Tom Riddle: la storia pt 2. Dal primo addestramento di Bellatrix al principio delle Arti Oscure

di DANI1993
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Non doveva sapere nulla ***
Capitolo 3: *** L'armonica rubata ***
Capitolo 4: *** Volare sfruttando il vento ***
Capitolo 5: *** Sei una ragazzina ***
Capitolo 6: *** La strega di fuoco ***
Capitolo 7: *** A cosa servono quei falò? ***
Capitolo 8: *** Il guaio di Bellatrix ***
Capitolo 9: *** Modera quel tono con me, ragazzina ***
Capitolo 10: *** L'inizio ***
Capitolo 11: *** Il mio maestro ***
Capitolo 12: *** Le selezioni ***
Capitolo 13: *** Forse ho fatto la scelta giusta ***
Capitolo 14: *** Il lamento di Druella ***
Capitolo 15: *** Mia sorella si è fatta un amico ***
Capitolo 16: *** Unicamente per colpa mia ***
Capitolo 17: *** Era la mia fiamma ***
Capitolo 18: *** Hogsmeade ***
Capitolo 19: *** Il soccorso ***
Capitolo 20: *** Da qualche parte, nel castello ***
Capitolo 21: *** Piccola nullità ***
Capitolo 22: *** Nemici/amici; rivali/alleati ***
Capitolo 23: *** La prova finale ***
Capitolo 24: *** Visioni, imprevisti, ricordi e pianificazioni ***
Capitolo 25: *** Bellatrix Black ***
Capitolo 26: *** TERZO ANNO: Fecce e luridi parassiti ***
Capitolo 27: *** Lei si chiamava Bellatrix ***
Capitolo 28: *** Il pentacolo rovesciato ***
Capitolo 29: *** Il ballo alla villa Black sulla scogliera ***
Capitolo 30: *** Il manuale della strega oscura ***
Capitolo 31: *** Nocturne Alley ***
Capitolo 32: *** Il nuovo preside ***
Capitolo 33: *** Minerva McGranitt ***
Capitolo 34: *** La banda di Serpeverde ***
Capitolo 35: *** La richiesta del mio maestro ***
Capitolo 36: *** L'amore non esiste ***
Capitolo 37: *** La promessa ***
Capitolo 38: *** Ricerca origini parte I: la Sala Trofei ***
Capitolo 39: *** Non sarà una buonanotte ***
Capitolo 40: *** Non sarebbe stata l'ultima volta ***
Capitolo 41: *** Sarai mia ***
Capitolo 42: *** Le Arti Oscure parte I: Introduzione alle Arti Oscure ***
Capitolo 43: *** Comportarsi come brave rappresentanti della nobile casata dei Black ***
Capitolo 44: *** Sono Rodolphus Lestrange ***
Capitolo 45: *** La punizione ***
Capitolo 46: *** Ricerca origini parte II: la sala prefetti ***
Capitolo 47: *** Terrore da strega ***
Capitolo 48: *** Indagini fallite ***
Capitolo 49: *** Il centro dell'attenzione ***
Capitolo 50: *** Il trionfo di Rab ***
Capitolo 51: *** Le Arti Oscure parte II: le piante; le simbologie degli astri; le posizioni lunari astrologiche e le sei facoltà magiche ***
Capitolo 52: *** Alleanza tra diavoli ***
Capitolo 53: *** Il processo ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


( N.B : L’INTERA STORIA E’ L’ ANTICIPAZIONE DEL “MAESTRO DELLE ARTI OSCURE ” IN ACCORDO CON  CIRCE, AUTRICE DELL’OMONIMA STORIA)
 

Prologo



 
 
“ La Divinazione è un orribile marchingegno creato apposta per rovinare la mia reputazione”
Questo è ciò che pensa Tom Marvolo Riddle della materia. Ma come è arrivato a dire e pensare ciò?
Durante un precorso della materia, al penultimo giorno del suo secondo anno, assiste su una sfera autonoma ( senza aver bisogno di usare l’Occhio Interiore, per poterla osservare)  a tre visioni sul suo futuro, tutte ambientate dopo Hogwarts e in un tetro castello in stile gotico, sperduto in una qualche località dell’Inghilterra.
In una di queste tre visioni ( l’ultima), ambientata in un’aula di pozioni dello stesso castello, si vede, lui adulto, in un momento di debolezza. Ha infatti i muscoli del collo tirati e la pelle sudata.
Questa sua immagine, di lui debole, non piacerà al suo prototipo giovane. Lui che si considera perfetto, come perfetto è il suo corpo. La storia del Maestro delle Arti Oscure, come il suo personaggio, si appresta, quindi, ad essere avvincente e anche piuttosto tormentata. Bellatrix nel frattempo comincerà anch'essa a divenire piano piano, sempre più simile alla strega oscura più potente che abbiamo conosciuto. Anche se l'Arte della Magia Nera, che il suo maestro ha ormai quasi deciso di insegnarle, sarà rinviata a periodi più maturi.  
 

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Capitolo 2
*** Non doveva sapere nulla ***


Dal grimorio di Bellatrix: “ Non doveva sapere nulla”
 
 
 
Erano passati circa quindici giorni dalla notte in cui Tom, il mio maestro, mi rivelò ciò che si attendeva da me. Nel frattempo erano cominciate le vacanze estive e a casa mia era cominciato il solito andirivieni di mia madre, in camera mia.
Avevo smaltito la paura che mi ero creata dentro di me l’ultima notte al castello, ci avevo riflettuto su ed ero arrivata a concludere che forse avrei potuto farcela a fare tutto ciò che il mio maestro si attendeva da me. Non era facile, certo, ma avevo sempre accolto le sfide con un certo entusiasmo e questo entusiasmo faceva si che anche le cose più difficili, mi venivano facilitate, oserei dire in modo quasi naturale. Ero convinta che anche questo alla fine sarebbe stato un compito più facile di quello che sembrava.
Tom, il mio maestro, mi aveva dato tempo per decidere quando fossi pronta ad iniziare; ebbene ora lo ero. Dovevo attendere comunque il primo settembre prima di comunicargli la decisione, dal momento che ognuno di noi, in questo periodo viveva per conto suo, lui in un orfanotrofio, e io con Andromeda e Narcissa. A parte la notizia che il mio maestro viveva in un orfanotrofio, non sapevo nulla di lui. Né conoscevo l’esatta ubicazione, né com’era fatto… niente.
La mia famiglia ovviamente non sapeva nulla di ciò che io e il mio maestro avremmo fatto al castello, una volta tornati. Ero convinta di non dire loro nulla, almeno fino a quando non avessi deciso a farlo. Ciò sarebbe dipeso unicamente dalla mia volontà, ma ero comunque certa che non avrei potuto nascondere la cosa in eterno ai miei. Ma per un certo periodo forse sarei riuscita a farlo. E poi non sapevo come l’avrebbero accolta: si sarebbero arrabbiati? L’avrebbero accolto con entusiasmo? Forse si, forse no. Ma a me, sinceramente, non importava nulla. Era una cosa che avevo deciso da sola, per conto mio, e non mi importava di ciò che mia madre o le mie sorelle avrebbero potuto dirmi.
“ Bella vieni che il pranzo è pronto, tesoro”
“ Arrivo madre”
Ogni giorno la frase che mia madre mi rivolgeva al di là della porta che tenevo chiusa proibendo a chiunque di aprirla senza il mio permesso, era questa. E la mia risposta variava in base all’umore che avevo. C’erano volte in cui rispondevo: “ Non ho fame, madre” quando ero di pessimo umore, oppure “ Arrivo madre” quando, come in questo caso, ero tranquilla; oppure quando ero a metà tra un umore e l’altro rispondevo: “ Più tardi madre”.
Di tante cose posso lamentarmi in casa mia, ma certamente non del fatto che mia madre accettasse qualunque mia richiesta senza fiatare. Ero stata cresciuta con l’assoluta libertà di scegliere ciò che più mi andava, e mia madre faceva sempre ciò che io le chiedevo. Non mi dava mai ordini nel vero senso del termine, ero io anzi che davo ordini a lei.
Il pranzo di casa nostra consisteva in quattro portate. Antipasto, primo piatto, secondo piatto e dolce. La cucina era una delle cose che la donna di casa sapeva fare meglio. Durante l’estate non rimpiansi mai particolarmente la cucina di Hogwarts proprio per questo motivo..
Quel pomeriggio però accadde qualcosa che per la prima volta, turbò il mio buon umore di quella giornata. Dromeda e Cissy, stavano giocando per conto loro in una stanza a parte quando suonarono alla porta. Andai a vedere dalla finestra di camera mia, chi fosse il seccatore. Mi si accapponò la pelle.
Una donna dall’aspetto altezzoso era, insieme a due ragazzini, in attesa di entrare in casa mia. E dal modo in cui aspettava capii che era di pessimo umore. Il ragazzo con lei altri non poteva essere che Rodolphus Lestrange e colui che gli stava vicino, il fratello minore Rabastan. Mi appostai dietro la porta, ora socchiusa, della mia camera per poter udire meglio la conversazione.
“ Ah buon pomeriggio” sentii dire quando varcò la soglia. “ Scusi il disturbo”
“ Signora Lestrange, a cosa devo la visita?” sentii dire da mia madre, un po’ apprensiva.
“ Adesso glielo dirò. Posso avere qualcosa da bere?” domandò in tono duro la donna
Sentii mia madre andare a prendere un bicchiere di burrobirra e versarlo all’ospite. Non sentii però la donna ringraziare. Che maleducata…
Ci fu un istante di silenzio, durante la quale l’ospite bevve la bevanda offertale da mia madre, senza alcuna cerimonia.
“ Sono qui, perché mio figlio mi ha raccontato di un fatto accaduto sul finire dello scorso anno accademico alla scuola di Hogwarts. Prego, Rod, esponi alla signora Black ciò che è successo”
Attesi un attimo, e nel frattempo cominciai seriamente a temere che Lestrange raccontasse dell’incidente che gli era capitato in biblioteca quel pomeriggio in cui perse i sensi.
Non mi sbagliai. Rodolphus raccontò ciò che era capitato quel pomeriggio e disse che a fare ciò ero stata io.
Al chè mia madre, inizialmente prese la notizia come una bufala, poiché rammentò: “ Non posso pensare che mia figlia Bella faccia mai una cosa del genere a una persona. Non è nel suo carattere”
Intervenne la madre di Lestrange, e dal tono capii che era rossa di rabbia: “ Ah no? Lei, signora Black non conosce bene sua figlia allora. Perché non la convoca qui e così possiamo sentire di persona, ciò che ha da dirci?”
“ Va bene. BELLATRIX SCENDI SUBITO!”
Sospirando cominciai a scendere di sotto, ripetendomi nella mente una possibile ricostruzione dei fatti che smentisse ciò che quello scemo di Lestrange si era creato nella testa, per mettermi nei casini.
Arrivai nel salotto e vidi la signora Lestrange seduta come una regina sulla poltrona di casa mia con i due figli: Rod e Rab seduti ai due lati di lei. Rod tanto sicuro di sé, invece Rab, già allora, mi sembrava introverso e timido. Mia madre, pallida, mi osservava in piedi la scena.
“ Bene, non è necessario che ripeta di nuovo tutto, poiché la signorina Bellatrix pare abbia udito tutto di sopra. Ti chiedo, allora, signorina, di raccontare ciò che è successo a mio figlio quel pomeriggio durante lo studio” mi ordinò la signora Lestrange. Al che io, leggermente adirata risposi che non era autorizzata a rivolgersi con me, con quei toni, in casa mia.
La signora Lestrange, tuttavia, sembrò non fare caso alla mia richiesta, anzi fece una risatina e si rivolse al figlio maggiore: “ Avevi ragione, Rod. E’ una vera leonessa la signorina Black. Ma noi siamo leoni, vero figlio mio?”
Poi rivolgendosi a me, con un tono fintamente gentile, ripetè la richiesta: “ Allora vuoi raccontarci ciò che hai fatto a mio figlio durante l’anno?”
Riordinai i pensieri, cercando di mantenere la calma per non esplodere, e allora raccontai la mia versione dei fatti, che poi era la pur semplice verità: “ Suo figlio mi aveva provocato”
La signora Lestrange spalancò gli occhi, incredula: “ Provocato? E in che modo provocato? Credo che avesse fatto una piccola e ingenua provocazione, più che altro un piccolo scherzetto come fanno tutti i ragazzini della sua età, no?”
Chiusi gli occhi, cercando sempre di restare calma e raccontare tutto con un tono, per quanto possibile, educato e cortese e risposi: “ Aveva insultato mio cugino Evan”
La signora Lestrange spalancò ancora di più gli occhi e si rivolse al figlio: “ Questo però non l’avevi detto Rod”
Rod allora per pararsi un po’ aggiunse rivolto alla madre: “ Stavo semplicemente scherzando, e poi io non ho agito con la magia, come ha fatto lei. Non è corretto. Lei ha esagerato, io ho detto quelle cose per scherzo”
Mia madre, da quella spiegazione parve riprendere vigore e rivolgendosi con sguardo sospettoso verso Rod domandò: “ Ma cosa combina suo figlio, signora Lestrange? Pedina mia figlia? Come fa a conoscere mio nipote Evan Black?”
Lì per lì, non ci avevo pensato. Né quel giorno in cui mi rivolse l’accusa e neanche ora che lo spiegai a tutti. Mi pedinava davvero? Come osava farlo?
Rod impallidì. Tuttavia in suo soccorso, intervenne la madre. Anche se lo fece in maniera poco convinta.
“ Non siamo qui per decidere chi pedini chi. Siamo qui perché sua figlia ha reagito in modo sconsiderato a quello che era una semplice dichiarazione scherzosa di mio figlio, su suo nipote”
Ma mia madre, finalmente si era ridestata dallo shock iniziale provocata dalla versione storpiata di Rod.
“ Posso sapere come mai suo figlio, pedina mia figlia?”
Non ci fu risposta. Rod, impallidito a morte, come un vigliacco, alla prima difficoltà decise che era arrivato il momento di darsela a gambe, visto che il suo patetico tentativo di incastrarmi, gli era andato storto.
Le ultime dichiarazioni, tuttavia avevano ridestato persino la signora Lestrange, che capì che forse suo figlio le aveva raccontato solo una parte della storia, ovviamente ciò che a lui faceva più comodo raccontare.
“ Ma cosa fai, Rod? Cosa combini? Non ho cresciuto una spia. Questo non me lo avevi detto”
Rod scoccò un’occhiata al fratello e questi rispose con lo sguardo che conveniva raccontare la verità. Il fratello maggiore, parve accettare, ma decise di farlo in separata sede.
“ E va bene, mamma. Te lo dirò, ma non qui”
Intervenne mia madre.
“ Nono. Lo voglio sapere ora. Qui. Non m’interessa. Voglio sapere perché pedini mia figlia.”
“ Mamma, andiamo. Ho sbagliato e lo riconosco. Adesso… andiamo”
La signora Lestrange, un po’ interdetta dalla figuraccia combinata, si alzò sotto pressione di Rod, trascinata per un braccio dal figlio, ormai pienamente convinto che il suo tentativo era miseramente fallito, e senza neanche salutare, uscì da casa. Quel modo brusco di sospendere la conversazione però in me, fece tirare un sospiro di sollievo. Anche quella volta ero riuscita a non far credere a mia madre che fossi colpevole in qualcosa. Ed ero riuscita persino a convincere la madre di Lestrange che forse, forse, la mia reazione non era poi così sconsiderata alla fine.
Rimasi però anch’io un po’ interdetta dalla reazione così frettolosa di Lestrange quando mia madre lo aveva costretto a dire il perché mi pedinasse. Al momento però non m’interessava molto sapere la risposta.
Mi sento solo di dire che quella fu l’ultima volta che vidi la signora Lestrange. Poi di lei si persero le tracce. Almeno fino a quando non mi fu detto ciò che le era capitato, anni dopo.
Ritornai in camera mia, convinta a iniziare i compiti delle vacanze, quando fui nuovamente interrotta da mia madre che bussò alla porta.  Sbuffando, la feci entrare. Dovevo pur sdebitarmi con lei per l’intuizione che aveva avuto, e che, lo confesso, era sfuggita inizialmente anche a me.
“ Bella, è successo davvero quello che la signora Lestrange ha riferito?”
Guardandola attraverso le mie bellissime palpebre pesanti, annui. Ma le spiegai che il motivo per cui l’avevo fatto era quello che avevo raccontato prima. Solo ed unicamente per quello.
Lei mi mise le mani sulle spalle e, guardandomi seriamente, per la prima volta accennò ad un qualche rimprovero nei miei confronti, tuttavia sempre molto misurato. Sembrava quasi che temesse a rimproverarmi seriamente. O che comunque non ci riuscisse. Essere la regina della casa, aveva i suoi privilegi.
“ Non devi farlo più, Bella. Mi raccomando”
Solo questo. Me lo disse in tono tranquillo. Questo fu il suo rimprovero. Io annuii e risposi: “ Va bene, madre”
Poi lei guardandomi mi domandò ancora: “ Chi eravate quel pomeriggio?”
A quella domanda tuttavia, non volli rispondere. Mia madre però insistette.
“ Rispondimi, Bellatrix”
Guardandola negli occhi, dopo un lungo istante, decisi infine di darle i nomi: “ Io e gli amici di Rodolphus: Avery e l'altro Dolohov, mi sembra che si chiami. Non lo conosco. E' più grande di me. Vai a capire come quello va a farsi per amica gente più grande di lui...”. In tutto questo omisi il nome del mio maestro.
Come ho detto in precedenza avevo  deciso che mia madre non doveva sapere nulla di me e di lui. Lo conosceva già, l’aveva visto l’anno prima a Diagon Alley. Se le avessi detto che io ero entrata in confidenze con lui, era probabile che lei mi frenasse. E io non volevo frenare la mia voglia di imparare, da lui, tutto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** L'armonica rubata ***


I giorni all’orfanotrofio trascorrevano in maniera terribilmente simile a quelli trascorsi nell’ultimo anno prima che Tom Riddle scoprisse la sua vera identità. Non era sostanzialmente cambiato nulla da allora. L’unica cosa che era cambiata era che la signora Cole, finalmente, lo lasciava in pace. Da quel primo luglio in cui era rientrato all’orfanotrofio Wool, non gli era stata rivolta la benchè minima parola. E lui, ovviamente  aveva fatto altrettanto.
Billy Stubbs non c’era più. Era stato accudito da una nuova famiglia che in una fredda notte invernale dell’anno precedente, aveva deciso di adottarlo.
Riddle dal giorno del suo addio personale nei suoi confronti, e in cui gli rivelò indirettamente il responsabile della morte del suo coniglio, non lo aveva più rivisto. Quel giorno il povero bambino era a letto con la varicella, e si era visto il suo peggior nemico in camera che si prendeva beffe di lui e del povero animaletto che era andato all’altro mondo a causa sua.
Tom Riddle e Billy Stubbs erano destinati a non vedersi più fino ad una buia notte di parecchi anni dopo, dove la morte del secondo sarebbe stata destinata a riempire le pagine dei giornali babbani, per giorni e giorni. Il colpevole ovviamente sarebbe rimasto nell’ignoto, poiché nessuna traccia di violenza sarebbe stata rinvenuta sul corpo. E neanche una qualunque forma di avvelenamento. Solo un’espressione di enorme paura nel suo volto. E chi ha mai visto qualcuno morire davvero di paura? Il caso era perciò destinato a chiudersi senza alcun colpevole.
Tom Riddle si alzò dal suo letto e decise di farsi un giretto per i corridoi dell’orfanotrofio. Per un attimo si immaginò di essere tornato al castello. E per un attimo si sentì felice. Il castello gli mancava enormemente: i corridoi, le nottate passate a gironzolare a zonzo per avere qualcosa da fare, da esplorare. Gli mancavano le lezioni e ogni genere di alimento di quella cucina straordinaria. Gli mancava la gente, la sua gente. Il suo mondo. Quello dove si trovava ora non era il suo mondo, che aveva conosciuto e di cui si era estasiato per un anno intero. E ogni legame con il suo mondo, durante quei due mesi, gli era troncato a causa di una stupida regola che gli proibiva di fare magie fuori dalla scuola. Non poteva divertirsi un po’ con quegli stupidi bambini frignoni lì dentro, a causa di quella regola che aveva rovinato tutto.
Eppure era certo che potesse esistere un modo per eludere tutto, per non farsi scoprire dalle istituzioni magiche. Ma al momento non gli veniva in mente nulla.
Aveva riflettuto anche su ciò che avrebbe potuto fare quell’anno e anche negli anni a seguire. Era arrivato a concludere che le Arti Oscure non erano ancora alla sua portata, quasi certamente. Occorreva aspettare ancora un po’. Forse un anno o due. Non di più. Ma un anno o due tutti.
L’addestramento di Bellatrix forse sarebbe già stato in grado di farlo da subito. Non era poi magia oscura quella che lei doveva svolgere in quel momento. Era più che altro un modo per cambiarla, per renderla in tutto e per tutto una strega malvagia, come la voleva lui. E la magia oscura era solo l’ultimo dei suoi scopi. E lo avrebbe fatto ovviamente fuori dal castello, giusto per non destare sospetti. Lui invece l’avrebbe imparata lì. Lui, Tom Riddle, il grande mago, non si sarebbe certamente fatto scoprire. Lei, Bellatrix, forse sì. Ecco perché non poteva rischiare più di tanto con lei.
Ecco, forse con lei avrebbe dovuto aspettare dopo Natale. Si, dopo Natale avrebbe avuto più senso cominciare con tutto quello che aveva in mente per lei. Avrebbero avuto anche la possibilità di esercitarsi direttamente nel parco del castello, in piena notte, lontano da tutti. In modo da non essere scoperti. Le lezioni teoriche, magari le avrebbe affrontate nella sala comune. Quelle sì. Quelle pratiche, invece,era troppo rischioso farle dentro il castello.
I suoi pensieri vennero interrotti da una melodia che giunse alle sue orecchie. Riconobbe il suono dello strumento, poiché l’anno prima era appartenuto a lui, uno dei tanti oggetti sequestrati agli altri bambini e che poi era stato costretto a restituire: era un’armonica. Aveva un suono perfetto, forse ancora migliore di quella che aveva sequestrato l’anno prima. Pareva più nuova.
Seguì la direzione lasciata dall’armonica e svoltato l’angolo vide un ragazzino appoggiato al muro, davanti la propria cameretta che suonava lo strumento. Pareva malinconico. Né la signora Cole, né la signora Western e neanche nessun altro insegnante lì dentro, pareva nei paraggi. Erano solo il bambino e lui.
Si avvicinò, e tese la mano richiedendo lo strumento. Tom Riddle negli anni, lì dentro era riuscito a crearsi una sorta di timore reverenziale nei confronti di tutti, soprattutto dopo che si era diffusa la voce che era diverso da tutti gli altri. Lui, dal canto suo li odiava da sempre i bambini li dentro. Uno dei motivi è che fino all’età di nove anni li sentiva strillare e piangere continuamente, di giorno, ma soprattutto di notte, perché erano deboli. Non potevano difendersi da ciò che veniva loro fatto, perché non erano maghi come lui e allora, non potendo difendersi, piangevano.
Dopo una piccola resistenza, dovuta più che altro ad orgoglio personale che ad altro, Riddle ottenne l’armonica dal ragazzino, con la promessa che se si fosse comportato bene nei giorni seguenti, gliel’avrebbe restituita. Ovviamente ciò non corrispondeva alle reali intenzioni di Riddle, cosicchè riusci ad impossessarsi dello strumento che fu sistemato nel suo armadietto personale. Anzi, fu sistemato direttamente dentro il proprio baule, in attesa del suo ritorno al castello.
La tirò fuori, quella sera stessa, e si beò della conquista. Era un’armonica cromatica che per ogni ottava consentiva di suonare tutte e dodici le note.
La prese e la provò un po’. Il suono era letteralmente perfetto e seducente. L’avrebbe portata con sé al castello e nelle notti in cui si annoiava l’avrebbe suonata per conto suo. Ovviamente nessuno avrebbe dovuto saperne nulla. Nè all’orfanotrofio né tanto meno al castello. Quell’armonica e lui sarebbero dovuti restare soli, loro due assieme, per tanti e tanti anni.


 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Volare sfruttando il vento ***


Il mese di vacanza all’orfanotrofio trascorse senza particolari grandi eventi e Tom Riddle dal primo di agosto decise nuovamente di trascorrere il resto delle vacanze come ospite del barista Tom al Paiolo Magico. Non vi erano stati grandi momenti in cui Riddle aveva trascorso in compagnia dei bambini dell’orfanotrofio. Ormai per lui quel momento rappresentava una sorta di totale estraneità. Si sentiva come un pesce fuor d’acqua.
Ecco che, appena mise piede al Paiolo Magico, tornò nuovamente ad assaporare l’odore della magia, l’odore a lui preferito e congeniale. Anche se il Paiolo non aveva lo stesso sentore magico del castello, era comunque un luogo decisamente migliore per lui, rispetto a quel vecchio e sporco orfanotrofio babbano: pieno zeppo di gente che aveva da ridire sul suo mondo, pieno zeppo di vera feccia che un giorno sarebbe dovuta essere tutta distrutta dalla radice.
Arrivato al pub, Tom Riddle spiegò brevemente la sua decisione di passare il resto delle vacanze lì, visto che la sua visita senza alcun preannuncio aveva sconcertato il barista. Si fece trovare una camera e si sistemò all’interno.
La prima settimana trascorse in totale tranquillità. Tom, come accaduto l’anno precedente volle fare tutto da sé: le pulizie della camera, il letto, volle persino che il cibo se lo cucinasse per conto suo. Ma questo gli fu negato. Tuttavia riuscì nuovamente ad entrare nelle grazie del barista, come l’anno prima. E anzi, forse persino di più.
Grazie alla sua estrema buona condotta lì dentro, il barista chiese a Tom cosa volesse in cambio di tutta quella grande collaborazione che sin dal primo minuto, il ragazzo aveva mostrato.
Tom ci riflettè su e dopo aver scelto con cura espresse il desiderio di poter visitare Diagon Alley anche la notte, dopo cena. Al che il barista, forse troppo precipitosamente, e soprattutto senza chiedersi il vero motivo per cui Riddle gli aveva fatto proprio quella richiesta, accettò.
D’altronde cosa avrebbe mai potuto fare un ragazzo bene educato come Tom Riddle in piena notte in giro per negozi?
Ma Riddle sapeva bene cosa doveva fare, lì in quella via. Una cosa che né il barista, né nessun altro avrebbero dovuto sapere. Ed era certo che non lo avrebbero saputo. Sapeva come agire. Non era la prima volta che prendeva qualcosa di nascosto da qualcuno, senza farsi scoprire.
Così la sera dell’ottavo giorno da quando si trovava al pub, in pieno permesso del barista, riuscì a sgattaiolare fuori dal Paiolo dall’uscita secondaria. Si trovò così nel cortile sbarrato dalla parete che faceva accedere alla via dei negozi magici, laddove un anno prima aveva fatto le compere per Hogwarts.
C’era un problema però. Non ricordava la combinazione al muro. Cosa strana in lui, Tom Riddle. Lui che di solito ricordava tutto e non falliva mai. Gettò uno sguardo alla parete, fin alla sua sommità. Poteva essere circa due o tre metri di altezza.
Aveva da molti anni, anzi fin da quando era un bambino, scoperto che si poteva volare anche senza essere su un aereo o costruirsi i deltaplani. Robacce babbane. No, lui aveva scoperto che si poteva sfruttare il movimento dell’aria per librarsi in volo. Controllare il vento. Fin dai tempi dell’orfanotrofio volava a pelo d’acqua sul mare, durante le gite sul posto, ovviamente all’insaputa di tutti. Non era facile non farsi notare, ma lui c’era comunque riuscito. Sapeva calibrare per bene i suoi movimenti nel volo senza alcuna difficoltà. Forse era nato proprio con quel suo potere segreto. E lo usava anche per sfuggire ad altre cose, assai meno piacevoli che capitavano, e gli capitavano, all’orfanotrofio, fin quando aveva otto anni.
Si concentrò, chiudendo gli occhi e subito avvertì i piedi che si staccavano da terra, e poi saliva. Saliva sempre più in alto domando il vento e sfruttandolo a pieno. Così potè scavalcare il muro in mattoni che fino a poco prima l’aveva ostacolato. Primo ostacolo superato a pieni voti.
Eccola lì. Diagon Alley gli si mostrò davanti, esattamente come la ricordava. A causa della tarda ora, però a differenza di come l’aveva conosciuta l’anno precedente, questa volta era pressochè deserta.
Ricordava dove si trovava il negozio da lui cercato. Era in fondo alla via. Avanzò riempito da un senso di decisione, potere e giustizia che provava sempre in circostanze come quella. Niente rabbia, quella era per anime più deboli della sua. Trionfo quello sì. L’aveva atteso da quasi una settimana quel momento.
Passò davanti alla Gringott con la tentazione di entrarci dentro e svaligiarla, ma non era quello che doveva fare ora. La sua destinazione era un’altra. La destinazione era in fondo alla via.
Ci arrivò senza praticamente incontrare nessuno. Solo un gruppetto di ragazzini che rientravano frettolosamente in direzione del Paiolo. Non c’erano altre persone.
Finalmente giunse alla sua destinazione: il vecchio negozio di bacchette di Olivander. Era sigillato, con una pesante serranda abbassata.
Sfilò la bacchetta dalla tasca, e provò un’inebriante proposito distruttivo. La agitò, dopo aver pronunciato l’incantesimo e la serranda venne distrutta. Il rumore della distruzione, fu tuttavia inavvertito dal momento che il proprietario del negozio, non abitava lì e comunque quand’anche abitasse lì, a quell’ora dormiva cosi profondamente da non sentire nulla.
La porta del negozio era chiusa a chiave, ma quel vecchio rimbambito non sapeva che lui conosceva la formula per aprirla. Si avvicinò, calpestando i cocci di ferro della serranda, distrutti e puntò nuovamente la bacchetta alla serratura della porta che si spalancò. Facile, troppo facile.
Varcò finalmente la soglia, dopo aver passato con estrema facilità, le pessime difese che il vecchio aveva posto al suo negozio e notò subito l’oggetto del suo desiderio: bacchette magiche.
Quelle bacchette gli sarebbero servite per scopi puramente personali. Si avvicinò e ne scelse a caso una quindicina, ovviamente senza alcuna possibilità di essere visto. Aveva scelto proprio l’esatto momento in cui tutta la via era completamente deserta. Aveva ancora una volta, fatto la scelta giusta. Lui e solo lui, l’avrebbe fatto.
Prese le scatole, le mise dentro un sacchetto, tra i tanti che il vecchio custodiva per impacchettare le bacchette che consegnava ai clienti, e senza la minima fretta né preoccupazione, né tantomeno rimorso uscì dal negozio.
Con qualche stratagemma avrebbe forse evitato persino delle sanzioni per aver compiuto magie fuori dalla scuola. Anche se, nel momento in cui le aveva compiute, si trovava in mezzo ad una comunità di suoi simili, e non in mezzo ai babbani. La regola stabiliva che non bisognava compiere magie in presenza di babbani. Quindi forse, non avrebbe neanche ricevuto una punizione.
In ogni caso, se la sarebbe cavata.
Quelle bacchette, che aveva rubato, gli servivano per qualcosa che, in tempi più maturi, avrebbe rivelato. Ora non era il momento. E soprattutto nessuno avrebbe dovuto sospettare di nulla.


 

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Capitolo 5
*** Sei una ragazzina ***


Dal grimorio di Bellatrix: “Sei una ragazzina”


 
Era arrivato il momento di fare compere per il ritorno al castello. Stamattina, ricevetti il gufo da Hogwarts la cui lettera arrecata mi faceva l’elenco dei nuovi libri di testo e del nuovo materiale da portare per le lezioni.
Mia madre decise di accompagnarmi, anche se in un primo momento le chiesi se avessi potuto andarci da sola. Niente da fare. In quello mia madre era irremovibile.
Ora devo chiarire un punto sul nostro rapporto. Fino a quando io ottenevo tutto da lei senza alcuna opposizione, pensavo che mia madre fosse la migliore al mondo. Nel momento in cui lei si opponeva ad una mia richiesta,  perché la giudicava forse troppo pretenziosa, cominciavo ad odiarla.
Segretamente la odiavo anche per il fatto che lei, come anche mio padre,  avrebbe preferito che nascessi maschio, invece che femmina. Io che ero decisamente più donna di quanto lo fosse lei, sia nei modi, sia nell’aspetto e sia anche come mentalità.  Mi infastidiva molto che solo con me ragionassero così. Sulla primogenita. Su Dromeda e Cissy non osarono mai dire ciò. Di questo mio odio segreto, però non ne feci mai parola, con lei direttamente. Me lo tenni sempre per me, fingendo di non ascoltare i miei genitori, sfogarsi e prendersela con il destino sul perché la primogenita doveva essere femmina, anziché maschio.  Li odiavo entrambi. E forse fu anche questo finto amor nei loro confronti a non rivelar loro mai tutti i miei segreti più profondi presenti e anche futuri.
In quest’occasione mi disse che mi avrebbe lasciato andare da sola l’anno in cui avrei raggiunto la maggiore età. Altri cinque anni quindi. Cinque lunghi e noiosissimi anni. Sbuffai spazientita.
Dovevamo andarci con mio cugino Evan che quest’anno inizia il suo primo anno a Hogwarts, come mia sorella Andromeda, ma ancora non si era presentato,  Era quasi sempre in ritardo. Dopo aver atteso un po’, senza tuttavia che lui si facesse vivo, decidemmo di andare per conto nostro. Al massimo ci avrebbe raggiunto lì direttamente.
Arrivammo a Diagon Alley alle dieci del mattino. Ma subito qualcosa catturò la nostra attenzione.
La via era praticamente deserta all’altezza dei primi negozi, tuttavia udivamo parecchie voci concitate, tutte ammassate verso il fondo di Diagon Alley. Sembrava tutta gente preoccupata per ciò che era successo.
Solo un negozio poteva esserci là, da dove provenivano le voci: il negozio di bacchette di Olivander.
Ci avvicinammo furtivamente, vinti dalla curiosità e qualcosa mi passò per la mente, quando vidi la folla accalcata davanti al negozio semidistrutto. Era evidente che qualcuno la notte precedente aveva scassinato il negozio per rubare con ogni probabilità delle bacchette. Ma chi?
Il proprietario, Olivander era piegato in due dalla disperazione. Seduto su una sedia davanti all’ingresso.
“ Mi hanno rubato quindici bacchette. Ladri maledetti…” si lamentava, in lacrime.
La folla cercava inutilmente di consolarlo, tranquillizzandolo che presto i ladri sarebbero stati scovati e gettati ad Azkaban.
Ma Olivander non sembrò particolarmente rincuorato.
“ Erano tutte bacchette nuove di zecca, appena arrivate. Chi potrebbe averne avuto così disperato bisogno? E’ ovvio che sia stato qualcuno che aveva un disperato di quelle bacchette. Loro non hanno scelto il ladro. E’ il ladro che aveva bisogno di loro.”
Mia madre si fece avanti.
“ Olivander, non ha notato nulla?”
Il vecchio levò lo sguardo, guardando mia madre con gli occhi azzurri, lucidi. Scosse la testa.
“ No. Nulla. Ieri sera quando ho chiuso il negozio era tutto in ordine. Stamattina quando sono arrivato qui, ho trovato la serranda distrutta e la porta del negozio spalancata, con quindici bacchette mancanti”
Bisbigli si levarono tra la folla accalcata.
“ Chi…chi può essere stato?” si chiedeva Olivander sempre più disperato.
“ Io forse posso saperlo. O almeno posso fare delle ipotesi” disse una voce tranquilla.
Tutti, compreso io, ci voltammo. Mi sentii una sorta di scarica elettrica nel corpo. Tom, il mio maestro avanzava deciso, facendosi largo tra la folla. Era ancora più bello dell’anno precedente. Come al solito non rideva. Era serio, e guardava la scena con una sorta di vivo interesse.
Avanzò passandomi davanti, senza tuttavia salutarmi. Lo sguardo fisso sempre su Olivander. Lo fissava con quel suo sguardo magnetico e misterioso, senza all’apparenza mostrarsi preoccupato. Ma forse era una mia sensazione. Sapeva nascondere così bene le sue emozioni…
Si voltò verso la serranda distrutta e come un detective cominciò a osservare con attenzione il tutto.
Parve percepire qualcosa quando si rialzò in piedi, dopo essersi accovacciato sui resti del ferro distrutto e voltandosi verso Olivander disse: “ E’ ovvio signore, che chi ha compiuto questo orribile gesto, abbia agito con la magia. Ne percepisco la presenza”
Olivander tirò su col naso e disse: “ In effetti ci avevo pensato anch’io. La domanda che mi pongo è: chi è stato? Lei, signor Riddle lo sa?”
Mi parve di vedere Tom leggermente pensieroso. Tuttavia ero troppo presa dal fascino della sua grande capacità di percepire la magia ad un’età pur giovane come la sua. Ero certa che lui sapesse chi era stato.
Udii mia madre muoversi appena alla mia destra, tuttavia quando la guardai, notai che anch’ella era in qualche modo ipnotizzata dalla vista del mio maestro.
Tom si allontanò dalla scena del crimine, e sempre osservando Olivander disse: “ Credo di non sbagliare, signore, se le dico che ho dei sospetti su chi possa essere stato”
Olivander spalancò gli occhi speranzoso che ci fosse almeno qualcuno in grado di poter rispondere alla sua domanda.
Il mio maestro cominciò a raccontare: “ Mi trovavo qui l’altra sera. Avevo ottenuto il permesso dal barista Tom di farmi un giretto notturno per la via. Tuttavia quando sono arrivato, ho notato la via quasi completamente deserta. Dico quasi, perché in realtà non lo era completamente. Quasi all’altezza del suo negozio, signore, ho notato un gruppo di ragazzini che se la dava letteralmente a gambe, allontanandosi da qualcosa. Vinto dalla curiosità ho deciso di proseguire verso il luogo da cui fuggivano. Caso vuole che sia giunto proprio qui, signore. Davanti al suo negozio. L’ho trovato in queste condizioni, signore quando sono arrivato qui. Non possono essere stati che loro a ridurlo in questo stato.”
Disse tutto questo con una sicurezza straordinaria. Il tono di voce tranquillo, controllato. Pareva completamente a suo agio.
“ E le bacchette?” domandò Olivander mezzo grato
“ Dovrebbero averle loro” rispose il mio maestro tranquillo
Olivander gettò un’occhiata prima a destra, poi a sinistra.
“ Signor Riddle, sa dove possano essere adesso questi ladruncoli? Riesce a riconoscerli?”
Tom a quella domanda, si guardò intorno furtivo. Il suo sguardo pareva quello di un felino in cerca della preda: così preciso, così perfetto…
Dopo qualche istante, puntò il dito verso due ragazzini che passavano di lì per caso. Disse solo due parole: “ Eccoli lì”
La folla si scaraventò tutta assieme addosso ai due, che non capendone il motivo non furono così svelti da poterla evitare. Furono letteralmente sommersi dalla folla inferocita, tra le persone vi era anche mia madre.
Olivander stesso si alzò in piedi e andò a minacciare i due malcapitati di consegnargli subito le bacchette, cosa che loro però negarono di avere.
Allora furono tirati su con la forza e fu loro ordinato di svuotare le tasche. Lo fecero e con grande stupore notarono che le loro due bacchette erano state scambiate con due che appartenevano a quelle scomparse la sera precedente dal negozio di Olivander.
Notai una strana luce nello sguardo del mio maestro appena Olivander scoprì che quelle due bacchette erano due di quelle rubate. Non vi erano dubbi, questo provava che il mio maestro aveva ragione: i colpevoli erano stati acciuffati. Almeno questo era stato ciò che Olivander e la folla intera aveva colto. A me però non sfuggì quello sguardo che Tom fece appena venne scoperta la colpevolezza dei due ragazzini.
Guardandomi attorno per non essere scoperta da mia madre, lei fortunatamente stava entrando proprio da Olivander per la bacchetta di Dromeda, decisi di parlare a tu per tu con lui.
Mi avvicinai, prendendolo in disparte e gli domandai: “ Sei stato tu a scambiarle?”
Oramai lo conoscevo bene. Sapevo quando in realtà nascondeva qualcosa. Era proprio questo che mi piaceva di lui: il suo essere così ingannatore, ma pur sempre convincente nelle sue difese. Talmente convincente da ingannare tutti. Tranne me, che ormai come dicevo, lo conoscevo bene.
Mi guardò, leggermente infastidito che io almeno avessi scoperto il suo segreto mi prese il braccio e mi trascinò verso un vicolo dietro al negozio di Olivander, senza farsi vedere.
Mi fece appoggiare al muro e guardandomi, mi disse: “ E se anche fosse, Bella? Non vorrai raccontare tutto come al tuo solito, vero?”
Scossi la testa. Ormai quella lezione sentivo di averla imparata. Non lo avrei più deluso, almeno riguardo a quello. Scoprii che il vicolo era quello di Nocturne Alley. Mi aveva portato, forse inconsciamente o forse no, nella via del diavolo. Sentivo in sottofondo le risate sferzanti della gente, nei locali della via.
Tornai a guardarlo. Era più alto di me. 
“ E’ questo che mi piace di te, Tom: sei in grado di non farti scoprire in nessuna cosa. Vorrei essere anch’io come te”
Lui mi guardò, stavolta divertito.
“ Certo. Io non sono un ragazzino, come te. Ragazzina…”
Gli feci il muso.
“ Io non sono una ragazzina”
“ Certo che lo sei, ragazzina” sorrise lui, punzecchiandomi e prendendomi in giro.
“ No” risposi trattenendo un sorrisetto.
“ Si invece. Ti sei fatta accompagnare da mammina. Io invece sono solo. Vedi che sei una ragazzina?”
“ Volevo venire da sola” gli risposi. “ Ma mia madre ha voluto venire anche lei”
“ Ragazzina. Sei una ragazzina” mi punzecchiò.
Io sospirai.
“ A volte vorrei essere anch’io orfana. Di certo, voi maestro, avete vissuto in maniera del tutto indipendente lì. Forse anche siete stato felice lì, prima di scoprire di essere un mago”
Lui, per tutta risposta, smise di punzecchiarmi scherzosamente. Di colpo si fece duro e i suoi occhi scuri  fiammeggiarono.
“ Non azzardarti a dire più una cosa del genere Bellatrix. Mi hai capito?”
“ Maestro cosa ho detto di male? Ho solo detto che…”
“ Smettila, subito. Visto? Sei una ragazzina. Una piccola ragazzina indisponente che non sa tenere a freno la lingua. Ti ripeto, Bella: non azzardarti più a dire una cosa del genere. E non intrometterti più in cose che non ti riguardano”
Si era infuriato solo per una battuta sulla sua vita lì. Doveva esserci qualcosa di nascosto. Qualcosa che lo turbava. Come un dolore interno. Mi fu chiaro da subito. Altrimenti non si spiegava. Non ebbi tuttavia il coraggio di chiederglielo, anche supponendo che non me lo avrebbe detto.
“Va bene” risposi, chinando la testa.
“ Bene” mi disse lui. E gettandomi un ultimo sguardo di fuoco, si allontanò da me.
Sentii ancora uno sbuffo di vento scompigliarmi i capelli, sebbene di vento in quel momento non ce ne fosse affatto.
Quella fu l’ultima volta, da ragazzina appunto, che accennai all’orfanotrofio con lui. Nei successivi anni durante la scuola, a Hogwarts, lui non me ne parlò più e io non gli chiesi nulla riguardo ciò.
Ad un tratto sentii la voce di mia madre che mi chiamava: “ Bellatrix, che cosa stai facendo?”
Mi voltai. Per fortuna il mio maestro non era più con me. Ma avevo seriamente corso il rischio di essere beccata.  Mia madre mi attendeva all’imbocco di Nocturne Alley.
“ Niente, madre. Davo solo un’occhiata”
“ Beh, torna qui. E’ pericolosa per te quella via”
“ Andiamoci assieme no, madre?”
Mia madre scosse la testa.
“ No, Bella. E’ pericolosa”
Mi afferrò per un braccio e mi portò immediatamente indietro. Cominciai allora a chiedermi come mai lei, mia madre, che doveva essere una strega potente e oscura o almeno credevo, avesse paura a frequentare per l’appunto una via oscura.
Cominciai a farmi, allora, un’idea ancora più precisa riguardo mia madre e, quindi, dei miei genitori: erano due che amavano parlare molto: la purezza di sangue, l’essere strega oscura… tutte cose giuste, ma che entrambi tentennavano parecchio quando si doveva passare ai fatti.
Mi convinsi quindi che l’idea di nascondere ai miei il mio percorso verso il diventare la futura strega più potente, agli ordini del mio maestro, fosse davvero la cosa più giusta.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** La strega di fuoco ***


Quanto era bravo. Quanto era speciale. Quanto era genio…
I ragazzini furono incolpati del furto, e quando dissero che le altre bacchette non sapevano dove fossero, furono comunque puniti. Olivander decise che, insieme a lui, quei due avrebbero dovuto ricostruire le tredici bacchette mancanti. Legno e nucleo. Un lavoro già lungo e impegnativo per una sola bacchetta, figuriamoci per tredici.
Nessuno osò pensare come diavolo fosse possibile che quei due ragazzi fossero completamente all’oscuro di come si fossero impossessati di quelle due bacchette. Loro stessi erano rimasti sotto shock alla vista di ciò che avevano nella tasca. Soprattutto dopo che Olivander aveva gridato al furto, appena visto ciò che loro avevano tirato fuori.
Riddle decise di lasciare i due al proprio destino e fece ritorno al Paiolo, compiacendosi della riuscita del suo piano. Nessuno ne era venuto a conoscenza. Da solo aveva ingannato più di una trentina di persone, le quali erano troppo sciocche per poter anche solo riflettere sulla bontà e veridicità delle informazioni da lui date.
Solo Bellatrix aveva scoperto il suo inganno, ma di lei non c’era da preoccuparsi. Ormai doveva aver compreso la piccola lezione che le aveva dato l’anno precedente. E poi quand’anche non l’avesse compresa, la paura di perderlo come amico l’avrebbe comunque frenata dalla tentazione di cadere nelle sue vecchie colpe. Si era dimostrata, però, altrettanto irritante per avergli ricordato, anche se indirettamente, un particolare della sua vita che odiava. Il dolore dentro di sé per quello che aveva subito in passato in quell’inferno era ancora troppo grande per essere anche solo raccontato a qualcun altro. Nessuno lo conosceva,  quel suo dolore, perché non l’aveva mai raccontato a nessuno.  E doveva rimanere tutto per sé.
Pensava a tutto questo quando  incontrò un ragazzino per la via che pareva perso e in qualche modo disorientato. Oltre che solo.
“ Scusa” chiamò.
Riddle puntò il suo sguardo sul suo.
“ Cosa vuoi, ragazzino?” domandò,  annoiato e distaccato.
“ Sto cercando una ragazza. Dovevamo andare assieme a fare le compere a Diagon Alley per l’anno scolastico, ma ho fatto ritardo e quando sono arrivato a casa sua, lei non c’era già più”
Riddle sbuffò. Ci mancava soltanto un seccatore incapace di essere puntuale ad un appuntamento. Il ragazzino non gli sembrava sveglio, ed ecco che cominciò subito ad essergli estremamente antipatico.
“ Chi sarebbe la ragazza che cerchi?”
“ Si chiama Bellatrix Black. E’ mia cugina”
Riddle lo guardò un attimo. Un sospetto gli passò per la mente.
“ E tu chi saresti?”
“ Mi chiamo Evan. Sono nuovo, frequenterò il primo anno a Hogwarts”
Riddle lo guardò con attenzione.
“ Tu saresti il cugino di Bellatrix, ragazzino?” domandò incredulo, fissandolo dall’alto al basso. Aveva sentito accennare al cugino di Bellatrix l’anno precedente. Ebbene non avrebbe mentito se avesse espresso una sorta di delusione: si aspettava decisamente di meglio.
Evan annuì leggermente stupito dal chiarimento chiesto dal ragazzo di fronte a lui.
“ Si, perché?” chiese
“ Niente, pensieri personali” si affrettò a rispondere Riddle. Evan parve sollevato.
Dopo averlo fissato un attimo di più, Riddle intuì qualcosa in lui. Qualcosa che occorreva riferire al diretto interessato in faccia, senza preoccuparsi troppo di come avrebbe accolto la cosa. Qualcuno avrebbe potuto pensare che fosse troppo crudele  sbattergli una cruda verità in faccia come quella, ma a lui sinceramente non importava nulla. Era abituato a parlare in faccia alle persone, a riferire loro verità anche spiacevoli, senza preoccuparsi troppo di come l’avrebbero accolta.
“ Senti, cugino Evan” cominciò, affabile, afferrandogli la spalla in modo da prenderlo con sé per fare due passi, come due vecchi amici. Cominciò a parlargli con il tono di chi sta per spiegare qualcosa di difficile comprensione. Fece anche uso di gesti, come se avesse a che fare con qualche malato mentale.
“ Devi sapere che la scuola dove andiamo noi è una scuola di magia. La magia è cosa per adulti, non possiamo permettere che chiunque possa entrarci, non credi? La magia deve essere studiata da gente capace…” fece una pausa, fissando Evan che attendeva la fine del discorso che Riddle gli stava facendo.
“ Ora non vorrei ferirti, ma tu non mi sembri adatto a frequentare la nostra scuola. Un ragazzo che non riesce ad essere puntuale all’appuntamento con sua cugina, come potrebbe essere puntuale ad esempio alle lezioni? Faresti fare pessima figura a tua cugina Bella. Io la conosco, fidati. E’ una ragazza molto brava, con molto talento. Estremamente precisa e puntuale alle lezioni. Se venissero a sapere che ha un cugino che è l’esatto opposto di lei, un po’ della sua aura di strega perfetta verrebbe a perdersi non credi, cugino Evan?”
Non lo fece neanche ribattere, poiché guardandolo fisso, senza più sorridergli, come aveva fatto mentre gli spiegava ciò che pensava di lui, gli domandò: “ Di che specie sei?”
Evan non capì la domanda.
“ Di che specie… cosa vuoi dire?”
Riddle sospirò. Era proprio sciocco e limitato.
“ Di che famiglia sei? Di maghi o di Babbani?” domandò, scandendo le parole.
“ Oh.. sono di famiglia mago, entrambi i miei genitori sono maghi”
Riddle lo guardò attentamente.
“ Sei sicuro?”
Evan scioccamente, forse perché in soggezione, abbassò lo sguardo evitando di guardare Riddle negli occhi. Lui tuttavia gli afferrò il mento e lo costrinse ad alzarlo.
Evan, allora, annuì.
Diceva la verità, suo malgrado. Non lo avrebbe mai detto a prima vista. Allora una qualità quel ragazzino inutile ce l’aveva.
“ Questo è bene, ragazzino. Allora forse c’è una possibilità che tu possa farcela. La tua cuginetta ti attende in fondo alla via. Una domanda prima, tu che forse la conosci bene”.
Evan lo fissò con sguardo perso. Quel dialogo lo aveva intontito più di quanto non lo fosse normalmente.
Riddle parve riflettere un attimo. Poi domandò: “ Che strega è tua cugina?”
Evan, ancora una volta, non parve capire la domanda. Quel ragazzo però non sembrava avere molta pazienza. Gli sembrava uno che pretendeva di sapere le cose all’istante; così tentò la prima cosa che gli passava per la mente, senza osare chiedergli chiarimenti.
“ Mia cugina è una strega abile e piena di talento, lo hai detto tu” rispose, sperando fosse la risposta cercata dal suo interlocutore.
Riddle lo fissò, spazientito.
“Ti ho chiesto: che strega è tua cugina? Aria, acqua o fuoco? Rispondimi ragazzino”
Evan non riuscì ancora a comprendere la domanda. Poi dovette fare un evidente sforzo di memoria. Ricordò Bellatrix da bambina che si divertiva nell’oscurità a creare piccole fiammelle sulle candele e sui candelabri della casa. Anche al mare, durante le vacanze, accendeva il fuoco più impetuoso di tutti gli altri membri della famiglia sulle rocce che cadevano a picco.
“E’ abile con il fuoco. Se può esserti utile…”
“ E’ una strega di fuoco, quindi?”
Evan annuì poco convinto.
“ Se è quello che intendi…”
“ Bene. Lo terrò a mente, ragazzino”
Evan annuì ancora, domandandosi ancora il motivo di quella domanda. Fece per voltarsi, per andare da Bellatrix, quando venne nuovamente richiamato da Riddle. Evan si voltò.
“ Non racconterai nulla del nostro piccolo incontro, ragazzino, né a tua cugina, né a nessun altro. Neanche della domanda che ti ho fatto e tantomeno della sua risposta. Intesi?”
Evan non resistette a chiederne il motivo.
“ Il motivo a te non interessa. E’ una questione tra me e tua cugina. Ora va. A scuola nessuno dovrà sospettare di nulla, della nostra reciproca conoscenza, tantomeno Bella.”
“ Non conosco neanche il tuo nome…” disse Evan come se fosse completamente privo di un qualunque punto di appoggio nel raccontare del loro incontro.
Riddle lo fissò, poi decise che era meglio lasciare le cose com’erano.
“ Il mio nome ora per te non è importante. Se vorrò te lo dirò. Conosco tua cugina, e so che se raccontassi di un incontro con una persona, lei subito penserebbe a me. Lo so, la conosco. Ecco perché dovrai tenere completamente nascosta ogni cosa. Lei non sarà comunque in grado di tirartela fuori di sua volontà, perché lei non sa fare alcune cose che so fare io… almeno per ora”
Senza dire altro, Riddle si voltò e fece ritorno al Paiolo e Evan andò da Bellatrix, più confuso di quanto non lo fosse mai stato in vita sua. 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** A cosa servono quei falò? ***


Dal grimorio di Bellatrix: “A cosa servono quei falò?”


 
Stavamo tornando indietro con mia madre e Andromeda quando vidi Evan venirmi incontro. Sembrava in qualche modo traumatizzato da qualcosa che però non riuscii ad intuire.
Lo salutai e anche le altre due persone con me, fecero altrettanto. Lui accennò un cenno di saluto, senza però proferire parola. Anzi si mostrò ancora più turbato quando notò il negozio di Olivander distrutto e la gran massa di persone che ancora stavano sulla via, proprio davanti al negozio.
Mia madre, mi suggerì di andare a fare un giro per le vie di Diagon Alley con Evan e lei con Dromeda fece lo stesso. Io avevo in già mente quale via volevo visitare, ma avrei preferito farlo da sola.
Quando fummo soli Evan mi domandò: “ Cosa è successo al negozio?” e indicò la serranda distrutta.
“ C’è stato un rapimento di bacchette” gli risposi. Lui parve preoccuparsi. E’ un bravo ragazzo Evan. Capii che dovevo rassicurarlo: “ Ma i colpevoli sono stati acciuffati da Olivander”. Feci un pausa, incerta se proseguire oppure no. Evan dal canto suo parve rilassarsi.
Alla fine decisi di proseguire: “ Ma io so che in realtà è stato un altro a rubarle”
Lui cambiò repentinamente espressione e mi gettò un’occhiata allarmata: “ E tu non hai detto nulla? Non hai avvertito che quelle persone non erano i veri colpevoli e che il vero colpevole sapevi chi fosse?”
Lo guardai senza capire o forse era lui a non capire.
“ E perché avrei dovuto dirlo?” gli domandai, fissandolo.
“ Perché era un criminale. Ecco perché”
Poi parve capire.
“ Sei amica con quel criminale. Non è vero? Ecco perché non hai voluto parlare. Volevi coprirlo”
Lo guardai un po’ storta: “ E se anche fosse? Vuoi farmi la morale, Evan? Non sono la persona adatta a sentire morali altrui”
Lui continuò a fissarmi, quasi come se mi vedesse per la prima volta e invece ci conoscevamo da quando eravamo piccoli.
Poi chiese ancora: “ Posso almeno sapere chi è?”
Non so se il mio maestro avesse intenzione di farsi scoprire, immaginai di no, ma pensai ugualmente che le probabilità che i due si conoscessero già era molto vicina ad essere nulla. Decisi di dargli una approssimata descrizione del mio maestro. A Hogwarts c’erano centinaia di ragazzi, più o meno simili a lui e la probabilità che lo riconoscesse tra quelle persone era anch’essa quasi nulla.
“ E’ un ragazzo alto, magro, con la pelle pallida, i capelli neri e lo sguardo…”
Lui forse già allora non mi stava ascoltando, perché mi parve che distogliesse lo sguardo e impallidì per qualcosa che avevo detto. Non capii il motivo per cui fece questo, ma continuai nella mia descrizione e mentre lo descrivevo ce l’avevo bello chiaro nella mente.
Evan mi interruppe: “ E come si chiama?”
Questo non volevo e non dovevo dirglielo.
“ Questo non posso dirtelo, Evan. Mi dispiace” gli risposi
“ Ti rendi conto di quello che stai facendo, Bella? Stai proteggendo un criminale. E proteggendolo ti stai prendendo la tua responsabilità di complice. Se lo sapesse zia…”
“ E tu non glielo dirai” lo minacciai. Non mi interessava che mia madre sapesse che mi ero resa complice di una rapina, non rivelando l’identità del colpevole. Ma la mia paura era che lei scoprisse che ci conoscevamo e allora forse mi avrebbe impedito di continuare a frequentare il mio maestro. E ciò non doveva accadere.
“ Va bene. Non glielo dirò. Ma devi parlare tu. Stasera quando torni a casa, racconterai a zia ciò che è veramente successo e soprattutto chi ha fatto tutto questo. Va bene?”
“ Si” gli risposi. “ Lo farò”.
Non avrei mai fatto una pazzia del genere ovvio. E anche oggi, che sto scrivendo qui, i miei non sanno nulla della nostra reciproca conoscenza di ciò che sto facendo insieme a lui, nel presente. E non devono saperlo.
Evan intanto continuava a tartassarmi: “ Come hai potuto farti amico uno come lui? Come hai potuto proteggerlo? Ti userà Bella, ne sono convinto. Ti userà e ti trasformerà simile a lui, in tutto e per tutto”
Io però non lo ascoltavo. Sia perché sinceramente non mi interessavano tutte le sue convinzioni, sia perché qualora anche fossero interessanti, la mia strada era tracciata.
Ma lui continuava imperterrito: “ E’ crudele, è spietato, è un mascalzone…”
Partì uno schiaffo. Lo colpì sulla guancia. Evan mi guardò quasi con le lacrime agli occhi.
“ Non azzardarti mai più a dire quelle cose, Evan. Mi hai capito?”
Gli insulti che aveva detto al mio maestro mi avevano fatto montare una rabbia mai provata prima. Lo odiavo, volevo fargli del male per aver osato dire una cosa del genere. Non doveva azzardarsi. Non doveva permettersi.
Lui, colpito da quella reazione, annuì. In quel momento, come se a colpirlo fosse stata un’altra persona, tornai in me e mi scusai con lui per quello che avevo fatto. Lui annuì ancora, senza dire nulla. Non sapevo cosa stesse pensando in quel momento, ma fortunatamente nessuno parve vedere la mia reazione collerica con Evan, anche perché tutto il dialogo era stato fatto a voce appena percettibile dall’altro.
“ Ci facciamo un giro?” proposi calma, come se nulla fosse successo.
Lui annuì ancora, tenendosi la guancia, senza dire una parola. Sembrava stesse continuando a pensare qualcosa, anche se non seppi dire cosa.
Per tutto il giro, Evan rimase zitto. Comprò il materiale necessario al suo primo anno, con me ad accompagnarlo, senza che dicesse null’altro che un “ciao” appena entrato e un “arrivederci” quando era il momento di andare via.
Poi approfittando dell’assenza di mia madre e di Dromeda, proposi a Evan di farci una gita nascosta per Nocturne Alley, senza che nessuno lo venisse a sapere. Era giorno, pomeriggio per la precisione, non notte. Ritenevo che di giorno anche ad un undicenne e una dodicenne non dovesse poi essere così terribile, quella via. Ero una ragazzina ai tempi, oggi ovviamente sarei in grado di andarci da sola anche nel cuore della notte senza alcun problema. Anzi mi divertirei pure a farlo. Soprattutto se ci fosse anche lui, con me.   
Evan accettò, anche se dovetti prima convincerlo. Ci incamminammo per la via.
Sebbene fosse  giorno, notai già allora le decine e decine di candele poste sui davanzali dei negozi, dei locali e delle case e una serie di falò ancora accesi lungo la vie. E’ un particolare che allora non mi era chiaro, ma poi anni dopo compresi  il reale utilizzo che veniva fatto di quei falò.
Tuttavia mi rivolsi a Evan: “ Secondo te a cosa servono quei fuochi?”
“ A scaldarsi, forse…”.
Era la prima volta, dopo ore, che Evan mi rivolgeva la parola. Però non fui molto convinta della sua supposizione. Era ancora estate, dopotutto. Mi avvicinai al muretto dove brillava la fiamma. Sembrava un fuoco del tutto normale. L’unica stranezza che notai fu della cenere per terra, attorno al fuoco, come se vi fosse stato bruciato qualcosa. Ma a parte quello, come detto, era una normalissima fiamma. Quando ero bambina, mi divertivo al mare, durante le vacanze, ad accendere il fuoco. Il mio era il più impetuoso di tutti gli altri membri della famiglia. Lo facevamo sulle rocce che cadevano a picco nell’acqua e così ci scaldavamo tutti. Anche se a dodici anni la mia natura di strega non mi era ancora chiara…
Stavo concentrandomi sul fuoco, quando udii qualcuno uscire dal negozio di fronte.  Ci nascondemmo dietro uno dei muretti, dal quale brillava l’elemento e udimmo ciò che il proprietario stava borbottando tra sé.
“ Ma perché devono venire qui a usare il mio falò? Quello scemo spilungone della bottega laggiù, li manda tutti qui. Gli avevo detto di far usare gli altri falò. Non il mio” Con un colpo della bacchetta, spense le fiamme del muretto, dietro il quale ci eravamo nascosti, e spazzò via le polveri di cenere. Fu Evan a trattenere il respiro e mi indicò un punto sul retro del muretto, dove ci nascondevamo noi. Osservai il punto e tutto mi sembrò stranissimo. Vidi una forma: una sorta di pentacolo rovesciato. Conoscevo il simbolo, ma non capii il perché metterlo su un semplice muretto, dove vi era un semplice falò.
L’uomo intanto continuava a protestare: “ Adesso appena finisco qua, torno da lui. Spero solo di trovarlo fuori da quella stupida e orrenda bottega. Non so parlare quella lingua per farmi aprire”
Ci guardammo sia io che Evan. Eravamo certi che quel tizio fosse un po’ pazzo. Uscì una seconda persona dal negozio sulla destra. Ci avvicinammo ulteriormente al muretto, per non dargli la possibilità di farci notare.
“ Ehilà vecchio mio. Che fai pulisci?” domandò
“ Si, Sinister. C’è quello scemo della bottega che ha preso l’abitudine di mandare i suoi clienti ad usare il mio falò per i suoi affari”
“ Vedo, vedo” disse Sinister sorridendo. Poi abbassò la voce, tanto che feci fatica ad udire cosa dicesse.
“ Hai sentito cosa è successo l’altra notte al negozio di Olivander? Gli hanno distrutto il negozio e rubato le bacchette. Quel vecchio sciocco, l’ho sempre pensato che fosse un vecchio stupido, a fidarsi troppo, solo perché quella è… Diagon Alley” aggiunse sprezzante. Poi continuò: “ Io al mio negozio, quando lo chiudo, faccio sempre una serie di incantesimi protettivi. Lui invece sa tutto delle bacchette, ma non le usa mai. Ben gli sta…”
“ Si sa già chi è stato?” domandò l’altro, continuando a pulire.
Vidi Evan con la coda dell’occhio, gettarmi uno sguardo. Ma non avevo voglia di litigare di nuovo. Non lì.
“ Si, pare abbiano preso i colpevoli. Tra l’altro ho sentito che è stato un ragazzo a trovarli. Ammirevole vero? Lui e non Olivander. Davvero ammirevole”
“ E si sa chi è questo giovane?”
Il mio cuore battè più forte. Vidi Evan farsi più attento.
“ Dicono che sia il più brillante studente che Hogwarts abbia mai avuto. Io so il suo nome, perchè sua madre…” si avvicinò all’uomo e non udii più nulla. Vidi l’altro sbalordirsi da quello che Sinister gli aveva detto.
“ Veramente?”
“ Oh si. E mi disse che suo padre…” si avvicinò ancora e ancora non udii nulla.
L’uomo sembrava sempre più sbalordito. Evan continuava ad ascoltare, un po’ turbato che neanche lui avesse udito parte della conversazione.
“ E sai come si chiama, hai detto?”
Desiderai che Evan non sentisse ancora risposta. Fortunatamente così avvenne, perché Sinister ne pronunciò il nome nell’orecchio dell’uomo.
Questi commentò: “ Bel nome davvero. Nome classico, anche se il cognome non l’ho mai sentito a dire il vero”
“ Si, dicono che però non ami molto quel nome, perché lo ritiene troppo ordinario. Così ho sentito da alcune voci che mi sono giunte. Ho i miei consiglieri. E’ già famoso, nel mondo. Pensa ha solo dodici anni ed è già famoso. D’altronde puoi essere famoso a quell’età solo se hai enorme talento. E dicono che abbia un dono naturale, visto la sua discendenza”
Per l’ennesima volta si avvicinò e parlò all’orecchio.
“ Veramente? E tu pensi che possa essere… lui?”
“ Ci sono ottime possibilità che possa esserlo. Ma ti immagini se lo dovesse venire a sapere? A Hogwarts accadrà il finimondo, visto che ritengo, e ci sono ottime probabilità, che la leggenda sia vera”
Ammetto e non mi vergogno a dire che, all’epoca, in tutto il dialogo che fecero, non ci capii nulla. Continuavo a vagare nelle mente un po’ a ciò che stavano discutendo costoro e un po’ al pentacolo stampato sul muretto. Mi domandavo cosa volessero intendere i due, Sinister e l’altro, e quale ruolo avesse quel simbolo sul nostro nascondiglio.
I due intanto conclusero la discussione.
“ Mi ha fatto piacere scambiare due chiacchiere con te, amico mio. Ti auguro un buon proseguimento. Stasera hai festa?” domandò Sinister.
“ Si. Stavo pulendo appunto per quello. Riti e musiche di magia oscura, sempre quelli. Adesso vado da quello scemo a ricordargli qualche cosetta”
Sinister ridacchiò nervosamente e disse: “ Occhio perché è un tipo alto e piuttosto irascibile. E poi a me quel tono possente che ha, mi mette sempre timore”
“ A me non interessa. Deve imparare ad avere rispetto per il mio falò. Ce ne sono a decine qui. Possibile che debba sempre mandare i suoi clienti ad usare il mio?”
“ Buona fortuna. Spera solo di non trovarlo dentro quella bottega, perché se così fosse dovrai chiedere aiuto a tu-sai-chi. Sai che quando è chiuso lì dentro preferisce che lo si chiami in quel modo…” ridacchiò e tornò indietro verso il suo negozio nella via principale.   
L’uomo rimasto finì di pulire attorno al falò spento, poi rientrò un attimo dentro il proprio negozio di fronte a noi, fortunatamente senza notarci.  Uscì, accese di nuovo il fuoco, fece un respiro profondo e si diresse lungo la via tra le decine e decine di negozi, locali, case e falò accesi. Poi scomparve dalla vista.
Approfittando della calma, ci alzammo, gettai un ultimo sguardo al falò di nuovo acceso, con il simbolo del pentacolo stampato nel retro del muretto e tornai indietro, con Evan al mio seguito. Il sole stava tramontando e nel frattempo si stava sollevando un po’ di vento.

 


Ciao a tutti!  Finora ho usato poco le note perché ritenevo che la storia fosse abbastanza comprensibile per tutti. Qui qualcuno potrebbe avere dei dubbi riguardo ciò che Bella e suo cugino notano di nascosto.
Il simbolo del pentacolo rovesciato  che entrambi colgono dietro il muretto del falò, e il falò stesso, hanno un particolare scopo che vi verrà poi spiegato nella storia “ Il Maestro delle Arti Oscure” scritto da Circe. Qui ne faccio solo un accenno sulla presenza del simbolo e sui falò, senza tuttavia specificarne il ruolo. Perché in questa storia è un aspetto secondario,  mentre è  abbastanza importante lì. Qui lo scopo della storia è più quello di porre le domande, lì ci saranno le risposte.
Approfitto anche del fatto per porre accento al dolore dell’infanzia di Tom all’orfanotrofio, accennato al secondo capitolo. Qui rimarrà avvolto nel mistero, anche se si potrebbe già intuire quale fosse. Lì, nel Maestro,  vi sarà la risposta esplicita. Per chi fosse curioso, e bramasse la verità, vi suggerisco di leggere anche quella storia scritta da Circe.
Anche riguardo la domanda sul tipo di strega che è Bellatrix, che Tom rivolge a Evan, vi sarà chiaro lì il perché lo abbia chiesto.
Riguardo al fatto che Sinister conoscesse già Tom Riddle, sebbene non personalmente, è dovuto al fatto che ho immaginato che Merope fosse stata una sua compagna a Hogwarts. E che, durante quegli anni,  gli abbia raccontato un po’ della sua famiglia (che sapessero parlare il serpentese). Inoltre avete letto che Sinister accenna al padre, ho immaginato, infatti,  che l’unica persona ad aver visto Merope prima del parto (oltre che i direttori dell’orfanotrofio) fosse appunto Sinister e che nell’occasione gli abbia fatto sapere chi è il padre del bambino.
Ultima cosa e poi vi lascio. Avrete senz’altro notato che vi sono riferimenti nella scrittura del grimorio, quasi come se fosse stato scritto più in là negli anni, come se fosse un’ autobiografia della sua adolescenza e in effetti è così. Il periodo in cui ho immaginato che Bella (e poi più avanti anche Rabastan e Rodolphus) scrivessero il grimorio è più o meno ambientato alla fine degli avvenimenti del Maestro. Quindi parallelamente a quella (scritta anche sotto pagine di grimorio), ho immaginato che Bellatrix scrivesse anche questa. Magari nel tempo libero ahah. Spero apprezziate l’idea.
Vi ringrazio e vi auguro una buona lettura!!   



 
 
 

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Capitolo 8
*** Il guaio di Bellatrix ***


Il viaggio per il castello quel primo settembre fu tranquillo. Anche se avrebbe preferito viaggiare in uno scompartimento isolato, senza nessuno accanto a lui, si convinse a prendere quello occupato dall’unica persona che l’anno prima aveva stretto con lui un rapporto, diciamo, di stima. Il problema era che quell’anno Bellatrix non era sola, ma aveva quello stupido ragazzo che diceva di essere suo cugino, accanto a lei. Aveva notato che per tutto il viaggio, Evan lo guardava in modo strano. Cosa avesse da guardarlo in quel modo, lui non lo sapeva. Una cosa era però certa: gli dava enorme fastidio.
L’arrivo al castello fu diverso rispetto all’anno precedente. L’anno prima erano arrivati a bordo di alcune barche, stavolta a portarli in quella che lui considerava casa, furono delle strane carrozze trainate da nessuno.
Sempre a differenza dell’anno precedente, furono subito mandati nella Sala Grande in attesa dello Smistamento. Smistamento che avvenne dopo quella che parve un’eternità.
Tom si era seduto da solo, in disparte. Venne poi raggiunto da Bellatrix che si sedette vicino a lui, alla sua destra.
Black Andromeda” chiamò Silente.
La secondogenita della famiglia Black, sorella di Bellatrix, si sedette sulla sedia.
SERPEVERDE”
Andromeda corse e scelse il posto tenuto appositamente libero, alla destra di Bella, visibilmente soddisfatta.
Lestrange Rabastan”
Dal tavolo dei Serpeverde, Rodolphus diede una piccola gomitata ad Avery jr seduto accanto a lui.
Il ragazzino si sedette, serio, sulla sedia.
“ SERPEVERDE” gridò il Cappello.
Senza alcuna reazione apparente: né di felicità, né di tristezza, Rabastan si unì al fratello maggiore. Rodolphus gli diede una pacca alle spalle dicendogli qualcosa del tipo: “ Su con la vita, fratello”
Malcontenta Mirtilla”
Si fece avanti una ragazzina con un paio di occhiali spessi e delle lunghe trecce. Il cognome sembrava fatto apposta per lei: pareva sull’orlo di un pianto disperato. Dava l’impressione di non essere mai stata felice in vita sua.
CORVONERO” gridò il Cappello. Lei se lo tolse dalla testa, e, come se si stesse dirigendo ad un cimitero a dare l’ultimo saluto ad un parente stretto, si avviò verso il tavolo dei Corvonero.
“ Black Evan”
 “SERPEVERDE”

Quando lo smistamento finì, cominciò il banchetto, delizioso come sempre. O almeno lo sarebbe stato per chiunque, a parte Riddle. Il giovane assaggiò qualcosina qua e là, ma niente di straordinario. Non era uno che di solito amava mangiare fino a riempirsi, Tom Riddle. Mangiava quel tanto che gli permetteva di vivere senza morire di fame.
Mentre mangiava, notò ancora Evan che, di fronte a lui, di tanto in tanto, gli gettava un’occhiata.
Ma cosa diavolo aveva intenzione di fare, quell’idiota? Voleva rompere il patto, in presenza di sua cugina?
Distolse lo sguardo e cercò di ignorarlo. Sentì la voce di Bellatrix alla sua destra: “ Evan che hai?”
Evan continuava a guardarlo. Bellatrix si voltò verso Riddle senza capire.
Maledetto ragazzo. Stai rovinando tutto…
Finì di mangiare per ultimo e stranamente altrettanto fece il cugino di Bella. Dopo il discorso finale di Dippet, furono tutti spediti nella sala comune. Quelli del primo anno, guidati dai prefetti.
Evan e Riddle furono gli unici a rimanere da soli nella Sala Grande. Anche i professori si diressero verso i loro uffici.
Evan si rivolse a Riddle, dopo che sembrava avesse lottato contro la paura di dire ciò che stava pensando.
“ E così tu sei un criminale. Ho parlato ad un criminale, l’altra volta”
Riddle lo guardò senza capire.
“ Criminale? Cosa stai dicendo?”
“ Sei stato tu a rubare le bacchette da Olivander, non è vero?”
Riddle cominciò ad arrabbiarsi.
“ Si può sapere chi ti ha riferito questa sciocchezza, ragazzo?”
Ma dentro di sé cominciò ad avere un sospetto di chi potesse essere stato. L’unica persona che condivideva rapporti sia con il ragazzo di fronte a lui, sia con lui stesso. L’unica persona a rivolgergli la parola da un anno. L’unica persona al quale aveva concesso di parlargli quasi liberamente.
Evan lo guardò trionfante
“ E’ stata Bella a dirmelo”
Proprio come aveva sospettato. Allora non aveva ancora imparato…
“ Le hai riferito del nostro colloquio?” domandò Riddle in preda alla collera
Evan scosse la testa.
“ No. Anche se avrei voluto. Non ho voglia che mia cugina diventi amica di un criminale, ora andrò a riferire ai professori ciò che è successo. Loro sicuramente avranno presente ciò che è successo. Avvertiranno il signor Olivander che sei stato tu”
Riddle tirò fuori la bacchetta.
“ Fermati!” ordinò minaccioso
Ma Evan non si fermò.
Non vi fu altra soluzione. Puntò la bacchetta su Evan e sussurrò: “ Oblivion”
Evan si fermò e si voltò con espressione vacua. Riddle allora si avvicinò, prese Evan per un braccio e lo chiuse a chiave dentro la saletta dietro il tavolo professori. Lì dentro sarebbe rimasto, almeno fino a quando…
“ Evan” sentì chiamare alle sue spalle, mentre chiudeva la porta a chiave.
Bellatrix si era accorta che il cugino non era sopraggiunto. E allora aveva deciso di andarlo a cercare direttamente nell’ultimo posto in cui l’aveva notato.
Trovò invece Riddle.
“ Tom” disse preoccupata. “ Sai dov’è quel ragazzo che stava seduto vicino a noi?”
Riddle fece una faccia fintamente sorpresa.
“ Chi?” domandò
Bellatrix si innervosì.
“ Avanti, quel ragazzo che stava con noi sul treno e che si è seduto vicino a me. Tu sei l’unico che può averlo visto. Ti prego, Tom… Se lo perdo, mia zia…” si guardò attorno disperata. La calma innaturale di Riddle, la innervosì ulteriormente. Ma lei, sciocca, non sapeva… non aveva la minima idea che tutto quel nervoso che lei aveva in sé, lui lo trasformava in collera verso di lei. Tuttavia finse di non mostrarsi arrabbiato.
“ Come si chiama questa persona?” domandò, sempre calmo, guardandosi le dita.
“ Evan” disse Bellatrix, dopo una breve pausa, nella quale disperata si guardava attorno.
Riddle fece un’espressione pensierosa.
“ Evan… Evan… mi ricorda qualcosa… o meglio… qualcuno”
Bellatrix lo guardò sorpresa.
“ Vi conoscete?”
Era allibita e un attimo dopo un terrore assurdo le invase il petto, ricordandosi che, se fosse stato davvero così, cioè se si fossero conosciuti davvero, lei aveva rivelato a Evan che Tom era stato il responsabile del furto da Olivander. Avrebbe combinato un altro casino, molto più grande di quelli passati.
Ma il suo maestro non poteva conoscerlo. Era impossibile.
Sempre guardandosi le dita lunghe e pallide, Riddle sorrise. La vedeva terrorizzata. Esattamente come voleva vederla, in quel momento.
“ Lascia che ti faccia una domanda io, Bella” disse in un sussurro minaccioso. Sollevò lo sguardo, senza più sorridere e Bellatrix si sentì gelare da quello sguardo. Non l’aveva mai visto così infuriato.
“ Cosa devo fare, io, affinchè tu capisca la lezione che da un anno sto cercando di farti imparare?”
Lei capì subito che il suo peggiore intuito, era vero: si conoscevano e Evan doveva avergli riferito i suoi sospetti poco prima. Riddle ovviamente doveva pur difendersi…
Bellatrix sussurrò: “ M-mi dispiace…”
Ma Riddle non l’ascoltò. Tirò fuori la bacchetta dalla tasca. Rimase a guardarla, con lo sguardo basso, mentre la girava tra le dita.
“Cosa dovrei fare io, ora? Dovrei perdonarti come ho fatto le altre volte? Devo perdonare una ragazzina che non riesce a mantenere un segreto? Devo perdonare una ragazzina che a stento capisce che io sono il suo maestro e deve obbedirmi?” Le gettò un’occhiata fulminea e levò la bacchetta.
“ Maestro, vi supplico…”
Si guardarono negli occhi. Lei sempre implorante, lui con rabbia. Tenne la bacchetta puntata su di lei.
Ma non agì. Qualcosa lo frenò. Abbassò la bacchetta. Qualcosa in lei, nello sguardo, lo aveva frenato.  
Vedendo la bacchetta del suo maestro abbassarsi, Bellatrix trasformò la sua espressione da terrore a stupore.
“ Non mi punite, maestro?”  domandò stupita.
Lui la guardò ma non rispose.
“ Non ce l’avete fatta maestro?” insistette lei
Continuò a guardarla.
“Ritieniti fortunata, Bellatrix”
Nient’altro. Lei accennò un sorriso. Riddle ripose la bacchetta nella tasca.
“ Il tuo cuginetto si trova in questa stanza. Recuperatelo e fa in modo che non mi intralci più il cammino. Altrimenti la prossima volta, non mi fermerò a cancellargli un angolo di memoria. Non sarò così clemente con lui”.
Bellatrix si rialzò. Fissò Riddle con sguardo provocatorio e domandò sfrontata: “ E con me?”
Ma lui si irrigidì.
“ Smettila. Fai troppe domande da ragazzina indisponente. Fa’ come ti ho detto, Bella”
Si allontanò da lei e si diresse verso la sala comune, pensando a ciò che gli era successo quella sera. Quel ritorno al castello, quella sera era stato più tempestoso del previsto.
C’era mancato poco che quell’Evan rovinasse tutto. Ma lui, grazie alla sua abilità era riuscito a impedire che arrivasse a fondo del suo intento. C’era mancato poco… E ancora una volta era stata Bellatrix a dare vita a tutto.
Si coricò nel letto e un altro problema gli invase la testa, impedendogli per molte ore di chiudere occhio
Forse non era stata una buona idea non punirla. Lui che all’orfanotrofio non si faceva problemi a punire chiunque lo insultasse o facesse il cattivo con lui. Ricordava bene i suoi poteri iniziali, ciò che quegli sciocchi pensavano di lui. Non le forze della natura che sapeva controllare mentalmente sin dall’età di otto o nove anni, no. Non la magia che sperimentava in luoghi impervi, selvaggi e inavvicinabili a chiunque, durante le vacanze al mare, no. Era magia diversa. Gambe e braccia rotte e alcune volte addirittura spezzate a coloro che osavano troppo con lui.
E mentre pensava questo un’altra inquietudine riaffiorò nella sua mente, vivida come non gli succedeva da anni. Sentiva dentro di sé, rimbombare nella sua mente, le urla e i pianti dei bambini dell’orfanotrofio. E gli inservienti che si avvicinavano a lui, ridendo, volendogli far subire, ciò che subivano gli altri bambini; e lui li respingeva con la sua magia, perché non gli andava di fare quello che gli chiedevano di fare. Gli altri invece piangevano perché non potevano difendersi. Erano diversi da lui. Aveva sei o sette anni allora.
I suoi peggiori ricordi erano quelli e nessuno avrebbe avuto il privilegio di conoscere. Nessuno, mai.
Dopo anni in cui cercava di dimenticare quelle orribili nottate, ma non solo; che cercava di dimenticare il motivo per cui odiava quel luogo buio, triste e freddo, il ricordo riaffiorò per la prima volta da allora, periodo in cui lo subiva. E fu così terribile che gli impedì di chiudere occhio per tutta la notte.





