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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La chimica dei sognatori ***
Capitolo 3: *** Parole di un altro mondo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Guerra.
Per quanto
se ne possa dire nell’Universo, una sola verità rimane costante su di
essa:
nessuno vuole esserne il perdente. Che cosa ci si può scoprire disposti
a fare
per continuare a vivere, o solamente a sopravvivere? La
risposta non è quasi mai la stessa, ma la
domanda vale sia per le specie che per gli individui che le compongono.
Prima
del nostro primo contatto a 130 anni luce dal Sole, credevamo di sapere
la
risposta: prima dei Midion. Prima che capissimo perché avevamo dovuto
spingerci
così caparbiamente lontano per trovare un’altra civiltà tra le stelle.
Prima di
capire che nessuno sulla Terra si è mai davvero spinto fino a quel
punto.
I Midion
l’hanno fatto invece, e sono sopravvissuti a quell’abisso. Per questo
fanno
tutto quello che è in loro potere perché non capiti ad altri, ed ecco
perché esiste
la Zona d’Interdizione: la regione di spazio delimitata per contenere e
combattere l’Invasore venuto addirittura da un’altra galassia. La
Terra,
sfortunatamente e senza colpa, ha scoperto solo allora di esserne quasi
al
centro.
E quando lo
scoprimmo, il conflitto durava già da 8000 dei nostri anni.
Come solo
porto sicuro in un mare ostile, il sistema solare non deve essere
espugnato:
specie perché la Zona d’Interdizione comprende quasi un quinto della
galassia,
40 miliardi di stelle coi loro pianeti. Così, in cambio del permesso di
fare
porto e riparare le proprie navi nel dominio dei figli di Gaia, la
Dorata
Intesa (di cui i Midion sono uno dei quattro membri fondatori) si è
impegnata a
proteggere la nostra specie da una piaga che ha già essiccato nebulose
intere.
La relazione
è mutualmente benefica: Venere ad esempio è stato terraformato per
sostenere la
vita, anche la nostra vita. Un bellissimo giardino di dune, lontana eco
di quel
mondo natale che i Midion hanno perso una manciata di eoni fa. Nel
frattempo, i
migliori scienziati della Dorata Intesa indagano la megastruttura
nascosta nel
polo nord di Saturno, per cercare di comprendere come riesca a
nascondere il
sistema Solare ai sensi del nemico. Si teme però che l’origine, le
motivazioni
e l’identità del suo architetto, siano destinate a restare un mistero
insondabile.
Qualche tempo fa (o forse un po' di più ),
ho letto un'articolo in cui si citava una teoria secondo la
quale la ragione per cui non abbiamo ancora trovato degli
alieni nella via lattea è perché non vogliono essere rilevati da un
crudele oppressore interstellare che li sta cercando per schiavizzarli
(o qualcosa del genere). La trovo una stupidata tremenda e il fatto che
qualcuno ci abbia messo il nome mi lascia di sasso: quando arroganti si
deve essere per venirsene fuori con una cosa del genere per spiegare la
propria incapacità di produrre i risultati sperati?
Notizia Flash: la galassia è Enorme e l'universo ancora di più (ma
tanto, eh!). Per cui potrebbe tranquillamente essere anche che a nostra
insaputa siamo in una "No man's Land" galattica tra due fronti. Oppure,
molto più probabilmente, è solo che la galassia è enorme (orribilmente
banale come spiegazione, e quindi probabilmente vera). Anche da questa
ispirazione comunque, mi sono fatto venire la voglia di scrivere
qualche pezzo breve sull'ipotetica convivenza tra noi
e altre specie senzienti, con la premessa di cui sopra: più un
banco di prova che una raccolta vera e propria, ma spero di cavarne
fuori qualcosa che riesca a far pensare o almeno piacere.
Non so ogni quanto riuscirò ad aggiornarla: di sicuro meno di quanto
vorrei (vita reale, grrr...). |
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Capitolo 2 *** La chimica dei sognatori ***
Nonostante
il nostro Sistema Solare sia diventato porto sicuro e oasi nascosta per
la
Dorata Intesa, è ancora molto difficile trovare alieni sulla Terra. Le
ragioni,
e le loro cause, sono molte: una delle principali è che i cittadini
della Dorata
Intesa non vogliono che sia messa in dubbio la nostra supremazia sul
pianeta azzurro.
