Dust

di Lexy Styles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Sono solo un vecchio ormai.

Sto qui, davanti alla finestra, mentre il respiratore mi prude sul naso.

Mesi che ho smesso di parlare.

Anni che non cammino più sulle gambe da solo.

Con i miei occhi ho visto i cambiamenti avvicendarsi su questo paesaggio, ma non interessa più a nessuno ormai.

Non ci si rende conto di come le cose importanti restino inosservate, sino a quando non si può più recuperarle.

Come per me.

Vorrei stringere a pugno le mie mani callose, ma non ne sono in grado, non ho le forze per farlo.

Vorrei accarezzare ancora il tuo viso, poter soffiare via la polvere che si è annidata nei pochi ricordi che mi rimangono di te, ma la vita mi ha rubato anche il fiato.

Ci sono giorni in cui il sole riesce ancora a colpirmi il viso col suo calore; ogni volta lascia dietro di se le tracce del suo passaggio, con mille particelle di pulviscolo che danzano nell'aria prima di posarsi sul mio volto, nascondendosi sui suoi solchi.

Chissà se mi puoi vedere.

Chissà se saresti in grado di riconoscermi ancora.

Posso trascorrere le mie giornate spolverando gli avvenimenti delle nostre vite, prima che le parole che non sono in grado di pronunciare ne cancellino il significato.

Quello che non ti ho detto è rimasto con me, sbriciolandosi intorno al rimpianto.

Vorrei che mi portassi via, anche se, ancora, non è arrivato il mio tempo, ma se decidessi di farlo dubito che mi vedresti.

Magari non è ciò che vuoi, forse hai solo paura di cercarmi, come io di ricordarti, perché non potresti riconoscermi davvero.

Un altro giorno ancora, lotto dentro di me, per trascinarmi dietro un nuovo racconto.

Quello che parla di noi.

**

La prima volta che ho sentito parlare di te, avevo avuto uno strano presentimento.

Era stata mia madre a commentare qualcosa sull'averti visto con tua sorella, a dire che eri tornato dal tuo corso di studi.

In paese si mormorava ancora di Harry, il figlio di Des, che era stato mandato a studiare in città.

Le matrone ridevano, dicevano che sin da piccolo eri gracile e aggraziato e che solo studiare si poteva adattare al tuo aspetto.

Era questo il destino a cui ti avevano associato, nessuno sapeva di te, eppure le voci in paese sussurravano, inconsapevoli, di una tua diversità.

Eri differente da tutti noi.

Io avevo ascoltato il discorso distrattamente, ma dentro mi chiedevo come fossi e che cosa davvero potesse suscitare la mia curiosità su di te.

Dopo alcuni giorni, finalmente, ti incontrai.
Noi altri eravamo nei campi, era il tempo per il raccolto e tuo padre si era avvicinato a parlare con il mio.

C'eri anche tu.

Ricordo solo che eri molto magro, gambe infinite, un ammasso di ricci ingestibili sulla testa e uno sguardo verde che emergeva con forza, quasi a voler contrastare quel corpo rinsecchito, di un cucciolo cresciuto in fretta e furia.

Tu e i tuoi vi eravate resi disponibili per raccogliere l'uva che quell'anno abbondava.
Era un lavoro duro, ma che dovevano fare tutti, donne comprese.

Forse per questo nessuno si era premurato di salvaguardare la tua delicatezza, ognuno aveva il suo ruolo e tu, studioso o no, dovevi accettare quello che ti era stato assegnato.nei pochi minuti che eri rimasto a portata di vista, ti avevo osservato con curiosità.

"Sarebbe questo" continuavo a dirmi, cercando, nei tuoi modi immobili o sul tuo corpo flessuoso, i tipici segni della vita di città.

Ma non trovai niente.

Vedevo solo quegli occhi grandi, immensi, che mi ottenebravano la mente e il pensiero.

Quasi temevo che mi potessi scorgere, pensavo che in quello sguardo potesse esserci racchiusa qualche stregoneria.

Eppure non riuscivo a smettere di guardarti, fino a quando non andasti via.

Avevo finalmente constatato quanto fossi diverso tu da tutti noi: gracile, imberbe, quasi trasparente per via non solo della tua magrezza, ma anche di quell'evidente biancore che rendeva la tua pelle simile a seta.

Non sembravi come noi.

Non mi potevo avvicinare a te, non ero stato tirato in causa, per questo avevo lasciato che la tua figura, con quelle spalle strette, si allontanasse al seguito dei tuoi parenti.

Il mio disagio si sciolse, come libero dallo strano incantesimo che aveva richiamato la mia attenzione.

Eppure, già da allora, se pensavo a te, mi subentravano fitte allo stomaco.

Ero convinto che mi avessi attaccato quel tuo male sconosciuto.

Ma mi sbagliavo.

Avevo soltanto riconosciuto qualcuno a me complementare, non c'era nessuna malattia, si sbagliavano anche in paese.

Eri cresciuto in un campo di sterpaglie e avevi dovuto faticare per poter fiorire.

Ma la vita esigeva ben altro da te.

E io avrei dovuto farne parte.

**

Questa mattina le gocce di pioggia ticchettano sul vetro, disegnano forme singolari: curve, anse, forse anche un viso.

Oggi l'infermiera non si deve essere ancora accorta che piove, o magari è troppo impegnata a far altro per venire qui e tirare la tenda.

Ieri ho visto mia figlia.

Si è seduta, mi ha parlato, quasi come se non sapesse che non riesco a risponderle.
Lei ha preso da me, non ha paura del silenzio.

Può rimanere delle ore solamente a guardarmi, senza dire nulla, oppure si mette a parlare, facendo delle domande a cui, poi, si risponde da sola.

Io continuavo a fissare il vetro, proprio come oggi, a volte vorrei trovare le parole per dirle ogni cosa.

Di te, di noi intendo.

Ma alla fine sento che non sarebbe giusto farlo, potrebbe essere un trauma scoprire che non ho mai amato sua madre quanto ho amato te.

Sarebbe patetico, quasi quanto tutte le occasioni che ho avuto per andare incontro ai miei desideri.

Ci ha pensato poi la natura a fare il resto, impedendomi di esprimermi e rischiare magari di scaricarmi la coscienza.

Credo che, in fondo, sia questa la mia pena: essere obbligato a tenermi dentro il dolore per aver rovinato ogni cosa.

Devo rovistare, ogni sacrosanto minuto, in fondo al rimpianto di tutto quello che poteva essere.

Sono condannato.

Forse sei stato tu il giudice, senza che io me ne fossi accorto.
Ma me lo merito.

Alla fine tu hai avuto il fegato, con tutte le debolezze che ti sei tirato dietro, per andare avanti nei tuoi desideri, io mi sono semplicemente accontentato di fare ciò che ci si aspettava da me.
Nulla di più.

Un'altra goccia, sbattendo sul vetro, ha disegnato una curva che mi sembra familiare.

Mi ricorda la particolare forma della tua mascella, quando magari ti incazzavi con me perché non ti accontentavo abbastanza e dovevo sempre scappare dopo i nostri incontri.

Mi ricordo che una volta mi dicesti "Te ne pentirai.Te ne pentirai Louis. E non piango per il tuo ennesimo rifiuto, ma solo perché ti renderai conto di aver sbagliato quando ormai non ci sarò più".

E' stato poco prima che tu partissi, con un pezzo di carta in mano e una valigia nell'altra.

Dovevi andare lontano, così lontano che non osavo nemmeno immaginarlo.

Guardavi in terra, non lo vedevo, ma sapevo delle tue lacrime, non potevo farci nulla.

"Il mio posto è qui, con mia moglie e i miei figli" ti risposi, prima di voltarmi e andarmene via, senza neanche dirti addio.

La tua mascella era contratta, proprio come la curva che si è formata davanti ai miei occhi spenti.

Prego solo che non venga cancellata troppo in fretta da una folata di vento, perché ho bisogno di rimanere ancora un po' aggrappato al ricordo di te, per non cadere giù, nel buio delle cose dimenticate.

Avevi ragione.

Ci ho messo tanto tempo ma alla fine l'ho capito, che avrei dovuto seguirti.

A volte desidero di potermi muovere ancora, solo per aprire questa finestra, non mi importerebbe se fuori ci fosse il sole o la pioggia.

Desidero che la voce non mi avesse abbandonato, solo per poter urlare "Mi manchi Harry!".

E' vero, te lo giuro sul serio.

Solo ora avrei il coraggio di farlo senza pentirmene.

Che cosa può rimanere di tutta un'esistenza trascorsa nella fatica senza mai aver vissuto sul serio?

Io me lo chiedo da tempo.

Il mio corpo non mi tiene più impegnato e il pensiero è l'unica cosa che rimane.

Ha smesso di piovere.

Poi, stamani è venuto il dottore a visitarmi "Stazionario".

Solo questo ho colto tra i suoi paroloni insensati, avrei voluto fermarlo, solo per domandargli quanto ancora durerà quest'agonia che sembra non dover giungere mai al capolinea.

Gli avrei voluto chiedere se poteva aiutarmi.

Gli avrei voluto chiedere, con un groppo in gola, se fosse normale, dopo tanti anni, vedere il tuo viso pararmisi dinanzi, la notte.

I tuoi occhi verdi che mi sorridono, gentili.

La mia mano che vorrebbe stringersi alla tua.

Introno a me sono appese foto che contengono ricordi di tutta una vita, ma la più importante manca tra le mie pareti, è appesa sull'unico posto che mi mantiene vivo nonostante tutto.

Nel mio cuore ci sei solo tu.

Ogni singolo momento che pesco da quei ricordi, assume un impalpabile gusto di nostalgia.

Una volta partito per andare incontro alla tua vita, ricevevo da parte tua delle cartoline, o qualche lettera.

Interiorizzavo ogni singolo tratto della tua calligrafia così morbida.

Mi scrivevi senza mai comprometterti apertamente, penso per paura che qualcuno potesse arrivarci prima di me, non riuscivi mai a risponderti, ma tu sapevi che, nelle mi e brevi missive sconclusionate, c'erano le parole nostalgiche e ricche di sospensioni alle tue frasi non dette, ma comunque sentite.

Non trascorreva un mese senza che non ricevessi tue notizie.
Non tornavi mai in paese.

Proprio allora che finalmente eri diventato per tutti loro qualcuno, il concittadino che aveva fatto fortuna con l'arte, loro che ti avevano emarginato e per il quale adesso sentivano la mancanza, adesso che eri motivo di lustro.

Anche se non osavo chieder nulla, le voci su di te arrivavano, dai tuoi genitori, o dai cugini in visita la paese, l'unica che evitava di parlare era Gemma, tua sorella maggiore.

Non avevo mai capito il perché, allora.

Fuori si sta avvicendando il buio alla luce, tra poco l'infermiere mi farà mangiare, poi spegnerà la luce.

E finalmente sarò tuo.

Chissà se stanotte riuscirò a dirtele quelle parole così maledette che mai ho saputo pronunciare in tua presenza, vedrai che non ti deluderò questa volta.

Aspetto sempre la notte, per rimanere da solo con te.
Solo con te.

**

Non avevo una destinazione precisa.

Camminavo, senza un motivo.

Quella mattina ero stato più distratto del solito, tanto che, alla fine, mio padre mi aveva rimandato a casa brontolando su qualche malanno che poteva compromettere la mia partecipazione alla vendemmia.

Andavo avanti, sporco e madido di sudore, mi chiedevo perché.

Ti avevo a malapena scorto, eppure mi eri rimasto impresso.
Troppo.

Non mi era mai successo prima, che fosse il tuo maleficio ad aver iniziato ad agire Harry?

Mancava ancora qualche ora al tramonto, superai l'ingresso di casa addentrandomi per la via maestra, verso il centro abitato, tutto intorno a me sembrava silenzioso, o forse ero io ad aver escluso il resto.

Non facevo che pensare a quel corpo sottile, agli occhi grandi, che avevano l'immenso potere di rimanere marchiati, marchiati a fuoco nella mia povera testa vuota.

Ero posseduto?

Ero ossessionato dal turbamento che mi aveva stretto le viscere in una morsa, non mi era mai capitato prima, ti avrei rivisto l'indomani, non avrei potuto evitarlo nemmeno se mi fosse venuto il febbrone.

La vendemmia era sacra per la nostra comunità.
Tutti dovevano presenziare, a partire proprio da noi Tomlinson che possedevamo una delle vigne più grandi.

Continuavo il mio percorso, silenzioso, chiuso nei miei ragionamenti, dovevo liberarmi dell'inquietudine, c'era poca gente in giro, gli uomini ancora a lavoro e le donne a casa, da alcune di esse proveniva il profumo di cena.Io superavo vicoli, cercavo la mia redenzione, le case degli Horan, quelle dei Payne, sentivo sulla strada i canti delle donne anziane, alla mia destra il campanile, modesto, proiettava la sua ombra sul selciato.

Non potevo.

Rallentai senza fermarmi, ansimavo, credevo che proseguendo avrei placato l'ansia che sentivo dentro.

Girai alla traversa successiva, diretto verso la fine del paese.

"Poi tornerò indietro" mi convinsi.

Tu non sapevi nemmeno cosa sentissi dentro di me, mi facevi paura, per un motivo che ancora non ero in grado di comprendere, sapevo soltanto che ti riguardava.

Che la colpa era tua.

Mi fermai sgomento, poco più in là c'era la strada e le ultime case, ma il mio spavento non era causato dalla stanchezza.

Perché ero arrivato sino a casa tua Harry?

Avvertii dei rumori vicino al portone, schiamazzi che si avvicinavano, con un impeto tornai sui miei passi, nascondendomi dietro al primo viottolo che incontrai, le strade iniziavano ad adombrarsi con l'imbrunire, se qualcuno dei tuoi passò di li, non fece caso a me, né io a loro.

Ero sconvolto.

Il cuore mi percuoteva dentro, come se avessi visto un fantasma.

"Perché?" mi chiedevo.

Non capivo il motivo del mio giungere nella strada degli Styles, non ero cosciente di quel gesto, speravo forse di rivederti?

In preda agli spasmi, preoccupato per il non riuscire a dare un nome a quello che sentivo, posai le spalle al muro cercando di afferrarmi il petto con le mani.

"Che cosa mi hai fatto?" sospiravo nella mia testa.

*

Avevamo iniziato la raccolta dell'uva presto, poco dopo l'alba.

Come al solito ci avevano suddiviso in aree, ma quella mattina era diverso, ero in piedi da poco, avevamo mangiato un pasto frugale al capanno, vicino ai terreni.

Mio padre, che di parole non ne aveva mai tante da dire, se non per impartire gli ordini quotidiani, mi aveva fermato, dicendomi solo "Oggi dovrai lavorare con Harry. Seguilo!".

Non ero riuscito a replicare in nessun modo, ero rimasti interdetto, in preda a una nuova inquietudine.

Ti avevo trovato già pronto al filare che ci era stato assegnato, eri quasi ridicolo con quei vestiti da lavoro rattoppati e troppo grandi per te.

Avevo appositamente evitato di guardarti dritto negli occhi, per paura che mi attaccassi di nuovo qualche maleficio, o forse solo per imbarazzo, ti avevo salutato con un cenno del capo, senza aspettare una tua risposta e mi ero avviato.

Tu mi seguivi in silenzio, quasi non volessi disturbare.

Ero convinto che avremmo ritardato, perché pensavo che il tuo apporto nelle ore di lavoro sarebbe stato inesistente.

"Non ce la fa" mi ripetevo.

Quell'eventualità mi seccava alquanto.

Mi ero fermato troppo a pensare, già da allora avevo sbagliato totalmente il mio giudizio.

"Allora, per raccogliere devi..." avevo iniziato a dire prima di guardarti sul serio per la prima volta in quella mattina.

Tu ti eri fermato.

Avevi le cesoie e il tuo secondo grappolo in mano.

Non ero riuscito a dire altro, i miei occhi si erano fissati qualche secondo di troppo sulle tue labbra carnose finché non avevi iniziato a sorridere.

