Guns and love

di the angel among demons
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incidente ***
Capitolo 2: *** Anticipo ***
Capitolo 3: *** Nuovi orizzonti ***



Capitolo 1
*** Incidente ***


Leo pov.

Erik apre la porta con un calcio secco. Avevamo scelto 'la locanda antica' apposta, per via della sua porta di legno facile da aprire con un solo colpo forte. Volevamo qualcosa di non troppo complicato quella sera. 
Io, Erik e Nicolas, vestiti di passa montagna e armati di pistola ciascuno, entriamo senza pensarci due volte.
"Allora, non vogliamo allungare troppo le cose...perció, senza vane tentazioni di fermarci o chiamare la polizia...mettete tutto quello che avete nel sacco del mio amico qui" dice Erik a voce alta scandendo ogni parola e rivolto al signore anziano che stava dietro la cassa.
Ormai é da manuale, Erik fa le 'presentazioni', successivamente Nicolas intasca tutto nel sacco e Io, controllo che i clienti se ne stanno buoni.
Ci sono solamente quattro clienti, due stavano giocando a carte, uno leggeva il giornale e l'altro ancora beveva il suo rum in pace, almeno fino a quando non siamo arrivati noi. 
L'espressione di terrore che hanno sul volto mi diverte.
"In questi casi dovreste stare con le mani in alto" dico in tono ironico. 
Ma loro, niente. Continuano solo a guardarmi con quegli occhi sgranati. Tiro il carrello della pistola all'indietro.
"Non fatemelo ripetere due volte per favore..." detto fatto, immediatamente alzano le mani all'unisono. "Ecco, bravi". Mi avvicino a quei due che giocavano a carte, era evidentemente una partita a poker. 
"Oh... il tuo amico qua ti stava battendo" dico indicando il giocatore alla mia sinistra. "Se permettete però questi soldi li prendo io" così mi infilo i soldi al centro del tavolo in tasca. "Vi rifarete a un altra partita a poker amici miei, ma per questa volta ho vinto io".
Quando Nicolas ha finito di prendere tutto il malloppo Erik fa un inchino, é sempre stato molto teatrale...
"Au revoir" dice, chiudendosi poi dietro la porta.
Ridiamo sonoramente e iniziamo a correre tra i vicoli stretti per essere visibili il meno possibile.
"Leo, ti diverti proprio a far paura alla gente eh" ride Nicolas, "Non si fa scappare l'occasione" continua Erik.
"Che posso dire...mi istigano!" Rispondo mettendo la pistola dentro il sacco, i miei due compagni fanno lo stesso. "No, semplicemente ti piace far vedere chi comanda" mi da una spinta amichevole. 
Un forte tuono ci fa sobbalzare interrompendo la corsa. Mi giro rabbiosamente contro Nicolas "Questa sera non doveva piovere eh. Menomale che avevi guardato il meteo". 
"Eh scusate mi saró sbagliato, ma ora sbrighiamoci ad arrivare alla macchina o i soldi si inzupperanno".  Dopo aver messo anche i passamontagna dentro il sacco ricominciamo a correre, e le prime gocce d'acqua iniziano a scendere, prima piano, poi sempre più forti nel giro di pochi minuti. Automaticamente iniziamo a correre sempre più veloci, evitando i bidoni dell'immondizia e quant'altro in quei vicoli stampati nella mente come una mappa.
Arriviamo a una strada, la macchina si trova nel quartiere dopo. I miei due amici mi superano, e quando sto per attraversare quella carreggiata loro sono già dall'altra parte. Per non rimanere indietro supero me stesso andando al massimo della velocità che posso, non faccio caso a chi passa.
Madornale errore.
É quasi mezzanotte e a quest'ora non circola mai nessuno, di solito.
Ma un capriccio del destino ha fatto in modo che una macchina, una bella porche dell'ultimo modello, mi arrivasse addosso.
Non mi investe, non del tutto almeno, ma mi fa cadere a terra, sbattendo la testa. 
Dopo, vedo tutto sfocato, percependo solo le gocce feroci che si scagliano sulla mia faccia. Sento la portiera che si apre, successivamente una voce.
Non ho il tempo di distinguere quella voce e tanto meno la figura che si sta avvicinando a me, che sento il corpo e mente abbandonarmi.
Ora ce solo buio.

Claire pov.

Aumento la funzione dei tergicristalli al massimo, la pioggia ha iniziato davvero a essere insistente.

Continuo a canticchiare felice, i miei genitori sono via per una commissione di lavoro, tornano domani verso l'ora di cena, e si sono portati con se anche la mia sorellina Mary, per il semplice fatto che al ritorno sarebbero passati a Disney World siccome l'avrebbero passato per strada, e loro sanno quanto ci tenesse ad andare. Ormai so a memoria tutti i film d'animazione della Disney, specialmente quelli delle principesse. Mary insiste che prima di dormire io devo vedermi uno di questi cartoni con lei nel letto. Ovviamente io voglio farla contenta, e per fortuna si addormenta quasi sempre a neanche metà del cartone animato.
Capita spesso che i miei se ne vanno per affari, ma raramente rimango da sola, solitamente resta anche Mary con la badante, perché io avendo altri impegni, con la scuola soprattutto, non posso occuparmi di lei completamente.
Ma questa sera é tutta per me, permettindomi per una volta di non studiare visto che anche quando c'é la badante si raccomanda che io stia tutto il tempo col naso sui libri, a grande richiesta dei miei ovviamente.

Faccio un sospiro di felicità, già mi immagino con i pop corn sul divano a vedere la tv o farmi un bagno rilassante, potrei chiamare la mia migliore amica Grace anche se me ne sono appena andata da casa sua per finire una ricerca che avevamo insieme, ma mi spiace per lei ho bisogno di stare completamente sola, la sentirò domani per farci un giro da qualche parte, anche lei ha bisogno di svagarsi un po, magari a berci una birra in città o fare shopping, é da un po che non lo facciamo ora che ci penso.

La strada davanti a me é libera, be infondo abito in un piccolo paese, e a quest'ora non c'é mai molta gente, anzi ora non c'é proprio anima viva. Decido di aumentare un po la velocità, sono sempre stata una fifona per quanto riguarda la guida e sono sempre andata come una lumaca ma adesso non c'era bisogno di esserlo.
Madornale errore.

Accelero pian piano sempre di più, non mi rendo conto della figura che si sta letteralmente buttando in strada. Ho appena il tempo di frenare di colpo, che sento il rumore di qualcuno che cade a terra.
Rimango per qualche secondo sola con il rumore della pioggia e dei tergicristalli attivi, le mani serrate sul volante e gli occhi spalancati dalla paura.
Poco dopo inizio a rendermi conto di quello che é successo. Tutto a un tratto torno in me.
"Oddio...oddio oddio" slaccio la cintura con le mani trenolanti e apro la portiera scendendo dalla macchina, la pioggia mi innonda in un batter d'occhio. Mi scaravento su quella persona, ma rimango di nuovo bloccata appena lo vedo.
É un ragazzo giovane, avrà più o meno la mia età. Capelli biondi un po sul lungo, magro, vestito di giacca di pelle e jeans strappati. 
Il dettaglio che mi ha fatti rimanere di nuovo paralizzata, sono gli occhi.
Chiusi. Ha gli occhi chiusi. 
"No no no..." mi inginocchio a terra e lo scuoto.
Ho ucciso un ragazzo, io...ho ucciso un ragazzo. Cosa ne sarebbe stato di me, sarei stata rovinata, e la sua famiglia, non potevo immaginare come si sarebbe sentita. Avrei rovinato la vita dei suoi genitori e amici e fratelli o sorelle se ne aveva...
"Ti prego svegliati..." inizio a piangere, le lacrime calde che scendono in viso tra le gocce di pioggia fredda, sembrano bruciare.
Tra l'ansia e il panico metto il mio indice sotto il suo naso.
Sento calore: respira.
Le lacrime diventano di felicità.
Mi poso le mani al cuore che sembrava stesse uscendo dal petto "Grazie al cielo...".
Ora che mi sono assicurata che lui é vivo, cerco di tranquillizzarmi per vedere cosa fare passo per passo.
Prima di tutto controllo se c'é sangue da qualche parte, e a grande sollievo non noto nessuna macchia rossa.
Questo vuol dire che é solo svenuto. 
L'ospedale più vicino é a più di mezz'ora da dove siamo adesso, mentre casa mia é a quindici minuti da qui. Penso che la cosa più importante ora sia metterlo al riparo e disinfettare le ferite superficiali, dopo avrei chiamato l'ambulanza.

