They never know - Xiuchen

di Dicorno_saddd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incubi, ancora e ancora ***
Capitolo 3: *** Ninna nanna ***
Capitolo 4: *** Lyrcs ***
Capitolo 5: *** Tornare da lui ***
Capitolo 6: *** Resta per me ***
Capitolo 7: *** Impossibile ***
Capitolo 8: *** Ciò di cui hai bisogno ***
Capitolo 9: *** Fiducia ***
Capitolo 10: *** Non ti lascerò ***
Capitolo 11: *** Ritorno alla scena ***
Capitolo 12: *** Il sapore della sconfitta ***
Capitolo 13: *** Tempo scaduto ***
Capitolo 14: *** Sono ritornati? ***
Capitolo 15: *** Ancorato al passato ***
Capitolo 16: *** Una presenza inutile ***
Capitolo 17: *** Avevo chiesto salvezza ***
Capitolo 18: *** Ti ho amato ***
Capitolo 19: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nessuno poteva immaginare il motivo che avesse potuto costringere qualcuno a contemplare anche solo il pensiero di arrivare a compiere un gesto similmente crudele... E nessuno avrebbe mai potuto avere una spiegazione arrivati a quel punto
Questa era l'unica conclusione a cui MinSeok era riuscito a giungere, mentre piangeva, lì, inginocchiato sul pavimento duro e freddo, tenendo lo sguardo basso per non imbattersi in quella terrificante oscenità che non avrebbe assolutamente mai voluto rivedere in vita sua. Sperava solo che il ricordo svanisse in fretta, sperava che quell'immagine non restasse viva dietro le sue palpebre, sperava di riuscire ancora a dormire sonni tranquilli, ma non ci furono mai speranze più vane di queste. La sua vita venne stravolta radicalmente da quell'evento.
Le sue stesse lacrime gli avevano impregnato le guance, i vestiti ed alcune erano scivolate sulle pallide mattonelle marmoree. Era convinto che non avrebbe mai smesso di piangere. E sarebbe accaduto davvero se non fosse stato per quella mano tesa davanti a lui, che lo aveva sollevato, lo aveva sorretto e lo aveva riportato alla realtà, cercando di tamponare le sue ferite e alleviare il suo dolore. Sapeva di dover esser grato a quella persona che lo aveva salvato dal precipitare nel baratro che si era aperto sotto di lui, ma al contrario, l'unica cosa che riusciva a fare era odiarla; odiare colui che era entrato nella sua vita scombussolando le sue emozioni già destabilizzate. Avrebbe voluto trovare il coraggio di dirgli "grazie" e mettere da parte quel sentimento una volta per tutte, dimenticarlo, ma quello che era successo non poteva essere dimenticato; i suoi occhi non avrebbero mai potuto dimenticare, i suoi incubi avrebbero mostruosamente contorto quella scena distruggendo poco alla volta fino all'ultimo briciolo di razionalità che sarebbe stato capace di preservare.
L'unica persona che continuava a salvarlo da quegli incubi era quella stessa persona che ne aveva fomentato la causa, quella persona che MinSeok cercava  invano di allontanare in tutti i modi possibili, ma non poteva, poiché in fondo condividevano lo stesso dormitorio, la sua stessa stanza, lo stesso sonno, le stesse veglie, e, in parte, anche lo stesso dolore... 
Quindi perché lui desiderava soltanto odiarlo?

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Capitolo 2
*** Incubi, ancora e ancora ***


«Cosa?» una voce domandò quasi sconcertata nella stanza accanto, sebbene fossero ben udibili a causa della porta aperta.
«Ancora?» subito seguì un'altra voce di un tono leggermente più basso. «Non pensi sia il momento di parlarne al manager? Sono due mesi che va avanti così... Non sarà fruttuoso per il gruppo...»
Era davvero così grave...?
La paura si impossessò di lui, senza pietà.
Fu la sua rabbia, tuttavia, a salvarlo dal crollare e a prendere il sopravvento. Un moto inaspettato d'ira
 scattò nel biondo, il quale si precipitò ad ampie falcate nel salone irrompendo nel discorso quasi sbraitando. «Abbi almeno il coraggio di essere diretto.» Spinse con uno scatto violento il corvino facendolo quasi cadere se non ci fosse stato ChanYeol accanto ad afferrarlo. «Se vuoi che me ne vada basta dirlo, lo faccio con le mie gambe, non c'è bisogno di farmi cacciare.» Congelò con uno sguardo freddo BaekHyun che intanto, visibilmente sconvolto, cercava di rimettersi in piedi. Il biondo si voltò, lanciò una breve occhiata indignata alle sue spalle, rivolta al suo compagno di stanza che era rimasto in silenzio, e si allontanò a testa bassa stringendosi tra le braccia, quel gesto tanto infantile che spesso si ritrovava a compiere inconsciamente quando aveva bisogno di sentirsi protetto. 
«Minie...» lo richiamò JongDae appoggiandogli una mano sulla spalla, ma il biondo si riversò furioso contro di lui spostando bruscamente la mano e sputando parole avvelenate: «Non ho bisogno di qualcuno che va in giro a raccontare i problemi altrui.» 
Il castano rimase fortemente ferito da quelle spine appuntite che avevano attanagliato il suo cuore in quel momento, facendolo sentire sempre più stupido e inutile mentre guardava scappare da sé quella persona che mai avrebbe voluto veder soffrire e che invece in quel periodo stava patendo un dolore immane. MinSeok era fatto un po' così: quando si sentiva minacciato aggrediva gli altri, e lo faceva per proteggersi nei momenti in cui sapeva di star cadendo a pezzi. Era una sorta di meccanismo di autodifesa che si ingranava ogni qual volta non riusciva a reggere e contrastare la forza del mondo attorno a sé. Ma nonostante JongDae ne fosse a conoscenza non aveva ancora trovato un modo per far sentire il maggiore a suo agio, anzi, aveva forse peggiorato involontariamente la situazione.
«Baekhyunnie, fammi un favore...» Il castano guardò verso gli altri due che si voltarono immediatamente a quelle parole. «La prossima volta, sta' zitto.» Continuò JongDae e sbuffò sonoramente prima di abbandonare i suoi compagni di gruppo e darsi alla disperata ricerca di un MinSeok nervoso e poco socievole. Si rendeva conto che non era affatto facile gestire quel ragazzo, eppure doveva capirlo: ciò a cui avevano dovuto assistere i suoi occhi, proprio come ciò a cui aveva assistito lui stesso, non era possibile dimenticarlo. E per il maggiore sarebbe stato ancora più difficile. 
«Minie aspetta!» Urlò non appena intravide la sua figura uscire sul marciapiede asfaltato fuori dall'alloggio. Non era un posto molto accogliente in quanto a panorama, ma ormai era semplicemente casa, e ci si erano abituati tutti. «Minie!» Il castano lo raggiunse correndo, fortunatamente prima che imboccasse una delle traverse tra i grattacieli che si stagliavano verso la volta nuvolosa sovrastandoli. Afferrò la mano del maggiore annaspando e intrecciò le dita con le sue e stringendo la presa ogni volta che l'altro tentava di liberarsene. 
«Vuoi lasciarmi in pace?» Si lamentò il biondo rifilandogli l'ennesimo sguardo truce. «Sei una delle disgrazie più brutte della mia vita. Sei un peso terribile. Sei l'ostacolo che mi costringe nel passato. Quando vedo te, rivedo lui. Devi starmi lontano; non è una richiesta, è un ordine.» Quelle frasi secche e concise attraversarono i sentimenti del minore come una lancia finemente affilata. Non riusciva neppure a comprendere perché dopo tutto stesse tentando ancora di risollevarlo dal suo malessere, forse solamente perché condividendo la stessa stanza era difficile sopportare qualcuno del genere, forse perché gli dispiaceva vederlo sopraffatto dagli incubi ogni notte, forse perché anche lui aveva sofferto inizialmente per lo stesso motivo e voleva aiutarlo quindi ad uscirne, o forse semplicemente la verità era più profonda e la sua coscienza ancora non lo accettava. Il suo corpo, però, evidentemente l'aveva accettato e come. Era palpabile il cambiamento che avertiva ogni volta che XiuMin era coivolto nei discorsi, nelle situazioni che si venivano a creare. Tutto di lui si modificava pur di adattarsi al maggiore, il suo carattere era diventato più malleabile di quanto non si fosse mai aspettato. Una parte di sé, quella fisica soprattutto, era certamente consapevole dell'influenza che il biondo aveva su di lui, fu per questo che l'istinto reclamò il proprio potere in quel momento, soggiocando la situazione sotto il fato del "vada come vada". In fondo, cos'altro aveva da perdere? Nulla di importante a parte l'integrità della sua stessa sensibilità e dei suoi sentimenti. Si sporse rapidamente verso il maggiore e sfiorò delicatamente le sue labbra con le proprie in un attimo in cui il loro reciproco calore corporeo entrò in contatto. Fu una sorta di scossa, un formicolio piacevole attraversò i nervi del castano che aveva in quell'istante sperimentato una sensazione bramata da tempo. Era sin dal primo momento che si era innamorato di quel ragazzo tenero ma carismatico, apprensivo ma irresponsabile, socievole ma introverso, espansivo ma molto introspettivo, anche fin troppo. Era qualcosa di bellissimo ai suoi occhi e provare la soddisfazione di aver toccato le sue labbra anche solo una volta, anche solo un istante, forse gli sarebbe bastato per tutta la vita. Nonostante magari sarebbe stato costretto a vivere solo con quel ricordo senza mai avere la possibilità di provarlo nuovamente, avrebbe conservato meticolosamente quella memoria e l'avrebbe custodita per sempre.
Difatti, se all'inizio sembrò essere filato tutto liscio, l'attimo dopo MinSeok respinse bruscamente il minore guardandolo in modo ancora più disgustato. Le sue pupille si dilatarono per la sorpresa, i suoi occhi devastati dagli sconvolgimenti avevano ceduto ad una lacrima amara che aveva innescato la prima bomba nel precario campo minato nel cuore del minore, facendo esplodere ogni singola emozione in una distruttiva reazione a catena.


«Tu sei pazzo... Lasciami stare...» Pronunciò faticosamente con voce flebile il biondo, si raccolse nella felpa pesante riparandosi dal vento, che soffiava freddo essendo il periodo di fine stagione estiva, e si incamminò deciso ad andare quanto più lontano possibile. Quello non era il posto adatto per lui probabilmente, e soprattutto JongDae non era il posto adatto per lui.

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Capitolo 3
*** Ninna nanna ***


«...eok.»
C'era sempre silenzio in quella stanza, mentre restava con lo sguardo fisso sul pavimento, a guardare l'ombra che quella sagoma proiettava sulle mattonelle marmoree. Non c'era sangue, né qualsiasi altra cosa potesse riportare al concetto di morte. Era forse questo che rendeva tutto più crudele?
«...inseok...»
Ma ancora una volta quella voce echeggiò nella sua mente e si schiarì fino a portare via con sé ciò che restava dell'ennesimo incubo.
«MinSeok, svegliati.»
Il biondo aprì di scatto le palpebre, prima pesantemente incollate a causa delle lacrime che avevano incrostato i suoi occhi ormai fragili. Tastò le lenzuola, quasi incredulo di trovarsi nel proprio letto e non in quella stanza orribile.
«È successo ancora...» Mormorò con le labbra che avevano preso a tremare vistosamente. Sentiva di aver toccato il fondo. Si era ripromesso, quel giorno, di riprendersi, di trovare la forza per uscire da quel pozzo di ossessivi ricordi che lo opprimevano, dal peggiore ai più belli. Non era riuscito a mantenere la promessa fatta a se stesso... Era rimasto preda delle sue paure, del suo sconforto. BaekHyun aveva ragione, era diventato un inutile peso per gli altri: anche loro dovevano sopportare la mancanza e avere un disperato 24 ore su 24 davanti agli occhi non facilitava certo la cosa. Doveva andare via? Abbandonare il suo sogno, la sua carriera? 
Doveva si, certamente per il bene degli altri, non poteva essere egoista fino a quel punto. 

«Min-hyung, non pensare troppo, impazzirai.» JongDae scosse la testa accennando un piccolo sorriso che doveva essere rassicurante, ma che riuscì solo a far sentire il biondo ancora peggio. Come poteva approfittare di qualcuno che continuava a stargli accanto dopo ciò che gli aveva detto, dopo ciò che aveva fatto? MinSeok non ricordava neppure un momento in cui non avesse trattato male il minore, per un motivo o per un altro, non gli aveva mai rivolto la parola se non per offenderlo, biasimarlo, contraddirlo o addirittura insultarlo. Neppure capiva più perché il castano avesse ancora la costante pazienza di tentare di rimettere a posto i suoi pezzi, e, sebbene non ci riuscisse, quantomeno racimolava i frammenti e li metteva da parte nella speranza di riuscire a unirli di nuovo, un giorno. JongDae aveva una grande fortuna: il cuore di MinSeok era a pezzi. Un po' come se si trattasse dei pezzi di un tangram, che separati perdono il senso, ma lui aveva la possibilità di rimetterli insieme e comporre qualcosa di nuovo, aveva la possibilità di costruire qualcosa di bellissimo per entrambi, aveva l'opportunità di rendere felice la persona che amava e contemporaneamente di essere anch'egli felice, se li avesse uniti nel modo giusto. Non avrebbe rinunciato a cogliere quell'occasione, ma il maggiore questo non poteva comprenderlo.
«Ti odio...» La voce fuoriuscì flebile dalle labbra di MinSeok, che sospirò sconfitto, tra mille domande senza risposte.
«Shh... Non dire così.» Il castano accusò l'ennesima percossa morale, ignorando l'ennesima ferita. Si chiedeva solo fin quando avrebbe retto, quanto ancora il suo corpo, già quasi esanime, avrebbe retto prima di finire dissanguato da tutti quei tagli che lo scalfivano a causa del maggiore, parola dopo parola. Si mise più comodo sollevando le gambe sul materasso e incrociandole, poi tirò il biondo per le spalle avvicinandolo a sé in una sorta di abbraccio prima che potesse ribellarsi, senza sapere che l'altro non l'avrebbe fatto, non aveva alcuna forza in quel momento per respingere il minore. Probabilmente se l'avesse baciato di nuovo, gliel'avrebbe lasciato fare. Si sentiva così schifosamente pessimo, uno stupido disadattato senza senso, che se baciarlo avesse reso felice qualcun altro gliel'avrebbe permesso tranquillamente pur di sentirsi apprezzato. Solo non poteva permettere al suo compagno di stanza di prendersi quelle libertà; il più piccolo prendeva molto a cuore ogni cosa, e se in lui stava nascendo qualcosa che somigliasse alla passione, MinSeok non poteva permettersi di farla sbocciare.
«
Well, I know the feeling of finding yourself stuck out on the ledge, and there ain't no healing from cutting yourself with the jagged edge.» Canticchiò Jongdae in un dolce sussurro che rilassò, almeno un po', i nervi del biondo, mentre il minore gli accarezzava lentamente le braccia sfiorandole con le proprie dita. «I'm telling you thatit's never that bad, take it from someone who's been where you're at, laid out on the floor, and you're not sure you can take this anymore...» Continuò, purtroppo, sottovoce, essendo piena notte. MinSeok doveva ammettere che il proprio timbro non poteva essere minimamente paragonato alla scala che riusciva a coprire Chen con la sua voce, non era raro che gli mettesse i brividi sentirlo cantare ogni volta, così da vicino. «...So just give it one more try to a lullaby...» 
Qualcosa in quei versi, però, turbò pesantemente le emozioni del maggiore, il quale si rese subito conto vi fosse racchiuso un preciso messaggio: affidarsi alle mani di qualcuno che poteva comprendere i suoi mali. E chi, quindi, se non JongDae? Era l'unico ad aver condiviso la vista dello scempio che stava ancora soffocando i suoi sogni ogni notte.
«Non mi fido di te.» Disse semplicemente MinSeok rispondendo all'indiretta richiesta del minore. L'altro di rimando smise istintivamente di accarezzare la sua pelle per un istante, evidentemente colpito da quell'affermazione. In realtà un po' dispiaceva al maggiore continuare a ferirlo, ma il suo scopo era proprio quello di distruggerlo al punto da fargli smettere di tentare e ritentare inutilmente, doveva capire che fosse un caso perso e pensare di più a se stesso e non agli altri, soprattutto non a MinSeok. Egli era fermamente convinto di non meritare qualcuno come JongDae, quindi cercare di tenerlo lontano gli sembrava la cosa più giusta, non meritava il suo amore perché sapeva che non avrebbe mai potuto ricambiarlo, non meritava il suo aiuto perché significava approfittarsi di qualcuno che stava genuinamente cercando di far del bene. Il biondo era sicuro di non aver più nulla di buono da dare, quindi preferiva non ricevere, solo per non sentirsi in debito nei confronti di quella persona. JongDae, d'altra mano, stava facendo di tutto per farlo riprendere e invece non faceva altro che farlo sprofondare sempre di più in quelle sabbie mobili fatte di sensi di colpa. 
«Allora... Ti fiderai mai?» Domandò il minore dopo qualche attimo di silenzio. Le sue dita, leggermente più titubanti di prima, scesero lungo le braccia del biondo, si soffermarono sulle sue mani seguendo la linea delle vene che sporgevano lievemente, e, infine, si intrecciarono simbolicamente con quelle del biondo. 
«No.» Rispose freddamente il più grande, e, nonostante la sua risposta fosse un sussurro, arrivò schietta e diretta al cuore del castano, che apprese mutamente la sconfitta, ancora. MinSeok si morse il labbro inferiore governando quanto meglio le sue emozioni, che altrimenti rischiavano di straripare e sconvolgere completamente la situazione. Avrebbe davvero voluto, in quel momento, ricambiare l'abbraccio del moro e cercare conforto tra braccia reali e non immaginarie, ma questo probabilmente avrebbe potuto farlo solo una volta accettata la triste realtà che la persona dalla quale voleva essere consolato più di tutti non c'era più. «Però... Puoi cantare ancora?» Chiese dopo un po' con un tono vagamente gentile, e, forse fin troppo azzardatamente, strinse leggermente le mani del minore intrecciate con le sue.
JongDae sorrise blando, alle spalle del maggiore che non poteva vederlo. Lasciò che l'altro appoggiasse la testa tra la sua spalla e il petto, e riprese a cantare, con le labbra che quasi sfioravano l'orecchio del biondo. «It doesn't matter if I'm not enough for the future or the things to come, 'cause I'm young and in love, I'm young and in love.» 
E continuò, strofa dopo strofa, testo dopo testo, finché non si rese conto che MinSeok era ormai preda del sonno più profondo, mentre era accoccolato lì tra le sue braccia. A quel punto si zittì e passò il tempo restante della nottata a bearsi della vista del maggiore che dormiva, vegliando su di lui esattamente come avrebbe fatto un angelo custode. Peccato che gli angeli non avessero neppure idea di cosa fosse l'amore, quella meravigliosa forza astratta che spingeva incessantemente il castano a continuare la sua battaglia.

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Capitolo 4
*** Lyrcs ***


"Memories like fireworks 
in a corner of my heart
disappear like smoke.

My heart is desperate 
for your breath.
melt it down and shout
in case it becomes ash,
in just one moment
I spread my arms 
to the empty space above
In the black and blue dawn
dreamy voice rings out, 
who knows?

An endless mystery
foggy memory,
Why are my predictions 
not coming true?
The sound of the rain 
mixed with tears,
The sound of your breath 
in my ears,
I couldn’t find you even once.
You hurt me
You hurt me
Forever in my head
you are living.
In my eyes
see the transparent you and me."

