Ho cercato il tuo nome

di Vega_95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi sei? ***
Capitolo 2: *** Era davvero amore? ***
Capitolo 3: *** Oltre la maschera ***
Capitolo 4: *** Promessa ***
Capitolo 5: *** A qualunque costo ***
Capitolo 6: *** Luna Nuova ***
Capitolo 7: *** Addio, Adrien ***
Capitolo 8: *** Operazione Marinette ***
Capitolo 9: *** Punti di confine ***
Capitolo 10: *** L'ultimo rintocco ***
Capitolo 11: *** Lei è Ladybug ***
Capitolo 12: *** Epilogo. Per Sempre ***



Capitolo 1
*** Chi sei? ***


Prologo
CHI SEI?



Ansimava, aveva l'impressione di stare soffocando, ma questo non lo fermò.
Concentrato su quell'unico e pungente pensiero che si tramutava in parole roche, ormai quasi sibilate dopo averle urlate per un tempo interminabile, continuò a correre senza mai rallentare. Parigi era piombata in un rispettoso silenzio, nuvole nere stavano oscurando le stelle che ricoprivano la capitale francese immersa in un dolce sonno disturbato solo da quelle parole, quelle grida che servivano a imprimere a fuoco nella sua mente quel nome, un nome che mai e poi mai avrebbe dovuto dimenticare. Continuava a buttarsi in mezzo alla strada senza mai guardare, costringendo le poche vetture che circolavano a inchiodare e schivarlo, mentre sfrecciava davanti a loro come un fulmine bianco. Il cuore sarebbe potuto scoppiargli nel petto da un momento all'altro e i polmoni prendere fuoco per quando respirava affannosamente, non si spiegava come facessero le sue gambe a muoversi ancora, i muscoli bruciavano a ogni falcata e gocce di sudore rigavano il suo viso arrossato, ma non aveva importanza se quello l'avrebbe condotto alla sua meta.
Lei era lì, nel luogo in cui tutto aveva avuto inizio. Era la sua unica speranza di riabbracciarla, di stringerla di nuovo.
Non aveva più voce, eppure continuava a gridare il suo nome con forza.

***

Non aveva più fiato, il petto bruciava, come se avesse ingoiato braci ardenti, non sentiva più i piedi, ormai doloranti e vedeva a malapena dove correva, guidata solo dal suo cuore, doveva arrivare prima dello scoccare della mezzanotte o non l'avrebbe rivisto mai più. Gridava il suo nome con la voce soffocata dal respiro affannato, un nome che riecheggiava in quella Parigi deserta e spenta. Voleva rivederlo, toccarlo almeno un'ultima volta. Non aveva certezze, ma solo una forte speranza, un desiderio così forte da darle la forza di correre anche con le gambe doloranti. Doveva vederlo ancora, specchiarsi nei suoi occhi almeno un'ultima volta per dirgli quando lo amava e se mai avessero fallito di nuovo, dirgli addio nel modo giusto.

«il suo nome...!» gridarono nella loro folle corsa contro il tempo, pronti a urlare quel nome a cui si aggrappavano con forza per resistere all'oblio che si era impossessato di tutta la città.

Quel nome, Adrien, non riuscì a pronunciarlo. Un lampo luminoso gli offuscò la vista e il suo corpo si pietrificò nel momento esatto in cui la mente concepì cos'era quel suono che stava spezzando il suo grido.
Aprì gli occhi a fatica, le palpebre erano così pesanti e appiccicate tra loro che il primo tentativo fu nullo, ma al secondo il cielo notturno di Parigi si aprì sotto i suoi occhi. Era disteso sull'asfalto e c'erano delle ombre oscure attorno a lui che lo osservavano con interesse. La testa gli faceva male, incredibilmente male, non sentiva nulla se non un sibilo che poco a poco svanì lasciando spazio a pensieri agghiaccianti che non riuscì a scacciare.
Tra tutti uno, il più terrificante, quello che lo pietrificò mentre lo traduceva in poche, semplici parole: «io... non ricordo il suo nome! »

***

Marinette ancora cadeva quando prese coscienza che molto probabilmente non l'avrebbe mai raggiunto e non avrebbe mai più rivisto il ragazzo di cui aveva gridato a squarciagola il nome. Il mondo girava troppo vorticosamente davanti ai suoi occhi, così forte che perse i sensi.
Il suo corpo gridava dolore e le lacrime si facevano largo tra le ciglia nere, scivolando a terra, ai piedi di quella scalinata.
Fredda come la pietra su cui era distesa, la verità si fece largo nella sua mente costringendola a spalancare gli occhi, mentre un'onda di vertigini la pervase.
«il suo nome...qual è il suo nome?! ». Urlò avvicinandosi le ginocchia al petto, disperata e sopraffatta dallo sconforto.

«CHI SEI?! ».
Levó il suo grido al cielo, oscuro e impassibile di fronte alla sofferenza dei due ragazzi che avevano lottato, invano.


 

 

 

 

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Ciao a tutti!

Sono Vega e questa è la mia prima storia a tema miraculous.... a dire il vero ne avevo scritte tre, ma questa è l'unica che sta arrivando ad avere una fine e quindi ha vinto sulle altre.

Aspetto i vostri pareri

See you soon 😉

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Capitolo 2
*** Era davvero amore? ***


Capitolo 1
Era davvero amore?


Una settimana prima...

Un altro attacco di Papillon fu sventato eroicamente da Ladybug e Chat Noir.
Il Lucky Charm era stato lanciato riportando Parigi alla normalità e l'akuma catturata nello yo-yo della fortunata eroina che la purificò restituendole la libertà.

Un bambino capriccioso, poco più grande di Manon, era stato sgridato dalla mamma per aver rotto il giocattolo del fratellino e di certo Papillon non poté farsi sfuggire una vittima tanto succulenta; entrato in azione, lo trasformò nel Tabletier, un piccolo maghetto pestifero che passò lungo tempo a prendersi gioco degli adulti facendo loro scherzi di ogni genere e seminando parecchio scompiglio in città.

Svanito l'aeroplano giocattolo su cui Tabletier giocava e tornato lui normale, fu compito di Ladybug prenderlo al volo, almeno ci provò. C'era qualcosa che non andava in lei, Chat Noir l'aveva notato fin dall'inizio, sembrava distratta, come assente, debole. Ci mise più del solito a usare il Lucky Charm e in un paio di occasioni, durante l'inseguimento del super cattivo, le capitò di lasciarsi scivolare lo yo-yo di mano costringendo Chat Noir a intervenire ed evitarle una facciata sull'asfalto della strada.

«M'Lady che ti succede? » le aveva chiesto dopo la sua seconda caduta.
«scusami, dovrei concentrarmi un po' di più» si giustificò con un sorrisetto poco convincente riprendendo a balzare da un tetto all'altro.

Il motivo di un tale comportamento era molto semplice: Marinette si era presa l'influenza e ciò influì particolarmente sulle prestazioni di Ladybug, la cui mente era offuscata dalla febbre, ma non poteva dirlo a Chat Noir, inoltr lei era l'unica a poter riportare la tranquillità a Parigi.

Il peggio arrivò quando, preso il bambino, il contraccolpo della sua caduta andò a unirsi a un improvviso giramento di testa che la fece barcollare e perdere l'equilibrio. Erano sul Pont Royal, proprio in piedi sul parapetto; non poteva permettersi di cadere portandosi dietro il piccolo, disorientato dall'accaduto e che cercava la sua mamma con lo sguardo.
Nel giro di un istante, la sua mente elaborò mille soluzioni improbabili, solo una la convinse e si trovava proprio nelle braccia del ragazzo che la stava osservando con il fiato sospeso, con un rapido gesto gli lanciò il bambino tra le braccia, mentre precipitava di sotto.

«Chat Noir! »
«Ladybug! »

Lo prese al volo, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dalla ragazza che sparì giù dal ponte e di cui udì il tuffo in acqua.
La preoccupazione era tanta, i miraculous lampeggiavano già da un po', il loro tempo stava per scadere e Ladybug non sembrava assolutamente in grado di provvedere a se stessa quel giorno. Assicuratosi che il bambino fosse al sicuro, si lanciò anche lui in acqua, pronto a trarla in salvo e portarla via da giornalisti e polizia che sarebbero arrivati a breve.
Era convinto di avere ancora un po' di tempo, ma così non fu.
Con grandi bracciate si sforzò di raggiungerla, prima che fosse troppo tardi; l'impatto imprevisto con l'acqua l'aveva disorientata lasciandola inerme alla corrente che la trascinava giù. Era riuscito a raggiungerla afferrandola per un braccio e si preparava a riportarla in superficie quando l'ultimo bip segnò lo scadere del tempo. In un bagliore rosato Ladybug tornò ad assumere le sembianze di Marinette, sotto ai suoi occhi.
Chat Noir ebbe un momento di esitazione, sbalordito da quel viso ancora inespressivo e così familiare; ancora non si era resa conto di essere tornata la normalissima ragazza che era sotto la maschera. Non avrebbe comunque avuto il tempo di farsi prendere dal panico per l'accaduto, perché anche l'anello di Chat Noir segnò il countdown avvolgendolo in una luce verde che rivelò la sua vera identità.
Quello la sconvolse, vedere la maschera nera svanire dal suo viso la scioccò molto più di quanto si sarebbe aspettata, tanto che l'istinto la portò a inspirare ingoiando una grossa boccata d'acqua, mentre le sue iridi si ridussero a due minuscole fessure.
Vederla annaspare ricordò ad Adrien la priorità in quel momento.
Agguantato Plagg, riportò Marinette in superficie nuotando il più velocemente possibile verso riva, spingendola sulla banchina.
Per sua fortuna le bastò dare un colpo di tosse per liberarsi dell'acqua che aveva bevuto, ma la sua preoccupazione era un'altra.

«T... Tikki...» pigolò, ancora ansimante per la lunga mancanza di aria.

Non fu difficile per Adrien intuire che stava parlando del suo kwami. Era stato così concentrato sul salvare lei da aver completamente dimenticato che, al termine della trasformazione, anche il kwami di Ladybug sarebbe uscito dal miraculous. Senza pensarci due volte, si tuffò di nuovo lasciando Plagg e Marinette sulla riva.
Si osservarono a lungo negli occhi. Lui sapeva, chiaro l'aveva già vista quel giorno nel container, ma lei... lei sembrava sconvolta, i suoi occhi chiedevano 'perché?', domanda a cui Plagg non seppe rispondere e a cui tacque.
Ci vollero un paio di minuti prima che Adrien tornasse da loro con Tikki tra le mani, stanca e infreddolita, ma incolume, e gliela affidasse.

Spostarono gli sguardi dai kwami all'unisono osservandosi a lungo, increduli l'una più dell'altro della scoperta. Erano loro, sempre stati così vicini eppure così lontani. Marinette avrebbe anche potuto giustificare tutto quello come un'allucinazione causata dalla febbre, ma Adrien? Lui era certo di chi stava osservando eppure stentava a crederci.

«sei... Marinette...» fu il primo a proferire parola, sentendo il suo cuore perdere un battito nel momento in cui i loro sguardi s'incrociarono, finalmente e pienamente consapevoli di non essere in preda a un delirio.
«Adrien...» sibilò con la voce strozzata in gola dal freddo e dall'incredulità.

C'erano tante cose da dire, ma nessuno dei due ebbe la forza di cominciare. Una domanda, però, ottenne risposta: lo strano comportamento di Ladybug di quel giorno. Consapevole di come stavano davvero le cose, Adrien si risvegliò dallo stupore ricordandosi che la compagna di scuola quel giorno era stata assente dalle lezioni perché malata.
I soccorsi erano arrivati e lo capirono quando qualcuno, affacciandosi dal ponte li vide e si affrettò a chiamarli per accertarsi che stessero bene.

«andiamo, ti aiuto» disse il ragazzo accostandosi a lei per aiutarla ad alzarsi.
«no, ce la faccio». Lo allontanò bruscamente Marinette adagiando Tikki nella borsetta e alzandosi.
Ce la faccio. Le ultime parole famose. Stordita dalla febbre e dai mille accadimenti, l'unica cosa che fece fu prendere un grande scivolone che la ributtò a terra. Non ce l'avrebbe fatta da sola e Adrien lo sapeva, ecco perché le avvolse un braccio in vita aiutandola a stare in piedi.
«come ho fatto a non capirlo, sei testarda come lei» commentò, mentre si incamminavano verso la strada, salendo piano piano le scale.

Per Marinette, sentirgli pronunciare quelle parole, fu veramente doloroso. Sentiva metà dei suoni che la circondavano, ma quelle parole le udì molto bene e fu assolutamente sicura di non aver frainteso nessuna parola. Si allontanò dal biondino quando vide l'agente Roger correre loro incontro, sforzandosi di salire gli ultimi gradini, che li stavano riportando sulla strada, da sola.

«Marinette...». Adrien fu stupito del suo cambiamento improvviso, nel modo freddo e distaccato con cui iniziò a guardarlo e trattarlo.
«potrebbe accompagnarmi a casa, signore? » domandò la ragazza accostandosi al poliziotto, mentre uno dei paramedici mise a entrambi una coperta sulle spalle.
Per tutti, i due ragazzi erano stati vittime del bambino akumizzato e nulla fece sospettare qualcosa sulle loro identità segrete.
«certo Marinette» annuì l'uomo tendendo anche un braccio all'altro ragazzo: « vieni Adrien, riporterò a casa anche te»

Non era sicuro di voler accettare, anzi quando vide il modo in cui Marinette lo guardava, decise di rifiutare l'offerta. Inventò che il suo autista sarebbe arrivato da un momento all'altro per riportarlo a casa e Roger non discusse, specialmente quando si accorse che la ragazza al suo fianco si reggeva a malapena sulle sue gambe.

Adrien rientrò a casa a piedi, usando la stessa giustificazione alle sue condizioni che usò Marinette con i suoi: diedero la colpa all'akuma.

«io proprio non ti capisco» borbottò Plagg che aveva osservato l'espressione abbattuta di Adrien per tutto il tragitto dal ponte a casa: «hai finalmente scoperto l'identità dell'amore della tua vita, dovresti saltare di gioia...»
«non mi va di parlarne, Plagg» rispose, invece, Adrien infilandosi in bagno per farsi una doccia bollente.

Anche Marinette non aveva ancora proferito parola, una volta tornata a casa si era tolta i vestiti bagnati immergendosi nella vasca da bagno insieme alla piccola Tikki, altrettanto infreddolita.

«spiega». Lo esortò il kwami della distruzione, impaziente di avere una risposta da Adrien, poco importava se era ancora sotto la doccia.
«Plagg..! »
«allora? Parla! Cos'ha che non va Marinette? » lo pressò.
«non ha nulla che non va, è solo che...»
«cosa? È una tua amica? Non ti aspettavi che fosse lei? Chi ti aspettavi? Forse qualcuno di più interessante come Kagami o Lilà...o magari...» lo punzecchiò sempre più a fondo, finché Adrien non sbottò.
«non è Marinette il problema! » sbottò alla fine Adrien:« è stata sotto i miei occhi per tutto il tempo! Come ho potuto non riconoscerla? Se amo davvero Ladybug, come ho potuto non rendermi conto che lei e Marinette sono la stessa persona? »

Non se ne capacitava, la vedeva tutti i giorni a scuola, parlava con lei, aveva decine di foto di Ladybug e non era mai riuscito a vedere la somiglianza tra loro. Aveva sempre considerato Ladybug come una ragazza affascinante, intelligente, generosa, coraggiosa e creativa. E Marinette? Lei era un po' goffa e alle volte sbadata, ma era anche volenterosa, si prestava sempre per aiutare gli altri e non aveva paura di combattere per difendere le sue idee, oltre ad essere geniale. Era testarda e un po' impulsiva? Sì e la era anche Ladybug.
Passò la sera a torturarsi con quei pensieri, sfogliando e paragonando le foto delle due ragazze, anzi della stessa ragazza con i capelli neri, gli occhi blu, uno splendido sorriso e una forza d'animo che Adrien non aveva mia visto in nessun'altra ragazza.

«...e comunque nemmeno Marinette ha mai sospettato che io fossi Chat Noir» borbottò raggomitolandosi sul letto osservando a loop le foto dei due volti della ragazza, trovando sempre più assurdo di non essersi mai accorto dell'incredibile somiglianza.
«ehm... ti sei mai accorto che come Chat Noir ti comporti in modo molto diverso da Adrien? » gli fece notare Plagg, non trovandolo, però, particolarmente convinto.
«vorrei tanto conoscere chi ci ha fatto questo brutto scherzo» borbottò Adrien cercando nello sguardo del kwami una risposta che non poté dargli.

Le stesse lotte interiori le stava vivendo Marinette, nella sua mente aveva sempre creato un'immagine perfetta di Adrien, elevandolo al di sopra di chiunque altro e rendendolo letteralmente il ragazzo dei suoi sogni. Ciò che credeva di sapere su di lui, d'un tratto si trasformò solo in un sogno. Aveva conosciuto Chat Noir prima di incontrare Adrien, estroverso, coraggioso e alle volte persino fastidioso; vedeva in lui il classico eroe mascherato dal fascino irresistibile che si gettava ai piedi di tutte le fanciulle di Parigi... Era davvero così? Che fosse Marinette o Ladybug, lei era l'unica con cui quel ragazzo con la maschera nera si fosse mai aperto mostrandosi... per quello che era veramente. Galante, divertente, forte, insicuro.
Vedeva Adrien e vedeva Chat Noir, due facce della stessa medaglia, così diversi e così simili. Non si incolpava per non aver mai riconosciuto in lui il ragazzo che amava, ciò che davvero la faceva stare male era aver scoperto che Adrien non fosse il perfetto ragazzo dolce, gentile, calmo e pacato che vedeva a scuola, non soltanto, c'era qualcosa in più in lui, c'era un eroico gatto nero, audace e dalla battuta pronta a cui lei non aveva mai prestato particolari attenzioni. Lo reputava un ottimo partner nella lotta contro il male, un amico fidato, si era sempre vista completa e sicura con il suo appoggio, ma al di fuori dei combattimenti cos'era per lei Chat Noir? Era innamorata di qualcuno che non conosceva davvero.

«Marinette...» la chiamò Tikki, raggomitolata sul bordo della vasca. Era rimasta in silenzio a lungo osservando il viso della ragazza cambiare espressione man mano che i pensieri correvano nella sua mente, si sentiva in colpa, lei lo sapeva da tempo, ma non aveva potuto dirglielo e alla fine la sua amica l'aveva scoperto nel modo e nel momento peggiore. «mi dispiace... non potevo dirtelo...»
«lo so Tikki...» mormorò Marinette strusciando il dorso della mano vicino all'occhio, catturando una lacrima prima che potesse solcarle la guancia: « ma è difficile... credevo di amare Adrien, ma ora...ora non lo so più...»

Erano accadute così tante cose tra loro, parole innocue, gesti gentili, risposte brusche, incomprensioni, imbarazzi, anche dei baci e tutto senza mai sapere la verità. In quel momento, però, consci di chi fossero realmente, ogni singola cosa avvenuta tra loro aveva cominciato ad assumere un peso diverso.
Adrien aveva ballato con Ladybug, stringendola a sé in un momento estremamente romantico e Ladybug aveva baciato Adrien, per salvarlo, certo, ma era stato pur sempre un bacio vero.

Ci vollero un paio di giorni perché Marinette si ristabilisse completamente, fortunatamente il weekend l'aiutò a non perdere troppi giorni di scuola, ma alla fine dovette tornare e affrontare il suo sguardo .

Sapeva che Marinette sarebbe tornata a scuola quel giorno, aveva sentita Alya parlarne con Nino. Quella mattina esitò prima di salire in macchina, avrebbero dovuto parlare dell'accaduto, spiegarsi.
Aveva sempre saputo che il giorno in cui avrebbe scoperto l'identità di Ladybug le cose sarebbero cambiate, ma non immaginava così tanto, non poteva sapere che lei era sempre stata così vicina.
Era appena arrivato davanti a scuola e subito il volto sorridente di Nino corse a salutarlo. Voleva sbrigarsi a raggiungere il suo armadietto, posare le sue cose e andare in classe; era inusuale per Marinette arrivare puntuale e probabilmente per le prime ore sarebbe riuscito a evitare il suo sguardo, era nervoso e aveva bisogno di un po' di tempo.
In quei giorni aveva pensato e ripensato alle cose giuste da dire, ma ancora non era riuscito a capirlo. La notte precedente si era detto che la cosa migliore sarebbe stata quella di lasciarsi guidare dal suo istinto e in quel momento il suo istinto vacillava, sembrava averlo abbandonato lasciando spazio a inquietudini e incertezze.
Era presto, nemmeno Rose o Max erano ancora arrivati, ma per non correre rischi si affrettò a chiudere l'armadietto e corse verso il corridoio per tornare da Nino.

BAM!

Se fosse accaduto una settimana prima, Adrien sarebbe scoppiato a ridere e Marinette sarebbe diventata paonazza balbettando le sue scuse. Peccato che fosse accaduto quel giorno e a nessuno dei due venne voglia di ridere o balbettare delle scuse.

«Marinette...ciao...»

Alya era proprio dietro di lei e vide ogni cosa. Vide la sua amica camminare a testa bassa finendo per scontrarsi con Adrien che stava correndo in classe, la cosa strana fu la reazione della ragazza che non ascoltò nemmeno il suo goffo saluto, non batté ciglio, si rialzò ed entrò in classe andando a sedersi al suo posto.

Quello che vide Adrien, però, fu qualcosa di molto peggiore: la tristezza e il rammarico impressi nei suoi occhi.

Alya era confusa, aveva tenuto d'occhio i suoi amici per tutto il tempo prima dell'arrivo dell'insegnante. Adrien rigido sulla sedia che dava le spalle a Marinette e lei, china sul bando intenta a guardare lo schermo spento del suo tablet. Stanca di quel gelo che tutti in classe avevano ormai percepito, Alya stava per sbottare e pretendere una spiegazione, quand'ecco che arrivò la prof. Bustier dando inizio alla lezione.
Entrambi si sforzarono di seguire, ma erano troppo vicini, sentivano addosso i pensieri l'una dell'altro. Ogni tanto Adrien la cercava con la coda dell'occhio, come se si volesse assicurare che lei non sparisse da un momento all'altro. Quel controllo la infastidì, specialmente perché ormai guardava l'affascinante biondino e non lo riconosceva più; sapeva che si chiamava Adrien Agreste, che frequentava il collegio François Dupont, era il figlio del suo stilista preferito, ma chi fosse veramente lei non lo sapeva più.

Arrivato l'intervallo, finalmente Adrien trovò il coraggio di parlare con Marinette. Doveva stare calmo, rilassarsi ed essere se stesso, lo diceva sempre a Nino e non c'era motivo per non farlo, era Adrien che voleva parlare con Marinette, come tutti i giorni, non c'era nulla di strano, a parte il fatto che entrambi sapevano che l'altro aveva una doppia vita e che lui amava follemente la ragazza con la maschera e di conseguenza la bella brunetta seduta dietro di lui... eh sì, era un bel casino. In quei giorni si era chiesto più volte se il motivo per cui avesse sempre considerato la ragazza una buona amica fosse perché non provava davvero nulla di più per lei o perché si sentiva già legato a Ladybug. Poteva stare lì a domandarselo per tutto il tempo, oppure parlare con lei. Ripose velocemente la sua roba nella tracolla e si voltò. Marinette non c'era. Lei e Alya erano già uscite.

«ti ha dato buca» lo punzecchiò Plagg, nascosto nella sua camicia.
«non cominciare Plagg...» borbottò Adrien.
«ma con chi stai parlando? » lo notò Nino, guardandolo un po' perplesso.
«ah... eh con nessuno... da solo... cercavo... il mio cellulare» si giustificò estraendolo subito dopo dalla borsa: « eccolo...scusa devo andare»

Senza dargli nemmeno modo di replicare, si fiondò fuori dalla classe cercando freneticamente, con lo sguardo, le due ragazze. La scuola non era poi così immensa, specialmente lo spazio della ricreazione. Stavano scendendo le scale, dirette alla panchina su cui erano solite sedersi.
Alya non aveva ancora trovato il coraggio di chiedere cosa non andasse nella sua amica, ma il comportamento non era l'unica cosa diversa in lei quel giorno e preferì partire da quell'altra cosa: i capelli. Aveva sostituito i codini bassi con uno chignon alto che accentuava la sua aria seria e un po' cupa.
Per lei rappresentava un cambiamento, un modo per distinguersi da Ladybug ed essere solo Marinette ai suoi occhi nel riflesso dello specchio e agli occhi del ragazzo che in quel momento si stava avvicinando pericolosamente a loro.

«ehi, ciao ragazze» le salutò Adrien, interrompendo la loro conversazione
«ciao Adrien! » esclamò Alya, ammiccando all'amica che, stranamente, non ebbe nessun sussulto o balbettio, anzi non lo salutò nemmeno e voltò lo sguardo per non incrociare il suo.
«Ma- Marinette, possiamo parlare un momento? » le domandò con un po' di timidezza, sperando che prima o poi alzasse lo sguardo verso di lui. Stava per aggiungere 'da soli', affinché Alya lasciasse loro un po' di privacy, ma non fu necessario, con una scusa improbabile, la ragazza svanì nel giro di pochi secondi senza allontanarsi troppo per poter assistere alla scena.

«ti...ti stanno bene i capelli...». Un complimento era sempre il miglior modo per iniziare una conversazione, si disse Adrien, ma con lei ebbe poco effetto.
«grazie» rispose con un mormorio scostandosi una ciocca scura dal viso.
«Marinette io... io vorrei parlare di.... Di quello che è successo l'altro giorno...» iniziò, restando sul vago per quegli orecchi indiscreti attorno a loro, come Chloé e Alya.
Senza mai guardarlo, però, Marinette declinò la sua richiesta.
«ora non posso, scusami» disse correndo via e chiudendosi in uno dei gabbiotti del bagno.

Alya rimase spiazzata dalla reazione della sua amica, era da quando aveva messo piede a scuola che si comportava in modo strano e aveva persino respinto Adrien. Non poteva restare impassibile e prima che il suo compagno di classe potesse andarsene, abbattuto e sconsolato per quel due di picche, lo bloccò pretendendo spiegazioni.
«cos'è successo con Marinette? »
Come spiegare ad Alya la delicata situazione che si era creata tra lui e Marinette senza rivelarle che loro erano Ladybug e Chat Noir?
«è... è successa una cosa...»
«cosa? ». Pretese di sapere, ma Adrien non poteva dirglielo e comunque era una cosa loro in cui nessun altro avrebbe dovuto mettere il naso.
«scusami Alya, ma è una cosa che riguarda Marinette e me, non... non indagare, per favore» le chiese con tutta la gentilezza possibile: «dobbiamo solo parlare»
Era una cosa molto seria a giudicare dallo sguardo di Adrien e per una volta la ragazza decise di rinunciare alla sua sete di notizie e scoop e alla sua curiosità per lasciare che i suoi amici risolvessero la faccenda da soli e con i loro tempi.

Purtroppo per il resto della giornata, Marinette si mostrò sfuggente attendendo con ansia la fine delle lezioni per correre a rifugiarsi a casa e non dover parlare e dare spiegazioni a nessuno. Le serviva ancora un po' di tempo per capire e fare chiarezza dentro di sé.
Alya aveva promesso ad Adrien di non indagare, ma non se ne restò con le mani in mano a vedere la sua migliore amica rodersi dentro per qualcosa che aveva combinato il bel biondino.

Ci volle un po', ma alla fine il potere persuasivo di Alya convinse la sua migliore amica ad accettare il suo appuntamento al luna park per il pomeriggio.
Marinette aveva evitato per tutto il giorno Adrien, ma lui ancora non si era arreso, era confuso quanto lei, ma voleva parlare, era così che risolveva i problemi, con Nino, con Chloé e anche con Marinette, l'avevano già fatto in passato e si erano chiariti. L'avrebbe rifatto.
Come Adrien, gli aveva già sbattuto la porta in faccia quella mattina, ma come Chat Noir avrebbe avuto un ingresso preferenziale da cui lei non l'avrebbe potuto cacciare.




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Ciao a tutti!

In questo primo capitolo sono già successe così alquanto scottanti, come una rivelazione che ha riempito i nostri protagonisti preferiti di tanti dubbi.

Detto questo, ringrazio tutti e spero vi sia piaciuto questo primo vero capitolo, vi consiglio di prepararvi perchè ne accadranno di cotte e di crude.
Fatemi sapere cosa ne pensate 😉

a presto!

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Capitolo 3
*** Oltre la maschera ***


Capitolo 2
Oltre la maschera



Marinette stava facendo i compiti in camera, quando un tonfo proveniente dal tetto attirò la sua attenzione. Corse a vedere, sperando che non fosse un vaso, ma quando i suoi occhi sbucarono dalla botola si rimangiò quella speranza, un vaso sarebbe stato meglio del gatto nero di fronte a lei che la osservava con quell’aria beffarda e fastidiosa.
 
«cosa c’è, Adrien» sbuffò a braccia conserte chiamandolo con il suo vero nome, per rendere palese l’inutilità della maschera.
«te l’ho detto che devo parlare con te» rettificò il giovane interpretando a pieno il personaggio che la sua maschera rappresentava: « e visto che ad Adrien hai detto no…»
«non parlare di te in terza persona. Chat Noir o Adrien non fa differenza, sto parlando con la stessa persona!» sbottò, estremamente infastidita da lui, come mai la era stata.
«ok, ok, la smetto, ma calmati»
 
Era particolarmente suscettibile quel giorno, non si era mai rivolta a lui con quel tono, ma da quando aveva scoperto che lui oltre ad essere il ragazzo di cui era perdutamente innamorata era anche il suo compagno di avventure, il solo pensiero di quel bel biondino la irritava. Non gli dava la colpa, Adrien non c’entrava nulla, era lei, era l’idea assurda che si era fatta di lui.
 
«scusa … non volevo…» mormorò stringendosi le braccia al petto, cercando di proteggersi da se stessa e dai suoi sentimenti contrastanti.
«Marinette, io credo che noi… dovremmo parlarne…» ritirò fuori l’argomento, cercando di dirlo con molta calma.
«forse, ma… ora non posso» mormorò a denti stretti, rifiutandosi di guardarlo in faccia.
«per favore…» insistette.
«non posso! Ho promesso ad Alya di uscire con lei, oggi. Devo prepararmi» gli spiegò. Fu felice di aver accettato alla fine, senza saperlo la sua amica le aveva tolto l’impiccio di dover parlare con Adrien senza dovergli mentire.
«oh… ho capito» mormorò, un po’ deluso, Chat Noir balzando sulla ringhiera del balcone: «allora me ne vado…ciao Marinette, ci si vede»
 
Non si sentì in colpa per averlo mandato via in quel modo, anzi si sentì sollevata e come aveva appena finito di dire, rientrò in camera per prepararsi cambiandosi e sciogliendosi lo chignon per rifarsi i codini.
 
Stranamente puntuale, Marinette arrivò al luna park prima di Alya, ritrovandosi di nuovo sola con i suoi pensieri.
 
«Marinette, perché continui a evitare Adrien? Lui vuole solo chiarire le cose con te» le domandò Tikki, molto preoccupata per la sua amica e per il suo futuro come eroina di Parigi. Come avrebbero potuto collaborare lei e Chat Noir se nemmeno si parlavano?
«lo so Tikki, ma non mi sento ancora pronta » mormorò.
Richiuse la borsa alla svelta e saltò sul posto quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Spaventata, si voltò di scatto e un’esclamazione le uscì spontanea: « è una persecuzione! ».
L’aveva mandato via da poco dal balcone di camera sua e lo trovava lì al luna park insieme a Nino, spensierati e sorridenti, come se nulla fosse.
«aspetti Alya? » le domandò Nino.
«ehm… sì » annuì lei sforzandosi di non guardare Adrien che, invece, non le toglieva gli occhi di dosso, sembrava volesse mangiarsela con lo sguardo, analizzando ogni dettaglio del nuovo look che Marinette aveva deciso di sfoggiare per quell’uscita:  indossava una camicetta bianca con le maniche arrotolate a trequarti, dei pantaloncini corti di jeans, un paio di calze a parigina bianche e delle stringate scure. E non era l’unica ad aver deciso di cambiare stile, anche Adrien quel giorno aveva optato per una felpa nera con il cappuccio e il marchio di suo padre ben impresso sulla schiena, alla solita camicia bianca.
Alya arrivò pochi minuti dopo mostrandosi stupita di vedere i ragazzi insieme a loro, ma in realtà non la era per niente. Aveva progettato tutto fin dal mattino con Nino; il piano era di portare i loro amici al luna park escogitando poi qualche stratagemma per abbandonarli in qualche posto da cui non sarebbero potuti uscire per un bel po’.
Adrien aveva appena lasciato la casa di Marinette quando l’amico lo chiamò proponendogli quell’uscita.
 
«visto che siamo tutti qui, perché non giriamo insieme? » fu la scontatissima proposta dell’amica occhialuta di Marinette, come se quello non fosse stato il suo piano fin dall’inizio.
 
Girarono  per un po’, ammirando le mille mila attrazioni che quel posto offriva e solo quando Alya ebbe le idee chiare sul da farsi scelse la giostra giusta: la ruota panoramica. Cabine biposto con massima privacy, una vista mozzafiato di Parigi e mezzora tutta per loro.
«dobbiamo proprio? » mormorò, dubbiosa, Marinette osservando le cabine susseguirsi alla partenza e tenere coppiette infilarsi dentro. Era scontato con chi sarebbe finita e anche che in qualche modo quel discorso che rimandavano da giorni sarebbe venuto fuori contro la sua volontà.
«non mi dirai che l’altezza ti spaventa?» finse di punzecchiarla Alya, al solo scopo di spronarla un po’ da quello stato di pacatezza estremamente fastidiosa che la seguiva da tutto il giorno. Non poteva sapere che l’amica voleva evitare di restare sola con Adrien e che lei, invece, la stava consegnando nelle sue mani. Purtroppo stava ancora pensando al suo disappunto, quando si ritrovò trascinata a forza nella cabina che si chiuse alle sue spalle partendo verso l’alto. Ovviamente Alya e Nino non li avrebbero seguiti, altrimenti che trappola sarebbe stata? Marinette lo pensò con amarezza, mentre lanciava saette dagli occhi contro la sua amica che correva via insieme al suo ragazzo.
 
Per la prima volta da quando si era innamorata di Adrien, trovarsi sola con lui la mise in un grandissimo disagio e non nel suo senso positivo. Aveva già messo in chiaro con se stessa di non essere pronta a parlare della questione e l’insistenza del ragazzo non faceva altro che innervosirla e metterla di cattivo umore.
Restarono in silenzio a lungo, mentre la cabina lentamente saliva mostrando una vista sempre più spettacolare di Parigi, di cui Marinette non se ne perse un solo pezzo. Adrien, invece, continuò a tenerle gli occhi puntati addosso contemplando quanto ci fosse sempre stato di Ladybug in lei, con qualunque acconciatura o vestito, ormai vedeva l’eroina in rosso, nella sua timida compagna di classe: quello sguardo luminoso, il viso, i suoi zigomi rotondi, le labbra rosse… e c’era anche Marinette, coraggiosa, forte, creativa e amabile. Erano la stessa persona, lo sapeva, l’aveva visto e se ne stava convincendo, eppure continuava a chiedersi se il suo cuore battesse ancora per lei, se amasse ancora Marinette e Ladybug, o se il sentimento fosse mutato in qualcos’altro da quel giorno.
 
Marinette aveva ormai ammesso con se stessa e con Tikki i suoi dubbi riguardo ad Adrien e al fatto che fosse Chat Noir, come lui, anche la ragazza si domandava se il suo amore fosse cambiato, se mai fosse riuscita ad amare quel lato così eccentrico del biondino che veniva fuori non appena indossava la maschera.  Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto sollevare la questione con lui, ma farlo avrebbe significato dovergli confessare ciò che aveva provato a lungo per Adrien ed era un passo che ancora non voleva compiere. Era passato un po’ di tempo da quando, a San Valentino, si era decisa a dichiararsi con un biglietto, dimenticandosi però di firmarlo. Da un lato ne fu felice, preferì così, capì di non essere ancora pronta e da allora le cose non erano cambiate molto. Poteva davvero definirsi amore una cosa del genere?
 
«immagino che fossi l’ultima persona che ti aspettavi di trovare sotto la maschera di Chat Noir…» mormorò Adrien voltando anche lui lo sguardo verso l’esterno della cabina che era arrivata quasi in cima, ormai.
«già…» annuì con tutta sincerità Marinette voltando lo sguardo verso di lui, sforzandosi di guardarlo, seppur con timore: « lo stesso per te»
«a dire la verità, ora che so che sei tu, non riesco a pensare a nessun altro che potesse essere Ladybug» ammise tornando a guardarla, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«smettila, per favore». Le dava fastidio che continuasse a guardarla in quel modo, cercando in lei la sua alter ego.
 
Erano in una situazione molto complicata nella quale i kwami decisero di comune accordo di non intromettersi, ma Adrien non riusciva a comprendere quell’atteggiamento schivo di Marinette, da quando l’aveva visto trasformarsi davanti a lei si era chiusa completamente escludendolo in ogni modo. Era sconvolto quanto lei dalla scoperta, eppure non aveva quell’aria ferita e affranta che invece aveva impresa in volto lei .
 
«Marinette, so che sei delusa… non sono lo Chat Noir che ti aspettavi…» si scusò con lei, provando in qualche modo a farla aprire. Lui si incolpava di non averla mai riconosciuta e lei? Cosa le provocava tanta delusione?
«non sono delusa» parlò finalmente la ragazza, infossando la testa nella spalle tese e stritolando i pugni sulle gambe, sforzandosi in ogni modo per non piangere: «non ho mai detto di essere delusa»
«e allora cosa? Che ti succede? Ti sconvolge così tanto avermi svelato il tuo segreto? » ipotizzò ancora. Cominciava a perdere la calma, perché era così enigmatica? Era già difficile comprenderla quando cercava di parlargli insieme, decifrare una frase di senso compiuto in mezzo ai suoi balbettii lo divertiva un po’, ma quel giorno, con quei suoi silenzi ancora più indecifrabili stavano iniziando a infastidirlo.
«come… come potevo anche solo pensare o capire che tu fossi Chat Noir? » disse alla fine: « voi due siete… siete così diversi…»
Adrien rimase un po’ perplesso. Sì, certo aveva ragione ed era la stessa cosa che gli aveva detto Plagg, ma perché la turbava così tanto?
«chi… chi sei davvero? » volle sapere, buttando lì la sua domanda, senza troppi preamboli e senza una spiegazione esaustiva, mettendo il ragazzo in seria difficoltà, rendendolo restio a darle una risposta. Marinette sembrava particolarmente nervosa e una qualunque parola sbagliata avrebbe potuto causare danni irreparabili, tanto per cominciare gli avrebbe tolto qualunque possibilità di parlare con lei e arrivare insieme ad una soluzione.
Probabilmente capì la situazione in cui l’aveva messo, non era facile darle una risposta quando non sapeva esattamente cosa lei volesse sapere.
«voglio dire…. Sei il gentile e timido Adrien, o l’eccentrico Chat Noir? » fu più specifica.
«e se fossi entrambi? » le domandò. Ebbe un momento di esitazione quando la vide scostare lo sguardo. Domanda sbagliata? Forse sì, ma voleva sapere: « perché ti turba così tanto sapere chi c’è sotto la maschera?»
«perché non ti riconosco… Io credevo di conoscerti…» disse, travolta dalle emozioni che da giorni la assillavano togliendole persino il sonno: «credevo di sapere chi fosse davvero il ragazzo di cui mi ero presa una cotta…».
Troppo. Aveva detto troppo e ormai era tardi per tornare indietro e rimangiarsi tutto come aveva sempre fatto in quei casi, era stata troppo precisa e una frase simile, senza alcun balbettio ad anagrammarla divenne difficilmente fraintendibile e lo notò dal leggero rossore che comparve sulle guance di Adrien, sorpreso dalla particolare dichiarazione.
«tu…»
Inutile nascondersi dietro a un dito, infranta la promessa che si era fatta, decise di svelare le sue carte e il suo secondo, importante, segreto.
«sì, tu mi piacevi… e anche molto. Ecco perché non riuscivo a parlarti, balbettavo, dicevo tutte quelle cose stupide…» continuò, lasciandosi travolgere da un vampata di calore che colorò anche il suo viso.
Considerando che lei era Ladybug, il grande amore di Adrien, quella sarebbe potuta essere una bella notizia, se solo non avesse parlato al passato.
 
«cosa vuoi dire? »
«voglio dire che ero innamorata di Adrien Agreste, o meglio di chi pensavo che tu fossi… Chat Noir è sempre stato un amico, un ottimo partner, ma non ho mai provato nulla per lui e ora scopro che tu sei Chat Noir» gli spiegò amareggiata, guardandolo di sottecchi e notando la sua espressione confusa, mutare in grande delusione.
«è per questo che sono confusa» ammise stringendosi le braccia al petto, cercando di nuovo di proteggersi da quella confusione che la stava distruggendo.
«anche io, ma…» provò a confortarla, ma la vocina di Tikki lo interruppe.
«è normale che siate confusi» disse: « avete avuto entrambi un’idea l’una dell’altra che ora è inevitabilmente cambiata. Vi serve solo un po’ di tempo per accettare l’idea di ciò che siete davvero»
«ha ragione, dovrete andare oltre le apparenze» puntualizzò Plagg ingoiando l’ultimo pezzo di formaggio.
 
Le apparenze.  Marinette ci aveva pensato a lungo in quei giorni, se il suo amore per lui fosse davvero così superficiale o se ci fosse altro. Aveva visto un bel ragazzo, gentile e dolce e se ne era innamorata senza pensare a cosa ci fosse oltre quei begli occhi verdi e quel sorriso che la scioglieva ogni volta che lo guardava. Non aveva mai visto il minimo segno di Chat Noir in lui o forse non l’aveva nemmeno cercato, non voleva vedere oltre.
Stava accadendo proprio ciò che temeva, più parlavano e più la situazione peggiorava. Marinette sarebbe mai stata all’altezza dell’idea che lui aveva di Ladybug? Adrien sarebbe mai riuscito a farsi accettare come Chat Noir ai suoi occhi? Sarebbero riusciti ad andare oltre l’idea che avevano l’una dell’altro?
 
«credo che abbiano ragione, ci serve solo un po’ di tempo» sorrise Adrien, sperando così di sollevarla da quei dubbi: « nel frattempo dovremmo cercare di non… ecco… dovremo comportarci come sempre, per non preoccupare i nostri amici e per svolgere il nostro lavoro di super eroi al meglio. Insomma, come se non fosse successo nulla» sorrise, sperando di trovarla d’accordo con lui.
«come se non fosse successo nulla…» ripeté, scioccata da quelle parole, così assurde e orribili.
Ecco il tasto da non toccare.
« davvero credi che potremo fingere che non sia accaduto nulla? È così poco importante per te?  Come puoi… ». No. Non doveva continuare, avrebbe rischiato di dire cose che non pensava e che avrebbero causato più danni di quelli che già c’erano. Pochi secondi e la cabina si sarebbe aperta e fu in quel momento che decise di schizzare fuori, fuggendo  ancora una volta da Adrien. Solo che quella volta lui la inseguì, deciso a non perderla ancora e trovare il modo migliore per far imboccare alle cose la giusta strada e mantenere buoni rapporti, nonostante la confusione nei loro cuori.
 
Era così cocciuta, beh d’altronde era una delle cose che amava di Ladybug e che avrebbe potuto amare di Marinette, se solo lei fosse stata disposta ad accettare la verità. Certo anche lui avrebbe dovuto fare attenzione con le parole; nulla poteva più essere come prima, ma senza un punto d’accordo non sarebbero più riusciti a essere né compagni di classe e, peggio ancora,  non avrebbero più potuto essere gli eroi di Parigi.
 