   




 


 

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Capitolo 9
*** Modera quel tono con me, ragazzina ***


 Dal grimorio di Bellatrix: “ Modera quel tono con me, ragazzina”
 

 
Stamattina, dopo una decina di giorni in cui stavamo di nuovo qui al castello, avevamo lezione di Storia della Magia con il professor Ruf. E’ un tipo piuttosto palloso, che parla con una voce monotona e senza alcuna vena emotiva. Tant’è che durante la maggior parte delle lezioni, persino io non riesco a restare sveglia e mi addormento. Lui, ovviamente, va avanti senza neanche accorgersene. Penso di non esagerare se dicessi che potrebbe benissimo crollare la scuola e lui continuerebbe imperterrito nella spiegazione, come se nulla fosse accaduto. D’altronde è un fantasma e non potrebbe morire nuovamente.
Ma quel giorno, quel particolare giorno, la lezione fu interessante. Molto interessante. E anche incredibilmente influenzante per me.  Tom era seduto dietro di me. Apparentemente assorto nei suoi pensieri come sempre, d’altronde.
L’argomento della lezione fu la persecuzione dei maghi e delle streghe durante il secolo XIV, bruciate sul rogo.
Quando udii che l’argomento sarebbe stato quello, lì per lì, fui presa da una strana sensazione: persecuzione? Bruciate sul rogo? Mi domandai.
Sapevo che mia madre era una strega dal sangue puro, e aveva la mania per il suo, il nostro sangue di mago. Tuttavia, varie volte le avevo chiesto in passato, del perché avesse quelle convinzioni. Ero l’unica che osò farle la domanda, l’unica di tre sorelle a pormi la domanda. Ma lei ogni volta mi aveva respinto, dicendomi che ero ancora troppo piccola e che non voleva turbarmi. Mi diceva soltanto che i Babbani erano malvagi e inferiori, senza però darmi un valido motivo. Un giorno me lo avrebbe spiegato.
Peccato però che lo avesse fatto troppo tardi.
Dopo la prima mezzora di spiegazione, cominciai a sentirmi male. Cominciai a sudare freddo e non riuscire più ad ascoltare una sola parola di quello che il professore stava spiegando.
Cercando di rimanere lucida, alzai una mano. Udii il mio maestro alle mie spalle dire rivolto al professore: “ Mi scusi, signore. C’è la signorina Black che non sta molto bene”.
I miei ricordi da quel momento, si fecero piuttosto confusi. Ricordo solo che mi risvegliai dopo qualche ora in Infermeria.
Madama Chips era una donna piuttosto strana apparentemente. Era la classica donna che sembrava andare come il vento. C’erano giorni in cui la si beccava di buon umore e accettava le visite anche prolungate, altre volte in cui avrebbe divorato chiunque si fosse permesso di chiedere un colloquio con il malato.
Quando mi svegliai la notai seduta accanto al mio letto, che mi fissava con lo sguardo perso. Si ridestò, appena si accorse che avevo aperto gli occhi e con un mezzo sorriso mi disse: “ Oh, ti sei svegliata, finalmente. Hai avuto una crisi, mica da poco”.
Ma io non mi sentii in vena di farla chiacchierare troppo. Dentro di me, avevo preso una decisione di puro istinto, cosa strana a dire la verità. Io che ero molto razionale nel fare delle cose.
A dire il vero, l’avrei dovuto già fare, ma il malore che mi prese me lo impedì. E ora mi trovavo sdraiata sul letto dell’infermeria del castello. Mi alzai di scatto. Non volevo mostrarmi debole. Io, Bellatrix Black, ero una ragazza forte, non debole. E i forti non si fanno curare…
Madama Chips restò in qualche modo turbata dalla mia reazione improvvisa. Mi guardò con cipiglio severo e mi domandò cosa avessi intenzione di fare.
Ma lei non era la mia professoressa e non ero tenuta a raccontare a lei quali fossero le mie intenzioni. Lei che forse in quel momento non provava quello che provavo io. Lei che forse era a conoscenza di quella cosa, ma nonostante tutto faceva finta di nulla…
Ignorando gli ordini suoi di tornare subito da lei, mi diressi in biblioteca. Nel giro di un anno e qualche giorno, per me erano più i momenti passati lì dentro, in quell’angolo della scuola, che nella mia sala comune. Adoravo quel luogo. Adoravo il profumo delle pagine dei libri. Mi sentivo a casa.
Ma quel giorno, tutto mi scivolava via. Ero lì per un motivo, per una conferma. E se avessi ricevuto quella conferma, molte cose in me sarebbero cambiate. Molte cose che, fino a quel giorno, consideravo vere, ma le prendevo un po’ per gioco, non le avrei prese più come tali.
In quel momento non avrei avuto voglia neanche di parlare con il mio maestro. Avevo una tale sete di verità, che non riuscivo a pensare ad altro: vedevo solo il mio obiettivo. Eravamo solo noi due.
Mentre mi stavo avvicinando al cancello che dava accesso al reparto proibito, sentii una risatina alle mie spalle e una voce femminile sopraggiunse alle mie orecchie: “ Bene, bene, bene. Vedo che una bambina vuole entrare nel reparto proibito della biblioteca senza alcun indugio”
Fui terribilmente seccata che fossi stata interrotta dalla mia ricerca spasmodica. Voltai lo sguardo. La ragazza che avevo di fronte era alta all’incirca quanto me, un po’ più grassottella, con capelli più chiari, più ondulati e anche più corti dei miei. I suoi occhi erano più chiari dei miei, anche.
Mi rivolsi a lei in  modo non proprio educato: “Sei qui per controllarmi? So badare a me stessa, da sola. Grazie” ed entrai nel reparto.
Lei, seguendomi, ridacchiò ancora ed ebbe l’effetto di farmi infuriare ancora di più.
“ Comunque io, da persona educata, al contrario tuo, mi par di vedere, mi presento. Sono Alecto Carrow. Sono due anni più grande di te, ragazzina. Quindi ti avverto: modera il tono con me, altrimenti…”
“ Altrimenti?” domandai io, voltandomi a guardare Alecto. “ Non è giornata. Quindi vedi di non seccarmi più e di tornartene in aula e…”
“ Come ti chiami ragazzina?” me lo chiese con tono derisorio. Era evidente che sfoggiasse da subito il suo essere più adulto, per prendersi beffe di me. Devo essere sincera: sin dal mio primo incontro con Alecto capii subito che tra noi non sarebbe mai corso buon sangue. Oggi a distanza di anni, lo posso affermare con estrema certezza.
“ Anche questo non ti riguarda” risposi aspra.
“ Ma come siamo arrogantelli, bambina…”
“ Non sono una bambina!” Quasi le urlai contro. Non permettevo a nessuno fuorchè al mio maestro di chiamarmi bambina o ragazzina. Non doveva permettersi, non doveva osare. 
Ma lei continuava a tartassarmi con stupide domande, con l’obiettivo di prendermi in giro e farmi perdere tempo, al che la parte peggiore di me ebbe ben presto il sopravvento e fui costretta a tirar fuori la bacchetta.
Lei smise subito di ridere ed estrasse immediatamente la propria. Avrei potuto schiantarla all’istante se avessi voluto. Li conoscevo gli schiantesimi, mia madre me li aveva insegnati sin da piccola prestandomi più volte la propria bacchetta per farmi esercitare. Tuttavia questa volta non c’era con me il mio maestro a proteggermi e, se l’avessi schiantata, avrei potuto finire tra i sospettati.
“ Vuoi duellare con me, ragazzina? A me piacciono i pivellini e le pivelline che osano sfidarsi con me. Ma ti avverto: sono bravissima nei duelli”
Mi sentivo anch’io portata nei duelli in quel momento. Ero furibonda e quando mi arrabbiavo mi sentivo più crudele, più potente e più spietata che mai, sin da allora. Io e Alecto ci odiavamo a vicenda e ci odiamo tutt’ora. Anche se all’epoca l’odio era più che altro invidia di Alecto, nei miei confronti. Di questo ne ero certa. Divenne odio vero, dopo che accadde una cosa tra noi di cui vado fiera. Una cosa accaduta anni dopo rispetto al periodo dei fatti di questa storia che sto scrivendo ora.
“ Lo sono anch’io. Io ti avverto, cicciona: non mi conosci e non sai cosa posso e sono in grado di farti”
“ Neanche tu conosci me. Ma sono piacevolmente sorpresa che una bambina come te abbia così tanto coraggio. Sarà così ancora più bello, mostrarti e soprattutto insegnarti le gerarchie tra me e te”
Strinsi la bacchetta, puntandogliela alla gola. Lei fece lo stesso con me.
“ Ringrazia che siamo a scuola e non possiamo duellare davvero. Ritieniti fortunata cicciona”
“ Oh ci saranno sicuramente molte altre occasioni per farlo, bambina. Non preoccuparti. Presto vedrai contro chi ti sei messa…”
E gettandomi un ultimo sguardo altezzoso, ma niente in confronto a quello che gettai io nei confronti suoi, ripose la bacchetta e se ne andò.
Lo stesso feci io e mi diressi nel reparto da sola, senza che Alecto osasse più fermarmi. Non mi importava che ne facesse parola con gli insegnanti. Non mi importava di nulla in quel momento. Solo della mia ricerca.  Feci scattare la serratura e la porta di acciaio si aprì.
Il reparto proibito doveva nascondere tutta la parte riguardante l’apprendimento della magia e delle Arti Oscure. Ebbi per un attimo la tentazione di verificare personalmente tutto questo, di testa mia. Ma poi ripensai a quello che mi aveva detto il mio maestro l’anno prima e resistetti alla tentazione. E poi, in quel momento, ero lì per altri scopi.
Ci misi una buona mezzora prima di trovare il libro di cui avevo bisogno. Era un libro dalla rilegatura nera, come la gran parte dei libri presenti in quel reparto.
Lo aprii e cercai la parte che più mi interessava. Feci un incantesimo alla porta d’acciaio in modo che non potesse essere aperta, se non da me stessa, e mi nascosi dietro gli enormi scaffali facendo un silenzio assoluto. Alecto non si sarebbe più fatta viva, ne ero certa.
I miei occhi nel frattempo scorrevano incessantemente nella lettura, e più leggevano e più l’odio mi ribolliva nel petto.
E l’odio riguardò anche mia madre. Mi aveva taciuto quella tremenda verità. Credeva che ero piccola? Credeva che non avessi potuto comprendere davvero ciò che mi avrebbe raccontato? Mi considerava una bambina senza cervello?
Presi il libro, nella mia collera cieca e lo strappai in mille pezzi. Nella mia follia, forse, avevo inconsciamente gettato qualche urlo di troppo, forse udibile al di là del reparto. Ma fortunatamente non venne nessuno. Evidentemente persino il bibliotecario aveva qualche impegno fuori dalla biblioteca. E gli studenti, essendo comunque appena cominciato l’anno, non avevano motivo di andare lì.
Quella fu la prima volta in cui davvero non ci vidi più dalla rabbia. Quella fu la prima volta che davvero compresi l’atrocità che noi maghi e streghe avevamo subito a causa di quegli esseri ripugnanti, privi del sangue blu, del sangue puro. Promisi a me stessa, che non avrei mai stretto rapporti con un babbano o con un mezzosangue e avrei punito inesorabilmente chiunque avessi visto, in rapporti con loro.
E mia madre… mia madre che mi aveva taciuto la verità. Mi aveva detto solo che dovevo considerarmi migliore di loro, senza però dirmi ciò che davvero contava per me: quella verità che quella mattina, prima a lezione, e poi lì dentro, avevo scoperto.
Dopo essermi calmata, almeno in parte, guardai terra e notai i pezzettini di pergamena e di copertina, che avevano subìto la mia folle collera. Tirai fuori la bacchetta e pronunciando, con il respiro affannoso, la formula, il libro tornò integro e venne messo al suo posto.  
Cercai di rimettermi in ordine. I capelli, durante quei dieci minuti di totale pazzia, mi si erano tutti messi in disordine e mi ricadevano davanti agli occhi.
Ora mi sentivo una persona nuova. Una persona più matura. Ebbi il folle desiderio di andare in cerca di tutti i mezzosangue presenti nella scuola, e poi di tutti i babbani presenti nel mondo e punirli tutti. Dal primo all’ultimo. Per ciò che avevano fatto a noi maghi e streghe secoli prima. La storia non cancellava i fatti. E  poco m’importava che fossero passati tanti anni da allora. Dovevano pagare e pagare caro.
Poi la ragione, prese il sopravvento. Non potevo mai arrivare a trovare e punire i mezzosangue da sola, senza essere notata.  Il mio maestro, mi avrebbe aiutato in questo. Lui, con un animo oscuro come il suo, non poteva non avere odio per loro. Era impossibile.
Ma ora avevo un’altra cosa in mente. Se odiavo i babbani, lo stesso termine, in quel momento lo avrei usato anche nei confronti di mia madre. Decisi quindi, dopo essermi messa in ordine, di dirigermi nella guferia e mandarle un gufo, nella quale le spiegavo che da quel momento avevo preso ad odiare anche lei.
Arrivata lì, scelsi un gufo nero, stesso colore del mio umore in quel momento e, presa una piuma, scrissi queste parole
.


Cara madre,
scrivo “cara” perché è consuetudine iniziare una lettera in questo modo, ma non lo meriteresti affatto. Comunque… cara madre, oggi abbiamo affrontato un argomento in storia della magia che mi ha fatto venire i brividi. Nel vero senso della parola. Sono stata male. Ti chiederai il motivo per cui mi sono sentita male, ebbene abbiamo affrontato l’argomento della persecuzione che siamo stati costretti a subire da quelle creature di razza ripugnante che tu mi hai sempre detto di odiare. Oggi ho scoperto il motivo. E’ questo che ti ho appena scritto.
Non avrei mai pensato che tu potessi anche solo pensare di tacermi un motivo così tanto terribile come questo. Forse pensavi che fossi troppo piccola per comprenderlo? Pensavi che non lo avrei retto? No… io ho una certezza del perché non me l’hai detto: pensavi o temevi che avessi potuto agire d’impulso. Che potessi cacciarmi nei guai. Ma non per me, quanto per loro. Si madre… io penso che tu parli, parli, ma non agisci. Non ti prendi le tue responsabilità di quello che dici, fai tante chiacchiere ma poi fatti zero.
Cos’è? Provi pena per loro? Non li odi così tanto come sbandieri? Perché allora mi hai impedito di farmi sapere la verità? Temevi che potessi far loro del male?
Io credo proprio di sì. Temo di aver almeno scoperto la tua di verità, madre. Ecco perché ho deciso che dalla prossima estate non tornerò più a casa. Non voglio più vederti. Sparisci dalla mia vita e dalla mia vista e non farti più vedere, altrimenti sfogherò la mia terribile collera, che ancora provo, verso di te. Magari con papà, fatti un figlio maschio. In questo modo anche il tuo desiderio realizzato di avere un maschio, al posto mio, potrebbe renderti più felice. In fondo è questo che vuoi no? Non volevi me, perché ero una femmina? E perché con Cissy e Dromeda non pensi  le stesse cose? Ho capito: per te io sono la figlia peggiore. Beh, ti farà piacere sentirmi dire le stesse cose su di te. Sei la madre peggiore che una figlia potrebbe desiderare.
Addio!
Tua figlia, ma non la meriti
Bella



 
 
 
 

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Capitolo 10
*** L'inizio ***


Tom nel frattempo finì la sua giornata di lezione. Bellatrix non si era fatta vedere per tutta la giornata. Forse stava davvero male. Ma poco male, l’avrebbe comunque superato. Non serviva neanche andarla a trovare in infermeria. Uno perché non voleva avvicinarsi troppo, due perché pensava che una come lei, avrebbe passato la malattia con poca fatica.
E infatti verso sera, lo raggiunse di corsa davanti all’ingresso della sala comune di Serpeverde, deserta, dopo essersi fatto un giretto per i corridoi del castello.
Quando lo raggiunse, notò che era sconvolta. Qualcosa di diverso lampeggiava nei suoi occhi. Non gli fu necessario leggerle nella mente poiché lei gli raccontò tutto ciò che aveva scoperto, che poi in realtà era lo stesso che anche lui aveva sentito a lezione quella mattina.
Stranamente Bellatrix si stupì quando il suo maestro non reagì minimamente alla notizia della persecuzione che i maghi avevano subito dai babbani nei secoli passati.
Si incupì persino con lui e gli domandò: “ Non sei sconvolto?”
Lui la guardò fisso, senza batter ciglio.
“ Perché dovrei esserlo? Io li odiavo già da prima. Questo è solo un’ulteriore prova che ho nel farmi pensare di essere dalla parte della ragione”.
Lei restò spiazzata.
“ Li odiavi già da prima?” domandò
Lui sorrise.
“ Non sai nulla di me, Bella. Non sai nulla del mio passato. Ho motivi, oserei dire, personali del perché li odio con tutto me stesso”.
Ma lei dopo la rassicurazione si sentì meglio. Sapeva che il suo maestro non l’avrebbe delusa. L’unico a non farlo in quella giornataccia.
Bellatrix scoprì di essere molto più pronta anche solo rispetto al giorno prima, così osò fare la richiesta che aspettava da molto tempo.
“ Vorrei iniziare stasera. Questa notizia di oggi mi ha totalmente scosso. Sento di essere pronta, e poi un giorno vorrei vendicarmi su tutta la loro razza per quello che ci hanno fatto. Ripagarli con la stessa mone…”
Ma Riddle alzò una mano interrompendola. La guardò infastidito.
“ Sei pazza a parlare qui? Capisco che sei scossa, ma trattieni questo tuo dannato istinto”
Le disse che avrebbero parlato durante l’ora di cena. Quella sera entrambi non avevano fame. Avrebbero approfittato della totale assenza dei compagni, per potersi dire tutto.
Arrivata l’ora, dopo che la sala fu deserta, furono liberi.
Bellatrix decisa si avviò verso Riddle che la aspettava in disparte per non dare nell’occhio.
“ Maestro, vorrei iniziare stanotte stessa. Mi sento pronta. Voglio essere pronta per quando mi vendicherò personalmente su quella feccia. E lo farò una volta uscita di qui. Devono pagare caro tutto quello che ci hanno fatto”.
Riddle la lasciò sfogare, in silenzio. Poi, rimanendo serio, disse la sua.
“ Io ora non posso insegnarti la magia oscura. Primo perché al momento, lo ammetto, devo approfondire anche io, secondo perché qui correremmo rischi futili e sciocchi se te la insegnassi. No, ho in serbo per te un altro tipo di insegnamento. Ma voglio fin d’ora renderti chiaro un punto di fondamentale importanza:  se io accettassi un giorno di insegnarti la magia oscura, mi faresti una promessa? Mi rimarrai sempre fedele? Mi farai sapere tutto quello che penserai, in modo da non esserci segreti tra noi? Forse, Bellatrix, non comprendi ancora l’enorme aiuto che ti sto dando, e che ti darò se saprai meritartelo. Sei ancora troppo piccola. Non ho mai dato a nessuno un aiuto come quello che sto dando a te e mai nessuno lo riceverà. Un giorno, forse, mi sarai tremendamente grata per l’aiuto che ti ho offerto. Ti ripeto: sei l’unica a cui ho offerto ciò. Fanne buon uso”
Bella lo guardò decisa.
“ Lo farò maestro. Farò in modo che siate sempre orgoglioso di me. Farò in modo di essere sempre cercata da voi, saprò esservi affidabile. Saprò esservi utile. La mia persona da questo momento è a vostra completa disposizione”
Riddle la guardò e le fece un mezzo sorriso.
“ Bene” disse. “ Molto bene”.
Bellatrix però ebbe un sospetto.
“ Maestro” domandò: “ Voi… sapevate già tutto di me?”
Riddle la osservò con estrema attenzione.
“ Lascia che ti faccia io una domanda. Secondo te, se non ti conoscessi abbastanza ti avrei offerto questa possibilità? Io di te conosco molte più cose di quanto immagini, ragazza. Io di te so tutto. Anche cose che tu stessa ignori in questo momento. E sono parecchie. Cose che sono assopite dentro di te, che piano piano si stanno svegliando. Te l’ho detto alla fine dell’anno scorso Bellatrix, dovrai diventare la mia strega. La strega più oscura e la più potente. Ma per questo ci sarà tempo, per quando sarai più grande. Io ora voglio prima misurarti sulle tue potenzialità magiche attuali, per poi insegnarti la mia magia, quando sarai più grande”
Bellatrix abbassò lo sguardo un po’ delusa. Non ci voleva un maestro di legimanzia per comprendere il motivo per cui lo fosse, ma il suo maestro in quello fu irremovibile.
“ Perché dovrei insegnartela or ora? Non conosco ancora le tue vere capacità. Sarebbe troppo imprudente da parte mia insegnarti una cosa, se non sapessi perfettamente che fossi in grado di sopportarla e soprattutto di impararla bene quasi quanto me. Ecco perché voglio prima testarti sulla magia, diciamo così, accademica. Se ti dimostrerai in grado di superare questa prima prova, nulla ti impedirà poi di imparare la magia oscura, da me. Nulla. Capisci? Ma ripeto, te la insegnerò quando sarai adulta. Quella è certamente roba molto avanzata e per gente adulta. Non mi va di rischiare troppo. Bisogna mantenere un certo ritegno qui, altrimenti la mia vera natura, che voglio nascondere, verrebbe subito fuori”
“ Appena finita la scuola, maestro. Me la fate almeno questa promessa?”
Riddle la guardò poi sorrise.
“ Hai fretta vedo”
“ Appena finita la scuola” ripetè Bella implorante
“ Diciassette anni? Sei ancora una ragazzina a quell’età. No, non credo che vada bene”
“ Diciotto” propose lei.
Riddle considerò quella stupida trattativa, una bambinata.
“ Vent’anni. Non uno di meno” contropropose lui, decidendo di stare al gioco.
“ Diciannove e non se ne parla più” disse lei, sorridendo e compiacendosi che il suo maestro avesse accettato quel gioco sulle età che avrebbe dovuto avere per diventare a tutti gli effetti la strega più potente.
Dopo una lunga pausa riflessiva, Riddle alla fine accettò.
“ Va bene. Ma solo se sarai completamente indipendente a quell’età. Indipendente vuol dire che non ti farai accompagnare dai tuoi genitori a Diagon Alley, ad esempio” aggiunse con un sorrisetto beffardo.
Lei comprese dove il suo maestro stava parando e arrossendo rispose: “ Vi ho detto che volevo andarci da sola. Ma mia madre, sapete com’è? Possessiva e anche…” si trattenne perché era ancora arrabbiata per l’orribile verità che le aveva nascosto e aveva scoperto quella mattina.
Si ricordò invece del cambio d’umore in quella circostanza particolare del suo maestro quando lei aveva accennato all’idea di voler stare in un orfanotrofio. Domandò quindi: “ Maestro, perché vi siete incollerito con me, quel giorno? Ho detto qualcosa che non va?”
Lui smise di sorridere e la guardò con uno strano luccichio negli occhi.
“ Hai detto che avresti voluto vivere anche tu in un orfanotrofio, giusto?”
“ Si” rispose lei. Ricordava perfettamente.
“ La vita negli orfanotrofi è orrenda, neanche brutta. Orrenda. E a me è capitato qualcosa di veramente orrendo lì dentro”
“ Cosa? Cosa vi è successo maestro? Io voglio e posso aiutarvi a farvi dimenticare tutto”
Non avrebbe mai dovuto dire una cosa del genere. Riddle la guardo con una furia glaciale.
“ Non sei tenuta a saperlo. Perché dovrei raccontare queste cose ad una ragazzina come te? Non sapresti, non comprenderesti…”
Tacque, perché sentì dei passi venire verso la sala comune. Si rivolse a Bella, cercando di assumere il suo tono consueto, freddo e deciso.
“ Ora torniamo alle cose importanti. Ti aspetto qui, stanotte a mezzanotte. A quell’ora dormiranno tutti e nessuno sospetterà di nulla. Non ci sarà alcun pericolo di essere scoperti. Ne sono sicuro. A mezzanotte allora, Bellatrix”
Lei comprendendo che sarebbe stato inutile perseguire su quel nodoso aspetto che sembrava mandare su tutte le furie il suo maestro, e ciò era l’ultima cosa che desiderasse fare, annuì e decise che a mezzanotte si sarebbe presentata, puntuale, per iniziare il primo passo verso la sua meta.  
 
 

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Capitolo 11
*** Il mio maestro ***


Dal grimorio di Bellatrix: “ Il mio maestro”
 
 
E’ mezzanotte.
Il mio maestro mi aveva dato quell’orario per vederci e iniziare. Avevo trascorso tutto il tempo nel mio letto, fingendo di dormire, per non destare alcun sospetto. Fortunatamente i dormitori della sala comune di Serpeverde erano più lontani di quelli di qualunque altra sala, proprio perché la stessa  era la più grande delle quattro. La possibilità che qualcuno, nel sonno, potesse udirci era tendente allo zero.
Mi alzai dal letto, facendo un po’ di luce con la bacchetta e, piano piano, sgattaiolai fuori dal dormitorio femminile, diretta al piano di sotto dove lui, certamente, mi stava aspettando.
Quando arrivai, notai lo stesso ambiente oscuro e tetro della sera in cui si era rivelato a me. Un’illuminazione fatta di sole candele e candelabri oscuri. Era il suo ambiente e seppi già allora quanto lo rendesse a suo agio.
Ma a differenza di quella volta, che era estate, stavolta il fuoco era acceso. E lui era lì, rivolto verso di me, davanti al camino. Lo strano contrasto di luce alle sue spalle me lo fece apparire avvolto nell’oscurità e se non fosse stato per le candele forse non l’avrei neanche potuto vedere in volto.
“ Benvenuta” mi accolse. “ Sei arrivata finalmente. Ti stavo aspettando” e accennò alle candele.
“ Sono in ritardo, maestro?” chiesi, premurosa.
“ No. Direi di no. Sei stata puntuale. Un primo passo importante superato, Bella”
E io tirai un sospiro di sollievo.  La puntualità fu comunque sin da subito un mio pregio. Non ricordo che mi rimproverò mai per essere arrivata in ritardo ad una sua lezione, allora e poi in futuro.
Come ebbi poi modo di sapere negli anni successivi, il mio maestro prima di iniziare il corso mi dava sempre tre semplici regole da seguire. Quella volta me le diede ugualmente, anche se in una versione leggermente modificata rispetto a come poi me le ripetè l’ultima volta.
Prima regola: impegnarsi sempre fino in fondo in modo, al limite delle proprie capacità, per imparare tutti gli insegnamenti  della magia.
Seconda regola: non avere mai paura di superare, anzi sbaragliare, i limiti imposti alla magia accademica.
Terza regola:  non innamorarsi mai.
Me le fece ripetere fino alla nausea. Ma notai fin da subito quanto fosse rigoroso ed estremamente esigente in tutto, anche in quello. Ma se non lo fosse stato, io non avrei potuto imparare da lui tutto.
Non mi era solo chiaro un punto in tutto questo, ovvero il secondo. La magia accademica aveva dei limiti? Ricordo che anche l’anno prima me l’aveva accennato, ma in tutto il contesto l’osservazione mi era sfuggita.
Quando gli chiesi: “ Maestro, cosa intendete per limiti della magia accademica?”
Lui mi guardò con estrema cura e attenzione.
“ La magia” rispose “ E’ l’arte più bella che possa esistere. Noi ,maghi e streghe, abbiamo un vantaggio enorme nel poterla imparare e utilizzare. Un vantaggio che i babbani non hanno. E neanche i mezzi maghi dovrebbero avere, per come la penso io”. Fece una pausa e poi proseguì.
Io ero fin dal principio d’accordo con quello che aveva appena espresso. Non sarei potuta partire meglio, mi dissi fra me.
“ La magia naturalmente può essere anche molto diversa da quella che impariamo qui. Qui, come ti ho detto l’anno scorso, impariamo solo magia difensiva. E’ questo è un grosso limite. Io con te, non mi accontenterò di questo. Voglio che tu sappia quali siano i tuoi reali poteri e voglio che tu sappia utilizzarli al meglio. Non voglio che alla fine tu sia come quegli stupidi studenti che escono di qua senza un briciolo di conoscenze e abilità magiche. La vera magia sta fuori da qui. E te la farò scoprire. Ti insegnerò le potenze dei processi  energetici presenti in natura, e un giorno ti chiederò persino di poterli controllare; ti farò vedere l’immensità delle fonti magiche presenti in natura; ti insegnerò a sprigionare tutta la tua energia magica, cosa fondamentale per me e, vedrai, anche per te. Tutta roba che imparerai solo da me, Bellatrix. E da nessun altro”
Fece un’altra pausa e poi, in modo più diretto e sbrigativo aggiunse: “ Ma ora questo, a te, non deve riguardare. Questo punto per ora lo metteremo un po’ da parte. Adesso mi interessano soprattutto il primo… e il terzo”
Mi diede l’elenco dei libri da consultare quotidianamente in biblioteca. Tutti libri che avremmo potuto prendere liberamente: non c’era nulla di particolarmente oscuro. Almeno pensavo in un primo momento, quando mi consegnò l’elenco…
Ad un tratto mise una mano in tasca e ne estrasse un ulteriore libro in rilegatura nera. Me lo consegnò e mi disse: “ Adesso a me interessa che tu impari per bene, anche, quanto c’è scritto qui. Non ti chiederò di effettuare ciò che vedrai scritto qui sopra, perché non ne hai ancora le capacità. Studialo però alla perfezione, perché un giorno quello che studierai e vedrai scritto qui sopra, ti sarà utilissimo”
Abbassai lo sguardo e subito leggendo il titolo ebbi una strana sensazione. Non seppi dire con precisione quale, ma sapevo che lui ora mi stava dando un avvertimento o un consiglio e forse già sapeva…
Il titolo del libro era semplice, chiaro e diretto. Scritto in calligrafia sottile sullo sfondo scuro.
“ La potenza e l’energia magica”
“ Maestro” domandai senza smettere di fissare il libro che mi aveva consegnato. “ Questo libro riguarda la seconda regola che mi avete dato, vero? Riguarda la magia oscura?”
Lui, senza esitazione rispose: “ Riguarda la magia che voglio che tu impari. Tienilo nascosto, in modo che nessuno possa anche solo sospettare di nulla. Ti do un consiglio, leggilo a notte fonda. In questo modo penso proprio che nessuno potrà mai scoprirtelo. E poi, credo che un libro debba essere letto in un contesto ambientale adeguato. Aiuta ad assimilare meglio. Ora però, iniziamo”
E così iniziò.
Lo avrei ascoltato per ore, forse per giorni interi. Mentre mi spiegava notai quanto le sue conoscenze fossero sviluppate. Avrebbe forse tenuto testa ad un ragazzo dell’ultimo anno. Lui che era solo al secondo, come me. Si dimostrò un maestro duro, severo, poco tollerante all’errore.
Verso le due del mattino, dopo quasi due ore di spiegazione continua, mi sentii stanca, anche se non lo davo a vedere. Se solo avesse potuto iniziare un po’ prima… Trattenni uno sbadiglio a fatica.
Ma a lui non sfuggì. Non gli sfuggiva nulla, al mio maestro. Mi guardò, senza batter ciglio e mi domandò: “ Sei stanca Bellatrix?”
Dopo un attimo di esitazione, annuii. Cosa avrei potuto fare? Se gli avessi detto di no, mi avrebbe scoperto la bugia, se gli avessi detto di sì…
Lui sorrise e invece di smettere, mi tenne lì altre due ore. Più passava il tempo, più lui mi sembrava a suo agio e in forze, tant’è che mi domandai spesso se fosse realmente umano. Non potevo dar comunque bandiera bianca. Mi aveva offerto il suo aiuto e io dovevo dimostrargli di meritarmelo tutto. Dovevo resistere. Sapevo che era una prova a cui lui mi sottoponeva per valutare le mie resistenze al sonno. Lo capii molto presto.
Alle quattro del mattino mi fece ancora la stessa domanda: “ Sei stanca Bellatrix?”
Sperando che andasse tutto bene, stavolta gli risposi: “ No maestro. Starei qui ad ascoltarvi tutta la notte, se necessario”.
Da una parte era vero: lo avrei ascoltato in eterno. Il suo modo di spiegare e i suoi gesti, mentre lo faceva, erano perfetti. Dall’altra però dovetti ammettere di essere davvero stravolta. Tra sole tre ore avremmo dovuto alzarci per iniziare le lezioni normali.
Era la mia vita, era il mio destino. Arrivata a questo punto ero pronta a sacrificare persino il sonno, pur di imparare da lui tutto quello che sapeva. E dalla prima lezione, intuii da subito, che avrei imparato più cose da lui, studente del secondo anno come me, che in sette anni di lezioni lì dentro. E poi non faceva annoiare il suo modo di spiegare. Era, insomma, perfetto. Lo avrei visto adatto a quel ruolo anche da adulto. E quello pensai effettivamente anche quando lo rividi adulto, insegnarmi altre cose.
Stavolta fu corretta la mia risposta. Mi guardò, accennò un sorriso e mi disse: " Per stasera abbiamo concluso. Ti aspetto domani alla stessa ora, stesso luogo. Prendi il tuo libro, senza farti udire da nessuno e nascondilo nel tuo baule”
“ Maestro, quanto tempo avrò per imparare quanto scritto qui?”
Lui mi guardò, mentre si stava avviando verso il dormitorio.
“ Non hai un tempo limite. A me interessa che lo impari bene. Quando lo imparerai bene, effettuerai quanto ti sarà stato chiaro, studiando. Ma ora non è il momento”
“ Maestro, lo imparerò entro l’anno promesso”
Lui sorrise affabile.
“ Se sapessi quanto sia avanzata la magia che ci vedrai scritta lì sopra, non lo penseresti più. Te l’ho dato ora proprio per questo motivo. Con molto anticipo, perché so quanto sia realmente complicata quella branca di magia. E bada bene, Bella: senza conoscere la magia normale, per quanto limitativa sia, la magia oscura, anche questo in verità” e accennò al libro “ perché quella che è in quel libro è già magia oscura, non la puoi imparare”
Con un gesto della bacchetta, spense le candele e riaccese le lampade dalla luce verdastra consuete. Mi passò a fianco, avvertii  ancora un misterioso soffio d’aria che mi scompigliò i capelli, e poi uscì.
Rimasta sola lì dentro presi il mio nuovo volume, certa che sarebbe diventati presto il mio libro preferito, tra tutti gli altri, e cominciai a pensare fra me.
“ Lo renderò soddisfatto, fiero di me. Lo farò convincere di non aver sbagliato a scegliermi. Diventerò presto la persona più vicina a lui e insieme, noi due, ci vendicheremo su quella feccia che secoli fa ci perseguitò”.
Ed esaltandomi al solo pensiero, tornai nel dormitorio.
 

 
Note dell’autore
Eccomi. Ho da dirvi due cose veloci riguardo questo capitolo. Come prima cosa, ringrazio chi ha aggiunto tra le preferite e le seguite la mia storia. Mi fa enormemente piacere, grazie infinite!
Seconda cosa riguarda il capitolo in senso stretto.
-LE TRE REGOLE SCRITTE QUI, NON SONO DI MIA INVENZIONE PERSONALE, MA SONO RIPRESE DALLA STORIA IL MAESTRO DELLE ARTI OSCURE DI CIRCE al quale la mia storia fa da preludio, con il suo consenso. Un po’ riadattate al tipo di magia che qui Bellatrix è tenuta ad imparare.
- Il libro che Bellatrix riceve da Tom Riddle qui è citato da lei stessa, nel capitolo 15 del maestro di arti oscure,  sempre quello, nella seconda metà del capitolo.
Non ho altro da dirvi, se non grazie a tutti e buona continuazione!

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Capitolo 12
*** Le selezioni ***


Se da una parte le lezioni private  notturne davano parecchio motivo a Bellatrix Black di essere felice per essere tornata a Hogwarts, dall’altra le normali lezioni stavano via via perdendo di interesse in lei. Era sempre stata la studentessa modello della scuola, e fino a qualche settimana prima riteneva le materie tutte molto importanti per la propria carriera accademica. Da quando cominciò le lezioni private, e in particolare da quando Tom le rivelò che ciò che avrebbe imparato a scuola le sarebbe servito ben poco in futuro, ella cominciò a prendere tutto molto più alla leggera. Ad esempio una delle materie che ne pagò le conseguenze fu Storia della Magia.
Dopo la lezione sulla persecuzione dei maghi e delle streghe nel Medioevo, da parte dei Babbani, queste tornarono nuovamente ad essere estremamente noiose e insopportabili. A parte le materie: Pozioni, Incantesimi, Erbologia, Astronomia e Difesa contro le Arti Oscure, le altre cominciò a trascurarle, o comunque, cominciò a non interessarsi come prima agli argomenti.
E tra queste materie vi era anche il Quidditch. Non che prima lo avesse mai apprezzato. Ma ora scoprì di odiarlo davvero. E a quanto pare la stessa cosa la pensava anche Tom Riddle.
Il mattino del primo ottobre alla terza e quarta ora di lezione si sarebbero dovuti recare al campo di Quidditch per le selezioni: gli studenti del secondo anno avrebbero dovuto aggregarsi al resto della squadra, previo superamento di alcune determinate prove, sotto l’occhio attento del capitano della squadra.
All’epoca il capitano era un certo Gregory Flint: un ragazzo magro, alto, con due incisivi grandi e degni di un castoro. Era un ragazzo del quinto anno, anno minimo necessario per essere eletto capitano di una delle quattro squadre.
Tom sarebbe dovuto essere provato come Cercatore, essendo un ragazzo magro e all’apparenza piuttosto agile nei movimenti; Bellatrix come Battitrice, insieme ad Avery; Rodolphus e Dolohov avrebbero dovuto far parte dei Cacciatori.
Ci fu un iniziale stupore tra la squadra, quando Flint annunciò che anche Bellatrix avrebbe dovuto avere chances di provare: la squadra Serperverde  non aveva ragazze in squadra da almeno cinquant’anni. E anzi, lo stupore presto si trasformò in proteste, soprattutto per opera di Rodolphus.
Ma il capitano Flint non volle sentire proteste, e confermò la sua decisione.
La prova fu ovviamente un disastro su tutta la linea. Invece di colpire una sagoma finta, fatta evocare da Flint, Bella mancò il bersaglio di parecchi metri e per poco non colpì Rodolphus Lestrange in testa, il quale stava sopra di lei.
Anche Tom non se la cavava meglio. A dire il vero lui addirittura riteneva la scopa uno strumento poco nobile per volare. Non aveva bisogno di una scopa per volare lui. Anzi era convinto che fosse totalmente inappropriata. Si sentiva a disagio. Anche lui così non fu in grado di manovrarla a dovere e dopo due ore nella quale vagò, o almeno tentò di farlo, inutilmente alla ricerca del boccino, Flint fu costretto a immobilizzare la pallina dorata e rimetterla al posto.
Alla fine per pietà e per esigenze di numero, furono assunti Avery jr e Rodolphus in squadra. Questo perché effettivamente mancavano un Battitore e  un Cacciatore, altrimenti anche loro sarebbero rimasti fuori. E loro rispondevano agli unici candidati per poterlo fare.  
Insomma alla fine Flint fu parecchio deluso e si lamentò affermando che la squadra si era molto indebolita rispetto all’anno precedente. Al chè i due nuovi assunti, non furono per nulla soddisfatti e ci mancò poco che si scagliassero addosso al loro capitano.
“ Che pagliacciata…” si disse Riddle mentre rientrava al castello per il pranzo. “ Avrei potuto direttamente disertare tutto”
Stessa cosa doveva pensarla anche Bella in quel momento. E anzi lei era ancora più infuriata a causa della presa di posizione contraria da parte dei compagni quando doveva provare. Adorava la Casa a cui faceva parte. Si sentiva una vera Serpeverde lei, ma non concepiva il fatto che gran parte dei membri fossero troppo maschilisti. Poi che a lei il Quidditch non piaceva, e quindi non le sarebbe cambiato nulla se alla fine non avesse provato, era un altro discorso…
“ Abbiamo perso tempo stamattina, in quello stupido campo. Avrei voluto pensare più ai fatti miei” si lamentò Riddle con Bellatrix durante il pranzo.
“ Sono d’accordo, Tom. Il Quidditch è proprio una seccatura” disse lei con gli occhi fissi sul piatto.
Poi li alzò e li puntò sul maestro: “ Volare è una cosa che non farò mai. Non mi piace affatto”
Riddle la fissò a sua volta.
“ A me invece non piace volare su una scopa. Ma volare, in generale, è bellissimo. E lo so fare”
Lei continuò a fissarlo.
“ Davvero?” chiese. “ Sai volare senza scopa?”
Riddle sorrise pieno di sé.
“ E’ un giochetto da ragazzi, Bella” disse tenendo lo sguardo basso.  “La cosa più semplice che un mago possa fare. Non hai bisogno di uno stupido aggeggio, come una scopa, per alzarti da terra, quando puoi librarti liberamente”
Bellatrix lo fissò, senza capire.
“ Che vuoi dire?” domandò.
“ E’ possibile volare anche senza scopa, Bellatrix. Alzandosi semplicemente in volo” rispose anche se aveva dato segno di non aver udito la domanda di Bellatrix.
Lei ripetè la domanda: “ Tom che stai cercando di dire?”
Ma lui sempre ammirandosi le proprie mani, fiero di sé, annunciò: “ Ti aspetto stasera. Al solito orario e al solito posto. Sii puntuale”
E si alzò subito dopo aver finito. E lei rimase seduta, fissando il punto in cui un attimo prima stava seduto il suo maestro. Non aveva capito nulla di quanto il suo maestro le avesse appena detto.
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Forse ho fatto la scelta giusta ***


Dal Grimorio di Bellatrix: “Forse ho fatto la scelta giusta”




 
 Il discorso tra me e il mio maestro oggi a pranzo, continuò a girarmi nella mente per tutto il pomeriggio. Avevo solo compreso che lui era in grado di librarsi in volo senza l’ausilio di scope o robe del genere, ma tutto il resto mi pareva un qualcosa senza senso.
Due erano le opzioni: o ero limitata io da non capire ciò che sarebbe stato chiaro a chiunque, tranne a me; o lo aveva fatto apposta a parlarmi per enigmi in modo che io non potessi capire. In ogni caso qualcosa mi disse di lasciar cadere il discorso, anche perché ero certa che se avessi voluto chiedergli spiegazioni ulteriori, non me le avrebbe date. D’altronde era molto riservato in questioni che riguardavano la sua persona.
Sapevo pochissimo di lui, anzi quasi nulla. Non sapevo nulla della sua vita prima di venire a Hogwarts, ignoravo completamente qualsiasi avvenimento che gli fosse capitato. Sapevo solo che aveva vissuto, e durante l’estate ci tornava, in un orfanotrofio babbano. Ebbi pena per lui. Non essere cresciuto con i propri genitori doveva averlo molto provato. Chissà chi erano davvero…
Lui per il momento non sembrava molto interessato alla reale identità della sua famiglia, forse era ancora troppo dispiaciuto per la loro fine e non osava indagare.
“ Bellatrix” mi chiamò severamente e io ripiombai nella realtà. Era davanti a me e mi osservava con il libro  aperto in mano sua. Era turbato e anche infastidito dal fatto che per un attimo avevo vaneggiato con la mente sull’identità reale del mio maestro.
“ Che cosa stavo dicendo?” mi chiese, per provare che stessi realmente ascoltando.
“ Stavate… parlando di…” feci io, ma non fui abbastanza pronta. Lui mi guardò ancora più arrabbiato.
“ Non mi stavi ascoltando vero? Sai Bella quanto mi stia costando tutto questo sacrificio nei tuoi confronti? Sai che io potrei tranquillamente decidere di smettere di insegnarti le cose, in qualsiasi momento? Sai che potrei decidere di stopparmi anche in questo momento?” mi domandò minaccioso. E per qualche motivo il suo tono di voce, sussurrato, non urlato, mi fece venire i brividi.
“ No, maestro. Vi chiedo perdono. Stavo…”
“ Pensando a quello che ti ho detto oggi, non è così?”
Che sciocca… avrei potuto evitare di farlo davanti a lui. Mi ero dimenticata che poteva leggermi nella mente.
Lui non andò oltre, con mio grande sollievo. Fece un sospiro e ricominciò il suo discorso.
“ Come stavo dicendo, prima che tu vagassi nei tuoi pensieri, ragazzina, direi che ormai dovresti essere pronta per essere interrogata, dal momento che abbiamo affrontato già alcuni temi piuttosto importanti; anche se in forma ancora introduttiva. Ecco perché questa lezione la dedicherò solo ed esclusivamente ad interrogarti su ciò che dovresti aver imparato. Così almeno parli un po’ tu e io mi riposo” aggiunse con un sorriso. “Voglio vedere come te la cavi”.
Abbassò lo sguardo sul libro, si sedette sulla poltrona vicino al fuoco e cominciò a osservarne attentamente le pagine, sfogliandole
Mi prese ansia. Io che di solito non avevo mai ansia prima di un esame. Era un qualcosa di nuovo. Avevo la brutta sensazione che quelle prove sarebbero state ben più terribili di quelle finora affrontate. Ero preparata… o almeno era quello che credevo.
“ Ecco qui” sentii sussurrare dal mio maestro, e il battito del mio cuore accelerò.
Alzò lo sguardo e io silenziosamente lo pregai di avere pietà.
“ La magia da contatto” chiese, enigmatico.
Riflettei un attimo, ma lui mi ordinò:” Veloce Bellatrix. Rispondimi all’instante quando ti faccio una domanda!”
“ Un attimo” avrei voluto rispondergli. Ma non osai farlo. Riflettei ancora un qualche secondo, poi mi arrivò alla mente la risposta. Ma lui non fu felice del mio tentennamento.
“ Allora” chiuse il libro e si alzò dalla poltrona. “ Hai studiato?” domandò. Non seppi se dargli la risposta o se l’avesse già saputa leggendomi nella mente. Forse no, poiché ripetè la domanda per la seconda volta: “ Hai studiato Bellatrix?”
“ Si, maestro” risposi
“ Non si direbbe. Perché non rispondi alla mia domanda, allora?” domandò sempre a voce bassa.
Lo guardai come se la cosa fosse normale e ovvia.
“ Stavo riordinando un attimo le nozioni” risposi con tono innocente
“ Non devi riordinarle, dovresti averlo già fatto. Questa è una prova Bella a cui ti sto sottoponendo. E le prove vanno superate in fretta. Ti ripeto: devi imparare ad aumentare le tue reazioni. Prima teoriche e poi nella pratica. Ora ti rifaccio la domanda e rispondimi subito! La magia da contatto!”
Cercando di essere istintiva risposi: “ La magia da contatto è caratterizzata dalla preparazione di filtri e pozioni magiche che hanno come ingredienti oggetti più o meno naturali”
Mi osservò per un attimo. Io nella foga della risposta avevo un po’ di respiro affannoso, avendo risposto di getto senza neanche respirare.
“Bene” disse con un sorriso. “ Molto bene, Bellatrix. Queste sono le risposte che devi dare”
Si risiedette sulla poltrona e riaprì il libro.
“ Le sei facoltà magiche”
“Dunque” dissi per non farlo insospettire. Però ancora una volta ci misi troppo tempo, almeno per lui: “ Dunque… “
“ Ancora non ci…” cominciò con una smorfia di rabbia
“ Visualizzazione, concentrazione, accrescimento energetico, carico dei poteri sulla bacchetta magica, alterazione dello stato di incoscienza e liberazione dell’energia in eccesso” dissi in fretta, quanta più ne potevo.
Lui mi guardò da sopra il libro.
“ Devo richiedere un interprete delle mie parole, Bella? Un qualcuno che possa ripeterti le cose che chiedo? Hai capito quello che ti ho detto?”
Non capii. La risposta era quella, ne ero certa. Non poteva essere sbagliata.
“ Ma maestro, la risposta che vi ho dato è corretta”
Lui fece una smorfia.
“ Lo so che è corretta. Ma devi migliorare le tue reazioni. A niente mi servono le risposte corrette se poi ci metti anni per trovarle e rispondere. Veloce: botta e risposta, botta e risposta. Riproviamo: lei sei facoltà magiche”
Risposi secondo i ritmi che lui volle e poi proseguì con le domande. A metà risposta però mi interruppe.
“ Cos’è la chiromanzia Bellatrix?”
Stavolta riuscii a soddisfarlo. Appena terminò la domanda, risposi all’istante.
“ E’ la previsione del destino di una persona attraverso lo studio della sua mano, maestro” risposi; e lui proseguì.
“ E secondo una antica credenza cinese…”
“Ad ogni dito della mano corrisponde un nostro caro: ad esempio il mignolo rappresenta i figli, il medio rappresenta noi stessi, il pollice rappresenta i genitori, l’indice i nostri fratelli o sorelle e l’anulare il… partner” arrossii quando lo dissi, ma lui non ci fece caso. Era rimasto chino ad osservare il libro.
“ Bene… pare che hai capito” mi disse senza guardarmi.
Poi, però,  alzò lo sguardo e mi fissò, un po’ più intensamente rispetto a come aveva fatto prima di allora, quella sera.
“ Gli ingredienti della pozione polisucco” mormorò.
Questa invece la sapevo. Risposi correttamente e lui si ammorbidì un po’. E continuammo per più di un’ora. Lui faceva domande sempre più difficili e toccava argomenti strettamente scolastici, di cose che lui riteneva più utili per la mia preparazione. E i tempi di reazione tra domanda e risposta divennero sempre più brevi.
Quando era l’una e mezza del mattino, mi fece ancora la domanda che mi porgeva sempre alla fine: “ Sei stanca Bellatrix?”
Ero stravolta. Ma non potevo dirglielo, altrimenti avrebbe continuato per altre ore. Le interrogazioni non mi erano molto piacevoli, preferivo decisamente le spiegazioni.
“ No maestro” risposi. Avevo imparato a dirglielo senza temere nulla. Lui di quella risposta pareva più che altro fregarsene, anzi avevo imparato che me la porgeva più che altro per divertimento personale.
Si alzò dalla poltrona e guardandomi, sorrise.
“ Bene per essere la prima, non sei andata poi così male. Qualche tentennamento  iniziale, ma nel complesso decisamente bene. Ripassati meglio le nozioni astronomiche/oroscopiche”
Sorrisi soddisfatta di me stessa. Ancora una volta il mio ingegno superiore alla media, e inferiore solo a quello suo, mi aveva molto aiutato.
“ Ora Bella, vieni. Devo provarti su un’altra cosa. Da questa parte”
E io incuriosita, chiedendomi cosa avrei dovuto fare, lo seguii.
Mi guidò dall’altra parte della sala comune, dove c’era una tavolo con sopra un sacchetto sigillato. Lo prese e con un pigro gesto della bacchetta, il sacchetto si aprì. Si avvicinò a me e mi mostrò il contenuto. Rimasi sorpresa.
Dentro il sacchetto c’erano una decina di bacchette, che lui teneva gelosamente incustodite all’interno.
Con un sorriso complice e malvagio lui mi domandò: “ Le riconosci?”
La risposta era innata in me. Era così ovvia che non ci riflettei un momento.
“ Le bacchette rubate da Olivander?” chiesi, ben sapendo quale sarebbe stata la risposta.
Lui annuì e mi rivolse un sorriso complice e crudele.
Alzò il sacchetto e lo rovesciò, facendo cadere le bacchette sul tavolino.
Poi mi guardò, stavolta serio, e mi disse: “ Una delle tecniche che voglio che tu sviluppi è la previsione della forza dei tuoi avversari. Conoscendo l’arma che impugnano, potrai partire con alcuni vantaggi nei duelli. O quantomeno avrai un’idea più precisa su chi hai di fronte”.
Fece una pausa e proseguì.
“ Ora di ciascuna di queste bacchette dovrai dirmi il legno, prendendole in mano e soppesandole. Poi quando conoscerai bene questo aspetto passeremo ai nuclei. Inizia”
Presi in mano la prima e la osservai con attenzione. Era una bacchetta decisamente diversa dalla mia, legno di noce. Era un legno chiaro, più chiaro del mio.
Ero un’amante delle piante. Erbologia infatti era una delle mie materie preferite. Chiusi gli occhi e immaginai quali potessero essere i campi di piante che avevano un legno simile a quello di cui era costituita la bacchetta che avevo in mano.
“ Faggio?” domandai incerta.
Lui mi osservò e poi annuì sorridendo.
“ Brava. Prosegui”
Presi la seconda bacchetta e stavolta non ebbi dubbi. Era uguale alla mia.
“ Noce” dissi decisa.
“ Molto bene. La prossima”
La terza era una via di mezzo tra la prima e la seconda, dal legno più scuro della prima ma più chiaro della seconda. Era di un classico marrone-giallastro. Molto resistente anche. Riflettei un po’ più a lungo, e lui stavolta non mi mise fretta. Accettò la mia indecisione.
“ Faggio?” chiesi
Lui stavolta, scosse la testa.
“ Rifletti Bella” mi dissi tra me.
“ Quercia?” tentai dopo un po’ senza speranza.
Invece, con mia grande sorpresa, la risposta si rivelò corretta.
E andai avanti fino all’ultima: legno di tasso.
Alla fine su una dozzina ne avevo azzeccate più della metà. Sette o otto.
Lui mi disse che avremmo dovuto riprovare ancora fino a quando non sarei stata in grado di riconoscerli tutti all’istante. Ma forse se lo aspettava, perché non sembrava arrabbiato del mio risultato. Anzi, forse rimase persino stupito, egli stesso, delle mie capacità.
Alle due del mattino mi rivolse ancora la stessa domanda: “ Sei stanca Bellatrix?”
Quell’esercitazione mi era piaciuta e un po’ della stanchezza che provavo alla fine dell’ora e mezza di interrogazione si era dissipata. Così stavolta mi fu più naturale negare.
“ Bene. Anche per stasera abbiamo concluso. Ho bisogno che tu sappia quale sia il tuo limite di sopportazione e soprattutto di controllo della magia e che tu sappia superare questo limite. Ho bisogno di tutto questo, perché sarà fondamentale alla fine di tutto”
Poi mentre riponeva le cose al loro posto, aggiunse: “ Comunque devo ammettere che sei più brava di quanto pensassi. Quasi quasi riesci addirittura a tenermi testa, Bella. Di questo passo, penso proprio che per la fine dell’anno avrò finito di addestrarti e di esercitarti su questa parte. Brava, forse ho fatto la scelta giusta”
Era la primissima volta che mi faceva un complimento vero, esplicito come quello. Io, da quella notte, seppi che ero diventata la sua allieva prediletta, la migliore. Non perché fossi l’unica e in realtà lo ero, ma perché dopo quella notte seppi dentro di me, che una o uno migliore di me non l’avrebbe mai trovato. Avesse anche cercato in eterno tra tutti i maghi o le streghe esistenti. E tutto ciò non fece altro che aumentare tremendamente la mia totale stima e affetto verso di lui. Il mio maestro: Tom Riddle.   



 

 

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Capitolo 14
*** Il lamento di Druella ***


I giorni passarono e si arrivò al ridosso di dicembre. Era un vero miracolo che in tutto questo tempo, non c’era stato modo per gli altri compagni di venire a conoscenza di ciò che Riddle e Bellatrix combinavano a notte fonda. Non che violassero particolari regole della scuola, chiaro, ma non si poteva neanche dire che progettassero qualcosa di tipicamente angelico. Almeno per ora non erano stati scoperti…
“ Bella, c’è una lettera per te da nostra madre” annunciò Andromeda sopraggiungendo al tavolo dei Serpeverde durante la colazione. “ Mi ha lasciato un messaggio dicendomi che il gufo con cui le hai mandato la tua l’ha beccata al dito e si è rifiutato di farsi consegnare la risposta”
“ Poggiala qui” rispose Bellatrix, seccata, indicando il punto accanto alle sue portate.
“ Cosa le avevi scritto?” domandò la sorella minore, curiosa.
“ Cose personali” rispose frettolosamente Bella senza guardarla.
“ Ti disturbo?” domandò Andromeda temendo di essere d’intralcio, vista anche l’accoglienza piuttosto fredda di Bellatrix nei suoi confronti. Quest’ultima sollevò lo sguardo verso Andromeda e sorrise.
“ Figurati. Mi fa sempre piacere parlare con te, Dromeda. Sei una delle poche che mi comprende e che non mi nasconderebbe mai nulla, vero sorella?”
Andromeda annuì, piuttosto confusa.
“ Che intendi dire?” domandò
“ Nulla… storia lunga. Però voglio darti un consiglio, sorella: ricordati chi siamo noi!”
“Siamo sorelle streghe, ovvio” pensò Andromeda. Annuì fingendosi convinta. “ Mah… è strana mia sorella a volte”.
Rimanendo un po’ in imbarazzo sotto lo sguardo severo e deciso della maggiore, Andromeda ad un tratto disse: “ Ma è successo qualcosa. Avete litigato?”
Bellatrix alzò lo sguardo accigliato, verso la sorella più simile a lei.
“ Si. Abbiamo avuto da ridire su alcuni argomenti tra streghe. Ci sono argomenti, tra streghe sorella, che non possono passare sotto indifferenza. Cose importanti che noi dobbiamo sempre onorare al meglio”. Fece una pausa e poi chiese: “ Se ti chiedessi quali sono i principi fondamentali per una vera strega, che tutte dovrebbero rispettare, sai dirmi la risposta, sorella?”
Andromeda riflettè un attimo: “ Certo, Bella: onore, disciplina, intelligenza e soprattutto, come dice nostra madre, mai avere contatti con i mezzosangue di qualunque specie”
Bellatrix sorrise: “ Ho ragione a fidarmi di te, Dromeda. Tu non mi tradisci mai. E non mi tradirai mai, vero?”
“ Puoi fidarti di me, Bella. Sono tua sorella”
E dopo aver detto ciò si abbracciarono strette.
“ Non dire a Cissy che ti ho abbracciato. Altrimenti sai come diverrebbe… gelosa”
“ Non le dirò nulla. Non saprà mai nulla, Bella. Di me ti puoi fidare, lo sai” rispose Andromeda ridendo
“ Saremo sempre insieme, noi tre. Vero?”
La sorella minore di un anno, annuì.
“ Sempre”
Dopo un secondo abbraccio più lungo del primo, le due ragazze si lasciarono.   
Ad un cenno di saluto di Andromeda, Bellatrix tornò a fissare la lettera della persona che ormai odiava. La prima tentazione fu quella di darle fuoco. Non aveva alcuna voglia di sentire le sue stupide scuse, sapeva che sarebbero risultate solo parole vuote e che l’avrebbero fatta infuriare ancora di più.
Prese la lettera in mano. Sotto il bollo con lo stemma di Hogwarts c’erano scritte tre parole: A Bellatrix Black.
“E quella?” domandò una voce famigliare alle sue spalle. Si voltò. Tom Riddle svettava sopra di lei, lo sguardo fisso alla lettera che lei teneva ancora in mano, indecisa se aprirla o darle fuoco.
“ Di chi è quella lettera?” domandò ancora il ragazzo spostando lo sguardo dalla lettera alla persona a cui era indirizzata.
“ Mia” rispose Bellatrix in modo da farsi udire solo da Riddle.
“ Tua? E si può sapere chi è che disturba Bellatrix Black con una lettera?” domandò Riddle accennando un sorriso impercettibile al nome Bellatrix.
“ E’ mia madre”
Riddle spalancò gli occhi. Bella gli consegnò a lettera. Riddle allungò la mano pallida dalle lunghe dita e la afferrò.
“ Leggila tu, ti prego. Io non voglio”
Riddle fissò Bellatrix e poi la lettera che le stava porgendo. E ad un tratto, dopo averla scrutata con attenzione, capì. Sorrise.
“ Hai litigato con tua madre, Bella? Su temi delicati, immagino…”
Lei annuì e lacrime di rabbia le rigarono il viso.
“ Le ho scritto il giorno che abbiamo scoperto quella cosa sui babbani e sui mezzosangue”
“ Che hai scoperto” la corresse Riddle.
Bellatrix tirò su con il naso. Riddle s’incupì.
“ Non mi piacciono le persone che piangono. Vedi di darci un taglio, ragazzina”
Poi tornò a fissare la lettera. Decise di aprirla.
“ Leggila, e poi strappala e allontanala per sempre da me” disse Bella, sforzandosi di riprendere il controllo.
“Sai cosa significa il tuo nome, Bellatrix? Significa guerriera. Associato al tuo cognome sarebbe: guerriera oscura. Una guerriera non deve piangere. Smettila, perché mi dai fastidio” ordinò Riddle, realmente infastidito. Quel suono lo odiava con tutto sé stesso. Non lo sopportava.  Gli ricordava i tempi bui dentro l’orrenda struttura dove aveva passato l’infanzia.
Abbassò lo sguardo e decise di fare quel favore a Bellatrix, promettendosi che non le avrebbe più fatto favori da quel momento in avanti.


Mia regina; mia unica fonte di vita; mio grande orgoglio
Scusami se ti ho nascosto quel segreto. Perdonami. Temevo di essere troppo insensibile verso di te, se te lo avessi detto. Come sai vi ho cresciuti secondo i principi di orgoglio purosangue che Salazar Serpeverde ha creato al principio di Hogwarts: la netta superiorità dei maghi sui babbani è cosa per me, e anche per voi, figlie mie, motivo di vita. Ho solo deciso di tacervi quel particolare. Ma ve l’avrei comunque rivelato a suo tempo.
Bella tu eri ancora una bambina, mi bastava che prendessi spunto da me: considerarti superiore ai babbani senza alcun motivo apparente. Perché sei realmente superiore a loro: sei bellissima, hai grande talento, sei degna di essere strega a tutti gli effetti, essendo figlia di purosangue. Loro invece no.
Ho taciuto la verità perché temevo che l’avresti presa male, come in effetti hai fatto. Temevo che avresti potuto reagire inconsciamente e cacciarti nei guai.
Ma non avere una così bassa opinione di me: a suo tempo te l’avrei detta la verità del nostro credo. Ad undici anni però eri troppo piccola per conoscerla, essendo comunque una verità molto cruda.
Ti prego, accetta le mie scuse. Torna a casa per le vacanze estive. Senza di te, la casa è fredda. Tu sei la lanterna che la illumina la notte, il fuoco che la scalda durante l’inverno. Sei una strega nata sotto il potere del fuoco, Bella, lo sai? Non te l’ho mai detto questo. Io invece sono una strega  del vento. E il vento alimenta il fuoco e il fuoco lo riscalda.
Non posso vivere senza di te. Ti prego Bellatrix, torna a casa. Se non ci fossi tu, la nostra famiglia perderebbe la perla più preziosa. Ti prego, ripensaci.
Riguardo al volere un figlio maschio al posto tuo, non so come tu abbia fatto a scoprirlo. Ma io lo dicevo per dire. Né io e neanche tuo padre hanno mai detto veramente quelle cose. Ci mancherebbe. Sei il nostro orgoglio quanto Cissy e Dromeda.  Bella, perdonami. Ti prego, torna a casa.



Tua madre
Druella.



Riddle finì di leggere la lettera. Un lamento così… stucchevole era certo che non lo aveva mai sentito o letto. Che scena patetica. L’amore di un genitore verso il proprio figlio, non lo aveva mai ricevuto lui. E se ne guardava bene dal riceverlo.
Aveva ragione Bellatrix, ad odiarla: era un’autentica seccatura come donna o, peggio, come madre.
Osservò la ragazza. Se la prima parte, e anche le ultime righe, erano un’autentica noia leggerle, la parte che si riferiva alla natura di Bella, era decisamente la più interessante. Erano le due persone, tolta la sorella, più vicine a lei che confermavano che Bellatrix era una strega di fuoco: sua madre e suo cugino. E lo sorprese il fatto che Bellatrix ignorasse completamente la sua natura di strega. Quante cose doveva ancora scoprire di se stessa…
Lei era rimasta a testa china a fissare il pavimento, seduta al tavolo dei Serpeverde. Quando si accorse che Riddle aveva finito di leggere, lo guardò e chiese della lettera.
Lui gliela consegnò e le ordinò di bruciarla, dal momento che conteneva soltanto inutili lamenti.
“ Proprio come pensavo” commentò Bellatrix sprezzante. E la bruciò.
Ma il fatto che l’avesse bruciata, non migliorò per nulla il suo umore. Sebbene inizialmente si sentisse meglio, con il passar del giorno, tornò di nuovo cupa e si domandò se avesse fatto la cosa giusta. In fondo era sempre sua madre.
In preda ad una crisi isterica, alla sera chiese consiglio alla sola persona che sapeva già tutto.
“ Che devo fare con lei, Tom?”
Lui che ovviamente aveva già dimenticato tutto, non ritenendo la cosa importante, rimase un po’ interdetto.
“ Con lei, chi?”
“ Con mia madre”
“ Ancora pensi a tua madre, Bellatrix? Lei ha fatto una scelta. Ti ha nascosto la verità del vostro credo, e oserei dire anche del mio. Perché dovresti perdonarla?”
“ Lo so” si lamentò la ragazza: “ Ma è sempre mia madre. E poi c’è un altro problema”. Gettò uno sguardo al tavolo dove era seduta Andromeda: “ Che dico a mia sorella e lei cosa dirà a Cissy? Che io ho deciso di non tornare più a casa per una bugia di nostra madre?”
“ Ho capito” tagliò corto Riddle. “ Tu hai paura di ferirla, vero? Va bene. Accetto la tua decisione. Tornatene a casa quest’estate, ma fai come farei io se fossi figlio suo”
“ Cioè?” domandò Bellatrix, chinandosi verso Tom.
“ Mettila alla prova” rispose in un sussurro, senza farsi udire. “ Falle prendere in ostaggio alcuni bambini babbani e ordinale di fare esperimenti di magia sopra di loro. Trattateli come bestie da macello, che poi in realtà quello sono. Nient’ altro che bestie da macello. Se dovesse superare la prova, la perdonerai”
Bellatrix sorrise, piena di ammirazione.
“ Voi siete terribile  maestro”
“ Non sai quanto, Bella. Non sai quanto…”  
 





 

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Capitolo 15
*** Mia sorella si è fatta un amico ***


Dal grimorio di Andromeda: “ Mia sorella si è fatta un amico”
 
 
Avevo deciso di passare le vacanze di Natale a casa mia. Non ho osato chiedere per tutta la durata delle vacanze cosa fosse successo tra mia madre e Bella, ma doveva essere stato un qualcosa di veramente duro per lei dal momento che la vidi più triste e sconsolata di come l’avessi mai vista prima. E dire che nostra madre è una donna davvero forte caratterialmente. Fiera Serpeverde, di nobilissima stirpe. E io sono fiera di essere sua figlia.

Ci ha sempre insegnato da piccole ad essere tremendamente fiere della nostra natura di strega. Siamo tre streghe nella mia famiglia. Nessun babbano e guai se mai ci dovesse accadere. Li odio, come li odia Bella e come sta imparando ad odiarli anche la terza di noi sorelle: Cissy. Nostra madre quest’anno aveva deciso di educare per bene Cissy facendole imparare che i mezzosangue e i babbani sono creature ripugnanti alla sola vista. Cissy ha anche lei imparato in fretta dagli insegnamenti di nostra madre. Come sono fiera di lei. E sono certa che Bella, se lo sapesse, lo sarebbe ancora di più. Ma lo verrà a sapere, perché glielo racconterò quando tornerò a Hogwarts. Le racconterò tutto quanto.

Sono arrivata alla stazione di King’s Cross  alle diciannove della sera. Era già buio. Mia madre mi attendeva all’uscita dalla barriera, con Cissy accanto. Salutai entrambe con un abbraccio e Cissy mi chiese dove fosse Bellatrix e perché non era tornata come me. Appena mia madre sentì pronunciare quella domanda, cominciò a singhiozzare e gli occhi le si riempirono di lacrime. Allora capii che la questione tra lei e Bella era davvero più grave di quanto potessi anche solo lontanamente immaginare. Feci che chiederglielo, ma lei scosse la testa, si asciugò gli occhi e con un sorriso forzato mi domandò: “ Allora Andromeda, com’è stato finora? Ti sei divertita? Hai preso bei voti?”

“ Si tutto bene, madre. Alla grande. Ho ottimi voti”

“ Brava, figlia mia” e rivolgendosi a Cissy si raccomandò che anche lei, quando sarebbe stata pronta, tra quasi due anni, essendoci due anni di differenza tra me e lei, tre con Bellatrix, avrebbe dovuto fare altrettanto.

Mi sono aggrappata a mia madre e tutti e tre ci siamo materializzati a casa nostra.

La smaterializzazione per chi la pratica la prima volta è piuttosto traumatica; ma noi: io, Bella e Cissy insieme a nostra madre lo facciamo da sempre. Sin da quando eravamo neonate.

Arrivati a casa, vedendo comunque mia madre sempre pensierosa ed eccessivamente triste ho provato più volte a chiederle cosa fosse successo tra lei e Bellatrix, ma lei si limitò a rispondermi che vi era stata un’incomprensione.

“ Un’incomprensione piuttosto importante, a giudicare da come sei ridotta e vestita, madre” e in effetti, cosa alquanto strana per lei, aveva evitato di indossare parecchie perle alla collana e anche le dita delle mani avevano molti meno anelli ricamate con pietre preziose. Doveva essere davvero disperata per dover addirittura sacrificare la sua eccezionale vanità e orgoglio nobile.

Fece che rivolgermi una serie di domande a raffica, come se le avesse da tempo meditate prima di fare uscire in modo incontrollato dalle labbra: “ Con tua sorella, parlate? Vi vedete? Cosa pensa di me? Ha letto la lettera che le ho mandato? Sta bene? Mangia? E’…” Feci che interromperla con un gesto della mano, ma lei mise le mani nei capelli e se li tirò con le lacrime agli occhi.

“ Sta bene. Mangia e fa tutto. Parliamo quasi tutte le sere in dormitorio, prima di andare a letto. Sta bene”

A dire il vero c’era qualcosa che avevo notato nel comportamento di Bellatrix da quando ero al castello. Sembrava in qualche modo controllare che nessuno la osservasse più di tanto. Come se temesse di essere scoperta in qualcosa che cercava in ogni modo di nascondere.

Non ho potuto neanche fare a meno di osservare, l’altra mattina in cui le ho consegnato la lettera di nostra madre, che si era fatta un amico. Niente di più bello e straordinario visto che mia sorella difficilmente fa amicizia con altre persone.

In questo, e solo in questo, siamo diverse. Io sono un po’ più aperta e più propensa a fare amicizie, seppur prima debba verificare lo stato di sangue del pretendente. Lei invece, più per orgoglio personale, difficilmente si apre. E quando lo fa, il fortunato non deve mai contraddire quello che pensa, altrimenti sono guai.

Comunque dicevo si è fatta un amico, o almeno credo possa essere definito come tale. Non ne sono pienamente sicura.

Comunque il fortunato è un ragazzo alto, con i capelli scuri e la pelle straordinariamente pallida. Ora che ci penso è lo stesso ragazzo che abbiamo visto a Diagon Alley il giorno in cui ero andata a comperare la mia roba per Hogwarts. Era anche colui che aveva smascherato i colpevoli per la rapina al negozio di Olivander. Doveva essere davvero geniale come ragazzo. D’altronde Bellatrix non poteva scegliersi un ragazzo normale, nella media. Chissà qual era il suo nome…  Forse un giorno me lo dirà il nome del ragazzo. E comunque devo ammettere che è straordinariamente bello e affascinante.

Ha un non so che di oscuro che traspare dal suo corpo, e immagino anche dal suo sguardo. Quasi lo temo, potrei dire.
In tutto questo, comunque qualcosa nella mia mente mi disse di tacere questo particolare di Bellatrix con mia madre.

Non era bene, parlare a nome di altre persone, soprattutto se questa persona è Bellatrix Black. Quando e se l’avesse voluto, ne avrebbe parlato lei direttamente. A me interessava più che altro scoprirne il nome. Non dico che me ne fossi innamorata, perché ero ancora troppo piccola per provare questo sentimento da persona adulta, ma ne ero comunque attratta. Con gli anni, poi capii quanto fossi stata sciocca a pensare ad una cosa orribile come quella. Ma all’epoca non sapevo davvero chi lui fosse. Così bello, così misterioso, quasi lontano oserei dire. Non so se Bellatrix poteva pensare le stesse cose che pensavo io in quel momento, forse sì. Anzi sicuramente, visto poi la strada che ha scelto negli anni dopo Hogwarts.

Diciamo che avevamo avuto all’epoca la stessa mente. Io ora sono cambiata. Sono un’altra persona rispetto a com’ero quando ero una ragazzina. Ho capito gli errori che avevo fatto e il mio modo di pensare orribile e meschino. Se volete sapere come io abbia capito che stavo dalla parte del torto, vi consiglio di leggere la mia storia, nei prossimi capitoli.

Scoprirete chi davvero me l’ha fatta cambiare la mia persona. Scoprirete anche come e cosa ne sarà dunque del rapporto tra me e mia sorella, non appena lei avrà scoperto chi me l’ha fatta cambiare. Scoprirete come l’avrà presa, se si sarà arrabbiata o se l’avrà accettato.

Ma tutto questo lo vedrete alla fine, dal momento che accadde al mio sesto anno a Hogwarts, settimo e ultimo per mia sorella. Ora nei prossimi capitoli, vedrete me, Andromeda Black negli anni in cui ero una strega dall’animo oscuro, esattamente come la mia sorella maggiore.
 

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Capitolo 16
*** Unicamente per colpa mia ***


Dal grimorio di Rabastan: “ Unicamente per colpa mia”  


 
 
 
Non sono abituato a scrivere su un diario personale. Diciamo che è comune tra le famiglie purosangue possedere un grimorio su cui scrivere alcune cose o avvenimenti che ci hanno segnato la vita. Quello che sto per scrivere a me l’ha segnata molto.