Di questo, i governi della Terra sono tacitamente grati: può diventare
difficile far convivere gli ultimi arrivati sulla scena interstellare
con
specie che si conoscono tra loro da millenni, specie se si considera le
varie
egemonie che la Dorata Intesa possiede. La nostra stessa scienza e la
nostra
tecnologia faticano a comprendere i principi fisici che su altri
pianeti si è imparato
da tempo ad aggirare…
Anche per
questo, l’atteggiamento della Dorata Intesa, questo suo considerare la
Terra
sacra all’uomo, risulta allo stesso tempo prudente e comprensivo: come
anche
per altre razze senzienti, anche noi dobbiamo avere l’illusione di
avere in
pugno il nostro destino per poter essere sereni. Ed ecco perché sulla
Terra si
possono contare in ogni momento non più di una manciata di alieni, i
cui
incarichi e ragioni di visita sono sempre annunciati con gran pompa: è
stato
perfino istituito un database di consultazione pubblica a questo scopo.
Ed ecco
anche perché, nonostante il nostro primo contatto con i Midion prima e
con la
Dorata Intesa poi, la vita quotidiana sulla Terra sia cambiata meno di
quanto
si potrebbe pensare.
Regole
simili comunque, e un simile assoluto rispetto, sono in atto anche per
Venere:
per quanto la gemella della Terra sia stata terraformata dalla Dorata
Intesa
per ospitare la vita, essa è prima di tutto parte del Sistema Solare.
Solo a
noi quindi (questo almeno secondo gli accordi diplomatici bilaterali) è
dato
decidere come debba essere utilizzato: un pianeta abitabile però, è di
certo un
dono che sa rendere umili. La Terra guarda a Venere più come ad un
gigantesco
laboratorio scientifico a cielo aperto e al prossimo granaio capace di
sfamare
l’umanità, che come ad una nuova immeritata casa: per parte sua, la
Dorata
Intesa appare approvare questa visione.
E dunque,
dove è meglio cercare nel Sistema Solare luoghi dove l’uomo convive con
altre
specie?
La Luna è
una possibile risposta, ma né nella città sotterranea di Endimion, né
al
gigantesco radiotelescopio del cratere Dedalo riusciamo davvero a
sentirci a nostro
agio: la ragione non è però la minore gravità, perché questo problema è
già
stato risolto dalla nostra scienza con la comprensione dell’effetto
Higgs (per
quanto l’energia necessaria a simulare un campo gravitazionale locale
di 1 G
sia fornita ancora dalla Dorata Intesa). La vera ragione è che è
proprio attorno
alla Luna che i vascelli della Dorata Intesa, tutte navi da guerra
orrendamente
armate, fanno porto per rifornirsi ed essere riparate. Anche
tralasciando chi o
cosa quei vascelli portino a bordo, vedere ridotti in quel modo simili
strumenti di distruzione è capace di spaventarci, se non di
terrorizzarci. Cosa
possiamo noi, contro qualcosa capace di devastare a tal punto i
prodotti di una
tecnologia così avanzata?
Gli
equipaggi di quelle navi non hanno risposte da darci, se non tornare a
combattere: è raro che scendano ad Endimion dalla stazione spaziale in
orbita che
hanno costruito come fonda, ma a quelli che lo fanno, doniamo sempre un
pugno
di sabbia basaltica e la promessa di ricordarli nelle nostre preghiere.
Dunque, è su
Marte dove bisogna dirigersi per osservarci interagire quotidianamente
con
altre specie senzienti: il pianeta dove cerchiamo di applicare le
lezioni
apprese su Venere e cerchiamo di apprendere altre ancora. La strada da
percorrere per rendere Marte abitabile però, è ancora lunga. Proprio
per questo
tuttavia, con un’atmosfera incapace di sostenere la vita e habitat
costruiti
per difendersi da essa, le specie della Dorata Intesa possono recarvisi
in
relativa sicurezza anche per noi: vivere su Marte infatti, comporta tra
le
altre cose molte delle misure necessarie ad evitare contaminazioni
biologiche
involontarie.
***
Pensiero filosofico
del lunedì mattina di Raul Breda: a 65 milioni di chilometri dalla
Terra, il
caffè istantaneo è comunque cattivo. Una sciocchezza che gli si è
insediata
nella mente durante la colazione, mentre aspetta di svegliarsi davvero…
o
quanto meno, di capire se quel momento arriverà mai.
