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di Teo5Astor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Time flyers ***
Capitolo 2: *** Out of Heaven ***
Capitolo 3: *** Atlante ***
Capitolo 4: *** Penelope ***
Capitolo 5: *** Revenge ***
Capitolo 6: *** Rage and Love ***
Capitolo 7: *** The lost Kaiohshin ***
Capitolo 8: *** Atena ***
Capitolo 9: *** Armstrong (prima parte) ***
Capitolo 10: *** Armstrong (seconda parte) ***
Capitolo 11: *** Hakaishin ***



Capitolo 1
*** Time flyers ***


1 – Time flyers

Ormai la macchina del tempo è quasi pronta. Seduto in giardino, osservo mia mamma caricare le ultime bombole di carburante e preparare le capsule all’interno dell’abitacolo con scorte di vestiti, viveri e quant’altro si possa immaginare. Mi mancherà molto mia madre quando sarò partito, o almeno, mi mancherà questa sua versione più giovane e allegra, ma non certo meno intelligente e coraggiosa di quella con cui sono cresciuto. Soprattutto sentirò la mancanza di mio padre Vegeta perché purtroppo non esiste una sua versione nel mondo verso il quale sono diretto, così come non potrò rivedere Goku e gli altri amici che vivono in quest’epoca. Quanto è stato bello passare insieme a mio padre questo periodo legato alla battaglia contro Zamasu e Black, così difficile e allo stesso tempo esaltante! È stato splendido allenarmi con lui, vedere quale livello sia stato in grado di raggiungere e migliorarmi così tanto anch’io grazie al suo esempio. Ma, soprattutto, è stato stupendo vedere come è cambiato rispetto al mio precedente viaggio in quest’epoca, come ha saputo smussare certi spigoli del suo carattere pur restando sempre coerente con sé stesso e con il suo orgoglio. Ho anche saputo che ai tempi dello scontro con Majin Bu è arrivato persino a sacrificare la sua vita pur di salvare le persone che amava. Sarà strano non rivedere più il me stesso bambino, quel “piccolo me” al quale mi ero ormai affezionato e che ormai considero un fratellino. E per quanto sia molto diverso da colui che è stato il mio maestro, mi mancherà molto anche Gohan. Mi piace vederlo così sereno con la sua famiglia e pensare che il destino, in fondo, può essere cambiato fino all’ultimo grazie alle nostre azioni.
Pensando a queste cose non mi rendo conto che davanti a me c’è qualcuno finché una mano stretta in un pugno mi colpisce sul petto, delicatamente ma non troppo. «La prossima volta che ci vediamo sai che potrei pensare di distruggerti?!» Sollevo lo sguardo e incrocio gli occhi azzurri di C18, mentre ride divertita e si riavvia i capelli biondissimi allontanandosi con sua figlia. Le sorrido timidamente, ma anche col cuore più leggero. Lei, tanto bella quanto spietata quando l’avevo conosciuta e poi distrutta nel mio mondo, è l’emblema che tutti possiamo farcela ad avere un futuro diverso, migliore, anche se qualcuno l’aveva progettato per noi incanalato in una certa direzione.

Ammetto che non mi dispiacerebbe stabilirmi qui per sempre. Del resto qui ho una famiglia al completo e tanti amici, inoltre questo mondo non ha dovuto soffrire come quello da cui sono partito io. Già, il mio mondo…non sono stato in grado di proteggerlo e alla fine è stato cancellato dal Sommo Zen’Oh. Non riesco a darmi pace per questo. Di quella vita mi resta solo Mai, e non è certo poco. Anzi, direi che è tutto. Quando durante la battaglia con Black temevo di averla persa è stato come precipitare in un abisso senza fine. Non voglio più pensarci. Siamo rimasti noi due senza un luogo, o meglio un tempo, verso il quale fare ritorno dopo questa guerra.
Il Signor Whis ci ha proposto due opzioni: restare in quest’epoca o trasferirci in un futuro che per forza di cose non può essere lo stesso dal quale siamo partiti e che è stato cancellato. In pratica, lui sarebbe in grado di prepararci un mondo simile dal punto di vista temporale al nostro ma che non debba affrontare la minaccia di Black per non rivivere un simile incubo. Il Signor Whis si è detto disposto a viaggiare personalmente nel tempo per mettere al corrente il sé stesso futuro degli intenti di Zamasu ed eliminare il problema. Per fare questo però, sarebbe necessaria la presenza di Lord Beerus e quindi bisognerebbe fare in modo che Kaiohshin non venga ucciso durante la battaglia per impedire il risveglio di Majin Bu. Sarà quindi questa la finestra temporale verso la quale dovremmo viaggiare, cioè torneremmo in un mondo più giovane di cinque anni rispetto a quello da cui siamo partiti e che ora è stato distrutto. Rivedremmo le persone che conoscevamo e anche mia madre sarebbe ancora viva, tutto sarebbe come nel periodo in cui avevo appena sconfitto Darbula e Babidi, solo con l’aggiunta di Kaiohshin e Lord Beerus ancora in vita.  Ovviamente incontrerei anche il me stesso di quell’epoca, il me stesso ventiduenne, e lo stesso vale per Mai.
Anche se alla fine abbiamo deciso di partire, continuo a chiedermi se questa sia davvero la scelta giusta o se non sia più sensato convivere con due sé stessi molto più piccoli di età come stiamo facendo in questo mondo. Non è facile gestire un simile paradosso. Mi domando se sarebbe davvero la stessa cosa rapportarsi con le persone a cui abbiamo voluto bene in quello che di fatto era un altro mondo, un’altra vita. Mai non sembra avere dubbi, lei vuole partire. Sinceramente la capisco. In questo presente non ha più nessuno, qui è tutto diverso. Lei ha perso tutto durante le devastazioni da parte di C17 e C18, ha trovato un rifugio e una famiglia nel gruppo di forze speciali che si è creato in quel periodo e che ha aiutato tante persone finché poi io sono riuscito a riportare la pace. È così che ci siamo conosciuti, grazie a quella guerra. Con il passare degli anni lei ha preso il comando di quel gruppo armato che mi ha sempre aiutato a garantire la sicurezza sulla Terra e che è stato successivamente il mio unico appoggio durante la feroce battaglia con Black. In questo mondo invece non è mai esistito nulla di tutto questo, probabilmente i vari amici di Mai hanno avuto storie totalmente diverse e forse anche più felici, proprio come è successo a Gohan. Per loro Mai è un’estranea qui, e lo stesso vale per me che invece venivo considerato una celebrità proprio da loro grazie ai miei poteri. Per me quello che conta è la felicità di Mai, l’unica che riesca davvero a scalfire la malinconia dalla quale non riesco a liberarmi. Mi è sembrato subito naturale appoggiarla in questa difficile decisione.

«Allora, siamo pronti?» Una voce dolce e una mano che mi accarezza i capelli mi riportano alla realtà, assorto com’ero nei miei pensieri non so neanche quanto tempo sia passato. Guardo Mai che mi sta porgendo la spada, la mia spada con cui sono riuscito a tagliare a metà la fusione tra Zamasu e Black avvolgendola col potere della Sfera Genkidama , un potere che non pensavo neanche di essere in grado di governare. Quei grandi scienziati di mia madre e mio nonno sono riusciti a ripararla attraverso un sofisticato processo rigenerativo visto che era messa proprio male dopo la battaglia. La verità è che non volevo separarmene perché ha un grosso valore affettivo per me avendomi accompagnato in tutti gli scontri che ho vinto e che mi hanno portato a fronteggiare nemici fortissimi. Come se non bastasse, si tratta di un regalo che mi era stato fatto quando ero un bambino da un eroe chiamato Tapion venuto da un pianeta lontano, Conuts. Tra l’altro, ma questo non l’ho mai detto a nessuno, credo sia anche un porta fortuna perché l’unico duello in cui non avrei potuto avere la meglio da solo l’ho affrontato con un’altra spada, la leggendaria Z Sword. Sto parlando della sfida contro Darbula, contro il quale alla fine ho avuto la meglio solo grazie all’aiuto decisivo di Kaiohshin che però ha pagato con la vita il suo intervento. Così come il Signor Kibith, un’altra vittima innocente di quella terribile giornata. In tutto questo la Z Sword venne pietrificata da Darbula e andò in frantumi, accrescendo ancora di più il mio legame con la spada donatami da Tapion.
«Certo, andiamo.» Le rispondo.