«bel lavoro, davvero» commentò Plagg sbucando da sotto la sua camicia.
«non cominciare, non l’ho fatto apposta! » protestò Adrien tenendo gli occhi puntati su Marinette.
«io non ti capisco davvero. I primi giorni di scuola la seguivi come un cagnolino perché non voleva esserti amica e una volta ottenuto quello che volevi l’hai messa da parte come un pezzo di formaggio troppo stagionato» continuò a punzecchiarlo Plagg.
«io non ho fatto nulla del genere! » protestò Adrien fermandosi e puntando i piedi, offeso dal fatto che il suo kwami pensasse una cosa simile di lui.
«oh l’hai fatto, ragazzino. E adesso che non ti vuole parlare torni a ricorrerla»
«va bene, sono stato un idiota. Sei contento? »ammise Adrien tornando a cercare la ragazza con lo sguardo, vedendola che ancora correva. Con poche falcate riuscì quasi a raggiungerla.
 
«Marinette, fermati! » la chiamò a gran voce allungando un braccio nel tentativo di afferrarla. Gli andò male, perché un gruppo di bambini gli tagliò la strada. Certo, a lui era toccato il potere della sfortuna, perché non averne un po’ anche nella vita di tutti i giorni? Pensò, mentre tentava in ogni modo di non perdere di vista la ragazza, cercando anche di aggirare l’ostacolo e quando ci riuscì, troppo concentrato sulla strada che le aveva visto prendere, finì per sbattere contro la schiena di un energumeno che per un momento gli ricordò il suo gorilla, ma che invece era la guardia del corpo di qualcun altro.
 
«ma tu sei Adrien Agreste! » urlò una voce femminile che assunse un tono irritabilmente acuto, appartenente una ragazza alta pressappoco quanto lui e dai fluenti capelli scuri: « che coincidenza trovarti qui! »
Adrien si ritrovò davvero spiazzato di fronte a quei due grandi occhi color nocciola che lo fissavano languidi, lei sembrava conoscerlo da una vita, mentre lui non aveva la più pallida idea di chi fosse, ma era di fretta e doveva raggiungere Marinette prima che sparisse e non poteva stare troppo a pensarci.
«scusami, credo che tu mi confonda con qualcun altro» disse apprestandosi a tornare a correre. Era impossibile che si confondesse visto che l’aveva chiamato per nome e cognome, ma non aveva tempo.
«oh sciocchino! » ridacchiò aggrappandosi al suo braccio: « ma dai, non scherzare, lo so che sai chi sono» ammiccò. Sembrava la versione mora di Chloé con quell’atteggiamento da civettuola, accozzata al suo braccio, era davvero l’ultima cosa di cui Adrien aveva bisogno in quel momento.
«no, sul serio, mi dispiace, ma non mi ricordo di te» fu schietto, districandosi dalla sua presa e rimettendosi a correre, lasciandosi dietro un saluto veloce: «scusami devo andare. Ne riparliamo! »
 
Ne riparliamo. Non era assolutamente  quello che avrebbe voluto sentire, come aveva fatto a non riconoscerla e liquidarla in quel modo?
«come puoi esserti dimenticato di me, la favolosa Urielle Picard?! » gridò la ragazzina, furiosa per tanta superficialità e decisa a rinfrescare la memoria a quello sfacciato biondino.
«Edmund, andiamo! »sbraitò alla sua guardia del corpo, inseguendo a sua volta Adrien.
 
Finalmente Adrien aveva eliminato tutti i suoi ostacoli, ma Marinette non era sparita, si era fermata qualche metro più avanti per riprendere fiato.
 
«hai finito di correre? » le domandò accostandosi a lei: « Marinette mi dispiace, non intendevo dire che noi…»
«chi era…?! » lo interruppe immediatamente, lasciandosi poi cogliere dall’imbarazzo per la domanda che le era scappata di bocca senza volere:« quella… mazza… ramazza… no…ragazza? ». Sapeva cosa voleva dirle Adrien, ma la curiosità aveva avuto il sopravvento sulla loro discussione; in fondo poteva essere una domanda pertinente sul problema della loro ‘relazione’, ma nel momento in cui si rese conto di quell’impeto, l’imbarazzo si era impossessato di lei facendola sentire una fidanzata gelosa e portandola a balbettare qualcosa di sconnesso prima di fargli capire che voleva sapere chi fosse la misteriosa brunetta che l’aveva braccato in mezzo alla piazza.
«non lo so… cioè lo so, ma non me la ricordo. Credo di averla incontrata un po’ di tempo fa…» le spiegò, sforzandosi di ricordare, ma abbastanza inutilmente. Si fermò quando si accorse di quell’aria accigliata che aveva assunto la fuggitiva, con le mani appoggiate sui fianchi, come se pretendesse una spiegazione esaustiva dal suo fidanzato. «aspetta… non sarai gelosa? » scoppiò a ridere. Poté notare tutte le colorazioni di rosso che assunse il suo viso prima di voltarsi con le braccia conserte apparentemente offesa dalla sua insinuazione.
«ovvio che no» rispose risoluta con il naso all’insù: «pura curiosità»
 
Urielle, nascosta dietro un bidone della spazzatura a spiarli, ebbe definitivamente la conferma che Adrien non aveva il minimo ricordo di lei e nella sua mente focalizzò la colpevole in quella sciatta ragazzina insieme a lui.
«nessuno dimentica Urielle!  Adrien Agreste, tu ti ricorderai di me, in un modo o nell’altro e dimenticherai quella» borbottò a denti stretti.
 
Una simile minaccia, mista a così tanta gelosia non poté non attirare l’attenzione di Papillon che non perse tempo.
«ferita e dimenticata» commentò con aria affranta, ma uno sguardo che pregustava il suo nuovo capolavoro: «non c’è nulla di peggio che essere dimenticati da chi si ama. Dico bene mie malefiche akuma? » sogghignò mentre una farfalla si posava sul suo palmo affinché potesse infonderle l’oscurità di cui aveva bisogno per infettare la sua vittima. «vola mia malefica akuma e oscura il suo cuore! »
 
Non ci mise molto a raggiungere la sua vittima e quando la trovò, nera di rabbia, si posò sul suo cerchietto bianco, permettendo al malvagio Papillon di comunicare con lei.
«Oubli, io sono Papillon. Ti offro la possibilità di vendicarti e cancellare dalla memoria chiunque ti sia scomodo e in cambio dovrai portarmi i Miraculous di Ladybug e Chat Noir» fu il patto di Papillon  e che Urielle accettò senza battere ciglio, anzi, ben felice di seminare zizzania e rimuovere quell’insulsa brunetta dai ricordi di Adrien per sostituirvisi.
 
Le cose tra Marinette e Adrien stavano assumendo un’aria ironica, in quel momento, solo con lei, sentì Chat Noir manifestarsi in lui anche senza bisogno della maschera e questo la mise parecchio a disagio. La ragazza lo stava scrutando con la coda nell’occhio, quando vide la sua espressione cambiare e le sue spalle protendersi verso di lei, costringendola ad addossarsi contro il muro, trovandosi così in trappola.
«non me la dai a bere, questa è gelosia, insettina» la prese in giro.
«non chiamarmi insettina! » puntò i piedi la ragazza. Provò a spingerlo via appoggiandosi alle sue spalle, ma non ottenne nulla se non che Adrien si avvicinasse ancora di più a lei. Non lo capiva, la stava istigando? Perché? Per ottenere cosa? Adrien l’aveva sempre definita una sua amica e anche il rapporto con Chat Noir era dello stesso tipo, ma allora cosa cercava di ottenere flirtando e stuzzicandola?
Quelle domande dovettero attendere, quando tra la folla del luna park si levarono delle urla poco rassicuranti che segnalavano una nuova akuma. Adrien le copriva la visuale, non vedeva nulla accetto lui che aveva voltato la testa osservando un punto ben preciso alla sua destra.
Vide una ragazza bruna  armata di balestra svolazzare sopra tutti urlando il nome di Adrien e colpendo chiunque le capitasse a tiro per il solo gusto di testare i suoi nuovi poteri.
Non ci mise molto a capire chi fosse la nuova vittima di Papillon e comprese altrettanto velocemente il pericolo che avrebbero corso se si fossero fatti trovare prima di essersi trasformati.
Con un balzo rotolò con Marinette dietro il muro su cui lei si era appoggiata, ritrovandosi nell’anticamera di un bagno, schiacciati contro un angolo.
«che sta succedendo…» tentò di domandargli Marinette, ma lui la zittì prima che potesse finire, tappandole la bocca con una mano, pregandola di fare silenzio. Non aveva idea di che tipo di akuma si trattasse, ma sentiva Adrien particolarmente vicino e questo la mise molto a disagio.  Era chiusa in quell’angolo con il bel biondo completamente addosso che la stringeva con un braccio avvolto in vita. Ad occhi indiscreti sembravano una coppietta appartata e sarebbero potuti esserli, se solo le cose fossero andate diversamente.
Era così vicina a lui da sentire il suo cuore battere contro il suo petto e il suo respiro caldo solleticarle la pelle. Era immobile, fermo e rigido, con lo sguardo fisso verso un punto indistinto del parco, lo osservò incantata; era così bello, come poteva farsi attanagliare dai dubbi su chi fosse veramente, quando lui era così meraviglioso. Era davvero così importante il fatto che lui fosse Chat Noir? Certo lo era, ma lui era davvero così male? Era coraggioso, forte, non si arrendeva mai di fronte a nulla e sapeva essere incredibilmente romantico.
Voleva parlare, voleva capire contro cosa avrebbero dovuto combattere. Bofonchiò qualcosa da sotto la mano di Adrien che la pregò di nuovo di fare silenzio gettandosi ancora di più su di lei, nascondendo entrambi sotto al cappuccio della sua felpa, celandosi nel buio di quell’angolo, per quanto possibile.
D’un tratto il suo cuore aveva iniziato a battere ancora più in fretta, Marinette lo sentì chiaramente sbattere contro di lei, mentre cominciava a sentirsi mancare il respiro per quella stretta sempre più forte che iniziò a farle quasi male. Le aveva tolto la mano dalla bocca, ma non era ancora riuscita a proferire parola. Lo sentì tremare per un momento. Qualcosa doveva averlo spaventato in quella nuova akuma che aveva scatenato il panico nel parco; smise di opporsi lasciandolo fare.
 
Ci volle un po’ prima che Adrien si convincesse dello scampato pericolo e lasciasse andare la ragazza, ma quando lo guardò in faccia lo spavento non gli era ancora passato.
 
«scusa…» mormorò imbarazzato per la situazione in cui l’aveva messa.
«Adrien, che succede? »
«un’akuma» le confermò sbirciando di tanto in tanto fuori dal loro nascondiglio.
«non ti sei mai spaventato per un’akuma» notò, preoccupata, Marinette.
«no, è vero, ma questa credo che sia colpa mia…. Ho detto alla ragazza di prima che non mi ricordavo di lei… è vero, ma credo che questo l’abbia fatta infuriare» le spiegò: « chiunque finisca vittima delle sue frecce scompare… e viene dimenticato»
 
Ci aveva messo un po’ a capirlo, all’inizio vedeva solo persone svanire nel nulla poco a poco, ma poi notò che chiunque fosse con loro, una volta svanite le dimenticava. Aveva visto due amici fuggire, uno di loro era stato colpito, ma nel momento in cui svanì l’altro si comportò come se fosse sempre stato solo. Il terrore di potersi dimenticare di qualcuno o di essere dimenticato l’aveva colpito in maniera così profonda che quando vide la loro nuova nemica avvicinarsi, l’istinto gli disse di nascondersi e soprattutto nascondere Marinette. Però aveva ragione, non potevano nascondersi in eterno, dovevano affrontarla e sconfiggerla.
 
«se voi due avete finito di amoreggiare, direi che è ora di passare all’azione» commentò, saccente, Plagg.
«noi non stavamo…» iniziò a replicate Adrien, ma poi si accorse che su una cosa aveva ragione, non c’era tempo da perdere: «forza, andiamo! » esclamò, pronto a trasformarsi.
 
Si erano distratti e Oubli riuscì a individuarli. Sul suo vestito era disegnata una grossa spirale nera che ruotava a ogni suo movimento e che avrebbe fatto venire il capogiro anche alla persona meno suggestionabile.
 
«ciao Adrien, finalmente ti ho trovato» ghignò prendendo bene la mira con la sua arma.
«aspetta ti prego! Mi dispiace di essermi dimenticato di te, davvero! Dimmi il tuo nome» la pregò, sperando di farla ragionare, nonostante sapesse che non era mai servito a nulla.
«il mio nome era Urielle! Ora sono Oubli! » si presentò a gran voce, ricordandogli finalmente chi fosse davvero: «saluta la tua amica, perché presto non ti ricorderai più di lei! » lo minacciò, pronta a scoccare la freccia.
«devi solo provarci! » ribatté alla minaccia, frapponendosi tra le due, ma incapace di trovare una via di fuga.
 
Il dito premette sul grilletto e la freccia scoccò, ma a mezz’aria fu fermata dal coperchio di un bidone, lanciato come un frisbee da Marinette, deviando l’attacco e colpendo anche Oubli.
Fuggirono, in cerca di un nuovo riparo per trasformarsi.
 
La casa stregata parve il luogo perfetto, un labirinto buio, illuminato solo dalle luci soffuse e che avrebbe dato loro modo di entrare in azione come super eroi.
«ora mi ricordo di lei» mormorò Adrien, mentre insieme si addentravano nel corridoio: « un paio di anni fa avevo partecipato a un servizio fotografico a Lione, credo che ci trovassimo nella villa della sua famiglia… l’ho incontrata solo quella volta, come potevo ricordarmi di lei? Come fa lei a ricordarsi di me? » si giustificò, pur non avendone motivo.
«sei una persona che lascia il segno quando passa» mormorò con una nota di tristezza, Marinette.
Doveva averla sentita, ma non replicò, trovò invece il luogo migliore per trasformarsi.
«qui andrà bene, forza trasformiamoci! »
«cosa? Qui? Così? » si lasciò prendere dal panico la ragazza. Non si sentiva ancora pronta a trasformarsi davanti a lui, probabilmente davanti a chiunque.
«cosa c’è che non va? » si preoccupò Adrien, guardandosi intorno in cerca di qualsiasi cosa l’avesse messa a disagio, non rendendosi conto di essere proprio lui il problema.
Non era facile spiegargli cosa stava provando, sapevano già la verità l’una dell’altro e avevano visto le loro trasformazioni annullarsi davanti ai loro occhi, ma assistere reciprocamente alle loro trasformazioni sarebbe stata un’ulteriore conferma a cui Marinette non era pronta. Furono i loro kwami a spronarli ricordando loro la gravità della situazione. Il potere di quell’akuma cancellava le persone dal loro mondo e dai ricordi, chiunque finisse vittima delle sue frecce cessava di esistere, probabilmente qualcuno dei loro amici era già scomparso senza che loro ne fossero coscienti.
«Marinette! » la dovette svegliare Tikki. Avevano ragione, non poteva tergiversare, Parigi aveva bisogno dei suoi supereroi.
Uno sguardo d’intesa con Adrien e si prepararono chiamando i loro kwami
 
«Tikki! »
«Plagg! » gridò Adrien assumendo la sua posa da trasformazione: « trasformami! »
 
Aveva anticipato la ragazza di pochi attimi, sufficienti a mozzarle la voce in gola e mostrandole la trasformazione in Chat Noir, il bagliore verde che lo avvolse la accecò per poco, ma riuscì a vedere quella maschera nera coprire il volto di Adrien. Non se lo seppe spiegare, ma vederlo trasformarsi sotto i suoi occhi la pietrificò.



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Ed eccoci giunti al secondo capitolo.... che dire... la testardaggine è di casa qui, ma almeno Adrien cerca di impegnarsi a trovare un punto comune, cosa che Marinette non è ancora pronta a fare....

Chissà se questa nuova akuma sarà d'aiuto o peggiorerà solo le cose... Vi saluto e aspetto i vostri pareri :)



Piccola nota, trovate la storia anche su Wattpad  
 
Ho cercato il tuo nome

a presto!

Vega

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Capitolo 4
*** Promessa ***


Capitolo3
Promessa
 

«Marinette! »
 
Tikki l’aveva avvertito, il cuore della ragazza aveva cominciato a battere molto più forte, tremava. Sapeva da giorni chi fosse davvero Chat Noir, allora perché vedere quella maschera sul suo viso la scioccò a quel modo?
 
«Marinette, devi farlo! » la incitò Chat Noir, inconsapevole di star peggiorando solo le cose. Più lo guardava più i suoi occhi diventavano lucidi, possibile che non riuscisse a darsi un contegno? Erano in pericolo e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che dietro il gatto nero si nascondeva il suo primo amore.
 
Marinette non era in grado di reagire in quel momento e Oubli li aveva trovati di nuovo. Non si domandò perché Adrien non fosse lì, le bastò la ragazza che prese di nuovo di mira.
 
«non te lo lascerò fare! » gridò l’eroe in nero respingendo la freccia con il suo bastone: « Smemorina, perché non te la prendi con qualcuno di più interessante» la distrasse cominciando a saltare per il corridoio buio, nascondendosi nell’oscurità per riapparire a sorpresa. La stava irritando, proprio come voleva, dando modo a Marinette di nascondersi.
 
«Marinette, che ti prende? » pigolò Tikki accostandosi al viso della ragazza, pallida e tremante.
«non ce la faccio Tikki, non posso… » singhiozzò stringendosi le mani sulle tempie, sconvolta: «lui è Chat Noir e io…»
«e tu sei Ladybug! L’eroina di Parigi! » gridò la kwami, pronta a sgridarla a dovere: «sei stata scelta per un motivo! Non puoi tirarti indietro! Tu sei Ladybug, non puoi scappare! »
Aveva ragione, in cuor suo Marinette lo sapeva, ma ogni volta che cercava il coraggio per trasformarsi un brivido la faceva trasalire impedendole di agire.
 
Per Chat Noir le cose non erano semplici, Oubli era un’avversaria temibile e molto forte.  Evitare le frecce sarebbe stato facile se quella maledetta spirale avesse smesso di ruotare e disorientarlo. Oltretutto quella ragazzina picchiava duro, non si risparmiava certo in calci e pugni.
 
«brava, continua così Oubli, mettilo alle strette, Ladybug non tarderà ad arrivare e una volta che avrò i loro miraculous, tu potrai avere la tua vendetta! » le promise Papillon, giostrandola come un burattino.
 
Chat Noir saltava da una parte all’altra dell’attrazione evitando e respingendo quelle frecce malefiche. Non aveva ancora capito dove si trovasse l’akuma, ma era certo che senza Ladybug sarebbe stato dimenticato molto presto dal resto del mondo.
 
«ehm… Ladybug se sei da queste parti e mi senti, avrei bisogno di un piccolo aiutino» disse a voce particolarmente alta mentre deviava una ad una le frecce dell’oblio.
«ti senti abbandonato, gattino? Scommetto che Ladybug se l’è data a gambe dimenticandosi di te! » lo punzecchiò Oubli.
«mai! » tuonò Chat Noir lanciandosi all’attacco, colpito nel vivo da quelle parole e non solo: « Ladybug non scapperebbe mai! Lei è la protettrice di Parigi e sono sicuro che sta arrivando. Io mi fido di lei! »
 
Nonostante tutto quello che avevano passato in quei giorni, lui ancora riponeva la sua fiducia nell’eroina in rosso e ciò colpì profondamente la ragazza nascosta nell’oscurità.
 
«Marinette lo so che sei confusa e spaventata, ma se non intervieni subito perderai l’occasione di sapere la verità » tornò a spronarla Tikki, facendo breccia nella sua mente.
 
«fiducia inutile Chat Noir! » scoppiò a ridere la malvagia Oubli che l’aveva inseguito fin fuori dalla casa degli orrori balzando da una giostra all’altra finché non riuscì a intrappolarlo in un angolo, pronta a colpirlo e impossessarsi del suo miraculous: « preparati a sparire! »
 
La freccia era stata scoccata, il supereroe aveva perso il suo bastone e non sarebbe stato in grado di schivarla in tempo.
Il colpo di uno yo-yo magico, però, lo salvò all’ultimo minuto.
 
«e così sei tu Ladybug» ghignò Oubli osservando la macchia rossa che emerse dall’oscurità riappropriandosi dello yo-yo.
«Ladybug! » esultò Chat Noir, al settimo cielo per il suo arrivo, balzando in piedi non appena lei atterrò al suo fianco.
«scusa il ritardo, affari urgenti» disse riconsegnandogli il bastone.
«ah tranquilla, me la stavo cavando» scherzò come suo solito, pronto a tornare all’attacco.
«sì, ho visto» rise la ragazza lasciando roteare lo yo-yo davanti a loro.
 
Erano pronti al secondo round, ma senza saperlo Oubli si portò in vantaggio. Le fu sufficiente una semplice provocazione.
 
«avete una grande intesa voi due, sarà divertente vedere i vostri ricordi svanire poco a poco… da chi cominciamo? Chi sarà il primo a dimenticare chi? »
 
L’intesa. Avevano avuto una buona intesa fin da subito, c’era sempre stato qualcosa che li legava, qualcosa che ancora non sapevano definire, ma che li confondeva e che in quel momento si rivelò il loro punto debole. Chat Noir aveva deciso fin dall’inizio di accantonare la questione, di pensare alla ragazza di fronte a lui solo come all’eroina di Parigi, dimenticando per un po' quel sentimento confuso in cui si era trasformato il suo amore per lei da quando aveva scoperto la sua vera identità; nonostante il suo tentativo, però, continuava a lasciarsi distrarre dalle mille parole dette e non dette, all’idea che Marinette fosse Ladybug fin dall’inizio.
Ancora più difficile fu per lei che aveva persino trovato difficile trasformarsi.
 
Tutti quei dubbi sfociarono in disastri a ripetizione che non li condussero a nulla, se non a schivare a pelo tutte le frecce di Oubli.
 
«così non va…» borbottò Chat Noir.
«lo so» sbuffò a sua volta Ladybug lasciandosi travolgere completamente dalle emozioni. Dall’ansia di sapere che al suo fianco c’era Adrien e furiosa all’idea di perderlo in ogni senso possibile.
Sapeva che lasciarsi trasportare da quei sentimenti sarebbe stato un errore, ma non riuscì a fermarsi e per poco una delle frecce della nemica non la colpì.
 
«ricordati che voglio i loro miraculous! Gli orecchini e l’anello! » urlò Papillon, seriamente preoccupato dalle innumerevoli volte in cui era finita sul punto di colpirli durante la lotta.
«tranquillo Papillon, sono supereroi, avrò tutto il tempo di prendere i loro miraculous prima di farli sparire per sempre» ghignò.
 
Chat Noir aveva appena salvato in extremis la partner nascondendosi con lei tra i tralicci delle montagne russe.
«dobbiamo escogitare un piano o spariremo per sempre…» mormorò Ladybug seguendo con lo sguardo Oubli che vagava per il parco in cerca di loro due e soprattutto delle sue prede: Marinette e Adrien. L’unico lato positivo di tutta quella storia era che sapendo chi fosse davvero Chat Noir, non sarebbe impazzita e rischiato la vita per cercare Adrien.
«ora basta» mormorò il ragazzo, del tutto disinteressato dall’akuma e molto di più dal comportamento di Ladybug: «lo so che è difficile, lo è per entrambi! » la sgridò anche lui: «ma se non ti concentri, finiremo tutti e due nel mondo dei dimenticati e Papillon vincerà, non so come, ma vincerà…»
«mi dispiace A… Chat Noir, ma è difficile e sai perché…» si giustificò lei, inconsapevole che con quelle parole sarebbe andata a colpire un tasto dolente che lo fece sbottare.
«pensi di essere l’unica ad essere in crisi per questa storia? Nemmeno io so cosa pensare, la ragazza di cui mi sono innamorato è la stessa che si siede dietro di me ogni giorno a scuola e che non sa pronunciare una frase di senso compiuto in mia presenza a meno che io non indossi questa stupida maschera! » esclamò, dichiarandosi a lei in maniera alquanto prepotente e goffa, prendendola in contropiede. Sapeva che in passato il ragazzo si era preso una sbandata per lei, ma credeva che dopo la loro chiacchierata, quella sera sul tetto, le cose si fossero messe a posto e che lui avesse lasciato perdere. Evidentemente non era così.
«cosa…»
Forse era stato davvero troppo brusco, non sono cose da dire in quel modo, ma non gli aveva dato scelta.
«mi sono innamorato di Ladybug, fin dal giorno in cui ci siamo conosciuti… Quello che mi confonde è che nonostante la grande somiglianza tra di voi, io non sia riuscito a riconoscerti» le confessò molto velocemente. «continuo a pensare a come faccio ad amare qualcuno che non conosco, perché in fondo, io non ti conosco, altrimenti avrei capito chi eri, già da molto tempo! ». In cuor suo sapeva di conoscerla, ma le parole erano uscite dalla sua bocca come un fiume in piena, teso dal pericolo e dall’atteggiamento della compagna che stava mettendo a rischio la loro incolumità. « non so in che modo vedrò Marinette d’ora in avanti, ma se non sconfiggiamo questa  akuma, non avremo nemmeno più modo di parlarne cesseremo di esistere»
Non aveva migliorato molto le cose, confessarle il suo amore in quel modo l’aveva mandata ancora di più nel pallone portandola sull’orlo del pianto. Era sempre stata forte, ma in quel momento sembrava non farcela più.
«Marinette... Ladybug, sei la ragazza più forte e straordinaria che io conosca e so che è difficile, ma Parigi conta su di te, non abbandonarli… ti prego! ».
Chat Noir sapeva sempre essere convincente, sapeva scavare dentro di lei e trovare quella forza di cui aveva bisogno. Era stato lui a creare la Ladybug che era diventata, le aveva mostrato chi era e cosa avrebbe potuto fare se solo avesse creduto in se stessa.
 
«Adrien! »
«Marinette! »
 
Le urla di Alya e Nino li interruppero.
Mentre tutti fuggivano dalla super cattiva che faceva sparire le persone, i loro amici erano rimasti per cercarli, ignari della verità.
Ladybug era ancora paralizzata dai suoi dubbi, ma non avevano più tempo, Oubli aveva preso di mira i loro amici. Sarebbe stata una vera soddisfazione per lei privare i responsabili della sua collera delle persone a loro più care e quelli sembravano essere due amici a cui erano particolarmente legati.
 
Deviò la freccia per un soffio preoccupandosi poi dei due ragazzi.
 
«dovete andarvene da qui! » esclamò Chat Noir: « se una di queste frecce vi colpisce sparirete e tutti si dimenticheranno di voi! » li mise al corrente.
«non possiamo! Abbiamo perso i nostri amici! » obbiettò Alya.
«ha ragione, Adrien e Marinette sono ancora qui! » le fece eco Nino, preoccupato quanto lei.
«no, loro stanno bene e sono al sicuro. Ora andatevene! »li rassicurò.
 
Convinti, Nino prese la mano di Alya e cominciò a correre; Chat Noir avrebbe coperto loro le spalle, se solo avesse visto dov’era finita Oubli. Quell’istante in cui si era distratto per mettere al sicuro i suoi amici le era bastato per sparire dalla sua vista. Sarebbe potuta essere ovunque e i suoi amici non erano ancora al riparo.
 
«tipico dei supereroi preoccuparsi prima degli altri» mormorò con un ghigno stampato sulle labbra la malvagia Oubli, nascosta e pronta ad agire, con un piano perfetto in mente e di cui non mise al corrente nemmeno Papillon.
 
La stava cercando ovunque  con lo sguardo, in guardia e pronto a contrattaccare, quando vide una macchia rossa piombargli addosso con tutto il suo peso e  con grande forza scaraventandolo a terra. Sentì un gemito sfuggirle dalle labbra, ma ancora non era riuscito a muoversi perché le sue braccia lo stringevano con forza e le unghie si facevano strada nella pelle nera facendogli avvertire il dolore dei graffi. Doveva ancora capire cosa fosse successo, quando sentì Alya urlare per lo spavento.
 
Ladybug aveva compreso di non poter abbandonare il suo compagno, nonostante la tempesta di emozioni che stava affrontando, quell’akuma era troppo pericolosa. Cercò con lo sguardo Chat Noir, trovandolo in mezzo allo spiazzo sotto alle montagne russe su cui si trovava lei e vide anche Nino e Alya allontanarsi di corsa. Mancava solo Oubli. Da lassù ci mise poco a trovarla: era sulla giostra vicina, appollaiata sulla struttura e con il suo compagno nel mirino. Rideva, soddisfatta di quello che sembrava essere il suo piano, mentre il suo indice pesava poco a poco sul grilletto della balestra e le sue labbra mormoravano : «addio, gattaccio»
In un istante un miliardo di pensieri affollarono la sua mente, mille mila possibili soluzioni. Avvisarlo non gli avrebbe dato il tempo di fuggire e non sarebbe mai riuscito a deviarla. Doveva agire. Smise di pensare e si lanciò di sotto.
Travolse Chat Noir con tutto il suo peso e la forza della caduta. Si sentì mancare quando un forte bruciore le attraversò il petto e sentendosi mancare per alcuni secondi.
 
Quando Alya sentì il tonfo arrestò la sua corsa voltandosi. Vide Ladybug sopra Chat Noir, però non fu quello a impressionarla, bensì la lunga freccia che le spuntava dalla schiena, non trattenne l’urlo di terrore che si fece strada prepotentemente nella sua gola alla vista dell’eroina trafitta a quel modo.
 
Chat Noir poté capire cos’era successo solo quando la ragazza si fece forza sollevandosi lentamente sulle braccia, lasciandosi sfuggire qualche gemito di dolore. Vide la punta della freccia sbucarle dal petto.
Non sanguinava, ma il suo viso pallido e l’enorme fatica che le provocò alzarsi gli fecero comprendere comunque il grande dolore che le provocava. Dopo poco la freccia si dissolse in fumo e lei ricadde su di lui, debole e dolorante.
 
«che hai fatto?! » andò nel panico il ragazzo sollevandosi e stringendola tre le braccia: «dovevi lasciare che mi colpisse! »
«no che non potevo» ridacchiò lei, mentre piano piano si riprendeva dal dolore, trovando ovvio il suo gesto.
«senza di te non potremo far tornare tutto alla normalità! E io….» la rimproverò, avrebbe voluto impuntarsi e dire che non voleva dimenticarla, ma lei lo interruppe sorridendo come se non fosse accaduto nulla.
«non posso dimenticarmi di te Chat Noir, se non fosse per te, io non esisterei. Sei tu che tutte le volte mi dai la forza di lottare, senza di te io non sarei nulla » sorrise coprendo la sua guancia con la mano: «se noi siamo una squadra è merito tuo e se tu sparissi… io smetterei di essere Ladybug»
 
Lesse nei suoi occhi quanto davvero fosse spaventata all’idea di dimenticarlo, di perderlo dalla sua mente e dal suo cuore.
 
Oubli tornò allo scoperto lasciandosi annunciare da una perfida risata che dipinse sul volto dell’eroe dalla maschera nera un’espressione di odio che mai si era vista. Gli stava portando via Ladybug, la sua Marinette, prima ancora che potesse prendere coscienza di ciò che provavano davvero l’una per l’altro, si sarebbe dimenticato di lei per sempre.
 
«tra poco Ladybug, non esisterai più. Voi eroi siete troppo altruisti» rise, sbeffeggiando il gesto  della ragazza: «tempo cinque minuti e sparirai per sempre! Dammi il tuo Miraculous e risparmiami la seccatura di dover venire a prenderlo»
 
Papillon rimase in silenzio ad osservare, non era certo che cancellare Ladybug avrebbe portato benefici, aveva un brutto presentimento, ma confidò comunque di poter mettere le mani sui suoi orecchini essendo ormai fuori gioco.
 
Chat Noir era combattuto, bramava vendetta, ma non poteva lasciarla, non sapendo che presto l’avrebbe dimenticata.
 
«Chat Noir, ascoltami, devi trovare l’oggetto in cui si nasconde l’akuma e liberarla. Fermala prima che sia troppo tardi» lo incoraggiò, aggrappandosi a lui per rimettersi in piedi, seppur inutilmente viste le forze che le venivano a mancare  sempre più rapidamente, mentre il suo corpo si faceva poco a poco evanescente.
«non posso lasciarti! » ribatté sostenendola e adagiandola a terra.
«cinque minuti, abbiamo sconfitto cattivi in molto meno. Io ti aspetterò… è solo il tempo di un Lucky Charm» sorrise, mentre Alya le si accostava rassicurando Chat Noir che si sarebbe occupata lei dell’eroina in sua assenza.
 
Fu così, il gatto si preparò al combattimento, lanciandosi all’attacco e colpendola più e più volte, schivando sempre le sue frecce, finché non capì che l’akuma si trovava nel cerchietto tra i suoi capelli.
 
La ragazza sentiva le forze abbandonarla poco a poco e la sua testa svuotarsi sempre di più, ma c’era una parola che le suonava in testa, anzi due e vedere con che forza Chat Noir lottasse per salvare tutti loro, le ricordò ancora una volta quando importante fosse sempre stato per lei e che con lui al suo fianco, non si sarebbe mai e poi mai arresa.
Preso un profondo respiro e raccolte le sue energie, Ladybug si alzò sulle proprie gambe puntando lo sguardo sulla nemica e su Chat Noir con cui ebbe un’intesa immediata. Non si sarebbe data per vinta, avrebbe lottato fino all’ultimo secondo al suo fianco.
 
«Lucky Charm! »
 
Per fortuna non aveva perso i poteri, non ancora.
Con un lampo di luce rosea, un boomerang si materializzò tra le sua mani e mentre lei realizzava come fare a usarlo, il suo compagno sfruttò il suo potere, il cataclisma per separare la super cattiva dalla sua balestra. Gli bastò farle crollare addosso le montagne russe. Nella foga di non venire travolta, la perse  e lui si prodigò affinché non ne ritornare in possesso, distruggendola.
Nel frattempo Ladybug si era fatta un’idea di cosa fare e con un lancio ben congegnato lanciò il boomerang. Rimbalzò  un po’ ovunque, finché non prese in pieno Oubli spingendole via dalla testa il cerchietto di cui si impossessò Chat Noir rompendolo e liberando l’akuma.
Non era ancora finita, lei doveva liberare il potere del Lucky Charm perché tutto tornasse alla normalità. Era una corsa contro il tempo, Ladybug non ce la faceva più e il boomerang era finito nelle mani del ragazzo. Balzò verso di lei, tendendo la mano per consegnarglielo.
 
«Ladyug! »
«Chat Noir! » lo chiamò con un filo di voce.
Il tempo era scaduto lo sentì chiaramente e quella fu l’ultima cosa che gli disse: «non dimenticarmi! »
 
Era lì, davanti a lui con gli occhi lucidi e la mano tesa, ma non fece in tempo a prenderla. La sentì appena pronunciare l’ultima parola prima di sparire. Svanì nel nulla, nello stupore generale dei suoi amici che da un momento all’altro non la videro più.
Tutto scomparve, Oubli tornò Urielle e il Lucky Charm si dissolse nelle mani di Chat Noir.
 
«no… Ladybug…» sibilò, incredulo, sotto shock, distrutto.
 
« LADYBUG!!! »
 
Levò il suo urlo che si propagò per tutto il parco, un grido disperato dell’eroe gatto, sconfitto al cielo rosso che stava segnando il confine tra la luce del giorno e le tenebre della notte.
Urlò finché la voce non gli morì in gola crollando con le ginocchia sull’asfalto, svuotato e disorientato.
Lei non c’era più, non ci sarebbe più stata e tra non molto l’avrebbe dimenticata.
Non poteva accadere, erano state le sue ultime parole: l’aveva pregato di non dimenticarsi di lei e no, lui non l’avrebbe fatto. Fissò il luogo in cui la sua lady era fino a pochi secondi prima.
Ci mise un po’ a rialzare lo sguardo e quando lo fece si accorse che Alya e Nino non c’erano più, anche Urielle se n’era andata, come se tutti fossero passati sopra alla scomparsa dell’eroina, di Marinette. Qualcosa di sinistro lo fece rabbrividire e di fronte a quel tramonto rosso fuoco, che lei potesse sentirlo o meno, le fece una promessa solenne.
 
«non ti dimenticherò. Marinette Dupain-Cheng, io ti riporterò indietro».
 
 

________________________________________________________________________________

E siamo al capitolo 3! Le cose si muovono, l'akuma ha fatto danni e Marinette... Marinette non c'è più. E adesso? Cosa farà Adrien? Cosa faranno tutti? E Papillon che è rimasto a bocca asciutta?

Commentate, votate, fatemi sapere cosa ne pensate e ci vediamo al prossimo capitolo (purtroppo non posso ancora dire con che frequenza pubblicherò i capitoli, non fraintendetemi sono tutti già scritti, ma ci sono le revisioni da fare e... sono in fase di tesi e laurea, per cui... cerco di farvi avere un capitolo a settimana, massimo 10 giorni )
Trovate la storia anche su Wattpad

Ho cercato il tuo nome

a presto!

"Restate connessi". cit .

Vega

 

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Capitolo 5
*** A qualunque costo ***


Buona Festa della donna!
Via ai feels!
 
Capitolo4
A qualunque costo
 

La sveglia suonò facendo sussultare Adrien che spalancò gli occhi ritrovandosi in camera sua, sotto le coperte. Era già mattina, eppure non ricordava di essere andato a letto, anzi non ricordava nemmeno come fosse tornato a casa la sera precedente.

«Plagg, cos'è successo ieri sera? » domandò, cercando con lo sguardo il kwami, ma non ebbe risposta. «Plagg! »

Di solito rispondeva, anche se con frasi improbabili come: non ci sono. Dormo. Sono impegnato.
Doveva essersi nascosto da qualche parte a rimpinzarsi di puzzolente camembert.

Non aveva tempo da perdere, doveva prepararsi e andare a scuola, con l'aiuto dei suoi amici avrebbe riportato indietro Marinette, in un modo o nell'altro, anche a costo di svelare le loro identità segrete. Ancora non sapeva come, ma la sua lady sarebbe tornata e avrebbero concluso quel discorso che avevano lasciato a metà. Se lui si ricordava di lei, allora c'erano ottime probabilità che anche gli altri la ricordassero.

Si preparò e vestì molto in fretta tornando a cercare Plagg una volta pronto. Era strano che ancora non si fosse fatto vivo, almeno per elemosinare del cibo.

Lo chiamò a lungo e quando capì che le parole erano inutili, andò a cercare la scorta segreta di formaggio che usava in emergenze come quella per farlo uscire allo scoperto. Non c'era. La scatola era sparita e purtroppo non fu l'unica cosa. Abituato ad averlo sempre al dito, non si era accorto, fino a quel momento, di non avere più l'anello. Sperò vivamente vi averlo perso nel letto, ma così non fu. Il suo miraculous era sparito.

I ricordi del giorno precedente cominciavano a farsi confusi. Più ci pensava e più la nebbia nella sua mente si faceva fitta. Era andato al luna park con Nino e lì avevano incontrato Alya e Marinette. Avevano fatto un giro sulla ruota panoramica insieme e poi avevano discusso, i suoi ricordi si confondevano dopo la sgridata a Ladybug, anche se ricordava bene la ragazza frapporsi tra lui e la freccia e le sue parole, in particolare le ultime.

Non dimenticarmi.

Non l'avrebbe mai fatto, era determinato a ricordarla, anzi avrebbe fatto molto di più.

«buongiorno Adrien» lo salutò Nathalie, mentre scendeva per fare colazione, incrociando il suo sguardo sulla porta.
«buongiorno Nathalie» rispose cordialmente andando a sedersi al suo posto. Osservò la tavola per un po', finché la domanda che lo tormentava fin dal suo risveglio non si fece ancora più prorompente e, a costo di sembrare impazzito, gliela pose.
«Nathalie, a che ora sono rientrato ieri? »

«alla solita ora» gli rispose, un po' perplessa: «credo fossero circa le sei»

Era difficile credere che fosse rientrato davvero così presto, era certo che il sole stesse tramontando nel momento in cui Ladybug svanì sotto i suoi occhi.
Stava succedendo qualcosa di strano, qualcosa che andava ben oltre il semplice potere dell'akuma.

Marinette era scomparsa e temeva di scoprire a che livello quel potere ormai svanito avrebbe agito sulle persone e come se non bastasse, anche Plagg e il miraculous erano svaniti. Che fosse stato Papillon a prenderlo? Abbattuto dalla scomparsa della ragazza e ormai prossimo alla trasformazione sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Arrivato a scuola, Nino lo accolse come al solito, allegro e sorridente e insieme entrarono prendendo posto al loro banco. Gli sembrò strano che ancora non gli avesse fatto domande su Marinette, ma presto sarebbe arrivata Alya e allora avrebbe dovuto dire loro cos'era successo.
Si sforzava di ricordare, di tenere bene a mente ogni singola cosa accaduta il giorno prima, ogni minimo dettaglio di Marinette, non poteva permettersi di dimenticare nulla.

Un paio di braccia sottili lo avvolsero da dietro stringendolo forte. Per un momento il suo cuore perse un battito, che fosse lei? Che fosse stato tutto sogno e che lei fosse seduta proprio dietro di lui? Allentò quella presa voltandosi di scatto, con la speranza dipinta sul viso.

«Mari...». No, non era come aveva sperato. «...ette...»

Bionda, coda di cavallo, occhi blu e sguardo accattivante, non era Marinette, ma Chloé, seduta insieme a Sabrina dietro di lui.

«buongiorno Adrien caro» ammiccò la biondina mandandogli un bacio.

«che ci fai qui? » si stupì Adrien, quello non era il suo posto, ma a quanto pare la cosa non quadrava solo per lui, perché a quella domanda i tre ragazzi intorno a lui lo guardarono in modo molto strano e come se non bastasse, al suo arrivo Alya, non solo li salutò appena, ma andò anche a sedersi nel primo banco, dove era sempre stata seduta la biondina snob.
«Adrien, va tutto bene? » si preoccupò Nino. Si comportava in modo strano e quello sguardo disorientato non era da lui.
«possibile che ti sembri tutto normale? » gli domandò in risposta:« Alya e Marinette sono sedute dietro di noi dall'inizio dell'anno e ora... vi comportate tutti come se niente fosse».

«chi? » strabuzzò gli occhi l'amico.
«e poi che fine avete fatto tu e Alya durante l'attacco dell'akuma? » continuò, ignorando la sua domanda.
«aku....che? Adrien, ma che ti prende? Chi è questa Marinette? E che di che attacco parli? ».

«di quello che è successo ieri, Nino! ».

«ieri? Ieri siamo andati al luna park, abbiamo incontrato Alya e alle cinque e mezza ti è venuto a prendere il tuo autista» fu il resoconto della giornata precedente che gli fece, simile alla giornata che avevano avuto, ma non esatto.

«chi è Marinette, Adrien caro? » s'intromise anche Chloé, praticamente coricata sul banco per origliare la loro conversazione.
«non ditemi che non vi ricordate di lei... » si stupì il ragazzo.

Avrebbe continuato, ma la prof. Bustier entrò in classe iniziando l'appello.

Chiamò tutti i ragazzi e tutti risposero. Segnati tutti presenti, pensò di cominciare la lezione.

«no, aspetti! » la interruppe subito Adrien: « è assente, ma... non ha chiamato Marinette».
Si ritrovò gli sguardi di tutta la classe addosso, eppure non aveva detto nulla di strano.
«chi? » si stupì la professoressa.

«Marinette, Marinette Dupain-Cheng! La nostra rappresentante di classe! » insistette alzandosi in piedi, in cerca di un minimo di accenno dai suoi compagni, ma ottenne solo sguardi perplessi e preoccupati.

«ehm... sono io la rappresentante di classe, Adrien» sventolò la mano Chloé.

«ma che ti prende? È da quando sei arrivato che parli di questa Marinette» mormorò Nino cercando di riportarlo a sedere, seriamente preoccupato per il delirio del suo amico.

«Adrien, non è divertente. Siediti e cominciamo la lezione» lo riprese l'insegnante, cercando di iniziare, peccato che il biondino non fosse d'accordo e non si sedette.
«andiamo, possibile che nessuno di voi ricordi Marinette? Alya, è la tua migliore amica! » esclamò iniziando a rivolgersi a ognuno dei suoi compagni: «e... Max! avete partecipato e vinto insieme al torneo di Ultimate Mega Strike III ! ».

«ehm... Adrien» cantilenò di nuovo Chloé: «Alya non ha alcuna migliore amica con un nome tanto ridicolo, anzi credo che non abbia assolutamente nessun amico e...».

«e sei stato tu a partecipare con Max al torneo, non te lo ricordi? » continuò Nino.

