Il pittore

di sofismi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo ***
Capitolo 2: *** Secondo ***
Capitolo 3: *** Terzo ***
Capitolo 4: *** Quarto ***
Capitolo 5: *** Quinto ***
Capitolo 6: *** Sesto ***
Capitolo 7: *** Settimo ***



Capitolo 1
*** Primo ***


Primo




Sono a casa da sola, spettinata e triste. Gli occhi sono stanchi di posarsi su qualsiasi oggetto e la testa è più pesante del solito. L’istinto che nasce normalmente, durante serate del genere, è quello di scappare dal mio corpo, e spesso lo faccio: con metodi non convenzionali ma necessari che mi permettono di vivere qualche ora di pace, nonostante l’odio che mi ritrovo a provare per me stessa il mattino quando mi sveglio. Stanotte, però, questo bisogno non è ancora arrivato. Sento il petto allagato di lacrime, le onde si infrangono sulle pareti interne del mio corpo per poi tornare nel cuore dell’oceano e ricominciare la corsa. Mi stropiccio gli occhi, come una bambina. E ho caldo ma sono già nuda, come una donna. È come se la mia intera esistenza non avesse senso, e in questi momenti sensazioni del genere di fanno più pesanti, moleste. Cerco di ripetermi che va bene così, che succede a tutti. Eppure non mi sento nemmeno più una persona, non sono sicura di essere mai stata un essere umano. Mi chiedo se non sia tutta una farsa, un’allucinazione di massa, una specie di simulazione creata da un sadico che beneficia della nostra sofferenza. La musica che sento mi dice di non preoccuparmi, che andrà tutto bene, che non sono sola. Ma non mi sento nella posizione di crederci, non è mai così. Chi nasce nel dolore, nelle cose strane e diverse, alla fine non ne esce mai. Siamo incastrati in realtà che ci costruiamo noi stessi, cantiamo per tutta la vita una melodia che è sempre quella, anche se a volte le parole cambiano. Io, con il passare degli anni, non mi sento cambiata, ma allo stesso tempo mi sento un’altra persona. Mi capita di non riconoscermi, di vedere il mio viso e non sentirlo mio. Mi capita di camminare e di chiedermi se anche gli altri a volte mi vedono con un viso, un corpo diverso. Però ho imparato che se una persona ti vede in un modo diverso da come era abituata è solo perché la sua percezione di te è cambiata. Noi non cambiamo fuori, cambiamo dentro noi stessi e dentro agli altri. Abbiamo mille maschere, ma non mille facce. Siamo mille sfaccettature viste da mille punti di vista diversi. Ma alla fine le nostre note sono quelle, e la melodia è la stessa.
La verità è che mi sento stressata, sotto pressione. Non so chi sono eppure vado avanti, ho un lavoro che non è il mio, un ragazzo che non fa per me, una casa che non mi appartiene. È come se mi fossi intrufolata nel corpo di un’altra persona e le avessi rubato la vita. Non ho ancora trovato un mio posto a cui appartenere e tutto ai miei occhi sembra sbagliato, perché non sono questi gli occhi che dovrebbero vedere queste cose.
Mentre la musica continua imperterrita fumo seduta sul pavimento, incastrata tra la finestra e il mondo. Incastrata nel mio corpo, nella mia mente. Il fumo scappa attraverso la mia bocca, fuori dai polmoni, e guardandolo mi chiedo quando anch’io sarò in grado di fuggire così. E la verità mi si rivela leggera, così leggera che sembra uno scherzo: subito, potrei fuggire subito, adesso, in questo istante. Lui dorme, la porta è aperta. Non ho sbarre né catene ad intralciarmi la strada, e allora perché non vado? Perché sono ancora qui? Potrei farlo, se volessi. Ma è proprio il fatto che so di volerlo davvero a fermarmi, a rendermi abbastanza perplessa da tentennare. Dovrei urlare “fanculo questa merda!” eppure non lo faccio, e vedo una me tra qualche anno: vecchia, frustrata, arrabbiata con il mondo anche se dovrebbe essere arrabbiata solo con se stessa per non aver avuto la forza e il coraggio di alzarsi da quel pavimento, quella notte, quando ne aveva la possibilità.
“Fanculo questa merda!” dico, buttando il mozzicone e alzandomi finalmente dal pavimento. Mi vesto velocemente ed esco e ciò che mi ritrovo davanti è il mondo intero, è la mia vita. E dentro sono io: reale, viva, nuova, pronta.
 