È il momento dei saluti adesso, e so già che mi farà male. Ho sempre odiato gli addii, mi fa soffrire pensare alla fine di qualcosa. Preferisco gli arrivederci, preferisco avere la speranza - quanto è importante per me e la mia vita la speranza! – che ci possa essere una continuazione, che ci si possa rivedere presto. Di sicuro so che non voglio attendere altri dieci anni per tornare in questo mondo e senz’altro non voglio aspettare che il mio prossimo viaggio sia reso necessario da un’altra tragedia. Non voglio più che sia un viaggio della Speranza, ma un viaggio della Gioia!
Prima di tutto ringrazio il Signor Whis, mentre Lord Beerus guardandomi in modo burbero dice: «Ehi Mirai, vedi di non battere le fiacca nel tuo nuovo mondo.» Per poi aggiungere con un ghigno malizioso: «Perché credo che prima o poi il futuro me avrà voglia di lottare un po’ con qualcuno che possa avere un livello di combattimento decente!» E infine, di nuovo con fare irritato: «E guai a te se ti metti ancora a gironzolare per il tempo, è severamente vietato!» A quel punto interviene mia mamma che abbracciandomi afferma: «Non dar retta a quel brontolone e torna presto, qui siete sempre i benvenuti. E magari la prossima volta mi farete conoscere anche il mio nipotino!» Dopo aver aggiunto queste parole strizza l’occhio a Mai, facendoci arrossire entrambi. Goku mi stringe la mano esclamando: «Non vedo l’ora di rivederti, spero che combatteremo ancora insieme! Magari contro avversari ancora più forti di Zamasu!» È proprio incorreggibile Goku! Per ultimo cerco con lo sguardo mio padre, che è rimasto in disparte. Improvvisamente mi corre incontro e mi sferra un pugno che prontamente riesco a parare. Poi sorridendo mi dice: «Quando non sai cosa fare passa da queste parti, con ancora qualche allenamento insieme nella Gravity Room potrei anche riuscire a farti diventare un Super Saiyan Blue!» Per poi aggiungere, serio: «Mi raccomando, allenati sempre al massimo e supera i tuoi limiti, ricordati di chi sei figlio! E guai a te se succede qualcosa alla ragazza, abbi sempre cura di lei!» E così persino il rude Vegeta è riuscito a far arrossire Mai. Del resto è risaputo che i duri hanno due cuori!
Con il cuore pesante salgo sulla macchina del tempo insieme alla mia compagna. Guardo ancora una volta papà prima di chiudere il portellone. È girato di spalle ma ci guarda con la coda dell’occhio. Mi strappa un sorriso.
Guardo Mai, lei mi sorride dolcemente e mi appoggia una mano sul ginocchio. Mi sento più sollevato e trovo il coraggio di mettere in moto. Vedo il me stesso bambino urlarmi: «Mi mancherai fratellone!» E la piccola Mai piangere al suo fianco. Avverto  un nodo alla gola. Ci stiamo innalzando nel cielo, quando improvvisamente sento ancora una volta gridare il mio nome. Mi giro alla mia sinistra e scorgo Gohan, seguito da Junior, volare verso di noi.  Si ferma, ha il fiatone. Non era al corrente della nostra partenza, mi avrebbe fatto male salutare anche lui. «Ehi, Trunks!» Mi urla, e mentre lo fa solleva il braccio destro col pugno chiuso in segno di trionfo. Per un attimo alle sue spalle vedo comparire anche il Gohan del mio mondo, il mio maestro, il guerriero più forte e valoroso che abbia mai conosciuto. Con gli occhi pieni di lacrime sollevo il pugno destro verso di lui finché la macchina del tempo non si smaterializza per proiettarci nello spazio-tempo.

Mi viene da piangere e non ho il coraggio di guardare Mai, il mio orgoglio me lo impedisce. Ma dopo qualche attimo di silenzio, senza quasi rendermene conto, dico con un filo di voce:
«Mai, non hai un po’ paura di quello che ci aspetta?»
Sento la sua mano stringersi intorno alla mia, prima che mi risponda: «Guardami, Trunks.» Ricaccio indietro le lacrime, mi giro lentamente e la fisso negli occhi. In un attimo penso a quanto sia bella, a come riconoscerei i suoi occhi tra milioni di altri occhi. E a quanto la ammiro per la persona che è. Improvvisamente mi sorride con una purezza e una spontaneità che la rendono ancora più radiosa di quanto non sia di solito. Poi esclama:
«Corriamo il rischio di essere felici, che dici?»
A quel punto sento la tensione sciogliersi e la malinconia allontanarsi da me. Le rispondo:
«Sì, andrà tutto bene. Finché saremo insieme andrà tutto bene. Ti fidi di me?»
La vedo un po’ arrossire prima di stringermi più forte la mano e rispondermi: «Sì, tu non mi hai mai deluso!»
 
Il viaggio sta giungendo al termine, mentre continuo a immaginare con ritrovato ottimismo come sarà la nostra nuova vita.
Ma, come spesso accade, la realtà non si dimostra all’altezza della fantasia.
Dovrebbe essere giorno ma il cielo è oscurato in modo innaturale. Un brutto presentimento inizia a farsi strada dentro di me. «Guarda Trunks!» Grida Mai indicandomi uno squarcio nel cielo circondato da luci simili a fulmini. «Ma cosa sta succedendo qui?!» Aggiunge sempre più agitata. Mentre atterriamo vedo segni di esplosioni per terra e alcuni edifici in fiamme. Noto subito un gran via vai di persone impegnate a soccorrere dei feriti e a portarli dentro la Capsule Corporation. Riconosco alcuni soldati amici di Mai e mi sento più tranquillo quando mi accorgo che è mia madre a dirigere le operazioni. E, soprattutto, percepisco che è in corso una lotta, qualcuno sta combattendo. Possibile che il Signor Whis si sia sbagliato? Possibile che qualcosa sia andato storto?! Riconosco subito la mia aura, cioè quella del Trunks di questo mondo, e mi sembra anche molto debole. Il potere del nemico che sta affrontando è troppo superiore al suo, devo sbrigarmi a correre in suo aiuto! Come se non bastasse, ho l’impressione di conoscere anche l’aura del suo avversario, una mia vecchia conoscenza. Più che altro non è esattamente la stessa che ricordavo, sembra quasi “contaminata” con un’altra. E purtroppo, anche quest’altra aura che sento presente seppur in modo flebile la conosco bene. Fin troppo bene. Qualcosa è andato decisamente storto, qualcosa che il Signor Whis non poteva essere in grado di prevedere.
«Mai,» dico con fermezza. «Qualunque cosa succeda resta sempre al mio fianco, non posso perderti.» Mentre atterriamo la guardo intensamente e aggiungo: «Ci penso io.»

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Capitolo 2
*** Out of Heaven ***


2 – Out of Heaven
 
 
(1 ora prima)
 

Come sto bene qui, come sono felice! In questo luogo ho tanti amici, possiamo cantare e ballare tutti insieme, chiacchierare e abbracciarci, essere sempre di buon umore! Non esistono problemi e si respira il bene nel senso più assoluto del termine! Che poi respirare non sarebbe esattamente il termine più preciso…io infatti sono un’anima da un paio di settimane e non sono mai stato così appagato in vita mia. Già, la mia vecchia vita…ho ricordi vaghi perché so che il mio spirito è stato purificato e in questo processo ho perso gran parte della memoria. Sono consapevole di non essere stato una brava persona e di aver ucciso tante, troppe persone. Ma avevo scelta? In fondo ero il Re del Mondo Demoniaco, non potevo mica andarmene in giro a raccogliere fiori e farne collane da regalare agli amici come sto facendo in questo momento. E questo continua a farmi soffrire, mi spinge a diventare sempre più buono ora che ho una seconda possibilità!

Quando sono arrivato nell’Aldilà, quel brav’uomo di Re Enma, in qualità di Giudice delle anime dei defunti, ha deciso di mandarmi in Paradiso perché se fossi andato negli Inferi non avrei fatto altro che sentirmi a casa. Ero furibondo per questa situazione, ma appena sono giunto qui ho capito quanto sono stato folle in vita, quanto dovevo cercare di rimediare a tutto il male che avevo fatto! Passo le mie giornate a cercare le vittime che la mia pazzia ha mandato prematuramente in Paradiso e invoco il loro perdono, regalo dei fiori e soprattutto il mio cuore…o meglio, l’idea astratta di bene che sarei in grado di dar loro se avessi ancora un cuore! Temo che dovrò farne ancora molta di strada per trovare tutte queste anime beate, ho fatto troppi danni nella mia vita precedente.
Ringrazio il giorno in cui ho incontrato Trunks, un bravissimo ragazzo, il saggio e generoso Kaiohshin e il suo assistente Kibith. Li ho attaccati senza motivo, il mio cuore colmo di avidità e malvagità era terreno fertile per gli incantesimi del mago Babidi che mi ha così convinto ad aderire al suo folle piano per risvegliare un mostro chiamato Majin Bu. Per fortuna non ce l’abbiamo fatta e così ho potuto ripartire da zero dopo che Trunks mi ha dato il colpo di grazia. Quanto vorrei fosse arrivato prima quel momento, quanto vorrei aver vissuto come Signore della Luce e non delle Tenebre!
 
All’improvviso sento un frastuono che fa tremare addirittura la terra e vedo uno squarcio nero aprirsi nel cielo. Mi ritrovo investito da un fascio di luce verde proveniente da quell’apertura e vengo travolto da una scossa simile a un elettroshock. Tutte le anime intorno a me scappano, sono confuso e impaurito. Mi sento strano e urlo: «Aiutatemi! Cosa sta succedendo?!»
Il silenzio intorno a me viene interrotto da una voce dolce, suadente, che non ho mai sentito prima: «Perché lo fai? Perché non te ne vai?»
Mi giro di scatto, ma non c’è nessuno neanche alle mie spalle. «Chi sei?!» Rispondo allarmato: «Cosa vuoi da me?!» Aggiungo, guardando i fiori che stringo tra le mani: «Sto facendo del bene e non voglio andarmene, sono felice qui! E non potrei neanche se volessi, siamo in Paradiso!»
Sento la voce misteriosa ridere di gusto prima di replicare: «Devi sapere che oltre quello squarcio nel cielo c’è la vita, c’è il mondo terreno che sei stato costretto ad abbandonare. Io ti sto dando la possibilità di farvi ritorno. Sei libero!»
«No, non voglio! Lasciami stare!» Imploro, ma intanto inizio a sentire dei fremiti nel mio corpo, sento che qualcosa sta cambiando. Ho detto corpo non a caso, avverto delle modifiche alla mia forma spirituale che non riesco a comprendere. Mi rendo conto che sto tornando ad avere un corpo. Ho paura, mi guardo intorno in cerca di aiuto ma non vedo nessuno. Come dei flash, riaffiorano nella mia mente tante immagini che avevo dimenticato. Stragi, uccisioni, devastazioni. Gente tramutata in statue di pietra. Demoni che ridono sguaiatamente. Crollo a terra, mi tengo la testa tra le mani. Urlo, ma è come se nessuno potesse sentirmi. Chiedo pietà, mentre sento delle lacrime rigarmi le guance. La luce verde continua a investirmi e mi sento sempre più forte, sempre più vivo. Ma io non voglio essere forte, non voglio tornare in vita.
Vorrei solo essere felice.
 
