Let's crack

di Mari Lace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo scopo di un detective ***
Capitolo 2: *** Una porta si chiude... ***
Capitolo 3: *** Avrò il tuo cuore? ***
Capitolo 4: *** Facciamo un gioco? ***
Capitolo 5: *** Fine o inizio? ***
Capitolo 6: *** L'amore ai tempi dello shogun ***
Capitolo 7: *** Non proprio cattivi ***
Capitolo 8: *** Tradendo il nero ***



Capitolo 1
*** Lo scopo di un detective ***


Lo scopo di un detective

 

 

Quando aveva deciso di ingerire l’antidoto definitivo all’APTX e tentare di condurre una vita normale (dopo aver assicurato, insieme a Shinichi e all’FBI, l’Organizzazione alla giustizia), Shiho aveva creduto che la sua vita sarebbe cambiata completamente.

Si era sbagliata.

Certo, ora frequentava un corso di criminologia all’università e aveva dei piani per il futuro.

Ma allora perché quella sera – invece di rimanere a casa a leggere un buon libro o fare qualsiasi altra cosa – si era lasciata trascinare in uno dei mille musei di Jirokichi Suzuki, dove sarebbe stato mostrato un preziosissimo gioiello oggetto dell’ennesimo furto di Kaito Kid preannunciato dal solito bigliettino enigmatico?

Perché Shinichi Kudo le aveva chiesto di venire in caso gli servisse un parere scientifico, naturalmente.

La vera domanda era un’altra.

Dove diamine si era cacciato lui?

Shiho sospirò; quella era un’altra cosa che non era affatto cambiata. Nonostante le avesse chiesto di venire e generalmente apprezzasse le sue osservazioni, quando Kudo trovava una traccia non c’era per nessuno. Spariva senza neanche avvisare, e lei aspettava.

Non stavolta, però. Si guardò intorno; l’ispettore Nakamori aveva smesso di sbraitare per un secondo, stava parlando con Ran— no, non era Ran, solo una ragazza che le somigliava molto. La vera Ran era infatti poco distante, vicino a Sonoko. Probabilmente stavano parlando di quanto fosse affascinante Kid-sama.

Alzò lo sguardo. Forse il detective era al primo piano. Decise di salire a cercarlo: se non l’avesse trovato sarebbe andata via. Le sarebbe toccato chiamare un taxi, tuttavia, e questo era seccante.

Andando verso le scale, lasciò liberi i pensieri. Tralasciando il suo inutile coinvolgimento, non riusciva a capire perché Shinichi si disturbasse ancora a dare la caccia a Kid. Nella lotta all’Organizzazione li aveva aiutati più di una volta, lei personalmente – anche se naturalmente Kudo a suo tempo non si era preoccupato di avvisarla prima o chiederle un parere – gli doveva la vita. Quella storia di catturarlo a ogni costo le sembrava tanto una buffonata, ma lui ripeteva sempre che non avrebbe permesso a nessun altro di togliergli la maschera.

Salì distrattamente sul primo gradino e per poco non finì a terra. Si era scontrata con un ragazzo, ma la colpa era sua; non l’aveva proprio visto. Oggi non me ne va bene una.

Stava per borbottare delle scuse e superarlo, ma lui la anticipò. «Miyano-san?»

Shiho lo guardò più attentamente. Lo conosceva: era l’altro detective fissato con Kid. Non gliene andava davvero bene una, quella sera.

«Non un altro Shinichi, per favore...»

Quando si rese conto di averlo detto ad alta voce era troppo tardi. Non. Ci. Posso. Credere. E meno male che era stata addestrata a nascondere informazioni top secret anche in caso di interrogatori.

«Prego?»

Saguru stentava a credere a ciò che aveva sentito. Aveva visto Shiho Miyano solo un paio di volte, sempre insieme al cosiddetto Detective dell’Est, ma l’aveva mentalmente inquadrata come una ragazza schiva e un po’ fredda. Certo non come il tipo che apostrofa in quel modo il primo semi-sconosciuto che vede. E se c’era una cosa che Hakuba odiava, quella era sbagliare una deduzione. Decise di volerla conoscere meglio – d’un tratto, l'intrigava.

Shiho fu tentata di scusarsi e andarsene, semplicemente. Ma non lo fece. Quel "prego?" le aveva dato fastidio, era suonato come una sfida, con quel tono supponente, e lei era così stufa. Era stufa di tutti quei detective, era di quella serata e soprattutto non le piaceva il modo in cui Saguru Hakuba la stava osservando. Alla fine aveva solo dato voce ad un pensiero, non l’aveva esattamente insultato. In sintesi, era irritata e non aveva più voglia di tenerselo per sé. Voleva sfogarsi, ora che ne aveva l’occasione.

«Avete a stento 18 anni e vi comportate come se foste chissà chi, solo perché siete un po’ più svegli degli altri. Vi ritenete onnipotenti perché avete risolto qualche caso, ma non siete nemmeno in grado di catturare Kid. Anzi, sai una cosa?» tra la sequela di accuse acide, Saguru notò stupito il passaggio al tu. «Spero che non riusciate a prenderlo. Anche lui dev’essere un bell’arrogante, ma almeno ne ha motivo.»

«Ora per favore calmati, Miyano-san. Non so cosa sia successo, ma non ti sembra di essere un po' ingiusta?»

Lei lo guardò storto. Ingiusta?

«A sfogare su di me il tuo astio per Kudo-kun.»

Shiho arrossì, punta sul vivo. Sarebbe tornata Ai piuttosto che ammetterlo, ma il ragazzo aveva dannatamente ragione, era quel che stava facendo.

«Perché, tu sei così diverso?»

Il suo meccanismo di difesa. Se non vuoi ammettere di essere nel torto, ritorci la domanda.

Non aspettò una risposta, gli diede le spalle e si avviò verso l’uscita.

Aveva fatto solo pochi passi quando si sentì tirare per il braccio. Si bloccò all’istante, percorsa da un brivido. Calmati, Shiho. Gin è in prigione, e con lui tutto il resto dell’Organizzazione. Ogni singolo membro. Sei al sicuro.

La sua parte razionale sapeva benissimo che con tutta probabilità – e se ne accertò con la coda dell’occhio – era solo quell’irritante detective, ma l’esperienza vissuta temendo d’incontrare Gin ad ogni passo non sarebbe andata via tanto facilmente. Che vuole ancora?

Liberò bruscamente il braccio dalla sua presa e si girò a fronteggiarlo.

«Devi dirmi altro, Hakuba-san?» domandò, senza preoccuparsi di celare l’irritazione.

Lui alzò le mani in segno di resa. «Non c’è bisogno di essere così aggressiva. Voglio solo chiarire un malinteso.»

«Non vedo nessun malinteso» replicò lei, fredda.

«Che io sia uguale a Kudo Shinichi-kun è un malinteso», replicò tranquillamente Saguru.

Si trattava di questo, quindi? Paragonandolo a Shinichi l’aveva punto nell’orgoglio?

«D’accordo. Siete diversi. Contento ora?»

Hakuba per tutta risposta sorrise. «Non sembri molto convinta, Miyano-san.»

Trovandosi a contemplare l’idea di somministrare l’APTX a quel detective così saccente, Shiho capì che la sua sopportazione aveva ormai raggiunto il limite.

«Come mai sei qui, Miyano-san?» le domandò improvvisamente lui, con l’aria più innocente del mondo.

«Ho accompagnato Kudo per aiutarlo» rispose secca. Perché era lì era evidente. Mi sta prendendo in giro?

«E lui dov’è ora?» chiese ancora Saguru, guardandola negli occhi.

Shiho sorrise ironica. «Non ne ho idea» dichiarò, sostenendo il suo sguardo. «Per quel che ne so, può star mettendo le manette a Kid. O viceversa

Stavolta, lasciandola interdetta, Saguru rise. «Dal momento che Kid ha sottratto la gemma e se n’è andato da ormai 15 minuti, mi permetto di dubitarne» affermò.

L’irritazione sparì completamente dal volto di Shiho, ora invaso dallo stupore. «Kid… se n’è andato..?» ripeté, confusa.

Vide che l’ispettore era ancora al suo posto, tutti i suoi uomini anche.

Come se fosse la cosa più normale del mondo, Hakuba continuò la sua spiegazione. «Certo. Il suo biglietto era una trappola: permetteva una doppia lettura. Il vero orario pianificato per il colpo erano le 21:00» si fermò un attimo per consultare il proprio orologio da taschino, «ovvero esattamente 15 minuti, 38 secondi e 45 millisecondi fa».

E infatti a quell’ora aveva visto Aoko uscire dal museo dopo aver “portato la cena” al padre, solo che, come lui sapeva bene – ed evidentemente Nakamori no – quella sera Aoko era da un’amica per un compleanno. Era appunto per inseguirla che aveva sceso le scale un po’ più in fretta del solito e si era imbattuto nella scienziata dai capelli ramati.

«Se è così» ipotizzò la ragazza, «perché sei qui a parlare – discutere con me, invece di, non so… provare a catturarlo?» stava cercando di metabolizzare quelle informazioni. Qualcosa non quadrava.

Il sorriso di Hakuba si allargò. «Perché, a differenza di Kudo-kun, io non ti lascerei mai da sola, se ti avessi chiesto di accompagnarmi… o se pensassi che sei a disagio» concluse.

Quel tono, era forse…?

«Sei convinta che siamo diversi, ora, Miyano-san?» Sì, era decisamente un tono vittorioso.

Shiho avrebbe voluto fare un commento, una battuta, qualsiasi cosa – non poté. Era rimasta senza niente da dire.

Sussultò di scatto sentendo qualcosa sulla sua spalla.

Vedendo il suo sguardo torvo, Saguru si affrettò a ritirare la mano. «Tutto bene?» chiese. «Sei rimasta immobile per un minuto e quaranta secondi, mi stavo preoccupando.»

«Io… Sì. Grazie» mormorò alla fine, imbarazzata. Non sapeva neanche per cosa lo stesse ringraziando.

Per essere rimasto con lei? Se aveva detto il vero, in pratica l’aveva anteposta alla cattura di Kid. Diversamente da qualcun altro.

Per averle fatto passare l’arrabbiatura? Forse.

Hakuba accennò un inchino. «È stato un piacere, Milady

In fondo era questo il compito di un detective: mostrare alle persone i loro sbagli. Ma, prudentemente, si astenne dal farlo notare.

Poi la superò e si avviò all’uscita. Era tardi ormai per raggiungere Kid, ma non importava.

Kaito non sarebbe andato da nessuna parte, la sfida era solo rimandata. Vincerò anche questa battaglia, un giorno o l’altro. Si fermò e si girò di tre quarti verso la Miyano.

«Posso avere l’onore di accompagnarti a casa?»

“Assolutamente no”, “Dovrei aspettare Shinichi” e “Qualsiasi cosa, pur di andarmene da qui” sono i tre pensieri che si susseguirono nella mente di Shiho in quel momento.

Vinse l’ultimo.


Più tardi, mentre rientrava in casa e una macchina bianca lasciava il cancello, si chiese come diamine avesse fatto a farsi convincere a scambiare i numeri di telefono.

L’ultima cosa che mi serve è un altro detective. O forse no?

 

 

 





*Angolo Autrice*


Inizialmente doveva essere una raccolta di flash, poi mi sono resa conto che per una coppia del genere (e probabilmente vale per molte crack) non si può fare una flash senza rischiare di cadere nell'OOC più sfrenato.

Insomma è diventata una raccolta di shot, così almeno posso fissare basi più o meno solide per ogni coppia.

Questa coppia nello specifico non l'avevo mai trattata prima e non ne ho mai nemmeno letto, è stato un vero e proprio esperimento.

Spero che nonostante tutto vi sia piaciuta.

Ho cercato di restare il più IC possibile, ma non sono certa di esserci riuscita. Voi che dite?
Sono aperta a qualsiasi critica, scrivo qui per migliorare!

Ho già altre coppie [coughAssurdecoughcough] in mente, ma se volete suggerirne prenderò volentieri spunto c:

Grazie mille se avete letto e grazie duemila se mi farete sapere cosa ne pensate.
Alla prossima!


Mari

 

EDIT 27/12/2020: ho revisionato questa storia e passerò a sistemare un po’ tutta la raccolta.

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Capitolo 2
*** Una porta si chiude... ***


Una porta si chiude…

 

 

«...mi serve un po’ di tempo».
«Certo, va bene, Ran».

 

Shinichi gliel’aveva accordato con un tono dimesso, ma stranamente tranquillo.

Probabilmente credeva – anzi, doveva esserne certo – che lei l’avrebbe perdonato.

Lo credevano tutti; anche lei stessa, in realtà.

Ran voleva veramente bene a Shinichi, l'aveva amato come pochi amano. Si fidava completamente di lui.

Proprio per questo quando aveva scoperto tutta la verità, quando finalmente tutte le bugie che le aveva raccontato per mesi erano venute a galla, il dolore era stato immenso.

Le era crollato il mondo addosso. Shinichi, la cui onestà era una delle sue poche certezze, le aveva mentito. Ripetutamente.

"Voleva proteggerla", lo sapeva. Ma lei non voleva essere protetta.

Heiji, un ragazzo che Shinichi prima di rimpicciolirsi non aveva neanche mai visto, conosceva la verità. L'aveva dedotta per conto suo, d'accordo, ma Shinichi gliel'aveva confermata.
Anche lei l'aveva capito, che il piccolo Conan in realtà era il suo amico d'infanzia.

Aveva esposto la sua teoria: lui l'aveva sviata in tutti i modi. Ran aveva desistito non tanto perché la teoria del rimpicciolimento era improbabile, quanto perché si fidava di Shinichi. Lui non avrebbe mai potuto mentirle, non in quel modo, non per tutto quel tempo. Non avrebbe potuto farlo sapendo quanto essere tenuta nell'ignoranza la faceva soffrire, vero?

Eppure l'aveva fatto. Le occasioni erano state molteplici, ma lui non aveva mai confessato. Non a lei, la sua migliore amica da sempre.

L’aveva detto a Heiji, l’aveva detto ad Ai (chiunque lei fosse: non era stato chiaro al riguardo), al dottor Agasa, ai suoi genitori, aveva coinvolto nel suo inganno quasi tutte le persone di cui Ran si fidava – ma non lei.

Shinichi diceva di amarla, ma in amore non dovrebbero esserci bugie.

Quando finalmente, dopo quasi due anni dal loro fatidico appuntamento al Tropical Land, lui era tornato – definitivamente – e le aveva spiegato tutto, lei si era sentita sopraffatta.
Innanzitutto aveva provato sollievo. Poi, non aveva potuto impedirselo, delusione.
Non aveva pianto. Era rimasta immobile, travolta da pensieri ed emozioni contrastanti.
Non capiva nemmeno lei cosa stesse provando. Alla fine tutto ciò che era riuscita a dire era che le serviva tempo. Voleva riflettere, assimilare bene tutte quelle informazioni così importanti, così dolorose.

Credeva che la delusione sarebbe passata, dopo un po’.

Ma il tempo non si può fermare, continua e ci obbliga ad avanzare con lui, anche quando meno lo vorremmo.

Le prime settimane dopo il suo ritorno, Ran non vide Shinichi neanche una volta. Fu un bene, la rabbia per l'inganno piano piano sbollì. La delusione, però, era un'altra faccenda; è difficile riguadagnare la fiducia perduta.

Uscì con Sonoko, con il suo gruppo di karate, a volte anche con Sera: anche lei non era stata del tutto sincera, ma Masumi non era la sua migliore amica dall'asilo, Ran poteva capirla.

Dopo un paio di settimane, rivide un'altra persona.

Anche lui era sparito per più di un anno. Anche nel suo comportamento, ripensandoci, c'era stato qualcosa di misterioso.

Ran trovò Eisuke profondamente cambiato. Era molto meno impacciato, ma era qualcosa di più di questo, qualcosa nel suo atteggiamento – non capì subito cosa fosse.

Forse anche per questo iniziò a vederlo spesso: per cercare di scoprire com'era cambiato.

 

 

Eisuke le rivolse un sorriso smagliante e posò il bicchiere.

«Allora, l'hai capito?»

Ran, sul punto di assaggiare il suo riso, si bloccò con le bacchette a mezz'aria.

«Capito cosa?» domandò.

Il ragazzo rise. «Andiamo, Ran, è da quando ho rimesso piede in Giappone che mi esamini neanche fossi un alieno. Ti sembro diverso, vero?»

Le guance di Ran divennero porpora. Non pensava che il suo intento fosse così evidente. Fissando lo sguardo nella ciotola che aveva davanti, annuì.

«Quando ti ho conosciuta non mi consideravo libero» disse Eisuke. «Ero venuto qui per cercare mia sorella, forse te lo ricordi. Comunque, avevo uno scopo che per me era tutto. Non riuscivo a pensare ad altro, capisci?»

Ran, tornando a un colorito più normale, annuì seria. Non si aspettava che Eisuke si aprisse in quel modo, ma non poteva certo dire che le dispiacesse. Ed effettivamente ricordava come a volte le fosse sembrato con la testa da un'altra parte, ma aveva attribuito la cosa a un suo modo di essere e non a un problema che l'opprimeva.

«Mi sono tolto quel peso poco prima di andarmene» continuò Eisuke. Aveva ripreso in mano il bicchiere e lo muoveva circolarmente, osservando il fluido all'interno vorticare ipnotico. «Allora ho iniziato a fare più attenzione a cosa, a chi, avevo intorno. A fare più attenzione a te, Ran».

Stupita da quell'ultima frase, Ran cercò gli occhi del ragazzo. Lui stava ancora fissando il bicchiere. Le sembrò... bello. Era sempre stato così?

«Volevo chiederti di venire con me in America».

L’aveva detto così rapidamente che Ran non capì subito. «Io? Perché?»

Eisuke arrossì leggermente. I mesi trascorsi in America l'avevano cambiato, reso più sicuro, ma non si era comunque mai dichiarato alla ragazza per cui aveva una cotta.

Quando si era sentito giù in quel continente così estraneo e diverso era stato proprio il pensiero di Ran a dargli la forza di andare avanti. Appurato che Ran piaceva anche a Shinichi, si era tirato indietro. Gli era sembrato naturale. Era la cosa giusta da fare... o no?

Secondo i suoi amici americani non lo era affatto.

Perché avrebbe dovuto ritirarsi? Ran non era un oggetto, non apparteneva a chi la vedeva prima.

Shinichi non le si era nemmeno dichiarato. Che diritto poteva vantare su di lei?

Senza contare che l'aveva fatta soffrire per mesi. Nonostante fosse preso dalla ricerca di Reina Mizunashi, se n'era accorto perfino Eisuke. La lontananza di Shinichi faceva soffrire terribilmente Ran, e forse era questa consapevolezza il vero motivo per cui si era arreso così facilmente. Ran non l'avrebbe preferito al detective dell'Est. Aveva temuto il confronto e si era nascosto dietro una presunta correttezza?

Non avrebbe saputo dirlo, ma non gli importava.

Ora era tornato: non aveva più intenzione di aspettare. Shinichi aveva avuto la sua occasione, se non era stato in grado di coglierla non era certo colpa sua.

Vuotò il bicchiere tutto d'un sorso.

Ran l'osservava in attesa.

«Mi trovi cambiato perché non più nessuna intenzione di frenarmi. Sarò sincero», iniziò. «Sei gentile, Ran. Mi hai ricordato subito mia sorella; gentile, ma al contempo forte» disse. Racimolò un po' di coraggio e trovò il suo sguardo. «Mi sei piaciuta subito. Più ti conoscevo, più il mio sentimento aumentava».

Quell'affermazione così diretta fu seguita da attimi di silenzio.

Era l'ultima cosa che Ran si aspettasse, ma si rese conto di non essere imbarazzata.

Semmai era contenta.

Era completamente diverso dal groviglio di emozioni che aveva provato a Londra, quando Shinichi le si era dichiarato. Anche lì era stata molto felice, forse anche più di ora. Ma quello era il passato.

Avrebbe sempre voluto molto bene a Shinichi, ma mai più a quel modo. Le cose non potevano tornare come prima; capì di non volerlo neanche.

Ciò che era successo tra loro l'aveva cambiata. Era stata un'esperienza dolorosa, ma l'aveva fatta maturare. Non le dispiaceva ciò che era diventata.

Eisuke era una novità. Una persona da scoprire.

Scoprì che era contenta di piacergli, e che un po' le piaceva anche lui.

Non sapeva se quel sentimento sarebbe durato, non sapeva se avrebbero potuto costruire un rapporto. Magari conoscendosi meglio avrebbero capito di essersi sbagliati, di non sapere nulla l’uno dell'altro.

O magari no.

Non poteva saperlo, finché non ci avesse provato.

Gli sorrise incoraggiante.

«Perché te ne sei andato senza dirmi niente?»

Non era un'accusa. Era sinceramente curiosa.

Eisuke scrollò le spalle. Riceveva quella domanda ogni volta che raccontava della sua cotta a un amico. Era stato veramente stupido.

