Remember When

di Dearly Beloved
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** There was joy, there was hurt ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Il cliente ***



Capitolo 1
*** There was joy, there was hurt ***


There was joy, there was hurt







L’aria, nell’elegante sala ricevimenti gremita di altrettanto eleganti personaggi, era piena solo ed esclusivamente delle note calde e intense del larghetto di Chopin. Per gli invitati, immobili e silenziosi, il tempo sembrava essersi fermato.
Oltre quella musica, pareva non esistesse più altra forma di bellezza che valesse la pena di soffermarsi a contemplare. Non ne valevano la pena gli abiti eleganti, gli splendidi gioielli, le decorazioni floreali alle pareti.
Adrien Agreste era diventato molto più avvenente di quanto il suo aspetto gradevole di adolescente avesse potuto suggerire anni prima. Le sue belle dita sfioravano le note del pianoforte con estrema delicatezza e passionalità, quasi come stessero amando una donna.
Ma la malinconia di quel notturno lo spogliava di ogni corporeità, rendendolo in grado di insinuarsi nell’animo dell’uditorio, etereo ed al contempo tangibile, come nelle narici il più amabile e seducente dei profumi. Carezzava le loro pelli come un sospiro, si faceva spazio tra i pensieri, scivolava lungo le tende appena smosse dalla lieve brezza, smussava gli spigoli della stanza e quelli sui volti degli ospiti. Tutto appariva come illuminato da una diversa luce, gentile, discreta, che con estremo garbo sembrava opporsi alla sfrontatezza con la quale il sole si stagliava al centro del cielo di quel caldo mezzogiorno. Per pochi minuti, quei sei quarti scandirono il tempo delle vite di tutti i presenti, e al di fuori di essi non esisteva nient’altro.
L’ironia della sorte voleva che il giovane fosse ben consapevole della sua abilità di esecutore, ma non aveva mai permesso alle proprie emozioni di prendere voce nell’interpretazione di un brano, o almeno, mai prima di allora.
Invece, eccolo lì, a stregare chi credeva di conoscerlo da sempre con un ardire inusitato, una spontaneità di certo sconveniente per chi come lui aveva da sempre vissuto nella più impersonale e insindacabile delle eccellenze.
Quelle erano le uniche parole che gli erano rimaste per gridare al mondo quanto amore era stato in grado di provare, e non c’era modo che alcun uomo o donna al mondo potesse privarlo di esse. Soprattutto adesso che lei era lì e poteva sentirlo.
A pochi passi dal pianoforte e dal pianista, una giovane coppia ascoltava trattenendo il respiro.
Alya e Nino si stringevano le mani emozionati.
Non avrebbero potuto ricevere regalo più bello, nel giorno delle loro nozze.
Lentamente, il brano si avviò alla sua conclusione, liberando poco a poco il pubblico dal suo incantesimo e consentendogli di trovare la forza per profanare quel silenzio sacro con un applauso entusiasta.
Solo una giovane donna, in piedi qualche passo indietro, non vi prese parte. Preferì rimanere con gli occhi chiusi e un lieve sorriso dipinto sulle labbra rosee. Teneva entrambe le mani poggiate sul cuore, la frequenza alterata.
La sposina si asciugò le lacrime con il dorso della mano, mentre lo sposino, in un impeto di entusiasmo, le stampò un tenero bacio a fior di labbra, pur sapendo quanto ciò, se fatto in pubblico, imbarazzasse la sua compagna di vita.
Ricevette, infatti, un doloroso pugno al centro dello stomaco che lo fece piegare in due, scatenando l’ilarità e le risate di parenti e amici.
Guardando distrattamente la scena, Adrien non poté fare a meno di sorridere, ancora seduto sullo sgabello, incapace di emettere un singolo suono o di spostarsi di un millimetro. Era ancora dentro la sua musica, come anche la donna che, incurante dell’allegria generale, era rimasta in piedi ad occhi chiusi, sorridente, le mani sul cuore.
Gli occhi verde smeraldo del pianista si posarono con estrema tenerezza sulla sua figura esile, avvolta in uno splendido abito rosso della tradizione cinese. Era solo un paio di centimetri più alta di quanto la ricordasse, forse per merito del leggero tacco, e portava i capelli sciolti, poco più lunghi del solito. Adrien si chiese divertito se li avesse pettinati così solo per l’occasione e nel quotidiano li raccogliesse ancora in quelle adorabili codine come ai tempi del liceo, o se invece fosse diventata troppo adulta e sofisticata per quel genere di acconciatura.
Era splendida.
Si erano incontrati quel giorno per la prima volta dopo sei lunghissimi anni, e lui non si era meravigliato nello scoprirsi ancora capace di guardarla in quel modo. Non aveva mai sospettato, neppure per un secondo, che quei sentimenti si fossero affievoliti.