 

MinSeok scaraventò con violenza la penna sulla scrivania e accartocciò il foglio sul quale aveva scritto fino a quel momento per poi lanciarlo da qualche parte dietro di sé, si fermò ad ascoltare il suono secco che produsse la carta appallottolata quando un istante dopo atterrò sul pavimento e poi si rannicchiò sulla sedia sollevando le gambe e stringendole con le braccia. Appoggiò la testa sulle ginocchia ossute e restò in silenzio a combattere contro le lacrime che cercavano di sfogare ancora una volta. Pochi passi riecheggiarono dal retro della stanza, e questo significava che Chen si era svegliato e il rumore crepitante della carta fece intuire al maggiore che avesse già raccolto il foglio, ma lui lo ignorò completamente. 
Le mani del castano, tuttavia, poco dopo si insinuarono attorno alla vita del maggiore avvolgendolo dolcemente. In realtà MinSeok non voleva più pensare al castano; stava diventando ossessivo, i suoi atteggiamenti affettivi confondevano e corrodevano ogni volta il cuore del biondo, portandolo a chiudersi ancora di più, eppure i suoi abbracci erano così confortevoli, erano probabilmente una delle poche cose che riusciva a conferirgli ancora la volontà di vivere. Era un immane controsenso il trarre forza dall'affetto della persona che stava cercando di allontanare in tutti i modi possibili, ma effettivamente era grazie a JongDae se ancora respirava. Quel ragazzo aveva preso in mano le redini della sua vita e stava cercando in ogni modo di scortare MinSeok nuovamente verso la luce, che però sembrava sempre più lontana. Se solo il maggiore non si opponesse continuamente a quella forza che stava tentando di salvarlo la strada sarebbe più semplice e meno contorta, ma lui non riusciva a lasciarsi andare, c'era ancora un ostacolo, qualcosa che non poteva essere rimosso. Quell'ostacolo era costituito da quello stesso ricordo che lo stava trascinando sempre più in fondo. MinSeok era completamente diviso a metà: da una parte c'era il passato, che lo intrappolava crudelmente nella prigionia della sofferenza, e dall'altra c'era il futuro, che stava tentando in ogni modo di estrarlo a forza da quell'involucro di dolore che lo aveva avvolto. Il minore rappresentava il suo futuro, era la sua unica speranza di salvezza e lui la ripudiava, a causa della sua fedeltà che ancora nutriva verso il suo passato. Sperava solo che JongDae si arrendesse in fretta, perché non sopportava di dover ferire qualcuno pur di adempiere ai propri assurdi princìpi.
«Vuoi restare un po' da solo mh?» Chiese il castano sussurrando, senza tuttavia allentare la stretta del suo abbraccio. 
Il maggiore, d'altro canto, annuì flebilmente con un sospiro. «Voglio restare solo per sempre...» Mormorò sottovoce, quasi non volesse farsi sentire, per paura che poi alla fine restasse solo sul serio. Era sì ciò che una parte di sé desiderava, tuttavia non avrebbe assimilato tanto facilmente l'idea di essere abbandonato a se stesso.
«Sai che non lo permetterò, quindi non chiedermelo nemmeno.» Rispose l'altro al suo orecchio e poi sciolse la presa che cingeva il compagno di stanza e si allontanò silenziosamente, uscendo dalla loro camera e dirigendosi nell'atrio dove, a quell'ora di pomeriggio, di solito si riunivano tutti. Il minore si limitò a raggiungere il gruppo che stava guardando un programma televisivo di cronaca, ChanYeol gli fece posto sul divano accanto a sé e il castano lo ringraziò con un sorriso, tuttavia la sua espressione vacua e distante non sfuggì agli altri ragazzi che immediatamente si preoccuparono e rivolsero tutti lo sguardo all'ultimo arrivato. JongDae si soffermò, uno per uno, a scrutare i loro visi indagatori che aspettavano qualcosa, una risposta magari alla domanda indiretta che gli stavano ponendo tutti fissandolo a quel modo, ma lui non si sprecò ad aprir bocca, sentiva una morsa allo stomaco e un nodo in gola, come se in quel momento stesse realizzando quanto misero fosse ogni suo tentativo di far sentire meglio il maggiore. 
«Come sta XiuMin?» Si decise a chiedere KyungSoo dopo troppi secondi di silenzio in cui ognuno stava vagando con la mente in cerca di spiegazioni ai loro drammi comuni.
«E tu come stai Chen-hyung?» Aggiunse più preoccupato ChanYeol, che gli stava seduto accanto, confortandolo col suo sguardo apprensivo. Il grigio appoggiò una mano su quella tremante di JongDae. Sembrava potesse scoppiare in lacrime da un momento all'altro, ma ugualmente spostò cortesemente la mano del più piccolo dalla sua ringraziandolo con un sorriso per il gesto. Poi estrasse dalla tasca il foglio accartocciato che MinSeok aveva gettato sul pavimento e mostrò la carta stropicciata al gruppo. Gli altri si guardarono reciprocamente negli occhi e JunMyun prese il foglio, mentre i tre seduti sul tappeto sul pavimento si raccolsero accanto a lui per leggerne il contenuto, per poi passare mestamente la carta sgualcita a ChanYeol e BaekHyun seduti sul divano, i quali a loro volta, dopo aver compreso quei versi, si lasciarono avvilire dalla situazione angosciante. XiuMin non era l'unico a soffrire in quel momento, ma chiunque sapeva che era lui il più coinvolto in quella disperazione. E nessuno tra di loro restava impassibile alla vista del loro JongDae che sprofondava insieme al maggiore, giorno dopo giorno, trascinato dall'afflizione dell'altro. 
«Dae-hyung... So che forse non ti piacerà questa proposta...» Esordì dopo minuti di silenzio SeHun, il più piccolo tra tutti. Il castano interpellato rivolse la sua attenzione al minore, che sentì dunque accolta la sua iniziativa, nonostante dubitasse fortemente che il diretto interessato accettasse davvero. «Che ne dici di fare a cambio stanza con qualcuno di noi per un po'?» Suggerì il ragazzo, aspettando una reazione del maggiore, che tuttavia restò formalmente distante dall'argomento, quasi non avesse ancora afferrato di cosa l'altro stesse parlando. «Credo che SuHo-hyung sarà felice di prendere il tuo posto per un po'. Egli ha esperienza, sarà sicuramente un buon compagno di stanza.» JunMyun annuì alle parole del maknae accennando un sorriso, proprio come SeHun si era aspettato. «Io credo che stare un po' di tempo separati potrà fare del bene sia a te che a XiuMin-hyung.» Concluse cercando di essere quanto più delicato possibile, ma, in ogni caso, lo sguardo di JongDae rimase prettamente impassibile. Tutti rivolsero la propria attenzione al castano seduto sul divano, il quale sarebbe parso totalmente su un altro pianeta, se non fosse stato per il fatto che si stesse torturando con le dita le pellicine attorno alle unghie a causa del nervosismo. I ragazzi erano palesemente ansiosi di conoscere la risposta del loro compagno, che però sembrava troppo intento a pensare perché potesse soddisfare la loro curiosità. Tuttavia poco dopo, i sette, furono distratti e allarmati da un frusciante rumore di vetro infranto che risuonò nel silenzio cupo dell'appartamento.

 

***
Spazio autrice

Ho inserito all'inizio il testo di Hurt come riferimento, quindi qui - per chi non avesse riconosciuto l'originale - ho riadattato personalmente una traduzione del brano citato, sebbene tradotto perda molto in quanto a stile, espressività, contenuto ecc. ecc.

 

"Ricordi come fuochi d'artificio, in un angolo del mio cuore scompaiono come il fuoco. 
Il mio cuore è afflitto per i tuoi sospiri.
Io li metto insieme e grido se diventano cenere.
Solo un momento ho alzato le braccia verso lo spazio vuoto soprastante,
nell'alba crepuscolare risuona una voce trasognata, chi la conosce?
Un'enigma senza fine, un ricordo annebbiato,
perché le mie previsioni non si sono avverate?
Il ticchettio della pioggia fuso con le lacrime,
il sussurro del tuo respiro nelle mie orecchie,
Io non posso comunque trovarti, neanche per una volta.
Tu mi fai male, mi hai ferito.
Per sempre nella mia mente, vivrai.
Nei miei occhi io vedo limpidamente te e me."

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Capitolo 5
*** Tornare da lui ***


«LuHan... è pronto in tavola, ti va di scendere?» il maggiore, accompagnato da JongDae, bussò alla porta del rosa come sempre, poiché la sua stanza era al piano di sopra insieme a quella di SeHun, SuHo, Kris e Tao. LuHan non usciva spesso da lì ultimamente, sembrava essersi rintanato in quelle quattro mura per sfuggire a qualcosa. I ragazzi lo avevano notato particolarmente giù di morale in quelle settimane, ma lui non voleva parlarne con nessuno, non appena scappava una domanda di troppo LuHan si chiudeva in se stesso come un armadillo, dietro una corazza fatta di impassibilità e scuse per scappare via. A stento ormai si faceva vedere a ora di pranzo o cena, e XiuMin si preoccupava di avvisarlo ogni volta. Il biondo soffriva non poco a dover affrontare ogni giorno le occhiaie del minore, le sue mani che tremavano persino nell'impugnare le bacchette, il suo sguardo costantemente spento... Eppure si stava facendo forza e stava tentando in ogni modo di affiancare il rosa in ogni sua azione, per non farlo sentire a disagio. L'amore che MinSeok provava nei suoi confronti andava ben oltre la semplice amicizia che c'era tra di loro nel gruppo, bensì ciò che provava era abbastanza profondo da infondergli la forza necessaria per cercare di sorreggere il minore in quel brutto periodo che stava affrontando, nonostante egli fosse all'oscuro di quali fossero i veri motivi. LuHan era sempre vago nelle sue risposte e, sebbene il biondo si sentisse privilegiato a poter parlare con lui quando invece scansava tutti gli altri, non riusciva a cogliere mai nulla di rilevante dai dialoghi spiccioli. Era estenuante guardare come il minore si stesse distruggendo giorno dopo giorno per qualcosa di ancora sconosciuto e l'unica cosa che XiuMin era in grado di fare era sperare che, una volta finito tutto, il rosa gli avrebbe raccontato la verità. Ogni volta che le sue mani avevano carezzevolmente sfiorato la pelle del minore per confortarlo, ogni volta che le sue braccia l'avevano stretto per risollevarlo, ogni volta che le sue dita avevano amorevolmente solcato i suoi morbidi capelli lunghi, ogni volta che il suo respiro insieme al battito del proprio stesso cuore aveva cullato il minore fino a farlo addormentare... Ogni volta sembrava essere inutile: LuHan peggiorava sempre. Ormai XiuMin pareva sul punto di rinunciare e cominciare il suo classico auto-compianto, dandosi la colpa di non essere abbastanza per far riprendere la persona che amava. La sua presenza pareva essere sempre stata pleonastica nella vita di LuHan, come se con o senza di lui sarebbe stato lo stesso. Il minore non aveva la minima idea dei sentimenti che MinSeok custodiva dentro di sé, poiché il biondo aveva condotto i suoi giorni senza mai ammettere a nessuno ciò che provava, nonostante qualcuno lo avesse capito, qualcuno come il suo compagno di stanza, il quale, volente o nolente, la notte doveva sorbirsi i suoi pianti. LuHan aveva dato per scontato che le piccole attenzioni del maggiore, e la sua costante accortezza per la sua salute e benessere fossero una semplice dimostrazione di affetto da parte del fratello maggiore quale sarebbe dovuto essere. Tuttavia non era esattamente così... Per quanto il biondo avesse tentato, non era mai riuscito a evitare di pensare al minore, ai suoi occhioni, alla sua voce, ai suoi atteggiamenti dolci che lo avevano fatto innamorare giorno dopo giorno. Se solo LuHan fosse stato meno cieco le cose avrebbero potuto avere un risvolto diverso forse, per entrambi. 
«Hyung, non penso ti abbia sentito...» mormorò JongDae risvegliandolo dai suoi pensieri, quindi si costrinse a bussare più forte contro il legno con le nocche della mano destra.
«Lulù??» lo richiamò il biondo, ancora un paio di volte, ma quando si rese conto che dall'altro lato non sarebbe arrivata risposta guardò il moro cercando una sorta di consenso nel suo sguardo. JongDae annuì alla muta domanda del maggiore, il quale allora abbassò la maniglia e spinse in avanti la porta, notando che, stranamente, era aperta. Il totale silenzio che si propagò cupamente nelle orecchie del biondo quasi lo fece rabbrividire. Il castano, come se avesse avvertito l'invadente timore del maggiore, gli afferrò la mano in un gesto rassicurante, ed insieme varcarono la soglia della porta. Insieme. Insieme allora, insieme per sempre. Per sempre sarebbero stati uniti da quell'osceno segreto. Per sempre, entrambi, avrebbero condiviso quell'amara scoperta. Per sempre sarebbero stati costretti a portare quel pesante fardello. Gli altri non avrebbero mai saputo... No, loro non sapevano... Cosa significasse vedere... Vedere un...
MinSeok urlò squarciando il silenzio e crollando in ginocchio davanti a quella scena raccapricciante, un urlo assordante che sembrava non voler smettere più. Ma, in effetti, se così fosse stato sarebbe stato molto meglio, perché la totale assenza di rumori che seguì dopo fu ancora più difficile da assimilare.
LuHan non doveva fargli questo, XiuMin sapeva che non gliel'avrebbe mai perdonato.
La sua figura esile che vibrava nell'aria statica e immobile, fu l'ultima cosa che gli occhi del biondo videro e memorizzarono, prima che un JongDae in lacrime lo trascinasse di peso fuori da quella stanza. 
ChanYeol accorse per primo al secondo piano, seguito da un BaekHyun spaventato e da tutti gli altri. Il primo si diresse immediatamente verso la porta, ma JongDae la richiuse con un tonfo pesante e si lasciò cadere anch'egli sul pavimento stringendo MinSeok che era rimasto a fissare un punto indefinito mentre i suoi occhi versavano lacrime silenziose.
«Non farlo... ChanYeol non farlo... Chiama la polizia...» singhiozzò il castano senza allentare per un istante la stretta sul busto del maggiore, come se volesse evitargli di andare letteralmente in pezzi, senza considerare che ormai non c'era più nulla di intero perché il suo cuore si  era cominciato a distruggere da quando aveva ammesso a se stesso di amare il  rosa. 
Lo sguardo del più alto a quel punto si pietrificò, e sembrò capire all'istante. «LuHan...» bisbigliò ChanYeol dopo qualche istante con la voce rotta dal pianto, infatti le lacrime non tardarono ad arrivare neppure sul suo viso, come con tutti gli altri d'altronde. Le voci arrivavano molto più soffocate di quanto non fossero in realtà, sembrava tutto ovattato alle orecchie del biondo, come se l'unico suono che i suoi timpani conoscessero in quel momento fossero i singhiozzi di LuHan quando aveva pianto davanti a lui l'ultima volta.
«...si è... impiccato...» JongDae completò la frase mordendosi il labbro per farsi forza e poggiò la fronte sulla testa del suo hyung mentre involontariamente aveva preso a dondolare leggermente avanti e indietro per il nervosismo, trascinando di conseguenza con sé anche il maggiore. XiuMin avvertì dal suo mondo distante un leggero bacio sulla nuca, si sentì stringere la vita dalle braccia salde del minore, e questo gesto aumentò semplicemente la sua voglia di dire al minore di smetterla di tentare di regalargli affetto, ma le parole non uscirono dalle sue labbra. «Ti prego MinSeok... Non mi lasciare adesso...» Un brivido attraversò la colonna vertebrale del maggiore a quella frase, che nonostante sembrasse un sussurro portato dal vento, rifletteva il panico, ormai palpabile, che aveva catturato del tutto il corvino. «Ti giuro che andrà tutto bene...Troverai la tua felicità, hyung...»
Dici sul serio JongDae?
Può davvero andare tutto bene?
Ho appena visto la persona che amo senza vita, come puoi dire che andrà tutto bene?
Non mentire a me, Kim JongDae, sappiamo entrambi che fine farò, che fine faremo.

***
 

Le urla del minore rimbombavano forti e chiare oltre la porta, nella piccola stanza da bagno. Non era solo, XiuMin poteva sentire altre voci insieme alla sua, eppure la sua mente non sembrava voler dare ascolto a nessuna di quelle in quel momento. 
Qualcosa era andato in frantumi, mentre cercava di afferrare ciò che aveva pensato di prendere già tanto tempo addietro, ma i suoi sensi neppure si sforzarono di apprendere cosa avesse involontariamente rotto, ormai non c'era più nulla di intero in lui. La conoscenza avviene per concetti opposti, se non si possiede il concetto di luce come possiamo immaginare di riconoscere il buio? Se non si ha presente cosa sia il caldo come si può definire il freddo? Se non si ha mai sperimentato la felicità come potrebbe esserci nota la tristezza? Al biondo non poteva importare nulla di ciò che si era rotto all'esterno se dentro era già completamente distrutto. 
Solo una cosa - o meglio una persona - scalfiva la sua sicurezza, logorando lentamente le sue certezze sulla decisione di porre fine alla sua ormai squallida vita. Era la stessa persona che lo stava pregando di aprire la porta. 
JongDae, d'altro canto, aveva semplicemente paura. Paura di perdere l'oggetto di ogni sua azione, di ogni premura, di ogni suo pensiero. Paura di dover rinunciare all'unico obiettivo che si era prefissato da così tanto tempo che aveva già ceduto qualsiasi altro proposito. Paura di restare senza uno scopo. Paura di non essere poi più in grado di amare.
«Minseok... Tu non sei così egoista...» dichiarò JongDae colpendo la lastra di legno con un pugno chiuso, lasciando poi scivolare la mano lungo la superficie venata colto dalla disperazione. «Tu non lo sei...» ripeté nell'atto di persuadere se stesso, più che affermarlo rivolto al maggiore. Non era affatto convinto che MinSeok potesse davvero dar conto a quelle parole, il suo carattere istintivo prescindeva dalle contaminazioni derivanti dai pensieri altrui, se fosse stato davvero sicuro di qualcosa non si sarebbe fatto influenzare da nulla. 
«Tu non sai nulla di me.» ribatté il biondo dall'altro capo della porta che li separava. Sentire la sua voce spezzata strinse il cuore del minore in una morsa, come se si sentisse in qualche modo colpevole di non essere riuscito a fare nulla per prevenire quel momento.
«So che non ti rendi conto di quanto sia importante la tua presenza. So che quando ti guardi allo specchio resti minuti interi a pensare a cosa potresti migliorare del tuo aspetto. So che odi i tuoi occhi perché ti ricordano troppo quelli di tuo padre. So che ti piace cantare i versi che scrivi quando nessuno ti ascolta. So che non mangi mai i fagioli verdi perché dove abitavi non si trovavano facilmente, e ti ricordano di essere stato ingrato nei confronti dei sacrifici che tua nonna faceva per procurarseli. So che la notte dormi abbracciando il cuscino perché ti manca essere in compagnia e stare solo non ti piace, sebbene ti ostini a dire il contrario. So che non ti fidi realmente di nulla, non credi di meritare l'affetto di nessuno e ti costringi sempre nel tuo piccolo mondo per non disturbare. So che stai soffrendo a causa dei tuoi sensi di colpa, nonostante in fondo ti rendi conto che non potevi prevedere quella tragedia. E so anche che non hai pensato al fatto che copiando il gesto di LuHan sottoporrai i tuoi amici alla stessa sofferenza che stai affrontando tu.» il minore grattò con le unghie contro il legno cercando di scaricare la propria immensa tensione. «Non saprò nulla di te, ma so che ognuno di noi qui non ha nessuna voglia di rinunciare alla tua presenza.» annunciò con la voce più salda che poté inscenare, meravigliato di se stesso, poiché, per quanto credesse in quelle parole, non avrebbe mai pensato di poterle proferire ad alta voce. «Quindi... Perché adesso non apri la porta MinSeok?» 
La domanda del castano fece piombare la camera nel totale silenzio, non si avvertivano neppure più i respiri l'uno dell'altro. JongDae scandiva i secondi - o forse minuti - soltanto tramite i propri battiti di ciglia, ma in realtà il tempo sembrava essersi paralizzato. 
L'aria era pesante, viziata; improvvisamente in quella camera pareva esserci troppo poco ossigeno per tutti loro.
E MinSeok non rispondeva.
Per un istante il minore si chiese se l'altro avesse ascoltato le sue parole... 
Si chiese se non avesse peggiorato la situazione rimarcando argomenti troppo ingenti da sopportare...
Si chiese se, preso dal suo stesso discorso, non si fosse accorto che il biondo avesse già gettato la spugna...
Se avesse già stroncato la struggente attesa della ventura felicità...
Poi invece la serratura scattò e JongDae dovette costringersi a trattenere l'istinto di irrompere con tutta la propria ansia nell'angusta stanzetta dove si trovava il maggiore.
La porta si dischiuse lentamente, producendo un cigolio asfissiante, finché la figura martoriata del biondo non fu visibile a tutti. 
«Volevo solo tornare da lui...»

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Capitolo 6
*** Resta per me ***


«Volevo solo tornare da lui...»

Dopo quelle parole le labbra secche del biondo si angolarono in un sorriso appena accennato, un sorriso fatto di filo spinato che avvolse lentamente il cuore del minore, avviluppandolo tra le sue spire fino a farlo sanguinare. Quel sorriso mandò in pezzi l'ultimo tentativo di contegno di JongDae, che si avvicinò sorreggendo il corpo debole dell'altro, che sembrava potesse cadere da un momento all'altro. MinSeok nascose il viso, rigato di lacrime ormai secche, sulla spalla del minore, tirando un sospiro pesante, poi sentì la forza abbandonarlo del tutto.
Un tintinnio metallico si diffuse nella quieta atmosfera della stanza, facendo spostare l'attenzione di tutti sull'oggetto che, cadendo, aveva causato quel rumore stridente sul pavimento. Un verso di stupore si levò dietro di loro, e un grido che raggelò il minore. «Chen, le mani!» le parole di SeHun ci misero un po' a chiarificarsi nella sua mente, ma ChanYeol e il maknae erano già intervenuti. Il più alto afferrò MinSeok per le spalle, sorpreso di quanto fosse leggero ormai, nonostante non si stesse nemmeno reggendo in piedi da solo. Si era ridotto a uno scricciolo, e chi se n'era accorto che neppure mangiava più? SeHun prese le mani sfregiate del biondo e chiese agli altri di procurarsi disinfettanti e garze. Le voci sembrarono così ovattate alle orecchie di JongDae, che rimase in trance a fissare le due lamette metalliche affilate e coperte di sangue che avevano sporcato il pavimento. Cosa aveva sbagliato? Le domande che attanagliavano la mente del corvino stavano prendendo il sopravvento sulla sua lucidità. Aveva fallito. Non era stato in grado di concludere nulla di buono, nonostante ci avesse provato con tutta l'anima. Il senso di colpa travolse ogni altro pensiero positivo fosse rimasto in lui, qualsiasi sorta di speranza si frantumò del tutto.
«Serve un'ambulanza?» la voce grave di JongIn trapassò la mente del minore, che a quel punto distolse lo sguardo dal pavimento e lo rivolse a SuHo e KyungSoo che stavano tagliando dei bendaggi. 
«Non penso, le ferite per fortuna non sono profonde, sembrano dei taglietti, come se avesse semplicemente stretto la lama in mano senza farseli volontariamente...» commentò ChanYeol che aveva trascinato il corpo quasi esanime del maggiore sul letto. XiuMin era cosciente, ogni tanto si lamentava per il dolore, a volte gli scappava qualche singhiozzo o qualche preghiera dove chiedeva di essere lasciato in pace. Ma i piedi del castano non si mossero nemmeno di un centimetro, quasi fosse incollato a guardare la scena, completamente estraniato.

«Jong...Dae... Dov'è...?» mormorò il biondo mordendosi il labbro e sentendo i propri occhi bruciare per i pianti trascorsi, tanto che sembrava non avere più lacrime. Allora sentì il tocco delicato del minore sul suo polso scoperto, perché avrebbe riconosciuto quel tocco tra mille altri, e le sue dita intrecciarsi con le proprie. Nonostante MinSeok avesse le mani completamente insanguinate, le dita intorpidite a causa dei nervi tesi sottoposti a continui ed estenuanti stress, le nocche sbiancate e fredde, gli spasimi dei brividi che percorrevano le sue braccia fino alla punta delle dita, nonostante tutto, il calore confortevole di quella stretta lo tranquillizzò, come se fosse una conferma alla sua scelta di continuare a lottare, poiché sapeva che qualcuno sarebbe stato lì a lottare con lui. 
Ciò che non sapeva era che JongDae aveva terribilmente paura di fallire ancora, paura di ritrovarsi nuovamente in una situazione simile, paura di mettersi in gioco per poi riscoprirsi perdente. 
Il castano si liberò ad un pianto silenzioso, non riuscendo più a contenere le troppe emozioni, sopraffatto dalla situazione che lo aveva indirettamente coinvolto.
«Guarda che ti sento.» la voce flebile del maggiore irruppe nei pensieri del corvino, il quale solo allora si rese conto che tutti gli altri avevano abbandonato la stanza. Si ricordò allora che un paio di istanti prima qualcuno gli aveva poggiato una mano sulla spalla in modo rassicurante, forse ChanYeol, ma in quel momento non ci aveva neppure fatto caso. 
Il minore schiuse leggermente le labbra per parlare, ma le sue corde vocali sembrano essersi spezzate tutto d'un tratto, nessun suono si propagò dalla sua bocca se non un impercettibile sospiro. Si limitò a deglutire cercando di ritrovare una sorta di serenità interna, prima di affrontare qualsiasi cosa sarebbe venuta dopo, e col pollice accarezzò il dorso della mano del maggiore. La sua pelle lattea era fredda a contatto con la propria e quel colore ramato che la decorava brutalmente gli ricordò di dover almeno rimediare alla meglio alle ferite dell'altro. Recuperò i bendaggi che JunMyun aveva accuratamente preparato e un telo di cotone impregnato d'acqua per pulire i tagli. 
Qualcosa dentro di sé urlava di aprire la bocca e buttare fuori tutto ciò che si era ostinato a trattenere per tanto tempo, di confessare al biondo ciò che provava e smettere di limitarsi a gesti frivoli che fino a quel momento non erano serviti a nulla, di reclamare un perdono per non essere riuscito ad evitare tutto quel gran casino, per mettere a tacere i propri sensi di colpa. Eppure, nonostante volesse davvero rendere partecipe il maggiore dei suoi pensieri, si rendeva conto che se solo ci fosse stato un modo per permettere a MinSeok di leggere nella propria mente sarebbe stato molto più semplice.
«M-mi dispiace Minie...» riuscì a parlare dopo parecchi secondi di assoluto silenzio, quando le sue lacrime si calmarono e gli permisero di incrociare gli occhi, adesso dischiusi, del biondo. Sollevò una delle sue mani per lavare via il sangue, che si era ormai raggrumato su molte delle sue ferite, e tamponare quelle che invece ancora sanguinavano. 
«Dispiace anche a me Dae...» il corvino sussultò sorpreso alla risposta del maggiore, tanto che per poco si lasciò scivolare di mano il candido telo macchiato di rosso.

