagg, nella camera di Sun.

-Mi sto pentendo del regalo che ho scelto per Nathalie-, constatò Adrien, affacciandosi alla porta della stanza e vedendo la bestiola che cercava di arrampicarsi sullo scaffale dove c’erano i giocattoli del fratello, mentre Plagg, volando attorno alla sua testa, tentava di convincerlo in “gattese” a tornare giù prima di farsi male. -Più che altro, se continua a miagolare a questo modo, lo scopriranno prima dello scambio dei regali e Nathalie si rovinerà la sorpresa-, Marinette, osservato ciò, entrò nella cameretta e prese il gattino da sotto la pancia, per trasferirlo nella loro camera da letto, -Perché lo porti di là?-, domandò incuriosito Adrien, -Ormai ho deciso che nel mio letto debba esserci sempre un gatto curioso e allegro!-, trillò Marinette, ancheggiando quando gli passò davanti, poi si voltò con viso più serio e spiegò che Sun probabilmente avrebbe voluto entrare nella sua stanza e quindi avrebbe scoperto subito l’animaletto. Adrien fu d’accordo con la decisione presa e, prima che la donna tornasse in cucina, la afferrò per la vita e si insinuò con il volto sotto al suo collo: -Non ti è bastato il gatto di prima, micetta vogliosa?-, sussurrò a un soffio dall’orecchio della ragazza, che piegò il capo su di lui, chiudendo per un attimo gli occhi. -Tu non mi basti mai-, confessò semplicemente Marinette e lo baciò sulle labbra, attardandosi un istante nel mordicchiarlo.

-Adesso andiamo, che stanno per arrivare-, osservò e chiuse quella breve parentesi sensuale indossando un grembiulino di pizzo bianco, che suscitò immediatamente in Adrien pensieri poco casti.

Fortunatamente i genitori di Marinette suonarono il campanello pochi minuti dopo facendo raffreddare le voglie di Adrien e irruppero nell’appartamento carichi di teglie e sacchetti pieni di regali.

-Buon Natale!-, esclamò con un gran vocione Tom, al settimo cielo nel sapere, finalmente, la figlia sistemata; -Buon Natale-, gli fece eco la moglie, andando a posare i loro cappotti sul letto del bambino e correndo in cucina ad aiutare Marinette. Non le sfuggì come la figlia fosse a dir poco raggiante, seppur evidentemente in tensione per il primo incontro ufficiale tra la sua famiglia e quella di Adrien, -Andrà tutto bene, e dal profumino che sento, anche lo stufato sembra essere sublime-, notò Sabine, curiosando nel forno e ammirando tutte le portate preparate dalla figlia.

-Adrien mi ha aiutata moltissimo, non hai idea di come sia bravo a cucinare e…-

-... e un uomo bravo a letto e ai fornelli è da sposare!-, concluse per lei la madre, -E te lo dice una che ne sa qualcosa!-, fece l’occhiolino alla figlia e la guardò ancora, notando come fosse tutta perfettamente in tinta: le scarpe rosse, l’abito rosso, quella nuova collana rossa, che non le era sfuggita, il rossetto rosso, lieve sulle sue labbra e quel dolcissimo rossore che aveva imporporato le guance di Marinette, alle sue parole alquanto imbarazzanti.

-Coraggio, hanno suonato-, avvisò la figlia, che chiaramente non aveva udito il campanello. Marinette si tolse di gran lena il grembiule e rassettò i suoi capelli, prendendo un bel respiro. -Stai benissimo, cerca di stare tranquilla, ché Gabriel e Nathalie sotto sotto sono due persone gentili e alla mano-, confessò alla ragazza, che non ebbe il tempo di chiedere maggiori spiegazioni in merito.

E, subito dopo, la festa ebbe inizio e tutto iniziò a turbinare in bollicine di champagne, risate allegre e un clima radioso e tranquillo: seduti davanti a lei c’erano il suo grande amore e il suo più acerrimo nemico, felicemente in sintonia come un padre e un figlio avrebbero dovuto essere da sempre e per sempre. C’era un piccolo nanetto che le si era attaccato come un anatroccolo alla sua mamma e che ogni minuto la chiamava con il suo “Maritette, stai con me?” e c’erano i suoi genitori, che timidamente osservavano qualcosa che avevano sempre sognato per la figlia e per loro stessi. Ma gli occhi che più la attiravano, come una calamita, erano quelli di Nathalie, perché sapeva che la donna stava provando le sue stesse identiche sensazioni, lo stesso stupore per essere lì, la stessa gioia nel vedere l’uomo che amava finalmente in pace con il figlio, la stessa ancestrale sicurezza di vedere il bambino che correva da lei e la chiamava, finalmente, mamma. I loro sguardi si incrociarono per un istante e a entrambe tornò in mente l’attimo in cui si erano parlate a casa di Fu, solo qualche mese prima. Quelle due donne insicure e sole, straziate dal dolore di non avere mai provato la vera felicità, incastrate in due ruoli antagonisti eppure così vicine non esistevano più: c’erano solo due donne, con i loro splendidi affetti vicino, due donne che si erano combattute e rispettate e infine conosciute e apprezzate. Due donne felici, finalmente, grazie al destino e alla determinazione che le aveva portate fin là.

Tom e Gabriel onorarono la cucina di Marinette, richiedendo il bis di stufato, mentre entrambi espressero un lieve disappunto scherzoso per la zuppa: erano rimaste alcune bucce, Adrien se ne assunse la responsabilità e Sun, brandendo la sua spada di schiuma che teneva nella sua cameretta, lo difese dicendo che la miglior zuppa di cipolle del mondo l’aveva fatta il suo fratellone.

-E allora assaggiala!-, riprovò Nathalie, all’affermazione del bimbo, ma Sun le fece la linguaccia e corse a rintanarsi nella sua camera, salvo poi tornare poco dopo per avere altro pane e quei meravigliosi macarons salati che aveva portato Tom.

Terminarono il pranzo tra bicchieri di bordeaux e champagne e ciascuno aiutò per sparecchiare e dare il via all’apertura dei regali. Tom e Gabriel -incredibile vedere due persone così diverse collaborare in totale sintonia!- proposero di richiudere il tavolo per fare più spazio e si occuparono di farlo insieme, lasciando il salotto libero per il grande gioco al quale Sun stava per assistere per la prima volta nella sua vita.

Il primo regalo scartato fu proprio il suo, quello comprato per lui dai genitori di Marinette: era un kit in scatola da piccolo cuoco, con tanto di cappello, mattarello in miniatura e varie formine per fare biscotti e dolcetti. Sun si volle assicurare di poterlo provare una volta tornati a casa e Tom si offrì di ospitarlo nel suo negozio per fargli un corso accelerato di cucina e pasticceria.

Ognuno ebbe uno o più regali; Sabine fu deliziata dal maglione scelto per lei da Marinette e Tom rigirò tra le mani gli stampi di silicone, mentre la sua testa da pasticciere già frullava nella ricerca della ricetta perfetta per provarli. Adrien ricevette un tablet ultimo modello da Gabriel e Nathalie e un disco senza etichetta né titolo, accompagnato solo da un biglietto vergato dal padre su cui c’era scritto: “Guardalo quando sarai solo”. Marinette, invece, scartò un meraviglioso regalo direttamente dalla Maison Agreste: un lussuoso abito da sera blu elettrico con un coprispalle di ecopelliccia bianca; entrambi i ragazzi ricevettero dallo stilista i biglietti per l’Opera, per la premiere de Il Lago dei Cigni, che si sarebbe tenuta dopo pochi giorni. -Dopo provalo e se non dovesse tornare bene, te lo posso sistemare domani-, disse Gabriel alla giovane, che arrossì vistosamente e rivolse all’uomo il primo vero sguardo di affetto della sua esistenza. Dovevano scendere a patti tra loro; anche se erano stati nemici incalliti, anche se per causa di quella inimicizia Marinette e Adrien erano stati separati per anni, ormai stavano per diventare come padre e figlia e tale avrebbe dovuto essere il sentimento che avrebbe aleggiato tra loro. -Grazie signor Agreste, ma se non dovesse tornarmi... lo sistemerò da sola-, rispose Marinette, facendo l’occhiolino all’uomo, che sorrise, scosse appena la testa e rispose: -Gabriel: chiamami Gabriel, per favore-, senza aggiungere altro. Forse sarebbero tornati nemici in passerella, dopo esserlo stati in una Parigi spaurita e senza riferimenti, oppure… oppure no… Scartando il suo dono da parte della giovane, Gabriel percepì chiaramente un brivido sottile farsi strada sulla schiena: era una cravatta cucita da lei, un oggetto piccolo, ma che trasudava talento. La stoffa non era neanche delle più pregiate, d’altronde la ragazza non poteva avere accesso alle risorse di una grande Maison, ma il tocco… i punti che aveva messo uno dopo l’altro… non una piega, non una torsione, angoli netti, eppure morbidi, la struttura interna, e infine il ricamo GA, come dipinto dalle piume di un angelo invisibile, era anch’esso quasi invisibile tanto era sottile eppure perfettamente eseguito. Gabriel la osservò in ogni dettaglio, strinse le labbra per non lasciarsi andare a troppi complimenti, che avrebbero potuto risultare controproducenti per una stilista ai primi passi, e annuì in silenzio, rivolgendo tutta la sua ammirazione in uno sguardo orgoglioso che rivolse, come muto ringraziamento, alla giovane. Se fino a pochi minuti prima ne aveva solo avuto l’idea, allora ne era certo: Papillon aveva trovato la più degna erede per la sua arte di creare magia dal nulla.

