Destiel - Hallelujah

di Eleonora_Vasile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Castiel fa scorrere lo sguardo verso il ragazzino che padre Zachariah quasi trascina nella stanza. I lineamenti morbidi del viso accompagnano armoniosamente gli occhi verde speranza e la stretta curva delle labbra, rivolta verso il basso. La pelle chiarissima e tirata e l’aria sofferente uccidono la bellezza che altrimenti avrebbe regnato sovrana su quel volto, invece di cadergli addosso come quella di un angelo caduto, o di un anima perduta nella fossa più nera dell’inferno. E quella creatura magnifica è lì, e lo guarda, e ogni secondo gli trasmette paura e malinconia e odio. E’ chiaramente venuto contro la sua volontà.
Lì, davanti a quel ragazzo di appena qualche anno più grande di lui, l’angelo custode che deve strapparlo dalla perdizione e vedere nei suoi occhi un briciolo di grazia. Castiel ci prova, ma quelle iridi sono troppo profonde per essere esplorate.
- Lasciaci soli. – ordina. Il ragazzo dagli occhi smeraldi ride.
- Così tu saresti il famoso angioletto che dovrebbe riportarmi sulla retta via con qualche bella canzoncina su Gesù? – Castiel non sorride neanche. Si avvicina al ragazzo fino a percepire il suo veloce respiro sulla bocca e inclina di lato la testa, piegando leggermente le labbra.
- Perché, Dean Winchester? Non pensi di meritare di essere salvato?Dean non risponde, si limita a fissarlo con aria di sfida, senza abbassare lo sguardo altezzoso.
 
Dean si sistema nella camera dove lo hanno portato praticamente a forza. Sbarre alle finestre, branda nel centro alla stanza, porta chiusa a chiave. Non esattamente un hotel a cinque stelle. La stanza è monocromatica, tutta grigia, e l’apertura dà su un cortile interno, dove preti della comunità e monaci in visita passeggiano tranquillamente. Viene pervaso per un attimo da un senso di claustrofobia e di paura. Paura, cazzo… non la provava da un pezzo, almeno da quando viveva con suo padre. Si era dimenticato di quella sensazione, di come porta freddo e stringe lo stomaco, mozza il fiato e toglie la capacità di pensare. Dean si obbliga a respirare e mantenere la calma. Fa un mezzo giro su se stesso, abbandona la borsa per terra con un tonfo e tira fuori un coltellino dalla tasca del giubbotto di pelle che indossa. Comincia a lavorare velocemente attorno alla serratura quando la porta, dopo il rumore di un giro di chiavi, si apre da sola davanti al ragazzo di quella mattina.
- Che stai facendo? – domanda, impassibile. Nonostante il tono interrogativo non sembra minimamente sorpreso di trovarlo per terra, con un coltellino in una mano e un pezzo della maniglia nell’altra. Come se Dean appartenesse ad un altro mondo. In un certo senso, pensa il ragazzo dagli occhi verdi, è così.
- Oh, niente. Cercavo l’uscita.
- Questo l’ho notato. – il ragazzo sconosciuto stringe le labbra, sprezzante. “Quindi siamo anche sarcastici? Bene.” Dean scruta il tipo. Deve avere la sua età o non molti anni in più di lui, gliene dà al massimo venti, forse compromesso da quegli occhi e da quel viso da bambino che non si addicono alla mandibola ruvida e ben definita. Gli occhi color del cielo risaltano sotto il ciuffo corvino che ricade da un lato e fuori dal contesto Dean avrebbe apprezzato la bellezza del ragazzo. No, forse non il ciuffo laccato.
- Il mio nome è Castiel, comunque. Sono qui perché temo di non essermi presentato prima, non vedevo l’ora di cominciare la lezione…– si giustifica il giovane, tirando all’indietro la porta e accertandosi, con soddisfazione, che si chiude perfettamente anche senza il pezzo mancante che tiene in mano l’altro.
- Già, nemmeno io, guarda. – borbotta Dean, che dopo il terzo canto aveva seriamente preso in considerazione di usare il coltellino per tagliarsi le vene.
- Oh, ma io lo so il tuo nome. Sei Dean Winchester. Mi avevano avvisato del tuo arrivo.– Castiel evidentemente non coglie la provocazione. Un’ombra gli passa sul viso. – Perché ti tengono sotto chiave?
- Ah, se non lo sai tu. Io ignoro anche dove mi trovo, o perché . – La seconda affermazione non è esattamente vera, ma Dean non vuole sbilanciarsi.
- Dubito. E sono sicuro che padre Zachariah ha un buon motivo, come sempre, per quanto riconosca che sia un’accoglienza piuttosto fredda. – dichiara Castiel. E se Dean lo prendesse a pugni? Quei figli di puttana gli fanno tutti prudere le mani.
- Non è neanche carino quando i preti cominciano a rapire i ragazzi dalle proprie case senza ragione, no? – Castiel lo guarda ancora in silenzio, studiandolo.
- Guarda che noi della comunità non rapiamo nessuno… se sei in questo luogo, così , ripeto, c’è una ragione. I tuoi tutori ti hanno legalmente affidato a noi. – Dean apre la bocca per rispondere, ma non sa contro chi o cosa discutere. Certo, chi altro poteva esserci dietro a tutto questo? Solo lui. Si limita perciò a guardare male Castiel, che ovviamente non fa una piega.
- E questa comunità ce l’ha un nome?
- Siamo la comunità battista di San Romans. Il nostro è un centro d’accoglienza per ragazzi e famiglie.
- Quindi non siete… - Dean lo guarda. Sa chi lo ha mandato là e sa il perché. Ma forse Castiel e quegli altri psicopatici no. Quella è una comunità, non un campo di cura, si dice. Non è in pericolo, anche se non deve abbassare la guardia.
- Noi ci vedremo tutte le mattine dalle sette alle dieci, prima della messa. – continua Castiel. - A mezzogiorno si mangia e nel pomeriggio potrai seguire alcune attività. Senti – Cambia tono per attirare la sua attenzione e parla più velocemente. – forse sei ancora un po’ disorientato, ma ti piacerà qui, davvero. E’ un po’ come una grande famiglia. Sono così eccitato per domani! – gli sorride per la prima volta.
- Okay… se lo dici tu. – Dean mantiene una faccia contrita.
- Però dovrei prendere il coltellino. Padre Zachariah è particolarmente severo riguardo certe cose, passeresti un sacco di guai. – gli confida. Dean sbuffa e glielo consegna. Avrebbe trovato un altro modo per scappare, di sicuro. Castiel esce dalla stanza, richiudendo la porta, e Dean si siede sul letto e fissa la borsa che contiene giusto i pochi vestiti che gli avevano lasciato prendere prima di portarlo via. No, non c’è bisogno di svuotarla, tanto uscirà presto. La caccia con un calcio sotto il letto e si passa nervosamente entrambe le mani sulla fronte. Non deve lasciarsi prendere dal panico solo perché si trova in un posto sconosciuto. Non deve perdere la testa, altrimenti non riuscirà a rimanere lucido e a cogliere la prima possibilità di scappare da quel luogo. Eppure, oltre al panico, unav sorta di stretta d’ansia e rabbia cominciano a serrargli la gola e lo stomaco. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 Dean Winchester non ne vuole sapere di cantare. Padre Metatron lo porta nella stanza di Castiel ogni giorno, e ogni giorno Dean lo guarda negli occhi in silenzio. Qualche volta arriva con un graffio sulla guancia o un occhio nero che mettono a disagio Castiel. Come se li procura? Che fossero causati da padre Metatron neanche a pensarci, non avrebbe ucciso una mosca, ma del resto non può esserseli fatti da solo. Decide di non farsi più domande e concentrarsi sul suo, di compito. Castiel tenta invano d’insegnargli qualche semplice canzone, di parlargli della sua missione, ma Dean rimane assente per tutto il tempo, rispondendo a monosillabi.
- Dean, tu credi? – gli chiede allora all’improvviso, nel mezzo del suo solito, solitario monologo. Le sue parole restano sospese nell’aria per un po’. Il ragazzo sconosciuto sbatte le palpebre, finalmente gli presta attenzione.
- Tu?
- Se non credessi non sarei qua. – prova a sorridergli, come ad incoraggiarlo a partecipare, ma Dean è di nuovo distante, con quel viso chiuso e quegli occhi che paiono guardare dall’altra parte del mondo.
 - No. Me la sono sempre cavata da solo, anche senza l’aiuto di Dio. – Castiel pensa che sono delle parole dure per un diciassettenne. Ma del resto si trova dov’è. E Castiel si trova dov’è. Inaspettatamente, i loro occhi si sfiorano per un attimo e come colto da un’improvvisa ispirazione, Dean ricomincia a sussurrare le sue parole sature di rabbia indecisa se prender fuoco o spegnersi.– Penso faccia bene alla gente, sai? A quelli come te. Pensare che ci sia un Dio a cui freghi qualcosa dello schifo che c’è quaggiù. Ma io e Sam…
- Chi è Sam? – lo interrompe Castiel. Il ragazzo muove le iridi ed è di nuovo accanto a lui.
- Sam è mio fratello. E io… - Dean si blocca all’improvviso e Castiel oserebbe pensare che gli si sia spezzata la voce, se solo avesse dubitato per un attimo che quel ragazzo sapesse piangere. – Io non so dov’è finito. Ci hanno separati e non vogliono farmelo vedere.
- Sembra che tu gli voglia molto bene. – commenta Castiel.
- Gliene voglio. – la voce di Dean è ferma, ma animata da qualcosa di nuovo. Il suono della sua voce sale di qualche nota.– Sam è tutto ciò che mi resta. Pensavo che lo avrei ritrovato qui nella comunità, invece sono giorni che non mi fanno sapere nulla di lui. Sai dove lo hanno portato?
Castiel scuote la testa e Dean sprofonda sulla sedia, il corpo abbandonato, le mani ammanettate davanti allo stomaco. Chiude gli occhi, stringe la bocca, e Castiel prova pietà. Del resto è tutto ciò che resta agli uomini, provare pietà l’uno per l’altro. Si schiarisce la gola, passa la mano tra i capelli corvini: conosce gli ordini. Non si deve avvicinare troppo a quel ragazzo. Deve fare attenzione a non essere trascinato giù con lui. Ma la sua missione è quella di salvare Dean Winchester.
- Posso chiedere… a padre Zachariah… dov’è tuo fratello, se vuoi. A me dovrebbero rispondere.
- Lo faresti Cas? – Dean incrocia il suo sguardo con quei magnetici occhi verdi e Castiel quasi si scorda di rispondere. Perché lo ha chiamato Cas? Non è il suo nome. Come si può abbreviare il nome di un angelo? Si abbrevia il nome di un amico, di una persona a cui si vuole bene. Un angelo ti guarda impassibile, con il volto di chi ha visto Dio negli occhi ed è consapevole della Sua potenza. Un angelo non ti respira accanto, non scende a patti, non fa favori. Ma veramente dovrebbe essere così un angelo?
– Certo, questa è una famiglia. Ci si aiuta a vicenda. - Castiel vede un briciolo di grazia riconoscente brillargli in fondo agli occhi e forse è solo una sua impressione, ma percepisce anche qualcosa nel proprio stomaco.
 
 
Dean oggi è più eccitato di incontrare Castiel. Il suo sguardo corre, i piedi battono velocemente contro il pavimento di pietra. Castiel si siede davanti a lui sull’altra sedia. L’ambiente è spartano, quasi vuoto, eccetto per il tavolino buttato in un angolo, la brandina ordinatamente rifatta e la luce che entra dalla finestra, posando una croce d’ombra per terra. A quel ragazzo evidentemente non servono molte comodità.
- Dunque, i brani di cui volevo parlarti oggi…
- Hai chiesto di Sam? – Castiel comincia a intonare il primo Hallelujah.
- Cas? – Castiel si ferma, chiude di scatto la Bibbia e gli lancia uno sguardo blu cielo: sembra furioso, con quei due occhi luccicanti. “Oh, allora sa esprimere qualche emozione umana anche lui” pensa Dean.
- Parlami di Sam.
- Cosa?
- Parlami di Sam. Convincimi che c’è ancora qualcosa da salvare in te.
Dean percepisce la rabbia salirgli dallo stomaco, insinuarsi come un serpente nel petto e bloccargli la gola. E’ una sensazione ormai familiare, una vecchia amica sempre disponibile a stargli accanto nei momenti del bisogno, pronta a proteggerlo, a fargli perdere il controllo. Balza in piedi e la fastidiosa stretta delle manette gli ricorda che tutti, in quel luogo, continuano a prenderlo in giro.
- Giuro su Dio figlio di puttana che se sai qualcosa su mio fratello e non me lo dici…
- Non l’ho mai conosciuta mia madre e non saranno certo una vile insinuazione o i tuoi insulti a farmi cambiare idea. – Castiel lo fissa, non si è mosso di un passo, neanche quando è si è alzato dalla sedia. Dean sbuffa nervosamente. Cosa cerca di ottenere quel tipo? I suoi occhi sono impenetrabili a Dean, sembrano concentrati, alla disperata ricerca di qualche cosa… il corpo proteso avanti, il viso attento… Dean studia quei due pezzi di cielo, le labbra screpolate, la mascella contratta, i capelli eccessivamente pettinati. Troppe domande gli affollano la mente. Dov’è Sammy? Sta bene? Cosa gli stanno facendo? Qual è il vero ruolo di Castiel? Lo vogliono manipolare? Cercare di conquistare la sua fiducia? Convertirlo? A cosa pensa Castiel? Sa qualcosa? Può aiutarlo? Quanto si può fidare di lui? L’angelo dal viso sempre serio non risponde e Dean decide di parlare, parlare di sé, di Sammy, di sua madre e di come era morta, di come dopo alcune “divergenze di opinioni” il padre lo avesse abbandonato e di Sam, che aveva deciso di restargli accanto comunque. Dean descrive il suo viso da bambino, i capelli nocciola, la risata cristallina e gli occhi pieni di speranza. Del resto è quello che vuole quel ragazzo, no?
- Sam non si trova qui.
- Come? – Dean impiega alcuni secondi per tornare alla realtà. Castiel parla velocemente.
- Samuel Winchester ha meno di 16 anni, è stato trasferito in un orfanotrofio. E’ una sistemazione temporanea, il tempo di trovare un tutore che può…
- Sono io il suo tutore! – sbotta Dean. Castiel abbassa lo sguardo.
- Non sei maggiorenne. E… hanno stabilito che avresti una cattiva influenza su di lui a causa delle tue… inclinazioni…
- Ti riferisci a padre Metatron o al fatto che sia bisessuale? – Dean fa un sorriso amareggiato.
- La sodomia è un peccato. – Castiel continua a non guardarlo e Dean perde un battito.
- Oh. E io che speravo che menare un sacerdote fosse un crimine più grave. – replica. – Beh, io sono orgoglioso di quello che sono. E puoi anche non fingere di non odiarmi per questo. Come ha fatto mio padre. O quel prete, per i primi cinque minuti.
- Dean… padre Metraton non è…- Ma ormai Dean ha cominciato a parlare.
- La verità è che sono arrivato a un punto dove non me ne frega davvero di essere giudicato… da voi poi… la cosa frustrante è che sia riflesso su Sammy, che non c’entra niente…
- Dean…
- Lasciami in pace Castiel. Non mi servi a nulla.
- Io non ti odio.
-  Davvero? – ribatte lui sarcastico. – Voi pensate che Dio sia dietro a parole cariche d’ira e pregiudizi, dietro sofferenze inutili… e, giuro, cerco ogni giorno di capirvi, ma non ci riesco… tutto questo disegno che voi vedete per me non ha alcun senso. – Il ragazzo socchiude le palpebre e si sporge verso Castiel.- Se li aveste gli occhi per vedere là fuori, capireste che il dio di cui tanto parlate non è nella vostra chiesa su una croce, ma è già stato sacrificato sull’altare… con il sangue di troppi innocenti. Quanto vorrei non poter sentire più le vostre stronzate. – finisce, si abbandona sulla sedia e gli pare di spirare la vita. E con il corpo lo sguardo si perde nel nulla, non c’è più niente da dire.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Per Dean non ha più senso vedere Castiel. Ma padre Zachariah e il brutto ceffo che ormai o lui o quell’omofobo di Metatron si portano appresso per evitare inconvenienti sembrano avere un opinione diversa. Dean stringe i denti: per tutta la sua vita aveva obbedito agli ordini di suo padre, agli ordini giusti. In ogni cosa riusciva a vedere il bianco e il nero, il bene e il male. Non c’erano zone grige: gli innocenti e i mostri. E tutto, in quella situazione, gli urla che ciò che sta accadendo è ingiusto.
- Castiel… Dean non voleva venire oggi. Proprio il giorno in cui gli hai preparato la sorpresa, eh? – fa il vecchio  dall’aria arcigna. Dean alza gli occhi che immediatamente gli si appannano, mentre si slancia in avanti e due piccole braccia rispondono al suo abbraccio. Sammy è lì, contro il suo petto, il suo fratellino. Lo stringe fortissimo, senza riuscire a dire niente, poi senza preavviso si stacca da lui e con le mani gli prende il viso.
- Stai bene Sammy?
- Sì Dean, me la cavo. Davvero. – Sam lo guarda sorridente, appena un po’ arrossato sulle guance. Dean si asciuga velocemente le lacrime prima che anche padre Zachariah lo veda.
- Usciremo di qui, va bene? Te lo prometto. Adesso…
- Il signor Winchester deve tornare all’orfanotrofio. – lo interrompe padre Zachariah. Dean ha la netta sensazione che si diverta a fargli del male, che gli dia soddisfazione. Oltre, ovviamente, a quella di poterlo uccidere in qualsiasi momento. – Se Castiel mi riferirà che effettivamente la presenza di tuo fratello porta a dei miglioramenti, potrai vederlo anche domani. Ma dovrai fare ciò che ti diciamo, Dean Winchester. – Dean guarda Castiel, i suoi indecifrabili occhi blu. Dunque alla fine lo ha aiutato sul serio.
- Va bene. Farò ciò che mi chiederete. – risponde. Sorride, ma la sua mente già lavora a un modo per scappare da quella prigione. Il gruppetto esce, sbatte la porta. Dean conta qualche secondo, per essere sicuro di essere sentito solo dall’unica persona rimasta nella stanza.
- Grazie. – incrocia gli occhi con Cas, che sospira.
- Io non sono come loro, Dean. Io… mi pongo domande. Non penso che Dio ci abbia creati per odiare. Come non penso che tu sia un caso perso. – lo fissa con quei grandi occhi blu, troppo grandi, troppo pieni di pietà e speranza. Gli sta chiedendo scusa. E lo sussurra pure, a bassa voce. – Scusami.
- Okay, te lo devo. – concede Dean. Scusa di cosa, poi? Scusa di tutto e scusa di niente. Di tutto ciò che è diverso tra loro, tra il modo in cui vivono le loro vite. Scusa per tutto ciò che la gente come lui gli fa sopportare e scusa per nessuna cosa che ha fatto e farà per ferirlo, per il nulla di cui le sue mani sono macchiate. Dean aveva incontrato molte persone che non trovavano sempre le parole per esprimere il loro appoggio su un argomento considerato da loro taboo o strano, ma che comunque ci provavano, e sa apprezzarlo.– Quindi adesso che facciamo? Mi insegni a pregare?
- T’insegnerò a cantare. Ti racconterò alcune storie. – Castiel sorride, come se conoscesse qualcosa che Dean invece ignora. – Molti dei miei canti sono antichissimi. Parlano di leggende, mostri, re, amore, tradimenti… mi sembrano il genere di storie che ti potrebbero interessare.
- Forse. Diciamo non sono esattamente un bel film horror al cinema ma vedrò di accontentarmi.
- Un horror? – Castiel sembra confuso e Dean lo è anche, per qualche secondo.
- Sì… un horror… sai, fantasmi, bambole assassine, esorcismi… - Castiel ha ancora l’espressione di uno che non capisce, ma che è anche vagamente disgustato.
- Cazzo, non dirmi che non sai che cos’è un horror. – ride Dean.
- Purtroppo la mia conoscenza riguardo certe usanze mondane è alquanto…
- Okay, chiudi quel dizionario angioletto. Facciamo che tu mi canti qualche canzoncina e io ti aggiorno un pochino su cosa succede nel mondo, va bene? – afferma sicuro Dean. Castiel annuisce e sembra soddisfatto e anche Dean decide di esserlo : oggi lo ha portato a Sammy, un altro giorno lo convincerà a farlo uscire da quel posto. Forse non tutti quei tipi sono così male.