MinSeok stava evidentemente cercando di trattenere una smorfia, per via del dolore che gli causavano le ferite ogni volta che il minore si accingeva a curarle, ma cercava forzatamente di sopportarlo in modo impassibile per non addossare altre preoccupazioni al moro. Era davvero grato che JongDae fosse rimasto, dopo aver sentito le sue parole mentre era ancora chiuso in bagno, si era reso conto di quanto il minore lo avesse osservato tutto quel tempo, in silenzio, apprendendo cose su di lui che tanti altri neppure immaginavano. Aveva capito che JongDae rappresentava qualcosa di necessario nella sua vita se voleva farsi forza e andare avanti. In che modo ancora non gli era chiaro, ma per il momento si accontentava di avere la presenza del minore accanto, ed era qualcosa che lo completava abbastanza da permettergli di sopportare ogni male avesse attorno, e, forse, persino sorridendo. 
Al che, notando la reazione interrogativa che aveva avuto il corvino alle proprie parole, aggiunse: «Devo fare una scelta difficile Chennie... Se—»
«Tu non ti toglierai la vita.» lo interruppe immediatamente il minore con tono calmo e neutro, quasi imperativo, senza cessare neppure per un istante le sue premure. «Non finché ci sarò io, sappi che non te lo permetterò.» continuò subito dopo aver sistemato ordinatamente la morbida benda attorno alla mano del maggiore. 
«Allora c'è la seconda opzione» ribatté XiuMin sentendosi sollevato del fatto che il castano avesse così a cuore la sua vita, il che era qualcosa che invece non aveva mai tenuto in considerazione. JongDae annuì semplicemente guardandolo, distogliendo per un attimo l'attenzione dal medicare l'altra mano del biondo. «Posso continuare a vivere per te, possiamo provarci insieme. Se resti  affianco a me posso sperare di farcela.» MinSeok sospirò accennando un sorriso e pensando che quella fosse la cosa più sbagliata del mondo, dopo aver passato tre mesi ad evitare completamente ogni tentativo di aiuto da parte del minore, eppure il suo cuore gli suggeriva che quella fosse l'ultima alternativa possibile. «Salvami tu Kim JongDae.»

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Capitolo 7
*** Impossibile ***


«Hannie...» MinSeok pigiò un dito sulla guancia paffuta del rosa, che giaceva tranquillamente sdraiato tra le gambe del maggiore con la testa poggiata distrattamente sul suo petto mentre era impegnato a studiare l'intonaco bianco del soffitto. «Ma... Se facessi sparire dalla faccia della Terra quelle persone che ti fanno stare male, servirebbe a qualcosa?» domandò mestamente senza smettere di giocare insistentemente affondando gli indici nelle tenere guance del minore, un po' per passare il tempo, un po' per infastidire il più piccolo e per cercare di riscuoterlo, un po' per rilassarsi e dimenticare tutta quella brutta situazione.
LuHan sembrava così spento ormai, completamente su un altro pianeta, ridotto solo a bisogni primare come ad esempio respirare. XiuMin avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farlo riprendere, ne era certo, eppure non aveva la minima idea di cosa fare.
«MinSeok, non credo proprio che tu abbia il coraggio di uccidermi.»

Ogni cosa che avevamo, ormai, è andata.ˮ

Ogni cosa che ho sperato non si avvererà mai

Ogni speranza futura sarà impossibile.ˮ
 

MinSeok si svegliò annaspando in cerca di ossigeno, come se fosse appena riemerso da un mare in tempesta, l'immenso oceano dell'oblio nel quale era naufragato. Tastò il luogo intorno a sé riscoprendo subito un dolore non indifferente alle mani. Abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore con gli incisivi fino a spaccarlo inconsciamente, ritrovandosi un sapore caldo e ferroso a contatto con la lingua e risvegliando il suo palato ancora secco per via del sonno. Distese le gambe sul materasso, per sgranchire i muscoli intorpiditi e distendere i nervi, ma, involontariamente, nel farlo svegliò il ragazzo addormentato accanto a sé. 
«Minie... Qualcosa non va?» il minore sbatté le palpebre più volte per riabituarsi alla luce mattutina che attraversava le fessure delle persiane di legno della stanza. Sulle labbra screpolate del biondo si formò istintivamente un sorriso, quasi per difesa: sentiva di non volersi esporre, oltre a non avere alcuna intenzione di far preoccupare JongDae per lui. 
«È tutto a posto.» annuì energicamente il maggiore, e sebbene l'altro non ne sembrasse troppo convinto gli sorrise di rimando e si tirò su a sedere concentrando la sua attenzione sul ragazzo che aveva davanti così intensamente da farlo arrossire. 
«Come stai?» domandò il corvino intenerito dalla dolce reazione del biondo. MinSeok si limitò a sorridere allungando una mano verso quella del minore, sebbene riuscisse a muovere a stento le dita, quindi JongDae afferrò la sua mano fasciata chinandosi con le labbra a baciarla delicatamente. «Andrà tutto bene Min-hyung, fidati di me.» lo rassicurò il corvino, senza rendersi conto che dietro quella maschera di tranquilla dolcezza XiuMin stesse lentamente morendo ancora una volta e che quelle parole non lo rassicuravano per niente il realtà. 
«Io mi fido di te, è di me che non mi fido.» sospirò il maggiore ritraendo la mano da quel contatto prolungato con le dita calde dell'altro. Quella pelle era così calda e morbida che lo faceva sentire in difetto, sempre meno desiderabile, sempre meno all'altezza. JongDae era perfetto in tutto, lui invece si sentiva così fuori posto accanto al minore, nonostante la sua presenza fosse importante e quasi necessaria alla sua stessa sopravvivenza. 
«Farò di tutto per farti cambiare idea, mh?» 
Il biondo annuì ancora a quella affermazione, incapace di fare altro, cosciente soprattutto che se avesse cercato di parlare sarebbe scoppiato a piangere rovinando l'immagine quieta che aveva appena costruito. JongDae cercò di accarezzare il viso del maggiore, ma quest'ultimo lo allontanò gentilmente e con l'ennesimo caloroso sorriso sussurrando una scusa per andare in bagno e riprendere fiato. Qualcosa gli suggeriva che non sarebbe riuscito a fingere ancora per troppo tempo in quelle condizioni
«Ti serve una mano?» domandò preoccupato il minore, ma l'altro si affrettò a negare e si chiuse velocemente la porta del bagno alle spalle rivolgendo suo malgrado l'attenzione allo specchio di fronte. Non era proprio un bello spettacolo con quelle occhiaie di stanchezza, il viso sbiancato e le labbra rinsecchite. Eppure era tanto tempo che continuava così, ormai quella visuale era una prassi, niente di nuovo, allora perché ogni volta aveva qualcosa da ridire? Non riusciva ad accettarla una realtà del genere, non gli stava per nulla bene. Si pizzicò le guance per far riprendere un minimo di colorito alla sua pelle cadaverica e fissò per un po' i cerchi scuri intorno ai suoi occhi, consapevole di non aver alcun metodo per farli andare via. Tuttavia fu distratto dal brontolio del suo stomaco, ricordandosi che non metteva qualcosa sotto i denti da forse due giorni. Allungò istintivamente l'indice verso il polso sinistro... Ma gli mancò un battito quando non trovò ciò che cercava. 
L'elastico...
Le tempie del biondo cominciarono a martellare insistentemente, il respiro si accellerò, insieme alla tachicardia, sentiva il cuore uscirgli dal petto e i brividi prendere possesso di sé. 
Un altro attacco di panico...
La voce non uscì dalle sue labbra.
Non riusciva a chiedere aiuto.
Pareva avesse dimenticato persino come emettere suoni.
Aveva bisogno di JongDae.
Devo trovare... 
Dove lo hanno messo?
Il mio elastico...
Deglutì stringendo gli occhi e cercando di riprendersi quanto bastasse per aprire la porta, ma non riusciva a controllare i suoi nervi, gli arti non rispondevano ai comandi, il corpo si era completamente disconnesso dalla mente. 
Solo quando, per un istante, il formicolio alle mani cessò, abbassò di scatto la maniglia e si gettò sul pavimento della camera annaspando senza poter regolare la propria respirazione. Con una mano si stringeva il petto straziato dal dolore pulsante che lo aveva colpito e con l'altra si trascinava in ginocchio arrancando finché due mani non lo sollevarono issandolo fin sopra un letto. Il biondo si vide porgere una capsula rossiccia con rivestimento plastificato e un bicchiere d'acqua. 
La mia medicina...
Come lo sa JongDae?
Avevi notato anche questo?
Buttò giù la pillola insieme all'acqua, inspirando ed espirando sempre più lentamente, finché pochi attimi dopo l'effetto della polvere contenuta nella capsula si fece sentire. 
Il minore raccolse una coperta, avvolgendola attorno alle spalle di XiuMin che ancora tremava vistosamente. Il biondo gli rivolse uno sguardo disorientato, si sentiva così inutile e incapace... Uno stupido ostacolo per la tranquillità degli altri.
«L'elastico... di L-luhan...» bisbigliò il maggiore quando recuperò più o meno la stabilità. Si toccava la fasciatura del polso sinistro raggirando circolarmente la garza come se di aspettasse che da un momento all'altro riapparisse il suo ultimo ricordo del rosa. 
«Quale elastico MinSeok?» domandò il corvino accovacciandosi sui talloni, di lato al letto su cui era seduto il maggiore. Lo guardava con quegli occhi curiosi, ma preoccupati, illuminati dà una dolce e interminabile grazia. Era così invidiabile... Perché ancora stava accanto ad uno come lui? JongDae poteva avere di meglio. 
Lui era forte... Io non lo ero.
Sarebbe stato molto più semplice lasciarmi andare.
«Era mio...» 
Cos'aveva di speciale quella molla?
Probabilmente ce n'erano altre cento identiche nel cassetto della cucina, di quelle per sigillare le confezioni alimentari da conservare dopo averle aperte, eppure quella specifica molla era di LuHan. Era quella che teneva stretta attorno al suo polso delicato e sottile, sempre graffiato e macchiato di strisce rosse, tutto a causa di quell'elastico.

 

«Quando non hai voglia di mangiare, si fa così.» aveva detto il rosa, tirando con forza la molla e lasciandola scoccare sulla pelle già arrossata. Eppure sorrideva. MinSeok aveva dimenticato quante volte aveva ribadito al compagno l'importanza di una sana alimentazione, ma a quale scopo dato che avrebbe seguito il suo stesso destino poco dopo? 
«È una sorta di scarica ai nervi: il dolore ti fa dimenticare la fame, e con un paio di bicchieri d'acqua passa tutto.» 
«Hannie...»
«Se vuoi te la regalo, io ne ho un'altra.» annuì sfilandosi il sottile elastico dal polso, senza che il maggiore avesse accennato una sola parola, e prese delicatamente la mano del biondo facendola scorrere nel cerchio della molla finché non ebbe circondato il polso del più grande. «Ecco, tienila per ricordo.» aveva sorriso. «Quando si romperà, allora avrai già dimenticato chi te l'aveva data e perché.»

 

«Chennie... Io non posso dimenticare...» lo sguardo vuoto e spaventato del biondo vagava senza sosta per la stanza, in attesa di un sollievo che però non arrivava. «Io... Non voglio perderlo...»
L'ho già perso... 
Chi? Cosa?
LuHan.
«Resterà per sempre nel tuo cuore, okay?» 
Perché JongDae capisce?
Perché lui sa che non sto parlando di nessuno stupido elastico in fondo?
Perché lui ha già collegato tutto a LuHan?
«Non lo voglio nel mio cuore, lo voglio qui con me...» la voce fantasma del maggiore si diffuse flebilmente nella stanza come se quelle parole neppure le avesse pronunciate lui. Sembrava che qualsiasi accenno di vita fosse sparito da quel corpo spento, mentre fissava il corvino negli occhi.
Abbiamo visto la stessa cosa JongDae, posso fidarmi di te?
Perché tu stai bene e io no?
È così crudele l'invidia che mi spinge a odiarti... Il mio cuore sta urlando qualcosa di diverso mentre mi abbracci...

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Capitolo 8
*** Ciò di cui hai bisogno ***


JongDae si stava letteralmente mangiando le mani, incerto su come informare il maggiore della nuova notizia che gli era stata comunicata quella stessa mattina. Mancava meno di una settimana alla conferenza stampa e all'esibizione coordinata che ne conseguiva e avevano ceduto a lui l'infausto compito di informare il suo compagno di stanza, benché non sapesse da dove iniziare per parlargliene. MinSeok non stava poi granché bene ancora, era passata solo una settimana da quello spiacevole evento e lui ancora non sembrava aver riacquistato completamente le forze... Non aveva alcuna intenzione di turbarlo ulteriormente, né di scaricare altro peso sulle sue già gravate spalle.
«MinSeok dovrei parlarti...» esordì il ragazzo cercando di tener ferma la voce ancora spaventata dall'imprevedibile reazione dell'altro, che, tuttavia, non ci fu neppure. «MinSeok? Sei in bagno da mezz'ora... Devo preoccuparmi?» il castano sospirò dopo aver bussato con le nocche un paio di volte contro la porta di legno che lo separava dal maggiore. Sentiva che si era creata una certa distanza tra i due dopo quel giorno e XiuMin non aveva affatto accolto positivamente la proposta di allontanarsi dal suo compagno di stanza quando ne aveva sentito parlare nuovamente gli altri. Sembrava non volesse parlare con nessuno se non con lo stesso JongDae, nonostante non riservasse neppure a quest'ultimo trattamenti molto gentili. La serratura della porta scattò e la lastra di legno si spalancò permettendo al ragazzo dai capelli chiari di uscire, mentre impiegava particolare accortezza nel mantenere la testa bassa e ignorare il minore. 
«Hyung...» solo nel sentire quella voce il più grande drizzò le orecchie, abbandonò i vestiti che aveva estratto dall'armadio sul letto e si voltò verso il castano, il quale lo guardava, fermo immobile, dall'altra parte della stanza. 
«Mh? Qualcosa non va?» Minseok inclinò lateralmente la testa guardando di sbieco il minore, palesemente disinteressato, tanto che per un attimo il castano si chiese se fosse giusto porgli quella domanda o meno. MinSeok sembrava non essere più in sé a volte, perdeva completamente il controllo, non sapeva neppure lui di cosa avesse bisogno... Se n'erano accorti tutti che stesse davvero male e avrebbe dovuto farsi aiutare, tranne il diretto interessato. 
«Come stai?» gli occhi di Jongdae si rivestirono di una leggera patina lucida nel pronunciare quella domanda, poiché ciò che davvero desiderava di più era poter alleviare il dolore del maggiore, e sapeva che lui era l'unico a poterlo fare. In fondo gli altri non avrebbero mai saputo cosa significasse avere qualcosa del genere sotto i propri occhi e non poter fare nulla... 
«Va tutto bene, non vedi?» il più grande rispose cercando di mantenere la calma, ma la sua irritazione divenne chiara quando sputò acidamente quella domanda retorica. L'apparente tranquillità che distendeva i tratti del suo volto dolce, ingannava chiunque. Ovviamente non stava bene, ma il minore aveva pensato innocentemente di non aver fatto nulla di male per meritarsi ancora una volta tutto quell'astio insensato. 
«Voglio aiut-»
«Non puoi!» tuonò il biondo esasperato, coprendo prepotentemente la voce del più piccolo. «Non sai di cosa ho bisogno, quindi lasciami in pace.» Spinse via da sé il castano, allontanandolo facilmente per la poca resistenza che l'altro oppose, ma i brividi che entrambi avvertirono allo scontrarsi dei loro corpi, quando la mano del maggiore toccò il braccio del compagno, smembrarono l'autorità e la saldezza delle idee del più grande. JongDae sembrò accorgersi di quel lieve ma repentino cambiamento dai suoi occhi scuri, e non perse l'occasione per ripetere le sue teorie e farsi strada nella mente del biondo con le proprie parole, sebbene sapesse che non sarebbe stato facile. «Io lo so, invece. È di amore che hai bisogno, hyung.» 
XiuMin strinse i pugni sino a conficcarsi le unghie nei palmi già segnati dalle ferite appena rimarginate. Ogni volta che il minore parlava in quel modo qualcosa nasceva dentro di sé facendo germogliare gravose domande che sapeva non gli avrebbero più dato pace per molto tempo ancora. Si lasciò sfuggire una smorfia di dolore quando la pressione sulle cicatrici ancora fresche le fece sanguinare nuovamente, richiamando così l'attenzione dell'altro. JongDae avvolse i polsi del biondo con le dita affusolate, lasciandole scivolare fino a liberare la stretta sui palmi del suo hyung. Accarezzò gentilmente coi pollici le sue ferite per poi alzare lo sguardo verso l'altro, ma non appena MinSeok incrociò gli occhi del castano qualcosa lo indusse a ritrarsi bruscamente, indietreggiando di pochi passi necessari a interporre una distanza tale da lasciare interpretare al minore il suo desiderio di allontanamento. Sfregò le proprie mani sui pantaloni per rimuovere il sangue sgorgato dalle cicatrici e le nascose nelle ampie tasche del felpone che indossava. Si sentiva orribile, mostruoso, nemmeno più bello ormai. Tirò il labbro inferiore tra i denti, sopraffatto dal senso di colpa per essersi ridotto in condizioni così deplorevoli; insieme a LuHan aveva perso la forza, la voglia di vivere, la speranza; aveva distrutto non solo la propria personalità, la propria quiete e tranquillità, ma persino il suo corpo. 
«Hyung... Non c'è bisogno di nasconderti da me...» il castano avanzò leggermente verso di lui, ma Minseok lo distanziò di un altro passo non appena l'altro tentò di avvicinarsi, quasi come un animale ferito che cerchi di scappare dal predatore nonostante siano rinchiusi nella stessa grande gabbia. 
«Non voglio che mi tocchi. Le mie mani adesso sono...» deglutì sonoramente abbassando lo sguardo e puntandolo sul pavimento. Avvertiva la secchezza in gola, tanto da non riuscire nemmeno più a parlare normalmente. «Ruvide... Callose... Così imperfette...» Un brivido percorse la sua schiena e la sua mente produsse all'istante un'immagine che non riuscì più a discostare dai suoi occhi, sebbene chiudesse le palpebre quella continuava a tormentarlo. Aveva curato per così tanto tempo il suo aspetto e la figura che appariva in pubblico, affinandola e rifinendola accuratamente, con un lavoro di lima invidiabile ai migliori poeti, e soltanto in quel momento si rese conto di quanto tempo avesse sprecato. Lui non sarebbe mai riuscito ad essere perfetto, non in quelle condizioni, non  con quelle disperate idee di "salvezza" che gli si presentavano dinanzi continuamente. Aveva avuto la forza di innescare in se stesso un vero e proprio lavaggio del cervello quando si era riproposto di essere migliore, di cambiare, di trovare l'assolutezza dell'eccellenza e dell'impeccabilità, eppure probabilmente nessuno può cambiare fino in fondo. Chi siamo noi per imporre variazioni forzate al carattere che ci è stato assegnato? Sebbene l'uomo sia sempre stato ribelle, niente può modificare il senso effimero della vita che ognuno di noi ha ricevuto in dono, o forse in prestito, dal momento che ad un certo punto, prima o poi, essa dovrà essere restituita. Se il suo carattere debole, nonostante si fosse riproposto di diventare una persona nuova, era riemerso, significava semplicemente che nient'altro avrebbe potuto cambiare il corso del destino quando avesse deciso di rimanere in vita su quella Terra. Odiava doverlo ammettere, ma l'unica soluzione plausibile sembrava sempre la stessa, forse perché non aveva mai fatto affidamento sugli altri e neppure sapeva cosa significasse porre se stesso nelle mani di qualcun altro, un estraneo. Perché, in fondo, per quanto si possa conoscere una persona, la mente umana non avrà mai modo di conoscere qualcuno più profondamente di quanto si possa autonomamente comprendere se stessi. Odiava non essere riuscito a raggiungere il suo scopo, odiava sentirsi così insulso e in balia delle tempeste che lo circondavano e lo investivano una dopo l'altra, portandolo a naufragare in un mare burrascoso senza via d'uscita.
Un morbido tocco, benché lieve e quasi inconsistente, fece sobbalzare il ragazzo, risvegliato bruscamente dai suoi pensieri. Le dita delicate che gli accarezzavano la guancia, però, non pareva volessero giudicarlo, anzi, quel tocco era un tenero sussurro di conforto alla sua anima. 
«Non è di amore che ho bisogno, Chen...» mormorò cercando di muovere quanto meno possibile le labbra, solo per non rinunciare al sentire la mano del minore che dolcemente sfiorava la sua pelle lattea. Non aveva apparentemente bisogno di amore per il pragmatico motivo di non volersi sentire dipendente da un'altra persona, non pensava fosse nella sua indole.
«Hai bisogno di tante cose Min-hyung... Hai bisogno di mangiare, di farti un bel bagno caldo rilassante, di perdere tempo a curare il tuo viso come hai sempre fatto, di passare del tempo con i tuoi amici, di liberarti dei pesi che ti opprimono...» La voce calda e vellutata del castano colse nel segno, diffondendosi gradualmente tra le sinapsi del maggiore che, analizzando quelle parole, cercavano di comprenderle a pieno, in modo da metterle davvero in pratica. Poteva farlo questo, per Chen poteva farlo. «E hai bisogno anche di un po' d'amore.» Aggiunse dopo qualche istante di silenzio, utile al biondo per imprimersi a fuoco nella mente ciò che l'altro aveva detto per aiutarlo. «Tutti hanno bisogno di un po' d'amore...» Il tono di JongDae si incrinò per colpa dell'evidente emotività che lo aveva coinvolto. A causa di ciò adesso il suo respiro leggermente accelerato era più percepibile ai sensi del maggiore, oppure quello era semplicemente dovuto al fatto che fossero ormai tremendamente vicini, separati da una distanza talmente infima che MinSeok non ricordava affatto di aver raggiunta. La sua memoria ingannevole gli ricordava di essersi allontanato, ma, perso com'era nel proprio abisso di avvolgenti pensieri, aveva trascurato un dettaglio: il minore si era tranquillamente riavvicinato, e quella distanza poco tranquillizzava i suoi nervi. 
E se fosse andata esattamente come l'ultima volta?
E se JongDae lo avesse baciato di nuovo?
Le domande però a poco servirono, poiché, difatti, così fu.
Le azioni furono molto più veloci dei pensieri, come la luce che supera il suono. Furono stelle, luce pura, lampi e fulmini, ma nessuna melodia, niente se non le loro labbra che si separavano e si riallacciavano schioccando e i respiri ansimanti che si fondevano tra di loro. Questa volta l'istinto fu dalla parte dell'irrazionale passione, questa volta nulla suggerì a MinSeok di discostarsi da quel caloroso intreccio di emozioni, questa volta si sentì quasi rinato in quel bisognoso bacio che desiderava durasse all'infinito, forse perché era troppo tempo che non riviveva quelle sensazioni e non avrebbe più voluto abbandonarle adesso che le aveva riscoperte.