-E adesso il regalo per Nati!-, esclamò Adrien, interrompendo quel breve istante di reciproco apprezzamento tra la sua fidanzata e suo padre, presentandosi in salotto con uno scatolone tra le braccia. -Spero che non sia un regalo troppo azzardato, ma credo che un uccellino fosse abbastanza sicuro che qua dentro c’è qualcosa di gradito alla nostra Nathalie preferita!-, disse, posando ai piedi della donna la scatola. Nathalie si guardò attorno, spaesata: lei era la meno adatta a stare in quell’ambiente familiare, non era madre, non era moglie, era solo sempre stata vista come una dipendente di Gabriel e d’un tratto provò qualcosa simile ad imbarazzo, che le fece arrossire le guance. -Coraggio-, sussurrò al suo orecchio l’uomo, cingendola senza vergogna con un braccio, mentre era seduto accanto a lei a gambe accavallate sul divano. Nathalie si fece forza e, con un sorriso tirato, sciolse il nastro che chiudeva la scatola, sollevandone i lembi: subito un miagolio seguito da un musetto curioso uscirono allo scoperto, lasciando la donna a bocca aperta. Con una mano sul petto e lo stupore dipinto sul viso, Nathalie osservò la creaturina miagolare ancora. I dentini appuntiti e la pelliccia lucida la conquistarono subito e, quando si spalancarono su di lei due occhioni verdi smeraldo, come quelli di Adrien, la donna si lasciò scappare un sospiro di gioia e la prese tra le sue mani. -Gatto!-, strillò Sunan vedendolo, -Gatto gatto gatto! Voglio toccarlo!-, dichiarò saltando sul divano tra la donna e il padre e gettandosi addosso al micetto. Adrien notò lo sguardo a metà tra il grato e l’arrabbiato di Gabriel, che non disse nulla, ma si limitò ad ammirare la gioia dipinta sul volto di Nathalie e Sun.

-E questo è per te-, Adrien interruppe quella contemplazione e mise tra le mani dell’uomo un pacchetto piatto, senza fiocco, -Aprilo anche tu quando sarai solo, per favore-, domandò al padre. Aveva raccolto in un album tutte le foto di loro due assieme dei tempi di quando era bambino, i disegni a pastello che aveva ritrovato tra le scartoffie della sua scrivania e qualche pagina dei suoi diari segreti di svariati anni prima. Era l’unico modo che aveva trovato per mostrare a Gabriel che per lui era stato un buon padre, a discapito dei comportamenti avuti dopo la scomparsa della mamma, il solo modo per fargli capire che tutto era perdonato e che entrambi meritavano una nuova vita felice.

Sazi e satolli dopo una merenda di rinforzo a base di “torta buonissimissima” di Tom Dupain, tutti gli invitati iniziarono a lasciare la casa di Marinette nel tardo pomeriggio: Nathalie era stata catturata dal suo gatto, visto che non ne aveva mai potuto prendere uno perché era sempre fuori casa, Sun dai giocattoli ricevuti, Gabriel non stava nella pelle per poter finalmente scartare il dono che Adrien gli aveva fatto. Prima che andassero via, Sabine e Adrien insistettero perché Marinette indossasse il vestito che le era stato regalato, per mostrare a tutti come le stesse e lei, seppur senza nascondere la vergogna per essere in passerella davanti a quel pubblico improvvisato, si decise ad accontentarli e si presentò tra loro indossando quel lussuoso capo. Adrien la guardò incantato, Gabriel si avvicinò immediatamente a lei, squadrandola con occhio clinico: sistemò il drappeggio sul fianco, raddrizzò uno spallino sottile e cercò di nascondere sotto ad esso quello del reggiseno indossato dalla ragazza, con un tocco impalpabile segno di anni di grande allenamento. Si allontanò di qualche passo, le fece cenno di voltarsi e annuì: -Perfetta-, dichiarò, chiedendosi in cuor suo se dovesse complimentarsi con se stesso, con i suoi sarti o con la ragazza, che stava iniziando a notare per la sua bellezza, oltre che per la tenacia, la caparbietà, la serietà, l’affetto che nutriva nei confronti del figlio e tante altre particolarità che aveva apprezzato anche quando era sua nemica.

-Perfetta-, ripeté Adrien, avvicinandosi a lei e baciandola sulla bocca, davanti a tutti i presenti e divertendosi a guardare le facce della giovane e di suo padre, diversamente fattesi rosse.

-Adrien mangia la faccia a Maritette! Adrien mangia la faccia a Maritette!-, lo schernì infantilmente Sun e poi, come ultimo Agreste, chiosò: -Comunque, perfetta anche per me-, con viso serio.

La risata smorzò la lieve tensione, la giornata volgeva al termine e presto l’appartamento fu silenzioso e vuoto. Quando tutti se ne furono andati, Tikki e Plagg comparvero portando i saluti di Nooroo e Dusuu e mostrarono i doni che avevano ricevuto. Tikki aveva al polso un piccolo braccialetto luccicante, donatole da Plagg in segno di qualcosa che stava iniziando a funzionare anche tra loro.

La casa era in ordine, Marinette mise a posto l’abito ricevuto e guardò esausta Adrien: -È andato tutto bene, hai visto?-, le disse lui, abbracciandola. La donna posò la testa sul suo petto e lo condusse verso il divano. Si sfilò le scarpe col tacco e si rannicchiò sotto alla coperta, facendogli spazio. L’idea di tornare a letto era forte, ma Adrien trovò più adatto rimanere abbracciato a lei, guardando in silenzio per un po’ le lucine intermittenti dell’albero di natale e pensando che forse, se in quella scatola avesse messo l’anello, invece che il ciondolo con il rubino, sarebbe stato comunque il momento perfetto.

Lasciò scivolare la mano sui capelli della ragazza e la guardò con amore: era tutto veramente al suo posto, sia nella sua vita, che nella sua anima.

***

Finalmente il gran giorno di Alya e Nino stava per arrivare, insieme a un assaggio di primavera portata dal vento caldo da sud. Tutto era stato preparato nel minimo dettaglio, grazie alle azioni combinate delle persone che si erano rese disponibili per aiutare la neo coppia.

Nei mesi invernali, con la scusa di altre reunion tra supereroi e di un riavvicinamento al suo amico storico, nonché al fratellino (ottima scuola) e al padre (ottimo esempio di uomo imbranato con un bambino piccolo), Nino si era molto legato a tutti i membri nuovi e vecchi di casa Agreste, da cui si rifugiava ogni qual volta Alya lo scacciava di casa, o per sciocche liti tra innamorati focosi, o per organizzare con le sue amiche il grande evento.

A nessuno parve quindi strano che fossero solo loro due al fantomatico addio al celibato del ragazzo, tenutosi in luogo segreto e in data segreta. Per meglio precisare, una notte Chat Noir passò a prendere Carapace sul tetto di casa sua e volarono via nel buio. L'unica cosa su cui entrambi concordano, una volta acclarato che l'uscita era avvenuta, fu che i due giovani non avevano mai avuto modo di confrontarsi e supportarsi come supereroi e quindi avevano passato la notte a mostrare i loro poteri l’un l'altro. Non se l'era bevuta neanche Fu, interpellato dalla furia di Alya, che gli aveva fatto un terzo grado come se l'uomo avesse potuto conoscere ogni attimo della vita di Nino Lahiffe.

Nessuno si meravigliò dunque neanche del fatto che, nella data concordata per l'addio al nubilato, Alya avesse limitato il numero di amiche invitate e avesse chiesto loro il massimo riserbo, tacchi alti e maschere per essere libere di divertirsi come, secondo lei, avevano fatto i due scapestrati. Ne aveva parlato a lungo con Marinette, che l’aveva tranquillizzata sul fatto che Nino le fosse rimasto fedele, sempre e per sempre. E Adrien? Visti i suoi trascorsi, nonostante la fiducia che riponeva nel giovane fosse completa, Marinette si era interrogata intimamente se il suo fidanzato avrebbe o meno potuto pensare ad altre donne, oltre a lei. Quando era in oriente l’aveva fatto e ripetutamente, ma non aveva alcun reale legame con lei. Le aveva raccontato che alle volte la voglia che gli prendeva diventava qualcosa di irrazionale, come se a muovere i suoi fili fosse un animo sopito di qualcosa che lo aveva in qualche modo contaminato. Plagg e la sua storia erano stati gli indiziati maggiori, ma nessuno, Adrien per primo, aveva mai indagato davvero su quelle pulsioni che sembravano provenire da qualche cosa di oscuro e ancestrale.

Quando si ritrovarono sotto casa di Alya per andare a festeggiare, la donna aveva ormai una pancia importante e difficilmente avrebbe potuto comportarsi come una classica “bachelorette”, per questo fu quasi una implorazione che Marinette guidasse la banda e si esponesse in prima riga nella loro notte brava. Seppur controvoglia, la giovane stilista si prestò a fare da organizzatrice della serata, finché Juleka non propose di andare al concerto di suo fratello e le altre accettarono entusiaste. Luka era stato per molto tempo a ronzare attorno a Marinette, anni e anni prima, poco dopo che Adrien era sparito e la ragazza, sola e derelitta, si stava perdendo il meglio della sua adolescenza. Era anche riuscito ad ottenere da lei qualche appuntamento galante, ma alla fine il suo bottino si era fermato a un bacio appassionato rubato alla ragazza e qualche fugace tocco qua e là. Quando la rivide, rapido tornò alla sua mente quel giorno fortunato e disgraziato in cui era andato così vicino a conquistarla e poi, d'un tratto lei era sparita alle prime avvisaglie di una manifestazione che si stava tenendo per il centro di Parigi e che volgeva allo scontro con la Gendarmerie. Luka non l'aveva più vista da allora e davanti a sé, assieme alla sorella abbastanza ubriaca, alla sua ragazza Rose e ad una tizia mascherata in velo da sposa chiaramente incinta, ritrovò la splendida ragazza di allora, trasformata in una donna sensuale e esageratamente interessante, che quando lo vide gettò via la mascherina rossa che indossava.