«Me lo chiedo anch'io» rispose evasivo.

Non poteva dare la colpa a Shinichi, alla fine dei conti la scelta sbagliata era stata sua.

«Alla fine di queste vacanze dovrò tornare in America, Ran. Il mio sogno è entrare nella C.I.A.» fece una pausa, dandole il tempo di assimilare l'informazione. «Verrai con me?»

Per la terza volta quella sera, Ran rimase spiazzata.

Considerò seriamente quella proposta.

Si era diplomata un mese prima; avrebbe potuto continuare gli studi all'estero, non sarebbe stato un problema. Era certa che sua madre avrebbe appoggiato la sua decisione e l'avrebbe aiutata a metterla in pratica. Avrebbe anche potuto trovarsi un lavoro lì per contribuire alle spese.

Andarsene significava vedere molto meno suo padre, sua madre, Sonoko e tutti i suoi amici. Ma significava anche diventare più indipendente, staccarsi dall’ombra del passato.

Le cose tra Kogoro ed Eri erano notevolmente migliorate, di recente; magari la sua partenza avrebbe accelerato le cose e sua madre sarebbe tornata a vivere dal marito – non poté impedirsi di sperarlo.

Pensò a Shinichi.

Non ce l'aveva con lui, non più. Voleva vederlo e chiarirci una volta per tutte.

Vide Eisuke giocherellare con le bacchette. Quel gesto spontaneo la fece sorridere. Capì di aver già deciso.

Aveva passato due anni in attesa, solo per uscirne estremamente delusa; stavolta non avrebbe aspettato, si sarebbe tuffata a capofitto.

«Sì».
Eisuke per poco non rovesciò il piatto per terra. Si raddrizzò di scatto sulla sedia, urtando il gomito sul tavolo.

Fa male... Quindi non sto sognando. Possibile?

Trovò lo sguardo sorridente di Ran e capì che era tutto vero.

Gli stava dando una possibilità.

«Non te ne farò pentire, Ran».





 


Angolo Autrice
Uhm...
Che dire. Normalmente non shippo Ran ed Eisuke, ma è stato divertente cimentarmi in questa shot! Spero di non aver pasticciato troppo con l'IC dei personaggi.
Ho cercato fiction su questo pairing per ispirazione, ma niente! Non potevo crederci. Esistono ShihoxSaguru ma non esistono RanxEisuke, che consideravo già più canon... Oh be'. Se per caso ne conoscete, segnalatemele per favore, sarei curiosa di vedere come viene sviluppata la loro relazione da qualcun altro.
Grazie per aver letto questo piccolo delirio, ci vediamo alla prossima coppia Crack!
Un indizio: ci sarà un mantello bianco... ;)
Mari

 

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Capitolo 3
*** Avrò il tuo cuore? ***


abc = passato

abc = presente



Avrò il tuo cuore?

 



Non poté reprimere una smorfia di dolore. Il proiettile l'aveva solo sfiorata, ma sentiva la spalla andarle a fuoco. Non sarebbe resistita ancora a lungo. Doveva assolutamente riuscire ad avvicinarsi all'uomo e disarmarlo, ma era ben più facile pensarlo che metterlo in atto.

Lo vide sganciare il caricatore; non avrebbe avuto un’altra occasione.

Scattò verso di lui il più velocemente possibile per una ragazza ferita, ma non bastò. Quando gli arrivò davanti, pronta a colpirlo, l’uomo aveva già ricaricato l’arma. Stava puntando direttamente alla sua fronte.

“È finita”, pensò disperata.

Fu un attimo.

Un lampo bianco e la pistola volò via dalla presa del suo avversario, che soffocò un’imprecazione di dolore. Lei si riprese abbastanza rapidamente da atterrarlo con un calcio ben assestato. Gli si sedette sopra per impedirne i movimenti e si guardò intorno in cerca del suo misterioso aiutante.

Non vide nessuno, ma notò un oggetto poco distante da lei.

Una carta da gioco bianca con una rosa stampata sopra.

«A cosa pensi, my lady?»

Sentendo l’ormai fin troppo familiare voce di Kaito, Masumi si riscosse. Era tornata, di nuovo, al suo secondo incontro con il ladro. In quell’occasione lui le aveva salvato la vita. Negli ultimi giorni sembrava incapace di pensare ad altro, forse perché il processo all’uomo che l’aveva quasi uccisa si stava protraendo più del previsto. L’innervosiva più di quanto le facesse piacere ammettere.

In ogni caso, Kaito aveva già un ego smisurato di suo; lei non aveva la minima intenzione di contribuire a gonfiarlo. Per celare l’imbarazzo – irrazionalmente, si sentiva colta in flagrante – si mise a bere il frullato alla fragola che aveva ignorato fino a quel momento. Bofonchiò un «Niente» di risposta subito prima di infilare la cannuccia in bocca.

Per tutta risposta l’ex Kaito Kid sorrise maliziosamente. «Vista la tua reazione… Non starai mica ripensando a quando ti ho eroicamente salvato la vita? Di nuovo? Mi lusinghi, Masumi~».

Irritata per essersi lasciata leggere così facilmente, Sera posò nuovamente il frullato.

«Si vede proprio che non sei un detective», improvvisò. «Non stavo affatto pensando a quello».

«Ah, no?» commentò lui, un luccichio divertito negli occhi.

Far scattare Masumi Sera non era un’impresa difficile, ma Kaito Kuroba sembrava esservi particolarmente portato.

Decisa a non dargliela vinta, la ragazza sogghignò a sua volta. «In realtà, pensavo a quell’altra volta… Sai, quando ti ho tenuto inchiodato al muro finché non mi hai svelato il vero motivo per cui indossassi il mantello».

Il ghigno di Kaito s’incrinò. «Ah, quello» disse solo. Non gli piaceva ripensarci.

Il ragazzo, con il gomito della giovane detective puntato alla gola a impedirgli qualsiasi movimento, riuscì in qualche modo a emettere una risata che, però, suonò alquanto forzata.

«È così che ringrazi il tuo salvatore? Non sei molto gentile», tentò.

La ragazza ghignò, mettendo in mostra il dente sporgente.

«Non ti ho ancora consegnato alla polizia, meglio se parli finché puoi farlo».

“Sembra un vampiro”, pensò Kaito di default. «Possiamo accordarci» iniziò, sforzandosi di mantenere la sua poker face.

Compito che non fu affatto facile, quando Sera allontanò il braccio per conficcare un pugno nel muro accanto alla sua testa. Frantumandolo. Il ragazzo si augurò vivamente che la struttura fosse in cartongesso

«Ti ricordo che abbiamo ancora un conto in sospeso, noi due. Il Blue Mermaid ti dice nulla?».

«Se sei così determinata…» si arrese Kaito, riuscendo stoicamente a non far trapelare il suo disagio.

Magari raccontandole la sua storia l’avrebbe persuasa a dimenticare il piccolo incidente per cui, qualche mese prima, l’aveva stordita e spogliata nel bagno dei maschi.

«Bei tempi» sospirò Masumi, un enorme sorriso stampato in faccia. Riprese il suo frullato.

Kaito non commentò, fece apparire “dal nulla” un giornale e iniziò a leggerlo.

Mentre finiva la bibita, Sera si perse a osservarlo.

Ripensandoci, si erano conosciuti in modo a dir poco insolito. Era passata dal volerlo picchiare al dovergli la vita, ad aiutarlo in un paio di furti…

«Tu, interpretare Kaito Kid? Senza offesa, Sera-chan, ma non saresti credibile».

«Questo chi l’ha deciso, tu? Non montarti tanto la testa, maghetto. Qualsiasi trucco tu faccia, sono in grado di svelarlo» controbatté lei, sicura di sé. Gli bloccò la mano. «Non ti sognare nemmeno di addormentarmi con lo spray che nascondi nella manica, caro. Potrei passare dalle buone, in cui mi accordo con te sul mio ruolo in questo furto, allo stenderti con un calcio e fare a modo mio».

La nonchalance con cui lo disse fece rabbrividire Kaito. «O, okay» mormorò, alzando gli occhi al cielo. «Non ho nemmeno ben capito perché mi aiuti. Allora, prima di tutto, mantieni sempre la tua poker face…»

…ad amarlo. Non era certa di come fosse successo, ma tra un’indagine e l’altra – quelli che compivano insieme non erano furti, bensì indagini su un’altra branca dell’Organizzazione, ovviamente – era semplicemente successo.

Si era innamorata di quel ragazzo irritante ma coraggioso e, a modo suo, affascinante.

“Anche un po’ troppo pomposo, a volte”, si disse, intuendo il trucco che stava per adoperare.

Poco dopo, infatti, nel bicchiere ormai vuoto della ragazza spuntò una rosa rossa.

«Una rosa? Sul serio?» commentò scettica. «Mi aspettavo qualcosa di più… originale, per il nostro anniversario».

Kaito s’imbronciò; mise via il giornale.

«Cosa devo fare per stupirti, portarti la luna?»

«Nah, basterebbe un po’ di fantasia in più» replicò lei, ridendo. Mise la mano in tasca per prendere il portafogli e pagare.

«Sei proprio certo di non volere niente? Oggi offro io» insisté Masumi aprendo il portafogli.

«Certissimo». Sembrava in attesa di qualcosa.

«Contento tu» cercò di dire lei, ma s’interruppe a metà. Frugando tra gli spicci si era imbattuta in qualcosa che non avrebbe dovuto esserci.

Un anellino di metallo… con una bianchissima pietra rotonda. Le ricordava la luna piena.

Alzò uno sguardo incredulo sul suo ragazzo, trovando il suo sorriso a trentadue denti a confermarle che era stata opera sua. Come se avesse potuto dubitarne, d’altronde.

«È bellissimo», disse. Lo poggiò sul tavolo. «Cosa significa, Kaito? Ti sei rimesso a rubare?» tentò di scherzare. «Pandora l’abbiamo trovata, ormai».

Sempre sorridendo, Kaito prese l’anello e si alzò, prendendole la mano per costringerla a fare altrettanto. Aveva uno sguardo che Sera non gli aveva mai visto prima.

«Quello che cerco ora mi interessa molto più di Pandora», affermò. «Mi si prospetta una bella sfida, ma mi conosci… sono piuttosto sicuro di me».

«Riuscirò ad avere il tuo cuore, mia cara detective?»

 






Angolo Autrice

Ciao a tutti! Che ne pensate? Sconvolti? ^_^
Ok, temo che la parte finale sia piuttosto banale, ma... Sigh. L'idea di unire Sera e Kaito mi stuzzicava da un po'.
La prossima, se tutto va bene, si incentrerà su una coppia crack ma neanche troppo, diciamo... Un bel misto di alcolici.
Se mi lasciate un parere avrete il mio amore e un biscotto :3
Alla prossima!
Mari

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Capitolo 4
*** Facciamo un gioco? ***


NdA

Le posto all'inizio perché questa OS merita una spiegazione.

Nasce per un contest; quel che dovevo fare era scegliere due personaggi e far sì che rispondessero a trentasei domande. Queste domande costituiscono l'esperimento di uno psicologo, Arthur Aron: tecnicamente servono a instaurare un rapporto forte tra due persone che prima dell'esperimento non si conoscano. Per evitare What if? enormi, il contest non richiedeva che la coppia scelta non si conoscesse.

Io spero che non sia venuta troppo pesante, ma dovendo inserire tutte le domande e le risposte di entrambi è venuta ben più lunga delle mie solite os.

Per quanto riguarda la coppia: mettere Shinichi con chiunque non sia Ran è una sofferenza. Non sono una loro fan, ma neanche sono così sadica da divertirmi nello scoppiarli. Purtroppo era necessario.

Avevo anche pensato, in un primo momento, di utilizzare proprio la ShinRan per il contest, ma non mi convinceva. La maggior parte delle risposte sarebbe stata inutile, quei due si conoscono da una vita e hanno già un rapporto fortissimo. I personaggi che ho scelto si conoscono, ma non così intimamente.

Detto questo, buona lettura - e buona fortuna ai coraggiosi che oseranno l'impresa!





Facciamo un gioco?



Shinichi non aveva davvero voglia d’alzarsi, quella mattina.

Erano tre settimane che non aveva voglia di fare niente.

Tre settimane, ovvero da quando Ran l’aveva lasciato.

Avrebbe studiato all’estero per un anno e prima di partire aveva voluto sciogliere il loro legame.

Resterai sempre importante per me, Shinichi, ma non voglio una relazione a distanza. Soffriremmo entrambi, lo so, l’ho già vissuto quando sei sparito per quell’indagine. Dovremmo andare avanti con le nostre vite, entrambi… forse poi ci ritroveremo.

Aveva protestato, dicendo che stavolta era diverso, che avrebbe potuto andare spesso a trovarla; lei aveva scosso la testa con un’espressione triste.

Se n’era andata.

Da allora Shinichi era caduto in una specie di coma, da cui i suoi amici – Heiji e Shiho principalmente – cercavano in tutti i modi di tirarlo fuori.

Ma neanche i casi che gli sottoponeva Hattori riuscivano a scuoterlo. Certo, si alzava e li seguiva, cercava di distrarsi come volevano. Qual era il senso, però?

Dava una mano in indagini che il detective di Osaka sarebbe stato capacissimo di risolvere anche da solo. Non ne ricavava le soddisfazioni di un tempo.

Se non ci fosse stata Shiho, poi, avrebbe probabilmente passato tutte le giornate a letto. Era lei a buttarlo giù ogni mattina ed era lei a preparargli da mangiare.

Shinichi si sarebbe sentito in colpa… se non fosse stato troppo preso dal crogiolarsi nella sua disperazione. Non riusciva a pensare a niente.

Guardò svogliatamente l’orologio. Erano passate le dieci.

Strano che Shiho non sia venuta, pensò. Fece una smorfia. Ridicolo. Non sono neanche più capace di alzarmi da solo…

Con un immane sforzo di volontà uscì da sotto le coperte.

Non che abbia niente da fare, comunque… pensò mentre si vestiva.

Andò nello studio e scelse un libro. Optò per “Uno studio in rosso”, sebbene lo conoscesse ormai a memoria. Sherlock Holmes era il suo amico di sempre, forse l’unico in grado di distrarlo davvero per qualche ora.

Non era arrivato nemmeno a metà quando sentì suonare il campanello.

Alzò gli occhi dal libro e controllò l’ora. Erano quasi le undici. Forse era Shiho?

Be’, chi altro dovrebbe essere?

Aprì la porta senza controllare dall’occhiello. Sgranò gli occhi dalla sorpresa, trovandosi davanti qualcuno che non era la sua amica scienziata.

«Sera…? Che fai—»

L’inaspettata visitatrice non lo lasciò finire. «Buongiorno! Mi ha mandata Shiho. Oggi aveva un impegno improrogabile» spiegò auto-invitandosi a entrare.

«Era preoccupata che da solo saresti rimasto digiuno a fissare il muro, ma a quanto pare si sbagliava! Ti sei pure vestito!» esclamò allegramente.

Shinichi l’osservava confuso. Non vedeva Sera da un po’. Sentendo la sua spiegazione, però, gli tornò in mente che Shiho aveva accennato alla sua amicizia con la ragazza, una volta.

Per gli standard della scienziata, una menzione poteva anche significare che fosse la sua migliore amica.

Strano, valutò il ragazzo. Non riusciva a capire cos’avessero in comune quelle due.

«Be’? Non parli?»

Ritrovandosi il volto curioso di Sera a un centimetro dalla faccia, Shinichi si riscosse.

«Non c’era bisogno che venissi» riuscì a dire.

Che avrebbe dovuto fare con lei? Non aveva davvero voglia di parlare della sua situazione, considerò con una smorfia. Un’ottima qualità di Shiho era proprio l’essere di poche parole; di Hattori non poteva proprio dire la stessa cosa, ma era difficile sentirlo parlare di sentimenti.

«Perché? Ti dispiace?» commentò Sera, per nulla scoraggiata. «A proposito, sai che stai bene con un filo di barba?» disse ridendo. «Mi ricordi mio fratello».

Shinichi si portò d’istinto una mano sulla guancia, stupito. Non ci aveva fatto caso, ma gli era effettivamente cresciuta un po’ di barba. Radersi era stato l’ultimo dei suoi pensieri, in quei giorni.

Tornò nello studio. «Senti, Sera, ti ringrazio per essere venuta, ma puoi dire a Shiho che non sto così male. Prima del tuo arrivo stavo leggendo—»

Sera, che l’aveva seguito e superato, lo interruppe. «Sì, certo, ti vedo molto allegro in effetti». Si avvicinò alla scrivania e diede uno sguardo al libro lì sopra, ancora aperto. «”Uno studio in rosso”? Ma dai, lo conoscerai a memoria».

«È sempre una lettura piacevole» si difese lui. Ma insomma, che voleva? Non può capirmi, non ha mai vissuto una cosa simile, si disse. Iniziava a irritarsi. «Tu hai qualche proposta migliore?» domandò retorico, sicuro che la ragazza, come lui, non avesse idee su come passare il tempo insieme.

Invece, Masumi sfoderò un sorriso a trentadue denti e tirò fuori un taccuino.

«Assolutamente sì!» rispose, aprendolo. «Ce l’hai un’altra sedia?»

Shinichi non rispose subito, guardando l’oggetto tra le mani della ragazza con vaga curiosità.

«Cos’è?» chiese, avvicinandosi.

«Un gioco» rispose lei, tutta contenta di aver attirato la sua attenzione. «Me l’ha dato Shiho. Ha detto che è una specie di sfida. Va fatto in due; ci sono trentasei domande, entrambi dobbiamo rispondere a tutte, in ordine. Il primo che si rifiuta di rispondere perde».

«Sembra un gioco stupido» commentò Shinichi. Tutta qui, la trovata di Shiho? Una specie di obbligo o verità senza obblighi?

«Non avrai paura di perdere?» lo provocò Sera. Il sorriso evidenziò il suo dente sporgente. «Andiamo, detective, perché no?»

Shinichi guardò il suo libro e sospirò. La lettura era rimandata, a quanto pareva.

«E va bene. Proviamo» acconsentì, senza entusiasmo.

Andò nella stanza accanto e prese un’altra sedia, che portò nello studio e posizionò di fronte alla scrivania. Masumi vi si accomodò, lui fece altrettanto dall’altra parte del tavolo.

I due potevano guardarsi negli occhi.

Sera, sempre esibendo il suo sorriso di sfida, spostò il romanzo e mise il taccuino al centro.

«Attento, se provi a mentire me ne accorgerò» lo avvisò, sicura delle sue doti deduttive.

«Sono anch’io un detective, quindi lo stesso vale per te» replicò lui asciutto. «Allora, qual è la prima domanda?»

Sera lesse ad alta voce: «Chi vorresti avere come ospite a cena, se potessi scegliere tra tutte le persone al mondo?»

«Facile. Sherlock Holmes» rispose subito Shinichi.

Masumi lo guardò con curiosità. «Sul serio? Fra tutte le persone al mondo… tu sceglieresti un personaggio di fantasia?» indagò divertita.

«Perché no? Sarebbe il più grande detective mai esistito. È un modello, per me».

«Ok, ok. Ero solo un po’ stupita». Sera assunse un’aria pensosa. «Io, invece, vorrei i miei fratelli. Soprattutto Shu. Non c’è mai…» mormorò.

«È impegnato con l’FBI» commentò Shinichi. «Gin e un paio di altri membri sono riusciti a scappare in America, è normale che abbia da fare».

Sera sfoggiò nuovamente il suo sorriso allegro. «Certo, lo so! È perché ho un fratello in gamba» esclamò. Il ragazzo si trovò a chiedersi quanto ci fosse di vero in quell’allegria.

«Ok, tocca a me. Ti piacerebbe essere famosa? Per che cosa?» lesse dal taccuino.

«Ma certo! Come detective che usa il Jeet Kune Do. Se diventassi famosa, tra l’altro, nessuno mi confonderebbe più con un ragazzo!» disse. Parve tuttavia ripensarci quasi subito. «Così non potrei più entrare nel bagno degli uomini, però, e mi toccherebbero ore di fila…»

Kudo non riuscì a trattenere una risata. «Davvero è questa la tua preoccupazione?»

Masumi sbuffò, mettendosi sulla difensiva. «Sei un ragazzo, che ne vuoi sapere? E comunque, tocca a te! Vorresti essere famoso?»

Shinichi scrollò le spalle. «Io sono già famoso, a dir la verità».

Sera annuì. «Già, vero. E ti piace?»

«Essere fermato dai fan per strada non è così male. Anche se la notorietà mi ha messo in serio pericolo quando l’Organizzazione mi dava per morto…»

Lei rise. «Fortuna che c’ero io a salvarti» disse.

«Non mi pare tu abbia contribuito poi molto» ribatté Shinichi piccato. «La prossima?»

Sera si sporse per leggere. «Ti capita mai di provare quello che devi dire prima di fare una telefonata? Perché?»