"Non ti preoccupare, so quello che devo fare" poi avevi ripreso il lavoro.

Mi ero limitato a seguirti in silenzio, per tutte quelle ore nessuno aveva parlato, mi ero rinchiuso nei miei pensieri, a contrastare l'evidente vergogna che provavo con la tua vicinanza.

Solo una volta mi ero soffermato su di te.

Avevamo riempito una nuova cassa d'uva, mi stavo apprestando a caricarmela sulla spalla per portarla al punto di raccolta.

Chiamala coincidenza, io voglio invece pensare che il destino mi stesse regalando il primo segno su di noi.

Non mi ero accorto che anche tu stavi cercando di afferrarla, le nostre mani si sfiorarono, quasi incrociandosi, ho posato i miei occhi sul tuo viso proprio mentre tu facevi lo altrettanto.

Sguardo su sguardo, le mie mani che tardavano a levarsi dalle tue, di nuovo i tuoi denti bianchissimi che evocavano un istinto atavico di attrazione.

Dovevo essere diventato rosso per tutto quel disagio, e in modo brusco avevo preso la cassetta, quasi fuggendo da te.

Non mi sono mai sincerato di quale fosse stata la tua reazione.

Ma lo so Harry, lo so, come è vero che il monte si stagliava alle tue spalle.So che eri li in piedi.

Fissavi la mia schiena, la mia andatura evidentemente turbata, eri li e avevi capito cosa stesse nascendo dentro di me.

Sorridevi ancora nella mia direzione.

**

Un'altra notte è passata.

Sento in lontananza tuoni, non so dirti che ore siano, ormai il mio sonno è incompleto, in questa casa vuota non c'è più nulla che riesca ad affaticarmi tanto da farmi dormire.

Sono stanco soprattutto di vivere.

Una folata di vento ha scosso le persiane, io sono in attesa, aspetto la fine.

Non puoi sapere quanto mi tormenti questa coscienza del risveglio, la comprensione, quando ho ancora gli occhi chiusi, che un altro giorno indesiderato, invece, è arrivato costringendomi con violenza a prendere atto che il mio tempo non vuole finire.

Dirlo, anche pensarlo, lo so, è quasi una bestemmia.
Ma non ce la faccio proprio a intravedere nulla di buono su altre ventiquattro ore che il mio corpo, sfibrato e inutile, trascorre inattivo.

Per me non è dignitoso sopravvivere così.

Tutto questo dolore è generato dalla mia stessa mente testarda che rimane ancora vigile.

I miei pensieri non vogliono spegnersi.

L'unica consolazione sei tu.

Anche stanotte sei stato con me, eri giovane come la prima volta che ti ho incontrato, poi eri adulto, come quando lavoravi a Parigi.

Le tue cartoline provenivano dalla Francia.

Nessuno, nemmeno i tuoi familiari, sapeva che mi scrivevi.

Tenevo ogni tuo scritto in una scatola di latta, inaccessibile anche per mia moglie, riposta tra gli attrezzi da lavoro nel capanno.

Ogni tanto, nei momenti liberi o in quelle notti che disertavo il bar per fumare solo e tranquillo, le tiravo fuori, per immergermi, con una candela accesa, nelle tue parole.

A volte ti capitava di raccontare della vita che conducevi all'estero, delle piccole cose che ti succedevano.

Non so descrivere la malinconia che si impossessava di me quando ero così assorto a immaginare il luogo dove stavi, a vivere la tua vita attraverso la penna, mi risvegliavo dal torpore, rendendomi conto di tutto quello che ci separava.

Se chiudevo gli occhi, cercavo di ritagliare le immagini di quanto descrivevi, chissà cosa vedevi, Harry.

Cosa c'era nella stanza in cui alloggiavi, dalla quale mi scrivevi?

Parlavi di pioggia fredda, di neve, di un clima freddo e diverso da quello a cui eri abituato qua, mi dicevi che c'erano palazzi ben più alti della nostra montagna, mi pareva quasi di sentire la tua voce ironica uscir fuori da quelle righe.

Mi mettevo a odorare quella carta, alla ricerca di un segnale, un profumo che mi aiutasse ad afferrare ciò che dalle tue parole non era possibile sentire, o capire.

Quel pezzo della tua vita che era lontano da me.

Desideravo che tu tornassi, che potessi perdere ogni cosa, ma che tornassi in questo piccolo paese che ti faceva soffrire di claustrofobia, ti volevo qua per me soltanto, nonostante non avessi nulla da offrirti.

Mi fermavo a pensare, con le tue parole tra le dita, quasi a immaginare di perdermi nel tuo corpo caldo e morbido, di essere padre dei tuoi figli, di vivere tutta una vita con te vicino.

Ancora non capivo che il tuo stesso amore aveva chiesto a me di fare altrettanto, scappando via con te.

La verità è che non volevo ancora dirti addio, e sei stato, per tutto questo tempo, l'unico per me.

Ogni volta che ero solo con le tue lettere sognavo soltanto di riappropriarmi di te, riempiendo quel vuoto che la tua mancanza mi aveva dato.

Aspetto ancora in questa mattina piovosa.

Aspetto solo che finisca.

Spero che non ci sia domani, soltanto così non sentirò più quel vuoto rimbombare nella mia mente.

**

Ricordo, come fosse ieri, le sensazioni e le voci festanti a cui quella sera non prestavo alcuna attenzione, vagavo per le vie del paese, come l'ombra di me stesso, in piazza si suonava e si cantava, festeggiando la fine della vendemmia che era stata buona per quell'annata.

Era un evento.

Ma quella volta non lo era per me.

I giovani ballavano, luci di candele illuminavano il selciato dai davanzali delle case e il grande fuoco ardeva nella piazza della chiesa.

In sequenza, nella mia mente si aprivano le stesse immagini che non mi davano pace.

"Il monte si ergeva silente su di noi, eravamo nella zona della chiesa, vicina a tutte le campagne e ai nostri territori.
Le grandi tinozze erano già piene del raccolto, le donne e alcuni uomini pigiavano già in cerchio per trasferire il mosto nelle botti.

L'aria calda di Ottobre che ci faceva ancora sudare costringeva tutti noi uomini a levarci di dosso le camicie da lavoro, un lieve venticello diffondeva l'ebbro profumo delle fatiche di quelle settimane.

A un tratto riuscii a scorgerti tra gli altri, davi il tuo contributo, pestando anche tu con tua sorella.

La tua pelle bianca come il latte, contrastava in tutto quell'ubriaco rossore.

Tu che ti voltavi verso di me e poi continuavi la tua danza del vino.

Le tue rosse labbra carnose che si contraevano per gli sforzi, quel tuo corpo magro e glabro che si muoveva con delicatezza, tutto quel bianco su di te che illuminava risaltando i tuoi capezzoli scuri e grandi come fragole mature e i tuoi grandi occhi verdi, che sembravano volerla ingioare tutta quell'aria.

Era...era troppo per me".

Da quel momento, nulla era rimasto come prima.

Il senso di possessione, in quella notte di festa, aveva raggiunto l'apice della frustrazione, io non volevo più stare così, io dovevo ritrovarti.

Se qualcuno mi parlò, quella notte, non me ne ricorderei mai.

Ancora ubriaco, mi misi alla ricerca di te, tra la gente, in mezzo ai balli, in mezzo agli anziani che riposavano battendo all'unisono le mani.

Se qualcuno mi avesse detto che ti avrei trovato li, avrei anche scavato tra le braci, in mezzo al fuoco.

Il tuo corpo si era impossessato già da allora di ogni mia azione.avevo riattraversato la piazza, avevo intralciato le danze.

"Era la danza del tuo corpo seminudo ad aver svegliato un richiamo antico, non potevo farne a meno, quel pomeriggio, di osservarti zittendo ogni stupore razionale su quanto stava accadendo.

Le mie mani diventarono pungi, ma in realtà, se ne avessero avuto l'iniziativa, avrebbero voluto avviluppare il tuo corpo magro per stringerlo al mi.

Per un secondo solo mi hai guardato.

I tuoi occhi mi sembravano ingrandirsi ancora di più.

Le mie dita che avrebbero voluto impossessarti di te.

La tua pelle bianca riluceva quasi nel sudore, una goccia che cadeva sul tuo petto inerpicandosi tra i tuoi capezzoli, richiamandomi.

Un lieve sorriso che spuntò sul tuo viso, quasi un invito, un inchino leggero del capo prima di riprendere quella danza collettiva, dove io vedevo te soltanto.

Percepivo con chiarezza che la stavi dedicando a me".

Avevo deciso che ti avrei trovato, dovunque fossi andato a finire.

Mi allontanai dalla festa, i cui rumori erano a malapena attutiti, ero troppo occupato da quel sogno a occhi aperti che tu eri diventato per me.

Una fantasia a cui non sapevo dare un nome.

Un desiderio che la mia bocca non osava pronunciare.

Avevo visto tutta la tua famiglia in piazza, ma neanche una traccia di te.

Così me n'ero andato anch'io, chiedendomi se tu fossi esistito realmente oppure se fossi stato io a immaginare ogni cosa, come un ragazzino che ancora non aveva conosciuto niente della vita.

Nessuno, posso dire che nessuno aveva notato la mia assenza quella notte.

Tra le stelle rincorrevo il tuo profumo di mosto e di sapone, le mie gambe da sole aveva tracciato il percorso che dovevo seguire, lo stesso di qualche giorno prima ma, stavolta, ero consapevole della mia meta.

La bramavo.

Mi ero ritrovato nelle tua casa, accostandomi dietro il portone, non mi ero affacciato nelle stanze, avevo costeggiato il giardino, diretto verso il retro della casa.

Con l'unica luce, quella della luna, la pelle del tuo viso, se fosse stato possibile, era ancora più bianca, le mie gambe traballanti si avvicinavano a te.

"Mi hai trovato, finalmente" mi avevi detto.

"Nessuna parola, nessun cenno era stato manifestato da entrambi, solo un patto chiaro di quel che per me sarebbe stato l'inizio del mio tomento.

Mi colava il sudore addosso, le mie gambe tremavano talmente tanto che dovetti sedermi, scostando la mia vista da quel desiderio immondo che ti ricercava, le mie mani sulla fronte, grondavano e io non osavo risollevare lo sguardo per rivivere la visione di quella danza innominabile e voluttuosa.

La tua danza per me.

Non potevo cedere, andare oltre.

Nessuno si era accorto del mio malessere, al riparo dal tuo corpo cercavo soltanto di riprendere in mano i miei movimenti".

Con le mani, ti avevo condotto al sicuro da eventuali sguardi indiscreti, da una finestrella entrava un poco di quella luce che così bene ti adornava, senza che te lo chiedessi, ti eri tolto la camicia esponendo di nuovo il tuo corpo magro a me.

Quasi tremavo dall'eccitazione, rapito nei sensi, rapito nel cuore che batteva il ritmo del desiderio incontrollato.I tuoi occhi verdi magnetici.

Erano state le mie mani a toccarti con venerazione il petto, desideroso com'ero di nutrirmi del tuo sapore fresco.

"Non preoccuparti, queste cose le ho già fatte".

Eri stato tu a guidare ogni mio gesto, io volevo solo sentire che eri mio.

Bocche, labbra, lingue defluivano fra loro con delicatezza, accendevano il ritmo dei baci.

Le tue mani che mi spogliavano, che scorrevano tra la corta barba del mio viso e la rada peluria del mio petto, quasi esplorando i muscoli che tu ancora non avevi sviluppato.

La tua schiena perlacea brillava di luce propria, quasi ti strappai il resto del vestiario di dosso, mentre tu direzionavi con il baricentro l'itinerario che il mio corpo doveva prendere su di te nel possederti.

Io che mi avvinghiavo al tuo ventre, mentre assaporavo l'odore della tua nuca, i tuoi singulti soffocati stimolavano ancora di più il mio ansimare, mentre le mie dita stringevano forte lasciandoti il segno.

In tutte quelle parole che non potevamo dire, quella notte ti eri concesso per la prima volta.

Eri diventato mio.

Continuavo ad avere sete e ogni volta erano le tue labbra che la estinguevano.

Ci consumavamo nel falò della nostra passione.

"Non osavo, non era giusto dare una precisa collocazione agli stimoli che il solo vederti mi stava provocando, mi ero allontanato in silenzio, nascondendomi ansimante dietro il primo muro che potesse occultarmi dagli sguardi indesiderati degli altri, ma che soprattutto potesse salvarmi da te.

Il sole non era ancora tramontato, ma i suoi raggi iniziavano ad accarezzare la cima della montagna.

Sembrava, e quasi temevo, che addirittura il nostro monte sapesse cosa provassi e il perché fossi scappato con tanta fretta, i suoi occhi invisibili mi scrutavano, presagendo ogni cosa.

"Quanto ancora vuoi fuggire?" sembrava che mi chiedesse.

Ero solo, cercando a ogni costo di contrastare un desiderio che mai sarebbe dovuto esistere.

Qualcosa che nella mia testa non doveva succedere mai più".

Non ci cercarono durante la nostra prima volta.

In quelle ore ci siamo conosciuti, abbandonati tra le membra stanche, nel sudore, per poi riprenderci ancora.

Eri il maestro che sapeva leggere ogni desiderio non appena quest'ultimo prendeva forma.

Io conoscevo a malapena il tuo nome, e tu, sussurrando con quella tua voce calda e roca che ti contraddistingueva, mi raccontavi qualche spezzone della tua vita fuori dal paese, poi salivi di nuovo sopra di me, mi baciavi, nascondevi il tuo bellissimo viso nel mio corpo.

Raccontavi nuovamente qualcosa sugli studi, i tuoi compagni e gli uomini che ti avevano toccato per la prima volta.

Morivo di gelosia per non essere il primo, e per non essere stato l'unico.

Non c'era malizia nelle tue parole, dai tuoi occhi liquidi leggevo tutta l'innocenza possibile.

Ti ho stretto al mio corpo fino all'arrivo dell'alba, per poi andarmene da li, mezzo rivestito e mezzo no, tra le scapole sentivo ancora il dolce peso del tuo sguardo.

Un desiderio in sospeso, il tuo.

Mi accompagnò, sin da allora, in ogni passo che ho compiuto da quella notte in poi.

**

Se fossi una foglia, mi lascerei trasportare dal vento che sconquassa le fronde e i campi del nostro paese.

Sarei libero, nell'aria, non vincolato al peso morto delle mie membra stanche.

Verrei a cercarti Harry.

Non saprei come, ma sono convinto che riuscirei a riconoscere ogni singolo frammento di questo pianeta toccato dal tuo passaggio, mi ci appoggerei sopra, solo per carpire il tuo odore, non quello della carta e dell'inchiostro, non quello della polvere.

Il tuo.

Quello di muschio e sapone che mi aveva rapito quando ti ho toccato per la prima volta.

Dopo la tua partenza, sono arrivati anche qua gli anni facili, ho visto le prime macchine circolare liberamente in mezzo alle strade.

Freddie e Doris crescevano, per la gioia di Eleanor, che, nonostante tutte le mie mancanze, adempiva con dedizione al ruolo di madre.

La mia vita in tua assenza è stata scandita dalle stagioni, nonostante io non l'abbia conosciuta fino in fondo, la vita in paese si riprendeva solamente allora, dopo la Grande Guerra.

L'ultima era finita prima del nostro incontro, ma aveva condizionato l'esistenza di ognuno di noi per tutti gli anni a venire.

Soltanto dopo quella guerra sei arrivato tu, ci siamo amati, sei andato via per la tua guerra personale con il mondo, lasciandomi qui con la mia famiglia.

Eri partito per la Francia in cerca di fortuna, io non osavo mai chiedere tue notizie, temevo che un mio interessamento destasse qualche sospetto, era solitamente tua sorella Gemma a riferire qualche novità a mia moglie, ma quasi mai veniva fatto il tuo nome.