Con un piccolo sforzo lo alzo mettendogli un braccio attorno alle mie spalle, mi conforto accorgendomi che non é poi così pesante come temevo.
A piccoli passi mi avvio alla portiera posteriore, la apro e lo metto seduto, dopo essermi assicurata di avergli allacciato la cintura in modo che non cadesse o sballottasse ovunque, chiudo la portiera e mi metto al posto del conducente.
Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. Mi dico che andrà tutto bene. Deve andare tutto bene. 
Metto in moto la macchina, e mentre sento il rombo del motore accendersi lancio un'occhiata veloce al ragazzo dallo specchietto. Mi viene da ridere. E io che volevo passare una sera tra me e me.

Dopo un quarto d'ora arriviamo a casa mia, me lo rimetto in spalla e apro la porta di casa. 
Quando si entra c'è un corridoio con attaccapanni e scarpiera vicino all'ingresso. Un po più avanti sulla destra ci sono due porte, una della cucina e l'altra del bagno, davanti invece il grande soggiorno e a sinistra la scala che ti porta di sopra.
Appena chiudo la porta dietro di me accendo la luce, mi tolgo le scarpe inzuppate e spoche di terra del mio giardino, successivamente facendolo sdraiare delicatamente a terra le tolgo anche a lui, poi poso entrambe le paia di scarpe sulla scarpiera.
La parte un po più impegnativa sono le scale...gradino per gradino mi aggrappo con una mano al mancorrente e con l'altra lo tengo. A metà scala, per via del suo giubbotto ancora fradicio, mi scivola e cade giu per tre gradini.
"Non ci voglio credere" lo riprendo subito e stavolta con una presa ben più stretta. "Per fortuna non lo saprà mai".
Il secondo piano é costituito da un altro corridoio, più piccolo dell'altro, a destra le due stanze da letto per me e Mary, a sinistra c'è il secondo bagno che solitamente usiamo solo io e mia sorella.
Continuando le scale di sopra, c'é la stanza dei miei con un altro bagno più la loro 'sala da ufficio' che usano per lavorare quando sono in casa.
La mia camera é la seconda porta, il mio letto da una piazza e mezza si trova sulla sinistra con la testiera appoggiata al muro, sulla parete destra uno specchio con la postazione trucco, davanti una grande finestra con sotto un termosifone e l'armadio a fianco, e una scrivania sul lato della porta.

Entro, accendo anche lí la luce e lo poso subito sul mio letto. Non vedevo l'ora di farlo. Mi siedo un attimo a terra esausta, stava iniziando a diventate pesante. Dopo che i miei respiri diventano di nuovo regolari mi rialzo e mi siedo vicino a lui.
Gli sposto i ciuffi che sono finiti davanti ai suoi occhi. Senza che me ne accorgo lo fisso, lo scruto, lo studio... 
Mi chiedo perché un ragazzo corresse così veloce a quell'ora di notte e soprattutto perché non l'ho mai visto prima d'ora, in questo paese si conoscono sempre tutti. Evidentemente non é di qui.
Gli alzo il busto per toglierli la giacchetta di pelle che avrei messo sul termosifone. Sotto ha una maglia grigiastra a maniche corte. Quella almeno è asciutta. 
Sulle mani e polsi ha dei graffi provocati dall'asfalto. Poso la sua giacca e mi direggo in bagno per prendere disinfettante, dischi di cotone e qualche eventuale cerotto.
Torno da lui e inizio a curare quelle piccole ferite. Solo un graffio é un po più aperto degli altri, esce anche un po di sangue, ma ci metto un cerotto ed é apposto. 
Controllo che non ci sia qualche altra parte da disinfettare e torno in bagno a posare quello che ho preso.
Ora bisogna solo chiamare l'ambulanza. 
Vado in camera e inizio a digitate il numero sul telefono, ma mi fermo subito dopo.
"Mmm..." fa un lamento.
Oddio, non sono preparata, cosa gli dico? Come faccio a spiegargli la situazione senza che entro nel panico? O che lui entra nel panico...dopo tutto si sta risvegliando in un posto che non conosce con una sconosciuta. 
Non so cosa pensare, non so cosa fare, se avvicinarmi a lui o rimanere dove sono, se sorrigergli o fare la seria.
Ma ecco che sta aprendo gli occhi. Poco Poco, solo un quarto... a metà...fino ad aprirli del tutto.

Merda.

Ha lo sguardo fisso sul soffitto, fa un'espressione enormemente confusa, di scatto si alza col busto e fissa gli occhi su di me, con un sopracciglio alzato.
"Ehm..." okay Claire, fagli un sorriso amichevole e spiega tutto con calma.
Così faccio. Gli sorrido "Ciao, so che ora sei.."
"Chi cazzo sei tu? E dove cazzo sono io?" mi interrompe. Il suo tono era arrabbiato.
"Be non mi sembra il modo questo! Capisco che sei preoccupato e confuso ma sto cercando di spiegarti tutto" dico alzando le braccia in segno di finta arresa. 
Lui sbatte un po le palpebre, all'improvviso fa una faccia strana, quasi stupita. 
Alza il dito contro di me "ora ricordo...tu mi hai investito non é vero?".

Deglutisco.

"Tectinamente...si, ma mi sono fermata per vedere se stavi bene e ti ho portato a casa mia per metterti al sicuro dalla pioggia e stavo giusto per chiamare l'ambulanza" gli faccio notare mostrandogli il cellulare che tengo ancora in mano.
Sbuffa "dio che casino, non ci voleva".
"Senti...so che non é il massimo svegliarsi a casa di una persona che non conosci e che potresti avere paura di me ma.."
Mi interrompe di nuovo facendo una grossa risata.
"E chi ti dice che non sei tu che dovresti avere paura di me?" Mi lancia uno sguardo cattivo. Inizia a mettermi in soggezione, e mi fa anche preoccupare. Mi invento qualcosa.
"Be sei un mio coetaneo mi sembra quindi cosa potresti farmi?" Lo sfido, non mi piacciono le minacce.
"Oh tu non ne hai idea..." scuote la testa ridendo.
"Vattene, prendi la tua roba e vattene" dico secca. Quella persona non mi piace per niente.
"Ma sentitela, mi investi e fai pure così? Potrei denunciarti per l'accaduto di stasera lo sai?" Rabbrividisco. Non sono i soldi che avrei speso per questa causa a preoccuparmi ma la mia reputazione, e delusione che avrei dato alla mia famiglia. Per di più non sarei mai potuta entrare ad Harvard o Yale con una denuncia nel mio trascorso.
"Allora cosa vuoi che faccia?" sbotto.
Si alza dal letto e viene verso di me. 
"La cucciolina é spaventata..." 
"Non sono una cucciolina ne niente di simile" 
Mi arriva vicino, troppo vicino, riesco a distinguere ogni sfumatura azzurra dei suoi occhi.
"Davvero?" sussurra con voce ammiccante.
Lo odio, non lo conosco e già lo odio, presuntuoso e antipatico...eppure non riesco a non guardarlo. Non so cosa di lui mi attrae, però é così, e per un momento avrei scommesso che intorno a noi non c'era nulla, se non solo i nostri sguardi. Il mio cuore salta un battito e per un attimo mi manca il respiro. 
A un tratto, ride, allontanandosi da me.
"Lo sapevo, già ti piaccio".
Ora basta. 
"Non ti sopporto, ti stai prendendo gioco di me?" urlo.
"Ehi ma che ti urli...guarda che sono qui. Tranquilla non me ne vado" mi fa l'occhiolino.
"Ma chi ti credi di essere? Il mondo non gira intorno a te, sei presuntuoso e maleducato! Molto maleducato!" mentre mi fiondo su di lui con le parole, vedo che inizia a vacillare e a tenersi la testa con la mano, per un attimo penso che faccia finta, ma poi inizio a preoccuparmi davvero.
"Cos'hai?" chiedo.
"N-nient-e..." cade, ma io sono più veloce e lo afferro. Si lascia a peso morto. Lo rimetto sdraiato sul letto e gli poso la mano sulla fronte.
"Ma tu scotti..." corro a prendere il termometro, in seguito glielo metto sotto il braccio.
"Come ti preoccupi subito mammina..." il tono era stanco.
"Puoi smetterla di dire stronzate anche quando stai male?" sorride.
Il termometro suona, spalanco gli occhi alla vista del numero.
"Hai 38 e 2 di febbre... come hai fatto a fare lo spavaldo fino adesso?"
"Trucchi del mestiere" risponde ad occhi chiusi.
"Ma smettila...piuttosto, cosa facciamo? Dovrai rimanere per forza qua stanotte oppure chiamo l'ambulanza, potresti avere qualche danno all'interno".
"No" dice secco "nessuna ambulanza, domani me ne andrò appena mi sveglio" 
"Mh, come vuoi, ma dovresti farti una doccia calda, oltre ad essere ancora bagnato dalla pioggia fredda sei anche sporco essendo caduto a terra".
Mi guarda "anche tu sei ancora bagnata, ci facciamo la doccia insieme?".
"Se non stessi male ti avrei già tirato un pugno. Vado a prepararti la doccia e prendere un accappatoglio per te, io me la farò dopo".