Mentre il
vapore gli appanna il bulbo oculare, la mente di Raul macina
considerazioni
come quella, in attesa che arrivi il momento di cominciare davvero la
giornata:
nel privato della sua mente, Breda considera questi momenti come le
simulazioni
del suo io cosciente. Decisamente non è persona che alla mattina
carburi in
fretta...
O ancora,
qual è il metodo più corretto per un essere umano di contare i giorni
quando si
è su altri pianeti rispetto alla Terra? Su Marte è ancora relativamente
facile:
il giorno marziano dura all’incirca quanto quello terrestre di 24 ore.
Venere invece
ruota sul suo asse in poco meno di 244 giorni
terrestri, cioè più del suo tempo di rivoluzione attorno al Sole. Se su
Marte
quindi i ritmi circadiani si mantengono più o meno invariati rispetto
alla
Terra (meno il primo jet lag dovuto al trasferimento), su Venere il
“giorno”
deve essere suddiviso in intervalli. Contare i giorni di Venere
insomma, per un
Terrestre non ha affatto senso: nessun umano può stare sveglio per 122
giorni,
nemmeno se potesse riposarne altri 122 dopo. Si devono imporre
necessariamente
calendari artificiali, che non rispettano affatto i ritmi del pianeta o
quello
che il Sole nel cielo sembrerebbe suggerire. La simulazione dell’io
cosciente
di Breda (Bredamulazione) annuisce convinta di fronte alla conclusione
raggiunta. Alzando però il coefficiente di difficoltà e uscendo dal
Sistema
Solare, come sarebbe la vita su un pianeta che gira attorno al suo asse
in 16
ore, o in 64 (perché entrambi multipli di 4 e di 16 si chiede la
Bredamulazione)?
Su un pianeta da 16 ore, si potrebbero ancora rispettare i ritmi
circadiani, ma
il calendario sarebbe altrettanto dissonante rispetto a quello della
Terra. Una
confusione che però rischierebbe solo di aumentare se su un simile
pianeta si
imponesse anche il giorno Terrestre, perché ci si troverebbe con
“giorni” e
“notti” che non solo non corrisponderebbero affatto a quelli del
pianeta, ma si
troverebbero anche a scambiarsi di posto a causa delle relative durate,
ovvero
1 giorno e mezzo sul pianeta di 16 ore contro 1 giorno terrestre.
Mezzogiorno
terrestre in breve, corrisponderebbe alla mezzanotte ogni due giorni di
16 ore,
e lo stesso farebbe la mezzanotte. Un vero pasticcio, che peggiora
proporzionalmente quanto più ci si allontana da numeri diversi da 24
ore o con
divisori comuni: ad esempio, pianeti con una durata del giorno di 33
ore
rappresentano potenzialmente un incubo logistico. Per non parlare degli
effetti
devastanti che una simile dissociazione tra io cosciente, ritmi
circadiani e
ritmi biologici ha sulla psiche umana.
No, si
convince la Bredamulazione, la soluzione più efficiente probabilmente è
quella
di separare il calendario di una specie, che è meglio resti unificato,
dall’ora
locale su un qualunque pianeta. E forse usare un riferimento astratto
per i
giorni che abbia durate diverse da numeri divisibili per 8, 4 o 3…
Il suo caffè
ora è più freddo, ma rimane sempre cattivo.
Adesso però c’è
qualcuno che attende di avere la sua attenzione: è alla sua sinistra,
in piedi
e in paziente silenzio. La Bredamulazione non si spaventa per quella
che per
lui è una comparsa improvvisa: le simulazioni dell’io cosciente non
possono avere
paura. In compenso però, ora sa perché stava ragionando in multipli di
4 e di
16.
Quando è
certo di avere la sua attenzione, il Midion si inchina lievemente,
dando a Raul
l’occasione di prenderne le misure: è
davvero piccolo, pensa. Ed è la pura verità: escludendo i
loro funicoli, nessun
Midion ha mai superato i 170 cm (non naturalmente almeno), e il suo
interlocutore sembra essere nel segmento medio basso della sua specie.
Potrebbe
comunque polverizzargli tutte le ossa con una sola pacca:
“…Buongiorno.”
è la prima parola che gli affiora su labbra ancora umide di caffè.