Credimi, per tanti anni mi sono chiesto come mai lei non parlasse volentieri di te, ma dentro di me possedevo già la risposta che mai sarei riuscito ad ammettere a me stesso.

A quei tempi vedere la televisione era un avvenimento.

Era la prima finestra sul mondo per un paese nato sulla polvere, paese convinto che la fine del mondo si trovasse poco oltre i confini, sul mare dei paesi vicini.

Io ero persuaso che prima i poi ti avrei visto su quello schermo.

Francia era l'unico confine che concepivo, lo leggevo sul retro di quelle cartoline che negli anni si assottigliavano di numero, e che erano sempre più formali.

Io ti rispondevo per Natale, augurandomi ogni volta di vederti tornare.

Ma ciò non accadeva mai.

Per quanto potessi essere stanco, non mancavo mai un appuntamento con la televisione, per la mia famiglia era un avvenimento, per me la speranza di rivederti.

Lo vivevo con ansia.

Non avevo mai scordato il tuo viso, ma il tuo ricordo cominciava ad ingiallire sul peso degli anni che passavano inquieti.

Le tue mani erano diventate callose come le mie?
Avevi la barba?
I tuoi bellissimi ricci iniziavano a ingrigirsi sulle tempie come i miei?

Tutte domande che continuavano a rimanere senza risposta, immote, appena visibili anche ora che la polvere viene scossa da un'altra folata di vento che passa.

Se la porta via, lontano, rimestando i ricordi nella mia testa malandata.

Maledetto vento, che ancora mi lasci qua senza porta via anche me.

**

Eri stato una tempesta.

Unico e solo, avevi invaso la mia mente con la tua presenza e ogni mio senso, per poi scomparire subito dopo la prima scrosciata.

Nei giorni successivi alla nostra fuga notturna, non avevo avuto il coraggio di venirti a cercare, forse ero ancora ubriaco di passione, o forse tutto ciò che era stato liberato dal vino aveva fretta di rientrare dentro di me, in un luogo inaccessibile a chiunque , temendo la luce accusatoria della vergogna.

Quello che avevamo fatto era sbagliato, ciò che avevo sentito per te lo era ancora di più, ma ormai mi avevi magnetizzato con la tua semplicità disarmante.

Col tuo esistere, forse.

Ti cercai troppo tardi, venendo a sapere che eri ripartito due giorni dopo la nostra notte insonne.

Mi avevi aspettato, magari?
Sei stato, in quei due giorni, in attesa di me?

All'epoca preferii pensare che invece tu non avevi attribuito tutto il peso che stavo dando io all'accaduto.

Evitavo lo sguardo indagatore di chiunque, vedendo spettri di sospetto anche laddove non ce n'erano.

Mi avevi lasciato da solo a gestire lo sconvolgimento dei nostri atti, con l'unica certezza che ero in grado di darmi: non era successo nulla, quello che avevamo fatto non poteva significare niente.

La mia povera mente cercava con disperazione di pensare oltre, era l'unica cosa che potevo fare, e la tua lontananza provvisoria mi agevolava in questo.

Fu nell'inverno successivo che mi parlarono di lei.

Era stato mio padre, ritenendo che fosse arrivato il tempo, con i miei ventidue anni, di accasarmi.

Eleanor era molto nota in paese, aveva diciassette anni ed era molto bella, mora, due occhi castani sottili e già formosa nonostante la sua età.

Era la figlia più piccola di un amico di famiglia e mia madre, con la sua, discutevano già da qualche anno di una nostra probabile unione.
Io la conoscevo, come potevo conoscere altre ragazze del posto, in maniera piuttosto schiva, per una sorta di pudore, quello che tutti dovevano tirarsi dietro per convenzione.

La trovavo gradevole, ma non ero in grado di cogliere appieno il potenziale che mi si stava prospettando.

Non appena solo, eri tu a riemergere dall'angolino buio in cui ti avevo rinchiuso con forza, la tua pelle bianca, i tuoi occhi grandi, il tuo corpo che, così accogliente, sembrava aderire perfettamente al mio.

Ma io non dovevo, non potevo pensarci.

Non dovevo aspettare un tuo ritorno per capire cosa dovessi fare.

Così mi fidanzai con lei.

Ancora non avevo stretto nemmeno la sua mano tra le mie che in paese tutti sapevano della nostra imminente unione, ci saremmo sposati in estate, alla luce del sole.

Io ero salvo da qualsiasi sospetto.

Comincia a non pensare più a te.

Cercavo di levarmi di dosso lo sporco effimero che mi sentivo nell'animo, per essere redento, normale tra i normali.

Sono stato uno stupido, lo so.

Ma le nostre famiglie avevano deciso per noi quel passo, tu non eri contemplato, tu non eri reale, scomparso velocemente così come il tuo arrivo nella mia vita.

"Harry Styles è soltanto un sogno, un sogno malato" mi dicevo per dimenticarmi del tutto di te.

Passavano i giorni, trascorrevano i mesi e i preparativi per una nuova vita tutta mia si infervoravano, tutto era nuovo e noi due, che ci eravamo appena sfiorati, sotto gli occhi attenti dei parenti, a malapena imparavamo a conoscerci.

Era così che funzionava.

Il destino per me era ormai spianato, pensavo che nulla o nessuno avrebbe mai potuto scalfire questa manciata di certezze.

Ma mi sbagliavo.

Non avevo fatto i conti con te.

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***



Perché in tutti quegli anni non sei mai tornato Harry?

Perché, se volevi rompere ogni legame con questa terra inospitale, che ti aveva visto nascere e crescere, se volevi buttarti alle spalle ogni cosa che avesse a che fare con lei, continuavi, sebbene di rado, a scrivermi?

A cosa pensavi, cosa volevi farmi capire?

Sono ancora sveglio questa notte, i miei occhi sono vigili, puntano verso il buio, ma nelle mie riflessioni non ci sono risposte, e fino a quando la mia voce, o le mie mani, ne avevano la forza, non ho mai pensato di chiedertelo.

E' tardi adesso, ma la mia mente non ha il potere di trasmetterti i miei dubbi, ovunque tu sia in questo momento.

Dalla tua partenza, giorno dopo giorno, la rassegnazione iniziava a farsi strada dentro di me, il televisore con il tempo era arrivato anche nella nostra casa, ma io avevo ormai smesso di cercarti la dentro.

Non di pensarti.

Ogni singolo attimo di solitudine, dopo un'altra giornata di lavoro, il mio animo ti rincorreva, erano passati anni, su altri anni ancora, i miei figli crescevano, li avevo mandati da tempo a studiare in città, anche Doris, ero stato irremovibile, volevo dare a tutti e due il futuro migliore.

I miei capelli ingrigivano sempre di più, nel mio viso si formavano solchi profondi, levigati dal sole e dal lavoro, anche allora mi chiedevo che aspetto avessi tu.

Ma non tornavi, non era stato abbastanza forte il richiamo del nostro monte per farti rientrare, aspettavi qualcosa, aspettavi che cambiasse, ma ancora non sapevo cosa.

Gli anni passavano sui nostri visi, i miei trenta iniziavano a diventare quaranta.

Perché non eri ritornato Harry?

Te lo chiedo in questo buio nero, mentre aspetto di poterti incontrare nel sonno.

La vita andava avanti senza di te e, per quanto mi sia impegnato, non sono stato in grado di impedirlo.

Ero li.

Cercavo di non mutare dentro, custodivo tutto in me, come se dal nostro primo incontro non ci fossero stati giorni, o mesi, o anni a venire.

Ma tu non tornavi.

Chiudo gli occhi, nonostante le mie lacrime, ti cercherò tra i miei sogni, dove potrai riapparire per rendere ogni cosa differente da quella che realmente è stata.

**

Era quasi arrivato settembre.

Mancava ormai una settimana al matrimonio e nelle nostre famiglie infervoravano i preparativi per l'evento.

Stavo rientrando dall'ennesimo incontro con il prete, ero solo, la mia mente, a questo punto, ti aveva quasi rimosso del tutto e, di chiunque potessi trovarmi sulla strada, mai avrei pensato a te.

"E così ti sposi".

Sentire quella parlata particolare, a lungo scordata dalle mie orecchie, mi fece quasi trasalire.

Eri li, poggiato a un muro di quel viottolo, mi guardavi in modo diretto e inquisitore, non riuscii a rispondere, sentivo solo il cuore battere forte, mentre un groppo in gola salive e scendeva.

Guardai i miei piedi.

"Sembra quasi che abbia visto un fantasma, non sei nemmeno contento di rivedermi?".

Colsi l'ironia delle tue parole, fu di certo ciò che mi sbloccò una risposta.

"Sono cose che succedono nella vita di un uomo. Ci si sposa e si fanno dei figli, questa è la natura".

Dentro di me sentii il disagio per delle parole di cui non ero nemmeno tanto convinto.

"Perché quello che abbiamo fatto quasi un anno fa, non è da uomini?".

Non eri cambiato di una singola dannata virgola, forse eri solo leggermente più alto rispetto all'anno precedente, ma la tua pelle rimaneva bianco latte, i tuoi occhi grandi e intensi, le tue labbra sempre magnetiche.

Eri bellissimo.

Ma da dove avevi tirato fuori quella spavalderia?

Persi la testa, avevo faticato fin troppo per dimenticare quell'incidente, ero convinto che non avessi il diritto di tirarlo fuori e sbattermelo in faccia così, per strada e alla mercé di tutti, le mie mani si strinsero sulla tua giacca, sollevandoti di qualche centimetro dal terreno.

"Tu non devi più nominare quella notte maledetta. Non è successo niente. Ricordalo!" urlavo.

Mentre ansimavo tenevo i miei occhi adirati ben incollati dentro ai tuoi.

"Allora cosa vuoi farmi? Vuoi picchiarmi, uccidermi per dimenticare davvero la nostra storia?".

Ti lasciai andare, rosso, ma dalla vergogna.

"Tu sei matto" dicevo senza convinzione.

Mi voltai per andare via, ma tu non volevi lasciarmi, poggiandomi una mano grande e leggera sulla spalla, un brivido di piacere mi percorse tutta la schiena.

"Questa notte, dopo la mezzanotte, andrò al monte lungo il sentiero dell'acqua. Ci sarà la luna piena" mi sussurravi all'orecchio "E non avrò bisogno di luce. Se davvero non hai ancora dimenticato e se provi almeno un briciolo di quello che provo io per te, viene con me Louis. E se dovremo dirci addio me lo devi dire li, di fronte alla luna".

Poi mi lasciasti andare, mentre riprendevo il cammino, scuotendo ancora la testa, dicevo "Sei matto Styles".

Lo sentivo nella schiena il tuo sguardo di desiderio.

La sentivo dentro la voglia di esserci, di seguirti quella notte, per lasciarmi condurre dalla tua mano alle emozioni che erano ancora vive nei miei sensi.

Credevo che la tua fosse stregoneria e che io, un povero uomo, non potevo resisterle.

In alcun modo.

Quella notte semplicemente mi alzai dalla sedia, senza ulteriori cerimonie o comunicazioni.

Dovevo andare incontro al mio destino, dovevo capire se avessi avuto la forza di fare a meno di te.

Conoscevo la strada a memoria.

Ti vidi nei pressi della tua casa.

La luna era già sorta, luminosa, grande, pensavo che si stesse prendendo gioco di me.

Dovevi per forza avermi visto, perché iniziasti a camminare, col tuo passo leggero nel mezzo della strada, il paese sembrava deserto quella notte.

Notai a malapena che nella tua casa una luce era accesa, un leggero movimento di tende, ma non pensai che qualcuno potesse averci visto.

Nessun rumore ci sorprese se non il leggero vociare dell'aria, io sudavo, ma continuavo a seguirti dalla dovuta distanza, non volevo parlarti, osservavo il tuo corpo magro e incantatore farsi strada nei sentieri, fuori dal paese, diretto al monte.

A me, la tua, pareva quasi una danza, con l'ombra che si allungava alle tue spalle, quasi facendosi accarezzare dai miei piedi.

Non saprò mai se fosse stata la luna ad aver gettato i suoi occhi su di me durante il cammino, respiravo a fatica e cominciavo già a slacciarmi i pochi vestiti indossati, di tutti i propositi che avevo nella mente, non me ne veniva più nemmeno uno, via via che la strada sterrata si inerpicava tra i cespugli e rocce.

Ci volle poco meno di mezz'ora per vederti fermare nella radura piana, i rumori della notte infrangevano il silenzio, ma io mi ero ormai perso nei tuoi gesti.

Tra rocce e cespugli c'era una pozza d'acqua, il riflesso della luna illuminava il tuo corpo.

Con pochi gesti ti eri denudato, lasciando che la luce lunare risplendesse su ogni tua curva e lasciando me completamente senza fiato.

I miei sensi strariparono di desiderio e tu, intanto, ti immergevi tra quelle acque, pur di offrirti un po' di refrigerio, dopo la camminata notturna.

"Non vieni Louis?".

Colsi a malapena il tuo sussurro, perché già i miei vestiti cadevano tra i tuoi mischiandosi, mentre i miei piedi entravano in contatto con lo sciabordio della pozza.

Ero venuto li per dirti addio, per chiederti di uscire per sempre dalla mia vita e non farvi più ritorno, se le circostanze lo avessero preteso ti avrei anche ucciso, pur di dimenticare l'onta di ciò che mi avevi fatto fare un anno prima, ma quello che sotto la luna ti raggiunse era il mio corpo nudo, che ti desiderava come la mia stessa mente.

Come la mia stessa anima.

Le mie mani salde avevano iniziato ad accarezzarti, quasi autonomamente, anziché strozzarti come avrei dovuto fare, le tue braccia esili si stringevano a me, mentre le labbra si cercavano assetate, avevamo ripreso quel ballo già iniziato e interrotto l'anno precedente.

Non ho dimenticato nulla, in quel frangente tu costruivi l'unico tutto che non dovevo mai e poi mai lasciarmi sfuggire, fu il firmamento il vero testimone di quella nostra ennesima unione, non solo di membra, ma di spirito.

I tuoi denti bianchissimi ridevano di me, quando ti soffermavi ad indicare i disegni delle stelle del cielo e le loro storie.

La stella polare indicava la direzione.

La stella Antares che sembrava voler scoppiare.

La luna poi, che colorava i nostri corpi nudi con la magia.

Mi parlavi di queste cose, mi avevi detto di averle imparate a scuola e io non mi ero stancato mai di ascoltare la tua voce, e poi ancora unione, desiderio, noi che sgusciavamo l'un l'altro aderendo, incastrandoci perfettamente, come se nella nostra vita non ci fosse stato altro scopo che questo.

Ricordo ogni cosa, le tue parole.

Non so quante ore erano trascorse dal nostro arrivo, il cielo si rabbuiava. perché la luna continuava a compiere a compiere il suo giro nascondendosi dietro la cime del monte.

Eravamo distesi e abbracciati stretti sulla riva, il tuo respiro premeva sommesso sul mio ventre e tu nascondevi il tuo meraviglioso viso nel mio petto, baciandomelo con tenerezza in ogni suo punto.

"Ti amo" dicevi "Ti amo Lou. Voglio poterti dedicare tutta la mia vita, ti amo".

Il mio cuore accelerò, mentre tu risollevavi il viso e mi guardavi serio.

"Non dire nulla amore mio. So che stai per sposarti, solo per questo ho voluto portarti qua, oggi ho deciso di unire per sempre la mia anima alla tua, di dedicarmi a te. Considera questo momento come la nostra notte di nozze, l'unica che potremo mai avere".

La mia mano accarezzò il tuo viso delicato.

Non dissi niente, migliaia di sensazioni si erano accavallate nella mia mente, nel mio cuore e nessuna di esse riusciva a trovare la giusta strada per fuoriuscire dalla mia gola.

Avrei voluto però.

Avrei pianto, ma dalla gioia, perché quello che non potevo dire, apparteneva per sempre a te, soltanto a te Harry.

"Ti amo" continuavi a ripetermi.