Marinette si decise ad aprire lentamente le palpebre e la prima cosa che il suo sguardo incontrò fu quello del giovane.
Smeraldo e zaffiro si incastrarono alla perfezione, fatalmente per entrambi, ancora una volta.
Il sorriso di lei si spense, ma mosse piano due passi nella sua direzione, quasi automaticamente. Gli occhi di Adrien non riuscivano a scostarsi di un millimetro dai suoi e ogni cellula del suo corpo vibrava dall’emozione.
E poi altri due, incerti.
Deglutì, senza smettere di fissarla, mentre il tempo sembrava aver rallentato inverosimilmente.
E ancora due, prima di… andare a sbattere contro un cameriere che passava di lì frettolosamente e che non poté evitare che due bicchieri di vino bianco le macchiassero l’abito.
«Oh…» Adrien si alzò di scatto, facendo come per andarle incontro.
Ma si fermò in tempo.
A soccorrerla, l’aveva preceduto il suo compagno.
Adrien non poteva sentire cosa stessero dicendo di preciso, ma immaginava che Marinette stesse balbettando qualche scusa, imbarazzatissima come suggeriva anche il colorito paonazzo che aveva assunto, mentre Nathaniel Kurtzberg la rassicurava sorridente; lo vide prendere i fazzoletti di stoffa che il cameriere aveva porto loro, ringraziando e congedandolo. Lei, con quei meravigliosi occhi azzurri, ora guardava lui, ispirando tanta dolcezza… Sembrava una bambina sorpresa a compiere una marachella.
Non era cambiata per nulla. Sempre tanto distratta e maldestra.
L’emozione nel suo sguardo si spense, e il suo posto venne preso da un grosso nodo alla gola, impossibile da sciogliere.
Quando Marinette si voltò ancora nella sua direzione, non lo trovò più.
Le parve di sentire la terra venir meno sotto i suoi piedi e iniziò a spostare ansiosamente lo sguardo da un punto all’altro della sala.
Aveva deciso di avvicinarsi a lui, pochi istanti prima, senza sapere neppure come sarebbe stato corretto salutarlo, o se ne sarebbe stata in grado. Eppure non desiderava altro, da molto tempo.
«Marinette, cerchi qualcuno?»
La voce affettuosa di Nathaniel la riportò alla realtà.
«Oh, no… No, mi sembrava di aver visto Alix, te la ricordi, no?» mentì, a disagio.
«Certo,» mormorò confuso, ricordandole: «l’abbiamo salutata poco fa, con Kim, ma adesso credo siano entrambi in terrazza. Invece non abbiamo ancora salutato Mylene Haprele e Adrien Agreste…». Mormorò quel nome distrattamente, simulando di dargli scarsa importanza e prendendola per mano. Marinette ricambiò la stretta, abbozzando un sorriso malinconico.
Non aveva mai amato nessuno come Adrien, e non ne sarebbe più stata in grado nemmeno in futuro. Questo, il suo Nathaniel lo aveva accettato da tempo, ma sapeva anche che lei sarebbe rimasta al suo fianco. Se l’erano promessi, e insieme avevano raggiunto un’armonia invidiabile agli occhi di tutti. Non esistevano ombre o gelosia tra loro, e anche il passato era ben noto a entrambi; non c’era nulla da temere.
«Ragazzi, eccovi!» Alya, raggiante, prese per il braccio Marinette.
«Scusa Pomodorino, mi presteresti la mia testimone per qualche foto in giardino?»
La moretta annuì con entusiasmo, e Nathaniel lasciò la sua mano sorridendo a entrambe.
«Grazie al cielo era solo vino bianco,» scherzò schiacciandole l’occhio, «o nelle foto il tuo vestito sarebbe stato immortalato come un’opera di arte contemporanea».
«Cos’hai fatto con il vin… Aaaah, preferisco non sapere! E poi guardate che anche il bianco macchia, zucconi!» scosse la testa Alya rassegnata, scrutando l'amica da testa a piedi e ridacchiando. «Ogni foto verrà debitamente corretta, non temere Marinette».
«Siete davvero simpatici, entrambi!»
Marinette mugugnò ancora qualcosa gonfiando le guance, in segno di protesta, poi sorrise al compagno e si lasciò trascinare dall’amica verso il giardino del locale.
Il sole aveva ricominciato a splendere sfacciatamente. Marinette pensò che magari volesse anche lui festeggiare il matrimonio di Alya, ma tutta quella luce… le faceva un po’ male al cuore.
«Sai, all’inizio non mi convinceva, ma…» iniziò la sposina rallentando, con tono ammiccante, una volta lontane dagli invitati, «ti vuole davvero molto bene, tu sei – dio, Marinette – tu sei un incanto, lui è carino, insomma…  in fin dei conti funzionate».
Marinette ridacchiò scuotendo la testa.
«Oggi devi essere tu a ricevere le congratulazioni, non io.»