«ma no... Ivan, è stato grazie a Marinette se tu e Mylen state insieme! » aggiunse, non potevano non ricordarselo... o forse sì. Mylen divenne paonazza e Ivan s'infuriò con lui, era come se non fosse accaduto nulla, se tutto ciò che aveva fatto la ragazza dai codini neri, non fosse mai avvenuta. Non riusciva proprio a crederci e mentre lui insisteva con loro e Alya aveva iniziato a discutere con Chloé per la sua pessima battuta, la prof. Bustier perse la pazienza.

«adesso basta! Fate tutti silenzio. Adrien, non c'è nessuna ragazza di nome Marinette in questa classe, smettila con questo scherzo» lo rimproverò severamente.

«ma non è uno scherzo! Perché non provate a ricordare? » insistette, consapevole di star passando il limite sembrando in preda a un delirio, ma non poteva arrendersi, gliel'aveva promesso.

«ho perso la pazienza! Adrien, vai subito dal preside! » alzò la voce sbattendo una mano sulla cattedra.

Le dispiacque farlo e ancora di più quando vide quell'espressione abbattuta, di sconfitta sul suo volto. Non era mai stato un ragazzo indisciplinato, ma quel giorno aveva davvero passato il limite e creato il caos in classe.

Anche la conversazione con il preside fu controproducente, nessuno gli dava retta, sembrava che Marinette fosse scomparsa completamente, eppure lui la ricordava.
Non aveva voglia di rientrare in classe, non dopo la scena di poco prima, mancava poco all'intervallo e decise di aspettare il suono della campanella agli armadietti.
In casi come quelli Plagg se ne sarebbe uscito con una delle sue battute, ma non quella volta, perché Plagg non c'era, Marinette non c'era e i suoi amici lo credevano pazzo. Peggio di così non poteva andare, o forse sì. L'armadietto della ragazza era proprio lì davanti a lui e senza provarci due volte lo aprì. Era vuoto, non era di nessuno.
Era certo di non aver perso la testa, di non essersi sognato nulla, Marinette era reale, perché non era solo nella sua mente e nei suoi ricordi, ma era anche nel suo cuore e da lì nessuna akuma avrebbe mai potuto portargliela via.

Era così assorto nei suoi pensieri che non si rese conto del suono dell'intervallo e nemmeno della voce di Nino che lo chiamò più volte prima di riuscire ad attirare la sua attenzione.
«questa Marinette deve averti proprio stregato» lo prese in giro.

«non sei divertente» borbottò Adrien seguendolo in corridoio per godersi quei minuti di ricreazione insieme. Aveva appena varcato la porta quando un sussurro lo pietrificò.

«Adrien»

Qualcuno l'aveva chiamato, ma quando si voltò non vide nessuno.
«Nino, hai sentito? ».
«cosa? ».

Doveva essere così sconvolto da immaginarsi pure le cose. Ci stava pensando troppo, ma non riusciva a darsi pace, era stato il potere di un'akuma a provocare tutto quello e solo Ladybug avrebbe potuto porvi rimedio, peccato che lei fosse scomparsa e non solo dalla città o dal mondo, anche dalla memoria di tutti.

«sai cosa penso? » disse Nino:« tuo padre ti sottopone a troppe attività, sei stressato».

«Nino, non sono impazzito» sospirò Adrien, tentando di mantenere la calma: «è solo colpa di Papillon e delle sue dannate akuma». Sperava quella volta di venir preso seriamente, ma non fu così, il suo amico scoppiò a ridergli in faccia.
«Papillon? Akuma? Ma di che stai parlando? È un nuovo videogioco? ».
«ma che videogioco! Nino parlo di cose serie! Non dirmi che nemmeno Ladybug e Chat Noir ti dicono nulla?! » rimase del tutto spiazzato.
«se è una serie televisiva non la conosco, ma tu devi averla guardata fino a tardi ieri sera per esserne tanto ossessionato».

Continuare a parlare non aveva senso. Nino non era d'aiuto, nessuno era d'aiuto perché nessuno ricordava niente. Iniziò a ragionare sul perché si ricordava di lei, mentre gli altri no. Alya era la sua migliore amica, eppure non ricordava nulla di Marinette, sapeva quanto forte fosse il loro legame, ma forse era un altro il tipo di legame che c'era bisogno per ricordarsi di lei: l'amore. Lui amava la sua alter ego e in quei giorni aveva iniziato a pensare di amare anche la ragazza dietro la maschera, forse l'amore di un'amicizia non era abbastanza forte, ma quello di un genitore sì. Forse i suoi genitori si ricordavano di lei, probabilmente erano gli unici a poterlo aiutare.

Corse via, ignorando le urla di Nino che provava scusarsi. Doveva arrivare alla panetteria Dupain-Cheng il prima possibile, non poteva aspettare la fine delle lezioni.

***

Marinette vagava ormai da ore nella scuola completamente deserta, sola e spaventata.

Un attimo prima che Chat Noir la toccasse, il potere di Oubli la fece svanire, ma in realtà non si dissolse davvero come lui credeva, ai suoi occhi era stato il mondo circostante a svanire trasformandosi in una Parigi completamente deserta, immobile e silenziosa.
Il luna park desolato non era un bel posto in cui ritrovarsi da sola, ma almeno le bancarelle erano stracolme di dolciumi di ogni tipo, in questo modo Tikki avrebbe riacquistato le forze e.... Dovette rifletterci un momento, non era più Ladybug, ma la kwami non era con lei, non era nella sua borsetta, né da nessun'altra parte. Neanche gli orecchini erano più al loro posto.

«che sta succedendo? » si spaventò: «Tikki! Adrien! Alya! »
Fu inutile urlare, nessuno le rispose, perché nessuno avrebbe mai potuto sentirla. Si sentiva un fantasma in un mondo fantasma e non poteva trasformarsi. Anche il cielo aveva un aspetto lugubre, non era nero e non c'erano stelle, ma solo una patina grigia che non sapeva né di giorno, né di notte.

Passò le ore notturne a girovagare per la città, finché alle prime luci dell'alba, segnata solo dall'orologio del suo telefono, non si ritrovò davanti alla scuola. Era stanca, aveva bisogno di dormire un po', ma ancora non se la sentiva di tornare a casa. Stesa sulla panchina davanti al suo armadietto, si lasciò andare addormentandosi il tempo necessario a riacquistare le forze.
Fu una sensazione a ridestarla, un dolce calore che sentiva provenire da un punto indefinito accanto a lei. Il suo telefono segnava già le dieci passate e lei doveva trovare assolutamente un modo per tornare nel suo mondo.

Si sentiva improvvisamente pronta a raggiungere casa sua, forse Tikki era lì che la aspettava e forse insieme avrebbero trovato la soluzione a quel pasticcio. Decisa, corse fuori. Aveva appena messo un piede sulla soglia della porta quando udì una voce molto familiare che la pietrificò e la spinse a pronunciare il nome di quella persona.
«Adrien»

Non ottenne risposta, probabilmente era la sua mente che le giocava brutti scherzi, il silenzio di quel mondo era assordante, avrebbe fatto impazzire chiunque.

Senza perdere tempo, corse a casa. Proprio come si aspettava, non vi trovò nessuno, come nel resto della città e a quanto pare nemmeno Tikki si trovava lì. Salì velocemente le scale entrando in casa, era tutto normale e ordinato, come sempre, ma quando arrivò in camera sua, trovò una brutta sorpresa ad attenderla.

***

Adrien era finalmente arrivato al negozio dei genitori di Marinette, entrò senza esitazioni.

Come ogni giorno, Tom e Sabine servivano i loro clienti con il sorriso. Trovò strano che fossero così calmi, con la loro unica figlia dispersa chissà dove e ne temette il motivo, ma si prese coraggio e avanzò. C'erano un paio di clienti prima di lui, li ignorò volutamente, passando avanti e lasciando un po' perplessi i pasticceri di cui ebbe la completa attenzione.

«come posso aiutarti, giovanotto? » gli domandò Tom. Doveva avere una gran fretta per saltare la fila in quel modo e con quello sguardo serio.
«buongiorno signore, sono Adrien, un compagno di scuola di Marinette, avrei bisogno di vederla» disse tutto d'un fiato. Ora si aspettava una risposta adeguata alla sua domanda come per esempio: mi dispiace, ma non sappiamo dove sia. Oppure. Marinette non rientra a casa da ieri sera, hai idea di dove possa essere?

La porta della panetteria si era appena aperta suonando il campanello, quando Sabine prese la parola inclinando la testa di lato con aria un po' perplessa.
«chi è Marinette? ».

Era l'unica domanda che non voleva più sentir pronunciare per il resto della vita. Come era possibile che nemmeno i suoi genitori, le persone che l'amavano più di tutti, non sapessero chi fosse?

«Marinette... signora... Marinette...» insistette Adrien, ma ormai la voce aveva già iniziato a tremare.

«Sabine, avete preso un gatto? » si intromise la signora anziana a cui lui aveva preso il posto in fila.
«no! Sto parlando di vostra figlia Marinette! » esclamò, ormai sull'orlo della disperazione, rimasto solo a lottare contro quell'amnesia che aveva travolto l'intera città.

«oh caro, temo che tu ti stia confondendo» disse con rammarico la signora Dupain-Cheng portandosi una mano alla guancia: «noi non abbiamo figli».
«certo, ne volevamo, ma non ci è andata bene» aggiunse Tom, cercando di metterla sul ridere.

Eccola, la doccia gelata che Adrien avrebbe evitato molto volentieri. Sentì l'aria venirgli a mancare poco a poco, non stava più respirando. Era assurdo, tutto quello era assurdo.
«Adrien». Solo la voce di Nathalie lo aiutò a ridonare aria ai polmoni, era proprio dietro di lui che lo osservava con la sua solita aria seria:« Adrien, perché non è a scuola? »

Non aveva tempo per dare spiegazioni, doveva vederlo con i suoi occhi. Sapeva di star commettendo un errore dopo l'altro quel giorno, ma doveva trovarla ad ogni costo.
Ancora con gli occhi di tutti puntati addosso, si lanciò verso la porta di casa fiondandosi su per le scale, con l'assistente del padre che lo inseguì e Sabine dietro di loro.
Al primo piano trovò il solito salotto e la cucina openspace e lì la scala che portava alla camera di Marinette, non potevano negare di avere una figlia se la sua camera era proprio lì.
Aprì la botola e scoprì con amarezza che la camera da adolescente della ragazza era stata sostituita da una comune mansarda arredata in maniera non particolarmente allegra come la stanza che sostituiva o il salotto al piano di sotto. C'era un divano, un paio di poltrone di un color sabbia e una chaise-longue simile a quella di Marinette, ma non la stessa.
«era qui... la sua stanza...» mormorò salendo anche gli ultimi gradini. Il soppalco con il letto era stato sostituito da una libreria a pioli e dove c'era la sua scrivania ora c'era un tapirulan impolverato e mai usato.
«Adrien» lo chiamò di nuovo Nathalie.

«lei era...» bisbigliò cercando un po' di conforto nello sguardo freddo della donna: «perché nessuno riesce a ricordarsi di lei? Marinette è sua figlia, signora...» pigolò, ormai sfinito dalla miriade di delusioni di quella mattina.
«mi dispiace, credo che tu stia sbagliando persona...» tornò a ripetere Sabine, non voleva dargli delusioni, ma per lei era quella la verità.
«Adrien, andiamo» lo chiamò per la terza volta la donna dal ciuffo rosso e lo sguardo di ghiaccio invitandolo a scendere con loro. Non aveva motivo di rimanere in quel luogo vuoto, si fermò solo un momento sul primo gradino, con i pugni e gli occhi serrati rimarcando la sua promessa.

«io ti troverò Marinette, ti troverò e ti riporterò indietro. Non mi dimenticherò di te, mai».
 

«Adrien».
La sua promessa aveva ricevuto una riposta e quella volta fu certo di averla sentita, era lei e gli aveva risposto.

***

Marinette, trovò la sua stanza del tutto trasformata, niente tappeto e lavandino, nessun separé e nessuna foto di Adrien da nessuna parte. Quella non era più la sua stanza.
Entrò guardandosi intorno, cercando una spiegazione logica a tutto quello, ma non arrivò. Restò seduta su uno dei divani per un po'. Quel silenzio era assordante, le sembrava di impazzire.
Ripercorse ogni singola cosa accaduto il giorno precedente e rimpianse amaramente di non aver dato l'opportunità ad Adrien di parlare, di discutere della loro situazione, perché probabilmente non avrebbe più avuto occasione.

«Tikki...» pigolò, sopraffatta dalla paura.

Lei avrebbe saputo cosa fare, le avrebbe dato coraggio e spronata a reagire, ma non c'era, era sola. Avrebbe potuto urlare e nessuno l'avrebbe sentita e poi tornò, quella sensazione di calore che l'avvolse e abbracciò facendola scattare in piedi. Per un momento le parve di vedere un'ombra lasciare l'attico, allucinazione o no, doveva seguirla. Aprì la botola e si preparò a scendere quando la voce chiara e solenne di Adrien le arrivò perfettamente dritta alle orecchie. Lo sentì mentre le prometteva che l'avrebbe trovata.
Lo chiamò, lui doveva sapere che lei era lì, che lo poteva sentire, ma la sua chiamata non ricevette risposta. Era di nuovo sola con se stessa.

«Adrien, cosa le sta succedendo? » volle sapere la donna, mentre viaggiavano in auto.

Avrebbe dovuto dare una spiegazione a suo padre, ma prima la voleva lei essendo anche sotto la sua tutela.
«è difficile da spiegare» mormorò il ragazzo guardando distrattamente fuori dal finestrino: « come mi ha trovato? ».

«non l'ho fatto, svolgevo alcune commissioni per conto di suo padre e l'ho vista» spiegò.

Lei gli aveva dato una scelta: tornare a casa o a scuola e lui aveva preferito casa. Avrebbe spiegato lui a suo padre il motivo del suo rientro anticipato, nel frattempo c'era una cosa che doveva trovare assolutamente.

Non appena la macchina si fermò davanti al cancello di casa, Adrien saltò fuori spalancando la porta d'ingresso con una spinta che annunciò il suo rientro con fragore. C'era ancora una speranza di trovarla, una cosa che apparteneva a Marinette e che era custodita lì, in casa sua. Nella stanza in cui suo padre conservava le sue migliori creazioni, gli abiti più famosi, quelli più apprezzati, i suoi preferiti. Tutto ciò che aveva reso Gabriel Agreste uno dei migliori stilisti, era custodito in quella stanza e in più c'era un capo molto prezioso che non aveva creato suo padre e che aveva reso Adrien molto orgoglioso della sua Marinette.

«la mia Marinette» sorrise, ripetendo ad alta voce il suo ultimo pensiero mentre entrava nella stanza.
C'era una vetrina vicino all'appendi abiti in cui erano esposti i migliori capi della collezione teenager estiva di alcuni anni fa e lì c'era il cappello con cui Marinette aveva vinto il concorso di Fashion Design della scuola. Come tutte le altre sue speranze di quel giorno, però, ebbe l'amara scoperta che anche il cappello era scomparso. Neanche quella volta accettò la sconfitta, aveva fatto un servizio fotografico intero con quella bombetta in testa, tra uno starnuto e l'altro, se lo ricordava perfettamente. Non si sentiva più il naso quel giorno e sensazioni come quelle non si possono inventare, come non poteva inventarsi il batticuore che gli veniva ogni qualvolta il terrore di perdere quella ragazza dagli occhi blu gli attraversava la mente.

Quella bombetta esisteva e lui l'avrebbe trovata, era lì da qualche parte.
Aveva già messo a soqquadro la stanza quando Nathalie lo raggiunse, allarmata dal baccano.

«Adrien, che sta facendo?! »

Se il suo capo avesse trovato quella baraonda, sarebbe stata lei la prima con cui se la sarebbe presa. Quel ragazzo si comportava in modo strano fin da quella mattina, ma stava davvero passando il limite. La scuola, l'intrusione in casa dei panettieri e poi quello.

«Adrien, la smetta! Suo padre non sarà contento» lo rimproverò seguendolo da un lato all'altro della stanza, mentre frugava ovunque.

«devo trovarlo, non può essere sparito! »gridò spalancando gli armadi, svuotando i cassetti in cerca di quel cappello che sembrava scomparso nel nulla. «dov'è?! Dov'è?! ».

«ora basta, la smetta! ». se non voleva fermarsi, l'avrebbe fermato lei stessa prima che provocasse danni irreparabili. Lo afferrò per una spalla allontanandolo con forza dall'espositore. «si calmi, per favore! ».

«no! ». esplose liberandosi con uno strattone che buttò la povera Nathalie a terra.

Il gemito che emise la donna quando sbatté a terra lo fermò. Cosa stava facendo? Cosa stava diventando? Forse avevano ragione i suoi amici, stava davvero impazzendo. Si fermò un momento a riflettere, non aveva importanza quello che gli altri pensavano di lui si era promesso che avrebbe riportato indietro Marinette a qualunque costo e l'avrebbe fatto. Si sarebbe scusato con Nathelie dopo, prima doveva trovare quel cappello.

«che sta succedendo? » tuonò Gabriel, allertato dal baccano e dalle grida: «Adrien, cosa stai facendo? ».
«dov'è? Devo trovarlo! Dov'è quel cappello? ».
«quale cappello? Adrien, smettila».

Non ascoltò nemmeno lui, era come se fosse in un mondo tutto suo, in cui nessuno era ammesso.

Dopo numerosi tentativi andati a vuoto e minacce, Gabriel capì che fermarlo a parole sarebbe stato inutile e l'aria preoccupata di Nathalie gli fece capire quanto grave fosse la situazione di suo figlio. Stava dando davvero un pessimo spettacolo di sé, senza contare che quell'agitazione non gli faceva bene.
Ormai se c'era qualcosa da trovare, l'avrebbe già trovata, quell'annaspare tra i vestiti era puro panico che costrinse il sig. Agreste ad afferrarlo per le spalle dandogli uno scrollone che lo fece rinsavire.
«Adrien basta! Calmati! ».
Rimase immobile a osservarlo per qualche momento e man mano che si calmava un velo di lacrime ricoprì il suo sguardo.
«devo trovarlo papà! Il capello di Marinette, la bombetta con le piume di piccione che ha fatto Marinette! Dov'è? Ti prego dimmelo!».
«quale bombetta, Adrien di che cosa stai parlando? » si sentì alquanto confuso Gabriel, ignaro di cosa stesse parlando suo figlio.

«quella del servizio fotografico, del concorso nella ma scuola, papà, non ricordi? » singhiozzò, sperando di smuovere almeno in lui qualche ricordo.

«non c'è mai stato nulla del genere. Avanti Adrien, alzati ». Si ricompose, intuendo che la sua scenata fosse ridotta solo alla ricerca di quel cappello di cui lo credeva in possesso, ma si sbagliava.

«nessuno la ricorda...» mormorò, ormai sfinito e deluso: «nessuno si ricorda di lei»

C'era di più e quel mormorio spezzato dai singhiozzi permise a suo padre di capirlo, qualcosa che lo spinse ad ascoltare con più attenzione, per una volta.
«che sta succedendo, Adrien? » domandò con un tono amorevole che raramente gli sentiva usare, inginocchiandosi accanto a lui, pronto ad ascoltarlo.
«l'akuma di ieri, me l'ha portata via. L'ha colpita e lei è scomparsa e... e nessuno si ricorda più di lei, neanche i suoi genitori! È cambiato tutto. Ladybug, Chat Noir, Papillon.... Nessuno ricorda più nulla e senza...» stava per nominare il suo miraculous, ma se mai tutto fosse tornato alla normalità e suo padre avesse ricordato le sue parole in quel momento, sarebbe stata una catastrofe, gli avrebbe rivelato la sua identità. Nella disperazione, trovò quel briciolo di razionalità che lo aiutò a tacere il suo segreto. «senza di loro Marinette non tornerà mai più... senza Ladybug io la perderò! Deve tornare! Devo ritrovarla papà! Non posso perderla, non ora che... che io... e lei... Marinette...».
Come spiegare a suo padre qualcosa che nemmeno lui ancora aveva capito? Se le cose fossero rimaste così per sempre, probabilmente avrebbe finito con il dimenticarsi di lei e l'avrebbe persa per sempre e non se lo sarebbe mai perdonato.

Adrien era davvero sconvolto, non riusciva a darsi pace per la scomparsa di quella ragazza che, da quanto diceva, nessuno ricordava. Nemmeno per un momento gli passò per la mente che suo figlio avesse perso la ragione, sebbene lo stress e i troppi impegni avessero potuto contribuire a farlo cedere in quel modo. Non lo vedeva tanto sconvolto da quando seppe che sua madre era scomparsa. Quella ragazza doveva essere molto speciale per lui, molto di più di quanto lui stesso pensasse, comprendeva perfettamente quel tipo di dolore. Il modo in cui aveva lottato per cercarla l'aveva colpito molto e ancora di più sentirlo parlare delle akuma. Era come se lui sapesse di quel potere.
Accompagnò personalmente Adrien in camera sua, consigliandogli di riposarsi e riordinare le idee, sicuramente avrebbe trovato una soluzione.
Subito dopo si precipitò nel suo studio aprendo la cassaforte per assicurarsi che il libro fosse ancora al suo posto, c'erano anche i miraculous della farfalla e del pavone, era tutto al loro posto, ma ancora non si spiegava le parole di Adrien. Dopo molto tempo, indossò di nuovo il suo miraculous liberando il kwami, decidendo di metterlo al corrente di quanto appena accaduto.

«sono desolato maestro, ma non saprei risponderle» chinò la testolina viola l'esserino alato: «se quello che dice Adrien è vero, allora potrebbe essere la conseguenza del potere di un'akuma, in qualche modo la scomparsa di questa ragazza di nome Marinette deve aver cambiato la realtà» ipotizzò Nooro.
«devo supporre, quindi, che come ha detto Adrien, non arriveranno mai Ladybug e Chat Noir e dunque non potrò mai impossessarmi dei loro miraculous» ragionò ad alta voce il noto stilista, amareggiato dalla notizia.
«è così, maestro» annuì il kwami. Fu l'unico lato positivo di quella storia dal suo punto di vista. Da tempo Gabriel bramava di usare il suo miraculous per stanare il guardiano e impossessarsi dei gioielli del gatto e della coccinella, ma Nooro era sempre riuscito a farlo desistere con diverse scuse.
«se Ladybug e Chat Noir non esistono, come potremo tornare alla normalità? Nooro devo avere i loro miraculous a qualunque costo! » insistette fulminando il piccolo kwami con il suo sguardo gelido affinché gli desse una risposta esaustiva, di cui lui, però, non disponeva.
« maestro, io non ne ho il potere. Solo il guardiano sa cosa fare» mormorò, con aria mortificata. Aveva paura del mondo che esisteva prima dell'effetto di quell'akuma e di cui tutti loro non avevano memoria, ma sapeva anche che non potevano restare tutti in quello stato. Poi lo colse un'idea. «ma forse, è proprio Adrien la chiave. Lui ricorda ogni cosa, deve esserci qualcosa tra lui e la ragazza che lo aiuta a ricordare. È importante che non dimentichi! » aggiunse il kwami.
«sì, ma cosa terrà vivi i suoi ricordi? » si interrogò ancora Gabriel, incapace di darsi una risposta esaustiva, che non fosse il semplice amore adolescenziale.

***

Stanca di stare sola, chiusa tra quattro mura e con la sola compagnia di un cellulare senza segnale, Marinette aveva deciso di uscire a sgranchirsi le gambe. Forse passeggiare tra gli alberi, sotto il sole le avrebbe schiarito le idee e dato la forza di lottare contro il suo triste destino.
Si sedette su una panchina rilassandosi contro lo schienale, lasciando andare la testa all'indietro per osservare il cielo.
«perché non l'ho lasciato parlare...Adrien» pigolò cercando il suo viso tra le nuvole, poi chiuse gli occhi.
Li riaprì quando degli schiamazzi attirarono la sua attenzione: c'erano dei bambini attorno a lei, li sentiva e li vedeva. D'un tratto il parco si era popolato di bambini, genitori e ragazzi che giocavano allegramente.
Pensò di essere tornata, che in qualche modo Adrien avesse trovato il modo di farla tornare e lui doveva essere lì da qualche parte ad aspettarla, abbracciarla, baciarla, sposarla e avere dei bambini.... Forse stava correndo con la fantasia, non era nemmeno certa di amarlo ancora come una volta e fantasticava sui loro figli? Le venne da ridere a quel pensiero, anche perché non era la prima volta che viaggiava troppo in là con la fantasia e l'ultima volta era stata Alya a riportarla con i piedi per terra. Alya. Chissà se si ricordava ancora di lei. Lo pensò tristemente tornando a guardare i bambini giocare, aveva la strana sensazione che fosse tutto normale, nonostante qualcosa non quadrasse. Era come se l'intera città avesse fatto un salto in avanti di almeno una quindicina d'anni.

Poi sentì una vocina chiamarla, ma non la chiamò per nome.

«mamma! Mammina! » squittì la bimba bruna che le stava correndo incontro aggrappandosi alla sua gonna. A quanto pare non era solo la città ad essere cambiata, ma anche lei. Ci aveva fatto caso solo in quel momento, si sentiva più alta, i capelli molto più lunghi legati in una coda bassa, sentiva il suo corpo molto più maturo, così come il suo abbigliamento, più sobrio e adulto con una gonna rosa al ginocchio e una camicetta bianca.
La bimba che somigliava tanto a lei quando aveva la sua età, la chiamava e la tirava verso il cancello del parco.
«mammina, andiamo a casa? » le chiese guardandola con i suoi occhioni blu.

Marinette si sentiva alquanto disorientata: un momento prima era un fantasma in un mondo fantasma e in un battito di ciglia si era ritrovata adulta e madre di quella bambina. Ma se era madre, allora doveva esserci anche un padre.
Il tempo di pensarci e si ritrovò di fronte all'alto cancello di una villa che lei conosceva fin troppo bene da fuori e che probabilmente avrebbe conosciuto anche dentro visto che lei e la sua presunta figlia stavano passeggiando allegramente nel vialetto salendo le scale e varcando la porta come se fosse casa loro.
Ebbe un momento di esitazione, che fare? Chiedere permesso o avvisare di essere rientrata? Era davvero casa sua? La sua bambina sembrava perfettamente a suo agio in quel posto.
Era cambiato da quando c'era stata l'ultima volta, la tappezzeria bianca e nera era stata arricchita da sprazzi di colore che vivacizzavano l'ambiente, insieme a quadri e fiori; in più il triste quadro di Adrien e suo padre era stato sostituito da quello della famiglia Agreste al completo.

«già di ritorno? »

Era una voce che conosceva molto bene, solo un po' più grave, proveniente dalla sua sinistra. Aveva paura a voltarsi, ma al contrario di lei, sua figlia non si fece problemi a correre incontro a quel bell'uomo biondo che la prese in braccio e che chiamò allegramente: «papà! ».Papà. Lo volle vedere quel papà. Era proprio lui: Adrien. Le sorrideva e teneva in braccio la bimba che la chiamava mamma. Per cui a rigor di logica se lei, Marinette, era la mamma e Adrien il papà, allora loro...«siamo sposati?! » esclamò rendendo reale il suo pensiero, trovando uno sguardo di ilarità nell'uomo.«l'ultima volta che ho controllato sì» rise Adrien rimettendo la figlia a terra e mostrandole la fede: «e anche nei cinque anni passati» aggiunse avvolgendole un braccio intorno alla vita e traendola a sé pronto a darle il consueto bacio di bentornata.Stava accadendo tutto troppo in fretta: il marito dei suoi sogni, una splendida bambina, una casa gigantesca... il bacio di Adrien sarebbe stato il colpo di grazia. Marinette non glielo permise, trovò un modo per defilarsi, usando la figlia come scusa.Era sconvolta, la gente normale dimenticava la borsa, le chiavi della macchina, lei invece aveva dimenticato gli ultimi quindici anni della sua vita, aveva dimenticato di essere sposata con Adrien e di avere avuto una figlia con lui. Era sempre stata sbadata, ma quella era un'esagerazione. E se fosse stato tutto un sogno? Era possibile? Eppure sembrava tutto così reale.Anche da adulto, Adrien era l'uomo più bello che avesse mai visto e se davvero erano sposati e anzi se avevano anche una figlia, non ci sarebbe stato niente di male a farsi baciare.La porta si era appena chiusa alle sue spalle e Adrien la stava conducendo dentro la stanza tenendola stretta per mano. Ci mise un po' a capire come erano arrivati lì dentro: avevano cenato tutti insieme e poi portato la loro bambina nella sua cameretta per metterla a dormire, dopodiché lui l'aveva portata nella loro camera da letto che si trovava esattamente al posto di quella da adolescente di Adrien, arreda in maniera molto più sobria, senza bigliardini o muri da arrampicata.

«dunque... la nostra bellissima bambina dorme, fuori è buio, noi siamo soli...» ammiccò Adrien avvicinandola di nuovo a sé: «sai cosa significa M'lady? » le mormorò con voce suadente all'orecchio, mandandole a fuoco le guance come mai aveva fatto. Cosa le stava proponendo?
«Adrien...» sospirò, mentre le mani di suo marito si muovevano su di lei carezzandole i fianchi e facendola sprofondare nell'imbarazzo. Non ricordava nemmeno la bambina che la chiamava mamma era entrata a far parte delle loro vite o come ci fosse finita la fede nuziale al suo dito, figurarsi tutto il resto. Aveva capito perfettamente le intenzioni di Adrien, ma l'idea la innervosiva molto, perché non ricordava di averlo mai fatto e aveva ancora di più il terrore di dirgli la verità. Non voleva allarmarlo per qualcosa che probabilmente sarebbe passata presto e poi le piaceva stare tra le sue braccia. Almeno finché le sue mani non s'infilarono nella camicetta.
Non poteva continuare, glielo doveva dire, ma aveva la voce strozzata in gola. Per l'imbarazzo? Per il batticuore? Per tutto quello che stava succedendo. Se era un sogno era ora di svegliarsi e dire addio al suo bellissimo marito immaginario.
Voleva urlare, anzi stava per urlare, quando tutto svanì. Marinette rimase di nuovo sola al mondo, nel suo corpo da adolescente, ancora in quella stanza, tornata ad avere l'aspetto di quella che lei ricordava, immersa nell'oscurità della notte, nel silenzio più assordante, rotto solo dal suo cuore che le esplodeva nel petto.
Come pensava si era trattato solo di un sogno, ma così realistico da averla fatta camminare nel sonno, fino a quella casa.

«Adrien...» pigolò, mentre un nodo alla gola le bloccò la voce e grosse lacrime velarono i suoi occhi.

 

 

________________________________________________________________________________

 

 

Adrien farebbe qualunque cosa per riportare indietro la sua Marinette, anche a costo di sembrare passo gli occhi di tutti....

Uh ragazzi che ansia! Niente miraculous significa niente super poteri e ora come faranno a ritrovarsi? e perchè Adrien è l'unico a ricordarsi di Marinette?

Mi farebbe piacere sentire le vostre teorie 

Nel frattempo saluto e ringrazio voi che leggete, commentate e se anche questo capitolo vi è piaciuto fatemelo sapere!

Stiamo entrando nel vivo della storia, ne vedremo di belle e soprattutto MOLTI feels!

alla settimana prossima!

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Capitolo 6
*** Luna Nuova ***


Capitolo 5
Luna Nuova

 

Il sole stava per tramontare quando finalmente Adrien si svegliò.
Aveva dormito per tutto il giorno e per quei pochi istanti in cui riaprì gli occhi si sentì in pace, tranquillo e sereno, la mente vuota, nessun pensiero, nessuna preoccupazione; poi ricordò i terribili avvenimenti del giorno prima, la voce tremante di Ladybug che lo pregava di non dimenticarla e l'incredibile catena di delusioni che avevano seguito la sua scomparsa e i drastici cambiamenti nel loro mondo.
Suo padre si era mostrato più comprensivo di quanto credesse, gli aveva persino promesso che avrebbe fatto il possibile per aiutarlo. Era stato l'unico a non guardarlo come se fosse impazzito e quello fu l'unico spiraglio di luce in quel giorno tanto buio.

Nonostante quella promessa, però, Adrien rimase così sconvolto e disperato che Gabriel, per calmarlo, gli fece prendere, eccezionalmente, una pillola per calmare i nervi. Aveva fatto effetto, perché l'aveva fatto dormire per lunghe ore. Il suo cuore era ancora a pezzi, ma aveva riacquistato un po' di lucidità.

Si alzò andando in bagno a sciacquarsi la faccia e liberarsi di quella patina di torpore che le pillole gli avevano lasciato. Era più tranquillo e anche più cosciente.
Sollevò lo sguardo verso il suo riflesso, si scrutò e si studiò per un po'. Era senza dubbio un bel ragazzo, ne era consapevole e tutti lo dicevano, non a caso faceva il modello, ma poi? Cos'altro era Adrien Agreste, cosa c'era oltre quel bel faccino?
Solo un ragazzino incapace. Si disse provando grande disgusto per se stesso, con che coraggio si guardava ancora allo specchio, dopo quello che aveva fatto.
Era solo colpa sua se Marinette era scomparsa, lui aveva ferito Urielle spingendola a cedere al potere di Papillon, era colpa sua se l'eroina aveva vacillato e ancora una volta colpa sua se si era dovuta mettere in mezzo per salvarlo. Tante volte era caduto vittima dei poteri delle akuma e altrettante Ladybug era dovuta correre in suo soccorso mettendo a repentaglio se stessa e i loro miraculous.
Non era tagliato per fare il supereroe, certo era felice dei suoi poteri, gli davano quella libertà che aveva sempre desiderato, ma davano sfogo anche a tutta la sua incoscienza. Giocava a fare l'eroe, ma se le cose si facevano serie non sapeva che fare, non da solo, non senza di lei. E in quel momento non sapeva proprio cosa fare. Era inutile, incapace. Che fosse Adrien o Chat Noir, senza Marinette non era niente.

«mi dispiace Marinette» pigolò, abbattuto, decidendo di sottrarsi da quel riflesso che sembrava volersi fare beffa di lui e dei suoi tormenti.

L'oscurità invadeva la sua stanza, le luci erano spente e quelle fioche dei lampioni provenienti dalla strada proiettavano solo ombre attorno a lui.
Il novilunio aveva avvolto Parigi nel buio più totale e le stelle da sole non riuscivano a rischiarare quel mondo. Era come se l'intera città soffrisse con lui. Persino la luna si era nascosta per piangere la scomparsa di quella ragazza che aveva dato così tanto per quel mondo che si era dimenticato di lei con tanta facilità.

Lei, era così bella sotto la luce della luna piena, i suoi occhi splendevano, accarezzati da quel bagliore bianco.

Sorrise con amarezza ripensando all'ultima volta che l'aveva vista sotto il cielo notturno di Parigi. Conservava ancora l'ultima candela, quella che non aveva spento, quella della sera in cui l'aspettò e in cui lei scoprì i suoi sentimenti. Un brivido di freddo lo pervase, mentre ricordava con un triste sorriso il momento in cui confessò a Marinette i suoi sentimenti per Ladybug. Come poteva sapere allora che era proprio lei la destinataria di quella sorpresa e che fosse stato proprio lui a spezzare il cuore della ragazza?

Non solo come Chat Noir, anche come Adrien non aveva fatto altro che combinare danni da quando l'aveva incontrata.

Sospirò e andò verso la scrivania.
Non poteva scaldare il suo cuore in tumulto, ma poté scaldare il suo corpo con una felpa morbida.

Aveva appena chiuso la zip, quando i fari di un'auto che passava nella strada sotto la sua finestra si riflessero contro il vetro sbattendo contro una figura immobile vicino al divano.

«Adrien...» mormorò quell'ombra minuta che stringeva con forza le braccia al petto.
«Marinette? »

Dormiva ancora? Sognava? Era proprio lei? Se avesse provato ad avvicinarsi sarebbe scomparsa?
Forse sì, forse no, ma quando sentì pronunciare il suo nome, lei voltò lo sguardo posandolo su Adrien.
C'erano solo le luci della città a illuminarla, ma fu certo che fosse lei, il viso, i capelli, gli occhi lucidi e sorpresi quanto i suoi.

«Marinette... sei davvero tu? »
«Adrien? »

Rimase immobile a osservare il ragazzo biondo dietro al divano. Doveva essere un altro sogno, un altro spiacevole e crudele sogno che voleva illuderla ancora e ancora, mentre il silenzio la torturava. Fu così doloroso che non riuscì più a trattenere le lacrime.

Piangeva.
Perché piangeva?
Non era felice di vederlo? Di essere finalmente tornata?
Non erano lacrime di gioia le sue, ma di terrore e più i suoi singhiozzi erano forti e più si chiudeva in sé.

«ehi! »

Con un balzo, Adrien scavalcò il divano e corse da lei, per abbracciarla, stringerla e consolarla, farle capire che era finita. Peccato che il suo gesto amorevole si tramutò in una rovinosa caduta a terra; trattenne il respiro per lo sgomento nel momento in cui realizzò la situazione in cui si trovavano. Lei era inconsistente, un fantasma della sua Marinette, eppure poteva vederla e sentirla così come lei aveva visto e sentito lui.

«Marinette calmati, ti prego. Sono qui, guardami! » la pregò muovendosi a carponi verso di lei.
«voglio svegliarmi! » singhiozzò la ragazza lasciandosi cadere a terra: « voglio tornare casa mia, dalla mia famiglia, dai miei amici e dal vero Adrien... non voglio più stare qui! »
«sono io il vero Adrien, Marinette guardami, ti prego! » insistette ancora gesticolando con le mani, non riuscendo però a toccarla davvero. Sembrava inconsolabile e le sue parole inutili, almeno finché non gli venne in mente quel nomignolo che lui trovava così carino e che lei invece detestava, ma almeno avrebbe reagito per controbattere: «Insettina? »
Silenzio.
Il cuore in gola, aveva il terrore delle conseguenze, di quel silenzio agghiacciante e poi sollevò lo sguardo su di lui, ingoiando un singhiozzo.
«ga...gattino» rispose.
Non ribatté, ma almeno si era calmata.
Si voltò verso di lui asciugandosi le lacrime, cercando il vero Adrien in quegli occhi verdi che la pregavano di credergli.

Ci mise un po' a convincersi che fosse lui, ma quando finalmente lo capì, il viso le si illuminò. Non poteva toccarlo, ma il solo vederlo al suo fianco le scaldò il cuore, così come tutti quei rumori a cui non aveva prestato mai molta attenzione, ma che in quel momento amò sentire.

«sei...sei vero? Non è un sogno? » gli chiese avvicinando la mano alla sua guancia senza toccarlo.
«no, non è un sogno» sorrise Adrien posando su di lei quel dolce sguardo che la fece innamorare di lui la prima volta.

Rimasero seduti sul pavimento per un po', scambiandosi solo poche parole, osservandosi a lungo.

Era stata una lunga giornata e dopo lunghe e stancanti ricerche, erano finalmente riusciti a trovarsi.
Il problema non era ancora risolto, ma almeno avrebbero potuto farlo insieme.

Con poche parole, Marinette gli parlò della Parigi fantasma in cui si era svegliata e in cui aveva vagato fino al momento in cui si era ritrovata in casa sua.
«...e ho sentito la tua voce. La promessa che mi hai fatto» mormorò, mentre un leggero rossore le colorava le gote.
«anche io credo di aver sentito la tua voce, a scuola» ammise il ragazzo lasciandosi cadere contro il divano, senza mai perderla di vista. Aveva paura che se avesse voltato lo sguardo, lei sarebbe sparita.
«i nostri amici» le venne in mente d'un tratto restando raggomitolata su se stessa, ma anche lei senza mai perderlo di vista, condividendo con lui la paura di svanire dalla sua vista. «loro si...»
«no» le dovette dire con tristezza:« io...credo di essere l'unico a ricordarmi di te, anche se non so perché» ammise:« è come se il mondo fosse stato sconvolto dalla tua scomparsa. Nessuno sa nulla delle akuma, di Papillon, nessuno conosce Ladybug e Chat Noir» la mise al corrente.

Mentre parlava l'aveva vista più volte incrociare il suo sguardo, distogliendolo sempre un attimo dopo, ma in quegli istanti poté leggere in quelle pozze d'acqua cristallina paura, imbarazzo e tanta, tanta confusione che si tramutò in agitazione quando quel discorso le ricordò una cosa molto importante.

«Tikki! È con te? Hai tu il mio miraculous? » si allarmò, protendendosi verso di lui in cerca di una risposta nei suoi occhi prima ancora che potesse parlare. Era così vicina, se solo avesse potuto toccarla...
«i nostri miraculous sono scomparsi» gli toccò comunicarle ritrovandosi a dover scostare lo sguardo per nascondere l'imbarazzo misto alla sua grande delusione: « e con loro anche Tikki e Plagg, i nostri kwami» aggiunse con un sospiro, spaventato quanto lei all'idea di essere rimasti soli in quella situazione problematica.
«capisco, spero stiano bene...» annuì Marinette.

Rimasero a lungo in silenzio, ad ascoltare i rumori della città. I lampioni che illuminavano quella notte buia, gli aerei che decollavano e atterravano, i clacson delle auto e le persone che passeggiavano. Benché avessero iniziato a esplorare con lo sguardo la vista fuori dalla finestra, entrambi facevano bene attenzione a non perdersi di vista, almeno finché gli occhi di Marinette non caddero su una candela posata sul tavolino vicino a loro.

«te la ricordi? » sorrise Adrien: «quella sera... a pensarci adesso è quasi divertente»
«p-p-per niente...» ribatté, balbettando, Marinette, ricordando fin troppo bene di averlo respinto per via di Adrien, ignara che lui fosse Adrien. «anzi, v-vorrei scusarmi ancora»

«non ce n'è bisogno» scrollò le spalle il ragazzo protendendosi per prendere il lumino spento tenendolo in mano, mentre si metteva comodo per guardarla come aveva sempre guardato Ladybug. «non sapevi chi fossi davvero e... beh abbiamo già affrontato la questione. Come hanno detto Plagg e Tikki, ci serve solo un po' di tempo»
«se avremo tempo» sospirò Marinette tornando a chiudersi in sé.
«da quando M'Lady è così pessimista? » si stupì.
«non sono pessimista, ma non trovo soluzione e... e quel luogo è così vuoto e silenzioso... e i sogni che faccio quando chiudo gli occhi...»
«Marinette, calmati! » la chiamò, prima che andasse nel panico. «che sogni? » s'incuriosì, cercando di farla parlare d'altro, sperando di ottenere qualche dettaglio in più.

In principio la vide arrossire vistosamente e irrigidirsi come succedeva sempre ogni qual volta le si avvicinava, almeno prima della sera al Pont Royal.
Poi, però, Marinette si calmò consapevole del significato di quel sogno. Sospirò e si avvicinò alla vetrata tenendo d'occhio il riflesso di Adrien.

«tristi verità che non si avvereranno mai...» rispose con amarezza.
«non abbatterti M'Lady» provò a rincuorarla Adrien: «risolveremo tutto. Te l'ho promesso»

Si sentiva un po' ipocrita a dirle quelle cose, quando lui, solo pochi minuti prima di stava commiserando di fronte allo specchio, ma allo stesso tempo non si pentì di averlo fatto, odiava vedere la sua amica così abbattuta. Non sembrava averla convinta, ma forse mostrandole il mondo da un'altra prospettiva, ce l'avrebbe fatta. Si alzò e le tese alla mano con il solito charme da Chat Noir, invitandola a seguirlo.
Salirono insieme le scale andando a sedersi contro la ringhiera del soppalco, da lì, tenendo lo sguardo puntato in diagonale si poteva avere una vista magnifica della città, luci e colori che creavano giochi e immagini incredibili, cielo e terra che diventavano un tutt'uno in un vortice luminoso.

«scommetto che non l'avresti mai detto» le sorrise notando quello sguardo stupito: « alla fine, basta semplicemente guardare le cose da un altro punto di vista» disse Adrien avvicinandosi a lei e lasciando incrociare le dite delle loro mani, non avrebbero percepito il tocco, ma fu bello immaginarlo, mentre si godevano quella splendida vista.
«non so come ci riesci» mormorò Marinette, ricambiando il suo gesto, immaginando a sua volta la piacevole sensazione delle dita calde di Adrien intrecciate alle sue, arrossendo leggermente: «in qualunque situazione, tu riesci sempre a restituirmi la voglia di lottare».