Castiel si dirige verso la stanza di Dean. Padre Metatron è sulla porta, momentaneamente aperta.
- Castiel, fratello. – lo saluta. E’ abbastanza giovane, anche se a causa dei capelli ingrigiti non sembra, e ha un viso tondeggiante, da topo, con due occhi guizzanti e l’espressione magnanima. Castiel rispetta la sua cultura. E’ uno dei preti più studiosi: sa, oltre all’inglese, al latino e al greco più di otto lingue e si occupa della biblioteca della comunità. Per un attimo i lividi di Dean gli ballano davanti agli occhi.
- Padre, hai appena finito con Dean? Come va?- chiede. L’uomo alza le spalle, sorridendo.
- Faccio il possibile per riportarlo sulla strada di Dio, ma… non importa. Devi parlare con lui?
- Sì, volevo lasciargli degli spartiti. Magari vuole rivederli prima della lezione di domani.
- Oh. – il prete assume un’aria afflitta. – Temo che non sarà molto disponibile al riguardo. Tu sei in buona fede, ma quel ragazzo… ha il diavolo in corpo. Mi ha anche aggredito! Dio solo sa cosa…
- Ho sentito. Mi dispiace tantissimo. Farò attenzione. – lo rassicura Castiel in fretta. Padre Metatron è un buon prete, ma i suoi pettegolezzi tendono a girare per tutto l’edificio nel giro di pochi minuti. Non sta zitto, mai, e non c’è nulla che gli accada che non condivida con tutti. Castiel, di natura più riservata, non apprezza granché quel lato del suo carattere. Ma di persona è sempre stato gentile e certo il ragazzo non vuole inimicarselo.Il ragazzo entra e vede Dean seduto sul letto con un’aria annoiata.
- Lo soffocherò nel sonno, lo sai vero? –minaccia. Castiel sorride: evidentemente non è l’unico che mal sopporta le sue chiacchiere inutili.
- Ti ho portato degli spartiti. Forse però non li…
- Ah, grazie. – lo interrompe Dean, prendendo i fogli che gli porge. Incurva le labbra carnose. Castiel nota la sua bellezza e la perfezione dei suoi lineamenti. I simmetrici capelli color grano che ben si accordano alla carnagione scura e in certi punti lentigginosa, quei meravigliosi occhi verdi… sembra quasi un essere soprannaturale, il più bello degli angeli. E il più maledetto, in quelle vesti dannate e mortali. Eppure Castiel, quando lo guarda, non riesce a non chiedersi cosa deve aver passato, per tutta la sua vita, e a pensare che non se lo è meritato. In fondo, ha scoperto da poco, la grazia di quel ragazzo brilla tantissimo. E’ solo bravo a nasconderla. – Ti piace proprio la musica, eh? – domanda Dean, sfogliando gli spartiti.
- In un certo senso, è una delle cose con cui l’uomo più si avvicina a Dio. Che sia con un racconto, o un canto, una torre o una preghiera, tutto ciò che ci appare meraviglioso lo colleghiamo a Dio e speriamo attraverso l’arte di farci sentire da Lui. Un po’ come dei bambini che cercano di attirare l’attenzione del padre.
- Tu in pratica sei un filosofo. – gli risponde Dean. Castiel alza le spalle.
- Ho studiato le Sacre Scritture tutta la vita e mi piace raccontarle. E sì, condividere alcune riflessioni, ma non saprei come chiamarmi. – lo sguardo di Castiel viene attirato dalla mensola di legno, l’unico mobile oltre al letto presente nella stanza, su cui erano ripiegate tre camicie di flanella, delle magliette scure e un paio di jeans. – Hai tolto i vestiti dalla borsa.
- Uh? Sì… temo che non uscirò tanto presto da qui. – Dean ha un sorriso triste, ma Castiel assimila l’informazione. Dean ha accettato di restare.
- Non essere troppo felice della mia compagnia, eh. – diversamente dal suo solito, tira le labbra in un sorriso. Quasi prova dolore ai muscoli delle guance. Dean invece fa una vera e propria mezza risata, slanciando la testa all’indietro, con gusto. Strizza gli occhi in modo particolare, che lo spinge a osservarlo attentamente. Accidenti se assomiglia a una bambola di porcellana.
- Comincio seriamente a pensare che tu sia l’unico un po’ sano in questo covo di pazzi. – borbotta. Una sensazione spiacevole si fa strada nello stomaco di Castiel, che a Dean non sfugge.
- Tutto bene? – Il graffio sulla guancia gli si riallarga sull’espressione seriosa.
- Sì scusami, ho dimenticato una cosa sotto… ci vediamo a cena.- si congeda velocemente.Castiel esce dalla camera di Dean, corre fino alla fine del corridoio, si fionda sulle scale, evitando e a volte senza evitare le persone attorno a lui, scruta tra i vari sai per identificare un capo riccioluto brizzolato.
- Padre Metatron! Padre Metatron! – chiama. Il capo si gira.
- Castiel, dimmi.
- Da quando per riportare sulla strada del Signore le persone utilizziamo la violenza? – pronuncia, polemico. Poteva sbagliarsi. Doveva sbagliarsi. Ma il volto scuro di Metatron gli s’incide nella mente e lo fa immobilizzare. Dura per un secondo, quella smorfia, prima di scomparire senza lasciare traccia. Ma lo investe come una doccia fredda.
- Tu non devi credere a quel…
- Non mi è stato riferito niente. – lo interrompe ben deciso a farlo confessare. – Ho solo indovinato.
- Tu hai fatto supposizioni, Castiel. Ora smetti di pensare ai peccatori, se non vuoi diventare come loro. – sibila. E monaci e preti e sacerdoti gli passano accanto, eppure nessuno si volta, nessuno calma l’animo di Castiel, che rimane a fissare il punto dove Metatron gli ha lanciato quello sguardo pieno d’odio che non avrebbe dimenticato facilmente. Eppure sono attorno a lui, non possono non aver sentito. Non possono averlo ignorato. Oppure sì? Con un po’ di nausea sale le scale e torna, torna verso la stanza di quel ragazzo, di nuovo sui suoi passi. Sbircia dalla finestrella inferriata ed è dove lo ha lasciato, sdraiato sulla squallida brandina, con i soliti jeans e una canottiera bianca che risalta sulla pelle abbronzata, occupato a leggere gli spartiti di Castiel.
- Proteggilo per favore. – sussurra, ma non al ragazzo o a qualsiasi altro cieco passante. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Dean tiene le mani ammanettate davanti allo stomaco. Si sente a disagio, come sempre quando entra in una chiesa. Non ricorda bene quando ha cominciato a sentire quella sensazione, forse quando ha smesso di credere, o forse già dal giorno del funerale di sua madre. Tutti sono in silenzio, come allora, mentre la voce cavernosa del prete mormora col suo modo cadenzato di parlare parole effimere, che lo attraversano senza lasciare davvero un segno.  Ricorda che lo avevano obbligato a sedersi in prima fila, ma non piangeva più. Aveva superato quella fase.  Ormai il dolore della perdita lo trascinava lontano da quella realtà, dalle persone a cui voleva bene, finché non rimaneva nient’altro, solo vuoto. Restava semplicemente immobile e cercava di evitare il contatto con gli altri il più possibile, eccetto con Sammy. Aveva il terrore che qualcosa sbucasse dal buio e lo portasse via, come la mamma. Lo teneva in braccio, quel giorno. Era l’unico vestito di bianco, avvolto nella copertina candida con cui di solito la mamma lo aggrovigliava amorevolmente. Dean l’aveva osservata tante volte e aveva deciso di imitarla, sussurrando a Sam parole dolci per non farlo frignare come faceva lei. Aveva stretto suo fratello al petto: non era solo, come papà. Anche Sammy aveva perso la mamma. Aveva annusato il bimbo e sotto quello strano profumo di latte in polvere e coccole che hanno i neonati lo aveva sentito, l’odore della mamma, di casa, tra le fibre della coperta. Dopo qualche minuto Sam aveva cominciato a piangere e Dean ne aveva approfittato per uscire da quel luogo infernale e lasciarsi tutto alle spalle, per la prima volta.
Un brivido di quel gelo gli attraversa la schiena anche nel presente. Una sensazione di paura più profonda e di pericolo lo assalgono quando il coro comincia a cantare. Non ricorda di aver mai visto così tanti religiosi o una chiesa così grande, e ovunque si giri c’è qualcuno che lo guarda storto, o tiene gli occhi a terra, continuando a cantare. Le pareti, con i loro affreschi di angeli terribili, dalle spade argentate puntate verso diavoli in fuga, non aiutano di certo. Nella sua testa sente le voci di una Santa Inquisizione, di secoli di persecuzioni, soprusi, omicidi. Eppure sono ancora lì. No, forse quel terrore è più legato alla consapevolezza che tutti, là dentro, affascinati da un dio o un bene superiore lo guardino come uno di quei diavoli, un essere immondo da ricacciare all’inferno. La cecità dell’uomo lo ha sempre sconvolto. Come si può arrivare a ferire, torturare, uccidere addirittura una persona, in nome di una fede? Non importa quale, non importa in nome di quali principi.  Per quando gli dispiaccia per Cas – Dio, se ce ne fossero di religiosi come lui, il mondo sarebbe un posto migliore – non riesce a vedere nient’altro in un velo o una croce. Dean scorre sulla parte riservata al coro ed eccolo, che canta in mezzo ad altri ragazzi sulla destra seguendo il movimenti di un tipo occhialuto con una tunica nera. Sembra molto concentrato sul canto, gli occhi fissi sul suo maestro, il ciuffo nero laccato da una parte e la camicia ridicola abbottonata fino al collo. Quello… e non solo. Gli occhi cielo pieni di sogni e speranza, le labbra screpolate incurvate all’insù, e dietro, un ragazzo buono, colto e sincero, e contemporaneamente così straniero del mondo. Ci crede davvero, pensa. Ci crede in senso buono. Dean ha sempre segretamente ammirato e invidiato quella capacità. Anche Sammy ce l’ha, un po’. Nei momenti peggiori lo aveva sentito sussurrare preghiere. Si chiede per la prima volta da chi le abbia imparate. Non da lui di certo. Forse da papà. Evidentemente pregava anche lui qualche volta. O forse… è possibile che pregasse quando era piccolo? Cazzo, non se lo ricorda più.
Chiude gli occhi: sì, ormai riesce a distinguere la voce di Castiel in mezzo alle altre. Nel momento in cui li riapre lui lo sta guardando e sorride, senza smettere di cantare. Dean ricambia ed è piacevole avere almeno Cas in mezzo a tutti  quei visi. Gli fa l’occhiolino e il ragazzo dagli occhi blu si distrae un attimo per ridere. Dean gli legge sulle labbra “Tutto bene?” e si limita ad annuire, sorridendo. Si concentra più sulla voce di Cas, così familiare, più che su tutti i volti, tutti i ricordi che lo rendono nervoso e canta anche lui, per la prima volta capendo il senso delle parole della canzone. E in qualche modo serve a tenere lontano i cattivi pensieri.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Castiel non sa dare un nome a ciò che gli sta accadendo. Più passa il tempo, più si sofferma su quel viso, più ride troppo alle battute stupide di lui, alle parodie stonate dei salmi che gli insegna, più prova delle fitte di piacere quando senza dirsi niente decidono di mollare la musica e gli spartiti e di parlare, parlare come Castiel mai ha fatto con una persona. Non smettono, non lasciano il silenzio insinuarsi troppo fra loro. Parlano del loro modo di vedere il mondo, Dio, l’amore. Castiel non l’ha mai provato, mentre Dean forse sì. Gli racconta di come scalda il cuore e tiene sveglio la notte, ti fa bruciare come un fuoco e venir voglia di urlarlo a tutto il mondo.
- O di marciare in segno di vittoria, perché hai il diritto di amare chi vuoi. – gli sorride Dean. Cas ammutolisce. E si sente in colpa. Sa che sono pensieri, dubbi pericolosi quelli che gli sfiorano la coscienza, ma Dean lo attira, con quei magnetici occhi verdi, con quella fragilità che a lui solo mostra e di cui si sente responsabile. E non può fare a meno di osservarlo con una sorta di affetto, mentre il giovane gli chiede la funzione di questo o di quello, il significato di un testo o di un altro. E’solo felice di averlo accanto. Per vocazione, per attrazione, poco importa. Per poco riesce a togliersi il solito casino dalla testa e dal cuore e a tenere lontano, con qualche risata, i cattivi pensieri.
- Castiel, cosa ti sta succedendo? – ripete padre Zachariah, con aria sofferente, dall’altra parte della propria scrivania.
- Niente, davvero. – Castiel tende le labbra e tiene nervosamente le mani appoggiate sulle gambe.
- Sei sempre agitato, sempre meno entusiasta di ciò che fai. Stai… cambiando. Per non parlare delle varie aggressioni verbali a rispettabilissimi componenti della nostra chiesa…
- Mi spiace, ma negli ultimi giorni sono stato coinvolto in situazioni poco piacevoli e ho bisogno di risposte ad alcune domande. E tutte le risposte che ho ricevuto sono state vaghe e coperte da melliflui rimproveri. – Il suo tono è vagamente irritato e ne è perfettamente a conoscenza. L’ultima cosa che vuole è sentirsi trattato come un adolescente che fa i capricci.
- Sentiamole allora, queste domande. – sorride invece, benevolo, il sacerdote. Castiel lo guarda, dubbioso. Nessuno si era reso così disponibile fin’ora e di certo non se lo aspettava dal più alto membro della loro comunità.
- Io… volevo sapere che fine hanno fatto alcuni ragazzi che ho conosciuto… di cui poi non ho più saputo nulla… che si trovavano nella stessa posizione di Dean. Nancy, Isak… Laura… - il monaco ride, spiazzandolo.
- Solo questo? – domanda. – Sono andati in altre comunità simili alla nostra o a casa. Alcuni sono anche tornati qui, come Robert… sono sicuro che hai presente di chi parlo…
- Allora perché tutti hanno cercato di impedirmi di ottenere queste informazioni? – domanda piano Castiel, dopo aver riflettuto per qualche secondo. Tutto ciò non ha assolutamente senso. Dopo aver passato una settimana a cercare di far parlare qualcuno, a ricevere rispostacce, ad essere trattato come un ragazzino, non si spiega questo atteggiamento da parte di padre Zachariah.
- Dubiti forse della veridicità delle mie parole, Castiel? – Sì, lo fa. – Guarda, dovrei avere i loro fascicoli proprio qui. – Zachariah non smette di sorridere, cominciando a esplorare i cassetti della sua scrivania. Tira fuori delle cartelle di carta giallo sporco contenenti alcune pile di fogli che il ragazzo esamina. Foto, appunti delle persone che li avevano seguiti… c’è tutto. E nell’ultima carta di ogni plico è scritto un grosso TRASFERITO A:.
- Non capisco… - ammette. Improvvisamente si sente stupido. Cosa si aspettava? Che padre Metatron fosse a capo di una setta segreta che uccideva i ragazzi “inguaribili”? Non avrebbe dovuto fare tutte quelle domande. Ma sapere che il più insospettabile dei preti aveva utilizzato la violenza contro Dean… lo rendeva diffidente, diffidente di tutto.
- Vuoi un consiglio, figliolo? – s’intromette tra i suoi pensieri il buon Zachariah. Castiel annuisce.
- La gente è restia a darti informazioni a causa tua, mio caro ragazzo. Pensi molto e parli troppo poco. Non si sa mai cosa ti passa per la testa. E poi, all’improvviso, cominci  a parlare, e ciò che dici non sono cose che le persone vogliono sentire, Anch’io una volta ero così. – Zachariah gli appoggia una mano sulla spalla e Castiel si sente quasi orgoglioso della sua affermazione. – Devi essere più aperto e, per favore, sorridi ogni tanto. E’ incredibile quanta differenza possa fare un sorriso. – quella sensazione di smarrimento e disagio si allontana, piano piano, e Castiel sorride. Finché il suo sguardo si posa su una foto di Isak, prima di partire. Sullo zigomo si nota, anche da lontano, un livido che non era presente nelle foto precedenti. Il suo cuore perde un battito.
- Penso che Dean sia stato aggredito. – butta fuori. Ed è una liberazione.
- Cosa? – il viso di Zachariah si allarma.
- Penso che sia stato picchiato da qualcuno della comunità. Lui non mi ha mai detto niente… ma non è il genere di persona che si lamenta di una faccenda “personale”. Non trovo che siano metodi giusti da utilizzare.
- Ciò che dici, Castiel, è molto grave. – risponde cauto Zachariah. – Ma inaccettabile. Mi accerterò io stesso che non accada nella nostra chiesa.
- Grazie mille. – gli sorride, riconoscente. Giorni di ansie e preoccupazioni si sollevano dalle sue spalle.
- Ecco, bravo. – se ne compiace padre Zachariah. – Occupati pure del ragazzo e, per favore, smettila di pensare così tanto ai nostri ospiti. E’ il mio di lavoro. E alcuni stanno contestando la tua fede e la tua lealtà, sotto questo stesso tetto. 