Shinichi ci pensò per qualche secondo. «Quasi mai» disse alla fine. «Quand’ero Conan mi è capitato un paio di volte di provare mentalmente cosa dire a Ran con la mia voce adulta. Finivo sempre per dire qualcosa di diverso, all’atto pratico…»

«La vita non rispetta i piani» commentò Masumi allegramente. Sembrava compiaciuta. «Per questo io non faccio mai nulla del genere. Dico quel che mi passa per la testa, e basta – dicano pure che sono impulsiva, non mi importa!»

«Sì, l’ho notato».

Sera sorrise, mettendo in mostra il canino. L’aveva preso per un complimento.

«Allora» disse Shinichi, avvicinandosi il taccuino. «Com’è un giorno “perfetto”, secondo te?»
«Un giorno in cui passo il tempo con le persone a cui tengo» rispose lei sicura. «I miei fratelli, mia madre o i miei amici».

«È una definizione un po’ vaga. Devi avere un sacco di giorni perfetti, tu».

«Sì, infatti» confermò lei annuendo decisa. «E tu che mi dici?»

Shinichi sospirò. «Dico che vorrei essere così spensierato» mormorò, pensando a Ran. Un giorno perfetto era un giorno passato con lei… anche se, ripensandoci ora, forse neanche questo era così vero. Passava la maggior parte delle uscite con Ran in tensione, con il costante timore di rovinare tutto. O di essere interrotto da qualcuno che conoscevano. Soprattutto dalla loro fatidica uscita al Tropical Land…

Anche quella volta si era sentito così agitato all’idea di avere un appuntamento con Ran che si era messo a parlare di Sherlock Holmes senza un motivo preciso.

Poteva davvero definire quelle giornate piene d’ansia ingiustificata “perfette”?

«Non saprei» disse.

Sera lo stava fissando con curiosità da un po’. Ora assunse un’espressione di sfida. «Ti arrendi già alla quarta domanda?»

«Non mi sto arrendendo, non lo so davvero» si scaldò lui. «Non ci ho mai pensato».

L’espressione di Sera si addolcì… o forse era solo l’immaginazione del ragazzo.

«È meno complicato di quel che immagini. Pensaci; c’è qualcosa che ti fa sentire in pace con te stesso?» chiese. «Naturalmente rispondere “un omicidio” sarebbe di cattivo gusto» aggiunse poco dopo. Shinichi non riuscì a capire se fosse seria o meno.

«Il calcio» rispose dopo un po’. «Anche solo palleggiare mi aiuta a mettere ordine tra i pensieri. E andare allo stadio con i miei amici… immagino».

Lei annuì soddisfatta. «Ora va bene» decise, pronta a passare alla prossima domanda. «Quand’è l’ultima volta che hai cantato tra te e te? E davanti a qualcun altro?»
Shinichi si accigliò. «Sono stonato, o almeno così dicono tutti. Non canto praticamente mai».

«Posso immaginare» mormorò lei, ripensando all’unica volta che aveva lasciato prendere il microfono del karaoke a Conan. Aveva seriamente temuto per i suoi timpani, allora. «Non pensare di cavartela così facilmente, però! Quand’è l’ultima volta che hai cantato davanti a qualcuno?»

Shinichi, refrattario al confessarlo, resse lo sguardo di Masumi per qualche secondo. Poi sospirò e si arrese. «Un mese fa, al compleanno di mia madre. Ho cantato tanti auguri insieme agli altri».

Non scoppiare a ridergli in faccia costò alla ragazza uno sforzo non indifferente, ma ci riuscì.

«Io invece ho cantato tra me e me ieri, sotto la doccia. E davanti a qualcuno… mh… circa tre settimane fa, al karaoke con Sonoko e Ran, direi».

Shinichi s’incupì. Non cercò nemmeno di nasconderlo.

Sera se ne accorse, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa il detective afferrò il taccuino. «Se tu avessi la possibilità di vivere fino a novant’anni mantenendo la mente o il corpo di un trentenne per gli ultimi sessanta anni della tua vita, quale sceglieresti tra i due?»

Shiho mi aveva chiesto di non farlo pensare a Ran, si ricordò Sera, dandosi mentalmente della sciocca. Non sapendo come altro rimediare, decise che andare avanti con il gioco – chissà da dove l’aveva tirato fuori, comunque, la scienziata! – sarebbe stata la cosa migliore per distrarlo.

«Domanda interessante. Direi la mente; il Jeet Kune Do mi aiuterà a tenere in forma il corpo, comunque. Tu dovresti preoccupartene un po’ di più, invece» lo punzecchiò.

Lui fece una smorfia disgustata. «Dopo la storia dell’APTX, di restare giovane non voglio più nemmeno sentirne parlare. Ben vengano le rughe! Come detective preserverei la mia mente, è naturale».

«Hai ragione» commentò Sera ridendo. «Ora mi passi il taccuino, giovane detective

«Non posso semplicemente leggerle tutte io?» replicò Shinichi, restio a cederlo. Voleva terminare in fretta.

Lei scosse la testa con energia. «Così dimezzi il divertimento! Dammelo, dai» l’esortò.

Con uno sbuffo, glielo porse. La ragazza lo prese ed esibì un’espressione di trionfo.

Sbirciò la settima domanda e inarcò un sopracciglio. «Preparati, la prossima è un po’ cupa».

«Sono tutt’orecchi» rispose lui atono.

Sera alzò gli occhi al soffitto, annoiata dal suo atteggiamento. Pazienta, Masumi, pazienta… L’hai promesso a Shiho... «Hai un presentimento segreto sul modo in cui morirai?» lesse.

«Che allegria. Sul serio, che razza di gioco mi hai portato?»

«Non evadere la domanda».

«No. Coinvolto in qualche caso, magari».

«Ah sì? In effetti sei piuttosto inerme, senza le tue scarpe speciali. Se vuoi ti posso dare qualche lezione di autodifesa!» si propose entusiasta.

«No, grazie» replicò piatto Shinichi.

«Come vuoi, peggio per te» rimarcò Sera con un’alzata di spalle. «Io che so difendermi, invece, morirò di vecchiaia, probabilmente. Ti prometto che scoprirò il tuo assassino, se verrai ucciso».

«Non so come ringraziarti» replicò Shinichi, sorridendo suo malgrado. Le continue battute di Sera gli rendevano difficile restare troppo serio. Certo che il suo senso dell’umorismo era strano, comunque. Scherzare sulla sua morte… Scosse la testa. Si vede proprio che siamo due detective.

«A te!» esclamò lei lanciandogli il taccuino. Riuscì a prenderlo solo grazie ai suoi riflessi allenati.

«Sei impazzita?!»

«Dai, leggi, che non ho tutto il giorno». Gli fece una linguaccia.

«Sai essere più infantile di tanti bambini, sai? E te lo dice uno che fino all’anno scorso li frequentava abitualmente».

«Non sono certa che smettere di vederli ti abbia fatto bene» fu la replica inaspettatamente seria di Masumi. «Sai che Shiho gioca con loro dal professore, a volte? Ha costruito un bel rapporto soprattutto con Ayumi. Penso la veda un po’ come una sorellina minore».

Sentendosi preso in contropiede, l’osservò cercando di capire se stesse scherzando o meno.

«Questo cosa c’entra con me?»

«Lascia perdere. La domanda?»

Lui la guardò torvo, ma non insisté. «Elenca tre cose che tu e il tuo partner sembra abbiate in comune» lesse. «Il tuo partner sarei io, immagino?»

«Credo di sì» confermò lei. «Non ne ho altri, comunque. Sentiti onorato!» scherzò strizzandogli l’occhio. «Allora, abbiamo in comune l’essere detective, tanto per cominciare. Poi, uhm… il colore dei capelli, e… vediamo… ci sono!» mise nuovamente in mostra il canino. «Siamo entrambi giapponesi!»

«Direi praticamente le stesse cose, no?»

«Non ci provare nemmeno! Prova a pensarci. Cos’abbiamo in comune?»

Ran, pensò tristemente Shinichi. Sul serio, devo smetterla. Devo.

«Abbiamo la stessa età, siamo detective ed entrambi abbiamo visto più cadaveri di quanto sia normale a nemmeno vent’anni» affermò.

Lei fece un cenno d’assenso. «Ti faccio passare l’avermi copiato un punto, ma solo per stavolta» concesse con misericordia.

Shinichi sorrise ironico. «Non potrò mai ringraziarti abbastanza!» disse, passandole nuovamente il blocco.

«Pronto o no, io vado!» esclamò lei accettandolo. «Per quali cose della tua vita ti senti più fortunato/grato?»

Con uno sforzo di volontà, respinse il nome di tre lettere che assillava i suoi pensieri degli ultimi ventuno giorni – per non dire di sempre. «Per essere sopravvissuto all’APTX» si costrinse a dire. «E per aver incontrato Haiba— voglio dire, Shiho. Senza di lei non sarei mai tornato normale».

Mi nascondi qualcosa? pensò Sera, ma non indagò. Un’idea di ciò che avesse omesso ce l’aveva.

«E tu?» l’incalzò Shinichi.

«Sono grata per aver incontrato un certo mago, più di dieci anni fa».

Lui piegò la testa confuso. Ancora con la storia del mago? Sera l’aveva chiamato così più di una volta, ma non era mai riuscito a farsi spiegare perché.

Si scambiarono per l’ennesima volta le domande annotate da Shiho.

«Se tu potessi cambiare qualcosa del modo in cui sei stato cresciuto, quale sarebbe?» lesse Shinichi.

Sera rispose quasi in automatico. «Sarei voluta crescere con mio fratello Shu vicino» disse. «Chissà cosa sarebbe successo in questo caso, però. Magari non mi avresti incantata allo stesso modo, quella volta in spiaggia» aggiunse in un sussurro, rivolgendosi più a sé stessa che al ragazzo.
Shinichi non commentò la sua risposta. «Non saprei. Non ho avuto una brutta infanzia» affermò pensoso. «Cambierei l’ostilità di Kogoro nei miei confronti, probabilmente».
Avvertendo l’argomento Ran di nuovo pericolosamente vicino, Sera si affrettò ad andare avanti. «Prenditi quattro minuti e racconta al tuo partner la storia della tua vita il più possibile in dettaglio» lesse. «Questa sarà impegnativa».

«Quattro minuti? Cavolo. Buona parte della mia storia la conosci già» tentò Kudo.

Lei fece segno di no con l’indice. «Non ci provare. Voglio sapere tutto, o perdi la sfida».

«Non puoi dire sul serio…» Shinichi sospirò. «E va bene».

«I miei genitori non sono esattamente persone normali. Mia madre è un’attrice esperta di travestimenti, ha imparato da un prestigiatore; è inoltre fissata con l’essere giovane, se l’appelli nel modo sbagliato incorri nelle sue furie, e non è piacevole, te l’assicuro. Mio padre, invece, è un genio del delitto. Collaborava spesso con la polizia, risolvendo i casi più complessi. È poi passato a scrivere romanzi gialli. Puoi figurarti, credo, che infanzia potevo avere con queste premesse» qui Shinichi fece una pausa per riprendere fiato. «Ho preso la passione per i gialli da mio padre, e sempre da lui ho imparato le basi del ragionamento logico. Da lui e da Sherlock Holmes. Il primo caso in cui mi sono imbattuto da vicino è stato all’asilo: lo ricordo molto vagamente, ma c’era un maestro che ha cercato di rapire Ran» si sforzò per non far incrinare la voce mentre pronunciava il suo nome. Deciso a continuare, fissò Sera negli occhi. «Crescendo i casi sono solo aumentati, ovviamente. Al secondo anno di liceo collaboravo abitualmente con la polizia, l’ispettore Megure in particolare. Mi ero fatto un nome come detective liceale; certo la fama dei miei genitori aveva aiutato. Loro, intanto, si erano trasferiti all’estero per motivi di lavoro. I miei punti di riferimento divennero Ran e il Dottor Agasa, di conseguenza».

Qui Masumi lo interruppe. «Senza offesa, non sono stati un po’ incoscienti i tuoi genitori? Avevano proprio bisogno di trasferirsi?»

Shinichi fece spallucce. «La libertà non mi è dispiaciuta. Tornando a noi; in seconda liceo, appunto, ero già famoso quando un giorno sono andato con Ran al Tropical Land. Dovevamo festeggiare la sua vittoria in un torneo, o qualcosa del genere» realizzò con stupore che parlarne gli faceva bene. Negli ultimi giorni aveva trattato “Ran” come argomento tabù, temeva che parlarne l’avrebbe solo fatto soffrire di più, come mettere sale su una ferita.

Ora scoprì che era l’esatto contrario; parlarne era catartico. Rassicurato, continuò.

«Mi imbattei in due loschi individui; avrei scoperto solo molto più tardi che si trattava di Gin e Vodka, due membri di una pericolosa organizzazione. La conosci bene, non mi ci dilungo. Gin mi fece ingoiare una pillola: l’APTX4869, come scoprii molto dopo. Doveva uccidermi, ma non fu questo l’effetto sortito. Mi rese Conan Edogawa».

«Che pausa teatrale» sussurrò Sera. Era più o meno tutto come l’aveva immaginato. Shinichi le spiegò in breve come aveva deciso di gestire le indagini nei primi tempi. Arrivato al suo incontro con Sera, si fermò. «Quattro minuti sono passati, direi. Forse anche cinque. Da qui la storia la conosci bene».

Masumi sorrise. «Già. Ora vuoi sapere la mia, immagino?»

Un lampo di curiosità guizzò nelle iridi del ragazzo. Non aveva mai ascoltato la storia di Sera nel dettaglio, ne conosceva solo frammenti slegati. «Mi piacerebbe, sì. A meno che tu voglia cedermi la vittoria» la sfidò con un ghigno.

Era strano come si sentisse già molto più leggero rispetto a solo venti minuti prima.

«Sfida accettata» replicò lei, soddisfatta per il cambiamento avvenuto nel ragazzo. Aprirsi gli faceva bene, dedusse.

«Sappi che la mia storia è più interessante della tua, tanto per cominciare. Anche perché ho due fratelli!»

«Sì, sì. Ti ascolto».

«Allora. I miei vivevano in Inghilterra! Non ho mai conosciuto mio padre, sparì poco prima della mia nascita. Lasciò scritto a mia madre di far finta che non esistesse, di sparire. Lei seguì il consiglio e si trasferì in Giappone, dove sono nata. Mio fratello maggiore, però, si trasferì in America per studiare. Parlo di Shu, ovviamente. Aveva già deciso di entrare nell’FBI, cosa che a mia madre non sarebbe piaciuta per niente… ma questa è un’altra storia. La prima volta che l’ho visto è stato al mare. Ero così in soggezione… lui non mi considerava per niente» ammise, con un’espressione quasi nostalgica. «Tentai di farlo ridere in tutti i modi, senza riuscirci affatto. Ci riuscì, però, qualcun altro…» raccontò fissandolo.

Ci fu un attimo di silenzio.

Shinichi ricordò vagamente la sua deduzione su Akai; l’aveva accusato di essere un clown, Pierrot… arrossì al pensiero. Non capiva, però, dove volesse arrivare Sera. «Non continui?»

Lei sospirò. Proprio non ci arrivi, Mago?

«Be’, la tua sfortuna colpì anche quel giorno. Un auto precipitò in mare, l’uomo al volante morì. Era un ladro di gioielli, tu e mio fratello – con l’aiuto di Shukichi – arrestaste la complice. Tu mi dimenticasti, lo so, ma a me quell’incontro restò vividamente impresso. Anche oggi riesco a rivederlo nitidamente» disse, chiudendo gli occhi con un’espressione beata.

Quando li spalancò di colpo, a Shinichi per poco non venne un infarto. Lei riprese il racconto e gli spiegò di come, intrigata dall’abilità di Shuichi, avesse iniziato a frequentare un dojo dedicato al Jeet Kune Do. Qualche anno dopo, lei e sua madre si erano trasferite in Inghilterra. Riassunse rapidamente come avevano finito per imbattersi nell’organizzazione nonostante tutte le precauzioni prese e di come fossero tornate in Giappone per trovare una cura all’APTX ingerita da Mary e distruggere gli uomini in nero una volta per tutte.

Guardò l’orologio. «Quasi superavo anch’io il limite di minuti» commentò tranquilla. «A proposito, è quasi mezzogiorno. Che dici, ultima domanda e ci mangiamo qualcosa? Possiamo proseguire dopo» propose.

«Per me va bene» accettò lui. Le passò il taccuino.

«Se potessi svegliarti domani avendo acquisito una qualità o un’abilità, quale sarebbe?» lesse Sera. «Questa mi piace!» esclamò allegra.

«Ti piacciono tutte» replicò lui.

«Questa mi piace particolarmente, allora. Che abilità vorresti?»

«Non saprei. Forse…» Shinichi s’incupì di nuovo. «Leggere nel pensiero della donna che amo».

Non si aspettava nessuna reazione in particolare, ma certo non quella che effettivamente ottenne.

«Stupido!» esclamò Sera, alzandosi in piedi. «Che gusto ci sarebbe così? Andiamo, è la richiesta più sciocca che abbia mai sentito» dichiarò.

«Scusa tanto» si difese, debolmente, Shinichi. «Tu che magnifica abilità vorresti, allora?» chiese, alzandosi a sua volta. Si sfidarono a suon di sguardi per un minuto buono.

«Poter mangiare quanto voglio senza sentirmi sazia» disse alla fine, cercando di mantenersi seria.

Il ragazzo scoppiò a ridere, senza nemmeno provare a trattenersi. «Sicura che sia io lo stupido qui?»

Masumi s’imbronciò. «Veloce lo sono già, forte anche, intelligente pure… Non è colpa mia se non mi manca niente» si giustificò. «Tanto vale approfittarne per assaggiare cibi squisiti, allora, no?»

«Certo più utile che chiedere autostima, nel tuo caso» ribatté lui divertito. Riguardo alle sue doti, però, non aveva tutti i torti.

«Sempre meglio di un detective che vorrebbe facilitarsi il lavoro» sottolineò lei stizzita.

«A proposito di deduzioni; sono pronta a scommettere che hai il frigo vuoto».

Masumi vinse la scommessa; nessuno dei due aveva molta voglia di uscire, così finirono per ordinare a domicilio.

Sera insisté per provare, già che c’erano, il locale italiano che aveva da poco aperto nelle vicinanze; scelsero quindi una pizza ognuno, marinara per lui e quattro formaggi per lei.

Pranzando chiacchierarono un po’.

«Come mai Shiho ha mandato proprio te?»

Masumi restò con una fetta di pizza a mezz’aria, stupita da quella domanda. Scoppiò a ridere. «A chi doveva chiedere, a Sonoko?» rispose d’istinto. Posò la fetta nel piatto e studiò l’espressione del ragazzo. «Perché? Ti dispiace avermi intorno?»

«No» disse Shinichi. «Ammetto che, sì, quando ti ho vista entrare ero un po’ perplesso, ma non sto male con te. Ero solo curioso».

«Mh». Sera si versò da bere. «Pronto a riprendere?»

Shinichi si alzò con un sospiro. «Non mi sono rimasti ancora molti segreti» disse, mentre tornavano nello studio.

«Se potessi vedere in una sfera di cristallo la verità su te stesso, la tua vita, il futuro o qualsiasi altra cosa, che cosa vorresti sapere?» chiese Sera, leggendo dal taccuino. Avevano ripreso le stesse posizioni di prima.

Non dovette pensarci molto.

«Come si trova Ran dov’è ora…» lo disse talmente piano che Masumi quasi non capì. Si rabbuiò. «Shinichi». Il detective la fissò. Lei continuò: «So come ti senti. Davvero. Ma devi reagire, non puoi continuare a far girare la tua vita attorno a Ran».

Lui sorrise ironico. «Perché no?»

Sapeva benissimo che Sera aveva ragione, ma non aveva voglia di sentirselo dire. Ran avrebbe abitato i suoi pensieri ancora molto a lungo, ne era certo. Probabilmente era giusto così.

«Ci sono un milione di motivi» rispose Masumi, serissima. «Per te, per gli altri. Pensi che sia bello vederti ridotto così, per chi ti sta intorno?»

Quell’affermazione lo colpì; non era proprio la risposta che si aspettava. Gli tornarono in mente le espressioni abbattute che aveva scorto in Shiho e Heiji nei giorni passati. Non si era fermato a rifletterci, prima, ma li aveva fatti soffrire. Tenevano a lui, erano preoccupati.

Si sentì improvvisamente in colpa.

Loro non me l’avrebbero mai fatto pesare, si ritrovò a pensare. Lei sì.

Resse lo sguardo accusatore di Sera. Era delusione, quella che vi leggeva? Scosse la testa.

Non so se fosse voluto, ma hai scelto la persona giusta, Shiho. Si sforzò di sorridere e glissò.

«La tua risposta?»

Sera accettò il cambio d’argomento con uno sbuffo. Si portò una mano sotto al mento, riflettendo con un’espressione serissima.