La voce misteriosa torna a parlare e inizio a sentirmi ammaliato da questo suono armonioso: «Ora ti dirò chi sono e ti spiegherò velocemente la situazione. Abbiamo poco tempo adesso, quando sarà tutto finito avrai modo di capire ogni cosa. Tu non mi conosci, io sono un Kaiohshin dell’Universo 10, mi chiamo Zamasu. Avevo conquistato il mondo e sterminato praticamente tutti i mortali e le divinità di una linea temporale diversa da questa, cinque anni avanti nel futuro. L’unica entità superiore a me rimasta in quel mondo, avvisata da un mortale suo amico, è riuscita a cancellarmi grazie ai suoi poteri sconfinati. O meglio, tutti pensano che mi abbia cancellato, ma in realtà io ero diventato immortale grazie alle Super Sfere del Drago e così sono riuscito a preservare almeno il mio spirito. Prima di scomparire insieme a quel mondo che avevo soggiogato, grazie al mio stratosferico  potere sono riuscito a lanciare un immenso fascio di energia purissima diretto verso una linea temporale alternativa. Speravo che tale energia potesse raggiungermi direttamente e permettermi la fuga, ma non sono riuscito ad andare oltre la soglia del Paradiso. Io adesso mi trovo negli Inferi, e sapendo che tu eri proprio in quel luogo ho capito che avremmo potuto allearci. Ti conosco di fama, so che abbiamo molte cose in comune. Io odio i mortali, ma tu sei comunque simile a una divinità come me essendo il Re di un luogo come il Regno degli Inferi dove vanno a finire quegli stupidi umani quando quelli più potenti, come noi, decidono che non c’è più spazio per loro nel mondo terreno. Non devi fare altro che uscire da lì, vendicarti di chi ti ha ucciso e riportarmi in vita. Quel Saiyan di nome Trunks ha creato diversi problemi anche a me nel futuro da cui provengo. Uccidilo e trova un modo per farmi uscire da qui. Non dovrebbe essere difficile per te. In cambio, oltre alla vita che ti sto donando, diventerai il mio assistente e otterrai ancora più potere di quello che ti sto dando adesso. Già avrai notato che la tua forza si sta incrementando col passare dei secondi e che il tuo livello di combattimento è molto superiore a quello che hai sempre avuto. Insieme raggiungeremo il mio obiettivo: portare a compimento il Piano Zero Umani!»
Per poi aggiungere: «Voglio creare un mondo puro, ripulito dai peccati che continuano a commettere i mortali a causa della loro presunzione e superbia. Sono stanco di vedere il mondo insozzato dall’ignoranza e dalla violenza umana, sento di essere il Divino Artefice di una Nuova Era. Sono il Prescelto, devo portare a termine questa missione. Sono consapevole di quanto sia ambizioso come piano, di quanto possa apparire difficile da realizzare.
Ma so anche che i sogni non sono grandi abbastanza se non ti mozzano il fiato.»
 
Mi rialzo in piedi, sono più tranquillo anche se ancora abbastanza confuso.
Dopo qualche secondo di silenzio, Zamasu grida: «Forza, sbrigati e vattene da lì! È più facile a farsi che a dirsi, quelli come noi non sanno darsi per vinti!» Per poi esclamare, con un urlo trionfale: «Vai, Darbula!»
 
Una scossa mi attraversa la testa nell’udire quel nome, qualcosa a me molto familiare nella mia vita precedente. Il mio nome! La scossa è talmente forte che sono costretto a portarmi le mani alle tempie. Dopo qualche attimo mi riprendo, mi sento lucido. Sollevo la testa. Ora è tutto chiaro, finalmente. Un ghigno si fa strada sul mio volto. Io sono il Signore delle Tenebre! Sento una forza immensa e mai provata prima scorrere nelle mie vene. Senti i muscoli tesi, frementi, pronti a scattare. Vogliosi di azione. Percepisco anche la mia aura leggermente diversa da quella che ricordavo di avere, probabilmente è contaminata dall’energia che mi ha trasmesso Zamasu. Non è certo un problema: quel che conta è che ho una seconda possibilità, ma non per farmi perdonare. Da chi è per cosa, tra l’altro?! Io sono il Male, io godo nel veder soffrire la gente. Bramo il sangue e le ossa spezzate. Le lacrime, il fuoco, la distruzione. Ho una seconda possibilità per vendicarmi, innanzitutto, e in più posso essere parte di qualcosa di ancora più grande di me, qualcosa di divino come il Piano Zero Umani!
Per prima cosa, sento il bisogno di distruggere quel maledetto Saiyan che mi ha fatto finire qui e quell’incapace di Kaiohshin. La mia vendetta sarà atroce!
 
Sento anche un odore nauseabondo. Mi guardo le mani pieni di fiori. Li incenerisco, schifato. Ma come ero ridotto?! Inoltre mi rendo conto di avere altri fetidi fiori in testa, disposti a formare una corona. Reprimo un conato, sono inorridito! La strappo, la calpesto, mi sento una furia. Che umiliazione per il sommo Darbula! Re Enma pagherà per tutto questo, arriverà anche il suo turno! Mi sento addosso il fetore per tutto il Bene che mi è stato vomitato addosso in questi giorni da questi luridi spiriti beati. Ho una voglia immensa di distruggere, di sfogare tutta le frustrazione che ho accumulato!
Osservo lo squarcio nel cielo e mi guardo intorno. Ovviamente nessuna anima sta cercando di scappare, qui sono tutti così perbenisti da darmi il voltastomaco.
 
«Scusa Zamasu se ti ho fatto aspettare.» Affermo in tono solenne mentre mi alzo in volo facendo fluttuare il mantello bianco alle mie spalle. «Ho proprio bisogno di divertirmi e sgranchirmi un po’ le ossa, poi verrò a tirati fuori da lì!»
«Va bene Darbula, a presto!» Mi risponde.
Inizio a ridere di gusto e urlo: «Spada!» Mentre me ne vado da questo posto infame. Compare subito la mia amata arma nella mia mano destra. È magnifica, mi era mancata. Emana anch’essa un potere maestoso. Mi sento invincibile! Rido ancora e me ne vado.
Fuori dal Paradiso.
 

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Capitolo 3
*** Atlante ***


3 – Atlante
 
(la notte prima)
 
Ho un peso sopra il petto che non mi fa più dormire.
Mi giro dentro il letto come se fossi sulle spine. Sono agitato, nervoso, infastidito. È sempre così nelle ultime due settimane. Non sono sereno, riposo male. Non lo do a vedere, non mi confido con nessuno.
Non posso farlo.
Il mio ruolo mi impone di non farlo. La gente si aspetta sempre grandi cose da me e io ogni giorno devo indossare la maschera dell’eroe senza paura, quello che ha salvato il mondo più volte. Non voglio far preoccupare nessuno, non posso deludere nessuno. Ma non sto per niente bene.
Vado a letto tardi, mi alzo presto e dormo poco. Perché quando chiudo gli occhi comincia di nuovo: sogno che cado nel vuoto senza fermarmi o schiantarmi. La maledizione di un eterno volo.
 
Tutto è cominciato, appunto, un paio di settimane fa. Dopo un lungo allenamento sul pianeta di Kaiohshin e dopo aver imparato a maneggiare la leggendaria Z Sword, sono riuscito a distruggere Darbula e il mago Babidi, impedendo il risveglio di un mostro chiamato Majin Bu.
Il risultato finale è stato quello sperato da Kaiohshin e dal signor Kibith quando sono venuti a cercarmi chiedendo il mio aiuto per portare a termine questa impresa, ma la verità è che non tutto è andato come avevamo previsto.
Non sono stato abbastanza forte.
La forza di Darbula mi ha messo in crisi. Kaiohshin non pensava che uno come lui si fosse alleato con Babidi, credeva che ci saremmo trovati davanti avversari più abbordabili. Io mi sentivo invincibile con i miei nuovi poteri e dopo che cinque anni fa avevo distrutto i Cyborg nulla mi faceva più paura. Ma la realtà è stata diversa. Ho rischiato di soccombere e di trascinare tutti con me.
La Terra, l’intero Universo probabilmente.
 
Nella mia testa continua a ripetersi il duello con Darbula, spada contro spada, pugno contro pugno. Non riuscivo a scalfire le sue difese, non ero in grado di metterlo in difficoltà. La Z Sword non poteva nulla contro di lui, nemmeno i miei colpi e i miei poteri. Rivivo il momento in cui Kaiohshin ha provato a uccidere Babidi cogliendolo di sorpresa ma venendo invece travolto da una sfera di energia lanciata dal Signore degli Inferi accorso in aiuto del suo alleato. Ricordo il perfido mago riempire di calci l’inerme Kaiohshin, ormai in fin di vita. Mi sentivo impotente, confuso. Sconfitto.
Sei forte, o sei un condannato.
 
Mi torna alla mente un’improvvisa apparizione al mio fianco in quel preciso istante della battaglia, tanto fugace che mi chiedo ancora se sia avvenuta veramente. Un uomo giovane, alto, con la pelle azzurrina e i capelli bianchi pettinati in un lungo ciuffo. Indossava una tunica color rosso scuro e stringeva in mano un lungo bastone simile a uno scettro. Una visione quasi angelica oserei dire. Ripenso alle sue parole, prima di smaterializzarsi: «Oh, oh, oh! Trunks, corri subito a proteggere Kibith! Stanno per attaccarlo.»
 