Le specie
della Dorata Intesa comprendono senza troppi problemi le principali
lingue
umane. L’inverso però, non sempre è vero: i Midion ad esempio, si
esprimono
usando anche alcune frequenze che l’orecchio umano non è in grado di
percepire.
Un ostacolo che però è stato aggirato in fretta, poiché l’hanno già
incontrato
con altre specie: ecco perché portano installati nei guanti delle loro
corazze
ambientali (o più propriamente nei mitteni delle loro corazze,
considerata la
cultura Midion), degli accelerometri in grado di “leggere” la posizione
relativa di dita e mani. Con queste informazioni è piuttosto facile poi
associare
un significato preciso ad ogni cenno e questo l’alfabeto gestuale, o
lingua dei
segni, può essere poi letto e “pronunciato” da un sintetizzatore vocale
in
lunghezze d’onda che l’orecchio umano sia in grado di percepire. In
modo da
risultarci il più possibile comprensibili inoltre, quando dialogano con
noi i
Midion si sforzano sempre di usare come base della loro lingua dei
segni la
nostra.
“Sur’fââb Tm.”
frinisce l’apparato che l’alieno porta ancorato sul petto: dalla nota
dolcemente metallica del sintetizzatore vocale, Breda capisce che il
suo
interlocutore è, in effetti, un’interlocutrice.
Tra i Midion, il dimorfismo tra i due sessi diventa evidente solo
quando sono
nudi: le loro corazze ambientali non aiutano affatto in questo senso.
“…Mi scusi?”
“Sur’fââb… Tâbrun!”
esclama la Midion, lanciandosi in una veloce sequela di suoni che Breda
non
riesce completamente ad afferrare.
Ciò che la
Midion fa poi non è qualcosa a cui Raul possa dire di essere preparato:
prima
che possa fermarla infatti, la minuta aliena si afferra con forza il
bicipite e,
con una torsione e uno strappo, si cava l’intero braccio dalla spalla.
Solo osservandolo
pendere dalla sua stretta, Raul si convince che si tratta di una
protesi.
Per fortuna
però, di braccia i Midion ne hanno quattro e con due pollici per ogni
mano. Gliene
bastano solo due per dialogare con noi umani:
“…Non ho
ancora molta… pratica… con
questo
aggeggio.”
“...Temo che
lo stesso valga per me.” e per quanto banale come risposta, sarebbe
potuta
andare molto peggio. Per esempio, Breda avrebbe potuto chiederle se le
serviva
una mano per il suo… braccio.
“Mi chiamo
Po’Ran.” si presenta, lisciandosi la sciarpa che porta sopra la sua
corazza
ambientale.
Su di essa,
Raul riesce a leggere pochi tra i molti glifi che vi sono stati
ricamati, tra
cui quello della casta militare e quelli che designano Po’Ran come
membro del
28° skete della flotta del Vento.
“…Lei è il
dottor Bread?”
“…Breda,
veramente. Bread, pane, è un cibo.
Un
nostro cibo, voglio dire.”
“Sì… ha
ragione… temo che nella fretta di cercarla, non abbia fatto tempo ad
impostare
un segno da associare al suo nome.”
“E quindi ha
usato il segno che più si avvicinava al suono.” conclude Raul: “…In che
senso
mi stava cercando?”
“Ecco, ho
una domanda di cui mi hanno detto lei potrebbe avere la risposta.”
dicendolo,
Po’Ran appoggia il suo braccio di metallo sul tavolo, in modo da avere
una mano
libera per frugare gli scomparti della cintura che porta alla vita.
La Midion
trova in fretta quello che cerca e riesce di nuovo a stupirlo, perché
quella
che impugna ora è una matita grassa, di quelle da carpentiere, con cui
traccia
rapidamente sul tavolo una forma stilizzata:
Come chimico
e archeobiologo però, Raul sa leggere quei segni:
“1-3-7
Trimetilxantina. Alcaloide naturale. Irritante. Più comunemente nota
come
caffeina o teina.”
“…Mi è stato
detto che gli esseri umani la bevono diluita in acqua.”
“Sì, è così.
Ne ho giusto questa tazza…”
Ma Po’Ran è
già balzata indietro di quattro metri: non l’ha vista muoversi.
Semplicemente,
non è più dove stava guardando. È persino riuscita a riprendersi il suo
braccio:
“…Tutto
bene?”