Leo pov.

Merda.
Solo io posso mettermi in queste condizioni. Già immagino la faccia di Erik e Nicolas appena gli racconterò sta storia. Tra l'altro chissà cosa stanno pensando di me adesso, non penso siano preoccupati, perché sanno che so come cavarmela in quasi tutte le situazioni.

Apro il rubinetto della doccia. Appena sento l'acqua calda sulla mia pelle gelida sento uno di quei forti momenti di sollievo che raramente provo. 
Quando inizio a insaponarmi noto un cerotto nella mia mano destra. Non so perché sorrido. Deve essere stata lei...
Chissà perché ha fatto tutto questo per me. Io, fossi stato al suo posto, me ne sarei andato lasciando chiunque avessi investito lì dov'era. 
Be forse é stato meglio che non sia come me, o adesso mi troverei ancora sull'asfalto con altro che la febbre a 38 e 2...
Questo non cambia che é solo una ragazzina viziata, poi ha dato a me del presuntuoso quando lei pensava subito che a me piacesse, l'ho visto subito dalla sua faccia appena mi sono avvicinato a lei.
Pff...
Però...é carina. I suoi lunghi capelli neri lo sono, e anche i suoi occhi nocciola chiaro, e la sua bassezza, e le labbra carnose, il suo nasino leggermente all'insù, le guance paffute e...
"Ou, fermati Leonardo" mi dico rinsavendo un attimo.
É carina si, ma niente di più. 

Esco dalla doccia e dopo essermi asciugato mi metto un pigiama che mi diete quella ragazzina, probabilmente é uno di quelli del padre. La maglia mi sta larghissima e il pantalone devo allacciarlo bene con l'apposito cordino alla vita o mi cadono.
Mi sento ancora male e con qualche giramento di testa ma, ora mi sento davvero molto meglio. 

Esco dal bagno con i miei vestiti e vado in camera sua, la trovo seduta sul letto, ancora bagnata, con il cambio in mano.
"Metti il pantalone ad asciugare sul termosine insieme alla tua giacca di pelle" dice, e senza aggiungere altro va diretta in bagno.
"Va bene piccola" sento la porta sbattere, infastidita da come l'ho chiamata, e io non posso che ridere.

Dopo di che, mi infilo sotto le coperte, con l'insana curiosità di scoprire dove avrebbe dormito lei.

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Capitolo 2
*** Anticipo ***


Claire pov

Dopo essermi lavata e asciugata mi vesto del mio pigiama con gli orsacchiotti. Non può essere definito sexy o tanto meno adulto, lo so, ma che dire...a me piace, e anche se so già che quel ragazzo antipatico mi prenderà in giro non mi importa.
Ora che ci penso, non ci siamo ancora detti i nostri nomi.
Spalanco la porta della camera e lui si gira di scatto.

"Come ti chiami?" dico con ancora la mano sulla maniglia.

"Leonardo. Leonardo di Caprio. E tu, orsacchiotta?" mi chiede osservando divertito il mio pigiama.

"Claire Myers" rispondo porgendogli una pastiglia. Lui non la prende, mi guarda soltanto.
"Vuoi avvelenarmi?"

Roteo gli occhi al cielo "É per la febbre. Domani appena ti svegli ti sarà già passata con questa".

L'accetta, e con l'acqua che avevo sul comodino (una bottiglietta che avevo lasciato lì il giorno prima) la ingoia.

"Penso che stanotte dovrò dormire nel letto...con te" dico un po imbarazzata "stai male e se dovesse servirti qualcosa almeno non c'é bisogno che tu gira per casa per trovarmi, in più entro domani mattina non ti sarà passata la febbre quindi..."

"Si si non c'é bisogno che ti cerchi altre scuse per rimanere nel letto qui con me"

Stringo i pugni "Sei proprio uno  scemo io lo dicevo per te. Se vuoi vado sul divano non c'é problema" dio, ci tiene proprio a farmi perdere la pazienza.
Ride. "Tranquilla rimani pure, in fondo é il tuo letto. Ma guardati, sei diventata rossa".

Lo lascio perdere o so che continueremo all'infinito. Spengo la luce lasciando solo entrare quella della luna dalla grande finestra.

Faccio il giro del letto per andare dal mio lato, alzo il piumone e mi ci 'involucro' come un involtino primavera. Ovviamente lascio il massimo che posso di distanza tra me e lui, in mezzo potrebbe starci anche una terza persona.

"Ho la febbre, non la peste"

 "Ma dai? Lo so. Non stiamo insieme però e non ti conosco neanche, sto facendo tutto questo solo perché mi sento ancora in colpa per averti quasi ucciso" dico tagliente e seccata.

"Wow, come sei esagerata" il suo tono era con un aria da superficialità, e la cosa mi diede solo fastidio.

"Stai scherzando? Potevi morire, per colpa mia. Quando conta per te la vita scusami?"

"A me non interessa" dice facendo  spallucce.

"Cosa, la vita non ti interessa?" chiedo sempre più confusa.

"No, morire non mi importa. Per avere vent' anni ne ho viste tante...e passato dei momenti che vorrei solo poter dimenticare. Mi piace la vita, mi da cose e emozioni nuove, ma se morissi domani non mi interesserebbe perché la mia vita l'ho già vissuta a pieno, non sentirei la mancanza di nulla."

Rimango stupita. Se solo dovessi pensare di morire domani vado in paranoia e sicuramente depressione. Semplicemente perché devo avere ancora così tante emozioni nuove da provare, come il diploma, una bella proposta di lavoro, i viaggi per il mondo...o...l'amore.

Una metà di me ammira il coraggio che usa nel dire queste parole, l'altra metà lo vorrebbe picchiare per essere così menefreghista sul dono della vita. Così, vince la metà arrabbiata.

"Come puoi dire così. Nascere é la cosa più bella che potesse capitarci, io vorrei arrivare fino a cent'anni per non sprecare ogni attimo che arriva, bello o brutto che sia".

Anche se c'è solo il chiaro di luna nella stanza, riesco a vedere la sua faccia diventare turbolenta, quasi infastidita.
"Ci credo che dici così. Guarda che casa che hai, e posso immaginare com'é la tua famiglia, ben educati che ti porgono tutto su un piatto d'argento appena vuoi qualcosa...be io non ho avuto questa bella vita come te, ragazzina viziata".

Vorrei tanto insultarlo per come mi ha chiamata, più che altro il modo in cui lo ha fatto, ma non riesco a dire nulla perché in realtà mi sento una stupida. Ho giudicato tutto senza neanche sapere, e ovviamente non gli chiedo sul suo passato visto che si vede non essere il suo argomento preferito.

"Approposito...perché ci sei solo tu a casa?" mi chiede come se qualche secondo prima non avesse detto quello frase.

"I miei sono fuori per lavoro. E mia sorella più piccola é con loro" rispondo secca senza dare altre spiegazioni, tutto a un tratto non ho più voglia di parlare.

Mi giro dandogli le spalle.

"Claire?"

Sbuffo."Dimmi"

"Grazie"

Non posso crederci, in tutta la sera quello é stato l'unico momento in cui era...serio. E senza un velo di ironia.

Mi rigiro verso di lui. Tiene la testa verso l'alto, poi, la volta verso di me. Ci guardiamo, e di nuovo mi sembra che non ci sia nient'altro apparte noi, i nostri sguardi. 

"Prego" rispondo, semplicemente.

Dopodiché, ci addormemtiamo entrambi, con il leggero rumore del vento che si scaglia sul vetro della  finestra.

La suoneria del telefono é forte e insistente. Apro gli occhi e la luce del mattino mi acceca. Con una mano mi copro gli occhi e con l'altra cerco il cellulare sul comodino. Finalmente lo prendo e senza neanche vedere chi é rispondo.

"Pronto?" dico sbagliando.

"Claire buongiorno! Sono tua madre. Volevo avvisarti che ci hanno rimandato quell'affare di lavoro, perció ieri siamo andati solo a Disney World siccome ormai eravamo in viaggio" a quelle parole il sonno mi passa in un mezzo secondo.

"Oh..em...tra quanto siete qui?" balbetto un po.