Prima di tutto mi presento: sono Rabastan Lestrange, fratello minore di Rodolphus. Ho frequentato i primi quattro mesi alla scuola di Hogwarts, e devo essere sincero: non ho imparato quasi nulla e dopo ciò che è successo qualche giorno fa, ne sono ancora più convinto. Ora sono a casa per le vacanze natalizie, insieme a mio fratello.

A Hogwarts mio fratello si è creato un piccolo gruppetto di amicizie, già l’anno scorso. Io per ora sto più con lui che con altri, non avendo ancora stretto rapporti con nessuno. E dopo che sapranno ciò che ho combinato qualche giorno fa, forse, saranno ancor meno disposti ad accettarmi.

Ma non voglio tenervi sulle spine. Passerò quindi a raccontarvi i fatti di questa giornata, che per me è stata la più triste e la più brutta che avessi mai vissuto.

Siamo arrivati a casa, un castello da veri purosangue, circa tre giorni fa. Nostra madre venne a prenderci alla stazione di King’s Cross. Nostro padre di solito fa molti viaggi tra l’Inghilterra e la Francia, per lavoro, o almeno è quello che diceva lui. Ma in realtà avevo sin da allora, sospetti che non fosse proprio così… Quel giorno, comunque, non era a Londra. Lui natio francese diceva sempre che preferiva la Francia all’Inghilterra, che trovava fredda.

Comunque arrivati al castello, si viviamo in un castello, mia madre mi ha subito chiesto quello che avevo fatto durante quei quattro mesi, quasi cinque, di frequentazione: cosa avessi imparato, quanti amici mi ero fatto e cose del genere. 

Io, lì per lì, fui subito entusiasta della mole di domande di mia madre. Avevo da sempre avuto la sensazione che preferisse Rod a me; così come anche mio padre. E così, pieno di entusiasmo, non riflettei quando le promisi che quella sera le avrei fatto vedere un incantesimo che avevo imparato durante quei mesi, a scuola.

Se mi fossi ricordato che in pratica non avevo imparato nulla, forse una promessa del genere non gliel’avrei fatta. Ma purtroppo è successo così. Forse era destino che succedesse…

Fatto sta che quando fu il momento, quella sera stessa, mentre io e Rod eravamo in camera nostra, a giocare agli scacchi magici, sentii mia madre che mi chiamava.

“ Arrivo madre” risposi dalla mia camera. Chiesi a Rod di aspettarmi lì che, tempo qualche minuto, e sarei tornato da lui.

Mia madre mi stava aspettando in cucina, tutta contenta che avessi imparato qualcosa. Mi aveva da sempre sottovalutato, dando maggiori pressioni accademiche a mio fratello. Da lui si aspettava decisamente di più. Da una parte questo mi rassicurava, e mi faceva vivere con più tranquillità, senza dover per forza passare le notti sui libri per eccellere. Dall’altra però mi creava una specie di sottomissione ai voleri di mio fratello, e lo consideravo migliore di me. Ne ero quasi succube a dire il vero.

“ Vieni Rab. Siediti un po’ accanto a tua madre e raccontami cosa avete fatto”

Presi a raccontarle brevemente ciò che avrei dovuto imparare, ovviamente nascondendogli il fatto che per me non era così.

Quando arrivai al punto che, le dissi, avevamo imparato ad accendere un fuocherello, lei avvampò di gioia. E sorridendo disse che finalmente non si sarebbe dovuta sprecare lei a preparare la cena, che d’ora in poi sarebbe stato compito mio.

Dopo aver detto questo, mi chiese di accendere il fuoco ai fornelli.

Lì per lì fui in difficoltà. Non ero in grado di eseguire semplici incantesimi, figuriamoci accendere il fuoco. Ma dall’altra parte in quel momento, per la primissima volta, vedevo mia madre realmente orgogliosa di me. Non volevo e non potevo deluderla, rifiutandomi di farlo. Non ora, non in quel momento.

Se fossi riuscito a farlo, forse, avrei avuto da mia madre lo stesso trattamento che lei riservava a mio fratello; e di conseguenza la voce sarebbe giunta anche a mio padre in Francia. Sarebbe stato anche lui orgoglioso di me: Rabastan Lestrange figlio minore e fratello del grande Rodolphus.

Così come in sogno, presi la mia bacchetta e immaginai la gioia che avrebbe avuto mia madre se fossi riuscito a fare un incantesimo di cui in realtà non avevo mai neanche immaginato di dover eseguire un giorno. Tutta la mia vita, tutta la mia stima in me stesso, sarebbe dipeso da quell’incantesimo.

Come in sogno agitai la bacchetta, puntandola ai fornelli.

Il sogno però si trasformò in un incubo.

Come in un incubo sentii i fornelli esplodere. Le urla disperate di mia madre mi trapassarono i timpani. Come in un incubo fui gettato indietro dalla forza d’urto dell’esplosione. Sentii contemporaneamente le urla agghiaccianti di mio fratello, mentre un calore appiccicoso mi suggerì che sanguinavo copiosamente a terra.

Vidi l’ombra di mio fratello china prima su di me e poi sopra una sagoma immobile semisepolta dal crollo della parete che era esplosa. Sentii il freddo pungente dell’inverno che entrava dall’enorme crepa che si era creata. Tentai di alzarmi in piedi, mentre mio fratello disperato gridava il nome di nostra madre, che lei però non riusciva e non poteva sentire.

Poi quando scoprì la verità, si piegò su di lei e pianse disperato.

Io non mi sentivo più in grado di fare nulla. Nostra madre, per colpa mia, solo e unicamente per colpa mia, era morta. Per colpa della mia voglia di riscatto, ai suoi occhi, su mio fratello.
  
Il giorno dopo, Rod si era preso cura di me. Mi aveva fasciato la ferita, con l’aiuto di uno dei curatori del San Mungo, sopraggiunto a casa nostra dopo la telefonata di Rod. Aveva anche chiamato mio padre, raccontandogli dell’incidente, ma rassicurando che era del tutto involontario: che non ero un assassino.

Mio padre però non volle sentire alcuna ragione. Chiese a Rod quando erano fissati i giorni del funerale e minacciò che quando sarebbe tornato, me l’avrebbe fatta pagare.

E così fece. Se prima di quel giorno mi era sembrato che anche lui preferisse mio fratello a me, da quel giorno prese ad odiarmi. Disse che non si riconosceva come un padre per me e chiese a Rod che, se voleva, poteva abbandonarmi al mio destino e andare a vivere in Francia con lui. Avrebbe poi cambiato scuola, frequentando Beauxbatons, invece che Hogwarts. Come aveva fatto lui ai suoi tempi.

Ma lì, forse mio fratello parve capire come mi sentivo realmente io. Devo dire la verità: se fosse accaduta la stessa cosa a lui, e se fossi stato io a dover scegliere, molto probabilmente non avrei avuto il coraggio di perdonarlo. Lui invece, credette al mio reale pentimento e annunciò a nostro padre che si sarebbe preso cura lui di me, in qualità di fratello maggiore. Avremmo vissuto da soli, noi due assieme, senza aver bisogno di orfanotrofi  robe del genere.

Ma ciò che accadde quel giorno, mi segnò per molti anni. Praticamente fino all’età adulta. Oggi sono riuscito più o meno a superare il trauma, ma se mi aveste visto in quei giorni avreste conosciuto un’altra persona. Ebbene ero sempre io, invece: Rabastan l’eterno fratello sfigato, timido, introverso e all’antipodo di Rod. Questo ero io, Rabastan Lestrange, ai tempi di Hogwarts.

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Capitolo 17
*** Era la mia fiamma ***


Dal grimorio di Bellatrix: “ Era la mia fiamma”
 
 
Il Natale trascorse tranquillo. Senza mia sorella che aveva deciso di tornare a casa e senza gran parte della gentaglia che di solito di primo mattino faceva un tale baccano da crearmi forti mal di testa. Io e il mio maestro eravamo tra i pochi che avevano deciso di rimanere a Hogwarts anche per le vacanze.
Nevicava da due giorni, di continuo, e io passavo le giornate a ripensare al compito che il mio maestro mi aveva dato per l’estate successiva su mia madre. E cercavo anche un modo per pararmi qualora lei avesse avuto il sospetto di chiedermi chi mi avesse messo in testa quell’idea.
Le lezioni private con il mio maestro comunque procedevano bene. A parte il fatto che alla fine lui mi tartassava talmente tanto da rendermi esausta, ero comunque molto soddisfatta dei risultati raggiunti. Mi provava su tutto ciò che studiavamo. Anche corsi di magia più avanzata, su argomenti non trattati al secondo anno, ma che avremmo trattato negli anni a venire. Sulle pozioni, sulle erbe e gli infusi, sulla difesa, sull’astronomia, sugli incantesimi… su tutte le materie.
Aveva anche, tra un complimento e l’altro, ottenuto il permesso di Lumacorno nel farmi preparare tutti i  vari tipi di pozioni direttamente nel suo ufficio.
“ Sono proprio orgoglioso di te, Tom. Stai facendo amicizie allora” soleva dire Lumacorno ogni volta che ci assistiva. “ Devo dire che mai avrei pensato che potessi addirittura insegnare ad altri studenti tuoi coetanei. Bravo, Tom. Farai strada ragazzo, dai retta a me”.
Poi si rivolgeva a me e si complimentava: “ Beh devo comunque ammettere che la signorina Black è davvero un’ottima pozionista. Impara davvero in fretta. Notevole davvero…”
E allora il mio maestro interveniva a fissandomi con uno sguardo soddisfatto e complice, rispondeva: “ Signore, se non fosse stata quello che è, forse, non l’avrei scelta. Non crede?”
Ammetto che allora non capii appieno cosa intendesse per “scelta”. Pensavo fosse più che altro un suo modo per intendere “ scelta come allieva”. Oggi, che sto scrivendo, so quanto quella parola avesse in sé un significato più profondo.
“ Ovvio, Tom. Guarda che ti ho inquadrato birichino. Non me la racconti proprio tutta eh…”
Gettai uno sguardo fugace verso Lumacorno e vidi che ci osservava entrambi in un modo strano, quasi malizioso.
Evitai di guardare il mio maestro. Ma ero certa che fosse impallidito. La sfacciataggine di Lumacorno lo avrebbe fatto infuriare, ne ero certa. Invece ancora una volta rimasi sorpresa da lui. 
“ Hai finito, Bella?” mi chiese. Aveva, forse volutamente, interrotto l’argomento. Lumacorno gettò anch’egli uno sguardo al calderone. Certo, mi sentivo in qualche modo strana a preparare pozioni nell’ufficio del professore in piena notte da sola. Mi metteva anche ansia a vedere due persone con gli occhi puntati unicamente su di me.
“ Straordinario, Tom. Le hai insegnato proprio bene. Ottimo antidoto, signorina. Quasi perfetto. Ovvio non lo è solo perché è argomento del quarto anno, ma è decisamente molto ben preparato considerando il fatto che sei solo al secondo anno. Tom devi essere fiero della tua allieva. Lo sei vero?”
Per la seconda volta ebbi timore di guardare il mio maestro, in attesa del giudizio. Ma quando parlò, finalmente, ebbi il coraggio di alzare lo sguardo.
“ Si. Certamente che lo sono”
Fui decisamente sollevata. Tra i fumi del calderone, lo vidi sorridere evidentemente soddisfatto. Lo rendevo soddisfatto e questa era la cosa più importante per me.
“ Bene, direi che è tutto allora. Tom quando hai bisogno per tutto, anche riguardo le lezioni per la signorina Bellatrix, sai dove cercarmi. Buona notte, cari”
E sparì dietro la porta nella parete.
Il mattino dopo la colazione, volli farmi un giro nel parco da sola. A respirare un po’ l’aria mattutina invernale. Faceva freddo. Non so per quale stranissima ragione, ma in famiglia ero quella che soffriva più il freddo dell’inverno e meno il caldo dell’estate. Forse era dovuto a qualche mia caratteristica particolare, anche se non sapevo quale fosse.
Tirai fuori la bacchetta e decisi di creare un focolaio sulla neve per scaldarmi un po’.
“ Incendio”
La fiamma uscì dalla bacchetta e si posizionò sul cumulo di legna che avevo ammucchiato lì, sulla neve nel parco. Era una fiamma vigorosa e calda. Mi ricordai un particolare della mia infanzia.
Eravamo al mare in vacanza. Mia madre, io,  Dromeda e Cissy appena nata eravamo rimasti seduti sulla scogliera che cadeva a picco sul mare tutto il giorno. Il momento in cui calava la notte era il più bello per la mia famiglia, un po’ meno per me perché cominciava a far freddo. Il vento si sollevava e mi dava un po’ fastidio perché non faceva altro che aumentare in me quella sensazione spiacevole. Allora fui la prima a proporre l’idea di accendere i falò affinchè potessimo scaldarci tutti. L’idea, ricordo, era piaciuta molto a Dromeda, un po’ meno a mia madre. Tuttavia riuscii a convincerla. All’apparire delle fiamme ricordo che Dromeda scoppiava in lacrime, gelosa, perché la sua fiamma si spegneva di continuo e invece la mia era quella che scaldava più di tutti. Era la più calda e la più grande di tutte. Finiva sempre che quando decidevamo di scaldarci tutte assieme, quella che scaldava tutte noi era la mia fiamma.
Stavo ancora pensando a ciò, quando udii una voce terribilmente famigliare alle mie spalle.
“ Ci scaldiamo, ragazzina?”
Sollevai lo sguardo. Alecto era dietro di me, con un orribile ragazzo goffo dagli occhi sbilenchi al suo fianco.
“ Ma no, sorella. Non vedi come trema?”
“ Oh tu non conosci Bellatrix, Amycus. Io invece la conosco. Nessuno meglio della sottoscritta sa quanto ami attirare le attenzioni per far vedere a tutti quanto sia brava. Le odio le persone così…”
Scattai in piedi.
“ Scommetto che non sai neanche crearla una fiamma, vero cicciona?”
Alecto fece una smorfia di rabbia nel sentire quell’insulto.
“ Mi stai sfidando, forse, Bellatrix?”
“ Si. Direi di sì”
“ Perfetto. Ora, guarda e impara da chi è più grande di te, perdente”
Si sfilò la bacchetta dalla tasca, fece due passi avanti, spingendo il fratello da parte, e gridò “ Incendio”
Non uscì nulla. Guardò infastidita la propria bacchetta, la scosse, e gridò nuovamente: “ Incendio”
Non ci voleva un esperto conoscitore di Alecto Carrow per comprendere quanto fosse imbranata nell’uso degli incantesimi. E pensare che era due anni più grande di me. Aveva due anni di istruzione in più, rispetto a me. Eppure già allora la superavo.
Al terzo tentativo, si udì un’esplosione. Se non fossi stata sufficientemente abile nello spostarmi probabilmente avrei finito anch’io col sporcarmi la faccia di cenere.
Alecto vista così, era ancora più brutta di come appariva normalmente. Il fratello, dallo sghignazzare, era passato al preoccuparsi seriamente per ciò che era successo. Era rimasta senza parole, con la bacchetta in mano a guardarsi le mani annerite.
Fece solo che gettarmi uno sguardo di profondo disprezzo, cosa che feci anch’io unita ad una sottile, ma ben visibile, nota di derisione e scappò via. Da buona codarda qual era.
Ebbe almeno la decenza di non seccarmi più.
Nel frattempo anche gli altri si erano aggiunti nel giocare nel parco. Era la mattina di Natale e le lezioni quel giorno erano sospese.
Gli altri ragazzi presenti lì, ben pochi a dire la verità, erano tutti immuni a quel clima. L’unica che aveva bisogno di scaldarsi ero io. E non ne capivo affatto il motivo.

  


 
 

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Capitolo 18
*** Hogsmeade ***


Bellatrix faceva progressi. Enormi progressi, che a dire la verità neanche Riddle stesso aveva inizialmente previsto.
Ecco… doveva presto imparare a cavarsela anche da sola, senza dover sempre contare sul suo appoggio. Perché ovviamente non sarebbe potuto essere con lei, sempre.  
Anche i suoi incantesimi parevano aumentare di potenza sempre di più, man mano che si esercitava.
 Arrivò così San Valentino. Per San Valentino si decise di fare uno strappo alla regola e far si che gli studenti del primo e del secondo anno, potessero essere accompagnati al villaggio di Hogsmeade, ovviamente in presenza dei quattro direttori delle Case: Lumacorno per i Serpeverde, Silente per i Grifondoro, la Gaiamens per i Corvonero e la professoressa Madama Bum- quella del Quidditch, che aveva sostituito la professoressa Poorbridge andata in pensione, alla fine dell’anno prima- per i Tassorosso.
L’anno successivo avrebbero così avuto un approccio al villaggio, decisamente con meno novità.
Partirono dopo colazione e arrivarono al villaggio dopo un’accurata camminata che Silente ebbe il coraggio di dire: “ Assolutamente necessaria e piacevole per digerire. L’attività fisica è la cura migliore del nostro corpo”.
Poi tutto contento, arrivati al villaggio, finì per far visita al vecchio del bancone, al locale chiamato: “ La Testa di Porco”.
L’organizzazione a modo di vedere di Riddle, fu comunque pessima. Ben presto, quelli che avrebbero dovuto far loro da guida, si dileguarono andando a salutare i loro amichetti, primo fra tutti Lumacorno, e gli studenti furono altrettanto liberi di andarsi a fare i giretti per il villaggio, come se fossero già un anno e mezzo più grandi di come realmente erano.
L’attenzione di Riddle però fu rivolta soprattutto al vicepreside. Questi, pareva che in presenza del vecchio al bancone, si mostrasse diverso rispetto a com’era solitamente. Quasi cordiale. Ma non cordiale nel senso di dar segno di essere grandi amici, ma addirittura parenti.
Ma se Silente si rivolgeva a questi come un fratello, la stessa come non si poteva dire dell’altro nei suoi confronti. Il vecchio al bancone, possedeva alcune orrende capre davanti al proprio locale, che puntualmente andava ad accudire con ogni genere di vivande e sembrava avere più amore per i propri animali, che nei confronti di quello che lo chiamava: “fratellino”. Anzi nei confronti di questi, vi era un atteggiamento duro e distaccato, quasi da superiore.
Silente girò lo sguardo verso Riddle, che puntualmente lo distolse da questi. Dar segno di origliare, non era certamente saggio, anche se Silente poco prima aveva sussurrato qualcosa come: “ Perdonami, non era mia intenzione farlo”. L’uomo al bancone tuttavia, aveva fatto finta di non sentire.
Alla fine, comunque pensò che tra i due non ci fosse niente che non fosse più di una semplice conoscenza. E sinceramente non gli importava affatto.
“ Tom, Tom, Tom… vieni ragazzo mio. Cosa ci fai da solo qui?”
Lumacorno era andato evidentemente alla  ricerca dello studente modello per eccellenza, in ogni angolo del villaggio. Era anche probabile che avesse chiesto a tutti i presenti se avessero notato un ragazzo alto, con la carnagione pallida, capelli neri e occhi scuri, capaci di attirare chiunque dell’altro sesso. Anzi, ne era certo, non perché avesse letto la mente del professore, ma perché fu lui stesso a rivelarglielo tra una scompigliata di capelli e l’altra.
Lumacorno aveva preso quella brutta abitudine di scompigliargli tutti i  capelli. Da quella mattina prima di Natale nel sotterraneo, in cui aveva osato per la prima volta, da lì ogni volta che lo vedeva non passava volta in cui metteva quelle mani sulla testa del giovane e disturbava la quiete e l’ordine prefissato dei suoi preziosi capelli.
“ Cos’ha bevuto, signore?” domandò, notando una forte puzza di alcol proveniente dall’alito del professore.
“ Oh, niente di che… solo tre bottiglie di burrobirra. A Mielandia solo le migliori in assoluto. Vieni che ne assaggi qualcuna anche tu”
“ No, grazie signore. Sono astemio”
“ Sciocchezze, ragazzo mio. Ti piacerà e diventerai un assiduo consumatore di burrobirre”
Trascinato per il braccio dal professore evidentemente brillo, Tom non poteva neanche rimettersi apposto i capelli, tutti in disordine.
Arrivarono al locale ed entrarono.
“ Horace, ancora qui? Mi hai svuotato il negozio, perbacco. Abbiamo portato qualcuno vedo” disse il barman tra un risolino e l’altro.
“ Si, Lucius. E’ Tom Marvolo Riddle. Lo studente migliore che avessimo mai avuto a Hogwarts dalla sua fondazione ad oggi, vero Tom?”
Tom annuì in parte onorato che il suo essere fosse sempre apprezzato. E in effetti anche il locale non era  tanto male, in fondo.
“ Che gli hai fatto?” domandò Lucius accennando ai capelli.
“ Oh niente di che, vecchio mio. Solo una pettinatura un po’ più da ragazzino ribelle”
“ Oh.. sono ribelle, non immagina neanche quanto signore. Non ho bisogno, però, di mostrarlo nella mia persona fisica”
“ Signore io non voglio essere un ragazzo ribelle. Sono a Hogwarts per imparare e primeggiare, ma non voglio essere né ribelle né tantomeno malvagio”
Lumacorno gli diede una strizzatina d’occhio.
“ Infatti non lo sei affatto Tom. Anzi, tutt’altro. Sei un ragazzo perfetto sotto ogni aspetto. Farai strada ragazzo mio… farai molta strada”
Poi rivolgendosi all’uomo al bancone: “ Avresti un paio di whisky incendiari?”
L’uomo fece una faccia, come a dire: “ ci va giù pesante, il vecchio Horace”.
Poi dopo averli consegnati, Lumacorno si protrasse  all’orecchio di Lucius e sussurrò, tutto contento: “ Non preoccuparti, non sono per me. Oggi Tom Marvolo Riddle verrà ubriacato dal sottoscritto. Sarà un giorno storico”
Si trovarono un posto, tra due tavolini occupati da paio di studenti del sesto anno e si sedettero uno di fronte all’altro.
Lumacorno stappò con la bacchetta la prima bottiglia di whisky e ne versò un bicchiere pieno e lo consegnò a Riddle.
Il ragazzo, prese e assaggiò il liquore, senza fiatare. Era potente, vero, ma forse l’avrebbe sopportato. Lo prese in mano, sotto lo sguardo sorridente del professore e lo trangugiò senza tanti complimenti.
“ Piccolo bugiardo” disse Lumacorno sorridendogli con aria di finto rimprovero. “ Mi avevi detto che eri astemio”
Riddle sorrise: “ Signore, sa molto poco di me. Davvero molto poco”
“ E’ vero, a giudicare da questo” rispose l’altro, indicando il bicchiere vuoto.
“ Avanti ne metta un altro” lo provocò Riddle sorridendogli.
Lumacorno scosse la testa, stavolta serio .
“ No, basta così. Sono sempre un insegnante e ho un dovere di genitore verso di voi”.
Riddle si fece serio anche lui. Si guardò attorno. Erano arrivati ad un momento in cui il locale era vuoto, Lucius il barista, era andato a prendere nel magazzino altre scorte di bevande, essendo piuttosto impacciato con la bacchetta. Capì che poteva parlare tranquillamente senza che nessuno origliasse.
Raccontò quindi a Lumacorno la sua vera storia. Il suo trauma infantile che portava dentro di sé. Il suo dolore ancora vivo in lui. Era la primissima volta che ne parlava liberamente, con qualcuno. Lo fece più che altro per intenerire il professore, visto che una storia come quella poteva solo intenerire anche coloro che avevano il cuore più duro.
Ma ad un tratto s’interruppe. L’odio, il disgusto e la rabbia nel volto di Riddle erano inequivocabili. Era impossibile raccontare quella orribile storia, senza provare tutte queste emozioni: rabbia, disgusto e odio. Lumacorno aveva gli occhi traboccanti di lacrime, nel sentire una storia tanto triste.
Restò un attimo in silenzio. Poi evidentemente commosso disse: “ Una storia davvero molto triste, Tom. Non immaginavo che la vita negli orfanotrofi babbani fosse così cruda e così crudele”.
“ Le ho voluto raccontare questa storia, che corrisponde al vero, glielo assicuro, per spiegarle il motivo per cui voglio imparare tutto qui. Del perché voglio primeggiare e conoscere quanta più magia possibile. Perché ho un debito verso di lei. La magia mi ha salvato quando ero un bambino e io ora voglio scoprirne tutti i suoi rami, tutti i suoi segreti. Spingerne i limiti oltre l’ordinario. Io e la mia magia, dovremo essere un’unica cosa. E’ la prima volta che rivelo questi fatti a qualcuno, mi creda. E’ una parte molto delicata della mia infanzia. Ma mi fu parecchio utile per farmi comprendere che ero speciale. Le chiedo di non farne parola con nessuno di tutto ciò che ho deciso di raccontarle. Voglio che sappia comunque una cosa: io non mi accontento e non mi accontenterò in futuro di partecipare. Io voglio vincere”
“ E vincerai Tom. Ne sono sicuro”  rispose Lumacorno al colmo della commozione. “ E non preoccuparti, non parlerò”
Riddle sorrise: “ Allora ho un alleato in più”
Lumacorno sorrise a sua volta.
“ Non farti mai scrupoli, Tom. Quando avrai dei dubbi su qualsiasi argomento, potrai chiedermelo senza alcuna esitazione. Io sarò pronto ad esaurire qualsiasi richiesta tu voglia, proprio per aiutarti in questa tua , missione personale: quella del primeggiare su tutto. Anche in modo da poterti vendicare, anche se indirettamente, ovvio, su quelle persone che, quando eri un bambino, ti hanno fatto soffrire”
“ Sono onorato del suo aiuto signore. Ne terrò conto” e fece che andarsene dopo aver salutato.
All’uscita del pub però l’insegnate richiamò il suo allievo preferito e lo fece avvicinare. Quanto Riddle raggiunse Lumacorno ancora seduto al tavolo, questi dichiarò: “ Non ho potuto fare a meno di vederti insegnare quelle cose alla signorina Bellatrix, Tom. Devo ammettere che sei davvero portato nell’insegnamento”
Riddle sorrise: “ Non è stato nulla in verità. Lo faccio più che altro come passatempo. Bellatrix rende tutto più semplice, perché devo ammettere, mio malgrado, che ha talento”
Lumacorno confermò: “ Oh si. Ha talento, come te Tom”
“ Io però sono migliore di lei. Sono un gradino sopra”
“ Si certo” ridacchiò Lumacorno pensando a quanto fosse stato sciocco dal non precisare le abilità superiori di Riddle. “ Il punto è questo” si protese verso Riddle e sussurrò. “ Ci sarebbero alcune persone più grandi che invece a Hogwarts erano una frana. Se vuoi mi ricordo i nomi, perché erano anche miei compagni, erano del mio anno. Tutti Serpeverde ovviamente. I nomi che mi ricordo erano questi…” fece uno sforzo mnemonico e disse: “ Allora…. Avery senior era uno, poi c’era un certo Nott, Mulciber senior era un altro… adesso i nomi non li ricordo proprio tutti. Ma su per giù sono questi. Ti piacerebbe se te li presentassi un giorno? Così poi magari potresti metterci mano te. Sono sempre stati abbastanza imbranati nella pratica magica”
A Riddle l’idea di dover sprecare del tempo utile nell’insegnare pratica magica ad un gruppo di incapaci, almeno a sentire Lumacorno, non gli andò proprio a genio.
“ Ci penserò, signore. Le farò sapere” fu la risposta.
“ Ah e poi ci sarebbe anche uno studente un po’ più grande di te. Frequenta ora il quinto anno. Antonin Dolohov. Lui dice che vuole diventare un abilissimo mago, ma secondo me non ha le capacità per diventarlo. Se volessi intervenire anche in suo soccorso, Tom…”
“ Le farò sapere” ripetè per la seconda volta. E senza dire altro uscì dal pub.
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Il soccorso ***


Aveva fatto un’eccezione alla regola. Si era promesso a sé stesso che non avrebbe mai rivelato quella storia a nessuno. La parte del segreto più personale di tutti. Il vero motivo per cui odiava con tutto sé stesso quella struttura a cui ancora doveva tornare per l’estate. E anche il mondo babbano, in un certo senso.
Ma con Lumacorno si era reso necessario. Solo quella verità del suo passato, così cruda, così tremenda avrebbe potuto abbattere le restanti, seppur poche, barriere che lo separavano ancora dall’insegnante.
Ora dopo quello sforzo, nel raccontare il suo peggiore ricordo, anche quelle erano crollate. Ora aveva la piena fiducia di Lumacorno finalmente a sua disposizione. In futuro avrebbe poi approfittato come meglio avrebbe potuto.
E poi quel ricordo lo tartassava dalla prima notte da quando, per la seconda volta, aveva graziato Bellatrix, per il guaio che aveva combinato con suo cugino. Averne parlato con il suo professore preferito, forse non era stata una cattiva idea. Aveva due aspetti a favore e uno contrario.
Ovviamente se non fossero stati solo loro due, non avrebbe detto nulla di tutto ciò. Era pur sempre il suo segreto più grande. Seppure orribile e di cui non doveva andarne fiero. Anche se in un certo senso, come aveva detto, in quelle occasioni aveva compreso davvero di essere diverso dagli altri. Seppure ancora non lo desiderasse davvero. Lo desiderò e ne fu fiero, solo l’ultima notte prima della visita di Albus Silente, nella struttura.
C’era stato solo un inconveniente finale. Lumacorno aveva notato come se la cavasse bene nell’insegnamento e questo aveva fatto sì che gli avesse trovato ex allievi o presunti tali a cui insegnare. Era una cosa alquanto sciocca, anche perché insegnare a gente non abile a lui proprio non piaceva.
Con Bellatrix quasi si divertiva, perché lei era abile, dotata, imparava in fretta.
Quegli sciocchi, era certo, non avrebbero fatto mai altrettanto. Infondo anche Lumacorno aveva detto che erano delle chiaviche a scuola. Perciò era deciso a prendersi il maggior tempo possibile per poter decidere. Quella era una cosa che avrebbe dovuto attendere.
“ Maestro, dove eravate?”
Bellatrix sopraggiunse incontro a lui.
“ Shh. Vuoi farti sentire, sciocca?”
Bellatrix con il respiro affannoso, rispose: “ Voglio d’ora in avanti chiamarvi sempre: maestro. Voi siete il mio maestro. Tom Riddle ormai non esiste più per me. Voi siete il mio maestro”.
Notando che forse non era perfettamente in sé, si era data all’alcol libero, decise comunque di approfittare della decisione. Il fatto che d’ora in avanti non lo chiamasse più con il suo nome, che odiava, perché troppo ordinario, non gli dispiaceva affatto. Anzi uno dei suoi obiettivi su di lei era proprio questo: il suo senso di superiorità nei suoi confronti. E chi meglio di Bellatrix era disposta ad accettare tutto quello che lui le ordinava?
Sorrise.
“ Bene, farò come vorrai. D’ora in avanti quando ti rivolgerai a me, mi chiamerai sempre così”
Bellatrix assunse un’aria di trionfo. E Riddle le domandò: “ Dove sei stata?”
“ Con mia sorella Andromeda”
La risposta non piacque a Riddle. Soprattutto se voleva ancora la sua amicizia. Dopo un lungo respiro, si rivolse alla ragazza davanti a lui con aria seria: “ Non mi piace che frequenti tua sorella, Bella. Lei non è come te. L’ho notato da subito. A me basta poco per conoscere qualcuno perfettamente”
Bellatrix rimase un po’ spaesata da una reazione così dura.
“ Ma è mia sorella” ripetè.
Riddle cominciò a perdere la pazienza.
“ Lo so che è tua sorella, Bella. Ma non è come te. Te ne accorgerai presto, di quanto siate diverse voi due. Se sarai fortunata, già qui a Hogwarts. Quindi d’ora in avanti non mi dovrai più parlare della tua sorellina. Se la vedrai , dovrai farlo in mia assenza, senza riferirmelo. Tanto sono convinto che arriverà anche per te il momento in cui non vorrai più avere niente a che fare con lei”
La oltrepassò e quando lei gli domandò: “ Dove andate Maestro?”
“ Al castello” rispose.
“ Da solo?” domandò ancora Bellatrix cominciando a seguirlo. Lui si voltò.
“ Io faccio tutto da solo. Sono in grado di badare a me stesso, da solo”
“ Vengo con voi”
Lui la guardò accigliato.
“ Devi imparare che non potrai seguirmi sempre in futuro. Dovrai imparare a cavartela da sola, perché non sarò sempre con te. Quanto hai bevuto?”
Il cambio repentino di argomento, la disorientò.
“ Quanto ho…?”
“ Bevuto, si. Mi sembri un po’ strana”
“ Io non ho bevuto” fece lei.
“ Che bugiarda”
Non volle più sapere nulla. Si avviò verso il castello, ma lei ormai non lo lasciava più.
“ Sei stata sciocca a ubriacarti. Non farlo più”
Bellatrix sorrise.
“ Avete premura di me, mio maestro?”
Lui si fermò a scrutarla. Il suo sguardo s’ incupì.
“ No. Ma ho bisogno di un’allieva lucida. Non di una ubriaca”
Bella però non parve sentire. Aveva lo sguardo perso, da qualche parte, nel suo viso.
Riddle  la riprese: “ Ehi. Mi stai ascoltando Bellatrix? Rispondimi”
Lei parve riscuotersi.
“ Eh? Si, maestro. Si ho capito”.
“ Bene” rispose Riddle, tornando ad incamminarsi, con lei al seguito.
“ Adesso ho un po’ di mal di testa, a dire il vero” ammise lei, ad un tratto, con un filo di voce.
“ Brava. Adesso te lo tieni. Così imparerai la prossima volta” rispose perfido, Riddle continuando a camminare, incurante.
“ E’ la prima volta che mi ubriaco. Non potete aiutarmi?” chiese lei supplichevole.
“ No. Te lo tieni”
Continuò a camminare in direzione del castello. Ormai era giunto al lago.
“ Vi prego”
Si fermò a scrutarla. Bellatrix aveva davvero l’aspetto di una che stia male davvero. Sbuffando e maledicendosi, decise di tornare indietro, al villaggio, e chiedere a Lumacorno il permesso di accedere all’aula delle pozioni. Lì o lui o Lumacorno stesso, avrebbe preparato una pozione per rimetterla in sesto.
“ E va bene. Ma se lo farai ancora, ti arrangerai da sola”
Lei, trionfante, tra uno sbandamento e l’altro, dettato dal fatto che le girava sempre più forte la testa, lo seguì.
Tornato da Lumacorno, richiese l’attenzione del professore che stava discutendo animatamente con un altro direttore di uno dei negozi del villaggio. A quanto pareva i due erano vecchi compagni a Hogwarts.
“ Signore? Mi scusi”
Lumacorno guardò Riddle.
“ Ciao Tom. Vieni che ti presento al mio vecchio compagno...”
Lui però lo interruppe.
“ Signore un’altra volta. C’è un piccolo inconveniente”
“ Per la barba di Merlino… cos’è successo alla signorina Bellatrix?” domandò il professore allarmato, vedendola sull’orlo dello svenimento
“ Ha avuto una piccola esagerazione con l’alcol. Potrebbe aiutarci a sistemare la cosa?”
“ Si certamente” rispose frettoloso Lumacorno. “ Venite. Vi do accesso al mio ufficio, così preparerai tu, l’antidoto Tom”
Camminando più in fretta di quanto riuscisse, Lumacorno si avviò verso il castello seguito dagli altri due. Due o tre volte fu costretto a fermarsi perché Bellatrix sbandava paurosamente. Alla fine, decise di sorreggerla e trascinarla, per impedire che cadesse a terra.
“ Per la barba di Merlino, signorina… ci è andata dentro eh?”
Poi rivolgendosi a Riddle.
“ Quanto ha bevuto?”
“ Non lo so signore… io ero con lei”
“ Ah giusto”
Continuarono a camminare. Riddle sentì Lumacorno lamentarsi, mentre trascinava letteralmente l’allieva, la quale, ormai a peso morto, si era afflosciata tutta. Parve lamentarsi  del fatto che non fosse possibile la materializzazione, o qualcosa del genere, direttamente dentro il castello.
“ Cos’è la materializzazione, signore?”
“ Oh Tom… lo vedrai. Al sesto anno. C’è ancora tempo. Ecco qui. Finalmente”
Erano arrivati al castello.
Entrarono e si avviarono da subito verso i sotterranei nell’ufficio del professore. Arrivati lì, Lumacorno tirò fuori la bacchetta, la puntò alla serratura e quella scattò facendoli entrare.
“ Eecco qui. Aaah. La sistemiamo qui, sul divano. In attesa dei rinforzi. Tom, a te l’onore. Allora qui hai tutto ciò che ti serve per la preparazione: si chiama Pozione Sobriante. Il procedimento è abbastanza semplice, ma bisogna fare molta attenzione nei dosaggi. La difficoltà è che è molto volatile, quindi alla giusta temperatura, e non un solo mezzo grado in più, va tolta dal calderone. Altrimenti la sostanza volatizzerà in pochissimo tempo. E’ una pozione che io generalmente insegno al quarto anno. Ma tu, sei tu Tom. Ti assisterò mentre la prepari. Se hai difficoltà sai cosa devi fare”
Prese uno degli innumerevoli volumi sulle pozioni di ogni genere e trovata la pozione cercata, la poggiò accanto a Tom in modo che potesse consultare.
Ci mise circa trenta minuti a preparare tutti gli ingredienti. L’ultima procedura, la più complicata diceva che doveva essere riscaldato il tutto fino ad una temperatura di cinquantadue gradi. A cinquantadue virgola uno, sarebbe tutto andato perduto.
Venticinque…. Ventisei…. Ventisette…
Aspettò ancora. Aveva fatto tutto per conto suo, senza aver bisogno di Lumacorno. Questi guardava ammirato la sicurezza mostrata dal giovane.
“ Sai potresti diventare un vero pozionista Tom. Sembri me” e ridacchiò. Riddle voltato dall’altra parte, sorrise.
Mentre aspettava, alzò lo sguardo. Gli cadde per puro caso su un libro dalla copertina nera, ripiegato in un angolino a parte. Era evidente che doveva essere ben nascosto dalla vista di chiunque.
Una scritta scarlatta, che dava un forte contrasto con il nero della copertina recitava: “ Antidoti e rimedi contro le maledizioni e i loro usi”.
Un lampo negli occhi.
Ebbe la tentazione di prenderlo, ma poi si ricordò di non essere da solo. C’erano due persone con lui. E una di queste, era il suo insegnante.
Tornò a fissare la sua.
Quarantotto…quarantanove… cinquanta.
Si preparò mentalmente e manualmente a prelevare il tutto.
A cinquantadue gradi esatti, prese una boccetta, tolse immediatamente la sostanza bianco-argentea e la richiuse.
La consegnò a Lumacorno.
“ Eccellente ragazzo, mio… davvero sbalorditivo. L’hai preparata meglio di tanti ragazzi del quarto anno di corso, davvero. Vorresti fare cambio?” E gli strizzò l’occhio.
Riddle sorrise e non disse nulla.
Lumacorno la consegnò a Bellatrix ancora del tutto intontita, sdraiata sul divano nell’ufficio del professore, e la aiutò a berla. Poi lei parve cadere in un sonno profondo.
“ Dormirà qualche ora. Ma si rimetterà in sesto. Nel frattempo possiamo lasciarla qui a riprendersi. Passerò tra un paio d’ore per vedere come sta”
Riddle annuì e, insieme al professore, entrambi uscirono dalla stanza, lasciando Bellatrix da sola al buio.
 
 

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Capitolo 20
*** Da qualche parte, nel castello ***


Dal grimorio di Bellatrix: “Da qualche parte nel castello”
 
 
 
Mi risvegliai intontita, con un forte mal di testa. Non ricordavo nulla di quello che era accaduto quel giorno.
L’unica cosa che mi ricordavo era che avevo bevuto troppo. Mi ero completamente data all’alcol in un locale che aveva un nome strano: “ I Tre Manici di Scopa” o qualcosa del genere. Ma tutto sembrava lontano. Come in un sogno.
Il luogo in cui mi ero svegliata era avvolto nell’oscurità. Era probabile che fosse notte inoltrata. Quanto avevo dormito? Mi guardai attorno.
L’architettura del soffitto del luogo era lavorato in stile gotico. Sembrava un castello. E io mi trovavo da qualche parte all’interno di questo.
Candele rosse cupo e nere, ferme nei candelabri d’argento, emanavano una luce sufficiente a vederci in volto, io e un ragazzo adulto  dallo sguardo scuro, nascosto dai capelli, anch’essi scuri, che gli ricadevano davanti agli occhi. Luce, quella delle candele sufficiente a vedere le nostre tremule ombre ondeggiare sulle pareti.
Mi sentivo anch’io adulta come lo era lui. Ero adulta. Se non fossi stata adulta, non mi sarei trovata lì.
Ero adulta e potevo avere intorno ai diciotto/diciannove anni. Avevo da poco finito la scuola.
Per qualche strana ragione la sua presenza e la sua vista, non mi turbava, anzi ero lieta di stare con lui. Contenta di averlo vicino a me. E il sorriso che lui mi rivolgeva e io rivolgevo a lui sanciva una fiducia cieca, totale, tra me e il mio maestro.
Il mio maestro lui era o poteva essere…
“ Benvenuta” mi aveva accolto con la sua voce fredda e diretta, che aveva un che di inquietante e magico insieme. “ Sei arrivata finalmente. Ti stavo aspettando”
Era seduto, Mi sentivo sicura. Ero sicura con lui, sapevo che potevo fidarmi ciecamente; come lui, vedevo, si fidava di me.
Si alzò e, attraverso la semioscurità mi sembrò che mi rivolgesse uno  sguardo fiero, complice e crudele, come crudele mi sentivo anch’io.
“ Dimentica tutto quello che ti hanno insegnato finora…
Dimentica tutto quello che hai imparato finora…
Dimentica quello che sei stata finora…
Ora tu sei mia, solo mia…
La mia allieva.
Ora entrerai nel mondo delle Arti Oscure, nel mio mondo, dove tutto è diverso. Dove tutto cambierà e ogni cosa è resa possibile dai poteri occulti.
Nel tuo animo e nella tua psiche, tutto si sconvolgerà.
Nel tuo fisico e nel tuo aspetto, ti vedrai diversa.
Qui la notte è buia senza le notti di stelle.
Qui siamo tutti dannati, siamo potenti e rimarremo immacolati. Sfideremo tutto anche la morte. E nemmeno quella ci sconfiggerà”
Questo mi aveva detto e io lo guardai ammirata e vogliosa di iniziare da subito.
Io e lui.
Insieme.
Soli.


“ Ehi, signorina?”
Mi svegliai davvero. Avevo sognato. Per qualche ragione, l’idea che tutto questo fosse stato solo un sogno, mi aveva turbato. Avrei voluto che fosse vero.
Alzai lo sguardo, un po’ seccata. Mi trovavo a Hogwarts. Niente oscurità. Era tutto illuminato. Niente soffitto gotico, nè candelabri, né pareti antiche. Ero nell’ufficio di Lumacorno.
Il prof, in pantofole e in pigiama, era piegato sopra di me, un po’ preoccupato. Era evidente che mi avesse visto mentre sognavo. Chissà se mi ero lasciata sfuggire qualche parola di troppo…
Il mio maestro, lì a Hogwarts, mi osservava attentamente accanto al divano. Non diede segno di aver compreso quello che avevo appena sognato, o se ne diede segno non lo fece vedere. Era sempre molto abile a nascondere tutti i suoi pensieri. Era imperscrutabile.
Non sapevo veramente chi fosse l’uomo che avevo visto, avvolto nella semi oscurità, nel sogno. Forse la risposta, l’avevo davanti agli occhi in quel momento, ma non ne ero certa. Se solo lo avessi visto bene in volto…
Nel sogno non si era presentato e io, ora, non sapevo come si chiamasse.
“ Sei calda?”
Lumacorno mi toccò la fronte, come se temesse che avessi la febbre. Il mio maestro, nel frattempo continuava a fissarmi, sempre in silenzio. L’eccessiva cura che il professore mi diede, però non andò a mio agio. Volevo che fosse il mio maestro a prendersi cura di me. Lui, dal canto suo, però distolse lo sguardo.
Poi a Lumacorno disse: “ La signorina Bellatrix sta bene, signore. Non si preoccupi. La pozione ha sortito l’effetto sperato. Ha dormito bene, e oserei dire che ha fatto sogni molto, molto piacevoli”.
Accennò un sorrisetto rivolgendomi ancora lo sguardo.
Io invece sbiancai. Lo sapeva? Sapeva ciò che avevo appena sognato? E se lo sapeva, come aveva fatto ad intuirlo?
No… non poteva saperlo. Mi dissi tra me. Non poteva sapere una cosa che non era successa. Nel sogno ero grande, ero adulta. Ora ero tornata ad essere una ragazzina di quasi tredici anni.
Desiderai tornare adulta, volevo tornare come lì. Ero così felice…
“ Signore, se non le dispiace, vorrei rimanere da solo con la signorina Bellatrix”
Panico totale.
“ Nessun problema, Tom. Io vado a letto. Sarà mezzanotte passata. Hai dormito più a lungo di quanto pensassi, signorina Bellatrix. Mi suona strano dirlo anche a te: ma… buonanotte” E accennando un segno di saluto, Lumacorno sparì dietro una porticina secondaria al suo ufficio, strisciando i piedi con le pantofole.
Riddle attese che Lumacorno sparisse e chiudesse la porta e poi domandò: “ Stai meglio?”
Annuii, decisa a non guardarlo per paura che scoprisse tutto quanto. A volte non sapevo come comportarmi con lui.
“ Sei stata una sciocca”
Alzai lo sguardo. Lui era sopra di me. Mi fissava, un po’ deluso.
“ Io avrei voluto che tu diventassi più responsabile. Ti sei comportata da bambina sciocca oggi. Ti sei fatta influenzare dalla tua sorellina, non è vero? E’ stata lei a farti ubriacare. E tu l’hai accontentata. Mi hai deluso, Bella. Pensavo che qualcosa avessi imparato da me. Sei ancora una bambina”
Io, ripensando a com’ero nel sogno, e sentendomi dire che ero una bambina dal mio maestro, trattenni a fatica le lacrime.
Desideravo essere come lei, grande e bella come lei. Io invece ero un mostro al suo confronto. E ingenua… terribilmente ingenua.
“ Che stavi sognando?” mi domandò ad un tratto il maestro, fissandomi
“ Niente” mentii.
“ Non mentire al tuo maestro, Bellatrix. Sai che ti scopro”
Allora decisi di dirgli la verità. Ma solo una parte.
“ Stavo sognando come sarò da adulta”
Attesi l’ulteriore domanda, che lui non fece. Quello che disse, però mi spiazzò.
“ Lo immaginavo” sussurrò più tra sé che a me
“ Lo sapevate?” chiesi, sperando che non si riferisse a ciò che pensavo io.
“ Si” mi confermò, sorridendo appena. “ La pozione Sobriante ha come effetto dall’uscita dell’alcol quello di farti fare sogni premonitori. Quello sciocco di Lumacorno non lo sa. Ma io lo so, perché leggendo attentamente le istruzioni per preparartela, lo accenna sotto la voce: effetti. Lumacorno sa molto poco della materia che insegna. Molto, molto poco”
La rivelazione mi fece dimenticare il mio senso di colpa nei confronti del mio maestro. Allora se le cose stavano così…
“ Voi credete ai sogni premonitori maestro?”
Lui mi si avvicinò appena. Mi fissava sempre con quello sguardo scuro, avvolto da un qualcosa di misterioso e magnetico, tipico di lui.
“ Io credo a tutto ciò che è nel campo della magia. I sogni lo sono anche. Ma ti dirò questo Bellatrix: solo se vorrai realmente realizzarlo il tuo sogno potrà esaudirsi. Da solo, senza una tua forte volontà, fortissima volontà, non si realizza. Abbi voglia e desiderio di volerlo realizzare e questo avverrà ”
Quella frase a me fu chiarissima e mi diede gioia enorme.
Si lo volevo. Volevo diventare come la Bellatrix del sogno. Bella, oscura, forte e sicura di sé. Lo desideravo con tutta me stessa. Ora dovevo essere capace di realizzarlo.
Al culmine dell’esaltazione mi rivolsi al mio maestro e gli dissi, ammirandolo in tutta la sua  maestosità: “ Se mi avete aiutato, vuol dire che mi avete perdonato della mia colpa di oggi. Lo so, lo sento e vi ringrazio”
Il mio maestro mi osservò e poi chinò il capo, chiudendo gli occhi.
“ Mi servi. Ho bisogno di te ora e… in futuro”
E io fui ancora più felice nel sentirmelo dire. Provai quella stessa felicità che la Bellatrix del sogno, provava in quel luogo alla presenza del ragazzo adulto, nascosto nell’ombra. Cominciai quindi a convincermi che fosse  lo stesso che avevo di fronte a me in quel momento. Solo nella sua versione più piccola.
E quelle parole che nel sogno avevo udito, non le avrei mai dimenticate.




NOTE DELL’AUTORE

Ho da dire una cosa riguardo questo capitolo.
La prima parte, riferita al sogno, ha descrizioni di ambienti e dialoghi non di inventiva mia, ma di Circe e lo trovate quasi uguale nel primo capitolo del maestro di Arti Oscure (non innamorarsi mai) che come sapete può essere definita come proseguo di questa. Dipenderà sempre se sarò bravo abbastanza da renderlo credibile tutto questo, ma spero di fare un buon lavoro.
Non ho altro da dire. Spero che il capitolo vi sia piaciuto
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Piccola nullità ***


Dal grimorio di Bellatrix: “Piccola nullità”
 
 
Nei giorni seguenti, né durante le lezioni private che il mio maestro faceva a me e neanche quando ci incontravamo al mattino accennai più al sogno che avevo avuto nella sala dalle pareti antiche e il soffitto dalle lavorazioni gotiche. E lui, fortunatamente, pareva non essersene reso conto di ciò che avevo sognato.
Tuttavia qualcosa nei suoi confronti era cominciato a cambiare da quella notte. Avevo percepito i sentimenti che provava la mia versione adulta nei suoi confronti, nei confronti del mio maestro. Avevo compreso che lei provava realmente qualcosa per lui e come una malattia contagiosa tutto questo si insinuò in me sin da quella giovane età. Ero giovane allora, appena dodicenne, quasi tredicenne, ma avevo sin da allora provato l’amore adulto, l’amore vero, quello che ho io ora, da ventenne, nei confronti del mio maestro. Ovviamente allora in me ne era nata la classica cotta adolescenziale che di solito si insinua nei ragazzi e nelle ragazze a quell’età. Ma fu già una cosa piuttosto traumatica da sopportare, perché lui sin da quei tempi mi aveva ordinato di non innamorarmi mai.
Allora fui però molto abile a nascondere molto bene la cotta che mi ero presa per lui, tanto che direi che non se ne accorse neanche. O forse se ne accorse, ma non me ne accennò mai in seguito.
Decisi che non doveva sapere nulla di tutto ciò e sperai vivamente che non lo scoprisse. E’ difficile tenergli nascosto qualcosa anche ora. E ora ho le tecniche per poterlo fare. Allora non avevo neanche quelle e se avesse anche solo guardato con più attenzione verso il mio sguardo, avrebbe potuto tranquillamente intuire che qualcosa in me stava cambiando. Dovevo sperare che non accadesse, perché ero certa che l’avrebbe presa malissimo. Allora era ancora piuttosto freddo, con gli anni poi si è aperto molto di più.
E a questo pensavo, mentre lo fissavo seduto due file più in basso alla mia, durante la finale di Quidditch.
A me il Quidditch non era mai piaciuto, così come anche a lui. Lo trovavo noioso, soprattutto perché quella squadraccia di Serpeverde si rifiutava di ammettere le ragazze e di conseguenza vi era una vera discriminazione tra i sessi. Invece che averla con i babbani, come un vero Serpeverde dovrebbe avere, quella mezza cartuccia del capitano le aveva verso le ragazze.
“ Ehi, bambina. Tagliati quel cespuglio da sopra la testa, perché mi impedisci la vista”
Era stata Alecto a parlare. I miei lunghi capelli, al contrario dei suoi, erano lisci. Semmai  era lei ad avere il cespuglio, non io. Avevo compreso che era invidiosa di me: ero più bella di lei, più magra e anche con uno sguardo più sensuale del suo. Insomma ero e sono più donna di lei. Lei si vantava con me solo perché era più grande.
“ Hai capito, ragazzina? Togliti davanti che non vedo”
Mi prese la testa e me la fece chinare a forza, in modo che lei, solo lei, potesse vedere.   
Giurai a me stessa che, finita la partita, l’avrebbe pagata cara. Ora non potevo reagire perché praticamente circondata da decine e decine di compagni e con loro c’era tutto il corpo docente. Ma appena fossimo rimaste sole….
“ Ah così va meglio. Grazie bambina” disse sfacciata, continuando a tenermi la testa piegata in avanti. Non che mi interessasse tanto la partita. Alla fine restare a guardare gli stivali che indossavo o quello spettacolo orrendo non faceva poi tanta differenza. Almeno gli stivali erano miei e potevo vantarmene. No, era lei e il suo modo di fare che mi dava sui nervi. E quel giorno l’avrebbe pagata. Cara. Avrebbe avuto un primo assaggio di chi era, ed è, Bellatrix Black quando la si coglie per il verso sbagliato.
E così sia. Ero rimasta tutto il tempo a guardare in basso con Alecto che di tanto in tanto continuava a punzecchiarmi con le sue sciocche considerazioni sui miei vestiti e sul mio aspetto e, dentro di me, pensavo ad un modo per fargliela pagare.
Quando la partita finì, non so chi abbia vinto alla fine, ma non me ne interesso, ho fatto che seguire di soppiatto Alecto, senza che lei sospettasse minimamente di essere seguita, men che mai da me.
Era sola. Non si era fatta neanche un’ amica in tutti quegli anni. In fondo era talmente antipatica e anche brutta, che nessuno avrebbe stretto amicizia con lei.
Quando fui sicura che nessuno ci avrebbe visto, dato che lei, non so per quale ragione, si stava dirigendo verso la foresta, puntai la bacchetta alle sue spalle e lo schiantesimo che le scagliai addosso, la colpì a freddo senza che lei avesse il tempo per capire ciò che fosse successo.
Quello fu il primo, vero attacco diretto che lei subì per mano mia. Niente in confronto, comunque, a quello che ha subito sempre per mano mia l’altra sera. Un attacco di cui fa ancora fatica a riprendersi. Oserei aggiungere, particolarmente doloroso.
Il suo corpo volò di una decina di metri e cadde in mezzo ai rovi all’ingresso della foresta.
Alzandosi e sputacchiando spine, qualcuna forse l’aveva addirittura ingoiata, Alecto mi domandò con forza: “ Sei stata tu?”.
Era livida di rabbia. La faccia era tutta graffiata e il ginocchio sinistro perdeva sangue.
Io la guardai sprezzante: “ Hai capito, cicciona con chi hai a che fare? Sei una nullità. Pensavo fossi molto più brava, invece è stato persino facile, sbarazzarmi di te”
Mi voltai trionfante, convinta di averla messa al posto che meritava. Ma lei si riprese quasi subito e mi restituì il favore. Sfortunatamente per la mia avversaria, previsi l’attacco, lo schermai, con un sortilegio scudo, e glielo rimandai contro. Ancora volò via e ricadde nuovamente.
Si rialzò, sempre con maggiore fatica, sempre più incollerita e urlando di rabbia decise di scagliarmisi addosso.
Ma io ormai avevo preso le sue misure e proprio in quel momento mi sentii invadere da una nuova piacevole, anzi piacevolissima, sensazione. Una sensazione mai provata prima: era l’esaltazione. Mi beavo della mia bravura, dei miei poteri; ne ero esaltata, euforica. Ero adrenalinica.
Le spedii contro tre schiantesimi alla volta, uno dietro l’altro, e per tre volte lei volò e ricadde. Appena toccava terra, di nuovo veniva colpita e di nuovo ricadeva. Così per tre volte. Alla terza volta rimase bloccata al suolo, al limite della foresta, e non riuscì più a rialzarsi.
Mi avvicinai, fissandola dall’alto, sorridendole crudelmente. Lei, stesa a terra, sembrava implorare il mio perdono e la mia clemenza.
“ Allora, chi ha vinto, piccola nullità?” le domandavo, prendendomi beffe di lei.
Alecto non rispose. Si muoveva appena.
In quel momento non pensavo alle possibili conseguenze che avrei avuto, in punizioni o qualcosa di peggio. Anzi non me ne importava, sinceramente.
Volevo gustarmi la sua faccia terrorizzata alla mia vista. Mi aveva conosciuto quel giorno. Mi aveva conosciuto veramente. Per la primissima volta, da che ci conoscevamo, aveva capito chi ero e ne aveva paura. Molta paura.   
“ Ehi, voi due. Smettetela”
Albus Silente veniva verso di noi. Raramente l’avevo visto così arrabbiato, ma la mia rabbia nei confronti di Alecto era decisamente più grande.
“ Ha cominciato lei” gridò l’altra debolmente, indicandomi da terra, appena il vecchio ci si parò davanti.
“ Basta voi due. Vi porto da Horace che è il direttore della vostra Casa. E vedrà lui cosa fare di voi due. Venite”
E ci condusse da Lumacorno. Occorse l’aiuto del vecchio affinchè Alecto potesse rialzarsi ed essere accompagnata nell’ufficio del direttore della nostra Casa.
Lumacorno non amava punire gli studenti, soprattutto se erano della casa dei Serpeverde. Non ci mise in punizione, né ci tolse punti, ma ci costrinse a far pace davanti a lui.
Io guardai Alecto, disgustata. E lei fece altrettanto. Poi, sempre continuando a guardarci male, ci stringemmo la mano.
Non passò comunque molto tempo da quella stretta di mano in cui lei, per prima, cercò di farmi amica. Io rimasi comunque, almeno inizialmente, sulle mie, non volendo troppo rischiare. Quali furono le sue intenzioni non lo venni mai a sapere, ma il cambio repentino di atteggiamento da quei giorni mi lasciò sempre sospettosa. Era bene non fidarsi.
Forse temeva che la mia bellezza e le mie doti decisamente più grandi dei suoi, potesse costituire un pericolo in futuro per lei. Non lo seppi comunque mai.
Capii solo che la tempesta tra noi era ormai passata lasciando il posto al sereno. E quando arrivò la fine dell’anno lei mi considerava ormai un’amica; io dal canto mio ciò che era più vicino ad un’amica.
Ma non fu mai vera e sincera amicizia, almeno per me.
 
 
 
 
 
 

 
 
 

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Capitolo 22
*** Nemici/amici; rivali/alleati ***


Dal grimorio di Alecto: “ Nemici-amici; rivali-alleati”



 
 
Fin da quando ho conosciuto Bellatrix, l’avevo sempre invidiata. Era più bella di me, più dotata anche. I suoi voti a scuola, avevo sentito dire, erano decisamente più alti dei miei. In particolare nella magia pratica, non c’era confronto. E quella mattina nello scontro davanti alla foresta, avevo provato in prima persona la sua dote che, unita a quel pizzico di impulsività e spregiudicatezza, la rendeva ancora più pericolosa.

Sebbene fossi più grande di lei, mi aveva tenuto testa. Anzi a dirla tutta mi aveva persino battuta.

Capii dunque che averla come nemica mi avrebbe solo creato problemi.

Decisi quindi di seppellire la mia invidia nei suoi confronti e cercare, per quanto possibile, di farmela amica anche se seppi quasi da subito che lei non mi avrebbe mai veramente considerato come tale. Io però la mia parte avrei cercato di farla come meglio avrei potuto.  Almeno da ottenere la sua stima, se non proprio la sua amicizia.

Oltre a questo, avevo anche paura che tutti i ragazzi della scuola ben presto si sarebbero accorti di lei, dal momento che era impossibile che passasse inosservata per tanto tempo. Averla quindi amica avrebbe, in qualche modo, fatto sì che anch’io venissi notata perché, diciamocelo francamente, io al confronto suo ero un mostriciattolo. Più grassa di lei, più bassa, dai capelli più corti e più chiari dei suoi… avevo anche meno femminilità di quanto ne avesse lei. Ero, diciamo così, quasi un maschiaccio. E non parliamo dello sguardo…

Insomma aveva tutto più di me e quando non puoi raggiungere determinate qualità del tuo avversario, la cosa migliore è allearsi a lui.

Ecco quindi come nacque questo mio desiderio di farmela amica. Ci odiavamo all’inizio, diventammo amiche, almeno per parte mia, poi.

Quando rientrai nel castello, dopo aver riflettuto tra me, decisi quindi di parlarle se l’avessi vista in sala comune. Amycus aveva una punizione nel frattempo per aver insultato alcuni bambini del primo anno. Ero quindi da sola.

Quando entrai, la vidi da sola anche lei che leggeva un libro di racconti sui castelli gotici o qualcosa del genere. Aveva la passione degli ambienti oscuri allora. Questo in un certo senso, l’avevo da subito sospettato a prima vista. Però, ora che ne ebbi la certezza, fu un punto a suo favore.

Stava ad un metro dal fuoco acceso e mi domandai come facesse a non sentire caldo, essendo ormai tarda primavera.
Mi avvicinai di soppiatto, ma lei doveva prestare molta attenzione anche ciò che le accadeva attorno, mentre leggeva, poiché appena mi sentì arrivare, chiuse di scatto il libro.

Mi osservò sprezzante, da seduta e mi domandò con arroganza: “ Che vuoi, ancora?”

Fece che nascondere il libro dalla mia vista, ma io sorrisi.

“ Non nasconderlo. Tanto ormai ho visto cosa leggevi”

Lo dissi con tono quantomeno amichevole, o almeno cercai di farlo. Lei, invece, rimase sulla difensiva.

“ Non è affar tuo cosa leggo”

“ Hai paura che qualcuno ti scopra? Perché lo vuoi leggere di nascosto?”

Ma lei, infastidita, tagliò subito il discorso.

“ Senti sei venuta qui per un motivo? Perché altrimenti, se non hai un motivo, puoi anche uscire”

Sospirai. Dovevo avere pazienza con lei. In fondo un po’ la capivo anche, che fosse ancora arrabbiata. Avrei fatto anch’io come lei, se fossi stata al suo posto.

“ In verità si. Sono qui per un motivo”

“ Quale?” domandò lei, volendo arrivare subito al punto.

“ Volevo scusarmi per quello che è accaduto tra noi. Dimentichiamo tutto ciò che è successo prima. Facciamo finta che non sia mai successo nulla e che ci vediamo adesso per la prima volta. Ciao. Sono Alecto Carrow”

Le porsi la mano, in segno di amicizia, ma lei non la strinse. Tornò invece a leggersi il libro.

“ Scusami ancora Bellatrix” ripetei per la seconda volta, non ritraendo la mano. Capii all’istante che per fare colpo su di lei avrei dovuto insultarmi da me.

“ Sono una stupida, brutta e anche una nullità. Tu Bellatrix sei invece molto più grande e più dotata di me. Anche molto, molto più bella. Io, invece, sono una poveraccia incapace, che non riesce neanche ad accendere un fuoco”

Mi ero data tutti gli insulti che mi venivano in mente. Vidi che lei nel frattempo, aveva smesso di leggere e sebbene continuasse a fissare le pagine, un sorrisetto sferzante le era apparso
.
Poi ad un tratto si rivolse a me, sempre sorridendomi con aria superiore.

“ Brava. Hai detto bene. Tu sei una nullità al mio cospetto. Ho apprezzato che tu l’abbia capito. Meglio tardi che mai”

Sorrisi. Avevo capito come prenderla. In fondo non era poi tanto diversa da com’ero anche io. Con mio fratello Amycus c’erano delle volte in cui anche io facevo così.

Anche se lei, Bellatrix, aveva il dono di farlo talmente in modo naturale, che forse neanche se ne rendeva conto lei stessa.

“ Allora… siamo amiche? Dimentichiamo il passato?”

Le porsi nuovamente la mano e stavolta lei la strinse.

“ Va bene” disse, stavolta seria.

Soddisfatta le dissi ancora: “ Comunque non preoccuparti. Anch’io ho il fascino degli ambienti oscuri. Ha visto? Abbiamo qualcosa in comune…”

Lei sorrise, senza dire nulla e io così potei uscire dalla sala con la convinzione di essermi fatta la prima amica da quando frequentavo Hogwarts. Certo alla fine del quarto anno era pure l’ora.

Ma in nessuno avevo notato quel qualcosa di oscuro come avevo notato in Bellatrix e quel pomeriggio ne ebbi la certezza. Bellatrix aveva il dono della strega oscura. Ed ero certa che man mano che sarebbe cresciuta questo dono si sarebbe sempre più mostrato in lei.

Anch’io ero così, ma alla sua età non era così visibile come lo era con lei. Ebbi quasi i brividi ad immaginarmela quanta aura oscura potesse avere un giorno, se l’avessi rivista adulta, se già a dodici anni ne aveva così tanta.

E poi come avrebbe potuto leggere ad un metro dal fuoco del camino senza sentire caldo?
 
Era strano tutto questo. Lei era strana.

Era comunque, anche  molto interessante. Aveva certamente un talento oltre la media dovuta anche ai voti particolarmente alti e chissà cos’altro.

Ero comunque felice che una ragazza del genere fosse diventata mia amica. Mi sembrava che in quel momento tutte le nostre iniziali incomprensioni non esistessero più; le avevo, infatti, rimosse. E non potevo fare altrimenti, perché avevo conosciuto quello che era veramente, sotto l’aspetto da ragazzina.

Sapevo che non avrei mai vinto un duello di magia con lei, era troppo forte per me.

Io non ero brava nella pratica. Ero più brava nella teoria.

Invece, lei, nella pratica eccelleva. Avevo anche il presentimento che col tempo avrebbe potenziato ulteriormente i suoi pur già temibili poteri. Il modo in cui lo avrebbe fatto, mi era, a quel tempo, ignoto. Ma sapevo che l’avrebbe fatto.

E io una ragazza così, dovevo farmela amica. Una strega come lei non poteva non essere mia amica.

Una strega dall’aura oscura. Una strega nera.






 


 

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Capitolo 23
*** La prova finale ***


Dal grimorio di Bellatrix: “ La prova finale”
 
 
 
Le mie esercitazioni procedevano a gonfie vele e, da quando avevo fatto quel sogno, ancora più intensamente e apprendevo ancora più velocemente. Lui, il mio maestro, mi concedeva rari complimenti ma quando lo faceva io ero felicissima. E mi dava forza, mi dava coraggio, mi spronava a proseguire ancora e ancora e ancora. Sempre di più. Sempre più concentrata. Con allenamenti sempre più duri e faticosi. Sempre più avanzati. Mi esercitava sulle pozioni, sugli incantesimi, su ogni genere di cosa che studiavamo a scuola.  Tutto senza un attimo di sosta. Come una guerriera immune alla stanchezza.
Mi fece esercitare anche sui nuclei di bacchette dopo che seppi riconoscere a menadito tutti i legni, facendomeli riconoscere e seppi percepire in loro il nucleo. Non fu facile tutto ciò. Ma ormai avevo compreso che nulla era facile in quello che mi richiedeva.
All’ultima lezione di quell’anno, era già passato un anno senza che me ne accorgessi, mi diede l’ordine di farle esplodere.
Io li per lì non capii cosa intendesse. 
Lui mi ripetè: “ Sprigiona i tuoi poteri, la tua magia, Bellatrix. Così, guarda”
Prese la più vicina a lui, la fece rotolare, si concentrò un attimo, impugnandola e in men che non si dica la bacchetta diventò un cumulo di cenere, completamente polverizzata.
“ Impara a sprigionare la tua magia, tutti i tuoi poteri. Con queste è facile farlo perché sono tutte bacchette con nucleo. Poi quando sarai più grande e avrai maggiori competenze magiche, dovrai imparare a farlo anche con quelle senza”
“ E’ più difficile con quelle?” domandai
“ Certo, perché il nucleo canalizza la magia. Senza nucleo invece, devi esercitare maggiore forza. Per ora ho bisogno che tu faccia questo, sprigionando solo parte della tua energia. Mi basta. Poi saprai, e te lo dico ora, che in futuro quello che imparerai a sprigionare qui, a scuola, non mi basterà più”
Le dispose in fila sul tavolo e mi disse di cominciare. Voleva vedere fino a che punto sarei arrivata.
Presi una per una le bacchette che lui tempo prima aveva rubato per me da Olivander, e provai.
Fu terribilmente complicato. Rabbrividivo al solo pensiero di quello che mi aveva detto prima: se avevo così tanta difficoltà a sprigionare solo in parte il mio potere, come avrei fatto un giorno a sprigionarlo tutto?
Lui mi spronava, a volte anche duramente, ma trovavo enormi difficoltà nel fare ciò che mi aveva detto. Dovevo distruggere una dozzina di legni, tutti con nucleo, e procedevo lentamente. In media mi occorrevano dieci minuti buoni per distruggerne uno. Troppo, almeno per lui.
Però mi fece continuare, continuando a spronarmi di continuo, a volte anche punzecchiandomi su ciò che mi era più caro: ovvero l’impossibilità di poter diventare la sua strega, perché troppo debole. E allora quando me lo diceva, in un moto d’orgoglio, mi diveniva più facile sprigionarla, perché volevo dimostrargli che si sbagliava.
Alla fine, ero esausta, mi aveva distrutto di fatica,  ma avevo completato il mio compito.
Lui si avvicinò, osservò che tutto fosse compiuto al meglio e poi osservandomi, sorrise e si congratulò. Usò però ancora quel suo “ragazzina”.
“ Perché mi chiamate ragazzina, maestro?”
Non mi piaceva che mi chiamasse così. Volevo dimostrargli che ero più adulta di quello che l’età mi permetteva di poter dimostrare. Volevo essere come era lui, adulto di pensiero.  
Lui non rispose, ma lo sentii ridacchiare per la prima volta. E il suono che ne uscì, mi lasciò deliziata. Il suono freddo, carismatico, crudele, apparentemente senza gioia. Ma la gioia, io, gliela percepivo ugualmente.
Veloce com’era apparsa la sua risata, però, tornò subito serio.
“ Vieni, ora che hai passato questa parte devo verificare una cosa con te. Indossa il tuo mantello e usciamo”
“ Adesso, maestro?”
Lui si voltò e mi fece una smorfia.
“ Certo o vuoi attendere domattina con il castello pieno di gente ficcanaso? Adesso il castello è libero. E’ tutto nostro e a nostra disposizione. Non c’è nessuno. Dormono tutti”
La sua sicurezza nel violare il coprifuoco imposto dalla scuola, mi faceva anch’essa deliziare di lui. Quanto avrei voluto essere sicura e menefreghista come lo era lui.
Quando uscii, non potei fare a meno di notare quanto il castello in quel particolare momento, pareva davvero quello da me sognato ormai qualche mese prima. Il castello dove forse lui mi avrebbe insegnato la magia oscura. Lì per lì, volli buttar in quel campo la mia domanda.
“ Maestro, ma avete già un posto nella vostra mente dove mi farete apprendere la magia oscura?”
Gliela sussurrai appena per non fare rumore, ma fu sufficiente a farmi sentire.
“ Tu parli, parli che vuoi imparare, ma ancora ti fai influenzare dalla tua sorellina e a momenti riesci a malapena a tenere una bacchetta in mano. La tua fretta, mi manda in collera Bellatrix”
“ Ma io voglio imparare tutto da voi. Ogni singola cosa”
“ Ricordati che sono io che voglio e decido per te. Non tu. E quando sarà il momento te la insegnerò. Ma a mio volere, non tuo”
Spietato, crudele, acido, tagliente.
In altri tempi forse sarei rimasta di stucco dal suo rimprovero, ma quella volta mi piacque. Mi piacque il suo modo di essere così distaccato da me, il suo voler essere acido. Perché poi ormai sapevo che mi avrebbe comunque perdonato.
Aveva ragione, come sempre d’altra parte. Non c’era nessuno.
Uscimmo nel parco del castello, avvolto nell’oscurità. Una folata di vento improvviso mi scompigliò i capelli, non appena uscimmo all’aperto.
Lui mi precedeva come un’ombra scura. Nero nel suo mantello e con i capelli dello stesso colore. Il vento che gli accarezzava il volto anche a lui.
Poi ad un tratto si fermò.
“ Va bene qui” sentii sussurrare più a se stesso.
“ Cosa volete fare maestro?”
“ Devo verificare una cosa su di te”
Nell’ombra lo vidi tirare fuori la bacchetta.
Fui assalita da un dubbio.
“ Maestro, ma se non dovessi riuscire a imparare la magia oscura?”
Lui si bloccò.
“ In che senso?”
“ Nel senso che: se non dovessi riuscire ad apprenderla”
“ Appunto, è questo quello che voglio provare ora. Voglio vedere se ho davvero fatto bene a sceglierti come unica mia allieva. E’ un onore unico quello che avrai e voglio vedere se davvero lo meriti tutto questo. Perché diventare la mia strega oscura, la figlia del diavolo, comporta sacrifici. Ora devo verificare se sei davvero in grado di poterlo diventare”  
Lo sguardo complice e crudele che mi fece mi sembrò uguale a quello che vidi in sogno. Ulteriore prova.
Per un attimo tornai con la mente lì. Adulta e fiera di imparare ciò che avevo aspettato da una vita di imparare. Io e lui assieme. Ma durò poco, poiché il suo prototipo giovane mi portò alla realtà.
“ Ho grandissime aspettative su di te. Ti insegnerò tutto ciò che sarà in mia conoscenza, tutto ciò che proviene dal mio mondo. E ora ne avrai un assaggio”
Prese di nuovo la bacchetta.
Io feci un profondo respiro. Non sapevo quello che aveva in mente.
“ Ti ricordi alla fine dell’anno scorso? Ti avevo detto che avresti dovuto imparare a percepire i movimenti nell’oscurità e colpire. Bene direi che è arrivato il momento. E se farai bene…” Lasciò in sospeso la frase.
Mosse appena la bacchetta e una piccola sfera luminosa si formò sulla punta. Poi agitò ancora e la piccola sfera di luce si staccò dalla punta, muovendosi senza che lui facesse nulla.
“ Chiudi gli occhi” mi disse e io eseguii. Non vedevo nulla.
Sapevo che la prova era iniziata, perché lui mi disse: “ Percepisci i movimenti che la sfera fa intorno a te, e senza vederla, cerca di colpirla”
“ Maestro siete voi che la manovrate?” domandai con gli occhi chiusi.
Un attimo di silenzio, poi…
“ Non ha bisogno di essere manovrata da me. Si muove sfruttando il vento e i movimenti dell’aria”
Alzai la bacchetta e sparai una fattura alla mia destra. Capii di non averla presa.
Mi parve di vedere un piccolo barlume di luce davanti a me. Ma tempo che alzai la bacchetta e quella già si era spostata alla mia sinistra. Puntai la bacchetta in quel punto e scagliai un’altra fattura. La mancai ancora.
“ Ricorda Bellatrix. Sei una sentinella nel buio. Da dove arriva il tuo nemico?  Da dove arriva l’incantesimo del tuo bersaglio?”
Ancora il piccolo barlume di luce. Sentii ancora la voce del mio maestro
“ Ricordati, si muove sfruttando l’aria e il vento. Percepisci i movimenti delle masse d’aria attorno a te. Dominali”
“ Maestro devo percepire il vento? Ma non c’è vento”
“ Se non ci fosse, la sfera sarebbe ferma. C’è vento, fidati. Ora non lo percepisci bene perché non hai controllo. Concentrati e vedrai che comunque un po’,  lo percepirai”   
Mi concentrai a lungo. Niente. Non sentii nulla. Ma la sfera continuava a muoversi.
“Concentrati Bella. Fai come ti dice il tuo maestro” mi ripetei
All’improvviso colsi qualcosa. Fu un attimo sfuggente. Ma qualcosa colsi. Era un qualcosa che mi scompigliò ancora i capelli, seppure di poco. Era l’aria. Allora il mio maestro aveva ragione. C’era aria attorno a me. E piano piano, mentre mi concentravo con maggior intensità di quanto potessi, la avvertii.
Si muoveva attorno a me e il suo soffiare corrispondeva esattamente al movimento della sfera di luce che dovevo colpire.
Alzai la bacchetta, avvertendo un soffio d’aria in direzione sud. La sfera nel giro di una frazione di secondo, si sarebbe mossa verso sud. Alzai la bacchetta d’istinto. In quel momento era alla mia destra, pronta a virare in direzione della folata. Guidata da essa. Scagliai la fattura nel momento esatto in cui cominciò a muoversi. Sentii un piccolo poff e subito dopo averla colpita, accadde qualcosa di straordinario.
Mi sollevai da terra. Sentivo le masse d’aria che mi danzavano attorno. La sensazione di libertà. Venni sollevata in aria senza l’uso di scopa o robacce varie, seppure di qualche centimetro. Restai sospesa per qualche secondo e poi ritoccai terra.
Il mio maestro mi osservava soddisfatto.
“ Brava”
Stravolta dalla felicità per quello che era successo, domandai: “ Cos’è successo maestro?”
“ L’esame finale è stato superato. Ho avuto la conferma che ho scelto bene. La magia oscura ti ha scelto. Ora starà a te studiarla e scoprirla, quando sarai pronta”
Fece una pausa e poi proseguì: “ Il tuo addestramento, per questa parte, finisce qui. Ora occorre che tu sappia aspettare il momento opportuno per iniziare lo studio della magia oscura. Qui al castello, come ti ho detto, non sarà possibile. Devo dire la verità però: mai e poi mai avrei pensato che in un solo anno, tu abbia potuto fare tutto questo. Brava Bellatrix. Il tuo maestro è pienamente soddisfatto per te”
Ero felicissima. Avevo la prova che il mio sogno in futuro si sarebbe potuto realizzare. Ero degna di magia oscura. Quella notte non l’ avrei dimenticata mai.
 