Non le rispose, si limitò a sorriderle, osservandola attentamente e imprimendo nella memoria ogni più piccolo dettaglio di lei, dai capelli, al collo esile e la pelle candida, le guance morbide e rosee e quei grandi occhi blu.
Restarono così per ore, parlando di tutto e niente, della loro città, di loro, delle loro famiglie, della dolcezza di Tikki e dei pasticci che era solito combinare Plagg, come per esempio la storia del bracciale di Chloé. Risero a lungo, sebbene quando la conversazione assumeva toni più personali, la timida Marinette emergeva portandola a farfugliare le sue risposte, trovando a confortarla il dolce sorriso di Adrien che ora poteva capire quella sua agitazione in sua presenza.

Marinette sussultò, scossa da un brivido che la portò a stringersi le braccia al petto. Era normale, infondo indossava ancora quegli abiti leggeri del luna park. Subito il ragazzo si allarmò preoccupandosi di cosa darle per scaldarla, perdendo di vista per un attimo che la ragazza fosse inconsistente al suo tocco.

Probabilmente lo dimenticò perché nel momento in cui scoccò il primo rintocco della mezzanotte, si ritrovò a stringere quelle dita fredde tra le sue.
Strinse forte la sua mano, doveva essere sicuro che fosse lei, che fosse finalmente tornata.

«Adrien...»
«Marinette.... »

Non capivano, com'era possibile che da un momento all'altro il suo corpo evanescente avesse preso forma e che in quel momento lui le stesse stringendo la mano fredda, scaldandola tra le sue, pieno di gioia.
Lei stessa era entusiasta dell'accaduto, ma non riuscì a smettere di tremare, ancora infreddolita.

Solo la felpa di Adrien posata delicatamente sulle sue spalle le diede quel sollievo che cercava accoccolandosi dentro e assaporando il profumo del ragazzo di cui il tessuto era intriso.

Aveva ancora il cuore pieno di dubbi, eppure in quel momento, accanto a lui, dopo ore e ore di chiacchiere, mentre i loro occhi si scrutavano, avvertì di nuovo quel forte batticuore che l'aveva sempre seguita ogni volta che era al suo fianco. Aveva conosciuto il lato romantico di Chat Noir molto tempo prima e quella candela spenta sul tavolo ne era il simbolo, eppure anche allora non era riuscita ad amarlo come lui l'amava. Le cose erano peggiorate ancora quando aveva scoperto chi fosse davvero, ma poi erano migliorate, lui l'aveva rimproverata, le aveva ricordato il suo dovere come Ladybug e in quel momento non aveva visto né Chat Noir, né Adrien Agreste, ma solo un ragazzo affascinante, forte e gentile che avrebbe potuto amarla come lei sognava da sempre. 

E lì, su quel soppalco, con le mani strette e gli sguardi persi gli uni negli altri, le sembrò di essere tornata a quel momento. Lo sguardo di Adrien era così caldo, ancora non si capacitava di come quel ragazzo meraviglioso potesse guardarla in quel modo dopo aver scoperto chi era davvero Ladybug. Nonostante quello che si erano detti e avevano passato, Marinette continuava a non sentirsi alla sua altezza, sotto la maschera non era altro che una ragazza come tante, goffa e impacciata. Aveva bisogno di dirglielo, ma Adrien la sorprese.

L'aveva cercata a lungo e quando finalmente aveva scoperto la vera identità di Ladybug, Adrien si era sentito disorientato. Aveva sempre messo la bella eroina su un piedistallo, incapace di vedere quei difetti che la rendevano una persona comune, che gli impedivano di vedere Marinette in lei. Poi l'aveva vista, la ragazza impaurita e insicura, quella che aveva esitato e si era nascosta, timorosa di mostrargli la sua trasformazione. 
Portava ancora nel cuore la delusione per essere stato respinto, ma aveva sempre avuto la speranza che un giorno lei avrebbe visto chi fosse davvero e l'avrebbe amato così come lui amava lei. Dopo lunghe incertezze ed esitazioni aveva finalmente cominciato a vedere la vera Ladybug, la vera Marinette, la ragazza dolce e gentile, così forte e tenace.
L'aveva definita la sua migliore amica in passato, per paura che i suoi sentimenti intralciassero il loro rapporto, ma visto che le cose erano cambiate, non ci sarebbe stato nulla di male a riprovare a cercare di toccare il cuore della ragazza, di smuovere i loro sentimenti e capire cosa ne sarebbe stato di loro.

Si mosse lentamente verso di lei, mostrandole le sue intenzioni con uno sguardo pieno di dolci domande, mentre la sua mano stringeva con ancora più forza quella di Marinette, traendola a sé. In quel modo, però, le fece perdere l'equilibrio ritrovandosi sorretta solo da quella presa ferrea che non le diede scampo al viso di Adrien, sempre più vicino.

Lui era certo di volerlo, ma lei? Era già pronta a tornare a quel punto? Di certo il suo cuore stava scoppiando, le gote le andavano a fuoco e la voce si era incastrata in gola; anche volendo non sarebbe potuta scappare, ma in fondo non voleva fuggire, aspettava quel momento da quando l'aveva conosciuto.

Posata la mano vicino alla sua gamba, Adrien sentì il suo respiro sfiorargli la pelle e le labbra di lei già dischiuse, pronte a sfiorarlo, quando qualcosa di duro lo costrinse inevitabilmente a spostare la sua attenzione sulla mano dolorante posata a terra, sul lembo di felpa che Marinette indossava.

«c-cosa...» sibilò, ancora rossa, notando come si fosse ritirato massaggiandosi il palmo dolente.

Frugando nella tasca, trovò il responsabile. Il portafortuna che lei gli regalò, quel cordino rosso decorato da perline e da quel quadratino verde con inciso un fiore.
Aveva passato la giornata a cercare un segno della sua esistenza, quand'ecco la cosa più importante e preziosa. Si sentì davvero uno stupido ad averlo dimenticato.
La sua mortificazione passò quando vide il dolce sorriso di Marinette mentre lo guardava e districava la mano dalla sua presa per legarglielo al polso.

«forse dovrei fartene uno un po' meno femminile» mormorò, ancora imbarazzata da quel bacio mancato, osservando il nastrino rosso ornato di perline rosa muoversi intorno al braccio assecondando i movimenti di Adrien.
«no! non importa. Va bene». Non gli importava di che colore fosse, era stato un regalo davvero prezioso per lui e non l'avrebbe sostituito con nient'altro.

E in quell'aria di dolcezza e teneri sorrisi, anche lei tirò fuori dalla borsetta il nastrino con le perline azzurre che lui le aveva regalato al compleanno, porgendoglielo perché facesse la stessa cosa.

Altrettanto contento che Marinette lo portasse sempre con sé, lo prese andando ad avvolgerlo attorno al suo polso sottile.

L'ultimo rintocco della mezzanotte si fece udire, più sonoro dei precedenti e con esso l'arrivo del nuovo giorno. Il portafortuna cadde a terra, mentre Adrien stava finendo di annodarlo rendendolo conscio che Marinette era tornata ad essere una figura evanescente alla sua vista.
Era stata solo una cosa temporanea, il tempo di dodici rintocchi.
«cosa facciamo, ora? » si preoccupò Marinette osservando l'amuleto che non era riuscita a indossare e che non poteva nemmeno più toccare.
«lottiamo! » trovò ovvio Adrien, più determinato che mai a riportarla indietro: « te l'assicuro, non mi arrenderò finché tutto non sarà tornato alla normalità e io... noi... tu...».
Non continuò, anche se stavano per baciarsi, la questione non era ancora risolta del tutto e fu quello che lo spronò ancora una volta a non arrendersi.

Passarono il resto della notte a parlare del più e del meno come non era mai accaduto tra loro, continuando la conversazione di pochi minuti prima.
L'unico lato positivo di tutta quella storia, forse, fu proprio che riuscirono a conoscersi meglio, a scoprire più cose l'una dell'altro, senza cadere nell'imbarazzo, come accadeva a Marinette o chiudersi in se stessi come capitava spesso ad Adrien.

Era quasi l'alba, il cielo della notte si stava schiarendo, quando si accorsero delle ore passate.
«tra poco dovrò prepararmi per andare a scuola» mormorò Adrien.
«dovresti riposarti un po', abbiamo parlato tutta la notte» sorrise la ragazza, guardando con paura il cielo farsi sempre più chiaro.
«sai, questo è quello che ho sempre voluto» le confessò tenendo la testa bassa, imbarazzato da quello che le voleva dire, ma tenendo lo sguardo alzato su di lei, scrutando il suo viso: «parlare, conoscerti...sono felice».
«anche io».
Marinette aveva sempre fantasticato sul suo amore per lui, sapeva moltissime cose del suo bel Adrien, sapeva ogni sua singola attività della giornata, ma quella notte si rese conto che c'erano molte cose di lui che ancora ignorava, cose che l'aiutarono a rispondere alla domanda che tanto la allontanava da lui, aiutandola a scoprire il suo vero 'io'.

«comunque ora dovresti dormire un po'» insistette Marinette.
Le aveva detto di aver dormito per tutto il pomeriggio, ma leggeva tanta stanchezza sul suo viso e non si sarebbe mai perdonata se si fosse addormentato durante la lezione, finendo per la seconda volta dal preside. Due volte in due giorni e per colpa sua; no, proprio non poteva accadere.
«Marinette, non voglio perderti di vista, di nuovo...» ammise, seppur con imbarazzo. 
Non ti voglio perdere. Fu ciò che pensò, più precisamente, ma non riuscì a dirlo.
Marinette arrossì di fronte alla sua apprensione, ma le fece anche tanta tenerezza.
«non vado da nessuna parte» sorrise dolcemente alzandosi per prima.

Quanto le stava costando trattenere l'imbarazzo che in altre circostanze le avrebbe fatto uscire dalla bocca solo parole senza senso e frasi sconclusionate, ma fu felice di quell'autocontrollo che stava dimostrando.

Restò inginocchiata a terra, al capezzale del suo letto per un po' a osservarlo, mentre si sistemava sotto alle coperte.
Si scambiarono solo poche parole e sorrisi, prima che Adrien crollasse, sprofondando in un sonno profondo che sarebbe durato solo un paio di ore.

Marinette rimase lì, ferma a osservarlo dormire, fingendo di accarezzargli i capelli biondi, sembravano così morbidi, avrebbe tanto voluto toccarli davvero e baciare quelle labbra rosee su cui era scivolato il suo dito. Quella notte era quasi accaduto, ma poi, come al solito, il destino era stato crudele impedendo loro di avere un'altra occasione. Era ancora molto confusa, ma forse quel bacio l'avrebbe aiutata a chiarirsi le idee, o l'avrebbe sconvolta ancora di più.

Sentì che era già mattina, quando riaprì gli occhi. Si era addormentata al capezzale di quel letto su cui non c'era nessuno. Il silenzio era assordante in quella stanza e anche fuori.

Parigi era deserta, nessun piccione appollaiato sui tetti, nessuna macchina, nessuno.
Niente e nessuno popolava le strade della capitale francese, solo il nulla dilagava sotto a quel cielo grigio e inespressivo. Un senso di disorientamento e panico s'impossessò di lei facendola balzare in piedi.

«do...dove sono? » si domandò Marinette cominciando a guardarsi intorno, sforzandosi di ricordare come fosse finita in quella camera così grande e anche perché l'intera città fosse deserta. «come ci sono finita qui? E questa di chi è? » continuò a chiedersi ad alta voce, trovandosi poi con una felpa di due taglie più grande addosso. Le dava un calore piacevole e aveva un buon odore, ma non ricordava proprio come quell'indumento, chiaramente maschile, le fosse finito addosso. Anzi, come fosse finita lei nella camera di un ragazzo che nemmeno conosceva.

«ehi! C'è nessuno? Qualcuno mi sente? » gridò incamminandosi fuori da quella stanza, scoprendo quanto immensa fosse quella casa. Stanze, porte, una grossa scala, marmi, quadri e sculture. Chiunque vivesse in quel posto doveva essere molto ricco.
Aveva un grosso vuoto di memoria, sentiva di dover andare da qualche parte, ma non avrebbe saputo dire dove. Forse a casa, ma non aveva una chiara idea di dove abitasse.
«forse dovrei andare a scuola» si disse incamminandosi giù dalle scale, verso quella che sembrava la porta d'ingresso. «già, ma io dove vado a scuola? » tornò a domandarsi sfilando il cellulare dalla pochette a tracolla in cerca di un indirizzo utile.
Non capiva cosa le stesse succedendo, cosa le era successo per rimuovere gran parte della sua vita dalla memoria. Non aveva ancora acceso lo schermo, quando il quadro che incombeva sulla sua testa si riflesse sul vetro incuriosendola a tal punto da voltarsi.

***

L'allarme della sveglia fu il suono peggiore che potesse sentire in quel momento, si sentiva più stanco di quanto non fosse quando era andato a letto. Se non fosse stato per la scuola e gli amici, Adrien quella mattina sarebbe rimasto volentieri a dormire; era come se avesse riposato non più di un paio d'ore.
Con tanta forza e tanto coraggio, si alzò e si preparò.
Non era solo la stanchezza di una notte, probabilmente turbolenta a farlo sentire in maniera strana, era il modo in cui tutti lo guardavano in casa.
Era da tempo immemore che suo padre non si sedeva al tavolo con lui a fare colazione, che si interessava della sua giornata. Ancora più strano fu il modo apprensivo con cui sia lui che Nathalie gli chiesero come si sentiva, come se fosse stato malato, eppure lui non ricordava di aver avuto nulla di strano la sera prima, o meglio, non si ricordava proprio cos'aveva fatto la sera precedente; sicuramente la solita e noiosa routine.
Preferì passarci sopra e salire in macchina.
Come sempre, trovò Nino ad attenderlo all'ingresso della scuola e insieme s'incamminarono verso l'aula. Anche il suo amico sembrava avere qualcosa di insolito, era particolarmente taciturno, come se cercasse il coraggio di dirgli qualcosa.

«Nino, tutto bene? » gli domandò prima di entrare in classe.
«sì... eh no» rispose con un po' di incertezza: «insomma... Adrien, io volevo scusarmi per ieri. Non volevo prenderti in giro, sei mio amico e io mi sono comportato veramente male con te. Ti chiedo scusa».
Nino si aggiungeva decisamente alla lista di persone strane quel giorno. Doveva essersi perso qualcosa di davvero molto importante, ma vista l'aria mortificata del suo migliore amico preferì non dargli altre preoccupazioni e accettò le sue scuse con un sorriso andando poi a sedersi insieme al loro banco.

Adrien attese di sistemarsi, posare la cartella e sfilare il tablet, prima di porre all'amico un'altra domanda.

«perché mi guardano tutti in modo strano? » gli mormorò accostandosi al suo orecchio. L'aveva notato fin dal suo arrivo in aula, ma aveva cercato di ignorarli, pur trovando quelle occhiate perplesse molto irritanti.
«penso che sia per quello che è successo ieri» trovò ovvio Nino.
«già... sì hai ragione» rispose, ma in realtà non aveva la più pallida idea di che cosa stesse dicendo.

Cos'era successo ieri che aveva creato quell'aria tesa in classe?

Smise di chiederselo quando la prof. Bustier entrò in classe salutando tutti e iniziando a fare l'appello come ogni mattina. Segnò tutti presenti, ma mentre lo faceva lanciò un'occhiata al biondino in prima fila, sperando che non riprendesse la discussione del giorno prima.

«oggi non hai obbiezioni da fare, Adrien? » si assicurò prima di cominciare la lezione.
Lo trovò alquanto disorientato da quella domanda, ma vedendo come l'aveva fatto sentire a disagio, preferì non approfondire, dovevano averci pensato il preside e suo padre a riportarlo sulla giusta strada, lontano da scherzi sciocchi.
Le ore di lezione passarono, come sempre, troppo lentamente.

Finalmente arrivò la pausa e i ragazzi si sbrigarono a lasciare l'aula per sgranchirsi le gambe e rilassarsi qualche minuto.

«Adrien, e quello? » gli domandò Nino notando solo in quel momento il nastro rosso con perline annodato al polso dell'amico che, quando vi posò lo sguardo fu come se lo vedesse per la prima volta. Esitò un momento a rispondere.
«è un regalo» disse, titubante.
«di chi? » gli chiese ancora. La risposta sarebbe dovuta essere semplice, invece il suo amico esitò, guardò a lungo il bracciale per poi voltarsi verso Nino con aria disorientata.
«non lo so...»

____________________________________________________________

Buongiorno a tutti!
Eccoci a un nuovo capitolo.
E' una situazione un po' complessa, sia Adrien e Marinette dubitano di loro stessi, di ciò che provano, ma appena si ritrovano molti di quei dubbi svaniscono.

Vi sembrerà strano e magari mi odierete, ma è stato un bene che non siano riusciti a baciarsi, credetemi, quel bacio avrebbe portato a tragiche conseguenze.

E già la loro amnesia mattutina non è uno scherzo...


Ci rivediamo al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 7
*** Addio, Adrien ***


Capitolo 6
Addio, Adrien

A quanto pare l'idea di non ricordare stava sconvolgendo Adrien.
Per Nino la colpa dello strano comportamento del suo amico era dovuta allo stress, ma sentiva che c'era anche dell'altro.
Era davvero troppo sconvolto.

«ma dai... come fai a non sapere chi te l'ha regalato? » cercò di sdrammatizzare: «è stata la ragazza di cui parlavi ieri? » cercò di aiutarlo a ricordare: «come si chiamava.... Marie... Maril... Marinette? » si ricordò alla fine.

Quel nome.

Quel nome Adrien lo conosceva molto bene, come aveva fatto a dimenticarlo? Come aveva fatto a dimenticare tutto?

«Marinette...»

***

«Adrien...»

Dopo averlo osservato e studiato a lungo, alla fine Marinette aveva riconosciuto il viso del ragazzo in quel quadro. Biondo, occhi verdi, lineamenti delicati e quell'espressione malinconica che proprio non gli si addiceva. Ci aveva messo un po' a ricordarsi il suo nome, ma alla fine c'era riuscita. Anzi, si domandò come fosse stato possibile averlo dimenticato. Lui e tutto il resto.

Si era resa conto, ormai, di essere tornata nella Parigi fantasma, quella avvolta in quel silenzio assordante, deleterio e disorientante. In qualche modo l'aver chiuso gli occhi ed essersi addormentata, doveva averla fatta svanire. Aveva promesso ad Adrien che non sarebbe andata via e invece era scomparsa di nuovo.
Non sapeva come aveva fatto la prima volta ad apparire ai suoi occhi, ma ci sarebbe riuscita una seconda volta.
Con passo deciso uscì di casa, dirigendosi verso la scuola.

***

Usciti finalmente dall'aula, Adrien continuò a pensare al suo risveglio di quella mattina e all'assenza di Marinette, non doveva addormentarsi, lo sapeva, aveva ragione ad avere paura. Non doveva lasciarsi convincere. Si mortificò in silenzio.

Nino, invece, era seriamente preoccupato per lui.

«...insomma, come fai a dimenticarti di una cosa del genere e poi questa Marinette che secondo te tutti noi dovremmo conoscere.... » disse Nino, praticamente parlava da solo, per quanto gli fosse affezionato, Adrien aveva ormai capito che parlare con lui del suo problema non l'avrebbe condotto a niente.
«Nino, meglio che lasci perdere. Sarebbe troppo complicato da spiegare» sospirò il suo amico, più preoccupato per Marinette che per i dubbi dei suoi amici sulla sua sanità mentale.
«no, sul serio amico, vorrei aiutarti» insistette Nino.
«non puoi aiutarmi...» sospirò amareggiato: «anzi sì! » gli venne un'idea tutto d'un tratto, balzando in piedi: «devo assolutamente continuare a ricordare il suo nome»
«tranquillo Adrien, ogni volta che scorderai il nome della tua ragazza, io te lo ricorderò» ammiccò, divertito Nino.
«non è la mia ragazza» precisò Adrien arrossendo alla sola idea, però aveva ragione, in un futuro non molto lontano dove tutto sarebbe tornato alla normalità, sarebbe potuta diventarla .
Si alzò allontanandosi.
«come vuoi, ma dove vai? » si preoccupò, credendo di averlo offeso di nuovo, invece il motivo era molto più semplice.
«in bagno»
«devo accompagnarti o te la ricordi la strada?» scherzò il suo amico, trovando una smorfia di rimando da parte di Adrien.

***

Marinette era appena arrivata a scuola e subito iniziò a chiamare a gran voce Adrien, vagando per i corridoi della scuola. Passò ore a cercare qualcosa, qualsiasi cosa potesse aiutarla, finché, con i piedi doloranti, non si arrese.
Arrivò fino al davanzale della finestra della sua classe e lì si rannicchiò, ferma a osservare quel triste e immobile cielo grigio, privo di vita e colori. Le mancavano il sole, le nuvole, le scie bianche degli aerei, la luce del giorno e le ombre proiettate qui e là.

«riuscirò mai a tornare a casa? » si domandò ad alta voce. C'era troppo silenzio per tenere per sé i suoi pensieri, in fondo, nessuno la poteva ascoltare, poteva dire ciò che voleva senza troppi problemi.
«vorrei tanto rivedere almeno una volta i miei genitori e i miei amici e... vorrei dire ad Adrien la verità» sospirò stringendosi nella sua felpa, capace di scaldarle il corpo e il cuore: «la sua felpa... ha il suo profumo» ammise assaporandone il profumo e guardandola con un dolce sorriso. «sarebbe bello potergli parlare ancora, perché sono stata così stupida? Lui voleva parlare e io sono scappata... » cominciò a colpevolizzarsi, disperandosi, ma sforzandosi di non andare nel panico: «ieri eravamo così presi dagli eventi che alla fine non abbiamo detto niente di quello che dovevamo dirci...ci siamo respinti a vicenda per così tanto tempo, solo perché non riuscivamo a vedere chi si nascondeva dietro le nostre maschere...» si raccontò, come se Tikki fosse al suo fianco e la stesse ascoltando: «credo di aver iniziato a vedere Chat Noir, o meglio, Adrien, con occhi diversi da quella sera sul tetto» mormorò sfiorandosi la guancia che lui le aveva baciato con tanta dolcezza: «lui è stato così dolce e io... io sono stata così stupida... se solo fossi stata più attenta, meno concentrata sull'idea perfetta che avevo di lui io... »

Si era ripetuta quelle cose allo sfinimento e ancora, in quel momento, non sapeva darsi pace.

«in fondo me lo merito, non sono all'altezza delle sue aspettative, Marinette è così goffa e imbranata... alle volte mi sorprendo io stessa di quanto diversa sia quando mi trasformo. Non sono la Ladybug che tutti si aspettano, che Adrien si aspettava» ammise andando a guardare l'ora sul display del cellulare: « se fossi a scuola, a quest'ora ci sarebbe la ricreazione. Alya ed io ci uscivamo sempre a sederci sulla panchina davanti alle scale escogitando qualche modo strano per farmi finire in compagnia di Adrien. I piani semplici non sono mai stati il mio forte» rise ricordando tutti i piani assurdi inventati da quando si era innamorata del bel biondino. Poi un velo di tristezza coprì quel breve momento di allegria, avvertendo una fitta al petto così forte e dolorosa da procurarle un groppo alla gola che la costrinse a prendersi un momento prima di continuare il suo soliloquio. «credo che non ci saranno più piani, non ci sarà più nessuna ricreazione. Insieme a me sono spariti anche Papillon e i super cattivi, ora la città è al sicuro, non ha bisogno di super eroi. Non ha bisogno di una Ladybug sbadata e inutile come me. La cosa migliore da fare è che Adrien si scordi di me, mi lasci andare per sempre e...»
«non lo farò mai... »

Sussultò quando udì la sua voce, era grave, cupa. L'aveva sentito parlare in quel modo solo una volta, la notte in cui senza volerlo, lei ferì i suoi sentimenti e sembrava averlo fatto di nuovo.

«Adrien? » lo chiamò.

Come aveva fatto a sentirla?

«dove sei? » volle sapere, iniziando a guardarsi intorno, senza, però, vedere nessuno.
«sono davanti alla finestra, con Nino» le rispose con lo stesso tono piatto e freddo.
«ah... » mormorò delusa, capendo che si trovavano nel medesimo luogo, ma senza potersi vedere. «e lui mi sente? » aggiunse, incuriosita da quel dettaglio.
«a quanto pare no» sospirò Adrien guardando il suo amico con le cuffie in testa al suo fianco, continuando poi con il suo rimprovero: «Pensi davvero che potrei dimenticarmi di te? Mi credi davvero così superficiale e arrendevole? Marinette, non dire mai più una cosa del genere. Farò qualunque cosa per non dimenticarti e riportarti a casa» continuò il ragazzo, appoggiato sulle braccia al davanzale, ferito e arrabbiato per le parole che le aveva sentito dire. «dammi pure dell'egoista se vuoi, ma non rinuncerò a te, a ciò che eravamo e potremmo essere e diventare. Forse Parigi non avrà più bisogno di supereroi, ma io ho bisogno di te e se questo significherà riportare indietro anche Papillon e le sue akuma, beh non m'importa!» disse senza la minima esitazione, a cuore aperto.
«scusami, io non volevo... pensavo solo che...mi dispiace Adrien» si sentì incredibilmente colpevole per quelle parole, aveva solo reso reali i suoi pensieri, non sapeva che Adrien la stesse ascoltando, anzi quello le ricordò tutto quello che aveva detto e le fece sorgere una domanda di cui non era sicura di volere la risposa. «da quanto mi ascoltavi? » chiese, mentre il suo viso si colorava improvvisamente di un rosso vivo.

Anche le guance di Adrien si imporporarono in un primo momento, ma sul suo volto si impresse un dolce sorriso: «abbastanza da voler sapere la verità...» ammise.
Era rimasto in silenzio ad ascoltarla dall'inizio alla fine sorridendo e godendosi la voce della ragazza che parlava a cuore aperto esprimendo ad alta voce quello che stava provando.
Sapere che lui era stato lì tutto il tempo fece sprofondare ancora più Marinette nell'imbarazzo, in quel momento avrebbe volentieri aperto la finestra e sarebbe saltata giù, pur di sfuggire a quell'imbarazzo, peccato che sarebbe stato un bel volo e la loro situazione era già abbastanza complicata.

«eh...»
«...ma solo quando sarai tornata per restare» concluse Adrien.

La stava incastrando costringendola a stringere un patto con lui, in modo da spingerla a non arrendersi. Era davvero unico, con la maschera o senza, restava sempre la persona più straordinaria che avesse mai conosciuto, l'unico capace di toccare i tasti giusti per spingerla a reagire.
«va bene» accettò Marinette.
Nino era rimasto a guardare il suo amico per un po', mentre parlava apparentemente da solo. Gli fece un po' effetto all'inizio, ma Adrien era il suo migliore amico e anche se non vedeva e non ricordava quella Marinette, volle credergli e dargli fiducia, per cui rimase lì a coprirlo, fingendo di stare parlando con lui.

Avrebbero parlato ancora a lungo, per esempio Adrien moriva dalla voglia di sapere dove sentiva profumo su una felpa che quasi sicuramente odorava ancora del formaggio di Plagg e ancora di più qualche approfondimento dei suoi piani segreti con Alya, ma un forte boato proveniente dalla strada li interruppe; persino Nino, assorto nella sua musica lo udì. Un attimo dopo, sotto i loro occhi, un'ombra calò su un palazzo non molto distante dalla scuola facendolo crollare e generando un'onda d'urto che fece tremare tutto l'edificio scolastico. L'allarme per l'evacuazione venne lanciato immediatamente, gli insegnanti fecero di tutto pe far uscire da scuola gli studenti in maniera ordinata, ma ormai il panico si era impossessato di molti di loro.

Adrien e Marinette restarono pietrificati di fronte a quello spettacolo che si stava consumando sotto i loro occhi e rimpiansero di non avere con sé i miraculous per sventare quella catastrofe.

«ragazzi, evacuate subito la scuola! » gridò la professoressa trovando Adrien e Nino ancora in classe.
«Marinette, sei ancora qui? Vieni, dobbiamo andarcene! » si preoccupò per lei, mentre Nino tentava in ogni modo di tirarlo via.
«Adrien, che sta succedendo? » gli domandò, spaventata, la ragazza, ancora appollaiata sul davanzale osservando il palazzo cadere pezzo per pezzo creando un gran frastuono in quel mondo, fino a pochi secondi prima, riempito solo dalla sua voce.
Neanche il Cataclisma di Chat Noir era mai stato così distruttivo.
Non poté risponderle, l'onda d'urto che stava facendo tremare la scuola, fu così forte che i vetri delle finestre si creparono e in un istante esplosero.

Mentre Adrien si preoccupava ancora della sua amica invisibile, Nino con un balzo lo trascinò a terra prima che i vetri li ferissero.

«Marinette! ».

Nino l'aveva salvato, ma lei? Cosa le era accaduto? Non la sentiva più. E se fosse rimasta ferita? Non riuscì a scoprirlo, si ritrovò trascinato fuori dalla scuola dove si riunì con tutti gli altri, terrorizzato dalla sorte della ragazza.
«vedrai che starà bene, si sarà messa al riparo» cercò di tranquillizzarlo Nino.

***

Aveva ragione, non appena si era accorta che i vetri si stavano crepando, anche Marinette corse a mettersi al riparo, per poi fuggire dalla scuola.

***

Una volta calmato, Adrien volle una spiegazione a ciò che aveva visto.
Sorvolando sull'ennesima occhiata sbigottita dei compagni di classe, venne a sapere delle ombre che, dal loro punto di vista, tormentavano Parigi da molto tempo attaccando oggetti e persone. Nessuno sapeva chi fossero o che forma avessero, ma bastava che una di esse calasse e palazzi interi crollavano, persone venivano ferite, auto esplodevano. Purtroppo c'erano già state parecchie vittime e nonostante quello, ancora nessuno sapeva dare una spiegazione.
Adrien trovò molto strano che ancora nessuno avesse provato a fermare tutto ciò, che chi aveva in custodia il suo miraculous non gliel'avesse ancora restituito per proteggere Parigi.Allontanatisi dagli edifici pericolanti a causa del crollo, Nino si interessò alla ragazza con cui l'aveva sentito parlare poco prima del disastro.

«non l'hai più sentita? » gli domandò.
«chi? » si sorprese di quella domanda Adrien.
«come chi? Quella con cui parlavi poco fa»
«Chloè? »
«ma no! Quella che nessuno di noi ricorda! La ragazza del bracciale» provò a fargli ricordare, sfuggendogli al momento il suo nome.

L'aveva dimenticata di nuovo, le parole di Nino gli riportarono alla mente di essere in cerca di qualcuno, di doverla aiutare, ma faticava a mettere insieme i pezzi e mentre tentava in ogni modo di ricordare il suo nome, la voce di Nathalie lo distrasse.

Saputo dell'incidente, Gabriel l'aveva mandata a prenderlo di corsa, allarmati per la sua incolumità.
Era chiaro che per quel giorno le lezioni sarebbero state sospese, l'edificio andava messo in sicurezza e con le finestre fatte a pezzi la loro classe sarebbe stata inagibile.
Riaccompagnato Nino, anche Adrien fece ritorno a casa dove suo padre sembrava essere tornato l'uomo freddo di sempre. Volle accertarsi che suo figlio stesse bene, dopo di che lo spedì in camera sua a riprendersi dalle 'forti emozioni' della mattina.

Steso sul suo letto, Adrien rimase a lungo a fissare il cordino rosso legato al polso, sforzandosi di ricordare la ragazza di cui stava parlando Nino e che gli aveva regalato quel portafortuna.
«perché non mi ricordo il suo nome? » sospirò.

Continuò a pensare e ripensarci per il resto della giornata, mentre faceva i compiti, sotto la doccia, mentre saliva di livello ai videogiochi, durante la cena. Eppure il nome di quella ragazza non gli saltò in mente.
Almeno finché non si preparò per andare a dormire e un altro cordino con perline, simile, ma diverso dal suo apparve alla sua vista, da sotto il cuscino

«Marinette! » esclamò in un sospiro.

Quella sera la luce fioca del primo spicchio di luna illuminava la capitale e sotto quella luce, Adrien attese la comparsa di Marinette, proprio come la notte precedente. Era alla sua scrivania e aspettava, contava il tempo riempiendo le pagine del suo quaderno con una parola, una sola parola che non voleva dimenticare: il suo nome, il nome di Marinette.
Temeva ancora che fosse rimasta ferita dall'esplosione, ma non per questo si diede per vinto, almeno non finché riempì la decima e ultima pagina del suo quaderno.
Era quasi mezzanotte e cominciava a sentire le palpebre pesanti.
L'ansia per lei era molto forte, ma non avrebbe saputo come fare a trovarla e senza i poteri di Chat Noir non poteva nemmeno uscire a cercarla.

In quei giorni aveva sentito molto la mancanza di Plagg, si lamentava spesso del kwami, discutevano e si beccavano in continuazione, ma erano molto legati e stare così tanto tempo lontano da lui lo stava facendo soffrire, quanto non sapere come far tornare indietro Marinette.

Si infilò sotto le coperte iniziando a girarsi per sistemarsi, chiuse gli occhi, pronto ad addormentarsi, quando le campane della cattedrale cominciarono a suonare il primo rintocco della mezzanotte.
Uno strano peso tirò le coperte e quando mosse leggermente la gamba, trovò qualcosa a ostacolarne il movimento.
Con il cuore che gli era saltato in gola, Adrien voltò lo sguardo trovando la ragazza a cui stava pensando assopita sul suo letto, proprio accanto a lui.

«sei tu! »

Restò qualche momento a osservarla, rannicchiata vicino al suo braccio con il cappuccio tirato sulla testa. Era davvero adorabile, sembrava così calma e rilassata, le ciglia nere che tremavano, smosse dal respiro cadenzato, le gote rosate e quelle labbra rosse che la sera prima stava per baciare.
Le loro questioni non erano ancora risolte, non doveva correre e voleva assolutamente parlare con lei. La sua presenza gli diede la conferma che stava bene, era sfuggita all'esplosione, ma c'erano molte altre cose che dovevano dirsi.

«Marinette, Marinette svegliati» la chiamò scrollandola un po': «ehi, mi senti? Marinette! ». Aveva davvero il sonno pesante, cominciava a capire perché arrivasse sempre in ritardo a scuola, anche quando non c'erano allarmi akuma da sventare di prima mattina. «svegliati Marinette! » insistette dandole un colpo ancora più forte ottenendo in risposta un mugugno si disappunto.
Sospirò, cercando un modo per svegliarla, quando la vide arricciare il naso e la sua espressione rilassata si contorse in paura, doveva essere un incubo, uno di quelli che cancellavano la luce dal suo viso, come la sera precedente. Si stava agitando, ma allo stesso tempo sembrava inerme, incapace di fuggire e svegliarsi.
«svegliati Marinette! Sei al sicuro! Ci sono io qui con te! Apri gli occhi, guardami! » esclamò scuotendola, strattonandola per un braccio, finché non sentì il suo corpo rilassarsi e i tratti del suo viso distendersi di nuovo. Ancora non aveva aperto gli occhi e prima che quel terrore tornasse a tormentarla, Adrien cercò di svegliarla nello stesso modo con cui l'aveva fatto la sera precedente.

«forza Insettina, apri gli occhi»
«non chiamarmi Insettina» borbottò di riflesso svegliandosi finalmente.

Si trovò spaesata guardandosi intorno come se vedesse quel posto per la prima volta.
«ma dove... e tu chi...»
«sono Adrien» la rassicurò.

Un tremolio incontrollato le smosse le labbra nel momento in cui la sua mente prese coscienza di essere tornata di nuovo e di averlo ritrovato. Ore e ore sola, nel silenzio più assordante, in cerca di qualcuno di cui non ricordava più né il nome, né il viso, per poi ritrovarsi lì, di fronte a lui, con la sua mano calda sulla spalla. Ripensandoci se ne sarebbe vergognata immensamente, ma in quel momento l'unica cosa che volle fu gettarsi tra le sue braccia per avere la certezza che fosse reale.
Con un balzo, gli si strinse al collo sbilanciandosi e cadendo insieme sul materasso.
«va tutto bene» mormorò Adrien ricambiando la sua stretta. Era sorpreso da quel gesto, ma quando la sentì tremare, capì e cercò di rassicurarla con un abbraccio caldo e qualche carezza.

«s-scusa...» mormorò alzandosi poco dopo, imbarazzata, ma più tranquilla: «continuo a dimenticare... non capisco più niente, cosa sta succedendo?»
«perché credo che non ci rimanga più molto tempo» sospirò Adrien: «come stai? Sei ferita? »
«no, sto bene» scrollò le spalle Marinette abbassandosi il cappuccio e sorvolando sull'incubo che ancora la faceva tremare, per farsi dire dal ragazzo le novità della giornata, cos'era accaduto dopo l'incidente, nel mondo reale.
«...qualcosa sta devastando la città» le raccontò:« a quanto pare il crollo di oggi è stato l'ultimo di una serie di disastri misteriosi . Da quello che mi ha raccontato Nino, quasi rimpiango Papillon»
«belli i tempi in cui bastava un Lucky Charm per rimettere tutto a posto» rise Marinette, ma in realtà si sentiva impotente e amareggiata.
«tempi... sono passati solo due giorni e torneranno presto» volle tranquillizzarla prendendole il polso e avvolgendoci attorno il portafortuna di perline azzurre con la campanella che tintinnò al suo movimento.
«anche io ti ho quasi dimenticata oggi, ma poi ho guardato questo e ho recuperato la memoria» disse: «questo e... Nino» aggiunse: «anche se non si ricordano, i nostri amici ci stanno aiutando»

Le gote di Marinette si stavano colorando, più lui parlava, più il rossore aumentava, si sentiva trasportata indietro a quando il suo amore per lui era certo e puro, a quando balbettava e sentiva il latte alle ginocchia solo guardandolo.
Aveva ragione, erano passati solo pochi giorni, ma erano accadute davvero troppe cose.
Avevano ricominciato da capo, avevano rinnegato i loro sentimenti per capirsi meglio, ricordando i momenti passati assieme sotto entrambe le identità, le parole dette e non dette, gli sguardi e i gesti. Lei non aveva ancora trovato il coraggio di aprirsi con lui, ma le parole di Adrien di quella mattina l'avevano colpita al cuore risvegliando l'amore che aveva assopito e che in quel momento la paralizzava di fronte a lui.

«tutto bene? » si preoccupò Adrien vedendo il viso della ragazza rabbuiarsi tutto d'un tratto, mentre i rintocchi delle campane di Notre Dame scandivano l'arrivo del nuovo giorno che avrebbe allungato ulteriormente le loro sofferenze e l'ansia di non tornare mai più a casa.
«s-sì... bene... tutto bene » balbettò a testa bassa stringendosi una mano al petto, sentendo il proprio cuore batterle violentemente a ritmo di quelle dannate campane. Ogni rintocco era un po' di ansia in più che la mandava nel panico e incitava le lacrime a bagnarle gli occhi, ormai consapevole del loro significato.
«senti, hai... hai fame? Non so se... hai mangiato in questi giorni? » si ricordò tutto d'un tratto.
«sì, anche nella Parigi fantasma, il forno dei miei genitori è pieno di cibo» sorrise: « però ora che me lo chiedi, un po' sì... ero così disorientata dopo l'esplosione che sono corsa nell'unico posto in cui sapevo avrei potuto trovare qualcuno» si sforzò di sorridere, cercando di dissimulare quella voglia improvvisa di piangere che l'aveva travolta. «non vedo l'ora di tornare definitivamente per farmi una doccia. A quanto pare l'unica cosa mutevole nella Parigi fantasma sono i vetri esplosivi» sospirò guardandosi le calze bianche, ingrigite dalle cadute degli ultimi giorni.
«beh, visto che sei qui, perché non vai a fartela adesso, intanto io vado a prenderti qualcosa da mangiare» le propose con molta ingenuità Adrien, ignaro dell'oscuro pensiero che aveva attanagliato la mente della ragazza, ma che accettò di buon grado.

«grazie» annuì accostandosi a lui e ricambiando la sua gentilezza con un dolce bacio sulla guancia che lo fece arrossire e scattare in piedi.
«eh... faccio in un attimo» disse correndo fuori dalla stanza, davvero deciso a tornare il prima possibile.

Quel bacio le era costato davvero moltissimo, temeva che il cuore le sarebbe esploso nel petto da un momento all'altro, ma aveva anche il bruttissimo presentimento che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe potuto vederlo e toccarlo.
Quel pensiero le face scoppiare a piangere e con un dolore lancinante al petto, decise di dare, a modo suo, l'ultimo addio ad Adrien.

***

Quando rientrò in camera sua, il giovane ospite teneva in mano un vassoio pieno di dolci e merendine sgraffignate dalla dispensa.
Sul letto c'era la sua felpa grigia che non ricordava nemmeno di aver tirato fuori dall'armadio.

«ma che mi salta in mente? » si domandò osservando la montagna di cibo che aveva messo sul vassoio: « che faccio? Mi metto a mangiare a quest'ora? ». Si sorprese di se stesso, posando il cabaret sul tavolino davanti al divano e tornando a letto. «Nino ha ragione, sono troppo stressato, meglio che mi metta a dormire» si disse, tornando a immergersi sotto le coperte, sprofondando in un sonno profondo.

 

 

 

________________________________________________

 

Questo capitolo è stato un po' più breve dei precedenti, ma...
Ok,Ok, prometto che è L'ULTIMA volta che finirà così (certo che è l'ultima, *coff coff*lei gli ha detto addio *coff coff*)
Eh... niente, Parigi è devastata da un nemico invisibile e nessuno la difende... forse Papillon impugnerà le armi in difesa della sua città? Mah... magari avremo una nuova Ladybug
(scherzo XD)

(detto questo fuggo)
 

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Operazione Marinette ***


Capitolo 7
Operazione Marinette


Il giorno seguente, la lezione di fisica procedeva come sempre, tra studenti particolarmente interessati, altri meno e atri ancora estremamente annoiati.

Adrien prendeva diligentemente appunti sul quaderno, quando, voltata pagina, trovò una scritta fatta sicuramente da una ragazza data la grafia delicata e aggraziata che diceva: "non ti dimenticherò".
Mentre leggeva quelle parole, il suo cellulare, dalla borsa, suonò attirando su di sé l'attenzione.
«i cellulari sono vietati in classe» lo ammonì la prof. Mendeleive, mentre il ragazzo cercava di farle capire che si era trattato solo di un incidente.
«lo so, mi scusi, ho dimenticato di spegnerlo» disse mentre si premurava a farlo.

Era di quelle mail spam che puntualmente arrivavano ogni giorno nei momenti meno opportuni e mentre armeggiava per archiviarla e spegnere il telefono, si accorse di avere ben due messaggi in segreteria da un numero sconosciuto, entrambi risalenti a quella notte.

Marinette...

Come un fulmine, il nome di quella ragazza comparve nella sua mente lasciandolo senza parole, sconvolto dall'idea di averla dimenticata ancora e, ancora di più, di non ricordare più il suo volto e molte altre cose che la riguardavano.

Per quella volta la professoressa fu clemente e gli ritirò il telefono fino alla fine della lezione, senza mandarlo dal preside.

«amico, sei strano» commentò Nino, mentre uscivano dall'aula insieme.
«lo so, è che c'è qualcosa che continuo a dimenticare» mormorò Adrien.
«dovresti dire a tuo padre di darti un po' di respiro. Di questo passo finirai per crollare» si preoccupò per lui.
«hai ragione, ma vedi, il fatto è che...». Si bloccò, non sapeva come andare avanti, Nino aveva ragione, ma c'era di più e molto probabilmente c'entrava il messaggio in segreteria sul suo telefono.

Aveva bisogno di ascoltarlo da solo e in massima tranquillità, sentiva che era una cosa di vitale importanza e per questo si rifugiò in uno dei gabbiotti del bagno e mise le cuffiette.

C'erano due vocali registrati a pochi minuti l'uno dall'altro. Andando in ordine, cominciò dal primo.
Partì immediatamente la voce di una ragazza, la voce di Marinette, tremante e un po' strozzata, sembrava sull'orlo del pianto e per quanto si sforzasse, non riuscì a trattenere i singhiozzi mentre gli parlava.