"Una decina di minuti"

Immediatamente guardo al mio fianco l'ospite insolito e non desiderato. Nonostante la suoneria e la mia voce dorme ancora profondamente.

"Ho capito, a dopo allora" mi affretto a dire staccando la chiamata senza darle il tempo di rispondere.

Senza perdere un istante mi alzo e con prepotenza butto giù tutta la coperta. Leonardo si rannicchisce dall'inaspettato fresco che lo ha invaso.

"Ma che stai facendo..." ansima addormentato.

"La mia famiglia sta vendendo qui ora" sputo tutto in un colpo.

"Mh...quindi?"

"Quindi tu non dovresti essere qui! Io non avrei dovuto investirti ieri sera e non avrei dovuto farti venire qui a dormire. Mio padre mi ammazza se vede un ragazzo con me sul letto, specialmente se di quel ragazzo non gli ho mai parlato ed é uno sconosciuto anche per me!" dico alzando di poco la voce, sia perché sono incredula che me lo abbia chiesto davvero, e sia per svegliarlo del tutto.

Finalmente apre gli occhi degnandomi di uno sguardo.

"Va bene ho capito" sospira.

"Vado a prendere le tue scarpe di sotto, nel frattempo muoviti a vestirti coi tuoi indumenti, poi dovrai uscire più veloce che puoi dalla porta" detto questo mi fiondo al piano di sotto e prendo i suoi scarponcini ancora un po umidicci. Salgo su e lo vedo ancora con il pigiama di mio padre. Almeno ha tirato su il piumone...

"Muoviti a metterle" gliele do in mano.

Fa una faccia un po disgustata "sono ancora bagnate che schifo" mi giro verso di lui intanto che se le mette.

"Ma fai l'uomo!"

All'improvviso sentiamo il rumore della chiave e la porta d'ingresso principale aprirsi. Per un attimo ci guardiamo terrorizzati.

"Tesoro siamo a casa!" urla mia madre. "Claire dove sei? Devo raccontarti troppe cose belle!" continua mia sorella.

"Cazzo cazzo..." impreco tra me e me mentre lo spingo verso la finestra.

"Ma che vuoi fare sei pazza?" dice con gli occhi spalancati.

Gli faccio segno col dito di stare zitto "Shhh. Non c'é altro modo ormai!".

La apro e butto giù i suoi vestiti che erano ancora sul termosifone.

"Ehi i miei vestiti!"

"Avevi solo da metterli quando ti dissi di farlo".

"Claire sei viva?" il vocione di mio padre lo spaventó, facendolo immediatamente sedere sul davanzale.

"Guarda te cosa mi tocca fare..."

"Zitto e muoviti" dico iniziando a sudare freddo.

Per sua fortuna, c'é un grande albero di fronte alla mia camera, con tantissimi rami grossi e forti, perfetti per arrampicarsi. Da piccola era uno dei miei passatempi preferiti, ci giocavo a fare l'avventuriera. Poi ho smesso quando mia sorella inizió a volerlo fare anche lei, allora le dissi che io stavo sbagliando ed era pericoloso, così diedi il buon esempio e non me lo chiese più.

Leonardo, con un attimo di tentennamento, allunga una mano, affermando uno dei rami, successivamente fa lo stesso con l'altra e inizia a spostarsi di ramo in ramo sempre più velocemente.

Qualcuno bussa alla porta della mia stanza.

"Sei qui sorellina?" la dolce vocina di Mary mi fa sussultare. In un mezzo secondo chiudo la finestra e trascino la tenda.

Ho giusto il tempo di asciugarmi il sudore dalla fronte e fare un respiro profondo.

La porta si apre e lei corre verso di me. Mi abbraccia.

"Mi sei mancata" noto che porta un cappello con le orecchie di Topolino. La stringo a mia volta. "Non ci siamo viste solo per un giorno" le sorrido.

A suo seguito entrano i nostri genitori, William e Nora. "Tesoro perché non rispondevi?" chiede mia madre vedendomi in contro a braccia aperte.

"Be ero ancora mezza addormentata..." cerco di trovare una scusa plausibile. Mio padre viene a darmi un bacio sulla guancia. "Ti vedo ben riposata bambina mia".

Si, sapessero che notte ho passato...

Mi limito a sorridere.

"Facciamo colazione ho fame" dice Mary cercando di trascinarmi dal pantalone del pigiama.
"Giusto! Scendiamo tutti a mangiare" esulta mia madre come se avesse detto di aver trovato l'oro.

Pertanto, ci spostiamo tutti al piano di sotto, e mentre preparo il latte, penso che questa mega novità devo dirla assolutamente a qualcuno, e chi é migliore di Grace per questo?

Leo pov.

Non so se sia dovuto alla medicina della notte prima, Il buon riposo o all'adrenalina, ma adesso stavo correndo come non mai.

Non perché non volevo che suo padre o sua madre ci vedesse insieme nel suo letto nonostante non ci conosciamo, quello è l'ultima delle mie preoccupazioni, se ho fatto tutto di fretta è stato solo per accontentare quell'isterica.

No, sto correndo perché il mio cellulare segnava 45 chiamate perse da un numero in anonimo. So benissimo chi era, Erik e Nicolas mi hanno cercato da ieri notte. Non usavamo mai i nostri veri numeri di telefono, troppo rischioso. E questo, richiedeva anche che se perdevo la chiamata non potevo rintracciarli, essendo anonimo. Devo raggiungerli il prima possibile, prima che prendano provvedimenti seri alla mia scomparsa. O peggio, che informino il capo.

Così, quella mattina del sedici settembre, mi sono ritrovato alle otto del mattino a correre nel quartiere di case più costose, grandi e belle della città, con persone che già a quell'ora stavano in giro, chi a passeggio col passeggino, col cane, chi portava la spesa, chi a braccetto con il partner o chi faceva esercizio. Non importa cosa stessero facendo, tutti si sono fermati a guardarmi. Non li biasimo, in fondo, sto correndo come un pazzo, con la mano sinistra stretta ai pantaloni ancora del pigiama del padre di Claire enormi, a ogni passo scivolavano e mi si vedeva un quarto di chiappa - siccome la sera prima dopo la doccia non le misi per comodità- lo posso sentire dal venticello fresco che mi tocca ogni secondo in quella zona. Sotto il braccio destro i miei vestiti aggruzzulati ancora caldi per il termosine - con tanto delle mie mutande belle in vista - e la mano che tiene stretto il telefono con il GPS acceso, per capire che strade prendere verso la mia meta. Avevo appena interrotto la loro normale, e a parer mio noiosa, quotidianità di persone fighette che si scandalizzano se sua figlia non è più vergine a venti anni.

Dio, quanto non sopporto questo genere di persone.

Le loro facce confuse e aggrottate mi fanno scoppiare a ridere, ma mi fermo subito perché devo risparmiare aria per i polmoni, rendendomi conto di tutta la situazione: In poche ore, sono stato investito, svenuto, portato a casa di una sconosciuta, uscito da una finestra, e ora correvo con quasi il culo di fuori. 'Neanche fossi in un film...' Eppure, dopo queste disavventure improvvise, mi sento felice. È proprio ciò che non mi aspetto, a farmi divertire.

Sorrido. "La vita è bella!" urlo, attirando ancora di più la loro attenzione.

Riesco ad arrivare fino a fuori del quartiere - finalmente non mi sentivo più un pesce fuori d'acqua circondato da tuta quelle chicheria - poi per non farmi venire un coccolone, mi fermo. Il cuore sembrava galoppare all'impazzata come un cavallo, a momenti lo sentivo in gola quasi stesse per uscirmi. La fronte completamente bagnata dal sudore, le gambe tremolanti come una foglia. Per qualche secondo sono assordato dalle palpitazioni e il respiro affannoso. Quando mi calmo, l'occhio cade subito su una vetrina di fronte a me, riflettendo in modo nitido la mia figura: dovevo, per prima cosa, assolutamente rimettermi i miei vestiti. Anche perché, non c'è la facevo più a sentirmi cadere i pantaloni.

'Il problema è...dove mi cambio?'

Come prima opzione penso al bagno di un bar, ma ricordandomi che in questo posto non puoi a meno che non consumi, lascio perdere. Ironia della sorte, ieri ho intascato almeno 300 dollari in una volta sola, e oggi non ho neanche un dollaro per prendermi un caffè. Continuo a scutarmi intorno: l'unico posto che pareva ben imboscato, era un vicolo cieco molto lungo e pieno di cassonetti. Dó un ultima e breve occhiata in giro, non vedendo troppe persone rispetto a dove ero prima, non ci penso su troppo e vado lì diretto.