“Mi scusi.”
risponde la Midion, senza accennare però a volersi avvicinare di nuovo:
“…Mi
sto rendendo una sciocca naturalmente. Il fatto è… che per la biologia
della
mia specie, quello è uno fra i più potenti narcotici che esistano.”
come per i
ragni, fa tempo a pensare Raul.
Anche questa
volta però, per fortuna le sue labbra optano per qualcosa di più banale:
“…Suppongo
quindi sarebbe improprio offrigliene una tazza.”
“Piuttosto.”
dicendolo, Po’Ran sembra quasi ridere: “…Mi avevano detto che la terra
dei
sognatori contiene tesori che non dipendono affatto dalla sua
posizione.
Avevano ragione.”
“La… terra
dei sognatori?”
“Sì: il
sistema di pianeti attorno a questa stella, naturalmente. Grazie per il
suo
tempo, dottor Bread. E la sua gentilezza.” e prima che possa
risponderle, la
Midion è già lontana.
È proprio
vero quello che si dice, riflette Raul: i Midion sanno fermarsi davvero
solo
quando dormono.
Il suo caffè
è ancora cattivo, ma non gli importa più così tanto.
|
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Capitolo 3 *** Parole di un altro mondo ***
Il cielo e
il mare fanno a gara per assumere la stessa livrea: un informe bianco.
Solo
quando le raffiche si placano per un momento, smettendo di bistrattare
i
fiocchi di neve, si riesce a raccapezzarsi su dove stia il sopra e il
sotto.
Non è la
tempesta però a preoccupare i marinai e il capitano: quando il
satellite li ha
informati del suo arrivo, ne avevano già sentito il sapore nell’aria e
come
vascello di osservazione scientifica in missione nei mari del nord, la Gypsy Dancer può sopportare senza
problemi
anche peggio di quel fortunale. Dunque, come già è stato, quando il
vento
calerà le eliche torneranno a girare e il piccolo rompighiaccio si farà
strada
attraverso il pack, lo stesso che al momento li stabilizza contro le
raffiche.
Nemmeno i -45°C all’esterno preoccupano l’equipaggio: come sempre, si
tratta solo
di avere pazienza aspettando al chiuso…
Mai prima di
quella volta però, la Gypsy Dancer
aveva
dovuto accogliere uno shuttle orbitale sulla sua piazzola
d’atterraggio: a
sentirne il pilota, una gran bella donna dal pessimo carattere, l’attaché diplomatico che era stata
costretta ad imbarcare aveva deciso di fregarsene dei bollettini meteo
per
cercare di ingraziarsi l’altro passeggero. Ne avevano pagato il prezzo
una
volta rientrati nell’atmosfera, quando le era diventato chiaro molto in
fretta
che non sarebbero riusciti a raggiungere l’isola di Svalbard prima che
la
tempesta li facesse precipitare. La Gypsy
Dancer si era semplicemente trovata nel posto giusto al
momento sbagliato,
ed erano stati costretti a diventare il loro porto.
L’orologio
segna l’1 di notte, ma anche se a bordo tutto va bene, per la prima
volta Wolfram
Zähstein non riesce a farselo bastare. Perché anche se il pilota dello
shuttle ora
dorme nella cuccetta di cui si è appropriata, e l’imbecille che li ha
quasi fatti
precipitare sta probabilmente abbracciando la tazza (il peggior caso di
mal di
mare che Wolfram abbia mai visto in tutti i suoi anni sulle onde), il
terzo
passeggero ancora non vuole saperne di rientrare, preferendo rimanere
ad
osservare il vento e la neve.
L’orologio
segna l’1 di notte: è su quel ponte da tre ore, a 45 sotto zero.
…‘Fanculo.
Anche con addosso
un triplo strato isolante, Wolfram ha esitato ancora un attimo prima di
farsi
strada tra le raffiche e la neve. Per fortuna conosce la nave meglio
delle sue
tasche e un po’ grazie alla ringhiera sulla murata con cui tirarsi, un
po’ per
intuito, l’ha trovato abbastanza in fretta: il passaggio di raccordo
sotto la
passerella di collegamento tra la piazzola d’atterraggio e il resto
della nave.
Uno dei pochi luoghi in cui il suono del vento attorno a loro venga
attutito. Deve
sempre essere rimasto lì, senza muoversi affatto: la neve ha cominciato
a
posarsi non solo attorno, ma anche sopra di lui, al punto che il
capitano ha
creduto per un istante che si fosse congelato. Un terrore di breve
durata il
suo però, meno di un istante, perché il Midion ha cominciato subito a
muovere
le mani e a parlare, lasciando che la neve gli cadesse negligentemente
di dosso
da sola:
“Capitano.”