«ciao ehm... Adrien. S-scusa se sto usando il tuo telefono senza permesso. Manca poco alla fine dei rintocchi della mezzanotte e molto probabilmente quando sarai tornato io sarò già scomparsa. Non chiedermi come, ma ho la sensazione che sarà così e che questa sarà l'ultima volta in cui sentirai la mia voce» disse lasciandosi scappare un singhiozzo: «sono così stanca, io... io non ti dimenticherò, ma so già che quando lo farai tu, svanirò per sempre, come è successo a tutti gli altri».
In sottofondo poteva sentire benissimo le campane suonare era un conto alla rovescia che gli stava facendo battere il cuore sempre più forte, fino a far male, spingendolo a trattenere il respiro, mentre lei parlava.

«prima che io sparisca, però, c'è una cosa che devo dirti, che devi sapere. Il libro di supereroi di tuo padre contiene tutti i segreti dei miraculous ed è di vitale importanza che tu lo dia al Maestro Fu. Ti ho scritto il suo indirizzo in una nota, portaglielo, lui è il guardiano dei miraculous, l'hai già incontrato in passato anche se probabilmente non lo ricorderai e... non c'è più tempo...» mormorò soffocando un altro gemito, con la voce ormai del tutto fuori controllo, roca e tremante per il pianto convulso che la stava travolgendo: «voglio mantenere la nostra promessa e se questa dovesse essere l'ultima notte in cui potremo parlarci, allora è giusto che tu sappia la verità. Se invece avrò la fortuna di poterti restare accanto ancora un po', allora cancellerò questi messaggi e.... ascolta la mia verità solo quando ti sentirai pronto» lo pregò, prendendo un profondo respiro e sforzandosi di salutarlo con la voce più ferma che riuscì ad avere. «ciao Adrien»

Fu straziante per il ragazzo ascoltare quella voce rotta dal pianto, con il sottofondo delle campane che segnavano lo scadere del tempo.
Non poteva credere che Marinette avesse usato una scusa tanto banale per allontanarlo, solo per non farlo assistere alla sua scomparsa, di nuovo.
Adrien ricordava di nuovo tutto, ogni cosa e il messaggio di Marinette gli fece a pezzi il cuore. Cedette per un momento sentendo gli occhi pizzicare, tutto il suo corpo si irrigidì e fremette di fronte a quella verità. Sentì le forze venirgli meno, anche respirare divenne difficile tanto era il dolore che quella ragazza gli aveva procurato con poche e semplici parole.
Teneva il cellulare appoggiato alla fronte e il bracciale di lei all'altezza degli occhi, sforzandosi di non piangere e restare lucido. Ma come faceva a restare lucido quando la ragazza che doveva salvare gli aveva appena detto addio?

«perché devi essere così... così...» non trovò nemmeno la parola per definire quella testarda, egoista, coraggiosa, bellissima, ragazza che in quel momento gli aveva distrutto il cuore.

Non avrebbe ascoltato la verità, non ancora, voleva sentirla dalla sua bocca e avrebbe lottato perché accadesse.
Se questo Fu era il guardiano dei miraculous, allora avrebbe potuto sicuramente aiutarli, avrebbe restituito gli orecchini a Ladybug e tutto si sarebbe sistemato, doveva solo trovarlo, convincerlo della veridicità delle sue parole e aspettare la mezzanotte per rivedere Marinette. Perché ormai era chiaro: la mezzanotte era l'unico momento in cui era concesso loro di vedersi, sentirsi, toccarsi e forse anche, amarsi.

Credeva di essersi calmato e per questo raggiunse Nino rientrando con lui in classe, ma non era così, Adrien era ben lontano dall'essere calmo e il suo primo pensiero andò al libro che suo padre custodiva in cassaforte e al modo in cui avrebbe fatto a prenderlo. L'ultima volta era stato Plagg ad aprire lo sportello blindato, ma da solo e senza conoscerne la combinazione sarebbe stata un'impresa, specialmente perché avrebbe sfidato apertamente suo padre rischiando di essere punito di nuovo e in maniera anche peggiore dell'ultima volta. Forse la punizione era il minore dei suoi problemi. Non riusciva a smettere di pensare al modo in cui Marinette l'aveva liquidato e se in un primo momento aveva provato tanta tristezza e un groppo alla gola, quello successivo una rabbia incontenibile lo travolse facendogli venire voglia di risponderle per le rime.
La ricreazione stava per terminare e mentre ancora rimuginava su come sottrarre il libro senza essere visto, Chloè gli balzò al collo strofinandosi e civettando con lui come al solito, solo che in quell'occasione la respinse in maniera abbastanza brusca uscendo di nuovo dall'aula senza dire nulla.

«ma che gli prende? » gracidò la biondina, rimasta sbigottita dal modo in cui si era tolto le sue mani di dosso.
«non chiedermelo, da quando ha incontrato quella Marinette si comporta in modo strano» sbuffò Nino.
«Sabrina! » strillò Chloè, chiamando sull'attenti l'amica: « trova tutto quello che sai su questa Marinette...». Cercò di sapere da Nino anche il cognome della sua concorrente in amore, ma l'amico di Adrien non lo sapeva e mentre lei lo pretendeva gesticolando con aria scocciata, lui scrollò le spalle tornando a pensare alla sua musica e al suo telefono ignorando l'urlo isterico della compagna di classe che costrinse ugualmente la povera Sabrina a indagare su questa Marinette.

Nel mentre, lei uscì dall'aula, intenta a seguire Adrien.

Arrivato agli armadietti dove ormai non c'era più nessuno, il ragazzo richiamò il numero da cui lei gli aveva registrato quei messaggi in segreteria.
Lo trovò assurdo, dopo tutto quel tempo, ancora non aveva il suo numero di telefono.
Era stato davvero cieco e così stupido, ammirava Marinette, ma non aveva mai fatto nulla per avvicinarsi di più a lei, ossessionato dalla sua alter ego e ora eccolo lì a rodersi per essere stato praticamente scaricato per telefono.

Non suonò neanche, scattò subito la segreteria: «sono Marinette, lasciate un messaggio. Biip».

La dolce e sonora risata che seguì il breve messaggio della segreteria fece tentennare Adrien che in quel momento rivide il volto della ragazza regalargli uno dei suoi solari sorrisi.

«eh... ciao, sono Adrien e io...»

Esitò, era come se quella dolce risata gli avesse fatto dimenticare il motivo per cui era arrabbiato con lei, ma gli bastò guardare il suo armadietto vuoto, lì, di fronte a lui, per ricordare ogni cosa e la voce pacata di Adrien si caricò di rabbia: « davvero... davvero pensi di liquidarmi così? Marinette... Marinette Dupain-Cheng, davvero credi potermi dire addio in quel modo? Dannazione, non sei ancora la mia ragazza e già mi scarichi con un messaggio in segreteria? Te l'ho detto e te lo ripeto, io non mi arrenderò mai, continuerò a cercarti, finché non sarò riuscito a farti tornare Insettina. Sì, hai capito bene, Insettina! Non so ancora come, ma riuscirò a prendere quel libro a mio padre e ti riporterò indietro, preparati perché avremo molte cose da dirci! » gridò facendo sentire le sue parole quasi come una minaccia: «ti aspetterò sul Pont Royal e lì...»

Chloè lo ascoltò per tutto il tempo. Conosceva Adrien da una vita e non l'aveva mai visto tanto adirato e addolorato allo stesso tempo, chiunque fosse quella ragazza, doveva aver lasciato un segno indelebile nel suo cuore. Vedere e sentire quanto il suo caro Adrien lottava per lei le fece male, la odiò profondamente, ma sorrise anche e le diede il suo rispetto, perché era riuscita dove lei aveva sempre fallito: conquistare il giovane e affascinante Agreste.

Non si sarebbe arresa, anche quando quella Marinette fosse tornata, lei avrebbe continuato a lottare per lui e con tutte le sue armi a disposizione, ma in quel momento le venne naturale sorridere.

Adrien aveva appena finito di registrare il messaggio in segreteria, quando, voltandosi, si trovò faccia a faccia con l'unica ragazza che ancora non era rientrata in classe.

«... ciao Alya» mormorò Adrien dopo essersi calmato: «eh... hai sentito...»

«dovresti domandarti chi non ti ha sentito» sorrise la ragazza, sottolineando il tono esageratamente alto, con cui aveva parlato per tutta la conversazione: « questa Marinette deve essere proprio un tipo particolare per aver fatto perdere le staffe ad Adrien Agreste» ridacchiò avvicinandosi e appoggiandosi proprio all'armadietto della ragazza scomparsa. Fu esilarante la sua affermazione, tanto da strappargli un sorriso divertito.
«tu dovresti saperlo, è la tua migliore amica» mormorò, ricordandosi poi della triste verità in cui stava vivendo e rispondendole in maniera più logica dal suo punto di vista: «sì, è così. È testarda e incredibile»
«e ti ha fatto perdere la testa» aggiunse Alya osservando il viso del suo amico cambiare improvvisamente colore: «lei ti piace molto, non è vero? »

Aveva sentito tutto quello che aveva detto al telefono, ma glielo chiese e quel balbettio che le suonò alle orecchie così familiare, la divertì parecchio. Non riuscì a risponderle, ma la sua reazione fu più eloquente di mille parole, insieme al viso paonazzo.
Non era la prima volta che gli ponevano quella domanda. Aveva cominciato Plagg il giorno in cui distrusse le barriere di Marinette conquistandosi la sua amicizia in quel pomeriggio di pioggia e poi Kagami: l'aveva conosciuto per poche ore e ne sapeva già più di lui, lei l'aveva capito già allora e lui? Lui l'aveva definita 'un'ottima amica'. Troppo stupido e troppo cieco per porsi una domanda così semplice, per capire quanto in realtà quella ragazza fosse importante per lui. Amava Ladybug, perché era Marinette e non se n'era mai accorto, non fino a quel momento.
Una sensazione di amarezza lo pervase rabbuiando il suo viso e preoccupando l'amica: «cosa le è successo?» gli domandò, cercando il suo sguardo vitreo sotto i ciuffi biondi.

«è scomparsa...è complicato...» disse, ancora sconvolto dal ricordo, dal modo in cui aveva sempre trattato la ragazza di cui era davvero innamorato.
«provaci» lo incoraggiò lei.

Aveva bisogno di confidarsi con qualcuno, qualcuno che gli voleva bene, ma con cui non aveva una grande confidenza e che avrebbe potuto dargli un parere oggettivo.

«mi resta poco tempo e io... io sto già iniziando a dimenticarla».

Perché le stava raccontando quelle cose? Alya era un'ottima amica, ma era anche incredibilmente curiosa, rischiava di svelare le loro identità segrete, o peggio. Eppure non riuscì a frenare la lingua, sentiva l'irrefrenabile bisogno di confidarsi.

«se la ami davvero non potrai mai dimenticarla» obbiettò Alya.
«è proprio questo il punto, tutte le persone che l'amavano si sono già dimenticate di lei. I suoi genitori, i suoi amici...» le confessò. Sarebbe potuto essere più specifico, ma sarebbe stato ancora più complicato.
«lei si è già arresa, praticamente mi ha detto addio, ma... ma non posso abbandonarla. Abbiamo lasciato un discorso in sospeso. Lei ha un segreto da confidarmi, ma quello che non sa è che anche io ho una cosa molto importante da dirle e l'unico modo che ho per farlo è trovare un libro».
«un libro? » strabuzzò gli occhi la ragazza.
«devo prenderlo a mio padre, ma non sarà facile, si trova nella cassaforte del suo ufficio»
«sembra uno di quei film di spie» scherzò Alya, poco convinta della storia di Adrien, ma altrettanto entusiasta di quell'avventura di cui, quasi sicuramente, avrebbe scritto sul suo blog di supereroi e avventure. Un cavaliere senza macchia e senza paura che lotta per salvare la donzella in pericolo anche a costo di combattere suo padre e chiunque si fosse messo in mezzo.
«già, peccato che sia la realtà» sospirò Adrien rimettendosi il cellulare in tasca, pronto a tornare in classe.
«sai, questa ragazza è davvero fortunata» ammise Alya, lanciando al compagno di classe uno sguardo intenerito, mentre le sue gote si coloravano: «le cose che hai detto... ogni ragazza sogna di sentirle. Una dichiarazione come...»
«già... Suppongo che Nino non l'abbia mai fatto, non è il tipo da dichiarazioni » disse Adrien, l'imbarazzo per essere stato ascoltato era molto forte e tentò di spostare la loro conversazione su un altro soggetto, ma doveva aver detto qualcosa di strano, perché da intenerita, Alya strabuzzò gli occhi.
«Nino? Ma cosa c'entra? Ma che, scherzi? » sbottò: «ma cosa vai a insinuare? Nino è come un fratello per me! »
«ah... sì certo...» le diede ragione Adrien, aveva dimenticato che era stato grazie a Ladybug se tra i suoi amici era sbocciato l'amore. «beh, non darti per vinta» la incoraggiò: « a volte arriva quando meno te lo aspetti, potrebbe anche essere davanti a te e tu ancora non lo vedi» la incoraggiò pensando a come stavano bene lei e Nino e che se avesse risolto le cose una volta per tutte, un giorno loro avrebbero potuto anche fare un'uscita a quattro.
«tu credi che Nino vorrebbe mai uscire con me? » si azzardò a domandargli, imbarazzatissima, dopo una lunga riflessione e rimangiandosi quello che aveva appena detto.
Adrien rimase piuttosto spiazzato da quella domanda.

Stavano ancora chiacchierando delle loro pene d'amore, quando Nino li raggiunse invitandoli a tornare in classe. La lezione doveva iniziare e mancavano solo loro e Chloé che a quanto pare era dispersa altrove.

Mentre si dirigevano verso la classe, una mano agguantò Alya per il colletto della camicia, mentre l'altra le tappò la bocca trascinandola dietro un muro. La tenne ferma per il tempo necessario ai ragazzi per uscire dagli spogliatoi, dopo di che la lasciò andare sorbendosi immediatamente i suoi lamenti.

«ma dico, ti è dato di volta il cervello?! » sbottò contro Chloè che la fissava in attesa di poter prendere la parola.
«zitta e ascoltami» le ordinò con la sua solita aria di superiorità, mista a tristezza e determinazione: «dobbiamo aiutarlo»
Se era un trucco, Alya non ci sarebbe cascata. Adrien era suo amico e non avrebbe mai fatto nulla che avesse potuto ferirlo, solo per fare contenta la viziata Chloé.
«non ti aiuterò a spezzare il cuore di Adrien, solo per un tuo tornaconto Chloé, è mio amico! »
«non hai capito...» provò a interromperla la biondina, ma Alya sembrava non aver finito.
«sappiamo tutti che miri a lui e che lo vuoi tutto per te e che vuoi togliergli dalla testa questa nuova ragazza, ma ti avverto, farò di tutto per impedirti di fargli del male! »
«non farei mai nulla per far del male ad Adrien» mormorò Chloé, chiaramente ferita da quell'affermazione: «lo conosco fin da quando eravamo bambini e non l'ho mai visto disperarsi e lottare così tanto» disse seria e preoccupata, come non la era mai stata: «ho sentito cosa ti ha detto e cosa ha detto a lei. è vero, lo voglio solo per me, ma finché non riuscirò a sbarazzarmi di questa Marinette non potrà succede e l'unico modo che ho per farlo è aiutarlo a trovarla. Per cui ti propongo una tregua, per Adrien»
Alya rimase molto colpita dal discorso di Chloé, sotto quello strato di superbia e arroganza c'era un cuore, un cuore che batteva e che amava.
«quindi, anche Chloé Burgeois ha un cuore» ridacchiò guardandola di sottecchi.
«allora, sei con me o no? » sbuffò la biondina fulminandola con lo sguardo, timorosa di mostrarle ancora il suo lato tenero.
«perché io? Non puoi farti aiutare da Sabrina? E poi per cosa? Per prendere un libro? » la interrogò ancora, confusa da quella situazione che le pareva pressoché assurda.
«immagino tu non abbia ai visto la casa di Adrien. Alcatraz non è nulla in confronto al sistema di sicurezza di quella casa e non parlo solo di quel gorilla che segue Adrien ovunque vada, parlo di telecamere e sistemi d'allarme di ultima generazione. Se quel libro si trova in cassaforte, allora non sarà facile prenderlo» spiegò molto rapidamente e con risolutezza: «ho un piano, ma mi serve l'aiuto di Max e Nino e mi serve il tuo aiuto per convincerli a collaborare» le spiegò.
«anni di prepotenze ti hanno portata a questo, eh? A mendicare il mio aiuto, perché nessuno aiuterebbe te» la prese in giro Alya, calcando sul suo pessimo carattere.
«ma ascolteranno te e aiuteranno Adrien» le ricordò con quella risolutezza che stava inquietando non poco la compagna di classe.
Il piano di Chloé non era particolarmente complicato, ma necessitava della collaborazione di tutti e di una buona coordinazione.

Il piano coinvolgeva buona parte della classe e il primo passo, dopo aver assegnato a ognuno il proprio compito, sarebbe stato mettere al corrente anche Adrien, peccato che nel momento in cui furono pronti, il loro amico se n'era già andato.

Aveva atteso con impazienza la fine delle lezioni per tornare a casa ed escogitare un piano tutto suo per recuperare il libro.
Come al solito suo padre era stato troppo impegnato per prendersi un momento e pranzare in compagnia di suo figlio, ma questa volta ad Adrien non importò, quel silenzio gli servì per pensare. Ogni tanto guardava il suo telefono, sperando di trovarvi un messaggio in segreteria, magari la risposta di Marinette.

«resisti M'Lady» mormorò al vuoto, sperando, in qualche modo, che lei potesse sentirlo.

***

Marinette, nel mentre, era andata a scuola, si era seduta al suo banco e aveva assaporato l'ultima sensazione che quell'aula vuota le avrebbe dato. La finestra rotta era stata coperta temporaneamente da un telo di plastica e i vetri raccolti. Probabilmente Adrien e gli altri avrebbero fatto lezione da un'altra parte quel giorno.
Terminato quel tour dei ricordi, tornò a casa sua per dare un ultimo saluto al luogo che l'aveva vista crescere;anche se la sua stanza era scomparsa, quelle pareti rappresentavano comunque il suo nido, il luogo più sicuro del mondo ai suoi occhi e sarebbe stato un buon modo per dire addio anche ai suoi genitori.

Aveva appena aperto la porta di casa, quando si rese conto di non ricordare gran parte della sua vita, di non ricordare i volti dei suoi genitori, di cosa si occupassero, la sua età, dove andasse a scuola e chi fossero i suoi compagni di scuola, non ricordava più come fosse diventata Ladybug e chi fosse il ragazzo che combatteva al suo fianco, il suo nome. Ricordava solo che sotto la maschera c'era un ragazzo di nome Adrien che lei aveva amato alla follia, ma il nome del supereroe?

«chi sei? Qual è il tuo nome? Dove mi trovo? »

Era davvero spaventata, specialmente perché sapeva molto bene il significato di quell'amnesia, stava per svanire per sempre , ma non senza i suoi ricordi, si sarebbe opposta con tutte le sue forze. Aveva promesso ad Adrien che non l'avrebbe dimenticato e ciò valeva anche per il suo alter ego di cui, in un momento di lucidità, ricordò il nome e si sbrigò a scriverlo.

Non fece altro per tutta la mattina, scrivere e disegnare ovunque, nomi, volti, eventi. Ogni cosa che ricordava si traduceva in tratti di inchiostro su fogli, superfici, stoffa, anche sui muri.
Aveva detto addio al ragazzo che amava, ma non ai suoi ricordi. No. Quelli li avrebbe tenuti ben stretti.

Andò avanti così tutto il giorno combattendo anche la stanchezza, finché un forte boato che annunciava un nuovo crollo, non la fece cadere dalla sedie su cui era salita per impiastrare anche l'angolo più alto del muro con il nome della sua migliore amica.
Un altro palazzo, nei pressi del Louvre era stato devastato da quella misteriosa entità che strisciava per Parigi.

Esausta e senza più un solo angolo da ricoprire con scritte e ricordi, Marinette si distese sul divano osservando il suo capolavoro circondarla, pienamente soddisfatta, poi chiuse gli occhi e sospirò.

***

A villa Agreste, Adrien era riuscito, nemmeno lui sapeva come, a intrufolarsi nell'ufficio eludendo le telecamere e gli sguardi vigili di Nathalie e suo padre che lo credevano in camera sua a fare i compiti.

Si era nascosto sotto alla panca che costeggiava il tavolo in vetro, non aveva una buona visuale, ma era sicuro che suo padre stesse borbottando qualcosa mentre sfogliava quello che sembrava a tutti gli effetti il libro di super eroi di cui doveva assolutamente appropriarsi.

«signore, cosa pensa di fare con Adrien? » chiese Nathalie alzando lo sguardo dal computer: «non avete più parlato della questione»
«preferisco che mio figlio risolva questa faccenda da solo » le rispose con risolutezza, senza approfondire troppo. Aveva studiato a fondo il libro cercando un modo per annullare gli effetti dell'akuma e tornare ad avere il potere di Papillon di cui gli aveva accennato inconsciamente Adrien, ma quei caratteri erano ancora indecifrabili per lui e quel poco che sapeva Nooro non era sufficiente.

Strisciando sotto alle sedute, Adrien cercò di avvicinarsi il più possibile al libro, attendendo il momento propizio per prenderlo e fuggire.

Non ebbe un'idea precisa del tempo che passò accucciato lì sotto, seppe solo che quando il campanello di casa suonò, le sue gambe avevano già iniziato a perdere la sensibilità.
Udì una voce squillante parlare dall'interfono, ma non capì né chi fosse, né cosa volesse, vide solo Nathalie chiedere il permesso a Gabriel con uno sguardo e poi aprire il cancello.

Lo stilista ripose il libro nella cassaforte, dopo di che uscì dalla stanza con l'assistente per accogliere gli ospiti che chiedevano di lui.
Nell'atrio c'erano Chloé, Sabrina, Alya e Alix che attendevano il sig. Agreste per attuare il loro piano.

«buongiorno sig. Agreste, sono Chloé Burgeois, la figlia del sindaco Burgeois e proprietario del lussuoso hotel Les Grand Paris, si ricorda? » si presentò con la sua solita aria snob la biondina, dovendo poi dare una piccola gomitata ad Alya perché continuasse la catena di presentazioni.
«ehm... io sono Alya Césaire, piacere signore» disse, alquanto stupefatta dalla sfarzosità di quella casa.
«io sono Sabrina Raincomprix, sign. Agreste, mio padre è il capo della polizia di Parigi» seguì Sabrina.
«e io sono Alix Kubdel» si presento anche l'ultima delle ragazze togliendosi il berretto .
«Adrien in questo momento sta studiando, non ha tempo da dedicarvi» le freddò immediatamente, innescando una risatina da parte dell'altezzosa figlia del sindaco che si fece avanti tirando fuori dalla borsa una busta dorata.
«a dire il vero, sign. Agreste, sono qui per conto di mio padre» disse consegnandogli la busta: «mi ha chiesto personalmente di porgere questo invito a lei e Adrien e alla sua assistente naturalmente, per una festa esclusiva al municipio in onore del suo mandato e... beh per beneficenza anche, ovvio» aggiunse, inventando sul momento scandendo bene le parole e parlando molto lentamente per prendere tempo: « mio padre, il sindaco, crede che la sua presenza sarà di grande risalto. Sa con i disastri degli ultimi tempi è importante risollevare il morale dei cittadini e impegnarsi nella ricostruzione. E poi potremmo organizzare una sfilata con i suoi capi migliori e Adrien potrebbe essere il modello di punta» cominciò a proporre.
«signorina Burgeois, credo che lei stia viaggiando un po' troppo con la fantasia» la interruppe immediatamente: «la ringrazio per l'invito, la mia assistente contatterà il sindaco per farle avere notizie sulla nostra partecipazione». Cercò di liquidarla in quel modo, ma Chloé non si arrese, il loro piano non era ancora terminato e prima che Gabriel e Nathalie potessero andarsene, la ricca ragazzina si fece avanti assumendo pose strane, come se fosse davanti ai fotografi.
«mi dica, io non sarei una fantastica modella, sign. Agreste? Potrebbe prendere ispirazione dal mio fascino per i suoi modelli. Abiti ispirati alla figlia del sindaco di Parigi, non crede che sarebbero un gran successo? E poi Adrien ed io formeremmo una splendida coppia sulla passerella »
«no» rispose secco l'uomo, infastidito da quelle ragazze e lo sarebbe stato ancora di più, specialmente quando Alya iniziò a discutere con Chloé e a lei si accodarono le altre due.
«cosa stai dicendo? Non era questo il piano! » sbottò Alya facendosi avanti e coprendo Sabrina agli occhi degli adulti che dovettero assistere al loro battibecco: «eravamo d'accordo che avremmo proposto Alix come modella per sfilare con Adrien! »
«beh, ho cambiato idea, io sono molto più aggraziata! » ridacchiò lei.
«Alya ha ragione, avevi detto che avrei sfilato io! » s'intromise Alix.

Mentre loro litigavano, cercando di mettere in mezzo anche il padrone di casa e la sua assistente, Sabrina cercò, in maniera molto cauta, di sfilare dalla borsa Marcov che, complice del loro piano, volò silenzioso nello studio di Gabriel dove Adrien si muoveva acquattato a terra per sfuggire alle telecamere, balzando su e giù secondo i loro movimenti, cercava di indovinare la combinazione corretta per aprire la cassaforte. Sentiva gli schiamazzi provenire dall'atrio, ma non capiva chi potesse essere e nemmeno gli interessava in quel momento. L'importante era che stavano tenendo suo padre e Nathalie lontani.

Ebbe un sussulto quando una mano gli si posò sulla spalla. Era già pronto a campare in aria qualche improbabile scusa, quando scoprì che il proprietario non era altri che il suo amico Nino e insieme a lui c'erano anche Max e Kim a cui Marcov aveva aperto la finestra per farli entrare.
«ragazzi, che ci fate qui? » si sorprese Adrien, spingendoli poi a terra per evitare le telecamere e finire con lui nei guai.
«è l'operazione Marinette» sorrise Nino: «e puoi stare tranquillo, Marcov ha eliminato le telecamere nel momento in cui le ragazze sono entrate in casa tua» lo tranquillizzò rialzandosi.
«le ragazze? »
«Chloé, Alya, Sabrina e Alix» precisò Kim.
«io non capisco» scrollò le spalle Adrien, confuso e spaesato dai sorrisi complici dei suoi amici.
«vogliamo aiutarti a ritrovare Marinette e se l'unico modo che hai è rubando il libro di tuo padre, allora noi ti aiuteremo» disse Max, mentre il suo amico robotico elaborava la combinazione della cassaforte aprendola in un batter d'occhio.
Il libro era proprio lì, al suo posto, ma quella volta notò anche un paio di altre cose come ad esempio il gioiello a forma di coda di pavone appoggiato accanto alla foto di sua madre e a un libro sul Tibet.
«Adrien, faremo meglio ad andare, ho l'impressione che le ragazze non terranno occupato tuo padre ancora a lungo» bisbigliò Kim tenendo l'orecchio ben teso per ascoltare le voci nell'atrio.
Avevano ragione, senza più esitare, Adrien prese il libro e richiuse la cassaforte.
«fase 2 completata» ridacchiò Nino: «oh è troppo forte! »
«sì, ma abbassa la voce» lo riprese lo stesso Adrien.

La fase tre consisteva nel riuscire a uscire di casa senza essere visti e il modo più semplice era uscire da dove erano entrati i ragazzi: dalla finestra. Peccato che lo sguardo di Gabriel e Nathalie fosse puntato proprio sul corridoio che li separava dalle finestre. Avevano previsto anche quello e con un messaggio misero fine al teatrino delle ragazze che, come se nulla fosse, smisero di litigare, salutarono il sign. Agreste e se ne andarono.
L'avevano davvero fatto infuriare e come se non bastasse, nonostante i suoi tentativi quelle ragazzine erano riuscite a sviare ogni volta i suoi inviti ad andarsene. Si sentì sollevato quando, finalmente, le vide muoversi riportando la tranquillità e il silenzio in casa sua. Tornò nel suo studio, pronto a rimettersi al lavoro.

«allora, l'avete preso? » volle sapere Alya non appena i ragazzi le raggiunsero al parco vicino a scuola.
«è qui». Mostrò loro il libro Adrien, ancora confuso da cosa avesse spinto i suoi amici a intervenire; dopo le scenate degli ultimi giorni, pensava che lo credessero semplicemente impazzito e per quanto Nino gli avesse retto il gioco nelle sue conversazioni con Marinette, non era convinto che gli credesse.
«ma perché.... Voi come...» non riuscì a non domandare loro.
«non importa» tagliò corto Chloé prendendogli il volume dalle mani e infilandolo in una tracolla che gli porse un momento dopo: «forza, fai quello che devi»
«è stato tutto un piano di Chloé » spifferò, divertito, Nino.
«già... sì, sì, mi ringrazierai dopo. Forza vai». L'idea di aver fatto qualcosa di gentile per qualcun altro e senza ricavarne nulla in cambio la metteva a disagio, ma le bastò guardare gli occhi di Adrien per sentirsi appagata e capire di aver fatto la cosa giusta, peccato che non l'avrebbe mai ammesso. «e scordati che io diventi amica di questa Marinette» mise in chiaro, tornando l'acida regina snob che era.
«oh tranquilla, non le sarete mai» gli venne naturale ridere, aveva di nuovo dimenticato con chi stava parlando e dovette correggersi: «eh, voglio dire che non importa.... Sarà una cosa tra voi... Grazie ragazzi» disse ancora, cominciando poi a correre verso l'indirizzo che Marinette gli aveva lasciato tra le note, impostando il navigatore sul telefono.
 

Gabriel non ci mise molto ad accorgersi che il suo libro era scomparso e nemmeno a capire il motivo di quel teatrino messo su dalle ragazze poco prima. Come se non bastasse, Nathalie gli comunicò che Adrien non era più nella sua stanza, anzi non era in nessun angolo della casa.

«cosa pensa di fare? » lo interrogò la donna, notando la strana reazione del suo capo.
«nulla» rispose risoluto: «se Adrien ha preso il libro, significa che sapeva che era in mano mia, ma non credo sappia altro, altrimenti non si sarebbe mai confidato con me» ragionò ad alta voce: «deve avere a che fare con quella ragazza»

Non gli piaceva molto l'idea che Adrien avesse ficcato il naso nei suoi affari, che avesse aperto la cassaforte e rubato quel prezioso libro, ma pensò anche che se l'aveva fatto, era per salvare quella ragazza e riportare le cose alla normalità, restituendogli la possibilità di impossessarsi degli orecchini di Ladybug e dell'anello di Chat Noir.


 


___________________________________________________________


Dunque L'operazione Marinette è andata a buon fine direi, Adrien ha davvero degli amici fantastici e forse un giorno esulteranno tutti (quasi) di essere intervenuti.
Chloé non è propriamente uno dei personaggi che adoro, ma ha del potenziale e un buon cuore anche se fa fatica ad ammetterle e comunque per Adrien farebbe (quasi) qualunque cosa e non conoscendo Marinette si è subito messa in moto per aiutare il suo amico.

E ora a tutta birra verso master Fu!
Marinette nel frattempo si è data ai murales XD

e noi ci vediamo al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 9
*** Punti di confine ***


Capitolo 8
Punti di confine


Ci volle un po' per raggiungere il luogo in cui avrebbe trovato il Maestro Fu di cui gli aveva parlato Marinette.

Aveva ragione, aveva già incontrato quel vecchietto, il primo giorno di scuola. Quella camicia rossa in stile hawaiano non passava certo inosservata.
Rimase sulla porta per alcuni minuti, interdetto sul da farsi. Era stato lui a dargli l'anello di Chat Noir, ma non lo conosceva, non era sicuro di potersi fidare e affidargli uno dei tesori più preziosi di suo padre o trovare un altro modo. Si domandò se ci fosse davvero un altro modo, erano passati tre giorni dalla scomparsa di Marinette e le loro amnesie erano sempre più grandi, non aveva più molto tempo.

«posso aiutarti? »gli domandò l'anziano orientale inginocchiato su un morbido cuscino. Sentiva parecchie emozioni contrastanti nel ragazzo e provò a rompere il ghiaccio ponendogli quella semplice domanda.
«sì...» mormorò Adrien, sforzandosi di tenere bene a mente il motivo che l'aveva condotto lì e ciò di cui aveva bisogno. «ho bisogno dei miraculous! L'anello del gatto nero e gli orecchini della coccinella! » esclamò tutto d'un fiato.
 

Un silenzio glaciale calò nella stanza, l'anziano maestro si stupì di una tale affermazione e Adrien si morse la lingua per essere stato così avventato e forse un po' prepotente nella sua richiesta. Ladybug gli aveva parlato degli effetti del potere combinato dei loro miraculous, del pericolo e temette di essere frainteso.


«ehm... cioè io... volevo dire che...»
Si fermò. Prese un profondo respiro e provò a rimettere insieme le idee.

Da dove cominciare? Come poteva convincerlo ad aiutarlo? Non sembrava sapere chi fosse, come tutti, doveva essere sotto il potere dell'akuma.
Strinse forte la tracolla, indeciso sul da farsi , dopo di che estrasse il libro: «le ho portato questo» disse velocemente tendendolo verso di lui.

L'anziano maestro rimase senza parole alla vista del libro. Quel biondino aveva avuto decisamente tutta la sua attenzione e anche il suo kwami che faticò a restare nascosto alla vista del volume creduto perso.

«dove l'hai trovato? » volle sapere, ma a quella domanda Adrien non rispose. Non sapeva se poteva dirgli la verità, non ancora almeno.

Fu comprese la sua esitazione e riavere il volume tra le mani gli fu sufficiente per il momento. Gli occhi di quel ragazzo gridavano aiuto.
«siediti ragazzo» lo invitò cordialmente, capendo che non aveva cattive intenzioni.
Era rigido e impacciato, qualcosa di grave lo preoccupava e l'aveva spinto fin da lui a chiedere i miraculous; aspettò pazientemente che Adrien si sedesse prima di offrirgli una tazza di thè che l'avrebbe aiutato a calmare i nervi e riordinare le idee.
«Maestro Fu, ho bisogno del suo aiuto» disse con fermezza, dopo aver mandato giù il primo sorso di quella bevanda scura e calda, guardando l'uomo negli occhi.
«racconta» disse con altrettanta risolutezza sostenendo il suo sguardo, leggendo in lui un animo nobile e di sani principi: «perché vuoi i miraculous e in particolare quei due»
Sarebbe stato difficile spiegare come stavano le cose, ma non poteva fare altrimenti e l'anziano sembrava ben disposto ad ascoltarlo e aiutarlo.

«mi chiamo Adrien Agreste e... e sono stato scelto da lei per portare l'anello del gatto nero con il potere della distruzione» disse, consapevole che con quelle prime parole avrebbe confuso l'uomo che sembrava non conoscerlo, ma che allo stesso tempo non batté ciglio, sicuro di un continuo: «tre giorni fa io e la ragazza a cui lei ha affidato gli orecchini di Ladybug abbiamo affrontato una delle akuma di Papillon, il super cattivo che da mesi devasta Parigi al solo scopo di impadronirsi dei nostri miraculous» proseguì. Tremava al solo ricordo di quel giorno, delle discussioni con Marinette, i sentimenti contrastanti che li avevano distratti da una battaglia così importante che era costata molto a entrambi. Con un po' di coraggio e la consapevolezza di non poter modificare quel passato, proseguì nel suo racconto: «la vittima di Papillon aveva il potere di cancellare le persone, da questo mondo e... e dalla memoria delle persone» sospirò Adrien. Il quadro cominciava a completarsi abbastanza bene nella mente del maestro Fu che già aveva intuito il seguito. «Ladybug ed io eravamo... noi...avevamo appena scoperto le nostre reciproche identità... è successo per caso, è stato un incidente, lei era caduta e io avevo provato a soccorrerla, credevo di avere ancora tempo...».

Si stava agitando, i ricordi si stavano affollando nella sua mente, troppe informazioni, ancora più emozioni e poco tempo.

«cos'è successo a Ladybug? » provò a riportarlo al punto, distogliendolo da ciò che lo agitava e gli impediva di andare avanti.
«no...». Adrien aveva capito le sue buone intenzioni, ma doveva chiarire il punto: «conoscevo la ragazza dietro la maschera di Ladybug e lei conosceva me. Eravamo nella stessa classe. Il suo nome è Marinette e tre giorni fa... noi stavamo parlando, almeno ci stavamo provando, volevamo chiarire le cose tra noi. Era tutto così complicato...»
«era? »
«è... è complicato» si corresse: «e poi è arrivata Oubli. È stata colpa mia, non mi ricordavo più di lei, l'avevo incontrata una volta sola molto tempo fa, non immaginavo che dirglielo l'avrebbe offesa a tal punto... Marinette ha cercato di salvarmi da una delle sue frecce, ha usato il suo corpo come scudo e poi è scomparsa» riuscì a terminare. « e ora nessuno si ricorda più di lei, i suoi genitori, gli insegnanti, i nostri amici...»
«ma tu sì» ragionò Fu, accarezzandosi la barbetta grigia sul mento.
«forse perché è scomparsa sotto i miei occhi... non lo so. Il fatto è che da quando è scomparsa, sembra che il mondo intero sia cambiato. Abbiamo perso entrambi i nostri miraculous e l'intera città sembra essersi dimenticata di noi, di Papillon e poi c'è quest'entità che sta distruggendo tutto...» spiegò in fretta, bloccandosi poi di fronte alla verità più dura e triste: « e poi io...»

«hai iniziato a dimenticarla anche tu» concluse per lui Fu, trovando la triste e positiva risposta di Adrien. «hai detto che avete perso entrambi i miraculous, cosa vuoi dire? Come sai che è successo anche a lei?»

« a volte mi capita di vederla e sentirla. L'ho sentita a scuola, a casa sua, anche se nemmeno i suoi genitori la ricordano, nella sua stanza... non so perché succede, ma so che anche lei sta cominciando a dimenticare e si sente molto debole» spiegò, con l'apprensione che trasformava le sue parole in una raffica di informazioni date troppo velocemente e che Fu carpiva al volo e come meglio poteva.
«dove e quando l'hai sentita di preciso? » volle sapere.

Non fu facile ricordare i luoghi esatti, ma Adrien fu certo di aver sentito per la prima volta la sua voce mentre usciva dagli spogliatoi della scuola e poi sulla porta della stanza di Marinette.

«...e due notti fa è apparsa in camera mia come un fantasma e appena è scoccata la mezzanotte il suo corpo ha preso consistenza ed è successo anche l'altra notte... e l'altro giorno a scuola abbiamo parlato sul davanzale della finestra»

Più parlava e più il maestro Fu si convinceva di un fatto estremamente evidente che lo fece sorridere.

«lei sa cosa significano questi posti? » volle sapere il ragazzo, non capendo quel sorriso sul volto del vecchio.
«perché vuoi i miraculous? » gli rispose con un'altra domanda: «vuoi forse usare il loro potere combinato per riportare indietro Ladyug?»
«Marinette» precisò d'istinto Adrien andando ad appurare sempre di più l'intuizione di Fu: «no, so bene che unire i poteri degli orecchini e dell'anello richiederebbe un costo altissimo, ciò che voglio è solo riportarla indietro e credo che con l'aiuto di Tikki e Plagg io... noi... potremo farcela»

Una smorfia divertita stropicciò il viso del vecchio che si alzò allontanandosi e dando le spalle ad Adrien, incrociando le braccia dietro la schiena.

«la tua è davvero una bella storia» ammise Fu scrutando i suoi movimenti con la coda dell'occhio: «ti ringrazio per avermi riportato il libro, era da anni ormai che lo cercavo, ma non posso darti i miraculous»
«come sarebbe a dire? Marinette si fidava di lei! »scattò immediatamente: « mi ha mandato da lei perché...» si interruppe. Marinette non gli aveva mai detto di chiedere aiuto al guardiano dei miraculous, ma solo di riportargli il libro. «no... no mi scusi, ha ragione. È solo che... credevo che lei avrebbe potuto aiutarci» sospirò, nascondendosi dal se stesso riflesso nel thè.
«come ho detto, è solo una bella storia» rimarcò il vecchio.
«le assicuro che non è una storia! » esclamò Adrien: «se vuole posso dirle tutto ciò che c'è da sapere su Chat Noir, sui miei poteri e potrei parlarle per ore di quanto sia pigro, vanitoso, a volte irresponsabile e cinico Plagg e di quanto vada matto per il camembert e Ladybug... il potere del suo Lucky Charm, il suo yo-yo, la sua intraprendenza, il coraggio che ha e la sua kwami, Tikki, saggia e dolce...» .Fu l'unico modo che ebbe per dimostrare al vecchio guardiano che la sua non era solo una storia, ma la realtà.
«dimmi una cosa, Adrien, cosa significa questa Marinette, per te? » volle sapere.
Ci fu un lungo silenzio e fu certo di sentire il cuore del ragazzo sobbalzare a quella domanda.
«lei è... lei è Ladybug, la mia partner nella lotta ai super cattivi e alla difesa di Parigi ed è anche la mia compagna di scuola...» spiegò, ma c'era molto di più, qualcosa che le parole non riuscivano a dire e che temevano di rendere reale, eppure quando pensava a lei si sentiva sciogliere, le gambe tremavano, sentiva le gote andare a fuoco e il cuore battere all'impazzata: «lei è... è incredibile e fantastica, è così coraggiosa e intelligente...» cominciò a decantarla, trasognante, per poi tornare con i piedi per terra: «e Parigi ha bisogno di lei! »

«è la tua fidanzata? » cercò di essere più preciso.

«no! » esclamò, rosso in viso, il biondino: «no! no! noi... noi siamo amici! Buoni, ottimi amici! » si sbrigò a rispondere, mordendosi la lingua da solo per la valanga di bugie che stava raccontando al maestro e a se stesso.
«beh allora puoi stare tranquillo» tagliò corto Fu, facendosi poi molto serio: «sai Adrien, credo che tutta questa storia sia solo una suggestione, è facile essere influenzati facilmente alla tua età»
«ma io non...»
«e che questa ragazza non fosse una supereroina» proseguì: « insomma, non era nessuno di così importante, se nessuno se la ricorda. Dai retta a un vecchio e sbrigati a dimenticartela. Dimentica questa storia e torna a vivere la tua vita» fu l'agghiacciante consiglio del maestro Fu, che lasciò a bocca aperta lo stesso Wayzz.
«dimenticarla? » sbarrò gli occhi Adrien. Come poteva dargli un consiglio del genere? Non poteva finire in quel modo, aveva rubato un tesoro prezioso a suo padre, i suoi amici gli avevano dato completa fiducia, l'avevano aiutato in quell'impresa e stavano facendo il tifo per lui. Aveva promesso a Marinette che avrebbe lottato per riportarla a casa e ora l'unica persona in grado di aiutarli gli voltava le spalle, gli consigliava di dimenticarla e perderla per sempre. Perderla. Aveva già perso sua madre e stava per dire addio anche a Marinette.

«beh certo. I miraculous sono gioielli potenti, racchiudono grandi poteri, non li sprecherò per riportare indietro una ragazzina insignificante di cui tutti si sono dimenticati in un batter d'occhio. E di certo non esaudirò il capriccio di un ragazzino con una cottarella adolescenziale che non sa nemmeno ammettere».

Furono parole veramente crudeli e taglienti che il maestro Fu calibrò molto attentamente.
Wayzz non poté credere a ciò che aveva sentito, ma non intervenne, rimase semplicemente immobile a osservare Adrien, il suo corpo irrigidirsi, le gote rosee impallidire e gli occhi gonfiarsi di lacrime che ricacciò indietro quando allo sgomento subentrò un sentimento ancora più forte : la rabbia. I muscoli delle sue braccia si tesero stringendo forte le mani a pugno e la mascella si contrasse quasi in un ringhio. Era sul punto di esplodere e l'atteggiamento distaccato del suo maestro che lo invitava ad andarsene, gli diede il colpo di grazia facendolo scattare in piedi.