Sorridevi nel dirlo, me lo confidavano i tuoi occhi che dentro avevi gioia per avermi incontrato, per avermi avuto, nonostante tutti i mesi trascorsi lontano, tu non avevi mai cercato di dimenticarmi.

Esternavi senza paure un sentimento.

Qualcosa che avevi coltivato dentro di te, facendolo crescere come il grano che imbiondiva i campi del nostro paese.

Io non ti risposi quella notte.

Non possedevo la voce per dirti quanto fosse grande e profondo il mio amore.

Presi il tuo viso tra le mie mani e ti baciai, a lungo, affidando ai miei gesti in canto di tutti i sentimenti che volevo esternare.

**

Non avrei mai potuto credere che i tempi sarebbero cambiati.

Quello che prima si poteva dare per scontato, tutte le certezze, le tradizioni, in quegli anni iniziavano a mutare senza che noi potessimo intervenire, e succedeva anche qui, agli antipodi della civiltà.

Mi sentivo in qualche modo tradito.

Tradito dai figli che volevano realizzarsi diversamente da me, il nostro monte dormiva, stagione dopo stagione, e io, anche se non lo volevo ammettere, mi sentivo tradito persino da te, che ormai non mi scrivevi più nemmeno una riga.

Il mio orgoglio si ostinava nel volerti cancellare per sempre dai miei pensieri.

Erano passati ben quindici anni.

C'erano giorni in cui mi fermavo su qualche particolare che mi facesse ricordare qualche cosa di te, poteva essere un albero, oppure il capanno dei nostri terreni, dove magari in silenzio ci eravamo rifugiati per qualche ora di amore tra noi.

Poi mesi interi in cui nemmeno pensavo che potessi venirmi in mente.

Non ho mai saputo quante e quali volte tu fossi tornato in paese, dimenticandoti di venire a salutarmi, ma non potevo pretenderlo, non dopo che mi avevi detto addio, non dopo che te lo avevo lasciato fare in quel modo.

Non c'eri più , ma in certi momenti eri più potente della forza di gravità e mi riportavi sempre a te e ai nostri anni migliori con struggente malinconia.

Chissà dov'eri, chissà cosa facevi?

Anche a te capitava di pensarmi Harry?

Eri informato di quello che mi succedeva, di come la nostra vita aveva subito delle modifiche sostanziali?

Pian piano io ed Eleanor rimanemmo soli nella nostra i casa, i figli lontani a vivere le loro vite, mi arrivarono anche le prime offerte di vendita del podere, ma ancora non volevo rassegnarmi, ancora non me ne volevo separare.

Quella terra, che nel corso degli anni della mia vita ti aveva conosciuto, visto crescere, amare, rimaneva l'unica cosa che non potevo abbandonare.

Lo so io il perché Harry.

Non volevo venderla per un motivo soltanto: lasciarla andare via avrebbe significato che, nel contempo, avrei dovuto rinunciare a te definitivamente.

**

La mattina, poco prima della cerimonia, mi sentivo soffocare.

Ero in piedi, con gli abiti della festa e sudavo, mi sentivo paralizzato dal terrore.

Temevo che, per qualsiasi caso fortuito del destino, qualcuno scoprisse cosa avessi fatto la notte prima con te, o meglio che qualcuno potesse addirittura leggermi in fronte quanto quel matrimonio, che mi apprestavo a fare, per me non avesse la stessa importanza dello stare con te.

Con il tuo corpo bianco latte, con i tuoi mugolii di piacere, ti desideravo Harry, anche in quel momento e mi chiedevo come mi sarei dovuto comportare avendoti di fronte, mentre dicevo di voler sposare Eleanor.

Mi sentivo prigioniero e a nulla valevano le continue pacche sulle spalle degli amici o i sorrisi eloquenti della mia famiglia, avvertivo nitido il senso di soffocamento.

Provavo a slacciare la camicia bianca, addirittura sentii il bisogno di levarmi tutto quanto e scappare lontano, magari poi farmi raggiungere da te e provare a vivere a modo nostro, ma quei pensieri, ahimè, non erano sostenuti dal coraggio, erano idee immonde, peccati.

E poi due creature perverse come noi, dove sarebbero mai potute andare?

Dove avremmo potuto trovare accoglienza e alloggio?

Cercai di scacciare quei pensieri dalla mia mente, ma mi sentivo tra due fuochi e stavo bruciando vivo.

Uscii fuori e mi incamminai a capo chino, seguendo tutti gli altri.

Fino all'ultimo ho sperato che quel corteo festoso deviasse, che non andasse dai Calder, ma che voltassimo verso casa tua.

Al matrimonio non ti eri presentato.

Solo Dio, e forse io, sapevamo il perché.

Non eri ancora ripartito per riprendere gli studi, di ciò ne avevo la certezza, ma quel giorno non ti facesti vedere, c'era tutta la tua famiglia, ma tu eri di nuovo scomparso.

Io ero impacciato, rinchiuso in quei vestiti nuovi che non mi facevano sentire libero.

Eleanor era bellissima e a tutti sembrava felice, io non sapevo come dovessi sentirmi, doveva essere il giorno più importante delle nostre vite, eppure continuavo ad avvertire il disagio per averti posseduto ancora.

Non era stato l'atto in se, era il modo in cui ci eravamo appartenuti.

Ma non era te che potevo sposare.

Mentre il sudore mi colava tra le tempie corrucciate, cercai di scacciare qualsiasi pensiero che ti riguardava dalla mia mente.

Io ed Eleanor fummo legati per la vita dal destino, e questo doveva essere l'unica cosa che appariva agli occhi distratti delle persone che avevamo intorno, ma tra i chicchi di grano e di riso, io cercavo un singolo segno della tua presenza, senza trovare pace.

Dov'eri finito quel giorno Harry Styles?

Eri nascosto in qualche angolo del paese, osservandoci in lontananza con i tuoi grandi occhi verdi?

La festa arrivò fino a notte, prima che venisse concesso a noi sposi di poter prendere possesso della casa che sarebbe divenuto il focolare della nostra vita, da quel momento in poi.

Quando arrivò il momento, io ed Eleanor, forse imbarazzati, ci aggrappammo l'un l'altro stringendoci la mano, non abituati ad avere addosso tutte quelle attenzione quegli sguardi.

Ho continuato a cercare i tuoi occhi fino all'ingresso in casa, i miei vagavano ubriachi su ogni viso, alla ricerca di quello sguardo dolce che mi aveva rapito l'anima.

Una volta chiusi dentro, rimanemmo soli io e lei.

Ero li, in piedi, a osservarla.

Ero paralizzato, non sapevo che fare, la tua immagine a volte sembrava sovrapporsi a lei e il cuore mi batteva forte, per la preoccupazione di sbagliare qualcosa.

Quell'attesa, su quel qualcosa che sarebbe dovuto accadere, anche se non sapevo bene come, mi stava trapanando la testa, Eleanor mi sorrideva, innocente, ignorando ogni mio trascorso e ogni mio turbamento.

Fu lei a portarmi in camera quando venne il momento, e fu lei a spogliarsi rimanendo nuda sul letto.

"Come sei bello marito mio" sussurrava, osservandomi dalla sua posizione.

Mi avvicinai lentamente, mentre lo sguardo indugiava su di lei, chiedendomi se avrei mai provato la stessa intensità che avevo vissuto con te.

Ma anche in quell'occasione fosti tu a venirmi in soccorso.

I miei occhi danzavano mentre stringevo Eleanor a me, i miei vestiti cadevano giù, sparsi, ci baciammo per la prima volta, scoprendoci nel reciproco sapore, ma non era lei che mi accarezzava quella notte, non era lei che mi abbracciava.

Eri tu che agivi al posto suo.

Eri tu.

I tuoi sussurri concitati, il tuo corpo magro che io ricoprivo con il mio vigore, cercando di andare abbastanza lentamente per non farti male e per amplificare quei momenti di intimità.

Stringevo tra le mani i suoi seni, ma in quel letto ricordavo l'odore dell'acqua che aveva bagnato il tuo corpo la sera precedente, dove io e te ci eravamo amati, ricordavo la luna che illuminava la tua pelle d'avorio.

Non aveva più importanza se non eri venuto, se non ti eri fatto vedere il giorno del mio matrimonio.

Non so come, non conosco nemmeno il perché, ma tu eri li, al suo posto.

Ero riuscito a portarti con me anche nella mia prima notte di nozze.

**

Il sole si attarda anche oggi nella mia finestra.

Da questa poltrona ne vedo la luce, di nuovo lentamente le giornate si stanno allungando.

Altri anni ancora erano trascorsi prima di accorgermi che i sintomi di Eleanor non potevano più essere trascurati.

Alla fine avevo venduto la terra, mettendo da parte un piccolo capitale che ci avrebbe aiutato per tutta la vecchiaia a venire, ero riuscito a fare quel salto che forse mi aveva liberato da ogni rimpianto su di te.

Ormai eravamo rimasti solamente io e lei, avevo più tempo per occuparmi di quello che rimaneva della famiglia, con tutti i nostri capelli inequivocabilmente grigi, mi resi conto che lei non stava bene.

Fu il nostro medico ad allarmarsi per primo, la mandò a fare degli accertamenti in città e Eleanor, nonostante i suoi evidenti malanni, non volle che l'accompagnassi.

Lo confesso ero in pensiero.

Avevo trascurato la mia famiglia in ogni modo possibile: prima veniva la terra, il lavoro, prima venivi tu.

"E ora" pensavo "Ora lei si sta vendicando di me".

Credo che fin da allora mi terrorizzasse l'idea di rimanere da solo in quella casa vuota.

Ricordo il sorriso di Eleanor al suo ritorno, la sera successiva, avevo capito fin da subito che era stanca e provata, ma non aveva dato peso alla sua situazione, come al solito mi aveva riferito che era andato tutto bene.

Mi disse che i suoi erano solamente acciacchi derivati dall'età e che le avevano dato una cura, io le avevo creduto quasi felice che alla fine nessuno mi avesse punito per tutto il male che le avevo fatto.

Una telefonata di Freddie, un'ora dopo, mentre lei esausta già dormiva, mi aveva nuovamente gettato nella preoccupazione, le cose non andavano bene per nulla, aveva parlato con i medici, gli avevano riferito di un sospetto tumore in stadio avanzato.

Io capii ogni cosa.

Non seppi chi maledire: me stesso. te, oppure Dio.

Una tragedia in quegli anni aveva strisciato di soppiatto nelle nostre vite, tutte le mattine e le sere in cui io non c'ero si era impossessata di mia moglie, la donna che avevo sposato promettendole una fedeltà che non ero stato in grado di garantirle, né in salute né in malattia, e ora chiedeva indietro il suo compenso.

Quella notte non chiusi occhi, rimasi su quella sedia col cuore in subbuglio, a vegliare sul sonno di Eleanor, da quel giorno mi imposi di dedicarle il resto della mia vita.

Non ci fu consulto o terapia a cui mi sottrassi, rimanevo con lei, stringendole la mano e, stancamente lei, non oppose più resistenza.

Era tardi, ma aveva capito di essersi riappropriata di quel marito, che forse non era mai stato, con tutti quei segreti, interamente suo.

Io ero li, solo per lei.

Non contava null'altro.

Almeno quello glielo dovevo e basta.

**

Ti rividi qualche giorno dopo la festa.

Ti eri presentato al terreno, gli altri erano già andati via.

Le cicale frinivano ancora intorno a noi e un leggero vento portava sollievo alla mia schiena accaldata, il profumo dell'uva si spandeva dolciastro nell'aria, un profumo che, non so per quale motivo, avevo imparato ad accostare a te.

"Volevo solo dirti che dopodomani riparto".
"Ancora i tuoi studi?".

Non avevo il coraggio di voltarmi nella tua direzione, sentivo che il tuo viso era rivolto alle mie spalle nude.

Mi eccitava.

"Non preoccuparti, sono andati via tutti e non c'è nessuno nel raggio di chilometri"
"Perché me lo dici?".
"Se ti volti vedrai che mi sono spogliato e disteso dietro di te. Lo so che ahi voglia di me, anche ora che sei un uomo sposato".

Mi voltai.

Tu ti eri realmente denudato e mi sorridevi con quelle fosse te che spuntavano maliziose sulle tue guance e che mi facevano impazzire, mi aspettavi.

Contro ogni pensiero razionale, ti presi, dissetandomi ancora della tua carne, quello che tra noi sembrava ormai un gioco, era diventato per me un'abitudine irrinunciabile, il crepuscolo avanzava ma noi, stretti al riparo di quel muro rude, continuavamo a regalarci tenerezza.

Non mi sentivo in colpa per quello che facevo, quasi fosse naturale avere una moglie che si occupasse della casa e te tra le mie braccia.

Avrei comunque imparato a mentirle molto presto.

Quella sera, dopo aver fatto l'amore, mi dicesti che per me si stava facendo tardi, che dovevo tornare da lei, avevi un viso contrito nel pronunciare quelle parole, io ti accarezzavo, chiedendoti cosa avessi.

"Non devi preoccuparti, so bene che quella è la tua vita, saprò adattarmi, ma tu giurami, ti prego, che avrai del tempo da dedicare soltanto a me".

Sul tuo viso scese una singola lacrima.

Il mio cuore si era sciolto a tal punto che avrei fatto qualsiasi cosa pur di non farti soffrire oltre, le mie dita cancellarono la tristezza dalle tue guance.

Ti abbracciai stretto.

"Te lo giuro Harry" dissi "Te lo giuro".

Mi guardavi intensamente, come a volermi levare il fiato.

"Grazie..ti amo".

Ti baciai, senza rispondere nulla.

"Forse dobbiamo davvero andare" dissi.
"Sicuro?".

Non capivo perché all'improvviso avessi iniziato a ridere in maniera beffarda, poi accadde tutto in un attimo, afferrasti i miei vestiti per scomparire tra le piante del campo, urlando soltanto "Vediamo se te ne andrai così in fretta".

Mi avevi lasciato solo e nudo dietro a quel muro.

Le tue risa si diffondevano nel silenzio, ti rincorsi tra i filari guidato dalla tua voce che mi chiamava, così com'ero, tra fanghiglia e e foglie, ti cercavo divertito.

Eccitato.

"E' ancora presto" pensavo, sarei rientrato più tardi a casa, con qualche scusa.

Ti avrei rincorso all'infinito, per di sentirti chiamare il mio nome in quel modo, puri di sentire la tua risata far vibrare l'aria, pur di riaverti tra le mie braccia, una volta acchiappato.

Da quel preciso momento iniziò la nostra storia, con tutte le sue paure.

Per mesi interi, quelli in cui tu studiavi lontano, non ricevevo tue notizie, ma tu tornavi in paese per ogni vacanza, venendomi subito a cercare.

Quante volte in quei giorni non ero andato al bar per rifugiarmi tra le tue braccia?

La mia vita si stava strutturando tra finzione e realtà, ma questo era l'unico modo per me, per noi, di tenere acceso quello che, incendiandoci il cuore, aveva sconvolto ogni regola di comportamento.

Commettevamo una bestemmia, ma era troppo pressante il desiderio di non rinunciare alle sensazioni che provavo solo in tua compagnia.

Eri tu il mio peccato.

Io, per tutti quegli anni, sarei bruciato all'inferno, pur di non privarmene.

Eri il mio bisogno, a cui non attribuivo mai un nome.

Il tuo era amore che esternavi senza alcun pentimento.

Il mio, di amore, aveva ancora paura di uscire allo scoperto.

**

Oggi è venuto a trovarmi Freddie.

Non saprei mai dire quanto mi assomigli, perché temo che lui possa leggermi nel pensiero e arrabbiarsi, ma ha le mie stesse smorfie di espressioni, i miei occhi, le mie stesse mani.

C'è stato un momento quest'oggi in cui lui mi ha stretto la mano.

Stava andando via, e i nostri occhi si sono incrociati, esprimendo tutte le nostre consapevolezze, ha preso la mia mano tra le sue, in silenzio, senza versare una sola lacrima.