Le sue ultime parole non lasciano pace all’animo di Castiel, troppo simili a quelle di Metatron. Qualcosa non torna, qualcosa sicuramente non torna. Forse dovrebbe fare ricerche sulle comunità a cui erano destinati i ragazzi. Oppure potrebbe cercare di mettersi in contatto con Isak o qualcun altro. Ma tutta la situazione gli fa venire solo un gran mal di testa. Probabilmente si sta solo immaginando tutto. Fantasmi nella sua testa.
-Altre comunità, eh? – riflette Dean. Gli era sembrato giusto informarlo di ciò che aveva scoperto… senza il contesto. Ed è servito. Esporlo a qualcuno lo ha tranquillizzato, gli ha fatto apparire gli avvenimenti più chiari e aveva deciso di rimanere all’erta. La mancanza di un effettivo pericolo immediato non cancella il fatto che attorno a lui accadono cose di cui non è a conoscenza. Per un attimo gli passa per la testa una seconda teoria: e se qualcuno avesse detto a padre Zacchariah che cercava informazioni su quei ragazzi e avessero deciso di occultare i loro loschi affari? Avevano forse falsificato i registri? Si preme le nocche gelide contro la fronte. No, no, deve smetterla di farsi quei disegni. E’ come cercare il suo Catilina, che sembra cambiare faccia e portare il viso di tutte le persone che conosce da una vita. Chiunque potrebbe essere chiunque. E l'intera situazione lo tormenta. Dean in quei giorni è diventato l’unico con cui può parlare davvero, senza avere l’impressione di essere controllato. Annuisce.
- Io sinceramente spero che mi rimandino a casa, una volta finito qualsiasi programma io stia seguendo... - continua Dean.
- Solo quello di vivere in comunità, te l'ho già detto. - lo interrompe. - E di passare tempo con me.
- Onoratissimi. - lo assicura. Poi riprende fiato. - Ma dicevo.... quando tornerò a casa... potresti venirmi a trovare, se vuoi. – La luce che passa attraverso le foglie degli alberi, pensa distrattamente. Ecco, è proprio quella la sfumatura degli occhi di Dean. Qualcosa gli si agita nello stomaco, forse la sua grazia. Ride piano.
- Venirti a trovare?
- Certo angioletto. Dovrai uscire di qui, prima o poi…
- Beh… ti ho raccontato della scuola battista dove andavo da piccolo e…
- Il famoso orfanotrofio della Santa Vergine Maria! Come scordare i tuoi traumi infantili? – Dean gli si avvicina e gli sorride. – Hai mai visto New York? O una qualsiasi vera città? Io dopo che sono scappato da Lawrence mi sono trasferito con la mia migliore amica e mio fratello a Lebanon. Sempre in Kansas, ma a qualche ora di distanza da Lawrence. Ed è bellissima!
- Cosa dovrei vederci? -  gli chiede Cas. Gli piace fargli domande sul suo mondo. Dean fa un’espressione malinconica. La luce passa di nuovo attraverso le foglie delle sue iridi.
- Io e Charlie, la mia migliore amica, facevamo delle passeggiate fantastiche sul lago. Poco prima che venissi qui stavamo organizzando una mega Convention. Una… non ho una buona definizione. Prendilo come un raduno di pazzi a cui piacciono le stesse cose. – Cas ascolta attentamente. Convention. Che nome buffo per un raduno di pazzi. - Poi c’è la scuola di Sammy, i bar… il mio preferito è l’Hunter’s Pub, ma Charlie preferisce il Paradise City per rimorchiare e… - si ferma e lo osserva divertito. – Smettila di ridere. Un giorno ti ci porterò pure a te.
- Al Paradise City? – ridacchia Cas.
- Direi di no, ti assicuro che il genere di ragazze che piacciono a Charlie non sarebbero altrettanto interessate a te. Forse all’Hunter’s… - Dean sembra seriamente afflitto dal problema e fa brillare anche un po’ di grazia, a Castiel. Dean lo guarda per qualche secondo.
- Sai, una volta credevo. – gli confessa. Cas avrebbe voluto rispondergli che una volta anche lui credeva, in certe persone. Ma le cose cambiano. Ed è incredibile con quanta velocità il mondo possa crollarti addosso. Un giorno vivi nella tua bolla, nella tua vita perfetta e il giorno dopo ti rendi conto che non esistono persone perfette, per quanto desideriamo vederle, e che tu sei uno stupido che non è mai riuscito a guardare oltre alla punta del proprio naso.
- Davvero? – Dean sorride.
- Quando ero bambino. Secondo Sammy, gli davo la buonanotte dicendo che gli angeli vegliavano su di lui e ogni tanto pregavo anche. Lo avevo completamente cancellato dalla memoria. - Rimane un po’in silenzio, come se stesse riflettendo, senza guardarlo negli occhi. – Mia madre lo faceva con me. Evidentemente però gli angeli, alla fine, si sono dimenticati di lei.
- Dio è buono, Dean Winchester, ma non può controllare le sue creature. Il male esiste.
- E allora cosa fa? – sbotta lui. Castiel teme per un secondo di essersi spinto troppo e Dean se ne accorge. – Scusami. E’ bello che tu riesca a credere ciecamente, ma a me non basta. Vorrei avere qualche prova prima di adorare una creatura sovrannaturale onnipotente eccetera eccetera... e che passa il tempo a girarsi i pollici. Ma non volevo… essere… essere…
- Va tutto bene. – dice Castiel.  - Non dico di non volere neanche io delle prove. –  Ma l’assenza di bene in certe persone, non significa l’assenza di Dio. Come fai a credere che il mondo sia così perfetto, così orchestrato, solo a causa di combinazioni volute dal caso? Tutto ciò che pensiamo, viviamo, sentiamo ogni giorno… ti sembra davvero l’effetto solo di difetti genetici? Di piccoli scherzi della natura? Come fai a vivere in un mondo così? – gli domanda. “Così perfetto, tutto ciò che sentiamo”. Dean stringe le labbra.
- Non lo so. Ci provo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il sole è calato ormai da qualche ora. Da quando padre Metatron si è finalmente tolto di torno Dean sta leggendo alcuni spartiti di Cas per passare il tempo e non pensare all’agitazione nello stomaco. Quando sente la chiave girare nella toppa balza in piedi. Il ragazzo entra a grandi falcate, quasi di corsa.
- Cas… - lo saluta, per poi scoppiare a ridere. – Mio Dio, come cazzo ti sei vestito? – Non dovrebbe prenderlo in giro. Sicuramente si era impegnato parecchio nello scegliere la cravatta della medesima tonalità dei suoi occhi blu elettrico, ma non può fare a meno di sorridere della solita camicia che indossa sotto, della giacca elegante e soprattutto del trench chiaro, nonostante sia probabilmente l’unico indumento informale e che delle persone normali potrebbero effettivamente utilizzare in quella occasione. Improvvisamente Castiel non sembra molto a proprio agio. Tiene le braccia larghe, gli occhi bassi intenti a contemplare le proprie scelte stilistiche.
- Per andare al cinema…- Dean gli si avvicina e appoggia lievemente le dita sul caldo collo del ragazzo. – …non serve vestirsi eleganti… - Gli sfila la cravatta blu, anche se gli spiace: gli sta veramente bene. La lancia sul proprio letto. -… e soprattutto, per una buona volta, sbottonati questa camicia. – comincia ad aprire i primi bottoni, mentre gli s’accende un calore, decisamente più in sotto dello stomaco. Cas lo guarda negli occhi, crucciato, senza dire una parola e Dean obbliga le sue dita a fermarsi. Che cosa sta facendo?
- Ecco adesso sei molto… sexy. – piega le labbra all’ingiù con soddisfazione e batte amichevolmente una mano  sulla spalla di Castiel.
- Grazie. Sei sicuro, Dean?
- Ci divertiremo angioletto, vedrai. – Gli fa l’occhiolino. – Vuoi mettermi le manette?Escono dalla stanza in silenzio, salgono le scale e tutti i corridoi sono vuoti e bui. Passano davanti alla stanza di Castiel e proseguono dritto fino ad un’uscita di sicurezza. Scendono velocemente gli scalini di metallo la cui ringhiera scorre sotto i polpastrelli di Dean come un piccolo fiume ghiacciato. L’aria è gelata e al buio è già tanto se vedono oltre il loro naso. E’ costretto a fermarsi, solo per un attimo, e a riempirsi i polmoni di quella fredda, buia libertà. E’ libero, pensa. Potrebbe mollare tutto e scappare, correre a perdifiato, tornare a casa. E Sammy? Potrebbe organizzare con Charlie una fuga anche per il suo fratellino. Potrebbe… e invece guarda Cas. Se Dean scappasse finirebbe nei guai. In fondo si sta fidando di lui. E poi gli sarebbe mancato, quel figlio di puttana, quei vocaboli che riesce a vomitare a raffica durante le conversazioni di tutti i giorni e quegli occhi pieni di sogni.
- Sono qui. – gli sussurra invece, tirando gentilmente la manica del trench verso i due fanali in mezzo all’oscurità, attraverso i quali si scorge il profilo di un auto. Il ragazzo si guarda intorno e sembra un cucciolo smarrito. La portiera della macchina rossa si apre, lasciando uscire un po’ più luce che illumina… è neve quella? Dean non ne è sicuro. Entra nell’auto e Castiel lo segue a ruota. Mason e Juliet, seduti davanti, gli sorridono.
- Ehi Dean…
- Ciao ragazzi. Mason, ringrazia tua sorella, davvero.
- Sai che Anna farebbe di tutto per te. – Mason alza gli occhi. Poi guarda Cas. – E il tuo amico? Da dove sbuca?
- Lui è Cas. – il ragazzo osserva la compagnia imbronciato. – E’… tranquillo. Cas, loro sono Mason e Juliet. Frequentano la comunità ma vivono fuori. Potresti averli incrociati a messa o durante le attività…Castiel fa un mezzo verso e Dean sorride. Socializzare non è il suo forte. Quando entrano nell’edificio, una calda oasi rispetto alle glaciali temperature esterne, si avvicinano alla cassa per scoprire che i posti sono quasi finiti, ma Mason riesce a conquistare quattro biglietti, due vaschette di pop corn e una cospicua quantità di bottigliette di coca cola.
- C’è molta gente… - commenta Cas, mentre Dean gli passa i pop corn. – Cosa sono?
- Santo cielo. Mettili in bocca, angioletto. – Castiel ne prende una mezza manciata e la ingurgita. Fa una smorfia.
- Sono… salati. – Non sembra pienamente soddisfatto, ma continua a prenderne. Entrano in sala e  Cas si sistema vicino a lui sui divanetti sporchi. Osserva la bottiglia di coca cola, sospettoso.
- Forza, aprila. – lo incoraggia. Il tappo comincia a produrre un fischio frizzante di bollicine e Cas sembra sempre più preoccupato.
- Dean, fa rumore.
- Dai Cas, non aver paura! Aprila. – Castiel gira ancora il tappo rosso e la schiuma esce dalla bottiglia, infradiciando il ragazzo e il sedile sotto di lui. Dean scoppia a ridere e anche Cas accenna ad un primo sorriso.
- Che schifo, ho tutte le mani appicci… - Cas si blocca, lo guarda, sposta la bottiglia nella mano sinistra e si pulisce la destra su Dean, che smette di ridere.
- Ehi! Il mio giubbotto di pelle! - Tocca a Cas ridere di gusto.
- Ora la assaggio…
- Ecco… - Cas porta la bibita alla bocca, ma la abbassa immediatamente e sputa la coca cola davanti a sé, provocando una seconda risata da parte di Dean e un’occhiata scocciata del tipo davanti.
- Poveri sedili… - sospira Juliet dalla parte opposta, dietro Mason.
- Che roba è?! – Il viso di Castiel si contorce in una smorfia.
- Bollicine.
- Mio Dio, come fate a berla? – Dean alza le spalle e tracanna la sua.
- Il tuo ragazzo non ha mai assaggiato una coca cola? – chiede Mason accanto a lui, e la bevanda gli va quasi di traverso. Lancia un’occhiata a Cas, occupato a tuffarsi sui popcorn per “togliersi il gusto”.
- No. – Per un attimo non vuole continuare e piccole farfalle volano nel suo stomaco, gustandosi quella prospettiva. Ma deve correggersi. Cosa accidenti sta pensando? Cas è e deve rimanere un amico. – E non è il mio ragazzo.
- Ah no? – risponde distrattamente Juliet, per poi stampare un bacio sulle labbra di Mason. Dean distoglie in fretta gli occhi e si volta verso Cas.
- Pronto per il tuo primo horror? – Castiel ingoia una quantità consistente di popcorn prima di rispondere.
- 22. Me ne stanno 22 in bocca. Comunque, no.
- Sei scarso. Scommetto che io riesco a tenerne 30. – lo sfida Dean. – Passami la vaschetta.
- Assolutamente no. – sogghigna lui, allontanandoli con la mano. Dean cerca di rubare una manciata di popcorn al ragazzo, ma la luce si spegne. Il film comincia.
Mason, mentre rientrano in macchina, afferra per i fianchi Juliet che pianta un urlo, poi la bacia.
- Idiota. – lo sgrida la ragazza. Cas ride, finalmente più a suo agio, Dean rimane in silenzio. E’ stato strano avere Cas così vicino tutto il tempo. Aveva cercato di concentrarsi più sul film che sulla presenza del ragazzo finché, nella scena con più suspense, la stretta della mano di lui sul suo avambraccio sinistro lo aveva fatto irrigidire sul suo sedile. Era calda. Il cuore aveva cominciato a battergli nel petto e il fiato gli era rimasto in gola mentre faceva scivolare il proprio braccio sotto il palmo di lui per stringerli la mano, per poi diventare incapace di muoversi per paura di disturbarlo e fargli cambiare posizione. Quando le luci in sala si erano riaccese Cas aveva velocemente sfilato la mano e si era alzato, ma Dean lo percepiva ancora tra le dita, e non riusciva a smettere di pensarci.
- Piaciuto? – chiede Mason.
- Sì! – risponde Cas. – Pensavo avrebbe fatto più paura. – “Tanto quello con la mano stritolata sono io” pensa Dean, ma non oserebbe protestare. La vecchia automobile si ferma davanti al vecchio edificio e Dean e Cas salutano i ragazzi. Castiel si allontana per primo e Dean lo guarda da dietro, sorridendo nell’ombra che i fari della macchina alle sue spalle gli gettano sul viso.
- Tu e quel ragazzo spezzerete il cuore a mia sorella, se ne ha ancora uno.- Mason si sporge dal finestrino del veicolo dietro di lui. - Comunque, Dean, io tifo per voi, non farti ingannare da quella strega.– Mason fa a Dean un occhiolino prima di riaccendere il motore, senza lasciargli la possibilità di ribattere.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ogni giorno Sam Winchester è condotto nella stanza di Castiel e a volte si unisce per qualche minuto alle loro conversazioni. E’ sempre gentile con Castiel, ma non gli dà troppa confidenza, situazione che non lo infastidisce troppo. E’ più espansivo con Dean. Non importa cosa stia dicendo, se gli sta raccontando la sua giornata, di questo o di quell’altro ragazzo insopportabile o se lo sta prendendo in giro, Sam guarda sempre suo fratello con due occhi adoranti, come se fosse alla continua ricerca della sua approvazione. Lo punge una nota di malinconia. Gli mancano i suoi, di fratelli. Non li vede da un vita. Ma in fondo era stato Castiel a scegliere di partire, di entrare in quella comunità, alcuni anni fa. Doveva aspettarsi che si sarebbero allontanati. Forse una parte di lui lo desiderava anche. Tuttavia non importa cosa succede, quando cresci insieme a delle persone una parte di loro resta inevitabilmente legata a te per sempre. E anche se fuggi continui a rincontrarli, in un libro, in un passante, negli occhi di un altro ragazzo. Riconosce molti sguardi in quelli di Sam, ma quello di Balthazar lo colpisce come il colpo di un fucile. Senza accorgersene comincia a sentirsi più legato a quel ragazzino, e contemporaneamente più esitante nei suoi confronti.
Quando il piccolo Sammy esce dalla stanza, Castiel raccoglie qualche libro lasciato sparso in giro e trascina una sedia più vicino a Dean.
- Ho trovato una storia che potrebbe interessarti. – gli dice. Ha un mezzo sorriso e Dean lo imita, facendo brillare la grazia di Castiel. Ama quella sensazione. Lo fa sentire così pieno, così bene. Così libero di volare e così desideroso di restare a terra con lui. Gli occhi verde rubino scintillano. E’ finalmente riuscito a convincere Zachariah che le manette non sono necessarie.
- Ma non mi dire… un’altra sul mitico “Cassiel”, sacro angelo del Giovedì? Aspetta che scopra il nome di quel figlio di puttana che protegge i Lunedì… – Castiel ridacchia e sbatte il libro che tiene in mano contro il ragazzo.
- Un po’ di rispetto per gli angeli, Winchester. E comunque, non te lo dirò mai…
- Aspetta, mi hai appena colpito con la Bibbia? Aaaah… mi brucia la spalla… - Dean assume un’espressione dolorante.
- Shhh… zitto e ascoltami: hai mai sentito di David e Jonathan? – Lo scruta con gli occhi e lui si ferma. Una certa agitazione lo innervosisce, simile alla grazia, ma dalla sfumatura più cupa, quasi minacciosa, quasi lo spaventa. Si sta addentrando per vie pericolose che aveva giurato di non percorrere. Sta per rendere tutto più reale. Ma Dean lo ignora e lo guarda in silenzio per qualche secondo, serio.
- Mmmmh… amici tuoi? – Per un attimo sente ancora le dita calde di Dean tra le sue, al cinema. Flash di quella serata gli passano per un attimo davanti. No, non ci deve pensare.
- No… - ridacchia debolmente, simbolicamente. In realtà il cuore gli batte parecchio, ma deve rimanere calmo. Sceglie di sorridere, di renderlo più ironico.- Re David e il suo “amico” Jonathan. – come evidenzia con la voce la parola “amico”, Dean si fa serio per qualche secondo, per poi sorridere divertito.
- Wow, gossip!
- Sì… e sono due personaggi dell’Antico Testamento… - suggerisce. Dean coglie il messaggio al volo.
- Quindi li posso usare contro qualche omofobo cristiano… - riflette.
- Possiamo… - specifica, sorridendo. - Esatto, hai colto il punto. – Castiel s’immagina come sarebbero potuti apparire se qualcuno avesse aperto la porta in quel momento. Due ragazzi che ridono e parlottano, senza mai staccare gli occhi di uno da quelli dell’altro. Fuori dal contesto, fuori da quel luogo, fuori dalla società, dal sesso, da tutto, sarebbero rimasti solo quei due ragazzi, quelle due persone, quelle due scintille di grazia. E, per qualche secondo, mentre sorridono è così.
- Hai tutta la mia attenzione… - Lo interrompe Dean. La verità è che da un po’ di tempo quel racconto ronza nella testa di Castiel, ma non è mai riuscito ad esporlo al suo protetto. Forse perché è diventato uno dei suoi preferiti, nelle ultime settimane. O forse perché ha quella paura, ma non sa bene di cosa. Tuttavia la voglia di portarlo alla vita con Dean sovrasta quelle sensazioni. Ha bisogno di parlargliene, di sentire cosa ne pensa.
- Jonathan era un potente guerriero d’Israele, figlio del re Saul. “Più veloce delle aquile e più potente dei leoni”. Un valoroso generale, fedele al suo popolo e ubbidiente alle leggi del padre… almeno finché non incontrò David, un giovane dalla voce soave chiamato a suonare alla corte del re, per calmare il suo spirito.- Comincia a recitare, scorrendo simbolicamente alcune pagine, che ormai sa a memoria. Preferisce sapere dove posare gli occhi. Non in quelli di Dean. - Amato da tutti, si avvicina al sovrano e a suo figlio, con il quale instaura un fortissimo rapporto, profondamente disapprovato dal padre.
- Ahia.
- Già. Saul arrivò a tirare una lancia contro Jonathan.
- Figlio di puttana. E poi?
- Beh… qui dice che si amassero più di quanto potessero amare qualsiasi donna. Parla di incontri segreti, baci… patti d’amore…- Castiel non sa bene come continuare. Riprende fiato e commette l’errore di guardare Dean e coglierlo a pochi centimetri dal suo viso, le pupille dilatate e l’espressione stregata. Si sofferma sulle lentiggini e sulla bocca semiaperta per qualche secondo, prima di riprendersi. Chiude la Bibbia e si alza. Non si era accorto di essersi avvicinato così tanto a Dean mentre leggeva, né probabilmente lo aveva fatto il ragazzo, che come colpito all’improvviso dalla lancia invisibile di re Saul scatta all’indietro.
- Continuarono a frequentarsi nonostante l’astio del re… fino a che, beh, fino a che Jonathan il guerriero morì insieme al padre in battaglia, lasciando il futuro re David solo e pazzo di dolore… o almeno mi piace vederla così, visto che comincia a sgozzare gente a caso e a incolparli della morte di Jonathan. – Cerca di alleggerire un po’ la tensione.
- Penso che farei anch’io così. – Dean incurva le labbra, deluso. - Però cazzo, li relationshippavo.
-Tu che? – Castiel si volta, confuso.
- Ehm, è complicato. E’ un termine che usano dei fan per dire… Vabbè, ignorarami. Sul serio. Tanto è troppo lungo e alcuni lo vogliono cambiare. E poi ti traumatizzerei probabilmente. – Dean parla velocemente, con un sorrisetto sotto i baffi che rende Castiel estremamente curioso.
- Eddai, so anche che cos’è un “fan”. – cerca di convincerlo. Dean fa una smorfia soddisfatta.
- Angioletto, non te lo dirò mai. Torniamo a David e Jonathan.
- In pratica, non c’è altro da dire. Al loro funerale re David compose un canto per la loro morte, che contiene all’incirca tutte le informazioni che ti ho dato fin’ora. – Castiel gli si riavvicina. – Vuoi impararlo?

