Poisoned Lilija

di Jules Blackwell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


             

" 'Bentornati alle Olimpiadi dell'anno 2020 a Tokyo, in Giappone, dove in questa soleggiata giornata, assisteremo alle finali di tiro con l'arco della categoria individuale maschile.' annunciarono. Poi non ricordai altro. "

Akir Bouvier, terzo classificato, si stava allontanando dal luogo della gara, con lo sguardo rivolto verso il basso, amareggiato.

Il terzo posto era un' ottimo risultato per essere la sua prima volta alle olimpiadi, ma ciò non riusciva a sbarazzare la stretta allo stomaco che sentiva, nata da un commento del finalista e vincitore Ryochi Aoki, il tiratore giapponese che quel giorno aveva vinto il suo terzo oro.







" Era arrivato il momento della lotta per l'oro tra Ryochi, che giocava in casa e Austin Lewis, che giocava per l'America. Il secondo, momentaneamente occupava il primo posto, ma capitava che da tre anni il tiratore giapponese al suo turno glielo soffiasse da sotto il naso, con facilità disarmante.

Forti applausi e grida svegliarono Akir dai suoi pensieri, che alzato lo sguardo, vide il giapponese entrare nel campo, i lunghi capelli legati in una coda, aveva alzato la mano per salutare il pubblico, secondo Akir troppo esaltato, ma ciò probabilmente causato dal fascino del ragazzo.

I minuti in cui tirava erano sempre i più intensi della giornata. Restava immobile per alcuni secondi prima di tirare, lasciando tutti con il respiro sospeso. 

Ogni volta le sue azioni erano sempre le stesse.

Fissava il bersaglio facendo desiderare ad Akir di scoprire cosa gli passasse per la testa in quegli attimi, prendeva un lungo respiro, lo tratteneva, e scoccava la freccia.

Guardava, ispirava, tratteneva, scoccava, espirava. Ogni volta compieva questo gesto, ed ogni volta il suo punteggio era impeccabile.

Un altro oro per il giovane, che sorrise alzando il braccio in un segno di vittoria, sotto il fracasso delle acclamazioni del pubblico.

Nel podio, posto vicino a lui, Akir si sentì schiacciare dalla sicurezza del giapponese, si sentiva inferiore a lui, e ciò lo irritava come non mai.




Dopo la premiazione, camminava da solo nel corridoio con lo zaino caricato in spalla, in mano teneva la sua medaglia e la guardava distrattamente, finché una mano gli si posò sulla spalla, risvegliandolo di nuovo dai suoi pensieri.

­ –  Hai talento, peccato. – mormorò. – Avrei preferito combattere con te per l'oro. – la sua voce era calda, quasi rassicurante, ma non per Akir, che confuso, alzò lo sguardo sull'interlocutore, scoprendo che questo già lo guardava negli occhi.

No.  Ryochi non lo stava guardando. Se lo stava mangiando con gli occhi.

Non riuscì a rispondergli, quindi si limitò a proseguire il suo cammino, con un'intensa sensazione che aumentava a dismisura attorcigliandogli le budella ogni volta che ripensava al suo sguardo. "







Il sole di Tokyo gli scaldava la schiena, attenuando insieme alla musica trasmessa dalle cuffie le sensazioni provate poco prima, che si disperdevano come fumo tra le strade dell'affollata città.

Ma la pace era ancora un sogno troppo lontano, perché si sentì di nuovo afferrare alle spalle.

– Bouvier, che coincidenza! – esclamò Austin Lewis, il tiratore americano che quel giorno era stato nuovamente declassato al secondo posto da Ryochi. Gli sfoggiò un allegro sorriso, che Akir non riuscì a ricambiare. Non ricevendo una risposta dal francese, proseguì nel parlare.

– Io e Ryochi stiamo andando al bar, gli altri tre si trovano li. Vuoi venire? – per altri tre intendeva probabilmente i finalisti. Per la seconda volta, nuovamente, non ricevette risposta, ma dall' espressione contraria che al francese spuntò automaticamente sul viso capì che era un no, ma ciò non bastò a farlo arrendere. – Avanti Akir, divertiti un p.. – venne interrotto da Ryochi, che con un leggero sorriso si intromise nella conversazione, o meglio in ciò che stava dicendo Austin. Akir non l'aveva nemmeno notato, teneva ancora i capelli legati e tra le labbra una sigaretta, che tolse prima di parlare.

– Kir, ti offro da bere, e non voglio rifiuti. Dopotutto oggi eri sul podio, ed erano le tue prime olimpiadi! Bisogna festeggiare, no? –

" Kir? Ma come si permette di avere tanta confidenza con me?" pensò il francese, ma dalle sue labbra non uscì una sillaba, però nell'attimo in cui il giapponese, che Akir aveva notato avere ben poco dei tipici tratti asiatici, circondò le sue spalle con un braccio e cominciò a camminare portandoselo dietro, si lasciò sfuggire un balbettio, che venne subito notato e fece trapelare la natura chiusa e timida del francese.

– Sta tranquillo, non ti farà male un po' di compagnia. – mormorò, per poi rimettersi la sigaretta tra le labbra. 

"La sua sicurezza mi infastidisce." Pensò Akir. "Che cosa vuole? Prima il commento, ora con fin troppa confidenza mi obbliga ad andare con loro."  Bloccata la musica, si tolse le cuffie, mettendo il tutto nella tasca dello zaino. 

Non ci fu una grande conversazione durante la strada tra Akir e gli altri due, che parlavano tra di loro della gara sostenuta quel giorno e delle precedenti, commentando vari aspetti tecnici degli avversari, Austin più volte aveva insistito chiedendo a Ryochi che trucco usasse per batterlo ogni volta, ma l'altro non rispondeva mai, si limitava a ridacchiare. 

Nonostante tra i due non ci fossero state tante parole, Ryochi continuava a tenere il braccio intorno alle sue spalle, con fare quasi protettivo, o forse non voleva che scappasse via.

Il luogo dove l'aveva trascinato era semplice bar, nel pieno stile orientale, c'era perfino un giardino zen raggiungibile nel retro che destò subito la curiosità di Akir, ma non ebbe il tempo di osservare altro che venne messo seduto accanto al tiratore italiano Fabio Magnini, arrivato quarto quel giorno.

– Siete arrivati! Oh, feya! – la persona citata in questione, "feya", che in russo significava "fata" girò subito la testa piantando uno sguardo truce all'interlocutore, il tiratore Dorian Ivanov, dalla Russia. Gli affibbiavano spesso quel soprannome, per i suoi tratti femminili e i modi di fare riservati e bruschi.

– Dorian, non trattare male il ragazzo. – disse ridacchiando Ryochi, prima di sedersi accanto ad Akir, che dopo aver continuato a guardare male il russo ancora per qualche secondo, abbassò la testa.

– Akir, cosa vuoi da bere? – Ryochi lo risvegliò nuovamente dai suoi pensieri.

– Non .. Non lo so. Fa tu. – rispose bruscamente, guardandolo con la coda dell'occhio, ma lo fece meglio quando questo si alzò e si diresse al bancone, da lì lo osservò silenzioso, ma come se Ryochi avesse sentito che lo guardava, pochi attimi dopo aver ordinato si girò e i loro sguardi si incrociarono. Lui sorrise. Akir abbassò subito la testa, interrompendo lo scambio di sguardi, ripensando a quando l'aveva guardato dopo la gara, all'intensità del suo sguardo.

"Non essere ridicolo, Akir. E' solamente un tipo fin troppo fiero di se che pensa di giocarsela con le persone."

Ryochi tornò un paio di minuti dopo, gli altri tiratori stavano già bevendo, chi un tè, chi un cocktail, alcolico o analcolico.

– Ecco a te. – gli mise in mano un bicchiere contenente ghiaccio, una foglia di salvia e un liquido opaco, assomigliava ad un Gin Lemon.

– Grazie. – disse guardandolo, Ryochi annuì, e si concentrò sul suo cocktail rossastro. Akir fece lo stesso, ne bevve un sorso e un brivido gli attraversò la schiena. Il cocktail era forte, il primo sapore che sentì fu l'assenzio, ma dopo un breve momento cambiò, sentiva il gusto del lime, della salvia e dello zenzero.

– Fresco, vero? Ti piace? – gli chiese quasi subito Ryochi.

– Che cos'è? – 

Il francese sorrise, prima di rispondergli: – si chiama Giappone, è un cocktail composto da Gin, Assenzio, Ginger Beer, e diversi aromi, come la salvia, il lime, cardamomo e shiso, una pianta giapponese simile al basilico. – gli spiegò con piacere, senza distogliere mai lo sguardo da Akir.

– Si, mi piace. – annunciò, prima di berne un altro sorso. Gli piaceva davvero molto, gli alcolici non erano mai stati il suo forte, beveva davvero raramente, l'alcool non gli piaceva in generale, ma quel cocktail era semplicemente buono da impazzire.







I minuti trascorsero abbastanza velocemente, Akir si limitò ad ascoltare le conversazioni degli altri cinque tiratori, l'unico con cui aveva avuto un po' di conversazione era Ryochi, che pareva insaziabile di informazioni sul suo conto. Il suo telefono emise un trillo, poi in seguito un altro.

Prese il telefono, e notò due messaggi da parte di Amaryllis, la sua migliore amica.

" Tout va bien? "*

" Ecris-moi ou bien apelle moi dès que tu peut "**

– Devo fare una chiamata. Torno tra poco. – si alzò.

– Va bene – rispose il giapponese, tornando poi alla conversazione con Austin.

Akir approfittò e uscì nel giardino zen, dopo qualche piccola esclamazione per la bellezza di questo prese il telefono e chiamò l'amica, mentre parlava con lei passeggiava lentamente per il giardino, osservandone attentamente i fiori e le piante.

– Alla fine il giapponese è arrivato primo anche quest'anno. – disse Amary, prima di sgranocchiare qualcosa, che dal rumore sembravano biscotti.

– Non ti sembra tardi per mangiare biscotti? In Francia dovrebbe essere l'una di notte. – sottolineò Akir, con fare paterno.

– Spuntino notturno, l'hai mai sentito? – rispose di tutto tono lei, prima di mettersi a ridere.

– In ogni caso .. Ryochi è un personaggio strano. E' dalla fine della gara che mi fissa, mi fa domande. Alla fine della gara mi ha pure detto " avrei preferito combattere contro di te per l'oro "– ripeté le parole del giapponese con tono stupido, per esprimere il fastidio che gli aveva dato. 

– Mi prende per il culo, pensa di essere migliore di tut.. – 

– E se invece avesse voluto veramente combattere contro di te per l'oro e non ti stesse prendendo per il culo? – ammiccò.

– Da un personaggio come lui!? – alzò la voce. – Non prendermi in giro. –

– Akir, magari gli interessi.. Non fare il permaloso. Sarebbe anche ora che tu dimenticassi Jean. – il tono di Amary si fece serio.

Fece una pausa prima di risponderle.

– Certo, come dici tu. Ora devo andare, tu smettila di mangiare e vattene a dormire. –

– Avaaanti, non fare l'arrabbiato ora.. – piagnucolò – lo dico per il tuo bene, lo sai.. Ci sentiamo –

– Certo. Ci sentiamo – riattaccò, sentendosi improvvisamente di malumore. Voleva tornarsene in hotel. Quando si girò, vide Ryochi, poco lontano, lo guardava, senza nessuna particolare espressione sul viso.

– Torno in hotel, sono stanco. – disse frettolosamente Akir, infilandosi il telefono in tasca, e passando accanto al giapponese, che però lo fermò.

– T'accompagno – disse solamente.

– Non serve. –

– Sei una preda troppo bella per essere lasciata da sola. –

– Che.. cosa? – lo guardò, allibito, ma di tutta risposta il giapponese si mise a ridacchiare.

– Avanti, ho già pagato, andiamo. – sembrò più un ordine che un invito, e quindi Akir si incamminò con lui, in silenzio, diretti insieme verso l'hotel dove alloggiava.







Presero la linea Hanzōmon, dopo una decina di minuti arrivarono a Omotesandō, l'hotel si trovava poco lontano dalla fermata. Non ci furono scambi di parole tra i due, tranne una sola volta da Ryochi, per sapere dove si trovava l'hotel.

– Quando tornerai in Francia? – chiese tutto d'un tratto il giapponese, con tono superficiale.

– Ho l'aereo martedì mattina – intravide l'insegna dell'hotel, era dorata e bianca.

– Tra un giorno... –

– Si –

– Allora domani che ne dici se ti porto a vedere Tokyo? – Akir si fermò e lo guardò,  una richiesta, no, un invito del genere, qualcuno che lo invitava ad uscire, era un evento raro per lui. 

– Non lo so.. – rispose solamente, riprendendo a camminare, ma non fece più di quattro passi che venne fermato, per la seconda o terza volta, dal ragazzo. 

"Che brutto vizio.."

– Avanti, prendilo come un modo per scoprire qualcosa di nuovo. Restare sempre chiuso in casa non fa bene a nessuno. – il suo tono si fece stranamente dolce. 

– Posso fare ciò che voglio della mia vita. – sputò fuori acido il francese, ma ciò non servì a togliere l'espressione serena dal volto di Ryochi, anzi, notò un sorriso sbucare, giusto un accenno.

 – Allora a domani. Passo a prenderti. – detto quello, non lasciò il tempo ad Akir di obbiettare, gli fece l'occhiolino, si girò, e dopo pochi passi, sparì tra l'immensa folla della città.




_________

* = "Va tutto bene?"

**= "Scrivimi o chiamami appena puoi"

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


             

Quella notte fu lunga e burrascosa per il francese. Non riusciva a chiudere occhio, ma non volendo ricadere in un vortice di dubbi e domande su cosa fosse ciò che gli aveva tolto il sonno decise di dare semplicemente la colpa all'adrenalina accumulata alla gara di quel giorno.

Non aveva avuto nemmeno modo di ribattere alla proposta di Ryochi, o anche solamente chiedergli a che ora sarebbe passato. L'aveva lasciato senza uno straccio di informazioni. Questo genere di persone erano quelle che gli davano più fastidio in assoluto. Chi si prendeva la comodità di comandare, di decidere, senza lasciar modo all'altro di dire la propria.

"E' davvero una persona cosi orribile?"

– Ehi, Jean –

– Akir, giorno! Come stai? – esclamò il ragazzo, di sottofondo si poteva sentire il rumore di un paio di porte che venivano aperte e successivamente chiuse.

– Che stai facendo? – spostò un po' di più la tenda, lasciando che la luce del giorno entrasse meglio nella bianca camera dell'hotel.

– Sto cominciando a tirare fuori le cose per prepararmi il pranzo. Ora che ci penso, che ci fai già sveglio? Non dovrebbero essere le 5 a Tokyo? –

Non ricevette risposta.

– Sei rimasto sveglio tutta la notte? Perché Akir.. – il suo tono di voce si fece deluso.

– Non riuscivo a chiudere occhio, semplicemente. – rispose seccamente lui.

– Non mentirmi, lo sai che ti conosco. Cosa è successo? – chiese.

Esitò prima di rispondere. Avrebbe dovuto dirgli di Ryochi? Della battuta fatta dallo stesso? Del modo in cui l'aveva guardato?

– Non è niente. – si limitò a dire, ma qualcosa nella sua voce doveva averlo tradito, perché dall'altra parte del telefono udì uno sbuffo.

– Ci sarà mai una volta che mi racconterai la verità, Akir? –


 "Al festival di primavera pensavi che scherzassi davanti a quell'Iris giallo?"

Nuovamente, da Akir non ci fu risposta.

– E' successo qualcosa alla gara? Ti hanno dato fastidio? Avanti, devo sempre tirare a indovinare? .. Mi tradisci? – All'ultima domanda si mise a ridacchiare.

"E' sempre tutto un fottuto gioco per te."

– N.. No. Non.. –

– Sto scherzando. – disse fermamente, ma con una nota di dolcezza nella voce. – Solo mi dispiace che tu non mi dica ciò che ti passa per la testa. – aggiunse.

– Scusa, Jean – mormorò, alzando lo sguardo verso l'alto,  gesto istintivo dopo aver sentito prurito al viso e gli occhi inumidirsi.

– Quando tornerai a casa saremo una settimana insieme, se te la senti mi racconterai li cosa davvero ti prende, va bene? – 

– Si – 

Si sentiva ferito in quel momento. Una strana amarezza gli invase il corpo, un nodo alla gola gli bloccava il respiro, apparve nel suo stomaco la stessa sensazione provata con il giapponese il giorno prima, ma non era nulla di positivo. Strinse il cuscino su cui stava poggiato.

– Ci vediamo, scrivimi quando sei tornato a casa. Ciao Akir – 

Riattaccò, senza rispondergli. Lanciò il telefono, che dopo un volo di circa un metro, finì poggiato al bordo del materasso, e singhiozzò.