«Beh, sai, ci stavo riflettendo prima, mentre Adrien suonava…», le parole di Alya richiamarono quelle note alla mente di Marinette e il suo cuore mancò un battito, mentre l’amica continuò, «La piega che prende la vita certe volte è davvero strana. Io e Nino ci siamo innamorati in maniera molto insolita, mentre lui all’epoca avrebbe desiderato uscire con te…», Alya si interruppe per sorridere a trentadue denti, al ricordo di quell’indimenticabile pomeriggio allo zoo, «Eppure eccoci qua, al nostro matrimonio, sette anni dopo. Non è sorprendente?».
Marinette annuì, emozionata al pensiero di aver visto sbocciare e crescere l’amore tra quei due amici così importanti, e si attaccò in uno slancio d’affetto al braccio di Alya, ridacchiando.
La riccia le diede una piccola pacca sulla testa, e proseguì con il suo discorso: «E tu, invece, così innamorata di Adrien da sempre, alla fine hai ceduto al corteggiamento del tuo più affezionato spasimante. Anche tu, insomma, adesso sei al fianco di una persona che non ti saresti mai, mai, mai aspettata, finalmente adulta, dopo aver scacciato via i sogni romantici e immaturi dell’adolescenza, ma sempre pronta a fare a spallate con Chloé Bourgeois pur di prendere al volo il mio bouquet. Insomma, anche una casinista come te, grazie a quel timidone laggiù, è riuscita a trovare un po’ di stabilità. E non c’è nulla di più bello di quando la maturità e i sogni romantici, in un instante ben preciso che attendi da sempre, finalmente si incontrano e iniziano a combaciare, insomma, è da quel punto in poi che inizi a costruire… tutto, il futuro, una famiglia. E ciò avviene sempre nella maniera più inattesa. La vita è davvero sorprendente, eppure… per quanto sembri strano persino a me, forse questo era il finale più giusto per me e Nino, come lo è per te, Adrien, e Nathaniel».
Alya concluse il discorso con tono speranzoso, ma il suo entusiasmo si smorzò non appena si voltò a cercare il responso dell’amica e incontrò i suoi occhi pieni fino all’orlo di lacrime.
«Oh, cara…»
«Sembrava che stesse suonando per me, Alya, s-sembrava…»
La riccia rimase in silenzio per qualche secondo, fissandola con aria sconvolta. Poi, la trascinò per un braccio sotto un gazebo, lontano da sguardi indiscreti, e lì la strinse con tutte le sue forze tra le braccia.
Marinette continuò a singhiozzare a lungo, con il viso nascosto in quell’abbraccio e protetta dalle materne carezze di Alya, la quale, invece, aveva assunto l’espressione tormentata e colpevole di chi aveva fallito nel compito di proteggere un amico.
«Mi hai fatto pensare per tanto di quel tempo che fossi felice così… accidenti.»
A quella frase, Marinette prese un respiro profondo, cercando di parlare e riuscendoci con estrema difficoltà.
«P-perdonami Alya, non è colpa tua, ma mia, e sua, è che… era per me, capisci? Per me…»
La guardò negli occhi quasi in cerca di conferme, con disperazione. Li aveva gonfi e arrossati.
«Non so se fosse davvero per te, Marinette… ma ammetto di averlo pensato anche io, per un secondo», disse cauta, invitandola a sedersi su una sedia a dondolo, all’ombra del gazebo, e prendendole posto accanto.
«Da quando sei partita per Londra, non ho più capito molto di questa storia. Mi sono fidata ciecamente dei tuoi racconti, ma per quanto Nathaniel sia riuscita a digerirlo molto lentamente, non avrei mai potuto immaginare che, dopo tutti questi anni, ancora tu…»
«Io amo Nathaniel», mise in chiaro con decisione.
«Ma forse non ne dovremmo parlare adesso,» Marinette si alzò in piedi, asciugandosi frettolosamente le guance con il dorso delle mani, ancora tremante e con fare concitato, «non in un giorno tanto bello, e poi hai degli ospiti di là che ti aspettano, il photoset, oh cielo, non ci stavano aspettando per quelle fot-?».
Alya la trattenne con decisione per la mano.
«Scappa da chi vuoi. Da Nathaniel, da Adrien, ma… non scappare da me.»
Marinette, estenuata dall’ennesimo tentativo di nascondersi, riprese posto accanto a lei, e inspirò profondamente.
«L’ultimo anno di liceo… lo ricordi? È stato un anno meraviglioso, per quanto… complicato. Ma crescere non è mai facile, e la sua bellezza sta proprio nella sua difficoltà.
Eravamo tutti così eccitati al pensiero del futuro che ci avrebbe attesi fuori dal Lycée Dupont.
Io desideravo proseguire nel settore della moda a qualsiasi costo, era il mio sogno più grande. Ricordi il mio sketch-book? Il mio primo portfolio…
Inviai a inizio anno una lettera per richiedere un colloquio in quella prestigiosa scuola londinese, allegando i miei lavori. Passarono così tanti mesi senza che io ricevessi alcuna risposta, che dimenticai persino di averla spedita.
Poi la corsa al diploma, le liti continue, le feste e le nostre avventure quotidiane.
Ad esempio, ricordi quando…