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Dean si è ripetuto che Castiel è il suo biglietto di uscita. E’ stato gentile con lui, lo ha ascoltato. Ma non ha mai messo in conto la possibilità di legarsi a quel ragazzo, tanto da uscire da quel luogo infernale senza provare ad abbandonarlo. Ora percepisce la tenerezza del suo stesso sguardo ogni volta che vede Castiel, il cuore battere all’impazzata ogni volta che le labbra del moro si avvicinavano a lui. Adora il suo mondo positivo, dove ogni cosa ha un posto e uno scopo: a forza di sentirlo, anche a Dean pare di avere un destino, si sente protetto, anche la sua vita sembra avere un ordine preciso, un piano. O forse è solo perché è in compagnia di Castiel?
Dean non è un ragazzino, non è la sua prima cotta, ma sa che Cas, con la sua fede, non potrebbe mai accettarlo. Ogni volta che si chiude dietro le spalle la porta della camera del ragazzo si ripromette di farsela passare e ogni giorno, quando vi rimette piede, ricomincia ad amarlo daccapo. Anche se accompagnata da timore e senso di colpa, la sua immagine non gli esce mai dalla testa. E questo è un grande problema per Dean. Non riesce più neanche a sognarsi di lasciare quel gruppo di invasati religiosi, finché il suo angelo continua ad aleggiare tra loro.
- They were swifter than eagles, stronger than lions. There was a secret chord, that David played and it pleased the Lord. – canticchia a bassa voce nella sua stanza, passando le dita sulla cravatta blu come gli occhi di Castiel, che non gli ha più restituito. No, non era così. Doveva chiedergli il testo. Qual era stato poi davvero il significato di quel testo? Cas voleva dirgli qualcosa o Dean si sta semplicemente immaginando tutto? Si abbandona sul letto, cercando di non pensare. Eppure c’è un’energia, qualcosa nei loro sguardi. E’ difficile coglierlo impreparato, poterlo osservare senza essere visto da lui, e, in quei momenti, Dean ripercorre le ormai familiari onde dei suoi capelli, gli occhi blu cielo, le labbra screpolate e le guance ruvide; la strada continua lungo il collo, il sensuale petto e scende sempre più giù, fino a quando Dean, con un po’ di vergogna, è costretto a fermarsi. Come ha fatto a cadere così? Non è solo una cosa fisica, come al solito, quando il suo corpo balla al ritmo di un altro e per una notte s’innamora di una persona. E’ qualcosa di più profondo. Non ama solo il corpo di Cas, ma anche il suo sguardo, la sua voce… anzi, quello che dice, quello che sogna, quei suoi atteggiamenti nei confronti del mondo, delle persone attorno a lui, nei confronti di Dean. Quanto è cambiato da quando sono insieme. Quanto è cambiato anche Dean. Sospira. Non è sicuro che sia una cosa positiva, ma è come sono le cose. Prova un sentimento in parte conosciuto, in parte no per un ragazzo che, nonostante abbia accettato la sua bisessualità, non è probabilmente pronto a ricambiare un bel niente, se è nelle facoltà di ricambiarlo. Sam non ce la fa a capire che ha bisogno di tempo, tempo per chiarire le cose con se stesso prima, e magari con Castiel poi. Ogni giorno lo guarda come se la sapesse più lunga di tutti e due messi insieme e ogni volta che Cas si assenta per più di trenta secondi per andare in bagno o a recuperare alcuni spartiti dimenticati chissà dove, suo fratello gli salta letteralmente addosso.
- Ma state insieme, vero? – gli chiede.
- Vi siete baciati?
- Ti prego, dimmi che lo hai baciato tu.
- No, non ci credo. Sono molto deluso da te, Dean. Si vede lontano un miglio che siete innamorati.
- Sam, Cas è un amico. – protesta Dean, abbastanza forte affinché entri in testa pure a sé stesso. Ma è come parlare al muro.
- Insomma, fa tutte queste cose per noi, di qualcuno deve essere innamorato. – riflette ad alta voce il ragazzino. – Beh, se non di te allora deve esserlo di me. Sam/Castiel! – urla soddisfatto alla fine.
- Non urlar… non..! Sta zitto! –gli ordina Dean.
- Allora è vero che ti piace! – gli sorride sornione Sam. – Eddai Dean… parlami dei tuoi sentimenti per Caas… - il ragazzino si agita sul letto nella sua direzione e Dean spinge suo fratello di nuovo al suo posto.
- Sammy, smettila di dire cazzate. Tra me e Cas non c’è nulla.
- Certo, certo. Aspetta che lo racconti a Charlie…
- Cosa volete raccontare a Charlie? – fa Castiel rientrando nella stanza con un sorriso serio e innocente.
- Di niente! Sam deve proprio andare adesso, eh? Ciao Sammy! – fa Dean, tirando al massimo gli angoli della bocca. Castiel lo guarda incuriosito e Dean istintivamente incurva la schiena, sotto il brivido di quello sguardo.
- Eddai Dean… - continua a bassa voce suo fratello.
- Puttana. – sussurra.
- Cretino. – fa lui di rimando. E’ il loro modo di dire “Ti voglio bene lo stesso”. Chiude la porta mettendo fine alle sceneggiate di Sammy, si volta tranquillamente per tornare al suo posto e si trova a faccia a faccia con Castiel, a pochi centimetri dal suo naso. Quei momenti ultimamente accadono spesso. Sembra che Cas abbia una felice visone tutta sua dello spazio personale delle persone.  Scatta all’indietro, preso alla sprovvista, mentre il ragazzo stranamente non muove un passo, come se fosse totalmente normale stare così vicini ad un amico. Forse lo è per gli etero. Mah. Dean ci pensa un attimo. Quanto devono stare distanti due ragazzi non attratti l’uno dall’altro? Secondo Cas, decisamente poco. Evidentemente dev’essere facile se non senti l’impellente bisogno di baciare persona accanto a te.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Dio, Castiel non riesce a crederci. Pochi mesi prima non sarebbe mai riuscito a immaginarsi una situazione del genere. Quella sera, dopo che Dean esce dalla sua camera, conta qualche secondo prima di imitarlo. Attraversa le fredde scale di marmo su cui dà il corridoio del dormitorio dei ragazzi, poi la grande sala su cui si appoggiano, evitando di guardare in faccia chiunque. A quell’ora tuttavia c’è poca gente in giro. Effettivamente, neanche Dean avrebbe dovuto avere lezione, ma ci teneva a rivedere degli spartiti… eccola, di nuovo. Quella sensazione. Quel sorriso spontaneo che gli sale lungo la bocca al pensiero di Dean. No, no. S’infila nella cappella – vuota - e si sistema nell’ultimo posto della terza fila a sinistra, come sempre, per poter parlare con Dio. A Castiel le chiese piacciono davvero, con i loro archi e i loro affreschi, con le statue e le loro sfarzose decorazioni. Lo portano a pensare alle persone che con la loro fede avevano intriso in tutti quei particolari meravigliosi qualcosa di divino, qualcosa di potente. Eppure le cappelle, quelle piccole, modeste, decorate solamente dai giochi di luci e ombre dei candelabri, lo fanno sentire più al sicuro, più… a casa.
Recita qualche preghiera, sospira. Arriva la parte più difficile, in cui deve parlare di Dean. Senza mezze parole, senza paura di essere giudicato. Lui sa tutto, e anche di più. Più volte il ragazzo si è insinuato nelle sue preghiere, nelle sue confessioni, ma quella sera deve dire una cosa più importante.
- Padre, ho molto peccato… - comincia. Davvero? No, non davvero. Ne avevano già discusso quando il ragazzo era giunto alla conclusione che Dio è amore, non odio e non che detesterebbe mai un proprio figlio per l’orientamento sessuale di lui. E’ solo una di quelle insignificanti, reinterpretabili antiche regole che ormai nessuno rispetta più. Tranne nel caso dell’omosessualità, evidentemente. Lui capisce. Ma qualcosa è cambiato e Cas cerca di spiegarlo e di spiegarselo, riflettendo silenziosamente. Non riesce a smettere di pensare a quel ragazzo, ai suoi occhi, alla sua voce… la sua grazia ormai sembra perennemente accesa, come un faro in mezzo alla tempesta, e illumina le sue giornate, ogni momento in cui è lontano o vicino a Dean.- Cosa mi sta succedendo? – sussurra. Sa la risposta. Gliene aveva parlato il ragazzo stesso. “Scalda il cuore e ti tiene sveglio la notte, ti fa bruciare come un fuoco e venir voglia di urlarlo a tutto il mondo.” E ormai non dorme più la notte, Castiel, ma non solo per quella sensazione di andare a fuoco che aumenta ogni volta che si avvicina a lui, ma anche per paura. Improvvisamente gli è chiaro cos’è che non va. Non è la natura dei suoi sentimenti a spaventarlo quanto le loro conseguenze.  Ogni volta che ci pensa, un dolore lancinante blocca tutte le sue funzioni, un dolore che sa di ciò che perderebbe. Non può, si dice. Non può fare questo a se stesso. Nell’attimo in cui quei sentimenti sarebbero diventati reali, tutta la sua vita, tutto ciò che era stato gli sarebbe caduto addosso. Un omo… uno come lui, non è ammesso in quella comunità. Dovrebbe lasciare i suoi compagni, la sua casa, il suo sogno. Cosa sarebbe lui senza? E’ quello il suo futuro: fare del bene e portare Dio nelle vite degli altri. Non può davvero farlo a se stesso. - E’ questo Padre. – ripete a voce bassa, spezzata. Ne parla con Dio come con un amico, togliendosi quel peso di dosso ma riempiendone l’aria attorno, perché adesso che lo ha detto a Lui è reale, non può più essere ignorato. Ha già messo fine a sé stesso. Un senso di vuoto lo travolge. Vuoto dappertutto, nelle vene, nei polmoni, nel cuore. Per non parlare dell’orrenda, possibile anzi… probabile possibilità che il ragazzo non ricambi quella… cosa. Del resto come può provare qualcosa per uno come lui? Nonostante tutto fa sempre parte del nemico, dei religiosi che gli hanno complicato l’esistenza. Rappresenta tutto ciò contro cui deve combattere ogni giorno. Certo, si sono avvicinati, ma quanto davvero? Forse il loro legame è frutto della sua fantasia, forse Dean non ci tiene a lui quanto crede. Eppure ripensa a quello sguardo, a quel sorriso. Come può essere falso? Come può emanare così calore? Come può qualcosa di così bello, così divino, dall’aspetto così angelico buttarlo in quell’inferno? Lo chiede a suo Padre. Lo chiede di nuovo. E’ davvero questo essere innamorati? Soffrire ogni giorno? Perdere tutto? Improvvisamente si sente stanco, tanto stanco, troppo stanco di fingere che quelle sensazioni non ci siano. Non si è neanche accorto di quanto le aveva tenute dentro prima di affidarle a Lui. Ora invece tanti tasselli vanno al loro posto. Del resto, non era mai stato innamorato di nessuna ragazza, giusto? Sussulta. Ha sentito passi alle sue spalle? Si volta di scatto. La cappella è vuota, anche troppo silenziosa. Nessuno. Riprende a respirare. Sempre più lentamente. La sensazione di pericolo però non si allontana, perciò decide di recitare un’ultima preghiera e andarsene. Gli resta solo una scelta. O Dean, o sé stesso. E quella, lo comprende, la deve fare da solo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Quella mattina, aspettando l’arrivo dei Winchester, Castiel ripete le parole di quelle preghiere ormai familiari come il suo riflesso allo specchio, perché a Dio, su di sé, non ha più niente da dire.
Dean bussa, entra nella stanza e come sempre è bello come il sole, con i capelli grano e il sorriso latte, con la camicia cenere che fa risaltare la pelle e i lineamenti perfetti e le labbra fragola. Immediatamente il suo corpo si mette in funzione, lo stomaco s’agita e la grazia gli infuoca il petto.
Castiel ha un comportamento strano. Sembra… tra le nuvole. Ogni tanto il suo sguardo va in un mondo tutto suo. Non è il genere di comportamento che non ti aspetteresti da Cas, che la sua mente prenda a viaggiare, alla ricerca di una risposta, di un problema, eppure… durante le loro lezioni è sempre così attento, così partecipe. Ma non oggi: oggi il suo sguardo vola, si sofferma verso il basso, chiuso in pensieri difficili, dolorosi a giudicare dalla fronte aggrottata. E allora Dean decide di fare una cazzata, come suo solito. Una battuta che gli preme particolarmente. Una frecciatina di quelle che gli facevano i professori, a scuola, quando non seguiva la lezione.
- Tutto bene Cas? – ride. – Oggi sembri assente. Non sarai mica innamorato? - Castiel non dice niente e una fitta di dolore trafigge Dean nel centro delle costole. Eccola, la cazzata. Avrebbe preferito non saperlo proprio, forse. Eppure continua, inarrestabile.
- E bravo il mio Cas! – la voce non lo tradisce e neanche il sorriso. – Come si chiama?Castiel rimane in silenzio, poi si riscuote.
- Nessuno.
- Eddai bello, sei… sei praticamente il mio migliore amico, vuoi tenermi segreta una cosa del genere? – Incredibile il potere di nascondere la verità con le parole. Il corpo di Dean è in massima tensione, pronto a balzare, come una molla.
- Nessuno Dean, davvero.
- Non ti chiedo di conoscerla, solo il nome della fortunata. – “Poi ci penso io a trovarla e a spezzarle le gambe”.
- Dean…
- Cas… - Dean lo guarda, ma il ragazzo tiene gli occhi bassi e fa una smorfia. Il suo intero corpo sobbalza, come se improvvisamente avesse trovato qualcosa di estremamente divertente su cui ridere. In pochi, terribili nanosecondi Dean si accorge che quella di Castiel non è una risata. Si alza in piedi.
- Cazzo, angioletto, mi spiace. E’ perché ti volevi fare prete, è per questo che piangi? Guarda che non ti fa male un po’ di sesso. – Stavolta Castiel ride per davvero, con gli occhi blu fattisi oceano tra le lacrime.
- Avevo… solo bisogno… di sfogarmi, sai?... non ero riuscit… a piangere, nella cappella… magari en- entrava qualcuno e… - tira su col naso, - Non voglio diventare prete, stupido. Lo sai.
- Sì ma non ne ero proprio sicuro… meglio così… che brutta vita… - gli sorride Dean. – Allora qual è il problema?
- Dean… - Castiel scuote la testa, con un sorriso triste. – Non posso farlo.
- Sì invece. – incrociano i loro sguardi che rimangono incatenati l’uno all’altro. – Qualsiasi sia il problema, lo risolveremo. Te lo prometto. – Come gli sono uscite quelle parole? Cos’è quella tensione prima che le labbra di Castiel comincino a muoversi?
- Non è una lei. – Dean impiega qualche secondo per recepire il messaggio. Si avvicina.
- Castiel? – il suo cuore è impazzito, gli rimbomba nelle orecchie. Abbassa istintivamente il tono di voce, tremante all’idea di scegliere le parole sbagliate. – Cas, sei innamorato di me?Aspetta con pazienza, ma con il cuore in gola, la risposta, mentre Castiel abbassa di nuovo la testa. La rialza di scatto, tenendo le labbra strette, gli occhi blu rivolti verso il cielo. Lunghe lacrime calde gli solcano il volto, che appare quasi scarno.
Gli si avvicina di nuovo e solo nel farlo si accorge di quanto fino a quel momento fossero stati fisicamente distanti. Troppo. Gli prende delicatamente le braccia e gli pare fragilissimo e sì, si sente in colpa.
- Mi dispiace Cas, mi dispiace tanto… io…- Dean continua ad accarezzargli lentamente le braccia. Quel volto gli fa stringere il cuore. – Non volevo trascinarti in questa situazione schifosa. Non è facile essere chi siamo e io… mi dispiace.
- Non essere sciocco, non è colpa tua. - la voce gli si spezza, il suo sguardo gli sfugge. Dean gli prende il viso con una mano, come se fosse fatto di cristallo, ed è ruvido e bagnato e sa di Cas più di qualsiasi cosa che abbia mai toccato. 
- Cas? – lo chiama. Ora Castiel è costretto a guardarlo negli occhi, in quegli occhi verdi come i prati dopo la pioggia, quegli occhi in cui era affogato troppe volte e in cui voleva affogare ancora e ancora, in cui voleva affogare giorno dopo giorno fino a morirne se era necessario, perché non ne aveva mai avuto più bisogno di quanto ne aveva in quel momento, in ogni momento, da sempre. E quegli occhi, come a esaudire i suoi desideri, s’avvicinano sempre di più, finché Castiel non li vede ma sente le labbra di Dean che si appoggiano delicatamente sulle sue.Castiel si dimentica di respirare, atterrito dal gesto, prima di rendersi conto che loro due si trovano veramente lì, insieme, in quella stanza. Che non è un sogno, un’immagine che gli è balenata in testa… no. Castiel inspira profondamente e, senza pensare più a niente, ricambia il bacio. Con la sensazione della bocca di Dean sulla sua, la testa gli esplode e il calore che da settimane gli infiamma il petto diventa in un attimo un incendio che spazza via ogni suo dubbio, ogni sua esitazione. Più il bacio diventa profondo, più a Castiel sembra di scoprire emozioni e sapori nuovi legati a Dean, alle sue labbra morbide. Spinge il proprio corpo verso il suo e il ragazzo lo avvolge con le braccia, trasmettendogli una sensazione di sicurezza. Castiel continua a respirare, sentire, toccare Dean, ed è in assoluto la creatura più vera e meravigliosa che i suoi sensi abbiano mai avuto il privilegio di percepire. Appena d’istinto infila le mani sotto la maglietta di Dean il ragazzo, con uno scatto fulmineo, attira il corpo di Castiel verso sé, provocandogli un brivido, e le sue mani si spostano fino ai pantaloni, scendono e Cas sussulta, aprendo gli occhi. Dean lo guarda preoccupato, come un bambino colto sul fatto mentre combina un guaio. Poi Castiel, prima di potersene pentire, gli si riavvicina e si sfila la maglietta. Improvvisamente la realtà della situazione gli piomba addosso e viene pervaso dall’imbarazzo, finché non rivede gli occhi di Dean, che gli sorride, incoraggiante, prima di imitarlo.  Si sfilano i pantaloni e Dean, baciandolo, lo fa indietreggiare fino a colpire violentemente prima la superficie fredda del muro, poi qualcos’altro. Il ragazzo dagli occhi blu sente le coperte ruvide sotto di sé con la pelle nuda, ma non apre gli occhi o né  smette di mordere le labbra di Dean. Si staccano e improvvisamente Dean comincia a ridere, costringendo Castiel a fermarsi.
- Che c’è? – chiede, cominciando a sogghignare a causa della risata contagiosa del ragazzo.
- Mi hai fatto male con i morsi. – continua a ridere. Tutto il suo corpo trema sopra quello di Castiel, facendolo impazzire, perciò il ragazzo dagli occhi blu cerca ancora di baciarlo. Tuttavia Dean fa scattare la testa all’indietro e prende ad accarezzargli via le lacrime sul viso.
- Sei sicuro di voler andare avanti, angioletto?
- Certo. – risponde pronto il ragazzo dagli occhi blu, cercando di nuovo di baciarlo. Ma lui, serio, si abbandona sul letto accanto a Cas.
- Tutto bene? – gli domanda allora il ragazzo, nervoso.
- Sì… è solo che… - Dean sospira. – Io sono stato con… tante persone. Davvero tante. A volte solo per una notte… e senza neanche ricordarmi il loro volto il giorno dopo. – Cas sente una fitta allo stomaco. Preferirebbe tapparsi le orecchie e ricominciare a baciarlo, piuttosto che continuare ad ascoltare quelle parole. Dean evidentemente capisce i suoi sentimenti, come sempre.
- Sai – ricomincia. – non ho mai avuto il tempo di pensare ad una vera relazione, non pensavo neanche di doverla avere, a questa età… mi bastava divertirmi. Le poche persone a cui mi sono legato… le ho dovute lasciare, con la vita di mio padre. E quando sono scappato… è stato bellissimo, come ritrovarsi finalmente a casa, ma non ho mai… non avevo programmato… - Dean cerca in qualche modo di giustificarsi, ma Cas non ne ha bisogno. Vuole solo non pensare. A Dean, alle altre persone. A quello che stanno facendo. Che sta facendo. Mio Dio, cosa sta facendo?
- Non voglio questo per te. Non voglio… correre. Capisci? Soprattutto… visto dove siamo. – Castiel rimane in silenzio e Dean lo guarda. Si fissano per qualche secondo, con la testa sul cuscino. I suoi occhi verdi sono così chiari. Annuisce. Dean sembra sollevato, si copre – purtroppo – con la coperta e si avvicina a Cas, che ha di nuovo paura. Paura di dover pensare a tutto ciò che lo attende fuori da quella porta, fuori da quelle coperte. Poi lui lo abbraccia e Castiel appoggia la testa sul petto di Dean, che comincia a passargli le mani tra i capelli e a parlargli a bassa voce. Improvvisamente è più facile ignorare la paura. Sicuri di non essere disturbati, si addormentano.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Dean si sveglia senza Castiel. Una sensazione di freddo lo avvolge e apre gli occhi. Cas è seduto sulla sua sedia e sfoglia alcuni spartiti. Ogni tanto produce qualche suono con una chitarra che porta al collo presa in prestito chissà dove e Dean non riesce a non pensare a quanto sia sexy con quei capelli finalmente spettinati e la camicia sbottonata, come gli aveva consigliato, si ricorda con un sorriso, prima di addormentarsi, insieme a tanti piccoli segreti che non ricorda più. Ancora nudo si alza dal letto. Lo bacia e sente Castiel sorridere tra le sue labbra.
- Copriti. – gli ordina piano. I suoi occhi luccicanti lo obbligano a non protestare. Dean gira un po’ per la stanza alla ricerca di qualche indumento. Cazzo, ma dove li avevano lanciati? Trova i suoi pantaloni per terra e se li infila, mentre Cas ricomincia a parlare.
- Dean io… - Castiel inspira. E Dean sa dal tono della sua voce e del suo sguardo che ciò che sta per dire non è affatto piacevole. – Io non so se posso continuare, Dean. – Lo sa. Era tutto troppo bello per essere vero. Eppure, per un attimo, l’irreale si era trasformato nella realtà e si era lasciato cullare dalla dolcezza della fantasia, così tanto che la vita reale, adesso, gli pare un vecchio incubo che sta prendendo di nuovo in sopravvento. Non vuole tornare indietro. Non vuole tornare a prima. A poche ore fa. Era un’altra persona allora.
- Perché? Per la tua fede? – domanda solo.
- No, non credo davvero che Dio consideri tutto questo un peccato perché… sono stati i momenti più belli della mia vita. – Quel “Sono stati” lo colpisce come una pugnalata. Castiel continua a produrre degli accordi, il capo chino sullo strumento, gli occhi bassi. – Ma perderei tutto, capisci? Tutte le persone che conosco, che amo… mi odierebbero. Io non posso. – Seconda pugnalata. Di amarezza. Di pietà. Conosce bene quella sensazione.
- Senti, capisco cosa voglia dire aver paura della reazione delle persone a cui vuoi bene… - sussurra. - Non sei obbligato a fare coming out e parlargliene subito… o a farlo in generale finché sei qui…
- Io rimarrò tutta la vita qui! – esclama Castiel, alzando la testa e la voce. Sta fingendo di non capire, o non ha proprio preso in considerazione la sua idea? In un lampo ricorda il Dean di prima, spaventato all’idea di sfiorare Castiel, di trascinarlo nell’abisso. Beh, lo ha fatto, e l’abisso non si è rivelato buio e profondo. Anzi, gli era parso di volare. Ma ora? Come può pensare di riguardare Castiel con gli occhi di prima? Di toccarlo con le mani di prima? Di sorridergli, parlargli come prima? Non saprebbe da dove iniziare.
- E quindi vuoi nascondere chi sei a tutti coloro che ti vivono accanto per il resto della tua esistenza?- lo incalza Dean.
- Che altra scelta ho? – Non  gli è proprio passato per la testa? Quello che a Dean sembra più ovvio? Alza gli occhi al cielo.
- Vivere! Puoi venire con me e… e Sammy… non devi per forza rimanere tra queste persone! Non devi sentirti legato a questa vita se non fa per te. Hai tutto il diritto di scegliere di rifarla daccapo e di tenere accanto solo chi desideri! Potremmo andare via!–Dean sa che sta commettendo un errore e che Castiel si sta incazzando sul serio, lo legge dai suoi occhi, ma ha bisogno di urlare, urlare tutto quello che sta succedendo.
- Questa religione… queste persone sono la mia famiglia! Dovrei abbandonarle?- Ruggisce infatti Cas. -Oppure dovrei semplicemente smettere di inseguire i miei sogni? Per te?– continua, per poi fermarsi. Il volto di Dean si fa scuro mentre Castiel comprende il significato delle proprie parole. – O mio Dio, Dean, mi dispiace… non intendevo dire…
- Lascia perdere. – Lo interrompe Dean, duro. – Beh, se io non ne valgo la pena vaffanculo, ma almeno fallo per te stesso, Castiel. Pensa se è davvero questo che vuoi. Per quanto mi riguarda posso sempre trovarmi un altro ragazzo o un’altra ragazza da portarmi a letto. – Dean alza le spalle e con grande soddisfazione percepisce lo sguardo ferito del ragazzo dagli occhi blu. – Sai come si dice. Bisessuali. Non possiamo resistere. – Il ragazzo sorride con falsa indifferenza ed esce dalla stanza sbattendo la porta. Appena si chiude alle sue spalle Dean sente grandi lacrime calde, d’orgoglio e di dolore, salirgli agli occhi, e le sfrega via.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Hallelujah…– Canta Castiel a messa, invisibile in mezzo ad altre decine di voci. I frati e i laici, i giusti e gli irrequieti, coloro che soffrono per l’amore o per la vita, respirano attorno a lui senza lasciare traccia, senza importanza nella sua mente, come se fossero spiriti, fantasmi, come se non esistessero davvero. E per Castiel non esistono davvero. Si alzano, si risiedono, si alzano di nuovo come marionette alle parole del prete, non lasciano trasparire ciò che veramente sentono o pensano, ognuno chiuso nella sua testa, nella sua gabbia, ognuno che continua a vivere la sua vita, ognuno che continua a fingere di cantare un “Hallelujah”. Castiel guarda fisso davanti a sé, senza capire davvero le parole nella propria bocca, pensando solo all’infinità di pensieri ed emozioni che ciascuno riesce a nascondere dentro la propria testa. “Siamo tutti camere blindate, e troppo spesso diamo la chiave alle persone sbagliate” si ritrova a pensare. Camere blindate, muri, maschere. Non sono nient’altro le persone. Ma chissà se c’è qualcosa come dicono, dietro le maschere, nelle camere blindate. O se alla fine chi siamo davvero è la maschera che facciamo vedere agli altri. No, sta divagando. E’ un pensiero stupido. O forse no? Non erano nella sua camera blindata, con Dean? Non c’è un muro tra di loro, adesso? Ma chi era il vero Castiel? Quello nella camera o il muro? Inutile. E’ assolutamente inutile come ragionamento. Indipendentemente dal fatto che Castiel sia il ragazzo tra le braccia di Dean o il ragazzo che canta nel coro, non cambia come stanno le cose, non cambia il suo ruolo. Quello del ragazzo del coro. Non può essere il ragazzo tra le braccia di Dean. E a quel punto a cosa serve struggersi nel chiedersi chi sia il vero Castiel? A cosa serve pensare a maschere o camere blindate, se poi col pensiero torna a lui? Smette di cantare. Deve respirare. Stupido, ti sei messo di nuovo a pensarlo. Castiel sa dove si trova. Si scopre a cercarlo con gli occhi ogni volta che entra in una stanza. Seconda fila sulla destra, accanto alla ragazza con il vestito bianco, un’altra. Dev’essere bella, con quei capelli rosso fuoco sparsi sulle spalle, ma non così tanto mentre ride per Dean. Ogni risata sommessa sembra ordinargli di andarsene, di scappare da quella tortura inumana, da quel Dean che ormai neanche lo guarda. Castiel sa che una volta non era così. Che una volta, quando a messa si voltava a cercarlo, due occhi verdi brucianti rispondevano alla sua chiamata e brillavano, Dio se brillavano. Splendevano come scintille, come grazia divina quel giorno, quando non erano riusciti a smettere di guardarsi, e non esistevano più chiavi né maschere, solo loro due. E fragile come il cristallo quell’equilibrio si era spezzato. E Castiel sa che non potrebbe tornare come prima e che in fondo è meglio così. Insomma, avrebbe veramente dovuto mettere a repentaglio la sua vita per una cotta adolescenziale? Ovviamente no. E’ questo che gli dice la ragione. Eppure sente che sta cercando di tenere lontano ciò che pensa davvero. “Avevo accanto una persona meravigliosa, l’ho persa per sempre ed è tutta colpa mia”. Lo sa, lo sa fin nel profondo, glielo urla ogni cellula del suo corpo che la sua decisione è sbagliata e improvvisamente ogni respiro si fa più difficile e privo di una qualsiasi funzione. Smette di cantare, tira più aria che può nei polmoni, espira. Inutile, assolutamente inutile. Ma adesso le labbra non vogliono saperne di muoversi di nuovo. Lo sapeva, non doveva lasciarsi fregare di nuovo dalle emozioni, non doveva farlo rientrare col pensiero nella sua camera blindata. Dolore. La ragazza vicino a Dean ride di nuovo sommessamente e Castiel non riesce a cantare o pregare o semplicemente a tornare alla vita che aveva prima, la sua vita, o almeno quella che dovrebbe essere sua, quella del ragazzo del coro. Gli manca, gli manca nelle ossa e nelle vene e quella distanza che si è insediata tra loro lo avvelena giorno per giorno, con quelle lezioni silenziose e piatte e le brusche risposte da parte di entrambi. No, non ha parole per descrivere il sentimento che prova, a dargli un nome. Non è mai stato particolarmente bravo a parlare delle proprie emozioni, per gli altri o per se stesso. Non è neanche sicuro di saperlo fare. Ma la sente, la sente quella grazia che lo faceva sentire così felice, così vicino a Dio, e che ora pare una piccola brace che si spegne dolorosamente nel suo stomaco.