Dopo essere cresciuti nella convinzione di vivere in un mondo bellissimo veniamo buttati in una realtà che non ci aspettavamo, ci ritroviamo ad affrontare sfide che non ci immaginavamo. È come se, una volta adulti, venissimo portati su un altro pianeta. Ma quando si diventa adulti? Ho a malapena vent’anni, non so prendere decisioni, non so rapportarmi con gli altri, non so come funzionano l’economia o la politica, non sono responsabile, quasi non so vivere. Eppure tutto ciò è richiesto e preteso. E io mi ritrovo a non portare mai a termine nulla, mi impegno per ciò che mi interessa e poi abbandono, e mi sento una fallita. Quando ero piccola sono dovuta crescere in fretta, e adesso mi comporto come avrei dovuto comportarmi allora ma con il peso delle responsabilità sulle spalle. Sono una bambina intrappolata nel corpo di una donna, e mi sento sbagliata. E cammino su questo marciapiede da non so quanto tempo ormai, senza una meta. Ho abbandonato tutto come si fa con i giocattoli vecchi, e mi sono ritrovata con niente, se non le poche cose che ho infilato nella borsa, i miei ultimi spiccioli e qualche parola di una poesia di Whitman che mi ripeto nella testa per convincermi che vada bene così. Avvolta nel freddo dell’alba mi infilo nell’unico bar aperto in questo paesino sperduto e ordino un caffè. La borsa pesante di libri cade con un tonfo sul pavimento, e io, pesante di tristezza, mi lascio cadere sulla sedia, con la stessa energia della mia borsa. Il caffè è tremendo ma lo butto giù come se fosse necessario per la mia sopravvivenza - e in effetti lo è, dato che muoio di sonno - mentre cerco la poesia che mi si è incastrata tra i pensieri. “Oh me, oh vita. Domande come queste mi perseguitano,/ infiniti cortei d’infedeli, città gremite di stolti,/ che vi è di nuovo in tutto questo,/ oh me, oh vita!” Intanto il locale di riempie, la maggior parte sono pensionati ma c’è anche qualche ragazzo. Io osservo tutto dal mio tavolino nell’angolo, perseguitata da domande in una città gremita di stolti, senza trovare nulla di nuovo e diverso. “Risposta:/ che tu sei qui, che la vita esiste e l’identità,/ che il potente spettacolo continui,/ e che tu puoi contribuire con un verso.” Non so perché ma leggere queste parole mi rassicura, è come se il poeta mi avesse appena abbracciata dicendomi che va bene, che posso farcela. E io gli credo, e piano piano riprendo possesso del mio corpo e della mia mente. Adesso ciò che mi manca è un piano.
“Oh capitano, mio capitano!” dice una voce profonda dietro al mio libro. Un ragazzo mostruosamente alto è in piedi davanti a me, in una posa bizzarra quasi teatrale, e ride. Io, presa alla sprovvista, alzo uno sguardo stranito verso di lui e non dico una parola.
“Non potevo farne a meno, perdonami” dice continuando a sorridere, “adoro il vecchio zio Walt.”
“Già, vedo,” rispondo infastidita, “anche io.”
“Messaggio ricevuto, levo le tende,” mi dice con una voce molto più profonda di prima, “buona giornata!”
“Anche a te,” rispondo sorridendo con cortesia. È stato strano, breve ma intenso. Odio chi non si fa i fatti suoi, specialmente la mattina. Scrollo le spalle come per togliermi di dosso la presenza di tutte le persone che ho intorno e ritorno impaurita sui miei passi. E adesso cosa faccio? Devo trovare un posto dove dormire, e un lavoro magari. Qua non ho assolutamente nessuna possibilità di sopravvivenza, per avere una chance dovrei spostarmi verso la grande città, e volendo i soldi per un biglietto li ho, ma voglio? Sì, per forza. Devo. Ormai ne va della mia vita.
Esco dal bar con un biglietto di sola andata in mano, il sole appena sorto mi bacia la pelle e lo sento tiepido nonostante il venticello leggero dell’alba. Mi dirigo verso la fermata dell’autobus che fortunatamente non dista molto dal bar, però con la borsa pesante sulla spalla mi sembra un tratto interminabile. Ho paura perché non so cosa mi aspetta, ma sono contenta di lasciarmi la mia vecchia vita alle spalle. Questo sarà l’inizio, il mio inizio. Mentre cammino sorrido senza rendermene conto, mi sento leggera, libera. Finalmente, facendomi spazio tra la gente, vado a sedermi sulla piccola panchina sotto la tettoia della fermata. Borsa tra le gambe e biglietto tra le dita. Sono libera. 


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Capitolo 2
*** Secondo ***


Secondo



“Lui, sopra di lei, la guarda un'ultima volta per accertarsi che sia tutto a posto e - in risposta - riceve uno sguardo sicuro e un lieve sorriso. Mantenendo il contatto visivo si fa strada tra le sue gambe, fino al suo sesso umido, ed entra con decisione e dolcezza. Non avrebbe resistito un minuto di più, la voleva così tanto che l'erezione iniziava ad essere dolorosa. E ora che era dentro di lei i piatti della bilancia erano di nuovo alla pari, tutto era in equilibrio.”