 

 

 

 

Note dell’autrice svitata:
Non so che mi è preso, lo giuro. Anni di inattività per poi iniziare due long contemporaneamente la stessa settimana, cosa che non avevo mai fatto nella vita.
E di là c’è sempre il mio libro di anatomia I che mi ricorda che io ho un esame a inizio Settembre.
Mi sento come Tom Hanks alla fine di The Circle, quando con un sorriso serafico constata: “Siamo fottuti”.
Non so perché l’ho fatto. Ma mamma mi quanto è bono Adrien quando suona il piano, lo vediamo sempre tirare di scherma ma mai suonare il piano (o almeno, questo vale per me che di ff su Miraculous ne ho lette quattro in croce, magari qui ci si ricama assai su questa cosa ma io non lo so, e in quel caso, perdonatemi: sono semplicemente innamorata di lui come tutto il resto del fandom).
Avevo una voglia enorme di scrivere un’ AU semplice semplice di questo genere, e la cosa più grave è che mentre scrivevo mi è venuta un’idea decisamente migliore di questa – sì, sì, tutti così dicono – che mi tengo in caldo per il futuro… forse.  Se non me la dimentico prima (no, non è vero, l’ho appuntata). Comunque questa terza idea sarà certamente meno deprimente delle prime due.
(Abbasso l’allegria media della sezione, mi sa). Ovviamente dal prossimo capitolo parte il super flashback.
E’ perché ascolto canzoni tristi mentre scrivo alle tre del mattino. Stavolta, Remember When di Alan Jackson, che in realtà è un po’ malinconica ma proprio tanto dolce.

“Eh, sì, ma che c’entra con quello che hai scritto?”
Beh, domanda legittima, ma, hey, questo è solo il primo capitolo.

Al solito, fatemi notare tutto quello che non va, o quello che magari va, perché sì, un giorno di questi potrei anche scrivere qualcosa di buono (ma quel giorno non è oggi).

Grazie infinitamente per aver letto fin qui e per avermi sopportata in queste note, sono una gran chiacchierona.

Sempre grata,
Dearly B.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Il cliente ***