-Ciao Luka-, gli disse lei, trovandoselo davanti al termine del concerto. -Ciao, splendore-, le rispose la voce calda e sensuale che non era affatto cambiata. A Marinette era piaciuto uscire con Luka, anni prima, ma non era stata pronta a dimenticare Adrien e non aveva combinato nulla con quel ragazzo più grande di lei che sembrava avere altre pretese. Lo aveva quasi dimenticato, tanto che npon ne aveva neanche fatto cenno ad Adrien, nelle loro confessioni. Semplicemente Luka era stato una parentesi tanto breve, quanto inutile. E mentre alla sua mente tornavano quei momenti di gioventù, come recuperati da un album dei ricordi, Rose le passò un cocktail e Alya la lascio da sola per andare a sedersi e fare la sciocca con alcuni ragazzi che le facevano apprezzamenti per il fatto che stesse festeggiando il suo ultimo giorno di libertà, ma che poi scappavano a gambe levate quando lei spostava l’attenzione sulla pancia evidente. Quando Marinette finì il cocktail, Juleka gliene ne portò un altro diverso, dal sapore dolciastro e strano e la giovane, dopo qualche sorso, si sentì su una nuvola abitata solo da lei e dalla voce di Luka, che non l’aveva mollata un attimo.

-Sono fidanzata-, si sentì dire mentre sorrideva con espressione fatua al musicista, -presto mi sposo anch'io-, e ci bevve su, per brindare a quell'evento che sperava sarebbe presto arrivato.

-Festeggi anche tu quindi l'addio al nubilato?-, le chiese interessato Luka e le liberò la fronte, spostando un ciuffo di capelli ribelle. Quel breve contatto produsse scintille sulla pelle di Marinette, scintille che non avrebbero avuto ragione di esistere.

-Ma cosa c'era in questo cocktail?-, domandò guardando come una stupida dentro al bicchiere, -comunque no, non festeggio nulla: ancora lui non me l’ha domandato-, ammise apertamente, rimproverandosi per quella mancanza di privacy che aveva dimostrato, senza però riuscire a fermare una risata sguaiata e non voluta.

-Allora “lui” è proprio un grande imbecille-, le rispose Luka, sorridendole e avvicinandosi a lei, -Perché se fossi stato nei suoi panni, avrei chiarito il prima possibile che tu sei solo mia-, piantò i suoi occhi azzurri in quelli appannati di Marinette, sul volto un’espressione seria: sembrava molto diverso dal ragazzino sbarbato che strimpellava la chitarra e che l’aveva fatta sognare, per qualche attimo, in un momento così buio e fugace della sua vita. Il Luka che le stava parlando era un uomo molto alto e bello, non bello come Adrien, ma bello a suo modo, di una bellezza quasi serpentina. La sua voce la avvolgeva nelle sue spire, lo sguardo la ipnotizzava, lei si sentiva inerme e senza capire il perché, era una sensazione che in fondo le piaceva.

-E tu non hai nessuna?-, gli chiese Marinette, mentre un capogiro la faceva inorridire per la sua stessa domanda. Luka storse la bocca in un ghigno camuffato da sorriso: -Ci ho provato, ma nessuna è come una ragazza che ho avuto modo di conoscere sei anni fa e che mi è rimasta nel cuore. Ne ho avute tante da allora, ma mi ritrovo spesso a pensare all’unico bacio che riuscii a rubarle e alle sue labbra morbide…-, parlava di lei, ma se fosse stato sincero, forse neanche Juleka lo avrebbe saputo dire.

-Lo sai che quella ragazza è morta?-, gli rispose Marinette, incrociando le braccia al seno e strizzando un po’ gli occhi per sforzarsi di mettere a fuoco la sala da ballo davanti a sé, che cangiava dal verde acido al rosa salmone.

-Se è morta, allora quella che ho davanti è la più bella e sensuale dei fantasmi che abbia mai avuto modo di incontrare-, mentre la musica tornava a coprire le parole tra loro, Luka prese la mano di Marinette e la avvicinò alle sue labbra. Di nuovo un brivido di pericolo e allo stesso tempo voglia e trasgressione si prese quel poco di coscienza rimasta sobria di Marinette. -No, Luka…-, sussurrò, ma le sue parole si persero nel frastuono e, senza rendersene conto, si ritrovò stretta a lui, in piedi, a ballare un lento, mentre attorno a loro imperversavano balli agitati. Non capiva se fosse il suo cuore a battere all’impazzata per la paura e il richiamo del proibito oppure quello di Luka, che la teneva stretta a sé; le girava la testa, si sentiva stranamente come su una nuvola rosa e tutto era bello. Le tornò in mente la sensazione sciocca eppure elettrizzante che in passato aveva provato una sola volta, quando aveva preso a frequentare per pochissimo tempo un gruppo di compagni di facoltà che avevano un modo particolare e trasgressivo di approcciarsi alla vita e ai suoi problemi. Era successo dopo che aveva rotto con Nath, era senza difese e aveva cercato in qualcosa di strabiliante una scappatoia ai pensieri che le facevano esplodere la testa. Aveva anche lei tanti, troppi scheletri nell’armadio da confessare ad Adrien, anche se fortunatamente si trattava di esperienze fugaci e che non avevano lasciato segno.

-Ti voglio-, Luka non aveva perso tempo a dichiarare le sue intenzioni. Marinette alzò il viso su di lui, guardandolo a bocca spalancata, come una bambina che veda per la prima volta la neve.

-Luka… io…-, provò a staccarsi da lui, ma lo stava davvero facendo?

-Ti voglio-, ripeté il ragazzo, posando il palmo caldo sulla guancia di lei, facendolo scivolare verso l’orecchio, insinuandosi tra i capelli, lasciando che lei inclinasse da sola la testa sulla sua mano e socchiudesse gli occhi.

Marinette sentì chiaramente l’alito caldo e alcolico dell’uomo sulla sua bocca, erano a pochi centimetri di distanza, occhi blu negli occhi blu, elettricità tra loro, paura, voglia.

-Lasciala stare!-, strillò Alya accanto al suo orecchio e una mano la strattonò prendendola per un braccio. -Che stavi facendo, sciocca, stupida, fragile donna?-, e si sentì trascinare via dalla furia dell’amica, seguita da Rose. Juleka affrontò il fratello, puntandogli il dito sotto al naso, sibilandogli parole d’accusa, ma le uniche cose che Marinette davvero focalizzò, furono lo sguardo pungente e ipnotico di due occhi blu, che sparivano in lontananza e quel sorriso sghembo che la stava per irretire.

La mattina dopo, insieme a un potente mal di testa, Marinette sentì un forte senso di colpa, quando Adrien, gentile e solare, le porse un bicchier d’acqua e un’aspirina.

-Ben svegliata, scapestrata adolescente mia-, le disse e la baciò sulla guancia. Si stese accanto a lei e la fece accucciare sulla sua spalla; -Alya mi ha detto che hai bevuto un po’ troppo… sei una pivella, io lo sapevo! La prossima volta ci torniamo insieme a ubriacarci come si deve, ok?-, con un sorriso, un bacio e il suo amore, Adrien era riuscito a cancellare come con un colpo di spugna tutta la sporcizia che Marinette si sentiva addosso. Lo guardò, mettendosi praticamente sopra di lui, esplorò con lo sguardo ogni millimetro del suo viso, ogni sfumatura delle iridi cristalline, ogni piccola impercettibile imperfezione, il leggero velo della barba che stava spuntando, i piccoli solchi che si formavano ai lati della bocca quando sorrideva, la linea dritta del naso e fu sicura che era lui l'unico uomo che avrebbe voluto e amato per sempre.

Adrien posò le sue mani sui fianchi di Marinette: -Appena l’aspirina farà effetto e sarai minimamente in te, c’è una lunga lista di cose da fare: ti ricordo, anche se ti sei divertita a fare la teenager problematica, che sei la testimone della sposa, la stilista di entrambi gli sposi, l’organizzatrice del rinfresco e colei che si è offerta di disegnare e cucire anche il mio abito… nonché il tuo, che ancora devi farmi vedere come ti sta…-

Se le avesse detto che sapeva tutto di lei e Luka, Marinette si sarebbe agitata meno. Schizzò come un gatto davanti a un cetriolo, inciampò nelle sue scarpe col tacco lasciate in mezzo alla camera, si riprese, corse in bagno e vomitò.

-Hai già vomitato stanotte, due volte: sei sicura di stare bene?-, le chiese Adrien, affacciandosi alla porta.

-Non mi guardare…-, lo implorò lei, accasciata davanti alla tazza.