Scrivere in autobus si sta rivelando più difficile del previsto, non tanto per il brusio, che a dirla tutta mi piace molto e non mi fa distrarre da ciò che sto facendo, ma quanto per l’instabilità del mezzo: tutte le parole sono storte e tremolanti, come se fossero state scritte da una mano anziana. Ci tengo che i miei appunti siano sempre in ordine però quando ho un’idea non posso non scriverla, e vedere la mia calligrafia incerta mi fa ridere, e sorrido timidamente convinta che questa sarà una delle poche pagine che ricorderò per sempre. Il viaggio è lungo e io sono stanca, con una mano sul mio inseparabile quadernino beige appoggio la testa al finestrino e cado in un sonno leggero, disturbato dal motore che fa vibrare il finestrino e dal dondolare del mezzo sugli ammortizzatori. Tre ore scarse non basteranno a farmi recuperare il sonno che ho perso camminando la notte scorsa, però per adesso devo accontentarmi. Ad aspettarmi, questa volta, non ci sarà nessuno. Per la prima volta nella mia vita mi ritrovo ad affrontare le conseguenze delle mie scelte da sola e non sono sicura che questa scelta in particolare sia la migliore che abbia mai fatto. Ho paura che non funzionerà, che sarò costretta a chiedere aiuto, a farmi riportare nel nido al sicuro dai pericoli che infestano questa terra, sotto l’ala protettrice dei miei genitori, le ultime persone che mi sono rimaste davvero. Ma è inutile fasciarsi la testa prima di cadere, è vero che prevenire è meglio di curare ma se non ci provo adesso non ci proverò mai più e mi merito anche io una possibilità, merito anche io l’opportunità di vivere la vita che vorrei vivere.
“Siamo arrivati” sento dire mentre una mano mi tocca gentilmente la spalla per svegliarmi. Faccio fatica a mettere a fuoco quello che ho intorno, il peso della notte insonne mi appesantisce le spalle, la testa e gli occhi. Distinguo il sedile grigio davanti a me, e la città al di là del finestrino. Poi mi giro e riesco a riconoscere chi mi sta praticamente salvando la vita: il ragazzo del bar. I suoi occhi neri sono dolci, però ha ancora la mano sulla mia spalla e mi scanso frettolosamente.
“Grazie” gli dico freddamente, alzandomi per recuperare la borsa e la felpa. Sull’autobus non c’è più nessuno a parte me, questo altissimo ragazzo e l’autista. La situazione mi inquieta un pochino, non l’ho visto né salire, né alla fermata. Per un secondo mi chiedo se non sia solo frutto della mia immaginazione - cosa non improbabile, tra l’altro, - però sento la sua presenza imponente dietro di me, riesco quasi a sentire il calore del suo corpo, e mi rendo conto che è reale. E la città, anche quella è reale. Ci sono in mezzo, ci sono dentro, ormai faccio parte della sua storia. È tutto così surreale che quasi mi pare impossibile.
“È tanto che non vedo uno sguardo così meravigliato, è la prima volta che vieni?”
Come sempre interrompe i miei pensieri nel bel mezzo della corsa, ed è una cosa che non sopporto e con tutta sincerità non capisco nemmeno perché, dal primo momento che mi ha vista, mi stia sempre appresso.
“Sì, è la prima volta. Tu ci sei già stato?” Non vorrei continuare la conversazione con un possibile molestatore, però sono curiosa.
“È praticamente tutta la vita che faccio avanti e indietro, ho un monolocale qua in periferia” dice puntando l’indice verso dei palazzi alla nostra destra. Beh, buon per lui, ma che me ne importa?
“Ah, forte.”
“Sei qui per lavoro?”
“Più o meno,” rispondo guardando la borsa ai miei piedi, “infatti dovrei andare, è tardi.”
Vorrei liberarmene il più in fretta possibile ma a lui la cosa non sembra importare, e più lo guardo più noto piccoli dettagli sul suo viso, le spalle larghe, i capelli un po’ in disordine. Mi vien quasi da pensare che sia un bel ragazzo e subito cerco di cacciare via quel pensiero malsano, però lo è. Non è una bellezza ordinaria, tradizionale, è solo piacevole guardarlo, è quasi armonioso.
“Ti dispiace se ti accompagno? Questa non è una bella zona,” mi dice ammiccando. Lo trovo sgradevole e inopportuno, però mi sorride con sincerità e mi ritrovo costretta ad accettare. Mentre ci incamminiamo verso il centro mi spiega le vie, i quartieri, i palazzi importanti e quelli da evitare. Mi elenca una serie infinita di ristoranti e bar da provare assolutamente e tutte le biblioteche della zona. Avere una guida è utile, e mi fa piacere ascoltarlo sebbene sia ancora intimorita dalla sua presenza.
“Quindi,” comincia, “scrivi poesia?” La sua domanda mi lascia un po’ perplessa, la mia scrittura è molto personale, in tutti i miei pezzi ci sono dentro io e il fatto che voglia parlare proprio di questo mi fa sentire nuda.
“No, non sono una fan della poesia,” rispondo cercando di stare sul vago, “sono una scrittrice.”
“Wow! Ma è meraviglioso!” Mi dice sorridendomi, sinceramente meravigliato,”sei venuta in città per trovare fortuna?”
“La fortuna non è una cosa che si può trovare, ammesso che esista. Sono qua per trovare qualcuno a cui piaccia e interessi ciò che scrivo.”
“Potresti provare con me,” suggerisce lui, guardandomi dall’alto al basso con sguardo di sfida. Non mi fido di lui, non so cosa voglia da me, né perché si prenda la libertà di chiedermi una cosa del genere. Eppure ho voglia di continuare a parlare con lui, ho voglia di sapere cos’ha da dire. Già da ciò che mi ha detto al bar ho capito che era un ragazzo intelligente, e poi conosce Walt Whitman, e gli piace così tanto che ha sentito il bisogno di farmelo notare.
“Potrei,” gli dico, assottigliando gli occhi a mia volta e sorridendogli per la prima volta.
“Non ti resta che mettermi alla prova,” dice infilandosi in un bar poco più avanti.
Non so se sia la cosa giusta da fare, non so se posso fidarmi. Non so nemmeno il suo nome. Però qualcosa dentro di me mi convince a seguirlo, entro nel bar dietro di lui e andiamo a sederci ad un tavolino vicino alla finestra.
“Non so il tuo nome,” gli dico mentre appoggio la borsa ai miei piedi.
“Adam,” sorride, “mi chiamo Adam.” 