Halleluiah. – si ritrova a cantare alla sera. No, si era ripromesso di non piangere. Non è il tipo. Fin da piccolo non gli piaceva farlo, altrimenti suo fratello Gabriel gli avrebbe ficcato la testa dei piselli per non far scoprire a Naomi i suoi dispetti. No, non è necessario avere le lacrime per essere davvero tristi, più di quanto si sia mai stati, disperati e un po’ smarriti, come se si avesse perso l’ancora che fino a quel momento aveva tenuto ferma la propria esistenza. Del resto a questo servono le camere blindate, no? A proteggersi dai gesti avventati. E quando vengono aperte se ne esce distrutti, sempre. A volte per capirlo basta sussurrare un Hallelujah a Dio e lasciare i propri pensieri fare i conti con se stessi.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Dean lo ama, lo ama più che mai. Lo ama quando lo ferisce, quando lo colpisce deliberatamente, quando lo evita; lo ama quando sta con un’altra, quando ride e la fa ridere, quando piange solo alla sera e quando vuole morire, senza una ragione in particolare. Del resto aveva superato da un pezzo l’aver bisogno di una ragione. Dean lo ama anche quando lo odia, lo ama anche quando odia se stesso. Lo ama soprattutto in quei momenti, quando per un attimo la situazione sembra prendere un senso, un ordine nell’universo, come lo aveva ogni aspetto della sua vita una volta, con Castiel. E’ giusto che Dean soffra, se fa soffrire Cas, no? E sa di farlo stramaledettamente bene. Basta non incrociare quello sguardo celeste tristissimo per far andare avanti lo spettacolo.
Quando Sam arriva lo guarda con due occhi da cucciolo perso che vanno da lui a Castiel.
- Ehi, Dean. Non crederai mai a cosa ha fatto la Anderson ieri durante matematica… - Da qualche giorno ha “misteriosamente” preso il posto di Cas sulla sedia davanti a lui, mentre il ragazzo dagli occhi blu rimane in piedi davanti alla finestra, con il viso piantato sui vetri. Sam parla senza fermarsi e Castiel guarda di sfuggita Dean. Se ne è accorto, lo ignora e si concentra su suo fratello, anche se non sente una sola parola del piccolo Sammy. Dopo un po’, stufo,  attende il momento giusto  per far cadere di scatto gli occhi su Castiel, che torna immediatamente alla finestra, ma dopo qualche secondo, come se avesse cambiato idea, gira la testa e lo fissa scocciato. Dean decide di ricambiare lo sguardo. Nessuno dei due si rende conto che Sam ha smesso di parlare e li osserva imbarazzato. Si passa una mano troppe volte tra i capelli e tossisce, ma Dean non distoglie gli occhi e Cas neanche.
- Tutto bene? – domanda, dopo l’ennesimo colpo di tosse.
- Sì. – sorride velocemente Castiel.
- A meraviglia. –risponde contemporaneamente Dean. Il ragazzino sospira. Cas e Dean spostano nervosamente gli occhi nello stesso momento.Sammy incrocia con sguardo severo quello arrabbiato di Dean. “Risolvi” mima con le labbra. Come se Dean avesse bisogno della traduzione a parole dello sguardo del fratello, o la conferma di ciò che più vorrebbe poter fare al mondo.
 Dopo che Sam esce a malapena si guardano. Castiel prende un libro dal letto e passeggia per la stanza, lontano.
- Ti ricordi… di Sansone? – domanda diretta. Non risponde e guarda per terra.
- Dean?
- Il tizio strano con i capelli più lunghi di Sammy. – tira fuori nervosamente, spostando lo sguardo su un’altra piastrella.
- Esatto. – annuisce Castiel. – Sansone… ti ricordi? … traeva forza dai suoi capelli. Un angelo aveva predetto che non avrebbero mai dovuto tagliarglieli. Ma s’innamorò. – Castiel fa una pausa di troppo. Dean non respira, né alza lo sguardo. – Di una donna bellissima, di nome Dalila. Una filistea. Nemica del suo popolo, della sua famiglia. – Sembra che improvvisamente Castiel si renda conto di quello che sta dicendo, perché sembra abbia fretta di finirlo il più velocemente possibile. – Ma lei non lo amava davvero, lo stava sfruttando per sapere quale fosse il suo punto debole e quando scoprì che erano i capelli glieli tagliò, lo legò a una colonna e… non importa! – Castiel getta il libro sul letto e Dean sobbalza. Quello non era proprio da Cas. La rabbia è lì per Dean, gli lambisce il petto e si allontana, per poi attaccarlo di nuovo. come un’onda. E dopo la rabbia viene l’amarezza. E dopo l’amarezza, la tristezza. Le conosce bene tutte. Castiel si siede sul letto, a gambe incrociate, nell’angolo più lontano da Dean, che si sente costretto a calcolarlo.
- Odio Sansone. – dice come se spiegasse tutto.
- Cosa vuoi, Castiel? – brontola. Castiel non risponde e a Dean quel silenzio fa male sul serio, carico di malinconia e parole non dette. Vorrebbe abbracciarlo, dirgli che va tutto bene e che fa bene a non caricarsi del peso di fare coming out. E lo pensa sul serio. Non può fargliene una colpa. Sa bene cosa voglia dire avere paura, quella profonda, di dubbi e incertezze, di farsi più male fino a scuotere ogni pezzo della tua anima, quei pezzi che erano le tue fondamenta e non avrebbero mai dovuto essere mossi. Avere i capelli tagliati. Non tutti potrebbero capire. E no, non avrebbe mai voluto questo per Cas. Avrebbe voluto proteggerlo, prendere a botte ogni singolo prete del cazzo che avrebbe osato cercare di fargli del male. Cas avrebbe apprezzato? Probabilmente no. Ma perché semplicemente non lasciarsi tutto alle spalle? Perché non andare via? Evitare il dolore?
- Dobbiamo… trovare una soluzione. Almeno durante queste ore. Un compromesso. – Ma non dice nient’altro. “Cosa cerchi Castiel? Un consiglio?”
- Di che parli?
- Non serve a niente fare delle lezioni così.
- Ah… capisco… - tira gli angoli della bocca mestamente. – E’ della lezione che ti preoccupi.
- No! – scatta Castiel. – Lo sai cosa…
- Cosa…?
- Lascia perdere… – Gli batte il cuore. Perché? Perché non è come gli altri? Perché non può semplicemente superarla? Forse deve incoraggiare quel discorso, forse deve dire tutte quelle parole. “Cosa dovrei fare io? Solo? Dovrei sopportare di vederti ogni giorno senza poterti avere? Di vederti ogni giorno uccidere lentamente te stesso? Perché non posso scappare senza di te, Castiel. Non posso pensare di dirti addio. Mi stai intrappolando qui con te. E so che sono un egoista del cazzo e non dovrei obbligarti a realizzare i miei sogni eccetera ma… la verità è che ci sono passato. Per quanto possa far male scoprirsi davanti ai propri cari non farà mai tanto male quanto rimanere nascosto e sentirti amato per qualcuno che non sei. Un giorno ti pentirai di aver mentito alle persone a cui vuoi bene per così tanto tempo. E le cose migliorano, e puoi essere te stesso e liberarti della paura. E potremmo stare insieme. Ah, giusto. Non ne valgo la pena.”. Dean si zittisce mentalmente e lascia morire le parole, ancora. Del resto fa parte del gioco, sentirsi più vivi per pochi attimi bloccati nel tempo e poi subirne le conseguenze. E Dean era stato davvero troppo felice. Peggio per lui se ora sta male. Quando torna in camera l’Hallelujah eseguito quella mattina, troppo simile alle canzoni di Cas, gli risuona nelle orecchie. Hallelujah! Non quella cantata in chiesa. Quella famosa. Era quella la canzone che confondeva con il canto di Re Davide. L’Hallelujah. Cerca di ricordarsi il testo. Parla di una persona innamorata e ferita, ma non ricorda le esatte parole. Solo il ritornello, in cui ripete “Hallelujah”. Prova ad intonare quella parte. No, non gli torna in mente nient’altro. Si butta sul letto, tira fuori dalla tasca la cravatta di Castiel. Cosa sta facendo? Castiel ha ragione, non possono andare avanti così. Deve farsela passare. Castiel ha fatto la sua scelta, Dean deve fare la sua. Guarda la cravatta. Dovrebbe cominciare liberandosi di quella. Dove? Si guarda attorno. Niente cestino, né accendini. Forse basterebbe buttarla fuori dalla finestra inferriata. Si alza, fa per avvicinarsi. Pensa ai giorni che potrebbero passare, al male che dovrà fare, prima di non provare niente per Castiel. Vede i mesi scorrere, si vede farsi indifferente. Si allontanano. Dean scappa, o lo fanno uscire. E’ l’ultimo giorno, l’ultima volta che vede Castiel, ma non prova dolore. Lo saluta come lo sconosciuto che è diventato, gli augura, ad alta voce o nella mente, buona fortuna, gira le spalle e chiude la porta come ormai ha fatto troppe volte. Fine. Ogni tanto magari ripenserà a lui, si chiederà che fine ha fatto, magari sorriderà a qualche ricordo felice e cercherà di dimenticare quelli tristi, scuoterà la testa ripetendo che non era destino, o qualche cazzata del genere. No. Non lo fa sentire meglio. Guarda verso l’alto per cercare di fermarle, poi si arrende e si asciuga le lacrime con una mano. Si rimette la cravatta in tasca e singhiozza nel silenzio per qualche minuto, prima di convincersi a smettere. Che ore sono? Spera che padre Metatron non passi con le sue piacevolissime lezioni sulla dannazione dello “stile di vita omosessuale” . Non le reggerebbe quel giorno. Ovviamente il suo desiderio non si realizza. Mezz’ora dopo qualcuno bussa alla sua porta. Divertente. Come se Dean avesse le chiavi per aprirla.
- Dean Winchester! – chiama la voce di Metatron.
- Ti prego, apri e finiamola in fretta oggi. – Dean sente il rumore delle chiavi che girano nella toppa, il familiare scricchiolare.
- Dean, hai visite dal signor Winchester,
- Sammy? – Dean scatta in piedi, per poi pentirsene l’attimo dopo.
- No… - lo aiuta il sacerdote. Dietro di lui, un uomo dal viso rugoso e segnato dagli anni lo osserva. Indossa un vecchio giubbotto e ha un portamento militare.
- Papà?