La  sensazione del dolore gli era ormai familiare, quasi più non ci faceva caso, ma in quel momento non riuscì a fermare le lacrime.

Non capiva nemmeno più il motivo del perché aveva momenti del genere. Piangeva per cosa? Per chi? Per quale motivo continuava a sentirsi cosi? 

Pian piano nella sua mente si fecero vivi diversi ricordi. Cominciò a domandarsi. Cominciò a darsi le colpe. 

– Jean.. – mormorò, lasciandosi poi sfuggire una risata ironica. Non era cambiato ancora nulla.







Erano le 9.30, Ryochi si trovava sotto l'hotel dove alloggiava Akir, lo aspettava un po' impaziente. Aveva chiesto alla receptionist se poteva mandare qualcuno a chiamarlo, e mentre lo aspettava, osservava il traffico di Tokyo, silenzioso. 

Ammise che non avergli dato nessuna informazione, anzi, in generale l'averlo obbligato ieri a seguirlo al bar, e successivamente ad averlo invitato ad uscire per il suo ultimo giorno di residenza nella città, era stato un gesto un po' brusco, nei confronti di un ragazzo chiuso come Akir.

"Ma quanto ci mette.."



Erano ormai passati quindici minuti da quando l'aveva fatto chiamare, ma la sua figura non si azzardava ad apparire. Era già pronto ad andare fino alla porta della sua stanza e chiamarlo di persona, ma il pensiero di aver trattato una persona fragile come lui troppo bruscamente, si fece nuovamente spazio nella sua mente.

Passarono altri cinque, poi dieci minuti. Non sapeva se andare davvero a bussare di persona alla sua porta o semplicemente accettare che Akir Bouvier aveva deciso di restare chiuso nel proprio guscio, e andarsene. 

Ma l'innocenza di quel ragazzo, il suo essere scontroso, chiuso, gli faceva venir voglia di scoprire tutto quanto su di lui. Aveva pensato per molte ore allo sguardo confuso che gli era apparso sul viso, il giorno prima.

"–  Hai talento, peccato. Avrei preferito combattere con te per l'oro. –"

Lo aveva guardato con provocazione, e dall'espressione stampata sul suo viso, seppur durò poco più di un paio di secondi, fece capire a Ryochi che aveva colpito nel segno. Si sentiva sicuro, che quello sguardo, il francese non l'avrebbe dimenticato poi tanto presto. 

Una figura incappucciata lo fece distrarre dai suoi pensieri. Akir stava uscendo dall'hotel.

Una strana gioia crebbe in Ryochi, era contento che fosse venuto, ma il sorriso comparso sul suo viso svanì, quando il francese, probabilmente per cercarlo, alzò la testa.

Portava l'espressione, il viso di chi non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Peggio, di chi aveva appena smesso di piangere. La scarica di gioia sparì all'istante. 

"Cosa gli è successo? Perché stava piangendo?"







Ci volle un po' ad Akir prima di trovare la forza, la voglia di alzarsi. Ryochi era venuto davvero, e lo stava aspettando. Non aveva ricordo di quando, o come si fosse addormentato, ma sentiva il corpo intorpidito, gli occhi gonfi. Era evidente che non stava bene.

Non voleva, non poteva farsi vedere debole. Ci pensò su per molto tempo, ancora con il velo di sensazioni provate la stessa notte. Poi si ricordò della stretta di Ryochi, della sua voce, di cosa aveva sentito standogli accanto.

Si mise il cappuccio della felpa, in modo che il suo viso risultasse meno visibile, e uscito dall'ascensore, si diresse fuori. Raccolse un po' della sua solita apatia, e alzò un attimo la testa dopo essere uscito per cercarlo con lo sguardo. La sua ricerca non durò a lungo.

– Ciao, R.. –

–  Che cos'hai? – il giapponese non gli lasciò tempo di finire di parlare, si era avvicinato a lui velocemente, e lo guardava senza nessun tratto dell'allegria del giorno prima.

"Si è.. accorto?"



Akir abbassò subito lo sguardo.

– Non ho nulla. –

– Non mi dire bugie, t'ho visto – il tono di voce del giapponese si fece serio, ad Akir si congelò il sangue nelle vene. Non voleva parlarne, non voleva che lo vedesse debole.

Si allontanò al tentativo di Ryochi di toccarlo. –  Andiamo. – disse solamente, e cominciò a camminare senza una meta, seguito pochi secondi dopo da Ryochi, con la coda dell'occhio vide che continuava a guardarlo, e cosa rara da parte sua, alzò lo sguardo verso di lui, facendo incontrare gli sguardi.

A quel gesto, a Ryochi spuntò un leggero sorriso. Lo avvicinò a se, e come il giorno prima, circondò le sue spalle con un braccio.

– Dai, ti porto a far colazione in un posto che ti piacerà sicuramente. – 







Camminarono per un breve tratto, in silenzio, per poi prendere la metropolitana, e dopo un viaggio di pochi minuti, scesero a Gaienmae.

– Quanto manca? – chiese Akir, un attimo dopo aver udito il proprio stomaco brontolare.

– Abbi pazienza, tra poco siamo arrivati. – sorrise. – Hai fame? – lo guardò, il francese aprì bocca per rispondere, ma prima di poterlo fare il giapponese gli tirò giù il cappuccio della felpa, per poi scompigliargli i capelli. Il gesto, il contatto a cui Akir non era abituato, lo fece arrossire, e nervosamente si sistemò i capelli.

– S..Si. – disse solamente, con una stretta allo stomaco che non poteva associare alla fame.

– Scusa, è da quando ti ho visto che volevo farlo. Non hai motivo di nasconderti – 

Akir si limitò ad annuire sfregando per un paio di secondi le mani, nervosamente, come se avesse freddo.

– E poi cosi non mi dai modo di osservarti meglio. – la voce di Ryochi si fece profonda.

"Cosa?.."

Non riuscì a rispondere. Anche il giorno prima l'aveva sentito lasciarsi andare in dichiarazioni simili. Che stava facendo? Ci stava provando? 

"Non pensare simili stronzate"

– Siamo arrivati? – sviò totalmente il discorso, al suo solito, freddo modo.

– Si, seguimi. – 

 Entrarono in un cafè, aveva un bell'aspetto. Era molto grande, sui toni beige e bianchi, c'era un'immensa vetrina con dolci di ogni tipo, molti raffiguranti personaggi del mondo anime e manga, oppure gattini, ricci o altri animaletti.

– Ti piace? – gli chiese Ryochi, mentre continuava a camminare, zigzagando tra gli altri clienti del bar.

– Si, mi piace – più che altro rispose per il suo stomaco, che mentre scorreva lo sguardo sulle bevande e sui dolciumi, brontolò nuovamente.

Ryochi si fermò poco prima di una scala a chiocciola, accanto ad essa c'era raffigurato un gatto e una parola in giapponese.

– Ti piacciono i gatti? – 

– Credo di si.. perché? – non aveva mai avuto un gatto, qualche volta gli capitava di vedere un gatto per strada quando passeggiava per la città natale, li trovava un po' ruffiani, ma non era mancata una volta che non si fermasse per qualche secondo ad accarezzarli.

A quella risposta, Ryochi cominciò a salire le scale, seguito da Akir.

Arrivati al piano successivo, quasi non spalancò la bocca.

Lo stile della stanza era più o meno lo stesso di prima, in più c'erano però dei pouf e dei divanetti, ma non fu ciò a colpirlo.

C'erano dei gatti.

Gatti, che scorrazzavano in giro. Ne contò almeno sei, ma ne vide di più piccoli scorrazzare veloci nella stanza.

Notò allora che certe persone sedute, mentre conversavano, tenevano un gatto e lo coccolavano, altri stavano a guardarli, ci giocavano, li coccolavano. I gatti avevano il dominio di quella sala.

– Ma che.. – riuscì solo a dire, era la prima volta che vedeva una cosa del genere. Aveva sentito anche parlare di questi "Cat-Cafè", ma trovarsi davanti ad uno di essi era tutt'altra cosa.

Il suo sguardo cadde su un piccolo gatto nero di forse tre mesi, questo rincorreva un altro gattino, ma nell'intenzione di afferrarlo inciampò e cadde rovinosamente a terra. La scenetta fece sorridere Akir, trovava tutto ciò tenero.

– Vieni – gli disse sorridente Ryochi, dopo qualche metro e qualche gatto schivato, si sedettero su morbidi, azzurri pouf.

Dopo essersi messo comodo, Akir si osservò ancora in giro, notò un gatto avvicinarsi a lui, e cominciare a lisciarsi sulla sua gamba, in cerca di coccole.

"Ruffiani.."

Ma nonostante ciò la sua mano vagò quasi in un gesto automatico verso il muso del gatto, sfiorandolo. Lo fece di nuovo, accarezzandogli anche il corpo. Sorrise, per la seconda volta in pochi minuti. 

– Mi sembra di notare che ti piacciono. – Akir alzò lo sguardo verso l'interlocutore, che lo osservava con una mano tra i capelli, sorridente. Abbassò subito la testa, il sorriso sulle sue labbra sparì all'istante.

– Non devi vergognarti di sorridere. Concediti un po' di felicità, Akir. – gli disse il giapponese, afferrando poi il listino poggiato sul tavolino.

Per la prima volta, fu Akir a restare ad osservarlo. Ciò che aveva detto l'aveva colpito. Non aveva mai pensato ad una cosa del genere. Concedersi un po' di felicità. Era una frase che faceva netto contrasto con la notte appena trascorsa. Perso nei suoi pensieri, osservò distrattamente Ryochi, nella sua interezza, ripensando a quello che Amary gli aveva detto al telefono il giorno prima.

Notò il gatto che prima si stava lisciando sulle sue gambe giocare con un ciuffo dei lunghi capelli di Ryochi, quel giorno tenuti sciolti. Erano di colore scuro, a prima vista parevano neri, ma sotto la luce naturale, o con un occhio più attento, si potevano notare dei riflessi blu notte, facendo pensare ad Akir che magari tempo prima se li era tinti. Lo rendevano affascinante, senza dubbio.

Scorreva lo sguardo sul listino, con un'espressione serena stampata in viso. Le sue iridi erano di colore chiaro, come avvolte dalla nebbia.

Spostò subito lo sguardo quando Ryochi alzò il suo, sperando che non avesse notato che l'aveva guardato a lungo.

– Ho scelto. Tieni – allungò verso di lui il listino, e dopo che Akir lo prese, si concentrò sul gatto, che non esitava a smettere di giocare con i suoi capelli.

Non aveva molta cultura sul cibo giapponese, dopo poco più di un minuto, decise di prendere l'Anmitsu.

Una sgargiante cameriera, che indossava un beanie dello stesso colore del vestito con delle orecchie da gatto prese i loro ordini, mentre osservava la ragazza dirigersi verso le scale e scendere, si fermò a pensare. Non poteva dire altro se non che il Giappone gli piaceva. Da quando era arrivato aveva sempre ricevuto un ottimo riguardo, che fosse dal personale dell'hotel, da una cameriera di un bar, di un controllore nella metropolitana, o di un casuale passante. 

– Cos'hai deciso di prendere? – Ryochi interruppe i suoi pensieri, con un tono insolitamente allegro.

Spostò lo sguardo su di lui, notandolo posare a terra il gatto ridacchiando, questo si allontanò, raggiungendo gli altri suoi simili. 

– .. An.. Anmitsu? – ammise mentalmente di non ricordarsi già più il nome.

Lui annuì, socchiuse gli occhi e cominciò a guardarlo. In silenzio. 

A disagio dal suo sguardo, guardò altrove, prima di prendere il telefono. Non funzionò. Riusciva comunque a sentire il suo intenso sguardo addosso. Strinse il telefono, irrigidendosi.

"Perché mi sta fissando?"

– Akir – lo chiamò lui, dolcemente.

Ricambiò lo sguardo solo dopo diversi secondi, e non parlò.

– Ti mette.. No, mi correggo. Ti metto cosi tanto a disagio? – domandò semplicemente.

Lo disarmò quella domanda. 

– No –

– E allora perché ogni volta che ti parlo, o ancor più semplicemente ti guardo, ti fai nervoso? –

Ci pensò su svariati secondi. Cos'era che lo metteva cosi a disagio? Il suo carattere chiuso sicuramente era uno dei motivi, ma sapeva che non era l'unico motivo. Ryochi, nella sua interezza, lo metteva a disagio. La sua sicurezza nell'agire, nel parlare, il modo in cui l'aveva guardato il giorno prima, il modo in cui gli sorrideva. 

Aprì la bocca, una, due volte, ma non riusciva a far uscire una sillaba, quindi, semplicemente abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro frustrato. 

– Non devi sentirti a disagio con me, Akir – il suo tono era dolce, il francese non lo stava guardando, ma seppe che stava sorridendo.







Nei minuti successivi, ci fu silenzio tra i due. Ma non era un silenzio imbarazzante, o almeno inizialmente lo era, ma Akir cominciò pian piano a rilassarsi e la tensione nell'aria si attenuò. Sentiva che era un bene, quindi decise di non dare aria ai suoi pensieri e di giocare con un gatto bianco che si era avvicinato ai due.

Ryochi si limitò a guardare solo un paio di volte Akir  in quei silenziosi minuti, successivi a ciò che gli aveva detto, ma notò con piacere che il suo viso si era, seppur poco, rasserenato. Però non riusciva a smettere di pensare alle occhiaie che aveva, al suo guardo stanco. Sapeva che qualcosa non andava in lui, ma non riusciva a capire cosa, non riusciva a leggere nei suoi occhi come desiderava. 

E ogni secondo che passava, bramava ancora più ardentemente sapere cosa aveva. Perché, cosa, ma soprattutto chi dava modo ad Akir di distruggersi. Sentiva un fastidio alla bocca dello stomaco. Sarebbe partito per tornare a casa sua il giorno successivo, aveva troppo poco tempo.

– Parteciperai ad altre gare quest'anno? – gli chiese, tutto d'un tratto.

Akir si fermò a pensare, prima di rispondergli. – Si, ma non dove saremo coinvolti entrambi. – 

"E' riuscito a capirlo?.." 

Sorrise. – Ci diamo appuntamento all'anno prossimo, allora.. –

– Si. – 

Le loro ordinazioni arrivarono. Akir scoprì che l'Anmitsu era una scodella contenente frutta gelatinosa, intera a pezzi, alcuna intagliata a forma di piccoli fiori e foglie ed una pallina di gelato al tè verde. Ryochi prese in mano la sua fumante tazza di tè verde, e socchiuse gli occhi, sorridendo. Notò su un piattino dei paninetti, con qualche seme di sesamo nero sopra.  

Ma prima di chiedergli cos'erano, un leggero sussulto, non spontaneo, uscì dalle sue labbra. Sentiva la gelatina alla frutta sciogliersi in bocca, era fresca, deliziosa.

Sentì il giapponese ridacchiare. L'aveva sentito. Si ricompose velocemente, deglutendo.

– ti piace, Akir? –

– .. Si. Mi piace. – era già la seconda volta che diceva quella frase in quella giornata.

– Non hai mai mangiato nulla di simile? – gli chiese, prima di morsicare il piccolo panino. 

– Mai.. – si gustò un altro cucchiaio, prima di puntare lo sguardo sul dolciume che Ryochi aveva in mano. – Che cosa sono? – chiese.

– Anpan. Sono dolciumi ripieni con pasta di azuki zuccherata. – Il giapponese allungò il dolciume verso Akir, che preso in mano, lo osservò. Il ripieno era rosso/marroncino.

– Azuki?.. – 

– Sono fagiolini rossi coltivati principalmente in Asia, Europa e Africa. Assaggia – lo invitò.

– Sai davvero tutto.. – ammise, prima di mordere il dolciume. Era dolce, morbido, gli piaceva.

Spostò lo sguardo sul giapponese. Lo stava guardando nuovamente, con intensità. Il suo sguardo assomigliava a quello del giorno prima, dopo la gara. 

Si sentì arrossire. 

– Allora? –

– E' buono. – disse solamente. Gli passò il dolciume, e si concentrò sul proprio Anmitsu, silenzioso.

Fecero colazione ascoltando il miagolare dei gatti, le conversazioni degli altri clienti.

Ryochi finì il suo tè e i suoi Anpan prima di Akir, senza dirgli nulla si alzò e si avvicinò in un'area della sala dove c'erano vari giochi per gatti. Akir lo osservò. Nemmeno Amary aveva i capelli cosi lunghi. Coprivano più della metà della sua schiena, erano leggermente mossi. Mentre finiva la sua colazione, lo guardò giocare con i gatti, che si avvicinavano a lui come una calamita. 

Cosa aveva di diverso dalle altre persone, il francese non riusciva a capirlo. Ma qualcosa c'era.