 

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Capitolo 24
*** Visioni, imprevisti, ricordi e pianificazioni ***


Il penultimo giorno accadde qualcosa che non è strettamente legato a questa storia, quanto per ciò che successe anni dopo, finito il periodo scolastico. Quando sia Tom Riddle sia altri, avevano ormai terminato gli studi a Hogwarts.
Era tradizione che gli studenti del secondo anno, finito il periodo esami, facessero una sorta di precorso per le nuove materie che avrebbero dovuto imparare nell’anno successivo: Cura delle Creature Magiche, Aritmanzia e naturalmente Divinazione, ovvero l’Arte del Futuro.
A quel tempo l’insegnante di Divinazione era una certa Letizia Cooman, nipote delle celebre Veggente Cassandra Cooman, nonché madre di Sibilla Cooman, a quel tempo poco più che bambina.
La torre di Divinazione era la più alta del castello. Per giungervi bisognava salire sopra una botola a cui si accedeva tramite una sottile scala d’argento.
Entrati nell’aula, la prima cosa che giunse all’olfatto degli studenti, fu un odore di incenso e fiori che sembrava provenire da una pentola di rame che era sospesa nel camino. Il fuoco, data ormai la tarda primavera, era spento.
Tutta la sala era illuminata da una fioca luce scarlatta proveniente dalle lampade drappeggiate con stoffe e veli rossi. I banchi erano di forma circolare, con sgabelli, al posto delle sedie, dove ci si sedeva attorno.
I muri che perimetravano l’aula erano circolari su cui erano ammassati enormi scaffali che contenevano le cose più strampalanti: da un enorme assortimento di tazzine da tè ad una serie di sferette di cristallo evidentemente usate per le profezie o robe del genere. Vi erano poggiate anche numerose penne vecchie e malconce.
Sfere più grandi invece era poggiate sui tavoli circolari, apparentemente nebulose. E lì, avrebbero dovuto forse esercitarsi.
“ Buon pomeriggio, ragazzini” annunciò la professoressa Letizia Cooman. Aveva un vago tono sognante. Oltre che uno scialle attorno al collo che odorava vagamente di liquore, forse sherry.
Ragazzino?” a Riddle non piacque affatto quel modo di essere apostrofato. Non erano passati neanche dieci minuti e già la Cooman gli stava antipatica.
“ In quest’aula voi assumerete ben presto la Nobile Arte della Divinazione. In quest’aula… voi scoprirete se possedete… la Vista. Buongiorno… salve… sono la professoressa Cooman. Insieme… ci proietteremo tutti quanti nel Futuro” la passione sfrenata, oltre che l’orgoglio, con cui disse tutto ciò non trovò affatto compagnia nel resto degli studenti. Rodolphus  trattenne le risate, Riddle la osservava con vago interesse, più che altro per notare quanto fosse bizzarra e Bellatrix ben presto cominciò a farle il verso, senza essere peraltro notata dalla professoressa. Era la classica insegnante che, durante una lezione, avrebbe potuto assistere anche all’esplosione dell’aula e lei avrebbe continuato a vivere nel suo mondo, continuando a spiegare imperterrita, senza che peraltro si accorgesse di nulla.
Dopo un giro di presentazioni, disse loro che la Divinazione era una delle materie meno esatte della magia, ma la più affascinante. Non sarebbero serviti libri e annunciò anche che nel momento in cui loro avrebbero frequentato il quinto anno di studi, una grande tragedia si sarebbe abbattuta sul castello. E sarebbe culminata con la morte di una ragazza.
Tutti allora smisero di ridere e cominciarono a chiedersi chi fosse questa. Bellatrix trattenne il respiro. Ma la professoressa Cooman scosse la testa e disse: “ Non è qui, tra voi. Tranquilli. Ora prendete le pergamene e le piume e prendete appunti”
Per più di un’ora la professoressa Cooman elencò i principi e le caratteristiche della Divinazione, oltre che il programma dei tre anni: terzo, quarto e quinto fino all’esame G.U.F.O (Giudizio Unico per Fattucchieri Ordinari) a cui sarebbero stati sottoposti al termine del quinto anno.  Finito il quale avrebbero poi scelto se proseguire fino al settimo anno e prendere anche il M.A.G.O ( Magie Avanzate di Grado Ottimale) di Divinazione. Consigliò caldamente quest’ultima  opzione, poiché la Divinazione era, almeno per lei che la insegnava, e non poteva essere altrimenti, la materia più bella e più importante di una scuola di magia.
Al termine del lungo dettato, perché in pratica fu un vero e proprio dettato, disse: “ Ora vi divertirete un po’. Come avrete senz’altro notato avete davanti a voi, sul vostro tavolo, una sfera di cristallo. Sono sfere diverse da quelle con cui vi eserciterete già nel secondo semestre del prossimo anno. Dal momento che ancora non avete sviluppato, anzi, non avete proprio la Vista, queste sfere un po’ particolari vi mostreranno automaticamente il vostro futuro, senza che voi usiate il vostro Occhio Interiore”
Fece una piccola pausa, giusto per bere un bicchiere di sherry, che trangugiò senza tanti complimenti, e riprese con ancora più vigore di prima.
“ Il vostro compito è semplice: dovrete solo pronunciare bene, in maniera chiara il vostro nome alla sfera e quella partirà immediatamente con le vostre previsioni futuristiche. Sarete soltanto chiamati, alcuni di voi, vediamo quanto tempo abbiamo, quando passerò, ad enunciarmi quello che avrete visto. Nient’altro. E’ tutto chiaro? Non è difficile…”
Nessuno parlò e perciò la professoressa Cooman chiese loro di partire con la prova.
Riddle si avvicinò alla propria, e pronunciò in modo appena percettibile il proprio nome, anche se non era proprio amato da lui.
Tom Marvolo Riddle”
La sfera, prima nebulosa, cominciò a mostrare un’immagine più chiara.
Era in una stanza dalle pareti antiche e il soffitto aveva varie lavorazioni gotiche, illuminata da candele nere e rosse ferme nei candelabri argentanti. Era quasi adulto, anche particolarmente affascinante. Aveva i capelli, i suoi capelli, più lunghi di come li aveva ora, che gli ricadevano davanti agli occhi. Sfogliava un libro.
Non era solo.
A pochi metri da lui c’era una ragazza, terribilmente simile, anzi uguale a quella che era seduta or ora al suo fianco nell’aula di Divinazione: Bellatrix Black. Solo, era più grande.  Poteva avere circa diciannove anni, aveva quindi appena finito la scuola.
Parlavano,  e lui sembrava rivolgerle delle domande, mentre sfogliava il libro. Erano seduti e sul tavolo vi erano aperti una miriade di libri. Non udiva né sapeva quello che le stava domandando, ma lei pareva non avere eccessive difficoltà nel rispondere. Anche nel suo caso, non udiva in quel momento le risposte che lei dava alle sue domande.

La prima visione scomparve, trasportata via da un soffio di vento, che comparve dentro la sfera. Ne seguì un’altra.
Stavolta erano all’aperto. Anche se lui in quel momento non c’era. Cinque forme nere, incappucciate e mascherate, tranne lei, sempre lei, Bellatrix, appena visibili nella nebbia notturna del posto, che tentavano un agguato a quelli che dovevano essere Auror: addetti alla protezione della comunità magica. Il luogo dell’agguato doveva essere Londra ma non era certo. Stavano duellando i quattro maghi mascherati più Bellatrix senza cappuccio e senza maschera, contro gli Auror. E lei era la migliore degli altri quattro. La più potente.
Ad un tratto vide Bellatrix allontanarsi dal gruppo incappucciato, dopo averne avuto una discussione con uno di loro e stringere la bacchetta in mano. La vide portarla all’altezza del viso pronunciando qualche formula che a Riddle non giunse all’orecchio. Dopo ciò, la vide stringere la bacchetta anche con la mano sinistra, pronunciando forse una seconda parte della formula e alzare davanti a lei la bacchetta, verso il cielo coperto dalla nebbia.
Subito vide la nebbia dissiparsi all’istante e un enorme vortice d’acqua condensato dall’enorme umidità della nebbia, roteare sopra la strega più potente.
Vide la sua allieva aprire le braccia, tenendo la bacchetta con la mano destra, controllare in pieno l’elemento. L’aveva sotto il suo controllo. Poi l’enorme mole d’acqua venne scagliato verso gli Auror che furono travolti, dalla sua  furia.
“ Uccidi” pensò Riddle in quel momento, mentre fissava l’immagine, fiero di lei.
E in quel momento, nel preciso istante in cui lo pensò, accadde che lei davvero li uccise. Una luce argentea si liberò dalla bacchetta di Bellatrix e andò a colpire la prima stilla d’acqua dell’onda che avvolgeva quei traditori, quei protettori ignobili dei babbani. E da lì si sviluppò una potentissima scarica elettrica che li travolse e li fece contorcere fulminati, fino a condurli dove meritavano: la morte.

Una terza visione seguì questa, sempre intervallata da un soffio di vento. Il suo elemento.
Stavolta era al chiuso, in una stanza delle pozioni. Erano certamente passati alcuni mesi, forse un anno da quando aveva visto Bellatrix nella visione precedente. Era sola, lei, e si teneva una specie di benda alla mano. Forse colpita da una maledizione.
Si vide, poi, comparire nella stanza mentre lei era voltata di spalle. Si vide avvicinarsi avvolto in un mantello nero con il bavero rialzato. Ma qualcosa in lui, non gli piacque affatto. A Tom Riddle nell’aula non piacque affatto, l’immagine di sé stesso.
Era quasi sofferente, debole, sudato. Con i suoi splendidi muscoli del collo tirati e le palpebre non c’erano più. Non gli piacque perché lui era perfetto e quell’immagine rovinava la sua reputazione.
Vide l’immagine di sé stesso più adulto avvicinarsi, prendere la mano di Bellatrix e osservarla. E poi la rimproverava, perché forse si era fatta colpire. D’altronde era sciocca, e cadeva spesso in quegli errori, lo capiva bene anche Tom Riddle lì. E il fatto che lei ripetesse gli stessi errori anche da adulta, di certo non le faceva affatto onore.
Lo vide mentre preparava, in camicia, una pozione curativa della ferita, in una stanza buia diversa da quella in cui erano in precedenza, al quale forse solo lui e lei avevano libero accesso. Almeno, immaginava fosse così.
Ma l’immagine sofferente di lui, continuava a turbarlo. Non poteva vedersi ridotto in quello stato.
Vide il suo prototipo adulto consegnare alla sua allieva, un bicchiere dove vi era contenuta la pozione che le aveva preparato. Una sorta di pozione il cui liquido dondolava leggermente.
Ma non finì lì. Poiché lui prese per sé un altro bicchiere, versò dell’acqua e ci aggiunse qualche goccia di una strana sostanza ignota, contenuta in una boccetta che teneva custodita in gran segreto, in un cassetto. Solo dopo che la bevve, seduto sul divano, di fronte a Bellatrix, si rilassò. E tornò normale.

Non seppe come continuò, poiché la visione si interruppe.
La professoressa Letizia Cooman non passò nel banco dov’era seduto Riddle e neanche passò in quello dove stava Bellatrix. Si era soffermata parecchio nei banconi degli altri. Aveva la vaga sensazione però che gli altri compagni non avevano avuto delle visioni proprio chiarissime, poiché la maggior parte avevano alla fine rinunciato. Alcuni si erano addirittura addormentati nello sforzo di capire cosa vedevano nella propria sfera. Forse solo lui, Tom Riddle era riuscito a capire tutto, o quasi.
Ma la terza visione l’aveva turbato e non poco. Quell’immagine di lui debole, sudato e con i muscoli e i nervi del corpo tirati, gli diede quasi ribrezzo. Anzi no, non gli diede ribrezzo, solo perché trattasi della sua persona, ma se fosse capitato ad un altro si sarebbe addirittura schifato.
Non poteva assolutamente accettare l’immagine di sé stesso ridotto in quello stato. Sinceramente aveva seriamente preso in considerazione l’idea di distruggere quella sfera per avergli osato dare un simile affronto. Una simile immagine di sé stesso. Non poteva assolutamente essere vera.
L’altra domanda a cui non aveva risposta, e non l’ avrebbe avuta per un po’ di anni, era: cosa aveva bevuto per far passare tutto questo? Cosa aveva assunto?
Non poteva trattarsi di una pozione. Così come non era semplicemente dell’acqua normale. Doveva contenere certamente qualcosa di diverso quella boccetta.
Mentre scendeva in direzione del parco, Riddle scorse uno specchio. Decise di osservarsi.
L’immagine di un ragazzo dalla pelle chiarissima, dai capelli e dallo sguardo nero, gli restituì l’immagine. Era normale, com’era sempre stato. Rilassato. Non agitato e sofferente come si era visto nella sfera.
Si osservò anche le mani, dalle lunghe dita. Rilassate anche quelle. Il suo corpo e la sua anima erano quanto di più prezioso poteva avere. Erano l’immagine sua e un corpo sofferente non l’avrebbe mai potuto accettare, perché significava mostrarsi vulnerabile. E lui non lo era, e non doveva esserlo.
Quello era lui. Tom Riddle. E nessuno lo avrebbe potuto cambiare. Non sciocche e stupide profezie, al quale neanche credeva. Non sciocche e stupide immagini create ad arte per rovinargli la reputazione. La Divinazione era quanto di più assurdo e ridicolo poteva credere. Una branca della magia inesatta, aveva detto quella sciocca donna? Per lui era una branca satanica della magia.
Non poteva essere altrimenti. Ma se lui era il diavolo, chi poteva controllare il diavolo? Solo lui stesso. E perciò se la Divinazione era una magia a suo dire satanica, l’avrebbe controllata lui stesso, e avrebbe fatto sì che quello che aveva visto di sé stesso alla fine, non sarebbe mai accaduto.
Solo una cosa apprezzava di sé stesso, visto nella sfera: i capelli che gli ricadevano davanti agli occhi. Decise di emulare quella visione. L’avrebbe copiata. Che poi, alla fine, chissà, avrebbe accresciuto il suo potere seduttivo.  
Dopo aver dato un’ultima orgogliosa occhiata a sé stesso, si allontanò dallo specchio.
Raggiunse nel parco del castello, al tramonto, dove aveva deciso di passare un po’ di tempo all’aria aperta. Gli piaceva assaporare il vento che di tanto in tanto soffiava su quella valle. Anche se avrebbe desiderato fosse più violento. Chissà magari un giorno avrebbe scatenato i suoi poteri primordiali, creando una tempesta come faceva da bambino, al mare.
Non vide Bellatrix, nel parco, anche perché si accorse di essere solo. Amava la solitudine sin da bambino.
Non sopportava troppo la compagnia. Anche perché troppa compagnia avrebbe finito per renderlo diverso da quello che desiderava essere. Si trovò quindi benone, felice di essere all’aperto ad assaporare il suo elemento.
Aveva vissuto il suo probabile futuro quel giorno. Decise di rituffarsi un po’ nel suo passato, lì mentre fissava nel vuoto la maestosità di quel luogo che ormai chiamava stabilmente casa sua. Riflesso dalla luce scarlatta del sole ormai giunto in prossimità delle colline che circondavano il lago.
Aveva otto o nove anni. Vedeva sé stesso che stringeva un libro, con aria minacciosa, cruda, violenta. Era triste in quel tempo, provato in passato a subire cose di  cui non voleva assolutamente subire.
Vedeva i suoi poteri primordiali, quando ancora non sapeva con certezza assoluta  di essere un mago, ma lo sospettava, ne era quasi certo. Vedeva sé stesso creare tempeste sulla costa. Folate di vento e scrosci improvvisi di pioggia vorticosa trasportata dal vento che lui creava e controllava.
Vedeva sé stesso volare a pelo d’acqua sul mare, senza aver bisogno di scope o robacce varie.
Muoveva  oggetti con scatti improvvisi e istantanei. Parlava con tutti gli animali e soprattutto con  i serpenti. E riuscivano a capirlo, soprattutto  quest’ultimi.
Si vedeva nascondere gli oggetti nei luoghi più impervi, selvaggi e irraggiungibili. Raggiungeva questi luoghi, in solitudine, e ne assaporava il potere mistico. Pieni di spaventosa potenza.
In un primo momento osservava le spettacolari e grandiose forze della natura, poi cominciò piano piano a controllarle con i suoi poteri. Con la sua mente.
Il tutto a soli nove anni. Straordinario, no?
 Raggiunti questi luoghi selvaggi e impervi, gli piaceva prendere gli oggetti simbolo di quei luoghi e nasconderli custodendoli come trofei personali. Disegnava il luogo sulle carte in modo da poterle raggiungere piuttosto facilmente, quando gli andava ed esercitarsi sempre con la propria magia: controllando le forze della natura.
E così aveva scoperto di essere un mago.
La visita del vecchio nonnetto, all’orfanotrofio, due anni dopo, circa, gli diede solo l’ulteriore conferma di ciò che aveva ormai preso in considerazione di essere.

Questo era lui a nove anni. Nove anni in cui sapeva fare tutto ciò. Poteri molto avanzati per la sua età.
Roba ovviamente personale che nessuno sapeva, neanche quegli sciocchi all’orfanotrofio. I crimini raccontati a Silente, riguardavano altro. Roba accaduta l’ultimo anno. Ma non sapevano nulla della sua vita a otto o nove anni. Non si era mai fatto scoprire. E soprattutto anche il vecchio nonnetto, questo lo ignorava.
Sapeva di essere speciale da sempre. Solo quel giorno in cui quel vecchio pazzo venne a dirglielo, ne ebbe la piena consapevolezza. 
Quella sera, ultima sera al castello, prima delle odiate vacanze estive e del ritorno al luogo che odiava, si fece un giro nel parco. Non mangiò, come gli accadeva quasi sempre. Decise di saltare la cena e il banchetto finale.
Volle solo rimanere lì fuori a rilassarsi, mentre calava la sera, con il vento che gli accarezzava i capelli. Quella sera aveva solo voglia di rimanere in pace con sé stesso, perché per due mesi, quasi certamente, ne avrebbe dovuto fare a meno.
Quella sera, avrebbero anche consegnato anche i compiti d’esame. Lui sapeva già, gli era stato riferito quella mattina, che aveva avuto nuovamente il massimo dei voti in tutti gli esami. Aveva avvertito quindi che non avrebbe partecipato al banchetto finale, per impegni riguardanti un suo volere sull’ esercitazione magica. Ad un tratto infatti, da dentro il castello sentì applaudire e immaginò che stessero festeggiando i Serpeverde per l’ennesima vittoria della Coppa delle Case.
Solo lì, però non potè fare a meno di pensare anche a come aveva visto Bella in quegli istanti a lezione, nella sfera. La sua creatura, la sua più grande creazione, gli avrebbe dato certamente enormi soddisfazioni in futuro. La sua allieva avrebbe ben presto fatto vedere al mondo chi era veramente, esattamente come avrebbe ben presto fatto anche lui. Ne avrebbe allenato, sviluppato e scatenato appieno tutta la sua aura oscura, tutta la sua potenza, fino a farla arrivare quasi al suo livello, invincibile, com’era lui.
Sarebbe diventata la sua creatura. La figlia del diavolo. Perché lui era il diavolo.
 E insieme, lei e lui, magari con altri sullo sfondo, avrebbero ripulito finalmente quel mondo che, con il benestare del vecchio nonnetto, non era più puro com’era invece una volta. L’avrebbero finalmente riportato alla purezza originale.



Note dell’autore

Ciao! Innanzitutto vi ringrazio se siete giunti fino a qui. Spero che la storia vi stia piacendo. Ho da fare una considerazione riguardo questo capitolo.
Le visioni che Tom ha in questo capitolo sono fatti che accadranno più in là con gli anni. FATTI E AVVENIMENTI NON CREATI DA ME, MA SONO OPERA DI CIRCE E SONO PRESENTI NELLA SUA STORIA: IL MAESTRO DI ARTI OSCURE.
Precisamente le tre visioni hanno come riferimento:
- la prima visione ha come riferimento il capitolo 4 del Maestro di Arti Oscure (  Solo e unicamente tu)
- la seconda visione ha come riferimento il capitolo 14 (vi ho reso orgoglioso mio maestro?)
- la terza visione invece fa parte della storia che segue il maestro di Arti Oscure. Precisamente fa parte della storia: il veleno del serpente, SEMPRE SCRITTO DA CIRCE. (Il capitolo ha cui fa riferimento è il capitolo 5: Bello e vulnerabile)
Penso di aver detto tutto.
SE VORRETE LEGGERLA PER CAPIRNE DI PIU’ RIGUARDO CIO’ CHE E’ SCRITTO QUI, VI CONSIGLIO, COME AL SOLITO, DI LEGGERE ANCHE L’ALTRA TRILOGIA SCRITTA PROPRIO DA CIRCE.
Per ciò che riguarda il contenuto del bicchiere che Voldie berrà nella terza visione, verrà spiegato lì nella storia intitolata: il veleno del serpente. E verrà già anticipata nella terza parte di questa, quando verrà l’ora degli Horcrux con la spiegazione di Lumacorno. Non vi voglio anticipare nulla. Se vorrete, lo scoprirete quando arriverà il momento.
Grazie e spero che vi possa piacere! Al prossimo aggiornamento!


 

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Capitolo 25
*** Bellatrix Black ***


Dal grimorio di Rabastan: “ Bellatrix Black”


Eccomi qui seduto a festeggiare la fine dell’anno. Avevo sentito da Rod che il banchetto di fine anno al castello era qualcosa di imperdibile. A dire la verità, mi immaginavo davvero qualcosa di indimenticabile.

Forse sarò io eccessivamente triste e poco rallegrabile, ma mi aspettavo decisamente qualcosa di meglio.

Ci sono forse due o tre cose che non mi piacciono affatto: per prima cosa non sopporto che dal mio cibo spuntino fantasmi. Mi spaventano.

Ho sempre temuto i fantasmi, o per meglio dire, li ho sempre trovati ripugnanti. E il Barone Sanguinario lo è decisamente più di tutti.

La seconda cosa l’ho avuta quando è stato riferito che quella sera avrebbero comunicato i voti degli esami. Avrei preferito non lo facessero, anche perché temevo veramente di non aver fatto proprio una bella figura. Speravo almeno nella promozione all’anno successivo.

Rod invece, sono certo che in un modo o nell’altro se la caverà. A parte il fatto di essere una sorta di ragazzo ribelle, dai modi piuttosto bruschi e violenti, a scuola non andava male. Ovvio non era un genio, però non era neanche un disastro…

Quella sera però, nonostante tutto, fu speciale. Il perché lo capirete ora.

Stavo lì seduto, piuttosto agitato al pensiero di non aver passato gli esami, oltre che anche annoiato per via della festa e anche impaurito per i fantasmi che spuntavano dai tavoli; quando la vidi.

Lei, era seduta a pochi metri da me. Aveva lo sguardo più bello che avessi mai visto ad una ragazza, scuro, con quel giusto tocco sensuale e femminile che mi fece capovolgere i sentimenti e la vita nel più profondo dell’animo.

Forse penserete che sia troppo piccolo per provare i sentimenti della cotta così spiccati e violenti, ma con una come lei era impossibile resistere al fascino. Anzi mi sorprendevo che praticamente per un anno intero, io non l’avessi quasi neanche notata. Visto che era quasi impossibile che potesse passare inosservata.

Aveva lunghi capelli leggermente sinuosi, scuri come lo sguardo, che le cadevano fino alle spalle e lunghe ciglia nere che mi fecero letteralmente inebetire.

Era lì, che si guardava attorno, come se fosse in attesa di qualcuno che invece non venne. Non seppi chi stesse aspettando e sinceramente, chiunque egli fosse, speravo non venisse. Qualcosa dentro di me, mi diceva che sarebbe stato meglio che non ci fosse.

Allora parve spazientirsi. Capii all’istante che era una ragazza estremamente ribelle e che se l’avessi anche solo colta per il verso sbagliato e nel momento sbagliato, sarebbe stata pericolosa, molto pericolosa. E questo suo lato più ribelle, quasi oscuro di lei, mi attirò ancora di più.

Non sapevo però niente di lei, neanche il suo nome. O almeno, forse in passato avrei anche potuto sentirlo, però al momento mi sfuggiva. Non riuscivo a ricordarlo.
Non so quante persone possano dire di essersi innamorate l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze estive. Io certamente si. Mi accadde proprio questo. Mi ero innamorato di quell’angelo. Il classico colpo di fulmine, a prima vista.

Per il mio carattere troppo timido, direi anzi vigliacco, mi accorsi però di non avere neanche il coraggio di salutarla.

Continuavo a guardarla, perso nel vuoto, quando lei per un attimo incrociò il suo splendido sguardo al mio. Non sorrise. Lo fece in modo quasi scocciato. Allora decisi di distogliere il mio dal suo, anche se mi costò una fatica immonda.

Mi accorsi anche, mio malgrado, che nel momento in cui lei mi aveva guardato, avevo cominciato a sudare freddo e ora avevo tutta la veste bagnata. Maledetto me…

Rod nel frattempo chiacchierava animatamente con i suoi nuovi amici, di cui  parlerò più avanti. Amici col quale aveva cominciato a formarne una sorta di banda ribelle e piuttosto violenta. E di cui lui ne era il capo.

“ Buonasera, carissimi” esordì Dippet. Era molto vecchio come preside. Non so dire se vivrà ancora per molto. Ma a me sembra sia giunto ormai alla fine. Quasi non si reggeva manco più in piedi, talmente era vecchio e Silente, il vicepreside, doveva aiutarlo quasi a camminare.

“ Ho avuto l’onore di conoscere i vostri esami. Questa sera dei saluti, com’è tradizione, almeno finchè ci sarò io, vi comunicherò i voti di ciascuno di voi a cominciare da quelli del primo anno, dei vostri esami. Quando finirò verrete a prendere il vostro esame e tornerete al tavolo che vi appartiene”

“ Ecco, peggio non poteva andare…” pensai tra me. “ Non solo mi dovrò sorbire i miei pessimi voti tra me, ma addirittura tutti ascolteranno i miei splendidi, si fa per dire, traguardi. Proprio la mia serata perfetta…”

Dopo una decina di minuti arrivò il mio turno. Mi preparai all’umiliazione davanti a centinaia di persone. Già mi immaginavo le risate di scherno e la ragazza, del quale avevo perso la testa,  in prima fila tra tutti.

“ Lestrange Rabastan… allora…. Potevi fare meglio, ma comunque hai passato l’anno. I voti Lestrange Rabastan sono questi:


Pozioni: Accettabile
Trasfigurazione: Accettabile
Incantesimi: Accettabile
Erbologia: Accettabile
Antiche Rune: Accettabile
Difesa contro le Arti Oscure: Oltre Ogni Previsione
Astronomia: Accettabile

Storia della Magia: Accettabile

 
Decisamente meglio di quanto mi aspettassi. Ovvio non avrei certamente superato Rod nei voti, però ero comunque soddisfatto e il fatto che in Difesa avessi avuto il voto più alto, confermava che quella materia mi piaceva e in quella materia davo il meglio di me. Mi alzai dal mio posto, dopo aver asciugato di nascosto il sudore che mi bagnava la veste, con la bacchetta, e piuttosto soddisfatto presi i fogli di pergamena scritti del mio esame che Dippet mi porgeva.

Un altro studente del mio anno, che era entrato nella banda di Rod era un certo Mulciber. Era un anno più piccolo di Rod, della mia età appunto, ma ciò non gli aveva impedito di entrare nelle grazie del mio odiato fratello. Costui ebbe due Oltre Ogni Previsione in Incantesimi e in Erbologia, due Accettabile in Trasfigurazione e Pozioni e anche un eccellente in Difesa. Non male…

“ Andromeda Black”  la persona seduta accanto alla ragazza di cui avevo perso la testa, si alzò in attesa dell’enunciazione dei voti. Non poteva che essere sua sorella, vista anche la somiglianza tra le due. I Black li avevo già sentiti, erano una famiglia molto ricca. La più ricca famiglia di maghi purosangue inglesi. Come pure noi lo siamo, ma d’origine francese.

Pozioni: Oltre Ogni Previsione
Trasfigurazione: Eccellente
Incantesimi: Oltre Ogni Previsione
Erbologia: Oltre Ogni Previsione
Antiche Rune: Accettabile
Difesa contro le Arti Oscure: Eccellente
Astronomia: Oltre Ogni Previsione

Storia della Magia: Accettabile


Brava anche lei senz’altro… eh d’altronde sono una famiglia nobile i Black… Chissà i voti della sorella maggiore…”  Sicuramente, pensavo, ottimi anche quelli…
Poi, dopo un po’ si passò a quelli del secondo anno.

Fu chiamato un nome.

Bellatrix Black.

La ragazza che avevo adocchiato per tutta quella sera, alzò lo sguardo verso il tavolo dei professori e attese piuttosto tranquillamente e fiduciosa il suo esito. Quindi il suo nome era Bellatrix…

Una delle poche cose di Astronomia che avevo imparato era che Bellatrix era anche il nome di una stella. Una stella come lei… una stella, come il suo cognome rivelava, nera.


Pozioni: Eccellente
Trasfigurazione: Oltre Ogni Previsione
Incantesimi: Eccellente
Erbologia: Eccellente
Antiche Rune: Oltre Ogni Previsione
Difesa contro le Arti Oscure: Eccellente
Astronomia: Oltre Ogni Previsione

Storia della Magia: Accettabile
Esame supplementare  di volo: Accettabile


Bellatrix si meritò un applauso. E appunto il tavolo dei Serpeverde applaudì sonoramente, con l’eccezione di Rod, che la guardava un po’ invidioso. Lei si alzò con garbo, tranquilla, mentre io applaudivo così forte che mi facevano male le mani e andò a ritirarsi l’esame. Poi tornò indietro e si prese i complimenti della sorella.

Finora, compresi anche quelli del primo anno, lei aveva avuto i voti più alti. E io nel mio segreto, provai un moto di felicità per lei. Anche se Bellatrix, a parte quei pochi istanti, non mi aveva degnato più di uno sguardo. Forse significava che non ero il tipo adatto a lei….chissà.

Fu il turno di Rod. Il mio caro, si fa per dire, fratellone

Pozioni: Oltre Ogni Previsione
Trasfigurazione: Oltre Ogni Previsione
Incantesimi: Oltre Ogni Previsione
Erbologia: Accettabile
Antiche Rune: Accettabile
Difesa contro le Arti Oscure: Eccellente
Astronomia: Accettabile

Storia della Magia: Accettabile
Esame supplementare  di volo: Accettabile
 
Accadde un fatto inusuale. Scoprii di essere contento che mio fratello avesse ricevuto voti più bassi di quelli di Bellatrix. Tra i due, fa strano dirlo, ma preferivo di gran lunga Bellatrix a lui. Anche perché mi feci tutta una mia ricostruzione mentale che se Bellatrix avesse visto uno bravo come lei a scuola, c’era il pericolo che se ne innamorasse. E il fatto che Rod non aveva colpito nel segno, mi fece comprendere che, per almeno un altro anno, io avrei potuto avere completamente strada libera per cercare di farmi coraggio e conquistarla.

Certo non sarebbe stato semplice… però avrei perlomeno potuto tentare la sorte.

Chissà cosa sarebbe capitato. Al massimo mi avrebbe riso in faccia, mi avrebbe umiliato. Avrei certamente fatto una pessima figura. Però valeva la pena di tentare.

O forse era meglio restare nascosto, in attesa degli eventi…

Si forse, questa era l’opzione migliore. Non mi andava di fare pessime figure con lei. Al massimo avrei atteso momenti più propizi per parlarci, almeno. Per farmela prima amica.

Si questa era la cosa migliore. Non c’era motivo per forzare i tempi. Avrei avuto tutto il tempo necessario. Tanto mio fratello la odiava e quindi dal lato famigliare non vedevo, al momento, minacce.  E dagli sguardi piuttosto sprezzanti che lei, di tanto in tanto rivolgeva a lui, mi convinsi che l’odio era reciproco tra i due.

Rod tuttavia, se la conosceva, non me ne aveva mai parlato. Tant’è che fino al momento della consegna degli esami, non sapevo neanche il suo nome.

Mentre cenavamo, la vidi tirare fuori un mazzo di carte. Forse dei tarocchi a prima vista. Anzi erano tarocchi. Non seppi il motivo per cui lo faceva, cosa ne volesse fare. Bellatrix poggiò il mazzo e poi cominciò a girarle ad una ad una.

Che comportamento strano… era strana come ragazza. Praticamente attirò l’attenzione di quasi tutti quelli vicini a lei, ma nessuno osò minimamente chiederle chiarimenti. Invece di cenare, come facevano tutti, si studiava i tarocchi.

Arrivata a scoprire l’ultima carta, però  uscì completamente di senno. Si arrabbiò, forse perché non era uscita la carta che lei desiderava uscisse e, nella collera, dette loro fuoco, tra lo stupore generale degli altri ragazzi. Poi si alzò di scatto e se ne andò, senza finire la cena.

La sorella minore, pareva anche lei completamente spiazzata da quell’atteggiamento, neanche famigliare a lei, che era appunto sua sorella.
 
Tra me e me, comunque pensai che quelle carte se l’avevano fatta infuriare, non erano buone. E non la meritavano. Ed era giusto che lei si fosse così infuriata con esse.

Un giorno, quando l’avrò conosciuta meglio e quando saremo amici, gliene regalerò personalmente un mazzo più bello di quello a cui lei aveva dato fuoco.



NOTE DELL’AUTORE

Ed eccomi qui. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Questo è l’ultimo capitolo per quel che riguarda il secondo anno. Proseguirò con il terzo sempre su questa storia che arriverà fino al termine del quarto anno di studi. Per gli altri tre (quinto, sesto e settimo) ci sarà una terza parte della storia.
Qui il capitolo è sotto il punto di vista di Rabastan. Non particolari cose da dire, mi sembra tutto abbastanza chiaro. Parla in generale di come Rabastan si sia innamorato segretamente di Bellatrix. L’ho immaginato più o meno così, con lei che non ne sa nulla, per ora. Lo intuirà più avanti. Qualche anno dopo.
Riguardo solo l’ultima parte, i tarocchi sono uno dei passatempi di Bellatrix da giovane. In seguito capirete perché si è così arrabbiata ed è andata via. Riguardo il fatto che Rabastan le regalerà un nuovo mazzo, la scena è già spiegata nella “strega più potente” di Circe (nel suo caso nel capitolo 42 della suddetta storia: la carta del diavolo). Verrà ripresa anche qui. Però avverrà, come in quel caso, solo all’ultimo anno, quando ormai Bella e Rab si conosceranno abbastanza.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che in generale la storia vi piaccia.
A presto!!

 
 

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Capitolo 26
*** TERZO ANNO: Fecce e luridi parassiti ***


TERZO ANNO

Dal grimorio di Bellatrix: “ Fecce e luridi parassiti”

Sono arrivata a casa questa mattina. Anche se controvoglia. Ma non ho dimenticato ciò che devo fare e che mi aveva suggerito di fare il mio maestro, quest’estate.
Nostra madre era venuta a prenderci alla stazione di King’s Cross, me e Dromeda. Mentre Dromeda aveva salutato calorosamente, io ero stata totalmente indifferente al suo saluto. Al che lei, cominciò a lamentarsi scioccamente del perché mi comportassi in quel modo e che era pentita di non avermi mai parlato apertamente di quelle fecce e delle loro azioni contro di noi.
Fortunatamente non esplicitò la sua reale colpa, anche perché in presenza delle mie due sorelle non mi andava che lo facesse. Quella doveva essere una questione che riguardava solo io e lei. Nessun altro volevo di mezzo.
Ero anche rabbuiata per ciò che era successo l’ultima sera al castello. Lui, il mio maestro, non si era fatto vedere per tutta la sera. E cosa peggiore di tutte, quando decisi di usare i tarocchi per prevedere un po’ il mio futuro, arrivata all’ultima carta che rappresentava gli incontri, i cambiamenti, non mi apparve ciò che volevo che mi apparisse. Mi era apparsa la sedicesima carta degli arcani maggiori: la Torre, che rappresentava la superbia e la presunzione. Io volevo la quindicesima: la carta del Diavolo. Perché io sentivo di appartenere a lui.
Nella furia del momento avevo dato fuoco alle carte e mi domandavo se mai ne avessi potuto possedere un altro mazzo, visto che quello era l’unico che avevo.
A questo pensavo quando, arrivati ormai nella nostra tenebrosa casa a Grimmauld Place, in camera mia, sentii la voce di Dromeda.
“ C’è qualcosa che non va, Bella?” mi domandò
“ Oh no. Va tutto benissimo, sorella” risposi, sorridendole forzatamente.
Volevo comunque togliermela dai piedi. Mi dava fastidio lì, a fissarmi. E poi non potevo certo permettere che mia sorella fosse presente nel momento in cui avessi messo alla prova nostra madre. A quel proposito, mi ricordai che Evan, sul treno, mi aveva chiesto se fossi potuta andare con lui a Diagon Alley per farci un giretto assieme. Decisi di mandare Andromeda al posto mio. Anche perché uscire con Evan per Diagon Alley, in quel momento, era l’ultima cosa che desiderassi fare.   
“ Va bene” mi disse un po’ sorpresa da quella decisione improvvisa.  “ Ma tu perché non puoi andare?”
“ Non ho voglia. E poi è anche tuo cugino no? Sempre io devo andarci?”
Lo dissi forse un po’ troppo alterata, tant’è che Andromeda si affrettò a rispondere: “ Va bene, va bene. Non arrabbiarti però”
Si alzò e andò a vestirsi in camera sua. All’uscita, sull’atrio, la richiamai.
“ Ah e porta anche Cissy con te” le dissi con un sorriso, calma.
Lei però tentennò. “ Cissy non può uscire. Ha ancora dieci anni. Nostra madre…”
“ Parlerò io a nostra madre. Le dirò che vi ho dato io il permesso”
“ Si arrabbierà”
“ Non m’interessa”
“ Certamente si arrabbierà meno di quanto sono io ora arrabbiata con lei” pensai tra me.
“ Vai, muoviti” ordinai, visto che la vedevo ancora lì, impalata.
Vederla andare via di corsa, temendo che mi arrabbiassi, mi diede sollievo. Andromeda mi temeva, forse più di quanto temesse nostra madre. E quel giorno aveva intuito che ero veramente di malumore.
Sentii Dromeda avvertire nostra madre che sarebbe uscita a farsi un giro, ma non accennò minimamente alla nostra sorella più piccola. Qualche minuto dopo, la sentii sussurrare a Cissy se le fosse andato di uscire con lei.
Cissy accettò e finalmente la casa rimase a disposizione solo mia e di mia madre.
Da sola, dopo che le mie due sorelle minori erano uscite, mi alzai e scesi di sotto dove mia madre ignara che anche Narcissa fosse uscita, senza il suo permesso, stava lavando le stoviglie. Guardai fuori dalla finestra. C’erano una decina di bambini che giovano sulla stradina di fronte casa nostra. Era arrivato il momento.
Quando mi vide mia madre, dapprima mi sorrise, ma poi, dopo aver visto il mio sguardo corrucciato nei suoi confronti, tornò seria.
“ Bella cara, mi dispiace se sei ancora arrabbiata con me. Non mi puoi perdonare? Cosa devo fare per farmi ricevere ancora uno dei tuoi bellissimi sorrisi?”
“ Non è facile per me, perdonarti sai? Non basta una lettera di scuse per farti perdonare. Ti rendi conto di quello che hai fatto, madre?”
“ L’hai letta?” domandò lei, speranzosa
“ Si, l’ho letta” mentii
“ E cosa ne pensi?”
“ Penso che dovresti dar prova a quello che hai scritto” risposi e il mio cuore prese a battere forte nel petto. E piano piano la mia espressione da corrucciata, divenne soddisfatta. Di quella soddisfazione tipicamente crudele.
Lei la intravide e mi sorrise incerta.
“ Cosa vuoi che faccia, figlia?”
Io la guardai, sempre con quel sorrisetto crudele, socchiudendo appena gli occhi.
“ Divertiamoci un po’. Insieme. Su di loro. Questo piccolo giochetto se ben fatto potrebbe farti ricevere il mio perdono”
Lei mi guardò dapprima contenta, poi leggermente preoccupata.
“ Bella tu non puoi fare magie. Sei minorenne.”
Io la corressi subito
“ Infatti non ho detto che lo farò io. Lo farai tu, su mia richiesta”
Vidi mia madre andare a sbirciare la finestra, dove quei luridi vermi ancora osavano infettare la nostra via.
“ Non ci saranno conseguenze?”
Sentii di escluderlo.
“ Quanto sei premurosa, madre. No, tranquilla, non ci saranno. E se dovessero esserci, saprò io come difenderti al processo. E comunque stai tranquilla, non si scoprirà nulla”
“Il mio maestro, altrimenti non me lo avrebbe chiesto. Lui sa tutto. Non sbaglia mai”
Con uno sguardo d’intesa, mia madre, si avviò verso il salone d’ingresso e poi verso la porta. Io la seguii, certa che avrebbe fatto di tutto per riacquistare la sua adorata figlia, cioè io. 
“ Andiamo. Ti farò vedere cosa tua madre è in grado di far loro, Bella. Quelle fecce si pentiranno di usare la nostra via, per i loro stupidi giochini da babbani”
Uscii al seguito.
Dopo un breve rimprovero, di mia madre nei loro confronti ordinando loro di andarsene via subito; quelle fecce e luridi parassiti osarono prendersi gioco di lei, ridendole in faccia e farle le pernacchie.
Sentii una collera mai provata salirmi nel petto. Afferrai il manico della mia bacchetta, tentata a scagliar loro schiantesimi a raffica, ma poi mi ricordai che sfortunatamente, e fortunatamente per loro, non potevo usare la magia lontana dal castello.
Mia madre però reagii esattamente come avrei voluto reagire io. Senza neanche pronunciare l’incantesimo puntò la bacchetta  e un fascio di luce rossa colpì due di loro scagliandoli lontano.
Poi alzò ancora la bacchetta e un’enorme fine invisibile, legò tutti loro, ammassandoli tutti assieme e li fece entrare in casa nostra, nascondendoli dalla vista dei vicini, per non destare sospetti. Ma anche per un altro motivo: la magia al chiuso non poteva essere intercettata dal ministero a meno che a farla non era un minorenne. Questo lo sapevo, perché era stata mia madre a dirmelo qualche anno prima.
Quando entrai soddisfatta e trionfante, vidi ancora mia madre scagliare la sua furia su di loro in modo terribile. Con un gesto della bacchetta, strinse la fune che li legava, fino a farli quasi soffocare. E mentre lo faceva gli urlava addosso di non permettersi mai più di prendersi beffe di lei.
Quando i bambini che aveva legato, arrivarono quasi al punto di soffocare, a causa della loro difficoltà nel respirare, allentò la presa della fune. Erano diventati viola.
Per tutto il tempo io ero rimasta ad osservarli, indifferente alle loro suppliche. Anzi desideravo che mia madre si spingesse oltre, che li ferisse… che li torturasse in qualunque modo. E invece non lo fece.
Quando glielo feci notare, lei, fissandoli sempre con odio, disse: “ Credo abbiano capito. Non è vero fecce e luridi parassiti?”
Sottolineò con particolare cura le ultime parole, guardandoli spietata. Quelli si muovevano appena, pregandola sempre e implorando la sua clemenza.
Non ero pienamente soddisfatta dell’esito che mia madre aveva ottenuto. Avrei voluto di più, come ho detto. Però compresi anche che se avessi insistito troppo, lei avrebbe potuto cominciare a nutrire qualche sospetto. 
Comunque sentii, finalmente, che era arrivato il mio momento.
Sulla credenza stava un antico pugnale di famiglia, un athame, mi aveva detto che si chiamava mia madre. Veniva utilizzato nei rituali neopagani. L’athame simboleggia l’essenza maschile ed è legato al fuoco. La lama, doppia, simboleggia, invece la magia.
Era suo, io non ne avevo uno, anche se mi sarebbe piaciuto enormemente averlo, non si sa mai cosa possa capitare. E un’arma del genere poteva sempre tornare utile.
Lo presi dal manico e mi avvicinai con calma ai bambini che ancora respiravano affannosamente, cercando di recuperare ossigeno che mia madre aveva loro negato. Mi piegai, inginocchiandomi di fronte a loro.
Avvertii la fune, tastandola con la mano libera, e la tagliai liberandoli. Loro però alla mia vista, con quell’arma in mano, ebbero ancora più paura, e non osarono muoversi. Ero tanto bella, quanto terribile in quel momento.
Li minacciai, sussurrando: “ Se provate a raccontare qualcosa alle vostre luride famiglie, su ciò che vi è successo, io vi faccio questo…”
Premetti appena la punta della lama dell’athame, sull’avambraccio di uno di loro, il più piccolo del gruppo, che fu tuttavia sufficiente a fargli uscire una goccia di sangue. Sorrisi crudelmente a quella vista e assaporai il terrore del bimbo.
Solo degli sciocchi avrebbero potuto pensare che realmente intendessi solo quello. Essendo comunque un avvertimento, per ora, non fu necessario premere troppo.
Loro tuttavia capirono cosa intendessi e, letteralmente terrorizzati, annuirono.
“ E ora sparite marmocchi. E non osate mai più infettare la nostra via”
Quelli, a fatica si rialzarono e uscirono di corsa, lieti di essere ancora vivi.
Guardai mia madre, che era quasi spaventata da ciò che avevo mostrato. 
“ Mi hai fatto paura, Bellatrix…” disse apprensiva.
Io le sorrisi.
“ Ma no… sono una figlia brava, tranquilla ed elegante. Una vera rappresentante della casata dei Black. Non è vero madre?”
Lei annui. Sorrise in risposta perchè comprese che l’avevo perdonata.
“ Certo, Bellatrix. Sei la mia leonessa” e mi abbracciò
“ Dopo questa, dovrai avvertire mio padre che ti sei ufficialmente staccata dal vostro comune pensiero di voler un figlio maschio al posto mio”
Lei parve non fare caso alla provocazione.
“ Per festeggiare il tuo perdono su di me, oltre che il tuo compleanno, ti chiedo: quali sono le feste che organizziamo in famiglia?”
Io feci un respiro. La risposta non era proprio a mio genio.  
“ I balli purosangue”
“ Esattamente, cara” rispose lei, sorridendomi.
I balli purosangue mi piacevano, a dire la verità. Erano l’espressione più classica delle feste tra maghi e streghe. Ma sentivo, anche, dentro di me, che non avrebbero mai preso il primo posto nella lista di cose che mi piacevano più in assoluto.
In tutto ciò aggiungo, infine, che mia madre non scoprì mai che Cissy le aveva disobbedito.
 
 

 

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Capitolo 27
*** Lei si chiamava Bellatrix ***


Dal grimorio di Rabastan: “ Lei si chiamava Bellatrix”


Ero tornato al castello Lestrange per le vacanze estive. Quell’estate Rod mi annunciò che suo padre, dico suo perché non era il mio e lui non si riconosceva come tale, sarebbe tornato dalla Francia e avrebbe passato l’estate con noi. Il signor Lestrange, così lo chiamo, invece che padre, è un bell’uomo agli occhi di una ragazza potrebbe sembrare: giovane, bello, aristocratico, elegante, persino affascinante. Per me non è niente di tutto questo. Lo odiavo con tutto me stesso.

Fortunatamente Rod condivideva questo odio nei suoi confronti.

Non c’era mai a casa. O quasi mai. Io lo conoscevo solo di vista praticamente. Non sapeva niente di me e pochissimo di Rod. Però io sapevo tutto di lui. Sapevo cosa faceva in Francia, a Parigi, dove viveva. Faceva la bella vita, circondato da innumerevoli donne, non si preoccupava minimamente di noi. Considerava Rod appena più di me, solo perché era il primogenito della famiglia. Io, per lui, invece, non esistevo proprio.

Il signor Lestrange arrivò al castello alle dieci del mattino. Salutò velocemente Rod, con il suo solito accento francese, mentre a me non mi degnò neanche di  uno sguardo e scappò di sopra a sistemare le valige.

Quando scese di sotto, disse che non aveva fatto colazione e mi ordinò di preparargli un infuso di erbe magiche profumate, dal momento che odiava il tipico tè inglese.

“Rod… com’è che non saluti il tuo vecchio papà? E’ venuto per stare un po’ con te e tu invece lo eviti” disse, mentre beveva il suo infuso.

Avrei voluto ricordargli che c’ero anche io come suo figlio. Ma desistetti dal farlo, poiché compresi che sarebbe stato inutile. Dopo la morte di mia madre avvenuta sei mesi prima, il rapporto tra me e lui era peggiorato ancora.

Rod arrivò poco dopo.

“ C’è Rab con te” disse a mo’ di scusa.

Ma il signor Lestrange rise e rispose: “ Sempre ironico eh Rod? Tu sei mio figlio. Quest’altro invece non so chi sia…”

Giuro, in quel momento, gli avrei lanciato la teiera dell’infuso bollente in faccia. Rendermi responsabile del secondo omicidio famigliare a questo punto non avrebbe cambiato nulla.

Rod rimase zitto, ma mi sembrò che, dopo aver sentito la risposta, guardasse il padre con odio.

“ Allora che mi racconti? A scuola tutto bene?” domandò a mio fratello, continuando a sorseggiare.

“ Si, padre… tutto bene”

“ Ti sei fatto nuovi amici? Io alla tua età ne ero pieno”

“ Si, padre. Ne ho fatte di amicizie”

“ Chi sono?”

“ Uno si chiama Wilkes e l’altro Avery”

“ Come sei freddo… un po’ di allegria. Sono qui, sono venuto per te, questo è il ringraziamento?”

Rod guardò il signor Lestrange con disprezzo.

“ Ti fai vivo solo due volte l’anno, non consideri neanche uno dei tuoi due figli e io dovrei essere felice?”

Il signor Lestrange sospirò.

“ Sai il motivo per cui non considero tuo fratello. Devo ricordartelo? Devo ricordarti che il tragico evento di sei mesi fa, non è stato il primo? Ti avevo detto di come tuo fratello avesse già cercato di uccidere tua madre, quando nacque”

Questa era un’altra storia. All’atto della nascita mia, essendo io piuttosto muscoloso e forte anche da neonato, avevo quasi provocato la morte di mia madre, già il giorno del parto. Solo il tempestivo intervento dei curatori del San Mungo avevano evitato il collasso immediato.

Ma da quella volta, il signor Lestrange aveva iniziato già a considerarmi come una disgrazia e il nostro rapporto non si era mai sviluppato come dovrebbe tra un padre e un figlio.

Ma che voleva? Che colpa potevo avere io se avevo rischiato di uccidere nostra madre inconsapevolmente? La colpa in quel caso era sua, di sua moglie, perché era debole. Che potevo farci io?

Intervenni personalmente, perché Rod si era zittito.

“ Che colpa posso avere? Non era colpa mia in quel caso. Non avevo neanche un giorno di nascita. Posso capire quello che è accaduto sei mesi fa, quando è morta, ma nel caso della nascita…”

“ TACI” aveva gridato il signor Lestrange. “ Taci. Non sai cosa hai combinato quel giorno maledetto in cui sei nato. Non sai niente tu. Sei solo un assassino”

“ Non sono un assassino!” avevo risposto, sull’orlo delle lacrime. Rod si fece avanti e mi abbracciò, mentre mi scioglievo in pianto.

Ero arrivato al punto di non voler neanche più vivere insieme a lui, al signor Lestrange. O sarebbe andato via lui, o me ne sarei andato via io. Tutti e due non potevamo più convivere. Ormai era chiaro ad entrambi. E anche Rod lo pensava. Ne ero convinto.

Il signor Lestrange continuava a mormorare tra sé la parola assassino e Rod mi suggerì di andare in camera mia a sfogarmi. Io però rifiutai di andarci, perché non volevo dargliela vinta a quell’uomo. Non la meritava, quella soddisfazione.

Rimasi in disparte mentre lui era tornato nuovamente ad ignorarmi e a fare domande a mio fratello.

“ E di ragazze? Ne hai adocchiata qualcuna come faceva tuo padre?”

Ecco lì l’argomento che gli interessava: le ragazze. Non riusciva a stare un giorno intero senza pensarci neanche un istante. Era più forte di lui…

Rod scosse la testa.

“ Ho solo tredici anni, padre. Ho tutta la vita davanti. Al momento devo badare a Rab… visto che non vuoi farlo tu”

Il padre di Rod sorvolò.

“ Ma te la trovi? Me la presenterai un giorno? O aspetterai la mia morte prima che te ne trovi una?”

L’argomento mi disgustava;  sapevo quello che lui era. Lui voleva l’amore possessivo, voleva sfruttare le ragazze. Non amarle davvero. Io non ero così. Io se avessi amato una l’avrei amata sinceramente, non per il gusto di possederla, o peggio sfruttarla. Il mio sarebbe sempre stato un amore sincero.

Decisi allora davvero di andarmene di sopra in camera mia, non volendo sentire il resto della conversazione. Mi disgustava.

Ma quello che era peggio di tutto era che quello stupido cercava di indottrinare Rod con le sue teorie sull’amore. Ma che ne sapeva lui di amore? Provai anche solo ad immaginare come sfruttasse sua moglie, nostra madre, quando si fidanzarono… Ebbi ribrezzo.

Io non sarò mai come lui e sono fiero di non esserlo.

Ho detto prima che se amassi davvero qualcuno, il mio amore sarebbe stato sincero.

In verità c’era già qualcuno di cui segretamente mi ero innamorato. Lei non lo sapeva e chissà mai se l’avesse mai saputo. Dovevo certamente cercare di mantenerlo segreto, perché avevo paura di essere rigettato.

Lei si chiamava Bellatrix Black.

Nessuno, né Rod né tantomeno suo padre, sapevano niente di questo. Avevo taciuto la cosa ad entrambi e avrei continuato a farlo, almeno fino a quando le circostanze eventualmente mi avrebbero consentito di poterlo fare. Se avessi potuto scegliere, sinceramente, non l’avrei mai rivelato e avrei tenuto la cosa per me.

Me la immaginavo così bella e perfetta, nuda, nella mia mente e cominciavo scioccamente a fantasticare con io e lei insieme, sposati un bel giorno, e fare lunghi viaggi dove più le sarebbe piaciuto andare.
  
Ero felice in quel momento, in camera mia.

Avevo momentaneamente dimenticato che in realtà ero Rabastan Lestrange: un figlio rinnegato dal suo stesso padre, orfano di madre, e con uno stupido fratello di nome Rodolphus che si prendeva cura di me.

Io ero uno che dipendevo dal mio fratello più grande di un anno. E tutto questo, solo, per colpa mia.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Il pentacolo rovesciato ***


Dal grimorio di Andromeda: “ Il pentacolo rovesciato”


 
Il giretto per Diagon Alley era andato bene. Abbiamo comprato anche vari vestiti da strega per me. A noi sorelle di una certa stirpe piaceva enormemente andare a fare shopping per i negozi.

Evan era un ragazzo piuttosto timido a prima vista, ma poi quando prendeva confidenza con le persone tendeva ad essere estremamente sfacciato. Era mio cugino.

Andavamo d’accordo, anche se tra di noi non vi era quel rapporto stretto che lui aveva installato con Bella. Era con lei che si trovava a suo agio.

Avevo anche il sospetto che in realtà, sotto sotto le piacesse anche; e se non fossero stati cugini, c’erano molte probabilità che si sarebbe innamorato di lei.

Bellatrix è la più bella tra di noi, ed era impossibile che passasse inosservata a lungo.

Ma mi accorgevo, anche se ancora vagamente, che aveva un carattere molto diverso dal mio e da quello di Cissy, anche se lei è ancora piccola. Tendeva ad essere estremamente ribelle, quasi malvagio.

Era una cosa che al tempo avevo intuito, anche se non diedi a ciò eccessiva importanza. Pensavo fosse più che altro dovuto al periodo adolescenziale, critico per tutti.

Quando finimmo di comprare, Evan però propose l’idea di passare per Nocturne Alley, e si lasciò sfuggire che con Bella c’erano passati l’estate prima.

Questo mi lasciò interdetta. Non l’avevo mai saputo. Bellatrix me l’aveva taciuto. E l’aveva taciuto anche a nostra madre, sebbene lei non volesse assolutamente che ci mettesse piede. Decisi che poi, quando si sarebbe presentata l’occasione, ne avrebbe risposto a me.

Decisi di accettare, solo per mettermi al pari con lei, insieme io, Evan e Cissy.

Stava calando la sera e Nocturne Alley la sera, soprattutto, si popolava.

Decine e decine di falò accesi servivano anche come riscaldamenti per i maghi e le streghe, tutti rigorosamente vestiti di nero, che cenavano all’aperto, fuori dai locali. Mentre ci incamminavamo per la via, notammo che molti ci guardavano e, soprattutto, guardavano me con un vago sorriso sprezzante o malizioso. Io, dal canto mio, cercavo di ignorarli.

Ad un tratto, dopo essermi soffermata troppo a lungo a guardare la vetrina di uno dei negozi, essere entrata dentro e comprato un vestito nero da strega , come piaceva a Bellatrix, mi accorsi che Cissy ed Evan non erano più con me. Uscendo, disperata, mi resi subito conto che mi ero inesorabilmente persa.

I rumori, le musiche e gli schiamazzi della gente mi impedivano di concentrarmi e capire dove mio cugino e soprattutto mia sorella erano andati. Avanzai in quel luogo così stano per una come me, quasi incompatibile e mi imbattei in un duello particolarmente violento.

C’era un uomo vestito di nero che stava scagliando una maledizione ad uno con cui doveva aver litigato. E questi urlava di dolore contorcendosi a terra. Mi venne la nausea e decisi che una volta ritrovati gli altri due, ce ne saremmo andati immediatamente da quel postaccio.

E io avevo semplicemente accettato di andare per mostrare ad Evan che anche io ero all’altezza di Bella, visto che lei era andata. Forse, dopo questo, tanto all’altezza mi ero resa conto di non essere…

“ EVAN…CISSY” gridavo tra la folla, cercandoli. Non mi risposero. Allora decisi di avanzare penetrando all’interno della via.

Forse anche loro mi cercavano. O forse vedendo quanto fossi imbranata, no… Scacciai quest’ultimo pensiero dalla mia mente, rifiutandomi che potesse essere vero. E poi c’era Cissy e se l’avessi persa, i miei si sarebbero infuriati moltissimo e Bellatrix mi avrebbe odiato.

Avanzai per le vie più buie, per i vicoli più scuri, questi non illuminati dai falò. Di Cissy e di Evan nessuna traccia.
Ad un tratto rabbrividii.

Ero comparsa davanti ad una bottega isolata dal resto dei locali e negozi. Vidi un uomo alto e vestito di nero, fuori dalla bottega, che mi lanciò un’occhiata e parlò, con voce possente, una lingua a me totalmente sconosciuta. Ma aveva un suono terrificante. Sembrava vagamente una lingua serpentesca, ma era impossibile che sapesse parlare una lingua così diversa da quella umana.

Non risposi, non capendo affatto ciò che avesse detto e, dal canto mio, gli chiesi se mi avrebbe potuto aiutare a cercare due persone: mio cugino e la mia sorella più piccola.

Lui parlò di nuovo quella strana lingua e io insistetti con la domanda.

Quello che ne seguì, mi fece ancora più paura. Si arrabbiò. Il motivo non mi fu affatto chiaro, forse perché non rispondevo ad un’eventuale domanda che mi aveva fatto. Ma come facevo a capire quei suoni? Non avevo mai sentito nessuno parlare in quel modo.

Ad un tratto, come se fosse impazzito, tirò fuori la bacchetta e me la puntò contro.

Mi accorsi che aveva uno strano simbolo vicino all’impugnatura.

Una sorta di pentacolo rovesciato.

Cosa potesse significare e soprattutto come potesse essere impressa su una bacchetta, non lo seppi mai.

Non ebbi neanche tempo per pensarci, poiché mi voltai e scappai via a gambe levate.

Un getto di luce verde mi inseguì e andò a cozzare contro il muretto del vicolo dove mi ero rifugiata. Udii l’esplosione del muretto nel punto in cui lo strano getto verde lo aveva colpito. Passarono alcuni secondi, dove io immersa nell’oscurità del vicolo, non facendo assolutamente rumore, mi nascosi alla sua vista. Lui doveva essersi convinto che me ne fossi andata e riparò il muretto del vicolo dove quel suo incantesimo l’aveva colpito.

Poi sentii la porta della bottega richiudersi e con un sospiro tremante mi resi conto che il pericolo era passato.

Quando tornai indietro, ormai rassegnata a dover dire ai miei che avevo perso di vista Cissy ed Evan a Nocturne Alley, e a prepararmi quindi ad un mese di punizione, li vidi in uno dei locali delle vie. Stavano cenando. Cenando…

Avevo rischiato la vita per loro, in pensiero per loro, e loro due stavano sfacciatamente cenando ignari di tutto quello che mi era capitato. I presenti sembravano quasi sbalorditi che tre ragazzini della nostra età potessero andare in giro da soli per quelle vie, ma io non avevo intenzione di rivolgere più loro nessuna parola.

Entrai nel locale e quando Evan mi domandò: “ Dov’eri finita?” mentii: “ Facevo visita ai negozi”

Tornando indietro, mi promisi che da quel giorno non sarei mai più andata in quella via.

Dopo aver salutato Evan ed essere tornata a casa, con Cissy, anche mia madre, come Evan prima, mi chiese dove fossi finita.

Fortunatamente era talmente impegnata con me che non si accorse che Cissy era anche lei uscita, disobbedendole.

Comparve anche Bella, ma di lei non mi preoccupavo: sapevo che non avrebbe parlato semplicemente perché anche lei aveva mentito a nostra madre, riguardo una sua uscita.

“ A Diagon Alley” risposi e in verità c’ero anche stata, quindi non era proprio una bugia… o almeno non totalmente.

“ E perché non me l’hai detto? Chi eravate?”

“ Evan e io” risposi, facendo attenzione a non lasciarmi sfuggire il terzo nome.

“ E Cissy? Non c’era?”

“ No… lei non può uscire, hai detto”

“ E…”

“ Madre” la interruppe Bella, guardandola. “ Lasciala stare, lo vedi che è stanca, Dromeda?”

Interruppe l’interrogatorio e gliene fui particolarmente grata.

“ Va bene” disse mia madre. “ Ora vai a farti un bagno bello caldo e vieni che la cena è pronta”  e se ne andò.

Mia sorella invece restò con me.

“ Grazie…” bofonchiai. Lei mi sorrise.

“ Siamo sorelle no?”

“ Giusto” risposi.

“ Ci aiutiamo a vicenda, vero?”

“ Giusto”

Avevo indugiato un po’ nel rispondere all’ultima domanda, anche per il motivo di ciò che Evan mi aveva detto. Alla fine, proteggendomi in quel caso, decisi che anch’io avrei ricambiato il favore: avrei rinunciato a parlarne a nostra madre, della sua di uscita. Forse, gliene avrei parlato solo a Bella in disparte a tu per tu. Ma non certamente quella notte.

“ E quelli?” domandò lei entrando in camera mia senza permesso. Prese tutti i vestiti che avevo comprato e li buttò sul mio letto, senza alcuna cura, stropicciandomeli tutti.

Lei era così, le piaceva fare tutto quello che voleva in casa nostra. Ne era la regina. Ma in compenso non permetteva a nessuno di entrare nella sua camera, e di toccare le sue cose, senza il suo benestare.

Afferrò per ultimo il vestito nero da strega che le avevo comprato a Nocturne Alley e ne rimase piacevolmente colpita.

“ Per me?” domandò, incredula, fissandomi

Annuii

“ Per il tuo compleanno, Bella. Ti piace?”

“ Si” disse indossandoselo e fissandosi a lungo allo specchio della mia camera, come faceva sempre quando indossava qualcosa di nuovo. “ Grazie”

Le donava particolarmente. Era vero che il nero risaltava ancora di più la sua bellezza. Era l’unico colore che normalmente vestiva. Anzi sempre lo vestiva. Anche a Hogwarts desiderava una divisa nera, invece che grigia e scialba come quella delle altre ragazze. Il nero e lei erano tutt’uno. E anche la gonna, unico caso in tutta la scuola, doveva essere per lei rigorosamente nera e leggermente più stretta rispetto a tutte le altre indossate dalle altre studentesse.

Mi guardò sorridendo e disse: “ Voglio cenare con questa addosso”

“ Come? Ma sei sicura?”

“ Si. Ho deciso, così, Dromeda. Possibile che non ti vada mai bene niente di quello che dico?”

“ Va bene. Se ne sei convinta…”

Decisi ancora di lasciarla fare. In fondo la conoscevo… se si metteva in testa di fare qualcosa, era impossibile che non facesse di tutto per ottenerla. Lei era così, e forse è per questo che vedevo in lei una sorta di mito irraggiungibile per me.

La sera passò tranquilla senza altri particolari avvenimenti.

Il mattino dopo Bella andò con nostra madre nella lussuosa villa sulla scogliera al mare, in realtà era un castello, dove trascorrevamo le vacanze estive, tutti gli anni.

Andò lì, perché ogni anno il suo compleanno voleva festeggiarlo in quella villa.

Io sarei invece rimasta a casa con Cissy, almeno fino a quando nostro padre non avrebbe ottenuto anche lui le sue meritate vacanze.

Alla festa avremmo comunque partecipato tutti quanti.

Un ballo con circa cento invitati, tra amici, parenti e amici dei parenti.

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Capitolo 29
*** Il ballo alla villa Black sulla scogliera ***


Tutto era pronto. La signora Black aveva  fatto preparare dall’elfo di casa pietanze di ogni genere per circa un centinaio di invitati. La villa era comunque abbastanza grande, da poterli ospitare tutti. Doveva essere la festa perfetta, la festa che sanciva il ricongiungimento affettivo di Bellatrix nei confronti di sua madre, dopo la prova a cui l’aveva sottoposta, brillantemente superata. Oltre che il suo compleanno. Nata in piena estate.
L’ambientazione della festa non sarebbe, però, stata Grimmauld Place numero 11, l’abitazione abituale dei Black, di parte Druella e Cygnus Black, ma la villa sulla riviera dove la famiglia trascorreva ogni anno le vacanze estive. Andromeda e Narcissa erano invece rimaste a Londra, con il padre, il quale ancora doveva ancora sbrigare alcune faccende di lavoro.
Come per Grimmauld Place numero 11, la villa al mare era la classica dimora che sarebbe potuta appartenere solo a gente nobile, essendo i Black decisamente la famiglia purosangue inglese più ricca in assoluto.
E la vista sulla costa era uno spettacolo della natura. In particolare dalla camera di Bella era visibile tutta la scogliera.  Era in quella spiaggia e su quella scogliera dove Bellatrix da piccola alimentava le fiamme per riscaldare tutti, dal momento che il resto della famiglia non era in grado di farlo.
Per quanto riguarda i ragazzini, sotto minaccia della stessa figlia, avevano taciuto la cosa ai genitori e dal Ministero, a sua volta, tutto taceva. Avevano corso un grosso rischio è vero, ma Bella quando vide sua madre divertirsi con quei poveracci, fu a sua volta fiera di lei. Non le importava se fossero andati entrambi a processo. Era giusto prendersi delle rivincite ogni tanto, su quelle fecce.
Naturalmente la cosa era saputa solo da Druella e da Bellatrix stessa. Sia Andromeda, sia Narcissa invece erano all’oscuro di tutto. E Druella a sua volta era all’oscuro che l’ordine di torturare quei babbani, a sua volta non era partito da Bellatrix, ma da Tom Riddle.
A proposito di Tom Riddle, Bellatrix aveva avuto la folle idea di invitarlo al ballo, senza chiedere opinione a sua madre. Aveva deciso che tutto quello che riguardava loro due doveva rimanere segreto a tutta la famiglia. Gli aveva scritto una lettera, però non sapendo dove fosse l’orfanotrofio chiese al gufo di provvedere egli stesso a vedere dove si trovasse.
Erano passati circa cinque giorni da quando aveva spedito la lettera e ancora non aveva ricevuto alcuna risposta. Forse semplicemente non aveva ricevuto la posta, via gufo.
 Alla fine, il giorno del ballo, si decise che Tom aveva semplicemente rifiutato l’invito. Inoltre sapeva quanto fosse schivo ai balli e ai divertimenti in generale.
“ Bella, chiudi le finestre perché sta arrivando una tempesta”
E in effetti, dal mare si stava avvicinando un vero e proprio temporale e i tuoni già cominciavano a sentirsi a distanza. E il vento cominciava ad alzarsi.
quando era nata. E se non avesse chiuso le finestre, l’uragano avrebbe fatto si che tutta l’acqua entrasse in casa, allagando tutto.  Aveva comunque un fascino particolare quel tempo. Lo sentiva speciale. Le piaceva insomma.
Suonarono al campanello.
“Madre, hanno suonato, vai. Io devo prepararmi” disse Bellatrix ad alta voce, sovrastando il boato della tempesta
“Vai Kreacher” e l’elfo aprì la porta
 Quando Bella sentì la voce dell’ospite si bloccò di colpo. Il cuore  accelerò i battiti. Conosceva benissimo quella voce. Quella voce fredda, magica e misteriosa insieme all’orecchio di Bella.
“ Buonasera signora. Si ricorda di me? Ci siamo conosciuti due anni fa a Diagon Alley”
“ Certo che mi ricordo di te” sorrise la signora Black, un po’ stupita per l’ospite inatteso. Bellatrix cominciò a scendere le scale di soppiatto senza farsi udire.
Tom Riddle era vestito semplicemente con un completo nero. Ciò che però stupì molto la signora Black fu il fatto che Riddle non pareva assolutamente aver subìto le conseguenze della tempesta che infuriava. E anzi, i suoi abiti erano completamente asciutti. Quasi come se ne fosse immune.  Un lampo accecante gli illuminò il volto pallido, seguito subito dal boato del tuono.
L’elfo si spostò per farlo entrare. Lui, sempre sulla soglia, prese la mano di Druella e la sfiorò con le labbra.
“ Permette signora, un piccolo pensierino… so che magari ho invaso la sua abitazione senza invito” e le mostrò un mazzo di fiori, anche quelli inspiegabilmente asciutti, che le consegnò con un sorriso.
“ Ma figurati… non avresti dovuto” disse soddisfatta la signora Black. “ Tra l’altro non mi aspettavo che venissi… però ormai ci sei e quindi… non credevo neanche che arrivassi ora  addirittura in anticipo. Io che sono abituata ai ritardi dei miei… servi” e gettò un’occhiataccia sprezzante all’elfo. Riddle sorrise, notando quanto la donna davanti a lui, fosse in qualche modo nervosa nel vederlo.
“ La puntualità signora, è una delle virtù e dei doni che una persona non può non avere. Comprendo benissimo il suo disappunto verso la… creatura” e gettò anch’egli un’occhiata all’elfo con una smorfia.
Entrò in casa e poi si guardò attorno.
“ Beh, devo dire che l’ambiente è ottimo. Abituato a vivere in un ghetto per dieci anni, questo per me è un paradiso” affermò Riddle. “ Complimenti signora” aggiunse con un inchino.
“ Oh… è una casa normale, in fondo” la signora Black arrossì per i complimenti e fece una risatina compiaciuta.“ Vuoi sederti, nel frattempo? Cosa posso offrirti? Idromele, Burrobirra, del vino?” gli indicò le bevande ad ogni scelta.
“ Volentieri, prenderei del vino. Ma non molto, grazie. Vengo da molto lontano…”
Si sedette su una delle poltrone, da reali, della casa, a pochi metri dal camino. Il fuoco, così come le candele ferme nei candelabri argentati, nel salone, era acceso.
La signora Black lo fissò.
“ Non ho mai avuto il piacere di sapere il tuo nome”
Riddle chinò il capo senza sorridere.
“ Il mio nome, forse, un giorno lo conoscerà, signora. Ora però non è il momento per dirglielo. Preferirei mantenerlo segreto”
La signora Black preferì non insistere.
Dopo che ebbe versato il vino, disse invece: “ mia figlia Bellatrix, la festeggiata, dovrebbe essere qui a momenti. Si sta ancora preparando”
Riddle rimase zitto, sorseggiando il vino. Poi posò il bicchiere di cristallo sul tavolino di fronte a loro e domandò: “ Gli invitati alla festa sono tutti purosangue, vero?”
Lei annuì.
“ Ovvio” ridacchiò: “ Potrei mai invitare babbani o mezzosangue qui in casa mia?” poi fece una pausa e domandò ancora: “ Come facevi a sapere della festa e di dove si trovasse la mia abitazione?”
Riddle la guardò affabile, trasse un respiro e rispose: “Signora, non vorrei sembrarle uno che se la tiri troppo, non è mia intenzione. Tuttavia converrà con me che la vostra famiglia è molto nota nel mondo. Non mi è stato difficile scoprire il luogo”
Gli occhi della signora Black brillarono alla luce del fuoco nel sentire come il giovane davanti a lei sapeva essere terribilmente affascinante anche in evidenti moti di vanto personale.
“ Madre” risuonò una voce dall’altra parte della casa.
“ Si cara? Scusami…si cara cosa vuoi?” si alzò dalla poltrona e andò a vedere che cosa volesse la figlia maggiore.
Lui rimasto solo si guardò attorno. L’ambiente era decisamente quello di una famiglia molto ricca, la casa doveva essere enorme. L’abitazione non gli dispiaceva affatto.
Accanto al camino, sorgeva un grande arazzo con un grande albero genealogico che occupava tutta la parete. La scritta sopra recitava: “La nobile e antichissima casata dei Black” .
Si alzò, si avvicinò e lo studiò per qualche secondo, fino a che un rumore di passi lo convinse che la padrona di casa stava tornando.
Bellatrix, insieme a sua madre si avvicinava. Riddle non potè fare a meno di osservarla.
Il vestito nero che terminava con una gonna, anch’essa nera, che toccava il pavimento, le dava quell’aspetto di strega oscura che i suoi capelli, anch’essi neri, lunghi, lisci e lucenti contribuivano ad esaltare maggiormente.
La sua futura strega oscura, vista così, lo sembrava veramente. Era perfetta con quell’abito così tetro. Lo smalto anch’esso nero, sulle unghie la rendevano ancora più nera. La sua futura strega più potente.
“ Prepara qualcosa per il nostro gradito e speciale ospite, Kreacher. Muoviti. Lui non accetta che si faccia ritardo” ordinò imperiosa la signora Black all’elfo di casa.
“ No, signora. Non si disturbi. Davvero non ho fame”
“ Sciocchezze, sei pallido e magro. Hai anche un’aria un po’ malaticcia ora che ti osservo meglio. Ma ti danno da mangiare in quel ghetto dove hai detto che vivi?”
Tom Riddle si rabbuiò.
“ Signora” disse con tono categorico, che non ammetteva repliche: “ Credo di essere abbastanza grande per poter capire se ho fame, oppure no. Non sono uno che ama mangiare molto. In verità sono abituato a mangiare quel poco per vivere. E’ un mio modo di essere e di vita, e le consiglio di rispettarlo”
Per la seconda volta, la signora Black, parve innervosirsi. Era evidente che in qualche modo temesse il giovane,  e comprese anche che era un tipo a cui era caldamente sconsigliato far infuriare.
Bellatrix abbassò lo sguardo. Lei, invece, se avesse potuto avrebbe picchiato sua madre per aver osato anche solo insinuare che il suo maestro conducesse una vita da poveraccio. Ma fortunatamente, si trattenne.
La conversazione cadde e così Riddle decise di finire il suo vino. 
“ Comunque ottimo vino signora. Come del resto è ottimo tutto, qui. Un po’ di atmosfera magica è proprio ciò di cui avevo bisogno, durante questi mesi in cui non posso cibarmi di magia” disse più tranquillo.
Bellatrix prese il bicchiere finito e lo depose.
“ Vi conoscete?” chiese la signora Black rivolta prima alla figlia e poi a Riddle.
Lei anticipò Riddle: “ Siamo conoscenti… non amici. Ogni tanto ci scambiamo qualche parola. Io resto più con Dromeda”
Era bene che la signora Black non sospettasse di nulla, anche per questioni future…E Riddle era pienamente d’accordo. E anzi il primo passo l’aveva fatto lui tenendo nascosto il fatto di essere stato invitato da Bellatrix. Lei, giustamente, aveva contraccambiato il favore.
“ Mhm” fece lei, fissando la figlia. Poi spostò lo sguardo all’ora: “ Tra un po’ dovrebbero arrivare gli ospiti”
“ Quanti sono gli invitati?” domandò Riddle
“ Oh… un centinaio più o meno. C’è mia sorella con i suoi due figli Regulus e… Sirius” al nome di quest’ultimo, sia lei che Bellatrix stessa, fecero una smorfia come se fossero entrambi stati contrari alla presenza del nipote chiamato Sirius Black.
“ Poi Evan, cugino di Bella. In serata dovrebbero arrivare anche mio marito, con le altre mie due figlie…. E poi invitati, nostri amici e conoscenti. Ora vado a mettere un po’ in ordine, perché quello stupido Kreacher si dimentica sempre di pulire quando prepara gli aperitivi per il ballo”
E si alzò, uscendo dal salone. 