Senza avere il tempo di pormi domande, ricordo la mia ricerca con lo sguardo del signor Kibith che, a causa di un attimo di distrazione, non si era accorto che Darbula lo stava per uccidere. Sono riuscito a salvarlo all’ultimo deviando il colpo del demone e attirando così anche l’attenzione di Babidi. Sfruttando questo momento, Kaiohshin con un incantesimo ha paralizzato i due nemici per qualche secondo e mi ha urlato di distruggerli. Ho raccolto le ultime forze rimaste pensando al mio defunto maestro Gohan e ho usato la sua tecnica più potente. Ho agitato le braccia vorticosamente fino a formare un triangolo con le mani, per poi urlare: «Masenko!»
Ho eliminato così quei due criminali. Il signor Kibith grazie ai suoi poteri curativi ha potuto salvare Kaiohshin fortunatamente. Non ho ancora capito chi fosse quell’uomo che credo di aver visto e se mi sia apparso sul serio. Se il suo scopo non fosse stato semplicemente quello di  preservare i poteri di Kibith, che sono poi risultati fondamentali. Ho provato a chiedere spiegazioni a Kaiohshin quel giorno, ma si è limitato a rispondermi frettolosamente e prima di andarsene: «Era un Angelo. Nel vero senso della parola. Un giorno capirai.»
 
La distruzione di Darbula ha soprattutto riportato alla vita Mai.
Già, Mai.
Non riesco a darmi pace per quello che è successo. Il mio orgoglio potrebbe anche accettare un giorno l’aver avuto bisogno del fondamentale aiuto di Kaiohshin per battere il mio nemico, ma il senso di colpa per non essere stato in grado di proteggere la ragazza che amo da sempre mi sta devastando.
Ho sbagliato tutto. Non avrei dovuto coinvolgerla in questa cosa, ho sottovalutato i miei avversari.
 
Mai l’ho conosciuta durante la guerra contro i Cyborg, in mezzo alle macerie. Eravamo dei ragazzini di 14 anni pieni di sogni e di speranze. Confusi, impauriti, soli…ci siamo sostenuti a vicenda. Ci siamo sempre stati l’uno per l’altra. Avevo appena perso in battaglia Gohan, il mio mentore, mi restava solo mia madre. Lei invece non aveva nessuno, viveva in un rifugio nei sotterranei della città insieme al corpo di soldati che aiutavano i superstiti a sopravvivere. Mi ha dato la forza di reagire, di credere che avrei potuto farcela a uccidere quei mostri e riportare la pace. Mi ha chiesto solo una cosa quel giorno e ricorderò per sempre le sue parole:
«Mi sono resa conto in questi anni che in una vita come la nostra il vero lusso è la felicità. Io lo so che un giorno diventerai abbastanza forte da distruggere gli Androidi, ma, ti prego, giurami che mi regalerai la felicità. A me, a tutti.»
Credo di essermi innamorato di lei in quel preciso istante.
Sono passati otto anni ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo.
E forse ormai è troppo tardi.
 
Se chiudo gli occhi ho ancora davanti quella scena: due adolescenti seduti su un grande blocco di cemento a fissare le macerie di quella che una volta era la nostra città.
Io con la spada e lei con un fucile ad alta precisione a tracolla. Una scena quantomeno bizzarra. Più drammatica che romantica, probabilmente.
Uniti dalla guerra. Accomunati dal dolore.
Scelti dal destino.
Ricordo la mia mano destra appoggiata sul cemento vicino alla sua mano sinistra. Saranno state a dieci centimetri di distanza le nostre dita. Penso spesso a cosa sarebbe successo se quel giorno avessi avuto il fegato necessario a colmare quei dieci centimetri. La capacità di prenderla per mano.
In quel momento ho pensato che se l’avessi stretta a me non avrei più avuto il coraggio di lasciarla andare via.
E invece avevo una missione da compiere: riportare la pace e regalarle la felicità, come promesso.
 
Ho impiegato tre anni per ottenere la forza necessaria a uccidere i Cyborg. A quel punto, cinque anni fa, è iniziata la ricostruzione delle varie città ed è ripartita lentamente la quotidianità delle persone.
Mai già da ragazzina era entrata a far parte dell’esercito, quello che era diventato la sua famiglia. Era già brava come cecchino allora e, come me, non hai mai smesso di allenarsi. A guerra finita ha deciso di continuare a fare il soldato e ha preso il comando di un gruppo armato incaricato di garantire l’ordine. In pratica, sono il mio unico aiuto. Perché io da allora sono una sorta di vigilante qui, la gente mi considera una specie di supereroe.
 
Lei forse non sa neanche quanto sia stata importante per me e quanto lo sia tuttora. Quando è comparsa nella mia vita avevo appena perso Gohan ed ero perso, disorientato, sfiduciato. Morto dentro. Distrutto.
Lei mi ha dato una nuova ragione per lottare, per spingermi oltre i miei limiti. Mi ha insegnato ad amare. È l’unico appiglio che mi abbia impedito di sprofondare nell’abisso nei momenti bui.
Il centro del mio mondo.
 
Stavo per trovare il coraggio di dichiararmi a Mai in questi ultimi mesi. Lei infatti ormai si è trasferita a casa nostra su idea di mia madre. Abbiamo ricostruito la Capsule Corporation e qui lo spazio non manca. Così, vedendola tutti i giorni e conoscendola sempre più a fondo, stavo per riuscire a vincere la mia timidezza.
Poi è cambiato tutto però, un fulmine a ciel sereno. L’arrivo di Kaiohshin, la minaccia di Babidi, il mio trasferimento e il lungo allenamento su un altro pianeta. Mai ha riorganizzato i suoi uomini e si è messa con loro a pattugliare la zona dove ritenevamo fosse nascosta la navicella del mago.
Ricordo ancora la sua chiamata per avvisarci dell’avvistamento di Babidi e dei suoi scagnozzi mentre stavo per cercare di distruggere con la Z Sword un blocco composto dal materiale più duro dell’intero Universo. Abbiamo mollato tutto e ci siamo teletrasportati sul campo di battaglia.
 
A quel punto, il dramma.
Lo scontro è stato subito feroce. Le prime esplosioni hanno ridotto in fin di vita due soldati e Mai, da buon comandante, non ha voluto lasciarli indietro nonostante io le urlassi di scappare. Poi con un colpo fortissimo Darbula mi ha scagliato a terra accanto a lei.
Rivivo quella scena fotogramma per fotogramma, come una pellicola infinita di un film che continua a passare davanti ai miei occhi sbarrati.
Vedo il demone sputarmi addosso. Sento Kaiohshin urlare: «Non farti colpire dalla sua saliva! Ti tramuterà in pietra!»
Rivedo me stesso che cerca di ripararsi con la Z Sword prima che un ombra si frapponga tra me e il mostro.
L’orrore del momento in cui Mai ha deciso di farsi trasformare in una statua per salvarmi.
Questo mi ha frastornato ancora di più nella lotta successiva. Grazie al cielo siamo riusciti a spuntarla e lei è tornata normale. Le sue lacrime, il terrore nei suoi occhi. Un incubo.
Nulla era più come prima a quel punto.
 
Il senso di colpa per non aver saputo impedire tutto questo mi sta dilaniando. Fatico a guardarla in faccia, a parlarle. Temo il suo giudizio, il fatto che possa considerami un debole. Un inutile perdente. Mi terrorizza l’idea di perderla, se non di averla già persa. Ho paura che un giorno di questi possa andarsene per sempre, possa aver voglia di cambiare vita. Ripartire, ricominciare da zero. Per colpa mia. Perché l’ho delusa.
Ma può davvero finire così?
Sento che ci siamo presi, ma che ci siamo anche persi.
Spero solo che da persi saremo in grado di ritrovarci.
 
So che quello che le è capitato l’ha sconvolta e che continua a soffrire molto, troppo, per questo.
L’ho sentita raccontare i momenti in cui è rimasta pietrificata: non poteva muoversi, come bloccata in una morsa, ma vedeva e sentiva tutto. Provava il terrore di poter essere mandata in frantumi da un esplosione, temeva per le nostre vite. Orribile, tremendo.
Qualcosa in lei è cambiato. Qualcosa dentro di lei si è rotto e si vede anche da fuori. È gentile con tutti, sorride sempre anche a me…ma io capisco che c’è qualcosa che non va. È come un sole spento. Anche se ride per cortesia mi rendo conto che le piange il cuore.
 
Non so cosa fare per aiutarla, mi sento responsabile. La mia anima è andata in frantumi e il mio cuore si è spezzato a metà. Non riesco ad aiutare me stesso, come potrei salvare qualcun altro?
Credo che ci siano mille modi diversi per distruggersi ma solo uno per ricomporre tutti i pezzi, per aggiustarsi. Per assemblare questo enorme, complicato e caotico puzzle. Ma non so quale sia questo modo, non so cosa fare! Ho solo paura, una fottuta paura che Mai se ne vada!
 
Mi alzo di scatto e scendo dal letto, tutto sudato. Guardo fuori dalla finestra, la luna è ancora alta nel cielo ma è offuscata dalle nuvole. Anche le stelle visibili sono poche e la cosa mi rattrista. Guardo l’ora. Neanche le 5…ormai non dormirò più.
Apro la finestra e salgo sul davanzale. Galleggio silenziosamente nell’aria per qualche metro e vedo una luce accesa filtrare da una finestra della stanza accanto. Rientro in camera.
Anche stanotte Mai ha tenuto la luce accesa, come sta facendo ormai da quel terribile giorno. Lei dice che lo fa perché si addormenta mentre legge un libro, ma io so che ha paura del buio, degli incubi. Tutto per colpa di quel mostro. Tutto per colpa mia…
Chissà se stai dormendo adesso, Mai. A cosa stai pensando.
 