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Castiel prega, prega a bassa voce ma con un’intensità mai infusa prima nelle sue preghiere. A tratti è colto da un dolore, sotto i polmoni, al centro dello stomaco, che tende a salire verso l’alto. Strizza gli occhi e si appoggia con i gomiti al letto per non perdere l’equilibrio. E’ inutile, arriva al cuore e alla gola, come un nodo.
- E non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male, Amen.- sussurra. Bussano alla porta e Sam Winchester entra nella stanza.
- Ehi Cas! – fa con la sua aria gioiosa, tirando un angolo della bocca.  Il viso dolce, ancora da bambino, e gli occhi, caratterizzati da un colore che nessuno avrebbe potuto definire, si illuminano. Si siede sul letto.
- No… oggi Sam… come gli altri giorni… puoi sederti sulla mia sedia, va bene?
- Oh. Okay grazie. – il ragazzino si sposta. Mentre aspettano l’arrivo di Dean, Sam gli lancia qualche occhiata fugace. Tossisce un paio di volte prima di parlare. – Tu e mio fratello non vi siete ancora chiariti?
- C-che? Ti ha detto qualcosa? – borbotta, per poi darsi dello stupido. Come poteva aver parlato con Dean, se non in sua presenza?
- Mh mh…- Commenta Sam, come se avesse confermato qualche idea nella sua testa. – Senti, Castiel…- No, no, Castiel non vuole sentire, ma gli farebbe piacere sprofondare sotto terra per sfuggire alla situazione, quando un lieve bussare lo salva da ulteriori spiegazioni.
- Prego! –  L’espressione di Dean, quando compare dalla porta, è indecifrabile, come lo è ormai da qualche giorno. Senza muovere le labbra, si siede silenziosamente al suo posto e fa un cenno stizzito al frate che lo ha accompagnato. Accidenti, la terra sotto i suoi piedi rimane ancora ferma. Castiel ormai approfitta di quelle ore principalmente per cercare di capire cosa passa nella testa di Dean perché sa che non glielo dirà più. Niente discussioni, niente canti, niente racconti, niente di niente. Non potranno mai più chiudere i libri, avvicinare silenziosamente le loro sedie come avrebbero voluto fare con i loro visi e parlare senza paura, senza limiti di alcun tipo. Ma in qualche modo quell’espressione gli pare… malinconica. O forse è solo Castiel che la desidera vedere così?Dean oggi adotta la tecnica “osservazione profonda della polvere che si trova per terra” che alterna, in altri giorni o in casi eccezionali anche all’interno della stessa lezione, con “finto interessamento nei confronti di Sammy” e la sua preferita, “sguardo fisso e offeso su di te fino a quando non desideri sparire”. Quella di oggi, l’analisi della polvere sul pavimento, è forse quella che Castiel odia di più. Gli ricorda i primi giorni, quando le distanze erano aspre come adesso e Dean non faceva che osservare distrattamente la stanza, come a fingere, desiderando, di non essere là. E la sensazione di deja-vu fa male al ragazzo dagli occhi blu, come se fosse un annullamento di tutto ciò che avevano vissuto in quei mesi insieme, tutto ciò che avevano avuto. Lo osserva e di nuovo gli si blocca il respiro in gola. No, no. Chiude gli occhi per un secondo, per fingere che non sia successo niente, che quando Sam se ne andrà non resteranno in silenzio, non si guarderanno arrabbiati. Che Dean gli avrebbe sorriso, lo avrebbe chiamato Cas e stretto tra le braccia. Improvvisamente la verità lo colpisce: non è pronto a dire addio a Dean. Non lo è per niente. Non importa quanto finga o quante maschere indossi, quanti muri li separino. Una parte di lui continua e continuerà sempre a voler tornare da Dean. A volere Dean. Non per abitudine. Per bisogno. Ha bisogno di lui. Guarda il suo sguardo di ghiaccio. Che cosa ha combinato?
- Okay, adesso basta! – si arrabbia Sam. Entrambi lo guardano incuriositi.
- E’ una tortura stare tutti i giorni in mezzo a voi due. Non so cosa sia successo. E sì Dean, lo so, non sono fatti miei e chissà che gran cosa sarebbe se ogni tanto mi parlassi dei tuoi sentimenti al posto di sviare tutte le mie domande. Ma per favore, appunto perché non sono fatti miei, non obbligatemi ad assistere a questi drammi. – Sam fa per dirigersi verso la porta, poi li guarda. – Ragazzi, sul serio. Risolvete qualunque cosa stia succedendo. Non vale la pena, certe volte, litigare solo per avere ragione.Quando Sam esce Castiel s’agita per l’avvenire. Dean non lo ha guardato neanche una volta per tutta la durata del discorso. Castiel si schiarisce la voce, ma non ottiene alcun effetto. Ha bisogno di tempo, solo un po’ di tempo per pensare a come muoversi. Tempo, sì. Magari riuscirà a trovare una soluzione con un po’ di tempo. Un modo per mettere d’accordo le due parti, per congiungere il ragazzo del coro e il ragazzo tra le braccia di Dean. A tutto esiste una soluzione, no? Un compromesso, ecco. Un modo per non dire addio a niente che sia troppo importante per lui. Ma adesso quel tempo deve guadagnarselo. Deve sopravvivere a un’ultima, straziante lezione, poi da solo penserà a cosa fare. E’ in procinto di cominciare il suo monologo, come quelli che faceva un tempo, quando i suoi occhi blu cadono sul ragazzo di fronte a lui. Si avvicina senza dire una parola e finalmente Dean alza gli occhi verdi. Castiel rimane spiazzato. Sono pieni di lacrime.
- Dimmi che è successo. – ordina. Tira rumorosamente la sua sedia sedia all’indietro e, quasi inconsciamente, si siede davanti a Dean.
- Mio padre… è venuto a trovarmi. – la voce del ragazzo si spezza. Inspira rumorosamente, ma a parte quei piccoli singhiozzi non produce alcun suono. – E’ stato lui a denunciarmi, Cas. Ha chiesto… ha chiesto alla comunità di prendermi…  non so come abbia fatto a scoprire dov’ero… ma in fondo lo immaginavo… che ci fosse lui dietro tutto questo. Guardati attorno, questa comunità ospita ragazzi che hanno commesso crimini o problemi… l’unico “problema”, l’unico “crimine” che ho commesso è il fatto che mi piacciano i ragazzi. E l’unico a non accettarlo è stato mio padre. Per questo sono scappato con Sammy. Per questo siamo stati portati qui.-  fa una pausa. Un singhiozzo.- Cas, io qui sono solo di passaggio. Mi… mi manderanno in un c-campo di con-con-conversione. Uno vero. – Dean singhiozza, più che per le lacrime per le sue parole, come se fosse terribilmente difficile tirarle fuori. Si sfrega le guance e lo guarda. Tira su con il naso e si fa serio.
- Tu lo sapevi? – improvvisamente il suo tono si fa irato.
- Santo Iddio, no. Non so neanche… cosa sia esattamente… - cerca di spiegare Cas, ma Dean lo precede.
- Un campo di “cura”, Castiel!- alza il tono per non balbettare, ma non in modo aggressivo.- Nel migliore dei casi proveranno a farmi assurdi esorcismi o mi picchieranno finché non mi comporterò come dicono loro, nel peggiore… - Dean si ferma di nuovo. – A causa di certe terapie… l’80% dei ragazzi si sono suicidati prima di finirle. Ti rendi conto?  E io… ho davvero paura di non farcela.
- Non è possibile. – riesce solo a rispondere Castiel. Cosa significa “ho davvero paura di non farcela”?– Non può essere possibile.- E non capisce davvero. Non deve succedere. Non possono portargli via Dean. Per nessuna ragione. Castiel si figura decine di padre Metatron e nella sua testa chiede di nuovo a Dio di proteggere Dean, mentre il panico gli riempie il petto.
- E invece è pure perfettamente legale. Una scuola di “rieducazione”- Dean scuote la testa. - Non riesco a crederci. Mio padre… non pensavo…
- Okay, Dean, calmati. Non ci andrai. – afferma, sicuro, cercando forse di tranquillizzare più se stesso. Ricapitola la situazione. E’ semplice in fondo: Dean è lì e presto non ci sarà più, perché un tipo omofobo, che si dà il caso essere il tutore del ragazzo ancora per… quanto ancora? Quanto manca a Dean per compiere diciotto anni? Perché suo padre, insomma, ha deciso così. Lo ha trascinato nella comunità e adesso lo trascinerà via. Semplice. Stupidamente semplice. Dannatamente semplice. Improvvisamente si ricorda le parole di Zachariah, riguardo ai ragazzi omosessuali di cui non aveva sentito più nulla. Sono andati in altre comunità simili alla nostra o a casa. Comunità come campi di cura? Era previsto fin dall’inizio? Dean lo guarda con un sorriso triste.
- Cosa puoi fare contro mio padre? Certo, ormai sono quasi maggiorenne, ma bloccato come sono in questo posto cosa posso fare?
- Quando compi gli anni?
- Il 24 di Gennaio.
- Manca… meno di un mese… - ragiona Cas. E’ una cosa positiva. Dean è quasi libero. Come leggendogli nella testa, il ragazzo stringe le labbra.
- Infatti da qui a pochi giorni mio padre, finché ha ancora potere legale su di me, firmerà le carte per farmi trasferire nel campo di cura. Forse già domani… - Tempo, sempre tempo. Così semplice da non esistere, eppure così difficile da ottenere. Dean gli sta davanti, ha smesso di singhiozzare, anche se c’è qualcosa di meraviglioso in lui anche tra le lacrime. Qualcosa negli occhi grandi e verdi, più brillanti che mai. Qualcosa che rende Dean non solo la perfezione, un essere dall’aspetto magnifico e da temere, ma un essere umano, un essere umano che piange, come tutti gli esseri umani, un essere umano che sente il bisogno di proteggere.
- Dean, tu non ci andrai. Parlerò… parlerò con… alcuni ragazzi della comunità e se non ottengo niente… domani troverò Zachariah… o Metatron, se c’entra con tutto questo. Non li lascerò fare questo a te, hai capito? Non sei da solo. Ci sono io. – Castiel mentre parla gli si avvicina per guardarlo faccia a faccia. Si fissano negli occhi, a pochi centimetri l’uno dall’altro. – Perché… Dean… io… - osserva le iridi verde brillante, le lentiggini sulle guance. – Io… ti… ti voglio bene… davvero tanto. Sei il mio migliore amico e non permetterò loro di farti del male. Mai, te lo prometto. – Castiel si tira mentalmente un pugno sul naso. Stupido. Stupido. Le parole che voleva, doveva dire, non erano “voglio bene”. Non con quel senso. Dean tira su col naso, sorride e con voce dura dice – Figlio di puttana, vieni qui… - lo abbraccia rudemente, come si abbraccia un fratello, ma rimangono per troppo tempo stretti l’uno all’altro e il ragazzo dagli occhi verdi appoggia la testa sulla sua spalla, posando delicatamente le sue labbra sul collo di Castiel. Con qualcosa di simile alla grazia che divampa nello stomaco, risente l’odore di Dean, le sue braccia attorno al corpo e l’idea di lasciarlo è troppo lontana per essere contemplata. Eppure accade.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Quella sera Dean non riesce a dormire. Troppi pensieri affollano la sua mente, da Cas, a suo padre, al piccolo Sammy… sarebbe riuscito a riverderli dopo il traferimento? Ne dubita. La rabbia lo invade ancora, non lo lascia riposare. Scansa la coperta sudata, si tira su fino a sedersi sulla branda spartana. Non riesce a credere a ciò che sta per fare. Si rilassa, chiude gli occhi.
- Ehi, figlio di puttana… -borbotta. Le mani. Dove vanno le mani? Vanno congiunte. – E’ un po’ che non ci sentiamo, eh? So che probabilmente sei occupato a… trovare una soluzione alla fame nel mondo o vincere il premio Padre più assente dell’universo ma… senti, ogni tanto, se hai cinque minuti liberi farebbe piacere un po’ di aiuto anche qua. – sospira. La stanza rimane silenziosa.– Okay, forse non è così importante in confronto a guerre o pestilenze ma…- la voce gli si spezza. Inspira per tirarla di nuovo fuori, ma è troppo tardi. La vista gli si appanna di lacrime. Guarda verso l’alto. – Ho bisogno del tuo aiuto. Per favore.  Non so quanto a lungo potrebbero tenermi in quel luogo e io non voglio, non voglio perdere me stesso. Non voglio che mi portino ad odiare ciò che sono… non dopo che ci ho messo così tanto a capirlo e accettarlo. Sai che sono… instabile. Mi è già capitato e io… non voglio che mi incasinino il cervello e che mi tornino certi pensieri. – Deve dilungarsi? Spiegare di più? In fondo  è Dio, dovrebbe sapere tutto quello accade. Scuote ancora il capo, con rabbia, mentre le lacrime gli scendono copiose lungo le guance. Se veramente conosce tutto quello che succede, perché non interviene una cazzo di volta? Perché  non evita che la gente si faccia male? Che si suicidi? Abbassa le mani. Poi se le passa sul viso. Dio è buono, Dean Winchester, ma non può controllare le sue creature. Il male esiste. Castiel. Ancora. Sempre pronto a sussurrargli la risposta alle sue domande. Ma quello a cui è andato incontro in passato è il male? Odiare qualcuno dalle idee diverse? Anche se nel nome di Dio stesso? Metatron non sarebbe della stessa opinione. Ma Dio? Cosa ne pensa? Ricongiunge le mani, per poi riabbassarle immediatamente. Quella posizione lo mette a disagio. Si alza in piedi, senza distogliere lo sguardo dal soffitto. – Suppongo che chiederti di scendere dalle nuvole per avere una conversazione filosofica riguardo a questa questione sia un po’ troppo. Non l’hai fatto in momenti molto peggiori. – la sua voce è tinta di rabbia. - Non voglio essere quella persona, ma qualcuno deve dirtelo: se succede è in parte colpa tua. O magari semplicemente alcuni dei tuoi credenti sono un po’ coglioni, ma il risultato è lo stesso. Dovresti occupartene, prima o poi, sai? Evitare i problemi non serve a nulla. E non è tanto difficile dire “Ragazzi, datevi una calmata e smettete di torturare le persone”. Era successo anche qualcosa di simile nel Medioevo… potresti essertene accorto… sai, la Santa Inquisizione e via dicendo. Come ti ho detto, i problemi bisogna affrontarli subito. Bastava un Zac! e addio Chiesa Cattolica. Sono sicuro che come risoluzione, anche se drastica, col tempo avrebbe portato vantaggi ad entrambi e.... – si ferma. Ha un nodo alla gola. Si passa una mano sulle labbra, nervosamente, poi si risiede sul letto, su un lato. Batte un piede per terra.-  Il motivo per cui ti parlo, in realtà… è che mi sento… solo… papà mi odia. Non lo dice, ma la verità è che la persona che cerca di salvare… non esiste più. Non è mai esistita. Ci sono solo io. Sammy è lontano, mamma è morta, Charlie probabilmente sta ackerando tutti i computer degli Stati Uniti alla mia ricerca. Purtroppo non credo che i preti utilizzino molto internet. E poi c’è Cas. – Il nome riecheggia nello stanzino e Dean ne gode il suono sulla punta delle proprie labbra, perché Cas è suo e nessuno glielo avrebbero tolto. Mai. – La verità è che nonostante tutto… io… non so cosa fare, non so cosa lui prova per me e non riesco a dimenticarlo. Te lo immagini? Un futuro senza Cas. Mi ci vedi? Non era così che doveva andare. Ci meritavamo una storia da favola e un lieto fine anche noi. Cazzo, parlo come una fottuta principessa disney. Stupidi ormoni. - Si chiede se chiunque stia ascoltando non abbia già staccato. Probabilmente sì. -  Ma non posso controllarlo. Immagino che uno poi debba scegliere che sacrifici è disposto a fare per una persona e che per amore se ne debbano fare sempre. Solo perché ami qualcuno, non significa che hai il diritto di rovinargli la vita. Anche a costo di rovinarti la tua, non è vero? – riflette sulle ultime parole. Era stato così stupido. A prendersela. Si è comportato come suo padre, rifiutando l’esistenza di opinioni, situazioni diverse dalla sua. Ed è una cosa stupida. – E’ che è… così dannatamente difficile. Accettare di dire addio a tutto ciò che ti eri immaginato.- Non un buon motivo. Un altro sospiro. – Sai, è per lui… è lui quello con cui parli di più. Non so esattamente cosa gli passi per la testa in questo momento ma so che sta male e probabilmente la colpa è mia perché… sono crudele, lo siamo tutti quando ci arrabbiamo e diciamo cazzate per fare l’ultima cosa che in realtà vorremmo davvero, ferire le persone che amiamo. O forse c’è solo qualcosa di male in me, un’assenza di te, come direbbe Cas. Questo spiegherebbe perché continua a sembrarmi di parlare con il muro invece che con l’omino magico che sta nel cielo e avevo perfettamente ragione, è liberatorio, ma il punto è che… lui crede molto in te e io credo in lui, è già qualcosa, no?–dice le parole tutte d’un fiato. Fissa per qualche secondo le mattonelle, chiedendosi cosa sta sbagliando. O perché, nonostante sembri sbagliato, si senta meglio. -  Tante cose cambiano troppo velocemente, anche in questo momento, e penso sia normale avere paura di quello che succederà domani. Vorrei solo essere felice con le persone a cui voglio bene. Non mi sembra tanto. Se riuscissi a scampare al campo di conversione… potrei… finire il programma di questa comunità e tornare da Charlie, finalmente. Maggiorenne, potrei occuparmi di Sammy. E potrei… sforzarmi di rispettare la decisione di Cas. Continuare a frequentarci, venirlo a trovare alla comunità. Come amici. – sbuffa. - Tanto dipenderà da… altri, suppongo. Mi è parso di capire che anche se si tratta della mia vita sono l’ultimo ad avere la parola. E’… è ingiusto. E’ illogico. C’è… c’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo.  Ma… ho fede. – Pensa a Charlie, che lo sta ancora cercando. Pensa a Sammy, che capisce tutto con uno sguardo e non esita a seguirlo in un inferno dopo l’altro, senza dire una parola. Pensa allo forza negli occhi di Cas, alle sue parole. – Forse non in te, ma nella mia famiglia sì.– sussurra. Dean si sente meglio. Tutto andrà per il meglio. In fondo, non è solo. Ha una casa a cui tornare, un fratello su cui contare e un angelo che veglia su di lui. Per amore o per affetto, c’è. E ci sarebbe sempre stato, l’aveva promesso.  In fin dei conti, poterlo avere accanto tutta la vita, poter continuare ad amarlo in segreto anche tutta la vita… non è l’opzione peggiore. Più di quanto molte persone possono sperare. Più di quanto forse lui può sperare. Ma non importa per il momento. Sperare è ciò che gli resta. Sente i muscoli intorpidirsi dalla dolcezza di quei pensieri, le ossa indolenzite e la stanchezza della giornata gli crolla addosso, rendendogli le palpebre troppo pesanti per continuare a tenerle aperte.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