 

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Capitolo 30
*** Il manuale della strega oscura ***


Dal grimorio di Bellatrix: “ Il manuale della strega oscura”


 
 
E così rimanemmo soli, io e lui.
Lui e io.
 Il mio maestro e la sua allieva, cioè io.
In casa mia. Era molto strano questo: cioè che il mio maestro si trovasse in casa nostra. Ma sperai davvero che tutto fosse perfetto per lui. Se anche una sola cosa non gli sarebbe piaciuta, non me lo sarei mai perdonata.
La prima reazione tra noi, fu il silenzio. Aspettai quindi che fosse lui a parlare per primo.
Mi accorsi, però, osservandolo meglio, che qualcosa del suo aspetto era cambiato rispetto all’anno precedente: i capelli. Fino all’anno prima li teneva corti, quell’estate se li era fatti allungare fino praticamente a coprirgli gli occhi. Gli ricadevano davanti e, sebbene lui facesse di tutto per spostarli, quelli, appena abbassava lo sguardo, tornavano a cadergli davanti agli occhi scuri.
Appoggiò la testa allo schienale della poltrona del nostro salone e senza guardarmi sussurrò: “ A quanto pare, tua madre non sa ancora di noi. Non le hai detto nulla, Bella?”
Scossi la testa, contemplandolo. Quel suo nuovo aspetto mi intrigava ancora maggiormente rispetto a prima. Mi affascinava ancora di più.
“ No, maestro… non le ho detto nulla”
Stavolta mi fissò. Enigmatico e misterioso come sempre.
“ Perché?” domandò, solo
“ Perché… non ho voglia di mettermi nei casini in futuro. Potrei ricevere dei rifiuti da parte sua”
“ Come mai?” chiese ancora, sempre fissandomi quasi incuriosito
“ Ecco… mia madre non è proprio una strega oscura. E’ una che parla molto, ma non è altrettanto spietata nel mettere in pratica ciò che dice. Io le persone così, le disprezzo. Voglio comunque farle credere di essere una brava, elegante e tranquilla rappresentante della casata dei Black. Anche se so che, con il tempo, sarà sempre più difficile poterlo sembrare”.
Lo guardai come se mi potesse dare supporto in questo che avevo detto. Che potesse suggerirmi un modo per non farmi scoprire. Chi meglio di lui, mi avrebbe potuto aiutare? Aiuto che, però, non venne.
Il mio maestro, sorrise appena. Continuò a domandarmi, sempre fissandomi attentamente.
“ E tu sei una strega oscura? Ti ritieni tale?”
Rimasi in silenzio e riflettei. Poi risposi: “ Questo me lo dovete dire voi, maestro”
“ Certo che ti ritengo una strega oscura, anche se ancora non una strega oscura iniziata. Lo sarai quando diverrai grande e affronterai determinate branche della magia che io ti insegnerò. Ma hai già l’aura della strega oscura, Bellatrix. E quel tuo abito, che indossi per il tuo compleanno questa sera, è degno di una strega nera”
Detto da lui, equivaleva ad una dichiarazione d’amore.
“ Stai molto bene” disse poi, stavolta senza guardarmi, pianissimo, quasi come se lo dicesse più a sé stesso.
“ Anche voi state bene, maestro”
Anch’io lo dissi pianissimo, ma doveva avermi comunque udito poiché di nuovo sorrise appena, ma rimase in silenzio.
Avrei voluto aggiungere altro, ma riuscii a trattenermi.
Il maestro trasse un sospiro, chiuse gli occhi e per un attimo temetti che stesse male. Mi sembrava molto stanco e mi domandai da quanti giorni stesse in viaggio per venire da me, non sapendo quanto fosse distante l’orfanotrofio dalla nostra villa sulla scogliera.
“ Maestro, che succede?” domandai premurosa.
Lui scosse la testa, sempre tenendo gli occhi chiusi e non rispose. Cominciai seriamente a preoccuparmi.
Poi, però, questa sensazione venne subito smentita, poiché dopo che riaprì gli occhi lo vidi di nuovo pieno di vita e affascinante come sempre.
Mise una mano in tasca e prima di tirarla fuori disse: “ Visto che ho approfittato del tuo compleanno, ho voglia di farti un regalo, per il compito con tua madre che hai portato a termine” e tirò fuori un libro apparentemente senza titolo e con le pagine in bianco.
Me lo consegnò e cosa strana, appena lo presi tra le mani, subito comparve il titolo sulla copertina e le pagine divennero piene di scritte, schemi e disegni.
Il titolo sulla copertina era chiarissimo: “ Il manuale della strega oscura” e il sottotitolo recitava: “ I riti oscuri di Esbat, Yule e molti altri”
Ne rimasi affascinata. Era certamente il più bel regalo che avessi mai ricevuto in vita mia. Molto più bello dell’orrendo libro che i miei mi avevano regalato l’anno prima sui racconti dei nonni Black.
“ Vedo che ti piace, il regalo del tuo maestro” commentò lui sarcastico, osservandomi divertito.
“ Maestro… è bellissimo. Non so come ringraziarvi”
Lui si limitò a osservarmi.
“ Una strega oscura compie i suoi primi passi verso la magia leggendo e applicando quanto c’è scritto li. Non preoccuparti. Nessuno scoprirà ciò che starai leggendo, perché ho provveduto personalmente ad incantare il libro in modo che possa essere letto solo dal proprietario, ovvero tu. Nessuno vedrà nulla e nessuno scoprirà nulla, poiché solo tu sei e sarai degna di poterlo leggere. Perché io ti ho scelto come sola mia allieva”
Ebbi però un dubbio.
“ Maestro ma come farò a leggerlo e ad eseguire tutti i riti da strega oscura, che sono qui? A Hogwarts non potrei mai farlo”
“ Certo che lo potrai fare. Lo farai da sola, quando nessuno ti vedrà. Non hai forse fatto di nascosto tutto il pre addestramento con me, l’anno scorso? Nessuno ci ha scoperto. La stessa cosa avverrà stavolta, vedrai. Comunque prima dovrai imparare a farli e a praticarli”. Fece una pausa. “ Comunque ammetto che io non me ne intendo molto di queste cose, sono più roba da strega che non da mago. Però potrebbe essere un buon inizio, no? Considera poi che raggiunti i diciassette anni potrai eseguirli anche più liberamente: potrai infatti praticarli anche fuori dal castello”.
Mise poi ancora la mano pallida in tasca e ne estrasse una pietra completamente nera. Un’ossidiana per la precisione.
“ Anche questa è tua. E’ un’ossidiana come vedi. Per attivare il suo potere devi eseguire un rito, che troverai scritto anche su quel libro. Quando vorrai svelare i segreti del tuo inconscio potrai usare il potere dell’ossidiana per rivelarli”
Me la consegnò e non seppi veramente come ringraziarlo. I suoi regali avevano in un sol colpo cancellato di fatto dieci anni di regali da parte dei miei genitori; cinque anni di regali di Dromeda e due anni di regali di Cissy. In confronto quelli delle mie sorelle e quelli dei miei, erano carta straccia.
“ Spero che il tuo maestro abbia almeno in parte esaudito i tuoi desideri”
“ Scherzate?” chiesi esterrefatta dalla domanda: “ Certamente maestro. Non avrei potuto chiedere di meglio”
Volli abbracciarlo, ma qualcosa mi trattenne dal farlo.
Lui sorrise.
“ E’ la ricompensa che ti meriti per aver eseguito il tuo compito nel migliore dei modi… ragazzina”
Avevo colto l’ironia punzecchiante nell’ultima parola. Tuttavia era l’unica  che non mi dava particolare entusiasmo nel sentirla pronunciare dalle sue labbra.
Chissà se un giorno, quando sarei diventata grande, mi avrebbe sempre chiamato così: ragazzina.
Tornò ad appoggiarsi allo schienale e stavolta parlò serio, dopo essersi per l’ennesima volta scostato i capelli dal volto. Fissò il fuoco nel camino.
“ Presto avrai un altro compito molto più impegnativo e difficile da portare a termine. Sarà un compito che di fatto ti aprirà, anche se indirettamente, le porte al mio mondo quando avremo finito gli studi al castello. Ciò significa che avrai da qui al termine del settimo anno, il tempo necessario per portarlo a termine. Ti chiederai il perché ti abbia dato a disposizione tutto questo tempo. Ebbene quando lo saprai scoprirai che in realtà è persino poco. Ma sono certo che anche questo saprai eseguirlo nel miglior modo possibile, perché sei dotata e hai talento”
“ Quale maestro, posso saperlo?”
Lui però scosse la testa.
“ Al castello lo saprai. Ora non è ancora il momento per dirtelo, anche perché sta tornando tua madre”
E appena mia madre tornò, di colpo mi comportai esattamente come se non conoscessi affatto quel giovane con il quale avevo parlato a ruota libera nel tempo in cui eravamo rimasti soli.
Avevo comunque fatto in tempo a nascondere i due regali del mio maestro, in modo che lei non li notasse.  
“ Quello stupido elfo…”
Sentii mia madre borbottare. Kreacher era un elfo che pensava di essere simpatico e amorevole tra mille dichiarazioni di fedeltà a me, a mia madre o a mia zia a Grimmauld Place numero 12. Ma la verità è che lo detestavo. Come in generale detestavo tutte quelle bestie, indistintamente. E anzi, più si mostravano amichevoli, più le odiavo. Erano schiavi inutili, sporchi e puzzolenti. Indossavano quello straccio che non lavavano mai e si sentiva la puzza a metri e metri di distanza. Che schifo.
“ Allora ragazzo, ti fermi per la festa?” domandò mia madre al mio maestro, riportandomi alla realtà.
Lui scosse la testa.
“ Mi piacerebbe molto e la ringrazio dell’offerta. Ma purtroppo non posso. Ho un po’ di cose da fare, veramente” e si alzò dalla poltrona.
Mia madre, visto che l’ultima volta che aveva insistito per qualcosa, lui si era un po’ rabbuiato, stavolta non ripetè l’errore di cercare di convincerlo. Ma il fatto che avesse deciso di non rimanere, mi tolse gran parte della magia di quella notte. Festeggiare il mio compleanno con un ballo, senza però la presenza del mio maestro, non era esattamente la stessa cosa.
Lui intanto mi osservava e doveva aver capito il mio improvviso malumore. Doveva averlo capito poiché disse a mia madre: “ Mi dispiace, ma non posso. Ci saranno altre occasioni per partecipare ad una festa da purosangue. Chissà magari potrei organizzarla io, in futuro”
Mi parve che mi avesse gettato uno sguardo fuggente, nel pronunciare l’ultima frase. Ma dovevo averlo appunto immaginato, poiché quando glielo restituii, lui aveva già distolto il proprio.
“ Se le posso dare un consiglio” proseguì il maestro ad un tratto, sempre a mia madre: “ perché non organizza il ballo sulla spiaggia? Renderebbe in questo modo la festa di sua figlia indimenticabile. Lo apprezzerebbe molto. E in più la renderebbe libera di sprigionare tutto il suo talento. Ha bisogno di libertà. Qui, chiusa in casa, sarebbe limitata a sfruttarlo. Io penso una cosa signora: quando una persona ha talento, bisogna saper far liberare quel talento e, con esso, la sua energia. Tutta. E Bellatrix, sua figlia, mi sembra a prima vista, dal momento che non ci conosciamo, che ne possieda parecchia ”
L’idea era meravigliosa, ma compresi subito la sua impraticabilità e mia madre fu dello stesso avviso e me ne anticipò il motivo.
“ Ma sta diluviando” esclamò lei, quasi lamentosa.
Il mio maestro sorrise appena.
“ Adesso la tempesta smetterà. Da questo momento”
Non seppi se fu lui stesso a manovrare tutto, anche perché ai tempi mi era completamente ignota la sua natura di mago, così come anche la mia di strega, o se invece fu un fatto del tutto casuale, ma nel momento in cui disse quelle parole, la tempesta fuori cessò la sua furia all’istante.
“ Madre ha smesso veramente. Ha ragione” esclamai, esterrefatta, guardando fuori dalla finestra.
“ Straordinario tutto ciò. Mai visto niente di simile… vabbe a questo punto, perché non fare come ha detto il nostro ospite, eh Bella? Farai la tua festa fuori in riva al mare, sulla spiaggia. Come hai sempre desiderato. Dovremo però avvertire gli invitati del cambio dell’ambiente di ritrovo”
Tirò fuori la bacchetta ed evocò un Patronus . Poi lo avvertì di informare gli ospiti che il luogo della festa era cambiato. Non più alla villa marina dei Black, ma sulla spiaggia vicino alla scogliera.
“ Bene, a questo punto, vado” avvertì il mio maestro, dopo che il Patronus scomparve, avviandosi all’ingresso.
“ Non vuoi dormire qui? Ho abbastanza camere per far dormire un piccolo esercito, non è un problema. Potresti usare il letto di Andromeda e dormire con Bellatrix”
Scosse la testa.
“ La ringrazio, signora. Gentilissima. Ma ho dove dormire, non si preoccupi. Si goda il compleanno di sua figlia, invece. Oggi lei, dev'essere al centro dei suoi pensieri. Solo e unicamente lei e nessun altro”
“ Giusto” fece mia madre, guardandomi fiera.
Aprì la porta. Della tempesta era rimasta solo una leggera brezza marina estiva. Gli accarezzò i capelli, rendendolo ancora più bello.
“ La ringrazio moltissimo per l’ospitalità che mi ha dato, signora. Mi dispiace enormemente non poter restare, ma davvero, non posso. Comunque se vorrà, in futuro potrò tornare a farle visita”
“ Quando vorrai, ragazzo, la porta sarà sempre aperta per te. Ma dovrai dirmi il tuo nome quel giorno”  scherzò mia madre. Lui, dal canto suo, la squadrò e annuì, rimanendo però serio.
“ Come desidera” mormorò, socchiudendo appena le palpebre.
Poi avanzò, le prese la mano e chinò il capo a sfiorarla con le labbra.
Si raddrizzò, guardò me e disse: “ Signorina Black” e, dopo un attimo di esitazione, fece la stessa cosa anche con la mia mano destra.
Si raddrizzò per la seconda volta, si risistemò i capelli, prima con un gesto delle mani e poi piegando la testa di lato, come a scansarli e dopo un’ ultima occhiata ad entrambi, anche se si prolungò un po’ più su di me, accennò un mezzo saluto e poi si allontanò.
“ Devo dire che quel giovanotto è davvero brillante, un po’ misterioso e strano per certi versi. Criptico quasi. Ma davvero brillante. E anche estremamente affascinante, non trovi Bella?”
Io annuii appena senza però dire nulla. Perché se avessi parlato, mia madre certamente mi avrebbe scoperto. E quella notte, durante il mio compleanno, davanti ad un centinaio di persone sarebbe stato il momento meno opportuno tra tutti.
 
 
NOTE DELL’AUTORE

Ciao a tutti. Innanzitutto ringrazio BellatrixBlack17 per le recensioni e tutti voi per le letture.
Volevo fare un appunto a questo capitolo: il manuale che Bellatrix riceve in dono è quello che di fatto le spiega come fare tutti i riti oscuri da strega che trovate leggendo la storia di Circe: la strega più potente.
Ho pensato che prima di praticarli dovesse impararli e studiarli per bene e chi meglio del maestro di Arti Oscure può regalarglielo?
Anche l’ossidiana che riceve la ritroverete nel capitolo 29 della “strega più potente” di Circe.
Riguardo alla tempesta avrete senz’altro intuito che era opera di Tom. Ho pensato che non potesse infrangere alcuna regola sulla magia fuori da Hogwarts semplicemente perché non ricorre alla bacchetta. E’ un suo potere mentale di controllo del vento, essendo lui un mago di vento (anche se Bellatrix ancora non lo sa. E lo ignorerà per un po’ di anni).
Non ho altro da dire se non ringraziarvi ancora per le letture e le recensioni.
Alla prossima!
 
 
 

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Capitolo 31
*** Nocturne Alley ***


La visita da Bellatrix era stata decisamente allettante. Era stato accolto quasi come un figlio adottivo dalla padrona di casa.
Una donna ammirevole” aveva pensato mentre camminava nell’oscurità della notte. Non aveva idea di dove stesse andando. O per meglio dire: aveva idea di dove andare. Non sapeva, però, se stesse andando nella direzione giusta.
Una cosa era certa. Se avesse continuato a camminare, ci sarebbe arrivato dopo un bel po’, perché la costa era abbastanza lontana da Londra per farla tutta a piedi.
Si librò, allora, in volo.
Si alzò come un gabbiano e, con il vento a sorreggerlo, fece il giro della costa, volando a pelo d’acqua sul mare oscurato dalle tenebre notturne. Esattamente come faceva ai vecchi tempi, durante le gite estive all’orfanotrofio.
Poi dopo aver fatto un giro a trecentosessanta gradi, sopra il mare, riprese la direzione della metropoli inglese.
Volò per circa una decina di minuti, ad altezza abbastanza elevata per non essere notato dai babbani. Sentiva il vento scompigliargli i capelli. Gli piaceva enormemente. Si sentiva libero.
Poi, giunto a Londra si abbassò per poter riconoscere il Paiolo Magico.
Quando lo vide, allora, li davvero si abbassò e finalmente toccò terra. Poggiò i piedi con grazia, senza rotolare per terra. Avrebbe fatto una figuraccia, altrimenti.
Entrò e fu subito accolto dal classico odore di vecchio che contraddistingueva il Paiolo.
Come ogni estate, dopo l’addio all’orfanotrofio, alloggiava lì. Il suo materiale per Hogwarts lo aspettava lì.
“ Ehilà Tom, tutto bene?” lo accolse il barista con un sorriso. “ Vuoi qualcosa?”
“ No, grazie signore. Volevo solo sapere un’informazione: Diagon Alley è aperta?” domandò il ragazzo
“ La via si. Certamente. Ma troverai chiusi i negozi. A quest’ora dormono tutti”
“ Ho un appuntamento con una persona molto importante. Riguarda il nuovo anno a Hogwarts” mentì.
“ Va bene. Ma mi raccomando. Non fare troppo tardi, perché tra un paio d’ore chiuderò anch’io e non potrai uscire prima di domattina. La combinazione al muro la conosci?”
“ Si, signore” rispose Riddle
Tom, il barista, gli aprì la porta che dava accesso al cortile murato e una volta che Riddle fu lì, la richiuse.
Non la conosceva, ma a cosa serviva quando lo si poteva direttamente scavalcare? Chiuse gli occhi e sfruttò l’aria per librarsi in volo, fino a scavalcarlo. Come aveva fatto l’anno prima.
Si ritrovò a distanza di un anno in una Diagon Alley immersa nel buio e completamente deserta. Cominciò a percorrerla tutta.
Passò i negozi che fiancheggiavano la via, fino al negozio di Olivander che l’anno prima aveva segretamente scassinato. Non erano ancora riusciti a scoprirlo e ormai pensò tra sé, sorridendo, che non l’avrebbero mai scoperto.
Passato il negozio, tuttavia, non potè non notare che la via procedeva in una stradina secondaria, che svoltava sulla destra. Non l’aveva mai notata prima, anche perché si era sempre spinto fin al negozio di bacchette.
La via al contrario di Diagon Alley, a quell’ora della notte, pullulava di gente. Maghi e streghe vestiti di nero. La imboccò chiedendosi cosa avrebbe trovato.  La scritta all’incrocio recitava: Nocturne Alley
Certo i locali di quella via erano ben diversi, da quelli di Diagon Alley. Avevano un qualcosa di oscuro.
Grandi falò accesi disseminati lungo le vie di Nocturne Alley si muovevano e si ingrandivano al suo passaggio, quasi come se qualcosa in lui, forse un potere particolare, potesse farlo. Naturalmente lui, sapeva già cos’era. Sin da quando sapeva di essere un mago, sapeva quale fosse la sua natura.
Le candele anche sul davanzale dei locali, delle case e dei negozi, tremolavano ugualmente.
Lui era calmo, tranquillo. Si sentiva come se fosse a casa. Quello, quell’ambiente così oscuro, era casa sua.  
Uno dei negozi aperti, era un locale che sembrava gestito da un uomo piuttosto bizzarro, o almeno così parve a Riddle. La scritta sulla porta d’ingresso recitava: “Magie Sinister .Strumenti di Arte Oscura a vostra disposizione ”.
Un paio di maghi dall’aria volgare, sedeva ad uno dei tavoli, in procinto di andar via. Cosa che fecero quando Riddle entrò, non prima però di avergli gettato un’occhiata alquanto stupita, non credendo come potesse un giovane di quell’età frequentare una via tanto proibita ai bambini.
Il proprietario del negozio, che doveva, per forza di cose, chiamarsi  Sinister si accorse che un nuovo cliente era entrato nel suo negozio. Rimase un po’ chino come nel tentativo di inchinarsi al nuovo cliente e, quando ne decifrò per bene i lineamenti, ne rimase sconvolto e ammirato ad un colpo.
“ Tom Marvolo Riddle” esclamò, chinandosi ancora di più, come se lo conoscesse da tempo.   
Riddle lo osservò, incuriosito, e piegò leggermente la testa di lato, osservandolo attentamente.
“ Ci conosciamo?”
Sinister si raddrizzò di nuovo e lo guardò quasi come un padre.
“ In verità no. Ma ho sentito molto parlare di lei, signor Riddle. Da sua madre”
“ Da mia madre?” domandò Riddle spalancando gli occhi, quasi incredulo.
“ Oh si. Eravamo grandi amici, anche se lei purtroppo era una persona molto molto… riservata. Eravamo grandi amici a Hogwarts”
“ Mia madre era una strega?”
Gli occhi di Riddle si spalancarono tanto da ridurli quasi a due fessure. Le palpebre divennero invisibili.
“ Oh si. E’ anche piuttosto brava a dire il vero. Non lo sapeva?”
Sempre con gli occhi innaturalmente spalancati, Tom scosse la testa.
“ E poi naturalmente io sono stato uno dei pochi a vederla con lei in grembo. Prima che nascesse. Mi disse che aveva il desiderio che si chiamasse come suo padre: Tom Riddle”
“ E mio padre lo conosceva?”
Sinister fece un evidente sforzo di memoria.
“ Non che io sapessi. Ma doveva essere davvero molto, molto bello. E anche molto nobile. Poiché uno dei desideri di Merope era che lei diventasse bello come lo era suo padre. Lei purtroppo non ha avuto quel dono di esserlo…”
Calò il silenzio. Sinister osservò Tom riflettere. Per qualche ragione però la sua espressione, mentre vedeva Riddle riflettere, divenne un po’ preoccupata.
“ Si sente bene, signor Riddle?”
“ Oh si” si riscosse lui. “ Si sto molto bene”
“ L’ho turbata con questa storia. Me ne dispiaccio. Ora mi odierà”
Riddle sorrise e si rilassò, tornando naturale.
“ No, invece. Mi è stato molto utile”
Sinister sorrise a sua volta.
“ C’è qualcosa che posso fare per lei?”
“ In verità mi trovavo qui per una passeggiatina notturna. Mi potrebbe parlare un po’ della zona? Cosa posso trovarci?”
Sinister lo guardò, un po’ in difficoltà.
“ Beh questa è la via oscura, Tom. Qui, in questa parte, ci trova tutti i luoghi di magia nera. Tutta la parte riguardante le arti oscure, il suo mondo e la sua gente.  Diciamo che è anche vietata ai maghi minorenni. Però, lei mi sembra abbastanza adulto signor Riddle. E anche abbastanza oscuro, se posso permettermi”
Fece un altro inchino.
Riddle però stavolta rimase serio
“ Quindi, Sinister, lei mi sta dicendo che qui è tutto riservato alla magia oscura? Posso trovarci tutto?”
Sinister lo osservò con un sorriso strano.
“ Lei ha intenzione di intraprendere l’arte della magia oscura, signor Riddle?”
“ Solo per studiarla. Il mio obiettivo a Hogwarts è conoscere tutta l’arte magica. Di ogni genere. Io mi sono prefissato, sin dal primo giorno, tre regole per riuscire nella mia impresa:
La prima: impegnarsi sempre fino in fondo, al limite delle proprie capacità, per imparare tutti gli insegnamenti riguardo la magia.
La seconda: non aver mai paura di superare, anzi sfrontare, i limiti imposti dalla magia.
E la terza è non innamorarsi mai”
Sinister lo osservò divertito.
“ E la terza perché è questa?”
“ Perché l’amore impedisce la realizzazione delle prime due. Le persone innamorate pensano solo al loro compagno, mettendo la propria istruzione in secondo piano. E ciò è inammissibile, secondo me. Non c’è spazio per l’amore nella vita”
Ripensò a ciò che aveva subito da piccolo all’orfanotrofio e cercò di scacciarlo dalla mente.
Sinister lo guardò sempre piuttosto divertito.
“ Io neanche sono sposato. Anch’io ho sempre ritenuto l’amore una cosa alquanto irascibile. Si trova nel luogo giusto allora. Nel mondo delle arti oscure, non troverà spazio per ciò. Se vuole le posso indicare i negozi dove potrà acquistare il suo materiale. Poco più avanti sulla sinistra troverà un negozio apposta per le pozioni oscure e le loro erbe, contro le ferite di ogni genere. Tutti i tipi di pozioni che potrà studiare liberamente, sono a sua disposizione in quel negozio. La divinazione oscura ha luogo prima di questo negozio, sulla fila di destra. L’astronomia oscura invece si trova all’ingresso della via. La parte sull’energia magica e il controllo avanzato degli elementi naturali li troverà nel locale in fondo. La parte riguardante gli incantesimi di magia oscura, si trovano sulla destra. Più o meno alla stessa altezza. La parte sulle maledizioni senza perdono, sono invece a parte. Le troverà nel locale: “ Le Arti Oscure più avanzate”.
Tutto questo glielo aveva scritto su un foglio di pergamena accuratamente ripiegato e consegnato al diretto interessato.
Riddle solo da quel semplice elenco si rese conto di quanto fosse ampio l’argomento. Forse non sarebbero bastati due anni a studiare tutto ciò, anche in virtù del fatto che aveva anche le lezioni normali da seguire.
Studiarle di notte, oltre le lezioni ordinarie, era l’unica possibilità. E tra l’altro gli andò anche a genio, perché così Bellatrix non avrebbe potuto sospettare di nulla.
Ora lei aveva altro da pensare. Quella, le arti oscure, erano roba per adulti. E lui era già adulto. Si sentiva adulto. Mentre lei era ancora una ragazzina.
Uscendo dal negozio, e ritornando nel caos della via oscura, dopo aver ringraziato e salutato, si pose come obiettivo di terminare tutto lo studio riguardo la magia oscura, entro e non oltre il suo quinto anno di istruzione ad Hogwarts. Altra cosa che avrebbe voluto fare forse quell’anno, massimo il prossimo, era la ricerca sulla sua famiglia, negli archivi della scuola. Quella sera infatti la storia che sua madre fosse stata una strega lo aveva sconvolto. Occorreva subito farne verifica.
E anche questa cosa, l’avrebbe condotta da solo, in gran segreto.
E c’era anche una terza cosa che avrebbe cambiato: molto presto i tre dogmi del suo essere mago, i quali sarebbero stati il pilastro del suo essere mago dominatore del mondo magico,   che aveva nella testa, sin dal viaggio a Hogwarts al primo anno, sarebbero stati leggermente modificati e riadattati al tipo di magia che aveva ormai deciso di intraprendere. 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 32
*** Il nuovo preside ***


L’anno ricominciò con una disgrazia per Tom. Al banchetto inaugurale, venne annunciato che il preside, o per meglio dire l’ex preside, Dippet era morto. Al suo posto come la prassi doveva essere la cattedra di preside della scuola era passata nelle mani di Albus Silente.
Nel discorso inaugurale, Riddle notò parecchie volte che il neo preside gli rivolgeva lo sguardo, quasi come se cercasse di coglierne qualche segno di debolezza  dello studente, cosa che però Riddle non diede almeno visivamente. Rimase totalmente impassibile, per tutto il discorso. L’errore più grande che poteva fare era quello di mostrarsi preoccupato e dispiaciuto.
In fondo Silente che diavolo avrebbe potuto fare? La cattedra di preside non lo avrebbe di certo autorizzato a sorvegliarlo tutto il giorno. E poi lo vedeva lui stesso come Riddle fosse diventato ormai un bravo ragazzo. Gli errori che commetteva all’orfanotrofio, ormai erano roba passata. Parti oscure che in lui, ormai, si erano completamente dileguate mostrando invece un animo luminoso.
E poi se anche Silente non gli avrebbe creduto, aveva ai suoi piedi l’intero corpo docente. Tutti lo apprezzavano, tutti lo lodavano, tutti lo consideravano quasi divino e lo glorificavano in tutto quello che faceva. Che poteva contare l’opinione di quel vecchio, anche se era diventato preside?
Finito il banchetto, però si accorse di essere richiamato nientemeno dal neo preside.
Riddle sorrise tra sé, pensando: “ Parli del diavolo e spuntano le corna, a quanto pare…”
“ Oh eccoti qui, Tom” lo accolse il preside sorridendogli.
“ Silente” disse Riddle facendo un piccolo inchino.
“ Professor Silente, Tom” lo corresse il preside, sempre sorridendo affabile.
“ Voleva dirmi qualcosa, professor Silente?” chiese Riddle, ricambiando il sorriso.
“ Si, Tom… ti dispiacerebbe seguirmi nel mio nuovo ufficio?”
“ Lo considererei un onore, signore. Poter essere ammesso nel suo ufficio”
Notando la lieve tensione tra lui e Tom, Silente sorrise e lo guidò a destinazione.
Riddle varcò la porta. Si accorse da subito quanto l’ufficio fosse decisamente diverso da quello che ospitava Dippet. Varie volte nei due anni precedenti il vecchio preside lo aveva invitato nel suo ufficio per bere insieme una tazza di tè.
Notò da subito il vecchio preside che gli sorrideva in uno dei ritratti e, dietro la scrivania sul trespolo, poggiava le zampe un uccello scarlatto che Riddle riconobbe da subito come una fenice. Lo fissava, piegando la testa. Non gli piaceva che lo fissasse, non considerava quell’uccellaccio degno di poterlo ammirare.
Poi, dal nulla, inspiegabilmente prese fuoco e divenne un cumulo di cenere.
“ E’ morto il suo uccello, signore” commentò Riddle con l’ombra di un sorrisetto, rivolgendosi a Silente.
Questi, seduto, lo fissava sempre affabile. Scosse la testa, voltandosi a osservare il trespolo e la cenere.
“ Le fenici prendono fuoco e rinascono dalle ceneri”
“ E’ impossibile, signore” rispose Riddle
“ No. Guarda”
E in effetti, dalla cenere era rinato un esemplare neonato di fenice. Riddle smise di sorridere, fissando l’uccello con odio e mise in tasca la mano, a cercare l’impugnatura della bacchetta. Ma Silente tornò immediatamente a guardarlo, e così Riddle sotto sorveglianza fu costretto a rinunciare.
“ Siediti pure Tom. Posso offrirti qualcosa?”
Il giovane dai capelli scuri sedette sulla sedia, di fronte al preside e rispose: “ No, grazie. Ho appena mangiato”
“ Non hai mangiato nulla, ho visto” ribattè Silente
Il fatto che vedesse quanto mangiasse non gli piaceva neanche. Non mangiava mai molto, anzi non mangiava quasi mai. Il fatto che gli mancasse l’appetito era un’altra delle sue innumerevoli caratteristiche che lo rendevano unico o quasi. Se vedeva tutti che mangiavano e si abbuffavano, lui decideva di fare il contrario giusto per essere diverso. Anche se il cibo, di per sé, non era male. Anzi…
Riddle decise di cambiare argomento.
“ E così è diventato preside” commentò con una voce appena più fredda di prima. “Una degna scelta, signore…”  
Silente tornò a sorridere.
“ Sono lieto che tu approvi. Posso offrirti da bere, almeno?”
Riddle annuì appena, ma senza dire nulla. Il preside si alzò e da dietro la scrivania, in alcune vetrine di scaffali, prese due bicchieri e una bottiglia di vino e ne versò. Uno per sé e l’altro per Tom Riddle. 
Quest’ultimo prese il bicchiere, bevve un sorso di vino e  fissò Silente negli occhi. Il preside dal canto suo,  fece tranquillamente altrettanto. Nero contro azzurro.
“ Ho sentito anche che le è stata offerta la carica di Ministro, recentemente. Perché non ha accettato di lasciare la scuola, per andare al Ministero? Un mago così intelligente e dotato come lei, dovrebbe lavorare al Ministero”
Silente rispose, stringendo le spalle: “ Non avrei potuto mai accettare di lasciare Hogwarts, lasciando i miei studenti e non rendendomi disponibile per la loro formazione accademica, solo per un desiderio di potere personale. Non sono adatto ad un ruolo di potere, Tom”
Riddle continuò a fissarlo senza batter ciglio.
“ Essere preside di una scuola, però è un ruolo di potere, signore. Anche un potere molto alto”
Silente si limitò a sorridere, senza dire nulla.
Allora Riddle alzò lo sguardo e vide una cosa che prima non aveva ancora notato. Una spada era custodita in una cavità nascosta dove vi era la parete. La vide chiara, poiché il manico, impregnato da perle di rubini, sporgeva dalla cavità.
Silente notò la cosa e, sorridendo a Riddle, disse, come se volesse fare delle presentazioni ufficiali: “ la spada di Grifondoro Tom. Noto, con particolare interesse che ti piace”
“ Lei dice?” domandò lui, impassibile
“ Oh, si… non posso dimenticare i tuoi tesori che rubavi all’orfanotrofio agli altri bambini”
Riddle non colse la provocazione. Rispose soltanto: “ Lei conosce solo la versione della direttrice di quella struttura. Non sa veramente cosa accadeva lì dentro, cosa ho dovuto sopportare. Qui a scuola è diverso. Tutti mi vogliono bene e tutti mi apprezzano. Tutti mi ammirano. Perché dovrei fare un errore madornale nel voler rubare un oggetto che è storico per questa scuola? Quale scopo potrei averne?  Tradirei la fiducia di tutti. Non è ciò che desidero, signore”
“ Quindi mi stai dicendo che lo facevi per vendicarti? E per cosa poi?”
Riddle chinò il capo senza sorridere.
“ Se lo sapesse signore, potrebbe rimanerne traumatizzato”
Silente sorrise ancora.
“ E di recente hai di nuovo subito ciò per cui dici di volerti vendicare?”
“ No, signore. Recentemente non è più accaduto nulla. Anche perché fortunatamente non ci trascorro più molto tempo…”
Una pausa.
“ Allora, Tom. Se non hai più motivo di vendicarti, perché hai rubato nuovamente qualcosa, un’armonica precisamente, ad un bambino lì? Ti avevo detto che il furto non è tollerato”
Silente non sorrideva più. Pareva dispiaciuto. Non arrabbiato.
Riddle non si aspettava che Silente sapesse ciò. Sbiancò.
“ Come lo è venuto a sapere?” domandò riprendendosi abbastanza in fretta.
Silente indicò la tasca nel mantello.
“ Ho notato il rigonfiamento nella tasca e dalla forma non poteva non essere che un’armonica. Facendo un rapidissimo calcolo intuitivo non potevi non averla presa lì, all’orfanotrofio, da uno dei bambini”
Il preside tese la mano.
“ Dammela, per favore”
Lo disse come sempre calmo. 
Riddle non si mosse.
“ Tom, l’armonica” ripetè Silente fissandolo, sempre tranquillo.
Lentamente Riddle mise la mano pallida nella tasca del mantello ed estrasse lo strumento. Si maledisse per aver commesso quello stupido e sciocco errore. A quanto pareva, Silente era un tipo onnisciente.
Molto bene…
“ Grazie” disse il preside appena ricevette l’armonica.
Riddle annuì appena, senza dire nulla.
“ Questa, ora, verrà di nuovo spedita via gufo all’orfanotrofio. Il proprietario ovviamente la riconoscerà. Ti avverto Tom: non tollererò più questo tuo capriccio. Se vuoi essermi amico, dovrai imparare ad essere sincero. Anche perché, come dici tu, ora ho un ruolo di potere molto grande”
Riddle rimase zitto, fissando Silente con odio. Si alzò di scatto, senza tuttavia turbare Silente, e arrivato alla soglia della porta si voltò e disse, cercando di trattenere la rabbia: “ Mi aveva convocato solo per dirmi questo?”
“ Si” disse Silente, sempre serio, stavolta.
Riddle non disse nulla. Aprì la porta e senza neanche salutare la sbattè.
Così vuole la guerra, il vecchio nonnetto… e la guerra l’avrà. E a perderla non sarò certo io” si disse tra sé, Riddle.
E la guerra andata vinta con astuzia, facendo mosse che lui, Silente, non si sarebbe mai aspettato. E lui era un maestro nel muovere le pedine con estrema astuzia ed imprevedibilità. D’ora in avanti tutto ciò che gli sarebbe venuto in mente di fare, l’avrebbe fatto con ancora maggiore riservatezza. In gran segreto. Non avrebbe più commesso l’errore di farsi scoprire.
Quanto era stato sciocco a farsi scoprire da un vecchio, con gli occhi pieni di cateratte.  
Non gli importava poi tanto dell’armonica. In fondo era per poveracci quell’armonica lì. Era certo che prima o poi gliene sarebbe capitata un’altra ancora migliore sotto naso.
Doveva solo avere pazienza e questa volta avrebbe cercato di nasconderla meglio. Nessuno l’avrebbe più notata.
 


 
NOTE DELL’AUTORE

Avrete senz’altro capito, soprattutto da questo capitolo sulla nomina di Silente preside che in questa storia è Tom Riddle ad essere contemporaneo di Bellatrix e non il contrario. I personaggi della storia contemporanei a Voldemort nella saga saranno solo due: Mirtilla Malcontenta e Rubeus Hagrid. Tutti gli altri saranno di fatto quelli coetanei di Bellatrix ai tempi di Hogwarts. Con l’aggiunta dei Malandrini (Sirius Black, Remus Lupin, James Potter); Severus Piton, Lily Evans, Lucius Malfoy , Andromeda e Narcissa Black più avanti.
In particolare Lucius Malfoy verrà presentato alla fine di questa seconda parte di storia (IV anno). Lucius avrà un anno in più di Bella, perciò verrà presentato quando avrà di fatto concluso il quinto anno a Hogwarts.
Mcnair invece ha due anni in più. Anche lui avrà il suo spazio.
Entrambi entreranno nella banda di Rodolphus, insieme a Wilkes, Avery jr e Mulciber (già presenti), di cui vi si parlerà tra pochissimi capitoli.
In pratica quelli della generazione di Bellatrix e anche quelli leggermente postumi (i Malandrini) sono tutti mischiati. Ci saranno solo 3 anni di differenza tra Bella  e i Malandrini  e 3 anni tra Bella e Narcissa.
Ho deciso di rendere Tom coetaneo di Bella perché mi permetterebbe di collegare meglio questa storia con il Maestro di Arti Oscure di Circe, piuttosto che rendere invece Bella coetanea di Voldie. In quel caso sarebbe tutto più difficile.

NB1: Nella sua storia Voldie e Bella NON sono stati invece coetanei. Ma c’è circa una ventina d’anni di differenza tra lei e lui. Invece la differenza d’età tra i vari personaggi, tolto appunto Voldie, che troverete in quella sarà la medesima in questa. Ecco uno dei motivi per cui ho scelto questa strada. Meglio forzare su uno, piuttosto che con tutti.
Il modo in cui questa storia verrà collegata a quella di Circe lo leggerete man mano e spero sia di vostro gradimento
.
NB2: L’armonica sequestrata da Silente a Tom è quella che compare nel capitolo 2 di questa storia. Nel Maestro di Arti Oscure, Voldie possiede un’altra armonica (capitoli 6 e 7 del Maestro)che gli verrà regalata successivamente. In questa storia vi verrà spiegato come e in quale occasione gli verrà donata.
Spero apprezziate. A presto, allora!!!



 

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Capitolo 33
*** Minerva McGranitt ***


La prima settimana di lezione trascorse abbastanza linearmente. Non vi furono particolari avvenimenti, se non la sfacciataggine della nuova insegnante di Trasfigurazione. Una certa Minerva McGranitt. Costei era una vera e propria donna d’altri tempi, dal momento che non sopportava che durante le sue di lezione si parlasse o si facesse altro. Dovevano stare in silenzio e ascoltare tutti, altrimenti non esitava a mettere in punizione.
Bisognava comunque assecondarla. Se la si assecondava, sapeva anche in un certo senso aiutare chi era in difficoltà. Cosa di cui ovviamente Tom non ebbe assolutamente bisogno.
Minerva McGranitt era appartenente alla casa dei Grifondoro, di cui ne era stata nominata direttrice. In pratica aveva preso il posto di Silente, dal momento che questi, era stato appunto eletto nuovo preside della scuola di magia.
“ Buon giorno” salutò la professoressa alla sua prima lezione. Avanzò compiacendosi di un’andatura veloce.
Passò davanti ai banchi e cominciò a presentarsi, facendo uso di un tono piuttosto sbrigativo e asciutto.
“ Allora” disse dopo le presentazioni. “ Qui durante le mie lezioni vi sono alcune regole da rispettare e dalle quali non transigo affatto. La prima: qui non si urla. La seconda: non si corre. La terza: non si fa un uso improprio della magia. La quarta: non si chiacchiera con il proprio vicino al banco” E guardò con gli occhi che mandavano saette in direzione di Rodolphus che parlava continuamente con Avery.
“ E soprattutto, in alcun modo, si arriva impreparati alla lezione”
E così furono le prime due ore del lunedì dopo il rientro a Hogwarts. C’era da dire una cosa: Minerva McGranitt era una donna che sapeva il fatto suo. Sapeva mantenere ciò che all’inizio aveva promesso. Alla fine della lezione faceva domande su essa e qualora uno risultava impreparato non esitava a togliere punti alla sua Casa, persino Grifondoro di cui ne era direttrice. Insomma era una donna autorevole.
Le altre due ore furono di Storia della Magia. Il professore, in questo caso lo stesso degli altri due anni, Ruf, dichiarò che quell’anno avrebbero seguito un corso speciale sui principali maghi della storia, che avevano frequentato quella scuola. E che nella biblioteca avrebbero trovato tutto il materiale per fare ulteriori ricerche. Avrebbero studiato anche i quattro Fondatori di Hogwarts: Godric Grifondoro, Tosca Tassorosso, Priscilla Corvonero e Salazar Serpeverde. 
Tom ovviamente ne fu particolarmente entusiasta. Avrebbe presto studiato la vita del padre, l’avrebbe potuto finalmente conoscere un po’ meglio, ciò che all’orfanotrofio non gli avevano mai accennato. Forse perché se ne vergognavano. Ma non potevano minimamente pensare quanto si vergognasse lui, Tom Riddle, di loro. Per aver trascorso più di dieci anni lì dentro. Più di dieci anni di noie e stupidi costringimenti a cui era stato soggetto, o almeno avevano tentato di farlo soggetto, come agli altri bambini. Stupidi bambini.
Ora finalmente avrebbe potuto approfittarne. Ma non di giorno. Perché avrebbe dovuto pensare di farsi vedere in giro da quei ficcanaso dei suoi compagni di corso? No, l’avrebbe fatto di notte. Il suo habitat naturale. E nessuno ne avrebbe saputo nulla. Soprattutto aveva voglia di sfidare quel vecchio stupido senza alcun barlume di intelligenza che rispondeva al nome di Albus Silente. Gli avrebbe fatto vedere che anche come preside, l’avrebbe girato come e quando gli pareva. Non facendosi scoprire.
Il vecchio nonnetto non l’avrebbe scoperto.
Ma prima di quello doveva risolvere un’altra questione. Di pari importanza. Una questione con la sua futura unica allieva. Una questione che avrebbe fatto sì che presto avrebbe potuto raccogliere molti benefici per il suo dominio sul mondo magico una volta uscito da vincitore supremo alla fine dei sette anni, lì dentro.
 
 

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Capitolo 34
*** La banda di Serpeverde ***


Dal grimorio di Rabastan: “ La banda di Serpeverde”
 



  

L’anno di Rod è cominciato come peggio non poteva capitare. Alla fine della seconda settimana si era beccato una punizione dalla professoressa McGranitt per aver insieme ad un certo Avery, picchiato un ragazzino del primo anno perché questi si era rifiutato di consegnargli un pacchetto di caramelle mou.

Osservo mio fratello, lo controllo. Sebbene fossi comunque un anno più piccolo di lui, a volte mi pare di essere io quello più maturo. Non certo lui. Soprattutto se si considera il suo atteggiamento che in queste settimane, ma già sul finire dello scorso anno, si sta piano piano sempre più trasformando in quello di un bullo.

lo osservo, lo controllo all’infuori di un gruppetto di amici che si è ormai fatto, già sul finire dello scorso anno. Non ne faccio parte di questo gruppo o banda che dir si voglia. Ma so più o meno i nomi di costoro: un certo Wilkes, un certo Avery e un certo Mulciber. Quest’ultimo era del mio anno.  Più o meno sono loro. Tutti maschi. Tutti incredibilmente arroganti e presuntuosi. Non che mio fratello non lo sia anche lui, normalmente. Ma con loro, insieme a loro, lo è più del solito. E’ anche violento, particolarmente violento.

Lui è il capo di questo gruppo. Il leader. Chiunque volesse unirsi a loro, deve ottenere il permesso di mio fratello e superare una prova di ammissione che varia da persona a persona.  Questa prova ovviamente è decisa da mio fratello. Al momento comunque la banda è composta da questi quattro elementi: Rodolphus, Wilkes, Avery e Mulciber. Nessuno, per il momento, si è aggiunto.

Non so neanche se questa sua voglia di mettere alla prova coloro che vogliono entrare nella banda, sia una cosa temporanea o permanente. In verità quasi mi sorprendo anche io del perché li spio continuamente di nascosto, invece di pensare ad altro.

I suoi tre membri, oltre a lui che ne è il capo, vanno in giro per il castello a compiere piccoli incidenti che talora risultano anche piuttosto gravi. E tutti e tre eseguono quello che mio fratello ordina loro di fare.

Fanno in pratica il lavoro sporco, mentre mio fratello lo conclude.

Io non ho bisogno di entrarci, anche perché al momento non vi fa parte la persona al quale tengo veramente. Semmai un giorno dovesse entrarci, in un modo o nell’altro cercherò di farmi ammettere anche io. Ma per ora non ho nessun interesse a farlo. Solo decido di osservarli, notare il loro modo di fare.

L’altra sera comunque ho ripreso Rod, in disparte, perchè ritenevo che avesse esagerato. Non era mai arrivato a picchiare qualcuno, quella fu la prima volta. Cominciavo davvero a preoccuparmi.

“ Non puoi continuare così. Ti espelleranno, prima o poi” gli dicevo, cercando di farlo ragionare.

Ma lui quasi mi rideva in faccia.

“ Ho sbagliato a farmi scoprire, piuttosto. Ma non succederà più. E poi non sono affari tuoi”

Stupido di un fratello…

“ Non sono affari miei? Sono tuo fratello. Anche se a volte non vorrei esserlo affatto. Ci tengo alla tua istruzione qui. Questa tua stupida mania del voler  attirare le attenzioni di tutte le ragazze della scuola, ti sarà letale, fratello”

“ Senti Rab” rispose lui, seriamente stavolta. “ Non ho bisogno dei consigli di un poveraccio come te, che ha paura persino dell’ombra sua. Ma ti sei visto? Non hai ancora neanche stretto un’amicizia e sei ormai al secondo anno qui. E di ragazze? Non ne parliamo…”

Gli tirai uno schiaffo. Il fatto che fossi molto forte, molto muscoloso e grosso per la mia età, fece risultare lo schiaffo molto più violento di quanto in realtà volessi. Però quando Rod faceva così, lo odiavo. Mi ricordava terribilmente nostro padre, i suoi stupidi modi per farsi notare, farsi amare. Senza prendersi veramente cura di me. E se Rod anche mi avesse abbandonato a me stesso, sarebbe finita.

E poi che ne sapeva lui? Non sapeva nulla di quello che avevo notato alla fine dell’anno precedente, della ragazza che avevo adocchiato l’ultima sera. La più bella di tutte. Lei si chiamava Bellatrix Black. Lui di queste cose, non capiva nulla.

“ Vedi di redimerti fratellastro. Altrimenti te ne pentirai poi” mi alzai e me ne andai.

Non passò molto tempo che di nuovo li adocchiai, stavolta, fuori nel parco. A quanto pareva Rod proprio se ne fregava altamente dei miei consigli. Va bene, dicevo a me stesso, poi se ne pagherà le conseguenze…

Però in un certo senso lo biasimavo. Quasi ne ero geloso di quanto fosse abile nell’ apparire così sicuro di sé. Cosa che io invece non ero affatto, soprattutto quando dovevo relazionarmi con qualcuno.

Il fatto che fossi da sempre cresciuto in una famiglia dove, a causa della mia nascita, e del guaio che avevo provocato in quell’occasione, risultassi agli occhi dei miei genitori nell’ombra di Rod, un po’ mi aveva segnato. Anzi mi aveva segnato parecchio.

E ora, dopo la morte di mia madre, addirittura mio padre neanche mi riconosceva come figlio. Era frustrante tutto ciò. E biasimavo Rod perché nonostante tutti i miei guai, aveva accettato di accudirmi lui stesso, senza nostro padre che trascorreva di fatto dieci mesi su dodici a Parigi tra mille e mille divertimenti, ragazze e quant’altro.

Per questo ero e sarò sempre l’eterno secondo. L’eterno fratello sfigato.

“ Wilkes, Avery venite qui” udii Rod, in lontananza, chiamare gli altri due. Mi avvicinai di soppiatto, nascondendomi dietro le mura del castello, per non essere notato. Ad un tratto vidi Mulciber venire incontro a loro, trascinando un altro ragazzino del primo anno.

Costui fu picchiato perché aveva osato in passato, rivolgere a mio fratello un gesto che a lui non era piaciuto. Quattro contro uno. Alla fine il ragazzino fu trovato quasi inconscio dalle tante botte subite e fu portato in infermeria.

Non furono però stavolta rintracciati i colpevoli, forse perché il ragazzino fin troppo impaurito e temendo di subire dell’altro, non denunciò nulla ai professori. Cosicchè stavolta mio fratello riuscì a non essere scoperto, e a passarla liscia, proprio come si era promesso di fare.

Decisi tuttavia anch’io di sorvolare la questione, poiché ero entrato nell’ordine delle idee che sarebbe stato inutile far cambiare idea a Rod: quando se la metteva in testa, la voleva raggiungere ad ogni costo. E sarebbe stato inutile cercare di cambiarlo, perché era più facile che lui avrebbe cambiato gli altri.


 

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Capitolo 35
*** La richiesta del mio maestro ***


Dal grimorio di Bellatrix: “La richiesta del mio maestro”


 
 
Avevo passato la serata al letto, nel dormitorio, perché mi sentivo male.
Il prolungarsi dell’estate quell’anno particolarmente e insolitamente lunga e calda, faceva sì che nelle serate fuori dall’orario di lezione i miei coetanei e tutti gli altri, compresi i professori, passassero il tempo all’aperto. Nel parco.
Io invece ero al letto. Che palle…
Mi dava enorme fastidio tutto questo e inoltre mi annoiava parecchio. Tra un colpo di tosse e l’altro, accesi con la bacchetta alcune candele nere, per fare un po’ di luce e presi uno dei volumi di scuola per cercare una formula adatta a far cessare il raffreddore. Purtroppo non ce n’erano.
Che razza di scuola di magia… Non conteneva neanche un banalissimo e stupidissimo rimedio ad una sciocchezza come un raffreddore.
Avevo freddo. Cosa stranissima, poiché  tutti gli altri freddo non ne avvertivano affatto. Non sapevo il motivo perché avessi freddo anche nel pieno dell’estate. Che poteva voler dire?
Me lo domandavo quando udii la porta del dormitorio aprirsi e uno sbuffo di vento improvviso spense di colpo le candele che avevo acceso, facendo piombare di nuovo il dormitorio nella semioscurità.
Attraverso la luce della sua bacchetta, intravidi il suo volto.
Il mio maestro era entrato nel dormitorio femminile, senza preoccuparsene affatto.
Salutò frettolosamente e accese nuovamente le candele, sempre con la bacchetta.
Mi sedetti di scatto, senza dargli l’idea di stare male, ma lui mi precedette. Aveva già capito tutto.
“ Non sei venuta a lezione oggi. E a quanto pare vedo che hai un valido motivo…”
Spense la luce della bacchetta, dal momento che ormai non era più necessaria, e continuò a fissarmi.
Il mio maestro aveva quella grandiosa capacità di intuire ogni cosa, anche senza aver bisogno di chiederla. Era la sua più grande dote, forse quella che gli invidiavo davvero di più.
“ Sto male” risposi quasi imbronciata e frustrata. “ Voi non vi ammalate mai?”
“ Non mi sono mai ammalato in vita mia. E non mi ammalerò mai” rispose con una smorfia. “ Impara a considerarmi perfetto, forte e invincibile Bellatrix. Perché lo sono”
Non c’era bisogno che me lo dicesse. Lo consideravo già come tale.
“ Ho bisogno di parlarti” disse ad un tratto il maestro. “ Devo parlarti di quello a cui ho fatto riferimento il giorno della tua festicciola, nella tua splendida villa al mare”
Si sedette sul letto, un po’ distante da me, e disse: “ Ho bisogno che tu mi aiuti in una cosa”
“ Qualsiasi cosa vogliate, mio maestro” risposi, ma lui non rimase molto entusiasta del mio atteggiamento.
“ Smettila, parli troppo. Impara ad ascoltare prima e poi parli” mi rimproverò, duro e spietato.
Allora feci come mi diceva. Tacqui e ascoltai, lasciandolo parlare. Non avevo intenzione di farlo arrabbiare, ma in verità neanche io, che ero l’unica a cui rivolgeva la parola, a volte sapevo come prenderlo poiché in alcune circostanze pareva quasi sollevato nel sentirsi considerato da me, altre volte mi rimproverava se lo ero eccessivamente.   
“ Ho bisogno di mettere in chiaro una cosa, Bellatrix. Tu finora mi hai conosciuto come tuo maestro, e continuerai a considerarmi come tale. Arriveranno momenti, qui, e anzi stanno già arrivando, in cui io sarò occupato con altre persone. Poiché Lumacorno mi ha chiesto, l’anno scorso di fare  lezioni ad altre persone. Tu non le conosci queste persone, poiché sono più grandi di te. Sono adulti”
Io però lo interruppi.
“ Ma mi avevate detto che sarei stata l’unica ad avere lezioni da voi”. Lo dissi lamentosa e con una certa vena di implorazione e gelosia.
“ Riguardo le arti oscure si. Sarai la sola. A loro non insegnerò nulla di tutto ciò. Se vorranno se le impareranno da soli. Più che altro organizzerò una serie di piccoli divertimenti qui, al castello, insieme a loro, ma più avanti. Per ora mi impegnerò ad entrare in loro conoscenza, affascinarli, per poi manovrarli e controllarli a mio volere”
“ Me lo promettete? Mi promettete che con questi… stranieri non farete nulla in vostro potere per istruirli con mano e mente vostra?”
Mi guardò, attraverso quegli occhi neri come il suo animo. Poi annuì.
“ Te lo prometto”
Rassicurata, dal momento che mi fidavo ciecamente di lui, attesi la seconda parte del suo discorso.
“ Ora” proseguì: “ Quanto a te, ho bisogno appunto che tu faccia la tua parte. In questo caso è un compito che do solo a te, e ti permetterà di poter accedere finalmente al mondo delle arti oscure quando l’avrai completato. Per poterlo completare, essendo un compito particolarmente lungo e difficile, avrai tempo fino al termine del settimo anno qui, in questa scuola. Ti chiedo, Bellatrix, di fare altrettanto di quello che faccio io d’ora in avanti. Ti chiedo di farti un tuo gruppo di persone, o entrare in un gruppo di persone che vedrai già formato e di assumerne, col tempo, il comando”
Non avevo capito bene. Perciò gli chiesi ulteriori spiegazioni, chiarimenti.
“ Voglio che tu assuma il comando di uno dei gruppi di ragazzini qui al castello. Scegli tu quale, quello più simile a te e che trovi di maggiore gusto, secondo i tuoi piaceri. Non riferirai loro nulla di me, fino a quando non sarò io a darti il segnale per poterlo fare. Fortunatamente nessuno si è accorto di noi due qui. Ci vedono come due persone indipendenti e che neanche si conoscono. Non sapranno nulla di noi due, men che meno che l’ordine  di fare ciò è partito da me. Ho bisogno che tu raduni attorno a te il giusto numero di persone, ai quali solo alla fine rivelerai la verità. Ovviamente solo a coloro, tra questi, a cui riterrai degni di poterlo fare”
Cominciavo a comprendere meglio. In pratica tutto quel giro di parole per dirmi semplicemente di farmi degli amici e con il tempo assumere il comando della banda.
“ Racconterai a loro la tua decisione di unirti a me, dopo la fine dalla scuola e li convincerai a seguirti in questo tuo percorso. Io poi verrò a conoscenza di costoro che avrai scelto e con un rapidissimo esame personale, noto solo a me, vedrò se li riterrò degni di tale onore. Terminato il quale, se lo supereranno, avranno il loro rito di iniziazione”
Poiché la mia prima reazione fu l’entusiasmo e la voglia di farlo immediatamente, mi bloccò e mi disse: “ non c’è bisogno che tu lo faccia da subito. Io te ne ho parlato. Ho voluto dirtelo da ora. Quando ti riterrai pronta per poterlo fare, lo farai. Ma è una cosa che va meditata. Con l’istinto rischieresti solo di fare disastri e io non voglio che tu fallisca. Prenditi tutto il tempo per poterlo fare. E’ una cosa a cui tengo moltissimo Bella. Un giorno forse ti sarà chiaro quanto io ci tenga a questo”
Allora mi stoppai. Trattenni la voglia e il desiderio.
Il mio maestro si alzò dal mio letto, sul quale si era seduto e disse ancora: “ Ho bisogno che tu faccia quanto ti ho chiesto. Avrai una tua ricompensa per questa cosa, se la farai a dovere”
“ Quale?” domandai curiosa.
Ma lui si limitò a fissarmi, senza sorridere.
“ Deciderò col tempo quale sarà. Adesso è ancora presto e poi non hai neanche cominciato il tuo compito”
Si avviò verso la porta. Sulla soglia però lo richiamai poiché avevo di nuovo voglia di sentirmi rassicurata riguardo il fatto che solo io sarei dovuta essere effettivamente la sua unica allieva in grado di conoscere tutto della magia oscura e chissà, forse anche lui.
Quasi stufo e seccato per l’ennesima volta in cui ero in cerca di rassicurazioni riguardo quell’argomento, mi chiese in tono asciutto: “ Ora voglio farti una domanda: nel sogno che hai fatto l’anno scorso, quante persone attorno a te c’erano, mentre ti istruivo?”
Lì per lì non compresi un piccolo particolare della domanda.
Risposi solo: “ Nessun altro, mio maestro. Ero sola”
E lui, dal canto suo, disse: “ Allora hai risolto i tuoi dubbi, riguardo questo, sul mio conto”
E uscì dal dormitorio, chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasta lì, la prima reazione che ebbi fu terrore da un lato e ammirazione dall’altro. Mi ero resa conto in quel momento che lui, quasi inconsciamente, o forse non più di tanto, mi aveva rivelato di aver scoperto cosa avessi sognato l’anno prima.
Era impossibile che l’avesse potuto scoprire, anche perché ricordavo di non avergli mai rivelato quella parte.
Mi aveva ancora una volta letto nei pensieri senza che io me ne rendessi conto. Solo una volta avevo effettivamente ripensato al sogno in sua presenza: quell’esatta notte in cui Lumacorno mi aveva risvegliato nel suo ufficio. Da quella notte non ci avevo più pensato neanche un minuto, almeno con lui presente.
Ciò significava che doveva per forza averlo intuito quella notte stessa, dell’anno prima. E l’aveva tenuto per sé per tutte quelle settimane.
Speravo solo che con esso non avesse scoperto nulla riguardo il mio sentimento verso di lui, che provavo nel sogno. Altrimenti  sarei  rovinata.
Lui che mi aveva impedito di potermi innamorare, se l’avesse intuito ero certa che mi avrebbe rimproverato fino ad annullarmi la possibilità di essere la sua unica allieva. E chissà, forse mi avrebbe persino usato la magia oscura su di me, magari fino alla mia morte.
Fu quindi il terrore cieco, la mia prima reazione emotiva quando il mio maestro uscì dalla stanza, lasciandomi sola a riflettere.
Tralasciato questo pensiero terribile, al quale speravo ardentemente di non dover più tornare, la seconda reazione fu più razionale, sebbene non proprio bella. E fu la delusione. Non rabbia. Delusione. Nei confronti di chi? Del mio maestro.
Ragionandoci su, quella sua richiesta di entrare a far parte di una banda di ragazzi, con cui in realtà non ci avevo mai parlato per più di qualche minuto, mi sembrava più una scusa sua, del mio maestro, per farmi capire che si era stufato della mia amicizia con lui. E ora si era inventato tutto ciò, per scaricarmi.
Avevo già una mezza idea su quale banda avrei puntato gli occhi: quella di Lestrange, ma ero ben lungi dal volerci entrare.
Stupido ed infantile com’era, Lestrange, ero certa che mai sarei andata d’accordo con uno come lui. Figuriamoci  diventare sua amica. Ci odiavamo a vicenda sin dal primo anno. E io certamente non sarei stata colei che si sarebbe fatta avanti per chiedergli scusa.
Passava il tempo a fare il bulletto da quattro soldi, non sapeva nulla di come un vero mago oscuro doveva comportarsi. Picchiare i bambini del primo anno, era un’attività che alla lunga annoiava. Lestrange, invece, pareva non annoiarsi affatto.
Questo era però il compito che il mio maestro mi aveva dato. Ed io se avessi voluto diventare, un domani, una sua amica veramente, oserei dire la parola seguace, dovevo raccoglierne altri attorno a me e convincerli a seguire la mia strada verso di lui. E come mi aveva detto, non dovevo fallire.
Quella sera però, a caldo, avevo pochissima voglia di attuare il suo ordine. Per la prima e unica volta, volli disobbedirgli, proprio perché in quel momento, ripeto a caldo, pensavo veramente che lui si fosse inventato questa cosa per sbarazzarsi di me. Una stupida e sciocca ragazzina.
Perché per lui questo ero. Anche se in quell’occasione non me l’aveva dichiarato: solo una stupida e sciocca ragazzina con il quale lui si era stufato di dover sempre spiegare tutto e di passare il tempo.
 
 
 

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Capitolo 36
*** L'amore non esiste ***


Dal grimorio di Bellatrix: “ L’amore non esiste”


 
 
Passavano giorni veramente complicati. Avevo una gran voglia di non fare nulla e di sdraiarmi sul letto a piangere di continuo, perché non riuscivo a capacitarmi del fatto che il mio maestro mi volesse scaricare, anche se di fatto eravamo soltanto amici. E, anche se per me era qualcosa in più, almeno credevo di essere una sua amica…Almeno quello.
Erano quelli i giorni più difficili da quando l’avevo conosciuto, da quando ci parlavo. Non posso dire di conoscerlo veramente perché, della sua vita pre Hogwarts non sapevo assolutamente niente.
Non sapevo neanche come avesse scoperto di essere un mago, per dirla tutta. E forse non l’avrei mai saputo…
I miei voti a scuola avevano subito un netto calo, rispetto anche solo a qualche settimana prima. Il tutto era inspiegabile agli occhi dei professori, poiché ero sempre stata un’allieva piuttosto brillante. Non che mi piacesse particolarmente studiare; diciamo che imparavo senza sforzarmi più di tanto. Studiavo giusto un’oretta al giorno, e dopodichè avevo assimilato la lezione.
Solo la McGranitt che non mi conosceva, ebbe da subito una brutta immagine di me. E io mi sento di dire, altrettanto di lei.
Un fatto accadde in un pomeriggio di fine ottobre, a ridosso di Halloween. Avevamo la lezione di Divinazione, quel giorno.
La professoressa Cooman   ci aveva cominciato da subito la lezione sulle sfere di cristallo e disse che gran parte del corso dei tre anni, fino all’esame G.U.F.O del quinto, lo avremmo passato sulla lettura delle sfere di cristallo: l’occorrente fondamentale che ogni veggente deve saper interpretare. Il più importante.
Ricordavo la lezione alla fine dell’anno precedente e mi sorpresi che entrambe le volte io potessi leggere lo stesso futuro, lo stesso destino su di me. Anche se non comprendevo cosa significasse. Forse lui… il mio maestro. O forse no.
E accadde nuovamente anche stavolta.
Stavo osservando la mia sfera, senza concentrarmi più di tanto, presa com’ero dallo sconforto come ormai da settimane intere, quando all’improvviso intravidi qualcosa.
Una fiamma di fuoco.
Una fiamma di fuoco, rossa, scarlatta e calda. Molto calda, molto potente anche… La fiamma sembrava muoversi e ingrandirsi, alimentata da qualcosa. Forse il vento o forse no.
Poi ad una fiamma se ne aggiunse una seconda. Una seconda fiamma si legò alla prima e sebbene il terzo elemento, l’acqua, tentasse inutilmente di spegnerla questa non si spense. Anzi, sembrò legarsi ancora di più, sembrò aumentare di potenza. Più unita all’altra che mai.
Sopraggiunse allora di nuovo il secondo elemento, già presente prima: Il vento. E, quando questo agì in suo potere, con un soffio, un solo soffio, seppe dividere le due fiamme.
La visione nella sfera si interruppe, poiché sopraggiunse la professoressa Cooman.
“ Allora, signorina Black, cos’ha da mostrare?”
Prese la sfera e la esaminò per qualche minuto.
Io, dal canto mio, non ci avevo capito niente.
Non sapevo cosa diavolo rappresentassero le due fiamme, non sapevo chi era il vento e tantomeno l’acqua che aveva tentato inutilmente di spegnere la doppia fiamma intrecciata.
Non sapevo neanche perché mi si fosse mostrata una visione del genere. Che diavolo significava?
Era la seconda volta che mi si mostrava questa visione, dopo il precorso dello scorso anno. Solo che quella volta, arrivai a vedere solo le due fiamme intrecciate. Non vidi il resto, che ora, invece, avevo visto.
La Cooman intanto continuava a studiare la sfera, sembrava che non avesse mai visto neanche lei una visione così contorta ed inspiegabile. Rimase a rimuginare per parecchi minuti, e nell’aula piano piano cominciò a sollevarsi un brusio.
“ Allora, professoressa?” domandò un ragazzo qualche fila dietro.
La Cooman posò la sfera sul tavolino dove ero seduta, piuttosto pensierosa e indecisa.
E lei sarebbe un’insegnante? Pensai tra me e me, sogghignando.
“ Quello che mi sento di dire, signorina, è che lei troverà presto un suo simile. E che vi metterete assieme. Di più però non posso dire… A dire il vero non sono neanche sicura di questo. E’ una visione molto complicata e particolare. Direi quasi unica nel suo genere. Mi dispiace non poterti essere d’aiuto, signorina Black. Però, si fidi di me, ce l’ho messa davvero tutta, ma è molto particolare e molto nascosta….”
E senza dire altro, mi gettò uno sguardo di impotenza e di scuse, e passò oltre.
Avevo sempre creduto che la Divinazione fosse una materia esatta, a differenza di parecchi miei compagni che la ritenevano una magia non esatta. Ma quel giorno, ammetto, pensai che non avessero tutti i torti. Com’era credibile che una professoressa di Divinazione tirasse ad indovinare? Non sapesse leggere nelle sfere il futuro dei propri alunni?
Avevo una rabbia dentro, un senso di frustrazione, che richiese tutta me stessa per non esplodere in faccia all’insegnante ed insultarla con i peggiori epiteti, davanti alla classe. 
Finita la lezione, mi diressi senza troppi indugi alla porta. Non salutai. Ne avevo abbastanza di tutto. Mi faceva schifo tutto quanto. Odiavo la vita.
Scesa la scala della botola, all’improvviso mi sentii presa da parte. C’era uno stanzino inutilizzato, semi immerso nell’oscurità. Fu lì che mi trascinò lui.
Il mio maestro.
Era anche lui furibondo.
Socchiuse la porta a far entrare quel poco di luce sufficiente a poterlo vedere in volto.
“ Che cosa ti avevo detto? Cosa ti avevo chiesto, Bella?”
Lì per lì, non capii cosa intendesse e perché fosse furioso con me.
“ Maestro?” domandai allora, facendogli capire che stavo nell’ignoranza.
“ Ti avevo dato tre regole molto precise, ricordi?” disse lui, sussurrando in modo da non farsi sentire da nessun altro oltre che da me. “ Tre regole alle quali non avresti mai dovuto disubbidire”
“ Ma io non ho disubbidito…”
Ma lui alzò una mano e fui taciuta.
“ Ah no? E allora cosa ha rivelato la tua insegnante prima? Si è inventata tutto?”
Avevo capito cosa intendesse. Il suo sguardo indagatore, mi convinse a dire la verità. D’altronde l’avrebbe scoperto subito se avessi mentito.
“ Io penso di sì”
“ Lo pensi? Davvero? Mi sorprende che tu abbia una testardaggine così spiccata, Bellatrix. Poiché sai anche
tu che non è esattamente così. O almeno speri non sia così. Dico bene, ragazzina?”
Da una parte, a dire il vero, ci speravo veramente. Volevo che qualcuno simile a me, fosse disposto a volermi. Anche perché per lui potessi essere considerata bella, forte e oscura. Pensavo lo ritenesse il mio maestro… forse mi sbagliavo.
“ Avete ragione” buttai lì, guardandolo rancorosa.
Lui rimase zitto.
“ Avete ragione ad arrabbiarvi. Ho disobbedito al vostro ultimo dettame”
“ Non mi sembri molto dispiaciuta. Forse sono stato troppo morbido nell’insegnartelo Bellatrix? Desideri che te lo insegni in altro modo, mia cara?”
Scossi la testa, senza dire nulla. Poi gli gettai uno sguardo esasperato: non ce la facevo più.
“ Sentite…” esordii, senza riuscire a trattenermi. Tutto quello che avevo pensato quelle settimane, mi si riversò fuori, senza il minimo autocontrollo.
“ Non so cosa vi sia accaduto, durante quegli anni all’orfanotrofio. Non so come mai voi abbiate così tanta paura, tanto dolore, nell’affezionarvi a qualcuno. Forse non me lo direte mai. Come non mi direte come siete diventato un mago. Io non so niente di voi, voi sapete tutto di me. Io sono la vostra allieva, un’ allieva tenuta però all’oscuro dal proprio maestro, che non sa niente di lui, perché lui non ha voglia di affezionarsi  e aprirsi a nessuno”
Lo dissi stavolta senza sussurrare, poiché nel corridoio era calato il silenzio, segno che l’intera classe era ormai transitata tutta di là, dirigendosi verso i campi da Quidditch per le selezioni.
In quel momento, non ero io e a distanza di tempo, di anni, me lo punisco tutt’ora quel mio sfogo. Sapevo da una parte che lui si sarebbe infuriato tanto da diventare davvero inquietante, persino a me. Però speravo che spronandolo un po’ si sarebbe finalmente aperto, come poi effettivamente si aprì anni dopo...
In quel momento però ottenni l’effetto contrario.
Quando finii di sfogarmi, lui, dopo un attimo di silenzio, si avvicinò a me, sovrastandomi con la sua maggiore altezza. Poi, fissandomi e parlandomi con un tono mai usato prima, sibilò: “ Ringrazia tutte quelle volte che ti sei comportata da allieva brillante con me, l’anno scorso. Perché se ti conoscessi appena tutta questa tua libertà nei miei confronti non te la perdonerei”
Continuò a fissarmi e per la prima volta, ebbi la sensazione che un bagliore rosso, quasi scarlatto, attraversasse quegli occhi scuri, nascosti dai capelli. Parevano due rubini che splendevano nella semioscurità nella quale entrambi ci trovavamo. Tutto durò solo un attimo. Tanto veloce era apparso, tanto veloce scomparve.
Ma non scomparve, invece, il suo tono spietato, freddo, ma anche particolarmente duro con me, quella volta.
“ Quello che è mio personale, rimane mio. E nessuno, nessuno, deve venirne a conoscenza. Nemmeno tu. Non ho raccontato a nessuno che cosa combinavo o subivo in quell’inferno. Nessuno deve saperlo. Neanche tu. E adesso, fai quello che ti ho ordinato di fare, stupida ragazzina. Hai un compito che ti avevo assegnato e che, mi è parso di capire, tu non voglia svolgere. E non dubitare mai più ad un mio ordine. Perché io sono il tuo maestro”
Fece che gettarmi di nuovo uno sguardo tremendamente duro, ma ugualmente bellissimo, purtroppo però troppo irraggiungibile per me, come lo era tutto di lui. Poi si diresse verso l’uscita.
Aprì la porta e la luce entrò maggiormente a illuminargli anche il resto del corpo finora immerso completamente nel buio.
Sulla soglia si voltò e, quasi sbeffeggiandomi, disse: ” Una cosa che ho capito allora, quando ero un bambino all’orfanotrofio, però, posso rivelartela Bella. Ho capito una cosa molto importante della vita e ti consiglio di fartela anche tua, questa idea: l’amore non esiste e chi lo possiede è solo un debole. L’amore è una debolezza che fa soffrire solo e soltanto i deboli. Non c’è spazio per l’amore nella magia. Non è mai esistito e mai esisterà. Una cosa su cui ti invito a riflettere e, ripeto, di fartela tua come idea e come principio di vita. Perché è la verità: l’amore non esiste”
Lo disse con tono spietato, deciso. Un tono che non ammetteva repliche. Un tono che era impossibile contraddire. Quel messaggio ebbe il particolare potere di penetrarmi dentro la mente e dentro l’anima. Non seppi se fu un suo vero potere particolare o quant’altro, ma da quel giorno in cui lo disse tutto, in me, i miei pensieri riguardo l’amore cambiarono prospettiva.  
E il mio maestro, senza dire nient’altro, uscì, lasciandomi sola.