Devastato e rabbioso con me stesso, decido di andare a correre. Indosso la mia tenuta da running e mi lancio a perdifiato nella notte, mi lascio inghiottire dalla città buia. Corro fino a non sentirne più. Lo sforzo fisico allevia il dolore spirituale che provo. La fatica mi libera la mente, almeno un po’. Vorrei urlare, vorrei piangere.
Ma non posso. Quando sarà mattina dovrò indossare la mia maschera da guerriero senza paura e dare sicurezza a tutti. Devo vestire i panni dell’eroe, come sempre.
La gente che c’è qua pensa di avere tutta la verità, di sapere tutto di me. Ma c’è qualcosa che nessuno sa, tranne me. Qualcosa che vorrei confidare a Mai, la mia ancora di salvezza.
Mi sento infatti schiacciato dal senso di responsabilità, da tutte le aspettative che le persone ripongono su di me. Ho 22 anni ma ne ho addosso un’infinità in più. Devo essere sempre pronto ad annientare ogni pericolo, ma l’ultima volta ho rischiato di fallire. Non ho saputo proteggere Mai.
Giuro che un giorno saprò farmi perdonare per questo. Ti dimostrerò che per te sarei capace di sacrificare la mia vita, che sarei in grado di gettarmi tra le fiamme!
Forse così saprai perdonarmi e potrò avere pace.
 
Continuo a correre senza una meta e a pensare.
Qualcuno ha detto che la vita non ti carica mai di un peso troppo grande da sopportare.
Ma non è vero. Per quanto tu abbia le spalle larghe, capita che questo peso non sia proporzionale.
Capita di sentirsi schiacciati dalla propria anima. Una volta si riteneva che potesse pesare 21 grammi…beh, 21 grammi possono troppi anche per i giganti.
Nonostante tutte le difficoltà che ho dovuto affrontare io sono ancora qua.
Sono in piedi, ma mi sento il mondo sulle spalle. Come Atlante.
È questo che la gente non sa, o fa finta di non sapere.
 
Osservo l’orizzonte e l’alba che sta iniziando a sorgere. Rosa, magnifica. Rassicurante.
Penso a quando tutto era più leggero. Più del cielo.
Inizio ad avviarmi verso casa, reggendo il mio mondo sulle spalle.
Come Atlante.
 

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Capitolo 4
*** Penelope ***


4 – Penelope
 
(quella stessa notte)
 
L’avevo sentito dire da qualche parte, ma non ci avevo dato peso:
“Tieniti forte, perché il vuoto che ti toglie il respiro arriva di notte. Sarà che durante il giorno siamo presi a far finta di niente. Lontani dal cuore, lontani dalla mente”.
E invece è vero, è così che funzionano certe cose.
Lascio cadere sul letto il libro che sto leggendo e mi sfrego gli occhi con le mani. Me li sento gonfi, le palpebre sono pesanti. Ma non riesco a dormire, sono agitata.
È due settimane che va avanti così, ma non sono capace di farci l’abitudine. Non voglio abituarmi.
Se mi lascio vincere dal sonno so già cosa succederà. Incubi su incubi. Terrore al risveglio, più forte anche di quella sensazione di scampato pericolo che solitamente ci pervade al ridestarci da un brutto sogno.
Il mio incubo ricorrente. Il ghigno perfido e mostruoso di Darbula. La sua spada, la sua crudeltà.
Io che vengo pietrificata e poi ridotta a un cumulo di macerie, dopo aver assistito alla brutale uccisione di Trunks. Alla fine del mondo.
Rivivo un’esperienza terribile, ma ci aggiungo un finale tragico.
 
Sapere che alla fine tutto si sia in realtà risolto non contribuisce a rasserenarmi.
Se non è andato in frantumi il mio corpo quel giorno, senz’altro ci è andata la mia anima.
La mia psiche, anche. La privazione del sonno che di fatto mi autoinfliggo non fa che peggiorare la situazione.
Sono sempre più insicura, instabile. Sofferente. Sola.
Il dolore interiore ha mille vie d’accesso, ma una sola via di fuga.
 
La mia via di fuga non sono in grado di trovarla, non ce la faccio. Ho una speranza però: che possa essere Trunks la mia via di fuga. O, almeno, che insieme potremmo venirne fuori.
Anche lui soffre, l’ho capito. Non dice a nessuno che sta male ma si vede lontano un miglio. Così distante, così assente…è anche e soprattutto questo ad  alimentare il mio malessere.
Non ho il coraggio di parlarne con lui perché mi sento responsabile. Mi sono gettata tra lui e lo sputo di Darbula per impedire che venisse tramutato in pietra.
Non gli parlo di questo perché temo di ferire il suo orgoglio, non voglio farlo passare per patetico. Già immagino che il suo spirito Saiyan fatichi ad accettare di non aver potuto sconfiggere il suo nemico senza aiuti esterni.
 
Io lo conosco bene. È da tutta la vita che porta sulle sue spalle da solo il peso del nostro mondo e forse dell’universo intero. Una responsabilità fin troppo grande per un ventiduenne, ma lui non si è mai tirato indietro in tutti questi anni.
Non ho fatto quel gesto solo perché sapevo che lui era l’unico in grado di poter vincere la guerra, ma l’ho fatto soprattutto per amore.
Amo Trunks da più di otto anni.
Solo che lui non lo sa.
 
Da quel maledetto giorno ci siamo allontanati però, forse le cose non torneranno più come prima.
Siamo sempre stati come due treni che viaggiano su binari paralleli e vanno nella stessa direzione. Vicini, ci possiamo vedere sempre e possiamo parlarci, incoraggiarci a vicenda e sostenerci. Ma, viaggiando in parallelo, siamo anche destinati a non incontrarci mai.
A meno che un giorno questi due treni arrivino insieme alla stessa stazione e possano avvicinarsi davvero, magari unirsi e diventare un unico convoglio. Una cosa sola.
Invece ormai sembriamo sì due treni che giungono alla stessa stazione, ma mentre uno arriva l’altro se ne sta andando.
Ho la sensazione che Trunks mi eviti.  E pensare che ultimamente eravamo così vicini…
 
Fisso la luce accesa sul soffitto e penso che potrei anche provare a spegnerla, finalmente. Che non sono più una bambina.
Io poi, che in fondo non sono mai stata una bambina.
 
Sono cresciuta in fretta, senza una famiglia e senza amici veri, tra le macerie. Nei sotterranei della città, nascosta. A lottare ogni giorno per sopravvivere. A combattere la fame, quella vera. Ho visto i miei genitori morire in un’esplosione, i miei amici sparire uno dopo l’altro. Mi sono salvata, sono stata raccolta per strada da alcuni soldati che sono stati da lì in poi la mia famiglia. Loro e gli altri sfollati.
 
Sono sempre stata coraggiosa. Non ho voluto mollare e ho deciso di rilanciare la posta in gioco: ho scelto di arruolarmi, di fare l’unica cosa che poteva fare una ragazzina priva di poteri particolari. Ho iniziato a sparare, sono diventata un cecchino. Sono una che impara in fretta, mi sono subito fatta un nome nell’esercito.
Vivevo con un unico obiettivo: uccidere chi mi aveva condannato a un destino simile.
Volevo distruggere i Cyborg che hanno assassinato i miei genitori. Che hanno rovinato la nostra esistenza.
Ero chiusa, arrabbiata col mondo. Cortese con tutti ma silenziosa, preferivo stare sulle mie. Preferivo restare concentrata sul mio unico scopo di vita. Preferivo vivere nel rancore.
Avevo anche paura, certo. Solo i pazzi o gli incoscienti non ne avrebbero in certe situazioni. Ma vivevo tutto con freddezza e distacco. Assuefatta al dolore, dormivo bene la notte e avevo incubi solo di rado.
 
Ora non so cosa mi stia succedendo. Nell’ultima battaglia sono stata pietrificata da un demone e quell’esperienza mi ha travolto. Trunks alla fine è riuscito a distruggerlo e a salvarmi. Ancora una volta, come quando ha ucciso i Cyborg.
La mia vendetta, quella che avevo sognato da sempre.
Ma la realtà, almeno per me, era cambiata a quel punto. Era cambiata tre anni prima di quel momento tanto atteso. Non vivevo più nel rancore.
Non so se vivendo si cambia o se sono certi incontri a farti vedere le cose da un altro punto di vista. A farti crescere, maturare. A dare un senso diverso alla tua esistenza. A farti cambiare i piani, stabilire una nuova scala gerarchica nei tuoi valori.
 
Ricordo ancora quel giorno, ormai più di otto anni fa, quando ho iniziato a vedere le cose in modo diverso.
Quando ho capito che c’era speranza.
Vidi un uomo e un ragazzino della mia età combattere ferocemente contro i due androidi.
Stavo tornando nel mio rifugio con un po’ di cibo per tutti quando mi ritrovai a pochi metri da un feroce scontro scatenatosi all’improvviso. Mi nascosi, impaurita ma anche affascinata.
L’uomo indossava una tuta arancione, aveva un portamento fiero ed era estremamente muscoloso. Il suo volto portava i segni della guerra. Mi colpì però il suo sguardo: nonostante la situazione drammatica, non sprizzava odio ma serenità, purezza. Aveva i capelli neri che diventavano biondi durante la lotta, una cosa che non avevo mai neanche ritenuto possibile. Rimasi colpita da lui e dal ragazzino dai capelli viola che lo accompagnava. Un fisico più acerbo ma forte, una grinta spaventosa, una voglia di vivere che raramente avevo visto in qualcuno. Gli occhi ardenti, fiammeggianti e intensi. Penetranti come quelli di un falco.
 
Li spiai più volte nei mesi successivi. Enormi esplosioni segnalavano l’inizio della battaglia e, mentre tutti scappavano, io mi mettevo il fucile a tracolla e correvo verso il campo di battaglia. Spiavo, impaurita e affascinata.
L’uomo e il ragazzo avevano sempre la peggio e dovevano battere in ritirata. Ogni volta temevo che sarebbe stata la fine per loro. Ma con le loro azioni contribuivano a salvare la vita di centinaia di persone.
Vidi il ragazzo farsi sempre più forte, il fisico più maturo e simile a quello di un guerriero. Vidi l’uomo perdere prima un occhio e poi un braccio. Continuava a combattere però, non mollava. Finché, un giorno, perse la vita.
In quell’occasione era solo contro i due assassini. Ebbi paura che anche il ragazzo fosse stato precedentemente ucciso.
 