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Capitolo 9
*** Fiducia ***


«...eok» Era un sogno? 
«... Hyung!» MinSeok fu scosso per le spalle dal minore e si svegliò di soprassalto, ancora una volta.
«LuHan?» si guardò intorno confuso, notando di essere nella propria stanza, nel proprio letto, con JongDae e la sua solita espressione preoccupata a fargli compagnia.
«MinSeok devi svegliarti.» mormorò affranto il castano scuotendo leggermente la testa in disapprovazione riguardo quella situazione che continuava a ripetersi perennemente. 
«Sono sveglio.» ribatté il maggiore guardandolo male, senza un motivo preciso, ma si era sentito quasi offeso da quell'affermazione, come se JongDae gli avesse rinfacciato il suo comportamento involontario. Non era certo colpa sua se era continua preda degli incubi e se LuHan era ancora la costante principale dei suoi pensieri. Per quanto cercasse di focalizzare la sua attenzione sul castano, niente riusciva a distoglierlo dalla propria realtà. Sembrava che la sua mente ricevesse come un insulto o quasi un peccato, dimenticare - o solo anche smettere di pensare - quello che era stato, quello che era successo. Se l'amore per Luhan non si fosse dissolto, d'altra parte, quel sentimento nascosto per JongDae sarebbe rimasto tale per sempre, rinchiuso in qualche meandro del cuore e soffocato, annebbiato, oscurato, del tutto eclissato dalla paura di tradire la fiducia di qualcuno che ormai non c'era neppure più. 
Più ci pensava più si rendeva conto di quanto i baci di JongDae sembrassero insapori, quasi vuoti. Eppure le sue labbra stavano diventando il rimedio temporaneo ai suoi mali. Era come una droga; non che ne fosse dipendente, ma più che altro per il fatto che quel contatto gli desse davvero sollievo, un sollievo momentaneo, che scadeva in fretta, qualcosa di talmente frivolo e labile da non permettergli di smettere di attingere a quella risorsa. JongDae era una medicina, un tranquillante, un vero e proprio antidoto. Era lì per lui e non si tirava mai indietro, c'era per strappargli un sorriso, c'era per svegliarlo dagli incubi, c'era per coccolarlo, c'era per rassicurarlo, c'era per consolarlo, c'era per guarirlo da ogni pensiero velenoso gravasse ancora sulla sua mente: se intrecciava la dita con le sue sentiva abbastanza calore e sicurezza da poter dimenticare per quegli istanti tutto il freddo che si era stanziato dentro di sé. Ogni azione che il minore compiva per farlo stare meglio aveva un effetto catartico su di lui, come se riuscisse a liberarlo provvisoriamente da tutte le negatività. Era per questo che aveva bisogno costantemente di tutto ciò, per non ricadere nell'oblio, e in quei brevi attimi in cui si sentiva egoisticamente tralasciato, ignorato o messo in disparte, tornava a scatenarsi dentro di sé quella tempesta che non gli dava tregua. Tuttavia, era in quei pochi momenti, quando era lucido e non annebbiato dall'immane dolcezza incantatrice di quello sciroppo curativo, che risolveva quanto fosse crudele ciò che stava facendo. Approfittare a quel modo di qualcuno era pressoché vergognoso, benché ormai fosse troppo tardi per pensarci, troppo tardi per tirarsi indietro. Quella era la soluzione più semplice che gli si fosse presentata, nonché l'unica disponibile. Si sentiva lurido quasi, a pensarci, ma poi subito subentrava nuovamente quella droga, che lo tramortiva al punto da sopprimere quei pensieri e fargli scordare il motivo di tutta quella repulsione che invece provava se rifletteva attentamente. Si sentì accarezzare i capelli con delicata tenerezza, quel tocco soffice che tornava a farlo discostare dalla realtà dei fatti e dissipava ogni dramma della sua testa. Afferrò istintivamente il colletto della camicia del minore attirandolo a sé e catturando le sue labbra tra le proprie in quella bisognosa ricerca dell'oblio di se stesso, perché sperare nell'armonia ormai sembrava troppo astratto e lontano, quindi si stava spingendo ad ottenere almeno la distrazione necessaria a fargli dimenticare ciò che davvero lo affliggeva.
«Non mi lasciare...» biascicò chiudendo gli occhi e allacciando le braccia dietro la nuca del castano perché non si allontanasse.
LuHan non mi lasciare.
«Non lo farò.» JongDae scosse leggermente la testa per enfatizzare le sue parole e accarezzò la guancia del maggiore, asciugandogli una lacrima sfuggita dai suoi occhi. La goccia salata che simboleggiava quanto il suo subconscio avesse consapevolezza di tutto, al contrario di quanto sembrasse. 
LuHan, avevo promesso di salvarti...
«Hai promesso che mi avresti salvato.» 
Io non ci sono riuscito, sono stato un fallimento.
Appoggiò sconfortato la fronte sulla spalla del castano, cosciente di star confondendo due mondi, due entità, due sentimenti.
«Manterrò la promessa hyung.» La sua voce sembrava sincera, eppure qualche altro brutto presentimento tormentava il maggiore. Era come se sentisse dal profondo del suo cuore che non ci sarebbe stato nessun lieto fine a tutto quello. Non poteva esserci un lieto fine ad un qualcosa edificato sul dolore
«Non mi fido» mugulò il biondo in un sussurro. Le mani gentili di JongDae che gli accarezzavano la schiena pareva riuscissero ad ammaestrare perfettamente le emozioni che imperversavano dentro di sé. Non sapeva da cosa derivasse quella capacità forse innata dell'altro, né sapeva perché tra le sue braccia tutto aveva un sapore diverso e il mondo sembrava più vivibile, meno triste o difficile. Dare un nome a ciò che provava ogni qual volta le loro dita si intrecciavano, era troppo difficile per MinSeok, il quale neppure si rendeva conto del motivo ancora più astruso per il quale provava quelle determinate sensazioni. Agli occhi offuscati della sua mente ormai risultava tutta una matassa di sentimenti rivolti ad un unico centro, un filo che si rigirava centinaia di volte su se stesso cambiando verso e direzione, ma che tornava poi sempre nello stesso centro. E quel centro non era JongDae. 
«Ti fiderai XiuMin, fosse l'ultima cosa che faccio.» Le dita affusolate del minore sfiorarono la sottile striscia di pelle scoperta del collo del biondo, dirigendosi poi tra i suoi morbidi capelli. «Mesi fa... Ti avevo chiesto di non lasciarmi hyung... Sembra ieri e invece è passato così tanto tempo. Sei stato forte hyung, sei qui, sei ancora con me, ce l'hai fatta.» JongDae con quei piccoli gesti affettuosi sembrava quasi una madre che cerca di consolare il proprio bambino e MinSeok si sentiva esattamente tale: aveva bisogno forse anche di più attenzioni di quelle solitamente riservate a un bambino. «Tu non mi hai abbandonato hyung e non conosco modo per trasmetterti la mia felicità ogni giorno che tu continui a respirare, perché anche solo averti accanto è un sollievo ogni volta che mi sveglio al mattino e ogni volta che vado a dormire la sera. Io non ti lascerei mai, neppure se me lo chiedessi, guarderei sempre a te e alla tua felicità, anche se per ottenerla dovessi sacrificare la mia.»
Il cuore del biondo saltò un battito, mandando in subbuglio la sua mente. LuHan mi ha lasciato. JongDae al posto suo lo avrebbe fatto?
Se era vero il fatto che il minore non avesse intenzione di lasciarlo in balia dei suoi fantasmi ed era vero che XiuMin non fosse in grado di proseguire da solo la sua vita in preda alle ansie, di conseguenza se tutto avesse seguito linearmente il suo corso, sarebbero riusciti a vivere la loro vita completandosi a vicenda, l'uno facendo un favore all'altro. Eppure MinSeok era sicuro che nulla del genere si sarebbe avverato.
«Chennie ho fame, andiamo a mangiare.» lo esortò il maggiore, seppellendo senza ripensamenti il contorto dialogo che avevano stabilito fino a quel momento. Si alzò dal letto per cambiarsi, sostituendo alla maglia e ai pantaloni di una vecchia tuta - che erano diventati il suo pigiama per quel frangente di tempo - un paio di skinny e una felpa, sotto lo sguardo distratto del minore, il quale ammirava in silenzio, perso tra i pensieri, la perfezione di quel corpo così poco apprezzato dal suo proprietario.
«Andiamo?» il biondo schioccò le dita davanti agli occhi incantati del minore, che si era completamente perso con lo sguardo in un punto ormai vuoto. L'altro annuì con un sorriso, rimettendosi in piedi, e afferrò la mano di MinSeok che curvò spontaneamente gli angoli delle labbra verso l'alto in risposta.
«Ma non ti stanchi mai di essere così bello?» Lo stuzzicò il castano con un tono ironicamente canzonatorio e il sorriso sulle labbra a testimoniarlo. 
«Stupido.» Chen ricevette un colpo sulla spalla dal maggiore che ridacchiò alla sua affermazione, nascondendo la beatitudine che avvertiva ogni volta che le provocazioni del minore portavano con sé quell'immancabile leggerezza che le caratterizzava. E con la spensieratezza di quel sorriso allegro e sereno sulle labbra si riunirono agli altri in cucina, sotto gli sguardi attoniti e meravigliati dei propri compagni, che immediatamente - nessuno escluso - si sentirono sollevati del fatto che una persona in particolare tra di loro avesse ripreso a sorridere, almeno un po'.

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Capitolo 10
*** Non ti lascerò ***


«Hyung... Quindi JongDae ti ha dato la notizia?» Domandò ChanYeol riempiendosi la bocca con un'abbondante manciata di patatine che solo a guardarle fecero quasi venire il voltastomaco al maggiore. Non mangiava schifezze simili da così tanto tempo che non ricordava neppure che sapore avessero. Il ragazzo dai capelli argentei incrociò le gambe sul divano prendendo forse una posizione più comoda e allungò la busta di patatine verso XiuMin offredogliene con un gesto muto, tuttavia il biondo rifiutò animatamente, non riuscendo a trattenere una smorfia disgustata quando l'odore unto di frittura che emanava il contenuto della confezione invase le sue narici. JongDae a pranzo lo aveva costretto a mangiare una ciotola intera di riso e un bel po' di kimchi per condimento, tanto che ad un certo punto aveva avuto lo stimolo di vomitare, sebbene si fosse sforzato quanto meglio per evitarlo. Sospirò rassicurando il grigio con un mezzo sorriso e ottenendo finalmente che l'altro ritirasse la mano e con essa le patatine.
«Comunque... Di quale notizia parli?» Si informò MinSeok scavando tra i suoi ricordi più recenti alla ricerca di qualche indizio che gli avrebbe suggerito magari qualcosa a riguardo, qualcosa che Chen avrebbe dovuto dirgli ma che altrettanto evidentemente non gli aveva detto. 
«Che domani abbiamo una conferenza e dovremo esibirci con qualche canzone a scelta.» Intervenne BaekHyun introducendo furtivamente una mano nel sacchetto che ChanYeol cercava invano di proteggere. Il corvino, fiero del suo bottino, sotto lo sguardo offeso del minore, si appollaiò sedendosi sul bracciolo del sofà e mentre sgranocchiava rumorosamente le sue patatine aspettava una reazione dal maggiore, che invece sembrava essersi perso in un altro mondo. 
«Hyung?» JunMyun sventolò una mano di fronte al viso del biondo per risvegliarlo da quel momentaneo stato di trance. MinSeok sbatté più volte le palpebre prima di riprendersi e guardò negli occhi ognuno di loro, in modo inespressivo, soffermandosi qualche attimo di troppo con lo sguardo su JongDae. Perché non gliel'aveva riferito?
Lo sguardo di XiuMin bruciava negli occhi del minore, lugubre, gelido, e soprattutto deluso
«Uhm si okay...» Annuì distrattamente distogliendo lo sguardo dal minore e si stiracchiò facendo schioccare l'osso del collo, per poi alzarsi dal divano e salutare tutti con un cenno della testa prima di ritirarsi nuovamente in camera sua. 
Come previsto, JongDae lo seguì immediatamente.
Non fece in tempo neppure a chiudere la porta della camera che il castano lo fermò ed entrò subito dietro di lui.
«MinSeokmidispiaceionon-»
«JongDae.» Il maggiore lo interruppe bruscamente, la l'altro continuò imperterrito.
«Volevo dirtelo, ma poi è successo quello che è successo e non sapevo come fare...» 
«Zitto, ho capito.» XiuMin si sentì incredibilmente preso in giro quando realizzò cosa fosse realmente accaduto giorni addietro. Forse non ne aveva il diritto, perché in realtà era il primo a star approfittando del minore, eppure quell'illusione che si era creato andò sfumando del tutto. «È per questo che mi hai chiesto come stavo, quindi?» Il biondo deglutì vistosamente ingoiando il groppo che gli si era formato in gola. Non sapeva più se sentirsi in colpa per ciò che stava facendo o se sentirsi offeso per ciò che invece aveva fatto l'altro.
«No, Minseok, ascolta...»
«Avevi paura della mia reazione se me l'avessi detto direttamente?»
La rabbia si stava accumulando in modo infimo e crudele nel suo tono. E, sebbene non volesse davvero riversare tutte le emozioni accumulate sul minore, continuava involontariamente a farlo.
«Te lo giuro, l'ho chiesto perché volevo saperlo, non l'ho fatto per circostanza.» Gli occhi del castano sembravano sinceri, erano quasi lucidi, forse perché era troppo preso dalla disperazione di far valere la propria parola. Evidentemente aveva intuito che MinSeok ormai dubitava di nuovo di lui. «Hyung, per favore, ascoltami...» 
Il maggiore sbuffò sonoramente e, ormai sprofondato nello sconforto, si gettò sul proprio letto coprendosi la testa con un cuscino, ma sobbalzò non appena si sentì sfiorare il fianco dalla mano affusolata del più piccolo. «Lasciami in pace, ho sonno.» Si lamentò, senza neppure voltarsi a guardarlo.
«Non ti lascerò, te l'ho già detto...» 
Il cuore del maggiore non riusciva più a sostenere la sua abituale velocità cardiaca per via della distruttiva potenza di quelle emozioni che imperversavano dentro di sé. Non riusciva a conciliare la realtà con ciò che invece presenziava tra i suoi pensieri e questa incapacità nell'amalgamare quei due universi lo stava portando allo stremo delle sue forze. Amava qualcuno e approfittava di un altro, aveva la testa a qualcuno e il corpo a qualcun altro, eppure quei sentimenti si confondevano in modo così omogeneo che scinderli sembrava impossibile. Non sapeva come mettere ordine nella sua mente e ciò che lo spaventava era il fatto che forse non sarebbe riuscito a farlo mai più. «Quello che tu non capisci...» esordì il maggiore con la voce roca soffocata dal morbido cuscino che nascondeva il suo volto. «... È che io in fondo mi fidavo già di te... e tu...» Tirò via il cuscino e si risollevò di scatto fissando i suo occhi neri in quelli lucidi di lacrime del minore. «Tu hai tradito la mia fiducia, quella che non ti ho dato di mia spontanea volontà perché ce l'avevi già, era già tua, l'hai sempre avuta senza nemmeno saperlo. Sei sempre stato l'unica voce nella mia testa che contraddiceva i miei pensieri, l'unica che mi faceva ricredere dal compiere i gesti più assurdi, l'unica a cui davo retta.» 
Il minore si morse il labbro, reclinando la testa verso il basso e abbassando le spalle in una postura che dimostrava perfettamente l'afflizione che lo aveva colpito in quel momento. JongDae aveva capito tante cose del maggiore, eppure molte altre non le immaginava neppure. 
«Mi disp-» Iniziò, ma fu interrotto ancora dal maggiore che gli coprì la bocca con una mano per qualche istante, senza preoccuparsi di usare particolare delicatezza. 
«Dimmi la verità, Kim JongDae, la accetterò.» Il biondo apparve così serio agli occhi del minore che la sua aurea di maestosità lo mise visibilmente in soggezione. MinSeok era uno specchio bellissimo, nel quale ci si poteva riflettere per notare i propri difetti o lodare i propri pregi, grazie al quale si poteva decidere di fare del proprio meglio e vederne gradualmente i risultati. MinSeok era uno specchio bellissimo, uno specchio rotto. Tagliente, pericoloso, mortale. Nella strada intrapresa per cercare di aiutarlo JongDae stava facendo tutto il possibile, stava dando tutto se stesso, aveva persino cominciato ad assistere ad una lieve evoluzione della situazione, un piccolo ma sostanziale risvolto. Però non era stato abbastanza. Quei frammenti di vetro erano troppo affilati per poterne uscire indenni, erano trasparenti, invisibili, potevano colpire senza che nessuno li notasse, erano infallibili. Sapevano tenere alla larga chiunque, sapevano spaventare, sapevano esigere la solitudine. MinSeok non aveva mai perso, forse, il desiderio di allontanare il minore e probabilmente i suoi occhi lo etichettavano ancora come una minaccia, era per questo che qualsiasi cosa gli inviava l'impulso di difendersi. Ma il castano non voleva che l'altro si chiudesse in se stesso, non di nuovo completamente.
«Non ti mentirei mai, non direi mai nulla per convenienza, sicuramente non a te.» Parlò il minore riponendo in quelle parole tutta la sua convinzione.
«La verità, JongDae.» Ribatté il biondo, ancora non contento della risposta ottenuta.
«La verità è che avevo paura della tua reazione si, ma ho fatto quella domanda perché la cosa che mi preme di più in questo momento è sapere tu come stai.» Il castano prese le mani del maggiore tra le sue, sotto lo sguardo indagatore dell'altro. Quegli occhi bui e talmente intensi lo inducevano a soppesare meticolosamente qualsiasi mossa facesse, qualsiasi parola dicesse, lo rendevano insicuro come nient'altro. 
«Va bene.» Annuì piano il maggiore liberando le sue mani da quella stretta che a lui sapeva di prigionia e non della tenerezza che invece il castano aveva voluto infondergli.
«Va bene?» Domandò l'altro, quasi incredulo e lasciandosi sfuggire qualche lacrima a causa dell'ansia che era dilagata in maniera incontenibile per quel corpo troppo piccolo che non era più in grado di trattenerla. 
«Va bene, Chennie. È giusto, lo avrebbe fatto chiunque.» Lo rassicurò accarezzando una guancia al più piccolo e asciugando una lacrima che ancora tracciava lentamente il suo corso.
JongDae avrebbe voluto ribattere. Avrebbe voluto dire magari che lui non era "chiunque", che non voleva essere considerato tale. Non ne ebbe il coraggio però.