 

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Capitolo 37
*** La promessa ***


Dal grimorio di Bellatrix: “ La promessa”
 
 
 
Sono corsa nel dormitorio a piangere, dopo che il mio maestro mi aveva lasciato lì, dopo essersene andato. Nel corridoio ho incontrato Lumacorno che vedendomi correre e asciugarmi le lacrime, si è preoccupato: “ signorina Bellatrix. Tutto bene?” mi aveva domandato. Io in risposta gli avevo dato un si, tutt’altro che convincente e poi ero corsa più veloce che potevo nel sotterraneo, nella sala comune, sotto il Lago Nero.
Trovato in un lampo il mio letto, mi ci buttai e mi sfogai per bene. Penso che, ora che sto scrivendo questo grimorio a distanza di anni, quello fu il mio periodo più buio da quando lo conoscevo e lo conosco. Il periodo in cui mi sembrò più distante che mai, e anche il periodo in cui io lo compresi meno. Furono forse i postumi e i ricordi di quella litigata particolarmente accesa che a distanza di qualche anno mi fecero innamorare di un altro. Anche se non ne fui mai convinta del tutto e visto come poi si sviluppò la mia storia, ora che scrivo, dico chiaramente che i miei vecchi sentimenti per il mio maestro si ripresentarono, accresciuti ulteriormente rispetto all’epoca, nel pieno della loro violenza e passione, ovviamente più maturi e meno ribelli, rispetto ad allora.
Il motivo per cui ero tanto arrabbiata con il mio maestro era ovvio, almeno a me. Mi aveva in qualche modo fatto comprendere che non provava nulla per me, mi considerava solo un’allieva e nulla di più. Io che pensavo ed ero arrivata a credere che anche lui si fosse aperto un po’ verso di me. Io già allora ero orgogliosa di fare di tutto per renderlo felice, per soddisfarlo. L’allieva migliore che potesse avere.
Ero gelosissima che avesse deciso di crearsi un gruppetto di persone, anche se ancora non l’aveva fatto realmente, attorno a sé. Io che pensavo e speravo di essere l’unica più vicina a lui. E ora lui voleva che io facessi il mio percorso da sola e lui il suo. Finora avevamo camminato insieme, su ogni cosa chiedevo consiglio a lui e lui me lo dava. Era arrivato persino a prendersi cura di me, quando ne avevo bisogno, e ora tutto questo mi sembrava un sogno, mai realizzato. Trovo strano scrivere in questo momento questa parte così triste della mia storia, ora che sto passando un periodo felice con lui. Ma accadde anche questo, il mio percorso verso di lui, fu tutt’altro che semplice.  
Dovevo comunque fare quello che mi chiedeva. Era un compito e sebbene fossi in collera con lui, non volli comunque disobbedirgli. In verità avevo provato a farlo, ma capii subito che con lui, già allora, se cominciavo a tentennare era pronto a riprendermi. In fondo oggi, se ci ripenso, ci rido su, perché mi accorgo che tutta la mia paura, allora, era una mia sciocca ricostruzione mentale. Non si verificò nulla di quello che pensavo mentre piangevo disperata nel letto della sala, anzi, forse fu il mio successo postumo nel trovargli le persone più adatte a svolgere i suoi compiti che quotidianamente ci da, che mi aiutò poi ad essere esaudita quando volli rivelargli davvero ciò che provavo per lui. Oltre ovviamente alle mie doti di strega oscura superiori alla media.
Ero ancora troppo piccola e ingenua per comprendere i progetti che lui aveva in mente per sé e anche per me. Lui forse già allora aveva tutto chiaro nella mente. Ho sempre ammirato questa sua grande capacità al calcolo freddo e razionale, che gli ha consentito di radunarci tutti qui attorno a lui. Allora stava cominciando a porre le basi per tutto questo.
Quanto era furbo, quanto è furbo; quanto era potente, quanto è potente.
Era ed è il mio maestro anche se stanotte dopo che ho terminato la mia prova finale di strega oscura mi ha detto che devo rivolgermi a lui chiamandolo: “mio Signore”. Ma questa è un’altra storia che sto scrivendo parallela a questa. 
Dopo che mi fui sfogata aprii il baule e presi il mio libro di riti di magia nera che mi aveva regalato il mio maestro in occasione del mio tredicesimo compleanno. Lo osservai bene. Ero talmente furiosa che per un attimo mi balenò la folle idea di dargli fuoco. Non avevo ancora compreso bene la mia natura di strega, così come a maggior ragione ignoravo la sua di mago; ma quando volevo sbarazzarmi di una qualunque cosa, la prima soluzione a venirmi in mente era quella di bruciarla.
Poi la voce della ragione mi impedì di compiere quella grande sciocchezza e quel grosso errore. La rabbia del mio maestro se avesse scoperto quello che stavo per fare, sarebbe stata tale da farmi rabbrividire
Mi alzai dal letto, dopo essermi rimessa decentemente e mi diressi allo specchio. La mia immagine di ragazza mi venne restituita. Ero in uno stato pietoso. I lunghi capelli neri erano tutti in disordine e mi ricadevano sugli occhi. Scossi la testa, scostandoli dal volto e li rimisi in ordine con un tocco della bacchetta. Mi asciugai il volto bagnato di lacrime e mi diressi verso il fuoco del camino, perché avevo freddo. Riflettei ancora del perché il mio maestro si comportasse così.
 Perché non capiva? Perché nonostante tutto quello che avevo finora fatto per lui, non mi restituiva in affetto? Cosa mai poteva mai aver passato di tanto doloroso per impedirgli di aprire le porte del suo cuore a me?
“ Basta non pensarci più. Ha detto che non vuole che tu ti impicci nei suoi affari”  mi dissi.
Provai a non pensarci, ma mi accorsi di quanto fosse difficile. Il mio carattere già allora era tenace e quasi ossessivo. Se mi fissavo una cosa, cercavo in ogni modo di scoprirla facendo di testa mia, anche a costo di fare cose pericolose per me e anche per gli altri. Sono sempre stata testarda ed è un difetto che ancora mi porto. Anzi ora ce l’ho più sviluppato che mai.
Volli andare da lui e leggergli nella mente, per scoprire cosa diavolo stesse nascondendo, quale fosse il suo segreto che lo frenava troppo dall’esporsi. La legimanzia però era una branca della magia oscura, e a Hogwarts paurosi e pieni di animo buono, quanto ridicolo, non vi erano testi di arti oscure avanzate. E quindi praticarla senza prima studiarla era impossibile.
“ Basta, Bellatrix. Adesso basta davvero. Se vuoi conquistarlo, questo non è il modo per farlo. Creati una vita come dice lui. Forse è un’opportunità di crescita. Dopotutto lui ha sempre ragione”
Mi ritornarono alla mente le parole che mi disse la sera in cui compresi che mi stava scaricando, o almeno, così pensavo allora.
“ Voglio che tu assuma il comando di uno dei gruppi di ragazzini qui al castello. Scegli tu quale, quello più simile a te e che trovi di maggiore gusto, secondo i tuoi piaceri. Non riferirai loro nulla di me e del tuo percorso che vuoi intraprendere insieme a me, fino a quando non sarò io a darti il segnale per poterlo fare.
Ho bisogno che tu raduni attorno a te il giusto numero di persone, ai quali solo alla fine rivelerai la verità. Ovviamente solo a coloro, tra questi, a cui riterrai degno di poterlo fare”
Poteva essere tutta una scusa per farmi stare zitta o forse aveva ragione davvero. Ma il mio maestro in tutto quello che aveva detto e fatto, aveva avuto ragione sempre. Perché stavolta doveva essere diverso? Forse era vero quello che diceva. Lo pensava sul serio. Avrei dovuto essere felice, lo so, per aver avuto quell’opportunità di collaborare al suo fianco per la prima volta. Eppure non ci credevo neanche io.
Forse era la mia paura di fallire che mi frenava e indirettamente mi aveva fatto litigare con lui.
Ancora non avevo imparato appieno quali erano le mie grandi doti di strega, perché semplicemente non mi conoscevo, come diceva lui. Lui invece sapeva tutto di me e i compiti che mi dava, come prima la pre istruzione e poi questo, sapeva che ero in grado di portarli a termine con successo. Nel primo caso aveva avuto ragione. Nel secondo ne aveva altrettanto?
Sentii bussare alla porta. Mi alzai e andai ad aprire. Forse erano le mie compagne che stavano tornando dal campo di Quidditch. E invece no. La sorpresa di trovare il mio maestro aldilà della porta fu enorme.
“ Cosa stavi facendo?” domandò entrando. Sembrava decisamente più tranquillo rispetto a qualche ora prima.
“ Niente. Riflettevo” risposi imbronciata
Lui mi osservò. Sorrise appena.
“ Mi volevo scusare per come mi sono comportato oggi. Ho esagerato”
Rimasi interdetta. Lui che orgoglioso com’era difficilmente chiedeva scusa. E invece con me lo faceva. Si stava scusando. Mi fece sentire importante. Un sorriso irresistibile mi increspò le labbra
“ Cosa avrò mai ottenuto nell’animo vostro per farvi chiedere il mio perdono maestro? Dovrei essere io a chiederlo a voi”
Mi continuò a fissare.
“ Lo so. In genere è così. Ma questa volta forse… ho sbagliato io” gli costava dire questo. Enormemente. Io, dal canto mio, non riuscii a trattenere il sorriso. La rabbia nei suoi confronti, era svanita all’istante.
“ Allora, mi…perdoni?”
Annuii. Il sorriso sul mio volto si allargò. Lui invece rimase impassibile. Quasi infastidito.
“ Ecco, come vedi, il tuo maestro quando sbaglia nei toni e nei modi, si scusa. Spero che anche tu, quando sbaglierai, saprai fare altrettanto. Non sai quanto mi costi ammettere il mio errore. Ma lo faccio per te. Perché ti ritengo importante”
Non poteva immaginare quanto mi facesse piacere sentire quelle cose da lui. O forse lo immaginava, d’altronde non gli sfuggiva nulla.
“ E io volevo scusarmi per aver voluto impicciarmi in affari che non mi riguardano. Ho sbagliato. Avete ragione. I vostri ricordi appartengono solo e unicamente a voi”
Lui mi guardò ancora più intensamente. Poi voltò lo sguardo e si incamminò silenziosamente verso il camino acceso. Restò voltato di spalle, fissando il fuoco.
Per una strana e imprecisa ragione, allora poco chiara, colsi che le fiamme divennero in qualche modo più accese, più grosse, mentre si avvicinava ad esse. Quasi come ne fossero alimentate da qualcosa di lui. E poi si mossero anche.
Rimase in silenzio per parecchi istanti e capii che stava riflettendo. Mi avvicinai al fuoco dove era lui e anch’io guardai le fiamme che scoppiettavano nel camino. Intanto attendevo cosa mi avrebbe detto. Il mio maestro chiuse gli occhi, in una smorfia di dolore e poi parlò. Lo fece piano, sussurrando e confondendo la voce con il crepitio delle fiamme.
“ Ho riflettuto a lungo anche su questo. E sono giunto ad una conclusione. Se me lo chiederai, ti concederò di venire a conoscenza del mio segreto quando sarai quasi arrivata ad essere una strega oscura. Quando avrai sviluppato per bene i tuoi poteri e saprò che di te posso fidarmi davvero. Come ti ho detto, dovrai prima conoscere te stessa e svolgere il compito che ora ti ho assegnato. Quella sarà la mia ricompensa verso di te, per averlo portato a termine. Sarai la sola a cui rivelerò quella parte della mia vita, perché sarà la prova che solo tu sarai la mia strega, la più oscura e la più potente. Ti farò vedere il luogo in cui sono cresciuto e i miei poteri originali, i quali mi hanno salvato la vita. Ti farò vedere tutto ciò che vorrai e risponderò alle domande che mi farai. Però ti chiedo sin d’ora di non rivelare mai a nessuno dei tuoi compagni, ciò che ti mostrerò.  Dovrai essere solo tu a venirne a conoscenza. Solo tu conoscerai il mio passato”
Come avrebbe fatto a farmelo vedere non lo sapevo affatto. Mi avrebbe portato sul posto direttamente? Era poco probabile. E allora?
“ Ma come farete a mostrarmi il tutto? Mi porterete fin lì?”
Un attimo di silenzio separò la mia domanda dalla sua risposta.
“ Ho i miei metodi, Bella. Non preoccuparti.  Ti sarà tutto chiaro il giorno stesso…”
Si voltò a guardarmi, il volto pallido illuminato dalla luce del fuoco.
“ Quello che ora mi importa è avere la tua parola, Bellatrix. Ho la tua parola?” mi chiese piano
Io annuii convinta, convintissima.
“ Si maestro, l’avete”
“ Ho tenuto il segreto per me per tutti questi anni. Non l’ho mai raccontato a nessuno, perché nessuno era degno di saperlo. Io voglio darti questa opportunità. Non sprecarla. In ogni caso devi iniziare sin da ora a conoscere te stessa, prima di conoscere me. E quando avrai una buona conoscenza di te, allora ti farò conoscere qualcosa di me, cioè questo. E’ un patto tra noi, Bella. Rispettalo, perché sai che io mantengo sempre le promesse. Sta a te guadagnarti la mia fiducia piena e totale su tutto. Quando te lo dirò, da quel momento, saprai che di te mi fiderò appieno”  
“ Io allora, dal canto mio cercherò di conoscermi meglio. Affinchè poi possa conoscere voi. Farò quello che mi avete detto. Cercherò di intraprendere una vita anche con altre persone e farò in modo di riuscire a scoprirmi meglio. Finora so veramente pochissimo di me, lo ammetto. E nulla di voi. Farò in modo che possa conoscermi meglio, seguendo il vostro consiglio”
Riddle sospirò.
“ Brava. Farai il tuo compito bene e avrai la tua ricompensa”
“ Maestro” domandai, perché ciò che mi aveva detto quella mattina, fuori dall’aula di divinazione, aveva lasciato un segno in me, che non avrei mai dimenticato: “ Confermate quello che mi avete detto stamane? L’amore non esiste?”
Lui mi fissò a lungo, quasi stupito che me lo fossi ricordato, o almeno così mi parve di scorgere nel suo sguardo imperscrutabile.
“ Si, non esiste. Sono piacevolmente colpito che tu l’abbia preso alla lettera. Perché tu non ti innamorerai, Bella, non è vero?”
Lo fissai a lungo negli occhi neri, nascosti dai capelli, rimanendo in silenzio.
“ Non è vero? Rispondimi Bellatrix”
“ Si” risposi piano, poi chiarii subito perché quel si, poteva essere rivelatore:  “ Non mi innamorerò”
Nel dirlo sperai due cose: la prima che non cogliesse quanto mi costasse dire tutto ciò, la seconda e più importante fu che non si accorgesse che in realtà avevo già disobbedito a quel suo ordine. Da un po’ di tempo.
“ Brava” disse lui, dopo una pausa, sorridendo. “ Hai visto che il tuo maestro è sempre dalla parte della ragione?”
Annuii. Di questo ero convinta. Lui aveva sempre ragione su ogni cosa.
“ Brava la mia allieva. Sii sempre così. Io sono il tuo creatore e tu sarai la mia creatura. La mia strega. Sai quali sono le tre dettami fondamentali che ti ho dato, vero? Ripetili”
E cominciò a girarmi attorno mentre le ripetevo, come un maestro che interroga la sua allieva.



Uno: impegnarsi sempre fino in fondo, al limite delle proprie capacità, per imparare tutti gli insegnamenti della magia
Due: non aver mai paura di oltrepassare, anzi, sbaragliare i limiti imposti alla magia.
Tre: non innamorarsi mai


Dopo che le ebbi ripetute senza difficoltà mnemoniche, segno che ormai erano parte di me, disse:  “ Ora le conosci sotto questo aspetto e le hai imparate così. Verrà il giorno, presto, in cui te le presenterò sotto una luce leggermente diversa, da come le hai conosciute qui. Quelle dovrai imparare e dovranno rimanere in te per sempre. Dovranno essere parte di te, per tutta la tua vita. Saranno i nuovi dettami fondamentali ai quali non potrai mai disubbidire”
Disse le ultime parole sottolineandole particolarmente e fissandomi con uno  sguardo complice, superiore… bellissimo.
Poi si avviò verso l’uscita e con un ultimo sguardo e un cenno di saluto appena accennato, uscì dal dormitorio, lasciandomi sola
.



NOTE DELL’AUTORE


Ciao!
Innanzitutto grazie per essere arrivati a leggere fino a qui e grazie anche per le recensioni che ho ricevuto.
Qui si percepisce nuovamente quello che in precedenza vi avevo spiegato, ovvero che Bellatrix scrive nel suo grimorio in età adulta. Lo si percepisce soprattutto nella prima parte del capitolo. 
Per chi chiede di rapporti particolari con il maestro (baci e robe varie) mi spiace, ma qui non verranno trattati. Per l’amore tra i due bisognerà attendere un po’ di anni. E se leggerete l’opera postuma non scritta da me, ma da Circe, lo capirete…
Le tre regole che Bella ripete alla fine del capitolo sono e saranno sempre quelle. Verranno solo modificate leggermente nel maestro di Arti Oscure, ma sostanzialmente il concetto rimarrà quello.
Questo capitolo di fatto è un capitolo di passaggio. Nel senso che d’ora in avanti, Tom, si dedicherà maggiormente a sé stesso: inizierà le ricerche sulla propria famiglia e più avanti lo studio sulle Arti Oscure,  mentre Bella prenderà la sua strada per cercare di eseguire al meglio il compito del maestro. I due ovviamente s’incontreranno ancora, ma avverrà con minor frequenza rispetto a prima.
Penso di aver detto tutto. Vi ringrazio ancora tantissimo per le recensioni e le letture e a presto!!
 

 

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Capitolo 38
*** Ricerca origini parte I: la Sala Trofei ***


Sistemata Bellatrix e affidatole un compito che l’avrebbe tenuta occupata per un bel po’ di tempo, Tom Riddle potè finalmente fare ciò che gli piaceva di più: prendersi cura di sé stesso.
Non dubitava che la ragazza, la sua allieva, portasse a termine il suo compito nel migliore dei modi. Ma ci avrebbe messo del tempo. Quel tempo, lo avrebbe sfruttato per incominciare le sue ricerche sulla sua famiglia e intraprendere lo studio della magia oscura. Finalmente.
Avrebbe fatto tutto di notte, comunque. E ora che quel pazzo era preside occorreva farlo con ancora più riservatezza.
Avrebbe trionfato lui sul vecchio nonnetto. Ne era certo. Non si sarebbe fatto scoprire.
Passò quindi tutta la giornata successiva a pensare dove avrebbe potuto incominciare la sua lunga e tortuosa ricerca.
Sinister aveva detto che conosceva sua madre. Quindi presupponeva che sua madre fosse una strega? E allora se sua madre fosse stata una strega, e suo padre un mago, sarebbe stato puro? Sperava veramente di sì. Ma per esserne certo doveva indagare a fondo.
La sera, al banchetto, mangiò come al solito pochissimo.  
Madama Chips di tanto in tanto, vedendolo che era l’unico a non cibarsi molto cominciò a farglielo notare.
“ Così, ragazzo, dimostra di non aver ricevuto, né voler ricevere affetto. Il cibo è sempre simbolo di affetto, signor Riddle” e chiudeva sempre con la solita raccomandazione: “ Cerchi di mangiare di più”.   
Tom si limitava a sorridere in silenzio. Di certo da una parte gli entrava e dall’altra gli usciva, quella stupida raccomandazione.
Ho sempre mangiato così. E sono sempre sopravvissuto. Non sarà certo ora che cambierò il mio modo di rapportarmi al cibo” soleva dire tra sé e sé, mentre l’infermiera si allontanava da lui.
Ma quella sera, mentre gli altri su abbuffavano e lui invece rifletteva, gli venne in mente dove cominciare le sue ricerche.
La sala Trofei.
Ecco il posto adatto, dove avrebbe scoperto tracce di suo padre. Se egli fosse stato un mago importante, avrebbe avuto certamente il nome stampato su uno di quei trofei della scuola.
Quella notte stessa, quindi avrebbe condotto la sua prima ricerca in quella sala.
Minerva McGranitt e Albus Silente chiacchieravano animatamente tra loro. Che sciocchi. Li avrebbe fregati entrambi in un colpo solo.
“ Perché io sono il diavolo e il mago più potente e grande del mondo” si disse tra sé, sorridendo.
Quella notte, facendosi luce sufficiente con la bacchetta, sgattaiolò fuori dal sotterraneo senza essere né visto, né udito da nessuno e si diresse verso il terzo piano. .
Solo lo stupido gatto del custode, un certo Argus Gazza, c’era di guardia. Ma era tre piani più sopra rispetto a dove si trovava lui. L’aveva visto grazie  all’intera mappa del castello, con tutte le posizioni di tutti coloro che vi erano all’interno, evocata dal nulla, grazie ad un incantesimo molto avanzato e potente. Di sua competenza, insomma.
Aveva strada libera.
Raggiunto il terzo piano, sempre facendo il massimo silenzio possibile, arrivò finalmente ad una porta chiusa a chiave.
Sarebbe stato un giochetto da bambini eludere quella protezione, quella sciocca protezione. Gli bastò infatti toccare appena la serratura della porta, che quella si spalancò davanti a lui.
Entrò dentro ed ebbe la premura di chiuderla di nuovo a chiave, per non destare sospetti.
Poi si voltò.
Attraverso la luce della bacchetta gli sembrò di essere piombato in una delle sale che aveva letto, da ragazzino, nelle stupide favole babbane, sui castelli. Aveva l’aspetto della classica sala delle armature. Ma al posto delle armature, le pareti erano piene di vetrate di scaffali, dove all’interno  erano poggiati decine e decine di trofei dei vari studenti del castello.
Era una sala molto lunga, più di un centinaio di metri.
Ci sarebbe voluto del tempo, ma avrebbe avuto tutto il tempo necessario.
Di tanto in tanto decise di rievocare quella mappa, per notare le posizioni degli altri. E ogni volta si sentì al sicuro. Lì dentro nessuno ci avrebbe messo piede a quell’ora.
Se avesse voluto, li avrebbe pure rubati quei trofei.
Si ricordò ancora di quando da ragazzino, all’orfanotrofio, rubava gli oggetti simbolo dei luoghi impervi e selvaggi, di cui sperimentava la magia, e li custodiva gelosamente come trofei.
Gli sembrò di essere ritornato, in qualche modo, a quei tempi.
Però desistette dalla voglia di farlo. Aveva cose più importanti da fare, ora…
C’erano coppe di ogni genere: erano i Premi per i Servigi Speciali resi alla scuola…
Ad ognuno di questi trofei era associato un nome di un mago o di una strega che aveva vinto quel premio.
Ma tra le decine e decine di nomi, non lesse mai quello di Tom Riddle senior…
Voleva dire solo una cosa tutto questo…
… che suo padre semplicemente non aveva avuto l’onore di vincere nulla ad Hogwarts.
Poco male, l’avrebbe fatto il figlio per lui. Promise, infatti, a sé stesso che prima di lasciare Hogwarts, il suo nome sarebbe stato inciso in un trofeo e sarebbe finito lì. Avrebbe vinto un Premio per i Servigi Speciali.
Avrebbe così riscattato l’onore della famiglia. 
Uscì, sovrappensiero e quasi non si ricordò di dare un’altra occhiata a quella sua mappa evocata dal nulla, nella quale controllava tutti i movimenti nel castello.
Non sarebbe comunque stato necessario, visto che, a causa della tarda ora, tutti ormai erano nelle proprie stanze… nei propri letti.
Strada libera.
Sgattaiolò fuori dalla sala Trofei e si diresse di nuovo verso il dormitorio.
La sua prima ricerca aveva dato esisto negativo. Ma, era comunque certo, che la prossima, qualunque luogo avesse voluto cercare, l’esito sarebbe stato ben diverso.
Molto presto, ne  era certo, che il suo più grande incubo, quello di essere un mezzosangue, disonore per un Serpeverde come lui, sarebbe solo stato tale. Solo un incubo.
Lui era destinato ad essere un purosangue
.
 
NOTE DELL’AUTORE


Eccoci qui.
Da questo momento inizia la parte che riguarda la ricerca degli antenati di Tom Riddle, al quale si affiancheranno presto gli studi sulle Arti Oscure.
Prevedo 5 parti nella quale si divideranno queste ricerche sulle origini (le prime tre sono accennate da Silente ad Harry nel sesto libro, quando gli parla appunto dell’argomento. Silente afferma che Tom vagò in giro per il castello visitando essenzialmente tre porzioni del castello: la Sala Trofei, la sala Prefetti e la Biblioteca nei Libri di Storia della Magia). Qui verranno aggiunte altre due parti che riguardano la prima (ovvero la quarta gli Anagrammi) nella quale si crea poi il nome di Lord Voldemort e la quinta parte dove scopre l’esistenza della Camera dei Segreti e di essere l’Erede di Serpeverde.
Per quanto riguarda le Arti Oscure, le apprenderà ovviamente per conto proprio e vi aggiornerò quando pubblicherò il capitolo sull’argomento. Anche quello sarà, comunque,  suddiviso in più parti.
Mi auguro che il capitolo sia gradito e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento
 
 

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Capitolo 39
*** Non sarà una buonanotte ***


Dal grimorio di Rabastan: “Non sarà una buonanotte”


 
Siamo quasi a Dicembre. Comincia a fare freddo.

L’inverno mi piace. E’ la mia stagione preferita. Mi piace la neve, perché è silenziosa, proprio come me. Infonde tranquillità, proprio come voglio essere io.

Rod invece è sempre focoso, sempre attivo su ogni cosa. Non bada a guai. Anzi se ne frega. E’ all’opposto mio.

Oggi è successo che lui e la sua banda di amici, sempre i soliti: Wilkes, Avery e Mulciber hanno allagato il bagno delle ragazze al secondo piano. Un giorno, quello stupido, si metterà nei casini sul serio.

All’inizio ho fatto finta di non pensarci più molto e di lasciarlo fare. Mi sto, però, sempre più rendendo conto che oltre un certo limite non posso lasciarlo libero: se venisse espulso, sarebbe troppo anche per me. E poi senza neanche lui come farò?

Con Bellatrix non riesco a spiaccicare neanche una parola. Passo ore e ore a immaginarmela, ma poi dal vivo non riesco a dirle niente, neanche a salutarla… se anche Rod rischia grosso, allora la mia diventa una situazione molto poco invidiabile.

Comunque è finito in punizione. Lui e la sua piccola banda di bulli. Dovranno pulire per bene la sala Trofei. Fortuna per lui che, a parte questo, non ha ricevuto nient’altro. Lo dovranno fare stasera, terminate le lezioni.

“ Sei uno stupido, fratello” gli ho detto quando è tornato a notte fonda nella sala comune deserta.

L’ho aspettato tutta la sera, volevo vederlo bene in faccia, per dirgli questo, solo questo: che era uno stupido.
 
“ Stai mettendo a repentaglio tutto, per questa tua stupida voglia di fare il gradasso. Sei un irresponsabile. A volte sembra che sia io il maggiore tra noi due. Ti comporti come un bambino…”

Non ho potuto continuare perché all’improvviso Rod mi ha tirato uno schiaffo.
 
“ Tu non farai mai parte della banda, Rab. Perché hai paura di tutto. Se io sono un irresponsabile, tu sei un miserabile”

E allora ci azzuffammo, per bene. Lui non si doveva permettere di chiamarmi in quel modo. Ci prendemmo per la faccia e ci graffiammo. Ci tirammo i capelli a vicenda fino a farci male davvero.  Poi cademmo entrambi a terra, sempre lottando ferocemente. Lui sotto di me, bloccato con le braccia, ebbe però la forza di tirarmi una ginocchiata nel basso ventre che mi costrinse a lasciarlo andare.

Ebbi però subito la mia vendetta. Gli afferrai il braccio sinistro e glielo torsi fino a farlo urlare di dolore. Poi mi alzai in piedi e mi buttai a peso morto su di lui, con l’obiettivo di schiacciarlo sotto il mio peso.

Rod però, agile e veloce, riuscì a schivare il mio corpo muscoloso e io caddi a terra, facendomi ancora più male.

E continuammo a lottare alla pari per più di mezz’ora.

Alla fine, esausti, ma ugualmente infuriati l’uno con l’altro, ci promettemmo nuovi scontri il giorno successivo.
 
Io non avevo nessuna intenzione di unirmi a lui. Perché avrei dovuto unirmi a quello stupido gruppetto?

Io avevo scelto la mia strada e lui aveva scelto la sua. Se poi sarebbe finito il tutto in tragedia per lui, si sarebbe arrangiato. Io però non volevo averci niente a che fare.

Ci sarebbe stata solo una cosa che, forse, mi avrebbe messo in crisi sul voler o meno entrare in quella banda. Ma la ritenevo una cosa quasi impossibile. Ovvero che Bellatrix stessa, l’oggetto del mio desiderio, entrasse a farne parte. Ecco… forse in quel caso…

Ma era impossibile che potesse accadere. E poi perché mai avrebbe dovuto entrarvi? Lo odiava a mio fratello…

“ Signor Lestrange. Sta prestando attenzione?”

La McGranitt mi richiamò alla realtà.

“ Eh?” chiesi un po’ intontito dal brusco ritorno nell’aula di Trasfigurazione.

“ Signor Lestrange, vuole dire al resto della classe e alla sottoscritta,  cosa stava pensando?”

“ Niente, signora” risposi. Tutta la classe era voltata verso di me. Fortuna che Bellatrix non c’era, essendo un anno più grande di me, altrimenti avrei fatto la figuraccia del secolo.

“ Bene. Allora stava ascoltando, vero?”

“ Sissignora” risposi cercando di essere convincente.

“ Bene. Allora saprà dirmi qual è la formula per trasformare un avvoltoio in un granello di sabbia”

Silenzio.

Quale sarà mai quella formula che la McGranitt mi chiedeva? Ma soprattutto, cosa me ne poteva mai importare di come trasformare un avvoltoio in un granello di sabbia?

“ Non lo so…” risposi dopo averci pensato.

“ Vulturarena” disse la McGranitt a denti stretti. “ Dieci punti in meno a Serpeverde, signor Lestrange. E la prossima volta, faccia attenzione per favore”

Sbuffai.

La McGranitt non era una donna che mi stesse proprio simpatica, anzi. La odiavo.

Varie volte avrei voluto attaccarla, però non ho mai avuto né l’occasione, né il coraggio per poterlo fare.

E soprattutto se l’avessi fatto, altro che mio fratello… avrei fatto una cosa ancora più grave, che allagare un bagno. Molto più grave.

E poi avrebbe detto Rod? da che pulpito mi arriva la predica? Da uno che ha attaccato un’insegnante? Sarei stato l’ultimo a dover parlare, in quel caso.
I miei voti e la mia attenzione a scuola hanno subito un calo da quando è cominciato l’anno. Tra la preoccupazione per le azioni di Rod e il mio incessante pensiero su Bella, lo studio e l’attenzione a lezione, occupavano solo un’infinitesima parte del mio cervello. Non che prima, l’anno prima, senza queste preoccupazioni o pensieri, andassi molto meglio. Ma quest’anno sono peggiorato.  E i miei voti scolastici ne risentono.

In comportamento e nel rispetto delle regole, con l’eccezione dell’attenzione in classe, sono invece uno dei migliori. Non ho mai ricevuto una nota disciplinare, come invece Rod ha fatto soventemente. In questo sono migliore di lui.

Finite le due ore di Trasfigurazione al pomeriggio avremmo avuto Pozioni con Lumacorno. Anche lì, ero calato. Ma Lumacorno fortunatamente sembrava avermi preso in simpatia. Per Pozioni, almeno, non temevo la bocciatura. In ogni caso avrei dovuto darmi seriamente da fare per non ripetere l’anno.

Sarebbe stato troppo.

Bella di sicuro non sarebbe mai stata bocciata. I suoi voti erano ben più alti dei miei e neanche Rod per questo.

E la prospettiva di dover passare non solo il mio settimo anno, ma anche il sesto, qualora avessi dovuto ripetere l’anno, senza di lei, senza la sua presenza, mi convinse a dovermi impegnare più a fondo.

Ma quella sera stessa, per la primissima volta, il timore che il mio peggiore incubo diventasse reale, si materializzò concretamente. Ritrovai Rod in sala comune. Era da solo, seduto sulla poltrona.

“ Cos’è… i tuoi amici ti hanno abbandonato?” gli feci incredulo e provocante, appena lo vidi.

Era di fronte al fuoco del camino. Sembrava perso nei suoi pensieri.

“ Stavo pensando ad una cosa, fratellino…” sottolineò l’ultima parola con una smorfia e mi gettò un’occhiata un po’ schifata e un po’ amorevole.

“ Cosa? A che pensavi?” domandai, improvvisamente e mio malgrado, incuriosito

Rod rimase in silenzio. Quando, per la seconda volta, o tartassai che confessasse, disse: “ C’è una ragazza… una qui al castello e credo sia la più bella di tutte le altre. Credo, anzi, che sia la più bella che esista al mondo”

Non sapevo affatto a chi si riferisse, poiché di ragazze carine in fondo ce n’erano abbastanza. Non potevo minimamente immaginare che lui si riferisse esattamente a lei.

“ Ah, davvero? Ti sei preso una cotta fratellino? E sentiamo, chi sarebbe la fortunata?”

Rod fece un sospiro e poi tornò a fissare il fuoco.

“ Bellatrix” rispose.

Al suono del nome, il mio cuore perse un battito. Era impossibile: non poteva essere lei. Sicuramente non avevo sentito bene... Però quando mi ripetè il nome, capii che non me lo ero affatto immaginato. Era tutto reale.

Cercando di non fargli capire ciò che mi passava per la testa in quel momento, con il tono più impassibile che riuscii a fare, domandai: “ Ah… lei?”

“ Si. Non hai notato che ultimamente mi osserva anche un po’ più spesso?”

“ Osserva te?” domandai, facendo il finto tonto.

“ Ti ho detto di sì. Sei sordo, fratello?” mi chiese un po’ stizzito.

Io non potei far altro che rimanere in silenzio. Ma quel dialogo si stava avventurando in qualcosa che non gradivo affatto.

“ Pensi che le piaccio?” chiese ancora, fissando sempre il fuoco.

“ Tu… piacere a lei?” lo chiesi con un’eccessiva foga derisoria, che non gli sarebbe sfuggita se fosse stato più attento. Fortunatamente non mi scoprì.
 
 Annuì e rimase zitto.

“ E tu? Ti piace davvero lei?” gli chiesi, sperando che la risposta fosse negativa. Avevo una paura tremenda della possibile risposta e desiderai non avergli mai chiesto quella domanda, solo dopo che ormai il danno era compiuto.

Lui rimase nuovamente zitto e si limitò a fissare il fuoco.

“ Lei ti piace? Tu ami Bellatrix?” ripetei ossessivamente. Ormai volevo saperlo. Se la risposta fosse stata no, avrei avuto la mia vittoria. Se la risposta sarebbe stata si, avrei perso tutto.

Il cuore, nella suspance generale, stava per esplodermi nel petto.

Rod, dopo un silenzio, a mio modo, infinito disse pianissimo: “ Non lo so. Forse… sì”

Forse sì?

“ Come sarebbe a dire: forse sì?” chiesi sbalordito. Poi, per non mostrarmi sofferente a quella risposta, per me ugualmente orribile, anche nel dubbio, chiarii: “ O non la ami, o… la ami. Come sarebbe a dire: forse?”

Ma lui tagliò corto.

“ Senti Rab. Stasera sono stanco. Ne riparliamo un’altra volta, ok? Buonanotte”

E si allontanò, lasciandomi lì.

Ecco. Quella notte, caso strano la notte successiva a quando avrei avuto anche la possibilità di ucciderlo, per il nostro litigio, lui stava cominciando ad accorgersi di Bella, come avevo fatto io.

Pensai tra me, mentre si allontanava che se l’avessi ucciso la sera prima, tutto questo non sarebbe accaduto. E invece piano piano, il mio più grande timore, così grande da reputarlo quasi impossibile, si stava realizzando.

Dopo quella risposa così vaga per lui, come per chiunque altro, ma chiarissima per me, capii di avere poco tempo. Da quel giorno avrei cercato in ogni modo di farmi notare da lei per respingere l’attacco di Rod.

Dovevo soltanto sperare, comunque, una cosa: che lei considerasse Rod uno stupido. Fino a quando l’avrebbe considerato come tale avrei avuto delle chances di vittoria.

In fondo quella sera avevo solo saputo il pensiero di Rod su di lei e non quello di Bella, su di lui.

Andando, comunque, a letto mi preparai a quella che non sarebbe, di certo, stata una buonanotte.


 

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Capitolo 40
*** Non sarebbe stata l'ultima volta ***


Dal grimorio di Alecto: “ Non sarebbe stata l’ultima volta”


 
Ho sempre pensato che un giorno mi sarei fatta un’amica. Bellatrix era diventata, col tempo, l’unica amica. Non so se in realtà fossimo vere amiche, però io ce la mettevo tutta. In cinque anni a Hogwarts non avevo avuto amici, perché i maschi mi trattavano tutti come l’ultima ragazza della scuola. Anzi neanche una ragazza: perché i miei capelli fin troppo corti, mi davano quell’aspetto da maschiaccio che non attirava. E le ragazze, invece, mi davano buca ad ogni appuntamento. Dicevano che non volevano uscire nel parco, per poi ritrovarmele insieme aggregate nei loro gruppi, proprio laddove dicevano di non voler andare.

E io rimanevo sola.

Ora che finalmente penso di aver trovato un’amica in Bellatrix mi sento quasi come le altre ragazze che prima mi rifiutavano. Mi sento più protetta, più normale.

Bellatrix si dimostra quasi amichevole con me. Non vuole diventarlo troppo perché forse non si fida ancora ciecamente… però in confronto a prima, certamente il nostro rapporto è migliorato.

Noto tuttavia quanto sia una ragazza parecchio invasata per i miei gusti. In alcuni momenti pare tranquilla, in altri, se solo lo sapesse fare, ucciderebbe tutti indistintamente.

Poi magari sono io che mi sono fatta un’idea diversa dalla realtà delle cose, in fondo è ancora una ragazzina, ma questo avevo intuito. Era oscura ed emanava oscurità da ogni poro.

Sia dalla divisa nera con una gonna più stretta di quella degli altri, nera anche quella; sia proprio dall’aspetto. I capelli neri, lunghi, lisci, molto più belli dei miei; per finire allo sguardo. Leggermente più scuro del mio,  sapeva davvero guardare e dargli quel tocco di sensualità che io invece non riuscivo a dare. Aveva il potere che ogni ragazza vorrebbe avere: quello di osservare, anzi di penetrare , con lo sguardo e di capovolgere la vita e i sentimenti dei ragazzi altrui nel più profondo dell’animo.

Meno male che ho deciso di farmela amica. In un modo o nell’altro sono convinta che prima o poi la mia presenza accanto alla sua, la quale non poteva passare a lungo inosservata, mi avrebbe dato dei vantaggi.

“ Ci facciamo una passeggiata a Hogsmeade?” mi propose una sera d’inverno, durante le vacanze natalizie.

“ Ma tu sei al terzo anno. Non puoi andare da sola” risposi un po’ interdetta da quella domanda.

“ Ci vengo con te, no? Non sono sola” rispose. E senza aspettare il mio parere, andò a prepararsi.

Un’altra caratteristica che conobbi di Bellatrix a Hogwarts, e la mantenne anche da adulta, mi sento di dire, fu che non sarebbe servito a nulla cercare di farle cambiare idea su qualcosa che si era messa in testa di fare. Un obiettivo che si metteva in testa l’avrebbe perseguito ad ogni costo, contro tutto e tutti.

Uscimmo.

Nevicava. Il fatto che nevicasse rese un po’ più arduo il nostro percorso verso il villaggio, dal momento che il sentiero era completamente ghiacciato.

Tra uno sbandamento e l’altro arrivammo a destinazione. Hogsmeade, per le vacanze di Natale era addobbato con luci e alberi di natale in ogni dove e le stelle filanti addobbavano le porte d’ingresso  ai negozi.

Entrammo ai Tre Manici di Scopa.

Dentro non eravamo affatto soli. Il negozio era strapieno di ragazzi e ragazze. Sembrava che tutta Hogwarts fosse voluta trasferirsi in quel negozio.

Ad un tratto fummo urtare da qualcuno. Mi voltai, turbata e vidi che Bella aveva istantaneamente afferrato la bacchetta. 
 
“ Scusate…”

Ad urtarci era stato un ragazzino apparentemente del secondo anno. Strano… perché al secondo anno non avrebbero potuto venire al villaggio.

Avevo detto ragazzino, in realtà lo doveva essere solo per l’età. Era muscoloso, eccessivamente per uno di dodici anni, magari quasi tredici, ma comunque piccoletto. L’aria che aveva sembrava completamente diversa dall' espressione del suo corpo: era vagamente timida. Introversa. Quasi come se cercasse di farsi piccolo piccolo di fronte a noi.

“ Io… volevo solo…” biascicò e notai che divenne rossissimo per la vergogna, notai anche che il suo sguardo cadeva spesso su quello di Bellatrix, quasi come se si stesse scusando solo ed esclusivamente a lei. A me ignorò completamente. 

“ Tu sei Rabastan. Fratello di Rodolphus Lestrange vero?”

Era stata Bellatrix a parlare.
 
Il ragazzino annuì. Parve poi che volesse essere sepolto dalla neve e scomparire. Si vergognava quasi dall'esserlo, come se potesse essergli in qualche modo, d'impiccio.

“ Vi conoscete?” domandai rivolta a Bellatrix.

Lei scosse la testa. Disse solo: “ Ho notato la somiglianza con suo fratello Rodolphus, tutto qui”

Poi si rivolse nuovamente a lui. Ad un tratto, mentre lo fissava,  vidi le sue labbra piegarsi in un sorriso. Doveva aver capito di lui, qualcosa. Qualcosa che invece io non avevo capito. Non ancora almeno. Rabastan, vedendola sorridere, dapprima ne rimase sorpreso, poi tentò un sorrisetto anche lui. 

“ Ehi Rabastan, che ne dici di farci un piccolo favore? Abbiamo dimenticato il denaro al castello. Vorremmo prendere due bottiglie di whisky incendiario. Potresti rubarle per noi?

Il sorriso scomparve nuovamente, com'era venuto, dal volto di Rab. Si sostituì di nuovo al terrore. Evidentemente considerava la prova troppo grande per lui.

“ Avanti…” lo incitò Bellatrix, piegandosi su di lui e facendogli fissare, assieme a lei, il bancone strapieno di gente che ordinava. Poi si avvicinò e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio che io non udii mai.

Doveva essere comunque qualcosa di grosso, poiché Rabastan sbiancò all’improvviso. Guardò Bellatrix e disse un appena percettibile: “ Veramente?”

Lei annuì, incoraggiante. Sorrise maliziosa.

Stava, allora, per lanciarsi a eseguire quanto richiesto, convinto dalla cosa che Bellatrix gli aveva sussurrato, quando una voce esterna lo richiamò.

“ Rab… maledetto fratello. Dov’eri finito? Ti ho cercato per tutto il castello”

Ci andammo a nascondere tra la folla, per non destare sospetti nel ragazzo più grande, dagli occhi castani, vivaci. I capelli, anch’ essi castani, leggermente più scuri degli occhi e anche leggermente lunghi. Lui si poteva essere del terzo anno come Bellatrix.

Afferrò con forza il fratello minore e mentre si allontanava lo rimproverava per essersi liberato dal suo controllo. Insomma lo trattava come se fosse un bambino, un genitore con il proprio figlio. Eppure tra lui e Rabastan non poteva esserci più di un anno di differenza.

" Mi hai fatto preoccupare, maledetto a te"

Di tutto ciò, avevo comunque capito qualcosa: quel ragazzino di nome Rabastan ci aveva seguito. O in qualche modo si era trovato nel nostro stesso negozio. Avrebbe potuto trovarsi in ben altri negozi, in fondo ve n’erano decine…E perchè ci aveva seguito? A quella domanda non avevo risposta.
 
“ Che gli hai detto?” domandai al ritorno, dopo aver concluso la nostra gita notturna natalizia ad Hogsmeade.

“ A Rabastan dici? Niente…”  rispose vaga. Ma ero certa che mentisse.

“ Hai notato quanto sia stato timoroso appena ci ha visto?” domandai rivolta a lei.

Bellatrix sorrise:  “Lo so. L’ho visto e l’ho notato anch’io. Penso che con lui potrei divertirmi, da qui ai prossimi anni. Tu non credi?”

“ Vorresti sfruttarlo?” domandai e provai un po’ di pena per lui.

“ E’ naturale…Chi non sfrutterebbe uno come lui? Credo proprio che, incalzandolo, tentandolo, sarà disposto a fare tutto quello che io vorrò. Fidati di me”

Poveretto. Non avrei mai voluto essere nei panni di Rabastan. Ero certa che ne avrebbe passate di ogni genere con Bellatrix. Aveva fatto l’errore di intralciarle la strada, e ora lei si sarebbe divertita con lui. Si sarebbe sfogata.
 
L’aveva preso di mira.

Avrebbe comunque potuto essere un caso quello che ci fece incontrare, me e Rabastan quella notte. Di certo era accaduto. E avevo la sensazione che quella non sarebbe stata l’ultima volta.   


 
 
 

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Capitolo 41
*** Sarai mia ***


Dal grimorio di Bellatrix: “ Sarai mia”
 
 
La gita con Alecto era stata noiosa a dire il vero. Ma a lei non sembrava che fossi in qualche modo annoiata e naturalmente decisi di non dirle in faccia ciò che in realtà avevo pensato. Sarebbe stato, forse, troppo anche per una come me.
Solo l’incontro con il fratello minore dei Lestrange, Rabastan, aveva in parte allievato la mia totale noia. Non era necessario conoscerlo a fondo per capire che tipo fosse. Per come mi sono comportata con lui, non penso sia un atteggiamento da condannare il mio. Semplicemente mi sarei voluta divertire un po’, perché a me divertirmi piace molto.
Sia ben chiaro: Alecto è la persona che, posso dire, era più vicina ad un’amica che potessi avere, ma non è mia amica. Io non avevo e non ho amiche e, per dirla francamente, non mi è mai interessato averne. Con lei, perciò non mi sarei mai potuta divertire; con Rabastan sì.
Avevo quasi da subito intuito che aveva un debole per me. A me, invece, lui, mi era del tutto indifferente; ad ogni modo avrei  voluto, da subito, cominciare a sfruttare questa sua particolare cotta verso di me, per ottenere tutto quello che volevo da lui. E lui, ne ero certa, me l’avrebbe offerto, anche a costo di mettersi nei guai per me. L’avrei fatto di nascosto ovviamente, per non farmi scoprire dal fratello maggiore, visto che sembrava tenerlo d’occhio. E, nel frattempo, ero anche certa che lui non ne avrebbe mai fatto cenno a Rod, perché ero altrettanto sicura che glielo avrebbe impedito, come poi effettivamente accadde in seguito.
Nel frattempo, continuavo anche ad eseguire il compito che il mio maestro mi aveva dato, ovvero quello di guardarmi attorno e scegliere per lui, i suoi futuri compagni.
Forse ne avevo individuato proprio in quello di Rodolphus la mia soluzione migliore. Il mio maestro, ero certa, voleva gente come me. Voleva gente che combinasse caos, che volesse combinare caos. Sebbene ancora io non avessi fatto nulla per meritarmi una vera punizione, a parte quando attaccai Alecto, mi piaceva enormemente quella vita. Mi attirava. Era parte di me, del mio voler essere strega oscura. Era il mio destino, sarebbe diventato il mio destino…
“ Bellatrix” mi accolse il mio maestro, una notte, nella sala comune deserta, come sempre quando ci vedevamo noi due.
“ Si, mio maestro” dissi avvicinandomi a dov’era lui. Era seduto su una delle poltrone, vicino al fuoco.
Rimasi in piedi a pochi metri da dov’era lui.
“ Stai facendo quello che ti ho chiesto? Stai cominciando ad individuare le persone giuste per me ?”
“ Si, maestro” ripetei quasi ipnoticamente, mentre lo fissavo in tutta la sua bellezza. Il suo volto oscurato, illuminato solo dal fuoco del camino, al quale volgeva lo sguardo, gli dava quell’aspetto ancora più criptico e oscuro del solito.
“ Credo di averne individuati alcuni. Ma voglio attendere ancora per poter essere certa che possano andare bene per voi”
Lui si voltò e alzò lo sguardo verso di me.
“ Non mi serve che tu lo capisca ora se effettivamente fossero quelli giusti. Io per ora voglio che vadano bene a te. Ti ho detto di sceglierti il tuo gruppetto di persone che ritieni più adatto a te. Poi solo quando li conoscerai veramente bene, chiederai a coloro che riterrai più degni, di unirsi a me. Fino ad allora, loro di me, non dovranno sapere nulla. Come vedi, io sto facendo la mia parte. Mi muovo nell’ombra in tutto quello che faccio”
“ Va bene” risposi
“ Agirai come se tu non mi conoscessi affatto. Loro non dovranno sospettare di nulla. Non mi menzionerai mai, in mezzo a loro. Farai solo quello che vorrai, prenderai le iniziative e li obbligherai ad obbedirti. Insomma, sii la loro leader. Alla fine voglio che tutti quegli sciocchi ti considerino la loro guida. Poi solo alla fine, parlerai e rivelerai il mio volere con quelli che avrai scelto”
Il suo volere non mi era molto chiaro. O almeno non mi era chiaro cosa volesse farne di loro.
“ Ma, maestro, quali sono i vostri piani con loro?”
Lui si accigliò appena.
“ Fai troppe domande Bella. Quello che farò con loro, poi, finita la scuola, ti sarà chiaro. Ora devi solo obbedire, da brava allieva quale sei”
“ Non insegnerete loro la magia oscura come, avete promesso, insegnerete a me, vero?”
“ Niente magia oscura con loro. Puoi stare tranquilla”.
“ Va bene, maestro. Cercherò di fare del mio meglio, come ho fatto finora per tutto ciò che mi avete chiesto, e come farò in futuro su ogni cosa che mi chiederete”
Lui continuò a fissarmi, scostò i capelli dagli occhi e poi sorrise.
“ Lo so che lo farai. Ormai ti conosco. Dimmi Bella, trovi piacere ad eseguire quello che ti chiedo?”
Restai sorpresa da quella domanda. Mi sembrava così ovvia la risposta… Possibile che ancora avesse dei dubbi?
“ Ma certo, maestro. Non può esistere piacere più grande nel fare ciò che volete che faccia” 
Lui mi fissò a lungo, negli occhi. Poi si alzò e si avvicinò appena a me.
“ Sai” disse, quasi incuriosito, “ a volte mi chiedo se sei veramente così”
“ Così, come?” domandai speranzosa
“ Come dici di essere: felice di eseguire quello che ti chiedo. Non saranno in molti come te, sai? Ne sono certo”
Sorrisi, ammirandolo in ogni centimetro del viso
“ Avete forse dei dubbi? Dubitate di me e di ciò che dico?”
Lui mi fissò.
“ A volte” disse piano.
Sentendo quella risposta, un po’ ci rimasi male, a dire il vero. Però lui continuò: “ Ma poi…”
“ Poi?” domandai impazientemente, stavolta
“ Poi ti osservo meglio, e vedo che sei così veramente: perspicace, determinata ad arrivare fino in fondo. E, sono sicuro, che lo farai anche quando ti farò nuovamente da insegnante per le Arti Oscure. Perché questa sei, Bellatrix”
Mi rilassai. Per un attimo avevo pensato che lui non mi credesse così. E io volevo convincerlo che ero come lui voleva che fossi.
“Sarai mia e mia, solo” aggiunse, piano, tornando a fissare il fuoco
“ Sarò vostra?” domandai emozionata
Annuì appena,  tornando a fissarmi intensamente.
“ La strega più potente. La figlia del diavolo” mormorò appena udibile sopra il scoppiettio del fuoco. Poi, tramite il riflesso del fuoco del camino negli occhi, che gli fecero l’effetto di renderli di uno strano colore rosso scuro, aggiunse: “ E io sono il diavolo”.
Dopo aver detto queste parole, tutto si scosse dentro di me. Dentro il mio animo. Come un terremoto.
All’improvviso cominciai ad intuire quale fosse veramente la mia meta. Cominciai a vederla chiara nella mente e ne fui estasiata. Il mio unico e solo volere sarebbe stato quello di diventare così vicina a lui, da arrivare ad esserne addirittura una parte.
Mi ci volle qualche istante, per capire comunque che tutto questo, tutte queste sensazioni, questi pensieri, questi animi, me li aveva creati lui nella mente.
La controllava a suo piacimento. La comandava, la sconvolgeva e io lo lasciavo fare, perché non potevo farne a meno.
Si divertiva a farmi vedere come volevo che diventassi. E mi piaceva. Mi piaceva da morire. E tutto nella mia mente, nel mio cervello.
Però presto, troppo presto per i miei gusti, purtroppo, questa visione cessò.
Calò poi il silenzio: sentivo solo, a parte il fuoco, il rumore del mio respiro.
Dopo essere cessata, sempre fissandomi in totale silenzio, normalmente stavolta, mi fece segno di uscire, senza dire nulla.
E io, altrettanto silenziosamente, da brava allieva, non potei che obbedire alla sua richiesta.
Solo dopo essermi sufficientemente allontanata, lui richiamò la mia attenzione: “ Cerca solo di non perdere troppo tempo e di non distrarti con il piccolo dei Lestrange” 
 
 
 
 

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Capitolo 42
*** Le Arti Oscure parte I: Introduzione alle Arti Oscure ***


Il giorno dopo scese a colazione quando era ancora buio. Non aveva dormito quasi per niente, a causa di pensieri poco piacevoli. Ultimamente Tom Riddle faceva spesso questo genere di incubi: ricadeva spesso nei tormenti che l’avevano afflitto durante l’infanzia a causa di quei criminali, usurpatori dell’orfanotrofio. Sapeva che ciò, con gli anni sarebbe scemato. Tuttavia dubitava che avrebbe mai superato, in ogni senso, il trauma.
Un giorno, l’avrebbero pagata cara. Avrebbero pagato caro tutto quello che gli avevano fatto…
“ Tom, mio caro ragazzo, già sveglio di prima mattina?”
La voce, per certi aspetti rassicurante, trattandosi del suo professore preferito, per altri seccante, perché tavolta la sentiva nei momenti meno opportuni, lo raggiunse alle spalle. Horace Lumacorno, in pantofole e ancora in pigiama, lo guardava un po’ assonnato, un po’ sorpreso e un po’ divertito. Portava con sé una ridicola candela e aveva il classico cappellino da notte in testa.
“ Vedo che anche lei è piuttosto mattiniero, signore” gli rispose Riddle con un lieve inchino.
“ Oh… Silente vuole che lo aiuti a preparare gli addobbi natalizi. Oggi è la vigilia di Natale… Sai, è piuttosto fissato con questo genere di cose”.
“ A me il Natale non piace. Devo essere sincero…”
“ No?” chiese Lumacorno, vagamente interessato: “ E come mai?”
Perché è una sciocca tradizione babbana” pensò tra sé Riddle. Poi rispose ad alta voce: “ Il giorno di Natale, quando ero piccolo, mi è morto un amico a cui tenevo moltissimo. E da allora, non ho mai festeggiato questa grandiosa e, in genere, felice festa”
“ Oh… mi dispiace tantissimo, Tom” replicò Lumacorno triste: “ Scusami… sono stato insensibile”
“ Come faceva a non esserlo? Non lo sapeva”
Calò il silenzio, interrotto solo da Lumacorno che, ad un tratto, disse: “ Lascia che vada. Silente vorrebbe sistemare l’albero almeno per l’ora in cui tutti gli altri scenderanno a colazione… poi, magari, me ne tornerò su a letto”
E si allontanò, canticchiando una versione stonatissima di: “ You come down from the stars”.
Come al solito, Tom mangiò quel tanto che bastava a fargli passare l’appetito. Quella mattina ci si sarebbe potuti abbuffare tanto da non patire la fame neanche dopo tre o quattro giorni di digiuno completo.
Essendo la Vigilia di Natale erano anche liberi dalle lezioni. La maggior parte degli studenti, infatti, passò l’intera giornata nel parco a giocare a palle di neve.
Tom, invece, seppur all’aperto anche lui, non si piegava a fare quegli stupidi e infantili giochetti. Semplicemente leggeva, leggeva e studiava nuovi incantesimi, nuove magie. Aveva preso i  prestito anche libri della biblioteca del quarto, quinto e sesto anno. Si esercitava, in questo modo, nel praticare le arti magiche più avanzate.
Ogni tanto si chiedeva anche cosa stesse combinando quell’altra…
Levò lo sguardo a cercarla, ma da lì non ebbe alcun modo di vederla.
Questi dannati capelli…”
Ogni volta che abbassava lo sguardo sui libri, i capelli gli andavano davanti agli occhi, così che era costretto a tirarseli via con un gesto impaziente delle mani ogni volta.
Solo lì, cominciò anche a riflettere su quali altre zone avrebbe potuto indagare per scoprire le sue origini. La Sala Trofei non era servita al suo scopo. Si diceva che un’altra sala avrebbe potuto essergli d’aiuto: la Sala dei Prefetti, laddove vi erano stampate tutta la lista dei prefetti storici di Hogwarts. In fondo, data la sua fama di grande, abile e potente mago, suo padre avrebbe potuto, quasi certamente, essere un prefetto… L’avrebbe scoperto molto presto…
E la giornata passò, quindi, così: tra studio, pianificazioni dei suoi movimenti futuri e su cosa stesse combinando Bellatrix, senza riuscire però a vederla.
Ovviamente sarebbe stato da sciocchi chiederle chiarimenti durante i pasti, in mezzo alla gente. Ancora più da sciocchi era andare a cercarla. In fondo era sempre lei a venire da lui, non lui ad andare da lei. E così sarebbe andata anche questa volta. Il risultato fu che né lui andò da lei, né lei andò da lui. Da tutto ciò, ne dedusse che non vi erano stati particolari aggiornamenti circa la sua missione. 
Quella notte stessa, Tom pensò che fosse giunto finalmente il momento che tanto aveva atteso. Aveva deciso di affiancare lo studio della magia oscura, ormai si sentiva da qualche tempo pronto per poterlo fare, alla ricerca delle sue origini. Entrambe le cose, le avrebbe ovviamente condotte da solo.
Bellatrix avrebbe avuto l’onore di imparale solo dopo la fine della scuola. Ormai era certo che l’avrebbe fatto. E lei avrebbe, ovviamente, fatto di tutto affinchè ciò potesse accadere. Era una ragazza tenace ed estremamente capace.
Salì nel dormitorio silenzioso e, facendosi luce con la bacchetta, prese uno dei libri dalla copertina nera che l’estate scorsa aveva acquistato a Nocturne Alley.
Il titolo era chiaro ed inequivocabile.
Introduzione allo studio della magia oscura.
Era un titolo rossastro che sulla copertina nera, dava quell’atmosfera di tenebrosità ed oscura, proprie e completamente adatte a ciò che rappresentava quel fascino della magia.
“ Questi libri saranno il mio mondo…. Sono  il mio mondo”  pensò mentre, coricandosi nel letto, apriva il libro e cominciava a leggere. “ Prima lo farò io, comprenderò io. Poi lo farà lei”
Era giusto così.
Il maestro delle Arti Oscure, cioè lui, aveva la priorità su ogni cosa.
Cominciò a leggere: pieno di interesse, passione, voglia e aura oscura. Perché le Arti Oscure, senza voglia, passione, interesse e, soprattutto, aura oscura, non sarebbero mai state apprese.


Le Arti Oscure sono molte, varie e mutevoli. Combatterle è come combattere un drago con molte teste. Ne tagli una, ma subito spunta l’altra.
E’ una branca della magia rigenerante, ma soprattutto avvolta ancora nel mistero. Si ritiene che non tutto della magia oscura sia stato scoperto. Molto rimane ancora ignoto agli stregoni stessi.
Nella storia vari maghi e streghe  oscuri si sono succeduti. A cominciare ad esempio dalla maga Circe e un mago chiamato: Herpo Lo Schifido, mago vissuto nell’antica Grecia che per primo riuscì a raggiungere il dono dell’immortalità. Ma poi, recentemente ne sono succeduti altri. Il più recente dei quali il famoso Gellert Grindelwald sconfitto dallo stesso Albus Silente nel 1945.
Riguardo Circe però, i Babbani, nella loro ignoranza e stupida dottrina, la considerano frutto di mitologia greca, del poeta Omero, che attraverso un’opera, chiamata Odissea, ne narra le gesta.
Un’altra strega oscura è considerata Morgana, l’antagonista di Merlino. Morgana visse nel Medioevo, era la sorellastra di re Artù, regina di Avalon, possedeva poteri di guaritrice, era un Animagus e praticava le Arti Oscure.
L’ultimo mago oscuro che citeremo è Sir Merwyn. Lo citiamo perché verrà ripreso nella sezione e nel volume sulle maledizioni. A lui, infatti si deve l’invenzione della Maledizione Cruciatus. Fu il primo mago che la praticò e fu colui che ne permise l’evoluzione.
Tutti questi verranno approfonditi nei vari volumi e corsi di magia oscura allegati, a partire da questo.
Cominceremo sin da ora.
Buona lettura.



Questa era l’introduzione. 
Allora ovviamente ignorava i termini tecnici come Maledizione Cruciatus. Ma non se ne preoccupò. Tempo al tempo avrebbe imparato tutto.
Man mano che leggeva si accorse della grandiosità dei maghi oscuri del passato. Tutto quello che avevano fatto era grandioso, ma lui si pose l’ambizioso progetto di superarli tutti.
Era un modo oscuro, tetro e si rese sempre più conto che al castello non ne avrebbero mai parlato, perché effettivamente non erano argomenti per bambini quelli.
I bambini… li odiava.
Quelle sudice creature che emettevano quel suono stridulo ad ogni cosa. Un suono che sentiva tutte le notti e non solo, all’orfanotrofio, per scandali che succedevano lì dentro…
Avrebbe dimostrato ancora una volta, che lui non era un bambino. Era diverso da loro. Da tutti loro. E la magia oscura avrebbe accentuato questa differenza.
Silente, naturalmente non ne avrebbe mai saputo nulla. Quel vecchio stupido avrebbe avuto l’immagine sua, di Tom Riddle, come quella abituale: uno studente modello, che poteva risultargli antipatico quanto voleva, ma privo di concorsi proibiti, quali scandali o crimini.
Che brava questa Circe” commentò tra sé, quando arrivò a leggere di lei. Anche se trasformare i babbani in animali non era veramente crudele, ne apprezzò, tuttavia, l’astuzia.
Ammise però che alla lunga l’argomento non gli piacque particolarmente. Risultava noioso, come in pratica lo era anche Storia della Magia, durante le lezioni quotidiane. Però se voleva sapere tutto, doveva sorbirsi anche quello.
Finì di leggere il primo volume alle quattro del mattino. Dopo quasi quattro ore di continua lettura e studio.
Il volume sulla biografia dei maghi oscuri.
E quando chiuse il libro, si accorse di essere più vivo che mai, quasi come se l’energia oscura di quel libro fosse penetrata dentro la sua anima. Non seppe dire se fu semplicemente frutto della sua immaginazione o no, però la sensazione la ebbe.
Ci fu un attimo in cui ebbe quasi spavento della cosa, quasi come se inizialmente non si aspettasse tutto ciò.  
Cominciò a sudare freddo. Il cuore accelerò i battiti.
Poi, dopo qualche istante, tornò a rilassarsi e tutto tornò normale.  
Non sapeva se la magia oscura avesse compiuto questo o no. Ne ebbe comunque il sospetto e rimase turbato di tutto ciò.
Non poteva fargli del male. Era il suo mondo: il mondo che aveva da sempre, da quando aveva scoperto di essere un mago, il desiderio di scoprire.
Come poteva la magia oscura, le Arti Oscure, il suo mondo, il volere di fargli del male? Era impossibile.
Pensò che questo fosse solo frutto della stanchezza. In fondo erano le quattro del mattino e studiava da quattro ore. Ci stava delirare un po’…
E, sull’onda di questo pensiero,  dopo aver preso la decisione, si addormentò e non ci pensò più.
 

NOTE DELL’AUTORE

Eccomi. Ringrazio tutti per le recensioni, sempre molto belle e per chi legge ed è arrivato fino a qui.
In questo capitolo, come vedete Tom Riddle inizia lo studio della magia oscura. Ritengo la metà del terzo anno il periodo in cui lui lo inizia anche nel libro, per poi finirlo tutto verso la fine del quarto anno. Esclusa ovviamente la parte sugli Horcrux dove si cimenterà alla fine. In pratica ho sempre immaginato che Tom, se avesse voluto, avrebbe potuto tranquillamente uccidere Mirtilla Malcontenta, al quinto anno,  con l’Anatema che Uccide, ma più che altro per ragioni di segretezza, non l’abbia fatto e abbia, invece, deciso di agire secondo ciò che tutti conosciamo.
Come per la parte che riguarda le origini, anche questa sulle Arti Oscure, verrà divisa in parti. Devo ancora decidere bene come suddividerla, però ho già una sorta di possibile suddivisione in mente.
Penso di aver detto tutto. Vi ringrazio ancora e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento. 
 
 
 
 

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Capitolo 43
*** Comportarsi come brave rappresentanti della nobile casata dei Black ***


Dal grimorio di Andromeda: “Comportarsi come brave rappresentanti della nobile casata dei Black”


 
Avevo da sempre pensato che Bella potesse un giorno decidere di punto in bianco di farsi degli amici. Me ne parlò stamattina a colazione.

Una mattinata in cui mi trovavo da sola, insieme a lei, al tavolo dei Serpeverde. Era appena l’alba.

“ Sai Dromeda” mi disse, mentre mangiava. Bella è estremamente rapida nel mangiare. Ha sempre fretta, quando è a tavola. Non mastica e butta giù. “ Sono al terzo anno e ancora non ho stretto amicizia con nessuno in particolare. Direi che è arrivato il momento per poterlo fare, non credi?”

Di prima mattina, mi sorpresi dalla particolarità dell’argomento. Uno di solito alla mattina chiede come hai dormito? Se ti sei riposato? Cosa hai sognato?

Invece mia sorella è tutta particolare. Non ama questo genere di cose, né con me né con Cissy a casa.

Non ha neanche l’abitudine di baciare i nostri genitori a colazione, quando si sveglia e li trova al tavolo. Al contrario di me e di Cissy.

Ho provato varie volte a convincerla a farlo, ma non c’è assolutamente verso. Lei lo ritiene uno stupido rituale da ragazza bambolina. E’, senza alcun dubbio, la più indipendente di noi tre.

“ Come mai ti sei decisa all’improvviso?”  le chiesi, senza badare al fatto di non avermi neanche salutata. C’ero abituata…

“ Così… mi va di farlo”

Non potei fare a meno di sorridere. Eccola la Bellatrix che conoscevo. Quella che decide da sé cosa fare senza chiedere nessuna opinione agli altri. E guai se provi a contraddirla…

“ Ciao”

Anche Evan era sopraggiunto al tavolo.

“ Di cosa parlate?” domandò, prendendosi la marmellata e del bacon.

“ Oh niente… cose da ragazze” mentii. Evan aveva la grandiosa capacità nel voler sempre ficcare il naso in affari privati.

Ma Bella, non fu del mio stesso parere e rivelò la cosa. Mi voltai verso di lei con un’occhiataccia, ma lei non ne fece caso.

“ Come mai all’improvviso hai preso questa decisione?” domandò.

Se prima Bella non si era arrabbiata con me, ora un po’ lo fece con nostro cugino.

“ Oh… vi siete messi d’accordo? Possibile che me lo vogliate chiedere tutti? Voglio farlo. Vi basta questo?” e guardò prima me e poi Evan in cagnesco.

“ Va bene, va bene” si affrettò a scusarsi Evan. “ E con chi vorresti? Hai già scelto il gruppetto di persone?”

Stavolta Bella rimase in silenzio.

Evan assunse un’espressione mista a trionfo e rimprovero.

“ Ecco, non lo sai, Bella. E’ sempre così. Vuoi fare tutto, ma…”

Alzai una mano come a stopparlo, avvertendolo. Lui, vedendomi, tacque; ma Bella fortunatamente non parve aver sentito il rimprovero del cugino. Era rimasta in silenzio e fissare un punto sopra la mia spalla, nel vuoto.

“ La banda di Serpeverde” disse sussurrando e un sorrisetto le spuntò dalle labbra.

La risposta, apparentemente vaga, in realtà era chiarissima ad entrambi.

“ Quella di Rodolphus Lestrange?” domandò Evan, quasi stupito. “ Ma raggruppa la peggior specie di ragazzi della scuola”

Ormai erano note a tutti quanto la banda di Serpeverde fosse una vera e propria accozzaglia di bulli. Ragazzi più grandi, di cui il capo era della stessa età di mia sorella, che malmenavano i ragazzini più piccoli del primo e del secondo anno. Divertimento, di per sé, incomprensibile a mio modo di vedere. Almeno, io non mi divertirei affatto…

“ Appunto” disse Bella, gettando ad Evan un’occhiata maliziosa.

“ Tu sei pazza” commentammo in coro sia io che Evan. Ma mentre io lo dissi quasi allarmata, Evan lo disse invece ammirato. Io ero anche diversa da mio cugino, com’ero diversa da Bellatrix. Nell’aspetto eravamo simili, nel carattere molto meno.

“Forse…non è divertente esserlo?”

Entrambi non le rispondemmo, anche se ebbi l’impressione che io e Evan la pensassimo in modo diverso.

“ E come pensi di entrarci?” domandò quest’ultimo, sempre più curioso.

“ Shh… abbassate la voce che è arrivato” avvertii e in effetti Rodolphus arrivò, come al solito seguito da Avery, Mulciber e Wilkes. Conosco i loro nomi, ormai hanno fatto il giro del castello, sebbene non avessi mai avuto niente a che fare con loro, realmente. E, sinceramente, me ne guardo anche…

“ Ho i miei metodi per farlo. Però voglio attendere ancora un po’. Voglio prima divertirmi…”

E posò il suo sguardo pesante, scuro, crudele e spietato  sul fratello minore di Rodolphus: Rabastan, nel frattempo sopraggiunto anch’egli, con il quale ero anche compagna di corso, avendo noi due la stessa età.

“ Rabastan?” domandò Evan guardandolo anch’egli di soppiatto.

Bella sorrise e annuì.

“ Ma perché vuoi divertirti con lui? Poverino…” le dissi, provando pena. Lo trovavo estremamente triste e solitario quel povero ragazzo. Chissà cosa gli era successo per renderlo così. Bella è così insensibile…

“ Ha una cotta per me. E’ così prevedibile e ingenuo…”

“ Beh… non è l’unico ad averla. Purtroppo, però, siamo parenti…”

Era stato Evan a dirlo e notai che cominciò a guardarla con occhi diversi.

Bella, dal canto suo, fissò Evan e rise sferzante, sfrontata. Ecco un’altra caratteristica di Bella che riconoscevo e associavo a lei, immediatamente, anche a mille miglia di distanza: la sua risata. Così superiore, provocante, tale da far rimanere male  qualunque corteggiatore, perché troppo inarrivabile, per lui.

“ Evan, ti rendi conto a chi ti stai rivolgendo, vero?” domandai, rivolta a nostro cugino, il quale annuii. Era stato allo scherzo. Non se l’era affatto presa. Scossi la testa, guardandolo con la coda dell’occhio, sorridendo tra me. Poi gettai uno sguardo verso i Lestrange.

Rodolphus, circondato ormai costantemente dai suoi scagnozzi, si divertiva a punzecchiare il fratello minore per il suo modo di comportarsi, a parer suo, troppo simile a quello di un rimbambito. L’altro incassava silenziosamente, senza aver modo di poter contro ribattere. Gli altri tre, attorno a l fratello maggiore, ridevano.

Notai anche che di tanto in tanto, quest’ultimo, gettava uno sguardo fugace e malinconico verso di noi e immaginai verso chi, in modo particolare.
 
“ Che hai intenzione di fargli Bella?” domandò allora Evan, dopo qualche istante quando il tavolo si era ormai riempito e poteva quindi parlare a voce più alta, senza essere udito.

“ Voglio solo divertirmi un po’. Sfruttare la sua….debolezza”   sottolineò, in modo particolare, l’ultima parola e  non ebbi alcun dubbio a quale debolezza ella stesse facendo riferimento.

“ Ahi ahi ahi… non vorrei essere in lui, allora” commentò allora Evan sarcastico. “ Quando ti ci metti, sei terribile”. Credo sia palese l’ammirazione che Evan aveva in mia sorella. Una caratteristica che anche nel più piccolo dei cugini, Regulus, che ancora però non frequentava Hogwarts, comincio a notare. Tutti in famiglia hanno una particolare ammirazione per Bellatrix, a parte Sirius,  d’altronde essendo la primogenita ha anche la fortuna di essere la regina indiscussa di Villa Black. Devo dire che un po’ la invidio…

Lei allora posò nuovamente lo sguardo sul cugino e sorrise: “ Mi conosci, Evan. Sai come sono fatta…”. Fissò ancora verso Rabastan Lestrange e aggiunse: “ Lo manovrerò un po’. Farà tutto per me, tutto quello che voglio. Anche a costo di mettersi nei guai per me” 

Sapevo che non scherzava. Non scherzava mai su questo genere di cose. Bella aveva un talento sopraffino su questo genere di cose: provocare la gente. Non sapevo se però Rodolphus sarebbe stato d’accordo.

Come se mi avesse letto nel pensiero, Evan anticipò la mia domanda.

“ E Rodolphus? Come farai se lo venisse a sapere?”

Bella, stavolta parlò senza guardare Evan.

“ Deve per forza? Lui è occupato con quelli della banda. Io non lo sono, per ora. E Rabastan neanche…”

“ E pensi che lui lo taccia a suo fratello? Davvero lo reputi così stupido? Io lo conosco un po’ meglio di te, Bella. Siamo compagni di corso. Sembra stupido, ma non lo è” stavolta ero stata io a parlare.

Bella guardò me, quasi come se fossi una guastafeste.

“ Non fare sempre la guastafeste adulta, Dromeda. A volte sembri davvero nostra madre che ha paura di agire per ogni cosa… Lascia fare a me, che so come fare e quel che faccio. Né lui dirà niente a suo fratello, né questi lo verrà a sapere mai”

Sperai avesse ragione, anche perché se Bella avesse preso una cattiva strada e fosse stata messa in punizione, oppure espulsa, la nostra famiglia, di certo, ne sarebbe stata alquanto sconvolta. Noi dovevamo avere un certo stile, un certo comportamento, da nobili quanto da brave rappresentanti della più ricca famiglia purosangue che esisteva in Inghilterra: la casata dei Black. La più importante e ricca delle sacre Ventotto

E Bella mi sembrava, man mano che passavano i giorni, sempre più lontana da questa via che, da quando eravamo nate, ci era stata indicata ed insegnata.
 
Pensavo anche che avesse abbandonato quel ragazzo con cui parlava l’anno scorso, quella mattina in cui le consegnai la posta di nostra madre. Pensai quindi che fosse solo una mia considerazione errata, in quella circostanza, e che, in realtà, Bella non lo conoscesse neanche.
 
 
 
 

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Capitolo 44
*** Sono Rodolphus Lestrange ***


Dal grimorio di Rodolphus: “ Sono Rodolphus Lestrange”


 
Sono il più bello e il più vanitoso studente che questa scuola, Hogwarts, abbia mai conosciuto.

Se qualcuno potesse chiedermi di descrivere me stesso, la mia persona, io userei esattamente questi due aggettivi, perché sono quelli che mi descrivono meglio.

Presto dovrò farmi largo tra la folla, perché tutte le ragazze del castello cadranno ai miei piedi, ne sono sicuro.
  
Sono Rodolphus Lestrange, vivo in un tetro castello e appartengo alla nobile stirpe dei maghi purosangue francesi. Mio padre, un vigliacco, vive per conto proprio in Francia e ha lasciato a me il compito di prendermi cura del mio fratello minore Rab. Anzi, a dire il vero, sono stato io a sceglierlo, perché lui non ha mai amato Rab, lo odia sin dalla nascita, a causa del tragico incidente che è capitato a nostra madre.

Non vorrei assomigliargli affatto nel carattere, ma purtroppo crescendo è impossibile non prendere nulla dai propri genitori e io mi sto accorgendo di essere sempre più simile a mio padre e quello che è grave è che non me ne preoccupo affatto. Tra me e Rab non avrei dubbi su chi sia più simile a lui: io di sicuro. Rab è troppo ingenuo e sfigatello per poterlo diventare.

Penso di meritare questa netta predominanza su Rab poiché, se fosse per lui, credo proprio che la nostra famiglia cadrebbe in disonore e in disgrazia. Chi apprezzerebbe persone ricche di una certa fama, ma con il carattere debole di Rab? Invece bisogna essere forti, perché il potere appartiene ai forti, non ai deboli. Questo è quello che mi ha sempre detto mio padre. Ed è forse l’unico vero insegnamento di vita che mi abbia mai trasmesso.

Ho sempre cercato di farmi mio questo insegnamento ma, solo ora, a quasi quattordici anni, comincio a capirlo veramente ed è questo, essenzialmente, il motivo per cui ho deciso di farmi un piccolo gruppetto di amici attorno a me e, quotidianamente, con questi amici, ci facciamo rispettare.

Per ora i membri della banda sono essenzialmente tre: Wilkes, Mulciber  e Avery jr e poi, modestamente, ci sono io: il capobanda. Io che decido cosa debbono fare i miei piccoli sgualdrinelli e io che decido quando debbono farlo. Non so ancora se in futuro potrei accoglierne altri ma, per ora, nessuno ha osato farsi avanti, anche perché per entrarvi bisogna superare una prova decisa dal sottoscritto e non tutti sono in grado di superarla.  Vedremo comunque in seguito.

Sono abbastanza potente come mago. Sono in grado di creare delle fiamme in grado di incenerire persino una pianta di medie dimensioni. Mi sento particolarmente a mio agio con il fuoco, anche se non so se questo sia, effettivamente, l’elemento che mi caratterizza. Ma per questo ci sarà tempo poi nel corso degli anni…

I miei voti a scuola sono buoni, oserei dire ottimi. Certamente me la cavo bene; non ho una materia preferita, ma eccello molto nella Difesa contro le Arti Oscure. Ecco forse quello è il mio vero punto di forza. Sono anche molto bravo in pozioni e, rispetto all’inizio, dove effettivamente ero una chiavica, sto migliorando molto nel volo. Sto crescendo insomma e, piano piano, sono convinto che prenderò subito possesso di questo castello, diventerò il capo supremo tra gli studenti. Perché questo sono io: miro sempre più in alto, in ogni cosa, persino nell’amore.  Proprio per quest’ultimo, ad esempio, non mi accontenterei mai della mediocrità o dello scarto; mirerei piuttosto sempre all’eccellenza, al meglio a disposizione.

“ Rod, guarda qui… abbiamo trovato questo ragazzino che camminava da solo per i corridoi e tentava di spiarci, per poter poi riferire ai professori i nostri piani futuri”

La voce di Mulciber mi distolse dai miei pensieri. Stavo infatti pensando come poter diventare in assoluto il capo indiscusso di Hogwarts, ma non mi stava venendo niente a mente. Mi voltai.

Un ragazzo biondo, dalla pelle piuttosto pallida mi fissava impaurito. Mulciber lo gettò ai miei piedi. Gli altri due stavano di guardia alla porta.

Lo guardai e subito una smorfia di scherno mi increspò le labbra.

“ Prendetelo, legatelo e conducetelo nel bagno delle ragazze. Aspettatemi lì, vi raggiungo presto. Fate in modo che nessuno abbia sospetti”

Avery puntò la bacchetta  e funi invisibili legarono i polsi del prigioniero. Poi venne sollevato  da terra brutalmente e tra uno spintone e l’altro fu condotto via.

Aspettai qualche minuto, il tempo necessario affinchè gli altri lo conducessero laddove avevo dato odine di portarlo e poi mi misi anch’io in marcia con la medesima destinazione in mente.

Arrivato alla porta d’ingresso mi congratulai mentalmente con loro: erano stati abbastanza furbi da chiudere a chiave l’ingresso al bagno e rendere le pareti insonorizzate, in modo tale che nessuno avrebbe sospettato di nulla. Me li ero scelti proprio bene i miei scagnozzi…

Appena entrato, mi resi subito conto che qualche ceffone e qualche aggressione il ragazzo doveva averla subita, poiché aveva già il viso piuttosto arrossato. Di questo però non fui soddisfatto: dovevo essere sempre io a dare il primo colpo. Rimproverai frettolosamente, ammonendoli, i miei complici, poi cominciai l’interrogatorio al prigioniero.

“ Chi sei?”

Il prigioniero restò in silenzio. Così, per fargli capire che aveva un buon motivo per parlare, gli sferrai un pugno sulla guancia. Il colpo risuonò secco nel bagno deserto e l’aria fu sferzata dalle risate degli altri tre.

“ Allora?”

Il giovanotto mi fissò con odio e rispose: “  E’ una cosa che non ti riguarda Lestrange”

Altro colpo. Stavolta un ceffone nell’altra guancia.

“ A me riguarda tutto ciò che succede qui”

“ Davvero? Credi di esserne il capo? Albus Silente è il capo”

“ Quel vecchiaccio non sarà qui per sempre. Presto lo sostituirò io”

Stavolta a ridere fu lui. Doveva aver comunque perso qualche dente a causa dei colpi, ma il suo atteggiamento mi fece infuriare ancora di più.

“ Se permetti Rod, vorrei fargli io una domanda” intervenne Mulciber e fortuna per il prigioniero che lo fece: mi diede il tempo di sbollire la collera, altrimenti sarei dovuto passare a metodi ancora meno ortodossi.  “ A quale Casa appartieni? E qual è il tuo stato di sangue?”