«Qual è il ristorante più buono della città» decise alla fine.

Dire che Shinichi rimase a bocca aperta è poco. Si astenne dal commentare, però.

Tossicchiò. «Bene, allora tocca a me». Prese l’oggetto che li impegnava ormai da ore e cercò la quattordicesima domanda. «C’è qualcosa che sogni di fare da tanto tempo? Perché non l’hai fatto?»

Stavolta Masumi fece l’unica cosa che il grande detective non si sarebbe mai aspettato; arrossì.

Non perse la sua occasione per punzecchiarla, immaginando che fosse qualcosa d’imbarazzante. Fino a quel momento aveva pensato fosse impossibile imbarazzarla, visto che la ragazza davanti a lui non si faceva problemi a entrare nel bagno degli uomini per evitare la fila, ma il suo rossore parlava chiaro. «Qualche problema? Vuoi ritirarti?»

Lei mormorò qualcosa d’incomprensibile.

Le labbra di Shinichi s’incurvarono in un ghigno sadico. Si portò una mano all’orecchio, come per amplificare il suono. «Scusami? Non ho sentito».

Sera alzò lo sguardo, chiedendosi nuovamente dove diamine avesse trovato quelle domande Shiho. Inspirò a fondo per calmarsi. In fondo erano proprio domande come quella a rendere tutto più divertente, no?

Ignorò il ghigno di Shinichi e si fece coraggio.

«Mi piaceva un ragazzo, ma… lui era, è, cotto di un’altra» ammise alla fine. «A volte vorrei solo gridargli quanto sia stupido» aggiunse dopo un po’, senza guardarlo.

Kudo la fissò, colpito da quella confessione. A Sera piaceva un ragazzo…? Non l’avrebbe mai indovinato. Non aveva mai accennato niente del genere a Sonoko e Ran, almeno non in presenza del piccolo Conan. Possibile che quelle due fossero state tanto brave nel proteggere il suo segreto?

Ne dubitava. Non Sonoko.

Aveva spinto Sera ad aprirsi, ma non si era aspettato questo. Ora non sapeva bene che dire.

«Dovresti provarci, credo…» disse alla fine. «Prima di perderlo per sempre».

Masumi rise. «Non mi ha mai considerata» affermò scrollando le spalle. «Non importa, davvero».

Le parole che gli aveva detto solo poco prima gli risuonarono in testa; “So come ti senti”. Non le aveva davvero considerate, pensando fossero solo frasi di circostanza… ma si trattava di questo? Anche Sera soffriva d’amore?

Lui, ovviamente, non se n’era accorto. E sarei lo Sherlock Holmes del terzo millennio, pensò con amarezza.

«Se posso aiutarti in qualche modo…» provò, senza sapere realmente che dire. Magari conosceva il ragazzo in questione?

Sera scosse la testa. «Va bene così» decretò. «Piuttosto, tocca a te rispondere».

Riluttante ma sollevato allo stesso tempo, Shinichi ci pensò. «Qualcosa che sogno da molto tempo…» mormorò tra sé.

Molti dei suoi sogni li aveva realizzati, in un modo o nell’altro.

Era stato a Londra, al 221B di Baker Street. Si era dichiarato a Ran. Aveva riottenuto il suo corpo.

Non era rimasto molto, che desiderasse da “tanto tempo” e ancora non avesse tentato.

«Svizzera» sussurrò alla fine.

«Eh?»

«Vorrei andare in Svizzera, alle cascate di Reichenbach» spiegò Shinichi. Lì ancora non c’era stato.

Sera scoppiò a ridere. «Che mi aspettavo?» domandò più a sé stessa che a lui. «È davvero importante per te, Sherlock Holmes. Il detective della patria di mia madre».

Lui annuì. «Sì, lo so» rimarcò stranamente serio.

Il sorriso della ragazza si allargò. «Sarai mica invidioso, Kudo?» scherzò.

Lui mise su un broncio, stando al gioco. «No, ma certa gente non si accorge della sua fortuna».

«Certo, certo» mormorò lei cercando la domanda successiva.

«Qual è il traguardo più importante che hai raggiunto nella tua vita, o il tuo più grande risultato?»

Shinichi esibì la sua espressione più fiera. «Non per vantarmi, ma non sono molti i ragazzi della nostra età che possono gloriarsi di aver contribuito a incastrare un’organizzazione con installazioni in tutto il mondo. In quest’operazione sono stato a dir poco fondamentale».

Sera vide oltre il suo tono, però. Tutto quel discorso era stato fatto senza passione, quasi per dovere, o almeno così le era sembrato. Cercò di strappargli una reazione un po’ più vera.

«Che c’entri tu? Ha fatto tutto Conan» lo prese in giro. «È solo un bambino, ma è parecchio sveglio. Più di te».

Lui sorrise con amarezza. «Già, tendo ad assumermi i suoi meriti». Non aveva davvero voglia di pensare all’organizzazione; non riusciva a fare a meno di pensare che, forse, se non fosse diventato Conan non avrebbe perso Ran. Aver sconfitto l’organizzazione gli sembrava un po’ inutile, da tre settimane a quella parte.

Era conscio della stupidità di quei pensieri, ma c’era poco da fare: li aveva ugualmente.

Masumi colse l’atmosfera e lasciò perdere. Il suo mago sapeva essere così testardo… anche lei, ma questo era un altro discorso.

«Io ho vinto ogni torneo di Jeet Kune Do a cui ho preso parte» annunciò soddisfatta.

Il detective tornò al presente. «E quanti sarebbero?»

«È un segreto» rispose lei con una linguaccia. Non voleva ammettere che per la maggior parte si erano svolti quando era alle medie.

Shinichi la squadrò con sospetto. «Quali sono le cose che per te contano di più in un rapporto di amicizia?» lesse la domanda seguente, decidendo di non insistere.

Stavolta Masumi non dovette pensarci molto. «La sincerità» rispose. «Anche se non sempre me la sono potuta permettere».

«La fiducia» disse invece Shinichi.

Calò un breve silenzio. Quella domanda aveva risvegliato spiacevoli sensi di colpa in entrambi i ragazzi.

Sera si riprese per prima e afferrò il taccuino. «Qual è il tuo ricordo più caro?»

Non lasciò a Shinichi il tempo di rispondere, però; «Sembri un peperone» rimarcò ridendo.

Se fosse stato possibile, il volto del ragazzo si sarebbe colorito ulteriormente. Non ribatté.

«Kyoto…»

Lei tornò seria. «Kyoto?» ripeté. Sorrise comprensiva; ma certo. Avrebbe dovuto aspettarselo.

Non gli chiese nemmeno a cosa si riferisse: era fin troppo palese. Era a Kyoto, durante il viaggio scolastico, che Ran gli aveva dato la sua “risposta” alla dichiarazione, baciandolo sulla guancia.

«Il mio è la prima volta che ho visto Shuichi ridere» rivelò. Sorrise mettendo in mostra il canino. «Non lo trovi buffo? Siamo entrambi presenti nel ricordo più caro dell’altro».

«È vero» confermò Shinichi, senza nascondere la sorpresa. «Curioso».

Lei alzò un sopracciglio. «A che pensi, detective? È solo una coincidenza».

«Sì, è che…» iniziò lui. Non sapeva come spiegarlo, quindi lo disse e basta. «Non credo alle coincidenze».

Contro le sue aspettative, Sera non lo prese in giro; solo, «Io sì» ribatté.

«Non è logico».

«Averti incontrato in spiaggia per poi rimanere coinvolta, dieci anni dopo, nel tuo stesso caso come lo chiami?»

Shinichi si stizzì, non sapendo come controbattere. Afferrò il taccuino.

«Qual è il tuo ricordo peggiore?»

Sera strinse le labbra. «Quando mi hanno comunicato la morte di Shuichi».

Non c’era molto da commentare.

«Aspetto la tua risposta, Kudo» l’esortò lei sfoggiando un sorriso.

Shinichi pensò che sembrava una tigre pronta a mangiarti alla prima mossa falsa.

«Il mio ricordo peggiore» ripeté assorto.

Sarà sicuramente il momento in cui Ran l’ha lasciato, rifletté Sera. Forse avrebbe dovuto fargli saltare quella domanda? E come?

«Quella sera al Tropical Land».

La ragazza ci mise un po’ a metabolizzare la risposta. «Eh?» le sfuggì per la sorpresa.

La sua deduzione si era rivelata errata.

«Il mio scontro con Gin e Vodka. La sera in cui ho ingerito il farmaco che mi ha reso Conan. Non mi sono mai sentito tanto impotente come allora…» fece una pausa. «Ho provato qualcosa di simile solo tre settimane fa» aggiunse, senza guardarla.

Ah, ecco. Masumi annuì. «Ti capisco».

Shinichi sbuffò. «Ne dubito».

«Scusami?»

«Pensi davvero di sapere cosa si prova a scoprire di essersi rimpiccioliti

Il tono del ragazzo, sicuro al punto di non ammettere repliche, l’infastidì. «Mia madre l’ha sperimentato, ti ricordo».

«Lei, non tu».

Sera incrociò le braccia. «E va bene, continua pure a sentirti incompreso allora. Ti fa star meglio?»

«No» rispose Shinichi, dopo un po’. «Scusa se ti ho offesa. Non è un argomento facile».

«Mhh, certo. Vai avanti, leggi pure» liquidò la questione Sera. Forse avrebbe dovuto scusarsi a sua volta… ma non lo fece.

«Se tu sapessi che entro un anno improvvisamente morirai, cambieresti qualcosa del modo in cui stai vivendo? Perché?» lesse Shinichi con tono incolore. Incurvò le labbra. «Allegra».

«Vivo la mia vita al massimo, quindi no, non penso che cambierei niente» rispose tranquilla Masumi.

«Non ti confesseresti nemmeno in questo caso?»

Lei fece un sorriso triste. «Sarebbe un po’ egoista, non trovi? Svelare il mio amore avendo poco tempo da vivere».

Shinichi la fissò. A volte Sera pronunciava inaspettate perle di saggezza, sorprendendolo. «Forse hai ragione».

«Io ho sempre ragione. Tu cambieresti?»

«Non so. Probabilmente no» rispose Shinichi, dopo qualche attimo di riflessione. «Presterei più attenzione ai miei amici, magari».

«Risposta interessante, vista la prossima domanda» commentò lei. «Che cosa significa l’amicizia per te?»

«Avere qualcuno su cui so di poter contare, che a sua volta può contare su di me».

«Come sei filosofico» disse Sera. «Per me significa stare bene con qualcuno».

«Anche, ovviamente».

«Non mi rubare le risposte!» l’ammonì lei ridendo. Gli passò il blocchetto.

«Che ruolo hanno nella tua vita l’amore e l’affetto?» lesse Shinichi. «Senti, è da prima che ci penso; davvero non sai da dove vengono queste domande? Ce ne sono alcune davvero assurde».

«Sono abbastanza d’accordo, ma definisci assurde» ribatté Masumi.

«La domanda che ho appena letto ti sembra adatta a un gioco? E non è certo l’unica».

Sera fece spallucce. «Te l’ho già detto, me l’ha dato Shiho. Non ho idea di quale sia la fonte».

«Cioè potrebbe essersele inventate?»

Masumi rise. «Andiamo, non è così sadica…» Cadde il silenzio. «Credo…» tossicchiò. «Insomma! Stai cercando di abbandonare la sfida?»

«No» rispose Shinichi. «Stavo solo… non importa. Rispondi pure».

Masumi si fece ripetere la domanda. «Dunque, l’amore e l’affetto… non so bene come rispondere. Sono importanti, immagino. Mia madre non è molto brava a mostrarli. Non lo è quasi nessuno, nella mia famiglia, in realtà» ammise imbarazzata. «Quindi ne ricevo più che altro dai miei amici».

Shinichi rabbrividì ricordando Mary, la madre di Sera. Non l’aveva vista spesso, ma quelle poche volte erano bastate ad inquadrarla come persona piuttosto fredda.

«Io da mia madre ne ricevo anche troppo, d’affetto» disse.

«Ma se non c’è mai».

«Appunto, sospetto che quando viene cerchi di compensare».

Masumi sorrise. «Non dovresti lamentartene, sai?»

Non attese una sua risposta. Lesse il punto successivo ed emise un verso di stupore.

«Che c’è?» indagò Shinichi incuriosito.

«Non è una domanda» spiegò Sera. «La 22 è un’indicazione».

«Sentiamo» l’esortò lui.

«Elencate alternandovi cinque caratteristiche positive dell’altro» lesse ad alta voce Sera. Mise su un broncio. «Così non vale, sei troppo avvantaggiato».

Shinichi sorrise. «Scusa tanto, Miss Autostima. Non è colpa mia se sei così perfetta…»

«Comincio io» decise Masumi. «Sei intelligente – quando vuoi, s’intende».

«Quand’è che non lo sarei?»

«Non divagare ed elenca» ordinò Sera divertita.

«Sei un’inguaribile ottimista» affermò Shinichi.

«Grazie».

«Vedi? Hai dato per scontato che fosse un complimento».

Per tutta risposta al detective arrivò un calcio da sotto la scrivania.

«Sei alto» disse Sera, trattenendo una risata. Valeva come caratteristica positiva? Chissà.

Shinichi l’accettò, comunque. «Sei sveglia; hai delle buone intuizioni».

«Somiglia al mio sei intelligente, ma d’altra parte è vero, non posso farci niente».

Ignorò l’occhiata scettica del ragazzo e continuò. «Sei ricco, a giudicare da questa casa».

Il sopracciglio del detective si alzò ulteriormente. «Davvero non hai trovato niente di meglio?»

«Non farmi il terzo grado; tocca a te!»

Lui sbuffò. «Sei carina» disse infine. Il suo sguardo era misteriosamente finito sugli scaffali alla sua destra, il che gli impedì di notare l’improvviso aumento di colore sulle guance di Masumi.

«Anche tu non sei male, d’aspetto» concesse lei.

Shinichi tornò a guardarla negli occhi. «Sei forte. È quasi scontato, con la famiglia che ti ritrovi, ma comunque lo sei».

Lei stavolta sorrise soddisfatta. «Già. Tu sei molto bravo nel gioco del calcio, invece».

Ne mancava solo uno; Shinichi si prese qualche secondo per pensare.

«Sei onesta» ammise. «Lo apprezzo molto».

Quell’ultima frase le fece stranamente piacere. Il cuore le batté un po’ più forte.

Gli passò il taccuino senza commentare.

«Hai un rapporto stretto con la tua famiglia? Pensi che la tua infanzia sia stata più felice della media?»

Sera sorrise. «La mia non è proprio una famiglia normalissima, come sai... Per quanto riguarda la mia infanzia, non voglio lamentarmi, ma è stata piuttosto complicata. Non la definirei più felice della media».

Shinichi annuì. «Più felice non saprei, probabilmente più facile, per quanto riguarda me. I rapporti con i miei sono un po’…» fece una pausa. Era difficile definire cosa provasse per i suoi genitori; si erano trasferiti all’estero, lasciandolo a vivere da solo in un’età abbastanza delicata, eppure tenevano molto a lui. Sapeva di poter contare su di loro e da Conan era ricorso più volte al loro aiuto, ma non erano tra le persone con cui si sarebbe confidato per problemi personali.

Non li aveva nemmeno avvertiti che Ran l’aveva lasciato. «Particolari» decise alla fine. «Per me ci sono, ma per quanto mia madre sia un’impicciona non vado mai troppo sul personale con loro».

«Capisco».

Sera recuperò le domande. «Questa è più specifica» annunciò; «Che rapporto hai con tua madre?»

Shinichi sospirò. «Un po’ ripetitivo, questo gioco. Abbiamo un rapporto non troppo stretto, visto che non c’è mai, ma non posso neanche dire che sia distante. Non saprei spiegarlo meglio» disse.

«Va bene. Per quanto riguarda me… Che dire, quante persone possono dire d’aver visto la madre in un corpo di bambina? Abbiamo un rapporto piuttosto stretto. Con Shu dato per morto e Kichi lontano, abbiamo collaborato fianco a fianco per mesi» spiegò Masumi. «Sebbene la situazione non fosse proprio felice, è stato bello».

Kudo si alzò. «Vuoi qualcosa da bere?» chiese, diretto in cucina. Aveva la gola secca.

«Hai del succo di frutta?»

«No» rispose lui ridendo. Sera non sarebbe mai cambiata: poteva essere serissima, se richiesto, ma conservava dei tratti infantili che lo lasciavano spesso incredulo. Era carina, in quei momenti.

Carina? si ripeté stupito. Non l’aveva mai vista sotto quest’aspetto prima.

Non aveva mai considerato nessuno carino, se non Ran. Mentre aspettava che l’acqua nel bollitore si scaldasse a sufficienza si rese conto che iniziava ad avvertire Sera, no, Masumi, molto più vicina rispetto già solo al giorno prima.

In quelle poche ore avevano esplorato vari aspetti dell’altro, quasi senza rendersene conto, cimentati nel gioco.

Un gioco ben strano… Dovrò chiedere a Shiho dove l’ha pescato, decise.

Tornò da lei con due tazze fumanti. «Non è succo, ma forse può piacerti ugualmente».

Lei sbuffò. «Fuori si muore di caldo e tu mi offri del tè bollente. Non sai proprio farci con le ragazze, Kudo» si lamentò. Al ragazzo restò il dubbio: scherzava o no?

Dovrei smetterla con questi pensieri assurdi.

«Qual è la prossima domanda?» chiese sedendosi.

«Ognuno dica tre frasi con il “noi”. Per esempio: “Siamo entrambi in questa stanza e ci sentiamo…”» lesse Sera smettendo per qualche secondo di soffiare sulla tazza che, nonostante le lamentele, aveva accettato.

«Siamo entrambi in questa stanza, stiamo bevendo del tè e stiamo facendo uno strano gioco» disse Shinichi.

«Siamo entrambi detective, siamo seduti e…» Masumi esitò un momento prima di continuare. «Non eravamo mai stati tanto tempo da soli, prima».

Lui ci rifletté. «È vero» commentò stupito. Era quasi ovvio, in effetti, ma non ci aveva pensato.

Lei gli rivolse uno sguardo che non riuscì a decifrare. «Non che significhi niente» disse.

Quella frase sembrò stranamente triste al ragazzo, ma non la contraddisse. Recuperò il taccuino. «Completa questa frase: “Vorrei avere qualcuno con cui poter condividere…”»

«Un gelato» fu la risposta immediata di Masumi. Finì il suo tè. «Avrei proprio bisogno di qualcosa di fresco in questo momento».

«Possiamo uscire a prenderlo» propose Shinichi, stupendo anche sé stesso. Gli era venuto automatico.

Lei lo guardò divertita. «È un appuntamento, o stai solo cercando una scusa per non finire il gioco?»

«Possiamo anche andarci dopo» replicò lui.

«Scherzavo. Dai, tocca a te».

Shinichi sospirò confuso. Non riusciva a decifrare Masumi, mai. Prima d’ora gli era successo solo con Ran; non perché la karateka fosse particolarmente misteriosa, lì il problema era stato suo.

Sera invece era semplicemente imprevedibile.

«Vorrei avere qualcuno con cui poter condividere…» mormorò. Che cosa? Il dolore?

In realtà, si rese conto, era esattamente quel che stava facendo, sia pur in pillole, sia pur in modo velato. Si era aperto attraverso quelle domande e aveva fatto trasparire le sue emozioni, senza riceverne un compatimento distante ma un’esortazione a uscirne. «Delle belle esperienze» disse.

«Significa tutto e niente» protestò Sera, «ma va bene, per stavolta passi».

«Spiega al tuo partner le cose di te che sarebbe importante che sapesse, se diventaste molto amici».

Masumi, che aveva letto, si perse un po’ a fissare il testo, forse in un tentativo di assimilarlo meglio.

Shinichi neanche si diede la pena di commentare, a quel punto l’invasività di quelle domande non lo stupiva più. L’idea di diventare molto amico di Sera, comunque, non gli dispiaceva.

«Dovrebbe sapere che sono fissato con i gialli, specie quelli di Conan Doyle. Ran se ne lamentava sempre» ricordò. Notò solo dopo, a scoppio ritardato, che quel pensiero non gli faceva male.

«Il fatto che scopri un cadavere al giorno non è da sapere?» lo provocò Sera.

«Senti chi parla» ribatté lui. «Tu non ti imbatti mai in crimini, vero?»

«Solo in tua compagnia» rispose lei con un sorriso. «Non serve davvero che risponda, comunque, no? Noi siamo già amici» affermò con una scrollata di spalle.

«Non provarci».

L’espressione della ragazza si fece malinconica. «Sul serio, lo sai già: se serve posso mentire o nascondere fatti. Anche ai miei amici. Non sono una bella persona…»

«Non è vero» la fermò subito lui, stupito da quell’accusa a sé stessa. Sembrava starci veramente male. «Saremmo in due, in ogni caso. Ho mentito a tutti per mesi».