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Capitolo 11
*** Ritorno alla scena ***


Quella notte notte XiuMin non fece incubi, secondo il minore. Quando fu svegliato dalla tenue luce che filtrava dalle fessure delle persiane, si rese conto che - a differenza del solito - aveva dormito tutta la notte e non erano state le urla del maggiore a svegliarlo. Ormai aveva fatto l'abitudine ad accorgersi immediatamente se il biondo si agitava nel sonno in modo da potergli stare accanto per dissipare i suoi incubi, eppure se quella notte XiuMin non si era svegliato per JongDae significava solamente che forse qualcosa stava migliorando, che c'era stato un progresso, seppur minimo. E questo faceva sentire sollevato il castano, il quale conservava preziosamente le sue speranze che presto tutto quel periodo sarebbe passato insieme alla sua angoscia.
Quella notte, però, lui non poteva immaginare che in realtà MinSeok non avesse dormito affatto, pur di non rischiare di svegliare ancora una volta il minore e farlo preoccupare dei suoi drammi. Egli non voleva che disperdesse energie e buonumore accanto a lui, doveva essere una giornata importante quella, non poteva certo rovinargliela. In fondo, il povero JongDae non aveva fatto nulla di male per meritarsi tutto quello stress, e soprattutto per meritarsi tutti i continui sbalzi d'umore del biondo, quindi la soluzione migliore agli occhi del maggiore fu allontanare il sonno, che tra l'altro già scarseggiava nelle sue nottate, per evitare di incorrere ancora negli incubi. Non era il giorno adatto ai brutti sogni, quello, non poteva permettersi di sfiancare il suo compagno di stanza per un motivo tanto stupido. Quando i raggi deboli del sole cominciarono a pervadere la stanza dovevano essere le 6 di mattina, ma XiuMin non si mosse di un millimetro, attendendo che il tempo scorresse con gli occhi puntati contro il soffitto bianco che non faceva altro che ricordargli la stanza asettica dell'obitorio dove aveva visto per l'ultima volta il corpo di LuHan. Non era stata condotta nessuna autopsia perché il motivo del decesso era stato più che palese, quindi il ragazzo aveva chiesto di vederlo un'ultima volta prima che fosse trasferito nel sarcofago di legno che avrebbe sigillato e suggellato per sempre le sue spoglie. Bianco, come il soffitto, come quella stanza, come le lenzuola che coprivano il corpo senza vita del minore, come la sua carnagione scolorita. Bianco era il colore della morte. Il colore più spento di tutti, il più grezzo, il più rude, il più distruttivo. Il bianco copre qualsiasi cosa. Quella notte, il candore lugubre del soffitto aveva tenuto compagnia a lui e ai suoi pensieri. Tuttavia, nonostante non fosse stata affatto una nottata piacevole, lo consolava il fatto che stesse per terminare. Più insistente diventava la luminosità che si irradiava dalle finestre, più i suoi sensi entravano in allerta, sicuro che da un momento all'altro il castano si sarebbe svegliato. Non aveva mosso neppure un muscolo per tutto il tempo, per timore che il fruscio delle coperte avrebbe potuto svegliare l'altro, ma, non appena avvertì quel familiare strascichio di lenzuola dall'altro lato della stanza, non riuscì a trattenere un leggero sospiro. Non ce la faceva più a fingere. A fingere di dormire, a fingere di stare bene, a fingere che tutto stesse prendendo la giusta piega, ma doveva farlo. Chiuse gli occhi per quella che gli sembrò un infinità di minuti, le palpebre pesavano tanto che credeva che poi non sarebbe più riuscito a riaprirle. Tutto quello spasmodico affannarsi nel mantenersi calmo, secondo un ossimoro che egli stesso aveva difficoltà a comprendere, trovò fortunatamente la sua fine quando JongDae si avvicinò a lui per svegliarlo, nel suo solito modo dolce e premuroso. Si sentì accarezzare amorevolmente i capelli, il che lo rilassò ulteriormente all'istante, e la voce calda del minore non tardò a farsi sentire: «Minie... Svegliati, sono le nove...» Il maggiore simulò lentamente un risveglio e sorrise al castano ringraziandolo mutamente di essere sempre lo stesso. «Se fai in fretta abbiamo più tempo per fare colazione.» Aggiunse ancora l'altro, allontanandosi nuovamente e raggiungendo l'armadio per scegliere dei vestiti. MinSeok, d'altro canto, non aveva per niente voglia di mangiare e il solo pensiero del cibo gli distorceva la sensibilità dell'olfatto.
«Dobbiamo proprio?» Mormorò il maggiore sollevando la schiena dal materasso e reclinando la testa di lato, con un atteggiamento infantile. 
«Devi proprio, si.» Lo ammonì il castano, voltandosi verso di lui, con il tono apprensivo di una madre che sgrida il suo bambino. Il maggiore sbuffò sonoramente cercando di farsene una ragione e si alzò dal letto trascinandosi involontariamente dietro il groviglio di coperte. Come se non fosse abbastanza, inciampò distrattamente coi piedi tra le lenzuola, facendo ridere istintivamente il più piccolo, il quale tuttavia scattò immediatamente in avanti per afferrarlo al volo. Quella presa ferrea sulla sua vita trasmise al maggiore molto più di un semplice gesto per evitare che cadesse, piuttosto lo rassicurò a livello emotivo per la saldezza di quelle mani che per lui c'erano sempre, per sostenerlo. Sperava vivamente che prima o poi la sua mente l'avrebbe accettato davvero, denigrando tutto il resto, sebbene sapesse quanto difficile sarebbe stato.
«Non ridere, ho sonno.» Si lamentò il maggiore piagnucolando e liberandosi dalle mani del castano dirigendosi verso il guardaroba e spingendo scherzosamente via Chen senza preoccuparsi di essere delicato, dimenticandosi completamente di quanta forza possedesse nelle braccia. 
«Ma se hai dormito tutta la nottata oggi!» Ribatté il più piccolo ridacchiando, sicuramente contento della sua interpretazione dei fatti.
«Già...» MinSeok sospirò, concentrandosi sulla scelta dei vestiti. Poteva essere un giorno diverso quello, poteva essere un giorno migliore per una volta. Optò quindi per dei vestiti più appariscenti, che riprendevano uno stile di abiti che non indossava da tanto tempo, cose che non ricordava più nemmeno come gli stessero addosso. I pantaloni di pelle gli fasciarono le gambe scolpite - nonostante fosse dimagrito e i pantaloni non fossero più aderenti come una volta -, facendo risaltare la sua figura magra e muscolosa, sebbene non troppo pompata. La camicia, invece, gli regalò quel tocco di classicità elegante, che con i primi bottoni aperti sul petto, restituiva perfettamente l'immagine fiera e curata che aveva sempre inscenato, essendo la sua mascherata preferita. La giacca bianca, decorata di borchie e swarovskini fu il tocco finale, insieme all'ombra di trucco che accendeva il suo sguardo felino e al filo di lucido che gli colorava le labbra.
Quando uscì dal bagno, pronto per affrontare quella giornata, JongDae restò ad occhi aperti nell'ammirare il cambiamento che aveva sconvolto XiuMin in appena mezz'ora. 
«Chiudi la bocca o mangerai moscerini.» Commentò il maggiore con una risata roca avvicinandosi all'orecchio del castano e posandogli dolcemente due dita sotto il mento per poi far pressione verso l'alto in modo da sollevare la mascella del minore che altrimenti temeva avrebbe toccato il pavimento di quel passo. JongDae arrossì violentemente e si riscosse immediatamente cercando in ogni modo di distogliere lo sguardo dal ragazzo accanto a sé. 
«Okay o-okay, a-andiamo a fare colazione.» Farfugliò il più piccolo sospingendo il biondo verso la porta e cacciandolo praticamente dalla stanza. MinSeok gli prese la mano prefiggendosi di non dover perdere per nessun motivo il sorriso che si era piazzato in volto, quindi varcarono insieme la porta della cucina trovando già qualcun altro intento a fare colazione, tra cui SeHun e ChanYeol già pronti, mattinieri come al solito, mentre BaekHyun, il quale indossava ancora fieramente il suo pigiama rosa, sputò quasi il tè che stava bevendo quando il suo sguardo incrociò i due appena entrati nella stanza. Qualcosa suggerì al maggiore che quella giornata sarebbe stata meglio del previsto, magari meno difficile da affrontare, considerando che avrebbe dovuto dar retta a tantissime cose che sicuramente gli avrebbero fatto dimenticare provvisoriamente le sue sofferenze.
Dai loro alloggi allo stabilimento della casa discografica, dalla sala di preparazione al palcoscenico. Tutto aveva un profumo diverso, un sapore rinfrescante che portava il biondo a rivivere nella più assoluta scioltezza quei momenti che amava della sua carriera. Riprovare sulla pelle l'emozione di essere su quel palco, urlare e sfogare cantando ogni sua preoccupazione, ogni suo dramma, ogni sua ossessione... Il poter rendere felici fan che continuavano a sostenerli, nonostante tutto. Era quello che amava della possibilità di fare quel lavoro, era quell'arte che lo rendeva libero per un po' dalle sue catene.
La cosa più incisiva, però, fu sicuramente la presenza del minore al suo fianco che non lo abbandonava mai. Ad ogni passo, ad ogni nota, ad ogni strofa, lui era lì a regalargli lo sguardo di supporto più bello che potesse desiderare. Era necessario e sufficiente quel sorriso perenne accanto a lui che lo portava in paradiso ogni volta che si perdeva a guardarlo, nonostante dentro di sé bruciasse l'inferno.

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Capitolo 12
*** Il sapore della sconfitta ***


Lo stage era finito in grande tra gli inchini e i ringraziamenti da parte del gruppo e le urla deliranti delle fans che non smettevano mai di sostenerli moralmente col loro caloroso affetto. In fondo, XiuMin poteva sinceramente ammettere che non fosse andata proprio malissimo, anzi, per un po' si era addirittura sentito meglio. Era risultata comunque una grande distrazione dalla matassa di pensieri che lo affliggeva perennemente e, soprattutto, essere obbligato ad assumere un certo atteggiamento lo aveva fatto ritornare mentalmente al tempo durante il quale aveva meticolosamente costruito quel modo di fare in pubblico che ormai gli apparteneva ed era da tutti considerato suo.
L'intervista che era prevista aveva succeduto lo spettacolo, così come da programma. Avevano riso parecchio, scherzato, parlato del comeback che ci sarebbe stato di lì a qualche mese, ma rimasero piuttosto vaghi, così come gli era stato intimato dal manager. "Questione di affari", diceva lui, e in ogni caso nessuno aveva l'autorizzazione per poterlo contraddire, qualsiasi fosse l'argomento trattato, nemmeno riguardo la cottura delle polpette. MinSeok sorrise all'ennesima domanda dei giornalisti, questa volta rivolta a JongDae, il quale aveva preso posto accanto al maggiore per stargli quanto più vicino possibile, non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente, perché sapeva che il biondo ne aveva bisogno. Pensò a quanto dovesse essere stata pesante da sopportare quella serata per il castano, magari costantemente in ansia a immaginare possibili reazioni sconsigliabili o a ideare stratagemmi ed escamotage per uscire da qualche brutta situazione che si sarebbe potuta venire a creare, ma JongDae era fatto così, si preoccupava di tutto, anche dei dettagli. Se si trattava proprio di XiuMin poi, e di quella determinata situazione, allora si ritrovava a pensare così tanto da farsi scoppiare la testa probabilmente. MinSeok sapeva perfettamente di essere parte integrante della preoccupazioni del minore, era per quel motivo che aveva cercato comunque di essere quanto meno possibile un peso per quella giornata. Voleva che fosse una boccata d'aria pura in mezzo a tutta quella bruciante anidride carbonica che stava respirando, lui insieme agli altri. Aveva temuto, in realtà, di combinare qualche guaio, se ad esempio si fosse imbattuto in qualcosa di troppo vicino a quell'argomento. Ma fortunatamente JongDae non lo aveva abbandonato neanche un istante, ed era riuscito a superare alla grande il pezzo grosso della giornata.
«...Vero XiuMin-ah?» Sentì la voce del minore raggiungerlo, ma preso com'era dalle riflessioni si rese conto di non aver prestato minimamente attenzione a ciò di cui stava parlando lui e l'intervistatore. Perché diavolo lo aveva chiamato in causa???
Concesse un ampio sorriso alla telecamera. «Io e Chen condividiamo la stanza, ci conosciamo davvero bene. Ma non lo sopporto perché lascia continuamente i calzini in giro e davvero ci puzza sempre in camera, poi siamo costretti ad aprire la finestra e io prendo la bronchite per il freddo!» Una fragorosa risata generale animò lo studio e XiuMin attirò su di sé lo sguardo scettico del minore che lo fissava con le sopracciglia aggrottate per ciò che aveva detto. «Tralasciando gli scherzi, io e Chen facciamo sempre di tutto insieme, in tutto questo tempo è come se fosse diventato mia moglie.» Annunciò con una vaga soddisfazione facendo impercettibilmente arrossire il ragazzo di fianco a sé. Ci fu qualche risata, fischi di apprezzamento, qualche commento carino e qualcuno un po' meno invece, ma come al solito non tutti avevano una mentalità granché aperta in quel posto.
«BaekHyun, le fan si chiedevano se anche nel prossimo MV avrai il tuo solito record assoluto di screentiming?» 
«Ancora non abbiamo progr— Ma ehi! Non ho mica così tante parti negli MV!?!» Il corvino mise il broncio di fronte alla telecamera, catturando con la sua maliziosa dolcezza gli sguardi divertiti e ammaliati di tutti, finché qualcuno non si ricordò che l'intervista doveva concludersi. 

«Quasi dimenticavo!» Scattò uno dei loro interlocutori più importanti, poco prima che i ragazzi salutassero le riprese. «XiuMin, ecco, non è che potresti parlarci un po' della situazione? Dopo ciò che è successo... Il fandom è in subbuglio. Come la state vivendo voi da suoi amici, non da colleghi? È mutato qualcosa nel rapporto tra  di voi? E nel rapporto del gruppo con la label? Come incide questo sulla vostra carriera?»
Il biondo si paralizzò sin dopo la prima domanda, avvertì il suo corpo cedere del tutto, come se non avesse più il potere di controllarlo, sentì i nervi spezzarsi e scollegare del tutto la mente dalle sue azioni, in quel momento dettate dal suo inconscio. Non vedeva nulla, i suoi occhi sembravano essere completamente ciechi. C'era solo un asfissiante buio che aveva inghiottito la sua vista e lo aveva avviluppato con le sue propaggini trascinandolo nel mare burrascoso delle sue paure più grandi, mentre annegava avvolto dall'oscurità intervallata soltanto dal bagliore indesiderato dei flash delle macchine fotografiche. Non si rese nemmeno conto di essersi alzato, non capì cosa stava succedendo, non era più in sintonia con la sua mente e non sapeva neppure cosa aveva cercato di fare. Si accorse solo di due paia di mani che lo sorressero con una presa ferrea, forse perché stava cadendo, o forse invece perché stava per picchiare l'uomo che aveva posto quelle domande.

«LuHan è solo un bellissimo ricordo... ci...enderemo...sto...tto torn...lla normalità.» La voce che stava parlando pareva insipida e confusa tanto da impedirgli di riconoscerla, sebbene convivesse con quelle persone da più due anni. Le sue parole andarono via via scemando e a quel punto la comprensione fu minima per il biondo. Un vuoto crepuscolare si espanse dentro di sé, partendo dal petto e facendogli avvertire dolori allucinanti che lo piegarono fino a farlo crollare sulle ginocchia. Sentiva urla, ordini, frasi incomprensibili, sentiva tutto e niente. Era come se avesse una cinghia stretta al collo che lo stesse soffocando portandolo a perdere i sensi. Il suo viso, già pallido, si spense del tutto, la sua consapevolezza della realtà si eclissò sprofondando in una voragine scura, le sue funzioni cerebrali si smorzarono spegnendo quella macchina infernale che istante dopo istante lo stava conducendo all'autodistruzione.

Perché?

Era giunta l'ora di realizzare che LuHan non c'era più?

Era arrivato davvero il momento di arrendersi alla realtà?

Doveva per forza riconoscere di stare continuando ad amare un fantasma?

Perché quel pensiero era destinato a tormentarlo?

Perché doveva tornare ogni volta che sembrava aver riacquistato stabilità?

Perché non lo lasciava in pace?

LuHan si stava vendicando? E di cosa?

Di non essergli stato abbastanza vicino per accorgersi che la situazione fosse così grave?

E la vendetta doveva essere per forza così crudele come il senso di colpa?

Sollevò di scatto la schiena annaspando come se tutto l'ossigeno di quella stanza non bastasse a riempire i suoi polmoni affogati dall'acqua nera dell'oceano di drammi che lo tormentava. Aveva caldo. Cinque paia di occhi vegliavano vigilmente su di lui e al suo risveglio JongDae scattò avanti con una pezza impregnata d'acqua fredda posizionandogliela sulla fronte. Fu un sollievo, per un po', finché la testa non cominciò a pulsare convulsamente per un dolore improvviso. Strinse semplicemente gli occhi e si cercò dentro di sé il coraggio di non cedere.
«MinSeok, ti prego, rispondimi...» Ripeté il castano forse per l'ennesima volta, nonostante lui prima non l'avesse sentito affatto. L'altro lo attrasse delicatamente a sé accogliendolo tra le sue braccia. «Come ti senti?»
«Male.» Ribatté all'istante il maggiore. «Voglio LuHan, non te.» Le sue parole acide fecero bloccare ogni premurosa azione del minore. Evidentemente non si aspettava di sentirselo dire, ma era esattamente ciò che stava pensando il biondo in quel momento. «Che tu mi abbracci in continuazione, ti preoccupi di me e ti distrugga stando insieme a me è del tutto inutile. Lui mi ha lasciato senza neppure un abbraccio, non mi rispondeva nemmeno più ormai, aveva smesso persino di considerare la mia presenza.» 
«Ma non è colpa tua...»
«Lo è. E non merito niente di tutto ciò.» Si dimenò dal debole abbraccio del minore e si alzò in piedi provando a ignorare il pesante capogiro che lo investì una volta assunta quella posizione. Una mano gli si poggiò sul braccio, non era un tocco gentile come quelli di JongDae, quando lui lo toccava si accertava sempre di usare la massima cautela e ogni volta sembrava come se una farfalla si fosse posata sulla sua pelle, quella mano invece fu brusca e insensibile, sembrava volesse trattenerlo. 
«Non sono un pazzo violento!» Ringhiò voltandosi verso ChanYeol, che si ritrasse immediatamente, sentendosi in difetto ad aver azzardato così tanto. XiuMin aveva gli occhi di un animale ferito «Lasciatemi stare...»
«Tu meriti di più di questo, MinSeok, anche meglio di me.» La voce del minore tremava, sembrava stesse per piangere eppure i suoi occhi erano fermi e stabili, sicuri delle proprie parole.
«Sei stupido? LuHan è morto, le tue attenzioni mi avevano solo distratto dal riconoscere questa realtà. Mi hai rovinato. LuHan è morto, lui non c'è e io ho finto di non averlo capito per tutto questo tempo, a causa tua...» Il biondo si passò le dita tra i capelli tirandosi le ciocche. JongDae a quelle parole morì soltanto un'altra volta. Ciò che aveva pensato, negli ultimi giorni, fosse un miglioramento in realtà era soltanto la goccia che stava per far traboccare il vaso. E alla fine era venuto tutto fuori.
«Minseok... È davvero solo questo che ci lega?» La sua voce si spezzò sul finire di quella fatidica domanda, ma non solo quella: si frantumò la speranza, si infransero i sogni, si sgretolò il cuore nel petto.
Si sgretolò come avrebbe fatto un bicchiere di cristallo lasciato cadere in terra.
Si sgretolò in briciole di sofferenza, che piovvero come coriandoli sui suoi pensieri, sostituendo la pioggia di lacrime che invece imperversava dietro suoi occhi. 
E l'altro restava lì, serrato nel chiassoso silenzio dei suoi drammi.
E il castano avrebbe preferito restasse con la bocca chiusa, perché ciò che disse dopo mandò in pezzi l'ultima ombra di collante che univa i pezzi del suo cuore.
«Tu eri l'unica persona a cui potessi rivolgermi. Gli altri non potevano sapere cosa ho visto io, cosa abbiamo visto noi.»

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Capitolo 13
*** Tempo scaduto ***


MinSeok stava inconsciamente aspettando, stava aspettando a gambe incrociate, sul suo letto, che qualcuno tornasse. Ma lui non sarebbe tornato quella sera. ChanYeol era già passato due volte a controllare se il maggiore stesse bene, se avesse bisogno di qualcosa, lo aveva avvisato del fatto che JongDae dovesse andare qualche giorno da sua madre poiché non si era sentita bene. In realtà il biondo immaginò che, seppure il minore non avesse avuto quel contrattempo, di certo dopo quello che gli aveva detto non lo avrebbe neppure guardato, figurarsi rivolgergli la parola, probabilmente non avrebbe voluto condividere più neppure la stessa stanza o lo stesso spazio vitale. E ciò che tormentava XiuMin era esattamente il fatto che JongDae avesse ogni ragione ed ogni motivo per lasciarlo da solo. Aveva passato tanto tempo, anzi, a chiedersi perché mai il minore non l'avesse ancora abbandonato a se stesso e la risposta, ora, la conosceva: lui non aveva mai perso la speranza di vedersi ricambiato il suo amore. Ci doveva volere davvero coraggio ad approfittare a quel modo di una persona dolce e altruista quanto il castano, MinSeok davvero non sapeva dove ne avesse trovato abbastanza da adagiarsi in quell'affetto senza riserve per dimenticare il motivo della sua depressione. Si odiava terribilmente per aver preso in giro l'unico che aveva condiviso, almeno in parte, il suo stesso dolore. Era davvero il solo con cui potesse confidarsi, JongDae l'avrebbe capito, gli avrebbe dato conforto. E l'aveva fatto. L'aveva fatto fin troppo bene, tanto che aveva finito col rendere quel ragazzo il suo redentore, dal quale trarre la forza vitale per arrancare nella irta ed inclemente strada strascicando con gomiti e ginocchia, almeno finché o sarebbe morto o avrebbe finalmente trovato la forza di risollevarsi e tornare ad utilizzare le sue gambe ormai stanche. Dubitava della seconda, ma temeva comunque la prima. Aveva desiderato morire innumerevoli volte dalla scomparsa di LuHan, ognuna delle volte che, per un futile motivo o per una qualsiasi bazzecola, era crollato del tutto perdendo così di vista definitivamente il suo orizzonte, come se il suo sguardo non riuscisse a visualizzare oltre la chiazza scura dell'asfalto di quella strada sulla quale si stava faticosamente trascinando. Uno sguardo negato, una carezza mancata, un'attenzione venuta meno, un involontario momento di distrazione o disinteresse... Qualsiasi cosa, anche la più insignificante, scatenava dentro di lui un mostro egoista affamato, vorace, ingordo, famelico, di premure. Il suo compulsivo bisogno era un tessuto vivo e intriso di sangue caldo, una sorta di cuore fittizio, ma ogni volta che la paura di essere stato messo da parte tornava, quella carne era presa d'assalto da una feroce dentatura seghettata che lacerava e straziava le membra privandole della loro energia pulsante. Era doloroso, tremendamente. Certamente lo era molto più che infliggersi torture fisiche con lame, schegge di vetro e ferri brucianti. La sofferenza di essere afflitto irreparabilmente dalla solitudine interiore lo dilaniava. Si sentiva vuoto, molto più di prima da quando non c'era LuHan, non riusciva a colmare quella mancanza. Odiava questa sua incapacità, odiava l'aver coinvolto persone innocenti che non meritavano di patire pene che non gli spettavano, odiava l'essere stato fragile e accidioso, l'essere stato frivolo nell'abusare dell'abnegazione di chi l'aveva disperatamente aiutato, odiava l'aver deluso e ferito qualcuno che si era inconsciamente rassegnato a quell'amore vano. Avrebbe potuto afferrare il cellulare e inviare un maledetto messaggio, in fondo era quello lo scopo di quegli affarini malefici, ma pur volendo non avrebbe saputo cosa dirgli. Magari chiedergli come stesse sua madre? O forse un semplice "mi dispiace"... Ma sarebbe sembrato stupido. Non voleva che JongDae pensasse che lui avesse screditato e dato così poca importanza al castano da pretendere di risolvere tutto con un messaggio. Sicuramente sarebbe stato un rischio plausibile che traducesse a quel modo un gesto simile e MinSeok non aveva intenzione di lasciarglielo credere. JongDae aveva avuto un ruolo fondamentale nella sua vita da quando si conoscevano, forse anche inconsciamente, ma in quel gruppo era stato la sua forza, la sua colonna portante, quello al quale affidare le sue paure, i suoi drammi, le sue imperfezioni e, soprattutto, i suoi silenzi. Quei silenzi che custodiva gelosamente per i momenti in cui era solo, lontano dagli altri, lontano da estranei, lontano dal pubblico. Quei silenzi cupi, profondi e assordanti che gli appartenevano. Quei silenzi che il castano conosceva, lui solo tra tutti. Senza che se ne accorgesse MinSeok aveva già relegato la propria vita nelle mani del minore tempo prima, l'aveva gettata lì come un'ancora, pesante ma necessaria. Era stata una salvezza per JongDae, il quale aveva così trovato uno scopo e, nonostante costituisse un pesante fardello da sorreggere, lui l'aveva fatto; mai una parola graffiante aveva lasciato le sue labbra, mai un commento più acido, mai un lamento per i modi bruschi del maggiore. Per il castano era stato l'inizio: l'inizio della speranza, l'inizio di una nuova vita, l'inizio di una missione, l'inizio di un sentimento positivo che scaldava l'anima, il sole che si faceva spazio tra le nuvole buie. Per MinSeok, al contrario, era stata la fine: la fine della sua, già poca, poca confidenza in se stesso, la fine delle sue consapevolezze, la fine del suo autocontrollo e della sua calma apparente. Si era ritrovato travolto dalla catastrofica forza di un uragano confusionario e non aveva avvertito tutto quel disordine mentale che lo affliggeva perché era stato spinto troppo oltre, nell'occhio del ciclone. Così che, quando le acque si erano calmate e la sua mente aveva cominciato ad assimilare gli eventi per ciò che erano stati, era stato sommerso da una realtà crudele per i suoi occhi offuscati dalle troppe emozioni.
Non aveva avuto abbastanza tempo per riflettere, si era sentito recluso in una clessidra, nella clessidra della propria striminzita esistenza. Non c'erano, tuttavia, granelli di sabbia a scandire i secondi, era solo acqua, acqua che gli era scivolata addosso senza che lui potesse fare qualcosa per fermarla, senza che potesse afferrare e gestire neppure uno di quei momenti. Sembrava non aver neppure vissuto più la sua vita da qualche mese a quella parte, era come se fosse stato uno spettatore esterno più o meno empatico nei confronti del protagonista, il quale recitava in una storia che in realtà non pareva più coinvolgerlo in prima persona.
Avvertì la pungente sensazione del pianto, eppure quando si portò le dita fredde agli occhi si rese conto di non stare piangendo. Gli bruciavano soltanto gli occhi, come se fossero arsi dal ghiaccio secco.