Usciti dal Cat-Cafè, camminarono in silenzio per il quartiere. 

– Dove andiamo, ora? – chiese Akir.

– In stazione, dove prenderemo la linea Yamanote. – rispose tranquillamente.

– Certo, Yamanote..per andare?.. – parlò con tono ironico.

– So che ti piacciono i parchi, quindi ho deciso di portarti al santuario Meiji – lo guardò, sorridendo.

– Meiji..? – era confuso.

Velocemente, Roychi prese il telefono, e cominciò la ricerca.

Un minuto dopo gli mostrò la foto di una piantina di un grande parco, al suo interno, segnato da un puntino rosso, probabilmente c'era il santuario di cui parlava.

Anche solo il pensiero di camminare in mezzo ad un bosco, fece venire l'adrenalina ad Akir. 

– Immaginavo che l'idea ti sarebbe piaciuta. – gli fece un grande sorriso.

– Dopotutto sai davvero, sempre tutto.. – rispose il francese, spostando la testa altrove per nascondere, invano, il sorriso che gli era spuntato sulle labbra.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***



Il viaggio in treno durò poco, e tra i due non ci fu conversazione. Il francese si limitava a guardare il paesaggio fuori dal finestrino, nascondendo dentro di se una scintilla di emozione per il luogo che sarebbero andati a visitare. 

Udì la parola "Harajuku" nell'annuncio registrato, dopo quello Ryochi si alzò.

– E' la nostra fermata? – chiese il francese, alzandosi dopo di lui.

– Si, siamo arrivati – si avvicinarono insieme alle porte del treno, mentre questo rallentava, e fermatosi, un attimo prima che le porte si aprissero Akir sentì Ryochi, fattosi improvvisamente brusco mettergli il cappuccio sulla testa, e dopo averlo preso per il polso, trascinarlo fuori dal treno, mentre dalle altre porte di quella carrozza cominciavano a entrare i viaggiatori.

Camminarono a passo svelto, o meglio Akir veniva trascinato da Ryochi.

– Ehi! Ehi! Che stai facendo?! – urlò lui, usciti dalla stazione riuscì finalmente, dopo l'ennesimo strattone, a liberarsi della sua salda presa, vide il giapponese guardare dietro di se, come se stesse controllando qualcosa.

– Mi stai ascoltando!? – gli afferrò la giacca, strattonandolo per un attimo, richiamando a se la sua attenzione. Il giapponese spostò lentamente lo sguardo su di lui, lo vide rasserenarsi, e sfoggiargli

uno dei suoi soliti sorrisi. Prese i bordi del cappuccio di Akir, vicino alle sue guance.

– Scusa, Akir – 

In un gesto istintivo, il francese si allontanò da lui, mollandogli la giacca. Si ricompose, riabbassandosi il cappuccio.

– Perché mi hai trascinato in quel modo? – chiese arrabbiato.

Ryochi cominciò a camminare, seguito da Akir, che si mise accanto a lui, fissandolo corrucciato.

– Non guardarmi cosi, non l'ho fatto apposta.. – non lo stava guardando, il suo sguardo era puntato davanti a se, a dove stavano camminando.

– Allora perché l'hai fatto? – per la prima volta, vide Ryochi esitare. Il sorriso sparire dal suo viso, abbassare per un paio di secondi lo sguardo, come alla ricerca di una scusa da usare.

Non gli rispose subito. – Allora? –

– Ho visto una persona a cui non tengo passarci accanto – gli rispose semplicemente.

"Ah si? E chi?"

– Chi? –

– Nessuno di importante, Akir – disse il suo nome con fermezza, come un ordine, lasciandogli intendere che non voleva ricevere altre domande su ciò che era appena successo.

"Maledetto"

Spostò lo sguardo da un'altra parte, infastidito.







– Ehi, siamo arrivati.. – disse Roychi, risvegliando Akir dai suoi pensieri, che spostò lo sguardo, dall'altra parte della strada un grande Torii in legno, e una fitta foresta espandersi intorno ad esso.

– E' .. E' l'entrata? – domandò, già affascinato dalla bellezza del luogo.

– Si – gli sorrise.

Superato il Torii rosso, dopo una centinaia di metri, erano nella natura più assoluta. Sentieri, giardini curati, alberi potati con cura, il francese non sapeva cosa dire. 

– Ti vedo già immerso nella profondità di questo parco. – sorrise Ryochi, prima di notare Akir guardare perplesso dei barili bianchi sul lato della strada. – Sono barili di sakè, donati al parco da famiglie o negozi. – 

– Capisco.. – il francese prese il telefono e scattò un paio di foto al sentiero dove stavano camminando, per terra c'erano sparse macchie di sole, che filtrava con difficoltà dai fitti rami degli alberi.

Anche stavolta, Ryochi non parlò. Restò in silenzio, godendosi i rumori di quel parco, qualche volta guardava Akir, questo si guardava intorno curioso, i suoi occhi brillavano. Riuscì a vedere le tracce della sua tristezza svanire dai suoi occhi, dalle sua espressione. Era felice. L'aveva reso felice.

– Ohi, che stai.. – gli chiese subito il francese. Ryochi non si era accorto che aveva stretto Akir vicino a se, teneva un braccio intorno alle sue spalle, e sorrideva.

– Niente, mi trovo meglio così. – fu sincera la sua risposta. Non era l'unico che in quel momento si sentiva felice.

Stranamente, il francese non disse nulla, non si allontanò da lui. Continuarono a camminare vicini, ammirando la natura intorno a loro, qualche volta Akir gli faceva qualche domanda, o gli chiedeva di tradurre quello che c'era scritto sui cartelli in legno. L'aveva già notato il giorno prima al bar, che mentre parlava al telefono guardava attentamente ogni pianta, ogni arbusto, che si trovava nel giardino zen. A quanto pare era molto legato alla natura.

Si fermò un attimo a pensare. Era successo il giorno prima. Si accorse improvvisamente di conoscere Akir solo da due giorni. Si era distratto, si era perso in quel ragazzo, in quello che faceva, ciò che diceva, che dentro di se gli sembrava di conoscerlo da una vita.

– Ryochi – la voce del ragazzo interruppe i suoi pensieri.

– Dimmi –

– Siamo arrivati al tempio. –







Ryochi si sedette sospirando su una delle panchine in legno del bosco, poco dopo l'uscita del tempio. Akir non era ancora uscito, aveva detto che sarebbe rimasto a dare ancora un'occhiata in giro. 

– "Ancora un'occhiata", è un'ora che siamo qui.. – parlò tra se e se. Da quando avevano superato l'entrata, il corvino si era trasformato in una belva assetata di informazioni, gli chiedeva ogni minima cosa sul tempio, sulle lanterne, i pozzi con l'acqua benedetta o dove si bruciava l'incenso. Era molto, molto affascinato dal posto. Avevano anche assistito ad un tradizionale matrimonio giapponese. Finito il giro, gli aveva detto che avrebbe fatto ancora un giro, che aveva qualcosa da fare. Qualcosa da fare?

Dopo quindici minuti che si erano separati, lo vide uscire fuori, muoveva la testa a destra e a sinistra, cercandolo.

Si alzò dalla panchina, alzando un braccio in aria per farsi vedere dal ragazzo, che lo localizzò subito, dato che l'altezza di Ryochi superava quella media degli abitanti giapponesi. 

 – Eccoti. Fatto? – si avviarono verso l'uscita del bosco, a passo lento.

– Si –

– Cos'era questo "qualcosa" che dovevi fare? – mimò le virgolette con le dita.

– Nulla di particolare. –

– Non vuoi dirmelo, vero? – un leggero sorriso apparve sul viso di Ryochi, mentre l'altro annuì. – Lo immaginavo – spostò lo guardo davanti a se.

– Mi è piaciuto molto. – disse qualche secondo dopo il francese, con il solito serio tono di voce.

– Cosa? Il tempio? – 

– Si –

Ryochi sorrise. In qualche modo era riuscito a rimettere di buonumore Akir, e si sentiva sicuro che entro la fine della giornata sarebbe riuscito a togliere ogni ombra di tristezza dal suo volto. 

Passeggiarono per le tipiche vie della metropoli chiacchierando soprattutto di essa, delle abitudini dei suoi abitanti, del loro stile di vita. Riuscì a far raccontare ad Akir un po' della sua vita.

 – Quindi abiti da solo? – chiese il giapponese.

– Si, da quasi un paio d'an- –

– Cioè aspetta ad appena 18 anni tu sei andato via di casa!? – lo interruppe Ryochi, guardandolo sorpreso.

– .. Si? Mi sono trovato presto un lavoro in una città poco lontana dal mio paese natale, quindi appena raccolti un po' di soldi, mi sono trasferito li. –

– Un atleta olimpico che lavora.. –

– Queste sono state le mie prime olimpiadi, io sono una persona normale, lavoro per pagare l'affitto,  i viaggi, poi mi alleno.. Non sguazzo nell'oro. – disse lui, freddamente.

– Lo so, lo so.. – ridacchiò lui, bastava ancora davvero poco a far tornare il francese scontroso e aggressivo, o forse non amava parlare di se stesso. – Sei una brava persona, tutto qui. –

Akir non rispose, annuì solamente, spostando lo sguardo altrove, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. 

 – C'è qualcosa che ti fa star male in questa tua routine di vita? – chiese tutto d'un pezzo, ripensando allo stato di Akir di quella mattina, che alla domanda di Ryochi si irrigidì, e abbassò lo sguardo al pavimento, senza rispondere.

Ryochi attese qualche secondo, guardando il francese, capendo ogni secondo di più che quel fragile tassello non sarebbe nemmeno riuscito a sfiorarlo, almeno non quel giorno. Trattenne un sospiro.

– Sta tranquillo, non devi dirmelo se non vuoi. – guardò l'orologio al polso. – Mamma mia, è ormai l'una passata, che ne dici se andiamo a pranzare? Hai fame? –

– Si, un po' si – 







Si diressero alla ricerca di un posto semplice dove mangiare, ma Ryochi, preso da un attacco di fame, si fermò prima a prendere dei takoyaki, ad una bancarella apposita.

– Tako.. cosa? – mise un occhio sulla vaschetta bianca che Ryochi teneva in mano, questa conteneva delle specie di polpette, con una salsa sopra.

– Sono takoyaki, polpette fritte con un pezzo di polpo all'interno. – ne mangiò subito una mentre avevano ripreso a camminare.

Akir lo osservò mettersi in bocca la seconda polpetta, involontariamente con l'acquolina alla bocca. Ne voleva assaggiare una.

– Smettila di guardarmi come se volessi mangiare takoyaki, vaschetta e la mia mano, Akir – ridacchiò lui, con ancora la bocca mezza piena, coperta dal dorso della mano. Il francese spostò subito lo sguardo altrove, mugolando qualche parola incomprensibile in tono offeso.

– Ehi, girati. –

Akir girò la testa, vedendo Ryochi porgergli una delle palline infilzate nel bastoncino, guardandolo. Fece per prenderla, ma il giapponese allontanò la mano.

– Ah-ha, fermo li. Apri la bocca, faccio io. –

– Cosa?! Non mi faccio imboccare da te. – alzò il tono, guardandolo storto.

– Allora soffri in silenzio – gli sorrise di sfida Ryochi, e si infilò in bocca il takoyaki, mugolando sulla sua bontà, per provocare ed infastidire il francese, che gli diede un piccolo spintone.

– Stronzo. – borbottò Akir, ma sotto sotto quella polpetta la voleva davvero.

– Oh, poverino .. – ridacchiò Ryochi, prima di infilzare un'altra polpetta. – Vuoi davvero rinunciare a questa bontà? – gli diede una piccola gomitata sulla spalla, facendo sbuffare Akir.

 – Sicuro sicuro sic- – 

– Ah! Va bene! – Akir sbuffò nuovamente, poi si girò verso Ryochi, che si era fermato, ancora con la polpetta in mano. Sfoggiava un sorriso vittorioso. 

– Sono calde, fa attenzione – Akir aprì la bocca e Ryochi, ancora sorridente, gli infilò la polpetta in bocca. Si era creata una strana tensione in Akir, una sorta di vergogna mista alla felicità, successivamente sbucata dopo aver mangiato il takoyaki. Era buono, molto. Esitò, guardando Ryochi. 

– Ancora? – gli chiese, a bassa voce.  Akir annuì solamente, Ryochi infilzò un'altra polpetta e la mangiò, per poi fare la stessa cosa per lui, imboccandolo, la scenetta aveva attirato l'attenzione di qualche passante, che li guardavano come se avessero appena visto una coppia imboccarsi a vicenda, in mezzo alla strada, cosa che effettivamente era appena successa. 

– Sono buoni, vero? – 

– Si.. – Akir sentì le guance avvampare, si allontanò subito da lui, masticando silenzioso.

Finito di mangiare i takoyaki, continuarono a camminare, ancora alla ricerca di un ristorante, Ryochi raccontando ad Akir della street food di Tokyo, di cosa poteva trovare, dolce o salato che fosse. Trovato il luogo tanto ricercato, entrati e messi comodi, decisero di ordinare diverse pietanze.

Sushi e sashimi, tempura, udon e gyoza erano gli unici nomi che il francese riuscì a ricordare finito il pranzo, ma era sicuro che ne mancassero ancora due o tre. Guardava distrattamente in giro, con una mano poggiata sulla pancia gonfia di cibo.

– Tutto bene? – ridacchiò Ryochi nel vedere la faccia del francese. – Mangiato troppo? – 

– Penso di si.. –

Restarono ancora poco al ristorante, decidendo di andare a riposare un po' in un parco poco lontano da lì, idea proposta da Ryochi ed accettata subito dal francese, desideroso di un posto tranquillo dopo aver girato tutta la mattina per le affollate e rumorose vie della città.

 Camminarono per quasi venti minuti, e raggiunto il Shinjuku Gyoen, un rigoglioso parco tra la zona di Shibuya, dove erano poco prima, e la zona di Shinjuku, con tre laghetti artificiali, una serra, diverse piante, stupendi pontili, e dei gazebi, uno sotto il quale si sistemarono Akir e Ryochi, al riparo dal sole, il primo era momentaneamente perso nell'ammirare il parco, i suoi colori, aveva scattato qualche foto mentre si dirigevano al gazebo, e ora ne stava scattando ancora un paio. Finito, si sedette accanto a Ryochi, che guardava distrattamente il paesaggio. Restarono in silenzio, cullati dal leggero venticello fresco.

Dopo quasi due minuti, Ryochi si girò verso Akir, scoprendolo con gli occhi chiusi, teneva il cappuccio della felpa sulla testa, le braccia incrociate, l'espressione rilassata, un'emozione quasi anormale su un tipo cosi duro e freddo come Akir. La testa pendeva in avanti.

– Akir..cosi ti farai venire un torcicollo. – gli disse lui, dolcemente, questo aprì quasi subito gli occhi, che con una mano stropicciò, sistemandosi sul posto.

– Scusa, non.. – 

– Non hai dormito molto, giusto? –

Il francese annuì solamente, tenendo lo sguardo basso. L'aver dormito meno di quattro ore, la lunga camminata e il pasto abbondante ed ora il rilassante silenzio del parco, lo stavano portando all'abbiocco.

– Poggiati a me. –

– Cosa? – spostò lo sguardo sul giapponese, incrociando lo sguardo con il suo.

– Stenditi, c'è spazio, e appoggiati a me. Non ti faccio nulla – disse, con una nota di divertimento nella voce. – Sei stanco, riposati un po'. –

Non aveva torto, in quel momento si sentiva pure fin troppo stanco per rispondere nei suoi soliti modi, quindi, dopo aver esitato un attimo, si mise steso a pancia in su, poggiando la testa sulle gambe di Ryochi, guardando il tetto del gazebo.

– Akir.. – lo chiamò Ryochi, con un tono di voce basso.

– Mh? – mugolò.

– Vorrei tanto sapere cosa ti frulla per la testa... – disse semplicemente, mentre con una mano, gli accarezzava i capelli, delicatamente, come sfiorasse qualcosa di fragile.

Akir lo guardò per qualche secondo, poi spostò di nuovo lo sguardo al tetto. Cosa gli frullava per la testa non era mai riuscito a capirlo. Ma negli ultimi due giorni, continuava fin troppe volte a chiedersi perché Ryochi si comportasse cosi con lui, perchè non lo lasciava perdere come facevano tutti. Perché era cosi dolce, cosi premuroso, perché cercava di farlo sorridere sempre. Perché lo stava portando in posti cosi belli.

"Perché mi fa sentire cosi?"

– Niente. – mentì, ma sentiva che forse era giusto cosi, e chiuse gli occhi.

– Certamente.. – mormorò Ryochi, senza smettere di accarezzargli la testa.