Poi, qualche ora dopo, lo vidi arrivare a raccogliere la salma dell’uomo, abbandonata in strada dai Cyborg. Pioveva forte. Il ragazzo piangeva, urlava. Anch’io piangevo da ore dal mio nascondiglio, fradicia e sconvolta. Incapace di andarmene. Temevo che tutto fosse finito, che non ci fosse più speranza. Veder arrivare il ragazzo, sapere che almeno lui era ancora vivo, è stato un raggio di sole.
Il sole quando piove.
Mi ha rassicurata. Ho capito in quel momento che lui sarebbe riuscito a riportare la pace, in qualche modo.
L’ho visto urlare contro il cielo tutta la sua rabbia e diventare improvvisamente biondo, generando un’esplosione spaventosa intorno a sé.
Continuava a piangere intanto, e io sarei voluta uscire a rincuorarlo. Ma non trovai il coraggio.
 
Passarono le settimane, in quello che ricordo come un periodo piuttosto tranquillo dal punto di vista delle azioni dei Cyborg. Forse erano appagati dall’aver ucciso il loro rivale più temibile.
Stavo tornando nel mio rifugio con un sacchetto contenente un panino, la mia cena, quando lo vidi.
Il ragazzo guerriero, seduto su un blocco di cemento. Osservava il tramonto tra le macerie. Aveva l’aria assente, la faccia di chi ha tanto sofferto. Il volto scavato, provato. La spada a tracolla rifletteva nella sua impugnatura la luce arancione che arrivava dal cielo.
Mi feci coraggio, mi mossi verso di lui.
 
«Scusami, ci conosciamo?» Disse all’improvviso il ragazzo senza neanche voltarsi, con tono calmo.
Fissava il vuoto, sembrava apatico. Mi chiesi se avesse percepito la mia presenza o se stesse parlando con qualcun altro che non avevo notato.
Deglutii, prima di mormorare con un filo di voce: «Scusa, stai dicendo a me?»
Si girò di scatto, fiero come un falco, e mi fissò. Lo sguardo però era assente, gli occhi spenti. Non era più quello da rapace che mi aveva impressionato. Non sembrava più il ragazzo che avevo tanto ammirato in battaglia.
Gli chiesi, senza pensarci troppo su: «Posso sedermi vicino a te a guardare il tramonto?»
«C-certo.» Mi rispose un po’ balbettando, forse intimidito dal fatto che fossi una ragazza.
Lo trovai tenero.
Dopo essermi seduta mi presentai: «Ciao, io mi chiamo Mai! Vivo nei sotterranei qui vicino.»
«Io sono Trunks. Vivo in un rifugio con mia mamma.»
«Ti ho visto combattere qualche volta. Sei molto forte lo sai? Ti ammiro molto!»
Mi rivolse uno sguardo affranto: «Non è vero. Il mio maestro e unico amico Gohan è stato ucciso da quei maledetti Cyborg, io non sono stato neanche in grado di aiutarlo. Sono troppo forti per me, senza di lui non ce la farò mai!»
Strinse i pugni mentre diceva questo. Capii che stava cercando di reprimere le lacrime. Nel suo sguardo non c’era più traccia di quella voglia di vita che mi aveva tanto affascinato.
Non sapevo cosa dire, non volevo che sapesse che io ero già a conoscenza di tutto. Che l’avevo visto piangere.
Allora buttai lì: «Hai fame? Ti va un po’ del mio panino?»
Gli porsi metà di quel misero pasto. Lui mi sorrise e disse: «Ma non è troppo poco per te come cena?»
Gli mentii: «Non preoccuparti, ho già mangiato prima!»
E così condividemmo insieme quello che era poco più di un tozzo di pane.
Ma aveva un sapore davvero speciale, almeno per me.
 
Mentre mangiavo capii che in quel ragazzo si era spento qualcosa dentro dopo la scomparsa del suo mentore, che dovevo trovare le parole giuste per farlo ripartire.
Così dissi, all’improvviso: «Trunks, ti va di farmi una promessa?
Io so con certezza che distruggerai quegli androidi. Non so quando succederà, ma arriverà il momento in cui diventerai abbastanza forte da farcela. Io credo in te, quindi non devi neanche promettermi che riporterai la pace.
Ho capito però che in una vita come la nostra il vero lusso è la felicità. Quindi ti prego, giurami che mi regalerai la felicità.»
Lo colsi di sorpresa con questa parole e vidi nei sui occhi una scintilla che divenne ben presto una fiamma. Il suo sguardo era tornato ardente. Il ragazzo guerriero che conoscevo era tornato in sé.
Mi rispose, fiero: «Ce la farò. E manterrò la promessa!»
 
Tornammo a guardare il tramonto. Le nostre mani erano vicine, forse a neanche dieci centimetri di distanza. Pensai che avrei voluto stringere la sua mano, che in sua compagnia non mi sarei sentita più sola. Provai ad allungare il mio dito per sfiorare il suo, ma proprio in quel momento lui si alzò, dicendo che doveva tornare a casa. Era allegro, disse che ci saremmo rivisti presto e di stare attenta.
Ero felice anch’io, grazie a lui. Mi resi conto di essermi innamorata.
 
Quel giorno non era destino per noi colmare quei dieci centimetri che ci separavano, ma almeno eravamo diventati amici e lo saremmo stati per gli otto anni seguenti. Non avrei potuto prevedere che saremmo finiti a vivere sotto lo stesso tetto.
Ora, come allora, vorrei essere qualcosa di più per lui. Ma temo che forse nulla sarà più come avevo sperato.
Ti ho visto piangere una sola volta, Trunks. E ricomincerei da te, sempre da te.
Se solo potessi…
 
Riprendo in mano il libro che stavo leggendo. L’Odissea.
In fondo mi sento un po’ come Penelope in questo momento. Lei non ha mai smesso di sperare che suo marito Ulisse potesse tornare a casa dopo la guerra di Troia, neanche dopo vent’anni, neanche quando il suo popolo ha iniziato a farle pressioni perché si risposasse in modo che ci fosse un nuovo re.
Penso al suo stratagemma per prendere tempo. Se Ulisse, il Re guerriero, era sempre stato astuto, anche lei, la Regina, non sarebbe stata da meno. Decretò che avrebbe realizzato personalmente una tela da donare al suocero e che solo al termine di questo lavoro avrebbe scelto uno dei pretendenti.
Ma anche Penelope era dotata di “multiforme ingegno”.
Tesseva la tela di giorno e la disfaceva di notte.
Io forse sto facendo lo stesso, ma con la mia anima. La mando in frantumi di notte, mentre di giorno cerco di assemblarne i pezzi.
Prendiamo tempo entrambe, aspettiamo che torni il nostro Ulisse.
E, se alla fine Ulisse è tornato, mi chiedo se farà lo stesso Trunks con me. Se mi aiuterà a uscire da questa crisi, se ne verremo fuori insieme.
Entrambi stiamo vivendo la nostra personale Odissea. Queste due settimane mi sono sembrate durare vent’anni.
 
Apro un cassetto del comodino e tiro fuori una foto scattata a Natale da Bulma.
Ritrae me e Trunks felici, davanti all’Albero e in mezzo ai regali. Alle luci. Si intravede il camino acceso. La neve fuori dalla finestra. Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Com’era il mondo prima di te, Trunks? Qualcosa che non voglio rivivere, perché non voglio che finiscano i bei momenti passati insieme.
Eravamo felici in quella fotografia, perché non riusciamo più ad esserlo?
Farei di tutto per non pensare a quanto siamo bravi a farci del male.
 
All’improvviso sento un fruscio provenire dall’esterno che mi riporta alla realtà.
«Trunks!» Esclamo ad alta voce fiondandomi alla finestra.
Ma non vedo nessuno. Probabilmente mi sono sbagliata, la mia mente mi gioca brutti scherzi.
Appoggio la fronte al muro che separa la mia stanza dalla sua. Mi ero illusa, ci resto male.
Mi chiedo se stanotte mi cerchi. Perché io ti cerco.
 
Controllo l’ora. Neanche le 5. Guardo la luna. Bella, rassicurante, anche se un po’ offuscata. Sembra un palloncino. Mi chiedo come debba sembrare la Terra vista dallo spazio e, soprattutto, come possiamo apparire noi umani rispetto alla vastità dell’universo. Noi, con i nostri problemi e i nostri sogni. Noi, tutti presi a scappare dai nostri fantasmi e a correre dietro a ciò che ci fa stare bene. A chi ci fa stare bene.
Forse in questo nulla cosmico non siamo altro che granelli di sabbia, attaccati a brandelli di speranza.
 
Osservo il laboratorio di Bulma, i suoi macchinari per studiare gli astri celesti che fuoriescono dalla cupola.
Penso che noi umani siamo un po’ strani: abbiamo i telescopi puntati sull’universo, ma nemmeno una lente d’ingrandimento per riuscire a guardarci dentro.
 
Torno a letto, esausta. Spero che domani possa essere uno di quei giorni che arrivano e ti cambiano la prospettiva.
Riprendo in mano il libro, ma dopo poche righe vengo sopraffatta dalla stanchezza.
Un sonno leggero, addolcito da un sogno diverso dal solito: vedo Ulisse tornare nella sua Itaca e riabbracciare Penelope. I demoni, reali e immaginari, sono stati sconfitti.
Sì, domani sarà uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Davvero.

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Capitolo 5
*** Revenge ***


5 - Revenge
 
Non mi sono mai sentito propriamente a mio agio in mezzo a troppe persone, sono un tipo piuttosto riservato. Non ho mai amato le chiacchiere, quelle vuote. Preferisco le parole, quelle dense di significato che reggono i discorsi anche da sole. Meglio poche sillabe per esprimere uno stato d’animo dal mio punto di vista. Non ho bisogno di frasi, di un periodo complicato.
Già, un periodo complicato…come quello che sto attraversando.
 