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Capitolo 3
*** Terzo ***


Terzo



Mi sembra passata una vita da quando ho scelto un paragrafo dal mio quaderno da far leggere ad Adam. Ho scelto qualcosa di personale ma che non possa essere percepito se non da un occhio attento, abbastanza esplicito - come sempre - e pieno di emozioni contrastanti, analizzate fino al nucleo. Nessuna trama apparente, ma tanta, tanta passione.
“Wow, è… wow.”
“È… ?” chiedo incuriosita. Gli ci sono voluti cinque minuti prima di riuscire a darmi una risposta e se ne esce con due suoni onomatopeici e un verbo formato da una sola lettera che sembra essere scappato per sbaglio. Non so se sia un buon segno o meno, ho addirittura le mani un po’ sudaticce per l’ansia, cosa che non mi succede dai tempi del liceo.
“È molto forte, profondo. Dici di non essere una poetessa ma c’è della poesia in ciò che scrivi. E ci sei tu, ci sono io, ci siamo dentro tutti,” mi dice infine porgendomi il quaderno.
Non mi sarei mai aspettata una risposta del genere, è stato inaspettato. Sono contenta, sono fuori di me dalla gioia. Gli è piaciuto, dentro di me c’è un barlume di talento, posso farcela. E lui sembra aver capito il mio pezzo, ci ha riconosciuto dentro me, sebbene non mi conosca, e si è riconosciuto lui stesso.
“Quella che hai detto è una cosa bellissima,” rispondo, sento le guance scaldarsi, probabilmente sono rossa come un semaforo, “ed è vera. Ci sono nascosta io nelle parole, e non mi stupisca che anche tu ti ci sia ritrovato.”
“Hai talento e mi sembri una che sa ciò che vuole.”
Dopo aver sentito queste parole mi viene da ridere istericamente, però per non fare figuracce mi porto la tazza alla bocca e sorseggio un po’ del mio cappuccino gentilmente offertomi da Adam.
“Sono contenta di dare quest’impressione,” rido abbassando lo sguardo sulle mie mani, “però non è proprio così. Sono insicura, e adesso che sono arrivata nella grande città non so che aspettarmi, né cosa chiederle.” 
“Puoi chiederle tutto ciò che vuoi, hai il mondo intero a tua disposizione,” mi dice, e per un momento ci credo, però sono molto abbattuta.
“Per ora mi basterebbe un tetto sopra la testa e un letto per dormire,” rispondo con un pizzico di ironia nella voce. Ci ho preso gusto a scherzare con lui, tuttavia il problema sussiste, e - in questo momento - mi sembra un problema gigantesco. Lui per un secondo ride con me, però ad un certo punto si fa così serio che mi spavento.
“Sei venuta qui senza un posto dove stare? Magari non hai nemmeno un lavoro.”
“Certo che ho un lavoro,” bugia, “e dato che ho un lavoro ho anche abbastanza soldi per affittarmi una stanza da qualche parte.” Seconda bugia. Gli rispondo secca, infastidita. Non mi conosce, non deve permettersi di parlarmi così. Lo ringrazio velocemente per il cappuccino e mi affretto ad allontanarmi il più possibile. All’inizio mi sono anche divertita, ma come già avevo intuito: è inopportuno e insolente.
“E quanto potrai mai durare? Una settimana? Due?” mi chiede seguendomi.
“Ma cosa voi da me?” gli chiedo allo stremo, voglio scappare da questa situazione scomoda.
“Voglio solo aiutarti,” la sua voce è tranquilla, così sincera che mi si incrina il cuore. “Ti ospito io nel frattempo che cerchiamo una soluzione.”
“Perché t’importa così tanto?”
“Perché sento che hai bisogno di una mano, sento che l’universo mi sta dicendo di aiutarti. Mi ha colpito che stessi leggendo Whitman questa mattina, che è il mio scrittore preferito in assoluto. E ti ho vista scrivere, e mi hai incuriosito. E se non ti avessi svegliata a quest’ora saresti al deposito degli autobus dall’altra parte della città. Ho già iniziato ad aiutarti, e io porto sempre a termine tutto.” È serio, molto serio. E io non sono un uccellino che ha bisogno di essere salvato, ma non ho molti soldi, non ho nulla, dunque in questo momento non ho altra scelta.
“Solo qualche notte,” dico affranta senza guardarlo negli occhi, “finché non trovo un posto dove stare.” Mi guarda sollevato e comincia a camminare nella direzione opposta, corro un pochino per raggiungerlo e farfuglio un timido “grazie” pieno di riconoscenza. Per quanto possa essere restia gli sono davvero grata, se non avessi incontrato lui non so dove sarei ora, e prima o poi ricambierò il favore, a meno che non si riveli essere davvero un molestatore.
Il suo appartamento, come lo aveva definito lui, ai miei occhi appare come un castello. È immenso, pieno di piante, libri e qualche quadro. La sala è molto spaziosa e illuminata, e io mi ritrovo ad essere gelosa ma estremamente meravigliata e penso che questa non può essere in nessun caso, in nessun universo parallelo la casa di un uomo giovane e solo.
“La tua donna ha davvero buon gusto in quanto ad arredamento. Sicuro che non sia un problema?” domando guardandomi in torno.
“La mia chi?” mi guarda stranito in un modo molto dolce facendomi sentire un’ingenua e mettendomi in imbarazzo. Ottima mossa Mad, adesso penserà che sei interessata. 
“No, bhe, sai… questo posto è così carino che pensavo…” lascio la frase in sospeso per non mettermi ulteriormente in difficoltà.
“Sono solo, e sono un pittore, devo per forza avere buon gusto e un tocco artistico degno di ciò che faccio,” mi spiega gentilmente.
“Quindi i quadri sulle pareti sono tuoi?”
“La maggior parte sì, sono un po’ un megalomane,” dice ridendo. “Hai fame?”
“Non dirmi che sai anche cucinare,” sghignazzo prendendolo in giro.
“Potrei stupirti.”
Sono affascinata da questo posto, così come da questo ragazzo, è quasi incantevole. E i miei pensieri cominciano a spaventarmi, il primo degli imbecilli mi infastidisce un pochino e io riesco addirittura ad infatuarmi di lui. Sono una stupida, non dovrei essere qui. Eppure, provo un po’ di attrazione nei suoi confronti, lo guardo cucinare, guardo come si muove, un po’ maldestro a causa della stazza, trovandolo estremamente attraente. Si accorge del mio sguardo accigliato e inizia a guardarmi come se aspettasse una risposta.
“Che vuoi?” gli chiedo scherzando, mascherando tutti i miei dubbi e rimpianti.
“Niente, niente,” dice ridacchiando tornando ad occuparsi di ciò che c’è nella pentola.
Mi intriga, mi duole ammetterlo ma è così. E devo liberarmi da questi pensieri prima di prendere la strada del non ritorno.