E' così che mi sono ricordato di sua madre.

Il giorno che se n'è andata, c'ero solo io, a casa.

Non avevo voluto nessuno.

Lei era mia moglie, era mio compito assisterla, anche quando nessuna medicina ormai sembrava portarle sollievo.

Non vi fu nessuna terapia in grado di aiutarla, aveva appena compiuto da qualche anno i cinquanta eppure quel male, che le era sorto chissà dove, la stava divorando dentro velocemente.

Sono stati sei lunghi anni di lotta continua.

Nell'ultimo periodo lei non si alzava nemmeno più dal letto, io rimanevo li ad osservarla nel suo costante dormiveglia, chiedendomi perché Dio, anziché portar via me, avesse deciso di punirmi attraverso di lei.

Proprio lei, la moglie tradita che aveva dedicato alla nostra famiglia ogni fibra del suo corpo, ogni sforzo.

Forse Dio aveva deciso di giocare con le nostre vite, costringendomi ad accudirla, come contrappasso per tutte le volte che poteva aver avuto bisogno di me e io, non c'ero.

Magari ero al terreno, magari ero tra le tue braccia o immerso nelle tue lettere, non aveva importanza ormai.

Aspettavo, con il vuoto dentro, il momento della fine.

Una sera mi ritrovavo li, come sempre, presi la sua mano tra le mie stringendogliela un po', volevo trasmetterle la mia vicinanza, farle sentire che ero li con lei.

Eleanor aprì gli occhi di soprassalto, fissandoli nei miei, la sua voce, mentre la guardavo incredulo, rimbombò tra le mie meningi.

"Devi scrivergli. Giurami che lo farai Louis".
"A chi?" chiedevo, stupito e commosso.
"Devi scrivere a Harry. Non lasciar cadere ogni cosa nel silenzio".

Sentii il ghiaccio pervadere i miei arti.

A cosa si riferiva?

"Giuramelo Louis".
"Te lo giuro" sussurrai.

Poi si addormentò nuovamente, furono le ultime parole che mi disse.

Quella notte morì, mentre la vegliavo.ero in uno stato di interdizione, mi interrogavo ma non riuscivo a capire quello che era successo, lei sapeva e non mi aveva detto nulla in tutti quegli anni?

Come poteva averlo scoperto?

Mi convinsi quasi che avesse speso tutte le sue ultime riserve per riemergere dal suo torpore e dirmi di tornare da te, so che tutto questo è improbabile, però non ho trovato nessuna spiegazione, in tutti questi anni in cui ho custodito quest'avvenimento dentro, senza mai farne parola a nessuno.

Eleanor mi aveva amato così tanto che, nel dirmi addio, mi spronava a cercarti, a tornare dall'unica persona con cui io abbia davvero desiderato stare.

All'unica persona che avevo lasciato andar via da me per paura di fare i conti con i miei desideri.

I giorni seguenti ero talmente inebetito che facevo finta di dormire solo per trascorrere la notte su quel letto vuoto a chiedermi a cosa fosse servito il sacrificio di mia moglie, non mi scrivevi una parola da anni Harry.

Io ero vedovo a soli cinquantasei anni e non avevo nessuna intenzione di ricominciare una vita che per me non aveva più alcun senso, non credevo alle mie orecchie, il discorso di Eleanor riecheggiava nella mia mente a oltranza, ma non lo capivo.

Non sapevo nemmeno dove potessi vivere in quei giorni, magari eri morto.

Che senso poteva avere il mio giuramento a quel punto?

Volevo solo rimanere solo con me stesso, per trovare la forza di andare avanti o di lasciarmi morire.

Accadde due mesi dopo quel maledetto funerale.

Mi svegliai sudato nel letto, ti avevo sognato, ma stavolta tu eri insieme a lei.

Eleanor ti sorrideva.

Cercai, senza nemmeno cambiarmi, le tue lettere e appuntai su un foglio l'ultimo indirizzo da cui mi avevi scritto.

Non importa quanto tempo l'amore venga rinchiuso, negando ogni suo contatto con il mondo reale, da qualche parte del nostro animo si trova una porta a cui prima o poi avrà accesso.

La chiave potrà essere la costanza, il desiderio forse, ma a volte basta una promessa per spalancare l'uscio e lasciare che il sentimento esca fuori.

Fu così, in quell'occasione.

Accadde proprio a me.

Non comprendevo il senso di quel gesto, né se il mio messaggio ti avrebbe mai raggiunto, scrissi le mie povere parole su una pagina bianca, per poi richiuderle in una busta, sul retro c'era il tuo indirizzo.

Piansi solo una volta tornato a casa.

Non saprei dirti se lo feci più per te o per lei, piansi perché in suo nome onoravo la mia ultima promessa.

Eleanor è morta.
Non ho fatto altro in tutti questi anni che chiedermi perché non sei mai tornato Harry, non so neanche se leggerai queste mie povere parole.
Ma io non ti ho mai dimenticato, e penso che non lo farò mai.
Mi manchi. 
17 Marzo 1989. 
Louis.

**

Non ero riuscito a spostarmi da casa, non quella notte.

Eleanor era in pieno travaglio da qualche ora.

Quella notte ci saremmo dovuti incontrare, ma mi ero reso conto troppo tardi di non poter venire al nostro appuntamento segreto, ti avrei voluto mandare a chiamare, ma quale giustificazione avrei potuto addurre per la tua presenza?

Ero emozionato, inquieto.

Stavo per diventare padre e provavo dentro l'intenso desiderio di condividere con qualcuno quella sensazione del tutto nuova per me, ma l'unica persona, quella che forse mi aspettava al solito posto, senza avere ancora consapevolezza della mia assenza improvvisa, non poteva esserci.

Dovevamo essere cauti.

Era il nostro segreto e non dovevamo rivelarlo a nessuno.

Iniziai a pensare al battesimo, sapevo di averti promesso che saresti stato tu il suo padrino, ma come potevo giustificarlo agli occhi del mondo, il mio mondo?

Noi, che per il mondo, per il nostro paese non esistevamo, per il quale non c'era nessun noi che potesse riguardarci alla luce del sole.

Era un pensiero amaro, ma non avrei potuto, purtroppo, scegliere diversamente, quella sarebbe stata una delle tante promesse che ti avevo fatto e che non avrei potuto mantenere.

La preoccupazione e l'attesa fecero danzare questi pensieri tristi in un momento in cui avrei dovuto essere con te, poi un vagito, un lungo pianto di bambino.

Quel suono ebbe il potere di farmi riscuotere all'istante dal torpore e da quelle assurde riflessioni, il mio cuore ebbe un sussulto.

Era gioia.

Di li a qualche istante avrei finalmente conosciuto Freddie.

Quasi per magia mi scordai di ogni cosa, te compreso.

Nei giorni successivi, mentre Eleanor ancora si riprendeva dal parto, cercai il più possibile di temporeggiare.

Ci eravamo scambiati giusto qualche parola di sfuggita al terreno, non ero stato rimproverato per l'appuntamento mancato, di certo la voce si era sparsa per giungere fino a te, ed eri stato comprensivo.

Dentro mi portavo l'opprimente peso del disagio di tutte le cose che avevo fantasticato tra le tue braccia, nella notte scura, in merito a quel bambino che quasi per gioco già sentivi un po' tuo.

Mi avevi chiesto del battesimo, sapevo che dovevi ripartire per il tuo anno di studi, ma eri convinto di dover adempiere a quel ruolo che ti avevo promesso, per questo tardavi.

Te lo giuro, io mi ero auto convinto che non potevo deluderti anche in questo, ma il tempo per provvedere era poco e la mia famiglia premeva sulla scelta.

Il pomeriggio successivo, feci quel passo.

Alla fine avevo scelto quello che sarebbe stato il bene per la mia famiglia, i padrini sarebbero stati Liam Payne e sua moglie, come tutti desideravano.

Evitai accuratamente di incontrarti, con la vergogna per averti escluso a priori da quel rituale; anche se continuavo a giustificarmi con la scusa del bene per entrambi, in realtà sapevo perfettamente che ciò che tutelavo agli occhi di tutti era soltanto la mia integrità.

Sperai che tu ripartissi senza incontrarmi.

Trascorsi i giorni successivi chiedendomi se l'avessi già saputo e quanto ti fossi adirato, ero pronto a correre il rischio, non potevo fare altrimenti.

Ti presentasti da me la notte prima del battesimo.

Mi ero accorto per caso che aspettavi poco distante dall'uscio proprio mentre lo richiudevo per la notte, uno spicchio di luna tremolava nel cielo scuro.

"Che ci fai qua a quest'ora?" chiesi timidamente.

"Volevo chiederti una passeggiata veloce".

Senza replicare ti seguii, lasciando la porta spalancata, in casa dormivano tutti già da un pezzo.

Ci fermammo appena fuori dal boschetto, eravamo li, uno dinanzi all'altro, finalmente soli.

"In realtà volevo solo salutarti, domani mattina riparto".

"Senti, mi dispiace, ma non potevo fare altrimenti" dissi tutto d'un fiato.
"Lo so".

Ti guardai finalmente in viso, piccole gocce d'argento ti scendevano dalle gote scurendo le tue lunghe ciglia, il mio cuore si contraeva nel vedere quel dolore malcelato, posai una mano sulla tua spalla ma, allontanandoti, la scacciasti via.

Non sapevo che fare, se non continuare a guardarti.

Dopo un silenzio che mi sembrò interminabile, tu ricominciasti a parlare.

"Non credere che non lo capisca, è solo che non lo accetto. Non accetto che dobbiamo sempre nasconderci e privarci di quello che sentiamo, non accetto che tu ogni notte dorma con lei, e mi ferisce solo l'idea di quello che possiate fare. Non accetto e basta!".

"Come dovrei comportarmi? Domani in chiesa vuoi che invochi il tuo nome durante la funzione e magari strappi il bambino dalle braccia di Liam?".

"Senti Louis, ti ho già detto che non mi aspetto nulla. Va bene così. Io domani mattina riparto, ci rivedremo in un altro momento".

Ti voltasti, senza aggiungere nient'altro, incamminandoti sconfitto verso il paese.

"Mi saluti così? Te ne vai di nuovo, non saprò quando torni, e mi saluti così?".
"Passerà" sentii, quasi in lontananza.

Non una volta ti voltasti verso di me.

Non un rimpianto, un sorriso, un tuo tornare indietro.

Io, con i pugni stretti e un magone che mi chiudeva lo stomaco, ti avevo lasciato scomparire nella notte.

Il giorno dopo il prete del paese benedì il piccolo.

Era il giorno del battesimo di mio figlio, ma non mi sentivo felice, una nuova vita era sbocciata da appena dieci giorni, ma quasi non mi importava.

Ero arrabbiato con te, non avevo capito nulla della tua reazione, ricordai le tue lacrime e mi sentii in colpa.

Tu eri ripartito Harry, portandoti via, in quel giorno di gioia, gran parte della mia serenità.

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


 

Il tempo apporta al fisico cambiamenti irrimediabili.

Quello che eravamo, non lo siamo più.

Un altro giorno che trascorro cercando di non dimenticare che cosa ne sia stato delle nostre vite.

Non è facile per me.

Non è facile soffiare via la polvere densa, posata in tutta una vita di ricordi, che riaccendono il dolore per quello che non siamo stati capaci di essere.

Ogni volta che, nella mia mente, spalanco la finestra della memoria, è con prepotenza che vengono fuori le emozioni posate sulle parole che mi hai detto, sul tuo viso che il tempo ha sfregiato di solchi, togliendoti il sorriso.

E nonostante tutto il dolore e la lontananza, hai ancora una volta avuto il coraggio di sorprendermi.

Era passato qualche mese dall'inizio del lutto, vivevo alla giornata, trovando nella mia solitudine la mia pace, senza preoccuparmi d nulla.

Mi ero persino dimenticato delle ultime parole che ti avevo scritto, pensavo che anche quelle non avessero più senso.

Fu proprio al ritorno da una delle mie passeggiate che accadde.

Il sole di Maggio non era ancora tramontato, gli uccelli cinguettavano intorno a me, vidi una macchina bianca che stava ripartendo dall'ingresso della mia casa lasciando un passeggero che non conoscevo, proprio li.

Aumentai il passo.

Nonostante i capelli corti e grigi, nonostante la pancia leggermente prominente, nonostante tutte queste assonanze che mi ricordavano qualcosa, il cuore accelerò il battito nel mio petto, riconoscendoti prima della mia mente, ero ancora all'inizio della mia via, ti voltasti nella mia direzione e posasti la valigia sull'asfalto.

Solamente dopo che ti eri tolto le lenti scure che nascondevano i tuoi occhi inconfondibili, capii che eri veramente tu.

"Non è possibile" pensai mentre mi apprestai a correre, esclamando "Harry!".

Ti abbracciai d'impeto, notando un tuo irrigidimento iniziale.

"Potrebbe vederci qualcuno" sussurrasti piano vicino al mio orecchio, la tua stessa voce roca.

Mi soffermai un attimo su quel viso invecchiato, i tuoi occhi e il tuo sorriso erano rimasti immutati dalla nostra adolescenza.

Ti strinsi di nuovo a me con forza, rispondendoti "Tutti i miei vecchi vicini non vivono più qui, credimi, non importa proprio a nessuno chi abbraccio".

Il tempo, a discapito della nostra età, magari solo per prenderci in giro, mi parve proprio che in quei momenti si fosse fermato.

Eri tornato.
Eri con me.

Di fronte a un caffè mi raccontasti i tuoi oltre trent'anni in terra francese, mi parlasti del tuo lavoro e dei tuoi acciacchi, eri cambiato, invecchiato, ma il trasporto che provavo per il solo fatto che fossimo rimasti insieme nella stessa dopo tanto tempo, era rimasto identico.

Non mi capacitavo di quanto potere avesse il sentimento che si era cementificato dentro di me per tutto quel periodo.

Ti parlai della fine dell'agricoltura, della morte di Eleanor e della vita dei miei figli, per quel poco che li conoscevo.

Poi, all'improvviso, il tuo sguardo si fece serio.

Sospirasti, come se ci fosse qualcosa da raccontare, ma che non avevi il coraggio di dire apertamente.

"Non è stato facile per me lasciarti qui e andare via. Io...avevo il cuore spezzato".

Abbassai gli occhi sul pavimento, imbarazzato, temevo che saremmo arrivati alla resa dei conti.

"Non c'è stato un momento, durante i primi anni, in cui non facessi altro che pensare a te. Ti scrivevo, nella speranza che ti potessero arrivare tutte quelle parole che avrei voluto dirti, ma che non potevo esternare in nessun modo".
"Harry, io...".
"Fammi finire ti prego".

Mi bloccai, non senza notare i tuoi occhi lucidi, anche io mi sentivo commosso, mi pentivo per tutto il dolore che ti avevo arrecato.

Non ho mai smesso di farlo Harry.
Mai.

"Mi mancava tutto di te, anche se una parte di me ti odiava, per avermi lasciato partire da solo, in terra straniera. Ci ho messo anni a capire che la mia era solo un a fuga. Da te, da questo paese, dalla certezza che non sarei mai stato me stesso qui, recluso tra queste sbarre invisibili".

Accompagnasti la frase con un gesto eloquente della mano.

"Io non ho mai avuto il coraggio che hai avuto tu".
"Tu hai fatto la tua scelta: Non sta me giudicarla, se giusta o sbagliata. La mia, vista col senno di poi, era una richiesta assurda. Romantica, come i libri che leggevo di nascosto quando studiavo, ma comunque assurda".

Rimasi in silenzio, mi sentivo agitato, eri li vicino a me e parlavamo del passato e del male che ci eravamo inflitti, sospirasti, concentrando ancora il tuo sguardo verso di me, per poi riprendere il discorso.

"Quella era la mia strada, non la tua. Non mi pento di aver cercato di realizzarmi, anche se comunque una parte di me continuava a essere legata con un doppio nodo a te Louis".