Capitolo 1

Il cliente



Era ottobre del 2015, avevo 17 anni, e delle borse sotto gli occhi che per poco non sfioravano il pavimento.
Da qualche tempo avevo grossissime difficoltà a prendere sonno, e se ci riuscivo, i miei incubi avevano sempre un unico volto: Adrien Agreste, il biondino insipido che si era trovata quella snob di Chloé, ed era evidente ai miei occhi che non fosse solo il colore di capelli ad accomunarli.
Da quando era arrivato lui a scuola, suo padre, il grande stilista Gabriel Agreste, aveva preso particolarmente a cuore le sorti del Lycée Dupont. Non avrei mai pensato di valutare il comportamento di un genio come monsieur Agreste, e d’altronde non era mica un peccato disporre dei mezzi per assicurarsi che la scuola frequentata dal proprio prezioso primogenito maschio, nonché unico erede dell’impero della moda Agreste, fosse all’altezza del compito di istruire cotanto prodigio. E a disporne, perché non utilizzarli?
Il lycée non se la cavava male, nessuno sin da prima dell’intervento di Agreste l’avrebbe mai potuto considerare un istituto di serie B, ma di recente aveva tutti i riflettori puntati addosso.
Il biondino insipido sembrava aver ricevuto un’istruzione di altissimo livello dai suoi insegnanti privati, negli anni trascorsi a casa, e non poteva di certo abbassare il tiro per stare al passo di noialtri comuni mortali.
I prof dovevano sentire la pressione di quella situazione ben più di noi studenti. Le spiegazioni procedevano a ritmi serratissimi, e sempre più spesso ci trovavamo di fronte consegne tremendamente impegnative, e con scadenze a brevissimo termine.
«Perché quelle facce abbattute? » ci chiedeva Madame Mendeleiev dopo averci assegnato l’ennesimo infinito progetto di scienze, con due gonfie borse violacee – molto simili alle mie – sotto  gli occhi e un filo di voce, fingendo rilassatezza, e soprattutto di non sapere di starci condannando a trascorrere notti insonni sui libri.
«Come se questo metodo di verifica fosse una novità per voi! »
E infatti lo era. Lo era davvero.
Tutta quella situazione doveva essere insostenibile anche per lei, ma... per una volta ero troppo impegnata ad avere compassione di me stessa, per provarne anche per lei.
Dal mio canto, ci tenevo moltissimo a rimanere al passo con la scuola, non sono mai stata il tipo che si arrende facilmente di fronte alle difficoltà, e oltretutto non mi andava a genio l’idea di mandare alle ortiche anni di buoni risultati con dei voti bassi proprio in prossimità del diploma.
Ma la stanchezza mi rendeva sempre più approssimativa nello studio… e iniziavo a sperare con tutto il cuore che anche la Mendeleiev fosse stanca abbastanza da non farci caso.
L’unico ad accettare di tutto senza battere ciglio, e a portare sempre a termine e senza sbavatura alcuna i suoi compiti, era proprio quell’alieno di Agreste junior. Anzi, molto spesso sembrava genuinamente di buon umore mentre riempiva le pagine della sua agenda di mille compiti diversi, in evidente contrasto con le nostre espressioni di scoramento assoluto. Una volta ci avevo sbirciato dentro e avevo letto una cosa tipo: “Set fotografico alle 15”, “Lezione di cinese alle 17” e “Scherma dalle 18 alle 20”.
In tutta onestà, mi chiedevo se fosse realmente possibile per un essere umano sostenere quei ritmi e non collassare il primo giorno della settimana.
«Quel damerino dà proprio sui nervi. »
«Dai Nino, lascialo stare, non ne vale la pena…»  provò a calmarlo Alya dandogli una pacca sulla spalla, ma il suo tentativo venne praticamente ignorato.
«Proprio oggi. Doveva chiedere a Madame Bustier proprio oggi un chiarimento su Zola, esattamente trenta secondi prima del suono della campanella, costringendoci a rimanere in classe per la mezz’ora successiva! »
«Quel ragazzo è uno un po’ per i fatti suoi ma…» tentò di nuovo la mia amica quanto più diplomaticamente possibile.
«Quel ragazzo è un secchione, di quelli che non fanno nemmeno copiare ai compiti in classe, te lo dico io! Ed è in combutta con la sua ragazza per rovinarci tutti! »
Qualche passo dietro di loro, pigolai appena: «…ma dove le trovi le energie per arrabbiarti? »
«Te lo dico io dove! », Nino si voltò in mia direzione con gli occhi lucidi, «Sono i morsi della fame che mi tengono in piedi. I miei sono fuori Parigi e appena arriverò a casa mi dovrò mettere ai fornelli… quando il mio sogno proibito sarebbe quello di trovare tutto pronto in tavola e fiondarmici sopra… » concluse con tono trasognato, prima di aggrottare di nuovo la fronte: «…e invece Agreste ha rubato mezz’ora al mio pranzo, oppure, se decidessi di pranzare con calma, mezz’ora della mia pennichella pomeridiana. »
«Coraggio Brontolo, hai 18 anni e fai ancora la siesta? » sospirò Alya.
«…non parlarmi come a un bambino…»
Sorrisi tra me e me. I siparietti dei miei migliori amici erano la parte migliore della giornata, o meglio, l’unica che si salvasse.
«Se ti va, » esordii propositiva «possiamo offrirti qualcosa di caldo in boulangerie, così potresti recuperare…» guardai il quadrante del mio orologio da polso «…15 minuti di pisolino? »
Il viso pallido di Nino riprese colore all’istante, «Sei la donna che qualunque uomo vorrebbe sposare, Marinette. »
Incontrai lo sguardo di Alya e iniziammo a ridacchiare.
«Che scemo! », esclamai io.
«Senza speranze! », mi fece eco lei.
Nino calciò una lattina sul marciapiede, indispettito, ma all’occhiataccia di Alya si chinò a raccoglierla, allontanandosi poi di qualche passo per buttarla nel cestino.
«Inoltre, » mi rivolsi alla mia amica sorridendo «se aspetti una mezz’oretta anche tu, mio padre oggi sforna i macaron! »
«Scusa Marinette, ma ho già degli impegni per pranzo…» mormorò abbassando lo sguardo.