Masumi lo fissò. «Siamo due bugiardi» disse dopo un po’. Aveva un tono indecifrabile. Cancellò la malinconia dal suo volto e tornò a sorridere, lasciando però in Shinichi qualche dubbio sull’autenticità di quel sorriso. «Almeno sono in buona compagnia».

«Non pensavo ti sentissi così in colpa» affermò il ragazzo.

Lei scosse la testa. «Scusami, è stato solo un momento. Andiamo avanti».

Anche se dici così, non potrò più guardarti con gli stessi occhi.

«Di’ al tuo partner che cosa ti piace di lui/lei; sii molto onesto/a, e di’ anche cose che in genere non diresti a una persona che hai appena conosciuto» toccò a Shinichi leggere. «Noi non ci siamo appena conosciuti» disse, «comunque il concetto è chiaro, direi. Non ci siamo già fatti prima i complimenti, però?»

«Forse quelli erano più generici» ragionò Sera. «Questa mi sembra più specifica, perlomeno».

«Potresti aver ragione».

«Tocca a me, giusto?» si accertò lei. Prima di rispondere prese un bel respiro; sembrava… a disagio?

«Mi piace la tua spontaneità – sarai anche un abilissimo detective, bravo a notare i più piccoli gesti degli altri, ma non sei in grado di nascondere quegli stessi gesti. È vero, hai mentito molto, ma te lo dico sinceramente: era piuttosto facile vedere oltre le tue bugie» dichiarò. «Poi, ovviamente, apprezzo la tua intelligenza».

Shinichi arrossì. «Spontaneo non è davvero quel che mi sarei aspettato».

«È vero, però» rise Sera. È stata proprio una tua deduzione spontanea a far ridere mio fratello, anni fa.

Kudo tossicchiò, cercando di tornare serio. «Anche tu ti consideri una bugiarda, e forse sei anche più brava di me a mentire, posso ammetterlo» iniziò, «ma di te apprezzo la qualità opposta: sei sincera. Se devi mentire, menti su ciò che ti riguarda, ma su ciò che pensi degli altri e delle situazioni sei onesta. Preferiresti dire una verità scomoda piuttosto che indorare la pillola, o sbaglio? Non sono molti quelli disposti a farlo».

Masumi s’illuminò ascoltandolo; la sua espressione passò da sorpresa a felice – stavolta la felicità era autentica, Shinichi non aveva dubbi.

«Grazie».

«Grazie a te».

«Allora… leggo la prossima?»

Shinichi annuì. «Vai pure».

Masumi lesse prima tra sé; sfoggiò un sorrisetto sadico. «Racconta un episodio imbarazzante della tua vita».

«Non poteva mancare…»

«Già. Tocca a te iniziare, detective».

«Avevo otto anni… Stavo guardando un film con Ran e Sonoko, era un giallo» raccontò. «Ho… io ho…» esitò.

Masumi lo studiò curiosa. «Che hai combinato?»

Shinichi fissò lo sguardo sul tavolo. «Ho dedotto l’assassino del film… sbagliando! Sonoko mi ha preso in giro per mesi per quell’errore!»

Lei scoppiò a ridere. «Tutto qui?»

«Non puoi capire cosa significhi fare una figura del genere con una come Sonoko. Specie se ha otto anni».

«Forse hai ragione» concesse lei, senza smettere di ridacchiare.

Masumi sospirò. «Allora. Ero alle medie, e… un ragazzino mi si è dichiarato. Pensando che fossi un ragazzo. Spiegargli chi ero non è stato affatto facile…»

Shinichi non trattenne una risata. Non poteva saperlo, ma la sincerità di quell’allegria scaldò il cuore di Sera, nonostante l’imbarazzo provato nel rivangare quell’episodio.

«Vedila così: non tutte possono dire d’aver fatto innamorare un omosessuale».

«Scommetto che tu non puoi dirlo» replicò lei nello stesso tono. Shinichi tacque e decise di passare al prossimo punto.

«Di’ al tuo partner qualcosa che già ti piace di lui/lei» lesse.

Masumi sbuffò. «Ancora? Questo gioco sembra mirare a rafforzare l’autostima…»

«Chissà, magari è questo il punto. Qualcosa che già ti piace… Mi fa pensare che dev’essere qualcosa di nuovo, non credi?»

Lo sguardo della ragazza s’illuminò. «In tal caso, il tuo aspetto più sbarazzino già mi piace».

«Sbarazzino?»

«La barba».

Shinichi tornò per l’ennesima volta a sfiorarsi le guance. «Non ti ci affezionare, domani la prima cosa che farò sarà radermi».

Lei assunse un’espressione dispiaciuta. «Peccato» commentò.

«Comunque, visto che ti sei buttata sull’aspetto… Non è nuovo, ma mi piace il tuo dente sporgente. L’ho sempre trovato molto particolare».

Sera arrossì, colta di sorpresa. «Davvero?»

Lui annuì.

«Grazie». Prese il blocchetto. «Qual è – se esiste – l’argomento su cui non si può scherzare, per te?»

Lo sguardo del detective si incupì leggermente. «Il suicidio» rispose serissimo.

«Non saprei, non ci ho mai pensato» dichiarò invece Sera. «Qualsiasi argomento possa ferire le persone a cui tengo, direi».

Lesse la domanda seguente. «Se tu stasera morissi senza poter più comunicare con nessuno, qual è la cosa che rimpiangeresti di non aver detto a qualcuno? Perché non gliel’hai ancora detta?»
«Grazie» rispose Shinichi. «Rimpiangerei di non aver ringraziato tutti quelli che ci sono sempre per me. Shiho, Hattori… tu».

Masumi abbassò lo sguardo. «Mi dispiacerebbe, credo… Non dire a quel ragazzo cosa provo per lui».

«Non vuoi proprio dirmi chi è questo ragazzo?» tentò Shinichi. Ancora non riusciva a credere che Sera soffrisse d’amore, ma gli dispiaceva vederla soffrire senza poter fare niente.

Lei lo fissò. «Deducilo, no?»

«Dovresti sapere che non è così facile» protestò lui. Usavano sempre tutti quella battuta, diventava stancante. Sera, comunque, sembrava essersi già rinfrancata. «Non sarà mica tuo fratello?» decise di stuzzicarla.

Lei sbarrò gli occhi. «Sei scemo?» chiese rossissima. «Ovviamente no! Non sono quel tipo di persona!»

«Certo, certo… Pronta alla prossima domanda?»

Ancora un po’ imbarazzata, Masumi annuì. «Sono nata pronta».

«La tua casa prende fuoco, con dentro tutto quello che possiedi. Dopo aver salvato le persone che ami e gli animali, hai il tempo per fare un’ultima corsa dentro e portare via un solo oggetto. Quale sarebbe? Perché?»

«Il cappello di mio fratello» rispose Sera, «perché me lo ricorda».

Shinichi indicò il libro sul bordo della scrivania. «Prenderei “Uno studio in rosso”, perché è così che mi sono innamorato di Holmes e delle deduzioni. Mi ricorda chi sono».

«L’immaginavo» commentò Masumi.

«Anche il tuo non era proprio originalissimo» sottolineò lui.

«Forse hai ragione. Mancano solo due domande!» esclamò lei eccitata.

«Fantastico, allora leggi».

«Qual è il membro della tua famiglia la cui morte ti colpirebbe di più? Perché?»

«È una domanda abbastanza infame» disse Shinichi. «Come dovrei scegliere? Non ha senso».

«Sei in crisi perché non è una domanda logica

«Tu sai come rispondere?»

Lei fece un sorriso tirato. «Sia chiaro, non voglio che nessuno dei miei muoia, ma…» lo guardò negli occhi. «La morte di Shu l’ho già vissuta, anche grazie a te. In missione con mia madre abbiamo entrambe rischiato più volte la vita, la morte era un’opzione che ho dovuto considerare. A colpirmi di più sarebbe probabilmente la morte di Shukichi, perché è l’unico a essersi conquistato una vita normale». Sorrise. «Be’, normale per quanto può esserlo la vita del Meijin Taiko, ma hai capito cosa intendo».

«Capisco il tuo ragionamento… Ma non posso comunque scegliere».

Masumi annuì. «Va bene». Gli passò l’elenco. «A te l’onore di leggere l’ultima».

«Parla di un tuo problema personale e chiedi al partner un consiglio su come lui o lei affronterebbe questo problema. Chiedigli anche di descriverti come gli sembra che tu ti senta rispetto al problema di cui hai scelto di parlare». Shinichi impallidì. «Difficile fino all’ultimo».

«Vuoi continuare?» domandò Sera.

Lui sorrise. «Arrivati a questo punto, direi proprio di sì».

«Va bene, però comincia tu».

Lui, stranamente, non protestò. «D’accordo, allora. Il mio problema lo conosci già: Ran se n’è andata, troncando la nostra relazione. Mi manca tantissimo, mi ritrovo a pensarla nelle situazioni più diverse: basta un nome e si scatena un ricordo… Sto cercando di andare avanti ma è dannatamente difficile, non posso dimenticarla». Sospirò. «Tu cosa faresti?»

«Scrivile» rispose semplicemente Sera. «Non state insieme, questo non significa che non dobbiate più sentirvi, no?»

Shinichi rise amaro. «Se n’è andata… Non credo che abbia voglia di sentirmi. Tutta la faccenda di Conan l’ha ferita tantissimo».

Masumi lo guardò severa. «”Non credo”, dici. Come fai a saperlo, se non ci provi? Tu scrivile, chiedile come sta. Se le dà fastidio te lo dirà, o comunque lo capirai. So che il tuo cervello parte quando si tratta di Ran, ma quando una persona risponde svogliatamente o ci ignora percepirlo è davvero facile». Scosse la testa. «Insomma, Shinichi: Ran non ha mai detto di non volerti più sentire, o sbaglio? Sono limiti che ti sei posto da solo. Nessuno ti chiede di dimenticarla di colpo, non devi; restaci amico. Non esistono solo bianco e nero, ci sono varie sfumature nel mezzo».

Quel discorso lo colpì. Sembrava piuttosto sentito.

Ma soprattutto, era vero. Ran non gli aveva chiesto di non scriverle, non aveva detto nulla al riguardo.

Forse potevano davvero restare almeno amici.

«È questo che fai con il ragazzo che ti piace? Ci resti amica?» chiese, sinceramente interessato.

Lei distolse lo sguardo. «Più o meno. È un po’ complicato».

«Devi parlarmi di un problema, no? Ne hai altri?»

«…no» ammise lei. «Non così importanti, comunque. Penso tu sia la persona meno adatta per parlare di problemi di cuore, ma te ne parlerò lo stesso».

«Allora. Ho conosciuto questo ragazzo tantissimo tempo fa. Mi ha subito colpita, per motivi che non sto a spiegarti. Poi mi sono trasferita, e l’ho rivisto solo al mio ritorno in Giappone, qualche anno fa… Mettendo da parte che non potevo comunque permettermi di pensare ai ragazzi, con la storia dell’organizzazione, il problema era un altro. Lui era perdutamente innamorato di un’altra ragazza; credo lo sia ancora. Sono stati insieme, ma al momento si sono lasciati. A condire il tutto io sono amica di entrambi. Dunque, detective: cosa mi consigli?»

«Sembra una soap-opera» commentò Shinichi. «Se non sono insieme, ti direi di… provarci?»

«Tutto qui?»

«Se vuoi un’analisi più dettagliata, mi collego alla parte finale della domanda: davanti a questo problema ti vedo piuttosto imbarazzata, forse perché è il tuo primo approccio all’amore. In questo senso, ho più esperienza di te. A voler prendere le cose piano e non decidermi a fare un passo senza la sicurezza di essere ricambiato, ho aspettato anni per dichiararmi a Ran». Fece un sorriso triste. «In questi ultimi giorni mi sono ritrovato spesso a pensare che se mi fossi fatto avanti prima le cose sarebbero andate in modo diverso. Per finire, ti cito: come fai a sapere se davvero prova ancora qualcosa per l’altra ragazza, se non ci provi? L’hai deciso tu. Confermo il mio consiglio: dovresti dirglielo».

Masumi proruppe in una risata stranamente amara. «Va bene» disse. «Glielo dirò».

«Davvero?»

«Certo». Si alzò stiracchiando le braccia. «Allora, abbiamo finito. Che si fa?» chiese senza guardarlo.

«Ti va ancora il gelato?» propose lui alzandosi a sua volta.

Lei lo fissò incredula. «Sul serio?»

«Certo, perché no?»

«Va… va bene, certo. Mi va sempre il gelato!» esclamò ritrovando la sua consueta allegria.

«Perfetto. Dammi solo un attimo» disse lui infilandosi in bagno.

Ne uscì cinque minuti dopo; appena lo vide, Sera si bloccò. «Fa quasi strano vederti così, dopo oggi».

«Non potevo uscire in quel modo» replicò Kudo, passandosi una mano sulla guancia ora perfettamente liscia. «Poi così sto meglio, no?»

«Mah, non saprei. Per me perdi molto in fascino» scherzò Masumi. O era seria? Shinichi non avrebbe saputo dirlo.

La ragazza spalancò la porta. «Forza, vampiro, è ora di uscire dal covo!»

Lui sorrise e la seguì.

Un mese dopo

«Noncipossocrederenoncipossocredere!»

«L’ho capito. Smetti di ripeterlo, per favore? Sto cercando di concentrarmi».

Nella stanza di Shiho c’erano la scienziata, seduta alla scrivania a lavorare al pc, e Masumi. Quest’ultima era in uno stato d’eccitazione che non accennava minimamente a scemare.

«Ci siamo messi insieme! Me l’ha proposto lui

«Sì, è solo la decima volta che me lo racconti». Shiho cercava di tenersi distaccata, ma dentro di sé era contenta per Sera. D’altra parte c’era un motivo, se l’aveva mandata da Shinichi con il test di creazione sperimentale d’intimità interpersonale ideato dallo psicologo Arthur Aron nel 1997.

Si girò verso di lei. «Senti, Masumi, sono davvero felice per te. Per entrambi, ora che avete risolto i vostri problemi di cuore. Ma invece di star qui a parlare con me, non dovresti scendere? Ormai sarà arrivato; i test del dottor Agasa non lo tratterranno più di qualche secondo» affermò sorridendo.

Quelle parole fecero schizzare a mille il cuore di Sera. «Oddio, è già qui? Vado bene così, sono abbastanza femminile?»

La scienziata alzò gli occhi al soffitto. «Ti comporti come se fosse il tuo primo appuntamento».

L’altra la guardò impaziente. «È il mio primo appuntamento!»

Stavolta Shiho esibì un sorrisetto ironico. «Certo, come no. Ti si è proposto ufficialmente solo stamattina, quindi tutte le uscite che avete fatto negli ultimi trenta giorni non valgono nulla».

«Era diverso» si difese Sera.

«Va bene. Dai, vai ora; non sei affatto femminile, non più del solito, ma va benissimo così».

«Va bene. Vado» ripeté lei annuendo. Si fermò sulla porta.

«Shiho… Grazie».

«Per cosa?»

«Lo sai benissimo. È tutto merito del tuo strano test!»

Shiho sorrise soddisfatta. «Può essere» ammise. «Buon divertimento!»

Masumi arrivò mentre Agasa esponeva il suo ennesimo quiz.

Si avvicinò di soppiatto e accostò la bocca all’orecchio del suo ragazzo.

«Aspetti qualcuno, detective?»

Lui si voltò sorridendole. «Sì, magari puoi aiutarmi a cercarla. È un maschiaccio iperattivo, per caso è passata di qui?»

«Dipende».

«Da cosa?»

«Dalla ricompensa che mi spetta per aiutarti a trovarla» rispose Sera con un sorriso furbo.

«Un gelato può andare?» propose Shinichi stando al gioco.

Lei finse di pensarci su. «Potrebbe».

Agasa, nel frattempo, li aveva lasciati soli.

«Prima, però» aggiunse Sera avvicinandosi pericolosamente al volto del ragazzo «voglio qualcos’altro».

Le loro labbra s’incontrarono in un bacio troppo a lungo desiderato.

Era un nuovo inizio, per entrambi.

«Forse potremmo rimandare il gelato».

 

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Capitolo 5
*** Fine o inizio? ***


Fine o inizio?


 

Le strade di Tokyo quella domenica di giugno erano invase da persone festanti di tutte le età.

C’era però una ragazza che, chiusa nella sua stanza, quella mattina non aveva trovato la forza di alzarsi. Piangeva, soffocando le lacrime sul cuscino.

Il dottor Agasa, con cui la ragazza viveva, aveva timidamente provato a bussare. Non aveva ricevuto risposta.

«Shiho, va tutto bene?»

Il tono preoccupato del dottore le fece male. Che sto facendo? Così non farò che ferire anche lui.

Si costrinse a tirarsi su e si asciugò le lacrime con la manica del pigiama. «Sì» rispose, sforzandosi di mantenere stabile la voce. «Non ho sentito la sveglia. Scenderò tra poco, e sarà meglio che la sua colazione non contenga troppi zuccheri».

Agasa emise un sospiro di sollievo. La scusa di Shiho non reggeva – sapeva benissimo che non aveva bisogno di sveglie, si alzava sempre molto presto da sola – ma almeno sembrava essere abbastanza in sé da rispondergli, addirittura da commentare la sua alimentazione. «Ti aspetto».

Shiho si lavò e vestì rapidamente. Raccolse i capelli, ben più lunghi di come li portava un tempo, in una treccia e uscì dalla stanza. Non era certa di essere in grado di affrontare il dottore.

Lo trovò in cucina, seduto a tavola con una ciotola piena di frutta davanti. I resti della macedonia della sera prima.

In silenzio, raggiunse i fornelli e preparò il caffè.

«Shiho, se vuoi parlare…»

Ma lei non voleva. «Mi dispiace» mormorò, sperando che capisse.

L’uomo sospirò. Era difficile trovare le parole. La sua amata Shiho, cui voleva bene come se fosse stata sua figlia, non era mai stata molto espansiva, ma dal fatidico giorno di tre anni prima le cose erano solo peggiorate. Era stato un periodo complicato, per entrambi; lei aveva agito come un automa per mesi, nonostante i suoi tentativi di scuoterla.

Negli ultimi due anni le cose erano un po’ migliorate, ma c’era poco da fare: nell’anniversario di quel giorno lei tornava a chiudersi nel suo guscio, a soffrire da sola.

Avrebbe voluto che lei gli permettesse di condividere tutto quel dolore, anche perché lui non ne era certo immune, ma i suoi tentativi si erano sempre dimostrati inutili. Sapeva di non poterla costringere ad aprirsi.

«Ha chiamato Sera-san. Voleva sapere se puoi uscire con lei oggi pomeriggio».

La ragazza non rispose. Finì il suo caffè tutto d’un sorso, rischiando di ustionarsi la lingua, e si alzò.

«Ho un impegno» mormorò, dando uno sguardo all’orologio appeso al muro della cucina. Erano già le undici. «Non mi aspetti per pranzo».

«Dove…»

Il povero Agasa non riuscì a finire; per Shiho recuperare la borsa ed uscire di casa era stata questione di pochi secondi.

L’uomo sospirò. Tu cosa faresti, Shinichi?

~

Shiho s’inoltrò nelle strade affollate della capitale senza pensarci due volte.

La sua destinazione non era vicinissima, a piedi ci avrebbe messo almeno mezz’ora, ma non le importava – anzi, sarebbe stato meglio così. Camminare era l’unica attività che l’aiutasse a lasciare i pensieri liberi di scorrere senza soffermarcisi troppo.

Raggiunto il cimitero non ebbe bisogno di chiedere informazioni. Conosceva a memoria la strada: le ci vollero meno di cinque minuti per raggiungere la lapide che le interessava.

Ci andava almeno una volta a settimana, ma quel giorno era diverso; si sentiva peggio del solito.

Ignorò le aquilegie che vi aveva lasciato durante l’ultima visita e fissò lo sguardo sul nome che vi era inciso. Le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento ripresero a scorrere, così come i ricordi.

«Ti proteggerò, te l’ho promesso».

Non sarebbe dovuta andare così.

Non riusciva a crederci; dopo mesi di inseguimenti e sequestri, l’FBI stava per mettere definitivamente la parola fine all’Organizzazione.

L’edificio davanti a lei era la base in cui si erano rifugiati gli ultimi due membri ancora in libertà, Gin e Vermouth. I due che aveva temuto di più.

La zona era stata evacuata dai civili, erano stati fissati posti di blocco tutt’intorno.

L’agente Jodie era entrata poco prima, seguita da Conan e una decina di altri agenti.

Lei e Conan erano lì perché in quella base c’era anche un laboratorio, da cui avrebbe potuto finalmente ricavare tutti i dati necessari alla creazione di un antidoto definitivo.

Se solo quel giorno non fossero andati… Se solo non avesse ceduto al suo impulso…

Improvvisamente, era apparso Gin.

Come aveva fatto ad uscire dal palazzo senza che gli agenti se ne accorgessero?

Il consueto terrore assalì la scienziata: si paralizzò.