Bastò poco più di un minuto ad Akir per addormentarsi. Ryochi guardava distratto il panorama visto dal gazebo, con gli occhi socchiusi, una mano tra i capelli del francese. Erano morbidi e folti. Li strinse un po' di più tra le dita, leccandosi le labbra. 







Quando Akir riaprì gli occhi, la luce del sole glieli fece richiudere subito. Cercò di ricollegare le parti, mosse un po' le gambe, la testa, ricordandosi. Era al parco con Ryochi, si era addormentato poggiato a lui. Mugolò.

– R..Ryochi.. – biascicò con la voce impastata dal sonno, riaprendo lentamente gli occhi.

– Si? –

– Che ore sono? – sollevò il busto, mettendosi seduto accanto al giapponese, che lo guardava. La luce era meno intensa di quando erano arrivati. Per quanto aveva dormito?

Ryochi tirò fuori il telefono della tasca, controllando.

– Sono quasi le cinque. Hai dormito per due ore – rimise il telefono in tasca. 

– Scusa – mormorò il francese.

– Non scusarti, Akir. – gli spostò i capelli dal viso, sorridendogli. – Sono felice che tu abbia dormito un po', che tu ti sia rilassato un po'. – 

– A che ora hai l'aereo domani? – domandò Ryochi. Erano stati ancora poco più di venti minuti al parco, ora si stavano dirigendo alla stazione, diretti verso l'hotel dove alloggiava Akir. Lo avrebbe ancora portato in un luogo di Tokyo, il suo luogo preferito, ma il corvino aveva chiesto prima se poteva tornare un attimo all'hotel, senza grandi spiegazioni.

– Domani mattina alle undici, ho il treno per l'aeroporto alle otto e mezza – 

– Ti accompagno. –

– Cosa? No. – Akir guardò Ryochi, che ricambiò subito lo sguardo, sorridendogli.

– Perché no? Ti voglio accompagnare. –

– Ma.. –

– Nessun ma. Non ho nulla da fare, quindi vengo anche io. – disse deciso.

– Hai già fatto troppo per me. – disse freddamente il francese, spostando lo sguardo altrove.

– Per te una normale giornata in compagnia in giro per la città significa troppo? – ridacchiò. – Akir, nulla è troppo se serve a farti stare meglio. –

 Akir si fermò. 

– Quindi lo fai solo per provare a farmi stare meglio. Un po' come fanno inutilmente tutti. Tutto quanto, il santuario, la colazione, i takoyak- – non finì la frase, o almeno non ne ebbe modo, Ryochi aveva messo due dita sulle sue labbra, zittendolo.

– Io lo faccio perché mi piaci. – la sua voce suonò quasi minacciosa.

Akir sentì il petto come ricevere una scarica, la testa farsi pesante.

– C..Cosa? – balbettò.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


      
Ryochi sorrise, togliendo le dita. – Lo faccio per farti capire che restare da soli a commiserarsi non è il modo migliore di vivere. Devi imparare a pensare di meno. – 

"Ah, questo intendeva.." Ma nonostante questo si sentiva come se una freccia l'avesse colpito al petto. Si girò  e riprese a camminare, seguito dal giapponese che gli scompigliò i capelli.

– Avanti, non fare cosi.. – Ryochi si sporse per guardare Akir in faccia, questo mise velocemente una mano sulla bocca, ma non riuscì a nascondere in tempo a Ryochi il sorriso che aveva. Un vero sorriso. 

– Non devi nasconderti quando sorridi, non nascondere i premi delle mie fatiche – disse scherzosamente Ryochi con un'evidente felicità nel tono della voce, prese la mano di Akir e la spostò, il sorriso era diventato un lieve accenno al lato della bocca. 

– Dai, lasciami – mugolò Akir, liberandosi dalla presa di Ryochi. 

– Sono solamente felice. –

Non ci fu altra parola per il resto del viaggio.







– Bella camera – Ryochi si sedette sul letto, guardandosi in giro. L'hotel era molto carino, la moquette dei corridoi rendeva i loro passi silenziosi, le porte delle camere erano di colore grigio cenere con il loro numero dorato, 610 quello della camera di Akir, i letti avevano alti materassi e le tende della finestra erano spostate ai lati, lasciando intravedere gli alti palazzi della metropoli.

– Mi faccio una doccia – 

– Ecco, cosi magari ti svegli un po' –

Akir si avvicinò alla valigia, si tolse la felpa poggiandola alla sedia vicina, fece lo stesso poi con la maglia, mollandola però dentro la disordinata valigia, e giratosi, mentre metteva le mani sulla chiusura della cintura vide Ryochi guardarlo curioso, sorreggeva il busto con i gomiti piantandoli nel materasso, i lunghi capelli sparsi disordinatamente intorno a lui.

– Che magrino che sei – ridacchiò

– Allora non guardare, connard. – si girò, dandogli le spalle, gettando la cintura sulla scrivania.

– Intanto testa di cazzo lo dici a qualcun altro – Akir si sentì afferrare per i fianchi e girare di scatto, il tutto con poco tatto, una mano di Ryochi gli afferrò il viso, alzandolo. – Hai capito? – mormorò, a voce più bassa, guardandolo tagliente.

– Oh, ti ho offeso? – lo guardò nello stesso modo.

Ryochi sorrise, divertito. Gli teneva testa, ma tra i due era ben chiaro chi fosse preda e chi predatore.

– Che cazzo sorridi? – disse Akir, acido.

– Sei proprio fissato con quella parola, eh.. – un singhiozzo uscì dalle labbra di Akir quando Ryochi premette la mano contro il suo sesso, scorrendola da sopra i pantaloni. Spinse via il giapponese con forza. 

– Che diavolo stai facendo!? – urlò, infuriato.

Ryochi si mise a ridere, la spinta l'aveva fatto cadere sul letto, si spostò i capelli dal viso continuando a ridacchiare, mentre Akir, rabbioso, afferrò qualcosa dalla valigia e si rinchiuse in bagno, sbattendo la porta.

– Hah.. che tenero. – si distese, socchiuse gli occhi e guardò il soffitto, con il passare dei minuti, sorrideva qualche volta quando ripensava alla scenetta accaduta, la reazione di Akir gli aveva ricordato quella di una scolaretta a cui le si alzava la gonna.







Akir uscì dal bagno venti minuti dopo, ancora imbronciato. Ignorando la presenza di Ryochi, indossò una maglia a maniche corte nera, dei pantaloni del medesimo colore.

– Sei uno di quelli che si vestono di nero e amano la musica metal? – chiese Ryochi, seduto di fronte a lui, sul bordo del letto.

– Fatti gli affari tuoi. – rispose il francese, ancora imbronciato.

– Avanti, non fare l'offeso ora.. Ero cosi felice di vederti di buon umore – piagnucolò Ryochi, allungando una mano verso Akir, che la schivò, allontanandosi da lui.

– La prossima volta tieni le mani apposto. Avanti, andiamo. –

– Certo signorino – rispose Ryochi, e si alzò dal letto.

In ascensore, Akir prese il telefono, l'aveva sentito vibrare prima di entrare in bagno, e controllò le notifiche, notando di avere quattro diversi messaggi da Amary.

10.39: "A che ora arrivi domani?"

11.58: "Akiiiir"

13:27: "Ma sei in giro per Tokyo?"

18:38: "rispondi : ( : ( " 

Cominciò a scrivere.

"Il giapponese mi ha trascinato fuori di casa per tutto il giorno, ti racconterò. Arrivo tardi domani."

Usciti dall'hotel, si incamminarono in silenzio, il sole cominciava a tramontare.

– Dove stiamo andando ora? –

– E' una sorpresa, Akir – sorrise Ryochi.

– E' lontano? –

– Dobbiamo prendere la metropolitana –

– Ok... –







Il sole era tramontato ancora di più quando scesero dalla metro, stavano camminando da qualche minuto, il cielo si era tinto di arancione, c'era qualche nuvola sparsa in cielo.

– Eccoci –

Aveva già notato la grande torre rossa durante la giornata, o almeno la sua punta.

 –  Tokyo Tower? – mormorò il francese, alzando la testa per guardarla tutta.

– Esatto.. Hai paura dei luoghi alti? –

– No – 

– Benissimo! Andiamo, forza –

Entrati nella torre, scelsero di andare al secondo osservatorio della torre, quello più alto, pagata l'entrata, si misero in fila per prendere l'ascensore, collocato nel centro della torre, era molto grande, con luci al soffitto e una voce registrata, si poteva vedere la vista della città mentre questo saliva.

– Com'è veloce.. – il francese appoggiò una mano al vetro, osservando la gente a terra farsi piccola come formiche mentre salivano, fino a sparire.

Arrivarono in cima in poco meno di un minuto, scesi, davanti a loro c'era subito la vista della città, la sala dove si trovavano era illuminata dalle luci del tramonto, Akir non riuscì a trattenere la curiosità e si mise a correre fino ai vetri, socchiudendo gli occhi, abbagliati dalla luce serale.

– W..Wow.. – sussurrò. Era una vista stupefacente, si poteva vedere tutta la città, i palazzi, i parchi,  riusciva a scorgere il monte Fuji. Era senza parole.

– E con il tramonto è ancora più bello, vero? – Ryochi si affiancò a lui, guardando il panorama, sorridendo. 

Non ricevette risposta, il francese era perso nella vista davanti a lui, gli occhi spalancati, teneva le mani strette al parapetto, come avesse paura di perdere il pavimento da sotto i piedi. 

Passarono poco più di cinque secondi.

– Akir, stai.. – non finì la frase. Il francese si era gettato su di lui, affondando il viso nel suo petto, la stretta delle sue braccia intorno alla sua schiena era forte, tremava. Rimase senza parole, non si era minimamente aspettato una reazione del genere. Ci mise qualche secondo a realizzare, e lentamente, ricambiò l'abbraccio, con una mano gli accarezzò i capelli, ignorando lo sguardo dei passanti, incuriositi o perplessi.

– Akir... – lo chiamò, con un tono immensamente dolce, un tono che per come era fatto lui non gli si addiceva, o meglio, la dolcezza non era un carattere in lui predominante. Ma in quel momento fu sommerso dalla tenerezza, dalla dolcezza di chi premeva il viso contro il suo petto, tremante, indifeso. – Perché stai piangendo? – mormorò.

Lo sentì mugolare, forse nel tentativo di rispondere, ma l'unica cosa che dalla sua bocca uscì fu un forte singhiozzo, che sfogava tutto il male che si teneva dentro.

Ryochi non disse più nulla, continuava ad accarezzargli la testa, sentiva i leggeri mugolii del pianto di Akir, le spalle scuotersi. Un certo momento il francese mosse la testa di lato, in modo da guardare la vista ed il tramonto. 

Ryochi spostò un po' la testa in modo da poterlo guardare, vide il suo viso illuminato dalla luce del tramonto, le guance arrossate ed irritare per il pianto, gli occhi socchiusi, delle lacrime gli rigavano ancora il viso, la sua espressione era diversa, non c'erano tratti di emozioni dei suoi occhi, come se piangere l'avesse svuotato ed ora era solo un sacco di carne.

– Va meglio? – fece scorrere la mano dalla testa di Akir al suo viso, e con il pollice, delicatamente gli asciugò le lacrime. Lo vide annuire, la stretta del suo abbraccio era diminuita fino ad annullarsi, ora teneva le braccia lungo il corpo, ferme.

– Vieni. – controvoglia, Ryochi sciolse l'abbraccio, prese la mano di Akir e si diresse alle toilette, il francese camminava a testa bassa, con la mano libera si asciugava le lacrime.







– Grazie. – Akir afferrò la carta che Ryochi gli porgeva e si asciugò il viso, dopo esserselo sciacquato un paio di volte con l'acqua fredda. In quel momento si sentiva terribilmente esposto, vulnerabile. Il tramonto, la vista dalla torre, la bellezza di quel momento l'aveva riempito di emozioni contrastanti. E non era riuscito a gestirle. Riusciva sempre a gestire le proprie emozioni, ma stavolta erano troppo forti.

" Perché?"

– Ti senti meglio? – Ryochi stava poggiato al muro, vicino a lui.

– Si. ... – fece una pausa. – Scusa. –

– Non scusarti, era ciò che volevo. –

"Cosa?"

– Cioè? – lo guardò, perplesso.

– Oggi ti ho riempito di emozioni, di parole, ho fatto di tutto per fare traboccare il vaso, per farti sfogare, per farti piangere, per vederti essere umano, senza la tua finta maschera apatica. – Ryochi sfiorò la guancia di Akir. Si era avvicinato fino a mettersi di fronte a lui. – Avevo pensato che riempiendoti di emozioni diverse da quelle che solitamente provavi, emozioni a te sconosciute, pian piano saresti riuscito a gestirle sempre meno, fino a farle contrastare con la tua apatia, e da li, a perdere il controllo, come ti è successo. – sorrise leggermente, mentre il francese lo guardava, confuso. Gli aveva preso il viso con entrambe le mani. 

– Non pensare troppo a ciò che hai provato oggi, non pensare troppo in generale, o con la tua brutta abitudine di ingrigire tutto rovinerai questi bei ricordi. – ridacchiò.

– Stronzo. – borbottò di risposta Akir.

– Grazie, sono felice di esserlo. – Il sorriso di Ryochi si allargò.

Era riuscito a capire come funzionavano realmente le emozioni di Akir. Come funzionava realmente lui. Cominciava a conoscere Akir, ma voleva sapere di più. Si bloccò un attimo. Pensò all'anno che doveva passare prima delle prossime gare, anche dopo quella giornata era sicuro che Akir non si sarebbe fatto sentire, sarebbe semplicemente sparito. Gli sarebbe sfuggito di mano per un anno intero, in cui sarebbe potuto tornare freddo, buio, se non peggio. Si irrigidì.

– Ryochi. – la voce di Akir lo riportò alla realtà. Erano ancora ai bagni, uno di fronte all'altro, lui teneva ancora le mani poggiate al suo collo. Lo guardò, sentiva una morsa al petto. Aveva voglia di baciarlo,  non riusciva a togliersi questo forte desiderio di dosso.

– Si, andiamo. – disse semplicemente, allontanandosi da lui e dirigendosi fuori, seguito dal francese. Fece un lungo respiro, sbarazzandosi velocemente dei pensieri fatti poco prima, e tornati all'osservatorio, si guardò un attimo intorno.

– Akir, vieni, c'è qualcosa qui che devi provare. – 

– Cosa? –

 Dopo qualche passo, Ryochi indicò qualcosa che Akir prima non aveva notato. Vicino ai parapetti, c'erano dei punti in cui il pavimento era sostituito dal vetro, si poteva vedere di sotto. Qualcuno passava sopra questi punti, guardava in basso, altri erano intimoriti al pensiero di avere solo del vetro che li divideva da una caduta di più di 300 metri.

Ryochi camminò tranquillamente sopra una di queste finestre, guardando in basso.

– Vieni Akir –

– Passo.. – 

– Non dirmi che hai paura... – ridacchio Ryochi.

Non volendo dargli la soddisfazione di aver ragione, nonostante fosse un po' intimorito dall'altezza, salì sul rettangolo di vetro, di fronte a Ryochi, ma non guardò in basso.

– Se non guardi non ha senso.. – lo provocò Ryochi, punzecchiandolo.

– Ok, ok!! – abbassò lo sguardo, ma lo fece troppo velocemente, perché quando la vista mise a fuoco l'altezza sotto ai suoi piedi, sentì le viscere sparire per un attimo, istintivamente balzò all'indietro, sotto le risatine dei passanti e di Ryochi.

– Che cuor di leone Akir – Ryochi lo prendeva in giro, ancora sopra la finestra.

– Stronzo. – borbottò.







Dopo aver ammirato e fotografato il tramonto ancora un po', decisero di visitare il museo delle cere e la galleria di ologrammi, per poi scendere dalla torre e fermarsi a cenare in un bar/terrazza, collocato appunto in una terrazza ai piedi della torre, alzando la testa si poteva vedere il centro di essa. 

– Qui si mangia carne al barbecue, ma il bello è che ce la cuociamo noi. Ecco il perché della piastra. – Ryochi indicò la piastra, poggiata sul tavolino.

Come detto da Ryochi, gli venne servita la carne cruda, che poi cucinarono loro. Cenarono tranquilli, godendosi la carne con alcuni contorni della tipica cucina giapponese, parlando un po' della giornata trascorsa, di qualche progetto nell'attesa delle prossime gare.

– Ti farai sentire qualche volta? – chiese Ryochi, mentre sorseggiava la propria birra.

Non ricevette risposta.

– Almeno se lo farò io mi risponderai? –

– Va bene.. – mugolò il francese.

Restarono poco più di un'ora al ristorante, e usciti, passeggiarono un po' per le strade di Tokyo, erano quasi le 22, la vita notturna nella metropoli era appena cominciata, ma Akir, stanco della lunga giornata, aveva deciso di tornare all'hotel.