«No, no, tranquilla, non volevo metterti in difficoltà» scossi la testa tentando di rassicurarla, «vorrà dire che domani avremo con cosa fare merenda a ricreazione! »
La vidi sorridere incerta. Era molto giù di tono nell’ultimo periodo, un po’ come tutti in realtà, ma non ero abituata a vederla così: Alya era sempre stata quel tipo di ragazza-roccia che reagisce alle difficoltà con piglio grintoso. Non l’avevo vista così abbattuta nemmeno durante la gravidanza della madre, quando, per ovvie ragioni, le era stata affidata la cura della casa. Anche allora aveva assunto una brutta cera, ma non aveva mai sorriso… in quel modo. E ultimamente capitava davvero spesso.
«Ora è proprio meglio che vada, su. »
«Non fai strada con noi fino al parco? » chiese Nino avvicinandosi.
«Vado davvero di fretta! » ridacchiò schioccandomi un bacino sulla guancia, per poi attraversare la strada a passo deciso.
«Buon pranzo ragazzi! », sventolò la mano prima di voltare l’angolo.
Rimasta sola con Nino, per un secondo pensai di chiedergli se avesse notato anche lui qualcosa di strano in Alya, ma mi batté sul tempo, chiedendo con strana concitazione: «Allora Mari, a che punto sei con la ricerca sulla matematica dei frattali? »
«Non la dovevi nominare, Nino! », mi lamentai fingendo di scoppiare in lacrime, teatrale.
Lui ridacchiò apparentemente più rilassato: magari era felice di aver trovato qualcuno disperato quanto lui.
«Finirà mai questo supplizio? »
Per strada parlammo un po’ della ricerca, poi del progetto di scienze e mentre varcavamo la soglia della boulangerie eravamo tornati sull’argomento preferito di Nino in quel momento storico.
«…quindi Agreste ha preso un’altra volta il massimo, e la Mendeleiev si è di nuovo profusa in una valanga di moine insopportabili».
«Mi fa davvero impressione vedere proprio lei così… docile e servizievole con uno studente» constatai perplessa posando lo zaino all’ingresso e invitando Nino a fare altrettanto.
Mia madre stava sistemando i tavolini, mentre papà doveva essere in cucina a sfornare i macaron. In boulangerie sembrava esserci un solo cliente, di spalle e a capo chino, seduto accanto alla finestra, che continuò a consumare il suo pasto senza fare caso a noi. Berretto nero in testa e occhiali da sole al chiuso? Una specie di punk?
«Marinette, bentornata! E… Nino, mangi qui? »
«Nino è nostro ospite! » annunciai, sapendo bene che ai miei avrebbe potuto soltanto fare piacere.
«Buon pomeriggio Sab! » salutò allegramente Nino, «Si vede che l’ora di pranzo è già passata, non c’è mai stato tanto silenzio qua dentro! Forse solo di notte… forse. »
Mamma sorrise «Allegro come sempre! I problemi scolastici non sembrano averti rubato l’entusiasmo». Era ovviamente al corrente della situazione disastrosa in cui ci trovavamo, anche se non ne conosceva le cause.
«In realtà sono distrutto dentro, ma noi veri uomini non lo diamo a vedere! » si finse sbruffone mostrando il bicipite quasi inesistente. Mamma e io scoppiammo a ridere: era buffissimo.
«E scusatemi per l’intrusione, ma il pensiero della cucina di zio Tom ha vinto anche sul decoro. »
Sentimmo una voce gridare allegramente dalla cucina: «Sei il benvenuto figliolo! »
«Ciao anche a te, papà! » urlai io in modo che sentisse.
«Ti voglio bene tesoro! » sentimmo di nuovo.
Ero sempre felice di portare amici a casa. I miei non erano perfetti, come del resto tutti i genitori del mondo, ma eravamo sicuramente una famiglia fortunata: eravamo uniti, ci volevamo bene, e tanto bastava.
L’atmosfera che si respirava nella boulangerie era davvero un toccasana per chiunque sperimentasse quotidianamente lo stress della vita parigina, e questo si sommava alle incredibili doti culinarie di mio padre per attirare una clientela molto vasta. Mamma e papà conoscevano per nome praticamente tutti i loro clienti, e mi chiedevo spesso come facessero a non dimenticarne mai nessuno, dato che da noi passava praticamente tutta la città. Non avrei potuto essere più orgogliosa dei miei genitori e della magia che solo loro sapevano regalare alle persone, che entravano convinte di dover solo acquistare del pane e uscivano con dei sorrisi assolutamente omaggio.
Nino scelse di mangiare una baguette ripiena, mentre io avevo bisogno di zuccheri che arrivassero subito al cervello, e scelsi una brioche e una fetta di torta del giorno.  Mia mamma mi guardò molto male. «Giuro che a cena mangio gli spinaci senza fare storie! » sussurrai divertita.
Poi prendemmo posto a due tavoli dall’altro cliente, e avvicinandomi notai che aveva davanti un vassoio pieno di croissant. A pranzo? Sorrisi: quel tizio ne capiva davvero, anche io amavo fare pasticci poco salutari di quel tipo.
«Comunque, dicevamo di Agreste…»
«Sì, il biondino insipido. »
«Ho una teoria molto interessante», esordì Nino addentando la sua baguette. «Secondo me fa davvero parte di qualche piano di Chloé per renderci la vita un inferno, è troppo strano che solo lei lo conoscesse e che ci fosse tanto in intimità. »
«Lo chiama in un modo ridicolo! » risi.
«Adri-kiiins! » la imitò Nino. «Che fastidio. »
«Chloé ha sempre avuto una sola spalla, ovvero quella sottomessa di Sabrina, che non è cattiva… ma, certo, non si può dire che la loro sia un’amicizia sana…» ragionai ad alta voce, «Quindi se invece questo Adrien ha un rapporto alla pari con Chloé, o peggio, la manipola allo stesso modo in cui Chloé manipola Sabrina… lui potrebbe essere Chloé 2.0! »
Nino rabbrividì, dando voce ai suoi incubi peggiori: «…più ricco, più influente, più cattivo».