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Capitolo 4
*** Quarto ***


Quarto



Adam mi ha gentilmente offerto di dormire nella sua camera da letto, non che potessi rifiutare, e adesso mi sento in colpa per averlo privato del suo letto e averlo costretto a dormire su un divano che è decisamente troppo corto per lui. Guardo fuori dalla finestra e dopo tanto tempo mi ritrovo ad osservare meravigliata la notte, che è così calma, scura, ovunque. È bella, e io mi sento per la prima volta a mio agio. Mi sento bene nel mio corpo come non succedeva da tempo, e ascoltando il vento mi addormento, nuda. 
Quando mi sveglio sono disidratata, ho bisogno di acqua. Cammino di soppiatto per non svegliare il padrone di casa e prendo un bicchiere pulito dal mobile. Adam dorme sereno sul suo piccolo divano, con una vecchia coperta verde che lo copre dal petto fino a metà stinco. Mi viene da sorridere, io che sono tanto piccola mi incastro ovunque, e lui, così alto, sembra un gigante che si ritrova a vivere in una casetta per le bambole.
L’acqua fresca del lavandino mi fa rinascere, silenziosamente mi avvicino alla libreria e comincio a leggere i titoli per ammazzare un po’ il tempo. Riconosco Foglie d’erba, ovviamente. Più avanti c’è Memorie dal sottosuolo, sotto Il gabbiano Jonathan Livingston e Il maestro e Margherita, Lolita, c’è addirittura la Divina Commedia. Conosco molti dei libri di Adam, e quasi sono stupita.
“Buongiorno,” dice con la voce impastata di sonno. Mi giro a guardarlo, ha un braccio dietro la testa e l’altro appoggiato sull’addome. E mi guarda con occhi sottili ma vispi, contenti.
“Buongiorno,” rispondo con un sorriso. Piano piano l’idea che mi sono fatta di lui all’inizio svanisce, e un’altra - quella reale - si forma nella mia testa e ne prende il posto.
“Dormito bene?” chiede rimanendo sdraiato.
“Sensi di colpa a parte, sì. Ho dormito bene. Tu piuttosto, non sei scomodo su quel divanino piccino?” gli dico scherzando, celando un velo di preoccupazione.
“Il più delle volte mi addormento in studio, quindi dormire sul divano è un lusso per me!”
“Hai anche uno studio?”
“Sono un pittore professionista, che ti aspettavi?”
Si alza con un verso gutturale e mi fa strada, la porta di legno che ci troviamo davanti sembra non appartenere a questa casa, a differenza del resto del mobilio è antica e un po’ rovinata dal tempo. È una Signora Porta, e dietro di sé nasconde un Signor Studio. È una stanza immensa, come una secondo appartamento. Ci sono sgabelli e tele ovunque, tutto è ricoperto da macchie di colore, alcune tele sono appese alle pareti mentre altre sono già incorniciate e messe da parte. I pennelli sono distribuiti nei vari angoli in barattoli, anch’essi ricoperti di colori, e tutt’intorno ci sono fogli con bozze veloci o disegni più dettagliati.
“In genere non faccio mai entrare nessuno perché è pieno di work in progress che non dovrebbero essere visti, però adoro troppo il tuo sguardo meravigliato, non potevo non mostrarti il mio piccolo angolo sicuro,” mi spiega mentre si incammina verso la grossa scrivania affianco ai cavalletti chiusi, a riposo.
“È davvero meraviglioso. Adam, è meraviglioso,” dico estasiata. Non riuscirei a formulare nessun’altra frase di senso compiuto al momento, sopraffatta come sono dalla bellezza di questo posto.
“Colazione?” chiede sorridente girando sullo sgabello come un bambino, come potrei mai dire di no ad un faccino del genere? 
Mentre mangiamo cerchiamo di conoscerci un po’, e più parla più lo trovo interessante. È intelligente, ha studiato tanto e lo scopo della sua vita sembra essere quello di circondarsi d’arte. Ha trovato fortuna grazie ad un professore ai tempi dell’università e da allora è sempre stato visto sotto una buona luce dai grandi personaggi dell’ambiente artistico della città. Sembra l’uomo perfetto, io invece sono una ragazzina allo sbando.
“Secondo me dovresti contattare qualche casa editrice, o un giornale, e farti pubblicare. Ciò che scrivi è troppo prezioso per rimanere nascosto.”
“Ma non ho in mano niente, solo frasi sconnesse e senza senso,” gli confesso affranta. Ed è la verità, a volte mi sfugge e dico di essere una scrittrice quando in realtà non lo sono.
“E allora scrivi, se è questo che vuoi fare davvero. È il tuo sogno, se lo accantoni adesso un giorno te ne pentirai.”
Quanta verità, nelle sue parole, è una cosa che mi ripeto spesso anche io, però sono troppo paurosa, troppo insicura per tentare. Anche se dovessi scrivere una storia degna di essere chiamata tale non so se potrei mai farla leggere a qualcuno che ha in mano il potere e la capacità di dirmi se è una schifezza o se può andare bene, accettare un fallimento è una cosa che non sono mai stata in grado di imparare e non voglio rischiare.
Fuori è una bella giornata, ma in qualche modo Adam è riuscito a rinchiudermi nello studio con lui. Nonostante tutte le mie proteste - però - devo ammettere che mi sto trovando bene in sua compagnia. Una volta chiusa la Signora Porta mi ha dato carta e penna e mi ha detto soltanto “scrivi” con la voce di chi crede nelle capacità e nel talento dell’altra persona, e sebbene io non ritenga di avere nessuna di queste due qualità sto scrivendo. E lui nel frattempo dipinge, è così concentrato che è come se non si accorgesse che sono dietro di lui ad osservare ogni suo movimento, ogni pennellata, e ad ascoltare ogni sospiro e sorriso. Così la giornata passa senza che ce ne rendiamo conto, tra colori e parole, è come se fossimo amici da sempre. Comincia a piacermi averlo intorno, e ciò - come sempre - mi spaventa da morire. Dopo cena ci sediamo sul divano a leggere ciò che sono riuscita a produrre oggi, e con una penna verde sottolinea le frasi da sistemare, o segna quelle da eliminare. Si impegna così tanto che mi sembra di essere tornata alle elementari, con la maestra che corregge il tema e l’ansia di voler piacere per forza. Nonostante tutto, però, gli piace ciò che ho scritto, forse è di parte perché il mio testo parla di un pittore, però sono sinceramente contenta, e orgogliosa, e non vedo l’ora che arrivi domani per continuare ad inseguire il mio sogno con quanta più dedizione e passione possibile.


 