Tuttavia sapeva che se fosse semplicemente rimasta nell’auto dell’agente Jodie non sarebbe successo niente.

Lei vedeva l’assassino dal finestrino, ma lui non poteva vedere lei.

Si abbassò ancora di più, il battito a mille.

Poteva restare lì? Non avrebbe dovuto cercare di fermarlo?

Risuonò uno sparo, vide Gin cadere a terra.

Era stato ferito alle gambe.

Vederlo a terra, con una mano sulla ferita per tamponarla, la rassicurò leggermente.

Ma chi era stato a sparare?

Shiho alzò lo sguardo, e non poté credere ai suoi occhi.

A qualche metro da Gin c’era Dai Moroboshi.

Il suo terrore svanì di colpo.

Che ci faceva lui lì…?

Socchiuse lo sportello. I due uomini non se ne accorsero, troppo concentrati l’uno sull’altro.

«Akai».

Gin sputò quel semplice nome con un’incredibile quantità di disprezzo.

Il mondo di Ai andò in frantumi.

Dai… Akai?

Il fidanzato di sua sorella era un agente dell’FBI?

Tutto acquisì di colpo un senso.

L’avevano uccisa per questo.

Akemi era morta a causa di Dai… e ora lui era lì, a pochi metri da lei.

Stava persino sorridendo.

«È finita, Gin».

Ai non si accorse di essere scesa dalla macchina, né di aver raggiunto l’agente.

Lo fece e basta.

«Tu…»

L’agente dell’FBI abbassò lo sguardo su di lei.

«Non dovresti—»

Non finì mai la frase.

Ai fu riportata alla realtà da uno sparo, lo stesso che scaraventò Akai all’indietro.

Di nuovo cosciente della situazione, seppe che a sparare era stato Gin.

Si paralizzò sul posto, incapace di muoversi.

La risata roca di Gin l’agghiacciò.

«Puoi anche girarti, Sherry».

Come?!

«Riconoscerei il colore dei tuoi capelli in mezzo a mille altri. Sembra che ti debba un favore»

Cominciò a tremare violentemente, incapace di fare altro.

Si girò, con lentezza estrema, a osservare Gin.

Avrebbe voluto negare.

Non riuscì ad aprire bocca.

L’assassino si era tirato su alla meglio, ma doveva essere impossibilitato ad alzarsi, perché non l’aveva fatto.

«Ho sempre saputo che saresti tornata da me, Sherry».

Un brivido più forte degli altri scosse Shiho. Si chinò di fronte alla lapide, gli occhi all’altezza del nome.

«Ai! Allontanati da lui!»

La voce di Conan ruppe l’incantesimo.

Era appena apparso sulla soglia dell’edificio, la guardava sconvolto.

Riuscì a muovere un passo verso la macchina.

«Addio, Sherry».

Gin aveva premuto il grilletto.

Ai chiuse gli occhi d’istinto; sapeva che lui non avrebbe mancato il colpo.

Stava per finire tutto, presto avrebbe raggiunto Akemi…

Il proiettile non la raggiunse mai.

Sentì un liquido caldo colpirle la schiena.

Si girò al rallentatore, inorridendo di fronte all’origine del getto.

Conan era davanti a lei. Non le ci volle molto a comprendere che a colpirla era stato il suo sangue.

«No!»

Lui aveva mantenuto la sua promessa. L’aveva protetta, anche quando non avrebbe dovuto.

Dopo tutti i suoi discorsi sulla prudenza, aveva abbassato la guardia; si era esposta a Gin.

Aveva commesso un errore fatale, ma a pagare era stato lui.

«Promettimi…» era riuscito faticosamente a dire Kudo, dopo che lei l’aveva disteso sull’asfalto vicino alla macchina.

Ai stava cercando disperatamente di tamponargli la ferita con le mani.

«Non sforzarti. Andrà tutto bene».

Doveva andare bene. Gli altri agenti si erano precipitati su Gin praticamente subito dopo lo sparo, un secondo troppo tardi. L’avevano disarmato.

Ai aveva gridato a Jodie di chiamare un’ambulanza, e la donna l’aveva fatto.

«I dottori saranno qui tra poco… Devi resistere…»

Aveva il volto inondato di lacrime, che ricadevano sulle sue mani e si mischiavano al sangue del bambino.

«Perché l’hai fatto? Avresti dovuto lasciare che mi colpisse. È colpa mia»

Conan tossì, sputando un po’ di sangue.

«Ho promesso di proteggerti» mormorò.

Era un sorriso, quello sul suo volto?

«Sono felice di esserci riuscito. Se avessi lasciato morire anche te… non me lo sarei perdonato».

«Non parlare. Devi risparmiare le forze».

Lui non l’ascoltò.

«Ascoltami, Ai. Devi promettermi…» si bloccò con una smorfia di dolore. «…di continuare a vivere. Anche se non ce la facessi. Non devi arrenderti, o…»

Un altro attacco di tosse gli impedì di continuare.

Non parlò più, ma non servì.

Il suo sguardo sembrava gridare “Promettimelo!”, e Ai si trovò ad annuire disperata.

Come negarglielo?

Quando l’ambulanza arrivò, Conan aveva già chiuso gli occhi da diversi minuti; Ai stringeva disperata un lembo della sua maglietta, chiamando il suo nome.

"Tu hai mantenuto la tua promessa… ma io non ho mantenuto la mia."

Posò una mano sulla lapide, coprendo Kudo.

«Mi dispiace, Shinichi. Mi dispiace veramente…»

Aveva creato l’antidoto e l’aveva assunto, in un tentativo di adempiere quell’ultima promessa.

“Shinichi avrebbe voluto così”, le avevano detto, e in fondo sapeva che era vero.

Eppure tutto restava inevitabilmente sbagliato; quella vita non le apparteneva.

Il proiettile di Gin avrebbe dovuto prendere lei. Shinichi avrebbe dovuto riottenere il suo corpo e tornare da Ran.

Già, Ran…

Anche la sua vita era andata distrutta, quel giorno.

Shiho non era più riuscita a sostenerne lo sguardo. Era convinta che la karateka l’odiasse, e le dava piena ragione.

Rimase lì ferma a piangere davanti alla lapide per un po’.

Alla fine, svuotata, si rialzò. Non ritrovò subito l’equilibrio, dopo tutta quell’immobilità.

Voltandosi verso il cancello vide una figura che l’osservava a distanza.

Ancora lui.

«Vieni qui spesso» constatò l’uomo avvicinandosi.

Se voleva iniziare un discorso, difficilmente avrebbe potuto scegliere frase peggiore.

«Anche tu, a quanto pare» ribatté Shiho con voce dura. Era già la seconda volta che l’incontrava lì, quel mese.

Lui le sorrise innocentemente. Mosse ancora qualche passo verso di lei e le porse qualcosa.

Un fazzoletto.

Shiho lo fissò in silenzio.

«Se vai in giro così farai preoccupare più di una persona. Non che sia un male, ma ho pensato preferissi evitare».

La sua faccia doveva essere un disastro; Shiho accettò il fazzoletto.

«Grazie» mormorò.

«Non c’è di che» disse quello che ora conosceva come l’agente Rei Furuya. «Sei qui per lui, vero? Come sempre».

Lei non rispose. Iniziò ad eliminare le tracce lasciate dal pianto aiutandosi con lo specchietto del portacipria che aveva in borsa.

Rei rimase ad osservarla in silenzio finché non ebbe finito. Gli ripassò il fazzoletto.

«Puoi tenerlo».

Shiho l’infilò in borsa senza replicare.

«Era oggi, vero?»

S’irrigidì a quella domanda. Prese a fissare i sassi ai suoi piedi. «Sì».

«Ma per te è come se fosse successo ieri».

Rialzò di scatto lo sguardo, portandolo su di lui. «Se anche fosse?» domandò con una venatura d’aggressività neanche troppo velata.

«So cosa si prova, Shiho».

«Non credo proprio».

L’agente fece un sorriso amaro. «Quante persone pensi che abbia visto morire, nel mio lavoro? Quanti colleghi ho visto cadere nel corso di un’operazione?»

Shiho strinse i pugni. Non era la prima volta che Furuya aveva la pessima idea di rivolgerle la parola, ma era la prima che affrontava quell’argomento.

Durante i loro precedenti scontri al cimitero aveva sempre parlato d’altro, forse nel tentativo di distrarla.

«Quanti di questi colleghi si sono sacrificati per te, agente?» domandò retorica. «Quanti sono morti per un tuo errore? Quanti di loro avrebbero potuto salvarsi se tu semplicemente non avessi fatto niente?»

Tremava di nuovo, ma stavolta era per la rabbia.

«Capisco. Non riesci ad affrontare la situazione, quindi ti limiti a prenderti tutte le colpe».

La mano di Shiho si mosse da sola, nel colpire la guancia sinistra di Rei. Non ne ricavò molta soddisfazione.

«Che ne vuoi sapere tu? Chi ti credi di essere?»

«Un mio collega è morto per me». Lo disse normalmente, senza inflessioni particolari. «Voleva proteggermi. Anche Kudo lo voleva, o sbaglio?»

Sentirglielo affermare le procurò un’altra fitta. Non aveva voglia di parlare con lui, né con nessun altro, e non capiva dove volesse arrivare. Lo superò, decisa ad andarsene.

«È stata una sua scelta».

Shiho si bloccò all’istante.

Rei si era girato verso di lei – che continuò a dargli le spalle –, e seguitò a parlare.

«Puoi biasimarti quanto vuoi, non cambierà niente. Si è preso un proiettile per te, ma non sei tu che hai deciso di usarlo come scudo. Ha potuto scegliere».

«È stata una scelta stupida» sibilò Shiho, serrando i pugni con forza. Si voltò e fissò con rabbia – o era disprezzo? – l’agente. «E se non avessi commesso uno stupido errore, non ci sarebbe stato bisogno di scegliere».

«Se, se… Se Gin non avesse sparato, lui non sarebbe morto» commentò Rei impassibile.

Sentendo quel nome, il volto della scienziata divenne una maschera di rabbia.

«Era ovvio che mi avrebbe sparato. Se non fossi stata così—»

Rei la fermò con un cenno. «Qualsiasi “se” è inutile, Shiho. È andata così, punto. Devi fartene una ragione».

Stava passando il limite; nemmeno il dottor Agasa osava dirle cosa dovesse fare, che cosa gli faceva pensare di averne l’autorità?

«Non vedo perché la cosa ti interessi tanto».

«Una volta una donna si è offerta di mettere un cerotto sul mio orgoglio, se fosse rimasto ferito. Ero solo un bambino, ma ricordo che quelle parole inaspettate mi rassicurarono incredibilmente».

«Buon per te» commentò fredda Shiho. «Non ha nulla a che vedere con me».

«Quella donna era Elena Miyano».

Fu come un fulmine a ciel sereno per la scienziata; non si aspettava niente in particolare, ma certo non che venisse tirata in ballo sua madre.

Mille domande si affollarono nella sua mente, ma non ne lasciò uscire nessuna.

Rei si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla. Lei sussultò al tocco, ma non reagì.

In quel momento non ne era in grado.

«Te lo ripeto: so cosa si prova. Tenerti tutto per te non ti renderà più forte. Continuare a isolarti significa vanificare il sacrificio del tuo amico: così è come se foste morti tutti e due».

«Non…» la debole protesta di Shiho fu troncata sul nascere.

Rei si allontanò di un passo, infilò una mano in tasca, pochi secondi dopo l’estrasse e le porse qualcosa.

Un foglio di carta. Senza sapere bene perché, con un gesto meccanico Shiho l’accettò.

«Quando sarai pronta ad andare avanti e vorrai parlarne, cercami a quell’indirizzo. Ci sarò».

Le si accostò, pronto a superarla, ma fu bloccato dalla voce della ragazza.

«Andare avanti» aveva mormorato infatti Shiho con voce tremante. Si girò verso di lui, di nuovo.

Le lacrime avevano ripreso a rigarle il volto.

«Pensi davvero che possa andare avanti come se niente fosse?» gli urlò contro con rabbia. «Menzionando mia madre mi hai sorpresa, ma questo non cambia niente. Ammesso anche che tu l’abbia conosciuta, per me sei un estraneo. Non so perché ti sei messo in testa di aggiustare la mia vita, non mi interessa. Andare avanti» le tremò la voce e dovette fermarsi. «Andare avanti» riprese, «sarebbe come tradire Shinichi. Non importa cos’abbia pensato mentre si poneva tra me e il proiettile… nel momento in cui ha smesso di respirare, per me è tutto finito».

Boccheggiò; le sue emozioni non avevano avuto una forma definita, finché non le aveva pronunciate. Le faceva uno strano effetto. Guardò Rei con sguardo triste. «Ho provato a fare come voleva, sono andata avanti. Il mio corpo ne è la prova. Non ha funzionato, perché semplicemente non è possibile».

Lui le rivolse un’occhiata delusa. «Sei finita con i suoi respiri, dici?»

Era sarcasmo quello? Shiho non riuscì a stabilirlo. Non capiva neanche perché fosse rimasto lì ad ascoltare i suoi sfoghi; “Va’ via, sono un caso perso”, avrebbe voluto dirgli. Ma in fondo, in una parte di sé di cui non ammetteva l’esistenza nemmeno con sé stessa, che qualcuno le tendesse una mano in tutta quell’oscurità le faceva piacere. Poco importava che questo qualcuno fosse un arrogante agente della polizia segreta.

Tutto il resto di Shiho, tuttavia, respingeva quell’offerta. Non me la merito. Lui non tornerà. È tutto finito.

«È proprio quando si crede che sia tutto finito, che tutto comincia».

Quella semplice frase scosse Shiho nel profondo.

Avrebbe voluto ribattere qualcosa, qualsiasi cosa – non ci riuscì.

La speranza celata nel suo cuore da anni aspettava solo quelle parole; stavolta non le sarebbe stato facile sopirla.

«Guardami, Shiho».

Una volta tanto, non mise in discussione il tono perentorio del suo interlocutore. Non ne era in condizione.

Il suo sguardo freddo, deciso, la colpì.

«Non sei pronta?» le chiese Rei, scrutandola. «Va bene. Puoi farlo un po’ alla volta. Muovi un passo alla volta, ma muoviti».

Shiho scosse la testa: così non andava bene.

Perché doveva succedere proprio quel giorno, no, in quel momento?

Era più emotiva, più fragile del solito. Non era in grado di affrontare quella conversazione.

Incapace di muoversi, di correre via, di fuggire dalla luce che le si era improvvisamente presentata davanti, Shiho restò lì ad attendere il colpo di grazia.

Le arrivò solo quando trovò il coraggio di guardarlo negli occhi.

«L’importante è non rimanere mai immobili».

~

Agasa non avrebbe saputo dire perché, ma quando Shiho, a sera inoltrata, rientrò, lo percepì chiaramente: era successo qualcosa.

Lei non parlò e lui non chiese niente, ma incrociando il suo sguardo la sua impressione divenne certezza.

Non era più la stessa ragazza di quella mattina. Era diversa persino dall’Ai che aveva conosciuto prima della morte di Shinichi.

Nei suoi occhi c’era una nuova luce.

Qualsiasi cosa le fosse successa, il dottore non ebbe dubbi: le avrebbe cambiato la vita.

 

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Capitolo 6
*** L'amore ai tempi dello shogun ***


NdA

Riscrittura in versione DC di Romeo e Giulietta, prima classificata al contest “E se le opere classiche fossero degli anime?” indetto da eleCorti sul forum di efp.

Buona lettura!




L'amore ai tempi dello shogun






Kyoto, Residenza Kudo

«Che vi succede, Kudo?»

Il giovane Shinichi Kudo era rimasto seduto a fissare il cortile per tutta la mattina senza proferire parola; anche adesso impiegò qualche secondo per rispondere alla chiamata di Heiji Hattori, suo fedele e nobile amico, erede d’una casata di Osaka da secoli alleata ai Kudo.

«Hattori… Non vi ho sentito arrivare».

L’amico lo raggiunse, sedendosi accanto a lui. «Si vede che siete perso in riflessioni importanti. Cosa vi tormenta? A me potete dirlo».

Shinichi sospirò. «Soffro; soffro terribilmente, poiché son privo dell’unico oggetto del mio desiderio».

«Non sarete innamorato?» azzardò Hattori, riconoscendo nell’amico sintomi che conosceva bene.

«Ahimè, sì».

«L’amore è una gioia, per un cuore nobile. È bella?»

«La più bella donna che abbia mai visto la luce».

«Allora perché vi disperate? Corteggiatela; sono certo che non potrà resistervi a lungo».

Shinichi non rispose subito; scosse la testa e sospirò nuovamente.

«Impossibile!» esclamò con voce rotta. «Ha fatto un voto; vuol tenersi casta per badare al padre, rimasto vedovo. Suo padre, inoltre, mi ha in odio; non posso avvicinarmi!»

«Inizio a comprendere la ragione dei vostri affanni. Tuttavia, ella non è certo l’unica donna di Kyoto; ne troverete un’altra, altrettanto bella, se non più!» affermò Hattori con convinzione.

«Non avverrà; indicatemi una bellezza, ed io ripenserò a lei, all’angelo crudele per cui tanto patisco».

«Vi farò cambiare idea, o non me lo perdonerò» fu la replica decisa del nobile d’Osaka.

Shinichi l’osservò con sguardo vacuo. «Vi conosco; avete qualcosa in mente».

«È così; c’è una mascherata stasera, all’ohiroma dei Miyano. Desidero che vi veniate, con me e Kuroba».

«Non sono in umore da festa; in più, sapete bene che tra il mio clan e quello dei Miyano non scorre buon sangue».

«Ne sono consapevole, ma non vi riconoscerà nessuno. Suvvia, non fatevi pregare; venire vi farà bene».

Dopo qualche attimo di riflessione, Shinichi assentì. «Verrò».

~

Più tardi, nella sala da ricevimento [ohiroma] dei Miyano

«Che ne dite, Shinichi? Non è una bella festa?»

«È tutto vano, Kuroba. Dal nostro arrivo, Kudo non ha smesso un secondo di fissare quella dama; Mori Ran, mi ha detto un servo. Sarà difficile, se non impossibile, distrarlo».

«Crede d’esser romantico, costui; quisquilie; l’amore vero è altro, non perdersi in sospiri e pianti per chi non ci ricambia! Signori, non perderò questo ballo. Arrivederci». Così dicendo, l’erede dei Kuroba si allontanò.

«Dovreste andar con lui, Hattori; io starò qui… Ma!»

L’urlo del giovane riscosse Heiji, donandogli un po’ di speranza. «Che succede?»

«Chi è mai la fanciulla appena entrata?»

Heiji seguì il suo sguardo. «Non la conosco» ammise. «È splendida».

«Splendida?» ripeté Shinichi. «Non ho mai visto vera beltà prima di questa notte. Se ho creduto d’aver amato, prima, mentivo; devo conoscerla».

«È bello sentirvi dire così, Kudo; che aspettate? Avvicinatela, senza esitare!» fu pronto ad esortarlo Heiji.

Per una volta, il giovane non si fece pregare e seguì il consiglio, raggiungendo la ragazza all’esterno. Una volta uscito, socchiuse il fusuma.

«Chi siete, pellegrino?» domandò lei vedendolo; poteva avere quindici anni al massimo, ma Shinichi non avvertì la minima insicurezza nella sua voce.

«Un folle, forse» rispose, «perché credo d’aver visto un angelo. Lo siete?»

Lei sorrise. «No, signore; non sono un angelo, ma una peccatrice».

«Allora lascia che prenda il tuo peccato su di me» propose Shinichi accostando il volto al suo. La baciò.

«Sono affezionata ai miei peccati» replicò lei, baciandolo a sua volta. «Non potrei lasciarveli».

«Temevo di sconvolgervi».

«Dovrete impegnarvi di più, per questo».

«Voi…» Shinichi non poté concludere la frase, perché la parete dietro di loro fu nuovamente scostata.

«Shiho, siete qui! Vostra madre vi cerca».

«Addio, pellegrino» si congedò la fanciulla. Sparì rapidamente com’era venuta, e Shinichi si chiese se non fosse stata un’apparizione. Riuscì però a fermare la donna che l’aveva richiamata. «Ditemi, chi è la madre?»

Lei lo squadrò da capo a piedi, prima di rispondere. «Sembrate un bravo giovane; la madre della mia signora è la padrona di questa casa». Quindi si congedò.

«Oh sorte avversa! Una Miyano dunque!»

Shinichi calciò una pietra del cortile. «Una nemica!»

Un’altra, più familiare figura si affacciò dall’interno.

«Venite, Kudo, il ricevimento è alle ultime battute. È tempo d’andar via».

Con un cenno del capo e lo sguardo ancora più vacuo rispetto alla mattina, Shinichi si apprestò a seguire Hattori fuori dal territorio del clan suo rivale.

~

Muro esterno della Residenza Miyano

«Toglietevi quell’espressione cupa dal volto, Shinichi! Non vi riconosco più».