E di nuovo tornò il bianco dietro le sue palpebre.
Si alzò indolente dal letto, una strana fitta al midollo spinale lo attraversò diffondendosi tra i suoi nervi e risvegliando le parti del corpo che ancora giacevano nel torpore del sonno. Un brutto presentimento percosse acutamente i suoi sensi. Con passo felpato e in punta di piedi uscì dalla sua stanza e raggiunse il piano superiore. Superò una, due, tre, porte, si fermò dinanzi all'ultima. Non entrava in quella stanza da diversi giorni... O forse da diversi mesi? Il suo orientamento cronologico sembrava essere sparito completamente, risucchiato dai sentimenti contrastanti che quella porta stava rievocando dentro di sé: amore e odio, speranza e disperazione, aspettative e sconforto, pazienza e insofferenza, illusione e delusione, fantasie e sfiducia, lucidità e ottenebrazione, concretezza e artefazione. Cosa era vero e cosa no allora?
Alzò la mano per bussare, ma non impiegò molta forza, quasi fosse solo un tipico e spontaneo preambolo senza senso. Impugnò la maniglia e con lentezza la abbassò spingendo la porta in avanti. Non produsse rumori, solo un lievissimo ed impercettibile fruscio. Con un sospiro attraversò l'uscio e un piede dopo l'altro arrivò da lui. Era così bello... come sempre. Amava ogni tratto del suo viso, ogni particolarità, ogni cosa comune che invece su di lui assumeva connotati angelici e quasi divini. Dormiva, sembrava tranquillo, in pace. In realtà MinSeok sapeva che in pace non era. Tutto tranne la quiete vibrava dietro quei meravigliosi occhi grandi, che assomigliavano a quelli di un piccolo cerbiatto indifeso, spaventato dalle sue paranoie, mansueto nei confronti del destino. Tramava dietro quello sguardo un mondo appartato, segreto, fatto di angoscia, turbamenti che non riusciva ad esprimere, sofferenze che non riusciva a condividere. Era un sollievo contemplare il suo volto mentre teneva gli occhi chiusi. Quando, invece, il suo sguardo puntava qualcuno era impossibile non notarlo, non sentirsi in soggezione, era inevitabile perdersi nel desiderio di proteggere quella creatura da qualsiasi male lo tormentasse, pur senza conoscerli. Questo era successo a MinSeok, era caduto preda di quello sguardo, e più i suoi vividi occhi si spegnevano più lui avvertiva il vuoto accrescere dentro di sé. 
Si accovacciò poggiandosi sui talloni, con una mano tremante accarezzò i morbidi capelli rosa del maggiore inspirando tristemente il suo solito profumo di lavanda e vaniglia. Fece attenzione a non svegliare l'altro ragazzo e, infine, si mise in ginocchio sul pavimento di lato al letto incrociando le braccia sulla striscia più esterna del materasso. Sistemò docilmente il capo sulle braccia e si addormentò lì, accanto alla persona che non avrebbe mai abbandonato il suo cuore.

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Capitolo 14
*** Sono ritornati? ***


C'era una certa calorosa bellezza nel sapere di avere accanto a sé un qualcuno al quale il proprio cuore è totalmente devoto. LuHan era la luce nelle sue tenebre, una luce che brillava pura e indipendente, non aveva bisogno di nessuno per sprigionare il suo abbagliante splendore, nemmeno di lui in fondo, MinSeok ne era sempre stato consapevole. LuHan brillava nel buio, splendeva più di ogni altra cosa, stava bruciando tutto troppo velocemente forse, era divampato in un enorme incendio che travolgeva chiunque incrociasse i suoi occhi. Non si poteva far a meno di rimanere stregati, come per magia, da quel bagliore che sembrava impossibile poter raggiungere. La stella che portava il nome, l'aspetto e l'anima del rosa era qualcosa di irripetibile e incomparabile, ma la storia di stelle del genere, quali le più luminose nane bianche, si sa che durino poco, smorzandosi in un sempre più flebile bagliore a intermittenza, fino alla morte. LuHan era una stella, esattamente una così, brillante fino ai limiti del possibile. Era la stella più bella che avesse mai visto, la stella che vegliava inconsciamente su di lui e sperava che avrebbe continuato a farlo per sempre perché MinSeok sapeva perfettamente di aver bisogno della sua presenza. Era grazie a lui se le sue giornate erano ancora equilibrate e vivibili. Dopotutto, fu una notte tranquilla quella, forse.

«XiuMin!» Le lenzuola sulle quali si era addormentato sembravano essere più fredde ora. Strofinò la guancia sul soffice tessuto mentre una voce tenue continuava a chiamarlo. Avvertì due mani scivolare lentamente sulle proprie spalle, lo stavano scuotendo. Immaginò le mani lisce e perfette del maggiore che si premuravano di svegliarlo dato che era rimasto tutta la notte scomodamente in ginocchio pur di restare accanto a lui. «MinSeok, svegliati, dai.» Era già ora di colazione? Il biondo mugolò distante, una convinzione dai contorni vaghi e sfumati si stava facendo spazio nella sua mente, muovendosi lenta e inesorabile: un banco di nebbia che portava con sé un alone di tremende realtà. «MinSeok...» LuHan...? No... Quello non era LuHan. Era stato davvero stupido da parte sua crederci di nuovo. 
Quando riaprì gli occhi lo accolsero le coperte stropicciate del proprio letto sulle quali piantò le mani per aiutarsi a sollevare la schiena. Sentì un dolore di indolenzimento alle scapole, forse per la forza con cui le mani di JongDae le avevano strette. JongDae?
«Oh, quindi sei qui...» Un sentimento di gioia, misto ad un nostalgico dolore, si accrebbe dentro di lui. Un profondo desiderio di sorridere affondò le radici nell'arido terreno del suo cuore. Sollevò piano, con una sorta di insensata prudenza, gli angoli delle labbra. Gli erano mancate le braccia del minore, senza di lui non era più nulla ormai: un involucro apparentemente vuoto, ma riempito da trasparenti paure e follie. JongDae riusciva a farlo vivere, invece
«Sono tornati...» Osservò il castano.
MinSeok gli rivolse uno sguardo distratto «Chi?»
Il ragazzo in piedi si passò una mano tra i capelli e puntò intensamente i suoi occhi in quelli del maggiore. Allora capì a cosa si riferisse: i suoi incubi.
«Mhh già... A quanto pare» Rispose con fin troppa tranquillità.
JongDae dovette notarlo. «Non se ne sono mai andati in realtà, dico bene?»
«Forse...» Ribatté il biondo e batté due volte la mano sul materasso facendo cenno al maggiore di sedersi accanto a lui. L'altro, tuttavia, negò scuotendo piano la testa. 
«Devo preparare la valigia...» Mormorò pacatamente, pareva avesse timore di alzare la voce. MinSeok lo guardò perplesso, forse spaventato da quello che sarebbe potuto succedere. Sembrava tanto un cattivo presagio quello di preparare le valigie. Lui probabilmente comprese la confusione negli occhi scuri del maggiore. «Stasera partirò per Gyeonggi... Devo tornare da mia madre, non sta bene.» 
«Ho capito...» Lo sguardo del biondo si perse nel vuoto. La sua immaginazione corse immediatamente verso l'imminente agonia che presenziava incombente nel suo futuro prossimo. Era bastata una solo notte senza JongDae per riportare l'opprimente peso sul suo petto. Dubitava sarebbe andato tanto lontano dovendo fare a meno del minore. Era l'unica speranza che aveva, senza di lui la sua sfibrata esistenza avrebbe presto mostrato i frutti marci che la caratterizzavano. 
«Mi disp-»
«No, è giusto così.» Lo interruppe annuendo, prendendo a fissare un punto indeterminato del muro sbiadito, giusto per tenere lontana l'attenzione dal ragazzo che sostava in piedi davanti a lui mentre si torturava le dita per la frenesia dell'ansia. JongDae non era mai stato bravo a parlare, si lasciava sopraffare facilmente dalle emozioni, non era capace di governare con obiettività i suoi sentimenti. Assomigliava perennemente ad un ragazzino alle prese con la sua prima cotta.
«Forse una pausa ci farebbe bene...» Sussurrò passandosi una mano tra i capelli. Si guardava intorno alla disperata ricerca di un po' di sollievo, ma evidentemente non ne trovava. XiuMin pensò che fosse effettivamente penoso e piuttosto crudele per il castano dover dire una cosa simile e dover abbandonare il maggiore, ma d'altra parte credeva egoisticamente che sarebbe stato molto più difficile da sopportare per sé. In fin dei conti, JongDae stava facendo una scelta, se l'aveva fatta doveva essere conscio di poterla affrontare bene o male.
«Già... Forse.» Dopodiché non lo guardò più, ad ogni secondo che consumava perdendosi nel contemplare la figura del castano il rimpianto prendeva possesso di sé attanagliando il suo cuore. Non avrebbe mai dovuto dire quelle cose, lo sapeva, eppure la sua mente dettava ciò che ad essa appariva giusto. D'altronde, in quel modo, sicuramente JongDae avrebbe sofferto di meno, e quella era certamente l'unica ambizione alla quale il biondo poteva aspirare in quel momento. 
Si sollevò fiaccamente dal materasso, passando accanto al minore, dirigendosi senza indugi verso la porta che dava sulla stanza da bagno.
«Dove vai?» La domanda del castano non tardò ad arrivare, ma XiuMin lo liquidò con un gesto della mano senza sprecarsi a guardarlo, perché sapeva che altrimenti sarebbe crollato definitivamente.
«Vado a fare un lungo, lungo, lungo, lunghissimo bagno caldo, quindi non preoccuparti per me.»
«Ma io mi preoccuperò sempre per te hyung...» La sua voce rantolò sino a spezzarsi quasi, pareva l'avessero trafitto all'addome e non riuscisse più a gonfiare il diaframma per parlare. MinSeok scosse la testa cercando in tutti i modi di non farsi coinvolgere emotivamente, non davanti all'altro. Aprì la porta che aveva di fronte, sussurrò un breve «Sappi che è inutile.» e si dileguò tirandosi alle spalle la superficie legnosa. Non appena la chiave compì un sonoro scatto nella toppa, avvertì un mancamento istantaneo. Aveva trattenuto tutto, troppo a lungo. JongDae non doveva sapere, non doveva poter conoscere i sentimenti del maggiore, non doveva dubitare di ciò che aveva scelto a causa sua. L'ultima cosa che il biondo desiderava era proprio essere d'intralcio al minore. Se Chen aveva dovuto e voluto partire per tornare da sua madre, lui non avrebbe potuto fare nulla di meglio che starsene lì ad aspettare, preda degli spastici sentimenti che lo attanagliavano. JongDae era dannatamente importante per lui, probabilmente senza non ce l'avrebbe fatta, se ne rendeva vagamente conto. Aveva l'ombra di consapevolezza che il minore valesse per lui molto più del mero "sostituto" che credeva fosse. La realtà era ben diversa. Nel suo piccolo mondo fatto di incubi, labirinti confusionari e fantasie, si rendeva conto che JongDae fosse l'unica sua vera salvezza e l'unica salvezza che desiderava davvero. C'erano tanti altri che avevano provato ad aiutarlo, ma nessuno aveva su di lui l'effetto tranquillante che il minore inconsciamente riusciva ad esercitare. Nel profondo, la sua coscienza ammetteva di aver rinnegato un'emozione molto più forte di quel che aveva ingenuamente valutato come un affetto falsario ma conveniente. Dietro c'era molto di più: c'erano sguardi di comprensione, parole di sincero conforto, tocchi di bruciante passione. Non era solo una bugia, non poteva esserlo, non ci aveva creduto neppure lui stesso, dopotutto a quella menzogna. Il suo subconscio suggeriva di uscire da quell'abitacolo, andare da JongDae e urlare a pieni polmoni che avesse bisogno di lui e che non sarebbe dovuto partire, ma il suo corpo non glielo permise: il leggero tremolio che aveva avvertito alle mani tese i suoi nervi e divenne più marcato, si sentì investire da una folata di vento inesistente e ricoprire dai brividi, il sangue ribolliva nelle vene scaldando la muscolatura stanca, un moto di nausea imperversò sconvolgendo i suoi deboli sensi. Chiuse gli occhi abbandonandosi contro il muro e scivolando lentamente sul pavimento. Dietro le palpebre si riversarono immagini del suo periodo migliore, di quando sembrava aver sommerso i suoi drammi familiari gettandoseli finalmente alle spalle, di quando sorrideva mano nella mano coi suoi migliori amici puntando a testa alta verso il futuro, di quando aveva riscoperto la gioia di vivere grazie a persone meravigliose, di quando si era lentamente innamorato di Luhan, di quando faceva incredibilmente affidamento solo e soltanto su JongDae. Poi era cambiato tutto, la situazione era precipitata, la felicità era andata scemando nuovamente, colando via dal passino della sua esistenza come limpide gocce di acqua distillata. Era cambiato tutto tranne una cosa: continuava a fare affidamento su JongDae. Volente o nolente, non poteva farne a meno, era la sua personalità a bramarlo, era la sua natura a richiederlo accanto a sé. E quell'assurdo bisogno ingarbugliava soltanto maggiormente la matassa annodata di convinzioni e sentimenti che non riusciva più a decodificare e che lo confondevano senza concedergli di poter fare qualcosa per evitarlo o tornare indietro per sistemare le cose. Affondò le dita nella stoffa sottile della maglietta, trafitto da un piacevole dolore quando le unghie si conficcarono nella carne delle braccia. Ripeté il gesto. Lo fece ancora. La sofferenza fisica sembrava distoglierlo dal pensare alla tragedia che vigeva burrascosa nella sua mente. Si accovacciò portando le gambe al petto e piegando il busto in avanti, scosso da singulti e singhiozzi testimoni di un pianto privo di lacrime. Poggiò disperatamente la fronte sulle ginocchia, mentre le mani cercavano un appiglio qualsiasi sulla pelle per lasciare i propri segni. Aveva bisogno della sua medicina, ma era troppo lontana. La sua forza sembrò disfarsi come un instabile castello di carte buttato giù da un soffio leggero, i brividi percossero ancora una volta il suo corpo diffondendosi in un lugubre senso di perdizione. I pensieri scivolarono sgusciando lontano dalla ragione. Perse tutto in quel momento, concezione del tempo e dello spazio, volontà, autocontrollo, princìpi, sicurezze. Sentì scorrere via definitivamente le poche certezze che conservava sull'amore. Il panico portò tutto con sé. C'era qualcosa dentro di sé che cantava dolcemente parole che parevano una poesia per quanto fossero tenui e romantiche, decisamente surreali: l'amore è quella cosa che anche quando una delle due metà è in un luogo e l'altra è in quello opposto, esse si sovrappongono così perfettamente che sono uno solo e non due. Uno come i piedi, gli occhi, le mani, come i tempi del battito e le forme del respiro. E chi guarda da una parte e poi dall'altra, cercando il due e non l'uno, resta stupito, perché anche lontani il loro spazio e la loro anima non si possono dividere con niente. Perché essere due metà dello stesso amore significa poter sconfiggere qualsiasi forza avversa, persino la lontananza. Qualcos'altro, tuttavia, pulsava è sbraitava ferocemente nella mente del biondo, una realtà che purtroppo non poteva essere condannata. Se da un lato poteva apparire tutto rose e fiori, se l'amore si diceva vincesse su tutto, se tutto ciò poteva rappresentare la verità... Perché non tener conto di quella insormontabile potenza distruttrice? Come poteva qualcosa di tanto grande, spaventoso e spiazzante essere bello?
Non è bello l'amore, la voce urlante dentro di sé ne aveva piena coscienza. Non è bello perché costringe l'uomo a soffrire in nome di un sentimento nobile ed etereo. Non è bello quando presenta spavaldamente tutti i suoi ostacoli. Non è bello quando promette di portarsi via le persone a cui l'anima si lega. Prima LuHan, ora anche JongDae...
LuHan era andato via per sempre, JongDae certo non  avrebbe seguito quella strada, eppure il maggiore sapeva che il vuoto stanziatosi tra loro li avrebbe condotti ad un finale triste.
La distanza è come l'acqua: quanto più profonda essa diventa altrettanto aumenta il rischio di annegare.
L'amore, invece, è come il fuoco: senza alimento si spegne. 
E la lontananza è come il vento: spegne i piccoli falò, ma scatena gli incendi più vasti.
E se l'affetto che il castano aveva sempre dimostrato non fosse stato altro che un falò momentaneo? E se avesse trovato la felicità lontano da lì? Lontano da lui...? E se non fosse tornato mai più?
Odiava doverlo ammettere, ma il suo difetto più grande restava la paura, costante ed infame.

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Capitolo 15
*** Ancorato al passato ***


L'attacco di panico che l'aveva colpito quella volta era durato parecchio, non sapeva quanto effettivamente, ma ciò che l'aveva aiutato a riprendersi era stato un suono, musicale ma violento, un accordo stonato pronunciato per caso, involontariamente. Non sarebbe mai riuscito a rimanere indifferente alle note di un pianoforte, ne era consapevole. Faceva parte della sua storia quell'ingombrante strumento che aveva presenziato nella sua infanzia con l'incombenza di un'enorme ed insaziabile belva. Erano stati i suoi genitori a darlo in pasto a quel mostro divoratore di anime, eppure il tormento che quei suoni gli facevano fremere ancora nel petto rappresentavano una delle emozioni più travolgenti cui potesse far riferimento nella sua vita. Era incoerente e contraddittorio, certamente, pensarla a quel modo, tuttavia quelle emozioni non si erano mai confuse alle altre distorte che affollavano la sua mente. L'amore e l'odio che provava insieme verso quello strumento rispecchiava esattamente ciò che aveva sempre avvertito nei confronti dei suoi genitori. Li amava perché nessun figlio può negare affetto alla propria madre e al proprio padre, e li odiava perché lo avevano reso un fantasma, un mero disadattato che si era sempre giudicato mostruoso ed era stato etichettato anche peggio. Le persone che lo avevano messo al mondo erano state spietate. Come aguzzini si erano avvinghiati a lui estorcendogli la forza dalle membra sin da quando era un bambino. Avevano un'idea distorta di "essere genitori". I lividi disegnavano orribili fregi sulla sua pelle lattea, le ferite scolpivano sanguinosi intarsi sul suo esile corpo, come se la sua carne fosse stata legno per gli scalpelli; entrambi si moltiplicavano ogni qual volta rifiutasse una loro richiesta, replicasse in modo ritenuto non appropriato, non portasse perfettamente a termine gli innumerevoli compiti assegnatigli. Non era mai stato un bambino, la società non l'aveva mai conosciuto come tale, lui stesso non aveva mai avuto l'opportunità di considerarsi a quel modo, né tantomeno aveva avuto la fortuna di vivere la sua infanzia. Sperava vagamente che qualcuno avesse potuto goderne al posto suo e che non fosse stata sofferenza insensata, la propria. Suonare il pianoforte era l'unica arte a cui aveva accesso, quello svago che caratterizzava una valvola di sfogo per il suo cuore martoriato. Ben presto, però, coloro che l'avevano messo incoscientemente al mondo, avevano rivoltato quella nascente passione contro di lui. Erano stati loro stessi a tentare quella estrema soluzione per ricavarne in qualche modo denaro, quando si resero conto che le sue mani in casa erano divenute ormai di troppo, mentre la sua forza, quasi inesistente, era del tutto inutile nei campi. Il peso di non essere un figlio atteso e benvoluto si riversava quotidianamente sulle spalle del piccolo, obbligandolo a curvarsi sotto la gravità del destino. Aveva fatto ormai l'abitudine, portava su di sé i segni della crudeltà umana senza mostrarli, avendo cura di tenerli pudicamente nascosti agli occhi indiscreti della società, sempre pronta a giudicare. Non era mai stato un bambino, ma, neppure crescendo, aveva riscontrato negli altri un'apertura mentale abbastanza ampia da accettare le persone disadattate, come lui. L'indole dell'essere umano è congiungersi, formare dei gruppi in cui poter convivere e condividere, l'indole dei gruppi, a sua volta, è unita e conservatrice, tende ad escludere l'entità diversa. Così il naturale destino dell'uomo diventa paradossale: coloro che si sentono parte della vita sociale, parte di un proprio mondo, anche se piccolo, continuano la loro scalata verso la felicità collettiva, a discapito della persone estraniate che sono destinate a diventare sempre, soltanto, più sole. È l'istinto che macchia e corrode, che impedisce la tanto bramata inclusione in un gruppo, un contesto, un luogo da poter finalmente chiamare casa... Non sarebbe mai riuscito a stare in pace con se stesso, questo MinSeok lo sapeva, nonostante avesse tentato a tutti i costi di soppiantare quella consapevolezza, sopportandola giorno dopo giorno e combattendola a denti stretti e pugni serrati. Si era costruito una maschera, un'identità per sostituire la persona morta che era diventato, aveva ideato qualcosa di incredibilmente perfetto, ornato di dettagli che neppure i più meticolosi artisti avrebbero tenuto in considerazione. Era una sorta di Michelangelo alle prese con la sua paura di morire, assillato dal ricercare malatamente una perfezione che probabilmente non sarebbe mai esistita. Qualcuno che trascorreva i suoi anni nel levigare opere in vista di una bellezza canonica che non sarebbe mai stata oggettiva, era palesemente folle. Così XiuMin poteva disperatamente definire se stesso: un essere umano solo, che aveva maniacalmente edificato la sua essenza in una astrusa concezione di bellezza secondo gli altri, ricoprendosi di un volto creato in base al gusto delle masse, di un carattere versatile a seconda delle situazioni. Aveva mirato agognante ad una personalità che risultasse impeccabile sotto tutti i punti di vista, eppure aveva visto i suoi progressi sgretolarsi lungo l'amaro percorso del tempo ed andare completamente in pezzi dopo la tragedia di LuHan. Tutto ciò che aveva congegnato concentrandovi le poche forze rimastegli era andato distrutto, devastato completamente dagli eventi e adesso... Adesso ritornava, come un fulmine a ciel sereno, un ricordo vivo del suo passato. Tornò a quando le mani sul pianoforte tremavano, gli occhi lucidi confondevano le note incise sugli spartiti, le braccia deboli e tese temevano gli errori, o forse temevano le punizioni che ne sarebbero susseguite. Tornò a quando le ore di reclusione per lo studio di quello strumento aumentavano, la fioca lampadina della stanzetta fremeva ogni qual volta si verificavano cortocircuiti o la corrente scarseggiava nella casa troppo povera. Tornò a quando sua nonna difendeva il povero bambino dai maltrattamenti di quei genitori che non avevano mai desiderato un'altra bocca da sfamare, e l'anziana donna era costretta a preparare qualcosa ogni giorno pur di non farlo morire di fame in quell'ambiente tanto ostico. Tornò a quando per la prima volta aveva guadagnato dei soldi esercitando i suoi studi progrediti da pianista nei sudici locali di periferia, quelli in cui un ragazzino non dovrebbe crescere, eppure ci era quotidianamente trascinato da sua madre che vi lavorava precariamente come cameriera in cambio di chi sa quali prestazioni sessuali, a quanto dicevano le voci. Tornò a quando aveva suonato per l'ultima volta il pianoforte sgangherato della chiesetta del loro paesino, dimenticato da Dio: il giorno del funerale dei suoi genitori, uccisi da una fuga di gas nel decrepito impianto della loro ormai inagibile casetta. Ricordava le sue dita magre scivolare sui tasti ingialliti di quel pianoforte scordato, non molto diverso dal vecchio ammasso di legno e corde che aveva avuto in casa tutti quegli anni. Ricordava le note struggenti e dissonanti dell'Ave Maria composta da Gounod e le sue mani che per la prima volta raggiungevano liberamente i tasti, senza l'opprimente timore di sbagliare.
Da quel giorno erano cambiate molte cose. MinSeok non aveva più quindici anni, non aveva più paura del suo passato, non era più un ragazzino incapace di inserirsi nella società. O meglio, la sua maschera sicuramente non lo era più; la presenza che c'era dietro, invece, non sapeva neppure lui più che fine avesse fatto. La sua coscienza distrutta ritornava a sprazzi, si faceva sentire più spesso adesso che tutto era precipitato in un baratro buio, adesso che insieme a LuHan era sparito ogni sforzo di quegli anni di rimettersi in piedi e guardare avanti. 
D'altra parte però... C'era ancora JongDae. 
Non poteva essere un miraggio quella luce che ogni volta risplendeva nelle sue tenebre, quella che lo risvegliava dopo gli incubi e lo trascinava lontano dalla morte, quella che sussurrava al suo orecchio con la premura di un angelo custode.
Ma JongDae ci sarebbe stato ancora per poco.