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Capitolo 5
*** Quinto ***


Quinto



Ormai è il secondo giorno che sono in città e mi sembra di non aver combinato niente. In cuor mio, però,  ringrazio il Cielo per avermi mandato una persona con un cuore così grande e pieno di arte ad aiutarmi, nessun altro - se non Adam -  sarebbe stato all’altezza del compito. Come ieri, siamo in studio a lavorare ognuno alla propria opera d’arte, avvolti da un’atmosfera tranquilla e calda, abbracciati dal silenzio. Quando lavora cade in uno stato di estrema concentrazione, è come se la sua anima si scindesse dal corpo, diventa una cosa sola con la tela e ci mette tutto se stesso. È affascinante vedere il suo processo di creazione: le poche macchie che lascia prendono forma in breve tempo, fino a diventare vive. Io, però, non riesco a creare la stessa magia con le parole, e dopo diversi tentativi inizio a perdere le speranze. Forse tutto ciò che sto scrivendo è sbagliato, forse dovrei scrivere qualcosa di più reale per riuscire a catturare l’essenza di cui ho bisogno per essere soddisfatta.
“Mad ma non è questione di licenza poetica, è il tuo stile, se è così che vuoi che sia letto è così che devi scriverlo. Non devi avere paura di un giudizio negativo, troverai qualcuno in grado di apprezzare e capire le tue parole, così come sono scritte.”
La sua voce è rassicurante, ma non abbastanza da farmi dimenticare tutte le mie paure. Eppure se continuo a scrivere è solo grazie a lui: nonostante sia praticamente uno sconosciuto mi sostiene e mi incoraggia, inconsciamente mi sta dando la forza di andare avanti, mi sta impedendo di annichilirmi e annullarmi come ho sempre fatto in passato. Nel frattempo io comincio piano piano a vederlo sotto una nuova luce, in un modo che non avrei pensato mai. Sta succedendo, e io non posso oppormi, posso solo lasciare che il destino faccia il suo corso. Mi dico che se deve essere sarà, mi dico che - dato che sono passati solo due giorni - è troppo presto per pensare a certe cose, ma in cuor mio spero che anche lui mi veda nello stesso modo in cui lo vedo io.
Seduti sul divano aspettiamo la notte, come due bambini giochiamo a recitare alcuni dei soliloqui più belli della storia della letteratura, e ad un certo punto lui prende i miei fogli e li trasforma in un copione adatto al nostro gioco.
“Con il cuore che si sgretola chiudo la lettera, il groppo in gola si fa più fastidioso e pesante, e io che conosco già il futuro che mi spetta mi dispero guardando con quanta velocità sto cadendo. E mentre aspetto di colpire il suolo la busta è già arrivata a destinazione, è stata già aperta e letta, e il verdetto è ormai sulle labbra di tutti.” 
Applaudo la sua bravura, e mi chiedo perché, tra tutte, abbia scelto di leggere proprio queste parole.
“Saresti un attore magnifico,” lo canzono. In risposta ricevo una smorfia, poi scende dal palco e torna a sedersi affianco a me.
“L’ho intitolato La disfatta di un uomo, un testo originale molto interessante. Dovresti proprio incontrare la scrittrice, è una donna meravigliosa!”
“Dai, smettila!” urlo coprendomi il viso rosso di vergogna. Non sopporto quando mi si fanno complimenti, è una delle cose che non ho mai imparato a gestire. Però quelle parole, pronunciate dalla sua bocca, mi fanno contorcere lo stomaco. Per la prima volta sono orgogliosa di ciò che ho scritto, e me ne rendo conto solo adesso che le ho sentite pronunciate ad alta voce.
“Non coprirti,” mi dice scostandomi delicatamente le mani dal viso, “lasciami ammirare l’effetto delle mie parole.”
“Sono le mie parole!” rispondo ridendo, fingendomi offesa.
È vicino, troppo vicino. È così tremendamente vicino che ho come l’impressione che voglia baciarmi, ma mi sento una stupida solo a pensarci. Non sono più un’adolescente, dovrei aver chiuso con le cotte da liceale. Eppure eccomi qua, con il cuore che batte a mille nella speranza di un lieto fine.
“È ora di andare a nanna,” mi dice tranquillo, “buonanotte Mad.”
“Buonanotte Adam,” rispondo con dolcezza sotto lo stipite della porta della sua camera, “a domani.”
Sono triste che la serata sia passata così in fretta, ma sono anche contenta e soddisfatta. Mi piace stare qua, nonostante mi senta come un parassita, e vorrei che questi giorni non finissero mai, ma tra qualche giorno ho un colloquio, mi è stata offerta un’opportunità e voglio coglierla al volo, anche se dovessi essere costretta a dimenticare questa piccola digressione e buttarmi finalmente tra le braccia della mia nuova vita. Magari ci soffrirò, ma arrivata a questo punto penso sia necessario, o - perlomeno - mi convinco che sia così. E nell’illusione di questa mia convinzione mi addormento.
Questa notte, a differenza di ieri, mi sveglio diverse volte. L’ansia mi tiene sveglia, e anche la consapevolezza che questo sia il letto di Adam fa la sua parte. Ogni volta che penso a lui, al suo nome, al suo viso, il petto mi si riempie di bolle di sapone, che scoppiano leggermente e mi lasciano umida. Vorrei averlo qua, ma so che in una situazione del genere non riuscirei a comportarmi con naturalezza, la mia timidezza mi frenerebbe troppo e finirei col rovinare tutto. Mi sento senza speranza, eppure - curiosa come sono - scosto le coperte e mi dirigo verso il salotto. Mi fermo in piedi alla fine del divano e osservo il viso di Adam accarezzato dolcemente dalla luce dei lampioni che entra dalla finestra dietro di me. Il suo viso rilassato non sembra essere suo, ha completamente un’altro aspetto mentre dorme e non posso far altro che trovarlo meraviglioso. Il cuore mi esplode nel petto, se dovesse svegliarsi non saprei che scusa usare per liberarmi da questo casino, però non ce la faccio ad andarmene, voglio continuare ad osservarlo finché non avrò saziato la mia sete. Voglio catturare ogni micro-espressione del suo volto, per percepire ogni suo pensiero, ogni suo incubo. Ma allo stesso tempo mi sento ridicola, non siamo in una favola, non è una donzella in pericolo, è un uomo adulto e io non ho nessuna possibilità con lui. Sono troppo bambina, troppo insicura. È patetico anche pensare che io possa, in una realtà distante anni luce da questa, avere una possibilità con lui. Devo togliermelo dalla testa anche se vivo momentaneamente con lui, anche se sono ancora qua ad osservarlo dormire.
Piano piano si gira con un sospiro, e io  - colta alla sprovvista - corro in camera spaventata, sperando con tutto il cuore che non si sia accorto della mia presenza. Con il cuore che martella mi infilo silenziosamente sotto le coperte e chiudo gli occhi, fingendo di dormire, come se dovessi dimostrarlo a qualcuno. Presto il respiro torna regolare e il muscolo cardiaco rallenta tornando alla normalità, e io finalmente mi addormento, con Adam incastrato nei pensieri e tanta tristezza nel petto. 