«Così non aiutate, Kuroba» Hattori redarguì prontamente l’amico; Kaito Kuroba era sempre stato un tipo schietto, non usava farsi problemi nel dar voce ai suoi pensieri. Era estremamente impulsivo - spesso scherzava sul fatto che, non fosse stato imparentato con lo shogun, avrebbe dovuto temere per la sua vita.

In effetti, più di un samurai si sarebbe volentieri vendicato dei suoi commenti impertinenti.

Tutti, però, temevano suo zio, lo shogun Nakamori.

«Come posso andarmene? Il mio cuore è in trappola» sospirò Shinichi. Heiji si chiese se avesse prestato orecchio alla loro conversazione – probabilmente no.

«In trappola?» ripeté Kaito. «Riprendetelo, dunque!»

Kudo lo fissò scettico. «Impossibile!»

«Non vorrete lasciarlo tutto solo con il nemico? Suvvia, Shinichi! Abbiate più ardore!»

«Potete ridere di me solo perché non avete mai provato questa ferita».

«Conosco le donne; non val la pena, farsi stregare a questa maniera. Ma vi vedo, siete senza speranza; seguitemi!» esclamò d’un tratto Kuroba, incamminandosi lungo la cinta muraria.

«Cos’avete in mente?» domandò Heiji, accodandosi ai due. Shinichi, infatti, non aveva esitato a seguire il nipote dello shogun.

Kaito lo zittì con un dito. «Posso farvi entrare senza che i guardiani vi notino» spiegò. «Viene da sé, dovrete mantenere il segreto più rigoroso al riguardo. Non voglio che i miei metodi divengano di dominio pubblico».

«Ma di che state-»

«Mi perdonerete, Hattori, ma dovrete incamminarvi da solo per stasera».

~

Shinichi seguì le indicazioni di Kaito alla lettera e, vagamente incredulo, riuscì a raggiungere il retro dell’abitazione dei Miyano senza particolari impedimenti.

Si inoltrò per qualche metro; raggiunto il castello, svoltò un angolo e si appiattì contro il muro.

Che stava facendo? Oh, quanto avrebbe desiderato conoscere la posizione della stanza della giovane Miyano, che aveva così prepotentemente invaso la sua mente. Invaso? No, le era bastato uno sguardo per averla in dono.

«Kudo, Kudo… perché proprio tu, un Kudo?»

Shinichi sussultò, udendo quella voce inaspettata. Alzò lo sguardo; intravide una finestra aperta e, leggermente sporgente da essa… il suo angelo! No, la mia peccatrice, si corresse mentalmente pensando alla breve conversazione che avevano avuto.

Sembrava stesse parlando tra sé, ma ad alta voce. Incuriosito dall’invocazione, decise d’attendere prima di rivelarsi.

«Destino crudele, permettere a un nemico d’avermi con uno sguardo!»

«Nemico? Non potrei mai esserlo, non per voi!»

Non aveva potuto impedirsi d’intervenire. «Comandate, e vi ubbidirò! Chiedetemi di lasciare la mia casata, fuggire con voi: non saprò dirvi “No!”».

«Chi è là, che spia le mie confessioni alla notte?» La voce di Shiho tremolò di terrore. Se i guerrieri di suo padre l’avessero sentita parlare così, non sarebbe finita bene per lei. Aveva a stento potuto persuaderlo a lasciarle più tempo per prepararsi al matrimonio; se avesse saputo del suo sentimento per il giovane Kudo, l’avrebbe al contrario affrettato. Rabbrividì al solo pensiero.

«Datemi voi un nome, ché io non oso più usare il mio, se v’indispone!»

«Questa voce! Possibile? Due frasi sussurrate, poco più che sospiri, ho sentito da voi; eppure vi riconosco. Siete Shinichi, mi sbaglio?»

«Solo se questo non mi rende a voi inviso».

«Inviso? Oh, lo vorrei!» dichiarò lei con rimpianto. «Ormai è tardi; sono vostra; e tuttavia vorrei che non aveste origliato i miei pensieri, complice la luna che vi lascia celato. Vorrei vedervi!»

Shinichi mosse un passo per accontentarla, ma fu presto fermato da un’esclamazione di terrore.

«No, non mostratevi, è meglio; se qualcuno dovesse vedervi… Non conoscete gli uomini di mio padre, voi, ma non esiterebbero a eliminarvi. Il mio cuore non è cosa di cui io possa decidere, per loro».

«Se voi mi amate, non temo nessuno! Ditelo dunque, non attraetemi con le parole per lasciarmi boccheggiante in attesa della conferma… Posso sperare nel vostro affetto?»

«Vorrei negarlo, ritrattare, non concedermi subito; non mi è più possibile, mi avete sentita prima. Mi avete stregata, signore, vorrei odiarvi per questo – non mi è concesso. Sono vostra».

«Non ho parole per descrivervi la mia letizia. Non potevate concedermi grazia maggiore!»

«Se davvero mi siete grato, vi prego: lasciate questo luogo. Tornate dove vi aspettano, mettetevi in salvo».

«Dopo così tanta gioia, volete ora uccidermi?»

«Al contrario, cerco di salvarvi».

«Chiedermi di vivere senza voi è come affondarmi un ferro nel petto; no, è più doloroso. Non posso farlo!»

«Andate. Vi manderò domani un’amica fidata; ma ora, andate!»

Qualcosa nel tono della Miyano impedì a Shinichi di opporsi ancora al suo volere.

«Vi prego di mantenere la parola, o ne morirò. Addio, mia signora; addio!»

~

Mattina del giorno seguente, Residenza Kudo

«È forse stato tutto un sogno? Mi par sia troppo bello. Non oso sperare, e pur tuttavia! Era così reale».

«Speravo di trovarvi più allegro di ieri, ma pare abbiate trovato nuovi assilli con cui dilettarvi».

Kaito era entrato, non annunciato, nella sua stanza. Shinichi si sarebbe accigliato, di norma, ma non quel giorno.

«Devo ringraziarvi» lo accolse infatti. «Il vostro aiuto mi è stato prezioso, la notte passata».

«Al vostro servizio» dichiarò l’ospite con un ghigno e un mezzo inchino. «Allora, com’è andata la serenata?»

«Lei è magnifica».

«Lo spero bene» ribatté Kaito annoiato. «Ma non è quanto vi ho chiesto».

«Cosa volete sapere?»

Prima che una risposta potesse essere proferita, un servitore entrò nella stanza. «C’è una donna che chiede di vedervi, signorino» annunciò. «Si rifiuta di darmi il suo nome. Cosa devo fare?»

«Fatela entrare, presto!» ordinò Shinichi, gli occhi accesi d’una luce nuova.

«Una donna? Non sarà certo la fanciulla di ieri. M'inganno?» mormorò Kaito. La curiosità per quell’interruzione sovrastò l’irritazione.

Il padrone di casa non si disturbò a rispondergli.

L’attesa non fu lunga, e nella stanza entrò una giovane donna con lunghi capelli castani, stranamente non acconciati ma lasciati liberi d’incorniciarle il viso. Era molto bella, ma questo lo notò solo Kaito: per Shinichi non esisteva più nessuna che non fosse la sfuggente ragazza della sera prima.

«Voi siete?» domandò, ansioso.

«Dovreste sapere chi mi manda» dichiarò lei. «Non ne farò il nome».

Il sollievo si dipinse sul volto del giovane Kudo. «Non mi ha dimenticato; ma vi prego, parlate!»

«Che sguardo triste. Siete qui per pianificare un’unione o annunciare un funerale?» s’intromise Kuroba.

Shinichi lo fulminò con un’occhiataccia, tristemente conscio che non sarebbe stato sufficiente per zittirlo.

L’intrusione dell’amico, però, lo turbò per un altro motivo. Prestando più attenzione alla donna, infatti, dovette dargli ragione. La sua espressione non prometteva nulla di buono.

«Parlate. Devo sapere» mormorò, mentre uno strano presentimento si faceva largo in lui.

~

«Padre!»

Shinichi, spalancato il fusami dello studio del padre, vi si introdusse come una furia, chiamandolo a volume forse un po’ troppo alto.

Yusaku Kudo alzò distrattamente gli occhi dai documenti che stava visionando. «Cos’è accaduto?» domandò.

«Devo presentarvi una questione della massima importanza».

L’uomo inarcò un sopracciglio. «Parla, dunque».

«Riguarda i Miyano».

Suo padre non nascose un certo fastidio. «Spero che sia realmente importante. Non amo sentir parlare di quel folle di Atsushi Miyano, se non è indispensabile» chiarì.

«Si tratta di sua figlia. Vuole darla in sposa al comandante d’un gruppo di mercenari. Mi sembra importante impedirlo».

L’espressione di Yusaku non mutò. «Non credevo t’interessassi di politica».

«Se la loro unione avvenisse, Atsushi diverrebbe seriamente temibile» proseguì Shinichi sicuro.

Yusaku poggiò i documenti e si accostò al figlio. «Cosa proponi?»

Il giovane deglutì. «Potrei sposarla io. Sarebbe un modo efficace per impedire il matrimonio senza spargimenti di sangue».

Gli occhi di ghiaccio del capofamiglia si fissarono nei suoi per alcuni secondi, che al giovane parvero un’eternità.

Poi gli diede le spalle e recuperò le sue carte. «Non ho tempo per i tuoi scherzi» decretò.

«Ma padre!»

«Mio figlio sposare una Miyano? Non succederà mai! Dovresti ben sapere quale risentimento c’è tra le nostre casate».

Shinichi avrebbe voluto ribattere, ma Yusaku non gliene lasciò il tempo. «Ora vai. Non ti ascolterò oltre».

Deglutendo contrariato, il ragazzo non poté fare altro che ubbidire.

~

Residenza Miyano

Shiho strinse i pugni, lottando contro il disgusto che l’assaliva.

Non sopportava la vista dell’uomo con cui, malauguratamente, l’avevano lasciata sola in quella stanza.

Non le era mai piaciuto, ma dopo l’incontro della sera prima era diverso. Adesso si sentiva male al solo pensiero di dover passare del tempo con lui.

«Sei carina quando fai la ritrosa» disse lui, sfiorandole la guancia con un dito.

Un gesto d’affetto? Certo, come no. Stava solo studiando la mercanzia, Shiho ne era certa.

Si ritrasse. «Non vedo l’utilità di tutto ciò. Tu e mio padre siete in affari da anni».

L’uomo ghignò. «Niente cementa un rapporto come un matrimonio».

«Non sono d’accordo».

«Non c’è bisogno che tu lo sia, piccola Shiho. Vedrai, imparerai ad amarmi… o a temermi, dipenderà da te».

«È una minaccia, Gin?» Shiho cercò di non lasciar trapelare la sua agitazione, ma non le riuscì benissimo. A quell’uomo – no, a quell’assassino, bastava uno sguardo per instillarle un timore viscerale. Non capiva nemmeno lei bene la causa delle sue sensazioni, ma le era impossibile arginarle.

«Decidilo tu» le consigliò beffardo.

Fu un attimo; ridusse lo spazio tra loro e le afferrò il volto con la mano destra, impedendole di distogliere lo sguardo. «Fremo al solo pensiero che presto sarai mia» le sussurrò, sempre con il suo ghigno mordace.

Shiho tremò, incapace di reagire in alcun modo.

Rimasero fermi in quella posizione per qualche minuto, finché Gin non si stufò di quel gioco.

«Ci ho ripensato, sai. Con quello sguardo terrorizzato sei ancora più carina».

Con quest’ultima affermazione, le diede le spalle e abbandonò la stanza.

Solo allora lei si concesse di crollare. Si ritrovò in ginocchio, scossa dai tremiti d’orrore e disprezzo.

«Non ti amerò mai, Gin» promise fra sé.

Si abbracciò in un vano tentativo di confortarsi.

Poteva formulare tutte i voti che voleva, non avrebbero cambiato la realtà.

Mancavano solo due giorni al matrimonio pianificato da sua padre e nessuno, tantomeno Shinichi, avrebbe potuto salvarla. Anche se una labile speranza l’aveva.

Rimase lì immobile per ore, finché non sentì un tocco leggero, delicato, sulla spalla.

«Shiho, cos’è successo?»

«Akemi…» mormorò, con la vista annebbiata.

Akemi era poco più grande di Shiho; figlia della governante dei Miyano, le due erano cresciute insieme. Per lei era come una sorella, senz’altro la persona di cui si fidasse di più.

«Gin ti ha fatto qualcosa?» le domandò Akemi, la voce pervasa di preoccupazione.

«Sto bene» affermò Shiho, non convincendo neanche sé stessa. «Hai trovato le erbe di cui ti avevo parlato?»

Dopo qualche secondo d’esitazione, la maggiore annuì. «Cosa vuoi farne?»

La Miyano si alzò, accettando l’aiuto dell’altra. «Salvarmi».

~

Il giorno dopo

«Ne sei certa, Shiho? Se non dovesse funzionare?»

«Funzionerà. Se non lo facesse… niente è peggio di sposare Gin».

Akemi sospirò. Non avrebbe saputo ribattere. Assentì. «Mi fido di te, dovrà funzionare» disse.

«Ho bisogno che avvisi Shinichi. Ti chiedo solo questo, Akemi».

«Puoi contare su di me».

~

Giardino di Kyoto

«Ci dev’essere qualcosa che posso fare, dannazione! Io… scapperò. Fuggirò con lei; non c’è altra scelta!»

«E dove andrete? La donna è stata piuttosto chiara: la sorveglianza intorno alla vostra amata è raddoppiata, e se anche riuscisse realmente a scappare quei mercenari vi sarebbero addosso in un attimo. Inoltre, vi ricordo che la cerimonia è domani. Il tempo fugge, dovrete rassegnarvi».

Shinichi guardò Kaito con rabbia. Le sue parole erano dannatamente vere, il che le rendeva difficilmente sopportabili. «Rassegnarmi a non poter fare niente? E venite a dirmelo proprio voi?» ribatté aspro. «Dev’esserci una soluzione!» esclamò disperato, calciando un sasso.

«Da solo non combinerete nulla» chiarì asciutto Kaito. Sorrise malizioso. «Ma forse potrei aiutarvi».

«Coinvolgerete lo shogun?» domandò Shinichi, ricordando chi fosse esattamente Kaito. Forse…

«Mio zio? Perché mai?» fu però la risposta.

La speranza lasciò nuovamente il giovane Kudo. «Allora non vedo come possiate migliorare la mia situazione».

Kuroba si finse offeso. «Uomo di poca fede» lo redarguì. «Non avete forse fiducia nelle mie doti, nonostante ne abbiate già avuta dimostrazione?»

«Vi ascolto dunque!» esclamò Shinichi, seppur non troppo convinto.

«Kudo, Kudo! È terribile!» gridò una terza voce, alle loro spalle.

«Quale altra sciagura mi cerca?» domandò il ragazzo chiamato, girandosi. Riconobbe la figura di Hattori; il suo sguardo lo spaventò.

«Si tratta della giovane Miyano. È morta!» annunciò, ansimando per la corsa.

«Morta?» ripeté Shinichi, incapace d’avere qualsiasi altra reazione. La vista gli si annebbiò. «Morta? Non è possibile…»

«Com’è successo?» volle sapere Kaito, prendendo in mano la situazione.

«Pare sia stata avvelenata; non si sa di preciso. L’hanno trovata nel letto poco fa. È gelida, e non ha battito».

«Morta», ripeté ancora Shinichi. Traballante, mosse qualche passo verso l’uscita del Giardino.

«Dove andate?» gli gridò dietro Hattori.

Kaito gli poggiò una mano sulla spalla. «Lasciamolo solo, per ora» suggerì. «Spero solo che non commetta qualche sciocchezza».

~

Vicolo nella periferia di Kyoto

Shinichi non esitò nell’entrare in quel buco che avrebbe dovuto essere una locanda.

«Cosa posso fare per voi?» domandò l’uomo dietro al banco, non poco sorpreso nel trovarsi davanti un nobile.

«So che vendi veleni» mormorò il giovane, senza perdersi in tanti giri di parole.

«Non so di che parliate», balbettò il vecchio, a disagio. Che fosse una guardia dello shogun? L’avrebbero condannato?

«Non devi temere nulla da me. Ho bisogno dei tuoi servigi, non negarmeli» lo supplicò Shinichi, ogni traccia d’alterigia nobiliare completamente svanita dalla sua voce e dal suo aspetto.

L’uomo ne rimase colpito. «Perché cercate un veleno?» ardì domandare.

«Se quel che ho sentito è vero, non ho più ragion di vivere» fu l’abbattuta, ma sincera, risposta. «Non sopporto già più la luce del sole; ti scongiuro, vecchio, fa’ un’opera di carità».

A Hiroshi Agasa si strinse il cuore sentendolo parlare in quel modo.

«Non dovreste dire così. Siete ancora giovane, sono certo che avete moltissime possibilità davanti a voi».

Shinichi buttò fuori una vuota risata. «Non sono qui in cerca di consigli. Vendi veleni per sopravvivere quando gli affari vanno male, no? Non vedo molti clienti. Dammi ciò che voglio, ti pagherò bene».

L’uomo esitò. Il ragazzo aveva colpito nel segno. Sopprimendo la sua coscienza, si lasciò convincere.

In fondo, non era responsabile per i capricci d’un nobile, si disse porgendogli il filtro che tanto desiderava. «Se davvero lo farete, posso almeno promettervi una morte rapida» affermò.

«È più di quanto speri. A te» rispose Shinichi, poggiando un sacchetto pieno d’oro sul banco.

«Addio».

~

«Dov’è, signore? Dov’è Shinichi Kudo? Ho un messaggio importante da riferirgli!»

«Cos’altro può esserci, se la tua affascinante padrona è morta?»

Kaito studiava con curiosità Akemi, la ragazza di quella mattina, che l’aveva praticamente assalito in una stradina presso la Residenza Kudo. Aveva detto d’aver cercato Shinichi per un’ora, invano. La sua smania stupiva il giovane nipote dello shogun, soprattutto perché in lei non vedeva tristezza per la morte di Shiho, solo molta preoccupazione.

«Lei non può capire! È fondamentale che gli parli! Lui deve sapere-»

Kaito le posò un dito sulle labbra. «Perché non ti calmi e mi fai capire, se è tanto importante?»

~

Cripta dei Miyano

Shinichi era in ginocchio accanto alla salma perlacea di Shiho.

«Fato crudele, sapevo che era troppo bello esser ricambiato. Hai dovuto sottrarmela…!»

Una lacrima gli rigò il volto. «Ma non rimarrai a lungo sola, mia amata. Verrò presto da te, ma prima…»

Si sporse e poggiò le sue labbra calde sulle sue, gelide quanto la morte.

Estrasse la fiala comprata poco prima. «Spero che tu sia di parola, vecchio» mormorò, portandola alle labbra.

Ne bastarono due sorsi; la fiala gli cadde sul terreno, lui si portò una mano sul cuore. Il dolore era lancinante.

Non poté trattenere un urlo.

~

Questa voce… Mi gira la testa, ma credo d’aver sentito Shinichi urlare?

Confusa e annebbiata, Shiho pian piano tornò tra i vivi. Avrebbe potuto prendersi un momento per constatare che il suo infuso della morte apparente aveva funzionato, ma il lamento che aveva perforato la nebbia della sua incoscienza le aveva prepotentemente occupato i primi pensieri coerenti.

«Shinichi!» esclamò appena si fu ripresa abbastanza da scorgerlo accanto a sé. Era lì, accanto a lei, e per un momento se ne rallegrò. Tuttavia… perché non si muoveva? Il sorriso fu presto sostituito da una smorfia di preoccupazione.

Si mosse, presa da una terribile angoscia, e la sua mano urtò qualcosa di gelido. Abbassò uno sguardo sull’oggetto incriminato; una fiala trasparente. La raccolse, un tragico pensiero si fece strada nella sua mente.

Nel contenitore rimaneva ancora un po’ di liquido, inquietantemente carminio.

Una fiala mezza vuota a terra… L’urlo che ho sentito… Shinichi pallido, una smorfia di dolore sul suo volto.

Non fu difficile per Shiho trarre le sue conclusioni. Si piegò disperata sul petto del giovane con cui aveva sperato di poter iniziare una nuova vita, stringendo il pugno.

«Non hai ricevuto il messaggio, non è così?» mormorò tra i singhiozzi.

Rialzò la testa e si asciugò le lacrime. «Dovevo saperlo. Ho osato sperare troppo… la felicità non è prevista nel mio destino».

Fissò lo sguardo sul volto cereo di Shinichi. «Non temo la morte» affermò con decisione. «Sei stato pronto a morire per me; non sarò da meno».

Senza esitare oltre, ingerì quel che rimaneva del veleno.

Fu immediatamente colpita da brucianti fitte in tutto il corpo.

Anche tu hai sofferto così, Shinichi? si chiese piegandosi su di lui. Eppure, non mi spiace morire con te.