Lui, orgoglioso e con sguardo terribilmente fiero, gonfiò il petto e rispose: “ Grifondoro e sono un mezzosangue”

Quella risposta, data con quel tono fiero, mi fece ribollire il sangue. C’era solo una cosa peggiore dell’essere mezzosangue: essere un grifondoro mezzosangue. La peggiore delle accoppiate possibili in natura.

“ E sei fiero di esserlo?” sputò Avery, disgustato.

“ Si” rispose l’altro, sempre in tono di sfida.

“ Beh… noi mica tanto sai?”

Per la disapprovazione gli tirai un calcio. Quello ululò dal dolore, ma nonostante tutto non smise di sorridere.

“ Perché ridi? Non c’è nulla da ridere sai? Quando sarò il padrone di questa scuola gli esseri ripugnanti come voi saranno banditi come voleva Salazar”

Quel disgraziato continuò a farsi beffe di me e ripetè, tra una risata di scherno e l’altra: “ Sei davvero testardo sai? Non diventerai mai…”

SBAM

Fu un attimo. Il suo essere così odioso e ripugnante aveva fatto si che il mio istinto particolarmente violento prendesse il sopravvento. In un attimo gli puntai la bacchetta contro e un fiotto scarlatto lo fece sbattere contro le pareti dei gabinetti sigillati.

Il nato babbano, schiantato, si accasciò inerme al suolo dapprima immobile e, poi, muovendosi leggermente.

Alla rabbia si sostituì immediatamente il terrore e, spaventati, non immaginando che le cose precipitassero fino a  quel punto, decidemmo di tagliare la corda al più presto.

Aprimmo la porta d’ingresso del bagno e, per puro caso, vidi Rabastan. Non mi fermai a chiedergli cosa ci facesse lì, né se avesse udito tutto ciò che era successo lì dentro. Gli gettai solamente uno sguardo spaventato prima a lui, poi dentro al bagno e, insieme agli altri tre, scappammo via da quella che da lì a poco sarebbe diventata una vera e propria caccia ai colpevoli.   


  



 
 

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Capitolo 45
*** La punizione ***


Dal grimorio di Rabastan: “ La punizione”
 
 
Sapevo che Rod mi avrebbe rimproverato, ma dovevo fare qualcosa. Non potevo certo permettere che lui finisse nei guai al posto mio. Perché nonostante fosse così pieno di sé, così odioso, così terribilmente vanitoso, in fondo gli voglio bene.

Il bambino malmenato era a terra. Perdeva sangue dal naso che, con ogni probabilità, si era rotto.

L’avevano gettato nel bagno delle ragazze e chiuso a chiave lì dentro. E io ero lì, davanti a lui, dopo averlo sentito piangere. Avevo aperto la porta per vedere di chi si trattasse e avevo da subito capito che a picchiarlo erano stati quelli della banda.

Avrei preso senza dubbio una punizione, dal momento che ero stato colto sul luogo del misfatto, io da solo.

E infatti subito dopo sopraggiunse Silente seguito da buona parte del corpo docenti.

E io mi trovavo lì e loro mi videro lì, impalato, senza sapere cosa fare.

Silente avanzò, prese il ragazzino per mano e chiese sommessamente chi fosse stato.

Fu allora che il ragazzo, con le lacrime agli occhi, puntò lo sguardo su di me, incerto, e io indicai me stesso, in silenzio senza che nessuno sentisse o mi notasse mentre lo facevo.

Notando che egli guardava me, senza spiaccicare parola, anche gli altri ad un certo punto mi fissarono e io allora, raccolto quel poco di coraggio che avevo, ammisi: “ Sono stato io”

Stupido e imbecille, Rod. Guarda che sto facendo per salvarti la pelle…

“ Perché l’hai fatto?” domandò Silente, fissandomi

Feci scena muta, cercando di non farmi sfuggire la verità. Cioè che in realtà era stato il mio più tenacemente avverso e odiato fratellastro.

“ Signorino Lestrange, si rende conto che ha commesso una grave violazione delle regole della scuola?” domandò la McGranitt, squadrandomi severa.

“ Si. L’ho fatto perché... mi annoiavo…”

La motivazione dell’accaduto che io avevo appena espresso, lasciò tutti scandalizzati. Devo ammettere che neanche io avrei mai pensato di dare quella motivazione, eppure qualcosa dentro di me, mi disse che in un’altra circostanza avrei potuto farlo veramente. Non so bene spiegare questa mia indole, però l’avevo. Era come se una parte nascosta di me, me lo avesse suggerito.

“ Beh… se le cose stanno così..” disse la McGranitt

“ Oh suvvia Minerva. Non vorrai punirlo per così poco?”

Era stato Lumacorno a parlare.

“ No, Horace? E sentiamo per cosa e quando dovrei punirlo? Solo se lo avesse ucciso?”

Lumacorno mi fissò.

“ Io conosco il signorino Lestrange. Non farebbe mai una cosa del genere. Secondo me sta proteggendo qualcuno…”

“ No” dissi subito, tentando di essere più sicuro e convincente possibile. “ No. Sono stato io. E voglio essere messo in castigo”

Maledetto fratellastro…

“ Beh… almeno è onesto” commentò la McGranitt un po’ raddolcita.

“ Sono stato io e mi dispiace” insistei.

“ L’abbiamo capito” disse la McGranitt

“ E allora? Il castigo? Qual è?”

“ Dovrai pulire la sala trofei. Togliere tutta la polvere ad ogni trofeo. Questa sera, dopo cena,  alle nove. E senza l’uso della magia. Ah… e già che c’è, potrebbe anche pulire il pavimento”

E se ne andarono, portando il ragazzino in infermeria.

Li seguii con lo sguardo e poi tirai uno sbuffo di rabbia. Appena avrei incontrato mio fratello…

Scesi di sotto convinto di aver incontrato Rod per i corridoi, ma lì non c’era. Allora pensai che fosse in sala comune e decisi di tornarci. Avevo bisogno di metterlo di fronte a quello che aveva combinato.

Avevo bisogno di fargli capire che per questa volta mi ero assunto io le sue responsabilità, ma che sarebbe stata la prima e unica. Non avevo alcuna intenzione di farmi usare così, da parafulmine. Non da lui. E non da quel gruppetto di ragazzi ribelli che gli giravano attorno.

“ Bravo… complimenti…” dissi appena lo vidi, che ancora se la rideva con Wilkes. Applaudii mio fratello, ironicamente, davanti a loro due.

“ Grazie, fratellino…” mi rispose sfacciato

Provai un odio dentro mai provato contro di lui. Se non mi fossi trattenuto l’avrei di sicuro ridotto peggio di come lui aveva conciato quel ragazzino. Lo presi per il bavero della divisa e lo spinsi verso la parete, senza che lui se lo aspettasse.

“ Mi sono buscato una punizione, per colpa tua. E per colpa di questi tuoi stupidi atteggiamenti”

“ Ehi” avvertì Wilkes, intervenuto per proteggere l’amico.

Non fece in tempo ad avvicinarsi che gli diedi uno schiaffo in faccia. Il colpo secco rimbombò nella sala. Ero forte, e questa mia forza l’avevo fin dalla nascita. Non fui sorpreso quindi quando vidi Wilkes piegarsi dal dolore e tenersi la guancia nel punto in cui l’avevo picchiato.

“ A te non faccio niente, altrimenti il tuo adorato paparino potrebbe veramente cacciarmi di casa. Visto che mi odia. Ma non credere che ti coprirò di nuovo, fratellastro…” dissi a denti stretti rivolto a mio fratello

Raramente avevo visto Rod terrorizzato, così come in quel momento.

Questo era il grande Rod Lestrange? Uno che aveva timore del fratellino più piccolo? Del fratellino dal carattere cupo? Del fratellino più sfigato tra i due? Lui era il maggiore, il più bello anche, il più spavaldo. Io ero tutto l’opposto. Lui era famoso per il suo carattere  violento. Io non lo ero, ma quando lo diventavo, quelle poche volte, sapevo terrorizzare persino Rod.

Lasciai il bavero e mi preparai per scendere a cena, respirando profondamente per calmarmi.

Uscii dalla sala lasciandomi una scia di profondo silenzio tra le due persone. Uno, Wilkes, ancora dolorante alla guancia e l’altro, Rod, ancora sotto shock per la furia che aveva visto in me.

Ero stata un’altra persona in quel momento. Una persona del tutto diversa dal Rabastan abituale. Un Rabastan vendicativo, malvagio anche… Non conoscevo moltissimo questo mio aspetto interiore, perché lo usavo molto raramente. Però, quelle poche volte che lo utilizzavo, lo sapevo fare alla grande.

Non cenai affatto. Non mangiai nulla. La fame era l’unica cosa che, al momento, non provavo affatto.

Passata la rabbia e tornato tranquillo, tornai ad essere il ragazzo abituale. Quello che è perennemente in lotta contro sé stesso, triste, cupo e solitario. E in quel momento, ebbi anche una tremenda voglia di scoppiare a piangere
.
Avevo contro tutto: mio padre, mio fratello, i miei insegnanti,  persino Bellatrix che mi ignorava completamente.

Che senso aveva continuare a vivere?

Non avevo mai, prima da allora, seriamente pensato al suicidio, devo essere sincero. Ma per dieci minuti buoni, quella sera, l’idea la presi seriamente in considerazione. Nessuno aveva una vita più schifosa della mia.

Che senso aveva continuare a vivere?

Mi sarei buttato a peso morto dalla torre più alta. Avrei posto fine a questa mia inutile e continua sofferenza. Avrei posto fine alla mia odiata vita, all’ombra di quell’idiota di Rod.

La McGranitt interruppe il mio folle pensiero.

“ Signor Lestrange, ti ricordo che alle nove hai la tua punizione nella sala trofei”

“ Si, professoressa. Andrò…”

Guardai in direzione di Rod. Neanche lui aveva mangiato, era ancora scosso, ma non si diede neanche la briga di assumersi la sua responsabilità quando vide la McGranitt venire a ricordarmi del castigo.

Lo odiai profondamente per questo. Neanche un briciolo di responsabilità sapeva assumersi, quell’idiota. Neanche in quel frangente.
 
Cambiai direzione al mio sguardo.

Bellatrix era seduta invece vicino a quella che doveva essere sua sorella. Anzi, lo era, perché la conoscevo. Aveva la mia stessa età, frequentavamo le lezioni assieme.

Come al solito, Bella, in quel momento, mi ignorava completamente. Ma lei, almeno, sembrava felice. E se lei era felice, lo ero anch’io per lei...

Tirai un sospiro triste e malinconico e mi alzai per andare incontro alla mia punizione. Tutto questo per colpa di Rod e delle sue stupide bravate.

Raggiunta la sala trofei, al terzo piano,  aprii la porta e subito gemetti nel vedere l’enorme quantità di trofei che conteneva quella stanza lunga decine e decine di metri. Forse anche centinaia.

Mi ci sarebbero volute ore…

Avevano preparato un secchio, dell’acqua e del sapone per lucidare il tutto. Anche il pavimento. E infatti una delle scope usate per il Quidditch, ma sicuramente incantate in modo che fossero delle scope inutili babbane, era appoggiata alla parete. Tutto era lì pronto per me.

Sbuffai dalla noia, presi l’attrezzatura e mi diedi da fare. Prima cominciavo, prima finivo: era una delle poche cose che mio padre, quelle rare volte che era al castello Lestrange, mi diceva per spronarmi a mettere in ordine in camera nostra. Io lo facevo naturalmente. Rod invece viveva senza pensieri.

Dovevo aver iniziato da circa un’ora, ed ero arrivato a pulire un terzo del corridoio e un terzo dei trofei, quando la porta in fondo alla sala si aprì.

Oh quale grandiosa e piacevole sorpresa nel vedere Bella dall’altra parte.

“ Mi è giunta voce che ti trovavi qui, Rab” disse

“ Sono qui, per colpa di Rod” risposi imbronciato, mentre pulivo per terra. “ Chi ti ha detto dove mi trovavo?”

“ Silente se l’è lasciato sfuggire…”

Avanzò piano, guardandosi attorno. Colsi il suo stupore nello sguardo: era evidente che non avesse mai messo piede lì prima d’ora.

“ Tuo fratello ti usa?” domandò ad un tratto, tornando a fissarmi. Ormai era abbastanza vicina da poterla fissare bene e sentirne il profumo sui lunghi capelli neri.

Sospirai.

“ Più che usarmi, sono io che mi metto nei guai per coprirlo” risposi amaro.
 
“ Non ti piace ciò che combina Rod, con la banda, eh?” domandò come se la sapesse lunga.

“ E tu come fai a saperlo?” chiesi, a mia volta stupito dalla sua preparazione all’argomento.

“ Suvvia… è così evidente quanto siate diversi voi due”

“ E chi preferisci tra me e lui?” domandai, non riuscendo più a resistere a quel tormento tremendo che mi assillava giorno e notte.  Sentii il cuore che aumentava il battito.

Ad un tratto, dopo aver terminato la domanda, mentre aspettavo la sua risposta con ansia, ebbi la sensazione che addirittura mi scoppiasse nel petto.

Bella sorrise, mentre si avvicinava ancora un poco.

“ Te, naturalmente”  disse sorridendomi. Un sorriso bellissimo che mi fece andare in brodo di giuggiole.

Allungai la mano verso di lei, ma subito lei si ritrasse un poco, ridacchiando sferzantemente.

“ Faresti tutto per me?” domandò facendosi desiderare

“ Certo, Bella. Tutto quello che vuoi” risposi

“ Allora…” si avvicinò e mi sussurrò piano: “ Prendi uno di quei trofei e fallo a pezzi per me. Poi potrai avermi. Distruggilo” 

Il modo in cui pronunciò l'ultima parola, con un sussurro tremendemente tentatore, mi distolse ogni dubbio e ogni resistenza dal farlo. Sapevo che era male, che avrei passato altri guai. Ma la prospettiva di avere Bella tutta per me, finalmente, spazzò all’istante ogni genere di esitazione. Presi il trofeo più vicino, una specie di diadema, e lo scaraventai con forza sul pavimento.

Quello si ruppe in mille pezzi.

Appena sollevai lo sguardo, un misto tra terrore e esaltazione, feci che avvicinarmi avidamente a Bellatrix, ma lei rise di nuovo, provocante e sfrontata, e scappò via, lasciandomi solo con il danno fatto.

Maledizione”.

Ora ero solo terrorizzato. Era uno scherzo, e io ci ero cascato. E tutto perchè la desideravo.  Frugando nelle tasche della divisa mi ero anche ricordato di non avere, dietro con me, la bacchetta.Il fatto che dovessi svolgere tutta la punizione senza l’uso della magia mi aveva desistito nel portare con me la mia bacchetta, che era rimasta nella sala comune.

Sempre in preda al terrore, sperando che nessuno entrasse, men che meno un insegnante, scappai via a gambe levate, al fine di tornare poi lì e riparare il danno che avevo fatto a causa di una stupida cotta non ricambiata.
 
Sentii dei passi lungo il corridoio. Vidi, appena in tempo, una  specie di rientranza della parete e mi ci intrufolai lì dentro, per quanto me lo consentisse la mia corporatura robusta. Mi fermai ad origliare. Era Rod con Wilkes. Parlavano di me, era ovvio. Non appena sentii il mio nome, pronunciato da quello scemo di mio fratello, mi concentrai con maggiore attenzione su quello che avevano da dire.

“ Hai visto che scemo? Ma come si permette Rabastan a trattarti in quel modo?  Senza contare dello schiaffo che mi ha dato. La prossima volta gli tirerò un pugno in faccia, così…”

“ Shh. Ho sentito qualcosa… se conosco un po’ Rab ci giurerei che ci stia ascoltando”

“ Ma no, figurati… quel gorilla sta in punizione. A proposito Rod: perché non hai rivelato nulla alla McGranitt a cena, stasera?”

Un attimo di silenzio nella quale Rod fulminò con lo sguardo il suo compagno amico, come se lo avesse oltraggiato.

“ Ma sei fuori?” domandò arrabbiato e incredulo di come il suo complice avesse mai potuto domandare una cosa del genere. “ Non sono mica stupido da farmi beccare, eh? E poi penso: meglio Rab, di me. Fidati. Io in punizione non mi ci farò mai mandare, puoi giurarci. Piuttosto scaricherei le colpe sul mio caro fratellino”

Digrignai i denti appena sentii mio fratello dire quelle cose e le mani possenti tornarono a prudermi come se volessero colpire nuovamente. Ma stavolta, seppure con grande fatica, mi riuscii a trattenere. Non avevo alcuna intenzione di buscarmi un’altra punizione, stavolta meritata. Sapevo che Rod ne avrebbe goduto e dargli quella soddisfazione era una cosa al quale non ci tenevo affatto.

“ Sai che quello che a me interessa è dominare qui dentro. E uno che si fa beccare così facilmente, un onesto per dirla tutta, che razza di leader può essere?”

“ Non dovremmo però parlarne qui, in mezzo a tutti i ritratti. Andiamo nella nostra Sala”

Rod per una volta fu d’accordo e tutti e due se ne andarono a progettare i loro stupidi piani futuri di dominio.

Udii anche un piccolo intervento circa i membri della banda: “ Dovremmo aggiungere gente, tu non credi Rod?”

“ Si… ma al momento mi andate bene voi tre: tu, Avery e Mulciber. Altri se ne aggiungeranno mano a mano, ne sono sicuro. Ma sarò sempre io il capo e tutti voi dovrete chiedere conto a me di ogni cosa”

“ Certo amico mio. Sarà fatto secondo il tuo volere”

Si abbracciarono vicendevolmente come amici per la pelle, ed effettivamente lo erano.

In tutto questo, avevo momentaneamente scordato il motivo per cui era scappato via dalla Sala Trofei e mi ci volle qualche istante a rimettere a posto i vari pezzi del puzzle. Quando lo feci, mi seccò dover dirigermi nello stesso luogo dove quei due avevano intenzione di andare, ma non ebbi altra scelta.

Entro mezzanotte il lavoro doveva essere terminato. La McGranitt mi aveva detto quella mattina che a quell’ora sarebbe venuta personalmente a visionare il tutto. E, se non l’avessi fatto, la sera successiva avrei avuto un’altra punizione.

Mi pentii in quel momento per aver coperto quell’idiota, impedendogli di cavarsela come al solito.

Arrivai nella sala comune, intenzionato a prendere solo ciò che mi serviva e tornare il prima possibile nella sala trofei. Presi quello che avevo lasciato e, ignorando i sussurri sicuramente schernenti di quegli idioti di Rod e dei suoi amichetti, tornai laddove avevo combinato il disastro.

Mancavano solo dieci minuti alla venuta della McGranitt a controllare il lavoro fatto.

Riparai il danno e aspettai l’arrivo della prof, la quale non si fece attendere oltre l’orario fissato e, squadrandomi col solito cipiglio severo, da sopra gli occhiali, strinse le labbra e disse:” Bene Lestrange. Sembra che sia tutto apposto”

Diede una rapida controllata alla sala, per verificare quanto detto,  e poi aggiunse: “ C’è qualcosa che devi dire?”

Lo so io cosa dovrei dire professoressa. Ho fatto tutto questo lavoraccio per coprire quell’idiota di Rod affinchè non subisse lui quello che ho subito io. E guardi come mi ha ringraziato:  fregandosene altamente. E io che pensavo, ingenuamente, che mi avrebbe rimproverato per essermi assunto tutte le colpe…

“ Signor Lestrange?” domandò ancora, ma io non stavo a sentirla, immerso nei miei sfoghi pensierosi

Ora io vorrei tanto dirle la verità, professoressa. Vorrei che quell’idiota si sapesse assumere le proprie responsabilità. A volte mi sembra davvero che il maggiore tra i due sia io e non lui”

“ Signor Lestrange? Sta sentendo? Le sto chiedendo se…”

“ No, professoressa. Non le devo dire nulla. Ho capito la lezione di stasera. Le assicuro che non accadrà più”

E senza guardarla negli occhi, mi voltai e la lasciai lì. Non sapevo neanche se l’avessi davvero convinta, ma al momento non mi importava.

Ancora una volta non ero riuscito a mettere Rod nei guai per le colpe che lui stesso compiva. Dovevo subire sempre io le conseguenze.

Mi chiedo se tutto questo, un giorno, avrà finalmente fine.
  


 

 
 
 

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Capitolo 46
*** Ricerca origini parte II: la sala prefetti ***


Riddle aveva assistito alle ultime settimane osservando attentamente ciò che accadeva attorno a lui. L’incidente commesso dalla banda di Serpeverde non l’aveva più di tanto impressionato, anzi la riteneva una cosa di poco conto. Niente di particolarmente malvagio. Non sapendo come fossero andate nel dettaglio le cose, successivamente, aveva comunque apprezzato il fatto che i responsabili non fossero stati individuati.
Rodolphus e gli altri amichetti, in quello erano stati furbi.
Presto comunque si sarebbe messo in moto anche lui e avrebbe fatto vedere davvero come compiere malefatte lì dentro, senza farsi scoprire. Questi di Rodolphus e dei suoi amichetti erano mezzucci da principianti.
Nel frattempo, però, ben altro era il pensiero incombente nella mente di Tom Riddle.  
“ Devo scoprire qualcosa in più riguardo la mia famiglia”
“ Devo scoprire chi sono veramente. Chi sono i miei genitori e perché non mi hanno cresciuto con loro. Forse sono morti? Non lo so…devo scoprirlo”

Questo cose, Riddle, se l’era ripetute per tutta la notte, senza riuscire a chiudere occhio se non per pochi minuti ogni volta.
Il mattino dopo si svegliò piuttosto stanco e di pessimo umore. Doveva comunque dimostrare di essere sveglio, perché i suoi professori lo volevano sempre pronto a rispondere anche alle domande sulle lezioni apparentemente senza risposta. Scese a colazione e quando giunse in Sala Grande rimane di stucco quando vide che le colazioni, per qualche strana ragione non erano ancora preparate.
Quelle stupide creature insignificanti…” pensò con rabbia tra sé riferendosi agli elfi.
Della colazione, di per sé, poco gli importava, dato che non mangiava mai. Quello che voleva però è che quando entrava il re, cioè lui, tutto doveva essere pronto secondo il suo desiderio.
Stava ancora riflettendo tra sé, quando qualcuno lo urtò con talmente tanta violenza che per poco non perse l’equilibrio.
Ancora più infuriato si voltò.
Riddle per la sua età era lo studente più alto del corso, oltre che il più bravo. Ma in quel momento, dovette fronteggiare uno che era alto almeno trenta centimetri più di lui. Non abituato a guardare verso l’alto e vagamente infastidito del fatto che esistesse uno più alto di lui, alzò lo sguardo e quasi inorridì.
“ Oh… mi vuoi scusare? A me mi dispiace…”
La persona che aveva parlato aveva una foltissima barba nera che sembrava un cespuglio da giardino. Riddle pensò che, se mai l’avesse voluta tagliare, avrebbe dovuto procurarsi una motosega…
“ Non si dice a me mi… barbone” esclamò infastidito. Non gli faceva paura quella cosa che aveva davanti. Anzi, il fatto che non sapesse neanche parlare correttamente, figuriamoci pronunciare correttamente gli incantesimi, lo mise nelle condizioni di ritenerlo una creatura inferiore a lui.
“ Che cosa essere? Come chiamare tu?” domandò, poi, più forte Riddle, in modo che potesse essere udito…” Con tutta quella foresta potrebbe avere anche le orecchie tappate. Poi chissà da quanto tempo non si lava…”
La cosa rimane piuttosto perplessa nel sentirsi parlare in quel modo. Tuttavia, senza far polemica alcuna, rispose: “ Rubeus Hagrid… sono uno studente del primo anno. Sono un Grifondoro”
La razza peggiore…
“ Senti scimmione: oggi non sono dell’umore adatto. La prossima volta che osi urtarmi…”Riddle lasciò in sospeso la frase con un sibilo minaccioso
“ Tu come ti chiami?” domandò Hagrid senza aver dato segno di aver udito le minacce di Tom.
“ Non sono affari tuoi” rispose l’altro secco e diretto.
“ Eddai… voglio diventare amico tuo. Tu non vuoi diventare amico mio? Non ho neanche un amico…”
“ Neanche io. E se è per questo, neanche mi interessa averne uno. Ora sparisci”
Ma quello non scomparve. Anzi, gli tirò una pacca sulla schiena di cui avrebbe portato i segni per settimane intere. Riddle stavolta non riuscì a restare in piedi e cadde in avanti.
“ Ma dico… ma come ti permetti?”  domandò, affannoso, alzando uno sguardo carico d’odio verso l’alto, da terra.
“ Dai… io ti prego di accettare questa mia amicizia. A te ti sto simpatico, immagino. Tu a me mi stai simpatico. Mi sembri un bimbo intelligente. A me non mi vuole nessuno, perché pensano che sono diverso da loro… che sono un mezzogigante”
Riddle sentendosi definire “bimbo” trasalì. Ma come osava? Quell’Hagrid già gli stava antipatico di prima vista, avendo subito notato che non possedeva alcuna abilità magica; ora lo odiava davvero. Si trattenne dall’ usare la magia contro di lui, poiché sarebbe finito nei guai e sarebbe stata una mossa molto azzardata. Però non potè non insultarlo con i peggiori epiteti che riuscisse a inventarsi. Al che Hagrid, disperato, scoppiò in lacrime e scappò via con il pavimento che tremava ad ugni suo passo pesante.
Hagrid non si presentò né a colazione, quando poi fu effettivamente pronta, né a pranzo, né a cena quella sera.
Riddle quasi non ci fece alcun caso: le persone poco meritevoli, con lui, non ne attiravano le attenzioni.
Quella sera, massaggiandosi la schiena, ancora arrossata da quell’atto di deliberata violenza contro il suo adorato corpo, da parte di quel citrullone barbuto, aveva tra l’altro rinunciato ad associargli l’immagine dello scimmione, perché: “ uno scimmione ha più neuroni nel cervello, rispetto a costui”; decise di trovare altre informazioni riguardo suo padre.
Riflettè e ricordò dove doveva cercare: la sala prefetti. Suo padre avrebbe potuto essere tranquillamente un prefetto, d’altronde un mago abile e nobile come lui, come non poteva non esserlo?
La sala prefetti era la stanza dove generalmente si radunavano i prefetti nella riunione iniziale, dove si prendevano le spille e veniva loro spiegato, generalmente dai prefetti più anziani, il compito e l’enorme senso di responsabilità che doveva avere un prefetto.
Si trovava, se non andava errato, al terzo piano, vicino alla biblioteca.
Il piano era lo stesso dell’altra volta: avrebbe atteso che tutti dormissero e poi sarebbe sgattaiolato fuori. E così fece. A mezzanotte uscì di soppiatto, senza farsi vedere e raggiunse il secondo piano.
Ma quando fece per dirigersi verso la biblioteca vide che non tutti erano a letto. La persona più vicina a Silente che insegnava lì, Minerva McGranitt, stava passeggiando per i corridoi controllando che tutti fossero nei propri letti. Per sfortuna di Tom, quella donna sveglia lo vide.
Si avvicinò. A differenza di Bella, verso la quale la McGranitt aveva sin da subito mostrato una sorta di reciproco odio, verso Riddle anche lei, insieme agli altri, era alquanto folgorata dalla abilità mostrata da Riddle, tant’è che anche in Trasfigurazione egli aveva il massimo dei voti.
Perciò quando lo vide, invece di arrabbiarsi come avrebbe fatto con chiunque, la sua fu, invece, colta di sorpresa.
“ Tom… per l’amor del cielo. Cosa ci fai sveglio a quest’ora? Dovresti essere a letto”
“ Lo so, professoressa...” rispose Riddle fingendosi pentito. “ Ma… volevo dare una mano nel controllare che tutti fossero nei loro dormitori”
“ Beh… è molto… molto disciplinato da parte tua Tom. Ma sei anche tu uno studente e non un insegnante, un caposcuola o un prefetto. Magari  diventerai tutte queste cose, un giorno…”
Riddle non disse nulla. Fece solo un piccolo sorriso e chinò il capo in segno di cortesia.
“ Tom, capisci che non posso permetterti di distinguerti dalla massa, solo perché sei il nostro studente migliore. Su… fila a letto”
Dopo una piccola pausa riflessiva Riddle propose: “ Se le facessi vedere un po’ di magia trasfigurativa che ho imparato per conto mio, in questi giorni, mi permetterebbe di restare sveglio ancora un paio di minuti?”
“ Oh.. e cosa vorresti mostrarmi?” domandò la McGranitt un po’ curiosa e un po’ stando al gioco.
“ Incantesimi di Evocazione e Evanescenti”
La McGranitt lo fissò incredula, alzando le sopracciglia sottili.
“ E’ magia avanzata, questa Tom… roba del livello dei G.U.F.O e dei M.A.G.O. E tra le più ardue in cui verrete valutati in questi esami…”
“ Un permesso fuori orario, professoressa, prevede una prova altrettanto ardua. Ogni cosa ha un suo prezzo, professoressa. Io ho stabilito questo prezzo, per la possibilità di avere questo privilegio rispetto agli altri. Però, professoressa, vorrei che questo privilegio non fosse solo per questa notte, ma per tutta la durata della mia carriera qui”
“ Se riuscirai a fare quello che mi hai detto di saper fare. Va bene…ci sto”
Riddle attese.
“ Il mio chignon. Il laccio con cui lego i capelli. Se riuscirai a farlo scomparire e ricomparire senza tralasciare nulla, alcun dettaglio, allora potrai fare quello che devi fare. Hai un solo tentativo per entrambi gli incantesimi”. La McGranitt lo guardò quasi con sguardo di sfida e divertita, sapendo che era praticamente impossibile che Riddle riuscisse nell’impresa. L’altro invece rimaneva tranquillo e impassibile, per nulla impressionato dalle condizioni poste dall’insegnante.
Estratta la bacchetta, la McGranitt toccò appena il chignon e il laccio con cui legava i capelli a formare quella particolare acconciatura si levò. Subito i capelli della professoressa caddero liberamente lungo le spalle.
Porse a Riddle il laccio, piuttosto lungo e sottile, e questi lo afferrò. Estrasse la bacchetta si concentrò un attimo e disse piano: “ Evanesco
Il laccio che teneva in mano, scomparve all’istante. Soddisfatto Riddle sollevò lo sguardo verso la McGranitt che era si impressionata, ma non più di tanto.
“ Ora l’incantesimo di Evocazione, Tom. E’ più difficile questo…un solo tentativo”
“ Evocatus” .
Il laccio ricomparve.
La McGranitt, esterrefatta, riprese il laccio e lo osservò bene, abbassando anche gli occhiali che portava sul naso per vederci meglio e assicurarsi che non stesse immaginando la cosa. Non mancava alcun dettaglio, pareva davvero che non fosse mai scomparso. Poi si rivolse a Riddle.
“ Sono…sono semplicemente senza parole Tom. Davvero… non immaginavo che conoscessi già roba fuori dal vostro programma. Non l’ho mai fatto, ma stavolta sono costretta: venti punti a Serpeverde per ciascuno dei due incantesimi riusciti. Totale quaranta punti.  Informerò Albus”
“ Allora, professoressa? Posso andare?”
“ Un patto è un patto Tom. Hai vinto la scommessa… fai quello che devi fare, ma promettimi che appena finito, tornerai nella tua sala comune”
La McGranitt scese la scalinata e Riddle proseguì lungo il corridoio.
Camminava a passo svelto e deciso, tuttavia sembrava quasi volteggiare a mezzaria: non faceva il benchè minimo rumore, sperava soltanto che nessun altro seccatore gli sbarrasse la strada. Camminò quasi correndo, fino a quando non vide una porta in fondo al corridoio chiusa a chiave. Gli bastò toccare la maniglia che quella si apri, come se avesse riconosciuto la mano che l’aveva toccata. All’ingresso era segnata la scritta: “sala prefetti”. Entrò.
La sala prefetti era molto diversa da come se l’era immaginata: molto più grande.
Era una sala dal pavimento a scacchiera, con colonne a sorreggere le architravi gotiche che si innalzavano verso il soffitto anch’esso in stile gotico. Torce infuocate illuminavano il tutto; non c’erano candele.
Avanzò, dapprima un po’ incerto, poi con maggiore sicurezza, rimproverandosi di essersi lasciato impressionare; a lui nulla doveva impressionare di quel luogo: era casa sua.
E poi non aveva tempo per lasciarsi sviare: doveva trovare quella lista e non se ne sarebbe andato se non prima l’avesse trovava e avesse indagato.
Si guardò attorno nel silenzio più totale. Udiva soltanto il suo respiro profondo e calmo.
Ad un tratto, finalmente, la individuò: in fondo alla sala, seminascosta da uno scaffale ricolmo di libri il cui contenuto era ignoto.  
In realtà era un vero e proprio arazzo che ricopriva buona parte della parete. Riddle si avvicinò. Quell’ala della stanza era la più buia, infatti le torce lì non illuminavano quasi a voler dare a quell’arazzo una sorta di segretezza e di nascondiglio da occhi indiscreti.
Tom estrasse allora la bacchetta e fece luce sufficiente a poter leggere. C’erano centinaia di nomi, di ogni casata, di ogni epoca. Fortunatamente avevano pensato bene di suddividere il tutto per casate altrimenti la ricerca sarebbe stata eterna.
Riddle cercò il ramo Serpeverde, la casata dove, era sicuro, sarebbe dovuta appartenere al padre e cominciò a leggere i vari nomi dai più antichi:
Salazar Serpeverde
Barone Sanguinario
Phineas Nigellus
Armando Dippet

**********************************************************
Antonin Dolohov
Nott
Augustus Rookwood

**********************************************************
Walden Mcnair
Niente.
Rilesse nuovamente la lista. Niente di niente.
Cominciò ad avere qualche dubbio. Possibile che il suo grandioso padre non fosse neanche prefetto? Oltre a non avere alcuna menzione per trofei vinti? Infatti neanche nella sala trofei aveva trovato alcun riferimento a lui.
Che razza di padre aveva? Un mago che non aveva neanche l’onore di essere prefetto. Cominciò un po’ a vergognarsi per lui, ma ancora non arrivò a metterne in dubbio la frequenza presso Hogwarts. Doveva per forza essere stato lì, aver frequentato le lezioni, dormire sotto quel tetto, un tempo.
Certo il suo nome: Tom Riddle non gli sembrava il nome di un mago. Ma quello non significava nulla. Quanti maghi avevano un nome normale? Centinaia.  In fondo anche quelli presenti in bacheca non erano granchè, erano nomi quasi comuni, non ispiravano grandezza…potere. Se fosse stato per lui, si sarebbe scelto un nome ben più particolare di tutti quelli lì presenti.
Si sentì frustrato e pieno di domande. Non aveva risolto nulla. Cercò di calmarsi e di individuare la prossima mossa, ma fu interrotto da un movimento di zampe.
Proveniva dall’altra parte della sala. Si avviò in quella direzione per verificare chi o cosa diamine potesse essere il seccatore e lo individuò in un gatto.
Era lì immobile che lo fissava. Era probabile, anzi ne era certo che fosse di proprietà di uno dei prefetti e sbadatamente l’avesse dimenticato lì dentro.
Un gesto, un fiotto di luce scarlatta e il gatto fu sollevato da terra, miagolante e terrorizzato, e sbattè violentemente contro la parete. Una, due, tre volte… fino a quando la violenza dei colpi non fu tale da ucciderlo.
Poi quando fu sicuro che non si sarebbe più svegliato, lo fece stendere per bene sul pavimento e con un altro gesto venne trasformato in un cumulo di cenere. La spazzò via e non rimase traccia alcuna, come se il gatto non ci fosse mai stato.
Aveva sfogato la rabbia e la delusione della ricerca, sull’animale. Non vi sarebbe mai ricaduta la colpa su di lui per la perdita di quel patetico gatto, poiché avrebbe potuto essere ovunque in fondo e non lì per forza in quel momento. La colpa era soltanto del suo proprietario, chiunque fosse.
Dopo aver fatto fuori quella seccatura che aveva osato fissarlo in faccia in un momento di collera. Odiava che lo si fissasse durante i suoi momenti di rabbia. E poi odiava gli animali, tranne i serpenti ovviamente. Aveva fatto fuori un coniglio ai tempi dell’orfanotrofio più o meno per lo stesso motivo.
Rimettendo a posto la bacchetta, gettò un ultimo sguardo colpo di disprezzo verso l’arazzo, come se fosse tutta colpa sua che non ci fosse il nome che stava cercando, e uscì dalla sala.
Sapeva che le possibilità di ricerca stavano man mano esaurendosi, tuttavia veramente non volle credere al peggio. Perché altrimenti sarebbe stato davvero il sommo disonore.
Come l’avrebbe presa Bellatrix? Si era tanto vantato di esserle superiore, di farle addirittura da maestro e poi? Come avrebbe reagito se avesse saputo veramente la verità indesiderata? Il fatto di non possedere il suo stesso sangue puro?
Certo… avrebbe potuto tacerle la verità per sempre. In fondo era pur sempre una sua serva e non era assolutamente autorizzata a sapere ogni cosa di lui.
“Ma di quale verità stai parlando, mio caro?”  pensò. “ Io sono il figlio di un mago molto potente. Il fatto che non sia stato né prefetto, né vincitore di alcun premio non significa nulla. Tu sei figlio di maghi, Tom. Questa è la verità”
E si autoconvinse della cosa.  


NOTE DELL’AUTORE

Eccomi qui. Ringrazio chi è riuscito ad arrivare fino a qui e ringrazio moltissimo Ecate, BellatrixBlack17 e AliceRiddle7 per le recensioni.
Ho da dirvi una cosa riguardo questo capitolo: qui vediamo Tom che prosegue nella sua ricerca del ramo paterno. Stavolta decide di indagare nella sala prefetti. E’ uno dei tre luoghi, insieme alla biblioteca e la sala trofei, citati da Silente nel sesto libro quando spiega appunto a Harry delle sue ricerche sul padre. Mi manca a questo punto il terzo e ultimo luogo di ricerca: la biblioteca nei manuali di Storia della magia.
Quello che volevo dirvi è questo: mi sembra di ricordare, dai libri, che non vi è in nessuno una descrizione della sala prefetti, un po’ perché la storia è incentrata tutta su Harry e un po’ perché questi non diviene prefetto, né tantomeno caposcuola. Allora ho deciso di darvi una descrizione di come l’ho immaginata. Spero che sia di vostro gradimento.
Non ho altro da dirvi, se non buona lettura e buona settimana a tutti!! 
  




  

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Capitolo 47
*** Terrore da strega ***


 Dal grimorio di Bellatrix: “ Terrore da strega”


 
Rabastan era un povero illuso. Si autoconvinceva che lui piacesse a me e io, grazie a questa sua convinzione, ottenevo da lui tutto quello che desideravo.
Non passava volta che io desiderassi qualcosa e lui, dopo la promessa che mi sarei abbandonata tra le sue braccia, se avesse esaudito il mio volere, obbediente, eseguiva la mia richiesta.
E così andò avanti per intere settimane.
Era talmente facile piegarlo al mio volere che dopo un po’ la cosa risultava persino noiosa e quasi provai pena per lui. Cupo ed introverso, costantemente costretto a vivere all’ombra del fratello più grande, Rabastan aveva la faccia dell’eterno sfigato, del ragazzo di animo gentile e premuroso nei miei confronti, tanto quanto brusco con Rod.
Intuivo vagamente che tra loro vi era una sorta di guerra indiretta per avermi. Forse lo stesso Rod non sapeva neanche che il suo fratellino aveva anch’egli una cotta per me. Decisi di tenerlo all’oscuro. Ripeto: Rab mi faceva pena e nonostante tutto mi ci stavo un po’ affezionando ai suoi futili tentativi di conquistarmi. Nella peggiore delle ipotesi, li avrei comunque usati come arma a vantaggio personale.
Quindi perché informare Lestrange dei miei sospetti? Se l’avessi fatto tutto questo divertimento sarebbe finito e io non volevo che cessasse, almeno non ora.
Comunque poteva rimanere tranquillo: Rod non aveva alcuna possibilità di conquistarmi. Io amavo solo una persona: il mio maestro. Nessun altro avrebbe preso il suo posto, anche se dovessi rimanere in eterno sola, senza nessuno, grazie a questa mia fiduciosa e illusa attesa.
“ Eccellente signorina Bellatrix”
Credo di avere un altro ammiratore, stavolta adulto. Un insegnante per la precisione: Horace Lumacorno.
Io e il mio maestro ci facevamo a gara su chi riusciva a impressionarlo maggiormente. Lui però è comunque un gradino più in alto.
Io ogni tanto mi concedevo una pausa prendendo una O “Oltre Ogni Previsione”. Lui invece non scendeva mai dall’ ”Eccellente”.
Quella volta dovevamo preparare la Pozione Antilupo. Era di una banalità quasi disarmante e noi due, io e il mio maestro, fummo i soli a prendere i voti più alti.
Il nostro rapporto nelle ore di lezione, era tuttavia, molto diverso da quello che avevamo quando eravamo soli. Quasi distaccato. Pensai che lo facesse apposta per continuare a non destare alcun sospetto o per qualche suo piano mentale strano. Non ebbi comunque mai l’opportunità, e forse anche la voglia, di chiederglielo.
Se avevo un ammiratore nel prof di Pozioni, lo stesso però non si poteva dire per gli insegnanti di Trasfigurazione, la McGranitt e in quello di Incantesimi, Vitiuos.
Sebbene i miei voti, specie in Incantesimi, fossero costantemente eccellenti, avevo il vago sospetto che Vitiuos un po’ mi odiasse. E questo, soprattutto, dopo ciò che è accaduto la lezione passata.
Dovevamo esercitarci con la pratica sul nuovo argomento affrontato: gli schiantesimi. Inutile dire che, un po’ grazie a mia madre che da piccola mi esercitava nel praticarli e soprattutto grazie alle lezioni avute con il mio maestro, gli schiantesimi erano la mia specialità. Il mio pane quotidiano.
L’esercitazione consisteva nel fare una specie di duello uno contro uno, lanciandosi schiantesimi uno addosso all’altro. Vi era un vincolo stretto da rispettare però: ovvero che era proibito lanciare più di un solo schiantesimo contro l’avversario. E in più questo schiantesimo si sarebbe parzialmente indebolito grazie ad un sortilegio scudo creato apposta dal professore come una sorta di protezione per colui che sarebbe stato attaccato.
Inutile dire che questa eccessiva precauzione, sin da subito, non mi piacque affatto. Per come la pensavo io, i duelli dovevano svolgersi senza protezioni create apposta per indebolire gli attacchi avversari. Le protezioni bisognava crearsele da sé.
Provai a farlo presente, ma Vitiuos mi stoppò seccato: “ E’ necessario, signorina Black. Non vogliamo incidenti qui”
Feci una smorfia delusa e seccata e sbuffai. Tutto troppo piatto e monotono, non ci si poteva divertire…
In più a me capitò proprio un avversario che sin da subito cominciò a canzonarmi e a provocarmi. Era un grifondoro. Un piccolo inutile grifondoro, facevamo lezione con loro, forse anche mezzosangue. Li odio.
C’è solo una cosa che odio più dei mezzosangue: un grifondoro mezzosangue. La combinazione peggiore.
Insomma questo vermiciattolo continuò a provocarmi, senza che tali provocazioni recassero il benchè minimo disturbo al professore: quando si dice che a Hogwarts non vi sono favoritismi…
Gli lanciai il mio schiantesimo che puntualmente venne indebolito dal sortilegio e invece di volere via, come avrei voluto che facesse e come meritava, cadde semplicemente a terra.
Quando si rialzò continuò a prendermi in giro circa la mia bravura nel praticarli e che gli avevo solo fatto il solletico.
Mi promisi allora che, lontana da sguardi indiscreti e senza protezioni, questa volta, avrebbe visto la vera me. Se l’era cercata e io, naturalmente, non potevo far finta di nulla.
Anch’io caddi a terra in quel patetico modo di duellare, non appena mi colpì con il suo fascio rosso di luce, e poi tornammo al posto in attesa che provassero anche gli altri.
Quando suonò la campanella, tenni d’occhio il mio compagno di duello e mimetizzandomi nella folla lo seguii di soppiatto.
Si avviò verso il parco.
Era una calda giornata primaverile. Uscita anch’io, senza che lui mi vedesse,  non badai affatto ai capelli che mi erano svolazzati alla folata di vento che colpì il mio viso.
Il grifondoro camminava guardandosi, di tanto in tanto, intorno, come se cercasse qualcuno, ma mai alle proprie spalle. Non volevo colpirlo da subito, volevo prima vedere che intenzioni avesse.
Quel qualcuno, poco dopo, lo raggiunse. Dalla somiglianza reciproca tra loro, capii che doveva per forza trattarsi del fratello. Biondo e magro come lui, a differenza dell’altro che io seguivo, indossava la tuta da Quidditch. Era anche più grande, doveva infatti essere del quinto o sesto anno..
Intuii vagamente il dialogo tra loro.
“ Portala a Baston, questa. Digli che si è rotta perché quello scemo di Amycus ci ha lanciato contro il Bolide. Se non fosse stato per questa” e fece cenno alla mazza distrutta “ che gli ha deviato la traiettoria, probabilmente, sarei sotto i ferri di Madama Chips”
Gli porse la mazza, che l’altro prese. Poi il fratello minore, azzardò un tono compiaciuto e rivelò: “ Sai cosa ho fatto oggi ad Incantesimi?”
“ No” rispose l’altro, vagamente curioso.
“ Ho tenuto testa a Bellatrix Black. Quella più brava del corso e quella che odia i babbani e i mezzosangue”
Francamente non so come facessero loro a conoscermi così bene, io per ciò che riguarda loro, non li conoscevo affatto. Però io sono io e gli altri per me, non contano nulla. Io ero famosa ai loro occhi, loro, ai miei, non lo erano affatto.   
La bugia però non mi piacque. Il suo finto trionfalismo senza specificare una cosa fondamentale: perché Vitiuos aveva voluto così, mi mandò in bestia.
“ Davvero? Bravo fratellino. Mi congratulo con te”
“ Già… bravo davvero” intervenni io.
Quando mi videro, tutti e due impallidirono. Tuttavia entrambi cercarono di non mostrarsi spaventati e il più piccolo, quello da me inseguito, disse: “ Ti ho tenuto testa una volta, posso farlo di nuovo se vuoi”
Sorrisi.
“ Solo perché mi sono dovuta trattenere: ero controllata a vista”
“ Anch’io mi sono trattenuto, altrimenti saresti finita male. Molto male, te lo assicuro”
Mi piaceva la sua sicurezza. Ostentava il ridicolo, ma dava un po’ di pepe alla situazione. Dopo una mattinata di noia completa a lezione, avevo voglia di divertirmi un po’. Di testare i miei poteri di strega. Chissà magari proprio con gli schiantesimi, visto che eravamo in tema.
“ Non mi fai paura, Bellatrix. Non fai paura a nessuno. Fai tanto l’arrogante, ma sappiamo tutti che le tue sono solo minacce vuote”
“ Vuoi che proviamo? C’è solo un modo per scoprirlo”
Tirai fuori la bacchetta e l’altro, dopo un attimo di esitazione, fece altrettanto.
“ Dennis, no. Non ne vale la pena”
Il maggiore cercò di convincere il minore, di non agire. Intelligente il maggiore…
“ Stai tranquillo, Daniel. So come tenerla a bada. Devi fidarti di me”
Del fratellino più piccolo, purtroppo, non posso dire altrettanto. Peccato…
“ Avete finito di fare le vostre compiante considerazioni?” incalzai.
“ Certamente” rispose lo sfidante ed estrasse di scatto la bacchetta.
Mi guardò, con sguardo carico di sfida. Non era più, però, allegro e canzonante come quella mattina. Gli leggevo la tensione e la paura nello sguardo. Ora che, finalmente, ci sfidavamo come volevo io, senza inutili protezioni e accorgimenti vari da parte di un fedele del preside. Avrebbe trionfato la meritocrazia, questa volta.
“ Stupeficium”  tentò goffamente.
Glielo parai tranquilla e beata.
“ Tutto qui?” domandai, ridendo.
“ Dennis… ti prego… lascia perdere” implorò il fratello maggiore, afferrandolo per un braccio. “ Non sai cosa può farti e se ti succede qualcosa, nostro padre…”
“ No. Ha voluto la sfida, per mettere le cose in chiaro e io l’accetto. Non mi farà nulla, perché sarò io a vincere”
“ E’ il mio turno ora?” domandai guardando prima uno e poi l’altro. “ Molto bene. Guarda e impara, moccioso”
Lo schiantesimo che gli lanciai lo fece volare, senza che lui avesse neanche il tempo di accorgersene.
Atterrò di peso una decina di metri più in là. Com’era diverso e molto più divertente il tutto rispetto al mattino…
“ Dennis” gridò il maggiore cercando di corrergli incontro per soccorrerlo.
“ Oh no… non vi sarà alcun salvataggio” dissi e con un gesto della bacchetta, immobilizzai il soccorritore.
Era una questione che riguardava solo noi due. Gli altri erano di impiccio. In quel momento non volevo essere fermata né interrotta neanche dal mio maestro, figuriamoci il patetico fratello maggiore dell’altro.
Quando colui che avevo colpito, si rialzò a fatica e vide il suo simile, più grande, pietrificato, riprese un poco di coraggio e minacciò: “ Tu non devi azzardarti a toccare mio fratello”
“ Oh davvero?” feci la finta dispiaciuta, gettando uno sguardo falsamente addolorato verso colui che avevo immobilizzato: “ Beh… mi sembra di averlo appena fatto”
Doveva essersi davvero arrabbiato, perché mi lanciò una fattura inaspettata che mi colpì al braccio, facendomi male.
Aveva toccato un nervo scoperto: mai attaccare Bellatrix Black senza preavviso. Se prima quasi stavo al gioco, stavolta mi arrabbiai sul serio.
Una furia incontrollata mi esplose nel petto. Sentii l’energia crescere incontrollabilmente dentro di me, di pari passo con la collera. E quella energia la trasferii alla bacchetta.
Lo schiantai una, due, tre volte. Senza neanche dargli il tempo di riprendersi e mentre lo facevo dentro di me sentivo crescere l’esaltazione: mi beavo dei miei poteri, delle mie capacità.
Tolta Alecto, quella fu la seconda volta che attaccai qualcuno, qualcuno diverso da me. E non ne ero affatto pentita. Anzi mi esaltavo, scoprivo quanta energia avessi dentro di me, e probabilmente non era neanche tutta. E questa energia me l’aveva creata il mio maestro, grazie alle sue lezioni al secondo anno e scoprivo che poteva essere liberata quando e come volevo.
Probabilmente avrei dovuto imparare a sprigionarla tutta, visto che forse quella che liberavo non era la totalità, ma solo una parte, forse persino piccola.
Fatto sta che quella piccola liberazione energetica fu comunque sufficiente a metterlo KO e la terza volta che toccò il suolo dopo essere stato schiantato, non si mosse più.
“ Che è successo qui? Minerva, vieni subito”
Era Silente e veniva di corsa verso di noi. Vide me con la bacchetta estratta e gli altri due, uno pietrificato e l’altro schiantato.
La McGranitt sopraggiunse qualche istante dopo, seguita dal professor Vitiuos.
“ C-che d-diavolo è successo?” urlò la McGranitt, rivolta verso di me, disperata.
“ Stia tranquilla, professoressa” rassicurai con una smorfia disgustata e crudele: “ Non è morto… anche se avrei voluto che lo fosse”
“ Sei… sei la figlia del diavolo, signorina Black. Albus dobbiamo portare tutti e due da Madama Chips, per accertamenti. Vitious, tu porta la signorina Black da Horace. Temo che avrà un po’ da fare per punizione…”
Silente nel frattempo aveva annullato la pietrificazione su Daniel e stava ridestando Dennis.
Mi sentii trascinare dal piccolo professore di Incantesimi e, devo essere sincera, dovetti fare un grande sforzo di autocontrollo, perché non lo prendessi a calci, facendolo volare esattamente come Dennis colpito dal mio schiantesimo. Un sudicio folletto, gnomo o quello che fosse che osava toccarmi?
Lumacorno, come al solito, però fu particolarmente bonario e a parte qualche compito di qualche studente che corressi per lui, non mi punì oltre. Lumacorno non amava dare punizioni, specie agli studenti serpeverde.  Alla fine fu persino piacevole, correggere i compiti e scoprire che nessuno era stato bravo come lo ero io.
Quella giornata che si era un po’ rovinata a causa del tempestivo intervento dei professori, aveva comunque avuto dei vantaggi positivi. La voce della mia aggressione agli altri fece il giro della scuola, e per due o tre giorni non si parlò d’altro per i corridoi del castello.
Se qualcuno prima di quell’aggressione aveva sentito dire che Bellatrix Black era la ragazza bella e affascinante che seduceva gran parte dei suoi compagni di corso, da quel giorno alla bellezza fisica si aggiunse anche il sadismo. E tutti gli altri si resero conto che Bellatrix poteva anche essere una bellissima
ragazza, ma se provocata poteva diventare forse più pericolosa che bella. Abbastanza pericolosa da ridurre una persona quasi in stato di incoscienza.
E da quel giorno, specifico, tutta la scuola, compresi anche alcuni nostri compagni di serpeverde, cominciarono a guardarmi con occhi diversi: gli occhi di chi teme, davvero, una futura strega oscura.


 

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Capitolo 48
*** Indagini fallite ***


Dal grimorio di Andromeda: “ Indagini fallite”


 
Vi è mai capitato di avere dei compagni con cui proprio non riesci a legare? A me sì. E proprio qui ad Hogwarts.

La casa a cui ero stata assegnata, inizialmente mi piaceva. Ma alla lunga cominciai a vederla come una sorta di corpo estraneo per me. Serpeverde è una Casa essenzialmente maschilista, non sono viste di buon grado le ragazze.

All’inizio pensavo che mi ci sarei ambientata con il passare dei mesi, anche in virtù del fatto che il loro grande credo, la purezza del sangue, fosse anche in me rispettata e acclamata. Ma in realtà sono passati ormai due anni praticamente e ancora non sono riuscita a legare con nessuno, a parte i membri della famiglia: Bella ed Evan.
  
Più volte ho tentato di impostare il dialogo con alcuni miei compagni di tavolo, ma non c’è stata volta in cui non mi fossi sentita dire, tra una risata e l’altra: “ Ehi bambola… perché non ti siedi qui e ci racconti come sono le tue prestazioni sul letto?”

Solo l’arrivo di Bella, la quale ultimamente ha assunto una visione temeraria agli occhi di tutti gli altri, interrompeva questa brutta presa in giro nei miei confronti.

“ C’è qualche problema?” domandava sempre, guardando gli altri dall’alto in basso. Quelli allora scuotevano la testa, abbassavano lo sguardo e tornavano a parlare tra loro, gettando di tanto in tanto occhiate terrorizzate verso mia sorella maggiore.

“ Molto bene, allora. Se c’è qualcuno che vorrebbe provare sul proprio corpo, i poteri della mia bacchetta… mi faccia un fischio. Ciao, ciao ragazzi” e sorridendo, salutava gli altri i quali assumevano dei veri e propri sguardi terrorizzati e scuotevano energicamente il capo, allorchè mia sorella domandava loro se volessero provare, a loro spese, i suoi poteri. Dopodichè mi prendeva con sé e mi portava via, lontano da loro.

“ Ti sei guadagnata il rispetto, Bella” le dissi, la prima volta che prese le mie difese.

Lei sorrise senza dire nulla.

“ Bella, però non esagerare mi raccomando. Nostra madre non vorrebbe mai che si disonorasse la nostra famiglia”

“ Si, si, si” mi canzonava annoiata lei. “ Si… ho capito Dromeda: dobbiamo mantenere l’onore della famiglia e comportarci come antichi e nobili membri della casata. Si ho capito…”

Sbuffava dalla noia e, poi, tornava maliziosa: “ Ma a te, Dromeda, non viene mai voglia di giocare un po’? Voglio dire… liberarsi un po’ da questa noia mortale che è il buon costume di famiglia?

La guardai negli occhi.

“ No” risposi ferma e convinta in quel che dicevo.  “ No, Bella. E neanche tu dovresti”

Appena le dissi questo, lei però cambiò subito tono e atteggiamento. Avrei dovuto ricordarlo: se c’era una cosa che Bellatrix non sopportava era sentirsi dire ciò che doveva fare. Lei era uno spirito libero e pretendeva che restasse sempre tale.

“ Sai” mi rimproverò con un tono ben più duro di prima: “ A volte mi chiedo davvero se siamo sorelle”

Incassai il colpo che mi aveva inferto, era infatti una delle cose peggiori che potesse dirmi: mettere in dubbio il nostro sangue comune.   Ma finchè si trattava di parole buttate lì in un momento di rabbia, non me la prendevo più di tanto.

“ Bella” la ripresi: “ Bella, sai che ho ragione. Non ti ho chiesto di rinnegare il nostro credo, come sai inorridirei se un mezzosangue mi chiedesse l’amicizia, figuriamoci qualcosa in più. Ti sto solo chiedendo di moderare un po’ i tuoi modi di fare. Ricordati che siamo sorvegliati. Non fare sciocchezze”

Ma lei rimase zitta e non mi guardò neanche, facendo finta che non esistessi. Era rimasta offesa.

Decisi di spostare il nocciolo della conversazione ad un altro argomento.

“ Come va con Rodolphus? Gli hai fatto sapere della tua intenzione?”

Lei scosse in modo impercettibile la testa senza dire nulla.

“ E quando pensi di farlo sapere?”

Altro errore. Bella mi guardò in cagnesco.

“ Ma è possibile che tu non riesca a farti gli affari tuoi? So io quando farlo, non devi dirmelo te, che neanche sai chi mi ha chiesto di farlo e perché” si stoppò, mettendosi una mano davanti alle labbra, impallidendo e rendendosi conto di aver detto fin troppo.

“ Ah ahaaa… allora c’è un altro dietro tutto questo. Non è così sorella? Stai obbedendo alle richieste di un altro? O altra, magari?” dissi scoprendo le sue carte.

“ Ho detto questo?” Bella ora era sulla difensiva.

“ Si. Hai ammesso che lo stai facendo per qualcun altro o altra”

“ No… non è vero” disse, stavolta arrossendo.

“ Oh si, invece. E sentiamo chi sarebbe costui?”

Mi misi a braccia conserte sopra il tavolo e attesi la risposta. Vidi Bella guardarsi attorno, lievemente spaventata sebbene facesse di tutto per non darlo a vedere.

“ Nessuno. Lo faccio perché voglio farmi degli amici, tutto qui. Non ho altri motivi. Ti fidi di me, almeno?”

Dopo una lunga pausa nella quale ci fissammo negli occhi l’un con l’altra, annuii.

“ Si. Mi voglio fidare”

“ Bene” fece lei, e parve rilassarsi nel momento in cui lo disse.

Se pensava che potesse usare i suoi giochetti di prestigio per farmela bere, si sbagliava di grosso. Avrei indagato naturalmente. Avrei cercato di scoprire con chi diavolo si vedesse e chi diavolo si azzardasse a dare ordini a mia sorella. Doveva essere comunque uno o una molto convincente, perché mia sorella non avrebbe preso ordini dal primo che incontrava nei corridoi del castello. Anzi, nessuno lì dentro avrebbe sottomesso Bellatrix Black ai propri voleri; semplicemente perché sarebbe finito gambe all’aria, per dirla tutta.

Il nostro dialogo mattutino finì lì e poi ognuno prese la propria strada per le consuete lezioni mattutine.

A lezione mi trovavo sempre a mio agio, mi piacevano tutte le materie. Non avevo preferenze tra una o l’altra e, anzi, le trovavo quasi sollevanti: alleviavano le preoccupazioni su mia sorella, mi facevano dimenticare che non avevo stretto alcuna amicizia con gli altri della casa a cui appartenevo e altre cose…

Quella sera, decisi di restare vigile e attenta. Bellatrix generalmente dormiva nella stanza di sotto, nel dormitorio. Se si fosse alzata, per uscirne fuori, per qualsiasi motivo,  l’avrei senz’altro udita. Perciò decisi di far finta di dormire fino all’alba se fosse stato necessario.

Non avevo assolutamente creduto al suo misero tentativo di rimangiarsi le cose che, imprudentemente, aveva rivelato quella mattina. Dovevo vedere con chi si incontrava la notte e non avrei desistito fino a quando la mia curiosità non fosse stata soddisfatta.

Sopraggiunse però un imprevisto quella notte: Bella non si alzò affatto. Non passò nella stanza in cui dormivo, insieme ad altri, e non sgattaiolò assolutamente fuori dalla propria stanza.

Imprevisto che si ripetè anche la sera successiva e quella dopo ancora.

Per tre notti, in pratica, non dormii affatto e gli effetti della mia prolungata insonnia cominciarono a verificarsi nei momenti meno opportuni: durante le lezioni, ad esempio; oppure durante i pasti. Cadevo addormentata attirando sguardi stupiti e quasi sconcertati, da parte di tutti.

“ Signorina Black. Di cosa stavamo parlando?”

Inutile dire che la McGranitt, tra tutte, fu quella che si accigliò più degli altri per il mio comportamento durante la lezione.

Dal momento che non avevo ascoltato nulla fino ad allora, tranne giusto i primi dieci minuti, non seppi rispondere alla sua domanda; il che mi costò la bellezza di venti punti in meno a Serpeverde e una settimana di punizione nell’ufficio della prof.

Le punizioni consistettero nel riordinare in ordine alfabetico decine e decine di fogli di pergamena usati per i compiti di Trasfigurazione dei vari studenti della scuola. Il primo giorno dovetti riordinare quelli del primo anno, il secondo giorno quelli del secondo, cioè i miei e quello dei miei compagni, e così via. Sette anni per sette giorni. Era un compito semplice, ma particolarmente noioso, che ogni volta mi faceva uscire da quell’ufficio con in mente solo e soltanto fogli di pergamena ovunque: bastava che mi girassi a destra e alla mia destra comparivano fogli di pergamena. Alla mia sinistra, idem.

Quella notte decisi di darci un taglio. Avrei dormito, a scanso di combinare altri guai. Con quella che si apprestava ad iniziare, sarebbero state ben dieci sere che non dormivo come avrei dovuto.

Mi sembrava di aver chiuso gli occhi da poco, quando qualcosa o, per meglio dire, qualcuno urtò accidentalmente il mio letto.

“ Uh..oh… chi è?”

Nessuna risposta.

Aprii meglio gli occhi, adattandoli all’oscurità, e intravidi una sagoma con i capelli lunghi.

“ Bella, sei tu?” sussurrai.

Ancora nessuna risposta. La sagoma parve proseguire la sua marcia verso la sala comune.

“ Bellatrix, rispondi. Sei tu?”

Dopo una lunga pausa, nella quale la figura parve bloccarsi di colpo, sentii dire un: “si, sono io” piuttosto imbronciato e annoiato.

“ Che diavolo pensi di combinare Bella a quest’ora? Sono le tre del mattino…” la rimproverai, sbottando, in silenzio.

“ Devo andare a bere, stupida” fu la scusa che s’inventò senz’altro.

“ Vengo con te. Voglio vedere quello che hai intenzione di combinare” la minacciai e mi alzai a sedere in fretta e furia. Indossai gli stivali e mi alzai in piedi.

“ No” disse di scatto.

“ Si, invece” la contraddissi io in tono di sfida.

“ Io…ti odio” mi minacciò lei

“ Odiami pure” le risposi io. “ Ma non lascio mia sorella da sola col rischio di prendersi altre punizioni, perché beccata non a letto e, per giunta, insieme ad un altro o altra”.

Lei rimase zitta, al che io ne approfittai per avvicinarmisi a lei.

“ Sei solo una stupida… spia”.

Continuò a insultarmi con tutti gli insulti che le passavano per la mente, ma a me non importava nulla. Dovevo arrivare a capo della cosa, in un modo o nell’altro. E ci sarei arrivata. In questo ero proprio uguale a Bella: non demordevo assolutamente prima di aver ottenuto ciò che mi ero messa in testa di ottenere.

Scendemmo insieme, nel mentre che continuavo ad ignorare le sue isteriche, quanto infantili e viziate, imprecazioni,  verso la sala comune laddove, avevo capito,  era diretta.

Arrivati lì, mi sorpresi nel non vedere nessuno. Mi guardai attorno, in ogni angolo della sala. Non c’era nessuno.

Allora, forse, era vero quello che mi aveva detto mia sorella: non doveva vedersi con nessuno ed era lì solo per bere. Mi voltai verso di lei.

“ Scusami Bella, ma sai… dovevo farlo per esserne sicura”

Lei mi lanciò un’occhiata terribile e capii all’istante che stava trattenendosi solo perché ero sua sorella, altrimenti avrei avuto la fine che ricevevano tutti quelli che osavano pararle davanti, tra lei e il suo desiderio: irrimediabilmente schiantati.

Dopo aver dato un ultimissimo rapido controllo, mi voltai e senza avere il coraggio di guardarla negli occhi, tornai nel dormitorio più stanca e confusa che mai.
 
 
 





                           


 

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Capitolo 49
*** Il centro dell'attenzione ***


Dal grimorio di Alecto: “ Il centro dell’attenzione”


 
 
Quando avevo scelto di essere amica di Bellatrix pensavo che fosse più facile essere notata. Pensavo che tutti cominciassero ad adocchiarmi. E, invece, tutt’altro. Mi deridevano. I miei compagni di anno, di Serpeverde, mi chiedevano sempre più spesso perché mai avessi deciso di farmi amica la più bella ragazza della scuola, nonché la più terribile. E quando risposi loro dicendo che me l’ero fatta amica perché potessi essere notata, quelli risero ancora di più.

Dovette intervenire Amycus sul perché mi stessero prendendo in giro e quelli, tra una risata e l’altra, risposero dichiarando che la bellezza di Bellatrix offuscava la mia, perché ero più brutta di lei e perciò l’averla vicina a me, ne risaltava ulteriormente la differenza. Questo era il motivo per cui passavo inosservata agli occhi degli altri.

“ Invidiosi” brontolavo tra me e me, ogni volta.

Cominciavo a dubitare della riuscita del mio piano, cominciavo davvero a pensare che quella che io volevo che diventasse mia amica, in realtà non lo potesse mai diventare davvero, perché mi rivaleggiava in tutto. Eravamo troppo diverse, in ogni cosa: dal modo di vestire, dal portamento e dai modi di parlare, di ridere e di comportarsi.

Tuttavia feci finta di non vedere questa luce della verità che cominciava a lampeggiarmi chiara nella mente e decisi di non prendere quelle parole dei miei compagni come verità, ma solo come espressione di invidia nei miei confronti, perché io avevo come amica Bellatrix Black, la più intelligente e dotata tra le studentesse, mentre loro passavano inosservati ai suoi occhi.

Era ormai estate e io dovevo prepararmi per gli esami dei G.U.F.O sempre più imminenti. Mancava soltanto una settimana agli esami e ancora non mi ero esercitata nella pratica degli incantesimi, come al solito.

Ma di studiare, sinceramente, non ne avevo molta voglia. Complice anche le belle giornate soleggiate e calde, mi andava di uscire per andare ad Hogsmeade.

Così, dopo neanche un’ora da quando avevo aperto i libri, decisi di rimandare all’indomani e mi preparai per uscire.

Mentre lo facevo, un ragazzo alto e magro dalla carnagione estremamente pallida, quasi bianca, mi passò di fianco. Lo urtai involontariamente. Mi voltai subito per scusarmi, ma non riuscii a proferire parola. Ebbi un brivido di terrore nel sostenerne lo sguardo. In quegli occhi c’era qualcosa che mi incuteva timore.
 
Erano occhi neri, come i capelli che gli ricadevano su essi,  con qualcosa di veramente oscuro dentro. Non c’era luce in quello sguardo, era inespressivo. Vidi, però, le sue labbra contrarsi in una smorfia di sdegno e disgusto alla mia vista, come se la mia presenza non fosse a lui gradita,  e subito si allontanò senza dirmi nulla. Il tutto si era svolto in circa mezzo minuto.

Un po’ stordita dall’incontro silenzioso, mi sistemai per bene. Non sapevo minimamente chi fosse quel ragazzo o almeno, non l’avevo mai notato veramente prima di quel giorno. Non avrei mai immaginato quello che, da lì a cinque-sei anni , quello stesso ragazzo, avrebbe cominciato ad esercitare su di me.
 
Era estremamente bello anche. Però capii subito che per lui, io non avevo lo stesso effetto.

Lasciai, perciò, perdere.

Mentre mi cambiavo, stavolta nel dormitorio femminile, mi venne un’illuminazione: se mi fossi vestita come colei che avevo di fianco nelle nostre uscite, magari avrei avuto qualche chances in più.

Cominciai quindi a cambiare me stessa. A pettinarmi i capelli come li pettinava Bellatrix, a vestirmi come Bellatrix, segretamente le presi persino alcuni indumenti dal suo armadietto personale, con l’intenzione di indossarmeli, ma poi desistetti all’idea di farlo, col timore che si sarebbe arrabbiata.

Però mi promisi che quando sarei diventata maggiorenne, avrei davvero comprato gli indumenti che metteva lei e li avrei indossati a mie spese. I capelli, invece, decisi di mantenerli consueti: più chiari, più ondulati e più corti di quelli di Bellatrix.

“ Ma come ti vesti?” domandò Amycus quando gli mostrai l’effetto che facevo.

“ Non ti piace? “ domandai, piuttosto contrariata. Io invece, non mi ero mai sentita così bella.

“ No. Perché vuoi assomigliare a tutti i costi a quella ragazzina viziata?”

Inutile dire che Amycus non condivideva affatto la nostra amicizia o quello che era.

Il motivo per cui volevo assomigliarle lo sapevo solo io e neanche mio fratello doveva saperlo. Non volevo che lui pensasse che fossi una che non aveva alcuna stima di sé stessa, che fossi una sciocca. Volevo che mi vedesse come la sorella perfetta.

“ Quella ragazzina viziata è mia amica, Amycus. E, sebbene, tu sia mio fratello, non sei né mio padre né mia madre. Decido io cosa indossare”

“ Sorella, quella ragazza ti ferirà. Scoppierai dall’invidia quando vedrai che tutti questi patetici tentativi di sembrare lei, non funzioneranno. Ti prego, riprenditi la tua personalità Alecto, non cercare di essere quella che non sei”

Scossi la testa. Mio fratello non capiva come stavano le cose. Non capiva che non volevo essere come Bellatrix, ma volevo ricevere le attenzioni che aveva Bellatrix.

Entrarono di nuovo i miei compagni di corso e alla vista mia, scoppiarono a ridere ancora più fragorosamente rispetto a quanto fatto al mattino in Sala Grande.
 
“ Quanto sei brutta. Sembri una befana”

Come si capisce, non avevo fatto amicizie con gli altri. Sin dal primo anno, venivo sempre scartata in tutto: dal Quidditch, quando vi erano le selezioni, al lavoro di gruppo nelle aule di Pozioni e nelle Serre di Erbologia. Ero l’ultima risorsa e questo mi feriva quotidianamente. A volte mi domandavo se fossi proprio io, Alecto Carrow, il problema di tutto. Non capivo se fossi sbagliata io, oppure lo erano gli altri nel prendermi in giro in ogni singolo istante.

Amycus che di solito mi difendeva sempre dagli attacchi degli altri, quella volta però non lo fece. E, anzi, diede persino loro ragione.

La ferma convinzione che, nonostante tutto ciò che di cattivo potevano pensare gli altri, fossi nel giusto mi fece andare avanti.

L’appuntamento con Bellatrix era fissato per il calar del sole. Saremmo andati a farci il nostro giretto quotidiano per le vie di Hogsmeade, il quale ultimamente si concludeva sempre allo stesso modo: Bellatrix che finiva per ubriacarsi e io che dovevo accompagnarla al castello, quasi sorreggendola.

Non capivo perché diamine si ubriacasse ogni volta, diceva di voler essere amata. Ma da chi, se aveva tutto quello che voleva ai suoi piedi? Cosa mai poteva desiderare più di quello che aveva? A volte era davvero incomprensibile e anche terribilmente fastidiosa… Aveva tutto in lei, io non avevo niente.

“ Non è che ti ubriachi anche stavolta, spero…” osservai io piuttosto seccata, al che lei sentendo il mio tono insolitamente acido si voltò a fissarmi, quasi stupita.

“ Si può sapere perché lo fai? Perché ti ubriachi ogni volta? Hai preso questa brutta abitudine…”

“ Non sono affari tuoi” tagliò corto lei, ma la vidi arrossire lievemente.

“ Dici che vuoi essere amata. Ma da chi?”

“ Senti se siamo amiche solo perché vuoi indagare nella mia vita, possiamo anche chiuderla qui”

“ Non c’è bisogno che ti arrabbi. Le amiche si dicono tutto” protestai io. Ma capii subito di aver detto la cosa sbagliata. Lei si indignò, mi piantò in asso e si allontanò a rapidi passi, offesa.

E’ proprio una bambina viziata… Tanto abile con la bacchetta, ma altrettanto ingenua senza.

Devo comunque dire che neanche io ero dell’umore giusto per stare in compagnia quel giorno, sia per le prese in giro che avevo ricevuto al mattino dai miei compagni a causa del mio abito, sia perché la stessa Bellatrix, appena mi vide conciata in quel modo trattenne a fatica le risate. Segno che anche lei disapprovava totalmente.

Ma a me non interessava affatto: non m’importava cosa pensavano gli altri. Io avevo deciso che ovunque fossi andata, d’ora in avanti, avrei usato gli abiti di Bellatrix.

Perciò, sbuffando, la seguii verso il villaggio. No, non aveva ripreso la strada del castello. Non avrebbe potuto farlo, poiché il castello era vuoto al momento a parte quelli del primo e del secondo anno.

“ Dove ti eri cacciata? Ti ho cercato dappertutto” le dissi, quando la trovai dopo una mezzora buona a vedere dove fosse. Avrei dovuto immaginarlo, poiché era finita al solito locale di sempre ma, essendo strapieno di gente, inizialmente, non l’avevo notata.

Aveva buttato giù già due bicchieri di acquaviola. A stomaco vuoto, per di più. Il fatto che  succhiasse con una cannuccia, mi diede ancora più fastidio rispetto a che li avesse bevuti normalmente.

Da ragazzina arrogante…

Chiusi gli occhi tentando di calmarmi, di evocare la pazienza. Perché con lei di pazienza ce ne voleva molta.

“ Che diavolo stai facendo?” le domandai esausta ad un tratto. La vedevo infatti, brilla senza alcun dubbio, che giocava con i ghiaccioli della sua bibita ormai prosciugata. Li passava da una mano all’altra e quelli come per magia, si scioglievano dopo pochissimi secondi.

Che strano... io non avevo quel potere. Sentii un moto d’invidia che tentai di reprimere.

E lei, nel frattempo, rideva mentre lo faceva. Oh se rideva… La sua risata sferzante ricopriva da sola, quasi, il trambusto creato dagli altri. La situazione stava nuovamente degenerando. Avrei dovuto portarla fuori, altrimenti avrebbe potuto spazientire qualcuno.

E poi al colmo della invasione alcolica nel suo corpo magro, disse qualcosa di cui non capii affatto il concetto. Qualcosa del tipo: “ Maestro, vogliatemi così come sono. Sono solo vostra, al vostro cospetto. Fatemi questo piacere, vi supplico…”

Era pazza. Maestro? E chi era questo maestro? Si era presa la cotta per un professore?

La presi per un braccio, ma lei si divincolò dicendo che voleva essere portata via solo dal suo maestro.

“ Io sono la tua maestra”

Mi guardai attorno e mi resi conto, sfortunatamente, che in quel pub c’erano solo studenti.

“ Dannazione, i prof li trovi ovunque quando non dovrebbero esserci e nel momento del bisogno non ci sono mai” sbottai rabbiosa tra me.

“ No. Voglio il mio maestro”

“ Va bene. Lo vado a cercare questo maestro. Aspetta qui”

Mi feci largo tra la folla, maledicendomi che avrei potuto passare un pomeriggio tranquillo, invece che uscire con una psicopatica in evidente bisogno di attenzioni.

Trovai per puro caso Lumacorno che stava bevendo una burrobirra ai Tre Manici di Scopa e nel frattempo, chiacchierava animatamente con il barista.

Bellatrix poteva anche non aver avuto la classica infatuazione adolescenziale nei riguardi di Lumacorno, in fondo chi mai si sarebbe innamorato di un tricheco? Però era l’unico professore con cui, in ormai cinque anni di vita quotidiana a  Hogwarts,  avevo stretto un legame, diciamo, amichevole? Di stima reciproca? Possiamo definirlo così…

“ Professore… signore?”

Lumacorno interruppe la conversazione e si voltò a guardarmi con la schiuma che gli copriva i baffi da tricheco.  Li pulì con un tovagliolino alla svelta e domandò, tra il curioso e il preoccupato: “ Wendy… a cosa devo il piacere?”

Tentai di non dare troppo peso al suo fraintendimento del nome. Lumacorno aveva la dannata capacità di dimenticare i nomi dei suoi allievi meno brillanti, tra cui c’ero anche io.

“ C’è un piccolo problema con una sua allieva signore. Bellatrix. La conosce?”

“ Per la barba di Merlino, si. Cosa le è successo?”

“ Vuole essere portata via da un professore, perché ci è andata dentro con l’alcol… sa… questi giovani…”

Lumacorno fece una faccia sofferente.

“ La signorina Bellatrix non è la prima volta che si ubriaca. Anche l’anno scorso ho dovuto portarla via. Fortuna è che quel giovane straordinario di Tom Riddle mi aiutò in quella circostanza. Lo vado a chiamare se vuoi…”

Io che non sapevo chi diamine fosse questo Tom Riddle, o almeno, all’epoca, non sapevo chi fosse, risposi: “ No, signore. E’ urgente. Bellatrix vuole solo lei”

Lumacorno un po’ contrariato dalla mia decisione, ma ugualmente convinto dalla mia foga e della gravità della situazione si alzò  e mi chiese dove si trovasse la mia amica.