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Capitolo 6
*** Sesto ***


Sesto




Mentre facciamo colazione ripenso alla notte scorsa, mi chiedo perché ho fatto quel che ho fatto: sarei potuta stare nel letto, invece ho deciso di andare a guardare Adam. Ma perché? Non capisco cosa mi abbia spinto a farlo, non capisco perché nel momento in cui ho deciso di ricominciare da capo mi sono legata così ad uno sconosciuto. Ormai mi sono abituata alla sua presenza, ai suoi modi di fare, però - in effetti - non lo conosco. Non so niente di lui, a parte del suo lavoro, quindi pensare di poter aver preso una cotta per lui è fuori discussione, perché quella che ho davanti è solo l’idea che mi sono fatta di Adam, non è realmente lui. Eppure le emozioni che provo sono così forti che non posso ignorarle.
“A che pensi?” mi chiede mentre lava i piatti.
“Ah?” per l’ennesima volta ha interrotto i miei pensieri, ma nonostante ciò non mi arrabbio, anzi, sorrido. “Niente,” rispondo infine.
“Che bugiarda!” dice prendendomi in giro. Io sorrido ma non gli rispondo, ovviamente certe cose non posso dirle ad alta voce.
“Sei preoccupata per il manoscritto?” domanda serio.
“Un po’ sì, alla fine sto per inviare un pezzo scritto in tre giorni, è normale che sia un po’ in ansia.”
“Hai fatto un’ottimo lavoro, Mad. Non pensarci, quando riceveremo una risposta decideremo il da farsi!”
Non si smentisce mai, è irrimediabilmente un ottimista, io invece penso sempre al peggio. Tuttavia sono grata di avere al mio fianco una persona come lui, un po’ di positività non fa mai male. Oramai il suo supporto sta diventando fondamentale, e sebbene io sappia quanto possa essere pericolosa questa situazione non posso farne a meno.
“Pronta?” mi dice spostando il cursore sulla casella “invio”.
“Pronta,” rispondo, nonostante io sappia di non esserlo.
“Ecco fatto!” risponde dopo aver cliccato e inviato la mail, “tre giorni e sapremo il verdetto!”
Mi porto le mani al viso e ridendo soffoco un finto urlo di angoscia. Sono emozionata, ma la paura di un rifiuto mi fa tremare le ginocchia. Chissà cosa diranno, chissà se gli piacerà. Magari gli farà schifo e non metterò mai più il naso fuori di casa per i prossimi dieci anni e finirò a lavorare come cassiera al mini market infondo alla strada. Mi rendo conto di farmi troppi viaggi mentali, ma in questa situazione non posso farne a meno anche se so che per quanto io mi disperi il risultato non cambierà.
“E adesso cosa faccio?” gli chiedo ridendo nervosamente.
“Stai tranquilla e pensi ad un’altra storia!” risponde lui entusiasta prendendomi le mani. Al suo tocco sento il volto andare a fuoco, ha le mani molto più grandi delle mie e la sua presa è salda, sicura. Mi zittisco subito, è strano essere tenuta così, è come se con questo semplice gesto avesse annullato tutta la mia paura di cadere. Notando che non dico nulla e non sposto lo sguardo dalle nostre mani lascia la presa.
“Oppure, se proprio non vuoi scrivere, potresti farti fare un ritratto,” propone serio.
Mi fa sedere su uno dei suoi sgabelli e mi mette in posa per poi andare alla scrivania a preparare i materiali.
“Bene, adesso mi raccomando: ferma.” 
Come sempre si fa serio e con il suo sguardo concentrato mi osserva da pochi metri di distanza, e senza dire nulla inizia a tracciare delle linee a matita sul suo album da disegno: lui lavora, e io che non me la sento di disturbarlo con le mie chiacchiere lo guardo in silenzio e immobile, ammirando la sua dedizione e il suo talento. Presto inizia a farmi male la schiena, ma non mi lascio scappare nemmeno un lamento. Vederlo lavorare mi scalda il cuore, nei giorni scorsi ho osservato molto il suo processo creativo, ma adesso che ci sono dentro è tutta un’altra storia.
Passata la prima ora ci prendiamo una meritata paura, io finalmente mi sgranchisco le gambe e mi stiracchio facendo scoppiettare le vertebre come un sacchetto di popcorn nel microonde.
“Dai, Adam, fammi vedere!” dico tirandolo per un braccio.
“No, Mad. Sta’ giù!” ride lui tenendo l’album sopra la testa. Il fatto che si prenda gioco della mia altezza è degradante, però è anche tremendamente divertente. Sotto di lui mi sento una bambina, e il suo corpo è così bello al tatto che vorrei non staccarmi più.
“Smettila, pulce,” mi dice accarezzandomi la schiena, “dobbiamo pensare al pranzo.”
“Fammi fare un giro in città, ti prego!”
Lui ci pensa un po’ ma alla fine cede. La prima ad aggiudicarsi il bagno sono io, faccio una doccia veloce e, per la prima volta dopo giorni, mi trucco un pochino. Non so se lo sto facendo perché sto per andare in città o perché sto per andare in città con Adam, però lo faccio, e mi sento bellissima.
“Ti porto nel mio locale preferito, contenta? Dobbiamo festeggiare!” dice non appena usciamo dal palazzo.
“Cosa dobbiamo festeggiare?”
“Vorrei risponderti ma sarei cattivo, prova a pensarci” dice prendendomi in giro, ormai è diventata la prassi e a me non dispiace per niente, so che c’è benevolenza nelle sue parole, non lo fa per farmi stare male.
“Ti odio,” rispondo mettendo il broncio dopo aver capito che vuole festeggiare la mail che segnerà la fine della mia vita.
“Dai, Mad, è una bella cosa! Potrebbe cambiare la tua vita per sempre!”
“È proprio questo che mi spaventa,” confesso.
Il posto è carino, un po’ buio ma accogliente, con il muro a vista e una quantità considerevole di piante. Adam saluta il cameriere chiamandolo per nome e lui ci porta ad un tavolo affianco alla finestra facendogli notare quanto sia carina la ragazza che si è portato questa volta.
“Come se non lo sapessi,” risponde lui sorridente.
Sono lusingata dal commento del cameriere, ma cosa intendeva con “questa volta”? Ammetto di esserci rimasta male, una parte di me sperava di essere in qualche modo speciale ma è ovvio che lui aveva una vita anche prima del mio arrivo.
“Non fare il broncio, Mad,” mi dice una volta soli.
“Quante ragazze hai portato qui?” gli chiedo consapevole del fatto che non sono nella posizione di fare la fidanzata gelosa perché - appunto - non sono la sua fidanzata. 
“Una soltanto, in realtà. Per di più era mia sorella quindi pensa che idea può essersi fatto di me Charlie.”
Nascondo il naso nel menù e tiro un sospiro di sollievo che non ho nessun diritto di fare. La sorella, certo.
La cucina è ottima e i camerieri sono gentili, quando usciamo dal ristorante siamo sazi e contenti e spinti dalla pigrizia decidiamo di andare a sdraiarci sull’erba nel parco vicino, perché - a detta di Adam - è una cosa che non si può non fare. Una volta arrivati si getta per terra con una capriola e poi apre le braccia e le gambe come una stella marina. Io gli rido in faccia ma poi lo seguo, e ci ritroviamo faccia a faccia per la prima volta, dato che di solito la differenza di altezza mi permette di guardarlo al massimo fino al petto. Baciati dal sole rimaniamo sdraiati per un tempo interminabile a parlare delle nostre famiglie e di vecchi aneddoti, sia divertenti che tristi. Piano piano comincio a rendermi conto che è una persona estremamente sensibile e impulsiva, ma capace di donare tanto amore. E probabilmente lui starà pensando che io sono soltanto una ragazzina viziata che è scappata alla prima occasione e che poi non ha fatto altro che scappare per tutta la vita.
“Sai cosa manca per coronare il nostro festeggiamento?” mi chiede serio.
“Cosa?” domando impaurita, sicura che tirerà fuori un’idea assurda. Forse esagero, ma il suo sguardo mi sa proprio di idea di merda. Aspetto qualche secondo ma lui non risponde, e mi convinco che magari sta partorendo una risposta intelligente.
“Dovremmo imbucarci ad una festa.”
Come non detto. 