- Metatron, mi devi aiutare! – implora Castiel. –Io… ho bisogno di… lavorare, lavorare ancora con Dean. 
- Il ragazzo è malato, ha bisogno di qualcosa di più delle tue canzoncine, Cas. – il giovane prete gli appoggia una mano sulla spalla con un sorriso magnanimo. – Scusami, fratello, ma non c’è praticamente altra soluzione. 
- Praticamente? – gli domanda Castiel. Dopo un pomeriggio privo di progressi, passato col terrore di svegliarsi il giorno dopo senza trovare Dean nella sua stanza, finalmente gli sembra di aver trovato qualcosa a cui aggrapparsi. Almeno per non uscire fuori di testa. 
- Beh…. ovviamente se il ragazzo tornasse eterosessuale da solo, non ci sarebbe alcun motivo per non lasciarlo andare. Forse, se col permesso del padre sposasse una ragazza… ma entrambi dubitiamo che accadrà, non è vero? E comunque non sarebbe una prova della sua guarigione. –Castiel riesce a trattenere una smorfia, ma non lo sguardo nervoso. Per un attimo ci aveva sperato sul serio. - Vedi… - continua il frate. – Alcuni miscredenti perseverano così tanto nel peccato, che a volte non ci sono che certi metodi per riportarli sulla strada di Dio. E’ una cosa che ormai sei abbastanza maturo da poter capire, vero? – lo fissa con quegli occhietti odiosi e Castiel, forse per la paura, forse per la frustrazione, forse per l’ennesimo tentativo fallito si arrabbia, come quasi mai aveva fatto in vita sua. Non è solito a lasciare i sentimenti negativi infuocargli l’animo. Preferisce respirare, ragionare e poi rispondere. Eppure accade, gli occhi gli bruciano e la testa gli pulsa. S’impone d’immettere aria nei polmoni. Come se un vento cercasse di affievolire quel fuoco, nel petto gli rimane una nuova emozione, più secca e lucida. Un’emozione che lo fa sentire non debole come quella precedente, ma più potente. Non gli blocca la gola, non gli appanna la vista.
- Ma Gesù predica contro la violenza, predica l’amore. Questo comportamento non è cristiano. – protesta con voce calma. 
- Ma sai cosa predica Dio. 
- Chi non ha peccati, lanci la prima pietra. – Metatron lo guarda in silenzio per qualche secondo. 
- Già… - acconsente. 
- E comunque – riattacca Cas. – Dean è bisessuale. Potrebbe stare benissimo con una ragazza, potrebbe… anche… sposarne una… un giorno, ma questo non significa che non sia attratto dai ragazzi. 
- E’ la stessa cosa. – Metatron allontana l’affermazione con un gesto. - Sai qual è la mia impressione, Castiel? Che tu ti sia affezionato al ragazzo, troppo… 
- Dean… 
- Il ragazzo – lo interrompe. – farà ciò che decidiamo noi. Anche se Dio non lo dicesse, mi fa così schifo l’idea che lui… Cielo, mi vien da vomitare solo a pensarci. Finirà all’Inferno… non fartici trascinare, Castiel. – Metatron stringe la mano attorno alla spalla del ragazzo. – Ricorda che tra di noi non c’è alcuna pietà per i peccatori… - Al ragazzo dagli occhi blu si gela il sangue nelle vene. Stava parlando di Dean oppure di…? 
- C-c-cosa intendi? – Balbetta, e per un attimo la rabbia o qualsiasi cosa fosse quell’emozione scompare, congelata nel petto. Congelata dal panico. Un blocco di ghiaccio a livello dello sterno che scende verso lo stomaco. 
- Ci si può curare, Castiel. Io ti voglio davvero bene, fratello, e se… Dio non voglia… ne avessi bisogno… ti aiuterei a guarire, va bene? – Castiel tira all’indietro la spalla, spingendolo lontano. 
- Sto benissimo, grazie. – gli ringhia. Metatron fa un viso impassibile. 
- Ti consiglio di fare attenzione, fratello. Ti ricordo che una volta il Diavolo era il più bello degli angeli…Castiel cerca padre Zachariah in mezzo alla folla per diversi minuti, prima di individuarlo tra alcuni monaci in visita che si avviano cantando verso il cortile esterno. La testa gli pulsa ancora e come il giorno in cui aveva avuto il coraggio di affrontare padre Metatron riguardo le ferite di Dean si sente annegare in mezzo alla gente, in mezzo ai visi che dovrebbero trasmettergli sicurezza. Zachariah indossa una tunica bianca con intrecci dorati e la sua espressione pacata lo riporta nella realtà, quel che basta a impedire a Castiel di piombargli addosso urlando.
- Padre! Padre! – lo chiama. Zachariah si volta e gli sorride.
- Castiel, è sempre un piacere vederti… così giovane e devoto…
- La prego, padre. –gli risponde il ragazzo. – Ho bisogno di parlarle. In privato.Zachariah saluta i monaci con un cenno del capo prima di allontanarsi con Castiel.
- Dimmi, hai forse bisogno di confessarti?
- No… no… - Si difende subito, memore delle affermazioni di Metatron. – Sono solo preoccupato riguardo la sorte del mio allievo, Dean Winchester. - Zachariah annuisce.
- Ti riferisci al campo di cura.
- Esattamente.
- Castiel, tu sei un bravo ragazzo, puro di cuore. Per questo per molto tempo siamo stati restii ad affidarti casi difficili come quello di Dean Winchester. Capisco che per te sia difficile sentirti impotente di fronte al suo peccato e che soffra per le prove che in futuro dovrà affrontare. – Zachariah gli parla sicuro. – Ma devi comprendere e accettare che il peccato è una sua decisione e tu non hai i mezzi per cambiarlo. Anche se so che hai fatto tanto. Ho notato che ha preso a passare molto tempo con una giovane fanciulla dell’oratorio, Anna…
- C-cosa? Q-quella… la ragazza con i capelli rossi? – Il cuore di Castiel comincia a battere più forte, troppo forte, che quasi ha paura che padre Zachariah oda quei battiti veloci e malati. In pochi, lunghissimi secondi, si sente piccolo piccolo, con una gran voglia di lasciar perdere tutto e tutti e chiudersi in camera sua, mentre padre Zachariah, inconscio, continua.
- Sì. Ragazza straordinaria, sempre pronta a eseguire gli ordini. In realtà ha precisato che nel caso di Dean Winchester sarebbe stato addirittura un piacere… - ammicca il prete con un sorriso. Il cuore smette il suo ritmo incalzante e, come se stesse esalando un ultimo respiro, si ferma. O almeno, Castiel non lo sente più mentre lacrime calde gli salgono agli occhi.
- L’ha mandata lei padre? Da Dean?
- Certo. E non è neanche l’unica. – sorride Zachariah. – Hai fatto un buon lavoro.
- Grazie. – riesce solo a sussurrare. Soffoca un singhiozzo e gli si stringe lo stomaco
- Purtroppo… temo non sia sufficiente per attestare la sua guarigione. – Termina Zachariah. Castiel non avrebbe pianto, mai, si ripete. Non deve piangere.
- Era… previsto fin dall’inizio? Che Dea… che il ragazzo andasse al campo di cura?
- Comprendo cosa cerchi di dirmi. – Zachariah si fa affettuoso. – Non è che non avessimo fiducia in te e nelle tue lezioni, Castiel, ma fin da quando ce l’hanno affidato sapevamo che era destinato ad un altro tipo di comunità. Vedi, noi ci occupiamo di ragazzi con vari tipi di problemi. Siamo le ultime barriere prima che finiscano in un riformatorio, un carcere minorile o in altri posti sicuramente meno piacevoli di questo. Ma i ragazzi che hanno il tipo di problema di Dean… difficilmente riusciamo a riportarli sulla buona strada. E di questo la famiglia di Dean era consapevole.
- Quindi non c’è mai stata speranza. Non… esiste altra soluzione. – pronuncia lentamente.
- No, mi dispiace.  
- Mi scusi padre, devo andare. – si congeda frettolosamente. Forse Zachariah lo sta richiamando, ma non riesce a fermarsi. Di che si stupisce? Aveva visto Anna. Poteva immaginare che ce ne fossero altre. Non cambiava niente. Lui e Dean non hanno quel tipo di legame, ora. Ma nonostante tutto, non può fare a meno di chiedersi se lui l’abbia baciata. O peggio. Che cosa abbia provato nel farlo. Se una parte del suo cervello, anche minuscola, si fosse ricordata di lui. Di quando baciava Castiel. Si appoggia a una parete fredda, che lo aiuta a raccogliere le lacrime. E’ inutile, non deve pensarci. Non deve, per il momento. Ha problemi più urgenti. Ha giurato a Dean che lo avrebbe aiutato e c’è solo un’ultima cosa che può fare. Scuote la testa, inspira. Ripensa a padre Metatron. Quanto potrebbe metterci a condividere i suoi sospetti con altri? Quante scelte ha veramente? Una, solo una. La rabbia, quella accesa e terribile e incontrollabile, torna a scorrergli calda nelle vene del corpo.  Improvvisamente si sente manipolato, dalle minacce di Metatron, dai complimenti di Zachariah, da mille altre situazioni, e come se avesse passato l’intera vita a reprimere ciò che provava, buono o cattivo che fosse, per essere il ragazzo diligente che pensava di dover dimostrare di essere. Improvvisamente è stufo. E comprende Dean. Comprende il suo continuo bisogno di tagliare i legami, di ribellarsi a un ruolo che non gli si addice. E capisce perché lo fa. Per essere libero. E prova un amore infinito per Dean, per quella libertà di cui da sempre si è fatto voce. Ma quello è Dean. Lui è Castiel. Il ragazzo diligente. Quello del coro. Quello del suo sogno. Se decidesse di comportarsi da Dean non sarebbe più Castiel, ma un’altra persona, impulsiva, non prevedibile. Qualcuno che non ha mai immaginato o previsto e che lo spaventa. Scuote di nuovo la testa. No. No, si sbaglia. Non è quello il suo sogno. Non è chiudere gli occhi davanti alla violenza, zittirsi quando non è d’accordo. Non è fare del male alle persone nel nome di Dio. E’ l’esatto contrario. Realizzarlo lo sconvolge. Come se tanti tasselli, tanti piccoli dettagli che da tempo non sembravano quadrare, finalmente andassero al loro posto. Ogni volta che si era sentito confuso, ogni volta che si era sentito smarrito, ogni volta che aveva perso il controllo delle sue emozioni. Ogni volta che una voce gli diceva che era sbagliato, che qualcosa non tornava, che non era quello che sembrava, che non era quello che voleva. Ogni volta che aveva amato e pensato che il suo cuore fosse rotto. Tutto prende un senso, in un puzzle che rappresenta bene chi è e chi vuole essere. E non si sorprende che le due persone non coincidano.  Prima di andare all’ingresso, si ferma davanti alla cappella. Lui è lì e lo guarda. E’ nella fiamma della candela, nei visi scolpiti nel legno. Sceglie accuratamente un posto – sempre l’ultimo della terza fila, sulla sinistra - e si siede, attento a non fare rumore. Sono gli unici nella stanza e Castiel è felice così.
- Perdonami. – sussurra. Sa che gli si sta spezzando la voce, ancora. Comincia ad esserne stanco, di cedere alle emozioni. – Perdonami, Padre, perdonami. Se è giusta, proteggi la mia scelta e le persone a cui voglio bene.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Quando Dean entra nella stanza di Castiel nota subito l’espressione crucciata del ragazzo e quella elettrizzata di suo fratello.
- E’ arrivato. – comunica Sammy e Castiel, per risposta, tira fuori una vecchia borsa e comincia a raccogliere dei libri. A quella vista, il cuore di Dean inizia a battere più del solito e un subbuglio di emozioni, simile al vuoto che si prova guardando in basso da un alto palazzo, o quando una vecchia Chevy Impala del ’67 prende velocità in autostrada, gli si agita nello stomaco.
- Castiel… - mormora, e il nome richiama quelle emozioni. Ma il ragazzo non lo guarda.
- Dean, ci ho provato. Non hai un futuro in questo posto. Non uno decente. – Castiel gli si avvicina, lasciando perdere i libri. Sammy, dopo essersi assicurato di non essere visto dal ragazzo dagli occhi blu, forma un cuoricino unendo gli indici e i pollici delle mani e inarca verso l’alto le labbra – Ho chiamato… una persona fidata. – gli spiega Castiel. Dean è un attimo incantato dal muoversi delle sue labbra e delle sue guance. - Oddio, non posso crederci di averlo detto. Ci aspetta qui fuori. Passeremo di nuovo dalle scale di emergenza sul retro, come quando siamo andati al cinema. Certo, sarebbe stato più facile partire di notte, ma non possiamo lasciare Sam. Partiamo tutti e tre.
- Cas, è fantastico! – esplode Dean, afferrandogli il viso come per baciarlo. Poi si ricorda della presenza di Sam e abbassa le mani. E si accorge del volto triste di Castiel. Prende un bel respiro. In ogni cosa c’è la scelta giusta o la scelta sbagliata, quella egoista e quella altruista, quella semplice e quella complicata. Nero e bianco, come sempre. Dean sa che deve fare la scelta giusta, che non è semplice e che è dannatamente altruista, altruista da farsi del male. Ma per certe persone vale la pena essere altruisti, anche a costo di rimanere con il cuore spezzato. Lo guarda negli occhi, quei due pezzi di cielo, come se fosse la prima volta o l’ultima. Riscoprendoli e dicendo loro addio.
- Cas, non sei obbligato a partire con me, se non vuoi. Non devi rinunciare alla tua famiglia, o al tuo sogno. – Ecco, lo ha detto. Non sembrano neanche le sue parole. Non si deve illudere. Non lo deve fare. Castiel lo guarda in silenzio e per un attimo Dean la vede, la sente la vita senza Castiel, alla ricerca di qualcun altro che gli ricordasse i suoi occhi, il suo odore di cannella, i capelli arruffati, la voce rauca, la pelle ruvida, una vita da palcoscenico, a fingere di amare qualcun’altro sotto i riflettori solo per chiudere gli occhi e il sipario e pensare al suo migliore amico. La malinconia lo pervade, pur avendolo ancora davanti. Altro che continuare a frequentarsi. Scappare significa perdere la possibilità di tornare a trovarlo nella comunità. Significa non rivederlo più. Poi lui parla, finalmente.
- Non credo che questa sia davvero la mia famiglia. Più mi guardo attorno, più mi sento… in pericolo. Non era questo che volevo. Non era questo che cercavo. Il mio sogno… non lo posso realizzare, non così. E comunque, non ce l’avrei più fatta a…– Lo guarda con infinita tenerezza, come non gliel’aveva mai letta in quegli occhi, pur avendoli studiati per mesi, ma li riabbassa immediatamente. – cioè, senza di te… insomma, starti lontano è… difficile! - Castiel ride nervosamente. Sam dietro di lui si porta una mano sulla bocca, si fa aria con l’altra e finge silenziosamente di svenire. Dean gli lancia un’occhiataccia, ma non riesce a smettere di sorridere per Cas.
- Ti ho appena lasciato senza parole?
- In un certo senso… - fa lui, passandosi una mano sul viso. – Non ero preparato ad una domanda del genere. Ma sono serio, Dean. Oltre al sogno, oltre a tutto… non penso che riuscirei a dirti davvero addio. – lo guarda, solo per un attimo. Poi riabbassa gli occhi. – Ho cercato tutta la vita di… fare ciò che è giusto, pensare in modo razionale e non lasciarmi condizionare dalle emozioni ma in un certo senso… sono diventato cieco. Avevo un obbiettivo e quasi mi sono dimenticato tutto il resto, anche di vivere davvero. E quando la scelta è diventata tra il mio obbiettivo e te… non sono riuscito a trovare una soluzione. Non l’ho ancora trovata. In questo posto non la troverò mai. Ma non è un buon motivo per arrendermi. Non ho abbandonato il mio sogno e lo cercherò altrove. Lo troverò altrove. E quando accadrà… avrò bisogno di averti vicino.. – Il cuore di Dean batte all’impazzata. Vuole solo avvicinarsi a lui, vuole toccarlo, stringerlo tra le braccia. Ma una specie d’imbarazzo tra loro due lo blocca. - Comunque – riprende Castiel, guardandosi i piedi. – pensavo che… se vuoi chiedere ad Anna di venire con te, fai ancora in tempo a passare dalla sua stanza, mi sono informato ed è giusto tra due corridoi, la numero 87… sulla destra e…
- Baciami, figlio di puttana. – lo interrompe Dean ridendo. E senza lasciargli il tempo di eseguire l’ordine Dean rompe il ghiaccio e si avventa sulle sue labbra confuse del ragazzo. Castiel gli risponde ed è come tuffarsi nel mare in una giornata di sole. Tutto torna al posto giusto. Castiel lo stringe, forte, tra le braccia. finché Dean, senza fiato, non si stacca ghignando.
- E comunque Anna non mi parla da quando l’ho respinta dicendole che ero innamorato di un’altra persona… sai, mi aveva proprio invitato nella sua camera in quella occasione… la numero 87, tra due corridoi, giusto sulla destra…Castiel lo guarda raggiante e sta per dire qualcosa, finché il suo sguardo non cade sulla sua sinistra.
- Sam, tutto bene? – Dean vede suo fratello disteso sul pavimento con le braccia sul cuore alzarsi di scatto.
- Sì, benissimo. – Sammy fa finta di asciugarsi le lacrime e Dean gli mima in labiale “Evita”.
- Forza, seguitemi. – fa Castiel.
- Non vuoi salutare nessuno?
- No. Meglio così. – Dean non ha voce in capitolo, ma gli fa strano sentirlo parlare così, forse… anche male. No, che cazzo pensa. Preferisce così. Che si fottano quei figli di puttana, alla fine ha vinto lui. Improvvisamente gli viene da sorridere soddisfatto e appoggia una mano sulla spalla di Cas. Mentre scendono le lunghe scale, a Dean sembra di respirare per la prima volta dopo tanto tempo aria fresca, buona e nuova. Finalmente può vedere la strada: non è la stessa da cui è arrivato, o se lo è non se lo ricorda più. Il cielo scuro fa da cornice agli alberi spogli, su cui si sono ammucchiate strisce di neve. Rabbrividisce, ma è piacevole sentire quel gelo sulla propria pelle. Stringe a sé Castiel mentre Sam si abbassa su un mucchio di neve. Se quell’idiota di suo fratello avesse osato anche solo fingere di lanciare nella loro direzione una palla gelata e rovinare il momento… ma Castiel si allontana, notando nel suo stesso momento la presenza di una macchina, una Chevrolet Malibu rossa, e un uomo accanto a lei.  Non deve avere molti più anni di loro, non più di trenta, e ha un viso allungato e due occhi grandi e marroni.
- Finalmente il piccolo Castiel ha deciso di scappare da quel manicomio… - sorride, allargando le braccia e circondando il ragazzo dagli occhi blu, per poi prendere a stropicciargli i capelli, rendendo vagamente nervoso Dean, cosa che non sfugge allo sconosciuto.
- E ha anche un ragazzo geloso… piacere, io sono Gabriel. E per chiarire, sono suo fratello. – gli porge la mano e Dean la stringe, ancora un po’ a disagio. Eppure, tramite i racconti di Cas, ha già conosciuto Gabriel, il bimbo più dispettoso dell’orfanotrofio in cui era cresciuto e il fratello a cui, aveva ammesso, è più legato. Tuttavia il ragazzo dagli occhi blu non sembra ricordarselo e sposta lo sguardo da Gabriel a Dean, con aria di scusa.
- E’ vero… - bofonchia solamente, entrando nella macchina. – Ma ora allontaniamoci per favore. - I ragazzi si sistemano sul sedile posteriore.  Si rende conto che è la prima volta che qualcuno si riferisce a lui  come al ragazzo di Castiel. Sorride. Potrebbe farci l’abitudine. Cominciano a fargli male le guance.
- Allora belli, dove andiamo? – domanda il guidatore. Dean scambia uno sguardo complice con Sam, poi fa un occhiolino a Cas e senza staccare gli occhi da lui, risponde.
- Lebanon, Kansas.
- Perfetto, magari facciamo un salto a casa per presentare ufficialmente il tuo ragazzo agli altri. Che ne dici, Castiel?
- No, ti prego no! – si lamenta Cas.
- Fantastico! Saremo lì tra un paio d’ore. – Dean accarezza dolcemente la sua mano per tranquillizzarlo.
- Va tutto bene, siamo insieme. – Cas gli sorride e gli stringe la mano.
- Signor Gabriel, non è che alla prossima fermata mi fa stare davanti? – chiede Sam ad alta voce, dopo aver assistito alla scena con un’espressione vagamente terrorizzata.
- Se non mi chiami un’altra volta signore, sicuro ragazzino. – Dean li ignora.
- Sai che questo è solo l’inizio di tutto? – gli occhi di Cas s’incatenano di nuovo in quelli di Dean quando gli pone la domanda.
- Già, solo l’inizio. E’ tempo di vivere davvero. 
Fine prima parte
 I heard there was a secret chord                                                 Ho sentito che vi era un accordo segreto
That David played and it pleased the Lord                                           Che David suonò e piacque al Signore
But you don't really care for music, do you?          
Ma a te non importa davvero della musica, non è vero?
Well it goes like this: the fourth, the fifth                                                       Beh fa così: la quarta, la quinta
The minor fall and the major lift                                                              Il minore scende il maggiore sale
The baffled king composing Hallelujah                                       ll re frustatrato che componeva l’Hallelujah