~

Kaito e Akemi giunsero troppo tardi sul posto, e non poterono far altro che constatare la morte dei loro amici.

«Dovrei essere io, quello impulsivo» rimuginò amaramente il nipote dello shogun. «Se avessi aspettato una sola ora!» esclamò con rabbia.

Akemi si limitò a piangere in silenzio accanto al corpo di Shiho.

I parenti dei due amanti ebbero reazioni diverse alla loro vista. Elena Miyano portò una mano alla bocca e trattenne un urlo, Yukiko Kudo scosse mestamente la testa.

Atsushi Miyano guardò con odio Yusaku e l’accusò d’aver lasciato che il figlio instillasse bizzarre idee in sua figlia.

Lo scambio sfociò in una discussione; i tentativi delle due donne di sopire i rancori dei loro mariti si dimostrarono vani.

Nella confusione che ne conseguì, nessuno si accorse della sparizione dei due corpi, e nessuno notò due piccole figure allontanarsi silenziosamente.

L’alba del nuovo giorno vide due bambini, spaesati ma determinati, lasciare Kyoto alla ricerca di qualcosa che non avevano mai avuto: la libertà.

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Capitolo 7
*** Non proprio cattivi ***


Non proprio cattivi

 

 

Ran impallidisce di colpo, sentendo Yusaku parlare delle liste di Babbo Natale. Shinichi non ha bisogno di chiederle nulla: basta guardarla in faccia per capire a cosa sta pensando.

«Piantala di preoccuparti, Ran» afferma, sbadigliando. «Se uno di noi è sulla lista dei bambini cattivi, quella è di certo Sonoko». Vorrebbe anche aggiungere che quella lista non esiste, dato che Babbo Natale è soltanto una sciocca invenzione – suvvia, che fantasia che hanno gli occidentali! –, ma Ran piangerebbe e non lo vuole.

«Come hai detto?»

Si volta di scatto verso Sonoko; la sua espressione un po’ lo spaventa. Sembra pronta a ucciderlo. Fa lo spavaldo, comunque, e dopo un colpetto di tosse ripete: «Scommetto che sei nella lista dei bambini cattivi».

«Tu tra poco sarai in quella dell’ospedale!» esclama la bambina, arrabbiatissima.

«Chiedi scusa, Shinichi. Subito!» interviene Yukiko, riservando un’occhiata severa al figlio. «Non si tratta così una signorina carina come Sonoko-chan!» aggiunge, sorridendo invece all’interessata.

Shinichi sbuffa, voltandosi verso Ran – è strano che lei non abbia reagito, ridendo o in difesa dell’amica. Non si aspettava, però, di vederla preoccupata.

Proprio in quel momento, Ran si volta verso di loro. Ha il telefono in mano; sorride triste. «Devo andare» mormora. «Papà e mamma mi vogliono a casa».

 

Sonoko ha insistito per rimanere con lui nonostante l’assenza di Ran; Shinichi, dapprima scettico, si sorprende a divertirsi molto con lei.

Al termine della serata sono soli, seduti sul divano di villa Kudo, in attesa del padre della bambina. Yukiko è in cucina.

«Lo pensi davvero?»

«Che cosa?» domanda subito Shinichi, confuso. La immagina rispondere “Deducilo, detective” per prenderlo in giro come sempre, ma non succede; sembra stanca, per quella sera hanno battibeccato abbastanza.

«Che io sia una bambina cattiva».

C’è qualcosa di strano nel tono dell’amica, non l’ha mai vista così seria. Si ferma, riflette qualche secondo.

«No» mormora, infine, fissandola un po’ in imbarazzo. «Era uno stupido scherzo».

Lei a quelle parole si accende e gli scocca un sorriso raggiante. «Non sei così cattivo!» urla, stordendolo. Shinichi scrolla le spalle, fingendosi indifferente.

È sempre stata così carina, Sonoko?

 

 

È Natale. Shinichi ha riottenuto il suo corpo e la sua vecchia vita, ma non c’è gratitudine per tali doni nel suo cuore. Riesce a pensare solo a ciò che ha perso, piuttosto: Ran.

Non è stata la distanza ad allontanarla da lui, sono state le sue bugie.

Ran non gli ha fatto una scenata, gli ha sorriso dicendosi contenta per la risoluzione dei suoi problemi. Poi gli ha comunicato che sarebbe andata a studiare all’estero.

Shinichi non ha avuto bisogno di chiedere, per una volta l’ha dedotto senza errore: Ran non lo ama. Forse l’ha amato, in passato, ma lui ha giocato con i suoi sentimenti per un anno e di quella cotta infantile non è rimasta più traccia.

È a casa, solo: i suoi genitori sono già ripartiti. Gli hanno offerto di andare con loro, di nuovo, ma lui ha rifiutato. In America non farebbe che cercare Ran in ogni ombra, mentre – gli è costato molto accettarlo – ha capito di doverla lasciar andare, per il suo stesso bene.

È confuso: si è sempre immaginato al fianco dell’amica, ha desiderato proteggerla e passare la vita con lei. Da quando Ran l’ha lasciato avverte un vuoto, ma si è anche scoperto non più tanto certo di ciò che provava per lei.

Perché la amava, o pensava di amarla?

Ran ha portato via con sé ogni sua certezza.

D’un tratto si volta, sorpreso, verso la porta d’ingresso; qualcuno ha appena suonato. Di chi può trattarsi? Shiho gli ha detto di avere un appuntamento – non ha proprio voluto rivelargli con chi –, quindi dovrebbe escluderla. Potrebbe trattarsi del dottor Agasa. Lentamente, si alza e raggiunge la porta; il campanello trilla di nuovo.

No, non è il dottore: non è così impaziente.

Apre la porta, brusco, e rimane a bocca aperta.

«Sonoko?» sussurra, riconoscendo la figura di fronte a lui. Non è certo di non avere le allucinazioni: che ci fa lei lì? Avrebbe scommesso che l’odiasse, visto com’è finita tra lui e Ran. Invece è sulla sua soglia, fasciata in un abito rosso – è carina – e non appare arrabbiata, solo un po’ irritata per l’attesa.

«Perché ci hai messo tanto?» lo bacchetta infatti, ma si ricompone quasi subito in un largo sorriso. «Lascia stare; che fai conciato così? Sbrigati a cambiarti: usciamo!»

Se prima era stupito, ora è genuinamente incredulo. «Usciamo?» ripete, soppesando quella parola. Suona così strana in bocca a lei. Sta pianificando il suo omicidio?

«Pensavi che ti avrei lasciato a deprimerti a casa? Che amica sarei? Su, muoversi!» ordina Sonoko. «Scemo» aggiunge, in uno sbuffo quasi affettuoso.

«Non sei arrabbiata?» chiede lui, fermo, cercando ancora di elaborare la situazione.

«Ran non è arrabbiata con te» dichiara Sonoko, con tranquillità. «La tua situazione le ha permesso, tra le varie cose, di rendersi conto che dalla vita vuole altro. L’hai ferita, sì, ma diciamo che per stavolta la passi liscia. E poi sospetto che tra voi due sia tu, quello con il cuore più spezzato al momento».

Ciò che pensa deve leggerglisi in faccia, perché Sonoko scuote la testa e aggiunge: «Forse tendi a dimenticarlo, ma sono anche tua amica, oltre che di Ran». Si è incupita leggermente nel dirlo; Shinichi, finalmente, capisce l’errore. È stato ingiusto con lei.

«Entra» l’invita, «sarò pronto in un attimo».

 

Sonoko lo trascina in giro per le vie illuminate di Tokyo, corre da una vetrina all’altra e fa qualche commento cercando di coinvolgerlo in una conversazione. È buffa, ma la sua strategia funziona: Shinichi si distrae. Si finge seccato, ma le è grato.

Improvvisamente gli occhi le si accendono d’una luce malandrina. Shinichi ne segue lo sguardo, ma non capisce subito.

«Dovremmo prendere del pollo fritto!» esclama finalmente lei, afferrandogli un braccio. Non si oppone, mentre si avvicinano al KFC, ma la sua mente corre veloce.

È Natale. Lui e Sonoko sono soli. Stanno per prendere del pollo fritto.

Shinichi sente improvvisamente molto caldo.

«Sei sicura di voler mangiare del pollo fritto con me?» si accerta, già dentro al locale.

Sonoko lo guarda come se avesse appena chiesto se il cielo sia blu. «Certo» risponde, sbrigativa, e torna a rivolgersi al cassiere.

Mangiare pollo fritto a Natale, in Giappone, è una tradizione per famiglie… e innamorati. Shinichi è in confusione totale: Sonoko ci sta provando con lui, lo sta prendendo in giro o… cos’altro?

«Spegni il cervello» lo riprende, ridendo, la ragazza. Regge un vassoio con la loro ordinazione e glielo porge, così da farlo portare a lui. Shinichi la segue, muto, fino al primo tavolo libero. «Dico sul serio, Kudo» continua lei, addentando una patatina. «Tu pensi troppo. Divertiti e basta, pensi di poterlo fare per cinque minuti?»

Si acciglia. Forse Sonoko ha anche ragione – eppure, inizia a sospettare che stia giocando con lui appositamente! –, ma non è disposto a dargliela vinta con tanta facilità. «E se non lo facessi?» replica, provocandola.

«Vuoi essere imboccato? Non sei più un bambino, Conan».

Avvampa, di nuovo. Sonoko ha talento nel trovare i suoi punti deboli e, lo ammette, gioca bene le sue carte.

«Se fossi un bambino, comunque» prosegue lei, come presa da un ricordo, «scommetto che saresti nella lista di quelli cattivi».

Shinichi si blocca, la mano tesa verso il pollo resta a mezz’aria. È confuso; quella non sembra l’ennesima provocazione, le parole di Sonoko gli solleticano la memoria. Ritira la mano, riflettendo. Lei sorride divertita.

D’un tratto, capisce – ricorda. Scoppia a ridere.

«Te lo sei proprio legato al dito, quello scherzo» commenta. Qualsiasi traccia d’imbarazzo o disagio è scomparsa; non è certo del perché, ma la consapevolezza di aver già passato un Natale solo – o quasi – con Sonoko agisce come un balsamo sui suoi nervi. «Non dirmi che pianificavi questa battuta da quando hai scoperto di Conan».

Sonoko scrolla le spalle, continuando a sorridere. «Dimmelo tu, detective».

Shinichi scuote la testa. È come se quel primo Natale passato insieme abbia aperto la strada a un fiume di altri ricordi semidimenticati. Sonoko è sempre stata presente, al suo fianco – eclissata da Ran. Ora che il ruolo dell’altra ragazza nella sua vita si è ridimensionato, ripensa e rivede tutto, anche i minimi gesti.

«Dovrei minacciarti di mandarti all’ospedale, allora» puntualizza, ripensando a quello scambio così loro. «Ma non lo farò. Invece… grazie».

«Non fare il sentimentale con me, ora… Shinichi».

La sostituzione del cognome con il nome lo sorprende, sul momento, ma non lo infastidisce; suona giusta.

 

«Sai, Shinichi» inizia Sonoko più tardi, mentre camminano per una strada particolarmente decorata.

Si volta a guardarla, incuriosito dal tono. Non è certo del perché, ma gli è parso molto diverso da quello normale che ha usato per chiacchierare fino a poco prima.

Sonoko guarda in alto, invece. Si ferma di colpo, spingendolo a fare altrettanto, e finalmente lo fronteggia. «Scherzavo. Non sei proprio cattivo, in fondo».

Solleva un sopracciglio, sospettoso. Lo sguardo gli corre d’istinto verso l’alto, dove guardava Sonoko poco prima – comprende. A metà. Ricerca gli occhi della ragazza, sperando di trovarvi una risposta o una conferma, ma ritrova il suo volto molto più vicino. Una conferma, allora.

Sonoko esita un secondo, forse per assicurarsi che abbia compreso e non la respinga. Shinichi ne approfitta per prendere in mano la situazione: sono sotto una piantina di vischio, la bacia.

È strano – è bello.

Il fantasma di Ran lo lascia, in quell’attimo – e in quelli a venire.

 






NdA
Duunque.
Ho scritto questa storia come regalo per Maqry, la mia gemellina nata in ritardo che ho avuto il piacere di conoscere quest’anno e che mi sopporta da mesi. Maqry è, inoltre, una vera Grifondoro, perché quest’estate ha iniziato a leggere Detective Conan: se non è un atto di coraggio questo, non so quale possa essere. E leggendolo, ha iniziato a shippare Shinichi e Sonoko (e io il crack posso solo approvarlo!).
Scherzi a parte, volevo scriverti una Shinichi/Sonoko da tanto e alla fine è venuta fuori così. Ti saresti meritata molto di meglio, lo so, ma spero che questa possa esserti piaciuta almeno un pochino!

Sono consapevole che Shinichi nel canon ami Ran, Aoyama potrebbe difficilmente essere più eloquente a riguardo. Per quanto mi riguarda, comunque, un sentimento che lega due bambini in modo identico dall’asilo ai sedici anni è a dir poco irrealistico. Mi permetto di interpretare, in ambito fanfiction (in questa, perlomeno) l’affetto di Shinichi per Ran esattamente così, come un affetto molto forte per l’amica che ha sempre avuto accanto mescolato a un grande senso di protezione (che comunque Shinichi ha per tutti, eh. Corre per salvare Ran, sì, ma corre per salvare tutti: sale su un autobus che sta per esplodere per salvare Ai, e non credo che lo faccia solo perché lei gli è utile). E quando lei si allontana, Shinichi riesce finalmente a vedere Sonoko.

Makoto in questa fanfiction non esiste (o meglio, non si sono mai incontrati e non stanno insieme), ché già è pesante dover smontare una ship canon, la seconda me la sono risparmiata. E poi Maqry ancora non ha conosciuto Makoto 😇
Una piccola nota per i nomi: non sono un'esperta riguardo alla cultura giapponese, tutt'altro, quel che so mi viene soprattutto dalla lettura proprio di Conan. Mi sembra di aver capito che, se da bambini è normale chiamarsi per nome, crescendo diventi invece imbarazzante per i ragazzi essere chiamati per nome dalle coetanee. Per questo Sonoko qui dapprima lo chiama Kudo, arrivando solo più tardi a osare Shinichi (“privilegio” che Ran invece ottiene molto presto). Per quanto riguarda Sonoko invece, non sono sicurissima ma non ricordo Shinichi rivolgersi a lei come Suzuki, francamente mi farebbe strano... fingiamo che dopo un anno di Conan che la chiama Sonoko-oneesan gli venga spontaneo chiamarla così, d'accordo? A parte questo, ho preferito evitare gli onorifici con la sola eccezione del “chan” usato da Yukiko. Probabilmente avrei dovuto evitare anche quello, ma farle dire soltanto Sonoko mi suonava strano, perdeva una sfumatura. "Sonokina" sarebbe un vero obbrobrio, "la piccola Sonoko" non c'entrava, siate clementi e passatemelo – oppure bacchettatemi, magari mi deciderò a toglierlo. Per chi non lo sapesse, il suffisso "chan" è utilizzato come diminutivo/vezzeggiativo, con i bambini ma anche tra ragazze o in situazioni di grande intimità (credo).
Insomma, spero che questa storia possa esservi piaciuta. D’altra parte se state leggendo questa raccolta la divergenza dal canon non dovrebbe dispiacervi troppo, credo!
Ogni parere è ben accetto.
Buon Natale a tutti e tutte!
Mari

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Capitolo 8
*** Tradendo il nero ***


Shihigo

Tradendo il nero

 

 

 

“Non c’è amore per i traditori, in questo mondo.”

 

Ha pensato che i Tokyo Noir fossero la squadra più adatta lei: del nero non ci si libera mai del tutto, in fondo. (Così credeva.)

Ryusuke Higo ha tradito la squadra nera, ne è fuggito – per suo fratello.

Le coincidenze con la sua storia, per quanto quella del calciatore sia decisamente meno tragica, l’hanno fatta sorridere. È stato come trovare un amico, qualcuno che potesse capire cosa si prova a tradire ed essere respinti da tutti, anche dai propri nuovi compagni, per questo.

Perché dovrei capire una persona che ha creato un veleno?

Ti rendi conto di ciò che hai fatto?

Ha compreso le accuse di Shinichi, quelle che le ha urlato in faccia e quelle taciute che gli ha letto negli occhi. Ha uno sguardo limpido, uno che nonostante tutto non riesce proprio a mentire con tranquillità. Le sue ombre sono facili da cogliere, per il suo sguardo nero. Sa che con il tempo le ha lasciate andare, sa di essersi redenta ai suoi occhi.

Non le dimenticherà mai.

Si chiede se Higo ricordi in modo tanto vivido i fischi che l’hanno accolto tra i Big Osaka.

L’avevo sospettato; i fischi erano il modo dei fan di spronarlo a fare meglio.

Higo ce l’ha fatta.

Forse è stupido o forse no, ma vedere Ryusuke Higo – il traditore della squadra nera – vincere e venire festeggiato da tutti, accettato, le ha scaldato il cuore. Le ha fatto credere che ce l’avrebbe fatta anche lei, un giorno – avrebbe potuto lasciarsi tutto quel nero alle spalle e vivere tranquilla. Forse.

È iniziata così: poi, partita dopo partita e intervista dopo intervista, si è affezionata al ragazzo che – senza averne la minima idea – ha saputo donarle una speranza.

L’ha ammirato da lontano, come una qualsiasi adolescente. È stato bello.

 

“Ti sbagli”, le ha dimostrato Higo.

 

Masumi ha insistito e lei ha finito per acconsentire, si è lasciata trascinare alla festa di Natale del gruppo Suzuki – un po’ le ricorda Akemi, sua cugina.

Quando l’ha visto lì è rimasta di sasso. Le è sempre bastato ammirarlo da lontano, tifare a distanza. Anche quando il caso le ha offerto un’interazione, non ha mai preteso nulla di più. Perché anche se considera le loro storie parallele, sa di trovarsi su tutto un altro piano rispetto al calciatore che tanto ammira; uno più sporco – nero.

Lui non si è posto simili problemi.

Somigli molto a una bambina che ho conosciuto tempo fa, sai?

Si è avvicinato e le ha parlato, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Shiho ha sorriso sentendolo ricordare la bambina che ha contribuito a scagionarlo e a svelare l’omicida del suo amico Asuka. Ha sorriso, enigmatica, ma non gli ha rivelato la verità.

Sarebbe un po’ strano menzionare l’APTX al primo incontro – forse in futuro, se lo rivedrà.

Dev’essere stata dura.

Avrei voluto fornirti un assist migliore.

Gli ha confidato la sua storia, aspettandosi scetticismo e sopracciglia alzate; si è sbagliata.

Ryusuke l’ha ascoltata in silenzio. Non l’ha compatita. Le sue parole la fanno sentire compresa, riconosciuta – valida. Le emozioni dolorose e potenti che ha trattenuto fino a quel momento premono per uscire in forma di lacrime; lo permette.

Ryusuke l'abbraccia e lei gli sussurra che non avrebbe potuto aiutarla di più.

 

Persino i traditori possono trovare amore, in questo mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA

Ben arrivati fin qui! Grazie per aver letto.

Ho sempre trovato simpatica l’infatuazione, chiamiamola così, di Ai per Higo, nonché intrigante. Di mio però non ci avrei probabilmente mai scritto, se Shireith non mi avesse sfidata a farlo nell’ambito della Sfida di scrittura del gruppo fb Caffè e calderotti.

La Sfida, neanche a dirlo, scade oggi: a poche ore dalla fine dell’anno riesco a completarla.

Ho giocato un po’ con la struttura della storia, spero che sia comunque risultata chiara.

Al centro c’è una frase di Ai, “Non c’è amore per i traditori in questo mondo”, poi confutata da Higo che prima le dimostra che anche lui, un traditore, può venire amato e poi, in modo più diretto e what if?, ama lei. La storia si basa su due momenti, in pratica: il primo ricostruisce il momento in cui Higo entra nella vita di Ai, come lei si riveda nella sua storia e come proprio questo parallelismo le porti speranza; il secondo si sposta post-finale ipotetico e vede Shiho, di nuovo nel suo corpo, avvicinarsi in modo più diretto a Higo. Ho cancellato la frase che lo specificava, comunque spero che sia chiaro che tra il primo incontro alla festa di Natale e quello in cui gli racconta tutto ne intercorrono vari altri. Il fatto che non lo chiami più Higo ma Ryusuke ne è indizio. Ho, infine, deciso di allineare a sinistra le battute pronunciate, senza riportare i dialoghi nella narrazione. Nella prima metà, le battute sono di Conan (e sono citazioni dal manga), nella seconda sono ovviamente di Higo e sono inventate da me. L’idea dell’assist l’ho presa da Higo che definisce così l’aiuto di Ai nel caso dell’omicidio del suo amico Asuka.

Non ho nient’altro da dire, se non che spero di non aver fatto solo un gran pasticcio.

Ne approfitto per augurare un felice anno nuovo a tutti voi! Un bacio,

Mari

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