-Chi credi te l’abbia tenuta la testa, stanotte? La fata madrina?-, si abbassò alla sua altezza e le fece una carezza; -L’aspirina è andata, te ne do un’altra tra una mezzoretta, ma prima devi mettere qualcosa nello stomaco. Io ti amo, Marinette, e mi hai fatto prendere un bello spavento, stanotte: non ti ci riprovare più-, lo sguardo serio sul viso dolce e quelle parole la fecero sentire piccina e veramente sciocca. Si pulì la bocca con della carta igienica e si strinse forte a lui. Prese fiato, si aggrappò per tirarsi su e gli sorrise: -Facciamo colazione, che è meglio…-

Marinette mangiò delle fette biscottate con il miele e una banana, bevve tanta acqua e succo d’arancia, prese un’altra aspirina e andò a farsi una doccia tiepida.  Quando ne riemerse, avvolta dal suo consueto profumo di vaniglia e cocco, si sentiva molto meglio. Adrien la aspettava in cucina, scorrendo rapidamente facebook. Alya le aveva parlato chiaramente di quel che era successo, Juleka era andata a scusarsi con lui personalmente, mentre facevano stendere Marinette sul divano, Rose aveva spiegato che l’ultimo cocktail che aveva bevuto la ragazza era strano, lo aveva assaggiato anche lei e lo aveva sputato subito: qualunque cosa avesse sentito o visto circa Marinette e Luka, il fratello di Juleka, era quindi falsa e costruita ad hoc proprio da lui o da qualcuno che non vedeva di buon occhio Marinette. “Luka ha provato a baciare Marinette, ma l’abbiamo portata via subito, sta’ tranquillo”, le avevano detto le sue amiche e, sebbene tutte e tre spergiurassero di dire la verità e che la colpa fosse interamente del giovane, il tarlo del tradimento aveva a poco a poco forato l’inossidabile sicurezza di Adrien. Si domandava, soprattutto, se Marinette ricordasse cosa era successo, quindi, in nome dell’onestà tra loro, andò diretto al punto. Marinette si sedette accanto a lui, prendendo la tazza di caffè che gli veniva porta, si sistemò e diede una sbirciata al telefono del fidanzato: -Che guardi?-, gli domandò con voce assonnata.

Adrien deglutì, non era sicuro di quello che sarebbe stato giusto fare, ma voleva chiarire subito ogni incompresione. -Cercavo foto di te e Luka Couffain, ieri sera, in discoteca: Alya mi ha detto che quel… quel tizio ha provato a baciarti-, la trafisse con il suo sguardo, che però non riusciva ad essere veramente rancoroso e la vide sbiancare, spalancare la bocca, guardarsi intorno e portare entrambe le mani alla testa, infilandole convulsamente tra i capelli ancora un po’ umidi.

-Cosa…? Cosa stai dicendo? Luka…? Il fratello di Juleka? Ma che…-, sembrava non ricordare nulla, brancolava nel buio dell’incoscienza prodotta dalla sua sbronza. Guardò Adrien spaventata: -Ho frequentato Luka per qualche settimana sei anni fa, nell’estate successiva alla tua partenza. All’epoca ci provò con me, ci baciammo, ma solo una volta. Poi non lo vidi più. Non è significato niente per me, non lo ricordavo nemmeno. E ieri sera… è vero, siamo andati a vederlo suonare, ma… -, abbassò lo sguardo, fissandosi le dita che stava torturandosi in grembo tra loro. Lo alzò di nuovo su Adrien: -Non ricordo nulla, amore mio, davvero!-, il panico stava lavorando al posto della sua memoria: come poteva essere stata così sciocca e lasciarsi approcciare da quell’uomo pericoloso?

-Lui è venuto a salutarmi, mi ha fatto qualche complimento e ha detto che tu…-, soffiò via l’aria dal naso, come se assieme ad essa avrebbe potuto uscire in sordina la sciocchezza che non voleva dire, poi riprese: -Ma non ricordo altro, solo di aver pensato, rivedendolo, a quel breve periodo di così tanto tempo fa-. Fece una pausa, sospirò preoccupata, passò ancora le mani tra i capelli e ripensò alla splendida sensazione che aveva provato neanche un’ora prima a letto, accanto a lui. -Io non so cos’è successo, ma ti posso giurare che non lo ricordo e non ero in me-, si stava arrampicando sugli specchi, evidentemente. Adrien sospirò a sua volta e prese una mano tremante di Marinette tra le sue: doveva fidarsi di lei, così come lei si era fidata di quello che non sapeva fosse successo la notte dell’addio al celibato di Nino. Non gli aveva fatto domande e aveva chiesto solo se si fossero divertiti e lui, con la coscienza appena lievemente sporca, aveva fatto un bel sorriso e risposto: “Alla grande”. Lui e Nino si erano infilati, più per scommessa che per interesse, in un locale di spogliarelli, avevano guardato cose che non dovevano guardare, avevano sentito frasi che non dovevano sentire, avevano scrollato via dalle loro gambe signorine un po’ invadenti e infine avevano pagato ed erano usciti, con occhi colpevoli e mani immacolate.

-Cos’ha detto di me Luka?-, domandò a Marinette e la vide arrossire.

-Che sei… sei uno stupido a non avermi ancora sposato…-, pigolò lei e lo guardò dal basso con occhi enormi e lucidi.

Adrien la abbracciò: in fondo questo Luka non era così deprecabile come pensava…

Alya scoprì in pochi minuti cosa fosse davvero successo la sera prima: sul profilo instagram di Chloé Burgeois spiccava la foto sfocata di Marinette a un passo dal baciare Luka. Grazie ad un rapidissimo tam tam tra amiche, aveva scoperto che Luka era stato fidanzato con Chloè, che l’aveva lasciata perché erano incompatibili e che nel corso della loro frequentazione avevano parlato anche di Marinette e del debole che aveva avuto il giovane per lei. Chloè era presente in discoteca, la sera prima, per cercare di riconquistare Luka, ma lui, che l’aveva vista, aveva voluto farle capire che non aveva alcuna seconda possibilità, provandoci con Marinette, ma servendole su un piatto d’argento il lasciapassare per Adrien. Altrettanto velocemente, avvalendosi anche dell’aiuto di Nathalie, chiamata in soccorso, ogni traccia di quello che era stato un potenziale scandalo era stata cancellata e ogni pettegolezzo messo a tacere. Il locale era stato denunciato per aver servito cocktails sofisticati con qualche stupefacente, seppur leggero e per l’ora di pranzo tutto era tornato alla normalità, anche il rapporto tra Adrien e Marinette.

***

-Come mi sta?-, Marinette teneva i denti serrati in attesa del giudizio del suo esaminatore, sentendo l’abito che aveva cucito per sé d’un tratto sciatto e inappropriato. Le martellava ancora la testa nonostante avesse ripreso due aspirine e si sentiva sciocca come non mai. Nonostante ciò si era fatta forza e aveva apportato gli ultimi dettagli al completo di Adrien e imbastito per l’ultima volta l’attaccatura della gonna dell’abito da sposa di Alya: mancava solo di terminare il suo e avrebbe potuto, dopo una veloce ultima prova con l’amica, dichiararsi soddisfatta.

-Ti sta bene, sei bellissima-, Adrien aveva risposto troppo velocemente…

-Ma qua dietro? Questa pince? E lo scollo: non è troppo calante, qua sulla destra?-, prese aria, si voltò cercando di guardarsi alle spalle, come un cane che cerchi la sua coda, -E lì!? O Signore, mi fa un sederone enorme!!!-

Adrien prima rise, la vide afflosciarsi come un gonfiabile a cui venga spento il compressore, rise ancora e scosse la testa: -Se preferisci che ti dica come ti sta davvero questo abito, lo farò, ma poi non lamentarti…-. Si alzò e si mise davanti a lei: -Qua la pince va benissimo e sottolinea la linea del seno, se non cambi reggiseno sarà perfettamente all’altezza giusta…-, e sfiorò tale cucitura, stando attento a non macchiare la seta lucida dell’abito, Marinette provò un brivido scivolare sulla sua schiena; -Qua dietro direi che mette in risalto non il tuo sederone, ma un culetto perfetto, che molte modelle photoshoppate invidierebbero e invidiano e che solo io…-, allungò le mani stringendola a sé, tenendola da sotto il sedere e facendole sentire come quel discorso lo stesse interessando, -... che solo io posso palpeggiare. Poi, dunque… qual era il problema? Ah sì, lo scollo. Vediamo se è calante…-, infilò il mignolo sotto lo spallino di seta e lo lasciò scivolare sulla spalla, scoprendo, con suo impagabile piacere che, sotto il vestito, Marinette non aveva niente. La baciò con foga, la sentì scalpitare sotto alle sue mani bollenti e strillare: -È imbastito!-, l’aiutò a sfilarlo e della brutta sbronza, della sottile gelosia, di ogni paura ne fece un sol boccone e la gettò dietro a sé.

Quando arrivò Alya, annunciandosi con una rumorosa scampanellata, l’abito di seta di Marinette era ancora sul bracciolo del divano e lei andò ad aprire con capelli arruffati e solo una t-shirt extra large di Adrien, trovata in fretta sull’indossatore di fianco all'armadio.

Alya entrò a mento alto in casa, squadrò l’amica, buttò un’occhiata alla porta socchiusa della camera, da cui provenivano classici rumori di un uomo che indossi dei jeans e chiuda la fibbia della cintura e posò la borsa sul divano, accanto all’abito da finire.