Mi afferrasti la mano, quel contatto mi fece avvampare, possibile che continuassi a sentire desiderio per te?

Volevo a tutti i costi starti vicino e per farlo dovevo attraversare quel discorso sul dolore, ti guardai, cercando di essere il più indulgente possibile.

"Perché hai smesso di scrivermi?".

"Lo sai meglio di me Louis. La vita non ci aspetta, va avanti. Ho trovato un lavoro, mi sono comprato la casa, sono invecchiato e sono stato insieme ad altri uomini, con qualcuno ha funzionato anche per lungo tempo e, affinché ciò avvenisse, ho dovuto cancellare dalla mia mente tutte le cose in sospeso del passato. Tu eri una di queste".

Eri stato insieme ad altri, lo avevi detto.

Per quanto potessi averlo immaginato, sentirtelo dire fu come ricevere uno schiaffo.

Io avevo avuto soltanto te.

Ma c'era stata una moglie, dei figli, non potevo dar voce al sentimento di gelosia che sentivo graffiarmi dentro, non era giusto, eppure nel marasma generale che la tua visista aveva innescato, sentivo anche quello.

"Mi dispiace" dicesti "Mi dispiace aver interrotto la corrispondenza e che questo ti abbia fatto soffrire".

"Non ti scusare" sospirai "Era giusto che andasse così, ti meritavi qualcuno che ti desse tutto l'amore che non sono stato capace di darti. Sono io a dovermi scusare, per questo".

Rimanemmo in silenzio per un po'.

Incastrati in un gioco di sguardi reciproci, di attesa, di parole che non riuscivo a dire, di una domanda che mi stava trapanando la testa, ma che mi vergognavo a porti.

"E ora, stai con qualcuno?".

Mi facesti un sorriso, scuotendo la testa timidamente in segno di diniego.

Fu come sentire un peso che liberava il mio cuore.

Ebbi la conferma che eri tornato, e lo avevi fatto solo per me, fissai gli occhi su di te.

Ti amavo, ti desideravo ancora di più.

Volevo essere tuo.

Rimanemmo ancora in silenzio, seduti sul divano davanti a due tazzine vuote da tempo, ti guardavo, ricordandomi quel che eri stato e quanto avessi desiderato quel momento.

Agii d'istinto, lo riconosco, ma non seppi farne a meno.

Il sapore dolce delle tue labbra non era variato, la mia fame di te neanche.

Le nostre mani si agitavano con fare flebile, senza mai smettere di baciarti sentivo il mio cuore esplodere dall'emozione, erano trascorsi diversi anni dall'ultima volta che feci l'amore con qualcuno, eppure con stupore mi rendevo conto di essere ancora capace di sentire desiderio nei confronti di un corpo, che nel tuo caso mi era mancato come non mai.

Come due adolescenti eravamo li, in quel divano un po' stretto, la tua valigia ancora all'ingresso, la casa oscurata dal silenzio della solitudine, il desiderio premeva, nonostante la consapevolezza di una maturità che ci aveva scavalcato, rendendoci gli uomini che in quel giorno si amavano.

Ti fermasti un momento a guardarmi, per poi scoppiare a ridere.

"Hai dei peli bianchi sul petto!" esclamavi indicando il rado ciuffo che usciva dalla camicia mezza slacciata.

"Sai" dissi, nel completo imbarazzo "Forse non è più il caso di...".

"Fermo!".

Bloccasti, deciso, le mie mani che cercavano di coprirmi, eri di nuovo serio.

"Va benissimo così, non devi vergognarti, sei bellissimo anche ora Lou, l'uomo più bello che io abbia mai visto in tutta la mia vita".

Il tuo viso si strofinò in quel ciuffo incriminato, respiravi il mio odore.

Di certo avevi sentito il mio battito accelerare all'impazzata, ti presi per mano senza dire nulla, facendoti alzare per venire con me.

Entrammo nella mia vecchia camera da letto, dove da tanti anni non c'era più stato accenno alla passione.

"Ti amo Lou".

Con la luce di un abat-jour le nostre ombre si congiungevano senza imbarazzo, i nostri corpi non si impacciavano nel riscoprirsi, ripetendo quei gesti che avevano abbandonato da tempo.

Vestiti che si accatastavano gli uni sopra gli altri, la tua pelle nuda che brillava nuovamente di quella luce fatata, bastava chiudere gli occhi per ricordarsi delle nostre fattezze giovanili che facevano capolino nei mugolii di piacere.

In quel letto sfatto rimanemmo ore a vivere nella tenerezza di un deja vu, che ripercorreva le azioni per cui eravamo nati e per le quali aravamo vissuti tutto quel tempo.

Pur nella diversità fisica, l'amore che sembrava aver dormito si era in realtà amplificato, rinforzandosi.

Era ormai buio quando me lo chiedesti.

Volevi tornare li, per l'assurdo bisogno di sincerarti che in tutta quella vita, almeno il nostro posto fosse rimasto immutato.

Guidai la macchina nonostante la usassi davvero poco, come allora, c'era la luna piena ad accompagnarci in quel viaggio, laddove non fu possibile proseguire in auto, ci andammo a piedi.

Rimanemmo in religioso silenzio nel nostro passo affaticato, sotto di noi le luci del paese proiettavano immagini intermittenti, sembrava dormisse, inconsapevole di quei due quasi sessantenni quali eravamo, che si recavano in pellegrinaggio verso le loro radici.

La radura sembrava intatta, e la pozza argentata era solo più grande di quanto mi ricordassi.

"Che fai?".

Sussultai mentre ti guardavo spogliarti per poi correre verso l'acqua.

"Se ci beccano, ricordati di dire che siamo nudisti, va molto in voga in Francia ultimamente".

Guardavo il tuo corpo nudo emergere dall'acqua, illuminato dalla luna.

Come allora.

"Possibile che non abbia mai smesso di amarti così tanto, nonostante la separazione Harry?" mi chiedevo.

"Non vieni?" mi urlasti.

Mi spogliai ridacchiando, per poi raggiungerti, facemmo ancora l'amore, mai mi ero sentito così felice in tutta la mia intera vite e lo dovevo a te soltanto.

Rientrammo a casa all'alba, dormimmo nello stesso letto, abbracciati, ricordo che ti osservai per molto tempo mentre dormivi bellissimo, stretto tra le mia braccia.

Il tuo viso disteso emanava pace tra i respiri sommessi.

Io ero li, sospeso.

Incredulo, forse.

Innamorato.

Quel miracolo accadeva in fretta e non sapevo quanto fosse giusta la mia gioia, non pensavo che, sentendomi così, offendessi la memoria di Eleanor, della quali tu in quelle notti occupavi il posto.

Era un disagio più profondo di questo.

Io ti avevo ferito, ti avevo deluso spezzandoti il cuore, tu eri andato via aspettandomi, attendendo la mia consapevolezza per tornare e portare una ventata di freschezza laddove ormai credevo che non potesse esistere più nulla.

Riuscii a dormire dopo qualche tempo, stringendoti più forte a me.

Rimanemmo insieme per tre giorni.

La tua valigia rimase sempre all'ingresso, quasi a ricordarci che nulla poteva durare in eterno.

Avevamo strutturato con naturalezza una nostra quotidianità, quella che mi sembrava impossibile da avere in gioventù, due uomini potevano vivere come una coppia sposata, quindi?

Si che potevano farlo, ne eravamo la dimostrazione.

Ore a parlare di tutte le cose che ci erano accadute in tutti quegli anni, il resto del tempo eravamo nudi a sfamarci, raggiungendo limiti che forse non esistevano per i nostri coetanei, ma era dannatamente bello, e io non riuscivo a smettere di desiderare continuamente di rifarlo.

Anche questo era il mio modo di dimostrare l'amore che non potevo dire e che nemmeno mi chiedevi più, credo che avessi capito che nei miei gesti si nascondeva ciò che per me era ancora impronunciabile a voce.

Non andasti nemmeno a trovare tua sorella che forse non sapeva neanche della tua presenza qui.

In quei tre giorni c'eravamo soltanto tu e io.

L'ultimo pomeriggio attendevi il taxi, non smettevi di abbracciarmi e di dirmi "Ti amo".

Ti rispondevo con mezzi sorrisi, cercando di gestire la paura di quel vuoti, che di certo mi avrebbe oppresso quando non ci saresti stato più.

Guardavi fuori dalla finestra, in attesa del suono di clacson che ti avrebbe portato via da me, io che non osavo dire nulla.

"Sai, pensavo che è stato bellissimo rivederti Louis".

Non ti eri voltato, non capivo perché non osassi farlo.

"Anche per me".

"Ne è valsa la pena di rinunciare a te per trent'anni, solo per questi tre giorni, io non ho mai smesso di amarti".

Ti posai una mano sulla spalla.

"Tra tre anni e mezzo andrò in pensione, cercherò di tornare qui fino ad allora, ma solo a una condizione: desidero che tu venga a vivere con me".

Sgranai gli occhi nell'ascoltare quelle parole.

"Questo amore, che in tutti questi anni abbiamo cercato di nascondere, per paura di quello che avrebbero detto, merita di più Louis. Se andiamo in Francia sarà tutto diverso. Ci potremmo amare alla luce del sole e staremo insieme nella vecchiaia come in questi tre giorni. Solo noi e i nostri sentimenti".

Desideravo andar via con te, non c'era più nulla che mi legasse a questa terra, i miei figli sarebbero stati bene anche in mia assenza.

L'unico mio vincolo ormai eri tu.

"Che ne dici? Vuoi provarci amore?" ti eri voltato verso di me, in attesa di una risposta.

"Si".

Non credevo nemmeno io al mio coraggio, avevo finalmente deciso di fare quel salto.

"Ne sei sicuro?".

I tuoi occhi lacrimavano.
Era gioia? 
Penso che fosse così.

"In tre anni e mezzo avrò modo di sistemare le poche cose che mi rimangono da fare, aspetterò che tu venga a prendermi per venire dovunque tu mi voglia portare".

D'impeto ti strinsi le mani tra le mie nel dirtelo, ci baciammo a lungo dopo quelle parole, non ci stavamo dicendo addio, ma soltanto arrivederci.

Ti accompagnai alla porta e ti aiutai a caricare la valigia nel bagagliaio del taxi, ci scambiammo un altro abbraccio mentre l'autista ti aspettava con pazienza.

"Devo credere alla tua promessa amore?" sussurrasti.

"Te lo giuro Harry, è ora che noi due viviamo quello che ci siamo negati per tutta la vita".

I tuoi occhi erano pieni di gioia e amore immenso.

Ho ancora chiaro, quasi come fosse successo ieri, il movimento della tua mano dietro al finestrino mentre l'auto si allontanava.

I tempi erano maturi.

Potevo realizzare quel desiderio troppo a lungo sopito, il tuo saluto era un arrivederci e io ci contavo sul serio, non avevo pensato a come mi sarei giustificato con i miei figli, a cosa ne avrei fatto della casa in cui erano cresciuti.

Non era quello il momento di farlo.

Il taxi si allontanava per poi scomparire, nonostante la mancanza, non potevo fare altro che sorridere, avevo di nuovo un obiettivo davanti.

Il vuoto, che sarebbe stato provvisorio, non mi faceva più paura.

Era arrivato il nostro momento, mi avevi regalato l'opportunità che attendevo da tutta una vita.

**

I nostri incontri, imprevisti a parte, continuarono ad avvenire in maniera regolare.

Riuscivo a gestire le mie due vite, agevolato soprattutto dai lunghi periodi di assenza per via dei tuoi studi.

Non parlammo mai più di mio figlio e del suo battesimo, con discrezione ti informavi sulla sua crescita ma senza mostrare più interesse del dovuto, avevi sempre un velo leggero di malinconia in quei momenti, che scuriva appena il verde brillante dei tuoi occhi.

Nel frattempo era arrivata anche Doris.

Ero così distratto da loro, da ogni piccolo progresso, dal solo pensiero di essere padre e di aver contribuito a quel miracolo, che non mi rendevo conto delle variazioni che pian piano avvenivano intorno a me.

Non mi era mai sorto il pensiero che tu potessi sentirti messo da parte; tutto quello che mi rendeva appagato, la mia famiglia, il mio lavoro o il sesso clandestino con te, non pensavo che invece ti facesse sentire un oggetto usato solo per abbellire la mia esistenza.

Capitava che arrivassi trafelato ai nostri incontri notturni, in costante ritardo per poi raccontarti di un nuovo sorriso di Doris o delle prime corse del fratello, e che poi mi addormentassi tra le tue braccia senza nemmeno baciarti e chiederti come stessi.

Ero così preso da me stesso da non rendermene conto.

Tu pian piano stavi cambiando, come se qualcosa di definito avesse iniziato a sfiorire dentro di te.

Sorridevi meno, a volte ci incontravamo e pretendevo di far l'amore subito, con violenza, di fretta, e dopo andarmene per aiutare Eleanor con i bambini la notte.

A volte nemmeno ci venivo ai nostri incontri, ma tu non protestavi mai, preferendo chiuderti nel silenzio, i tuoi occhi si intristivano, aspettandosi da me un cambiamento che tardava ad arrivare, un desiderio di rivalsa che, come al solito, riguardava il tuo amore per me e che io nemmeno conoscevo o potevo immaginare.

Erano trascorsi più di quattro anni dal nostro primo incontro, i tuoi studi si stavano concludendo e tu eri teso per il futuro, temevi di rimanere incastrato al paese, del quale non pensavi di far parte, ma nel contempo ti ci incatenavi solo per colpa mia.

Volevi fuggire, eppure sapevi che non potevi farlo senza rinunciare a qualcosa.

Accadde che una sera ti feci esplodere.

Arrivai al nostro solito capanno con almeno mezz'ora di ritardo, i bambini avevano avuto uno strano raffreddore primaverile, avevo fatto i salti mortali per non mancare all'appuntamento, tu eri li ad attendermi come sempre.

Ti diedi un bacio in velocità, avevo ancora il fiatone.

"Doris non ha più la febbre, ma non posso trattenermi più di tanto questa sera, devo dare il cambio a mia moglie" dissi iniziando ad armeggiare con i bottoni dei tuoi pantaloni.

Le tue mani mi scostarono.

"Puoi sempre tornare subito dalla tua famiglia".

Pensando a uno scherzo , ti sorrisi per poi cercare di riafferrare il tuo bacino.

"Dai, te l'ho detto che non ho molto tempo oggi!".
"Lasciami stare, non sto scherzando. Non ho voglia di stare con uno che pensa ad altro quando è con me".
"Che ti prende ora?".
"Che mi prende? C'è che sono stufo! O io non ho il diritto di stufarmi?!!".

Mi resi conto che i tuoi occhi fiammeggiavano, mi bloccai.

"Hai qualche problema? Vuoi farmi perdere ancora tempo?".
"Io per te sono tempo perso? Mi stai dicendo questo?" la tua voce si era fatta alta e stridula.

"Certi atteggiamenti non li permetto a mia moglie, meno che mai a uno come te".

La rabbia cominciava a montarmi dentro, volevo averti e non potevo permetterti di fare il prezioso, non dopo una dura giornata.

"Uno come me?".
"Si. Non ho voglia oggi di giocare, sono stanco. Ho lavorato massacrandomi e la mia famiglia mi aspetta. nonostante questo sono venuto qui, ma non voglio sentire scenate da femminuccia!".

"Sarei io la femminuccia? Perché tu che ci vieni che cosa saresti?".

Mi scaglia contro di te, sentirsi dare del frocio era un affronto troppo grande per me, qualcosa che non sapevo e non potevo accettare.

"Cosa cazzo stai dicendo Harry? Dove cazzo vuoi arrivare?".
"Toglimi le tue...".
"Te lo dico io che cosa succede a quelli come te, fanno una brutta fine. Non sfidarmi mai più Harry, non pensarci mai più. sarò anche un ignorante del cazzo, ma so come va il mondo e se lo rifai di nuovo ti giuro che ti spacco quella bella faccia che ti ritrovi!".