“…Non ha freddo?”
Wolfram batte gli scarponi
sul ponte e si spazzola le spalle per sottolineare la sua domanda,
mettendosi
con lui al riparo:
“No.” e dalla
voce sembra quasi che sorrida: “…Come può immaginare, abbiamo una certa
esperienza nel costruire corazze ambientali.”
“Mhh…” 8 millenni di guerra, deve
costringersi
a ricordare Wolfram: non riesce nemmeno ad immaginarli.
“Se può
rassicurarla, mi permetterebbe di sopravvivere anche se cadessi in
acqua. Sarebbe
piuttosto imbarazzante, però.”
“Oh?”
“Non galleggerei.
Anche senza la mia corazza voglio dire. Siamo troppo… densi.”
Uno
dell’equipaggio l’aveva perfino spiegato al suo capitano: il corpo
umano è
fatto circa al 65% - 70% d’acqua. L’ammontare in quello Midion non
arriva al
10%.
“Una ragione
di più per farla rientrare.”
“Mi conceda
questo capriccio: la vista è irrinunciabile.”
“La neve?”
“…Non
esattamente.” e questa volta Wolfram è certo che stia sorridendo: “Più
che
altro, ciò che essa mi dà.”
Il capitano
lo supera di tutte le spalle e quasi metà del torso, eppure parlare con
quel
Midion gli dà una strana sensazione, anche se non riesce a dargli un
nome
preciso. È qualcosa del colore della nostalgia, ma allo stesso tempo
diversa.
Non è solo
una sua suggestione: tutti i Midion causano quella sensazione in noi.
“E che cos’è?”
“Prospettiva
e idee.” risponde pronto il Midion, come se si fosse aspettato la
domanda: “…Nella
mia lingua, ciò che in questo momento copre tutto non ha una parola con
cui io
possa indicarla. Anche ora sono costretto ad usare un giro di parole, o
affidarmi alla vostra lingua per chiamarla. Nella mia, noi possiamo
solo
indicare e dire: questa è acqua che cade
dal cielo. Non conosciamo una parola per indicare questa
bellezza.”
“…È solo
neve.”
“Lo è per
lei, capitano. Ma la mia specie ha dovuto inventare il viaggio
interplanetario
per poterla vedere per la prima volta. La parola stessa con cui nella
mia
lingua indichiamo casa, viene da un
termine che indica a sua volta il luogo dove acqua scorre liquida. Può
provare
ad immaginare cosa questo implichi... Prospettiva.” gesticolò
lentamente il
Midion.
“Lei è un
linguista?”
“No, affatto.
Il mio campo di specializzazione è la comparazione evolutiva tra specie
diverse.”
“E come è
finito qui?”
“Sulla sua
nave? Mister Johnson ha saputo della mia qualifica dall’ammiraglio.
Così, sono
stato invitato a visitare il vostro caveau globale dei semi, sull’isola
di
Svalbard.”
“L’ammiraglio…?”
“Sì, sono
l’ufficiale scientifico capo della flotta del Vento.”
“Ah.”
“…Sembra che
conosca un po’ della mia cultura. Dovrò disperdere qualche preconcetto?”
“No. Ma
spero non si aspetti un inchino.”
“Affatto. Sono
un ospite dopotutto.”
A quanto
pareva, il pilota dello shuttle aveva avuto torto nel lamentarsi:
nessuno di
noi può dire di conoscere davvero l’interezza della cultura Midion, ma
ci sono
alcuni elementi che siamo in grado di comprendere più facilmente di
altri,
perché risuonano con la nostra cultura… o con i nostri tabù. Ad
esempio, è vero
che i Midion si nutrono solamente con cibo vivo: le loro battute di
caccia nel
deserto sono ancora oggi una parte imprescindibile della loro
socialità,
nonostante il tributo di vite che continua a costare. E sì, è anche
vero che nello
loro cerimonie funebri si pratica del cannibalismo rituale. Entrambi
questi
aspetti però, che ci appaiono così primordiali per la cultura di un
impero
interstellare, devono essere considerati nell’ottica della loro storia
e
soprattutto del loro mondo natale: un luogo in cui di giorno il nostro
sangue
bollirebbe spontaneamente, se esistesse ancora. Ciò che noi chiameremmo
un
deserto spietato, per i Midion è solo un giardino di dune. Ma come i
Midion
hanno dovuto imparare molto presto, tutti questi giardini devono essere
difesi:
l’hanno imparato bene e ora prosperano, nonostante tutto.