-Tra tre giorni mi sposo, domani ho l’ecografia e poi devo andare a portare le uova al convento di Saint Claire, dopodomani inizio il restauro dall’estetista e non mi importa se oggi ti ho parato il culo in maniera che neanche la CIA, non mi importa essere testimone dei postumi della tua sbronza e di quelli della tua attività sessuale e non mi importa neanche se ti ricordi o meno che bellissima figura hai fatto ieri sera: domani alle quindici mia madre verrà qua a ritirare il mio abito da sposa, alle sedici verrà Nino a prendere il suo e pertanto entrambi devono essere finiti e perfetti. Quindi divertiti poco a letto e cuci velocemente!-, incrociò le braccia al petto e fissò l’amica appena contrariata. Marinette portò una mano alla nuca, lasciando che la maglietta si sollevasse appena, sbadigliò e si voltò verso la cucina: -Caffè?-

-NON POSSO PRENDERE IL CAFFÈ!!!-, tuonò Alya, -E copriti quel sedere perfetto che mi fai sentire una vacca grassa e orrenda!-, si sedette platealmente accanto alla borsa e sospirò: -Ma a chi voglio darla a bere… io sono una vacca grassa e orrenda e il mio abito mi starà malissimo, anche se tu lo hai fatto perfetto… come il tuo sedere...-, abbandonò la testa indietro e chiuse gli occhi.

-Posso darti un parere su come ti torna l’abito da sposa, se vuoi…-, si propose Adrien, troneggiando su di lei, che se lo vide capovolto, quando riaprì gli occhi. Un attimo di indecisione, un guizzo di possibilità negli occhi della donna, un ripensamento: -Marinette, quest’uomo è in grado di dare un parere attendibile su come possa starmi il mio abito?-, domandò all’amica, che cacciò un urlo, li raggiunse dalla cucina, e spinse via Adrien, memore di quanto appena vissuto con lui.

-Assolutamente no! Non ha una visione oggettiva dell’abito, ne sono certa!-, starnazzò Marinette, mentre Adrien rideva e Alya, furiosa, batteva i piedi a terra senza capire nulla.

-Mi vesto e ti porto l’abito-, la informò Marinette, congedando Adrien e intimandogli di non uscire dalla stanza di Sunan, -Prenditi il tablet, così ci fai i giochini-, lo liquidò e uscì in terrazza per tornare con il modello che aveva realizzato per Alya. La aiutò a indossarlo e ad allacciare le scarpe da sposa che la giovane si era portata dietro, per la prova.

Stava bene, eccome, non sembrava quasi incinta di sei mesi abbondanti, e il colore che infine avevano deciso per la stoffa delle decorazioni era perfetto. Lei era perfetta, dolcissima nonostante la normale isteria pre-matrimonio, burrosa al punto giusto e raggiante, grazie al miracolo che cresceva nella sua pancia.

-Grazie-, seppe dire soltanto all’amica, mentre gli occhi lucidi parlavano per lei.

-Ricordati di farti acconciare i capelli come avevamo detto e di portare le scarpe di riserva, perché a un certo punto sicuramente ti faranno male i piedi con queste. E soprattutto: anche se sembri non incinta, ricordati che lo sei e che devi stare comoda nel tuo abito e non puoi stare tutto il giorno in piedi a fare la sposa giuliva. Ricordatelo-, uno sguardo fermo e tanto affetto, dietro quelle parole. Anche se l’aveva fatta preoccupare, quella notte, Marinette era la sorella perfetta che non era sorella di sangue, ma di anima, avventure e pensieri.

-Non ci vedremo domani, né dopodomani, ma per favore, vieni ad aiutarmi con l’abito, prima del matrimonio-, implorò l’amica e l’abbracciò.

-Non ti lascerò sola in questo momento speciale, te lo prometto-, rispose Marinette e chiamò Adrien perché la salutasse, visto che l’amica stava per andare via.

-Ci siamo quasi… devo cucire poca roba sul suo abito e sistemare il mio-, ricapitolò la stilista, mettendosi al lavoro.

-Fammelo vedere, dai…-, per una volta ancora, Adrien cercò di avere un'anticipazione del modello della sposa, e dopo tanti mesi fu accontentato. Marinette lo condusse al suo laboratorio e gli mostrò l’abito, trepidante per il giudizio del fidanzato. Anche se non era portato per la creazione di modelli innovativi, Adrien era sicuramente la persona adatta per poter valutare la bontà di un capo fatto a mano. Era cresciuto in mezzo alle stoffe e ai manichini e aveva una buona idea di quali fossero i dettagli da cui si poteva vedere se un vestito fosse ben fatto o meno. La sua prima reazione fu di stupore: alzò sorpreso le sopracciglia, ma non emise suono, per timore di ferire Marinette. Era strano vedere un abito dal taglio classico abbinato ad una personalità spumeggiante come quella di Alya, si sarebbe immaginato qualcosa di più moderno e inusuale.

-Questi erano gli altri bozzetti-, gli disse la donna, porgendogli dei fogli piegati a metà con disegnati altri modelli: effettivamente quelli gli parevano più adatti. Guardò la fidanzata con aria interrogativa: se anche lei aveva avuto quel pensiero, come mai alla fine aveva realizzato un modello così classico?

-Guarda dietro-, gli disse lei, facendolo girare attorno al manichino e aprì le tende facendo entrare la luce. Adrien si aprì in un sorriso e annuì soddisfatto, incrociando le braccia al petto e osservando ammirato il movimento che quella stoffa iridescente nei toni del giallo scuro, con punte di arancio, creava quando era bagnata dalla sole. I riflessi dorati andavano a scomporre la classicità del modello in qualcosa di ben differente, come una rivisitazione dello stesso tipo di abito in chiave eclettica ed estremamente moderna. Tornò a guardarlo sul davanti, sorprendendosi del fatto che Marinette non avesse tenuto conto della pancia di Alya: allungò una mano al manichino e con grande stupore lo sentì ben pieno, imbottito proprio sull’addome, eppure dal modello non traspariva lo stato interessante di colei che avrebbe dovuto indossarlo. Lo scollo geometrico e le linee scivolate, ma definite sotto al seno, lo rendevano mimetico nei confronti della pancia pronunciata. Si voltò verso Marinette: -Wow! È geniale!-, esclamò e fu felice nel vedere la reazione soddisfatta della sua fidanzata.

-Fammi vedere anche quello di Nino, per favore!-, la implorò. Avevano dovuto farsi prestare altri due manichini dalla Maison di Gabriel, per poter cucire i quattro abiti per gli sposi e i loro testimoni, e quello di Nino era coperto da un lenzuolo, perché non fosse visibile.

-D’accordo, ma non dire nulla di cattivo-, lo accontentò Marinette, scoprendo un completo alla prima occhiata quasi classico. Visto dal davanti aveva solo una strana conformazione del collo, nella parte alta, mentre l’assenza di cravatta e camicia erano un dettaglio scontato, parlando del DJ casual che avrebbe dovuto indossarlo. -Ohibo!-, esclamò Adrien, comprendendo che lo scollo dal taglio classico si trasformava in un cappuccio sul retro della giacca e che, al tatto, l’abito era fatto di qualcosa di simile alla felpa. Non si vedeva, ma si sarebbe visto una volta indossato che quello, senza dubbio, era un abito unico creato proprio per uno come Nino. -Perfetto-, decretò Adrien, - e suppongo che anche Alya lo abbia approvato, altrimenti non sarebbe qua bello cucito-, pensò a suo padre e a come avrebbe giudicato un modello così audace e sui generis.

-Lo hanno approvato tutti, anche Plagg, per tua informazione, Wayzz e anche… beh, anche un amico a cui ho chiesto dei consigli in corso d’opera…-, Marinette serrò la bocca e non disse altro, gongolandosi però della reazione avuta da Adrien.

-Con il tuo, per fortuna, ho potuto fare qualcosa di classico-, proseguì poco dopo, sollevando la manica dell’abito che aveva voluto realizzare per Adrien, -Sei sicuro che non avresti preferito un modello Agreste?-, domandò guardandolo dal basso.

-Io dico che quello diventerà un modello Agreste ben presto, se non vorrai metterti a fare concorrenza in casa a mio padre-, commentò lui, infondendo grande speranza nell’animo di Marinette. La giovane aveva parlato a lungo con Gabriel, nei mesi precedenti e sapeva che l’uomo aveva tenuto d’occhio ogni suo movimento nel settore della moda. Sapeva che apprezzava molto il suo modo di rappresentare il soggetto dietro l’abito e stranamente aveva approvato il completo ideato per Nino, che Marinette, molto dubbiosa, gli aveva sottoposto, seppure fosse completamente fuori dai suoi normali schemi. “Le porte della mia Maison sono aperte per te”, le aveva detto una volta, “basta che tu le varchi e abbia voglia di iniziare questo mestiere”. Gabriel riteneva che Marinette fosse più portata per la moda maschile, per questo la giovane aveva voluto osare con alcuni dettagli per l’abito di Alya e anche per il suo. Aveva lavorato alacremente per creare per sé un modello che fosse perfetto, sebbene non così vistoso da offuscare quello della sposa. Alla fine aveva optato per linee definite e scivolate, che avessero mostrato più l’abilità nella realizzazione, che evidenziato l’originalità stessa del modello.

-Andiamo, adesso-, stabilì Marinette, ricoprendo con il lenzuolo i modelli degli sposi e spegnendo la luce nella dependance in terrazza.

Tre giorni, e la sua amica avrebbe fatto il passo più importante della sua vita. Tre giorni e sarebbe rimasta sola, in quella condizione che avevano condiviso da sempre loro due. Era un grande passo anche per lei.