«non deve osare! » tuonò verso l'anziano: «Lei non è insignificante! Marinette è importante! È importante per me! Perché IO LA AMO! Non ha importanza che lei sia Ladybug o solo Marinette, io la amo per la ragazza fantastica e meravigliosa che è e non mi arrenderò finché non potrò dirglielo in faccia e stringerla tra le mie braccia! Non la dimenticherò mai e non l'abbandonerò, ha capito?! Quindi se esiste un modo per salvarla, me lo dica!» urlò a squarciagola al vecchio.

«molto bene» sorrise compiaciuto Fu, dirigendosi poi verso il giradischi intarsiato con antichi disegni cinesi a cui aprì uno sportellino che nascondeva un tastierino su cui compose la giusta combinazione sbloccando il meccanismo e il coperchio si aprì svelando un cofanetto da cui prese qualcosa che Adrien non vide. Era ancora senza fiato per quella dichiarazione spontanea, piena di rabbia, amore e disperazione, urlata tutta d'un respiro. Quando Fu si voltò verso di lui, aveva in mano due scatoline di forma esagonale, molto familiari ad Adrien che ne rimase stupito.

«dovevo esserne sicuro, prima di affidarteli» sorrise il vecchio guardiano.
«io non capisco» mormorò Adrien prendendo tra le mani le scatoline, guardandole stupefatto.
«pensa ai luoghi in cui lei ti è apparsa, alle situazioni» lo fece ragionare un momento, dandogli immediatamente la soluzione: «erano tutti luoghi di confine. Marinette, sta vivendo in mondo vacuo, parallelo al nostro e separata da un velo sottile» spiegò:« un velo sottile che si solleva solo in luoghi di confine» proseguì, portando particolare attenzione a quel concetto:« quei posti diventano come una specie di realtà tra due realtà, alcuni più insignificanti come porte e finestre, altri più forti, come l'ora del tramonto e ancora più importante, la mezzanotte: uno dei confini più grandi che esista. Nell'ora tra due giorni, il mondo vive a una specie di confine. La notte in cui l'hai vista sotto forma di fantasma, c'era il novilunio. Il confine tra la fine di un ciclo lunare e l'inizio di uno nuovo. Un confine abbastanza potente da avvicinarvi quel tanto che bastasse perché poteste vedervi e sentirvi »
«continuo a non capire» mormorò Adrien: «come mi aiuterà a riportarla indietro? Una volta scattata la mezzanotte lei appare per pochi minuti e poi scompare di nuovo. E perché sono l'unico a ricordarla?»
«perché nel momento in cui è scomparsa, voi eravate a un punto di confine. Anche i sentimenti mutevoli segnano un confine, anzi, il cambiamento di un cuore che batte è forse il confine più grande di tutti. Allora non eravate certi di ciò che provavate l'uno per l'altra, eravate incerti e confusi e questo vi ha aiutato a restare uniti e ricordarvi l'uno dell'altra, ma ora... beh come hai dichiarato tu stesso, non c'è più incertezza nel tuo cuore e temo neanche nel suo» sospirò.
«cosa significa? » si preoccupò Adrien.
«significa che se lei non tornerà entro l'ultimo confine di questo giorno, tu la dimenticherai e senza i tuoi ricordi a tenerla in vita, lei svanirà per sempre» gli comunicò senza troppe riserve.

«come posso impedirlo? » si allarmò immediatamente Adrien.

«dovete trovarvi in un luogo di confine ancora più potente della mezzanotte, un luogo che ha significato molto per voi, dove qualcosa è cambiato e lì varcare la soglia più grande che ci possa essere tra due innamorati» spiegò: « fate molta attenzione e scegliete il luogo più importante in assoluto, perché avrete un solo tentativo. Una volta varcato il confine, non potrete più tornare indietro e se la linea che vi separa non sarà abbastanza potente, lei sarà persa»

«come saprò quale è il confine giusto? » si preoccupò.
«questo solo il tuo cuore lo può sapere»

Adrien ci pensò a lungo, scavando nella sua mente alla ricerca del luogo più importante in assoluto, un luogo dove tutto era cambiato, dove tutto aveva avuto inizio.

«il Pont Royal! » esclamò:«è lì che abbiamo scoperto le nostre identità ed è lì che è cambiato tutto! Io ho scoperto chi c'era dietro la maschera della ragazza di cui ero innamorato e lei ha scoperto che il ragazzo di cui era innamorata ero io, cioè Chat Noir...» spiegò, convinto della sua scelta: «e lei ora è lì che mi sta aspettando»

«beh suppongo che sia un buon confine» ragionò Fu.
«non so come ringraziarla Maestro Fu» sorrise Adrien chinando il capo in segno di rispetto, finalmente in pace con se stesso e sicuro del da farsi, pronto a raggiungere la sua Marinette per dichiararle il suo amore.
«ora che sai, rischierai di dimenticarla molto più velocemente, fai attenzione» lo mise in guardia.
«non posso dimenticarla, una parte di lei è sempre con me» sorrise mostrandogli il bracciale.

Stava per uscire di corsa, quando un'ultima domanda gli sorse spontanea: «se Parigi è devastata da questa misteriosa entità, perché non ha cercato dei nuovi portatori di miraculous a cui dare i poteri? »
«forse perché non ho trovato nessuno di adatto. Infondo, viviamo questa realtà solo da pochi giorni e anche se è difficile da ammettere, tutte le persone cancellate dall'akuma hanno creato delle incongruenze nella vita di chi li circonda. Ladybug, probabilmente è l'incongruenza più grossa, visti i suoi poteri» fu l'esauriente risposta del vecchio Fu: «ora vai e riporta a casa la tua ragazza».

Pensare a lei come alla sua ragazza lo fece arrossire, ma in fondo aveva ragione e con un caldo sorriso sulle labbra lasciò chiudere la porta alle sue spalle correndo verso il Pont Royal.

***

Marinette era ancora distesa sul divano del soggiorno di casa sua, priva di forze e demoralizzata, aveva passato il pomeriggio a contemplare i graffiti sul muro, soffermandosi più volte sul volto del ragazzo a cui aveva detto addio quella notte, ormai sapeva la verità, aveva scoperto ciò che c'era nel suo cuore e tra non molto l'avrebbe dimenticato.

Nell'ultima ora non aveva fatto altro che chiamare e richiamare il numero di Adrien solo per sentire la sua voce nella segreteria, ricordando i momenti passati insieme e quelli persi. Era una voce così dolce e calma che le fece quasi dimenticare dove si trovava, mentre un dolce calore le scaldava il petto.
Ascoltava ancora la sua voce, quando la vibrazione per un messaggio ricevuto la fece sussultare staccandosi il telefono dall'orecchio. Era un messaggio sulla segreteria. La cosa ebbe dell'incredibile, credeva che il suo cellulare fosse fuori uso quando si trovava in quel mondo.
Era un messaggio di Adrien, doveva averla cercata dopo aver sentito la sua casella vocale e, seppur timorosa di sapere la sua risposta, l'idea di ascoltare ancora la sua voce, di sentirgli dire qualcosa di diverso da quelle poche parole del messaggio della sua segreteria, la spinse ad ascoltare ciò che voleva dirle.
Aveva appena iniziato a parlare quando avvicinò l'apparecchio all'orecchio, non poté tenerlo così vicino perché dopo le prime parole, il tono del ragazzo si fece più forte spaventandola. Urlò a lungo, sgridandola per il suo modo avventato di dirgli addio, per essere sparita in quel modo.

«... e ti riporterò indietro, preparati perché avremo molte cose da dirci! Ti aspetterò sul Pont Royal e lì mi dirai la verità, perché avrò trovato il modo di farti tornare , tu mi dirai ciò che credevi di poter liquidare con uno stupido messaggio in segreteria e poi mi starai a sentire, perché non sei l'unica che ha cose importanti da dire! Ti aspetterò lì, perché...»

Mise in pausa il messaggio per un momento per guardare l'ora in cui gliel'aveva mandato. Era orario di scuola, ma probabilmente una volta uscito era andato lì. Il sole era già tramontato e Adrien doveva essere da ore ad attenderla, se mai fosse stato ancora lì.
Il seguito del messaggio l'avrebbe ascoltato dopo, balzò giù dal divano riponendo il telefono in borsa e si fiondò fuori di casa correndo a più non posso verso il Pont Royal, sperando con tutta se stessa che lui fosse ancora lì e che davvero avesse trovato il modo di salvarla, magari grazie al Maestro Fu a cui sperava vivamente avesse consegnato il libro.

Come pensava Marinette, Adrien la attese per ore sul ponte, girandolo in lungo e in largo, sperando di vederla o sentirla, chiamando il suo nome, ma senza risultati. Aveva il timore che il messaggio non le fosse arrivato, ma non importava, l'avrebbe attesa per tutto il tempo necessario.
Il sole era tramontato già da un po' e la sottile falce di luna cominciava a illuminare poco a poco la città; fissava l'orizzonte e le luci riflesse nell'acqua increspata, senza mai smettere di pensare a lei. Aveva fatto tesoro della spiegazione del Maestro Fu ed era più che certo che più importante di quel luogo non ce ne fossero; lì era cambiato tutto, era stato il varco verso un nuovo capitolo della loro vita e avrebbe avuto inizio sotto quel cielo e sopra quelle acque che gli avevano fatto dono del regalo più bello: il suo viso.
Ricordò la sera in cui lui e Ladybug caddero da quel ponte e lei si ritrasformò sotto ai suoi occhi, debole e febbricitante e terrorizzata all'idea di avergli svelato la sua identità. Pensò ai sentimento contrastanti che provò in quel momento e che vennero soffocati prima dalla sua de-trasformazione e poi dall'urgenza di portare la ragazza al sicuro, impedendogli di reagire, come il suo istinto gli diceva di fare.
Seguendo i suoi ricordi, Adrien scese dal ponte per raggiungere la riva della Senna da cui erano usciti dall'acqua.

«la prima cosa che ho pensato quando l'ho vista trasformarsi sotto i miei occhi è stata: è lei, è meraviglioso » mormorò, divertito da quel pensiero che non era mai riuscito a rivelare a nessuno e che in quel momento dichiarava apertamente alle acque del fiume che avrebbero ascoltato le sue parole in una rapida corsa lungo la città, mantenendo un segreto che non vedeva l'ora di rivelarle.

***

Marinette era finalmente arrivata al Pont Royal, deserto e silenzioso, anche le acque della Senna erano immobili. Adrien non c'era, non sentiva la sua voce e non c'era nessun calore che le raccontava la sua vicinanza.
Aveva corso a perdifiato per arrivare lì il prima possibile, era esausta. Più i giorni passavano e più le forze le venivano a mancare, esattamente come la memoria. Dovette appoggiarsi al parapetto e riprendersi un momento
«se solo Tikki fosse qui...» mormorò: «lei saprebbe aiutarmi».

Non era neanche sicura che Adrien fosse ancora lì, erano passate ore intere da quando aveva registrato la nota vocale e ormai la notte era calata su Parigi.

«dove sei... Adrien! »

Lo chiamò più volte girando il ponte in lungo e in largo, forse dovevano solo trovarsi nello stesso punto per comunicare e se lui era lì, lei l'avrebbe trovato.
Camminò avanti e indietro per un'ora, finché non si arrese e si sedette a terra, non era nemmeno certa che fosse ancora lì, probabilmente era tornato a casa o l'aveva dimenticata.

Forse sarebbe dovuta andare a cercarlo lì.

C'erano troppi se e troppi ma che affollavano la sua mente, non aveva la più pallida idea di cosa fare.

Arrendersi, però, non era un'alternativa. Quante volte in quei giorni lui l'aveva sgridata per il suo scetticismo?

Marinette non si sentiva pessimista, realista piuttosto e così travolta dalle emozioni da essere incapace di ragionare a mente lucida. Scoprire l'identità di Chat Noir era stato sconvolgente per lei e le ci era voluto del tempo per rendersi conto di amarlo ancora nella sua completezza.

Quel mondo, poi, così lugubre e silenzioso, le toglieva tutte le forze per lottare e probabilmente se non fosse stato per lui che l'aveva spronata, si sarebbe lasciata andare già da molto tempo. Il messaggio in segreteria che le aveva lasciato era stato di forte impatto per lei, ancora non aveva finito di ascoltarlo, ma le era bastata quella prima parte per capire quanto fosse importante per lei e quanta forza le desse ogni volta.

Non si sarebbe arresa, avrebbe lottato per lui.

Decisa, balzò in piedi ricominciando a chiamarlo a gran voce, ma nell'esatto momento in cui pronunciò il suo nome, nel tentativo di chiamarlo, si accorse di un dettagli spaventoso: non ricordava più il suo viso, non sapeva più come fosse fatto Adrien, che forma avesse, il colore degli occhi, dei capelli.

«come puoi dire di amare qualcuno di cui non ricordi nemmeno il volto» la schernì una voce cupa e incredibilmente familiare alle sue spalle. «sei così falsa e patetica Marinette»

Se la situazione in cui si trovava non era abbastanza assurda, ci pensò quella Ladybug appoggiata al parapetto a complicarla.
Una nuova akuma? Possibile? Una falsa Ladybug, per cosa? Non aveva più il miraculous, cosa poteva volere da lei?

«smetti di mentire a te stessa e di la verità, ammetti che in realtà tu non lo ami! » disse avanzando verso di lei con fare minaccioso, puntandole l'indice contro.

«ma che... che stai dicendo? Chi sei? »

«ti meriti di trovarti in questo posto, da sola e di sparire per sempre! » la accusò avanzando a ogni passo che Marinette faceva all'indietro: «sei una bugiarda e falsa! Stai solo prendendo in giro lui e te stessa, tu non lo ami davvero. Ami il ragazzo delle copertine, quello che credi lui sia realmente» la continuò ad accusare. «meno male che lui sa chi sei e ti ha già dimenticata! »

«mi ha dimenticata? » reagì finalmente, incredula di fronte a quella verità.

Era possibile, perché farlo subito dopo averle detto quelle cose.

«immediatamente! Anzi è stato felice di togliersi il peso di dover salvare una ragazza patetica come te » continuò Ladybug avanzando finché Marinette non cadde e solo allora le afferrò il polso e strattonando il bracciale di Adrien.
«no! quello è mio! »

«no, non lo meriti! Adrien troverà di meglio di una maldestra e incapace come te! Dimenticatelo e sprofonda nell'oblio! » gridò strappandoglielo dal braccio, lasciando che le perline schizzassero per tutta la strada.
 

«no! »

Come aveva potuto fare a pezzi un oggetto così prezioso e lei come aveva potuto lasciarglielo fare?
«perché? » volle sapere.

«perché non lo meriti Marinette! Sei una codarda, egoista e viziata! Arrenditi all'evidenza e lasciati andare, non tornerai mai più da Adrien, nulla sarà più come prima. Il mondo intero si è dimenticato di te» disse la ragazza mascherata: «lui non potrà mai amare una persona insignificante come te e diciamocelo, nemmeno tu lo ami, non l'hai mai amato davvero o non saresti qui. Allora perché lottare? In fondo, Adrien non è perfetto, l'hai visto anche tu, è così... falso?» le domandò in maniera molto retorica: «sì, direi che è il ragazzo più falso che tu conosca, ha mentito a tutti su chi fosse davvero. È... insopportabile? Ovvio, infatti non ti sei mai innamorata del suo vero io, è presuntuoso e diciamocelo, non è poi questa gran bellezza. Togli il fascino della fama e non è poi nulla di speciale».

Stava passando il limite, non solo l'aveva schernita, distrutto il suo tesoro più prezioso e messo in dubbio i suoi sentimenti, stava infangando il nome di Adrien inventandosi un sacco di bugie.

Non poteva più sopportarla, sentì le forze tornarle e scattò in piedi.
«taci! Non so chi tu sia e non mi interessa, ma non ti permetterò di parlar male di Adrien, né di mettere in discussione i miei sentimenti! Adrien è il ragazzo più incredibile che io abbia mai incontrato! Mi è sempre stato accanto e mi ha dato coraggio ed è proprio per la sua forza e la sua gentilezza che io lo amo! Lo amo sia che porti una camicia bianca, sia che indossi una maschera nera! Adrien è Chat Noir e Chat Noir è Adrien e io LO-A-MO! » gridò a squarcia gola alla sua sosia in maschera che non appena le sentì morire la voce in gola sorrise avvicinandosi a lei e prendendole la mano.

«esatto, cerca di non dimenticarlo» ammiccò Ladybug prima di lanciare il suo yo-yo e svanire nella notte, lasciando Marinette interdetta e sorpresa quando scoprì che il suo bracciale non era andato distrutto, ma che era ancora legato al suo polso. Doveva smetterla di darsi per vinta e continuare a lottare per lui, per loro.

Ancora una volta il silenzio tombale di quel luogo aveva portato la sua mente a giocarle brutti scherzi, ma almeno le era servito per fare maggiore chiarezza in se stessa.
Era pronta a tornare all'attacco, quando una voce proveniente da sotto il ponte attirò la sua attenzione.
 

Adrien era lì, seduto a terra ormai da ore, aveva iniziato a lanciare ghiaia nell'acqua fingendo di parlare con Plagg: «...non è la prima volta che la aspetto così a lungo, ma lei arriva. Ladybug arriva sempre e questa sarà la volta in cui glielo dirò. Non esiterò, non mi nasconderò dietro scuse e non mi farò sviare. Non la perderò ancora. Glielo dirò ad ogni costo e...» si decise, caricandosi e preparandosi ad aprirle il suo cuore.
«dirmi che cosa? »lo interruppe una voce femminile proveniente dal ponte.
Comodamente appoggiata al parapetto, Marinette si godette la teatralità di Adrien, le sue parole e i suoi gesti, finché non lo sentì cominciare un discorso che avrebbe voluto le dicesse a quattr'occhi e allora gli fece notare la sua presenza.

«sei qui... sei arrivata». Gli sembrò di morire quando la vide. Le labbra rosse piegate in un dolce sorriso, le gote rosate che risaltavano quelle adorabili lentiggini, i capelli neri che contrastavano con quegli occhi azzurri, lucidi e piedi di gioia.

«scusa il ritardo» disse sporgendosi dal parapetto osservando il suo sguardo colmo di gioia e commozione. Nel momento in cui sollevò lo sguardo vide la paura svanire completamente illuminando quei cristalli verdi di una felicità che non gli aveva mai visto negli occhi. Un attimo dopo Adrien correva su per le scale risalendo sul Pont Royal dove le andò incontro per abbracciarla, stringerla forte e non farsela più scappare.


 

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Finalmente una spiegazione esaustiva di quello che è successo! Yeey!
Contenti? 
Capito cos'è successo e dove è finita Marinette?
(spero di essere stata abbastanza esaustiva, in caso contrario chiedetemi e sarò felice di spiegarmi meglio :) )

Siamo al capitolo 8!

Vi informo che mancano 3 capitoli all'epilogo di tutto e vi consiglio vivamente di fare scorta di fazzoletti per il prossimo capitolo, perchè ci sarà da piangere!

Piaciuto il capitolo? 
Io mi sono divertita tantissimo a scriverlo, specialmente la parte di Adrien che grida contro il maestro Fu, me lo immaginata troppo come quando in Jackady (Simon dice) manda a cagare suo padre. Mentre lo scrivevo ero tutta carica e dicevo "vai Adrien! Spacca" XD 
Sì, ho dato di matto mentre scrivevo quella parte XD

Ditelo, volevate entrare nella storia e uccidere Adrien quando ha chiamato ANCORA  Marinette """"""amica""""""

Forza! non demordiamo che forse i nostri tontoloni preferiti riusciranno anche a dichiararsi tra di loro XD

Per chi avesse dubbi, la Ladybug del ponte non era altro che il subconscio di Marinette che le diceva: " Oh ciccia, sveglia! Datti da fare! "



Mi prendo un attimo per ringraziarvi tutti, quando pubblicai i primi capitoli ebbi l'impressione che questa storie non fosse molto apprezzata, in fondo è la mia prima fan fiction su miraculous, sarebbe stato del tutto normale, ma vedere come la state prendendo a cuore, le recensioni che mi avete lasciato mi ha resa molto felice e per questo ci tengo a ringraziarvi davvero.

Se avete voglia di vedere qualche fanart su questa fanfiction o su miraculous in generale, vi spammo la mia pagina instagram vegaria95, chiaramente se non volete spoiler dovrete aspettare la fine della storia XD
Inoltre, vi informo che ho iscritto "Ho cercato il tuo nome" ai wattys2018 su wattpad e... se avete un account e vi va, potete passare a lasciare qualche commento o stellina anche lì.

Detto questo vi saluto e vi mando un bacione

Al prossimo capitolo!

 

Ps: i fazzoletti mi raccomando! ;)

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Capitolo 10
*** L'ultimo rintocco ***


Allora... siccome ho notato lo stato emotivo di qualcuno di voi e immagino l'effetto che vi farà questo capitolo... vi ho procurato qualche scorta di fazzoletti XD
Avviso i deboli di cuore: avrete a che fare con un'ansia continua, quindi... prendetevi tutto il tempo e la calma possibile XD

 prendetevi tutto il tempo e la calma possibile XD

 

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Capitolo 9
L'ultimo rintocco

Come era già accaduto in passato, quel dolce tentativo di abbracciarla, si tramutò in una rovinosa caduta che gli fece passare da parte a parte il corpo evanescente di Marinette e rotolare a terra.

«stai... bene? » si preoccupò Marinette.

Fisicamente stava bene, ma nei suoi occhi si era riacceso il terrore di non riuscire a salvare la ragazza che lo osservava con lo stesso sguardo spaventato.
Convinto di dover mettere la parola fine a quella storia, si accostò al parapetto del ponte guardando Marinette dritta negli occhi.

«hai ascoltato il mio messaggio? » volle sapere prima di tutto Adrien.
«non tutto. Quando l'ho trovato era già tardi e... e temevo che fossi già andato via» disse con rammarico, ricordando perfettamente la notte in cui l'aspettò e lei non si presentò, non come Ladybug almeno e fu la stessa notte a cui pensò Adrien, solo che lo fece con un sorriso divertito sulle labbra.
«ti ho aspettata una notte intera, cosa vuoi che sia qualche ora».

Ancora una volta quel ragazzo le ricordò il perché lo amava così tanto e di quanto fosse straordinario; la sua risata non potè fare altro che farla sorridere , pronta ad ascoltarlo molto attentamente.

«sono stato dal Maestro Fu, come mi hai chiesto e gli ho portato il libro» le riferì, andando poi a parlare di cose serie.
«mi dispiace, non deve essere stato facile, ma era importante» sospirò Marinette appoggiandosi con i gomiti alla pietra, proprio come lui, ma incapace di sostenere il suo sguardo, imbarazzata e spaventata.
«è vero e senza i nostri amici non ce l'avrei mai fatto. Anche se non si ricordano di te, oggi hanno dimostrato di volerti bene e hanno messo a punto un piano per salvarti» le raccontò, parlandole di come Chloé e Alya avessero stretto un'alleanza e coinvolto molti dei loro compagni di classe al solo scopo di aiutarlo a recuperare il libro, per poi arrivare a parlare del guardiano dei Miraculous: «gli ho spiegato cosa sta succedendo » proseguì iniziando a spiegare per filo e per segno tutto quello che era accaduto in quel pomeriggio, rendendo conscia anche Marinette della delicata situazione in cui si trovavano.
«quindi l'unico motivo per cui possiamo vederci e parlarci in questo momento, è... è perché questo ponte è...» mormorò stringendosi le braccia al petto, ancora sconvolta dal ricordo di quel giorno.
«esatto, perché è qui che abbiamo scoperto chi siamo davvero» le ricordò, notando l'ombra che calò sul suo sguardo al ricordo di quella sera.
«lo so. Qui le cose sono cambiate... credi che possa essere un luogo di confine abbastanza forte per noi? E che riesca riportarmi indietro? »
«per te non è importante il luogo in cui abbiamo scoperto chi siamo davvero? » si preoccupò, timoroso di aver sbagliato tutto, specialmente quando la vide esitare. «Marinette? »
«s-sì, lo è, ma... non lo so. Qui le cose sono cambiate, è vero, ma ...».

La verità era che anche se aveva capito di amare entrambi i lati di Adrien, quel posto le trasmetteva solo sentimenti negativi che non la facevano sentire a suo agio con se stessa, eppure lui era così entusiasta. A differenza sua, il biondino dagli occhi verdi era stato felice di vedere il vero volto della sua amata, era terrorizzata all'idea di dirglielo, di dargli quella delusione.

Quando sentì il pizzicore della trasformazione che si annullava, il suo primo pensiero andò all'immensa delusione che avrebbe avuto il compagno scoprendo che dietro l'eroica Ladybug si nascondeva solo Marinette, ma non poteva dirglielo.

«ok... cosa... cosa dobbiamo fare? » gli domandò, sforzandosi di cacciare il pessimismo, dandogli piena fiducia.
«superare il limite» mormorò Adrien facendosi molto serio e voltandosi completamente verso di lei posando le mani ai lati del suo viso muovendo il pollice su e giù come se potesse accarezzarle davvero la guancia.
Il cuore di Marinette iniziò a battere più forte, mentre una vampata di calore le colorò le guance, immaginò di sentire il tepore delle sue mani sulla pelle e quasi si sciolse sotto il suo sguardo lasciandosi trasportare dai rumori della città.

«Marinette, sei piombata nella sua mia vita cadendo letteralmente dal cielo» sorrise: «eri così maldestra e insicura all'inizio e poi hai tirato fuori quella grinta e quella forza che mi hanno fatto innamorare della ragazza con la maschera, rendendomi così cieco da non vedere che eri tu, sei sempre stata tu, per tutto il tempo» disse.
«Adrien, cosa...». Non capiva, perché le diceva quelle cose in quel momento, dovevano risolvere il problema causato dall'akuma, non raccontarsi la storia del loro incontro, per quanto romantico potesse essere. Non sapeva che era proprio ciò che Adrien stava facendo, non sapeva che quello era 'superare il limite', era un dettaglio che le aveva taciuto. Marinette era sempre stata una ragazza molto timida, specialmente per quanto riguardava le sue emozioni e costringerla a rivelarle in quel modo avrebbe reso nullo il loro tentativo, lui lo sapeva bene.

C'era, però , un altro modo per ascoltare il suo cuore ed era aprirgli il suo.

«ho conosciuto i due lati di te, la timida studentessa, dolce e generosa e l'incredibile eroina che salva Parigi ogni giorno. Sei stata mia amica, mia complice, la mia partner nella lotta e proprio su questo ponte, dove tutto ha avuto inizio, ti riporterò a casa. Te l'ho promesso e io mantengo sempre le mie promesse. Non mi sono mai arreso e ora che sei qui, nel luogo dove è iniziato tutto e io so...io sono certo ...»

Si bloccò. Era difficile, aveva così tante cose da dire, tutte riducibili a poche parole che aveva urlato di fronte al Maestro Fu, ma che in quel momento stentavano a uscire dalle sue labbra. La guardava e il suo unico desiderio era quello di urlarle quanto l'amasse, ma nel momento in cui ci provò si paralizzò.
Provò e riprovò ad arrivare al punto, ritrovandosi a ripartire da capo, finché Marinette non lo fermò. Ormai aveva capito cosa cercava di fare, ma era anche evidente che ancora non era pronto a dirlo.

«va bene così» sorrise sollevando le mani per posarle sulle sue, sforzandosi di immaginare le loro dita in contatto. «Adrien, quando ci siamo conosciuti mi hai fatto una pessima impressione, credevo fossi come Chloé, ma mi sbagliavo e da quando ti conosco non hai fatto altro che dimostrarmelo. Sei fantastico e... e mi dispiace di essere stata così cieca da non capire che Chat Noir eri tu, ma ora lo so e...»

Senza esitare o pensarci, Adrien la interruppe togliendole le mani dal viso e afferrandole il braccio, stringendolo saldamente, perfettamente cosciente di poterla toccare, tirandola verso di sé e cingendole la vita con l'altro, mentre le sfiorava la nuca con la mano sollevandole il viso avvicinandolo al suo, pronto a varcare quel limite che l'avrebbe riportata da lui per sempre.
Marinette non emise un fiato, mentre veniva fatta tacere da quello strattone ritrovandosi tra le sue braccia, solleticata in viso dal fiato caldo di Adrien che stava per baciarla, senza mai smettere di guardarla negli occhi.
Le aveva appena sfiorato il labbro superiore, quando, in un batter di ciglia, cadde in avanti trovando a fermarlo solo il parapetto del ponte.

«no...no! »

Era svanita di nuovo e quella volta tra le sue braccia, mentre stava per mostrarle quanto l'amava. Mancava solo un'ora alla mezzanotte e quella era la sua unica possibilità di salvarla. Aveva fallito, qualsiasi cosa di sbagliato avesse fatto, lei era perduta.

Non le aveva nemmeno detto che l'amava, era stato troppo codardo per farlo. Le aveva detto tante belle parole, ma non quelle giuste e ora che era finita e non l'avrebbe rivista mai più, non avrebbe più potuto farlo. Come un pugno nello stomaco, il dolore si propagò in ogni parte del suo corpo contraendo il viso in una smorfia, mentre la consapevolezza di aver fallito cominciò a consumarlo lentamente.

«No! no! Marinette! ». Urlò, battè i pugni sul parapetto, attirò l'attenzione e qualcuno si fermò persino per accertarsi che stesse bene, ma non gli importava. Aveva fatto tutto quello per lei e non era bastato.

***

Senza più nessuno a sostenerla, Marinette barcollò all'indietro trovando solo la balaustra del ponte a fermarla. Adrien era scomparso, o meglio lei era scomparsa sotto i suoi occhi ripiombando in quel mondo freddo e silenzioso.
Era colpa sua, solo sua e del suo scetticismo, se avesse creduto un po' più in lui, gli avesse dato retta, forse le cose si sarebbero risolte.
Come al solito aveva ascoltato solo se stessa e aveva mandato all'aria il tentativo di Adrien di salvarla.

«mi dispiace...» mormorò con il cuore a pezzi, lasciandosi cadere a terra, rannicchiata sul marciapiede di pietra, nascondendo la testa tra le braccia.

Se il Maestro Fu aveva ragione, le restava ancora un'ora, poi sarebbe svanita per sempre; probabilmente Adrien l'aveva già dimenticata.

Adrien. Ogni volta che pensava a lui, un dolce calore le scaldava il petto e colorava le gote. 
Sorrise un momento sollevando la testa per osservare il cielo grigio sopra di lei, immaginando tante piccole e luminose stelle, rimase in silenzio per molto tempo, finché non ritrovò la forza di parlare.

«non so se mi senti» mormorò: «ma volevo solo dirti che sono stata felice di conoscerti, prima come Chat Noir e poi come Adrien. Ho sempre voluto che tra noi ci fosse qualcosa in più di un'amicizia, ma anche se non è mai accaduto, i momenti che abbiamo passato insieme sono il mio tesoro più grande e ora che sto per sparire, sono l'unica cosa che mi resta di te. Mi sono innamorata di te fin dall'inizio, da quel giorno ti pioggia a scuola, in cui tu...» sospirò e chiuse gli occhi ricordandolo molto bene, sentendo ancora il picchiettare delle gocce sull'ombrello e l'odore della pioggia che aleggiava nell'aria, ma ancora di più, ricordò il tuffo al cuore che quello sguardo le aveva fatto provare nell'esatto momento in cui le porse la mano.

***

Appoggiato alla balaustra del ponte, seduto a terra con le braccia appoggiate alle ginocchia e con lo sguardo basso, Adrien tentò in ogni modo di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione, ma era difficile. 
L'aveva persa per sempre perché aveva varcato la soglia nel luogo sbagliato o nel momento sbagliato. Tratteneva l'aria per non scoppiare in singhiozzi. L'aveva tra le braccia e un attimo dopo era scomparsa. Perché quella freccia non aveva colpito lui? Perché si era messa in mezzo?

«vorrei che potessi sentirmi» sussurrò sollevando lo sguardo verso il cielo: «sei così testarda, la sei sempre stata. Non è facile ragionare con te, specialmente quando sei nervosa, ma è anche vero che sei la ragazza più geniale e meravigliosa che abbia mai conosciuto. Ho sempre cercato di conquistare Ladybug, anche dopo che mi avevi respinto, non sapevo di essere io l'ostacolo che ci divideva, altrimenti mi sarei tolto subito quella maschera. Ma forse è stato meglio così, non eravamo pronti. Marinette. Un nome, mille talenti. Sei unica, sei speciale e io sono stato troppo cieco per capire di essere innamorato di te. Dal giorno in cui io ti ho aperto il mio cuore, davanti a scuola... quel giorno di pioggia in cui mi hai fatto il regalo più bello che potessi desiderare: la tua amicizia...». Ricordò con nostalgia quel giorno di pioggia, il giorno in cui Marinette accettò la sua amicizia tradotta in quell'ombrello nero che le porse.

Qualcosa bloccò i pensieri di entrambi i ragazzi. 
Cercavano un luogo di confine, un confine importante dove tutto aveva avuto inizio. Una soglia in una soglia. Il luogo dove tutto aveva avuto davvero inizio. Dove Adrien aveva aperto il suo cuore a Marinette lottando per la sua amicizia e dove lei l'aveva lasciato entrare nella sua vita innamorandosi perdutamente di lui. Tutto era iniziato da lì, da quel giorno di pioggia all'uscita da scuola.

«LA SCUOLA! »

Gridarono all'unisono ed entrambi udirono un eco, la voce l'uno dell'altra. Sapevano cosa fare, dove andare, era il tempo che remava loro contro. Tre chilometri dividevano Pont Royal dalla scuola, non avrebbero mai fatto in tempo, mancavano solo trenta minuti a mezzanotte.

Eppure non si diedero per vinti.

C'era solo una cosa da fare: correre. Correre il più velocemente possibile prima che scoccasse la mezzanotte. Era la loro ultimissima occasione, l'ultima possibilità di ritrovarsi. Non se la sarebbero lasciata sfuggire.
Il problema era che più si avvicinava lo scadere del tempo, più avrebbero rischiato di perdere i loro ricordi.
Il ragazzo osservò per un momento i cofanetti dei miraculous, stringendo forte quello che gli apparteneva, ma non lo aprì, lo ripose in tasca con gli orecchini, pensando poi a lei.

«Marinette, Marinette. Lei si chiama Marinette, me lo ricordo! Marinette» si ripeté Adrien un momento prima di lanciarsi in quella folle corsa contro il tempo, urlando il suo nome a chiunque fosse intorno a lui e lo sentisse. Sembrava che chiamasse qualcuno che nessuno vedeva. Gridava il suo nome come un disco rotto, imboccando Rue de Rivoli e volando sull'asfalto con grandi falcate.

«Marinette! Il suo nome è Marinette! Marinette!»

***

Lo stesso fece lei, mentre prendeva a sua volta quella via, correndo il più velocemente possibile verso la scuola.

«Adrien, non me lo posso dimenticare, lui è Chat Noir! Chat Noir! Si chiama Chat Noir! Adrien è Chat Noir! Il suo nome è Adrien! » urlò lasciando riecheggiare la sua voce nelle strade deserte, lasciando scivolare un piede dopo l'altro sull'asfalto senza mai rallentare.

***

Adrien gridava il suo nome e pensava a lei, non poteva smettere di farlo, non ci riusciva. Lottava per lei, per salvarla, lei era il suo unico pensiero e avrebbe fatto qualsiasi cosa, superato ogni ostacolo per riaverla. Nulla poteva fermarlo. Le sue urla attirarono l'attenzione dei parigini, ma nessuno provò a farlo tacere o fermarlo, era come se loro sapessero o più semplicemente non fossero interessati e comunque non aveva importanza, non poteva dimenticarla.

Non ti arrendere, M'Lady sto venendo a prenderti, resisti! Non ti lascerò andare via, non perderò anche te. Io ti amo! Ti amo e non te l'ho mai detto! I suoi pensieri si mischiavano alle sue urla, tenevano viva la sua memoria, nonostante l'aria gli venisse a mancare sempre di più a ogni passo, a ogni grido. Ne abbiamo passate tante e da quando ti conosco sono cambiato, Tu mi hai cambiato, tutte quelle cose incredibili che abbiamo fatto insieme, quando tu mi eri accanto.

«ti riporterò a casa Marinette! Io ti salverò! » strillò ancora scavalcando con un balzo le barriere che limitavano la zona pedonale.
«è lei è sempre stata lei! Era Marinette! Il suo nome è Marinette! »

Ti ho amata ancora prima di sapere chi fossi davvero e ora che lo so ti amo ancora di più. Questo destino crudele non mi terrà lontano da te. Non lascerò che il mondo mi ostacoli, ci metterò anima e corpo e continuerò a lottare usando solo il mio amore per te. Anche se siamo divisi, anche se non ci dovessimo incontrare mai più, io lotterò. Non mi arrenderò, non lo accetterò mai...io ti riporterò indietro a qualsiasi costo!

Non avrebbe mai permesso a nessuna forza del male di cancellarla ancora dalla sua memoria e, facendo affidamento su questa determinazione, urlò a gran voce al cielo notturno, ancora una volta: «lei si chiama Marinette! »

La sua voce riverberò tra i palazzi. I rumori della città erano passati in secondo piano lasciando spazio solo ai suoi ansimi, al rumore della suole delle scarpe che sbattevano sull'asfalto, alle sue urla. Ignorava i clacson delle auto che inchiodavano al suo passaggio per non investirlo, non guardava dove andava, aveva in mente solo la sua meta, là dove lei lo stava aspettando.
Il suo corpo cominciava già a dare i primi segni di cedimento, sudava incessantemente, mentre i capelli si appiccicavano alla fronte. Li scostò con il dorso della mano togliendosi quelle gocce dalle ciglia che gli annebbiavano la vista. La sua corsa ebbe una brevissima interruzione che lo costrinse a fermarsi nel momento in cui un tram gli sfrecciò davanti facendolo scivolare a terra, ma balzò subito in piedi aggirandolo al suo passaggio e prendendo profonde boccate d'aria che gli mandavano a fuoco il petto scosso dagli ansimi. Non poteva fermarsi a pensare al dolore e al suo cuore che sembrava gli stesse per esplodere nel petto, doveva correre, correre, correre. Non poteva fermarsi.

«MARINETTE! »

***

C'era solo il nome del ragazzo a risuonare per la città, unito ai suoi passi e agli ansimi della sua corsa folle. Quella volta non si sarebbe arresa, avrebbe lottato fino all'ultimo momento, per lui. Gridava così tanto che la gola bruciava, le sue corde vocali andavano a fuoco e la sua voce era diventato un suono gracido e sordo, ma non per quello urlò meno.

Sono una ragazza normale e avevo una vita normale. Poi sei arrivato tu e tutto è cambiato, mi hai dato forza, mi hai aperto il tuo cuore. E io cos'ho fatto? Ti ho respinto, mi sono nascosta. Eppure ti amavo, anche quando non sapevo chi fossi davvero, ti amavo, perché eri tu. Pensava. Lo pensava e ripensava. Al perché lo amasse, cosa amava di lui, come si erano conosciuti. Non poteva dimenticarlo. Sei sempre stato al mio fianco e mi hai dato la forza per non arrendermi mai. Hai creato tu Ladybug, è grazie a te se sono diventata più forte... non mi arrenderò, te lo prometto!

«non mi arrenderò! Adrien! Te lo prometto Adrien! Non ti dimenticherò Adrien!»

Devo dirtelo, tu devi saperlo. Ora ho capito, ora lo so. Ti prego Adrien, non dimenticarmi, io sto arrivando!

Correva e urlava, mentre sentiva la saliva raccogliersi in bocca. L'affanno le aveva colorato il viso di rosso accentuando le sue lentiggini, seccandole le labbra e il sudore scivolava dalle sue tempie lungo il collo, lungo le clavicole disperdendosi nella camicetta. Con la manica si tolse il sudore dalla faccia, le lacrime e i capelli appiccicati. Non aveva più forza nelle gambe e stava barcollando, ma correva ugualmente. Non pensò minimamente di rallentare, nemmeno quando si ritrovò a dover aggirare lo spartitraffico e scivolò in curva, restò in piedi spingendosi con la mano posata a terra. Sentì l'asfalto sul ginocchio nudo, perché le calze erano ormai scese all'altezza delle caviglie.
Non aveva più fiato, il petto bruciava, come se avesse ingoiato braci ardenti, non sentiva più i piedi, ormai doloranti e vedeva a malapena dove correva, guidata solo dal suo cuore; doveva arrivare prima dello scoccare della mezzanotte o non l'avrebbe rivisto mai più. Gridava il suo nome con la voce soffocata dal respiro affannato, un nome che riecheggiava in quella Parigi deserta e spenta. Voleva rivederlo, toccarlo almeno un'ultima volta, non aveva certezze, ma solo una forte speranza, un desiderio così forte da darle la forza di correre anche con le gambe indolenzite. Doveva vederlo ancora, specchiarsi nei suoi occhi almeno un'ultima volta per dirgli quando lo amava e se mai avessero fallito di nuovo, dirgli addio nel modo giusto.

***

Adrien correva, da solo, come un bambino smarrito nella città avvolta dall'oscurità. Doveva ricordarla, non poteva scordare il suo nome proprio in quel momento. Era troppo importante per dimenticarla. Non se lo sarebbe mai perdonato. Mancava poco alla scuola. Mancava poco allo scadere del tempo.

«Marinette, aspettami. Sto arrivando! »

Raccolse le sue ultime forze e accelerò. Concentrato su quell'unico e pungente pensiero che si tramutava in parole roche, ormai quasi sibilate dopo averle urlate per un tempo interminabile, continuò a correre senza mai rallentare. Parigi era piombata in un rispettoso silenzio, nuvole nere stavano oscurando le stelle che ricoprivano la capitale francese immersa in un dolce sonno disturbato solo da quelle parole, quelle grida che servivano a imprimere a fuoco nella sua mente quel nome, un nome che mai e poi mai avrebbe dovuto dimenticare. Continuava a buttarsi in mezzo alla strada senza mai guardare, costringendo le poche vetture che circolava a inchiodare e schivarlo, mentre sfrecciava davanti a loro come un fulmine bianco. Il cuore sarebbe potuto scoppiargli nel petto da un momento all'altro e i polmoni prendere fuoco per colpa di quella folle corsa, non si spiegava come facessero le sue gambe a muoversi ancora, i muscoli bruciavano a ogni falcata e gocce di sudore rigavano il suo viso arrossato. Lei era lì, nel luogo in cui tutto aveva avuto inizio. Era la sua unica speranza di riabbracciarla, di stringerla di nuovo.

Non aveva più voce, eppure continuava a gridare il suo nome con forza.

«il suo nome...!» gridarono all'unisono nella loro folle corsa contro il tempo, pronti a urlare quel nome a cui si aggrappavano con forza per resistere all'oblio che si era impossessato di tutta la città.

Un lampo luminoso offuscò la vista di Adrien, il cui corpo si pietrificò nel momento esatto in cui la mente concepì cos'era quel suono che spezzò il suo grido.

***

Un solo ostacolo la separava da Adrien, quella scalinata che scendeva fino al Parc des Vosges, la scuola era lì, la vedeva. Scesa quella scala, avrebbe raggiunto la sua meta, ma qualcosa andò storto. Il piede scivolò sul gradino. 
Nello stesso istante in cui pensò che stava cadendo, si ritrovò già le scale davanti agli occhi. Sbatté la faccia, il suo corpo rotolò giù, senza che lei avesse il minimo controllo di quello che le stava accadendo. Avvertì il dolore spandersi in ogni centimetri del suo corpo, come se gli spigoli dei gradini la stessero infilzando. Ancora cadeva quando prese coscienza che molto probabilmente non l'avrebbe mai raggiunto e non avrebbe mai più rivisto il ragazzo di cui aveva gridato a squarciagola il nome. Il mondo girava troppo vorticosamente davanti ai suoi occhi, così forte che perse i sensi.

Il suo corpo gridava dolore e le lacrime si facevano largo tra le ciglia nere, scivolando sulla pietra fredda.