 

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Capitolo 7
*** Settimo ***


Settimo




“Dai, provalo! Se non ti piace ne scegliamo un altro.”
Dopo aver accettato la sua proposta ha deciso che mi serviva un vestito adatto ad una festa, perché non me ne sono portata dietro nessuno, e così dal parco ci siamo incamminati verso il centro. Mi ha fatto scegliere un negozio ma non appena siamo entrati ogni mio potere decisionale si è annullato. Mi ha riempito il camerino di vestiti ma non me ne è piaciuto nessuno, e adesso è tornato con un vestito a tubino verde un po’ troppo corto per i miei gusti e vuole costringermi a provarlo.
“Lo provo e basta,” gli dico chiudendo la tendina.
Una volta indossato guardo il mio riflesso nello specchio, ma ciò che vedo non mi piace. Non perché il vestito sia brutto, anzi, il vestito è perfetto. È come cade sul mio corpo che non mi piace, ho i fianchi troppo larghi, le gambe non abbastanza magre, la pancia non è piatta.
“Hai fatto?” dice Adam con un tono disperato.
Scaccio via i brutti pensieri ed esco dal camerino, lui è in piedi davanti a me e mi squadra dalla testa ai piedi.
“Penso di essermi innamorato,” dice. Il mio cuore perde un battito, “è il vestito perfetto, è lui, non puoi rifiutarti!”
Volendo, sì, potrei rifiutarmi, potrei mettermi a fare i capricci, però non lo faccio. Il modo in cui mi ha guardata mi è rimasto impresso, nessuno mi aveva mai guardata così. Quando mi giro di nuovo verso lo specchio il mio riflesso è cambiato, adesso ciò che vedo mi piace perché lo sto guardando con gli occhi di Adam.
“Va bene, hai vinto,” dico rassegnata.
Sono di nuovo in bagno a prepararmi, questa volta mi trucco un po’ più pesantemente e una volta indossato il vestito mi guardo. Non mi sento a mio agio conciata così, però mi piaccio, e in cuor mio spero di piacere anche ad Adam.
“Sei uno splendore,” dice non appena torno in salotto, “andiamo!”
Il locale è pieno nonostante sia abbastanza presto, e come prima cosa ci facciamo strada verso il bar per prendere qualcosa da bere. Adam è costretto ad urlare tre volte al barista che cosa vogliamo, ma alla fine riusciamo ad avere i nostri drink e torniamo fuori, dove ci aspettano alcuni amici di Adam che ci hanno fatti entrare.
“Fumi?”
“A volte,” rispondo prendendo una sigaretta dal pacchetto che ha tirato fuori dalla tasca dei pantaloni.
Dopo che me l’ha accesa si accende la sua, butta la testa indietro e espira, guardando il fumo salire.
“Quando torniamo dentro devi ballare con me, per forza,” mi dice sorridendo. Io, timida come sono, abbasso lo sguardo e accetto. Subito dopo, però, me ne pento. A me non piace ballare, non ne sono in grado, però non voglio perdere la possibilità di stargli vicino.
Le altre ragazze del nostro gruppo mi trascinano e al terzo, quarto cocktail sono una ballerina professionista. Io mi sto divertendo, Adam si sta divertendo, ci sentiamo invincibili.
“Adam ho tanto caldo!” biascico aggrappandomi a lui. Come se niente fosse mi tira su e mi porta fuori, tra sue risate e le mie proteste riusciamo ad uscire dalla folla di gente e finalmente mi rimette con i piedi per terra.
“Scusami, quando bevo ho sempre voglia di fumare,” mi dice sedendosi sul marciapiede e tirando fuori di nuovo il pacchetto di Marlboro, “vuoi?”
Accetto la sigaretta e mi siedo affianco a lui, con la testa pesante a causa dell’alcol mi appoggio a lui e faccio un tiro.
“Adam, secondo te una persona può innamorarsi in tre giorni?” chiedo chiudendo gli occhi.
“Non penso che tre giorni siano sufficienti, Mad. Perché me lo chiedi?”
“Penso che sia successo,” confesso. Lui non risponde subito, e io sono troppo ubriaca per capire che cos’ho appena detto.
“È solo un’infatuazione, una stupida cotta. Ti passerà,” risponde freddo. Mi scosto un po’ senza rendermi conto di quello che sta succedendo e lui si alza.
“Andiamo a casa.”
Lo seguo barcollando, triste e con il cuore a pezzi. In più mi sento in colpa per non aver salutato nessuno, e alla fine convengo che la serata si è rivelata un disastro.
La strada verso casa sembra infinita, e quando finalmente arriviamo vado in camera senza dire nulla. Sono una stupida, ho sbagliato. Sapevo, ho sempre saputo. Non c’era ombra di dubbio: le cose sarebbero finite così per forza. Devo andarmene da questa casa al più presto, devo scappare il più lontano possibile, non potrò mai più guardarlo in faccia. Presto, a causa dell’alcol, mi addormento senza nemmeno svestirmi o struccarmi, e finalmente dopo tanto tempo riesco a dormire tranquilla, senza svegliarmi.
“Ho ricevuto una mail,” dico entrando in cucina verso l’ora di pranzo. Non ricevendo risposta da parte di Adam prendo una tazza di caffè e apro la mail. Mi tremano le gambe e il cuore mi batte forte nel petto, è arrivato il momento: a breve scoprirò che piega prenderà la mia nuova vita.
“Vogliono collaborare con me,” dico piatta.
“Cosa?” risponde finalmente lui alzando lo sguardo verso di me.
“Gentile Madelaine Velskij, con la presente Le confermo che in data 15/04/2018 abbiamo ricevuto e registrato il Suo manoscritto, nella categoria Narrativa, con il titolo ‘La disfatta di un uomo’. Poiché saremmo interessati alla pubblicazione Le chiedo cortesemente se sarebbe possibile fissare un appuntamento per discutere di una futura collaborazione. Distinti saluti, Gruppo Mogano Editore.”
Leggere la mail appena ricevuta ad alta voce mi sembra irreale, mi tremano le mani e il petto mi esplode di gioia.
“Mad,”  dice, “non mi avevi mai detto il tuo nome completo.”
Sorride, sta sorridendo. La figuraccia che ho fatto ieri magari non se la ricorda nemmeno, mi sto torturando per niente. Corro ad abbracciarlo in preda ad un attacco di euforia.
“Mia mamma è francese e mio papà è russo!” urlo tra le sue braccia.
“E che diamine ci fai in America allora?!” risponde ridendo.
Rimaniamo per qualche secondo abbracciati a ridere e urlare come se avessimo appena vinto la lotteria, poi mi stacco e mi ricompongo.
“Scherzi a parte, bravissima Mad. Mi duole dirlo ma: te l’avevo detto,” dice sincero.
La situazione tra noi due è molto tesa a causa di ciò che è successo ieri notte, lo ringrazio e torno in camera a nascondermi. Era una cosa che facevo sempre da bambina, e crescendo non ho perso l’abitudine.
Tra poco cambierà tutto, tra poco sarò una persona nuova. Potrò permettermi un appartamento e andrò via da qui, dimenticandomi di questi giorni per sempre. 


 

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