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ANGOLO AUTRICE:

Per prima cosa, scusatemi per il titolo del kaiser... onestamente ci ho messo di più a cercare un titolo (ma poi mi sono arresa), che a scrivere il pezzo! "Altalena" avrebbe reso l'idea, ma l'ho già usato, "Su e giù" sapeva un po' di porno, "Buon Natale" non avrebbe reso giustizia al resto della storia. "Io rinascerò cervo a primavera" era troppo lungo e c'è il copyright sopra... Quindi ho optato per una specie di riassunto funzionale... Tant'è: ho fatto del mio meglio, perdonatemi! XD

In un commento al precedente capitolo è stato fatto cenno al fatto che apparisse un po' frettoloso: beh, ci sta, considerando il fatto che tutta questa parte in realtà non doveva esserci, immagino sia venuta una via di mezzo tra un elenco di fatti e qualcosa di poco più dettagliato, ma mi sentivo di farla e di farla così.

Andiamo al sodo...

Cosa c’entra Luka?

So che molti di voi se lo saranno chiesto e altri avranno pensato che ce l’ho infilato solo perché va di moda: no, non è così. È che in totale onestà non riesco a credere in nessun modo che la vita possa essere davvero tutta rose e fiori e sono dell’opinione che tutto, prima o poi, torni a galla e dipenda solo dalla forza dei legami che si sono costituiti con le persone che fanno parte della nostra vita il modo in cui possano venire affrontate le difficoltà.

Adrien ha passato l’esame, Marinette è stata rimandata a settembre, ma poi l’ha passato pure lei. Marinette non è una madonnina infilzata che ha atteso il ritorno di Adrien come una santa vergine e martire: nella mia mente è una ragazza vera, che ha cercato di andare avanti anche da sola, salvo non farcela. Ma ci ha provato. Ha provato a cercare un modo per sfuggire alla claustrofobia della sua esistenza, nel momento in cui il mondo sembrava essersi stretto su di lei, soffocandola. Ne è stata divorata, più in là, e poi finalmente tratta in salvo da mani forti e occhi verdi, ma ci ha provato anche da sola ad andare avanti. E ritengo che sia giusto che questi tentativi appaiano agli occhi di Adrien, che deve pensare di avere a che fare con una donna vera e non una dea. Una dea la implori e ti fa la grazia, una donna vera la devi coltivare, amare, comprendere e meritarla. Idem il contrario.

Luka. Luka non me lo immagino così, ma in questo frangente era funzionale a quel disagio che volevo introdurre nella coppia perfetta che in un mese spodesta l’allegra famiglia del Mulino Bianco e anche la Royal Family. Mi stavo facendo venire il diabete da sola, ci voleva un po’ di bitter. Luka ci prova, ci riprova, perché è un’anima libera e “come viene viene”. Perché non avevo detto in passato che il chitarrista con cui stava Chloé era proprio lui? Perché avevo dato per scontato che fosse lui e che semplicemente Marinette fosse sufficientemente fuori dai giri e con la testa altrove anche solo per porsi il problema e scavare minimamente nella privacy dei suoi ex amici o, nel caso di Chloé, dei suoi ex non-amici. E il POV era di Marinette.

E le spogliarelliste? Anche Adrien non è perfetto (anche se ne parlerò meglio dopo l'epilogo), sebbene si avvicini molto alla perfezione, ma la perfezione non esiste, quindi anche per lui andava inserita qualche macchiolina, sempre secondo il mio parere. Lui e Nino, però, di fatto sono due bamboccioni che si adeguano alla tradizione e ci ridono su, proprio come due adolescenti cresciuti. Sono in buona fede. D’altronde, da quel punto di vista, Adrien ha già dato a sufficienza in passato…

Il Natale poi è stato un attimo quasi autobiografico, tra le varie diatribe su inviti, menù ecc ecc. Mi serviva per unire le famiglie e mostrare un po’ di imprevisti. Che cosa regala Gabriel ad Adrien? Non ve lo dico...

SuperBombo? Beh, povero Fu e povera Pollen, non potevo chiudere la storia senza dedicare anche a loro un breve accenno! Quello che Fu fa (e fe fi fo) è però molto importante: divide il potere della conoscenza su sei persone e le vincola così indissolubilmente tra loro. Tutti, anche chi è stato cattivo, e poi li consacra protettori di Parigi. In un fugace istante Fu ha indossato una maschera da Stan Lee, ma non ve l’ho detto…

E poi… boh, direi che c’è poco altro da aggiungere, a breve l’epilogo, che sarà molto corto, probabilmente troppo confuso, ma su cui ho versato reali lacrime che non ci vedevo più bene a scrivere, con gli occhi umidicci. Chiedo dunque venia in anticipo se non vi soddisferà appieno.

Un bacio e, per l’ultima volta, alla prossima!

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 - Epilogo ***


Capitolo 36 - Epilogo

-Io Alya, accolgo te, Nino, come mio sposo, con la grazia del Signore e della Natura. Prometto di essere fedele alla tua anima e al tuo cuore, nei momenti felici e in quelli bui, nel pericolo e nella pace, nella salute e nella malattia e di amarti ed esserti vicina in ogni giorno della mia vita. Prometto di amare i figli che avremo al pari tuo e di condividere con te l’avventura miracolosa che sarà la nostra vita.-

-Io Nino, accolgo te, Alya, come mia splendida sposa, con la grazia di Dio e della Natura. Prometto di essere fedele alla tua anima e al tuo cuore, nei momenti allegri e in quelli tristi, nell’attimo di paura e nella pace, nella salute e nella malattia e di amarti ed essere al tuo fianco per ogni giorno che vivrò. Prometto di amare i figli che mi darai come amo te e di vivere assieme per sempre la nostra grande avventura miracolosa.-

-Il Signore Dio della vita e della Natura confermi il consenso che avete manifestato e via accolga nella sua magnificenza, benedicendo la vostra unione terrena e spirituale. Non osi l’uomo separare ciò che il Supremo unisce. Amen-

Qualcuno, dalle panche più arretrate della chiesa, domandò al vicino se il rito appena udito fosse quello canonico o meno, qualcuno alzò le spalle, qualcuno rilesse la formula sui libretti in pergamena serigrafata, per accertarsi di aver udito bene alcuni richiami inusuali. -È una formula che non avevo mai sentito-, dichiarò una vecchia signora; -Strano questo matrimonio-, osservò un’altra, notando i richiami a simbologie inconsuete e straniere sia nelle decorazioni, sia nelle illustrazioni del testo.

Nessuno notò il luccichio di almeno sette paia d’occhi, nell’udire alcuni riferimenti e veramente in pochi apprezzarono le frasi relative all’avventura della vita degli sposi.

Quando Alya e Nino si baciarono, mentre le campane suonavano a festa e il coro dei bambini del catechismo, dal retro dell’altare, si innalzava lieto al cielo, tutti dimenticarono lo strano rito e batterono le mani, sporgendosi e scalzandosi l’un l’altro per sbirciare la nuova coppia appena consacrata. Tutti videro con commozione le lacrime scivolare sul volto di Nino, l’abbraccio caldo e amorevole di Alya, i suoi occhi lucidi e solo qualcuno, i più informati e intimi, notarono che lui posò le mani sul ventre della sposa, mormorando sui suoi occhi chiusi parole sconosciute.

Solo Sabine, Tom, Gabriel, Nathalie e Fu lanciarono un’occhiata a Marinette e Adrien, che finalmente si erano avvicinati dopo la messa passata lontani, ciascuno dietro al rispettivo membro della coppia, e si baciavano dolcemente, un po’ in disparte, tenendo le mani intrecciate tra loro. E poi la messa terminò, le campane suonarono ancora, il coro riprese, il portale si aprì per far uscire gli invitati che, come piccole formiche al banchetto, presero ciascuno il proprio cono contenente riso e lavanda; corsero tutti fuori e si disposero a semicerchio, attendendo trepidanti l’uscita degli sposi. Quando Alya varcò il portale, un raggio del sole avuto in dono da Santa Chiara colpì il suo abito che si accese di tenui e iridescenti colori caldi e dorati, illuminando il suo viso incorniciato da una cascata ordinata di riccioli. E subito dopo gli sposi furono bagnati dalla pioggia beneaugurante lanciata dai loro cari, dagli amici, da conoscenti e anche dai curiosi, richiamati all’evento per le indiscrezioni trapelate che vedevano Gabriel Agreste tra gli invitati e suo figlio come testimone dello sposo.

Ma non importò a nessuno se la loro privacy fu toccata da queste inutili sciocchezze, perché era troppo bello vedere i loro visi radiosi, eppure vagamente spaventati dal riso che li colpiva e divertiti allo stesso tempo. Furono sparati i coriandoli e la felicità del momento contagiò tutti, trasformando in sorrisi anche i musi più lunghi o restii.

-Ti amo-, urlò nel frastuono Nino, all’orecchio di Alya, -Anzi, vi amo!!!-, corresse, toccandole ancora la pancia, che si notava appena, sapientemente celata dall’abito che le stava alla perfezione.

-Anche io, ti amo tantissimo, non hai idea!!!-, esclamò Alya, agganciandosi al collo del suo sposo e baciandolo ancora e ancora, finché altro riso, alti scoppi di tubi di coriandoli e i fischi divertiti di un gruppo di amici non la distolsero.

Rimasti in disparte, Marinette e Adrien attesero il loro turno per baciare e congratularsi con gli sposi. Fino ad allora era stato tutto perfetto: la tensione palpabile sul viso teso di Nino, prima della messa, l’ingresso sicuro e trionfale di Alya, che pareva la dea Era scesa dall’Olimpo, accompagnata dal padre, uomo possente e allo stesso tempo dolcissimo, che si era sciolto in lacrime appena varcata la porta della chiesa, e infine il lieve crollo di Alya, tremendamente agitata e trepidante, quando il suo Nino aveva posato gli occhi su di lei.