Esco in giardino portando una pila di sedie accatastate. Devo sistemarle insieme ai tavoli che avevo già messo fuori prima. Guardo il cielo. È terso, splende un bellissimo sole. Sarà felice mia madre, penso. È da quando abbiamo sconfitto Darbula e Babidi che voleva organizzare una festa qui alle Capsule Corporation e alla fine ha optato per la data di oggi.
Non che ne abbia molta voglia, anzi.
Non sono dell’umore adatto per stare in mezzo a troppa gente.
 
La mia lunga corsa prima dell’alba mi ha fatto sentire meglio, almeno inizialmente. Come la doccia rilassante che aiuta a far scivolare via dai muscoli le tossine della fatica e a distendere i nervi. Durante l’allenamento i dolori dell’anima si trasferiscono nelle gambe e i pensieri negativi lasciano spazio alla concentrazione necessaria a perseguire l’obiettivo che mi sono posto.
Ma lo so bene che è solo un’illusione. Solo questione di tempo. I pensieri tornano ad affollarsi più caotici di prima e la sofferenza spirituale torna a prevalere su quella fisica. Il cuore si fa pesante, come e forse più di quel mondo che porto sulle spalle da tutta la vita e che torna a schiacciarmi.
Senza che io riesca a reagire. O senza che voglia reagire.
 
Lo so che mia mamma ha voluto questa festa perché spera di tirarmi su il morale. A me e a Mai, perché ha capito benissimo quanto sia giù ultimamente e le vuole bene come a una figlia. Si vede che si trovano bene tra loro. Non ne abbiamo mai parlato, ma immagino che Mai riveda in Bulma la mamma che ha perso quando era bambina. E, allo stesso tempo, per mia madre è la figlia che non ha mai avuto ma che avrebbe sempre desiderato prima che mio padre venisse ucciso dai Cyborg. Una volta mi ha detto che avrebbe voluto chiamarla Bra questa mia ipotetica sorellina.
 
Apprezzo molto quello che mia mamma sta facendo per noi, ma io non sono proprio da queste cose. Preferisco momenti più tranquilli, sono piuttosto solitario. Mia madre dice spesso che rivede mio padre in me, ora che sono cresciuto. E aggiunge sempre ridendo che sono più educato di lui fortunatamente. Penso che mia mamma sia proprio una persona da ammirare: con tutto quello che ha dovuto patire nella sua vita e con tutti gli affetti che ha perso non ha mai smarrito la sua positività e il suo sorriso.
Anzi, cerca di essere forte anche per gli altri. Per me. Per Mai.
 
Ma io devo uscirne da solo da questa situazione perché mi ci sono cacciato dentro grazie ai miei errori.
A causa della mia debolezza ho messo in pericolo Mai. Ho dovuto farmi salvare la vita da lei e per riportare la pace ho dovuto aspettare l’intervento di Kaiohshin.
Ho messo in pericolo il mondo, quel mondo che porto sulle spalle da sempre.
 
Sono Atlante, ma non lo sa nessuno. Mi chiedo se importi a qualcuno. Sarò paranoico o è la frustrazione che provo ultimamente, ma mi sembrano tutti indifferenti ai miei sentimenti e ai miei problemi. Quell’indifferenza che chiude gli occhi della gente e fa tacere la coscienza è il più grande male di questa Terra per me. È un atteggiamento che ogni giorno fa più morti della guerra.
 
Sono anche l’eroe del mio mondo ed è questo che importa a tutti. Ho già indossato la mia maschera da guerriero impavido che risolve tutti i problemi anche oggi, così la gente può stare tranquilla.
Sono il Batman di questo mondo, le persone vogliono, o pretendono, questo da me.
Solo che a volte vorrei essere un Robin, avere un riferimento davanti, un aiuto. Qualcuno di forte, più forte di me. Non solo fisicamente intendo. Direi più a livello caratteriale. Come Gohan, il mio maestro…quanto mi manca anche lui in un momento così duro.
Mi sento un codardo schiacciato dal peso delle responsabilità e dalle sue pene d’amore, ecco cosa mi sento.
Penso che il male viene fuori in tutti i modi e che l’amore è un’arma.
Tanto cuce, tanto taglia.
 
Penso a Mai, ovviamente. Se tornasse tutto alla normalità con lei il mondo mi sembrerebbe meno nero. Anzi, vorrei davvero tanto che ci fosse qualcosa di più tra noi della bella amicizia che c’è sempre stata in questi otto anni. E invece sta andando tutto a rotoli. La sto perdendo e ne sono consapevole. Se ne andrà e io resterò solo con i miei rimpianti.
Ci siamo conosciuti in tempo di guerra e siamo sopravvissuti. Oggi non soffriamo più il freddo e la fame, ma l’ansia e il panico. Le preoccupazioni cambiano. È il risultato che resta lo stesso: nel dolore siamo tutti sullo stesso piano.
La gente mi stima grazie ai miei poteri, ma io sono normale, più che normale.
Perché è chi ti ama a renderti speciale.
Sì, solo Mai potrebbe farmi sentire speciale. Abbiamo sofferto insieme, siamo cresciuti insieme. Abbiamo potuto ridere insieme finalmente, per poi tornare a farci del male.
Già, farei di tutto per non pensare a quanto siamo bravi a farci del male.
 
Sistemando l’ultima sedia penso che comunque non rovinerei per nulla al mondo questa festa a mia mamma e che in fondo la gente che parteciperà non ha neanche colpe reali del mio stato d’animo. Cercherò di comportarmi educatamente come sempre e mi imporrò di stare in compagnia il più a lungo possibile.
Sorriderò a tutti, senza che nessuno possa immaginare che ogni sorriso non è altro che una cartolina dal mio inferno personale.
 
È ancora presto comunque, non c’è ancora nessuno. Mi avvio verso l’ingresso per rientrare in casa quando la vedo uscire e mi blocco.
Mai. Bella, che dire bella non è mai abbastanza.
Sono a disagio. Non mi sento pronto ad affrontarla.
Mi saluta agitando la mano e mi sorride.
Nei suoi occhi intravedo ancora la paura e la stanchezza. O forse sono i sensi di colpa che mi stanno dilaniando da due settimane a farmi vedere le cose in un certo modo.
Resto immobile, a pochi metri da lei.
La guardo e non riesco a pensare.
«Eh…ciao…d-devo andare a prendere una…è sul retro…e poi…» balbetto, mentre me ne vado passandole davanti a testa bassa.
Sto andando nel giardino sul retro della casa e non so neanche perché. Non so più cosa sto facendo.
Mai mi ha semplicemente salutato e io l’ho mollata così senza neanche riuscire a completare una frase sensata.
Mi faccio pena da quanto sono diventato codardo.
 
Mi fermo davanti al laghetto artificiale che ha fatto costruire mia madre anni fa nel giardino sul retro.
Guardo il mio riflesso nell’acqua.
Non mi riconosco più.
Ho la faccia stanca e lo sguardo di un pazzo. Il volto segnato che non sembra neanche più quello di un ventiduenne. I miei occhi non brillano più.
Mi rendo conto da solo di essere cambiato, non ho bisogno che siano altri a ricordarmelo. Nonostante la forza con cui cerco di non assomigliarmi, di nascondermi. Di nascondere a me, prima che agli altri, ciò che sono oggi.
Vedo il riflesso dell’impugnatura della spada fare capolino dalla mia spalla e riflettere la luce del sole. Penso che ormai sono diventato talmente paranoico e assuefatto al ruolo da eroe di cui vesto la maschera ogni giorno che non mi rendo neanche conto che sto andando a una festa portando con me una spada.
La sguaino con rabbia e colpisco con foga la mia immagine riflessa.
Non voglio vedere la mia faccia.
Inoltre capisco che con il mio brillante comportamento di poco fa ho dato un motivo in più a Mai per andarsene.
Dopo la festa se ne andrà. Dirà a tutti che vuole cambiare vita. Me lo sento.
 
Nel corso della mia esistenza, fin da quando ero bambino, ho dovuto dire addio a molti sogni che avevo perché ho capito quanto fossero fragili, irrealizzabili.
Ma ho continuato a coltivarne altri, nei quali continuo a credere. Sono lì, quasi appesi come palloncini. Così leggeri che ho paura di scriverli o pronunciarli, come se potessero sparire da un momento all’altro.
In tutti questi sogni c’era e c’è ancora Mai.
Ma mi chiedo se quel desiderare a tutti i costi una storia speciale con lei abbia ancora un senso.
Se abbia mai avuto un senso.
Otto anni fa Mai mi aveva chiesto la felicità e oggi cosa sono in grado di garantirle? Non riesco neanche a offrirle un minimo di serenità, figuriamoci la felicità che meriterebbe.
Mai…quello che so per certo è che quando te ne sarai andata io non potrò dimenticarti più.
E, sarò egoista, ma vorrei che lo facessi anche tu.
Sarebbe una magra consolazione, è vero. Ma credo che tanto non sarei capace di ritrovare la mia essenza nella tua assenza.
Non sono bravo a gestire la malinconia e lo sarò ancora meno quando avrò a che fare con la nostalgia, però per me quello che conta è saperti felice. Anche senza di me. Perché tu meriti la felicità che tanto desideravi.
E sono io quello che non ti merita.
 
Un boato simile a un tuono mi riporta improvvisamente alla realtà.
La luce del giorno si sta oscurando in modo innaturale. Vedo uno squarcio aprirsi nel cielo, circondato da rifessi simili a fulmini. Un fascio di luce verde proveniente da quello strano fenomeno mi abbaglia.
E poi, all’improvviso, esplosioni, urla, edifici in fiamme.
Mi guardo intorno, non capisco cosa stia succedendo.
Percepisco un’aura malvagia. La riconosco, anche se mi sembra una cosa assurda. Rabbrividisco mentre stringo i pugni con rabbia.
Darbula. È sua questa energia spirituale, anche se troppe cose non tornano.
Prima di tutto, l’ho ucciso con le mie mani due settimane fa, anzi l’ho polverizzato letteralmente. E quindi, come può essere lui?!
Sento poi che il suo ki è diverso da quello che ricordavo, sembra contaminato con un altro che non conosco e dalla natura che oserei definire divina se non stessi parlando del Re del Mondo Demoniaco in persona.
E, infine, mi sembra molto più forte dell’avversario che ho appena affrontato.
Sono confuso. Non riesco a capire cosa stia succedendo. Non può essere lui, è impossibile!
 