Hallelujah                                                                                                                                          Hallelujah Hallelujah                                                                                                                                         Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                         Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                        Hallelujah
Your faith was strong but you needed proof                              La tua fede era forte ma avevi bisogno di prove
You saw her bathing on the roof                                                               La vedesti farsi il bagno sulla terrazza
Her beauty and the moonlight overthrew you                          La sua bellezza e il chiaro di luna ti sopraffarono
She tied you to her kitchen chair                                                                 Lei ti legò alla sedia della sua cucina
She broke your throne and she cut your hair                                        Ruppe il tuo trono e tagliò i tuoi capelli
And from your lips she drew the Hallelujah                                                E dalle tue labbra strappò l’Hallelujah

Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                               Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
 
Baby I've been here before                                                                                            Baby sono già stato qui
I've seen this room and                                                                                                   Ho visto questa stanza e

I've walked this floor (you know)                                                          Ho camminato su questo pavimento (sai)
I used to live alone before I knew you                                                             Vivevo da solo prima di conoscerti
And I've seen your flag on the marble arch                                    E ho visto la tua bandiera sull’arco di marmo
And love is not a victory march                                                                 E l’amore non è una marcia di vittoria
It's a cold and it's a broken Hallelujah                                                          E’ un freddo ed è un rotto Hallelujah

Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                               Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
There was a time when you let me know                                                         C’è stato un tempo in cui mi dicevi
What's really going on below                                                                              Cosa succedeva davvero lì sotto
But now you never show that to me, do you?                                    
Ma ora non lo mostri più a me, non è così?
But remember when I moved in you                                                Ma ricordo quando mi sono mosso dentro te
And the holy dove was moving too                                                                E la colomba santa si muoveva pure
And every breath we drew was Hallelujah                                               E ogni nostro respiro era un Hallelujah

Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                               Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Maybe there's a God above                                                                                                 Forse c’è un Dio lassù
(But for me) all I've ever learned from love                           (Ma per me) tutto ciò che ho imparato dall’amore
Was how to shoot somebody who outdrew you     è come ferire qualcuno che ha sguainato [la spada] prima di                                                        
                                                                                                                                                                            te

And it's not a cry that you hear at night                                                        E non è un pianto che senti di notte
It's not somebody who's seen the light                                                                Non è qualcuno che vide la luce
It's a cold and it's a broken Hallelujah                                                          E’ un freddo ed è un rotto Hallelujah

Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                               Hallelujah
Hallelujah                                                                                                                                                Hallelujah

Angolo autrice
Eccoci arrivati alla fine. Da quando questa storia mi è venuta in mente ho scritto e riscritto diverse parti, cancellato conversazioni, aggiunto episodi, scambiato l’ordine degli eventi… e probabilmente, se la rileggessi daccapo, cambierei ancora qualcosa. Ma in fondo mi reputo soddisfatta dell’evoluzione dei personaggi e di questo racconto. E posso sperare di esser riuscita a dire ciò che volevo dire. Ci tengo a ringraziare le persone che hanno aggiunto questa storia alle preferite, alle ricordate o alle seguite. Vi vedo e siete magnifici. Un grazie speciale a Biota, Nakamura, Ciuffettina e ClaryBradbury994 che con le loro recensioni e i loro messaggi mi hanno sostenuto durante la pubblicazione di tutti i capitoli. Sapere cosa pensano i lettori delle mie storie mi ha sempre aiutato tantissimo a migliorarmi e sicuramente c’è ancora tanto su cui lavorare.
Infine voglio ringraziare l’”Hallelujah”di Jeff Buckley (testo sopra), che Dean e Cas adorerebbero.
Dopo ripensamenti su ripensamenti mi sono decisa a scrivere quel “prima parte”. Inizialmente questa fan fiction doveva iniziare e finire da sé, ma come sempre alla fine le storie fanno un po’ ciò che vogliono, senza badare alle intenzioni dell’autrice. E così sono nati i passati dei due protagonisti, sono comparsi altri personaggi e forse c’è ancora qualcosa da raccontare su questi Dean e Castiel. Dai fratelli di Cas e la sua vita prima di andare nella comunità, dal futuro di Dean e a come il compagno ne farà parte. Dove andrà a finire il suo sogno. E poi ci sono Charlie, Sammy, Gabriel e chissà chi altri. Mi piacerebbe creare qualcosa ambientato nella comunità lgbt+ alla fine degli anni ’90, parlare del coming out, delle identità di genere, e ancora fede, famiglia e orientamento sessuale. Tuttavia questa è anche una storia che potrebbe reggersi da sola, o io potrei fallire miseramente, non vi assicuro nulla. La mia domanda è: cosa ne pensate? Sentite che la storia abbia bisogno di una continuazione o preferite qualcosa di nuovo? Sono io che faccio la nostalgica? Fatemi sapere la vostra opinione tramite le recensioni di questo capitolo o tramite messaggi, qualsiasi cosa.
In ogni caso grazie per l’attenzione e il tempo dedicato a questa storia, ha significato molto per me. Un bacione.
Eleonora
 

 

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