-Congratulazioni!-, esclamò Adrien, afferrando un braccio di Nino per richiamare la sua attenzione. -Adrien, grande!!!-, rispose lo sposo, chiamando accanto a sé Alya, che senza dire nulla corse a gettarsi al collo della sua testimone.

-Auguri, auguri! Sei bellissima!-, le disse tra le lacrime di commozione Marinette, sentendo il viso tirare per quel sorriso enorme che non sapeva abbandonarla, per la gioia vera che scaturiva dal suo cuore per la felicità conquistata dall’amica; -Alya, ti voglio bene!-,esclamò e scoppiò a piangere, sostenuta da Adrien, che le passò un fazzoletto di carta e subito dopo ne allungò uno anche alla sposa.

-Ferme che vi rovinate il trucco!-, strillò Rose, accorrendo nel suo abito a palloncino su tacchi altissimi e sottilissimi, come fosse stata una fata giunta volando in soccorso alle sue amiche. -Ecco, così: piano con le lacrime!-. Quel giorno Rose aveva truccato personalmente Alya e dopo era corsa a fare lo stesso con Marinette: tutte le amiche avevano contribuito in qualche modo alla riuscita dell’evento.

Juleka, distribuendo agli invitati coccarde bianche da attaccare agli specchietti delle auto, iniziava a radunare le fila per far migrare quella mandria festosa verso la villa scelta per il ricevimento, a qualche chilometro da lì. Era sicura, parlava a gran voce, non era più la ragazzina timida e goffa del tempo della scuola.

-C’è l’auto! Wow che figa!-, notò Nino, vedendo giungere tra la folla la più lussuosa delle auto di Gabriel, guidata dal suo fido autista.

-Andiamo!-, su di giri per la sua grande festa, Alya prese il marito sotto braccio e si infilò nella strabiliante Bentley, lasciando che tutti, anche lo stilista più famoso di Parigi, li seguissero ciascuno alla guida del proprio mezzo.

Alla villa era stato allestito tutto con decorazioni floreali di spighe, papaveri e gigli arancioni, erano stati disposti covoni di grano tenuti fermi da lacci dorati che fungevano da tavolini o sedute più country per il ricevimento in tono bucolico, come voluto dagli sposi. Fu servito l’aperitivo da camerieri che fluttuavano tra gli invitati porgendo e prendendo calici di champagne o long drinks e finger food di altissima qualità, preparato dallo staff della madre di Alya, che per una volta aveva fatto solo da supervisore e si godeva la grande festa della sua adorata figlia. La donna attendeva trepidante che l’auto nuziale giungesse alla villa, dopo che gli sposi si erano fermati a fare qualche foto in centro, a Parigi.

-Mammà, ecco che arriva la tua piccina!-, schiamazzò giulivo Vincent, il fotografo più impiccione dell’alta moda parigina, per l’occasione convertitosi in fotografo da matrimonio e, anch’esso, gentilmente offerto dalla Maison Agreste. Precedeva gli sposi, per poter catturare il loro ingresso trionfale in mezzo ai loro invitati; dette il via per il lancio di altri coriandoli e immortalò l’attimo di gioia, quando gli occhi della figlia videro quelli della madre e delle sue amiche.

-Perfett! Nu babà!-, commentò Vincent tra sé, riguardando gli scatti, e dovette sforzarsi di non assillare la coppia per fotografarli continuamente, come avrebbe voluto.

La cena filò liscia con qualche breve interruzione per i discorsi che qualche invitato più anziano volle fare agli sposi; qualcuno, con ben poco gusto e tanta voglia di sparger zizzania, aveva lasciato sulla sedia della sposa, celato da un lembo della tovaglia, un preservativo, segno di disapprovazione per lo stato interessante di Alya.

La donna lo prese, se lo rigirò tra le mani, sedendosi e chiamò vicino a sé Adrien: -Forse questo può servire a te…-, gli disse, facendogli l’occhiolino e glielo infilò nel taschino della giacca, godendo di aver finalmente messo in profondo imbarazzo Mr Perfezione per la prima volta dai tempi della scuola. -Occhio, che sei rosso come un pomodoro…-, ammiccò la sposa.

Accanto a loro, al tavolo rotondo denominato “Ladyblog”, Marinette e Adrien avevano i vecchi compagni di classe Rose, Juleka,  gli inseparabili Mylene e Ivan, Kim e Alix, diventata madre solo poche settimane prima, con grande sorpresa di tutti. Accanto a lei, silenzioso nella culla viola e verde, c’era il piccolo Le Chien, un fagotto minuscolo e, all’apparenza, angelico. Alya fece più volte visita al loro tavolo, frullando come degna sposa tra gli invitati e trascinandosi dietro Nino, sempre più disinvolto rispetto agli inizi della festa, nella sua veste di Primo Uomo sul palco. La coppia accettò con riverente timore di prendere in braccio il piccolino, un po’ per fare pratica, un po’ perché “era usanza”.

-Sei stanca?-, domandò Marinette alla sua migliore amica, una volta che la accompagnò alla toilette e si occupò personalmente di sorreggere l’ampia gonna della sposa, mentre lei si chinava per fare pipì.

-Mostruosamente, ma sono felicissima-, esclamò Alya, ricomponendosi e lavandosi poi le mani. Aveva cambiato le scarpe e durante la cena, anche se spesso si era alzata per convenevoli, si era sufficientemente riposata ed era pronta ad affrontare l’ultima parte della serata, quella fatta di balli, taglio della torta e brindisi finale con gli sposi.

Furono raggiunte da Rose, armata della sua pochette dei trucchi, per un rapido ritocco a entrambe e poi di nuovo rimasero sole: -Tutto questo è possibile anche grazie a te, Maribug-, confessò all’amica, -Non avrei affrontato questa giornata e tutta questa felicità con lo stesso spirito, se ti avessi saputa ancora triste e sofferente come ti ho dovuta vedere per troppo tempo. Invece anche tu sei felicissima e raggiante e lo sono tutti: Nino, Adrien, perfino i “cattivi”... E Nathalie: com’è!?  È davvero una donna eccezionale, pensa che prima mi ha domandato se avessi bisogno di qualunque scusa per assentarmi un po’ e riposarmi. Lei ne sa una più del diavolo… e se il diavolo è tuo suocero… allora lei ne sa davvero più di tutte!-

-Gabriel non è mio suocero…-, storse il naso Marinette, constatando un fatto reale.

-Oh, lo so, ma è come se lo fosse, dai!-, la punzecchiò la sposa e le sorrise schietta: -Tu e Adrien siete a un passo da tutto questo, lo sappiamo tutti. E quando avverrà, ti prego, goditelo come me lo sto godendo io, perché quando dicono che è il giorno più bello della vita… beh, è vero!-, la abbracciò ancora e le fece cenno di essere pronta per uscire e ributtarsi nella mischia dei festeggiamenti.

Ballarono tutti, anche Sunan assieme a Sabine, che gli voleva bene e provava qualcosa di particolare nel guardare gli occhi neri del bambino, gli unici che le ricordassero davvero l’oriente, la sua terra lontana, dove aveva trascorso un’infanzia tranquilla, ma che ormai si era lasciata alle spalle. Ballò Gabriel con Nathalie, al sicuro dagli occhi indiscreti delle telecamere dei fotografi d’assalto e si mostrò un abile ballerino e un premuroso compagno; ballarono Tom con la moglie e poi con la quasi collega madre di Alya. Ballò persino il fotografo assieme a Nathalie e parlarono di lavoro, ovviamente, mentre le note allegre di un valzer remixato da Nino, che aveva voluto per qualche minuto prendere le briglie della consolle, allietavano l’aria serale e ancora tiepida.

Ballarono Marinette e Adrien nel loro primo vero ballo e in quel momento, per loro, fu messo un lento, così come era avvenuto una vita prima durante la festa all’hotel del padre di Chloé. Ballarono e rimasero stretti in un assaggio di qualcosa che, prima o poi, sarebbe capitato anche a loro.

E poi brindarono tutti insieme agli sposi dopo il taglio della enorme torta offerta dalla boulanjerie di Tom, e brindarono di nuovo quando Alya e Nino annunciarono che il loro erede sarebbe stato un maschio e che si sarebbe chiamato Roland. E piano piano le ginocchia si stancarono e i piedi furono gonfi e in molti si sedettero sulle poltrone in vimini e sui muretti della villa, coprendosi con scialli colorati e spolverini svolazzanti, tenendosi abbracciati al calare delle temperature, mentre la musica, più lieve, annunciava che la festa stava volgendo al termine.

-Manca ancora la cosa più importante!-, strillò giuliva Alya, impossessandosi del microfono della cantante, che momentaneamente aveva interrotto la sua esibizione per bere un po’ d’acqua. -Adesso la sposa... che poi sarei io-, rise la donna nel microfono riempiendo i cuori delle persone più care, -Con grande onore e trepidazione deve esibirsi nel momento che tutti aspettate: il lancio del bouquet!-, si fece portare da una delle sorelline il mazzo di fiori che l’aveva accompagnata per tutta la cerimonia e si sistemò nel mezzo del cortile in pietra dove avevano ballato fino a poco prima.

Molte donne nubili, di ogni età, sentirono il cuore accelerare per un evento improcrastinabile che le avrebbe viste protagoniste, loro malgrado. Qualcuna si fece pregare, altre corsero a disporsi al centro del cortile, tenendo le gambe un po’ larghe per essere pronte ad acchiappare al volo il trofeo. Rose dovette trascinare Juleka, nel tentativo di raddoppiare le loro possibilità di accaparrarsi il titolo di prossima coppia che si sarebbe unita in matrimonio, Ella e Etta vollero partecipare alla gara, Nora incrociò le braccia e si mise più lontana possibile dalla sorella, bofonchiando imbarazzata parole sconosciute di disapprovazione.