'Ti tocca Leo...'

Mi ci dirigo fino in fondo e mi posiziono accovacciato dietro al bidone più grande. In fretta e furia mi cambio, non solo perché dovevo fare in fretta e qualcuno poteva sempre passare di lì con i miei gioiellini di famiglia in bella vista, ma specialmente perché il freddo mattutino si stava facendo intenso ora che non correvo più scaldandomi di conseguenza, e avevo iniziato a tremare.

Rivestitomi dei miei indumenti, mi sento meglio e di nuovo me stesso. Niente poteva separarmi dalla mia amata giacca di pelle. Afferro il pigiama e apro il cassonetto dietro a cui mi sono nascosto, tanto non avrei più rivisto quella viziata per poterglieli riportare. Noto però dall'altra parte del muro delle piccole cianfrusaglie, tra cui anche una coperta, che non essendo dentro l'immondizia mi fanno presupporre ci si rifugi un senza tetto. Chiudo il cassonetto e ripiego gli indumenti, posizionandoli sopra il plaid del povero sfortunato. Almeno avrebbe avuto dei vestiti in più ed erano sicuramente più utili a lui che alla discarica.

Esco da quel vicolo buio e strabuzzo un po' gli occhi per riabituarmi alla luce. Il sole sembra più prepotente del solito. Sblocco il telefono, c'era ancora la schermata del GPS. Osservo bene la mappa e capisco che devo andare dall'altra parte della città, al nostro ritrovo e, se così possiamo dire, il nostro ufficio.

Faccio un respiro profondo per mettermi l'anima in pace di tutta la strada che mi aspettava. Poi, dopo essermi scrocchiato per bene testa, braccia e gambe, ricomincio a correre imperterrito, diretto alla fermata del pullman.

Claire pov.

Parentesi graffe, tonde, radici quadrate, somme, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni e tutti i numeri positivi e negativi non mi si vogliono togliere dalla testa. Ormai vedevo tutto sottoforma di numero. La professoressa Flores, come un incantesimo, mi ha stregata in quelle due ore di lezione e spiegazioni non facendomi capire più nulla. Mi sono sentita completamente rimbambita. Mi correggo, una maledizione, più che incantesimo. Me la sono sempre cavata in matematica nonostante non sia tra le mie materie preferite. Ma la Flores aveva un modo di spiegare davvero complicato e dittatoriale, e già non essendo una materia facile non ti aiutava. Ho dovuto applicare tutte le mie forze mentali per starle dietro. Risultato? Una Claire zombie.

"Mi stai forse ignorando?" la voce squillante di Grace mi fa rinsavire un poco.

Mi stropiccio gli occhi con la mano "No, scusami, dicevi?" per quanto non era mia intenzione, la stavo effettivamente non ascoltando. Ma faccio comunque finta di niente lasciandola continuare, so quanto odia essere ignorata.

"Ti stavo chiedendo quale cibo prendi, io non so cosa mangiare" mi dice osservando i piatti di fronte a noi nella vetrina con sguardo indeciso.

Ero stata così ipnotizzata dalla Flores, che in quei dieci minuti in cui sono uscita dalla classe e avviata in mensa con la mia amica suonata la campanella, non li realizzai neanche. Scuto le pietanze. Mi è bastata un occhiata per decidere in fretta. "Prenderò le polpette, ovviamente" di gran lunga il mio piatto preferito, e vedendole lì belle gustose, mi sento fortunata e appagata allo stesso tempo per quelle due ore di tortura. Decisamente un premio.

Grace ride "Già, dovevo immaginare la risposta", sospira "io invece sono indecisa tra pasta o cotoletta..."

"Uno di polpette e uno di pasta per favore" mi rivolgo al cuoco della mensa, tirando fuori dal portafoglio la somma giusta che poggio poi sulla mano di esso.

"Ma...ehi!" Grace mi diede una leggera pacca sulla spalla "ti avevo detto che non sapevo cosa scegliere!"

"Appunto. Quando sei indecisa ci metti le ore anche per decidere un dentifricio..." alla mia affermazione il cuoco ride, Grace lo guarda con un sopracciglio alzato. Rotea gli occhi spostandosi uno dei suoi indomamibi lunghi ricci rossi che le era caduto davanti alla faccia. "E va bene, in fondo è un po' che non mangio carboidrati"

Presi i nostri vassoi, ci andiamo a sedere al tavolo più lontano ma anche più luminoso, essendo posizionato davanti a delle grandi vetrate con vista sull'esteso cortile scolastico. Tutti i tavoli sono bianchi e alcuni hanno dei divanetti rossi Ferrari per sedersi. Poiché quello li aveva, era ancora di più il nostro tavolo più ambito. Neanche il tempo di mettermi comoda, che afferro coltello e forchetta.

"Non scappano mica eh" il modo in cui lo disse, mi fece ridere sonoramente.

"È che sono troppo buone!" dico già con la bocca piena alla prima forchettata.

"Io mi chiedo come fai a non ingrassare..." mi fissa con i suoi occhi verdi ammirati mentre assaporavo ogni morso.

"DNA delle donne Myers" dico dandomi delle piccole pacce sul petto "e poi, manco fossi grassa che parli così"

"Certo lo so, ma sono comunque più in carne di te" si imbocca con una bella manciata di penne al ragù "non che mi importi, amo troppo il cibo per privarmene"

"Così ti voglio! La prossima volta che ti vedo piangere di fronte a una rivista di modelle in costume, ti dò uno schiaffo!" la minaccio puntandole il dito contro.

Lei lo scosta dalla sua faccia "Non fai paura a nessuno Claire, sei troppo buona, e ti ricordo che successe cinque anni fa! Ero nella solita fase che può venire agli adolescenti non a loro agio con il loro corpo, e in più ero anche più grassottella di così, quindi figurati"

Mi ricordo di quando stesse male in quel periodo -breve, ma intenso- spesso aveva anche attacchi di panico. Mi diedi della stupida. Forse non avrei dovuto aprire il discorso anche se partito da una sciocchezza.

"L'importante è che ora ti piaci, e soprattutto che continui a mangiare come hai sempre fatto" c'era una nota di preoccupazione nella mia frase.

"Puoi stare tranquilla" mi fa l'occhiolino. Vederla così sicura di sé, mi dà un piacere enorme.

"I tuoi genitori non dovevano tornare domani?" dice a un certo punto dal nulla, e non capisco da dove l'abbia capito che fossero tornare prima. Alzo la testa dal mio piatto e noto che mi fissava il polso. Giusto, Mary mi aveva portato un piccolo braccialetto con la forma della faccia di Topolino come regalo, e ovviamente avevo detto a Grace che sarebbero andati a Disney world.

Immediatamente ho un flashback: capelli biondi, occhi azzurri, sguardo intenso, battute irritanti.

Sgrano gli occhi, non le avevo ancora detto nulla. Volevo farlo, ma la lezione di matematica mi distraó completamente. Incredibile ma vero, me ne ero dimenticata. Deglutisco. Come posso iniziare? Quale sarebbe stata la sua reazione?
"Sai...ieri sera quando tornavo da casa tua..." ho iniziato a parlare senza pensare come continuare. Rimango zitta per qualche secondo.

"Continua" mi incita vedendomi bloccata.

Picchietto il dito sul tavolo "Ecco...ieri..."

Alza un sopracciglio e mette le braccia conserte "Così mi preoccupo"

Inizio a sorridere nervosamente, ma le parole non mi escono e non capisco perché, eppure davanti a me ho la persona più importante della mia vita subito dopo Mary.

Sbuffa "E dai...non avrai mica ucciso una persona!" sbotta impazientita.

Il mio corpo lo sento gelarsi, la guardo con gli occhi spalancati.

Da quasi arrabbiata che era, fa una faccia di preoccupazione pura.

"O mio dio...non mi dire che...tu..." sospira affannosamente.

"No!no!" mi affretto a dire e la mia bocca sembra sbloccarsi.

Fa un sospiro di sollievo. "Tu sei pazza a farmi prendere questi infatti"

Deglutisco più rumorosamente di prima. "Però..."

Mi lancia uno sguardo ancora più confuso, curioso e irritato perché stavo allungando il brodo. Stava zitta, aspettava solo che io parlassi.

Prendo coraggio e le dico tutto senza pensarci troppo.

"Ero in macchina. Tornavo a casa. Pioveva a dirotto, non vedevo nulla, ma a quell'ora chi poteva esserci in giro? Sono stata incosciente e non ho diminuito la velocità... è stato un attimo...ma non è colpa mia se un pazzo corre in mezzo alla strada non guardando se passano macchine!" alzo la voce alzando le mani in segno di resa.