«E non suggerisce davvero durante i compiti! » dissi io ricollegandomi a quanto Nino aveva detto all’uscita da scuola. «Durante matematica ero vicina a lui, mi serviva un chiarimento sullo studio della funzione e ha fatto finta di non sentirmi…» mi morsi il labbro inferiore, nervosa al solo ricordo. Avevo distrutto con la forchetta la mia fetta di torta al cioccolato, così carina all’inizio del pranzo… ma la frustrazione era davvero tanta.
«Inoltre mentre la nostra vita va a rotoli, quella di Chloé e quella del damerino sembrano procedere a gonfie vele, e questo non ha senso a meno che non abbiano… una giratempo, che li aiuti a fare tutti i compiti che ci assegnano e a trovare anche il tempo per riposarsi. Spiegherebbe come facciano ad essere sempre freschi come roselline di Maggio. Oppure potrebbero essere raccomandati sul serio. Facile così, ah! » Concluse lui con disprezzo.
Notai che al tizio seduto all’altro tavolo era andato di traverso un boccone del suo croissant. Stavo per chiedergli se stesse bene, ma prima che potessi aprire bocca lo vidi rituffarsi con gran voracità sul suo pasto.
Io dal mio canto non ero affatto felice di parlare con certi toni astiosi, ma la colpa di tutto quello che eravamo costretti ad affrontare quotidianamente da un mese a quella parte doveva pur essere di qualcuno, e quel qualcuno era senza ombra di dubbio Agreste.
Mamma si avvicinò sorridente al nostro tavolo, ma storse la bocca vedendo lo scempio che avevo fatto della mia torta, rendendola immangiabile.
«Più tardi ti faccio una camomilla… rinforzata, credo proprio sia il caso. »
La guardai sconfortata. Avevo accumulato davvero tanta negatività, e certi discorsi non mi aiutavano di certo ad affrontare la situazione con ottimismo.
«Era tutto squisito, Sab! Zio Tom è sempre il migliore! » esclamò Nino alzando di proposito il tono di voce.
«Sei il benvenuto figliolo! » sentimmo urlare di nuovo dalla cucina, e questo sciolse la nostra tensione in una fragorosa risata.
«Beh, e tu invece? » si rivolse poi lei con tono estremamente affettuoso al tizio all’altro tavolo. «Hai mangiato bene, caro il nostro cliente clandestino? »
«…»
Il ragazzo annuì arrossendo vistosamente. Un tipo taciturno, insomma.
Ma mia mamma a quella reazione reagì come di fronte al più bel complimento, regalandogli un sorriso da… da mamma.
Adesso ero un pochino curiosa.
«Per me si è fatto tardi, Marinette», mi ricordò Nino con garbo.
«Oh, già, il pisolino! »
Gli scappò una risatina grattandosi la nuca. «E non potrà durare solo 15 minuti, dato che ho mangiato davvero tanto! »
«Purché non dormi tutto il pomeriggio e domani arrivi impreparato a causa mia! »
Ringraziò i miei, che gli offrirono un pacchetto di macaron freschi, e lo accompagnai alla porta.
«Grazie ancora per oggi, Mari. »
Lo vidi abbassare lo sguardo, vagamente in imbarazzo: allora non era vero che la fame aveva vinto il decoro, probabilmente in fondo aveva davvero temuto che accettando il mio invito avrebbe creato fastidio ai miei. E infatti…
«Prometto che mi sdebiterò, magari… sabato sera. Sabato sera a cena hai da fare? »
Cercai di tranquillizzarlo immediatamente, sorridendo: «Sdebitarti di cosa? Davvero, non dire sciocchezze! »
«I-insisto! »
«Coraggio, non fare complimenti», ignorai le sue proteste imbarazzate porgendogli la cartella. «Non c’è davvero alcun problema, Nino, ti assicuro che per noi è stato davvero un piacere averti a pranzo! E non c’è niente di cui tu debba sdebitarti. »
Nino non rispose, ma lo vidi rabbuiarsi. Doveva tenerci proprio tanto… ma io desideravo che la nostra ospitalità restasse gratuita, e non avrei sentito ragioni.
Ci salutammo anche noi, e io rimasi in boulangerie con i miei e il cliente, che nel frattempo si era alzato per pagare.
Mi misi a studiarlo da lontano: era un tipo alto e asciutto, con le spalle larghe, dei bei jeans che non avevo notato mentre era seduto, e scarpe di marca. Al tavolo, di fronte ai suoi croissant, non dava l’impressione di essere così ben impostato, e neppure di sapersi muovere in maniera tanto elegante. Aveva un atteggiamento decisamente più infantile mentre mangiava.
E doveva trattarsi di uno degli “affezionatissimi”, per beccarsi quel sorriso da parte di mia madre. Emanava un'aura quasi rassicurante, ma decisamente... fuori dal comune.
Oltretutto anche lui sarebbe tornato a casa senza pagare, ospite dei miei, a giudicare dalla conversazione che stavano avendo alla cassa, dove lui sembrava insistere per pagare e mamma lo guardava con la stessa tenerezza che usava con Manon. Alla fine parve arrendersi.
Salutò con estrema educazione sia mamma che papà, il quale per lui non gridò dalla cucina, ma comparve direttamente sulla porta, tutto sporco di farina, per dargli una vigorosa pacca sulle spalle. «Arrivederci, ragazzo mio. »
Addirittura? Mio padre che abbandonava il suo regno per un cliente?
Guardavo la scena senza capire cosa di preciso stesse succedendo, ma di certo si trattava di un evento raro.
«A presto, signori Dupain-Cheng! » salutò di nuovo il tipo, ossequioso.
Poi parve irrigidirsi passandomi accanto, prima di uscire. «A domani, Marinette…»
Quella voce...
Prima ancora che potessi realizzare a chi appartenesse, lui era già uscito.
Rivolsi a mia madre uno sguardo colmo di perplessità, che lei ricambiò altrettanto dubbiosamente.
«…perché? Passerà anche domani? »
«Non credo che si riferisse alla nostra boulangerie, Marinette… ma al fatto che domani avete scuola. »
La situazione era ormai evidente. Perché io conoscevo qualcuno con quel portamento, con quella bella voce e che portava sempre vestiti di marca.
Sperai in cuor mio di aver capito male, e iniziai a sentire freddo. Molto freddo.
«Ma,» ruppe il mio silenzio mamma «come mai prima tu e Nino non vi siete seduti accanto ad Adrien?»