Lo guidai al locale e dopo esserci nuovamente fatti larghi tra i presenti, aiutammo Bellatrix a rialzarsi in piedi e insieme, sorreggendola noi due, non che ce ne fosse bisogno data la sua corporatura piuttosto magra, la portammo via.

E dentro di me, di nuovo provai un senso di impotenza e invidia verso l’altra: ancora una volta sebbene avessi cercato di essere come lei, quella al centro dell’attenzione era sempre Bellatrix. Non so se farmela amica sia stata una buona scelta. 








 

 

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Capitolo 50
*** Il trionfo di Rab ***


Dal grimorio di Rodolphus: “ Il trionfo di Rab”


 
Oggi si gioca la finale di Quidditch.

In altri tempi, certamente, ciò mi avrebbe dato noia ma solo perché allora ero un bambino. Ora nel volo sono diventato uno dei migliori della squadra. La squadra di Serpeverde è composta di soli maschi, le donne non sono considerate all’altezza. E direi, anche giustamente.

In fondo, non passa giorno che senta dire da loro che il Quidditch è roba per masochisti e gente in cerca di attenzioni, segno evidente che a loro non piace affatto. Ecco quindi la giustificazione della nostra convinzione che il Quidditch sia soltanto uno sport per maschi. Le altre squadre non ragionano così, soprattutto quelli di Grifondoro aperti a ignobili e ripugnanti mescolanze di sangue. E infatti oggi giochiamo contro di loro. Li dobbiamo distruggere, dobbiamo loro fare del male e, forse, non solo nel senso sportivo del termine.

Siamo primi in classifica in vantaggio di settanta punti. Ciò significa che per vincere dobbiamo farlo cercando in ogni modo di afferrare il boccino, perché senza quello quei vigliacchi ci sorpasserebbero e la coppa sarebbe la loro. Serpeverde non perde la Coppa del Quidditch da più di cinquant’anni e noi dobbiamo proseguire la striscia vincente. Dobbiamo farlo per Salazar.

Abbiamo una squadra formidabile che però, a volte, è poco unita, perché uno vuole prevalere sull’altro. Io sono uno dei più accesi e non passa giorno, specie da quest’anno, in cui non metta le mani addosso ad un mio compagno di squadra perché non la pensa come me. Molte volte, infatti, deve intervenire il capitano chiamato Flint per separarci.

Stamattina, com’è prassi quando si giocano le partite, a colazione di hanno dato fette di pane tostato triangolari e un uovo in un’immagine totalmente simile ad un anello del campo da volo.

“ Oh mi raccomando Rod… distruggeteli” si accertò Mulciber a colazione.

“ Stai tranquillo. Non finiranno vivi la partita” gli risposi, finendo in fretta e furia. Ero sempre il primo, della banda, a finire le portate. Gli altri erano terribilmente lenti.

“ Dai che ce la farete. Creeremo un inferno dagli spalti”

Io lo ascoltavo per metà. In realtà stavo già pregustando la vittoria finale. Perché si, avremmo vinto. Ne ero sicuro, come il sorgere del sole al mattino.
 
Mi diressi agli spogliatoi dopo aver salutato i restanti membri della banda e attesi gli altri miei compagni di squadra. Sentivo nel frattempo la tensione che aumentava in me e la paura che non ce la facessimo, per un attimo, mi offuscò la mente. Tentai di cacciarla, autoconvincendomi che se le cose avessero cominciato ad assumere una piega inaspettata, non avremmo esitato a ricorrere alle maniere forti.

La coppa doveva essere nostra ad ogni costo.

Quando ci fummo cambiati, vidi Flint che mi fece cenno di avvicinarglisi.

“ Tu, oggi, non giochi” buttò lì, quando fui vicino a lui.

Ebbi un attimo di elettroshock alla notizia, data senza alcun preavviso.

“ E perché?” domandai cercando di trattenere la collera e l’incredulità, sperando che fosse un brutto scherzo.

“ Silente è sugli spalti e dobbiamo porre un freno alle nostre… inclinazioni violente”

“ Non avrai paura di quel vecchio, spero”

“ No… ma ho paura di quello che può farci se vedesse che siamo disposti a tutto pur di vincere. Dobbiamo farlo lealmente”

“ Ma che diamine ti prende? Lealmente? Sai contro chi giochiamo, vero?” gli urlai contro

“ Lo so” rispose gravemente lui. “ Ma so anche che la vittoria meritata è molto più gratificante di quella farlocca. Dimostreremo a quel vecchio amante dei mezzobabbani e babbani che Serpeverde può fare a meno di ricorrere all’uso della violenza e anche ad uno dei suoi giocatori migliori. Siamo più forti e lo dimostreremo così. Umilieremo la squadra per cui parteggia quel vecchio, puoi starne certo. E non potranno attaccarsi a nulla. Questa sarà la nostra vittoria”

Fece una pausa e poi disse, quasi temendo la reazione che avrei avuto: “ Rabastan prenderà il tuo posto”

Non capii bene.

“ Rab cosa? Mio fratello prenderà… cosa?”

“ Il tuo posto, Rod. Rabastan prenderà il tuo posto. Stai tranquillo, comunque. E’ solo per precauzione e solo per questa partita”

“ Ma questa è LA Partita. E’ la finale. Non puoi permetterti il lusso di convocare e di far giocare uno che non ha mai cavalcato una scopa. Sarebbe da folli”

“ Vogliamo umiliarli? L’umiliazione prevede anche questo, partire sulla carta in svantaggio e vincere contro ogni pronostico. Non useremo il dolore fisico, Rod. Useremo quello mentale, di gran lunga più efficace e godurioso. Immagina come si sentiranno quelli dell’altra squadra se alla fine a vincere fossimo sempre noi. E Silente non potrà punirci se useremo questo per far loro del male”

L’idea, di per sé, mi piaceva. Non v’era alcun dubbio. Il problema però era riuscire nell’intento. Rab era davvero scarso. Forse, in quel caso, si che avrei preferito che in squadra ci fosse una ragazza: certamente sarebbe stato più facile vincere, alla fine. Però Flint era il capitano e la sua sembrava una decisione impossibile da far cambiare.

“ E mio fratello dov’è?”

“ Sta arrivando. Dovrebbe essere qui tra un paio di minuti. Tu, intanto, svestiti e lui indosserà i tuoi”

“ Non gli stanno. Sono stretti per lui”

“ A questo si può porre rimedio”

Estrasse la bacchetta e in un attimo gli indumenti divennero elasticizzati.
   
Mi ricambiai nuovamente e indossai di nuovo la divisa scolastica.

“ Sei sicuro che funzionerà?” domandai, cercando di autoconvincermi che, nonostante tutto, fosse la scelta più giusta in presenza di quella vecchia spia.

“ Sicuro, come lo sono sempre prima di vincere” rispose, sorridendo fiero. Flint è davvero un gran capitano. Buona parte del merito, se finora abbiamo sempre vinto, è suo. E pensare che all’inizio non eravamo molto ben visti l’uno con l’altro…

Rabastan sopraggiunse da lì a qualche minuto. Come al solito sembrava quasi spaesato.

“ Forza ragazzo. Ho dovuto sudare sette camice per convincere tuo fratello che nonostante te, vinceremo ugualmente. Cerca di non fare troppi danni, intesi?” disse Flint con un tono ben diverso da quello usato fino ad allora.

Non seppi se, minacciandolo, Rab avrebbe effettivamente dato il meglio di sé. Con me, in genere, lo faceva, ma solo perché io sono suo fratello e, nonostante, varie resistenze, ad un certo punto, obbediva. Con Flint dubito che lo avrebbe fatto. Non dissi comunque nulla e passai la tuta da Quidditch a Rabastan guardandolo, come per sincerarmi che stesse bene, ma che, soprattutto, limitasse i danni.

“ Sai come si sale su di una scopa?” domandò Flint sempre piuttosto impaziente.

“ Credo di si” rispose lui

“ Credi? Lo sai o non lo sai?”

“ Si… lo so”

“ Me lo auguro. Sai… io sono abituato ad essere circondato da gente brava e capace. All’inizio tuo fratello, ricorderai, che era un disastro. Poi è migliorato ed ora è uno dei migliori giocatori in squadra, se non forse il migliore. C’è solo un particolare: che quando tuo fratello era scarso la posta in gioco non era così alta. Oggi lo è. Quindi se farai danni, alla fine della gara, dovrai risponderne a noi, chiaro?”

C’erano cinque anni di differenza tra loro due: Rabastan era al termine del secondo anno, era infatti un anno più piccolo di me, e Flint al termine del settimo. Forse, anche per questo, non vidi mai Rabastan impallidire così tanto davanti ad una persona.

Augurando ad entrambi buona fortuna, lasciai loro due soli e mi diressi verso gli spalti.

Gli spettatori avevano già preso posto. Gettai un’occhiataccia in direzione del preside, era tutta colpa sua se non potevo giocare quel giorno, e verso la vicina professoressa Minerva McGranitt. Tra i due, certamente, preferivo la McGranitt, almeno era onesta nel dichiararsi accanita sostenitrice della sua Casa. Silente, invece, faceva il finto tonto, ma lo si vedeva lontano mille miglia per chi parteggiava veramente.

Gli spettatori, divisi in due metà esatte verdi e rosse, a simboleggiare i colori delle due squadre, vedendomi salire ai loro posti, ebbero reazioni opposte. Quelli di Serpeverde cominciarono a sibilare tra di loro e alcuni, anzi molti a dire il vero, divennero preoccupati; quelli di Grifondoro, fecero un boato di trionfo, come se avessero già vinto la coppa. Che idioti…

Presi posto tra i miei compagni di Casa e subito fui assalito da mille domande, una dietro l’altra.

“ Che cosa è successo?”

“ Perché non giochi tu?”

“ Chi gioca al tuo posto?”

“ Ma Flint è pazzo a non far giocare te, Lestrange?”

“ Dobbiamo protestare: se non gioca Lestrange non ha senso guardare la partita”

E via così…

Ammetto che non vidi molto della partita, più che altro perché temevo seriamente che Rab compromettesse davvero tutti gli sforzi che gli altri facevano per cercare di vincere. Una partita senza di me, non era affatto una partita.

“ Ma che diavolo combina, quello grosso?”

Alzai lo sguardo terrorizzato, sapendo a chi fosse riferito. Rabastan, per sbaglio, aveva azzoppato con un Bolide un compagno e ora la squadra era costretta a giocare in inferiorità numerica.

Sentii un esitante: “ Scusate. Non volevo…” da parte sua.

Gettai un’occhiata al tabellone dei risultati. Stavamo perdendo sessanta a venti. Dovevamo assolutamente prendere il boccino, altrimenti la coppa l’avremmo persa. Tutte le speranze erano riposte in Flint.

Lo cercai con lo sguardo e, tempo, che lo individuai, si era gettato all’inseguimento della pallina alata. L’aveva individuato.

BUM.

Un Bolide lanciato sempre da lui: Rabastan, colpì la tettoia degli spalti, creando un buco di un metro di diametro. Per fortuna, i cocci che ne caddero non furono tanto pesanti da infortunare qualcuno. Solo uno, un ragazzino del primo anno, ebbe un lieve taglio alla guancia sinistra.

Pregai che Flint afferrasse in fretta il boccino, in modo da impedire che Rab combinasse altri disastri.

Con la coda dell’occhio, vidi Rab sollevare una mano in direzione nostra, come per scusarsi.

“ Stupido” dissi tra me, scuotendo la testa.

“ Ehi, sacco di patate. Ti vuoi impegnare e dare una svegliata?” sentii gridare uno dei compagni di squadra in direzione di Rab. A me, in fondo, dispiaceva che si rivolgessero così bruscamente a lui, in fondo era pur sempre mio fratello. Però se le cercava proprio, a volte. Era così stupido…

“ Io mi sto impegnando” rispose lui, lamentoso.

L’altro non ribattè, perché impegnato a scagliare un Bolide verso l’avversario.

“ Stai fermo lì e non muoverti per nessuna ragione” ordinò poi, sempre lo stesso.

Vidi Rab obbedire. Forse, per qualche momento, non avrebbe più combinato nulla di sbagliato.

Passarono pochi secondi da quando ciò era accaduto, che mi sentii circondato da una marea verde che mi strattonava e mi urlava contro: “ ABBIAMO VINTO, LESTRANGE. ABBIAMO VINTO LA COPPA”

Lì per lì, non ci volli credere. Avevamo vinto nonostante Rab e nonostante giocassimo con un uomo in meno. Era meraviglioso. Forse uno dei giorni più belli della mia vita. Avevamo avuto la meglio su quei morti di fame e li avevamo umiliati. E questo grazie al nostro immenso capitano che da lì ad una quindicina di giorni, ci avrebbe lasciato.

Vincere senza di lui, sarà dura. Ma ora dobbiamo goderci la vittoria.

Sentii uno SWAM in lontananza, e vidi Rabastan che, involontariamente, forse per festeggiare anche lui, o forse semplicemente aveva perso il controllo della scopa, era andato a tamponare un altro compagno di squadra ed entrambi erano caduti da una decina di metri.
 
Risi tra me, forse dovuto al sollievo per la vittoria, ma sperai anche che non si fosse fatto niente il mio imbranato fratello. Venne soccorso, insieme all’altro compagno e fu portato in infermeria.

Scesi dagli spalti e dopo essermi congratulato con i miei compagni e dopo aver sollevato al cielo la coppa che avevamo meritatamente vinto contro quegli scappati di casa, andai a verificare lo stato di Rab.

Quando lo vidi a letto, ma che stava bene, istintivamente lo abbracciai.

Lui parve sorpreso. Disse: “ Non ero una schiappa secondo voi?”

“ E lo sei stato” risposi io.

“ Allora perché mi abbracci, fratello? Dovresti odiarmi”

Non sapeva quale fosse il piano di Flint evidentemente…

“ Non ti odio, Rab. E sai perché?”

Scosse il capo.

“ Perché con te che hai combinato disastri, abbiamo vinto ugualmente. E questa, fratello, più che una vittoria è un’umiliazione che gli abbiamo dato. Ed è tutto merito tuo…”

Almeno per quella volta, vidi Rab davvero felice e orgoglioso di sé stesso. Erano anni, anzi non l’avevo mai visto orgoglioso di sé stesso, il mio fratello sfigato.

Passarono cinque minuti, dove lui provò a realizzare il fatto che fosse stato utile per vincere, e arrivò una gran folla dentro l’infermeria, tant’è che quella stupida di Madama Chips cominciò a lamentarsi perché voleva una visita per volta. La mandammo sonoramente a quel paese, e tutti si congratularono con Rab per aver contribuito a rendere più goduriosa la vittoria.

“ Questa coppa è principalmente tua, ragazzo. Complimenti. Oggi, come ti avrà detto tuo fratello, non era necessario che giocassi bene, ma che combinassi il maggior numero possibile di danni e che noi vincessimo ugualmente. Li abbiamo non solo battuti, ma addirittura umiliati e Silente non potrà attaccarsi a nulla. E tutto questo è solo merito tuo”

Ci fu un applauso generale nei confronti di Rab. Quello fu il suo giorno di trionfo. Ammisi che qualche battuta di mani la feci anche io… ma giusto appena qualcuna. Sono pur sempre Rod: il suo fratello più grande, più sveglio e anche più furbo. 



NOTE DELL’AUTORE

Siamo ormai giunti quasi alla fine di questa parte. Voglio ringraziare Ecate, Alice e BellatrixBlack per le recensioni che non hanno mancato di farmi e ringrazio voi lettori e anche coloro che hanno messo questa storia tra le preferite e le seguite. Grazie a tutti.
Un avviso volevo darvi, riguardante gli ultimi capitoli di questa parte: saranno 3 capitoli rimanenti tutti incentrati su Tom Riddle. Con questo capitolo, di fatto chiudo quelli che riguardano gli altri personaggi in questa storia. Un fatto accadrà al termine di questa parte, un fatto che ho pensato recentemente e non era contemplato nelle scorse settimane. Mi auguro che questo fatto, venga da voi accolto con piacere senza crearvi eccessivo disturbo. Mi auguro che sia di vostro gradimento.
I dettagli vi saranno, poi, svelati successivamente.
Non ho altro da dire, se non grazie ancora a tutti!!
 
                                      

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Capitolo 51
*** Le Arti Oscure parte II: le piante; le simbologie degli astri; le posizioni lunari astrologiche e le sei facoltà magiche ***


AVVERTENZA: IN QUESTO CAPITOLO I TERMINI TECNICI NON SONO PRESI DALLE CONOSCENZE DEL SOTTOSCRITTO, MA SONO FRUTTO DI CONOSCENZE DELL’UTENTE CIRCE. I TERMINI CONTENUTI IN QUESTO CAPITOLO LI POTETE VERIFICARE VOI STESSI NEL CAPITOLO 4 DEL MAESTRO DI ARTI OSCURE, A CUI QUESTA STORIA FA AFFIDAMENTO.


Nell’ultima settimana al castello venne organizzato un ballo conclusivo di fine anno. Vi partecipavano tutti, e inteso, proprio tutti gli studenti di Hogwarts.
Sebbene l’obbligo di frequenza fosse altamente consigliato uno studente, fra tutti, non vi partecipò. O, per meglio dire, fu presente fisicamente, ma non prese parte alle danze. Odiava i balli, li riteneva sciocche perdite di tempo.  Quel giovane si chiamava Tom Riddle.
Nelle ultime settimane, varie volte, Riddle aveva avuto come la sensazione di essere osservato, tenuto sotto controllo, più che mai, dall’unica persona che ancora non si fidava di lui: il preside Albus Silente.
E quale occasione migliore per sfuggire al suo controllo, nel mentre in cui l’intera scuola era alle prese con una stupida festa?
Resistette comunque alla tentazione di andarsene. Ormai era lì presente, tutti i professori l’avevano adocchiato  e tutti si sarebbero, ormai, resi conto se si fosse allontanato. Perciò fu costretto a rimanere, sebbene odiasse tutto ciò che era costretto ad osservare.
Guarda che mi tocca subire…”  pensò tra sé e sé, scuotendo la testa con disapprovazione: “ aaahh invece di studiare la magia, questi stupidi, badano ai divertimenti. Avessero lo stesso entusiasmo nello studiare la magia, come ce l’hanno in questo istante, divertendosi, il mondo sarebbe un posto migliore. Avremmo finalmente risolto buona parte dei nostri problemi”…
E per problemi, naturalmente, intendeva la predominanza babbana sulla magia. Era  un mondo invaso dai babbani, quello. Un mondo che doveva, presto, cambiare.
Stava ancora pensando a questo ed altro, lamentandosi di tutto e di tutti, quel giorno, quando venne richiamato da uno dei prefetti.
“ Scusa, Riddle. Volevo sapere se avessi visto il mio gatto in giro. Sono settimane che non  riesco più a trovarlo…” domandò ad alta voce, sovrastando la musica a tutto volume.
Riddle osservò la divisa, sulla quale lo stemma presentava un grifone rosso e dorato. Grifondoro…   
“ No. Mi dispiace. Non l’ho visto” rispose brusco, senza guardarlo. Vedere quello stemma lì, davanti a lui, era una tortura forse ancora peggiore dell’assistere a quello spettacolo indecoroso al quale stava assistendo da tutta la mattinata.
L’altro chinò il capo triste e si allontanò, come un cane bastonato.
Naturalmente aveva mentito. Era quasi certo che il gatto in questione, fosse quello che aveva fatto fuori la notte in cui scoprì che suo padre non era in quella dannata lista. Nel colmo della rabbia, per l’amara delusione, aveva ucciso il gatto e si rese conto, ben presto, che neanche a mente fredda si era pentito di ciò che aveva combinato. Non gli piacevano gli animali, li odiava. Aveva solo una naturale ammirazione per i serpenti, con il quale da piccolo ci parlava anche.
Il problema, quel giorno, riguardava più un altro fatto, che non la morte di uno stupido animaletto: l’unica persona con la quale parlava spesso, ultimamente passava ben poco tempo con lui, e mai in presenza di altre persone. La naturale natura bellicosa di Bellatrix stava ormai piano piano uscendo fuori e ciò poteva costituire un piccolo problema: Tom era diverso da Bellatrix, la quale agiva sempre più d’impulso. Tom era più freddo, riflessivo, gli piaceva agire più nell’ombra  che non alla luce del sole, come Bella.
E il fatto che una come lei, si intrattenesse con lui, davanti a tutti, poteva costituire un problema alla sua reputazione che si era ormai creato attorno alla sua persona. Perciò le aveva dato l’espresso ordine di non farsi più vedere assieme a lui, in presenza di altri, specie dopo l’incidente al nato babbano grifondoro, alla lezione di incantesimi.
Ovviamente aveva taciuto il vero motivo: anche una sciocca serva dall’animo debole e malleabile come il suo, avrebbe potuto mostrare qualche segno di alterazione o ribellione se le avesse detto espressamente: “ non vediamoci assieme, perché mi rovini la reputazione”.
Perciò Bella non si fece vedere per tutto il giorno in sua compagnia. Non la vide neanche ballare, ma non se ne preoccupò affatto: Bella era diversa, era destinata ad essere diversa. Era destinata a diventare la strega più potente di tutte le altre. E i balli sarebbero stati l’ultima delle cose che avrebbero dovuto esserle a cuore…
Dopo uno spettacolo di ben otto ore, le otto ore più interminabili che Riddle ricordasse a sua memoria, peraltro ottima, finalmente quello schifo di festa cessò.
Non ricordava mai, né a Hogwarts durante le lezioni, né all’orfanotrofio, di essersi mai addormentato dalla noia per qualcosa. Ovvio: odiava l’orfanotrofio con tutto sé stesso, per le cose che vi erano successe dentro, quando era un bambino, ma non si era mai annoiato nel vero senso del termine. Odio e noia, non sempre viaggiano di pari passo.
Quel pomeriggio, invece, per la prima volta gli capitò di abbacchiarsi leggermente davanti a qualcosa.
Ma quando il tutto finì, si ritrovò più vivo e più sveglio che mai. Si alzò, primo fra tutti, si stiracchiò e andò in direzione della biblioteca.
In quel periodo era, ovviamente, vuota: chi mai avrebbe avuto bisogno di stare in biblioteca l’ultimo giorno, prima della successiva partenza per le vacanze estive?
Prese la bacchetta e fece comparire uno dei libri di magia oscura che stava studiando in quei giorni.
Accadeva un fatto strano, però, mentre studiava quella branca della magia: ogni volta che ne leggeva una parte, pareva che sentisse come una sorta di influsso magico oscuro che gli penetrava nel corpo rendendolo vulnerabile. Passava qualche minuto in preda ai brividi di freddo e al sudore, seppur leggero, che impregnava la sua pelle.
Si sentiva debole, in poche parole. Durava qualche istante e poi tutto tornava normale, come se non fosse mai successo nulla di tutto ciò.
Più volte si era domandato perché mai quei libri gli provocassero tanti disturbi e se esisteva effettivamente un modo per controllarli, quei disturbi, ma non gli venne in mente alcuna soluzione. Chiedere ai professori, ovviamente, non avrebbe avuto alcun senso e sarebbe stato molto imprudente farlo, per varie ragioni…
Aprì il libro e continuò a studiare attentamente ogni singola nozione che esso conteneva.
Ancora non si era cimentato nella pratica delle Arti Oscure e, ancora per un po’ di tempo avrebbe desistito dal farlo.
Le nozioni si susseguivano a ritmi frenetici e mano a mano che apprendeva ne rimaneva sempre più affascinato e sempre maggiormente desideroso di spingersi oltre i limiti.

Non avere mai paura di superare, anzi, sbaragliare i limiti imposti della magia normale  
 
Questo era uno dei tre dettami che aveva da sempre, sin da quando aveva iniziato a studiare a Hogwarts. Ovviamente, ora che stava apprendendo il mondo della magia oscura, sapeva perfettamente che la magia di luce presentava dei limiti, oltre i quali era altamente sconsigliato spingersi.
Che sciocchi ignoranti… la magia va scoperta in ogni singola fonte. E la magia oscura presenta la più grande fonte che la stessa magia ha. E’ la più potente, nonché la più completa tra i due tipi.
Bella ancora non conosceva questo particolare, l’avrebbe scoperto un giorno. Lui le avrebbe fatto da maestro, ma ora era ancora troppo presto…Le avrebbe insegnato i nuovi tre dettami, dopo quelli provvisori di cui era già a conoscenza dall’anno prima, e questi nuovi le avrebbe incamerate nella sua testolina per il resto dei suoi giorni.

Uno: impegnarsi sempre fino in fondo, al limite delle proprie capacità, per imparare tutti gli insegnamenti delle arti oscure.
Due: non aver mai paura di oltrepassare, anzi, sbaragliare i limiti imposti alla magia normale.
Tre: non innamorarsi mai

Questa sarebbe stata la sua prova finale: non innamorarsi mai. Era talmente sciocca che non si era neanche accorta che il suo maestro ormai era perfettamente a conoscenza di quali fossero i suoi sentimenti verso di lui. Ma non avrebbe ceduto, se non prima di aver attentamente valutato fin dove lei si sarebbe spinta.
In base al risultato della sua prova finale, lui avrebbe valutato il tutto…


Tornò a leggere il libro, scacciando dalla mente quel patetico pensiero. L’amore gli era costato carissimo ai tempi dell’orfanotrofio, da bambino, costretto a subire cose che nessuno vorrebbe subire. Violenze di ogni tipo e ogni genere… basta! Era il passato quello, ormai aveva cambiato vita… e in ogni caso quella feccia babbana della direttrice Cole, che aveva permesso che tutto questo avvenisse lì, in quell’inferno, l’avrebbe pagata… l’avrebbe pagata molto cara…


“ Le sei facoltà magiche comprendono sei fasi: visualizzazione, concentrazione, accrescimento energetico, carico dei poteri sulla bacchetta magica e poi, se necessario, alterazione dello stato di coscienza e, infine, liberazione dell’energia in eccesso” lesse. Era abbastanza semplice da memorizzare la cosa, non era particolarmente arduo come concetto. Passò al successivo.
Strumenti della terra: gli strumenti della terra sono innumerevoli. I più importanti, quelli di uso più comune, sono: la sabbia, l’argilla, le pietre, i cristalli, i ceppi tagliati, i pentacoli e le radici delle piante. Tutti questi elementi servono per esprimere l’essenza della terra”
“ Le simbologie del sole: rappresentano l’aspetto maschile della magia, influenzano i riti magici quasi quanto la luna. L’energia del sole è un’energia potente, arrogante, dispotica ed autoritaria. Questi processi possono essere controllati con i poteri della strega o del mago. Così come anche i processi dell’acqua, dell’aria e della terra”.

E Tom questo lo sapeva già fare, fin dalla nascita. Gli vennero in mente le innumerevoli volte in cui causava improvvise tempeste e scrosci di pioggia, con venti devastanti all’inverosimile. Ricordava le volte in cui, nelle grotte che scopriva e nelle quali nascondeva i suoi trofei, vedeva le immense forze della natura, abbattersi sugli scogli e dopo un po’ di tempo, cominciava a controllarle con la mente. Presto avrebbe imparato a controllarle anche con la bacchetta, forse sarebbe stato persino più facile…
Andò ancora avanti…
L’equiseto e la verbena sono piante medicinali;  antiinfiammatoria e antifebbrile nel caso della verbena e antiemorragico nel caso dell’equiseto. Vengono usate come piante curative nel caso di una ferita post duello, oppure per curare le infezioni. Rientrano perciò, nel campo della magia prettamente curativa”
Banale no? Nulla di particolarmente complicato. Quasi si annoiava nell’imparare quel genere di roba assolutamente scontata…
L’aura è il campo di energia che circonda gli esseri viventi. Penetrando l’aura con la nostra energia magica, possiamo iniziare a modificarne i comportamenti, creare scompensi e diminuire l’energia dell’organismo in questione fino a portarlo alla morte”
Questo effettivamente riscontrò il suo interesse: dove si parlava di morte e distruzione… effettivamente la cosa gli piaceva. Ne traeva piacere.
Passò allo studio dell’astronomia oscura: lo studio delle posizioni lunari. La sua la conosceva già, per certi aspetti. Luna in gemelli. Era talmente ovvia come cosa che quasi la diede per scontata senza neanche leggerla e quando lo fece, per un attimo ci restò pure male.
“ Luna in gemelli: le persone in luna in gemelli hanno un’ottima conoscenza e intelligenza e possiedono una grande capacità logica e intuitiva. Hanno il difetto di essere imprevedibili, superficiali, di prendere decisioni improvvise. Si può loro indurre di fare ciò che si vuole se si agisce su di lui con rapidità, sfruttando le sue iniziative poco ponderate”
Ma come si permetteva…. Lui non aveva punti deboli…
Non fece però in tempo a pensare o ad irritarsi più di tanto  che successero due cose quasi in contemporanea.
La prima fu che di nuovo fu preso da quello strano e improvviso senso di debolezza e di freddo, come gli succedeva ogni volta che aveva a che fare con la magia oscura. Tremò, dovette chiudere gli occhi e appoggiarsi allo schienale della sedia, per non svenire completamente. Fu una crisi più violenta rispetto alle altre volte, forse perché effettivamente si era spinto troppo in là, nello studio, quel giorno…
La seconda fu che, appena si fu ripreso un po’, udì una voce terribilmente famigliare avvicinarsi alla biblioteca: Albus Silente.
Lottando contro il malore, agitò la bacchetta e il libro di magia oscura scomparve all’istante lasciandolo lì, da solo apparentemente senza nulla da fare.
“ Riddle” lo chiamò quando arrivò nella biblioteca. “ Cosa combini?”
Fortunatamente la crisi, nel momento in cui comparve Silente, cessò completamente e Riddle si presentò a lui in buone condizioni di salute.
Riddle alzò un attimo le spalle, asciugandosi con la divisa la fronte imperlata di sudore freddo e rispose: “ Nulla signore. Mi godevo un po’ di riposo…”
“ Tom” lo chiamò ancora Silente, facendogli segno di avvicinarsi.  “ Puoi venire nel mio ufficio? Devo parlarti”
Sbuffando d’impazienza, ma senza farsi notare il gesto, Riddle seguì Silente nel suo ufficio.
“ Chiudi la porta, Tom” disse. Riddle eseguì, ma non gli piacque per nulla il fatto che Silente, sebbene fosse preside, si permettesse di dare ordini a lui.
“ Siediti, per favore. Posso offrirti da bere?” domandò affabile, dandogli le spalle e prendendo una bottiglia di vino.
“ Si… grazie” rispose lui.
Silente versò del vino elfico in due bicchieri e ne prese uno per sé e l’altro lo passò al suo interlocutore.
Riddle prese in mano il bicchiere e bevve un sorso di vino. Silente fece la stessa cosa e quando posò anch’egli il proprio, si sporse verso Riddle con la punta delle dita sotto il mento, e fissandolo, domandò: “ Che stavi facendo in biblioteca, Tom?”
“ Le ho risposto, signore. Stavo semplicemente rilassandomi” rispose Riddle sostenendo tranquillamente lo sguardo del preside.
“ In biblioteca? Proprio l’ultimo giorno?” domandò Silente lievemente sospettoso
“ Signore” Riddle chinò il capo in segno di cortesia. “ La mia presenza qui, non è atta a partecipare. Io sono qui per vincere. La grandiosa opera che ho intenzione di iniziare e terminare qui, in questo castello, dovrà essere narrata alle generazioni future. Tutti dovranno vedere e ricordare le grandiose opere compiute da Tom Marvolo Riddle, qui. Io sono venuto per essere ricordato, non voglio essere uno dei tanti dei quali non si hanno memoria”
“ Ammirevole, Tom” rispose a sua volta Silente, chinando anch’egli il capo, come precedentemente fatto da Riddle. “ Tuttavia, devo constatare che ho qualche sospetto in merito a cosa intenda te per: “ grandiose opere”. Cosa intendi per: grandiose opere?”
Riddle sorrise tra se. Che sciocco, prevedibile. Era proprio la domanda che si aspettava che gli venisse posta.
“ Grandiose opere?” domandò, gli occhi luccicanti. “ Se mi permette…signore”
Si alzò in piedi senza ricevere permesso e poggiò delicatamente la bacchetta alle labbra. Poi soffiò leggermente e ne uscì come una densa nube.
Ad un tratto la nube si diradò e comparve Tom Riddle più adulto, di come si trovava allora in quell’ufficio davanti al preside, pieno di ogni genere di lode, onore,  gloria e potenza  da ogni persona che gli stava accanto.  
Vedeva se stesso ricevere premi della scuola di ogni genere; intrattenere discorsi altamente convincenti davanti a centinaia di persone ammaliate da lui che pendevano letteralmente dalle sue labbra; vedeva sé stesso stringere le mani ai più grandi maghi del mondo, provenienti da ogni nazione. Maghi che avevano in lui piena fiducia su tutto in lui e lo proclamavano assiduamente come un grande difensore dei diritti babbani nel mondo magico, perché sì… il Tom Riddle che era lì presente era si un mago carismatico, seducente e brillante oltre l’immaginabile, ma era soprattutto buono. Un mago che aveva a cuore i diritti dei babbani, li difendeva e ne proteggeva in gran numero. Stringeva le mani a tutti, maghi, mezzosangue e babbani di ogni nazione della terra.
“ Questo, signore è ciò che voglio per questa scuola e per questo mondo. Non potrei mai desiderare qualcosa di spiacevole in questa scuola o in genere, nel mondo lì fuori”
Silente rimase in silenzio per un attimo, sembrava stesse valutando la prossima mossa, ma pareva in evidente difficoltà.
E in quell’attimo di dubbio, di momentanea debolezza del preside, Riddle finalmente ne colse la debolezza. Capì, per la primissima volta da quando lo conosceva, quale fosse la debolezza del suo avversario; il suo tormento.
Gli parve di udire un lontano: “ Incredibile… mi ricordi…lui”
Riddle tuttavia non badò molto alla lamentela che aveva in parte udito dalle labbra di Silente, né ne fu particolarmente interessato a dirla tutta. Era trionfante, invece, per essere riuscito a sottomettere Albus Silente, la mente del grande mago, al suo volere. Ora sapeva come avrebbe agito per toglierlo di mezzo una volta per tutte.
Quel vecchio si era dimostrato troppo pericoloso per la sua ascesa al potere in quella scuola, che aveva intenzione di instaurare l’anno successivo. Occorreva che l’unica persona che non si era ancora fatta abbindolare dal suo finto buonismo, venisse tolta di mezzo. Gli era d’intralcio, ormai.
L’unica cosa era far si che il tutto avvenisse senza che i sospetti ricadessero su Riddle, ma doveva accadere che Silente ne risultasse colpevole.
Gettò uno sguardo alla fenice poggiata sul trespolo e poi guardò Silente, precisamente all’altezza dei lunghi capelli. Poi, impercettibilmente, mosse la bacchetta e uno dei strani e stupidi oggetti sulla scrivania cadde e si ruppe in mille pezzi.
Silente, sentendo il rumore sobbalzò e si piegò a prendere il resto dei cocci rotti, sul pavimento e lì Riddle agì. Puntò la bacchetta verso il capo di Silente, piegato in avanti a riordinare i pezzi caduti a terra, e ne estrasse un lungo capello grigio.
Il preside non si accorse di nulla. Poi quando si raddrizzò Riddle fece scomparire il capello e fece per avvicinarsi alla fenice.
“ E’ molto bella, signore” disse amorevole, per distrarlo. “ Come si chiama?”
Silente continuò a fissare Riddle, per tenerlo sotto scacco, ma non si accorse che nel frattempo l’allievo aveva staccato una piuma dall’uccello scarlatto e l’aveva anch’essa fatta sparire.
Accarezzò due o tre volte l’animale, per non destare sospetti e poi domandò cortesemente: “ Ora posso andare, signore?”
“ Si…vai Tom”
Sulla soglia, però lo bloccò nuovamente.
“ Solo una domanda” disse e Riddle si fermò, con la mano sulla maniglia. “ Ci sei tu dietro le aggressioni ai ragazzini del primo anno? Abbiamo punito Bellatrix e Rabastan, per aggressioni alquanto sospette. Ci sei tu, dietro tutto questo?”
Riddle si voltò, sorridendo e sforzandosi di restare calmo.
“ Signore” iniziò, cercando di trattenere la rabbia. Come osava? Indisponente fino all’ultimo proprio…
“ Le ho mostrato ciò che sono e che diventerò. Non ho alcun motivo per tentare di ingannarla. E se proprio ci tiene a saperlo: no… non ci sono io dietro tutto questo” aggiunse, e infatti era anche vero sotto un certo aspetto.
“ Mi auguro che i responsabili vengano severamente puniti” aggiunse con un inchino.
Detto ciò aprì la porta e senza neanche salutare, uscì dall’ufficio, con la vittoria in tasca. Fece evocare nuovamente la piuma e il capello, deciso a sbarazzarsi una volta per tutte di quel vecchio pazzo.
Era arrivato il momento di agire e lui sapeva perfettamente a chi rivolgersi.
 

NOTE DELL’AUTORE


Innanzitutto lasciatemi ringraziare le persone che hanno recensito lo scorso capitolo: Ecate, sempre presente, grazie davvero! E Circe che è tornata nuovamente. Se avete tempo, e avete voglia di bellamort vi suggerisco di passare nelle pagine di entrambe. Le sanno descrivere molto bene in ogni dettaglio!
Riguardo questo capitolo, come detto nell’introduzione vi sono alcune parti che vengono riprese direttamente dal capitolo 1 e dal capitolo 4 del maestro di arti oscure, proprio di Circe. Potete rendervi conto, benissimo, di quali esse siano, andando a curiosare nella sua pagina.
Riguardo ai malori di Tom avuti in questo capitolo, nello apprendere la magia oscura è dovuta al fatto che essa gli provocherà alcuni problemi. Ancora piuttosto leggeri e abbastanza gestibili, ma poi man mano che procederà nello studio, sempre più violenti e anche persistenti. Sarà molto più vulnerabile del Voldemort dei libri.
Comunque voglio che si sappia che, successivamente, verso la fine di questo ciclo di storie, troverà un rimedio per porre freno a questi problemi. Non vi dico nulla altrimenti vi rovino la sorpresa, per immagino che se avete letto il maestro di arti oscure e, ora, il veleno del serpente, sempre di Circe le cose vi saranno chiare.
Riguardo il fatto, che vi ho accennato, vi sarà svelato nel prossimo capitolo. Però qui già avete più o meno letto di cosa potrebbe trattarsi. Se non lo avete ancora intuito, risolverete i vostri dubbi nel prossimo capitolo.
Ho finito!! Grazie di nuovo a tutti Ecate, Alice, Circe e a cui so già presto si aggiungerà anche Clo-eath-deater. Grazie a tutte voi a al prossimo aggiornamento!!

 

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Capitolo 52
*** Alleanza tra diavoli ***


Quell’estate Riddle non tornò subito all’orfanotrofio. Dovette prima risolvere una questione: Silente gli era d’intralcio e non solo da ora, ma da sempre. Aveva più o meno tentennato dall’agire perché finora aveva deciso di comportarsi da bravo e normale allievo e, se anche Silente già lo teneva d’occhio allora, non aveva segreti da nascondergli. Era quindi protetto da ogni genere d’accusa che poteva muovergli.
Ma con l’inizio del nuovo anno, le cose sarebbero cambiate. Sentiva dentro di sé, il crescente bisogno di dimostrare ciò di cui era capace: il bravo ragazzo, aveva ormai terminato la propria corsa e avrebbe ceduto il posto ad un Riddle diverso: più vivace, ma pur sempre estremamente subdolo nel non farsi scoprire.
Tutto ciò, a patto però, che venisse tolta di mezzo l’unica persona che avrebbe potuto nutrire sospetti fondati su di lui.
E per toglierla di mezzo, sarebbe ricorso ad un giochetto di prestigio d’alta scuola. Ormai erano tre anni che vedeva il preside tutti i giorni. Gli era stato particolarmente difficile riuscire a scovare nei suoi ricordi, ma alla fine era riuscito a localizzare il suo punto debole. La sua più grande paura e a quella avrebbe fatto affidamento.
A questo pensava, in una notte calda, senza luna in cui poggiò i piedi in una cella apparentemente vuota, se non fosse stato per un cumulo di coperte che coprivano una persona lì sotto. La cella si trovava in uno strano luogo, chiamato Nurmengard.
Riddle avanzò verso le coperte, senza fiatare, aspettando che quell’altro si svegliasse.
Questo era il grande Gellert Grindelwald? Un mago che si era fatto catturare come un principiante qualsiasi e che ora pareva un morto di fame?
La figura sotto le coperte ebbe un sobbalzo, come se avesse avvertito una presenza estranea. Si scoprì e le coperte rivelarono un volto. Aveva i capelli biondi, tendenti quasi al bianco. Rasati ai lati a formare un ciuffo più lungo nella parte sommitale del cranio. Baffetti dello stesso colore dei capelli e, cosa più strana di tutte, un occhio, il destro per la precisione, era più chiaro del sinistro. Mentre il sinistro era di un colore tendente al nero, il destro era azzurro pallido.
Vedendo il ragazzo di fronte, Grindelwald fece una smorfia: “ Tutto mi aspettavo. Tranne che venisse un mocciosetto a farmi visita”
“ Un mocciosetto che però non si farà mai catturare, a differenza di qualcuno” ribattè aspro Riddle, senza neanche sorridere alla battuta dell’altro, ma trovandola quasi ridicola e irritante.
“ Che cosa sei venuto a fare?” domandò l’altro impaziente, volendo arrivare subito al punto.
Riddle esitò. Poi disse: “ Ho bisogno del tuo aiuto, Grindelwald”
L’altro ridacchiò sarcastico: “ Ah sai il mio nome. Allora davvero sono stato un grande mago una volta. Sono diventato talmente famoso da essere ricordato anche dai ragazzini”
“ Beh… lo sei stato, effettivamente” rispose Riddle, sforzandosi di sembrare compassionevole.
“ Comunque… adesso il mio tempo è finito, ragazzino. Sono qui da qualche anno ormai. E, sinceramente, non mi va neanche più di fuggire. Alla fine, purtroppo, mio malgrado, mi hanno sempre fermato”
“ Io posso offrirti un’altra occasione, se vuoi” propose Riddle, sorridendo appena.
Grindelwald rise ancora.
“ Si…come no” rispose l’altro. “ Fuggo, magari potrebbe sembrare che sia la volta buona, ma poi come sempre va a finire male. Niente… Albus mi farebbe subito catturare”
“ No, invece” lo contraddì Tom. “ No, se ci sono io”
Grindelwald squadrò Tom per qualche istante, poi sorrise: “ E’ inutile, ragazzino. Ho più esperienza di te. So come vanno a finire certe cose…”
“ Io sono qui proprio per lui” disse Riddle, senza aver dato segno di aver udito le remissioni dell’altro. “ Ho bisogno di toglierlo dai miei piedi. Mi è d’intralcio. E tu sei la sola persona, in grado di aiutarmi”
“ E come?” domandò Grindelwald infervorandosi nel vedere che il suo diretto colloquiante era duro d’orecchi.
Riddle prese a girare attorno a Gellert, come un serpente.
“ Mi aiuterai, perché converrà anche a te farlo. Abbiamo molte cose in comune, noi due. Entrambi abbiamo ottimi motivi per odiarlo. Ricordi cosa accadde anni fa? Lui tradì la tua amicizia” aggiunse, sussurrandogli nell’orecchio. Gellert sobbalzò e si voltò verso Tom, come risvegliato da un brutto incubo.
“ Oh si…vedo in te, che ho ragione. Vedo in te la disperazione che ti attanaglia a quel spiacevole ricordo. Vedo in te ogni cosa, cose che tu cerchi di nascondermi, ma non ci riesci. Posso dire ora,tranquillamente, che conosco più cose di te, di quante tu ne conosca di te stesso e, sono certo, che non esagererei”
Grindelwald rimase paralizzato.
“ Conosco quello che accadde anni fa tra te e lui. So che tu ci tenevi tanto al tuo amichetto. Anzi… quasi lo …adoravi. Il suo fidanzatino, eri. E lui ha rovinato tutto, in virtù della morte della sua patetica e stupida sorellina. Com’è che si chiamava? Ah…si…ora ricordo: Ariana”  Fece una pausa, poi accennando un sorriso beffardo, continuò con voce suadente: “ Avevate stretto un patto di sangue, vero? Nessuno avrebbe attaccato l’altro, né tu avresti attaccato lui, né lui avrebbe attaccato te. Ma lui ruppe quell’accordo, non è vero, Gellert? E tu… non provi neanche un briciolo di desiderio di vendetta, nei suoi confronti? Ti ha umiliato. Ti ha tolto tutto. Provalo, aumenta l’odio in te… percepisci la tua rabbia. La sete di vendetta. Quella sete va soddisfatta al più presto e tu, amico mio, la soddisferai”
Grindelwald, per la seconda volta, sobbalzò e, stavolta, volgendosi verso Tom domandò lievemente sbalordito: “ E tu come sei a conoscenza di tutto questo?”
Tuttavia il ricordo di quei fatti, gli fece montare un’antica rabbia che ebbe l’effetto di ravvivarlo come non lo era più da ormai vent’anni, da quando aveva perso il duello con Silente con la conseguente perdita della Bacchetta di Sambuco.
Riddle alzò le spalle con ovvietà: “ Sono un suo studente, dopotutto. Mi è stato difficile, il nonnetto è molto abile, lo ammetto. Ma non abbastanza per resistere troppo a lungo ai miei potenti attacchi mentali. Dopo un po’ di tempo sono riuscito a scoprire i suoi punti deboli e ora desidero sfruttarli. E tu sei il mezzo del quale mi servirò”
“ E quindi sei qui per chiedermi aiuto? Mio caro… sei giovane e ingenuo. Il mondo, purtroppo, è molto diverso lì fuori. Tu la fai semplice: riuscire a fregare Albus Silente. Neanche io, quand’ero al massimo del mio potere, ce la feci”
“ Perché tu, ad un certo punto preferisti attaccarlo direttamente, scoprendoti. Io non ho intenzione di scoprimi. Desidero aggirare l’ostacolo e colpirlo indirettamente, con l’inganno. Mi piace agire nell’ombra come facesti tu per un po’ di tempo. Prima di scoprirti al mondo…Quello che è certo è questo: il suo passato con te è stata la sua debolezza e, ora, sarà  la sua rovina”
Grindelwald  non si scompose. Rimase con i piedi a terra, frutto di esperienze passate, sapendo quanto difficile fosse ingannare Albus Silente.
“ E come pensi di farlo?” domandò, vagamente incuriosito
Riddle sorrise, rivelatore, e tirò fuori i due elementi prova che avrebbero accusato Silente della fuga del prigioniero.
" Dove li  hai presi?” domandò Grindelwald esterrefatto.
“ Gentile omaggio del preside” rispose gettando a terra il capello di Silente e la piuma di Fanny. “ Domattina, quando le guardie verranno a consegnarti la colazione, vedranno che non ci sei più. Inoltre vedendo queste due prove, non sarà difficile per loro risalire al diretto responsabile della tua fuga. E dal momento che lui era un tuo grande fan…”
“ Incolperanno lui…” concluse Grindelwald, convincendosi della bontà del piano, mentre un sorriso malvagio gli spuntava sulle labbra.
“ Mi stupirei se nel giro di un mese, il prossimo, quel vecchio rimbambito non venisse gettato ad Azkaban. Le prove contro di lui saranno schiaccianti e mi offrirò, personalmente, come testimone della sua colpevolezza”    
Ora non vi era alcun dubbio. Il vecchio e potente mago oscuro Gellert Grindelwald, autore di chissà quanti crimini,  era tornato determinato come un tempo.
“ Allora…” disse Riddle, tendendo la mano pallida dalle lunghe dita. “ Affare fatto, vecchio mio?”  
Si strinsero la mano, complici.
Senza aver bisogno della bacchetta, Riddle sciolse le pesanti catene che legavano il prigioniero e questi si rialzò, animato da nuovo spirito omicida.
“ Gellert Grindelwald è ritornato, allora. Presto se ne accorgeranno tutti” dichiarò Tom, vedendo l’altro rialzarsi in piedi.
“ La bacchetta. Ho bisogno di una bacchetta”
Detto ciò, senza averne effettivamente bisogno, si trasformò in un uomo alto, magro con i capelli corti e neri.
“ Conosci un certo Credence Barebone?” domandò Grindelwald sotto la maschera.
Riddle scosse la testa.
“ E’ un mio vecchio amico e compagno di avventure. Ne abbiamo passate tante assieme. Ti basti immaginare, però, che è una persona molto instabile e che ha notevole bisogno di attenzioni. Può diventare estremamente pericoloso, se dovesse andare in collera. Ha passato momenti molto difficili, quel giovane. Momenti dove non sapeva neanche chi fosse e perché fosse venuto al mondo. Io gli diedi la risposta e, da allora, diventammo inseparabili, fino a quando Silente non rovinò di nuovo tutto quanto…”
Sebbene non l’avesse conosciuto, Riddle non ebbe difficoltà a risalire all’identità nuova di Grindelwald.
“ E perché hai scelto lui?”
“ Perché tra tutte le persone, è l’unica che conosco che non ha mai avuto bisogno di una bacchetta. Essendo altamente distruttivo, quando è in collera, non aveva bisogno di uno strumento per manifestare i suoi poteri. Tuttavia, so per certo, che lui in condizioni normali non ha mai desiderato essere un Obscuriale. Perciò, potrei tranquillamente giocare su questo fatto e fargli desiderare una bacchetta”
“ E l’originale?”
“ Si trova a Parigi, al momento. Quando mi sarò procurato ciò che mi serve, tra uno stratagemma e l’altro, ordinerò che il vero Credence  venga ucciso, per non destare sospetti. Naturalmente la sua morte passerà sotto silenzio. Me ne dispiaccio, ma la sua fine si è resa necessaria” spiegò Grindelwald, mostrandosi tutto, meno che dispiaciuto.  “ Nel frattempo” disse Grindelwald. “ Tu farai la tua parte. Ci sono alcuni vecchi miei seguaci, che sono passati dall’altra parte. Mi hanno tradito. Lavorano al Ministero della Magia londinese. Fai in modo che vengano puniti, per il loro tradimento”
Detto questo, i due si librarono nella notte oscura. Ciascuno con i propri compiti e doveri, ma ugualmente determinati e, soprattutto, spietati. 
E Gellert Grindelwald fu, di nuovo, libero.


Il mattino dopo, a Londra, al Ministero della Magia, ci fu il caos più totale.
Venne convocata in tutta fretta e furia, la commissione di stampa magica internazionale. Il Ministro della Magia, a radio unificate, esordì: “ Ci hanno confermato, che il detenuto pluriomicida Gellert Grindelwald è evaso ieri nelle prime ore serali, dal carcere di massima sicurezza di Nurmerarg. Il Primo Ministro babbano è stato informato dell’accaduto. Abbiamo però il sospetto, che la fuga sia stata organizzata, pianificata e messa a punto da una vecchia amicizia di Grindelwald: l’attuale preside di Hogwarts Albus Silente. Egli ha ricevuto la convocazione per un’udienza al Ministero della Magia, che si svolgerà il prossimo 31 luglio davanti alla corte del Wizengamot. In ogni caso, egli attualmente, è sollevato dall’incarico di preside di Hogwarts. Al cui posto siederà la vicepreside Minerva McGranitt. Al momento non possiamo darvi ulteriori dettagli in merito. Vi aggiorneremo più avanti se ci dovessero essere ulteriori novità. Quello che mi preme di dirvi assolutamente,  a tutta la popolazione magica e non, è di prestare massima attenzione e di non uscire di casa, se non per motivi di estrema emergenza. Il prima possibile il Ministero vi manderà l’elenco delle precauzioni da attuarsi fino al termine dell’emergenza. Grazie”
Da quel giorno, la paura del vecchio mago oscuro più temuto di sempre, tornò a serpeggiare tra la popolazione, ma soprattutto tutti quanti furono colti completamente dalla sprovvista nel sentire che, colui che aveva in precedenza eliminato il terrore, ora l’avesse fatto tornare.  
 
NOTE DELL’AUTORE

Innanzitutto ringrazio come sempre Ecate, Circe e Alice per le recensioni. Grazie, davvero, tanto!! 
Sorpresi? Allora vi dico una cosa: come avevo previsto inizialmente questa parte non era contemplata. Però poi mi son detto: Grindelwald agiva mentre Tom Riddle era a Hogwarts, quindi non è improbabile che in fin dei conti i due fossero anche venuti a conoscenza. Infatti come fa Tom nel settimo a riconoscere immediatamente Grindelwald quando ne vede una sua foto, dopo aver rimuginato dei fatti della missione fallita su Harry neonato?
Poi essendo qui Tom coetaneo di Bella non escluderei a priori che se fosse stato davvero così, non abbia fatto almeno un tentativo per allearselo. D’altronde sono entrambi maghi molto simili tra loro.
Qui Tom e Gellert agiranno separatamente ma con obiettivi precisi entrambi: Tom per ora vorrà sbarazzarsi dello stretto controllo di Silente per iniziare a radunare i primi mangiamorte; mentre Gellert riprenderà il suo regno di terrore al quale ho previsto più o meno una durata di 22 mesi. Se fate un rapido calcolo dovrebbe durare fino alla fine del quinto anno di Tom Riddle. E cosa accade alla fine del quinto anno, secondo voi?
Niente spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi aspetto al prossimo aggiornamento. 
 

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Capitolo 53
*** Il processo ***


Giunse il giorno fissato e al Ministero fu subito il caos, vista la portata dei fatti che tutti attendevano quel giorno. Ovunque non si parlava d’altro: Silente accusato di aver tradito la buona fede di tutti gli altri, i quali si erano fatti abbindolare dai suoi sporchi giochetti; Gellert Grindelwald nuovamente in libertà; e un ragazzino: Tom Riddle, studente di Hogwarts, che si era proclamato testimone d’accusa per il tragico fatto.
In quei giorni, prima del processo, Grindelwald si era reso responsabile di un ulteriore omicidio: un certo Credence Aurelius Barebone fu trovato morto appena tre giorni prima. La morte non aveva lasciato tracce per la polizia babbana: sembrava fosse morto per qualche decesso naturale, niente che lasciasse intendere un omicidio dal momento che di ferite da arma non ne furono trovate.
Per il Ministero quella morte era da risalire solo all’uso delle arti oscure. Roba che i babbani non potevano comprendere…
Silente giunse quel giorno in anticipo come suo solito. Vi era l’intera corte ad attenderlo e tutti sembravano assai sorpresi di tutta la ricostruzione della vicenda, ma convinti che non potesse esserci qualcosa di diverso che potesse cambiare le carte in tavola.
“ Albus, per favore, siediti” disse il Ministro, indicando la sedia sotto di lui. Poi riprese a parlottare concitato in attesa che scattasse l’ora X  per dar inizio al tutto.
Silente obbedì e attese tranquillamente che il tutto iniziasse. Certo, era assai turbato, ma qualcosa sembrava convincerlo che, alla fine, tutto si sarebbe sistemato e la verità, prima o poi, sarebbe venuta fuori.
“ Gellert… perché…perché hai accettato quella proposta di Tom? Pensavo che dopo il nostro ultimo incontro, fossi cambiato…”
Silente aveva fatto visita a quella cella solo cinque anni prima. Il loro era stato un incontro quasi commovente o, almeno, Silente si era commosso nel vedere come il suo vecchio amico e compagno di merende si fosse ridotto con la prigionia.
“ Gellert… non puoi continuare a vivere in questo modo. Devi mettere giù qualcosa…”
“ Vattene via!” lo aveva accolto l’altro, bruscamente, senza neanche salutarlo.
Ma Silente non si era mosso. Era rimasto lì a guardarlo, mentre cercava di coprirsi dal freddo e dall’umidità straordinaria di quella cella.
“ Te ne vuoi andare??” aveva ripetuto l’altro alzando la voce.
“ No. Non me ne vado. Almeno fino a quando non mi dirai perché non mangi più”
Grindelwald aveva riso amaramente.
“ Oh…guarda… Albus che si preoccupa di un pluriomicida. Direi che è proprio la mia giornata fortunata…”
“ Mi sono sempre preoccupato di te. A tal punto che appena mi hanno informato che avevi iniziato lo sciopero della fame, sono subito venuto qui”
Grindelwald non aveva detto nulla e Silente aveva, così, proseguito: “ La mia domanda è: perché? Perché Gellert hai deciso di proseguire il dogma del Bene Superiore? Hai visto dove ti ha portato questa folle perseveranza?”
“ Davvero tu osi chiedermi questo? Con quale sfacciataggine, Albus, mi chiedi per quale motivo? Ti hanno fatto il lavaggio del cervello a tal punto da farti dimenticare che una volta eravamo alleati?”
Silente aveva annuito.
“ Si…hai ragione. Lo eravamo”
“ Il potere logora chi non ce l’ha. Tu sei sempre stato destinato al potere, Albus. Guardati: un elegante professore di Hogwarts, magari tra un paio di anni sarai anche preside. E io? Non sono mai stato niente di tutto questo. Solo un allievo ribelle che è stato espulso al suo sesto anno dalla scuola perché aveva usato le arti oscure oltre il limite consentito… una volta che ti ho trovato ti avevo convinto di combattere per la mia causa, ma poi, cosa è successo? Prosegui tu”
“ E’ morta Ariana” proseguì Silente con una lacrima agli occhi, nel ricordare quel tragico evento ancora vivo in lui. “ E io sono cambiato”
“ Sei diventato il salvatore. Colui che avrebbe salvato il mondo. E io sarei diventato il cattivo che tutti avrebbero odiato. Colui che doveva essere sconfitto, perché era giusto che finisse così. Se, almeno inizialmente, ho dissipato ogni dubbio nell’opinione della gente è solo grazie ai miei talenti naturali e non c’è alcun bisogno che te li dica. Li sai già”
Silente aveva annuito ancora, sempre fissando quell’altro che sembrava stesse sfogando tutte le sue frustrazioni che aveva rimembrato in quegli anni di prigionia, ormai giunti al quindicesimo anno.
“ Fidati Albus: vivere con la consapevolezza che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla e, nonostante tutto, proseguire a combattere per gli ideali che si hanno, non è cosa semplice e da tutti. E, comunque, tutto ciò ti logora, perché alla fine la verità viene sempre fuori…”
Se prima Gellert aveva parlato solo ed esclusivamente rivolto al muro della cella, ora voltandosi verso Albus, con gli occhi lacrimanti, aggiunse: “ Insomma…se ancora non l’hai capito… io sono sempre rimasto affascinato da te. Sin dal nostro primissimo incontro a Godric’s. Ho saputo fin dall’inizio che tu, colui che era diventato  il mio più grande amico, un giorno sarebbe stato anche colui che mi avrebbe fermato”. 

“ Bene, direi che è giunto il momento per iniziare. Fate entrare i testimoni”
La voce del Ministro, scacciò i ricordi di Silente riportandolo bruscamente nella realtà. Grindelwald era libero, forse non si era mai veramente pentito fino in fondo, come Silente aveva avuto la percezione di credere. E ora lui rischiava seriamente di finire al suo posto…
“ Testimone della difesa è Aberforth Percival Wulfric Brian Silente” annunciò il Ministro e Aberforth entrò all’annuncio e sedette accanto al fratello maggiore.
“ il testimone dell’accusa” e qui si fece un silenzio imbarazzato dove tutti cominciarono a parlottare tra loro, non appena Riddle varcò la soglia.
“ Un ragazzino?? Non possiamo accettare che un ragazzino, per altro minorenne, possa prendere parte ad un processo ministeriale!”
Riddle sorrise tra sé: si era aspettato quella reazione scettica sin da subito. Ma era altresì certo che fosse l’unico in grado di fornire prove determinanti al fine del processo e nessun altro ne era al corrente. E, in ogni caso, quella corte molto presto si sarebbe piegata a lui. Li avrebbe sbalorditi, tutti quanti, nessuno escluso.
“ Signor ministro” esordì Riddle con cortesia. “ So che può sembrare strana ed insolita la presenza di un ragazzino, come dice lei, come testimone. Ma le posso assicurare che sono al corrente di fatti che riguardano il professor Silente e, tali fatti, non li troverebbe presso nessun altro, dal momento che” e qui si voltò verso Silente: “ ritengo che io sia l’unico a conoscere veramente Albus Silente come persona. Sono il suo più grande estimatore. Nessuno nutre una stima nei suoi confronti quanto la mia”
“ E mi scusi” intervenne Arberforth squadrando scettico Riddle. “ Lei chi sarebbe?”
“ Sono un suo umilissimo allievo, signore” rispose Riddle inchinandosi
“ Tom Riddle” rispose il ministro e Riddle annuì, rivolto ad Aberforth.
“ Bene, signor Riddle. Lei dice di essere al corrente di alcuni fatti che riguardano in prima persona Albus Silente. Lo dimostri”  disse il ministro.
“ Deve sapere, signor ministro, che io recentemente sono stato convocato nell’ufficio del professor Silente, proprio l’ultimo giorno di scuola. Ho subito notato un certo turbamento nell’umore del professor Silente, un turbamento che in altre circostanze non ho mai notato. E, le ripeto, sono molto legato al professor Silente, da un sentimento di profondissima amicizia. Gli sono eternamente grato per essere stato colui a farmi scoprire di essere un mago, una persona diversa dagli altri.
Comunque tornando a noi, ho notato un turbamento che mai prima di allora avevo realmente intravisto in lui. Quasi come se fosse a conoscenza di alcuni eventi che da lì a poco sarebbero accaduti. E sappiamo cosa è successo poi”
“ Questa è assolutamente una fandonia. Una calunnia. Lei come si permette ad accusare una persona che non farebbe nulla di tutto ciò?” intervenne rosso in volto Aberforth.
“ Silenzio! Ordine” disse il ministro, battendo un martelletto sul bancone. “ Prego…prosegua, signor Riddle”
“ Grazie signor ministro” rispose Riddle. Poi volse lo sguardo verso Abeforth. Che patetico personaggio…
“ Lei è al corrente che tempo fa tra suo fratello e l’evaso ci sia stata una sorta di affinità reciproca? Quasi sfociata in dichiarazione amorosa vera e propria?”
“ E lei come fa a saperlo?” lo interruppe Aberforth, al che Riddle esasperato spalancò le braccia, lamentandosi: “ Signor ministro. Non mi lascia parlare. Intervenga”
“ Si si esatto… lasci terminare l’atto d’accusa. Poi potrà rispondere…”
“ Grazie, signor ministro… dicevo: lei signor Silente è al corrente che tra suo fratello e l’evaso una volta vi era una certa unione di intenti? Ha mai saputo che suo fratello, in passato, proprio per perseguire questi intenti, si sia reso responsabile di un…omicidio?
Nella corte calò un silenzio totale. Non volava neanche una mosca.
“ Lei, signor Silente, su quali basi pone l’assoluta certezza del pentimento di suo fratello dopo quell’omicidio? Ne è davvero sicuro perché glielo ha rivelato lui in prima persona, oppure la sua è una semplice supposizione?” e Aberforth tacque, ricordandosi che tra loro due vi era ancora una certa incomprensione su quel fatto.
“ Oh…suvvia signor Riddle” intervenne il ministro, guardando Tom come se fosse pazzo. “ Non vorrà dire ora che Albus Silente sia un assassino…”
“ Perché avrebbe deciso di convocare questa corte, altrimenti, signor ministro?”
“ Mi scusi” intervenne una donna in prima fila, dalle palpebre pesanti. A Riddle ricordò per certi aspetti Bellatrix.
“ il ministro da ora la parola al Sottosegretario Anziano Leta Lestrange”
“ Grazie Bagnold. Lei, signor Riddle, afferma che tra Albus e lei ci sia una sorta di stretta amicizia, ovviamente intesa nell’ambito puramente accademico. Però noto che lei, ora, fa da testimone d’accusa verso Albus. Mi può dire il motivo di questo cambio repentino di atteggiamento? C’è qualcosa che non mi quadra in questa faccenda”
“ Certamente signora Sottosegretario” rispose Riddle, mentre Aberforth annuiva concorde con l’intervento.
 “ Vede…la mia amicizia verso il professore, in verità, è una sorta di sentimento che nutrivo prima che succedesse questo tragico evento. Sono sempre rimasto abbagliato dalla bontà e dalla saggezza dell’attuale preside di Hogwarts. I suoi convincimenti sull’uguaglianza maghi-babbani è stato uno dei pilastri su cui egli ha sempre fondato il suo pensiero e il suo ideale. Il tragico evento della morte della sorellina, lo ha fatto pentire, o almeno lo credevamo fino ad oggi, facendogli capire davvero come le cose dovrebbero andare. Io mi ero affezionato a quel professor Silente. A quel concetto che egli non mancava occasione per ripetere ogni qualvolta esordiva nel discorso inaugurale del nuovo anno. Io sono portatore di quella verità. Per me la divisione maghi-babbani non deve esistere. I babbani non sono diversi da noi maghi, hanno solo delle qualità diverse dalle nostre che possono trarre in inganno i malpensanti. Per farla breve, non può immaginare quanto io ci sia rimasto male nel scoprire che tutto ciò che il professore raccontava, fosse in realtà una astuta, molto astuta, bugia per togliersi ogni sospetto di dosso, visti i suoi precedenti trascorsi”
E Leta Lestrange, forse convinta da quel chiarimento, si risedette.
“ Noi, non possiamo accettare che l’immagine di mio fratello venga così brutalmente stracciata” intervenne Aberforth, mostrandosi più sicuro di quello che era in realtà. Ormai, comunque, Riddle stava abilmente minando nuovamente tutte le sue certezze sull’innocenza del suo assistito, nonché fratello.
“ Io conosco Albus, sono suo fratello. Non mi sognerei mai di proteggerlo, sapendolo colpevole. So per certo che Albus quella notte non è uscito dal castello. Figurarsi andare a Nurmerarg per liberare un pazzo  pluriomicida”.
“ Lei, signor Silente, è al corrente che suo fratello ha una fenice nel suo ufficio?”
“ E con ciò? Cosa vorrebbe insinuare?”
“ Signor ministro… posso chiederle cortesemente di rivelare ciò che hanno trovato nella cella dopo l’evasione?”
“ Una piuma di fenice” rispose il ministro sottovoce.
“ Ma è pura casualità…” disse Aberforth non credendo assolutamente nella fondatezza della cosa.
“ Anche questa è una pura casualità, signor Silente?”
Riddle mise una mano nella tasca ed estrasse due lettere. Le consegnò prima al ministro che strabuzzò gli occhi, e parve minare ogni certezza residua sull’innocenza di Albus, e poi al testimone della difesa.
“ Le ho trovate nell’ufficio del professor Silente il giorno in cui mi ha convocato lì”
Aberforth prese la prima lettera e lesse, riconobbe da subito la scrittura sottile e sinuosa del fratello maggiore.
Silente dal canto suo, finora sempre in tranquilla attesa, nel riconoscere quella lettera ebbe un piccolo turbamento. E mentre Aberforth leggeva la lettera che mai avrebbe dovuto scoprire,  la vedeva davanti a lui come se l’avesse scritta in quel momento.


Gellert,
La tua idea che la dominazione magica è PER IL BENE STESSO DEI BABBANI… credo che questo sia il punto cruciale. Certo, ci è stato dato un potere e certo, questo potere ci dà diritto di governare, ma ci da anche delle responsabilità sui governati. Dobbiamo porre l’accento su questo punto, sarà la pietra angolare sulla quale costruiremo. Là dove incontreremo opposizioni, come certo accadrà, questa dev’essere la base di tutte le controargomentazioni. Noi prendiamo il controllo PER IL BENE SUPERIORE. E da ciò discende che dove incontriamo resistenza, dobbiamo solo usare la forza necessaria e non di più. (Questo è stato il tuo errore a Durmustrang! Ma non me ne dolgo, perché se non fossi stato espulso non ci saremmo mai incontrati).
Albus



Letta la prima lettera e assaporando il turbamento dell’ingenuo fratellino dell’imputato, Riddle gli passò la seconda lettera. Aberforth la lesse e rimase ancora più turbato da quello che leggeva. Anche questa aveva lo stesso identico carattere della precedente, roba che solo la medesima persona poteva scrivere. E la data fu il particolare che più di ogni altra cosa turbò Aberforth: due giorni prima della tragica fuga di Grindelwald.


Gellert,
Sono arrivato ad un punto di non ritorno. Mi sento solo senza di te.
Lo so… la nostra incomprensione dovuta all’ultima volta ti farebbe dubitare della mia sincerità, ma sappi che quello scontro di vent’anni fa,  fu necessario affinchè il mondo credesse che io ti avessi fermato. Mai bugia ed inganno furono più grandi. Io non ti ho fermato Gellert. Io mi sono unito a te e ti ho fatto una promessa quando stringemmo il patto di sangue, come sai.
Non ti avrei mai attaccato di mia volontà e infatti non l’ho fatto. Il tutto fu parte di un mio piano più grande e complesso che avrebbe determinato la tua fuga il giorno in cui io avessi deciso di attuarla. Tu non potevi saperlo, perchè non potevi immaginare fin dove la mia oscura astuzia potesse arrivare. Ed ecco qui fin dove è saputa arrivare. Il giorno della tua liberazione è arrivato caro Gellert. Preparati, perché molto presto quegli sciocchi scopriranno il grande inganno, durato la bellezza di venti lunghi anni,  dietro tutto questo e, quando lo scopriranno per loro sarà troppo tardi.
Ho imparato bene da te, vecchio mio eh?
Io ti amo e, molto presto, la morte dei babbani sarà il frutto del nostro amore Gellert. E sui loro cadaveri lo compiremo in tutta la sua splendida, malvagia, oscura e pura bellezza.
Il tuo amatissimo Albus.

Finito di leggere Aberforth rimase scandalizzato. Tutte le sue certezze e convinzioni in difesa del fratello maggiore, già peraltro messe a dura prova in precedenza, davanti a quella prova inoppugnabile crollarono come marionette a cui erano stati tagliati i fili.
“ Ab… non crederai per caso a quello che hai letto, mi auguro”
“ Non so più cosa credere e cosa no, sinceramente” rispose Aberforth come in trance.
Tutto l’ambiente era immerso nel silenzio più totale, come in fondo si era svolto buona parte dell’udienza. Non volava una mosca.
Solo dopo parecchi istanti, il ministro prese la parola.
“ Alla luce delle prove contro di te, credo di poter confermare la colpevolezza all’unanimità. Mi dispiace Albus…”
Silente scosse la testa incredulo.
“ Dobbiamo sequestrarti la bacchetta temo”
“ La bacchetta? Per quale motivo?”
Se fino ad allora Silente pareva, nonostante tutto, tranquillo, alla notizia del sequestro della bacchetta assunse un’ aria piuttosto preoccupata.
“ E’ la prassi. Mi dispiace” rispose il ministro.
“ Signor ministro” intervenne Riddle, mentre Silente consegnava la sua bacchetta. “ Posso darle un’occhiata per favore?”
Quando Riddle espresse il desiderio, notò incredulità nel volto del ministro e una sorta di bagliore negli occhi di Silente. Poi il ministro rispose: “ Si va bene, Tom”
Riddle sorrise nel sentirsi chiamare per nome. Era sicuro che tra il ministro e lui alla fine, ogni differenza di età si sarebbe assottigliata.
Prese la bacchetta e la rigirò nelle mani dalle lunghe dita pallide e sottili.
Riconobbe subito il materiale con cui era fabbricata. Sambuco.
Notò anche che pareva una bacchetta molto particolare. Era infatti particolarmente lunga, ad anelli che la percorrevano in lungo ad intervalli regolari e aveva, inoltre, l’aria di essere antichissima. Potente…molto potente per di più…
Era molto affezionato alla sua bacchetta di tasso, ma quella aveva un qualcosa di diverso… più particolare. Ma non riuscì a capire bene cosa avesse di così… unico.
“ Tom…potrei riaverla per favore?”
“ Oh…si certo. Mi scusi…” rispose Riddle restituendogliela nuovamente.
Silente dal canto suo continuava a fissarlo, gli occhi sempre luccicanti.
Poi sequestrata la bacchetta, arrivarono delle guardie che presero Silente e lo portarono via.
Quando però passò davanti a Riddle, questi chiese di fermarsi davanti a lui per gustarsi un’ultima volta il sapore del trionfo.
Non ti aspettavi questa abile mossa, vero Albus? Io ho vinto e tu, miserevole vecchio, hai perso. E ora, con te fuori dai piedi, finalmente diverrò padrone di Hogwarts e tutti molto presto si inchineranno davanti a me.
Tolto te, tutti ho saputo ammaliare sia ad Hogwarts, sia qui. Tant’è che alla fine il ministro della magia in persona, mi ha chiamato come mi chiami tu: Tom. Anche se sai che io non apprezzo quel nome così ordinario. Perché io, al contrario di te, sono straordinario e oggi ne hai avuto prova sulla tua pelle, Albus. Goditi la tua prigione, ora. Ciao, ciao”

“ La verrò a trovare, professore” disse solamente Riddle ad alta voce.
Non seppe se Alus gli avesse letto anche gli altri pensieri taciuti, ma sinceramente non gliene importava. Era la sua miserevole parola, contro quella ben più convincente di Riddle, supportata da prove evidenti.
Ovviamente tutte manipolate dalla sua mano.
L’idea di duplicare lo stile di Silente, necessaria per scrivere la seconda lettera, mai veramente scritta, era stata geniale e solo lui poteva pensarla.
E quella idea, coltivata da lui ed eseguita da Grindelwald in persona, aveva fatto sì che il nonnetto venisse miserevolmente gettato in catene a marcire ad Azkaban per il resto dei suoi giorni…Gellert gli aveva anche consegnato la prima lettera, questa si scritta da Albus in persona quando era ragazzino. L'aveva custodita con sè per tutti quegli anni e al momento opportuno se n'era sbarazzato
E ora tutto questo gli era stato utile per far sì che il vecchio pazzo venisse tolto definitivamente dai piedi.
Ora finalmente, con la strada libera, avrebbe ridotto Hogwarts in un luogo dove tutti lo avrebbero acclamato come eroe e tutti si sarebbero piegati alla sua volontà.
“ Signor Riddle. La sua testimonianza è stata davvero sublime. Ci scusiamo, a nome mio e di tutti i membri della suprema corte del Wizengamot, per la scettica accoglienza a lei riservata in precedenza. Ci auguriamo che lei presto finisca l’istruzione e le assicuriamo un posto garantito all’interno del ministero. Ha tutto, carisma e buone intenzioni, adatte a diventare un prossimo Ministro della Magia”
E finito di parlare, tutti si alzarono in piedi ad applaudire Tom Riddle per la giustizia che quel giorno aveva aiutato a perseguire.
“ Grazie signor ministro” disse dopo che gli applausi furono cessati. “ E io le prometto che farò di tutto affinchè Gellert Grindelwald venga riacciuffato il prima possibile. Ho a cuore la sicurezza del mondo magico e babbano, specie da questo giorno in cui tutti, me compreso, siamo ancora scossi dall’abile inganno che il professor Silente ha commesso a danno di tutti noi. Potete contare su di me e sappiate che non avrete a pentirvene mai”
Altro scrosciante applauso.
Riddle si chinò e con estrema cortesia, da bravo ragazzo quale era, sollevo una mano in segno di saluto a tutti quanti.
Poi uscì trionfalmente, ma pur sempre senza dare nell'occhio, godendosi quel sapore sublime che ti attanaglia quando tutto procede secondo i tuoi piani. E' il sapore della vittoria!

 
NOTE DELL’AUTORE


Con questo capitolo si conclude anche questa parte. Ringrazio infinitamente Ecate, Alice e Circe per le recensioni che sono state di grande supporto per questa storia!! Ho un po' di cose da dire a proposito di questo capitolo
Mi auguro che l’abbiate trovato abbastanza credibile. Ho il timore che Tom qui sia sfociato nell'OOC. Mi rendo conto che può sembrare per certi aspetti più adulto di un ragazzo di quattordici anni e mezzo (come in questa parte della storia), però prima o dopo dovevo far sì che potesse conquistare anche il benestare del Ministero. E d'altronde sappiamo che lui godeva anche di ottima reputazione al Ministero, poichè quando al quinto anno decide di addossare le colpe su Hagrid e farlo espellere da Hogwarts tutti hanno creduto a lui e non a Silente che cercava di difendere l'altro; prova comunque che, ormai, aveva il mondo ai suoi piedi e tutti credevano in lui.
Non a caso, anche nei libri, la Rowling fa capire come i professori a Hogwarts lo stimassero tutti, ad eccezione di Silente che aveva la precedente esperienza di Grindelwald, molto simile al primo Voldemort.
Nella prossima parte credo che i protagonisti saranno gli stessi di questa storia con l’aggiunta di Grindelwald. Spiegherò come egli ucciderà Credence e perché la sua morte si sia resa necessaria e non più rimandabile. La prossima parte riguarderà gli anni 4 e 5 ovvero, per quanto riguarda Tom, il raduno dei precursori dei mangiamorte, Lord Voldemort e per ultimo l’apertura della Camera dei Segreti.
Per quanto riguarda Grindelwald cercherò di descrivere tutto il nuovo regno di terrore che inaugurerà per la durata dei prossimi 22 mesi, finiti i quali, verrà definitivamente riacciuffato. Come vi ho detto, terminerà con il primo omicidio compiuto da Tom Riddle su Mirtilla Malcontenta. Che di fatto considero come prima vera e propria rivelazione al mondo, anche se ancora celata dietro il suo finto buonismo.
Per i fan di Silente… tranquilli. Presto tornerà libero.
Niente… spero che questo finale un po’ dark vi sia piaciuto e vi auguro una serena settimana!! Non so bene quando inizierò la terza parte, ma mi auguro presto!
Grazie ancora a tutti e a presto!
 
 


 

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