– Sei sicuro di non voler restare ancora un po' fuori? – piagnucolò Ryochi, il pensiero che quella giornata era volta al termine non gli piaceva. 

– Sono stanco, e devo fare ancora la valigia. – 

– Come vuoi... Ti accompagno allora. –







– Allora ci vediamo domani mattina. – Ryochi si fermò di fronte all'hotel. – Ti aspetto alle 8 qui davanti. –

– Va bene.. – mormorò il francese.

– Allora buon.. –

– Ryochi.. – lo interruppe. Abbassò lo sguardo, stringendo la stoffa dei pantaloni. – Grazie. –

Sentì una mano di Ryochi posarsi sulla sua spalla, alzò lo sguardo, vedendolo sorridere.

– E' stato un piacere, Akir.. Però mi devi dare il tuo numero ora – ridacchiò.

– Cos.. –

– Cosi in caso domani mattina ho qualche imprevisto, ti posso avvisare. –

'Numero salvato in Rubrica.'

– Ecco qua. Ora vai, ci vediamo domani, buonanotte. – 

– Notte.. – Akir rientrò, mentre attraversava la hall si girò per vedere se Ryochi se n'era già andato, ma scoprì che oltre ad essere ancora li, lo stava guardando anche lui. Il giapponese gli sorrise, facendogli un cenno di saluto con la mano, che Akir però non ricambiò. Arrivato in camera, cominciò subito a preparare la valigia, e dopo mezz'ora, si buttò a letto sospirando, stanco. Prese il telefono dal comodino per impostare la sveglia del giorno successivo.

"Non aver paura di essere umano"

"Buonanotte"

"Kir"

Sospirò, ma un leggero sorriso gli era comparso sulle labbra. Digitò qualcosa, impostò la sveglia e appoggiò di nuovo il telefono sul comodino, stringendo a se poi il cuscino.

"Oggi ero un umano felice"







Il telefono di Ryochi vibrò. Aveva appena raggiunto il binario della metropolitana. Lo tirò fuori dalla tasca,  e sorrise leggermente.

"Oggi ero un umano felice"

Non era il solo. Anche lui aveva dimenticato un po' cosa significava essere felici. Forse lui e Akir erano più simili di quanto pensasse.

– Ryochiii... – 

Sentì dei passi dietro di lui. Il suo corpo si irrigidì istintivamente, ripose il telefono in tasca, e lentamente si girò.

–Ryochi..Finalmente posso vendicarmi e ucciderti. –

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


             

– Buongiorno Akir –

– Ciao.. – mugolò il francese, alzando lo sguardo su Ryochi. Era sgargiante come al solito.

– Hai fatto colazione? – chiese, mentre si incamminavano verso la stazione dove avrebbero preso il treno per l'aeroporto.

– Si. –







Il viaggio durò poco più di venti minuti. Durante questo Akir si era appisolato appoggiando la testa sulla spalla di Ryochi, che gli aveva di nascosto scattato una foto, trattenendo una risatina.

–Akir, siamo arrivati.. –

– Di già? –

Scesi dal treno, camminarono per pochi minuti, raggiunto il Narita International Airport Akir fu abbastanza felice di avere Ryochi con sé, l'aeroporto era davvero enorme e colmo di gente.

– Allora, per la consegna dei bagagli dobbiamo andare di qua – indicò un cartello arancione attaccato al muro, c'era una scritta in giapponese e una freccia.

– Facile per te, lo conosci il giapponese.. –

– Ho fatto bene a venire allora, se no adesso saresti nel panico a chiederti dove devi andare.. – ridacchiò.

– Non dire scemenze. – in parte aveva ragione, non sarebbe andato nel panico, ma non avrebbe davvero avuto la minima idea di dove andare. 

La fila per la consegna dei bagagli era abbastanza ridotta, Akir ci mise poco più di venti minuti a consegnare la propria.

– Hai avuto davvero fortuna, guarda che fila che c'è ora.. come minimo gli ultimi arrivati dovranno aspettare almeno 45 minuti .. – 

– Una volta ho aspettato più di un'ora, la fila era interminabile.. – ammise Akir, sedendosi su una delle poltroncine.

– Eri arrivato tardi? –

– No, è questo il punto. –







– Sono le 10.. Tra quanto vai? I controlli solitamente sono piuttosto lunghi, e devi raggiungere il gate.. – 

Akir non gli rispose, guardava per terra, aveva un'espressione contrariata. Stava in piedi, schiena al muro. 

– Che cos'hai? – lo guardò, confuso. 

– Non lo so.. – si portò una mano all'altezza delle clavicole, facendo un lungo respiro. – Ho un nodo alla gola, non riesco a farlo passare. –

– Forse non hai davvero voglia di andartene.. – In parte intenerito, Ryochi appoggiò una mano sulla spalla di Akir, tirandolo verso di sé, in un goffo abbraccio. 

– Non direi.. – rispose lui, appoggiando la fronte sul suo petto.

– Anche a me mancherai, stai tranquillo – ridacchiò.  – Se fossi nei tuoi panni nemmeno io avrei voglia di tornare alla mia monotona vita. – 

– Non è questo il punto.. –

– E allora qual è? – chiese Ryochi, guardandolo, ma non ricevette risposta. Non riguardava qualcuno, la sua vita, la sua monotonia, non riguardava nemmeno il tempo che avevano passato insieme. Era qualcosa che davvero non poteva controllare. Riusciva a leggerlo nei suoi occhi.

– Puoi sempre scrivermi, se ti senti male. O chiamarmi.. – non riuscì a dire altro, gli accarezzò la schiena, prima di sciogliere l'abbraccio.

Restarono ancora poco più di dieci minuti insieme, poi si incamminarono fino al check-in, Ryochi non poteva più proseguire. 

– Allora buon viaggio, buon ritorno – gli sorrise, dandogli un pizzicotto sulla guancia. – Non deprimerti troppo, mi raccomando.. –

– Stronzo. –

– Sto scherzando... solo ... vieni qui. – tirò il francese  a sé, abbracciandolo.  – Sono felice di averti conosciuto. – 

– Anche io.. – ammise Akir. Era stato bene, non poteva negarlo.

Ryochi sorrise, lo baciò sulla testa prendendogli il viso con entrambe le mani, poi lo guardò, e sorrise di nuovo, ma stavolta più lievemente. Il viso di Akir si trovava a pochi centimetri dal suo. Gli bastava sporgersi di poco e l'avrebbe baciato. Bastava cosi poco.

"Ma cosa sto pensando?"

Si era creato un momento di tensione tra i due, sembrava quasi una di quelle scene dei film per adolescenti, in cui la coppia si guarda qualche secondo prima di baciarsi. Cosa che Ryochi non fece, perché si allontanò da lui, tenendo solo una mano sulla sua spalla.

– Avanti, vai. –

– Ciao Ryochi – Akir si girò subito, incamminandosi. Consegnati i biglietti e fatto il check-in, prima di superare le porte per andare ai controlli, si girò. Ryochi, come la sera prima all'hotel era ancora li, lo guardava. Stavolta alzò la mano Akir, salutandolo. Il giapponese sorride, sollevò la mano e ricambiò il saluto, poi si girò cominciando ad andarsene, sparendo tra la folla in movimento dell'aeroporto. Si girò anche lui, riprendendo a camminare. Si mise una mano sul petto, stringendola. 

"Sono solo tre mesi."







Ryochi stava seduto accanto alla finestra con una sigaretta tra le dita di una mano e il telefono nell'altra, guardava distrattamente fuori. Fece un tiro dalla sigaretta, e soffiato il fumo in direzione del soffitto con un sospiro, guardò il telefono, era in chat con Akir. Ma non stavano parlando. Non parlavano da quasi due mesi. 

Ryochi l'aveva chiamato una volta, intorno ai primi giorni di settembre, dopo due settimane dalla fine delle olimpiadi. Avevano parlato poco, Akir gli aveva detto di essere occupato. Da li a pochi giorni, sparì. Era ormai metà Novembre, e in più di due mesi si erano scambiati solo qualche messaggio. Qualche volta l'aveva chiamato, ma suonava sempre a vuoto. Gli scriveva un messaggio, e passavano anche 24 ore prima che gli rispondesse. 

"Ma cosa sta succedendo?"

Tre giorni prima gli aveva scritto chiedendo perché questa sua completa assenza. Doveva ancora ricevere una risposta. Il suo ultimo accesso era della notte precedente, ma non aveva risposto al suo messaggio. Sospirò nuovamente, lasciando perdere.

Probabilmente si era nuovamente chiuso in se stesso. Tempo sprecato. 

Smise di cercarlo, di scrivergli, decidendo che era meglio cosi.

Il trillo del telefono interruppe il sonno di Ryochi, che sbuffando, allungò la mano verso il comodino, afferrandolo. Restò immobile, guardando lo schermo allibito. Si fece improvvisamente sveglio. 

"Akir..?"

Era passata una settimana da quando l'aveva cercato per l'ultima volta. 

– Pronto? – si mise a sedere, spostandosi i lunghi capelli.

– Ryochi.. – la sua voce era ridotta ad un rauco sussurro, come se avesse una forte tosse.

– Akir, che succede? –

– Volevo solo.. sentirti un po' – 

– Perché sei sparito? Cos'è quella voce? Dove sei finito? – chiese subito, nervoso.

– Ho solo preso una tosse.. –

– Non dirmi cazzate, Akir. Perché non mi rispondi mai? –

– Perché non posso. – 

– Cosa ti è successo? – 

Non ricevette risposta. C'era il più tombale silenzio dall'altra parte.

– Akir! – alzò la voce. 

La chiamata si interruppe qualche secondo dopo.

– Vaffanculo! – scaraventò il telefono dall'altra parte della stanza. 







Il sole di luglio entrò illuminando la stanza d'albergo di Akir. Si trovava in uno di quei classici alberghi di montagna, tutti in legno, con le travi al soffitto. Era arrivato da qualche ora al parco naturale Monte Corno, in Italia, dove ci sarebbero stati i Giochi Estivi. C'erano quattro diversi luoghi al mondo che tenevano i giochi, ognuno con due o tre continenti partecipanti. Nel caso di Akir era l'Europa Occidentale e l'Estremo Oriente. 

 – Che bel posto.. – uscì nel terrazzino della camera, guardando il panorama. Davanti a se aveva una lunga distesa erbosa, dietro l'hotel c'era un pendio e una foresta poco lontano. Scattò una foto, per poi rientrare e cominciare a sistemare la valigia. 

Il giorno successivo era il primo giorno di giochi, che si aprì con le gare di velocità e le staffette. Poco lontano da dove alloggiavano gli atleti, c'era un lago, sulla passeggiata a lato di questo era stato costruito il percorso di corsa. Molte persone erano venute a guardare  le gare, Akir ne fù quasi grato, dato che abbassavano ulteriormente la possibilità per lui di essere visto da Ryochi.

 L'ultima volta che avevano parlato era stato quando lui l'aveva chiamato a metà Novembre. Da lì non si erano più scambiati nemmeno una parola. Si sentiva in colpa, ma probabilmente era meglio se non avevano continuato a parlare. Avevano modi di fare diversi, e sperava che Ryochi si fosse stufato e l'avesse lasciato da parte. 

Ma nemmeno nelle peggiori coincidenze, vide poco lontano, vicino ad una ragazza dai capelli rossi decisamente più bassa la lunga chioma bluastra di Ryochi, legata in quel momento da una coda alta. Gli dava le spalle, e guardava come lui la gara, scambiando a volte qualche commento con la ragazza.

"diable.."

Come se l'avesse sentito, la ragazza un attimo dopo girò la testa, guardandolo. Tra tutti, guardò proprio lui. Aveva gli occhi chiari, verdi, sembrava quasi indossasse delle lenti a contatto. I loro sguardi restarono agganciati per quasi tre secondi, poi lei si rigirò, come nulla.

Chi era?

Verso sera, dopo aver cenato in compagnia con un paio di atleti, Akir decise di fare una passeggiata per un piccolo sentiero vicino all'hotel che finiva per inoltrarsi nella foresta, godendosi l'aria fresca e il silenzio generale. Si sedette su un grande masso con le gambe a penzoloni, guardando il pendio di alberi, foglie e rocce davanti a lui. Restò fermo, ascoltando i rumori della foresta per qualche minuto, fino a quando sentì un forte tonfo, come se qualcuno fosse caduto da un albero, poi una risata femminile e la stessa dire qualcosa in una lingua ad Akir sconosciuta. 

Si girò di scatto, allarmandosi, mettendo una mano sulla tasca della felpa. Pensò a che lingua potesse essere, assomigliava all'inglese. Calò un attimo di silenzio, poi sentì dei passi sul sentiero di ciottoli. Spostò di nuovo la testa. Da poco lontano, vide la ragazza dai capelli rossi che camminava, lo sguardo basso, e tratteneva una risata, accanto a lei, i capelli sciolti e un po' spettinati, camminava Ryochi. Non lo stava guardando.

Si girò velocemente, dando le spalle ai due, che continuarono a camminare, fino a sparire dalla vista di Akir. 

– Sarà meglio che torno indietro.. – aveva proseguito la passeggiata, ma a sole tramontato, nella foresta cominciava a calare l'oscurità, quindi cominciò a tornare indietro, qualche volta in lontananza gli pareva di sentire delle voci, lievi, forse erano degli atleti che stavano percorrendo la foresta poco lontano.







Sceso dall'ascensore, percorse il corridoio, diretto verso la propria camera.

– Ciao Akir –

Sussultò, saltando sul posto e girandosi subito. Davanti a lui, con il pacchetto di sigarette in mano c'era Ryochi, che alla reazione di Akir si mise una mano sulla bocca, reprimendo una risata.

– M.. Mi hai spaventato.. – balbettò, abbassando lo sguardo.

– Scusa, non era mia intenzione. Sto andando a farmi un tè, vuoi venire? – Fece una pausa. – Vorrei parlarti un attimo. – continuò, più serio.

Akir restò in silenzio, poi annuì. 

– Prima.. passo in camera. – rispose, nervoso.

– Ti aspetto. – ognuno si girò e presero strade diverse, Ryochi verso l'ascensore e Akir verso la propria camera. Entrato, fece un profondo respiro, mettendosi le mani tra i capelli, e accovacciandosi.

– merde, merde, merde!! –  si sentì sommergere dall'ansia. Non voleva, non poteva dirgli cos'era successo. Perché l'aveva cercato di nuovo? Non l'aveva lasciato perdere? Perché non lo abbandonava semplicemente? Perché non lo lasciava da solo?

Akir si riempì di domande, mentre girava in tondo per la stanza. Si mise una mano al petto, stringendola. Andò a tirarsi un po' d'acqua fresca sul viso, poi uscì dalla stanza.







– Eccoti. – 

Ryochi era seduto a uno dei tavolini della terrazza, con due fumanti tazze di tè davanti. Akir si sedette silenzioso, appoggiando una mano sul lato della tazza.

– Come stai? – mormorò lui, con il tono più tranquillo del mondo.

– Sto bene.. – si concentrò sul tè, sorseggiandolo. Il gusto gli ricordò la pallina di gelato mangiata in quel Cat-Cafè di Tokyo.

– Con il lavoro? –

– Procede.. E' tutto come al solito.. –

– Ho saputo che sei arrivato secondo agli Europei, questa primavera.. Cominci a far strada, eh – sorrise il giapponese, ciò fece calmare di più Akir.

– Già.. e tu? –

– Io ho continuato ad allenarmi, ho viaggiato un po'.. –

– Dove? –

– Sono stato in Inghilterra.. ed ero tentato di venire da te, dato che eri sparito –

Ryochi, come già immaginava, non ricevette risposta.

– Non sembra nemmeno che è passato un anno ... Non sei cambiato nemmeno un po', sai? – 

– La solita espressione arrabbiata? – rispose Akir, sorseggiando il tè.

–Stranamente meno imbronciato di prima.. Ti sei tagliato i capelli  – osservò Ryochi.

– Colpa del caldo.. i tuoi invece sono ancora lunghi, forse più di prima. Sono più blu dell'ultima volta che ti ho visto. – posò la tazza, guardando il panorama notturno.

– Si, li ho tinti.. – 

– Ti stanno bene –

– oh, grazie Akir – il sorriso di Ryochi si allargò.







Alla fine Ryochi non gli chiese nulla, e ciò fece rasserenare Akir, che ogni volta che Ryochi parlava di punto in bianco temeva fosse per chiedergli perché era sparito.

– Ci vediamo domani – Ryochi si fermò di fronte alla propria porta. 

– Si, buonanotte. – senza dire nient'altro, Akir se ne andò. Non si voltò a guardarlo stavolta.

– Ma cosa ti è successo.. – sospirò Ryochi, quando ormai il francese era lontano e non poteva sentirlo.