"Shh!" mi fa il gesto di abbassare la voce, un paio di studenti dietro di noi si girarono. Ma non disse altro, voleva solo che io sputassi il rospo.

Mi schiarisco la voce e parlo con tono basso, forse troppo " e va bene si, ho investito una persona...ma non immagini come sia andata successivamente. Ero troppo spaventata per portarlo in ospedale, sia perché avrebbero iniziato a fare domande e avrebbero saputo tutto, di conseguenza non potevo rischiare che qualcosa intoppi il mio percorso per il tipo di università in cui voglio andare. E poi, casa mia era più vicina, aveva bisogno di essere portato subito al caldo e all'asciutto perciò..."

"Lo hai portato a casa!?" mi interrompe, stavolta attirando lei l'attenzione.

"Shh!" la imito.

"Scusa scusa, continua" porta il busto in avanti avvicinandosi di più.

"Ho dovuto okay? È stato d'istinto...l'ho curato, si è lavato, aveva la febbre alta gli ho dato una forte Tachipirina. Non puoi capire quanto mi sentissi un infermiera. Se n'è andato stamattina dalla finestra perché i miei genitori per l'appunto sono tornati prima e..."

Scoppia a ridere, interrompendomi "E va bene Claire, me l'hai fatta questa volta, ci stavo davvero crendendo"

Rimango zitta, la guardo soltanto. Capiva quando ero seria.

La sua risata si strozza "O cazzo è successo davvero!?" sbatte le mani sul tavolo per lo stupore.

"Perché dovrei mentire su questo?"

Si mette le mani in faccia come l'urlo di Munch "Ma aspetta! Entra nei dettagli! Com'era questa persona? Di cosa avete parlato? E poi cosa vuol dire che si è lavato? Ha fatto anche la doccia a casa tua!? E...e... è uscito dalla finestra!?"

Più che una chiacchierata mi sembra un interrogatorio, ma mi diverte vederla impazzire di curiosità.

Mi schiarisco ancora la voce, ma prima che potessi iniziare a spiegare tutto con calma, vengo interrotta una seconda volta, stavolta, non da Grace.

"Posso unirmi a voi, ragazze?""

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Capitolo 3
*** Nuovi orizzonti ***


Leo pov.

Quasi due ore più tardi, arrivo in uno dei quartieri più degradati della città, ovvero la mia destinazione.
Due ore in cui non ho fatto altro che imprecare contro lo scarso servizio dei mezzi pubblici. Non solo ho dovuto aspettare 25 minuti il cazzo di pullman, ma il guidatore sembrava essersi pure preso tre pasticche di xanax. Per non contare la gente discutibile che saliva come passeggero. Anche se, forse, il passeggero più discutibile per tutto io il tragitto ero io. Se solo quella vecchietta a fianco a me avesse saputo quello che faccio e quello che sono, non sarebbe stata così tranquilla, e non mi avrebbe offerto quella caramellina al miele.
Per fortuna la tecnologia non ci ha ancora fornito la possibilità di leggere la mente.

'per fortuna mia, o della vecchietta?'

Ad ogni modo, ora posso fare un bel respiro di sollievo.
Un po' strano siccome mi trovavo a mio agio in una zona dove vedi ogni giorno persone bucarsi le vene nei vicoli, gente ubriaca che urla e fa la pipì ovunque neanche fossero cani, ladri all'ordine del giorno, risse a volontà, edifici vecchi non curati, nelle maggior parti degli alloggi non funziona qualcosa, e la polizia vederla era più unico che raro.
Il motivo? Semplice, hanno paura, e per giustificarsi usano il solito : 'é una zona abbandonata a se stessa, i cittadini non vogliono essere aiutati vogliono rimanere in quello che sono, sarebbe inutile tentare ogni volta, l'ignoranza è troppa'.

Eppure, io, mi ci sentivo così a mio agio. Questo voleva dire che facevo parte di quella spazzatura a cui mi trovavo davanti?
Forse, ma in quella spazzatura ci sono cresciuto.

Ho camminato altri dieci minuti, e un po' d'ansia inizia a salirmi quando mi trovo davanti alle scale dell'edificio in cui mi stavano aspettando i miei compagni, ma guardando poi l'ora sul telefono, realizzo che non posso perdere altro tempo, altri pochi minuti in più mi potevano essere costati cari.
Mi ritrovo a correre, ancora una volta, per sette piani di scale.
Qualcuno si era divertivo a rompere l'ascensore. Un forte odore di erba, alcool, nicotina, e quel odore di chiuso tipico dei vecchi edifici non curati mi invade le narici ai primi scalini, ma stranamente regna il silenzio.
Probabilmente erano tutti mezzi inconsci strafatti.
Quelle scale che mi sembrano interminabili finiscono, e non mi dó il tempo di riprendere fiato, che giro la maniglia, sapendo la porta essere aperta, ed entro.

Chiudo la porta dietro di me di quell'appartamento, uno dei tanti che il nostro capo Stefano Marchese ha in possesso. Il suo scopo, è quello di essere il meno visibe possibile, perciò comprò più appartamenti nelle varie zone dell'intera città, ma il principale che chiamavamo 'nido' era quello. Più che altro perché lì appunto, la polizia era difficile incrociarla. Le informazioni quindi, e la loro incolumità stessa, erano più al sicuro.
Era un piccolo alloggio, come tutti gli altri che ha comprato, non molto arredato, anzi per niente, lasciato un po' a se stesso, ed erano tutte caratteristiche che dovevano avere i nostri covi, sempre per la questione della visibilità e non dare troppo nell'occhio.
Questo dà l'entrata a una cucina di dimensioni medie che fa anche da soggiorno, ha le mattonelle rosse ai muri, coperti da nessun colore, tutti i mobili che ci sono, sono in legno (compreso il pavimento) ,giusto un tavolo, quattro sedie, la cucina, poi sulla destra c'è un piccolo corridoio, col bagno e stanza da letto, una stanza vuota, ed anch'essi di piccole dimensioni.

Stavo per salutare i miei compagni, ma fui prevenuto e successe tutto velocemente. Nicolas, da che era seduto coi gomiti sulle ginocchia e testa bassa, al suono della porta chiudersi alza lo sguardo su di me, e i suoi occhi grandi color nocciola (capelli ricci di ugual colore) mi guardano con ...'stupore? felicità?' Sorride. Si alza e viene subito verso di me con le braccia allargate.
"Leonardo! Lo sapevo non ti eri cacciato nei guai!"
Gli sorrido a mia volta, ma Erik, che se ne stava con le braccia incrociate appoggiato al tavolo al centro della stanza, evidentemente decide di rovinare l'atmosfera, venendo a sua volta incontro a me, ma essendo 20 centimetri più altro di noi (io e Nicolas abbiamo la stessa altezza più o meno) con tre passi mi arriva immediatamente a un passo da me, precedendo il nostro amico.
Non capivo, fino a quando neanche un secondo dopo mi sferra un pugno nella guancia sinistra.

' Aia. '

Manco a dirlo, non ho il tempo di reagire, che mi prende dal colletto della maglia, e con un passo deciso viene verso di me facendomi sbattere violentemente la schiena contro la porta.

' Aia. Cazzo.'

Poi, si avvicina fino a quando i nostri nasi non si toccano. Mi fissa in cagnesco dall'alto in basso con i suoi occhi verde scuro dallo sguardo tagliente. Le mani ancora ben salde al tessuto della mia maglia.

"Si può sapere che fine avevi fatto!?" mi urla, e le mie orecchie stonano un po' vista la vicinanza.

"Io-" non posso continuare, mi dà uno strattone che mi fa sbattere nuovamente la schiena contro quella superficie legnosa.

"Hai idea di quanto ci siamo preoccupati? Non sapevamo più che fare, e ringrazia che non abbiamo informato il capo!"

Nicolas, che in tutto questo tempo era rimasto a bocca aperta e le braccia ancora tese in aria, si decide a smuoversi.
Afferra Erik dalle braccia, tirandolo verso di sé per cercare di farlo mollare la presa su di me. Ma il paragone tra i due non c'è, e ovviamente continua a tirare invano.

"Smettila Erik! Adesso basta! Stai anche urlando!" Quello che gli disse era un po' quello che volevo dirgli anche io, in parte almeno, quindi lo ringraziai mentalmente. Per quanto fosse un po' capitan ovvio.

Erik grigna i denti. "Sei solo fortunato. Perché tra non molto il capo entrerà. Qualche minuto in più e dovevi dargli una spiegazione."