«MinSeok, stai bene?» La voce ovattata dall'altro lato della porta raggiunse i suoi timpani improvvisamente, spiazzandolo. Quanto tempo era rimasto esattamente in quel bagno? 
«Si, si, benissimo» Cercò di alzare il tono ma ne riuscì una voce roca poco melodiosa e quasi sensuale. Si accorse solo allora di avere la gola terribilmente secca. 
Si alzò barcollando dal pavimento per via dei capogiri che non gli davano tregua. Si sciacquò il viso in un vano tentativo di riprendersi, passandosi le dita bagnate tra i capelli. Tremò a contatto con l'acqua fredda, ma si costrinse a non farci caso: era l'unica cosa che al momento potesse aiutarlo e doveva prendersela così com'era. Si asciugò il viso con quanta più delicatezza possibile e sgusciò fuori dal bagno rivolgendosi direttamente al proprio letto, quando la figura del minore lo bloccò poggiandogli una mano sulla spalla con leggerezza.
«Non ti sei lavato, non è vero?» Domandò il castano inclinando la testa lateralmente. MinSeok si voltò; non era difficile capirlo, era uscito dal bagno con gli stessi vestiti con cui era entrato. Lo guardò con un'espressione incomprensibile in volto, era distratto, troppo confuso per riuscire ad aprire la bocca e parlare. JongDae si rabbuiò, afferrò d'istinto le mani del maggiore e fece scorrere la sua presa verso l'alto, scoprendogli le braccia pallide e magre.
Il biondo si dimenò innervosito, rifilandogli uno sguardo irritato: «Non ho bisogno di uno psichiatra che mi controlli. Credi che io sia pazzo?»
«MinSeok... Se hai bisogno di aiut—»
«Non mi serve aiuto, né il tuo né quello di nessun altro.» Ringhiò ritraendosi e sedendosi sul proprio letto, fissando il pavimento, rabbrividendo di tanto in tanto mentre attendeva che gli effetti residui del suo malore svanissero, lasciandolo, almeno parzialmente, libero.
«MinSeok...»
«Ho una domanda.» Lo interruppe nuovamente il maggiore senza guardarlo negli occhi. Il castano annuì per invitarlo a proseguire. «Ho sentito il suono di un pianoforte prima...»
JongDae socchiuse gli occhi, rivisitando forse gli avvenimenti dell'ultima ora, cercando di ricordare. «Credo di essere stato io, stavo portando le borse nell'altra stanza e ho colpito dei tasti con uno zaino...» Rispose un po' stordito da quella domanda senza senso per lui. MinSeok sorrise, d'altra mano, annuendo lentamente. Anche quando sbagliava, JongDae riusciva sempre a fare qualcosa di buono e, ancora una volta, era merito suo se si era ripreso. 
«Ne ho un'altra.» Aggiunse ancora dopo un po' il biondo, in un mormorio incerto. L'altro accennò un sorriso, sembrava contento di quella piccola insulsa conversazione, come se fossero semplici conoscenti che si scambiavano qualche parola. «Stasera te ne andrai davvero?»

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Capitolo 16
*** Una presenza inutile ***


«Stasera te ne andrai davvero?»
Pareva tranquilla la sua voce. Nonostante fosse ancora evidentemente ferito da ciò che aveva fatto JongDae. Una delle sue più grandi paure era sempre stata di non essere accettato, di essere ritenuto diverso, di essere considerato un malato. Ma lui non era malato, sapeva benissimo ciò che faceva e ciò a cui andava incontro.
«Devo andare si... Mia madre sta male.» Abbassò la testa mostrando, come raramente faceva, la propria preoccupazione. Era palese che fosse combattuto, eppure XiuMin non insistette oltre, non voleva essere un ostacolo per JongDae, non aveva mai voluto esserlo, né per lui né per nessun altro.
Sorrise dolcemente, invece, trascurando il suo nervosismo. «Vedrai che tutto si sistemerà e lei starà bene.» Lo incoraggiò il biondo, sapendo di star facendo la cosa giusta nei suoi confronti, nonostante aveva pienamente coscienza di non poter proseguire a lungo ancora quella strada senza il minore. Decise, infine, di aiutarlo a portare le ultime borse nella stanza accanto, per rassicurarlo del fatto che potesse andare e liberarlo dalle preoccupazioni che sicuramente affollavano la sua mente in quel momento. Avrebbe voluto dirgli che lo avrebbe trovato vivo al suo ritorno e che sarebbe stato tutto a posto, eppure era conscio che non sarebbe andata così. Uscì dalla stanza con uno zaino in spalla e una borsa in mano e sistemò entrambi sul pavimento della stanza adiacente alla loro. JongDae aveva posato lì un altro borsone e stava già uscendo di nuovo, ma il maggiore si lasciò catturare dalla bellezza del pianoforte che troneggiava al centro della stanza.
Era da prima che LuHan... 
L'ultima volta che aveva suonato quel pianoforte risaliva sicuramente a più di cinque mesi prima e in quel momento qualcosa era scattato dentro di lui, qualcosa di più profondo della paura e più asfissiante del desiderio. Doveva essere a causa di quella nota, aveva risvegliato dentro di lui emozioni che neppure ricordava di aver mai accusato o, almeno, che non credeva più di poter riprovare. Si abbandonò all'istinto naturale di sedersi sullo sgabello di legno. Qualcuno deve averlo sollevato, pensò, rendendosi conto che fosse leggermente più alto di quando lo regolava da sé per suonare. In fondo, non era certo l'unico lì ad utilizzare quello strumento così magico e armonioso. In fondo, non era nulla di speciale riuscire ad abbozzare un paio di accordi ogni tanto. In fondo, non ne riscontrava nemmeno più l'utilità, sembrava tutto talmente vano e senza scopo, neppure più il pianoforte riusciva a liberarlo dal suo peso. Smise di suonare quando sentì i passi di JongDae avvicinarsi, e solo allora si rese conto di aver sfiorato di nuovo quei tasti con le proprie dita. Gli vennero i brividi al pensiero. La melodia sembrava rimbombare nella stanza nonostante ormai le sue mani si fossero allontanate tremanti dalla tastiera e non si fosse neppure davvero accorto di averne premuti i tasti. La Sonata in Do Diesis Minore di Chopin echeggiava tra le pareti della sua scatola cranica come una marcia funebre. Improvviso... Così lo chiamava lui quel brano. Era una musica nervosa, furiosa, impulsiva, eppure spaventata, fuggente e terribilmente angosciata. Era una musica che cacciava urla struggenti e sofferenti; più volte MinSeok aveva rischiato di piangere quando ne studiava gli spartiti. Era una musica che camminava in punta di piedi per paura di essere scoperta e ricevere altro male. Era una musica forte perché lottava e persisteva, nonostante tutto, eppure tutto era ridotto ad un attimo, pochi minuti... Perché il dolore è improvviso, forse, perché quando le emozioni ti travolgono è un po' difficile sottrarsi alla burrasca che ti investe. Improvviso e distruttivo.
Sussultò vistosamente quando si sentì toccare, anche se quasi impercettibilmente, le spalle. Le mani del minore si posarono delicatamente sul tessuto della sua maglia scorrendo lungo le sue braccia. «Credo davvero che le corde di questo pianoforte siano meno tese di te.» Sospirò pesantemente risalendo con le mani al punto di partenza.
«Sono solo un po' arrugginito. Era da tanto tempo che...» MinSeok chiuse gli occhi e abbassò le spalle piegato dal peso che lo stava schiacciando. Odiava avere il minore così vicino in quel momento perché sapeva che presto non avrebbe potuto averlo più e, inoltre, gli addii lo terrorizzavano.
«Non intendevo questo, XiuMin.» Bisbigliò subito, senza dare tempo al biondo di tentare di terminare la frase. Lasciò scivolare ed incrociarsi le sue braccia fino a circondare il maggiore in un abbraccio morbido, appena accennato, quasi avesse paura di soffocarlo con la sua presenza. Ovviamente MinSeok si rendeva conto che dopo aver detto cose orribili come quelle che aveva rivolto al minore non poteva aspettarsi un comportamento diverso da quello, non poteva pretendere che mettesse ancora lui al primo posto, non poteva desiderare di essere guardato sotto la stessa luce, non poteva pensare che JongDae si sarebbe comportato allo stesso modo di prima. 
Si ammutolì del tutto. Probabilmente smise persino di respirare, non ci faceva più caso. L'idea di andarsene per sempre non lasciava la sua mente neppure per un istante. Si malediceva ogni secondo in più per aver permesso al minore di avvicinarsi, di assistere agli spettacoli disumani che inscenava il lato più debole di sé, per aver approfittato di un sentimento bello come l'amore per riempire il vuoto orribile che aveva dentro.
Soltanto un altro piccolo sforzo... Presto tutto sarebbe finito.
Prese le mani del castano spostandole e sciogliendo quella sorta di abbraccio che lo stava distruggendo. Non era mai stato tanto risoluto e sicuro di sé come in quel momento.
Una volta perso anche il castano la sua vita sarebbe stata inutile.
Era stato uno stupido a ricercare tutte le sue emozioni attorno ad una sola persona, a riporre tutta la sua fiducia e le sue certezze in un unico centro, senza lasciare spazio a nessun altro. Prima LuHan, poi, inconsciamente, JongDae. Non aveva avuto pietà per tutti gli altri che avevano tentato di stargli accanto, di alleviare le sue pene. Non aveva concesso neppure un briciolo della sua anima disperata a qualcuno che non fosse il minore, non aveva considerato l'aiuto di nessuno, ancora una volta, ed infatti si era ritrovato di nuovo solo. Era come se l'avesse scelto lui stesso di restare solo. Dare via tutto nelle mani di una sola persona è pericoloso, avrebbe dovuto saperlo già dopo che LuHan aveva portato via con sé qualsiasi cosa MinSeok gli aveva ceduto. Gli aveva strappato il cuore e l'aveva tenuto per ricordo, forse, in un posto irraggiungibile chi sa dove. JongDae l'aveva preso per mano, quando ormai non vedeva più nulla, quando la cecità della sofferenza l'aveva travolto, lui l'aveva risollevato, nonostante XiuMin non avesse mai voluto ammetterlo, costantemente combattuto tra il lasciarsi andare a quelle nuove impalpabili emozioni e il ripudiarle. Più volte si era domandato se fosse stato così terribile anche per LuHan avere qualcuno accanto pronto a tutto pur di farti stare bene, se fosse stato così opprimente anche per lui, se in realtà tutto l'amore che il maggiore gli aveva dimostrato nel periodo in cui non stava bene non avesse peggiorato le cose. In fondo, questo era soltanto un motivo in più per sentirsi colpevole, anche se in parte, della sua morte. Magari se l'avesse lasciato in pace e non gli fosse stato silenziosamente accanto giorno e notte, forse sarebbe stato più facile per lui superare quel momento. Il biondo non faceva altro che sentirsi in colpa per approfittare dell'affetto di JongDae e ogni volta che pensava a LuHan si rendeva conto di quanto fosse stata simile la situazione che si era venuta a creare. E se anche il rosa avesse voluto allontanarsi da tutte quelle premure? E se non avesse avuto il coraggio di farglielo notare? E se ne avesse avuto segretamente bisogno ma anche lui si sentisse un peso? E se fosse stata proprio quella la causa che l'aveva spinto all'ultimo atto di disperazione? 
LuHan era stato scaltro, nessuno aveva pensato che sarebbe successa qualcosa del genere, sebbene era palese che la situazione non fosse delle migliori. Dopotutto, neppure JongDae poteva immaginare quanto profondo fosse quel tormento che lo dilaniava, non avrebbe sospettato seriamente un gesto così drastico. D'altronde, una volta ci aveva provato e non ci era riuscito. Erano state le parole del minore a fermarlo, per cui JongDae aveva tutti i motivi per credere che non potesse andare peggio.
«Scusami...» MinSeok non aveva fatto caso che il minore s'era ormai allontanato, e probabilmente sarebbe rimasto nel mondo dei suoi pensieri se la sua voce non l'avesse riportato alla realtà. Quella infima, crudele, realtà.
«Non scusarti.» Deglutì abbassando per qualche secondo le palpebre pesanti per la stanchezza. «Io non posso essere la tua felicità, JongDae.» Sono solo un mostro, fatto delle ombre della paura, della malinconia, del rimorso, dell'ossessione e del rimpianto. Non aveva più alcun diritto di definirsi un essere umano, mancava delle funzioni proprie di uno di essi: non mangiava, non dormiva, non viveva. Non serviva più a nulla la sua presenza in quel mondo. Nulla del genere poteva portare la felicità, per questo motivo il minore avrebbe dovuto stargli lontano, per questo motivo XiuMin non voleva dargli false speranze, per questo motivo si odiava per aver ceduto alle sensazioni e aver sfruttato quell'affetto come una cura occasionale ai suoi mali. Era ovvio che quella mascherata non sarebbe potuta andare avanti a lungo. Sperava soltanto che JongDae non avrebbe sofferto troppo, che se ne rendesse conto in fretta e si allontanasse emotivamente da lui quanto prima possibile. Aveva tempo; sarebbero rimasti lontani per un po', mesi in cui il castano sarebbe stato mentalmente impegnato e avrebbe sicuramente seppellito i suoi sentimenti, magari senza farci neppure caso. Forza dell'abitudine, la chiamano.
In tal modo al suo ritorno sarebbe stato tutto più facile.
Anche se non avesse trovato più MinSeok ad aspettarlo.

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Capitolo 17
*** Avevo chiesto salvezza ***


Il sole tramonta ogni giorno ma nessuno si preoccupa per lui perché tutti sanno che la mattina dopo ci sarà una nuova alba, un po' come la leggendaria Fenice che brucia e risorge dalle sue ceneri. Se gli esseri umani potessero bruciare senza farsi del male sarebbero immortali probabilmente, eppure non è così. Una volta che quell'incendio assalta il cuore l'esistenza si consuma lentamente, come la legna in assenza d'ossigeno, e poi non c'è più scampo. Pensiamo alla sofferenza come l'incendio in questione, che arde e spazza via qualsiasi cosa respiri ancora il soffio puro della vita, devastando ogni forza rimasta in piedi a combattere. Quando la distruzione compie il suo corso e travolge tutto, allora non esiste alcun modo per riprendersi, per tornare indietro, per risorgere.
Era esattamente ciò che sentiva MinSeok dentro di sé. Aleggiava già nella sua mente il presagio che quell'incendio avesse quasi completato il suo giro, ricoprendo tutto e bruciando ogni possibilità di contemplare ancora l'idea di poter avere un futuro. JongDae era pensieroso mentre fissava il cielo impregnato delle rosate tonalità cromatiche del vespro. I colori caldi contrastavano con l'aria pungente che presagiva l'avvento della sera. L'obelisco solare volgeva al declino mentre si eclissava dietro l'orizzonte metropolitano di Seoul, inquietando il maggiore per via della notte incombente. La notte che avrebbe inaugurato l'assenza di JongDae, la prima notte senza di lui e probabilmente anche l'ultima.
«Quindi... questa è l'ultima serata che passiamo insieme...» Biascicò il maggiore abbassando la testa e rivolgendo la sua attenzione alle mattonelle d'argilla del terrazzo. Probabilmente nessuno andava a pulire lassù da un po' di tempo, eppure entrambi non si erano fatto troppi problemi nel sedersi a terra per ammirare il cielo terso che piombava nel crepuscolo, mentre la luce veniva inghiottita senza riguardi dalle tenebre. Il castano l'attirò inaspettatamente a sé per un braccio, senza forzarlo, e allora l'altro appoggiò titubante il capo sulla sua spalla. Restò così per un tempo infinito, godendosi quegli ultimi attimi di protezione, nel suo posto preferito: JongDae. Quel posto che aveva da sempre considerato unico, senza neppure farci caso, quel posto dal quale si era tenuto alla larga perché non si era mai sentito abbastanza, perché non voleva portare il male anche lì, in quel luogo bellissimo, puro e incontaminato. Quanto può essere distorta la mente umana a volte? Rischiava di essere l'arma più letale al mondo se non si riusciva a comprenderla. LuHan viveva nella sua mente, aveva vissuto nell'immagine del minore per tanto tempo, per via di quella crudele necessità di sentirsi amato dalla prima persona alla quale aveva ceduto il cuore intero. Adesso che invece LuHan aveva avuto il posto che gli spettava tra i suoi ricordi, il posto più importante nel suo passato, adesso che era libero dalle prigionie della memoria, il destino non era stato clemente con lui, adesso che poteva dire di aver compreso cosa significasse essere amato sarebbe stato privato di quell'amore, adesso che voleva tentare di riscattarsi non ne avrebbe più avuta occasione. E ancora una volta era l'immagine di LuHan a ricordargli quanto fosse triste essere debole in un mondo dove se non sei forte il dolore ti uccide. Perché? Perché vuoi lasciarmi solo JongDae?
Era passato abbastanza tempo da far scurire completamente il cielo. Le stelle erano ben visibili ormai, alte e brillanti nella loro perfezione, sebbene fossero anche loro mortali, come tutti, del resto... Anche LuHan splendeva da qualche parte nell'universo forse, lui era sempre stato una stella d'altronde, una stella che si era consumata troppo in fretta, aveva bruciato tutto il suo fuoco per brillare più degli altri e poi era rimasta senza, era crollata indifesa dando la colpa a sé stessa per non essere stata abbastanza. LuHan sarebbe sempre stata la sua stella.
Alla fine Jongdae aveva rotto il silenzio rispondendo a ciò che aveva detto il biondo prima, «Non è l'ultima Minseokie. Si tratta soltanto di qualche settimane dopotutto» Aveva mormorato. Il suo tono comunicava rammarico, ma non sembrava intenzionato a ripensare alle sue scelte e, in fondo, anche se ora l'avesse fatto sarebbe stato troppo tardi. 
«Vero...» Il biondo annuì debolmente e rivolse il suo sguardo al minore. «A che ora è il treno?»
JongDae sospirò pesantemente, aveva gli occhi di chi aveva lottato con tutte le forze per ottenere qualcosa e poi aveva perso lo stesso, «Alle 11».
«Oh allora credo dovresti andare... È tardi.» Si ritrasse leggermente e appoggiò il suo peso su una mano per alzarsi. «Ti accompagno, se vuoi...» Sorrise e porse gentilmente una mano al minore per aiutarlo. Lui lo guardò per un po', indeciso su cosa pensare probabilmente, poi afferrò la sua mano e si tirò su. Ringraziò il maggiore sospirando e gli tenne la mano mentre rientravano insieme.
Perché? Perché mi fai questo? Minseok aveva voglia di allontanarsi ma seppellì ancora una volta le sue emozioni, per non sembrare un ingrato agli occhi dell'altro. 
«ChanYeollie ci dai una mano a portare le valigie in macchina?» Il biondo tirò il gigante per la manica della maglia sorridendo non appena se lo trovò di fronte, dopo essere entrati nei loro dormitori. Lui sembrava contento di vedere il maggiore sorridere e MinSeok se ne compiaque, fiero di essere riuscito nel suo intento rassicurante. 
«Vengo anch'io» s'intromise SeHun, forse anche più felice. JongDae invece andò a salutare tutti gli altri, che, tra pacche sulle spalle e raccomandazioni, cercarono di tirargli su il morale e sembrarono riuscirci. Ritornò dopo una decina di minuti all'ingresso, MinSeok si caricò uno zaino in spalla e gli altri due presero le borse restanti, tanto che il castano restò senza nulla da portare. Insieme percorsero velocemente le scalinate, tutti d'accordo sul non voler aspettare l'ascensore e caricarono le valigie nel taxi che li aspettava già parcheggiato accanto al marciapiede. Il primo dei tre a salutare il castano fu SeHun, che lo congedò con un: «Quando tornerai sarà tutto perfetto.» L'altro annuì, sperando segretamente che davvero si sarebbe sistemato tutto, dalla situazione di sua madre alla depressione di XiuMin, anche se quel desiderio restava un po' complicato da attuare.
Subito dopo ChanYeol si precipitò su JongDae abbracciandolo, «Baderemo noi a MinSeok hyung, non preoccuparti, è tutto sotto controllo.» Sorrise quando si distaccò e appoggiò una mano sulla testa del biondo scompigliandogli amorevolmente i capelli. Possibile che un bambinone come quello potesse davvero badare a qualcuno tre anni più vecchio? ChanYeol era tanto caro, ma non aveva idea di quanto fosse irrecuperabile la situazione. Il gigante spinse il maggiore verso il castano e MinSeok faticò a non inciampare e tenersi in piedi, ma riuscì almeno a non finire addosso al minore. Sollevò lo sguardo lentamente incrociando i suoi occhi stanchi, avrebbe voluto pregarlo di non andarsene, ma sapeva altrettanto che non ne sarebbe valsa la pena. Sarebbe potuto scoppiare a piangere da un momento all'altro, ma rigettò indietro le lacrime quanto meglio riuscì sorridendo e distruggendo ancora una volta tutto ciò di umano fosse rimasto nella sua anima. E l'uomo è fatto di emozioni
«Avete intenzione di restare così ancora per molto? Ho freddo. Volete che ci giriamo e non vi guardiamo?» ChanYeol richiamò l'attenzione stringendosi nelle braccia per via del vento gelido che aveva iniziato a soffiare. SeHun rise a quell'affermazione, ma MinSeok sembrò svegliarsi solo in quel momento. Cosa stava aspettando? Il bacio d'addio?
Poggiò una mano sul braccio del minore accarezzandolo amichevolmente. «Buon viaggio.» Gli augurò sollevando gli angoli delle labbra per l'ultima volta. Non ne voleva sapere più di dover fingere. Lasciò ricadere la mano lungo il proprio fianco e se ne andò sussurrando un «Addio» e lasciando JongDae interdetto a guardarlo mentre si allontanava e ritornava dentro, seguito dagli altri due che salutarono il castano con espressioni ugualmente attonite. 
«Non ho fame stasera Soo, vado a letto.» Annunciò ad alta voce il biondo non appena mise piede nell'appartamento, sentì il proprio tono indugiare e spezzersi, non ce la faceva più. Non aspettò risposta e si rinchiuse dietro alla porta della propria stanza. Le sue ginocchia si scontrarono immediatamente col pavimento è una fitta di dolore percosse i suoi nervi. Strisciò sul pavimento graffiando il parquet con le unghie e allungò una mano sulla scrivania arrancando e cercando a tastoni una cornice, l'unica lì sopra. Agguantò la foto, non gli servì guardarla, aveva gli occhi di LuHan impressi nella mente e non aveva bisogno di guardarli ancora una volta per sapere ciò che voleva. Voleva andarsene anche lui, 'sta volta per sempre. Aveva bisogno di JongDae ma lui non c'era. Lo aveva detto, lo aveva gridato, non avrebbe mai pensato di avere il coraggio di farlo, eppure a JongDae l'aveva chiesto davvero, gli aveva chiesto di salvarlo, ma il castano non doveva aver recepito a pieno quel messaggio. Non aveva evidentemente compreso quanto bisogno avesse di essere salvato davverlo. Si coprì il viso con le mani travolto dalla disperazione che gli era piovuta addosso tutta in una volta, appoggiandosi rannicchiato contro il letto, con la schiena curva sulle ginocchia. Si portò la cornice al petto e a quel punto avvertì qualche lacrima solitaria solcargli le guance candide e, ormai, magre.
La salvezza non gli era stata concessa, e non sarebbe mai riuscito ad ottenerla.
Aveva maturato per questo un odio profondo nei confronti di se stesso, per non aver capito prima, per non aver coltivato i suoi sentimenti, per non aver amato JongDae, per aver scelto di restare fedele ad un fantasma, per avere ancora rimpianti proprio verso quel fantasma... Si odiava per non essere riuscito a togliersi la vita quando ne aveva avuto l'opportunità