Ti rialzasti, cercando di scuoterti la terra dai vestiti.

"Pezzo di merda!".
"Allora qual è il tuo problema?".

"Il mio problema è che sono stanco di amare qualcuno che mi scopa e poi si dimentica di me!".
"Quello che facciamo mi sembra piacesse a entrambi".

"Da quanto tempo non mi guardi più Louis? Da quanto tempo?!".
"Cosa vuoi dire?".

Scuotevi la testa, guardandomi con il tuo sorriso amaro, io non capivo cosa stessimo facendo.

"Mi sono innamorato di te, ho capito di amarti da quel giorno in cui mi hai guardato, mentre facevo la vendemmia, tu allora eri diverso, eri tramortito da quello che ci stava accadendo. Me lo vuoi dire che fine ha fatto quel Louis?".

Afferrasti le mie mani, ti scendevano lungo le guance e poi sul collo le prima lacrime.

"Tu non sei più lo stesso con me Lou, stiamo insieme solo se ne hai voglia, ma non mi guardi più come allora...ora la tua famiglia ha occupato ogni cosa. Io, che posto ho nel tuo cuore?".

Era vero?

Le tue parole mi pietrificarono, non riuscivo a rispondere, non potevo nemmeno deglutire, ero sbigottito, possibile che ti portassi dentro un fardello del genere senza che io me ne fossi accorto?

Possibile che tu fossi arrivato così oltre a quello che io pensavo dovessimo essere?

"Io mi sveglio ogni giorno con l'unico pensiero di te, desidero stare con te, vivere per te. La mia famiglia sei tu e voglio di più da noi due. Non lo capisci?".

Mi scostai di un passo da te.

"Io..non posso. Non posso darti quello che mi stai chiedendo".
"Perché? Io ti amo davvero, per te non è così?".

Le lacrime continuavano a cadere dai tuoi occhi feriti, una luce fioca della candela smossa dalla brezza faceva danzare le nostre ombre sulle pareti.

Il mio cuore correva.

Avevo in mano i tuoi sentimenti, la tua esistenza forse.

Ma non avevo il coraggio di appropriarmene.

"Io ho una famiglia, la mia vita. Non posso rovinare ogni cosa per un sogno senza futuro. Cerca di capirlo".
"Pensi che noi due siamo senza futuro?".

Urlai con forza.

"Non esiste un futuro per noi due Harry, quello che abbiamo fatto sinora c'è perché ci va di farlo, ma un pensiero di vita insieme è sbagliato! Questa è una relazione malata, non ci può essere altro tra noi!".
"Perché dici questo?".

Singhiozzavi.

Eri caduto in ginocchio, ferito dalle mie parole, infangandoti nelle tue stesse lacrime.

"Perché mi ferisci così Louis? Cosa ti ho fatto io per non meritare nemmeno un briciolo del tuo amore?".

"L'uomo deve amare solo una donna e costruirci una famiglia, questa è l'unica regola, noi abbiamo sbagliato a varcare questa linea quando abbiamo iniziato!".

"Ma io mi sono innamorato di te!".

"E io ho una moglie e dei figli di cui devo prendermi cura, non posso che regalarti questa manciata di ore per fare l'amore con te. Non posso darti nient'altro!".

Rimanemmo in silenzio.

Pian piano tu ti calmasti, rialzandoti.

"Scusami, è che sono stanco di vivere nell'ombra, aspettandomi qualcosa che non verrà".
"Io devo andare" risposi "Ci vediamo".

Mi incamminai senza aspettare una tua risposta, il mio cuore batteva ancora forte, le tue parole mi trapanavano la mente e non riuscivo a comprendere perché le avessi dette.

Cominciai a temere che il mio piccolo mondo perfetto potesse subire degli scossoni e non dovevo permettere che ciò accadesse, per la prima volta non sentii il tuo sguardo seguire i miei passi.

Ciò mi rese ancora più inquieto.

Avevo capito che tu desideravi da me qualcosa che non ti potevo dare e per quanto nel mio intimo potessi volerlo, al pari di te, sapevo che mai avrei avuto il coraggio di fare una scelta del genere.

Anche se avrebbe significato che ti avrei perso per sempre.

**

Oggi il sole splende nel cielo.
Sento un nuovo profumo nell'aria, amore, non è cambiato niente, eppure so che c'è.
Sono qui, mentre mi attardo prima di andare a lavoro e ti penso.
Chissà cosa sentirai quando vedrai le cose che vedo io da questa finestra.
Le immaginavi così?
Io non sto più nella pelle Louis.
Il tempo spero che passi in fretta, molto in fretta, per riaverti con me e dedicarci tutto quello che ci siamo negati.
Questa non è più la mia casa, io non sono nemmeno più mio.
Sarà tutto quanto nostro, finalmente nostro.
Ti penso.
Mi manchi, vorrei averti qui, ma dobbiamo aspettare ancora.
Passerà in fretta.
Ti amo. 
Tuo Harry.

Avevi ripreso a scrivermi, come se ci fossimo lasciati solo per un breve periodo.

Le tue parole, le tue righe, erano diventate per me il nostro appuntamento fisso, mi aiutavano ad andare avanti, a sperare in un futuro non troppo lontano.

Non ero più solo.

Avevo ritrovato te.

Qualche volta, ma di rado, mi avevi anche chiamato.

La tua voce, nonostante le interferenze e il senso di lontananza, mi faceva toccare il cielo con un dito, il mio tempo scorreva in attesa di quel giorno in cui saresti venuto a prendermi.

Fu così che trascorse il primo anno, poi il secondo e il terzo.

Più passavano i giorni più mi sentivo eccitato all'idea di quella nuova vita che avevi deciso di regalarmi, nonostante i miei rifiuti degli anni precedenti.

Ero libero da ogni vincolo, potevo finalmente dedicarmi a te.

Potevo essere tuo.

Ma qualcosa si infranse.

Era quasi arrivato il termine del nostro appuntamento e persi nuovamente le tue tracce, non ricevetti più nessuna parola, nessuna telefonata.

Dopo qualche tempo il tuo numero di telefono non squillava più, mi rispondeva una voce straniera, della quale non capivo una parola.

Da principio pensai a un trasferimento e non me ne preoccupai, ma i mesi continuavano ad andare avanti nel silenzio, mentre un profondo senso di delusione e sospetto mi attanagliavano dentro.

Ti eri dimenticato di me?

Oppure era questa la vendetta per tutto il male che ti avevo fatto?

Nonostante questi presentimenti mi attaccai alla speranza, che quanto più mi teneva a galla, tanto più continuava a dilaniarmi dentro.

Ricordo che, a volte, ero preda dello sconforto, era in quei momenti che mi rifugiavo in camera da letto, oscuravo le finestre e mi spogliavo interamente, la mia mano vagava sul mio corpo, mentre io cercavo di ricordare il tuo odore, la tua pelle, giovane o attempata che fosse.cercavo di averti vicino nell'unico modo che mi restava possibile.

Trascorsero altri due anni, prima che la rassegnazione si impadronisse di me.

La valigia rimaneva sempre al solito posto, chiusa dentro l'armadio e, per quanto mi ci sforzassi, ogni mio pensiero ritornava sempre li.

Ti eri dimenticato di me Harry?

Qualcuno ti aveva portato via, facendoti scordare ciò che ci eravamo detti?

Perché non me lo avevi scritto?

Avevi incontrato qualcun altro?

Un giorno vidi Gemma, per caso.

Anche lei nera rimasta da sola dalla morte dei tuoi genitori, non capitava mai di vedersi, men che meno da quando Eleanor non c'era più.

Lei mi salutò in maniera piuttosto fugace, ma io non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, aveva il tuo sguardo, la tua bocca, proprio su quel viso mi accorsi che c'era qualcosa di te.

Non so perché lo feci, fu un'azione insensata, i miei piedi si incamminarono, seguendo i suoi passi fuori dal negozio nel quale ci eravamo incontrati.

Erano passati ben cinque anni dal nostro ultimo incontro, dovevo sapere che cosa stesse succedendo. era l'unico modo per abbandonare i nostri piani o continuare a sperare per me.

Quando voltò per il vicolo che portava verso la vostra vecchia casa, aumentai il passo.

Non c'era nessuno in giro "Gemma" urlai.

Lei si fermò, ma non si girò nella mia direzione.

"Cosa vuoi?".
"Ho bisogno di parlarti".
"E in cosa mai potrei esserti utile Louis Tomlinson?".
"Voglio sapere di Harry".
"Cosa vuoi che ne sappia io di quello?"
"Non vi sentite da molto?".

Quando finalmente si era voltata rividi ancora quello sguardo duro che mi aveva riservato per gran parte della nostra conoscenza.

"Cosa te ne importa di lui?"
"E' da un po' che non ho sue notizie" dissi inquieto.

Nel mio viso c'era tutta la determinazione possibile, ma dentro tremavo alla sola idea dia ver confessato a qualcuno che c'era stato un contatto tra di noi, ormai ero disposto a tutto, non m'importava più nulla.

Il rispetto delle regole, la paura di una punizione suprema che avremmo potuto avere per quell'amore impronunciabile e che in tutta la esistenza mi avevano privato della felicità.

In quel momento desideravo solo che ciò che era andato perduto, mi venisse restituito.

Nel suo viso si dipinse un sorriso sardonico.

"Quel demonio con la sua esistenza ci ha rovinato la vita, credi che non lo sappia?".

Mi sputò in faccia la sua ira.

"Sapere che cosa Gemma?" strinsi i pugni.

"Tu e quell'altro avete rovinato la vita della povera Eleanor, l'hai uccisa con il tuo peccato e lei non se lo meritava. Mi fai schifo!".
"Non ti permettere di tirare in ballo il buon nome di mia moglie" mi infuriai a tal punto che le presi un braccio, torcendoglielo appena, ma lei non arretrava, non aveva ancora finito di tirar fuori la verità.

"Tu non sei degno di chiamarla moglie, cosa credi che io non sappia cosa è successo quella notte che hai seguito Harry sul monte, poco prima del matrimonio? Vi ho visti schifosi! Passeggiare sotto la luna, denudarvi e abbracciarvi come due bestie malate! So ogni cosa Louis Tomlinson!".

"Tu non sai niente e non capisci le cose che hai visto!".

Le strinsi ancora più forte il braccio.

Le vidi luccicare gli occhi, provai un leggero sgomento per quel momento che stavamo vivendo.

"E allora cosa vuoi da me?".

Mi resi conto che iniziavo a farle male, ma non potevo ancora mollare la presa.

"Dov'è Harry?"
"Non lo so".
"Continui a mentire!".
"Vuoi sapere dove sta quello schifoso del tuo amichetto? Non ha fatto in tempo a dirtelo che è morto?".
"Cosa stai dicendo?".
"Che è morto due anni fa, solo come un cane come si meritava. Un ictus se lo è portato via!!".

Rimasi basito, come se un'intera diga mi fosse crollata addosso senza che avessi la forza di scansarmi, lei, con uno strattone, si liberò il braccio dalla mia presa.

"Tu menti" sussurrai.

"No che non mento, è morto".

"E perché non è stato riportato qui?".

Lei mi guardò ancora come se volesse incenerirmi li su due piedi.

"Mi hanno chiamato, me lo hanno pure chiesto, ma io non l'ho voluto qui. E' rimasto in Francia quel demonio!".
"Non permetterti di offendere la sua memoria!" la mia voce venne rotta da un pianto improvviso.

Gemma si allontanò da me.

"Dimmi dov'è seppellito!".
"Non te lo dirò mai. Hai offeso tua moglie, questo paese. Che tu muoia senza sapere dove sta il tuo amante!!".

Le acchiappai una spalla, ancora in preda all'emozione e alla rabbia.

"Che tu sia maledetta Gemma Styles".

Lei si allontanò ancore e riprese a camminare voltandomi le spalle, quando scomparve dietro la porta di casa sua me ne andai anch'io.

Fu così che scoprii di averti aspettato invano.

Mi era rimasto un unico obbiettivo, doveva darti il mio saluto, ovunque tu ti trovassi, dovevo raggiungerti.

In una sola mattina di sole si erano cancellati tutti i miei propositi.

Mi recai alla nostra fonte, rimanendo per ore a guardare la pozza d'acqua dove ci eravamo amati, lacrime silenziose mi colavano sul viso, per poi disperdersi tra gli abiti e poi per terra.

Il nostro monte aveva vinto forse, portandoti via per sempre da me, ma ci aveva regalato anche i nostri ricordi più veri, quelli che fino a oggi ho conservato nel mio cuore.

Eri morto e io non ero mai riuscito a dirti tutto quello che avrei voluto.

Non ti avevo detto che ti amavo.

Eri morto Harry.

Io ero li, a rendermi conto di tutto ciò che non poteva tornare più indietro.

Ero rimasto nuovamente solo.

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Capitolo 4
*** Quarta parte ***



Eri diventato un uomo, sul serio.

Me ne accorsi in un giorno solo.

E' stato quando venisti a dirmi addio, prima di partire per la tua nuova vita. era passato a malapena un anno dalla tua scenata insensata di gelosia e nei pochi incontri che seguirono cominciai a rendermi conto che qualcosa bolliva nella tua testa.

Ti eri lascito crescere i capelli che ti contornavano il viso in morbide onde di cioccolato, eri diventato uno di quei giovani cittadini che da noi non si vedevano mai.

Nel pomeriggio eri venuto al terreno e, avvicinandoti a me, con la solita discrezione, dicesti "Ti devo parlare stanotte".

Io annuii.

Così com'eri arrivato andasti via, silenzioso.

Non compresi la portata delle tue parole fino a quando non ti raggiunsi quella notte, avevo pensato che quella richiesta fosse il tuo ennesimo modo di salvaguardare il nostro segreto da orecchie indiscrete.

Appena arrivato cercai di baciarti d'impeto, ma tu ti scansasti dicendo "Prima devo parlarti".

"E di cosa mai dovrai parlarmi, di grazia? Sono mesi che non ti vedo".
"La tua vita è andata avanti comunque".

Avevi uno sguardo determinato, ti virgolettava tra le ciglia lunghe senza che tu, nella voce, mostrassi remore.

"Cosa intendi dire?"Non riuscii a controllare l'inflessione del mio tono, quel tuo strano modo di non concederti a me come avevi sempre fatto in passato, aveva iniziato a innervosirmi.

"Intendo dire che ho capito di dover andare avanti anche io, non posso più rimanere vincolato a questo posto che non mi da niente".
"Cosa significa? Forse quelle belle mani curate ti impediscono forse di coltivare la terra?".

"Non è quello che voglio fare Louis, io ho bisogno di andare via da qui, sono venuto per dirtelo. Partirò tra una settimana!".

Avevi preso il controllo della situazione in una maniera che mi intimoriva, mi avevi appena detto che saresti andato via, che ti avrei molto probabilmente perso, non riuscivo a crederci.

"Non avevi finito per quest'anno con gli studi?"
"Ho un diploma ormai, grazie ad alcuni contatti ho trovato un'offerta all'estero, in Francia".
"E la tua famiglia?".

La tua mano mi accarezzò la guancia con delicatezza.

"Non c'è posto per me. In questi anni, per quanto ti abbia amato, non mi sono mosso di un passo dal buio di queste pareti Lou".
"Con questo cosa vorresti dire? Che finora non ti è mai piaciuto stare con me?" scostai la tua mano con rabbia, la tua presa di posizione continuava a non piacermi.

"Per questo sono qui. Se davvero non vuoi perdermi, te lo chiederò una volta soltanto. vieni con me amore mio".

Mi guardavi con speranza, a me caddero le braccia.

"Rimani tu" fu l'unica cosa che riuscii a dire.

"Perché dovrei farlo? E' l'occasione di tutta una vita!" iniziavi a esasperati anche tu "Che cosa saresti in grado di offrirmi tu per farmi restare?".

"Potremmo continuare a vederci".
"E poi? Dopo che torni a casa fai un altro figlio con tua moglie?".

Mi avvicinai al tuo viso.