Secondo giorno di gara. Era il turno del tiro con l'arco. Durante il primo pomeriggio, Akir e Ryochi si videro a malapena. C'erano tre diversi luoghi di gara, come al solito dal più facile al più complicato. 

– Nervoso? – Ryochi si affiancò ad Akir, che osservava gli altri giocatori, silenzioso.

– Me la cavo su questi terreni. –

– Oooh, dov'è finita tutta la tua insicurezza? – ridacchiò Ryochi, mettendo un braccio intorno alle spalle di Akir, che borbottò di protesta, ma non si spostò.

– Sta zitto.. –

Ryochi dopo qualche minuto spostò la testa guardando Akir, che non ricambiò lo sguardo. Rimase ad osservarlo qualche secondo, poi avvicinò il viso alla sua testa.

"Che buon profumo.."







– Sei riuscito seriamente a battermi? – disse Ryochi, dando un paio di pacche sulla schiena di Akir, che alla fine era arrivato primo con 88 punti su 90, superandolo di un punto.

– Di un punto.. –

– Bhe, c'è ancora un'eliminazione e la finale, però devo ammettere che te la cavi bene.. – sorrise Ryochi. – Cosa fai ora? – 

– Andrò a farmi una doccia – si incamminarono nella hall dell'hotel. 

– Va bene, allora a dopo.. – mormorò Ryochi, spostandogli i capelli, guardandolo intenso negli occhi. 

Akir sentì una strana tensione salire, stavolta però pareva essere stata volutamente creata dal giapponese.

– O..Ok.. – si allontanò da lui, e chiuse le porte dell'ascensore, espirò, come se avesse trattenuto il respiro fino a quel momento.







Dopo essersi fatto una doccia fredda, Akir si fermò davanti allo specchio, avvolto nell'accappatoio bianco e morbido dell'hotel. Uscito dal bagno, sussultò quando vide Ryochi seduto sul suo letto. 

– Ryochi! – alzò la voce.

– Ehilà – sorrise lui, alzandosi.

– Che cazzo ci fai qui?! Come sei entrato!? –

Il giapponese, spiritoso, indicò la porta.

– Che cosa vuoi? – lo guardò, fulminandolo con lo sguardo.

– Bere. –

– Bere? – la sua espressione si fece perplessa.

– Si. Che ne dici? – si avvicinò ad Akir, che indietreggiò.

– Vorrei vestirmi prima. E cenare. – 

– Allora sbrigati, principessa – ridacchiò, poi si fece più serio. – Hai davvero un buon profumo.. – gli prese il viso con entrambe le mani, guardandolo. Akir sentì le viscere sparirgli e si fece improvvisamente nervoso. Lo sguardo del giapponese era velato, annebbiato, questo gli spostò il viso di lato,  si avvicinò ulteriormente e lo baciò sul collo.

 Gli occhi di Akir sfarfallarono, la situazione gli era incredula. Non riusciva a muovere un muscolo. Ryochi lo baciò di nuovo, poi di nuovo ancora. Una delle mani che tenevano il viso di Akir scivolò e lo avvolse intorno ai fianchi in una presa stretta. 

 – R..Ryochi – mugolò.

Sentì la sua lingua percorrere la sua pelle, dalla clavicola fino alla mascella. Akir poggiò le mani sul suo petto, spingendolo come per allontanarlo da se, ma non riusciva a muoverlo di un millimetro.

Un altro umido bacio gli fece venire i brividi. 

– Basta! – lo spinse più forte, e riuscì ad allontanarlo. Si strinse nell'accappatoio, era arrossito violentemente, sentiva il viso andargli a fuoco. Ryochi lo guardò un attimo, come si fosse appena svegliato.

Qualche secondo dopo, un leggero sorriso comparse sul viso del giapponese.

– Scusami – ridacchiò. – Non sono riuscito a resistere. – si avvicinò alla porta. – Ti aspetto giù. – uscì fuori dalla stanza, dopo averlo guardato un'ultima volta. Akir non riusciva a dire niente. Si portò una mano sul collo, spaesato. Sentì la testa farsi più pesante improvvisamente. 

"Cosa mi sta succedendo.."







Fortunatamente per Akir, che già si era chiesto cosa l'aveva spinto a scendere dopo quello che era successo, durante la cena oltre a Ryochi c'erano altri atleti, dandogli modo di poter stare più un po' più tranquillo, nonostante non riuscisse a pensare ad altro se non alle labbra di Ryochi sul proprio collo, era una scena surreale. Si sentiva terribilmente in imbarazzo.

Dopo la cena, sotto proposta di Ryochi e accettata da tutti, si spostarono al bar terrazza, ordinando diversi giri per tutti. Akir non riusciva a reggere bene l'alcool, quindi dopo un cocktail e un paio di shot, sentiva la testa farsi più leggera, girargli. 

– Akir, tu te sens bien? – gli chiese uno degli atleti della corsa francesi, mentre sorseggiava un cocktail bluastro. 

– Pas trop.. – fece per alzarsi. 

– Tu vas où? –

– Je retourne dans ma chambre. – 

– Akir! Te ne vai? – chiese uno degli atleti, notando il francese alzarsi. 

– Si.. – successivamente i vari atleti gli urlarono "buonanotte" ognuno rispettivamente nella sua lingua, Akir ricambiò con un gesto della mano generale e rientrò, spostandosi i capelli. Mentre si incamminava verso l'ascensore, rallentò un attimo, poggiandosi al muro accanto alle scale. Si portò una mano al petto, spaesato dall'alcool. 

Improvvisamente, si sentì sollevare, ci mise qualche secondo a realizzare la cosa, riconobbe i lunghi capelli di Ryochi, in quel momento legati in una coda. Se l'era caricato in spalla come un sacco di patate.

– Ohi, che stai facendo..!? –

Questo, come non l'avesse sentito, fece qualche passo, aprì una porta di un sottoscala vuoto e ci scaraventò Akir dentro, che finì per terra gemendo di dolore per il tonfo, entrò anche lui e richiuse la porta.

– Ma cosa fai... – mugolò Akir, che venne rialzato da Ryochi, gli pareva di essere gommapiuma per lui, l'aveva sollevato con estrema facilità. Tentò di dire qualcos altro, ma il giapponese lo zittì. Baciandolo. Sentiva le labbra di Ryochi premere sulle sue, e dopo qualche secondo, staccarsi.

– Era un anno che aspettavo questo momento.. – sussurrò il giapponese, guardando Akir, gli occhi lucidi per l'alcool.

– P..Pe..Perchè? – balbettò, confuso, sentiva lo stomaco agitarsi, riusciva a sentire il battito del proprio cuore nelle orecchie.

Stavolta fu Ryochi a non rispondere, avvicinò di nuovo il viso al suo e lo baciò di nuovo. Come qualche ora prima, sentì le viscere sparirgli di nuovo. Non riuscì a capire nulla. Perché lo stava baciando? Perché si sentiva cosi?

Una mano di Ryochi si posò sulla sua guancia, era fredda. Lentamente, ancora confuso, venne spinto da un desiderio inconscio, fino a quel momento rimasto nascosto, e nel giro di pochi secondi tra i due scoppiò una passione repressa, si strinsero l'uno all'altro eliminando ogni distanza dai loro corpi, la foga del bacio gli tolse lentamente il fiato, Akir riusciva a sentire il gusto di alcool e tabacco di Ryochi, il suo corpo ebbe un fremito quando il giapponese gli morse il labbro, per poi baciarlo di nuovo, facendo scontrare nuovamente le loro lingue.

– As..Aspett.. – la voce gli si era ridotta ad un sussurro, mentre la mano di Ryochi si era infiltrata sotto la sua maglia e scorreva lungo i suoi fianchi.

– Shh.. – gli baciò il collo come aveva fatto qualche ora prima, mentre le sue dita scorrevano libere per il petto di Akir, riusciva a sentire il suo cuore battere all'impazzata. Che buon profumo che aveva, non aveva mai sentito nulla di simile. Era una calamita. 

– Ryochi.. – mugolò il francese, che nonostante la surreale situazione, il suo corpo cominciò a rispondere a quegli stimoli. 

– Cosi stento a resistere.. – infilò una gamba tra quelle di Akir, facendo pressione. Lo guardò, il viso di Akir era completamente rosso, lo guardava con la bocca socchiusa, l'espressione confusa, quasi spaventata, ma riuscì a leggere qualcos'altro in lui, un desiderio, con gli occhi gli stava inconsciamente chiedendo di continuare. Sorrise, baciandolo di nuovo, la mano scivolò lentamente verso il basso, dove già la sua gamba stava stimolando, sbottonò i pantaloni con facilità, sfiorò il sesso del ragazzo, scoprendolo eccitato.

Si staccò dal bacio, Akir appoggiò la testa sulla sua spalla, tremava. 

"Di più.."

Abbassò il tessuto dei boxer di Akir, sfiorando la sua erezione, senza altri indugi la prese in mano, quasi gli venne da sorridere quando sentì il francese trattenere un sussulto. Cominciò subito a muoverla, dopo poco più di una decina di secondi sentì Akir ansimare mentre scariche di adrenalina ed eccitazione percorrevano il suo corpo sempre più, portate dalla tortura di Ryochi. 

– R..Ryo.. – un gemito uscì dalle sue labbra. Non seppe quanto tempo erano passato, gli parevano ore, sentiva l'eccitazione crescere sempre più nel basso ventre, le gambe gli tremavano, spinto dagli istinti corporei, si era abbandonato a lui. Strinse il braccio di Ryochi, che lo guardò.

– Lasciati andare, non trattenerti.. – sussurrò, continuando a masturbare Akir, che stringeva la sua maglia, incapace di trattenere i propri versi. Al culmine, uno spasmo percorse Akir, che con un gemito strozzato, si abbandonò a un orgasmo liberatorio, buttò la testa indietro, con la bocca aperta alla disperata ricerca d'aria.

Akir si chiuse la porta della propria camera alle spalle. Scivolò con la schiena lungo essa, mettendosi le mani sul viso e accovacciandosi a terra. Si sentì terribilmente in imbarazzo, nella vergogna più totale. Era successo l'impensabile. E gliel'aveva lasciato fare! Emise un mugolio contrariato. 

Cosa significava tutto ciò?

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


             

Il giorno successivo fu per Akir difficile da cominciare. La sveglia gli martellava nelle orecchie con il suo forte trillo, gli ci vollero almeno dieci secondi prima di decidersi a spegnerla, cosa che fece imprecando sonoramente, e sparito il fastidioso suono, si accasciò sul letto, si sentiva come se un treno l'avesse investito. Aveva un gran mal di testa, lo stomaco scombussolato, ricordava di aver bevuto, ma poi cos'altro?

Qualche secondo dopo, fattosi improvvisamente sveglio, si sollevò mettendosi seduto, con gli occhi spalancati, mentre nella sua mente scorrevano i ricordi di ciò che era successo la sera prima, dentro il sottoscala, con Ryochi. Si portò le mani al viso che a ogni secondo diventava sempre più rosso mentre la vergogna gli fece salire un'improvvisa nausea.

"– Era un anno che aspettavo questo momento...–" 

Era un anno che aspettava di baciarlo? Perché?







Una ventina di minuti dopo Akir era seduto al bar dell'hotel, guardava fuori dalle ampie finestre mentre mescolava distrattamente il cappuccino, accompagnato da due brioches. Non riusciva a fare a meno di pensare a Ryochi, a ciò che gli aveva detto e fatto. Non era stupido, l'anno prima aveva notato e associato il comportamento di Ryochi nei suoi confronti come quelli di qualcuno che ci stava provando, ma pensava fosse solo un semplice flirt. 

Sospirò, mentre inzuppava un pezzo della brioche nel cappuccino, spostò lo sguardo, e come se i suoi intensi pensieri riguardo Ryochi avessero deciso di prendere forma, il francese lo vide entrare nel bar. Girò subito la testa, trattenendo un sussulto. Fece finta di non averlo visto, continuando la propria colazione.

– Akir, buongiorno. –

"Merde!"

Il francese girò un po' la testa verso Ryochi, in piedi vicino a lui. 

– Buon..giorno.. – mormorò, si fece nervoso quando vide il giapponese sedersi accanto a lui, posando sul tavolino il proprio cappuccino.

– Tutto bene? – chiese tranquillamente, come fingesse che ciò che era successo il giorno prima fosse stato tutto un sogno di Akir. Probabilmente era meglio cosi.

– Più o meno.. –

– Bevuto troppo ieri sera? – ridacchiò.

"Fosse solo quello il motivo."

– Probabilmente.. –

– Allora che ne dici se dopo la colazione ci facciamo un giro per il bosco? Respirare un po' d'aria fresca ti farà sicuramente bene – sorrise lui, mentre gli rubava un pezzo della brioche e se la mangiava.

Akir esitò un momento. Poi annuì semplicemente. Continuarono la colazione insieme, parlando poco, davvero come se tra loro due non fosse successo nulla. Non c'era traccia di malizia negli occhi di Ryochi, era naturale, il solito tipo allegro. Forse l'alcool ieri sera aveva dato troppo alla testa ad entrambi.







– Oggi è una giornata davvero stupenda, non mi dispiacerebbe farmi un bagno al lago. – disse Ryochi mentre tra le mani si rigirava gli occhiali da sole.

– Ma è gelido... – 

– Stavo scherzando, Akir – sorrise il giapponese. 

Dopo aver fatto colazione si erano diretti in uno dei sentieri che portavano dentro il bosco, camminavano per la maggior parte del tempo in silenzio, entrambi persi ad ascoltare i rumori del bosco, il fruscio dei sassi sotto le loro scarpe, i cinguettii, i rami degli alberi mossi da un leggero venticello.

– Si sta cosi bene.. – disse Ryochi, mentre si metteva gli occhiali in testa, assicurandosi che non si incastrassero tra i capelli, tenuti sciolti in quel momento.

– Per uno che vive in una città rumorosa e frenetica la pace della montagna è piuttosto strana, immagino. – 

– Ti dirò che sono piuttosto abituato a vivere in luoghi silenziosi, invece –

– Ma non vivi a Tokyo? – il francese spostò lo sguardo su Ryochi, confuso.

– Si, ma solo periodicamente. –

– Non me l'hai mai detto.. –

– Nemmeno tu mi hai mai detto dove sparisci d'estate. – I loro sguardi si incrociarono solo per un attimo, perché Akir abbassò subito il proprio.

– Ancora con questa storia?.. – sospirò.

– Perché non vuoi dirmelo? – il tono di Ryochi si fece più serio.

– Perché semplicemente non voglio. –

– Riuscirò a scoprirlo prima o poi, a costo di seguirti ovunque vai. – il tono che Ryochi aveva usato era minaccioso, ma poi sorrise.

– Allora buona fortuna... –

Attraversarono un buon pezzo di foresta, chiacchierando ancora un po', pian piano Akir si rilassò, dimenticandosi o almeno cercando di non pensare a quello che era successo, e si accorse di gradire la compagnia di Ryochi, nonostante avesse un carattere totalmente diverso dal suo, non era pressante nei suoi confronti, cosa che chiunque altro nei suoi confronti invece era. Si accorse che anche lui si era un po' più aperto, gli piaceva ancora la propria solitudine, ma con Ryochi riusciva a mettere almeno un po' da parte i suoi difetti. Non era la prima volta che gli succedeva. Anche con qualcun altro si sentiva nello stesso modo, qualcuno che lo aveva fatto uscire dal suo duro guscio. 

– Jean... – mormorò tra se e se.

– Chi? – lo guardò Ryochi.

– Nulla, stavo solo pensando. –

L'aveva fatto uscire dal suo guscio, poi l'aveva ferito e umiliato. Il suo corpo si irrigidì. Ryochi avrebbe fatto lo stesso? Stava cercando di farlo uscire dal suo guscio per poi usarlo fino a quando non si sarebbe stufato e poi lasciarlo?  Era questa paura che lo aveva reso cosi? Era per questo che non riusciva più a fidarsi? Cosa doveva fare con Ryochi?

– Akir. – sentì una mano del giapponese posarsi sulla sua spalla.

– Cosa? – il tono della sua voce uscì involontariamente freddo.

La mano di Ryochi si spostò al suo mento, alzandoglielo. Poco lontano da loro, c'era una piccola cascata, alta una ventina di metri, l'acqua cadeva su un piccolo laghetto, e scorreva lungo un fiume che attraversava il percorso e scendeva lungo un pendio roccioso. Era cosi perso nei suoi pensieri che non era nemmeno riuscito a sentire il rumore dell'acqua?

– Che bello, eh? – si avvicinarono un po' di più, fino a sedersi sopra ad un grande sasso, sulla riva del piccolo laghetto, il terreno era tutto di ciottoli.

– Non avevo mai visto una cascata – mormorò Ryochi, osservando l'acqua cadere.