Mi si drizzano i capelli e tutti i peli che ho in corpo. Ultimamente Marchese era più strambo e apatico del solito. Le sue punizioni le dava per un niente e anche abbastanza dure, figurati se non l'avrebbe data a me, che quasi mi facevo scoprire dopo che sono stato investito da un auto perché non sono stato attento. Un azione da stolti, che non avrebbe perdonato facilmente. Se scoprono uno di noi, scoprono tutti.
È inevitabile.
La posta in gioco era alta, non dovendo più contare solo sulla propria vita.

'é vero, sono stato fortunato.'

"Grazie ragazzi. Sapevo non avreste fatto la spia. Non subito, almeno." L'unica cosa che mi uscì dalla bocca.

Non so dire se Erik si ammorbidì o cosa, ma dopo un altro paio di occhiatacce, mi lascia andare allondanandosi di due passi. Si mette una mano nei suoi capelli castano scuro sempre scompigliati (almeno erano corti o chissà quanti nodi)
"Giuro, a volte vorrei ammazzarti 'di Caprio."

Mi stiracchio di un poco il collo e braccia viste le sue strattonate.
"Ti voglio bene anch'io amico" gli faccio l'occhiolino mentre mi tocco la guancia dolorante.

"Tz. Sei sempre il solito" dice tornando alla sua solita posa a braccia conserte.

Nicolas mi dà un breve abbraccio, con la felicità che aveva perso prima.
Quando si stacca mi guarda da su a giù e fa una constatazione.
"Leonardo ma...sei tutto asciutto. Come è possibile se ha piovuto tutta la notte? Dove sei stato?" Non é in tono interrogatorio, ma semplice curiosità, ormai lo conosco bene.

'e ora, che gli dico?'

Deglutisco guardandomi intorno quasi alla scoperta di quello che dovevo fare.

'verità...o bugia?'

Abbasso lo sguardo. "Fidatevi. Non mi credereste. Lasciamo stare questo inconveniente per favore. Ora sono qui, non importa come." Opto per una seconda verità. Alla fine era così, non mi avrebbero mai creduto se avessi detto che sono stato investito ma allo stesso tempo soccorso da una ragazza. Avrebbero pensato me lo fossi inventato per farmi il figo. Sicuro...

"Quindi non vuoi neanche darci uno straccio di spiegazione dopo il peso che ci hai dato?" Erik alza un sopracciglio, stava iniziando ad alterarsi di nuovo.

Prima che ciò accada, Nicolas tenta di salvarmi nuovamente per la seconda volta. Gira le testa verso di lui.
"Ha ragione. Adesso lui è qui questo è l'importante. E anche il capo tra poco sarà in questa stanza, quindi meglio per noi se cambiamo discorso o stiamo del tutto zitti." Scandisce con tono fermo.

Erik mi guarda, sopracciglia corrucciate. "Ti ho già detto che ti odio, vero?"

Forse è rischioso, ma una risatina mi uscì spontanea. La faccia di quest'ultimo diventò rossa come i mattoni attorno a noi e la sua maglietta e Nicolas si mette una mano in faccia scuotendo la testa.
Voglio addolcire gli animi, soprattutto in vista dell'arrivo del boss, per cui mi dirigo a uno scomparto della cucina e tiro fuori una bottiglia già aperta di whisky e la poso sul tavolo. Dopo aver preso anche tre bicchieri gliene verso un po' e ne dó uno a entrambi i miei amici.
Prendo il mio in mano e lo alzo al cielo.

"Alla salute"

I miei compagni mi imitano.

"Alla salute"

Quando quel liquido intenso scende per la gola, mi sembra che tutto dentro di me stia collassando. Ho fatto un sorso troppo lungo, probabilmente anche loro, e ci troviamo a tossire all'unisono.
Gli occhi ci erano diventati rossi e lacrimavano mentre le bocche cercavano aria fresca. Come degli stupidi ci diamo pacche sulla schiena l'uno all'altro, quando smettiamo di tossire scoppiamo a ridere.

"E noi saremo dei malavitosi?" dice Erik.

"Se ci avessero visti adesso non saremo presi sul serio" continua Nicolas.

Torniamo a prendere i bicchieri in mano e ne versiamo altro per un secondo round, con ancora le nostre risate a spezzare il silenzio.

"Si può sapere cosa c'è di così divertente?"

Una voce ci spiazza immobili sul nostro posto e la serietà scese tutto di un colpo.
Non si sa come, non siamo riusciti a sentire i passi di Marchese entrare, e neanche la porta. Era vestito come un cittadino qualunque, giacca nera, jeans, scarpe da ginnastica, un uomo di 46 anni che non dimostrava la sua età, barba, pelle con poche rughe olivastra, occhi scuri come i capelli, sempre tirati all'indietro con un codino. Un odore di colonia si sparse per la stanza.

"Buongiorno capo" diciamo noi tre in coro, senza però posare il nostro amato bicchiere di whisky.

"State festeggiando qualcosa?" Ci chiede lui, notando la bottiglia.

"No capo, avevamo solo voglia di un bicchierino" si affretta a rispondere il riccio.

"Capisco. Ne gradisco anche io uno" il tono è fintamente accomodante, sapevamo fosse un ordine il suo e non una richiesta.

"Certo" dice Erik avvicinandosi a prendere un bicchiere che mise poi sul tavolo di fronte a me. Io apro la bottiglia, e attento a non fare gocciolare fuori, ne verso una buona quantità. Il mio amico dagli occhi verdi riprende in mano il bicchiere, e gliel'ho porta.

"Molto gentili" fa un sorso, e noi lo assecondiamo. Poi posa il bicchiere, e anche la borsa da ginnastica grigia che portava in mano, sul tavolo.
La apre e tira fuori dei sacchetti neri un pó pesanti, ne dà tre a ciascuno.

"È il totale diviso del compito di ieri sera sommato a quelli delle ultime due settimane." Non c'era bisogno ci informasse, sapevamo bene ormai cosa ci fosse dentro. Ma ci teneva a chiarire ogni singola cosa.

"Grazie" in coro, di nuovo.

"Ve li siete guadagnati." sorseggia ancora. "Leonardo, tutto bene?" Continua col bicchiere davanti alla bocca. Per un attimo sono in confusione fino a quando non sento il dolore sulla faccia, stava iniziando a pulsare. Erik mi guarda di sottecchi.

"Si capo, assolutamente" dico senza far passare troppo tempo o lo avrei insospettito di sicuro.

Lancia uno sguardo fugace a tutti e tre quasi per studiarci e capire senza fare domande. Penso che però visti i precedenti delle risse tra di noi anche per cazzate, lo abbiano tratto allo conclusione che ci sia stato uno di quei normali battibecchi tra compagni.
Grazie a Dio, non approfondì oltre.

"Mh" si avvia alla finestra alla nostra sinistra fermandosi e guardando al di fuori.

"Gli affari vanno bene, ma ho intenzione di andare su nuovi orizzonti." dice ricevendo solo sguardi confusi da parte nostra.

"Si...potrebbe spiegare meglio?" Nicolas ebbe il coraggio di chiederlo.

Fa un sorso. "Dobbiamo ampliare il nostro mercato."

"In che senso, capo?" Continua Erik.

'ma che ha in mente adesso questo pazzo?'

"Dai miei informatori ho saputo che nella zona ricca della città, domani si terrà una cena con molte delle famiglie più altolocate presenti qui." Si accende una sigaretta e apre la finestra. "La casa in cui si avverrà è proprietà di Ian Clark, sposato con Wilma Clark e un figlio, Thomas Clark di 18 anni."

Fugacemente guardo i miei amici. Siamo uno più confuso dell'altro, non capiamo dove voglia andare a parare.

"Insomma, sarà un posto che pululerà di persone ricche. Molto, molto ricche." Fa un tiro, e sorseggia un altro po'.

"Quindi faremo incursione e...faremo una rapina a tutti i membri delle famiglie?" Chiede incerto Nicolas.

"No. Voi non vi farete proprio vedere."

Se non voleva fare una rapina, c'era solo una cosa che mi poteva venire in mente.

Decido di parlare "non mi dica che...lei vuole...che noi..."

È vero, da quando ne ho memoria ho subito violenze, visto sangue, perso molte persone, sono diventato una persona senza scrupoli, con il solo interesse di vivere senza nessun regime ma solo a modo mio, mi piace giocare con le persone per arrivare al mio scopo...ho fatto delle cose cattive.
Io sono cattivo.
Eppure anche io ho un limite. Ho un limite perché ho ancora un senso di umanità e in qualche modo so quando si esagera. Che poi io me ne fottessi e esagerassi lo stesso è un altro conto, ma ci sono delle cose che un essere umano non può fare a una loro essere umano. Perciò, quasi non ci crederti, alle parole del capo.