"Stammi a sentire Harry, sai bene che io ho una famiglia cui badare e, nonostante questo, sono qua a parlare con te di cretinate e di Francia. E questa Francia sarebbe poi così migliore di tutto quello che ti ho dato in questi anni in cui ho peccato solo per te?".

"Perché stare con me è un peccato?".
"Di fronte a Dio si!".

"Bene, se è questo ciò che pensi non abbiamo altro da dirci, tu hai la tua vita, io la mia l'ho ipotecata per te, per continuare a farmi usare al buio, in mezzo alla polvere, ma io desidero di più: Te lo ripeto ancora: vuoi venire con me?".

Non ero abituato a farmi tenere testa da te, alla luce di quella candela riuscivo a scorgere tra le ombre una sorta di aura che ti si era posata intorno.

Eri deciso, per quanto potessi protestare non avrei mai potuto farti tornare indietro sulle tue scelte, strinsi i pugni per poi rilassarli nuovamente, non avrebbe avuto senso scagliarmi ancora contro di te.

"Io qui ho la mia famiglia, il mio posto è questo".

Mi volsi, pronto ad abbandonare quell'assurda arena in cui mi avevi portato senza preavviso.

"E' questa la tua scelta? Non vuoi neanche provare a vivere con me Louis? Riuscirei a renderti felice, magari in Francia troveremo il modo di poter stare insieme senza la pressione del giudizio altrui".

Anche se avevo smesso di guardarti, riconobbi la tua voce rotta dalla commozione.

"Hai già la mia risposta, se vuoi lasciarmi parti Harry".
"Sei tu che stai lasciando me, per te è sempre stato tutto facile, io sto soltanto rivendicando il diritto a realizzarmi".

Ci fu qualche singhiozzo sommesso.

Dentro mi sentivo esplodere, avrei voluto quasi picchiarti per poi riempirti di baci, non ero arrabbiato a causa tua, ce l'avevo soltanto con me stesso, perché non volevo chiudere, ma non avevo il coraggio di tenderti la mano per seguirti.

"Te ne pentirai Louis, non piango per il tuo rifiuto, non è il primo. Piango solo perché ti renderai conto di aver sbagliato quando ormai non ci sarò più".

Non ti risposi, andandomene via come qualsiasi persona, durante una processione.

Con la morte nel cuore.

"Ti scriverò, così saprai dove trovarmi se vorrai ripensarci!" mi urlasti dietro.

Alzai la mano mentre camminavo, non mi avevi seguito, lasciandomi così, da solo.

Ma fu meglio per me.

Avevo ben chiaro il peso di quell'addio, non volevo che tu potessi scorgere le lacrime silenziose che mi cadevano dagli occhi, nonostante io continuassi a cancellarle con il braccio.

Fu quella l'ultima volta.

Per un lunghissimo periodo, corrispondente a gran parte della mia vita, non ti vidi più.

Non avevo bisogno di ritornare indietro, anche se avrei potuto, alla lunga le tue braccia mi avrebbero riaccolto, ma ero arrabbiato con te, e con me stesso, per essermi lasciato mettere alle strette.

Tu guardavi il pavimento polveroso del capanno, le tue lacrime bagnavano i tuoi piedi, la tua mascella contratta, le tue labbra che si serravano, che non mi dicevano nulla di quello che tu eri per me.

Io me n'ero già andato.

E' questa l'ultima immagine che mi rimaneva di te.

**

Mi ci erano voluti altri cinque anni per farlo sul serio, quel viaggio.

Non dissi nulla a nessuno, se non a Doris, ma senza svelarle la mia destinazione.

Il giorno della partenza chiusi tutte le imposte di casa, non sapendo se mai vi sarei tornato, avevo una sola valigia, non mi servivano molte cose da portare con me, quelle più importanti ormai erano ricordi, anche se polverosi, che custodivo dentro di me.

Non ero mai andato prima in un aeroporto e, anche se pensavo che l'uomo non era fatto per volare, ci andai.

Lo feci per te.

Due anni dopo l'incontro con Gemma trovai nella mia cassetta della posta un biglietto, non seppi mai chi lo avesse imbucato, c'era dentro un indirizzo francese, con parole che non capivo, ma mi si riaccese la speranza.

Il risultato fu prendere un aereo, sedermi in quello spazio ristretto nel più completo imbarazzo, non fu così terribile il viaggio, tutto sommato, lo passai chiedendomi che cosa avessi pensato tu quando te ne andasti, dopo avermi rivisto e avermi rifatto la tua proposta.

Eri felice Harry?

Pensavi a me e a come avremmo finalmente coronato il nostro sogno di una vita insieme?

Ero quasi emozionato, mi trovavo su un aereo e lo avevo fatto solo per venire da te.

"Sto arrivando, amore mio" ti dicevo nei miei pensieri "Tra poco sarò li".

Nessuno avrebbe più potuto frapporsi tra di noi.

Tenevo in tasca quel biglietto temendo di perderlo, ogni tanto lo accarezzavo con le dita, quasi fosse la tua pelle lucente, ancora non ci credevo, non riuscivo a pensare di aver fatto quel passo per venirti a trovare.

Chissà come sarebbe stato stringerti la mano in quei momenti, sentirne il calore mentre ti voltavi a sorridere, accanto a me, e venir cullato con dolcezza dai tuoi occhi verdi e pieni d'amore.

Ma la vita continuava ad essere imperfetta, l'avevo ormai capito anch'io, dovevo accontentarmi di vivere quelle esperienze solo nella mia mente.

Una volta messi i piedi sul terreno di quel paese straniero, respirai a lungo, cercando il odore, non me la presi, anche se non riuscii a trovarne traccia.

Posai la valigia nella mia camera d'albergo e uscii subito, senza nemmeno lavarmi.

Ero libero.

Non mi importava in quale modo mi sarei presentato da te. sporco, sfatto o stanco, so che mi avresti accolto ugualmente.

Trovai un taxi, mostrai quel biglietto e l'autista fece tutto il resto, comprai un giglio candido all'ingresso, c'era ancora luce, era appena iniziato il pomeriggio e intorno a me danzavano il bianco con il grigio del cemento e il verde sonnacchioso degli alberi.

Quel luogo era molto più grande di quanto immaginassi.

Iniziai a cercare, orientandomi sulle date.

Ci misi un po', lo ammetto, ma non c'era fretta, volevo gustarmi piano piano il momento del nostro incontro.

Ti trovai finalmente.

C'era scritto il tuo nome.

Ti toccai.

Intorno a me non c'era nessuno.

"Sono arrivato amore mio" sussurrai.

**

Le mie lacrime oscuravano un poco quella vista, ma non mi importava, avevo messo in conto che sarebbe accaduto, continuai ad accarezzarti.

"Sono io, sono finalmente arrivato da te, lo so ci ho messo tanto tempo, una vita intera, ma sono qui adesso".

Non sono mai stato uno di tante parole, ma quel pomeriggio ero presente per parlare con te, per dirtele quelle maledette frasi che per tanti anni avevano sostato solo nella mia gola, nel mio cuore senza mai uscire.

"Ti ho portato un fiore, spero che ti piaccia e che ti faccia compagnia amore mio".

Ero solo un uomo, anziano ormai, che aveva raccolto il suo coraggio tutto insieme ed era venuto dall'unica persona a cui non avrebbe mai voluto fare il male che invece aveva commesso.

I miei capelli grigi ondeggiavano nella brezza, le mie lacrime mi bagnavano il viso.

"Perdonami se non ti ho dato quello di cui avevamo bisogno, perdonami se non sono riuscito a dirti di amarti come meritavi".

Ero solo un uomo anziano che iniziava a piangere sulle nostre vite.

"Mi manchi Harry" riuscii a dire ancora prima di singhiozzare forte.

Rimasi li fino a chiusura, non smisi nemmeno per un momento di piangere, avevo accumulato dentro più di sessant'anni di dolore, che prima o poi sarebbe dovuto esplodere, non mi importava se qualcuno mi avesse visto, mentre accarezzavo la tua lapide fredda.

Nei miei ricordi faceva capolino il tuo bellissimo viso, in tutti i momenti in cui noi eravamo realmente vissuti.

Ero venuto soltanto per te Harry.

Te lo avevo giurato, in tutte quelle notti in cui eravamo stati lontani.sarebbe stato diverso, lo sarebbe stato.

Ero li, solo per dimostrartelo.

**

Doris è stata con me tutto il pomeriggio.

Avvertivo che nell'aria ci fosse qualcosa; come un sospeso che faticava ad emergere.

Mi accarezzava la mano, per tanto tempo non ha detto nulla e questo l'ho trovato insolito.

So che lei ti sarebbe piaciuta, Harry, ne sono convinto.

"Sai papà, ci ho pensato molto in questi ultimi anni, e non riesco a tenerlo più per me, volevo dirti soltanto che ti capisco. Ho compreso molte cose di te, persino di tutti quei gesti che hai cercato di nasconderci".

Le sue parole avevano il potere di mettermi in agitazione e in qualche modo lei se ne doveva essere resa conto.

"E' stata mamma, diverso tempo fa, poco prima che morisse, a parlarmi di te e Harry, glielo aveva confidato Gemma. Per tanti anni la mamma ha taciuto su questo argomento, la capisco, lei ti ha amato...ci ha amato così tanto, da mettere tutti noi prima di ogni cosa, anche del sospetto di un atto, che era indicibile, come la vostra relazione".

Mi mancava il respiro, fra tutte le cose che mi sarei aspettato di sentire da lei, questo era un discorso a cui non potevo essere preparato.

"Sono convinta che la mamma se ne sia andata felice, per tutto quello che avete costruito, per quanto fosse conscia di essere sempre stata la tua seconda scelta, è di te che, invece, sono preoccupata, perché dentro il mio cuore sento quanto tu possa aver sofferto per non averlo avuto al tuo fianco".

Lei mi ha stretto la mano, ne sentivo il calore, una lacrima mi ha bagnato il viso, mi ha accarezzato dolcemente la guancia, facendola sparire.

"L'anno scorso ho trovato la vostra corrispondenza, è stato in quel frangente che ho capito quanto lo amassi e quale fosse l'entità della tua rinuncia in nostro favore, per mandare avanti la nostra vita".

Doris rimase in silenzio per qualche secondo prima di riprendere, lo giuro Harry, non sapevo più che cosa pensare, dentro soffrivo, soprattutto perché non avevo le forze per dirle qualcosa, una qualsiasi.

"E' stato difficile per te, lo immagino. Non credo che tu debba essere perdonato per averlo amato e aver scelto comunque la tua famiglia, ma so che per la tua generazione questo amore non poteva essere concepibile. Per questo, volevo soltanto dirti che ti perdono, a nome di tutti quelli che non avrebbero capito come tu, o Harry, potevate sentirvi".

Mi ha abbracciato e credo che abbia anche pianto, avrei voluto stringerla un'ultima volta tra le mie braccia, ma non ce l'ho fatta.

Sono convinto che mia figlia lo abbia sentito comunque, negli occhi commossi.

"Mi sarebbe piaciuto poter conoscere l'uomo che per tutta una vita hai amato papà, ne sarei stata fiera" mi ha sussurrato.

Per quanto possa valere, questa sera ho ottenuto il perdono che in tutti questi anni ho sempre cercato: quello tuo per averti perso, quello di mia moglie per non averla mai amata come avrei dovuto, ma forse, alla fine, l'unica comprensione che cercavo era la mia.

Ora sono qui e rimugino ancora su questa assoluzione.Sono stanco, lo ammetto, chiudo gli occhi amore mio, spero di ritrovarti questa notte tra i frammenti della nostra storia che i sogni mi regalano.

Ne ho davvero bisogno quest'oggi Harry.

**

Ti avevo rincorso per un bel po'.

Alla fine mi ero avvicinato, quatto quatto, a te, guidato dal tuo ridere sommesso, eri li, ancora nudo con i miei vestiti in mano, il fango e la polvere avevano intaccato il biancore della tue pelle in alcune parti del corpo.

Anche io avevo indosso qualche fogliolina tra i peli del petto e qualche spruzzo di fanghiglia, ma non mi importava, in quel momento volevo ammirarti così, soltanto così.

Eri bellissimo, perlaceo di sudore brillavi tra i raggi del tramonto, non ti eri accorto che ti avevo scovato, ti abbraccia all'improvviso, facendoti trasalire un poco mentre stringevo il mio corpo al tuo.

Posai il viso sulla tua spalla prima di baciarti una guancia, le tue mani si strinsero alle mie, respiravi l'aria che il vento, con generosità, sospingeva su di noi.

Lo sentivo, eravamo li, giovani e forti, belli e innamorati, nessuno avrebbe potuto scalfire la fiducia che avevamo sul nostro futuro.

"Come sarebbe bello poter rimanere così per sempre Lou".
"Già" dissi io "Ma per sempre non esiste, sognatore".
"Lo so" la tua voce si fece malinconica "Ma tu non credi che ci sarà un futuro in cui noi potremo ritrovarci e rivivere un momento come questo?".

Era stato a malapena un sussurro, ma mi aveva avvolto, il mio cuore esultava piano in mezzo a tutta quella bellezza, i filari che si susseguivano in lontananza, la terra nuda e bagnata, le viti, la tua pelle bianca e calda stretta al mio corpo, senza che se volesse mai separare.

Tutto questo, tutto insieme, costituiva il mio mondo.

L'unico che mi pareva, in quel momento, possibile.

Ed era bello, perché c'eri tu Harry.

"Te l'ho già detto forse, ma te lo giuro" risposi prima di baciarti la spalla.

"Ti amo" dissi in un sorriso.

Ti voltasti per accarezzare le mie labbra con le tue, ti stringesti a me.

Scivolammo l'uno sull'altro con delicatezza, fu dolce fare l'amore.

Le tue ultime parole si sparsero nel vento di quella sera che, danzandoci intorno, ci scuoteva di dosso la polvere prima che dovessimo realmente, in quel crepuscolo, far rientro nelle nostre vite.

**

Questa mattina mi sono svegliato con una strana sensazione.

Mi è sembrato di aver sentito il tuo tocco leggero tra le lenzuola, un tuo "Ti amo" sussurrato che mi danzava intorno.

Ho sognato noi due.

Ci rincorrevamo al terreno.

Com'eravamo belli Harry, eravamo giovani.

Ti stringevo a me, è stato uno dei miei ricordi più belli.

Sono così stanco, amore mio.

Fuori soffia il nostro vento, scuote ogni cosa, sarà venuto a prendere me?

Sarai tu il mio angelo Harry?

Vorrei sorridere come sorride il mio animo, ma ormai nemmeno il viso riesce a compiere un gesto così semplice, ecco, lo risento di nuovo, quel calore che mi accarezza le gote.

Sei tu amore mio, sei venuto a prendermi?

E' così forte questo vento, spalanca le finestre della mia camera.

Non ho bisogno della vista per sapere che foglie e polvere danzano in questa stanza, sconquassando il lenzuolo che mi copriva.

Ti amo Harry, ti amerò sempre.

Mi sento leggero, molto più leggero.

Quasi quasi esco fuori.

Non so se sia tu a guidarmi, ma sento il calore del sole che mi riscalda, finalmente, pensavo di rimanere a indugiare qua, facendomi sospingere dal vento.

Sento di nuovo il tuo profumo.

Sei venuto per me.

Ogni peso è rimasto alle mie spalle, non ho bisogno di voltarmi per sapere cosa mi sto lasciando dietro.

E' solo un vecchio corpo.

Non sento nemmeno la necessità di dire addio al paese, al nostro monte che ci ha visto amare più di una volta.

Sono felice, Harry.

La luce mi scalda, mentre il vento mi pilota verso l'unica destinazione che la mia anima può concepire.

Faccio parte di quest'aria che tanto profuma di te, di noi.

Mi ci affido con fiducia, non rimpiango più nulla di tutto quello che lascio quaggiù.

Sto arrivando Harry.

Ti amo anch'io.

Sto tornando da te.

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