– Mai? –

– Mai.. fa un bel suono rilassante – il giapponese chiuse gli occhi, ascoltando silenzioso.

– Si.. – 

Qualche secondo dopo, Ryochi sentì una mano di Akir raccogliergli una ciocca di capelli, vicino alla nuca. Non si mosse, all'inizio pensava li stesse semplicemente accarezzando, ma poi capì che stava facendo altro. Aveva un tocco delicato.

– Akir..cosa stai facendo? – sussurrò.

– Una piccola treccia. –

– Sai intrecciare i capelli? – 

– Me l'ha insegnato la mia migliore amica.. –

– Capisco.. – dopo poco più di un paio di minuti, Akir spostò la piccola treccia, che Ryochi toccò.

 – E' davvero molto piccola. E mi sembra sia venuta pure bene – la osservò, poi spostò lo sguardo su Akir, che già lo guardava. – Mi dona? –

– Si, è bella.. Se la sposti indietro quasi non si nota in mezzo al resto dei capelli –

– Grazie Akir – sorrise Ryochi, in un gesto istintivo appoggiò la mano sulla mascella di Akir, vicino al suo orecchio, e gli alzò il viso. Notò subito l'espressione del francese cambiare, farsi più nervosa. Allora conosceva già le sue intenzioni. Si sporse verso di lui con il viso, ma prima che le loro labbra si sfiorassero, si spostò e gli baciò la guancia, poi lo guardò. Akir aveva un'espressione confusa, molto. 

– Pensavi che stessi per baciarti?.. – mormorò, a bassa voce. I loro visi erano ancora vicini.

– ..Si – 

– E non ti sei tirato indietro.. –

Akir non rispose, ma la confusione della sua espressione venne sostituita dall'imbarazzo di chi era stato appena scoperto.

– Allora non sei poi cosi etero come pensavo.. – ridacchiò. – Dalle tue reazioni spaventate pareva davvero che lo fossi.. Stavolta ho sbagliato io i miei calcoli, neh.. – 

Il francese non disse nulla nemmeno stavolta. Aveva le farfalle allo stomaco, mille pensieri per la testa. 

– Beh, meglio cosi. – disse Ryochi, e a sorpresa di Akir, si allontanò da lui e si alzò, per poi scendere giù dal masso su cui stavano seduti. – Cominciamo a tornare indietro, tra poco riprendono le gare.  –

Akir restò fermo per qualche secondo, spaesato, poi annuì. – Si, andiamo –







Nonostante l'allenamento e l'impegno di Akir, alla fine delle gare fu lo stesso Ryochi a qualificarsi al primo posto. Akir si classificò secondo con 353 punti su 360, Ryochi 355. Era riuscito a batterlo sul suo campo, la montagna. 

– Maledetto.. – sbuffò, mentre guardava la medaglia d'argento, diretto all'hotel a piedi dopo le premiazioni. L'avevano fermato un po' di persone chiedendogli una foto, o complimentandosi con lui. Non immaginava già di avere chi lo seguiva e tifava per lui, qualcuno veniva pure da città poco lontane dalla sua.  Durante il resto di quella giornata non vide più Ryochi, sapeva che era rimasto anche lui intrappolato per un po' tra i suoi tifosi, poi era sparito. Che fosse insieme alla ragazza con i capelli rossi?







– Quindi torni in Francia domani mattina? – disse Ryochi, mentre lanciava un sasso dentro il lago. 

Akir il giorno prima era rimasto poco in giro, rintanandosi in camera sua poco dopo aver cenato. Ryochi gli aveva scritto un messaggio il giorno dopo, di pomeriggio, chiedendogli se aveva voglia di andare al lago con lui. Nemmeno quella mattina Akir l'aveva visto, aveva notato la ragazza con i capelli rossi tornare dal sentiero che andava al bosco, ma era sola. 

– Si, tu quanto tornerai in Giappone? – il francese osservava Ryochi lanciare i sassi, comodamente seduto su una panchina di legno. Ryochi aveva ancora la piccola treccia che gli aveva fatto il giorno prima, riusciva a notarla in mezzo alla chioma in quel momento legata in una coda alta. Nonostante fossero legati, gli coprivano  metà della schiena.

– Oh, giusto... Non torno in Giappone. – ridacchiò, nel vedere l'espressione perplessa di Akir. – O almeno non subito... Ho intenzione di visitare un paio di città italiane con mia cugina.  –

– Cugina? –

– La ragazza con i capelli rossi, l'hai mai notata? Bassina, pallida.. – fece un segno con la mano per segnare circa l'altezza della cugina, che a vista non superava il metro e sessanta.

– Si, l'ho notata... –

"ecco chi era allora.."

– Però non ha tratti orientali, e soprattutto ha i capelli rossi ma non di quelli tinti – continuò Akir.

– Perché.. è inglese – Ryochi lanciò l'ultimo sasso, poi si sedette accanto ad Akir, prendendo dalla tasca della felpa un pacchetto di sigarette dalla sigla giapponese. 

– E' inglese? Quindi i tuoi genitori.. – Akir era sempre più perplesso.

– Mia madre è inglese e mio padre giapponese – sfilò una sigaretta dal pacchetto e l'accese.

Akir restò svariati secondi in silenzio. Ecco perché Ryochi non aveva i classici tratti orientali, o almeno non cosi pronunciati.

– Non ... me l'hai mai detto. – abbassò lo sguardo.

– Non ci avevo pensato, e non lo trovavo essenziale da dire. – Astutamente, Ryochi circondò le spalle di Akir con un braccio,  facendolo poggiare a se. – Perché non mi dici anche tu qualcosa che non so? Per esempio.. –

– Ancora insisti?! – 

– Non riesco a capire perché non vuoi dirmelo. – si mise la sigaretta in bocca e girò il viso di Akir, in modo da poterlo guardare. Restò agganciato ai suoi occhi per quasi dieci secondi, poi Akir spostò la testa e abbassò lo sguardo. Forse ora sarebbe riuscito a farselo dire. Si tolse la sigaretta dalle labbra, soffiando fuori il fumo di un lungo tiro che aveva fatto.

– Io... – mormorò Akir, stringendo la stoffa della propria maglia.

– Mh? –

– Faccio parte di un'organizzazione. –

– Un'organizzazione? – rispose confuso Ryochi.

– E per tre mesi ogni anno sono nel luogo dove c'è questa organizzazione. –

– Un'organizzazione di cosa? –

– E' un culto. –

– Fai.. parte di un culto? – disse perplesso Ryochi, mentre guardava Akir, che aveva sollevato la testa guardando distrattamente il lago.

– Si. –

– E per tre mesi andresti in questo luogo di culto? Ma perché? – 

Akir non rispose. Ryochi continuò a guardarlo, più confuso che mai. Akir faceva parte di un culto? Un culto religioso? E perché? Era stata una sua scelta?

Akir restò in silenzio, poi parlò di nuovo. – Che città italiane vuoi visitare? –

– Beh.. Venezia, poi decideremo se andare in Sardegna o in Sicilia. – guardò per un attimo Akir, poi sospirò, accettando il cambio d'argomento. Un leggero sorriso spuntò sulle sue labbra. – Poi verrò a Lione. –

– Cosa? – Akir alzò lo sguardo.

– Si, non vuoi? –

– Non ho detto questo.. – 

– Mi piacerebbe visitarla, e passare del tempo con te fuori dalle gare..  –

– Verrai con tua cugina? –

– No, lei tornerà a casa.. Cosi mi puoi ospitare – disse Ryochi, con una nota maliziosa nella voce, mentre spegneva la sigaretta.

– Ti autoinviti a casa mia? –

– Posso prenotarmi una stanza se non vuoi.. –

– Basta che non mi disturbi la notte. –

– Ci proverò.. – ridacchiò Ryochi, prima di stringersi contento Akir a sé.







"Quindici minuti e dovrei arrivare. Sei già in stazione?"

"Si, ti aspetto al binario."

"♥"

Akir si trovava alla stazione dei treni, stava da una decina di minuti seduto su una delle panchine del binario dove sarebbe sceso Ryochi. Il giapponese era rimasto con la cugina in Italia per due settimane e mezzo, avevano visitato Venezia, erano stati al mare in Sardegna e poi avevano visitato pure un paio di posti in Sicilia. E ora Ryochi stava arrivando da lui, mentre la cugina era ripartita per tornare in Inghilterra.

Sarebbe rimasto a casa sua per cinque giorni. Era emozionato, doveva ammetterlo. Si era fermato spesso a pensare, a pensarlo. Qualche volta si chiedeva cosa stesse facendo in quel momento, a cosa stesse pensando. E ne rimaneva spaventato. Tutte queste emozioni lo confondevano, Ryochi stava cominciando a piacergli?

'Train en provenance de Milan Centrale est en arrivee sur le quai numero trois'  disse la voce automatica, sovrastando la musica che proveniva dalle cuffie di Akir, che fermò, togliendosi poi le cuffie e mettendole in tasca. Dopo quasi un minuto, il treno arrivò al binario. 

Aperte le porte, Akir sperò di poter individuare Ryochi, ma non riuscì nell'intento a causa della grande quantità di persone che riempivano il binario, allora si piazzò all'inizio di questo, aspettando. Quando lo vide, un sorriso spuntò da solo sul suo viso. 

Camminava tranquillo portandosi dietro la valigia azzurra, aveva i capelli legati in una disordinata coda alta, il suo sorriso si allargò ulteriormente quando Ryochi, dopo averlo visto alzò una mano per salutarlo. Non seppe perché, probabilmente fu l'istinto, ma si ritrovò a correre verso di lui. 

Ryochi mollò la valigia e fece ancora un paio di passi, allargando le braccia, quando si abbracciarono sollevò Akir da terra per qualche secondo, e dopo averlo posato lo strinse a se, non riuscendo però a eguagliare la forza della stretta di Akir, che gli aveva circondato la schiena e poggiato la fronte sul suo petto. Un attimo prima, quando l'aveva visto correre verso di lui, l'aveva visto sorridere nel modo più bello del mondo. Improvvisamente, spinto dall'istinto, prese con una mano il viso di Akir e lo baciò. Lo baciò con prepotenza, premette le labbra contro le sue, in un attimo i rumori della stazione, le voci e i passi della gente sparirono. Scoppiò la stessa passione dell'ultima volta. Si baciarono e il tempo parve fermarsi, si baciarono con una disperata foga, stretti fra di loro, rubandosi l'uno il fiato all'altro.

Quando si staccarono, lentamente il paesaggio della stazione e i suoi rumori cominciarono a riapparire a Ryochi.

– Ciao Akir.. – mormorò a voce bassa, mentre scorreva lentamente il pollice sulla guancia del francese, che lo guardava con l'espressione un po' spaesata, rapita. Sorrise.

– Ehi.. – nessuno dei due pareva voler sciogliere l'abbraccio e distruggere il momento che si era creato. 

– Sei cresciuto in altezza? –

– Forse sei tu che ti stai abbassando.. – sorrise il francese, e lentamente sciolsero l'abbraccio. Ryochi recuperò la valigia, abbandonata ad un metro da lui, e si diressero fuori dalla stazione, nessuno dei due in grado di disfarsi dell'ebete sorriso che gli era apparso in viso dopo quel bacio.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


             

– Casa tua si trova lontano da qui? – chiese Ryochi, spostandosi un ciuffo sfuggito alla coda.

– Dobbiamo prendere un paio di metropolitane.. – 

– Allora andiamo – 

Dopo un breve tratto a piedi, presero la metropolitana, e messi comodi, Ryochi si poggiò ad Akir, sospirando.

– Stanco dal viaggio? –

– Un po'.. ma non voglio sprecare tempo a casa. – 

– Come desideri.. –







'Bellecour'

– Quante fermate dobbiamo fare? – chiese Ryochi.

– Non scendiamo alla prossima ma a quella dopo, solo che poi dobbiamo prendere un'altra metro. – 

– Va bene.. Come sono andate queste tre settimane? –

– Sono state normali.. Tu invece? I viaggi? –

– Molto bene.. Venezia mi è piaciuta molto, il mare della Sardegna è davvero limpido e in Sicilia si mangiano cose deliziose.. Sono stato davvero bene – raccontò Ryochi, mentre prendeva il telefono, dopo una breve ricerca, mostrò ad Akir una foto. 

– E' il mare della Sardegna? Stupendo.. – 

– Si stava davvero una meraviglia li, appunto è stato il luogo in cui siamo stati di più tra i tre che abbiamo visitato.. –

– Magnifico.. –







Dopo una ventina di minuti, uscirono dalla fermata della metropolitana.

– Come si chiama la zona dove abiti? – chiese Ryochi, mentre si guardava intorno.

– Croix-Rousse. – 

Si trovavano vicino ad un piccolo parco, mentre si incamminavano verso la casa di Akir, un certo momento questo sentì il telefono vibrare. Lo tirò fuori dalla tasca.

'@Ryochi_Aoki t'a mentionnè dans son histoire de Instagram'

– Che hai fatto?.. – guardò Ryochi, prima di sbloccare il telefono.

– Nulla nulla – sorrise lui, tornando a guardarsi intorno.

Ryochi si era messo poco lontano da Akir e gli aveva fatto un boomerang mentre camminava, aveva messo l'orario e la posizione su un lato e sotto aveva scritto "Bonjour Lyon♥". 

Rimise il telefono in tasca dopo averlo bloccato, sorridendo.

– Mi piace lo stile della città, la sua architettura, chissà d'inverno che bella che diventa.. – mormorò Ryochi.

– Dato che è una città situata in collina, su certi punti si può vedere il panorama della città, dove abito io è uno di quei punti. –

– Mi pare che ci sia una basilica su un promontorio qui. –

– Ti sei informato, eh? Beh, si, è la basilica di Notre Dame de Fourviere, è il punto più alto della città, da li la puoi osservare tutta –

– Quindi insomma restate in forma a forza di camminare in salita o in discesa.. –

– Dove abito io è anche abbastanza tranquillo .. La mia migliore amica deve farsi quasi un kilometro su una strada con una pendenza piuttosto ripida per arrivare a casa –

– Brutta storia.. –

– Si tratta di abitudine oramai –







Quando imboccarono la via della casa di Akir, Ryochi notò delle scale che portavano giù, da li si poteva vedere un po' del panorama della città, come detto dal francese poco prima. Lo stile della città, dei palazzi, era completamente diverso da Tokyo, oltre a essere collinare dava la sensazione di qualcosa di antico. 

– Eccoci. – inserito il codice del portone, entrarono, Akir abitava al terzo piano di un piccolo condominio, il suo portone era rosso, ed entrati, la prima cosa che cadde all'occhio di Ryochi fu una scala che portava probabilmente a una piccola mansarda. L'appartamento era sui toni azzurri e bianchi, con travi di legno al soffitto, salotto e cucina collegati, un tavolo da pranzo con un vaso di fiori bianchi in mezzo, tre alte vetrate che lasciavano entrare molta luce in casa.

– Hai davvero una bella casa.. – mormorò Ryochi, guardandosi intorno.

– Grazie.. Vuoi darti una rinfrescata prima di uscire di nuovo? –

– Volentieri. –

Quando Ryochi uscì dal bagno, vide che la valigia che aveva lasciato all'entrata era sparita.

– La mia valigia? – raggiunse Akir in cucina, che stava appoggiato al bancone e scriveva al telefono.

– L'ho portata in mansarda. –

– Come ho fatto a non sentirti trasportare una valigia su per le scale? – si avvicinò ad Akir, che gli porse una birra. La prese, senza smettere di guardarlo.

– Non mi sottovalutare, Ryochi – e fece tintinnare le birre.







– Allora, dove mi porti? –  erano rimasti quasi due ore in casa, dopo aver messo a lavare i vestiti di Ryochi ed averli stesi avevano pranzato insieme e chiacchierato a lungo, per decidere che posti Ryochi voleva e/o doveva vedere in quei cinque giorni.

– Sono le tre e mezza, posso portarti al Vieux Lyon, ovvero la parte antica e medievale di Lyon, oppure a fare semplicemente un giro per la città. –

– La vecchia Lyon lasciamola per domani, facciamoci una passeggiata tranquilli, portami in piazze, parchi, posti di Lyon che ti piacciono. – disse Ryochi, circondando le spalle di Akir con un braccio.

– Va bene.. –

– Mi piace come ti sei sciolto, sai – mormorò Ryochi, guardando i propri passi.

– Cosa? –

– Mi piace come ti sei tranquillizzato, aperto con me. Ci ho messo un po', ma alla fine i miei sforzi non sono stati vani – sorrise il giapponese.

– E chi te lo dice che invece, magari sono stati inutili.. – rispose Akir, senza guardare Ryochi.