-Vai!-, Gabriel dovette spronare Nathalie, anch’ella nubile, a unirsi al gruppo di giovani donne schiamazzanti e lei, seppur arrossendo vistosamente e controvoglia, andò ad affiancare una imbarazzatissima Marinette, rimanendo entrambe un po’ in disparte rispetto alle altre concorrenti.

Adrien si avvicinò al padre, osservando la scena. - È giusto che anche lei torni alla normalità che le è stata negata finora-, osservò Gabriel parlando di Nathalie, dando quindi la sua attenzione al figlio che piegò la testa verso di lui per parlargli privatamente e lo guardò serio: -Credo… credo che glielo chiederò stasera-, annunciò timidamente, indicando con un cenno del mento Marinette, un lieve rossore gli colorò le guance sbarbate. L’uomo annuì soddisfatto e si toccò il petto, all’altezza della tasca interna della giacca: -Ottimo. Anche io- e sorrise complice al figlio.

-Mi raccomando, donne: non osate fare cadere a terra il mio bouquet, sono stata chiara?-, ordinò con voce stentorea la sposa, voltandosi un istante per individuare la sua migliore amica in mezzo alla frotta ciangottante di amiche e parenti. Si voltò di spalle al gruppo, prese un bel respiro, caricò il lancio portando la destra con il mazzo di fiori oltre il suo fianco, alzò il braccio e lasciò andare il bouquet che volò, volò alto in una parabola perfetta, con un bersaglio preciso. Ma i bouquet, si sa, hanno vita propria e volano laddove devono, al di là della volontà della loro proprietaria, al di là della sua mira, perché puntano al cuore, o ai cuori, se sono pronti.

Due coppie di occhi azzurri di diverse sfumature videro arrivare sopra di loro il mazzo di rose e spighe, due bocche stupefatte e incredule si spalancarono, due paia di braccia si alzarono istintivamente, ma, in un fugace scambio di sguardi, in un accordo istantaneo, in un solo battito di cuore di due donne innamorate ciascune del suo uomo perfetto, una mano, solo una afferrò i fiori della sposa e li portò al petto, in un turbine di emozioni, con le lacrime che bucavano gli occhi e il cuore che batteva all’impazzata. Lei si voltò e cercò con sguardo lucido l’uomo della sua vita. Lui le sorrise, si alzò e la raggiunse.

-Ti amo-, le disse.

E mentre tutti vociavano e applaudivano e mani amiche battevano a entrambi con gentilezza le spalle e guance sorridenti baciavano le sue in un baccanale festoso di gioia e divertimento, finalmente, lei seppe che non era solo un sogno e che sarebbe stata per sempre felice.

FINE

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ANGOLO AUTRICE

Ho iniziato a scrivere questa storia un anno fa, più o meno. Ci ho messo un anno per trasformare una “breve long” in una “lunghissima long”. Non doveva andare così, inizialmente, ma alcune contingenze della mia vita mi hanno portato a rallentare la stesura della storia e soprattutto la sua pubblicazione. Considerate che il capitolo “Paused” era già pronto a febbraio scorso, circa e che tutto quello che è successo dal momento in cui Adrien e Marinette svelano le rispettive identità a quando si incontrano alla fine di “Lettere” è stato né più né meno un parto podalico senza epidurale e con manovra di Kristeller.

Mi dispiace se questo breve epilogo vi ha lasciati un po’ così: era una scena che avevo in mente e la volevo descrivere, ma nulla di più. La vera fine è quella che vi immaginerete per loro voi lettori: io ho accompagnato a manino fin qua questi personaggi, ma adesso sono loro -e voi-, che decideranno come vivere le vite che ho fatto loro patire finora. Scusatemi dunque se questa fine vi avrà delusi, non me la sono sentita di scrivere il matrimonio di Marinette e Adrien, forse perché non volevo dare loro una vera fine. Come ho scritto: le vite sono le loro, ognuna come chi li ha seguiti se le potrà e vorrà immaginare.

Rinnovo per l'ultima volta i ringraziamenti a chi mi ha spronata a scrivere questa storia con i suoi commenti e le supposizioni e mi ha seguita fino alla fine. Grazie a chi ha commentato, specie il capitolo “Lettere”, con parole così belle. Alla mia principale beta: se leggi la fine, fammi un fischio, ché sarei curiosa di sapere che ne pensi! (sì Chiara, dico a te! Prima o poi spero che leggerai queste mie parole ;P).

Passiamo ai MEA CULPA:

Sulla metà o più dei capitoli di questa storia c’è scritto “Sei anni prima”, quindi i protagonisti, alla fine, dovrebbero avere circa 22 anni. Bene, loro non hanno 22 anni, ne hanno almeno 8-10 di più. E’ evidente da come parlano, scrivono, ragionano, sentono; è evidente dalle loro priorità e da come “si calmano”. Ma ormai avevo scritto “Sei anni prima” e non potevo editare la storia così pesantemente. D’altronde avrebbe avuto poco senso anche fare una attesa di 14-16 anni… nemmeno Ulisse per davvero!!!

Quindi, in definitiva, credo di aver reso dei personaggi più maturi di quello che in realtà le loro età anagrafiche indicano. Se qualcuno ha notato ciò, sappia che chiedo venia.

Adrien Agreste: ci ho provato a distruggerlo un po’, nel capitolo Lettere, ma è uscito troppo perfetto comunque. Ebbene, io non credo che possa esistere un uomo così. Prendetelo quindi come un pio desiderio di evoluzione della specie. Ma questo Adrien è troppo bello, troppo bravo, troppo serio, troppo tutto. Ora, potrei arrampicarmi sugli specchi e dire che la storia è tutta in POV di Marinette ed è lei che lo vede così, quindi è una visione filtrata con lenti rosa del personaggio, ma in effetti mi starei arrampicando sugli specchi. Fate vobis su come considerarlo. Ad ogni modo questa è una ff, quindi come tale va interpretata. Un divertissement su personaggi inventati. Stop. E poi io sono di indole femminista, non ci credo nemmeno un po’ che esista uno così, mi perdonino i maschietti che hanno letto la storia. E se esiste, per favore, presentatemelo per farmi cambiare idea! :-P

Gabriel Agreste: assieme al figlio ha una bella parabola e anche lui concorre, alla fine, per il titolo di “uomo perfetto”. Le sue ombre sono molte di più, ci potrei scrivere un’altra long sul suo passato e sulla sua introspezione, ma tagliamo corto: è un uomo che ha dimostrato di essere perfettibile, che giunge alla perfezione, ma che mi piace molto di più quando è un po’ cattivello… In definitiva: lo adoro. Accattatevill!

Nathalie: è la mia preferita, lo devo ammettere… Quando ho iniziato a scrivere di lei, ancora non erano state messe in onda né la trilogia Queen Bee, Queen Wasp e la terza che non ricordo, né Il giorno degli eroi e Mayura. Posso dire che ci avevo visto giusto e che dietro quegli occhi tristi, il viso smorto e l’abnegazione al suo lavoro, si nascondeva una donna con le palle e il cuore forse più grande di tutti. Non so che farà Nathalie nella serie: la “mia” Nathalie imparerà giorno per giorno cosa significhi vivere una vita normale e si meraviglierà come una bambina di fronte a cose normali, fino a farle sue e tornare a sorridere. La mia Nathalie è un po’ controversa, è un personaggio sfaccettato che alla fine accetta la felicità nelle vesti di un gatto, un bambino che non ha partorito, ma che ama come fosse suo e piatti rotti. La mia Nathalie, per me, è la vera eroina di questa storia, sappiatelo.

E infine Marinette: sono un po’ io, ma anche no. Lei è meglio di me, perché ha il coraggio di toccare il fondo e risalire puntando dritta allo scopo della sua felicità. Inciampa, ha paura, si fa mille dubbi, ma alla fine lotta e se la prende. Non ho osato andare oltre nel finale anche per questo, perché non so davvero cosa voglia dire conquistare e mantenere dentro di sé la felicità e quindi avrei rischiato di scrivere banalità o cose in cui non credevo davvero. Marinette viene illusa, ma cerca di restare a galla in ogni modo; Marinette si dispera, ma cerca di restare un’amica per i suoi amici, senza chiudersi in un guscio; Marinette lotta fino alla fine per il bene e viene ripagata. Marinette è figa, diciamocelo, anche se non fa nulla per esserlo, è figa e basta. Anche lei è una candidata al titolo Mary Sue perfetta, ma anche il personaggio originale è un passo avanti in quella direzione. Insomma, sta Marinette mi piace, la comprendo… e fine! :-P

Una menzione speciale per Plagg, che vince su tutti, e gli altri MUTI.

Chi ha preso il bouquet?

Ai posteri l’ardua sentenza. In ogni caso ci sono due anelli, due proposte e due matrimoni in cantiere… che volete di più? Un lucano?

Bon, vi saluto per davvero stavolta e spero di avervi trasmesso qualcosa, dall’inizio di questa ff a ora. Un abbraccio a chi mi ha seguita, un caldo abbraccio a chi ha creduto in me e una pernacchia a chi pensava che non avrei mai scritto la parola fine! :-P

PS: non so se scriverò altro sul fandom: stay tuned in ogni caso, sia mai che tiri fuori qualcos'altro...

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