«...non sono mai andato a scuola prima, non ho mai avuto amici. Tutto questo...è una novità». Disse in un giorno di pioggia quel ragazzo.
«... senza di te quella ragazza non sarebbe viva e senza di noi non ce la faranno mai e glielo dimostreremo, fidati di me».
«sei fantastica Marinette»

C'era una voce nella sua testa, la voce di un ragazzo che le aveva scaldato il cuore decine e decine di volte, dolce e gentile e coraggioso, i capelli color limone e gli occhi di un intenso verde mela. Fredda come la pietra su cui era distesa, la verità si fece largo nella sua mente costringendola a spalancare gli occhi, mentre un'onda di vertigini la pervase. Provava male ovunque, la camicetta strappata, i capelli sciolti che le coprivano il viso ammaccato e lividi su tutto il corpo.

...chi...chi...è quel ragazzo? . Iniziò a domandarsi, mentre lentamente prendeva coscienza del suo vuoto di memoria. ...è importante. Un ragazzo che non devo dimenticare. Un ragazzo che non dovevo dimenticare...perché?

«il suo nome...qual è il suo nome?! ». Urlò avvicinandosi le ginocchia al petto, disperata, lasciandosi sopraffare dallo sconforto e dalla triste consapevolezza che non sarebbe mai arrivata a quella scuola, il suo corpo non reagiva, era paralizzata dal dolore e le ferite di quella caduta si unirono alle conseguenze di quella folle corsa.

«CHI SEI?! »

***

C'era rumore intorno a lui, un brusio continuo, suoni indistinti.

L'ultima cosa che ricordava era un fascio di luce, mentre un suono acuto gli trapanava le orecchie. Aprì gli occhi a fatica, le palpebre erano così pesanti e appiccicate tra loro che il primo tentativo fu nullo, ma al secondo il cielo notturno di Parigi si aprì sotto i suoi occhi. 
C'erano delle ombre oscure attorno a lui che lo osservavano con interesse. La testa faceva male, incredibilmente male, non sentiva nulla se non un sibilo che poco a poco svanì lasciando spazio a pensieri agghiaccianti che non riuscì a scacciare

Cosa mi è successo? Cominciò a domandarsi iniziando a riconoscere in quelle ombre delle persone e nella fastidiosa luce accanto a lui, i fari di un autobus di linea notturno. Cosa ci faccio qui? Sono qui per lei, per salvarla! Dovevo riportarla da me.... Continuò a parlare con se stesso, ancora incapace di muovere la bocca, paralizzata come il resto del suo corpo, intorpidito e dolorante. Chi è lei? Chi sei?

Era sparito, il suo nome era svanito dalla sua mente, di lei gli restavano solo quei sentimenti dolci e caldi. I contorni della parola che desiderava così tanto pronunciare si erano sfumati rendendola impronunciabile, la sua mente era paralizzata e incidere ancora il suo nome nella memoria sembrò essere diventato impossibile.

«io... non ricordo il suo nome! ». gridò, così sconvolto da quel fatto, da trovare la forza di parlare. Voleva alzarsi e continuare a lottare, ma non riusciva a muoversi, non poteva e la donna che gli stava accanto provò a tenerlo giù, a calmarlo.

Lei è importante... io devo trovarla, non la posso dimenticare. Continuò a pensare a quello che la sua mente stava cancellando, mentre il cielo di Parigi diventava una massa sfocata ai suoi occhi coperti da grosse lacrime. Le sue certezze crollarono rapidamente, come un castello di sabbia e ogni speranza venne spazzata via.

«chi sei...? » mormorò con la voce strozzata dal dolore alla testa e dalla gola secca. Un senso di solitudine fece capolino sotto quella sabbia di ricordi spazzati via, un dolore che andava ben oltre quello fisico, un vuoto che stava scavando nel suo petto distruggendo ogni speranza di ritrovare la ragazza di cui stava dimenticando ogni cosa, il nome, il viso, il perché l'amasse così tanto.

E poi accadde. Qualcosa di assolutamente incredibile e inatteso che lo fece sussultare e voltare verso il cellulare che nell'impatto era volato fuori dalla sua tasca cadendo sull'asfalto e mandando in pezzi lo schermo. Il sistema però, funzionava ancora e senza che nessuno l'avesse toccato, il messaggio in segreteria, quello che non aveva ancora ascoltato, si avviò da solo.
La sentì, la sua voce provenire da quel cellulare ormai in pezzi, la sua dolce voce che parlava a lui.

«la verità...» 

Cominciò timidamente la ragazza che la sera precedente l'aveva ingannato per svanire in silenzio, lasciandogli quel messaggio come addio.

«la verità è che sono una stupida». 
La sentiva, la voce che amava e che provò ad avvicinare, ma fermò la mano, timoroso che toccando il telefono sarebbe svanita. 

«mi sono innamorata di te in un giorno di pioggia e da allora ti ho messo su un piedistallo. La mattina eri il mio primo pensiero, non vedevo l'ora di arrivare a scuola per vederti. Ho sempre escogitato piani troppo contorti per passare del tempo con te, perché avevo troppa paura per chiederti semplicemente di uscire, balbettavo, dicevo cose stupide e concludevo i miei tentativi di parlarti in... niente. Perché ho avuto mille occasioni e le ho sprecate tutte» gli confessò. 
La sentiva parlare, faceva tesoro di ogni parola, ma sentiva anche un tremore nella sua voce, più parlava e più si spezzava. «eri il mio pensiero fisso. Ti vedevo così perfetto.... Solo ora mi rendo conto di non aver mai capito nulla, ero innamorata di un'idea, di un ragazzo che non esiste. Ora lo so, tu non sei perfetto Adrien, tu sei l'eccentrico gatto nero che mi ha resa ciò che sono, che mi ha dato coraggio. È grazie a te se non mi sono mai arresa, sei sempre stato al mio fianco, mi hai dato forza quando non ne avevo e la fiducia in me stessa. Eri con me quando sbagliavo e mi hai aiutata a rimediare e...» si fermò, la sentì prendere un respiro profondo: «è incredibile... l'ultima volta che ho provato a lasciarti un messaggio sulla segreteria ho combinato un disastro, come sempre... ed è meglio che tu non sappia altro e ora eccomi qui a sproloquiare a.... ho così tante cose da dirti e così poco tempo...». 
Le scappò un singhiozzo, mentre parlava ricordando ad Adrien le loro mille avventure insieme. La ascoltava con il respiro bloccato in gola, tremava e ancora non aveva raggiunto il punto critico. 
«sei il ragazzo più incredibile che io abbia mai conosciuto... e... oh non ci credo che sto per dirtelo in questo modo, ma....Ti amo Adrien, per tutto quello che sei, per chi sei davvero, per il ragazzo seduto nel banco di fronte al mio, per la maschera che mi ha dato la forza di diventare chi sono. Ti amo nel tuo essere, perché sei meraviglioso e io... io avrei voluto trovare il coraggio di dirtelo guardandoti negli occhi» singhiozzò, scossa dal pianto che la travolse improvvisamente:« magari balbettando un po', dicendo cose strane prima di arrivare a confessartelo...ma non ho tempo, non c'è più tempo... vorrei chiederti ancora di non dimenticarmi, ma è impossibile... sappi solo che... che ti amo Gattino»

Un silenzio agghiacciante calò su quella strada. Tutti avevano udito lo straziante e dolcissimo addio di quella ragazza e, più di tutti, Adrien ne rimase pietrificato. Respirare divenne ancora più difficile e i fremiti del suo corpo aumentarono. Stava per urlare, voleva farlo disperatamente, chiuse con forza gli occhi inondati di lacrime, pronto a farlo, ma poi qualcosa di umido e freddo bagnò il suo viso, una goccia a cui ne seguì un'altra e un'altra ancora. Un tuono annunciò l'arrivo di un temporale che cominciò a scaricarsi sulla città. Fu come se il cielo piangesse per lui e con lui. Eppure, man mano che le gocce bagnavano il suo corpo, una sensazione nuova crebbe, era come se ogni goccia contenesse un frammento della sua memoria, una memoria che gli scivolava addosso e che accese una fiamma nella sua mente.

«...lo farà, mi fido di lui» gli disse quel giorno, inconsapevole che lui fosse proprio al suo fianco.
«prometto a ognuno di voi che se qualcuno dovesse farvi del male, Ladybug e Chat Noir faranno tutto ciò che è in loro potere per aiutarvi! » disse sotto gli occhi di una Parigi estasiata dal suo coraggio, sotto i suoi occhi.
«siamo una bella squadra». «un'ottima squadra...»
«sei molto più di un complice per me, Chat Noir...»

***

«...Non so ancora come, ma riuscirò a prendere quel libro a mio padre e ti riporterò indietro, preparati perché avremo molte cose da dirci! » era la voce di quel ragazzo registrata in segreteria quella mattina. 
Il messaggio era partito da solo quando il cellulare le era uscito dalla borsa durante la sua caduta. Marinette ci aveva messo un po' a rendersi conto di chi stesse parlando e quando lo fece fu un tuffo al cuore, non ricordava il suo nome, ma la sua voce era così familiare, anche con quel tono di rabbia e preoccupazione per lei.
«ti aspetterò sul Pont Royal e lì mi dirai la verità, perché avrò trovato il modo di farti tornare , mi dirai ciò che credevi di poter liquidare con uno stupido messaggio in segreteria e poi mi starai a sentire, perché non sei l'unica che ha cose importanti da dire! Ti aspetterò lì, perché anche io ho una verità per te». 
A quella rivelazione seguì un lungo silenzio che tenne Marinette con il fiato sospeso e quando lo sentì parlare di nuovo la sua voce era tornata dolce e calma, come la ricordava: «non puoi arrenderti, Marinette io non posso perdere anche te. Prima di incontrarti io non ero nulla, ero solo il figlio di un famoso stilista, una faccia su dei cartelloni pubblicitari e poi... poi sei arrivata tu, sei caduta dal cielo come un dono. Un dono meraviglioso che mi è restato accanto e che nei momenti più duri mi ha dato forza. A volte dimentico chi sei, ma sono brevi momenti, non potrei mai dimenticarti perché tutto ciò che è successo è stato nulla in confronto a quello che potrà esserci. Mi sono innamorato di te fin dal primo momento in cui ti ho vista, il tuo coraggio e la tua forza mi hanno stregato. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, sei la mia Insettina, ma sei anche la mia Marinette e ovunque tu sia e per quanto difficile possa sembrarti, io arriverò, ti verrò a prendere. Questa volta sarò io a salvare te e non mi arrenderò finché non sarai di nuovo tra le mie braccia, perché...» si fermò. 
Gli occhi gonfi e lucidi della ragazza distesa a terra che stava ascoltando si lasciarono scappare altre due grosse lacrime, mischiandosi alle altre che le avevano già rigato il viso ammaccato e rosso, sussultò quando udì il fragore di un colpo sul metallo provenire da quel messaggio; sentì il suo respiro farsi più pesante e poi di nuovo la sua voce, più calda, ancora più amorevole. «perché ti amo». Trattenne il respiro, non emise un fiato, mentre la voce di quel ragazzo continuava a parlare, ad aprire il suo cuore incondizionatamente: « Marinette io ti amo come non ho mai amato nessuno e sinceramente spero di avere la forza di dirtelo guardandoti negli occhi, prima che tu possa ascoltare questo messaggio. Ho sempre mascherato la mia debolezza comportandomi da irresponsabile e mettendoti così tante volte nei guai che a pensarci me ne vergogno immensamente. Ho sempre voluto essere un eroe ai tuoi occhi e ora sto rischiando di perderti. Ti prego non mollare, non arrenderti...»

Il messaggio finì così, lo spazio in segreteria doveva essere finito, ma fu sufficiente a Marinette per scoppiare in un pianto sordo e disperato. Non riusciva a respirare, non poteva, non voleva. Quelle parole, quella dichiarazione, quei sentimenti... erano gli stessi che provava lei. 
Le lacrime erano diventate un fiume incontrollabile e scuotevano il suo corpo dolorante di fremiti, spasmi di quei singhiozzi che non volevano arrestarsi. 
E poi arrivò. Un'onda di calore si diffuse per tutto il suo corpo, un pensiero si era fatto strada nella sua mente, un pensiero potente che la spinse a lottare contro il dolore infondendo abbastanza forza ai suoi arti per sorreggersi e rialzarsi; all'inizio barcollò, il ginocchio cedette, ma ci riprovò e quella volta restò in piedi. Strinse forte il telefono ammaccato che tornò nella sua borsa e voltò lo sguardo verso la scuola.

Don!

Il primo rintocco della mezzanotte aveva suonato.

***

Non poteva finire così, le aveva promesso che l'avrebbe riportata indietro, pazienza se gli sfuggiva il nome della ragazza sotto alla maschera di Ladybug, l'avrebbe trovata ugualmente. 
Contrariamente a ciò che tutti i presenti gli consigliavano di fare, Adrien si fece forza sollevandosi sulle braccia per poi puntare i piedi a terra e rimettersi in piedi. Forti vertigini lo fecero barcollare e per un momento, il suo mondo si oscurò ancora, ma si riprese, si fece forza e si pulì il viso dalle lacrime e dai capelli bagnati dalla pioggia che gli si erano incollati al viso.

La scuola era lì e l'avrebbe raggiunta prima dell'ultimo rintocco della mezzanotte.

Don!

Il dolore che i loro corpi provavano era indescrivibile, ma il desiderio di ritrovarsi lo era di più e fu grazie a quei sentimenti così forti e potenti se le loro gambe si mossero abbastanza in fretta da accorciare la distanza che li separava da quell'edificio al cui ingresso tutto aveva avuto inizio.

Don!

Aveva appena suonato il sesto rintocco quando Marinette salì l'ultimo gradino ritrovandosi di fronte al grande portone del collegio François-Dupont.

Avrebbe voluto tanto chiamarlo, gridare il suo nome, ma non lo ricordava, per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare il suo nome.

Quella sicurezza che le aveva dato la forza di arrivare fin lì svanì tutto d'un tratto lasciando tornare la paura a sopraffarla. 
Paura. 
Una paura folle di fronte alla consapevolezza disarmante di non ricordare chi fosse il ragazzo di cui stava cercando incessantemente il nome. 
Crollò improvvisamente in ginocchio, come se le sue articolazioni si fossero rotte silenziosamente. L'aria le uscì a stento dalla bocca diventando un suono flebile

«chi sei? » si domandò stringendosi le braccia al petto, sopraffatta da quelle lacrime che aveva ricacciato indietro, sicura che una volta giunta alla meta tutto sarebbe andato per il meglio.

Don!

***

Quelle campane stavano segnando inesorabilmente lo scadere del tempo. Al penultimo gradino della scala che l'avrebbe condotto al portone della scuola, Adrien inciampò sul pavimento bagnato e cadde rovinosamente sul pianerottolo d'ingresso .

Come poteva sapere se lei era lì se non ricordava il suo nome? Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare il nome della ragazza che stava cercando disperatamente. Quell'impotenza, arrivato ormai così vicino alla meta, era la cosa più dolorosa di tutte, molto di più dell'incidente, del petto in fiamme o delle gambe intorpidite.

«perché? » sibilò colpendo con violenza il gradino con un pugno.

Allora lo vide, il filo rosso adornato di perline rosa e bianche legato al suo polso con la piastrina verde su cui era inciso un fiore. Lei gli aveva regalato quel portafortuna molto tempo fa. Lei. La ragazza sotto alla maschera di Ladybug. La fantastica, la meravigliosa... come poteva non ricordarsi il suo nome.

«il tuo nome... il tuo nome è...»

Don!

«il suo nome! »

***

Il flebile suono di un campanello richiamò l'attenzione di Marinette sul braccialetto annodato al suo polso, quel nastrino rosso adornato di perline azzurre e gialle e con una campanella all'estremità.

Un campanello che le riportò alla mente un suono molto familiare, quello di un sonaglio, un buffo sonaglio rotondo che lui portava al collo. Vide il suo viso, i suoi bellissimi occhi verdi fissi su di lei mentre le sorrideva.

«tu... tu sei...» mormorò all'immagine dell'eroe biondo nella sua testa. «io so chi sei...»

Don!

L'ultimo rintocco stava per suonare. La fine di tutto.

Cuori palpitanti che battevano così forte da coprire qualsiasi suono circostante, lacrime tanto grandi da oscurare la vista e un solo unico e intenso pensiero che si tramutò in un urlo disperato che andò a coprire quell'ultimo, mortale rintocco.

«MARINETTE!!!»

«ADRIEN!!! »

Il mondo intero si fermò. Si gelò attorno a loro.

Non un alito di vento, né una goccia di pioggia si mossero, mentre le porte che separavano i dei due mondi si aprirono in una folgorante luce bianca. Un luminoso strappo tra due realtà parallele, così vicine e anche così lontane.

Ansimante e terrorizzata da quello che stava succedendo, Marinette allungò la mano verso quella luce immergendovi le dita, assaporandone il piacevole tepore.

La luce era intensa e accecante, ma Adrien non distolse lo sguardo neanche per un secondo e quando vide quella mano oltrepassare la soglia, allungò il braccio e balzò in piedi afferrandola senza esitazione tirandola verso di sé per poi stringerla tra le braccia così forte da toglierle il respiro, con tanta irruenza da farla indietreggiare e perdere una scarpa fino a sbattere contro il muro della scuola.

Per quanto sorpresa di essere strattonata in quel modo, Marinette non esitò un attimo a stringersi ad Adrien aggrappandosi con forza alla sua camicia gridando e piangendo, con il viso premuto contro la sua spalla. Del tutto terrorizzata all'idea di essere stata sul punto di perderlo, esattamente come lui, incapace di trattenere i singhiozzi, affondando il viso nell'incavo del suo collo, bagnandole la camicetta con le sue lacrime.

Urlarono e piansero quanto più potevano, sfogando il terrore che li aveva pervasi per tutto il tempo e gioendo per essersi ritrovati.

«Marinette... Marinette! » la chiamò più e più volte, doveva essere sicuro che quello fosse il suo nome, che lei fosse lì e più gridava il suo nome, più la stringeva, più la certezza si faceva spazio in lui. Era terrorizzato dall'idea che qualcuno potesse strapparla ancora dalle sue braccia.

«Adrien! Sei Adrien! » rispondeva lei stringendo ancora più forte le mani sulla sua schiena.

Era tornata. Lui l'aveva salvata.
Più forte di due parole, più evidente di un bacio, per varcare la soglia che per lungo tempo li aveva tenuti separati, fu necessario dare se stessi, tutta la loro anima per riuscire in quell'impresa impossibile che aveva riportato Marinette a casa all'ultimo secondo, tra le braccia del suo Adrien.

 

 

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A chi è scappata la lacrimuccia alzi la mano!

Dai che ce l'hanno fatta!!! Festeggiamo!
Scusate se il capitolo è stato lungo, ma.... non volevo allungare le vostre e le loro sofferenze, oltre.

Questo è in ASSOLUTO il mio capitolo preferito, ci tengo tantissimo e vi confesso di aver avuto le palpitazioni mentre lo scrivevo (e io non mi emoziono tanto facilmente, sappiatelo) 
Spero che vi abbia suscitato almeno un quarto della tenerezza che ho provato e provo tutt'ora quando lo leggo.

Ora vi lascio riprendervi XD
Vi ho messo l'immagine di copertina perchè, fondamentalmente, sono una BRUTTA persona XD

A presto!

Vega

 

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Capitolo 11
*** Lei è Ladybug ***


Capitolo 10
Lei è Ladybug


Restarono così, stretti l'una all'altro sotto la pioggia battente per lungo, lunghissimo tempo continuando a sfogarsi, gridando, piangendo e anche quando le loro gambe si piegarono per la stanchezza lasciandoli scivolare a terra, non si lasciarono. Si strinsero forte, finché un senso di pace e sicurezza scaldò i loro cuori e allora, solo allora, scostarono i volti dalle spalle per guardarsi negli occhi e tacquero.
La pelle era livida, erano stravolti, gli occhi gonfi, rossi e lucidi, ma non aveva importanza. I loro sguardi dicevano molto più di mille parole e un dolce sorriso li illuminava.
Richiusero gli occhi poggiandosi fronte contro fronte, assaporando la piacevole presenza l'una dell'altro, mentre Marinette accarezzava il viso del bellissimo ragazzo che la stringeva tra le braccia e gli scompigliava i capelli bagnati in dolci carezze.
Fu un gemito di dolore di Adrien a farla scostare leggermente da lui, cercando la causa di quel dolore che lei gli aveva procurato.

«non è niente» mormorò il ragazzo tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi. Non voleva preoccuparla, ma lei insistette scostando una ciocca di capelli bagnati dalla sua fronte e scoprendo un grosso bernoccolo violaceo dall'aspetto poco rassicurante che la fece sussultare ed emettere un gemito che voleva essere una domanda a quello sfregio.
«solo un piccolo incidente» la tranquillizzò, spostando l'attenzione sui lividi di lei, sulla camicetta logora e sul viso sporco.
«una piccola caduta» si giustificò continuando a guardarlo dritto negli occhi, mentre un brivido di terrore la pervase rigonfiando quei cristalli cerulei di grosse lacrime che si sbrigò a nascondere affondando di nuovo il viso contro il suo petto, scossa da nuovi singhiozzi. Adrien provò a calmarla, a rassicurarla, ma fu difficile, non dopo tutto quello che avevano passato, il modo in cui si era comportata.
«sh,sh». Sibilò carezzandole i capelli bagnati. «è finita. Va tutto bene»

Era davvero finita.

Ormai erano abbracciati sotto la pioggia battente da parecchio e lei non era ancora svanita, non aveva avvertito nessun senso di amnesia o un silenzio agghiacciante.
Adrien l'avrebbe tenuta stretta tra le braccia per tutta la vita, sarebbe rimasto così per sempre, ma un senso di nausea e vertigini lo travolse ancora, quella posizione lo stava stancando e sentiva il bisogno di sedersi e appoggiare la schiena.

«Marinette...» la chiamò, provando ad allontanarla, ma quando lei si accorse delle sue intenzioni sussultò aggrappandosi con ancora più forza alla sua camicia. Non c'era modo di separarla da lui, non ancora almeno e con forza ricacciò indietro quel conato che lo fece rabbrividire e disgustare, sforzandosi di restare lucido mentre le mormorava parole rincuoranti all'orecchio solleticandole la pelle con il suo fiato caldo. Premendosi contro di lui, Marinette gli ricordò degli scrigni che aveva in tasca e che lo aiutarono a distoglierla dai suoi tormenti e a lui di rilassare il suo corpo malconcio.

«devo farti vedere una cosa» mormorò attirando finalmente la sua attenzione invitandola a seguirlo al riparo, sotto al cornicione dell'ingresso.

Era silenziosa, lo osservava con gli occhi spalancati seguendo ogni suo minimo movimento. Un flebile sospirò le scappò dalle labbra quando Adrien le mostrò la scatolina contenente i suoi orecchini. Moriva dalla voglia di riabbracciare la sua piccola amica, ma si trattenne ancora qualche momento, incapace di distogliere lo sguardo da lui.
La guardava, le gote rosse e quelle ciocche nere appiccicate alla fronte, proprio come quel giorno. Era come allora, un punto di confine che avevano varcato all'ultimo momento, andando oltre i loro stessi limiti, compiendo un atto di vero amore che aveva sovrastato persino le parole.

«Marinette, è vero? » volle sapere, trovando un momento di confusione nel suo sguardo che si saziò quando la sua domanda si fece più specifica: «io... io senza volerlo ho ascoltato la tua verità... è... è vero quello che hai detto? »

Ancora imbambolata, assorta nei suoi occhi, nei suoi lineamenti perfetti, nelle sue labbra che si muovevano a ritmo delle sue parole, la ragazza annuì continuando imperterrita nel suo silenzio.

«ehi, Insettina, perché sei così taciturna? » le domandò, pensando di smuoverla con qualche provocazione: «il gatto ti ha mangiato la lingua? »

Un risultato lo ottenne, la sua pessima battuta le fece sollevare un sopracciglio, ma non era abbastanza e Adrien pensò di continuare con il suo irriverente sorriso da Chat Noir.

«vorrei proprio conoscerlo e farci due chiacchiere, perché io non ho ancora avuto l'onore... dovrei forse essere geloso? »
«non è un sogno» mormorò, finalmente Marinette. «nei miei sogni non dici cose così stupide e... non chiamarmi Insettina» si ridestò finalmente fulminandolo come solo Ladybug sapeva fare.
«vorrei proprio conoscere questo Adrien dei tuoi sogni» le sorrise, felice di sentire la sua voce.

La giovane scostò lo sguardo per un istante, imbarazzata dal pensiero che le era saltato sulla punta della lingua, ma che si era vergognata troppo a dire. Non reggerebbe al tuo confronto. Aveva pensato.
Non aveva importanza se non l'aveva detto, l'imbarazzo che le aveva avvolto il viso, fu sufficiente per Adrien da cambiare la sua espressione, mostrandole un sorriso dolce e caldo guidato da un desiderio così forte da superare anche i dolori del suo corpo ammaccato che chiedeva solo di essere lasciato in pace. Con un tocco delicato le sollevò il viso tendendosi in avanti fino a sfiorarle la guancia umida con la punta del naso, mormorando il suo nome a fior di labbra, pronto a catturarle e farle sue per molto, molto tempo. Era un momento che attendevano entrambi con ansia da parecchio e in quel luogo magico, sotto quel cielo nuvoloso, la magia stava per compiersi.

La sfortuna di cui il gatto nero era il simbolo e quella innata di Marinette, dovevano essersi combinate per creare qualcosa di così potente da separare quelle labbra frementi prima che potessero sfiorarsi e quella volta la causa fu un'esplosione che li fece sussultare e tremare la terra sotto di loro.

«dovremo smetterla di provarci» borbottò Marinette osservando una nuvola di polvere levarsi in lontananza.
«cos'è stato? » domandò Adrien voltandosi molto dopo di lei, trovandosi di fronte all'ennesimo spettacolo di distruzione. «dobbiamo mettere fine una volta per tutte a questa storia e riportare tutto alla normalità» sentenziò prendendo lo scrigno contenente il suo anello. «qualunque cosa sia, la fermeremo e la sconfiggeremo. Sei con me? »

Marinette sembrava davvero spaventata, teneva lo sguardo fisso verso il luogo da cui arrivavano le urla e il boato, ma quando sentì le mani di Adrien sulle sue spalle, mentre cercava di incrociare i loro sguardi, la sua espressione cambiò. Aveva ragione, dovevano mettere la parola fine una volta per tutte. Lo sguardo determinato di Ladybug tornò a illuminarle il viso e insieme aprirono gli scrigni liberando i kwami. Non erano sicuri che si sarebbero ricordati di loro e ne ebbero la certezza quando videro le espressioni sorprese sui loro musetti, mentre guardavano prima i due ragazzi di fronte a loro e poi si voltarono cercando una spiegazione una nello sguardo dell'altro.
I ragazzi morivano dalla voglia di salutare calorosamente i magici esserini di fronte a loro, peccato che sarebbe stato un gesto poco gradito che li costrinse a desistere.

«non abbiamo tempo di spiegarvi» disse Adrien.
«la situazione è molto grave e se non interveniamo l'intera città rischia di sprofondare» continuò Marinette porgendo la mano alla piccola kwami della coccinella: «Tikki, so che in questo momento non hai idea di chi io sia, ma fidati di me, la città ha bisogno di Ladybug. Mi aiuterai? »

In effetti Tikki era un po' perplessa, ma sapeva anche che se il Maestro Fu aveva affidato lei e Plagg a quei due ragazzi, doveva esserci un buon motivo.
Il potere persuasivo di Adrien era molto meno efficace di quello di Marinette, specialmente con quel gran pigrone di Plagg, ma sapeva anche come convincerlo.

«...se ci aiuterai avrai tutto il camembert che vorrai. Mi sembra un buon compromesso, che dici? » lo stuzzicò.
«sì, mi sembra un buon accordo, ma... perché dovremo aiutarvi? » puntualizzò il kwami della distruzione.
«voi ci date i poteri da molto tempo e insieme lottiamo contro Papillon e le sue akuma, ma l'ultima che abbiamo affrontato ha cancellato Marinette, Ladybug dalla realtà modificando la memoria di tutti. È fondamentale riportare le cose alla normalità» spiegò brevemente il ragazzo che ancora combatteva con le nausee e le vertigini e quella terribile emicrania.
«io gli credo» disse Tikki voltandosi verso l'amico.
«mmh... se dici che potrò mangiare tutto il camembert che voglio, allora va bene. Ti darò il potere» accettò anche lui alla fine.

Con il loro permesso, Marinette e Adrien indossarono i miraculous.

«Marinette, sei pronta? » le chiese il ragazzo. L'ultima volta che si erano trasformati, lei si era tirata indietro, sarebbe stato un vero problema se la stessa cosa che l'aveva paralizzata quel giorno, si fosse ripresentata, ma quella volta la ragazza ostentò un'aria molto più sicura e meno turbata.

«andiamo».

«Tikki! »
«Plagg! »

«TRASFORMAMI! »

La trasformazione si attivò, i kwami furono risucchiati all'interno dei gioielli e in un bagliore di luce i due ragazzi tornarono a indossare i panni dei supereroi parigini.
Adrien fu entusiasta di essere tornato finalmente a essere Chat Noir e ancora di più di vedere la determinazione negli occhi della compagna che aveva ormai smesso di aver paura della sua maschera.

«andiamo? »
«sì, ma prima...» la fermò Chat Noir che si lasciò scappare una piccola risata guardandola: «cos'era quel.... " AH!" » le domandò, imitando il suo movimento nel momento in cui Tikki entrò nei suoi orecchini scostandosi teatralmente una ciocca di capelli dall'orecchio.
Ladybug di certo non restò in silenzio di fronte a quella provocazione e ricambiò la sua risata posizionandogli un pugno di fronte al naso: «e tu allora? Cosa sono queste?» lo prese in giro a sua volta imitando le pose di Adrien quando richiamava Plagg per trasformarsi.
«ehi! Io sono un supereroe! E come ogni supereroe che si rispetti, devo avere la mia posa» si giustificò puntando il naso al cielo.

Allentata la tensione per l'inizio di quella nuova battaglia, tornarono seri e pronti a partire. Poco a poco aveva smesso di piovere, lasciando del temporale solo pozzanghere e nuvole nere che iniziarono a diradarsi.

«dopo di voi, M'Lady» s'inchinò Chat Noir allungando le braccia al suo fianco indicando la loro meta.
«grazie gattino» andò avanti l'eroina giocherellando un momento con il suo yo-yo per riprenderci la mano prima di lanciarlo in direzione del crollo.

Fu un piacere per Chat Noir rivedere la ragazza balzare tra i tetti di Parigi, pronta a lottare al suo fianco.
Si pietrificò quando un fischio insopportabile gli trapanò le orecchie, un dolore assordante che si unì a quella persistente nausea che non era ancora scomparsa, buttandolo a terra. Un disgustoso rigurgito acido gli risalì lungo l'esofago costringendolo a sputarlo appena invase la sua bocca.
Sospirò e ringhiò, infastidito dalla sua situazione, ma si fece forza, si rialzò e con un balzo seguì Ladybug.

All'arrivo dei due supereroi, i soccorsi erano già sul posto. L'edificio colpito era quello di Kidz+ Tv. Era notte fonda, non ci sarebbe dovuto essere nessuno, o almeno era quello che tutti credevano. Alcuni tecnici erano rimasti fino a quell'ora per terminare di montare alcuni set per i programmi del giorno seguente e furono loro le vittime del crollo. Vigili del fuoco e polizia si stavano adoperando per tirarli fuori dalle macerie e condurli in ospedale il prima possibile.

«vorrei proprio vedere questa cosa che devasta la città...» mormorò Chat Noir osservando l'ennesimo disastro e il panico diffuso per la città con sirene che strillavano a ogni dove.

I ragazzi tenevano occhi e orecchie ben aperti e pronti a captare qualsiasi rumore, pronti a intervenire e colpire la misteriosa entità. Un nuovo boato attirò la loro attenzione sulle macerie del grattacielo: un nuovo crollo, dovuto all'instabilità della struttura, minacciò gli stessi soccorritori che si videro crollare addosso alcuni detriti.
Era giunto il momento di intervenire e con le loro armi Ladybug e Chat Noir sbriciolarono i pezzi di cemento mostrandosi ai parigini che li avevano dimenticati. Scongiurato il pericolo e aiutato a portare fuori gli ultimi feriti, i supereroi si ritrovarono con gli occhi stupefatti di tutti addosso, chi si domandava se fossero una trovata pubblicitaria, chi dei ragazzini in costume, ma avevano visto tutti il loro eroico intervento e ciò bastò a rassicurare le persone radunate.
Stavano per annunciare che si sarebbero preoccupati loro della misteriosa creatura che devastava la loro città, quando un suono sordo richiamò i sensi felini di Chat Noir che strinse il bastone tra le mani e si voltò alla sua sinistra respingendo una freccia diretta proprio verso di loro.

Una malefica risata attirò l'attenzione di chiunque la ascoltò sulla cima del palazzo accanto a quello crollato.

«Oubli! » spalancò gli occhi Ladybug osservando la ragazza con la balestra in mano e già pronta a scagliare una nuova freccia.
«vedo che sei riuscita a salvarti, Ladybug» disse, come se volesse complimentarsi con lei: «buon per te, ma non ti andrà bene una seconda volta! »

Non gliel'avrebbe permesso. Con un balzo Chat Noir si alzò in aria spingendosi più in alto con il bastone riuscendo a colpirla in pieno.

«non accadrà di nuovo! » ringhiò il gatto nero restando appollaiato sul tetto, fissandola intensamente negli occhi: «Urielle arrenditi, non riuscirai a farla franca di nuovo! »
«la seconda è la volta buona» ghignò la ragazza tornando a mirare a Ladybug che nel frattempo si era spostata mettendo in salvo la gente intorno a loro. Si raccomandò con tutti perché restassero al riparo dalle frecce, ma non poté fare nulla quando Nadja e il suo cameramen arrivarono sul luogo per documentare l'arrivo di quella super cattiva.

Ben presto la notizia si propagò per tutta Parigi risvegliandola e riversando i cittadini più curiosi nelle strade in cerca dei supereroi mostrati nei filmati in diretta, mentre lottavano contro la malvagia ragazza con la spirale sull'abito che scagliava contro di loro una raffica di frecce che andavano completamente a vuoto.
Tra di loro c'era anche Alya che, disubbidendo ai suoi genitori, non resistette all'idea di filmare dal vivo i misteriosi salvatori di Parigi.
Imprudente come sempre, la curiosa studentessa, dopo aver rincorso in lungo e in largo lo scontro, si ritrovò nel suo fuoco incrociato rischiando di diventare la nuova vittima di Oubli.

Terrorizzata all'idea di perderla e dimenticarla, Ladybug legò lo yo-yo attorno al polso della sua migliore amica trascinandola via e lasciando che fosse il suo compagno a prenderla e portarla al sicuro.

«non muoverti da qui Alya» si raccomandò.
«come conosci il mio nome? » si stupì la giovane continuando a documentare ogni cosa con il suo telefono.
«beh diciamo che ci siamo già incontrati qualche volta, solo che non lo ricordi» disse tenendo lo sguardo puntato su Ladybug e Oubli. «capirai non appena avremo sconfitto questa guastafeste» disse, tornando a combattere. Si era legato al dito l'ennesimo tentativo andato vuoto di baciare la sua bella ragazza, per colpa sua e di quella misteriosa entità e non vedeva l'ora di mettere fine a quella lotta per riprovarce e per riuscire nell'impresa, doveva concentrarsi.
Mentre la lotta infuriava per le strade di Parigi, Gabriel, svegliato dal baccano, scoprì dal notiziario dell'arrivo di quella super cattiva che pareva avere a tutti gli effetti acquisito il potere da un'akuma, una di quelle di cui gli aveva parlato Adrien quel giorno.

Senza più esitare e dare retta a Nooro, abbandonò i panni del burbero stilista trasformandosi nel malvagio Papillon e nell'esatto momento in cui ebbe luogo la trasformazione, il legame con la sua vittima tornò a consolidarsi aumentando il suo potere distruttivo.

«Oubli, è un piacere rivederti» disse, guardando con i suoi occhi lo scontro che si stava consumando.

«finalmente ti sei fatto vivo, Papillon» borbottò la ragazza, prendendo in contropiede il suo padrone, non la ricordava, non sapeva quando o come l'avesse infettata con una delle sue akuma, ma colse l'occasione al balzo in ogni caso. «voglio vendicarmi di Adrien e di quella smorfiosa che l'ha fatto dimenticare di me! » sbraitò.
«prima dovrai portarmi i miraculous» mise in chiaro Papillon: «non ho intenzione di aspettare ancora! »

I patti erano chiari e Oubli non voleva rinunciare al suo potere, ecco perché si lanciò con più rabbia sulla ragazza in rosso scaraventandola a terra con un calcio e preparandosi a colpirla con una freccia.
Stordita dalla caduta, Ladybug fu salvata da Chat Noir che la deviò rispedendola al mittente.

«e ora a...»

Il capogiro quella volta fu così forte da oscurargli la vista per un momento costringendolo a inginocchiarsi a terra, premendosi la mano sulla testa dolorante.

«Chat Noir! » si spaventò la sua compagna correndo a salvarlo dalla loro nemica. «cos'hai?! »

Non riuscì a risponderle e non ne ebbe nemmeno il tempo, la cosa che da giorni devastava Parigi e che li aveva costretti a intervenire, fece sentire la sua presenza colpendo gli edifici che circondavano i ragazzi, cercando di seppellirli vivi sotto le macerie.
Il boato fu udito per diversi chilometri e ancora risuonava nelle orecchie dell'eroina in rosso mentre adagiava delicatamente il suo compagno sul divanetto di un negozio di vestiti risparmiato dai crolli premurandosi di essere ben nascosti.

«cosa ti succede? » gli chiese con più calma, spaventata a morte dal suo stato di stordimento e quella smorfia di dolore che non riusciva a scacciare dal viso.
«non...» provò a tranquillizzarla con un mormorio, sollevandosi, ma il dolore fu ancora più acuto costringendolo ad arrendersi ad esso.
« Chat Noir»
Non le rispose finché non sentì le fitte alla testa affievolirsi e allora sollevò la schiena cercando il suo sguardo sforzandosi di sorridere, malgrado la sua smorfia.
«non so se te l'ho detto, ma mentre venivo da te ho preso un autobus... cioè lui ha preso me... in pieno» ammise, cercando di usare un tono scherzoso che di scherzo aveva ben poco e che spaventò a morte la ragazza
«non farne una tragedia Insettina» tentò di calmarla, come se dopo aver sganciato una bomba del genere potesse pretendere che lei stesse calma e serena: «non è nulla di grave, solo un bernoccolo»
Sapevano entrambi che era molto più grave di come lo descriveva a parole lui e il grosso gocciolone rosso che gli scivolava dal naso ne fu la prova evidente; una domanda sorse spontanea a Marinette.
«se avevi il miraculous con te, perché hai rischiato in questo modo? Potevi usare i poteri di Chat Noir e arrivare a scuola in un attimo... adesso non saresti...»
«adesso tu non saresti qui» la interruppe guardandola dritta negli occhi, con la voce più limpida che riuscì a usare: «non potevo scegliere la strada più facile, dovevo lottare. Era una cosa che dovevo fare io con le mie sole forze, per te. Varcare la soglia del nostro legame da solo, come Adrien, come un ragazzo normale che ti ama e che non ti avrebbe mai lasciata andare» disse stringendole la mano « lotterò sempre per te, per Marinette, per Ladybug, per ciò che sei e ciò che amo. Per questo non mi importa di cosa mi è successo, se non l'avessi fatto, non avrei mai potuto dirti queste cose».

Poteva capirlo, ma allo stesso tempo un nodo alla gola la portò a coprirsi la bocca con la mano, mentre due grosse lacrime gonfiarono i suoi occhi blu per bagnarle immediatamente le guance.
Si zittì. Non credeva che sentirgli dire quelle cose l'avrebbe fatta scoppiare a piangere in quel modo nascondendo il viso con i palmi, mentre i singhiozzi scuotevano il suo corpo ammaccato dal volo dalle scale di qualche ora prima.
«ehi, che fai, piangi? » ridacchiò Chat Noir, dopo essersi ripreso dalla sorpresa, cercando di allentare la tensione, ma non fu sufficiente.
«s-stupido...» singhiozzò la ragazza: «no...non dirmi... q-queste...cos...»

Il gesto di Chat Noir le mozzò la voce in gola, mentre le spostava le mani dal viso premurandosi di asciugarle le lacrime facendo attenzione a non graffiarla con gli artigli, mentre strofinava le dita sulla pelle bagnata.

«non piangere, M'Lady. Sei più bella quando sorridi» mormorò godendosi il caldo tepore della guancia di Ladybug contro il suo palmo.

Restarono così per un po', assaporando l'una il tocco dell'altro, chiudendo gli occhi lasciandosi trasportare, ma dovettero fermarsi prima che il loro istinto avesse il sopravvento. Se avesse continuato, Ladybug avrebbe lasciato scivolare il viso contro quel palmo permettendo alle sue labbra di accarezzare il guanto nero e Chat Noir avrebbe mosso le dita lungo il suo collo sottile. Peccato che non fosse il momento e non appena si resero conto di essersi lasciati trasportare dalla situazione, si ritirarono, imbarazzati, cominciando a balbettare qualcosa di incomprensibile che sovrappose le loro voci, finché non tacquero per un momento. Trovarsi in quella situazione, con il ragazzo ferito gravemente, una pazza che cancellava dall'esistenza chiunque le capitasse a tiro e un mostro invisibile che devastava la città, ricordarono alla giovane qual era la priorità, caricandola anche di tanta rabbia. L'adrenalina che aveva in corpo cresceva cancellando la stanchezza e la spossatezza di quei giorni e con uno scattò si levò in piedi.

«metterò fine a questa storia. Non muoverti da qui» disse tenendo lo sguardo puntato su di lui, pronta ad andarsene.
«fai attenzione». Chat Noir sapeva che non l'avrebbe potuta fermare, come sapeva di non essere in grado di seguirla, l'unica cosa che potè fare fu raccomandarsi con lei perché tornasse indietro sana e salva. Non avrebbero avuto una seconda occasione e forse fu proprio questa consapevolezza che lo portò a trattenerla richiamando ancora una volta la sua attenzione.

«Marinette, so che chiedertelo è superfluo, ma...quando questa storia sarà finita, tu... vuoi essere la mia ragazza? »

Non vide imbarazzo o incertezza nel suo sguardo, non fece una piega.
Ormai con l'adrenalina in circolo, la ragazza fece un passo indietro tenendo stretta la sua mano e si chinò su di lui prendendolo del tutto alla sprovvista. Fu caldo e piacevole, ma estremamente rapido. Per un solo momento le loro labbra si toccarono in un bacio rubato a cui Chat Noir non ebbe nemmeno il tempo di rispondere.

«ehi aspetta! »

Il tempo di rendersi conto di cosa era successo e Ladybug era già sulla porta dandogli le spalle.

«te lo restituirò più tardi» disse: «comunque, la mia risposta è » aggiunse prima di sparire tra i palazzi in cerca di Oubli.

Le era costato davvero molto farlo, ma non voleva avere rimpianti, semmai avesse fallito di nuovo.
Mentre saltava da un tetto all'altro in cerca della vittima di Papillon, avvertì uno spostamento d'aria anomalo e l'istinto le disse di cambiare direzione. In quel modo riuscì a evitare il colpo dell'entità invisibile.

«finalmente sei tornata, Ladybug» l'accolse Oubli mostrandosi a lei e con la balestra ben puntata. « dammi i tuoi orecchini o sparirai di nuovo e questa volta per sempre» la minacciò.
Colpi di yo-yo e scocchi di freccia si susseguirono per le strade di Parigi, l'eroina non si sarebbe mai lasciata sopraffare, avrebbe lottato con tutte le sue forze e sconfitto anche quell'akuma.
Doveva prenderle a tutti i costi il cerchietto dalla testa, ma sembrava impossibile avvicinarsi e il nemico invisibile che faceva di tutto per contrastarla la stava mettendo in seria difficoltà.
Ancora una volta si ritrovò scaraventata a terra da quella che sembrava una coda o una qualche appendice che si muoveva in maniera cadenzata travolgendo qualunque cosa gli si parasse davanti.
I muscoli delle gambe erano dolenti, l'adrenalina stava poco a poco svanendo facendo ritornare quei dolori che si era sforzata di scacciare; i piedi, le gambe, l'addome, le spalle, la testa. Tutto faceva male, ma doveva resistere, per sé, per Adrien, per i suoi amici e per la sua famiglia. Voleva disperatamente tornare da loro, riabbracciarli e leggere l'amore per lei nei loro occhi. Rivoleva indietro i caldi abbracci del suo papà, il dolce sorriso della sua mamma e la complicità di Alya che in quel momento la osservava da lontano con aria spaesata.