– Perché te l'ho letto nello sguardo stamattina. –

Akir sorrise leggermente. – Mi hai scoperto. – 







Camminarono molto a piedi, perdendosi in chiacchiere che andavano dal viaggio in Italia di Ryochi, ai piatti che aveva mangiato, fino al passare alle preferenze, ai gusti e disgusti, poi a tradizioni francesi, posti simbolici di Lyon, mentre erano occupati a mangiare dei macarons comprati in un negozio di dolciumi mentre camminavano, un paio di ragazze fermarono Akir e Ryochi.

– Excusez-moi –

– Oui? – rispose Akir, guardando la ragazza che aveva parlato.

– Ils sont vrais tes cheveux? – chiese la ragazza, guardando Ryochi, che ricambiò, ma perplesso.

Akir si mise a ridere, poi guardò Ryochi. – Ti ha chiesto se i tuoi capelli sono veri.. –

– Ma è ovvio.. – disse lui.

– Il ne semble pas, mais elles sont vraies. – rispose Akir alla ragazza.

– Ils sont trop beaux.. Plus belle des le mien.. Chapeau. –

– Che vi state dicendo? – disse Ryochi, guardando Akir, più perplesso di prima.

– Allora.. le ho detto che sono veri, e mi ha detto che sono davvero belli, pure più dei suoi, e ti fa i complimenti – 

– Ah.. Oh.. Merci – disse alla ragazza, sorridendo.

– Rien. – 

Dopo una piccola conversazione con le due ragazze, i due ripresero a camminare.

– I tuoi capelli attirano l'attenzione, neh.. – disse Akir, prima di mettersi in bocca un macaron al lampone.

– Non è da tutti i giorni vedere un ragazzo con dei capelli cosi lunghi.. Ovvio che attiro l'attenzione – ridacchiò Ryochi.

– Guarda, siamo arrivati in Place des Terraux. – 

Avevano appena messo piede in un'ampia piazza, in quel momento abbastanza affollata. 

– Bella la fontana.. –

– E' una delle mie piazze preferite, non solo per la fontana, ma anche per il municipio. Quando è sera viene illuminato, è davvero molto bello. – 

Si avvicinarono alla fontana, sedendosi al bordo di essa, mentre Ryochi si guardava intorno, osservando palazzi e passanti, Akir giocherellava distrattamente con i suoi capelli, sfiorandoli, girandoseli attorno alle dita, un certo momento ci poggiò il viso sopra. Erano morbidi e profumavano.

– Tutto bene? – chiese Roy, poggiando una mano sulla gamba di Akir.

– Si, tutto bene.. –

– Sei stanco? –

– No, sono rilassato – mormorò Akir, socchiudendo gli occhi.

– Quei macarons erano davvero buoni.. –

– Ne possiamo prendere ancora, li vendono in pacchi più grandi in una pasticceria poco lontana da casa mia. –

– Volentieri.. –







Passeggiarono per le vie di Lyon fino a sera, si erano fermati a riposare per un'ora a Place Bellecour, una larga piazza dalla pavimentazione arancione con al centro una statua equestre e una ruota panoramica, a detta di Akir era la terza piazza più grande della Francia. A richiesta di Ryochi, presero il bus per tornare a casa.

– Sei stanco? – domandò Akir, mentre notava Ryochi mettersi comodo sul suo posto nell'autobus e socchiudere gli occhi. 

– No, sono rilassato..  – Ryochi imitò ciò che Akir gli aveva detto qualche ora prima mentre stavano seduti alla fontana, per poi sorridere. 

– Sfotti pure.. –

– Non potrei mai – ridacchiò Ryochi, prima di poggiare la testa sulla spalla di Akir, lentamente mosse la mano lungo il suo avambraccio in quel momento poggiato sulla gamba, per poi prendergli la mano, e sempre con calma, intrecciare le dita con le sue, senza stringerle.

Restarono in silenzio durante il viaggio, ed arrivati a casa, mentre Ryochi sistemava i propri vestiti e la valigia, curiosò un po' nella camera. Era una semplice mansarda, aveva delle travi di legno al soffitto, una finestra che si apriva scorrendola e dava su un piccolo terrazzino, una scrivania e una libreria con libri e quaderni, il letto era una piazza e mezza, attaccato al muro. 

– Akir, ti serve una mano? –

– No, va pure a farti una doccia intanto –

Un paio di minuti dopo, mentre Akir preparava la tavola, sentì dei passi avvicinarsi alla cucina.

– Akir, ti dispiace se uso il tuo shampoo? –

– No no, fa- – si bloccò a metà frase, dopo essersi girato. Ryochi era in piedi, poco lontano da lui, vestito solamente dei boxer. Non riuscì a fare a meno di scorrere lo sguardo lungo il suo corpo. 

– Pure? – concluse la frase Ryochi, sorridendo divertito. – Ehi, se continui a guardarmi cosi mi sciupi.. –

Akir si girò, sentiva un gran calore salirgli sul viso, stava arrossendo.

– Allora.. se non vuoi che ti sciupi.. va via – 

Sentì Ryochi ridacchiare, poi andarsene. Fece un lungo respiro, strofinandosi le guance. L'aveva fatto apposta, ne era sicuro. Lo stava provocando? Ci sarebbe riuscito fin troppo bene, con quel corpo. Si diede uno schiaffetto.

"Maledetto.."







Dopo aver cenato, rimasero seduti sul terrazzino a godersi la vista della città di notte, dopo quasi un'ora, quando Ryochi spostò lo sguardo su Akir, notò che dormiva, la testa poggiata sul palmo della mano. Sorrise leggermente, ed approfittando del momento, prese il suo telefono che stava poggiato sul tavolino, e lo sbloccò.

– Niente password, eh Akir.. – un leggero sorriso gli comparve sulle labbra, fece un giro per le chat di Akir, ma oltre a qualche chat con amici e i genitori, non aveva nulla di particolare, e se ci fosse stato non l'avrebbe saputo, data la lingua a lui sconosciuta. Le chat più recenti erano con Amary  e un ragazzo di nome Jean. Aveva già sentito pronunciare quel nome da Akir, ma non riuscì a ricordarsi quando. Cercò qualcosa che potesse riguardare il culto di cui Akir faceva parte, ma non trovò nulla. 

Cercò anche nelle immagini, ma oltre a foto con amici, foto dei suoi viaggi, non trovò nulla, ma un certo momento, il suo sguardo venne catturato da due foto, erano datate Gennaio 2020, otto mesi prima che si conoscessero. In una, si vedeva Akir steso con sopra di lui un ragazzo, aveva i capelli castani, nella seconda, lo stesso ragazzo in piedi in mezzo alla camera di Akir, di spalle, in boxer. Cosa significava? Chi era? Un ex? 

Ryochi continuò ad osservare quelle foto a lungo, mentre sentiva una sorta di rabbia crescere dentro di lui. Dopo svariati minuti, posò di nuovo il telefono sul tavolino, e si alzò.

– Akir, sveglia.. – 

Il francese aprì gli occhi lentamente, poì sbadigliò.

– Che ore sono..? – 

– Sono le dieci e mezza passate.. –

Akir si alzò in piedi, dopo essere rientrati ed aver chiuso la finestra, Akir si avvicinò alle scale, sbadigliando nuovamente.

– Notte Ryochi.. –

– Come.. niente bacio della buonanotte? – disse scherzosamente Ryochi, avvicinandosi ad Akir. Gli prese il viso con entrambe le mani. – Sei tutto stanco, hai una faccia adorabile – sorrise.

– Dai...– mugolò Akir.

– Scusa – fece una pausa di un paio di secondi, poi baciò Akir. Un bacio semplice, leggero, nulla di simile a quello che si erano dati quella mattina.

– Buonanotte.. – mormorò Akir, sorridendo leggermente, Ryochi gli diede un altro bacio, stavolta sulla fronte.

– Buonanotte –







"Aspetta che vado a svegliare Ryochi.."

Akir si era svegliato un po' più tardi del solito, spesso era abituato a svegliarsi alle 7, ma nella stanchezza del giorno prima si era dimenticato di impostare la sveglia, concedendosi cosi il lusso di dormire fino alle 10. Uscito dal bagno si diresse verso la mansarda, e rimase confuso quando vide della luce in camera. Era già sveglio? 

– Ryochi, sei sveglio? – 

Non ricevette risposta. Salì le scale, e notò subito le tapparelle alzate e la finestra aperta, Ryochi non era a letto. 

"Ma cosa..."

Tornò giù, dirigendosi in cucina, e lì trovo un post-it, incollato al frigorifero.

'Sono uscito da solo stamattina, vado a comprarmi un paio di cose poi mi faccio un giro. Scusa se non ti ho svegliato, ci ho provato, ma mi hai mormorato qualcosa e poi ti sei rigirato.. Ci vediamo dopo♥'

Aveva davvero provato a svegliarlo? Aveva un vago ricordo, effettivamente qualcuno l'aveva chiamato diverse volte, ma non ricordava se in sogno o se era davvero Ryochi che provava a svegliarlo. Mentre preparava la moka del caffè, sentì il telefono squillare. Mollò tutto, probabilmente era Ryochi che gli diceva che stava tornando, o che si era perso. Dopo una breve corsa verso la camera, prese il telefono e guardò chi lo stava chiamando. Non era Ryochi.

–... Jean, dimmi –

– Stamattina sono andato alla Part-dieu e sto per riprendere la metro, ti va se passo a trovarti dopo? – 

Akir si fermò un attimo. Se Jean veniva a trovarlo e trovava Ryochi a casa? O se Ryochi tornava a casa e lo trovava con Jean?

"Aspetta. Non ho mai detto nulla di Ryochi a Jean e viceversa. Quindi loro due non si conoscono."

 Si tranquillizzò un po' di più.

– Si, va bene. –







Ryochi era uscito prima quella mattina. Aveva provato diverse volte a svegliare Akir ma non dava segno di voler alzarsi, quindi si arrese, gli lasciò un post-it sul frigorifero e uscì. Si affidò alle mappe del suo telefono per muoversi in città, e per non rischiare di perdersi, decise di fare la strada a piedi, ma la città aveva punti con pendii e scale davvero ripide e lunghe.

– Ok, non capisco più dove sono. – si trovava vicino ad un ampio giardino con accanto qualcosa che assomigliava a un vecchio anfiteatro, sospirò, accendendosi una sigaretta e guardandosi intorno, dietro di lui c'era un lungo pendio per risalire, sperò di non dover imboccare quella strada per tornare indietro. Si era segnato la posizione della casa di Akir, ma era davvero lontana da dove si trovava lui. Dopo un paio di minuti si arrese.

– Ryochi, dove sei? – fu la prima cosa che disse il francese quando rispose alla chiamata di Ryochi.

– Sapessi.. –

– Ti sei perso? –

– Perso non è il termine esat- –

– Si, ti sei perso. – lo interruppe Akir.  – Cos'è che hai intorno ora? –

– Allora... un giardino con accanto un anfiteatro, vicino a questo una salita piuttosto ripida. –

– Anfiteatro?.. Guardati un po' intorno, vicino alla salita che dici tu dovrebbe essersi una fermata del bus se ti trovi dove penso io. –

Ryochi mentre si incamminava e guardava intorno sentì una voce sconosciuta parlare dall'altra parte del telefono.

– Akir, sei con qualcuno? –

– L'hai trovata? – il francese ignorò la sua domanda.

– Si, credo di si.. c'è scritto.. Jardin.. des Plantes? –

– Mon dieu..  Ma dove sei finito? Te la sei fatta tutta a piedi fino a li? – 

– Sono tanto lontano? –  

– Un po'.. ti direi di prendere i mezzi, ma meglio non fare peggio. Facciamo cosi, ti mando la posizione di casa mia, e basta che segui il percorso. –

– Ma ho già la posizione di casa tua, solo che è piuttosto lontana – disse Ryochi.

– Perché appunto ti trovi piuttosto lontano da casa mia in questo momento.. Roy, perché sei uscito senza di me? – 

– Beh dai ho visto posti carini almeno mentre passeggiavo. –

– Va bene.. Chiamami se non sai che strada prendere –

– Certo.. a dopo – 







Dopo quasi mezz'ora Ryochi arrivò finalmente alla via della casa di Akir. Sospirò, inserì il codice al portone ed entrò, ringraziando mentalmente l'ascensore, non sarebbe riuscito a fare altri quattro piani di scale.

Suonò un paio di volte alla porta di Akir, che venne aperta qualche secondo dopo.

– Oh, ce l'hai fatta.. – Akir abbassò lo sguardo, notando che Ryochi aveva un sacchetto con se. – Che hai comprato? –

– Un po' di cose che mi servivano, niente di particolare. – entrato in casa, sentì un buon profumo arrivare dalla cucina. Abbandonò il sacchetto sulle scale che portavano alla mansarda. – Hai già pranzato? – si incamminò verso la cucina, seguito da Akir.

– Emh, aspetta, Roy – il francese si era fatto improvvisamente nervoso.

– Cosa? – 

Quando Ryochi arrivò in cucina, quasi si pietrificò. Sul tavolo della cucina erano poggiati due bicchieri con dentro quello che sembrava vino, notò piatti e stoviglie poggiati vicino al lavandino, ancora da lavare. Ma ciò che lo fece bloccare fu qualcos'altro. 

Poggiato al bancone, c'era il ragazzo delle due foto che Ryochi aveva visto il giorno prima nel telefono di Akir. Era li, in piedi davanti a lui, e lo guardava con un misto di curiosità e divertimento. Quello è il suo ex? E cosa ci faceva li? Da quanto era li?

– Roy.. – 

– Lui è? – disse spontaneamente, con una nota infastidita.

– Jean, un mio amico.. E' passato a trovarmi stamattina, e abbiamo pranzato insieme.. –

I due si scambiarono un'occhiata, e un cenno della testa. Salì una forte tensione nella stanza, che viene interrotta da Ryochi. 

– Vado a sistemare quello che ho preso intanto – e senza dire nient'altro uscì dalla stanza salendo in mansarda, ma teneva sempre un orecchio alzato, sentì Akir e il ragazzo parlare per poco, forse una decina di minuti. Poi si avvicinarono all'entrata, percepì una morsa al petto quando sentì Akir ridere insieme al ragazzo. La cosa lo infastidiva. Era geloso. Molto geloso.

– à bientôt  –

– Oui, merci. – rispose Akir, dopo qualche secondo Ryochi sentì la porta aprirsi e poi richiudersi, Akir sospirare ed incamminarsi in cucina. 

Ryochi lo raggiunse pochi minuti dopo, trovandolo a lavare e sistemare i piatti.

– Ti serve una mano? – si affiancò al francese.

– Grazie Ryochi – mormorò Akir, senza guardarlo. 

– Piaciuto il vino? – disse Ryochi qualche attimo dopo, mentre asciugava e sistemava i piatti.

– Perché questa domanda? –

– Solitamente tra amici ci si beve una birra.. –

– Preferiamo entrambi il vino – concluse il francese.

– Akir –

– Dimmi – da quando avevano cominciato a parlare, quella fu la prima volta che lo guardò negli occhi.

– Chi è davvero lui? –

Il francese abbassò lentamente lo sguardo, mentre si asciugava le mani. Non gli rispose subito.

– Un amico. –







– Dove andiamo stasera? – chiese Ryochi, prima di bere un sorso di tè freddo.

I due si erano appollaiati in terrazzo, chiacchierando, mangiando macarons e bevendo tè. 

– Non saprei, potremmo semplicemente farci una passeggiava per le vie della città.. – rispose Akir, mentre osservava distrattamente il macaron verde. – Domani andiamo nella Lyon vecchia, ti porto a uno dei miei musei preferiti. –

– Ovvero? –

– E' un museo dell'arte della miniatura e del Cinema. – 

– Miniatura? Cinema? –

– Ci sono esposizioni di artisti di tutto il mondo riguardanti appunto l'arte della miniatura.. La parte dedicata al cinema.. sono esposizioni di materiale di scena, costumi, usati nei film.. Ci sono esposti dei costumi di scena del film Hunger Games, oggetti originali della saga di Harry Potter.. E un sacco di altri film – rispose Akir, sognante.

– Deve essere stupendo, sono curioso – 

Ci fu qualche minuto di silenzio tra i due, guardavano tranquilli il panorama, seduti l'uno accanto all'altro.

 – Akir, posso farti una domanda? – Ryochi spostò lo sguardo sul francese, in quel momento occupato a riempirsi il bicchiere di tè.

– Dimmi –

– C'era qualcosa di strano tra te e quel ragazzo. Sembravate più.. intimi di semplici amici. –

Akir spostò lo sguardo altrove, senza dire nulla.

– Chi è lui? –

Passarono diversi secondi prima che Akir aprì la bocca per rispondere, la prima volta che l'aprì non disse però nulla. Ryochi continuò a guardarlo, impaziente della sua risposta, che in parte già immaginava.

– Jean .. noi ci frequentavamo. –

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