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Capitolo 18
*** Ti ho amato ***


L'assenza è soltanto una forma più acuta di presenza, dopotutto. Vale per la vista, per la voce, per l'udito. Vale per le persone che c'erano e non ci sono più. Vale per chi non smette neppure un istante di cercare ciò che non c'è, di bramare quello che manca. Ed è umano, d'altronde; non si può biasimare nessuno che serbi tali desideri, poiché ognuno nel profondo del cuore vorrebbe avere ciò che non ha e vorrebbe essere ciò che non è. Ci sono cose e cose, poi: cose che si possono ricercare se ci si impegna in un certo modo, cose che invece non si possono ottenere a nessun prezzo e, soprattutto, cose che non si possono portare indietro per nulla al mondo. Aveva perso LuHan, aveva perso anche Jongdae. 
Ma la mancanza è un vuoto dalle dimensioni esatte. È inutile riempirlo di altra roba, si colma solo con quel pezzo che s'incastra alla perfezione. E se quel pezzo non c'è... Be' il vuoto resta, dilaga, incombe fino a far marcire anche tutto il resto.
Eppure non era il sorriso di LuHan che lo tormentava 'sta volta, bensì il sorriso di JongDae. 
LuHan era nel suo cuore, JongDae nella sua mente. 
Era lui, era sempre stato lui e soltanto lui, nessun altro.
Come quando una persona ti manca e la vedi dappertutto.
I deliri di onnipresenza.
LuHan...? O forse... no?
La verità era che non voleva ancora accettare di aver sostituito il rosa, non voleva, non poteva. O forse lo aveva appena fatto?

JongDae l'aveva aiutato davvero, JongDae gli aveva sorriso e teso la mano, quando invece avrebbe voluto soltanto strapparsi l'anima a mani nude, JongDae l'aveva amato e gliel'aveva dimostrato, JongDae aveva cercato di risollevarlo e non farlo sentire solo... E lui invece l'aveva tradito.
E ancora non riusciva a rinnegare la presenza di LuHan, perché faceva parte di sé, perché non poteva dimenticarlo, perché non poteva gettare via quei sentimenti, nonostante ne fossero insorti di nuovi, nonostante avesse tentato di ricominciare a vivere. 
Era stato il tempo ad essergli nemico, se solo avesse avuto più tempo a disposizione... Se solo non fosse stato...

La sveglia del suo cellulare risuonò rumorosamente facendolo sobbalzare. Sì tamponò le lacrime con la manica della felpa e spense la suoneria: erano le 9, l'ora delle medicine. L'ora buona, quella sera.
Svuotò il contenitore degli antidepressivi, insieme agli antibiotici, insieme alle anfetamine. Una dopo l'altra le capsule violavano le sue labbra e scendevano lungo il suo esofago, poi due, poi tre insieme, l'acqua le portava giù in un corso incessante di dolore. Non sentì nulla, all'inizio, era tutto così normale... Non gli bastava.
I suoi piedi si mossero da soli, le sue mani anche. Uscì dalla stanza per poi chiudersi a chiave in quella comunicante. Voleva il suo pianoforte, voleva le sue note, le sue melodie, le sue drammatiche evoluzioni di toni.
Si sedette sullo sgabello, fissando per qualche istante i tasti nivei che trasmettevano un innato senso di pace. Respirò l'aria di casa in quel pianoforte d'ebano, nel profumo intenso di legno vivo che riempiva la stanza ogni volta che sollevava la copertura. Sospirò analizzando mentalmente il suo repertorio, alla ricerca di qualcosa che magari ricordasse ancora senza fare errori che avrebbero interrotto la musica. Le sue dita, intanto, andarono inconsciamente a giocare col taglierino preso dal cassetto poco prima. Non se ne accorse neppure finché non avvertì la carne lacerarsi silenziosamente in profonde voragini lungo entrambi gli avambracci. Ma andava bene, non si aspettava niente di diverso in fondo. Nonostante il bruciore che gli apportò immediatamente il contatto dell'ossigeno con le ferite fresche, non si lasciò intimidire e posò leggiadramente le mani sui tasti. La Rapsodia di Rachmaninov sembrò comporsi da sola, nota dopo nota, in un mormorio soave, sebbene attutito dal pedale della sordina che il biondo aveva preventivamente bloccato, per moderare il volume e far sì che il suono non arrivasse alle orecchie degli altri. Non voleva nessuno a rovinare il suo momento.

«Andrà tutto bene MinSeok,
andrà tutto bene. Non lascerò
che quello che è successo rovini
anche la tua vita, non lo meriti.
Io proverò a renderti felice,
a fartene dimenticare, lo giuro.»
Aveva detto il castano. LuHan
se n'era andato, aveva mandato
in fumo tutti gli sforzi che il biondo
aveva fatto per assicurarsi che
stesse bene, che guarisse. E
invece? L'aveva ritrovato morto e
non aveva potuto fare niente.

Dopotutto, l'aveva mantenuta la tua promessa JongDae, ci aveva provato, non aveva mai detto che ci sarebbe riuscito. Era stato sincero, aveva sempre tentato di arrivare ad un finale felice, nonostante fosse stato costretto ad l arrendersi alla fine, e allora aveva perso.

«Guarda, quando sorridi il mondo
si illumina, sembra tutto più
bello e perfetto, non vedi?»

Era stato piacevole il dolce
tocco delle dita affusolate del
minore sfiorargli il volto, riusciva ancora a sentirlo se ci pensava, e quel ricordo riportava a galla sensazione meravigliose.

«Lo leggo nei tuoi occhi che ti
stai scocciando di me...» aveva
bisbigliato il maggiore, ma JongDae
aveva aggrottato le sopracciglia
in palese disaccordo. «Allora,
perdonami se te lo dico, ma credo
che tu sia analfabeta.» Aveva
risposto facendo ridere il biondo,
ridendo anche lui. Aveva una risata
così bella...

Sapeva di zucchero e di vita, quella risata, non l'avrebbe dimenticata, neppure quando non avrebbe più posseduto un corpo per ricordare.

«Non te ne andare okay?»
Si era sentito protetto e coccolato
quando il minore l'aveva trascinato
accanto a sé e gli aveva permesso
di poggiare la testa sul suo petto,
l'orecchio sul suo cuore che
pulsava carico di energia.
Lo sorresse così come aveva
sempre fatto, facendogli ascoltare
il battito dell'amore.

Fu l'ultimo, forse, ricordo che vagò per la mente del maggiore, l'ultimo ricordo che racchiudeva del tempo passato con l'uomo che lo aveva fatto rinnamorare. Per il minore aveva distrutto ogni cosa, la sua lealtà, la sua fiducia, il suo amore a senso unico per LuHan, aveva distrutto persino se stesso, ma ne era valsa la pena. 
Morire non poteva certo essere considerata una cosa bella o piacevole, per niente, ma il fatto che il suo debole cervello stesse ancora sfogliando i suoi ricordi più belli alleviava di molto la sofferenza, anestetizzando il graffiante calvario che lo stava conducendo alla definitiva perdita di conoscenza. Era come addolcire un medicinale dal sapore amaro col miele, giungere ad uno scopo crudelmente aspro passando per la dolce assuefazione del dolore.

«Quindi... questa è l'ultima serata che passiamo insieme...»
Erano rimasti mano nella mano guardando il cielo stellato, con la testa del maggiore sorretta dalla spalla del castano.

Quella testa che gli era sembrata ormai così pesante, troppo carica dei ricordi che svanivano uno dopo l'altro, o forse troppo carica di narcotici e anfetamine, e l'aveva poggiata dolente sulla tastiera del pianoforte. Sentiva lo stomaco contorcersi sotto l'effetto delle pillole, finalmente, mentre respingeva i conati acidi che gli bruciavano la gola, non avendo più nemmeno la forza di vomitare. Il suo corpo doveva essere in stato pietoso ormai. Il sangue refluiva lento e inesorabile dalle vene aperte ad arte sugli avambracci, mentre la mente giaceva soffusa dai vari medicinali. L'unica cosa che, tuttavia, sembrava importargli in quel momento era non essere riuscito a completare il suo spartito, crollando inerme nel bel mezzo del brano. I tasti su cui si era abbandonato non sembravano più nemmeno tanto duri o freddi ai sensi inibiti del biondo, e il sangue che li aveva ricoperti lentamente aveva macchiato persino il loro candore. Era stanco, e terribilmente frastornato, provava talmente tanta nostalgia da voler piangere, ma il suo corpo esanime non rispondeva più alle sempre più deboli emozioni. Gli occhi, quasi socchiusi, guardavano dritto il profilo della tastiera che si protendeva verso l'orizzonte in un perfetto contrasto di bianchi e neri. Oltre, la finestra aperta lasciava intravedere la scura cortina puntellata di stelle. Non ricordava nemmeno più perché avesse voluto rimettere mano su quello strumento, perché avesse voluto morire lì, perché avesse voluto suonare quel brano... Quale brano? Non ne ricordava neppure più la melodia ormai. Era completamente in balia del vuoto, spaventosamente vicino che incombeva sulla sua figura emaciata. Una parte di sé avrebbe chiesto aiuto, in realtà, se avesse potuto, nonostante fosse sicuro di non essere pentito dalla sua scelta.
Avvertì l'ultimo brivido di forza nella mano destra, quando lentamente intinse l'indice in una delle chiazze di sangue presenti sui tasti e, nonostante il braccio non volesse più collaborare, riuscì a segnare, una dopo l'altra, poche lettere sulla superficie ancora bianca del pianoforte.

... 너를 ...

Sentiva il peso di ognuna di loro.

... 사랑 ...

Come se ciascuna di esse stesse portando via un frammento di sé.

... 어 ...

Insieme alle ultime briciole di energia che gli restavano.

... 종대 ...

Aveva davvero voglia di sorridere in quel momento, dal profondo del cuore, forse perché aveva realizzato una delle poche cose positive della sua vita.

... I loved you JongDae ...

E invece il cuore, privato delle sue forze, fu tanto avaro da non regalare al ragazzo neppure quel bramato sorriso.
Il braccio scivolò penzoloni lungo il fianco, il sangue scorreva in mute lacrime vermiglie colorando il pavimento.

Allora cedette.

Allora si spense.

Ma quanto vale la nostra esistenza?
Cosa poteva mai valere la sua, di esistenza?
Era solo un altro alito di vita che spirava dal corpo di un altro disgraziato mortale.
Un altro groviglio di emozioni che si dissolveva nel tepore delle braccia della morte.
Un altro spirito condannato per non essere riuscito a sopportare il dolore.
Niente di più che un'altra, l'ennesima, lapide al cimitero su cui piangere.

Quanto triste può essere il destino su questa Terra per noi insulsi esseri umani?

E la cosa più triste e inaccettabile è quando si arriva a domandarsi "Perché io?" e l'universo ci risponde pacato e incurante: "Perché no?".

... I loved you Kim JongDae ...

Te l'ho lasciato scritto,
perché i morti non possono parlare.

 

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Capitolo 19
*** Epilogue ***


Mi chiedo se stai guardando il mio stesso cielo in questo momento.
Le stesse luci nei grattacieli.
Le stesse stelle soffuse.
Lo stesso buio.

Non te ne sei reso conto, forse, 
ma l'unica cosa che ancora mi teneva
saldamente legato alla vita eri tu. 
Non ti sei reso conto che non ero
affatto pronto a lasciare la tua mano
e camminare da solo. 
Sono solo un bambino in fondo
è questo il motivo che ti ha fatto
ricredere tante volte sulle tue azioni:
non capivi mai quando fosse 
il momento giusto per lasciarmi
andare, e non l'avevi mai fatto. 
Prima o poi, però, doveva succedere,
lo sapevamo entrambi. 
Il mio poteva sembrare solo stupido
pessimismo infantile, ma, in fondo,
anche tu non credevi al "per sempre". La storia di LuHan avrebbe dovuto insegnarmelo, eppure sono sempre stato ottuso ogni volta che si trattava di quello. Tu mi hai aiutato senza esitare neppure una volta, sebbene io non ti abbia mai ringraziato, ti abbia sempre indotto a sentirti sbagliato, ti abbia urlato contro di essere la colpa di tutto e abbia sempre screditato le tue azioni... Tu mi hai aiutato comunque, ogni volta che ne avevo bisogno e non lo comunicavo. Mi hai trattato come se fossi qualcosa di impagabilmente prezioso e mi hai protetto dimostrando quanto tu lo pensassi davvero. 
E questo mi feriva, perché io non mi sentivo in grado di ricambiare tutto quell'amore.
Mi ritrovo a dover ringraziare il mio egoismo se per qualche tempo siamo riusciti ad avere un po' di tranquillità. Si in modo apparente, certo, eppure la sensazione che mi ha lasciato dentro quella pace non l'ho scordata, perché stare accanto a te era la mia unica occasione di felicità.
Una pace portata da un sentimento tanto crudele quanto l'egoismo, però, probabilmente non era destinata a durare.
Eppure abbiamo colto quel momento.
Tu sei riuscito a tenermi in piedi, ancora una volta, anche senza certezze. 
Ci siamo costruiti intorno un'illusione,
come se ci fossimo rinchiusi
in una palla di vetro nella quale
io potevo appoggiarmi a te
senza pretendere di dover imparare
a fare affidamento sulle mie capacità,
mentre tu potevi sentirti importante
nel difendermi dal resto del mondo. 
Hai creduto fosse sufficiente
questo, l'ho creduto anch'io,
l'abbiamo fatto entrambi. 
Nessuno di noi ha voluto
prendere in considerazione l'idea 
di un futuro in cui le cose non
sarebbero andate nello stesso modo.

Eppure, eccoci qua.

Mi chiedo se sapessi quanto 
io dipendessi da te.
Mi chiedo se, abbandonandomi qui,
tu abbia avuto qualche rimorso.
Di certo ne hai avuti, ho ragione?
O sono stato così bravo a farti credere che sarebbe andato tutto nel verso giusto?
Mi chiedo se immaginassi, almeno
lontanamente, cosa avrebbe
comportato la tua lontananza.
Eri l'unico appiglio, l'unico spiraglio
di libertà, l'unica ancora di salvezza
che mi strappasse dalle grinfie della morte.
Ci hai pensato alle conseguenze?
Spero di noNon spettava a te prenderti questo fardello.
Spero anche che dopo la morte 
non ci sia più nulla: non vorrei mai
vederti tornare e scoprire la verità,
immagino che morirei una seconda volta. 
Non ho mai sopportato vederti triste,
ma sono sempre stato abbastanza
egoista da porre il mio benessere
prima del tuo, sebbene non sia mai
riuscito a trovare un modo per
stare davvero bene, se non quando
mi stringevi tra le tue braccia.
Eppure non lo accettavo perché non volevo che diventassi solo un mero sostituto di LuHan;
tu, dopotutto, 
per me valevi anche di più, nonostante non sembrasse così.
Ho fatto di tutto per tenerti lontano.
Cercavo da solo una soluzione nella
mia tristezza e intanto distruggevo te,
mentre avvertivo una stretta al cuore
ogni volta che, come un animale ferito,
te ne restavi silenzioso in disparte.
Nonostante ciò, però, sono sicuro che,
persino quando non potrò più avere
un corpo per esprimere le emozioni,
la mia anima tremerebbe nel trovarsi
sotto gli occhi la tua angoscia.

Qualcuno sta bussando alla porta?
È ora di cena? Ma non erano
le 9 quando mi sono seduto qui?
Non avrei fame comunque, credo di
voler vomitare, forse, non capisco...

«Perché hai chiuso la porta?»

«Esci da questa tana daii, stanno
facendo baby Huiy in TV, lo so
che vuoi venire a vederlo!»

Sarebbe bello si...
Ma l'unica cosa che tornò indietro
a quella domanda fu il silenzio.

Allora ChanYeol bussa più forte.
Perché non mi lascia in pace?
Perché non pensa che sto dormendo?
La sua voce si preoccupa, tenta
ancora di aprire la porta invano.

Non ti ricorda qualcuno? 
Anche LuHan non rispondeva,
quella stanza era silenziosa
come la notte, come questa.

Vorrei che gli altri non si
preoccupassero, vorrei dirgli
che sto bene e che possono
andare a letto tranquilli...

Cosa gli dico? Non più voce...

Non abbiate paura per me...
Io starò bene.
Luhannie mi sta aspettando.

Non sono mai stato così felice
di ritrovarmi sul lastrico, sai Chennie.
Appeso al filo della mia condanna,
a pregare di non essere costretto 
in qualche predestinata vita eterna,
pur di non rischiare di incrociare 
le tue lacrime senza poterle asciugare
o sentire la tua voce senza poterti rivolgere la parola e risponderti. 
Sei riuscito a ripescarmi dal baratro,
non una bensì più volte, ma 'sta volta
non ci sarai a tendermi la mano. 
Sarà veloce, andrà tutto liscio
come il sangue che scivola via, abbandonando le carni, 
portando con sé peccati e sofferenze,
trascinando con sé fino
all'ultima goccia di vitalità. 
Pensiero dopo pensiero, 
con la calma estenuante di chi
desidera espiare lentamente 
le proprie colpe, morendo 
con la consapevolezza di aver
sbagliato fino all'ultimo istante. 
Questa volta per sempre.

Dalla finestra entra aria fredda,
la carezza del vento mi ricorda
qualcosa... Che cosa?

Le tue mani? Quelle di LuHan?
Non lo so più...

Poi le voci tornarono, ma
tra di loro la tua non c'era.
Urlavano dall'esterno, volevano
che aprissi la porta... 
Di nuovo...

Ma non ho più la forza di farlo...

I vestiti, la pelle, il pianoforte,

... è tutto umido...

... e appiccicoso... e rosso...

neppure le palpebre si sollevano

neppure le labbra si schiudono

neppure le dita si contraggono

Non riesco a muovere più nessun muscolo, sembra che io abbia dimenticato come si fa...

Anche il cuore stava smettendo di annaspare spasmodicamente nel petto...

Ma si può arrivare a dimenticare come far battere il proprio cuore?

O forse l'unica cosa che lo faceva battere davvero eri tu?

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