«rivoglio indietro la mia vita! » gridò contro Oubli, tornando all'attacco, carica e motivata più di prima.

Balzò da un edificio all'altro disorientando la nemica che iniziò a lanciare frecce a caso, sentendosi colpire ripetutamente dallo yo-yo dell'eroina che svaniva e riappariva, attaccandola con colpi toccata e fuga che impressionarono Alya, intenta a osservare e filmare tutto con il suo cellulare.
Con un lancio ben congegnato riuscì a circondare la nemica con il filo dello yo-yo e con uno strattone la imprigionò riuscendo a farle cadere di mano l'arma che si premurò di allontanare il più possibile con un calcio.

«questa supereroina è mitica! ». Sentì gridare la sua migliore amica, entusiasta coma la prima volta che la vide in azione.

«è finita Oubli» sentenziò avvicinandosi a lei, pronta a rompere il cerchietto e catturare l'akuma.

Avrebbe dovuto aspettarselo, quella super cattiva si era fatta un amico potente e invisibile, se così si poteva definire, che accorse in suo aiuto provocando un terremoto e diversi crolli. Ladybug si scansò appena in tempo, ma quando la nuvola di polvere sollevata dalla caduta delle macerie si diradò, Oubli si era liberata dal suo cavo riappropriandosi della balestra. Provò a fuggire e schivare le frecce, ma quando inciampò e cadde la sensazione di essere in trappola s'impossessò di lei pietrificandola. Sarebbe accaduto di nuovo e quella volta Adrien non avrebbe potuto riportarla indietro. Chiuse gli occhi, pronta a riprovare quel dolore che tra poco le avrebbe perforato il petto, dando l'ultimo addio al suo amore.
Lo stridio del metallo le fece riaprire gli occhi trovandosi di fronte ad un'ombra scura posta in sua difesa, ci mise qualche secondo a mettere a fuoco la figura di Chat Noir, in posizione d'attacco a quattro zampe, le labbra contratte e sollevate a scoprire i denti, le orecchie schiacciate sulla testa, soffiando e ringhiando come un gatto selvatico contro la nemica.

«giù le mani! » ringhiò rimettendosi in piedi.
«Chat Noir...» si sorprese Ladybug a cui venne una fitta al petto nel momento in cui realizzò che era accorso in suo soccorso, non seppe dire se per la gioia di vederlo in piedi o per la preoccupazione per il suo stato.
«e così il randagio è tornato per salvare la sua fidanzatina? » sghignazzò Oubli.
«problemi? » le domandò Chat Noir raddrizzando la schiena.
«davvero credi di potermi affrontare, randagio? » lo schernì guardando la grossa goccia di sangue che gli solcò le labbra macchiando la tuta nera, prima che lui potesse pulirsi.
«ovviamente» sogghignò restituendo lo yo-yo alla ragazza che si rialzò affiancandolo. «andiamo M'Lady. Insieme! »
«Insieme! » rispose Ladybug balzando con a lui verso la nemica che si ritrovò in svantaggio numerico e disorientata su chi colpire senza essere soggetta a sua volta ai loro attacchi.
Si muovevano in perfetta sincronia alternando i loro attacchi, per poi colpire insieme, sostenendosi a vicenda in mosse e contromosse con una complicità che non avevano mai trovato prima. Il perfetto connubio tra i loro poteri, tanto diversi quanto complementari e complici.
Il Guardiano dei miraculous aveva fatto la sua scelta molto tempo prima e quella fu l'ennesima prova di quanto giuste fosse stata corretta, un alternarsi fluido e costante che portò ben presto i ragazzi a mettere Oubli in trappola.
Il ritorno dei supereroi doveva aver fatto arrabbiare molto la creatura, per l'ennesima volta si accanì sulle strade e quella volta la sua vittima sarebbe stata la povera Alya se i ragazzi non si fossero accorti in tempo del pericolo.

Chat Noir si lanciò verso l'amica traendola in salvo appena in tempo.
Quella distrazione permise a Oubli di liberarsi, ma non per molto, l'eroina di Parigi l'avrebbe rimessa presto in gabbia e con quella sicurezza, ricominciò a saltarle intorno rotolandole intorno lo yo-yo con movimenti acrobatici che continuarono a meravigliare ed estasiare Alya.

«è sensazionale! » esclamò la ragazza tornando a riprendere la scena, senza perdersi un primo piano del ragazzo gatto che fissava lo scontro con ammirazione. «chi è quella supereroina? » volle sapere da lui risvegliandolo dai suoi pensieri e lasciando apparire sul suo viso un dolce sorriso.
«Ladybug...» mormorò muovendosi verso di lei: «il suo nome è Ladybug». Affermò a voce più alta voltandosi verso la telecamera, pronunciando quel nome e infondendo in esso tutta la fiducia della città. « e io sono Chat Noir» aggiunse balzando via. Non si sarebbe certo lasciato scappare l'occasione di mettersi in mostra.
Ladybug osservò la loro nemica svolazzare sulle loro teste, stanca di giocare. Non era l'unica e, dopo aver avuto un cenno da Chat Noir, lanciò il suo potere speciale.

«Lucky Charm! »

In un bagliore rosa, un flacone volò tra le mani della ragazza che lo osservò alquanto perplessa.

«del silicone in schiuma? E che dovrei farci? » si stupì osservando la confezione pronta all'uso.
«mi sembra un po' misero per rimettere in sesto tutti questi edifici» notò sarcasticamente pulendosi ancora una volta le gocce di sangue che scivolavano dal naso e solleticavano il labbro superiore, preoccupando non poco Ladybug. «tranquilla, finirà presto». La rassicurò ancora. «allora, qualche idea? »
La ragazza ci pensò un attimo cercando in giro indizi su come usare quel Lucky Charm e poi lo capì.
«coprimi» mormorò dividendosi da lui.

Mentre il gatto distraeva Oubli colpendola ripetutamente e costringendola a difendersi, la sua complice si appollaiò su un lampione in attesa nel momento propizio in cui la vide con le spalle al muro e allora si scagliò verso di loro lanciando il flacone a Chat Noir.

«tocca a te! » lo chiamò.
«Cataclisma! »

Senza pensarci due volte, colpì la bottiglia che esplose imprigionando Oubli dalla testa ai piedi in una morsa di schiuma a presa rapida che la incollò al muro permettendo così ai ragazzi di prenderle il cerchietto e romperlo.

«niente più malefatte piccola akuma» disse sbloccando il potere di purificazione nello yo-yo e lanciandolo in direzione della farfalla nera intenta a fuggire. «Deakumizzazione! » gridò catturandola e lasciando che tutto facesse il suo corso.
«ciao, ciao farfallina! » sorrise guardando l'insetto bianco volare via e la sua vittima riacquistare le sue sembianze, disorientata, ma incolume.

Stava per rilasciare anche il Lucky Charm, ma esitò guardandosi intorno. C'era troppo da sistemare e non era solo la città devastata il problema, c'era da modificare i ricordi di centinaia se non migliaia di persone. Riportare indietro chi era scomparso e restituire la loro memoria a chi l'aveva persa, c'era da riportare quella realtà sconvolta sul suo giusto cammino. Di solito a quel punto era una passeggiata, lanciare in aria l'oggetto, lasciare che il potere della creazione rimettesse tutto a posto e la battaglia poteva dirsi conclusa, ma non quella volta. Sarebbe stato lungo e difficile e le avrebbe richiesto uno sforzo immane, energie che aveva consumato ormai da molto.

«prendi il mio potere» s'intromise nei suoi pensieri il ragazzo dagli occhi verde mela tendendole la mano.
«sai che non possiamo, è vietato...» obbiettò, credendo che le stesse offrendo l'anello.
«voglio dire prendi la mia forza, dividiamoci questo peso e facciamolo insieme» fu la sua spiegazione un po' più esaustiva.
«sei sicuro di farcela? » si preoccupò, ancora impressionata dalle croste di sangue che si accalcavano attorno alla sua bocca e alle narici man mano che cercava di pulirsi.
«tra poco il tuo Lucky Charm mi rimetterà a nuovo» ammiccò prendendole la mano: « facciamolo! »

Convinta, Ladybug lanciò in aria la bomboletta

«Miraculous Ladybug! » gridò tenendo la mano tesa verso il cielo dove l'oggetto magico esplose in una miriade di luminose coccinelle che si sparsero e spansero ovunque. Il potere di Ladybug raggiunse ogni angolo del mondo restituendo persone e memorie a chi li aveva perduti.

I ragazzi avvertirono le forze venire prosciugate poco a poco dal loro corpo, mentre i raggi luminosi portavano calore e benefici a tutti. Gli stessi Chat Noir e Ladybug goderono dei benefici di quel potere ristabilendosi dai loro incidenti.
Ancora pochi minuti e poi tutto finì, sotto lo stupore generale di una Parigi che si svegliò di scattò conscia di ciò ce aveva perso e felice di averlo ritrovato.

Il sole stava cominciando a sorgere quando finalmente tutto ebbe fine, Parigi era stata ricostruita in pochi minuti, giusto in tempo per dare il saluto al nuovo giorno.
Gli stessi eroi rimasero fermi a guardare quella meravigliosa alba rosea, tenendosi ancora stretti per mano.

«è finita» mormorò Ladybug sentendosi finalmente rilassata, potendo tirare un sospiro di sollievo che contagiò anche il suo compagno.
 

Ancora una volta Papillon venne sconfitto, sebbene in quell'occasione ne sentì quasi il sollievo, rendendosi perfettamente conto di aver donato troppo potere a quella ragazzina che aveva generato un tale disastro, sconvolgendo la loro realtà.

«per questa volta accetto la sconfitta Ladybug, ma non cantare vittoria tanto facilmente, perché presto mi impossesserò dei vostri miraculous! » tuonò al vuoto, richiudendo la grande vetrata che gli dava da sempre un'ampia visuale di Parigi.

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L'importante è crederci PAPIllon

So... ragazzi è finita. il male è sconfitto, per ora, Marinette è tornata da Adrien. 
Che dire... è stato un piacere, ciao.

 

 

Dai che scherzo! Manca un degno epilogo a tutto!
Cavolo però... la mia prima fanfiction su miraculous è quasi finita... ora sono io che piango T^T
Se penso alle maledizioni che mi ero mandata perchè disegnavo la copertina anzichè la tesi e quando stavo alzata fino alle quattro di notte perchè VOLEVO scrivere un capitolo...
Mi sento un po' vuota adesso...
Se fate un salto sulla mia pagina instagram vi beccate pure qualche fanart spoiler (se la riconoscete eheh)

vegaria95

Al prossimo e ULTIMO (piango) capitolo! 

*si asciuga le lacrime*

Vega

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Capitolo 12
*** Epilogo. Per Sempre ***


Oh-Oh... è già finita! T^T

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Epilogo
Per sempre

 

C'era molto fermento, nonostante le prime luci dell'alba si fossero appena affacciate sulla città. I parigini si erano riversati in strada in cerca di coloro che avevano dimenticato e che d'un tratto erano riapparsi nei loro ricordi e nelle loro vite.

Esultarono e si abbracciarono.

Tutti sapevano cos'era successo e tutti sarebbero stati grati ai paladini di Parigi per aver riportato la normalità nella loro vita ancora una volta.

Erano tutti così sorpresi ed euforici che non si accorsero dell'eroe in nero che vagava per la strada, serio e rigido, con l'idolo di Parigi tra le braccia, pallida e tremante, finché non trovò un vicolo buio e isolato in cui si rifugiò.

L'ultima cosa che Marinette ricordava, era il cielo roseo e il sole che faceva capolino tra i palazzi di Parigi, poi la luce e le ombre avevano iniziato a vorticare mischiandosi tra loro, le gambe avevano smesso di reggerla, mentre la sensazione di cadere nel vuoto la fece piombare nell'ombra. 
Le palpebre erano pesanti, non aveva la forza di aprirle, ma sentì Chat Noir parlare, disse qualcosa che la sua mente non riuscì a distinguere, mentre le avvolgeva le braccia intorno alle spalle sostenendola.

Poi fu buio.

Anche nel suo inconscio, lottò per tenere stretta a sé Tikki fino al suo ultimo secondo, prima che qualcuno potesse vederla ritrasformarsi, ma cedette quando, per un breve istante riuscì a socchiudere gli occhi trovando due grandi iridi verdi guardarla dolcemente e le sue labbra muoversi in parole confortanti che l'aiutarono a lasciarsi andare, accoccolandosi contro il suo petto caldo e palpitante.

Molte sensazioni la accompagnarono da quel momento, tutte estremamente piacevoli.

Non avvertì lo scorrere del tempo. Potevano essere passati minuti, come ore o giorni, ma la pace che stava provando era molto confortante così come il calore che l'avvolgeva e che mutò più volte trasmettendole emozioni diverse. Alla forte stretta che le dava tanta protezione, si aggiunse un amorevole calore e dolci carezze che le provocarono un'immensa gioia e a cui seguirono lacrime e commozione.

Fu tutto molto piacevole e poi riaprì gli occhi ritrovandosi in una stanza che conosceva e aveva già visto, una sola volta e per poco tempo, ma la riconobbe, così come riconobbe il grande letto matrimoniale su cui era stesa e l'ampia vetrata da cui si poteva ammirare l'intera Parigi.

C'era un uomo accanto a lei, biondo, affascinante e dagli occhi di un verde lucente che portava il nome di Adrien. Rimase fermo a osservarla, mentre lentamente si destava e si metteva seduta guardandolo con un dolce sorriso.

«sei rimasto qui per tutto il tempo? » gli domandò con un tono pacato e tranquillo, ricevendo in risposta un cenno della testa.

«come ti senti? »

«ora sto bene» sorrise, mentre un leggero rossore le colorava le gote: «ora ho capito. So cosa voglio. So chi voglio. Ho capito cos'è davvero importante» disse trovando un grande conforto nel suo sguardo: «ho sognato tante volte il nostro futuro insieme, ma ora non voglio più farlo. Questo è il presente e io voglio godermelo, fare mio ogni singolo momento che passeremo insieme»

«addio Marinette» sorrise l'uomo che lei aveva immaginato sarebbe diventato Adrien sollevandole la mano per baciarne il dorso

«addio» mormorò la ragazza.

Poco dopo si risvegliò. 
Non aveva ancora riaperto gli occhi, ma poteva sentire i rumori che la circondavano, il familiare suono delle stoviglie in cucina, il profumo che saliva dalla pasticceria, il brusio della strada e lo sfregare delle sue gambe tra le lenzuola nel momento in cui provò a muoversi.

Piano piano tutti i suoi sensi si risvegliarono e le ciglia appiccicate lentamente si districarono lasciando filtrare la luce del giorno dritta nelle sue iridi cerulee che per un momento si tirarono indietro spingendola a richiuderli in fretta, ma poi si fece forza sentendo qualcosa adagiato sulle sue gambe che appesantiva le coperte.

Era una felpa grigia dall'aria particolarmente familiare. La osservò sorridendo, rimettendo insieme i ricordi dei giorni passati e altrettanto consapevole della loro fine. Strinse la stoffa tra le mani annusandola. L'odore pungente del camembert le pizzicò il naso, ma sotto di esso poté assaporare quello del ragazzo a cui apparteneva la maglia e ciò le scaldò il cuore, sebbene non si capacitasse di come fosse finita sul suo letto. I ricordi erano estremamente vaghi e confusi e per quanto si sforzasse, l'ultima cosa che poteva ricordare erano le labbra di Chat Noir che le mormoravano qualcosa mentre la stringeva tra le braccia.

«Marinette! » la squillante vocina di Tikki la risvegliò dai suoi dubbi. Fu felice di riabbracciare la sua amica e ancora di più di vedere che si ricordava di lei.
«oh Tikki! Non sai quanto mi sei mancata! » esclamò stringendola forte.

C'erano molte cose che voleva chiederle, ma la voce di sua madre costrinse la kwami a nascondersi.

«Marinette? » la chiamò, credendo di aver sentito la sua voce, affrettandosi a salire sul soppalco, trovandola sveglia. Fu così felice che le si gonfiarono gli occhi di lacrime, mentre gridava verso il piano di sotto: «Tom! Tom vieni! Si è svegliata! »

In poco tempo si ritrovò avvolta dal caldo abbraccio dei suoi genitori. Non sapeva bene cosa significassero le sue parole, ma fu felice di poterli riabbracciare, di essere tornata da loro e di sentire di nuovo il loro amore.

Solo più tardi seppe tutto quello che era successo e di aver dormito per ben due giorni.

***

Adrien era rientrato in camera sua da poco. Anche quel giorno era rimasto accanto a Marinette quanto più tempo possibile, prima come Adrien e poi come Chat Noir, intrufolandosi in camera sua dalla finestra. 
Restò al suo fianco per molto tempo, parlandole, accarezzandole il viso e le mani.
Non voleva lasciarla, voleva esserle accanto nel momento in cui si sarebbe risvegliata, ma si stava facendo tardi e presto o tardi qualcuno si sarebbe accorto che mancava da casa, perciò dovette rientrare.

Tikki e Plagg continuavano a dirgli che non doveva preoccuparsi, che Marinette stava bene, doveva solo recuperare le forze, ma non riusciva a non stare in apprensione per lei.

Era svenuta tra le sue braccia e nonostante la consapevolezza dell'enorme sforzo per liberare il Lucky Charm e di tutto quello che aveva passato in quei giorni, non poté fare a meno di preoccuparsi per lei.
Presa tra le braccia, si affrettò a cercare un luogo isolato in cui potesse annullare la trasformazione che lottava per tenere, nonostante fosse ormai incosciente.
Una volta al sicuro, si accostò al suo orecchio, notando che stava riaprendo gli occhi.

«tranquilla, va tutto bene. Rilassati»

Doveva averlo sentito, perché un momento dopo la trasformazione si annullò e lei svenne di nuovo lasciandosi andare contro la sua spalla, mentre Tikki si adagiò delicatamente sulla pancia dell'amica, stremata, ma anche felice di poterla riabbracciare.

Definire i genitori della ragazza "preoccupati" era un eufemismo, recuperata la memoria, il panico si impossessò di loro e, dopo essersi accertati che la loro bambina non fosse in casa, si lanciarono alla porta, pronti a cercarla in lungo e in largo.

Non fu necessario, non appena aprirono la porta trovarono Chat Noir con Marinette tra le sue braccia, svenuta, ma incolume.

«oh bambina mia! » esclamò Sabine guardandola e toccandola, cercando lividi e ferite, ma non c'era nulla e il sorriso del ragazzo che la stringeva tra le braccia fece rilassare Tom che si fece indietro per farlo entrare.
«sta bene, è solo svenuta» li rassicurò : «è successo a molte vittime dell'akuma, si riprenderà presto»

Accompagnato da Tom e Sabine, portò la ragazza in camera sua stendendola nel suo letto.
Fu felice di vedere quella stanza, non che la conoscesse particolarmente bene, anzi entrando notò subito alcune cose che l'ultima volta che era stato a casa di Marinette non aveva notato, ma gli fece piacere avere la prova che tutto fosse tornato alla normalità.

Restò a guardarla per qualche momento, mentre sua madre scendeva a prendere dei vestiti puliti con cui cambiarla e in quei pochi minuti il ragazzo le strinse forte la mano schioccandole un dolce bacio sulle dita.

«torno presto, M'Lady» bisbigliò.

Prima di andare via prese con sé Tikki, si sarebbe occupato di lei finché non si fosse rimessa in forze, promettendole che dopo l'avrebbe riportata indietro.

Tornato a casa, si aspettava il terzo grado da suo padre, era stato fuori tutto il giorno e tutta la notte senza dare notizie di sé, dopo avergli rubato il libro dei miraculous. Entrò in casa restando fermo nell'atrio d'ingresso, interdetto se andare verso la sala da pranzo o in camera sua e in quel lasso di tempo, suo padre apparve in cima alle scale.

«buongiorno Adrien» disse scendendo e passandogli accanto come se niente fosse.
«b-buongiorno papà...» rispose, preso un po' in contropiede per la sua reazione pacata.
«Adrien, la colazione è pronta» lo informò dall'altra parte Nathalie.

Era come se nessuno in quella casa si fosse accorto della sua scomparsa. Se da un lato la cosa lo allietò perché gli aveva evitato una ramanzina e una punizione, dall'altra fu molto doloroso sapere che nessuno aveva notato la sua assenza.
Finito di fare colazione, passando di nascosto un po' di cibo ai due kwami, Adrien salì in camera con l'intento di curarsi dei suoi piccoli amici e lì trovò suo padre intento a guardare fuori dalla finestra. Sul tavolino davanti alla televisione c'era una scatola, qualcosa che Adrien aveva cercato disperatamente.

«avevi ragione, era da qualche parte» disse Gabriel, indicando il pacco che suo figlio si affrettò ad aprire trovandovi dentro il cappello fatto da Marinette.

Sorrise, entusiasta di rivederlo, sebbene la vicinanza a quelle piume lo fece starnutire.

«grazie papà! » esclamò correndo ad abbracciare il genitore che rimase inizialmente interdetto, ma che poi si lasciò andare.
«allora, l'hai ritrovata? » volle sapere, mentre ricambiava la stretta del figlio, rincuorato da quel sorriso che gli aveva illuminato il viso alla vista del cappello.
«sì» mormorò staccandosi da lui: «è tornata»

Chi meglio di Gabriel poteva capire il dolore di perdere qualcuno che si amava così intensamente, come leggeva negli occhi di suo figlio.
Lui che aveva dato vita ad un piano folle per riportare indietro l'amore della sua vita. Aveva dovuto perdere per l'ennesima volta una battaglia contro Ladybug e Chat Noir, ma aveva vinto quella luce negli occhi di Adrien, una scintilla che non vedeva da moltissimo tempo e che gli scaldò il cuore, rendendo quella sconfitta estremamente dolce.

Adrien si occupò di Tikki nel miglior modo possibile. Era davvero esausta.
Mangiò una manciata di biscotti, dopo di che si addormentò.

Sarebbe stato un bene per lui fare lo stesso, non l'avrebbe mai ammesso, ma prestare le sue forze a Ladybug l'aveva stremato, peccato che fosse troppo preoccupato per lei, per pensare anche solo di dormire. Arrampicatosi in cima alle scale, tornò a rivivere quella folle avventura, a come era cominciata, alle cose dette, fatte e a quelle che ancora dovevano accadere.

«cosa farai ora? » gli domandò Plagg risvegliandolo dai suoi ricordi.
«per cominciare, mi riprenderò quello che mi ha rubato» sorrise sfiorandosi le labbra con l'indice, fantasticando su quel singolo momento in cui aveva avvertito il calore della pelle di Marinette sulla sua e sui brividi che gli aveva fatto provare il semplice sfiorare la sua bocca.

Un paio d'ore più tardi, Adrien era davanti alla porta della pasticceria, timoroso e incerto.
L'ultima volta che era stato lì, non aveva fatto una bella figura ed era stato molto spiacevole sentire gli amorevoli genitori di Marinette rinnegarla. Gli aveva fatto molto male e la sua scenata doveva averlo fatto sembrare pazzo ai loro occhi, ecco perché esitò, ma bastò lo sguardo di Tikki per capire che quella era la cosa giusta da fare.
Entrò in negozio lasciando suonare la campanella della porta. Non c'era ancora nessuno e quando gli sguardi dei due proprietari si posarono su di lui, ebbe la sensazione che lo stessero aspettando.

«Adrien, giusto? » gli domandò Sabine usando lo stesso e dolcissimo sorriso che aveva Marinette.
«s-sì... » annuì accennando appena un saluto imbarazzato: «io... volevo chiedervi di Marinette... se... come sta? Ho saputo e...» non sapeva esattamente come chiedere di poterla vedere e il suo tartagliamento intenerì molto la coppia.
«sta ancora dormendo» disse Tom avvolgendo un braccio attorno alle spalle della moglie: «ma non c'è da preoccuparsi. Chat Noir ci ha detto che va tutto bene»
«posso... posso vederla? » osò chiedere stringendo la cinghia della tracolla al petto, timoroso di un rifiuto. Effettivamente li vide esitare un momento, ma poco dopo Sabine diede uno sguardo al marito avviandosi alla porta d'ingresso e invitandolo a entrare in casa.

Lo accompagnò fino ai piedi della scale della stanza della ragazza, conosceva la strada.

«signora... mi dispiace per l'altro giorno» ci tenne a scusarsi.
«non ti preoccupare. Anzi, vorrei ringraziarti per quello che hai fatto per lei» disse la donna, ancora sconvolta dall'idea di aver dimenticato la propria figlia per tanti giorni e altrettanto felice di averla ritrovata.
«non ho fatto nulla di che, è stata Ladybug a riportare le cose alla normalità» scrollò le spalle, pur sentendosi complice di quel miracolo che gli aveva permesso di riabbracciare la sua Marinette.

Salì lentamente le scale spingendo poi la botola sopra la sua testa, cercando di fare meno rumore possibile. Entrato nella stanza, diede uno sguardo di sotto vedendo Sabine tornare in negozio. Salì altri gradini arrivando al soppalco riuscendo finalmente a vederla, nel letto in cui poche ore prima l'aveva adagiata, l'unica differenza era il pigiama che aveva sostituito quei vestiti sporchi e strappati.

Sembrava tranquilla e rilassata.

«siete sicuri che stia bene? » chiese ai kwami che si erano accomodati, come lui, sulle coperte accanto alla ragazza.
«ha solo bisogno di riposo» lo tranquillizzò Tikki: « tra non molto si risveglierà»

Adrien ci sperava vivamente e nell'attesa estrasse dalla borsa la felpa che le aveva prestato alcuni giorni prima e a cui sembrava essersi affezionata particolarmente, definendola addirittura 'profumata'. Gli venne da ridere al pensiero che lui ormai non sentiva altro che puzza di camembert per colpa di quel kwami ingordo.
Stese la maglia accanto a lei e rimase lì, fermo a osservarla dormire, beandosi del suo viso rilassato e quelle ciocche scure che ricadevano sulla pelle candida illuminata dalla luce del giorno che metteva in risalto quelle deliziose lentiggini. Studiò a lungo il suo viso, finché la sua attenzione non si soffermò su quelle labbra rosse.
Quella notte gli aveva rubato un bacio promettendogli che avrebbe potuto riprenderselo molto presto, avrebbe potuto farlo in quel momento, moriva dalla voglia di farlo, assaporare un po' della sua Marinette, ma non era così che doveva andare. Il loro primo, vero bacio, doveva essere speciale, da favola, magico.

Era ora di pranzo quando Sabine salì in camera di sua figlia. Adrien era ancora lì, addormentato accanto a Marinette, mentre le stringeva la mano. Quella scena la intenerì molto e non avrebbe voluto svegliarlo, ma l'assistente del sig. Agreste si era presentata in negozio per riportarlo a casa e sembrava non voler sentire ragioni.
Anche se a malincuore, interruppe il suo sonno posandogli delicatamente una mano sulla spalla.

«Adrien, la signorina Sancoeur ti aspetta di sotto, vuoi che le dica...»
«no» scosse mestamente la testa, cercando di svegliarsi e scacciare quel torpore. Marinette ancora non dava segno di ripresa e lui sentiva il bisogno di mangiare qualcosa e farsi una doccia, specialmente una doccia. Le strinse ancora un momento la mano e poi seguì Sabine al piano di sotto dove Nathalie lo aspettava.
«posso... potrei tornare più tardi? » chiese loro trovando in risposta un grande sorriso da parte di entrambi i genitori di Marinette che annuirono.

In tutta quella preoccupazione, il loro sorriso riuscì a scaldargli il cuore per un solo momento, perché in quello seguente ci pensò Nathalie a riportarlo alla triste e cruda realtà ricordandogli di tutti i suoi impegni del pomeriggio e che prevedevano la lezione di cinese e di pianoforte.

«vieni pure quando vuoi» disse comunque Tom posandogli una mano sulla spalla in segno di gratitudine.

Quando i suoi impegni si conclusero, era già tardi. Non poteva presentarsi a casa Dupain all'ora di cena.

«la vedrai domani» provò a tranquillizzarlo Plagg: «sta bene, deve solo riprendersi».

Come al solito il suo portatore non gli diede retta. 
Collegò il cellulare alle casse e selezionò la sinfonia n.15 in Re bemolle maggiore con cui era solito esercitarsi e poi richiamò il kwami trasformandosi e balzando tra i tetti in direzione del balcone di Marinette. Fu felice di trovare la finestrella che dava sul suo letto aperta. Molto silenziosamente entrò sedendosi sul materasso accanto a lei, scambiandosi solo uno sguardo con Tikki, capendo che ancora non aveva ripreso conoscenza.
Non aveva intenzione di frugare tra le sue cose, ma non poté non notare un certo numero di foto sue sparse un po' ovunque e poi una cosa che lo fece sorridere: appoggiata alla mensola sopra il letto c'era una rosa rossa, secca. La stessa rosa che lui le aveva regalato quella sera.

«sei proprio una bugiarda, Insettina» rise scostandole una ciocca di capelli dalla fronte.

Le restò accanto fino alle prime luci dell'alba, dopo di che tornò a casa.
Lo aspettava una giornata molto più tranquilla che gli permise di restarle accanto molto più a lungo.
Aveva appena finito di cenare da solo e mentre rientrava in camera, Nathalie si raccomandò perché si esercitasse al pianoforte, come ogni sera.
Adrien aveva annuito distrattamente, aveva piani diversi per quella sera e subito dopo essersi richiuso la porta alle spalle e aver fatto partire la traccia, si trasformò balzando fuori dalla finestra.
Le era lontano solo da poche ore e già l'ansia lo stava distruggendo dentro e a buona ragione, quando arrivò e si affacciò alla sua finestra, scoprì che lei non c'era più, il suo letto era vuoto e la sua felpa posata sopra le coperte. Subito i peggiori pensieri si fecero prepotenti nella sua mente.

Se avesse avuto delle complicazioni? Se in realtà le sue ferite non si fossero rimarginate con il Lucky Charm e i suoi genitori l'avessero portata in ospedale? Quelle e altre mille ipotesi gli balenarono in mentre, portandolo a disperarsi. Iniziò a sentire gli occhi pizzicare, maledicendosi per essersi allontanato, per averla lasciata quel pomeriggio.
Balzò in piedi, disperso e spaventato.

Poi una sensazione lo spinse a voltarsi. La stessa che quella sera del suo appuntamento mancato con Ladybug l'aveva spinto a volgere lo sguardo verso il balcone della sua compagna di classe e lì, su quello stesso tetto, una scia luminosa catturò i suoi occhi felini.

Attratto come una falena dalla luce, vi si avvicinò atterrando in mezzo a un tripudio di candele sparse lungo tutta la ringhiera del tetto, mentre petali di rosa adornavano il pavimento e morbidi cuscini avevano creato comode sedute.
Era estasiato e allo stesso tempo confuso.

«ti stavo aspettando» mormorò una voce femminile alle sue spalle.

Con un sussulto si voltò, trovando Ladybug con le braccia congiunte all'altezza del petto, voltata di schiena. C'era qualcosa di nuovo in lei: i capelli. Sciolti, legati in una mezza coda sulla nuca tenuta ferma da un nastrino molto particolare, il portafortuna azzurro con la campanella.
Il portafortuna, il monile che li aveva salvati.

«ti sei svegliata» sorrise Chat Noir, incredulo, ma anche immensamente felice.
«trasformami» mormorò la ragazza liberandosi così del costume aderente.

Man mano che il bagliore roseo svaniva, un delizioso abito bianco di lino decorato di pizzi che le fasciava perfettamente la vita sottile per aprirsi in una gonna svasata e un paio di spalline molto sottili che lasciavano le spalle nude, comparve sotto ai suoi occhi, facendolo inevitabilmente arrossire. Le stava d'incanto.

Lei era un incanto.

La vide muoversi molto lentamente voltandosi verso di lui per mostrargli ciò che racchiudevano le sue mani giunte al petto: una candela. Era una candela molto speciale, diversa da tutte le altre, seppure uguale all'apparenza. Era maggiormente consumata ed era proprio quella che Adrien aveva conservato da quella sera e che le aveva portato quella mattina posandola accanto alla rosa secca sulla mensola sopra il suo letto.
Rimase senza parole.
Per quel posto, per la candela e soprattutto per lei: splendida e raggiante.

«ti...ti piace? » gli domandò Marinette con molto imbarazzo: «ho... ho voluto provare a fare qualcosa di simile a quello che hai fatto tu quella sera... non è bello come il tuo, certo come avrei potuto? Tu sei fantastico, meraviglioso...» iniziò a parlare a raffica, agitata dal suo silenzio: «volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me».

Era silenzioso, troppo silenzioso.

Perché non parlava? Aveva sbagliato qualcosa? Sicuramente sì, perché il viso del giovane di fronte a lei si rabbuiò celando gli occhi sotto alle ciocche bionde impedendole di capire esattamente cosa stesse provando. Delusione sicuramente, tanta delusione, così tanta che il panico travolse Marinette. «on no! non ti piace! Doveva immaginarlo, quella sera io ti ho deluso... non volevo farti ricordare cose spiacevoli... dovevo pensare ad altro... Adrien mi dispiace, sono la solita imbranata...»

«trasformami». Fu l'unica cosa che gli sentì bisbigliare, mentre lentamente il potere del miraculous si annullava rivelando il bellissimo viso di Adrien , sotto lo sguardo pieno di panico di Marinette che stringeva la candela agitata da quel silenzio.

Stava ancora farfugliando le sue scuse quando, in pochi passi, Adrien le fu a un respiro dal viso.

«mi dispiace...» pigolò, ritrovandosi naso a naso con lui, timorosa del suo sguardo severo e di ciò che sentiva avrebbe detto da un momento all'altro.

La candela finì a terra, il bicchiere non si ruppe, ma sua fiamma si spense.

Con un gesto deciso, Adrien le aveva afferrato il braccio traendola a sé e placando i suoi timori con il bacio che entrambi attendevano da tempo immemore. Non se lo aspettava e in un primo momento un gemito le sfuggì dalle labbra, mentre la sua mente realizzava cosa stava succedendo, sentendo le braccia del ragazzo stringerla forte.
Le labbra di Marinette erano morbide e calde e sapevano di dolce, un dolce fruttato che lo inebriò.

All'inizio la sentì rigida al suo tocco, forse sorpresa dalla sua avventatezza, ma quando capì cosa stava succedendo la sentì rilassarsi, lasciandosi finalmente andare tra le sue braccia che le cinsero la vita, mentre le dita sottili di lei agguantarono la camicia sulle sue spalle.

Le braccia di Adrien erano forti e le avrebbero tolto il respiro se Marinette non avesse smesso di respirare nell'esatto momento in cui aveva catturato le sue labbra in quella morsa di dolcezza facendole scoppiare il cuore nel petto.
Erano come le ricordava da quel giorno di San Valentino, anzi no, meglio, perché non c'era nessun maleficio a oscurare il cuore del suo bellissimo eroe, solo un amore immenso e un cuore che batteva sotto il suo palmo.
Stava ancora assaporando quel contatto quando lo sentì chiederle di più, cercando di spingersi oltre quella soglia, sbilanciandola all'indietro e stringendola una mano sulla nuca, mentre la sua lingua si insinuava impertinente tra le labbra dischiuse cercando e carezzando quella di Marinette che lentamente decise di rispondere assecondando i lenti movimenti del ragazzo che le stava sgualcendo l'abito con la sua stretta e mandava in pappa il cervello con la sua dolcezza.
Una danza umida e sensuale celata dal confine tra le parole, nascosta e incredibilmente piacevole.
Ecco come poterono definire quel bacio. E le mani di Marinette che si erano allungate dietro le spalle del suo bellissimo ragazzo andando a scompigliare quei fili d'oro sulla sua nuca.
La desiderava da così tanto che non l'avrebbe lasciata tanto facilmente, anzi, quando la sentì sollevarsi sulle punte, per farsi più sfacciata e avere di più, la sollevò lui stesso da terra stringendole entrambe le braccia in vita e trasformando la morbida gonna in un ammasso stropicciato di stoffa intrappolato tra le sue mani.

Un grido silenzioso di un amore che aveva dovuto tacere troppo a lungo, sotto una luna che si era fatta spazio tra le tenebre ed era nata e cresciuta con i loro veri sentimenti, ma a differenza della luminosa e mutevole voltafaccia, il loro amore avrebbe continuato a crescere sempre.

Fronte contro fronte, con gli occhi chiusi e ancora stretti l'una all'altro, Adrien e Marinette godevano della reciproca presenza, dei loro caldi respiri che si infrangevano sulla pelle, dei cuori palpitanti che sbattevano l'uno contro l'altro, avvicinati da quello strettissimo abbraccio che non avrebbero voluto sciogliere mai più.

«ti amo» sussurrò per prima Marinette. Gliel'aveva già detto in quel messaggio in segreteria e gliel'aveva dimostrato in ogni modo possibile e immaginabile, ma fu la prima volta in cui riuscì a dirglielo direttamente in faccia senza esitazioni, mentre un fremito di commozione portò i suoi occhi a bagnarsi di lacrime.
«ti amo, Marinette» fu l'immediata risposta di Adrien, mentre la stringeva ancora di più.

Il bel biondino si era ripreso con tanto di interessi il bacio che lei gli aveva rubato, ma ancora non gli bastava, sapeva che non gli sarebbe mai bastato, tanto valeva continuare a soddisfare la sua sete di baci e amore.
Mentre un boato calava dal cielo, le loro labbra tornarono a danzare, accarezzarsi e mordersi, finché uno scroscio d'acqua non piombò sulle loro teste lasciandoli esterrefatti e senza parole, costringendo Marinette a tornare con i piedi per terra.

«non-ci-credo» sgranò gli occhi la ragazza sollevando lo sguardo verso quelle nubi nere che avevano invaso il cielo di Parigi bagnando le strade con quell'improvviso nubifragio.

In pochissimo i due si ritrovarono fradici dalla testa ai piedi, ma allo stesso tempo un sorriso illuminò i loro visi arrossati ed emozionati, facendoli scoppiare in una sonora risata iniziando a correre e schiamazzare per la terrazza saltando e volteggiando sotto alla pioggia.

Marinette correva da un lato all'altro, quando Adrien le balzò alle spalle avvolgendole le braccia in vita sollevandola e facendola girare su se stesso, tra grida e schiamazzi.

«mettimi giù, Adrien! » rise di gusto, tenendosi ben stretta alle sue braccia.

Non diede retta al suo grido e continuò a girare e giocare con lei sotto gli occhi divertiti dei loro kwami seduti comodamente tra i cuscini a godersi lo spettacolo, dopo essersi complimentati per l'ottimo lavoro svolto. Quei due ragazzi erano una gioia per gli occhi e ciò non passò inosservato nemmeno ad un cinico come Plagg che tenne gli occhi puntati sul suo portatore, avvertendo un dolce calore nel petto, felicità per lui.

Le suppliche di Marinette, che pregava il suo ragazzo di metterla a terra risultarono inutili, ma in fondo si stava divertente, almeno finché Adrien non scivolò sul pavimento bagnato cadendo e trascinandosi dietro anche lei.
Rimase lì, ferma, sotto la pioggia battente a osservare il ragazzo steso sotto di lei che ancora la teneva stretta, come se avesse paura di perderla di nuovo.
Era bellissimo, ma non era solo quello. C'era una luce insolita nei suoi occhi, una luce gioiosa che Marinette non aveva mai visto, neanche nelle foto delle riviste.
Era gioia, pura e semplice che aveva colorato il viso del suo Adrien rendendolo ancora più bello di quanto non fosse già.

«non andartene mai più» la supplicò, ancora memore dei terribili giorni che avevano passato.
«no» bisbigliò a fior di labbra Marinette, prima di posarvisi sopra: «non accadrà mai più» gli promise racchiudendo il suo viso tra le mani, perdendosi nei suoi occhi verdi.
«non potrei chiedere un lieto fine migliore» sorrise Adrien osservando la splendida ragazza sopra di lui che sorrideva, specchiandosi nei suoi occhi zaffirini.
«veramente...» scosse la testa Marinette districandosi dal suo abbraccio per alzarsi e porgergli la mano: «non è un lieto fine, ma un nuovo inizio» lo corresse quando anche Adrien si fu rimesso in piedi, baciandola ancora una volta, di fronte a quella meravigliosa promessa.
 

Quando il momento di tornare a scuola arrivò, l'intera classe attendeva un responso della folle avventura che li aveva coinvolti più o meno tutti.
Come ogni mattina Adrien arrivò davanti al portone in macchina, salutò Nino e si fermò a chiacchierare con lui del più e del meno, evitando di proposito le sue domande sull'accaduto.
Allo stesso modo Marinette, uscita di casa di fretta e furia, raggiunse Alya che la salutò con il suo solito calore. Anche lei non vedeva l'ora di sapere le novità, ma dovette attendere.
Adrien venne travolto da Chloé che gli si gettò al collo cercando di sbaciucchiarlo come suo solito, ma quel giorno il ragazzo prese in mano la situazione pregandola di non farlo più, perché non sarebbe stato giusto nei confronti di nessuno. Chloé in principio non capì le sue parole, poi lo vide dirigersi verso Marinette che fece lo stesso muovendosi nella sua direzione, scostandosi da Alya.
Erano tutti con il fiato sospeso.
Adrien aveva fatto di tutto per trovarla e chissà cosa sarebbe successo da quel giorno in poi.
Accadde che Adrien ,sotto gli occhi di tutti, tentò un galante baciamano in stile Chat Noir che Marinette evitò magistralmente in stile Ladybug picchiettandogli un dito sul naso che lo disorientò per qualche attimo, prima di scoppiare a ridere con lei.
Stavano solo prendendo in giro i loro amici e dopo essersi salutati con un affettuoso bacio sulla guancia, si presero per mano avviandosi insieme all'ingresso della scuola.

Le reazioni furono molteplici.
Alya esultò dalla gioia abbracciando Nino e strattonandolo così tanto da staccargli quasi il collo.
Mylen portò le mani al viso con aria trasognante, mentre Ivan le cingeva le spalle con un braccio scoprendo finalmente chi fosse il misterioso ragazzo dagli occhi verdi di cui era innamorata Marinette.
Kim si congratulò con Adrien mostrandogli il pollice alzato quando gli passarono accanto e Chloè... quando si vide allontanare dal biondino per raggiungere Marinette si sentì esplodere, pronta a rimandarla nel mondo dei dimenticati da cui aveva contribuito a salvarla, ma le bastò vedere il sorriso del suo amico e quella luce gioiosa nei suoi occhi per calmarsi, mentre le labbra si piegarono in un dolce sorriso che raramente appariva sul suo viso e internamente gli augurò di continuare a essere felice come lo era in quel momento. Esternamente, però, fece spallucce ed entrò a scuola seguita da Sabrina, lasciandosi scappare uno dei suoi commenti acidi.

«non durerà»
«oh sì che durerà» le rispose Alya alle sue spalle:« per sempre» sospirò sognante.
 

La lotta contro il male non era ancora finita e l'opprimente dubbio che quella creatura di distruzione fosse ancora in circolazione diede molto da pensare a entrambi, ma loro erano Marinette e Adrien,  Ladybug e Chat Noir e, più uniti che mai, avrebbero affrontato qualunque cosa si fosse frapposta tra loro, la felicità e la sicurezza delle persone a loro care.

Per sempre.

~Fin~

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Eh, è finita e mo'?
Mi sento così vuota T^T
Sì, insomma per me era finita già da un po', ma... leggere "fin" qui mi mette una tristezza immensa!!
Però mi ha fatto anche moltissimo piacere condividerla con tutti voi :)
è stato il mio primo lavoro a tema miraculous e ne sono rimasta veramente soddisfatta.

Ci sarà un seguito?
forse, ma è un forse grosso come una casa, magari una one shot, non saprei anche se tempo fa ci avevo pensato.
Vi ringrazio ancora per avermi seguita in questo primo esperimento e vi ringrazio veramente tanto per tutto :)
(no, non sto morendo, ma volevo ringraziare tutti come si deve XD)

Un saluto e un bacio a tutti!

Vega

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