La società
Midion non possiede il nostro concetto di nobili o di re. Ciò che più
si
avvicina ad essi si può trovare all’apice delle gerarchie nelle quali è
organizzata la loro popolazione, con i Tearki a svolgere il ruolo di
governatori planetari e “difensori di tutto ciò che si trova a terra”,
mentre
quella militare, con gli ammiragli a soprintendere alle loro flotte
come
capiclan, ha la consegna di “combattere tutto ciò che si trova tra le
stelle”.
Dona una certa
prospettiva sulla loro società il riflettere sul fatto che sia i Tearki
che i
loro ammiragli di flotta rispondono entrambi ad una sola persona: nella
nostra
lingua lo chiameremmo imperatore-dio, dato il suo ruolo e l’ossequio
con cui i
Midion lo invocano. Nella loro lingua però, egli è “il molto riverito (perché estremamente) avvelenato”.
Dunque,
l’ospite di Wolfram era qualcuno che aveva l’orecchio di un signore
della
guerra che non solo rispondeva direttamente all’Imperatore-Dio dei
Midion, ma
che anche aveva il potere e il diritto di incenerire interi pianeti, se
lo
avesse creduto necessario. Qualcosa che doveva aver già fatto per
decadi, prima
di essere costretto a riparare nel sistema solare per far riparare le
proprie
navi, in modo da tornare a farlo. Ecco perché nel caso del suo
ufficiale
scientifico capo, era importante cercare di accontentarlo.
Comprendendo
a fondo questo, il capitano inspirò profondamente, il naso e la bocca
ben al
riparo del bavero della giacca isolante:
“Riesco a
capire cosa intende per prospettiva. Ma in che senso idee?”
“Cosa rivela
sulla mia specie e la mia cultura il fatto che non abbia una parola per
definire la pioggia, o la neve? Oltre all’evidente s’intende: l’acqua
che
conosciamo solamente per essere così rara, qui abbonda al punto che il
cielo può
disfarsene… È così difficile essere qui per noi.”
“In che
senso?”
“È bello al
punto da farmi dimenticare quanto possa essere fragile. E quindi mi
sforzo di
pensare quale sia il modo migliore per poterlo tenere al sicuro.
Ammesso che ne
abbia il diritto, certo.”
“…E le è
venuto in mente qualcosa?”
“Molte cose:
non so ancora se vi piaceranno.”
“Crede che
ci potrebbero essere d’aiuto?”
“…Estremamente.”
“Allora non
so se abbiamo il diritto di non farcele piacere.”
“C’è sempre
una scelta, capitano. Più di quanto possiate immaginare: raramente però
sono
facili. Un po’ come lei quando ha scelto di venire a cercarmi.”
“Si è
trattato solo di uscire…”
“Le è solo
sembrato. Noi rappresentiamo una terribile incognita per voi: anche per
questo siamo
grati dell’accoglienza che avete voluto darci. Più di quanto riusciamo
ad
esprimere… Lo sa, a volte non riesco a capire se voi esseri umani siete
di una
purezza infantile, o solo molto ignoranti.”
Il capitano
fece quasi in tempo a rispondere, ma il Midion si mosse, troppo veloce
per
riuscire a seguirlo, appoggiandogli quasi una mano sulla bocca: Wolfram
poteva
superarlo di tutta la testa e metà del busto, ma il capitano sa che
avrebbe
potuto piegarlo come un foglio di carta se solo avesse voluto.
“…E, ad
essere sincero, è una domanda di cui non voglio conoscere la risposta.”
“Perché
potrebbe non piacerle?”
“Perché
toglierebbe qualcosa alla bellezza di questo mondo e della specie che
lo
abita.” e detto questo, l’alieno tornò ad osservare ciò che la sua
lingua non
aveva parole per esprimere, mentre lentamente i fiocchi si facevano
trasportare
dal vento e dalla gravità.
Wolfram
restò con lui fino a quando il vento calò, senza pronunciare altro che
il suo
respiro: la polmonite che si prese e il principio di congelamento ne
sarebbero valsi
la pena.
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