"Si. Voi vi intrufolerete, e prenderete in ostaggio uno dei figli di codeste famiglie. Non importa chi, se maschio femmina, alto basso, moro biondo, non ci interessa. Se è figlio di uno importante allora va bene chiunque. A noi interessa il riscatto."

Fa un ultimo sorso di whisky.

"Effettueremo per la prima volta un rapimento."





Claire pov.

Immobili, entrambe giriamo solo la testa lentamente in direzione del nostro disturbatore.

Thomas Clark, da tutti chiamato Tom, un ragazzo alto almeno 1.80, spalle larghe, capelli molto corti neri, occhi nocciola incorniciati dagli occhiali.
È uno degli alunni con la media più alta della scuola, e nessuno sapeva come fosse possibile, o meglio dove trovasse il tempo, siccome le sue attività extra scolastiche sono numerose. Mai un giorno che si sentisse dire abbia passato un pomeriggio sul divano. Ma dato il suo cognome era prevedibile. I Clark erano tra le famiglie più ricche e imprenditoriali della città. Qualche gradino più alto anche dei Myers. Inevitabile che i suoi genitori si aspettassero tanto da lui.
Ma nonostante più delle volte sembrasse un robot intento a svolgere i suoi compiti, era un ragazzo molto socievole, e nei momenti in cui poteva respirare un po' da tutti i suoi impegni (come quello) cercava sempre di approfittarne e avere più compagnia possibile.
Aveva fatto amicizia praticamente con tutti in classe, ma la sua compagnia preferita rimaneva quella di Grace e Claire.
Avevano cominciato a parlarsi il primo anno di liceo, quando furono uniti loro tre in gruppo per una ricerca di storia. Per una settimana intera dopo scuola andavano a turno a casa di uno di loro, e tra una chiacchiera e l'altra di intermezzo tra gli studi, nacque così un'amicizia.

"Certo! Siediti pure" esclamo dopo qualche secondo di puro silenzio che stava iniziando a diventare imbarazzante. Avevo preceduto Grace, che a giudicare dalla sua faccia sembrava volesse inventare una scusa per farlo andare via, solo per farmi continuare la storia. Ma siccome davanti a noi avevamo Tom e non un qualsiasi altro studente, mi pareva davvero brutto non farlo accomodare con noi. La rossa avrebbe dovuto aspettare un po' di più per saziare la sua curiosità. Ci lanciamo un occhiata veloce, che sapevamo volesse dire 'ne parleremo dopo'.

"Ho interrotto qualcosa?" Chiede Tom prendendo posto accanto a Grace, la quale non avendo ancora detto nulla (strano per come è fatta lei) e la sua strana espressione, si insospettì.

"No!no!" mi affretto a rispondere, portandomi poi una polpetta in bocca, Grace fece lo stesso con la sua pasta. Entrambe con un sorriso tirato.

"Non me la raccontate giusta... però, come volete" fa spallucce.

"Oggi petto di pollo?" chiedo a quest'ultimo notando il suo piatto, anche per cambiare discorso.

"Purtroppo sono a una dieta ferrea per gli allenamenti...mi tocca" mi risponde tagliando in piccoli pezzi la sua carne in modo simmetrico.

"Devi essere sempre ordinato su tutto?" commenta Grace, che finalmente ha iniziato a parlare anche lei.

"Invidiosa della mia capacità di precisione?" ride.

"Nah, la trovo una cosa noiosa essere attento a che tutto sia in ordine"

"Ecco spiegata la condizione della tua stanza..." Interpretai io.

"Il disordine può mettere a proprio agio le altre persone, non tutti sono come Tom"

"Intendi una persona ben curata?" controbatte lui.

"No...intendevo noioso"

Rido mentre Tom le dà un finto schiaffo sulla spalla.

"Allora Claire, pronta per dopo?" mi chiede Clark dopo che finisco il mio ultimo boccone.

Alzo il sopracciglio "dopo?"

"L'interrogazione di diritto, non ricordi?"

Mi dó uno schiaffo sulla faccia. "Cazzo...non era domani?" incredibile, quel biondino mi aveva fatto dimenticare ogni cosa.

"No e avevi anche detto di aver studiato" mi dice quasi in tono da rimprovero.

Alzo gli occhi al cielo "Infatti è così...ma diciamo che ho bisogno di una ripassata, e ora non ho più tempo" dico guardando l'orologio della mensa.

"Sei la solita" scuote la testa.

"Ammettilo che ci godi in questo, così ancora una volta sarai il primo della classe" lo punzecchia Grace.

"Tutt'altro, proprio perché so che è intelligente voglio si applichi a pieno e non si sprechi".

"Papà sei tu?" commenta la rossa.

"Divertente...sei solo invidiosa perché non sei al nostro stesso livello"

Grace fa la finta offesa "come ti permetti quattr'occhi?"

"Mi permetto eccome, pel di carota"

Scoppio a ridere "non cambiate mai"

"Ma guarda un po', c'è Ricky, sta guardando da questa parte, avanti Grace salutalo" nota Tom dando piccole gomitate a quest'ultima per incitarla, sapendo che ha una cotta per questo ragazzo.

"Cosa!?" esclama lei e tutti e tre guardiamo Ricky in automatico, ed effettivamente nel mezzo della fila della mensa, sembra stesse guardando verso di noi.

La rossa fa un sorriso accennato, quasi più una smorfia, poi gira la testa di scatto verso di noi. Aveva sul viso lo stesso colore dei capelli. "Per favore smettetela di guardarlo" ci bisbiglia.

"Perché bisbigli? Guarda che non ci sente da là" le fa ricordare Clark.

"Ah... già"

"L'amore ti rende ancora più stupida"

Immediatamente Grace gli pesta un piede.

"Aia!! Ma sei sce...."

"Ripetilo e ti schiaccio anche l'altro piede"

"Ehm...non vorrei dire ma così state attirando l'attenzione" dico lanciando occhiate ai miei amici e alle persone intorno.

"Se fai così suppongo non vieni domani..." commenta Tom massaggiandosi il piede.

Entrambe lo guardiamo e quasi telepaticamente diciamo insieme la stessa cosa.

"Domani? E dove?"

"I vostri genitori ancora non ve lo hanno detto?" chiede stranito, e visto il nostro silenzio prosegue.

"Le famiglie della nostra zona hanno deciso di fare una cena insieme, siccome si vogliono tutti conoscere meglio, e poi sai come siamo noi ricchi, ci piace avere molti contatti altolocati. Si farà a casa mia siccome è la più grande" si gira verso Grace "e si, c'è anche la famiglia di Ricky"

Il suo sguardo si illumina "Non potevi dirmi una cosa più bella!" Lo abbraccia stretto.

Lui rimane quasi esterrefatto, siccome i gesti di affetto tra loro due erano più unici che rari. "Ehm...prego?"

"Non gli hai neanche mai parlato, è la volta buona questa" commento

"Hai ragione!" poi, in cinque secondi finisce l'euforia "e...se mi blocco come sempre?"

"Se è così ti farò conoscere un amico" dice Clark sistemandosi gli occhiali

"Amico?"

"Si, si chiama Alcool, penso possiate andare d'accordo"

Lei alza semplicemente un sopracciglio, probabilmente lo terrà in conto.

Nei venti minuti successivi parliamo e parliamo, cambiando ogni genere di discorso, fino a quando Grace non guarda l'ora.

"Manca un quarto d'ora e si ricomincia le lezioni, Claire vieni con me? Mi voglio fumare una sigaretta prima di rientrare"

Faccio solo sì con la testa, e dopo aver salutato il nostro amico che tanto avremo rivisto da lì a poco, usciamo sul cortile.

Ci sediamo in una delle tante panchine di legno vicino al posacenere pubblico per gli studenti, si accende una sigaretta e ne offre una anche a me, anche se tanto sa l'avrei rifiutata, come sempre.

"Allora...dicevamo?" mi guarda, e io prendo una bella boccata d'aria.

Le raccontai tutto, per filo e per segno quasi come uno sceneggiatore sa fare. Dissi tutta la vicenda senza mai interrompermi tra uno sguardo confuso e curioso dietro l'altro della mia amica.

Nel mentre la mia bocca parlava, la mia testa aveva un pensiero fisso:

Non mi sarebbe mai più successa una cosa del genere.
Lui non lo avrei mai più rivisto.

È stato tutto solo uno scherzo del destino. Come due strade parallele che non si sarebbero mai dovuti incrociare, e che se questo capitasse tutto inizierebbe a sbarellare.

Ma tanto non lo avrei mai più rivisto...giusto?


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