 
 
 
Note della vostra amichevole casinista di quartiere:
Mi andava di fare una follia, e l’ho fatta. Sono le quattro e mezza del mattino, sono in sessione, ma volevo comunque lasciarvi, con mesi di ritardo, il primo capitolo. Come avrete notato la narrazione si è spostata in prima persona, e adesso guarderemo le cose con gli occhi di Marinette diciassettenne.
Ora… a parte le modifiche al prologo, davvero lievi (mi sono fatta due conti facili facili ed è impossibile che a 18 anni stiano ancora al College, per cui adesso si chiama Lycée -coraggio dearly b, puoi farcela-), volevo parlarvi un po’ del casino che ho combinato negli ultimi mesi.
…niente, quindi, uhm, un casino.
Non che questo mi giustifichi, e non voglio promettervi che da domani aggiornerò una volta a settimana… perché non posso, anche se mi piacerebbe.
Ma voglio dirvi che sono stata felice del “successo” (se così possiamo chiamarlo) che ha avuto il prologo. Questo capitolo è più striminzito e scritto frettolosamente, ma spero che non deluda eccessivamente le vostre aspettative. I vostri pareri sono preziosissimi per me, e sono felice che dopo anni e anni su fandom sperduti, senza ricevere neanche mezza recensione l’anno (non scherzo), alla fine sia sbarcata qui, dove ho trovato tante persone che condividono con me l’amore per un’opera davvero bella. Adoro immaginare come questa storia potrebbe continuare e mi diverto un sacco a scriverla, non immaginate neppure quanta libertà mi dia. Però i miei casini chiamano.
E adesso mi chiamano un paio di ore di sonno.
Siete dei lettori incredibili.

Il secondo capitolo si farà attendere certamente meno di questo, almeno questo posso prometterlo.

Sempre grata,
dearly b
 
 
 

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