Dal bagliore verde improvvisamente si stacca una macchia luminosa rossa che si dirige velocissima verso di me.
Non so cosa stia succedendo, ma so cosa devo fare. Mi trasformo in Super Saiyan sprigionando tutta la mia forza.
Ma, con mia profonda sorpresa, l’essere misterioso devia improvvisamente la sua traiettoria verso il giardino principale della Capsule Corporation, quello che dà sull’ingresso.
Quello in cui ho appena lasciato Mai. Da sola.
«No! Mai! Scappa!» urlo con tutta la forza che ho mentre mi slancio a tutta velocità verso di lei.
Ma è troppo tardi. Succede tutto in un attimo. Troppo in fretta per riuscire a intervenire.
 
Vedo Darbula davanti a Mai. Sì, proprio lui. Non mi ero sbagliato. Ha già in mano la sua spada.
Leggo il terrore negli occhi di Mai.
Quel terrore di chi vede concretizzarsi davanti a sé il suo incubo ricorrente, il suo fantasma.
La propria paura che lascia la palude immateriale del subconscio per diventare parte della vita reale.
È immobile, paralizzata dall’orrore. Neanche il coraggio che l’ha sempre contraddistinta riesce a smuoverla. Ai suoi piedi vedo delle tovaglie che evidentemente stava sistemando per la festa.
«Ciao ragazzina, ti sono mancato?! Ah, ah, ah!» la schernisce il demone prima di sputare verso di lei.
«No! Mai!» sbraito, mentre mi scaglio verso il mostro e lo colpisco con tutte le mie forze con un pugno sulla guancia, facendolo finire lontano e disteso a terra.
Troppo tardi.
Vedo lo sputo colpire Mai sulla pancia e l’inizio del processo di pietrificazione a partire da lì.
«Trunks! Aiutami! Trunks!» implora urlando una frazione di secondo prima di diventare del tutto una statua.
Lo sguardo paralizzato in una smorfia di terrore con gli occhi fissi su di me.
Un’immagine straziante.
 
È tutto talmente orribile e assurdo da lasciarmi come stordito.
Mi sento male.
Mi volto con gli occhi iniettati di sangue verso Darbula  e gli urlo: «Maledetto, cosa fai ancora qui?! Come hai fatto a tornare?! Io ti avevo ucciso!»
Il demone si rialza e, fissandomi con aria di sfida, risponde: «Pensavate di essermi liberati di me, vero! Ah, ah, ah! Proprio tu poi, che non sei neanche stato capace di ammazzarmi da solo l’altra volta e hai dovuto aspettare l’intervento di quell’incapace di Kaiohshin!»
«Falla tornare normale e vattene!» grido.
«Capirai cosa me ne frega! L’ho pietrificata giusto per divertirmi un po’ e per poi distruggerla davanti a tuoi occhi prima di eliminarti!» esclama il mostro ghignando. Per poi aggiungere: «Devi sapere che se sono riuscito a tornare qui è grazie a un Kaiohshin di nome Zamasu proveniente da un altro Universo e da un’altra linea temporale futura. Ora si trova negli Inferi ed è finito lì grazie anche all’intervento del te stesso del mondo da cui proviene. Quindi abbiamo entrambi voglia di vendicarci su di te! Ah, ah, ah! Quando ti avrò finito, andrò a liberarlo e insieme daremo inizio ad una nuova era divina purificata dalla presenza di inutili mortali come voi! Ho anche ottenuto nuovi poteri grazie a lui, quindi adesso ho voglia di giocare un po’ con te! Ah, ah, ah!»
 
Resto piuttosto confuso dal discorso di Darbula, ma ormai nulla può stupirmi davvero del tutto.
C’è solo una cosa che posso fare. Che poi è quella che faccio da sempre. Il mio destino. Combattere.
Devo salvare Mai, prima di salvare il mondo.
Sprigiono la mia energia e brandisco la  Z Sword gettandomi all’assalto.
La battaglia spada contro spada è furibonda. Cerco di colpirlo con tutte le mie forze, ma oggi quel mostro è uno spadaccino anche più abile di quanto ricordassi. Deve essere merito di quel maledetto Zamasu.
Mi alzo in volo, cercando di allontanare il combattimento dalla Capsule Corporation. Ogni urto potrebbe essere fatale per Mai. Vedo anche mia madre e i soldati portare le persone rimaste ferite dalle esplosioni dentro l’edificio principale per soccorrerle.
Riprendo a lottare con tutte le mie forze, cerco un punto debole nelle sue difese. Ma non lo trovo.
Il mio avversario ha un’aura potentissima, non so per quanto potrò tenergli testa.
Ma non posso mollare. Sono solo. E sono l’unico che può fermarlo.
 
Ho la sensazione però che di questo passo non riuscirò ad andare da nessuna parte e che sarò destinato a soccombere. Il mio potere è inferiore al suo e tutto quello che ho sofferto a livello spirituale negli ultimi tempi si sta trasformando in fatica fisica adesso. Mi sento affaticato più in fretta di quello che potessi prevedere. Non sono al top della forma, mi sono allenato poco e male. La testa non supportava il fisico e non garantiva il necessario riposo dato dal sonno.
Capisco che non posso perdere altro tempo e sprecare energie.
Decido di giocarmi il jolly. La mia mossa più potente.
Ripongo la mia spada e inizio ad agitare vorticosamente le braccia cercando la concentrazione necessaria.
Blocco improvvisamente le mani formando un triangolo rivolto verso Darbula e urlo con tutto il fiato che ho nei polmoni: «Masenko!!!»
Penso a Gohan e al suo colpo, che già una volta mi aveva permesso di uccidere questo mostro. Ho fiducia.
Metto tutta la mia energia in questa mossa e colpisco il bersaglio.
Mentre ansimo per lo sforzo osservo il fumo nero generato dall’esplosione davanti a me.
Ma quando si dirada, noto con orrore che Darbula è sempre lì. Il mio colpo gli ha fatto solo qualche danno. Sta ansimando anche lui, ma sorride in modo beffardo: «Cos’è, sai fare solo questa mossa ragazzino?! Ah, ah, ah! Mi hai già ammazzato una volta così, non sono mica scemo!»
 
Senza quasi che riesca ad accorgermene, me lo ritrovo davanti. Inizia a colpirmi furiosamente, senza che io riesca ad opporre resistenza. Mi sento svuotato di energia e affranto psicologicamente. Mentre mi riempie di botte non provo paura per me stesso. Ma per Mai. Non voglio che muoia per colpa mia.
Il suo pensiero mi dà la forza per scagliare disperatamente un calcio diretto al fianco di Darbula.
Non se l’aspettava, l’ho preso in pieno sulla cassa toracica. È piegato in due dal dolore e io ne approfitto per riprendere fiato.
Provo un dolore fisico lancinante e le mie forze sono ridotte al lumicino. È solo questione di tempo.
 
Improvvisamente però, da un punto indefinito del cielo percepisco un ki potentissimo.
Mi giro di scatto. Anche il demone se ne è accorto e si guarda intorno perplesso.
Un’aura buona, un’energia piena di speranza. Sorrido, non posso sbagliarmi: quello che sento è il mio ki.
O meglio, quello che potrei avere tra qualche anno se riuscirò a diventare più forte.
Come dicevo prima, ormai non mi stupisce più nulla. Capisco subito che un altro me stesso per qualche motivo ha viaggiato nel tempo ed è arrivato qui, nel mio mondo.
Non ho dubbi che mi aiuterà. Non ho dubbi che vinceremo.
Non sono più solo.
 
Anche Darbula si è reso conto del potere sconfinato del nuovo arrivato e lo cerca con lo sguardo.
Ma ancora non si vede nessuno. Sta per uscire dalla dimensione spazio-temporale, manca poco ormai.
Leggo la preoccupazione sul suo volto e lo provoco: «Non fai più l’arrogante adesso, vero?! Ti sei reso conto che sei spacciato anche stavolta?!»
«Allora visto che sei così su di giri, vediamo cosa ne pensi se riduco in mille pezzi la statua della tua amichetta! Ah, ah, ah!» esclama il demone sghignazzando prima di partire in volo a tutta velocità verso la Capsule Corporation.
«No! Fermati! Vigliacco!» sbraito furiosamente mentre mi lancio al suo inseguimento.
Sono sconvolto e terrorizzato. Non voglio che Mai venga uccisa per colpa mia. Devo salvarla in qualche modo. Preferirei morire io al suo posto.
Urlo tutta la mia rabbia mentre cerco di raggiungere quel mostro. La forza della disperazione mi rende più veloce anche se mi sento fisicamente a pezzi e quasi privo di energia.
Lo vedo vicino, sempre più vicino. Sono al limite. Talmente veloce da restare in apnea.
Il suo mantello è a un passo ormai. Lo afferro con una mano. Lo strattono.
Ho fermato Darbula in qualche modo, ce l’ho fatta!
Mi aggrappo alla sua schiena con tutte le mie forze. Lo cingo sulle spalle creando una morsa con le mie braccia e cerco di stringerlo più forte che posso. Vorrei sentire le sue ossa andare in frantumi ma mi mancano le forze necessarie. Non so neanche come ho fatto a raggiungerlo in velocità. Ma quel che conta è che Mai è salva, almeno per ora. Il demone ha le braccia bloccate, non può scagliare onde d’energia o armi contro di lei.
 
Vedo materializzarsi in lontananza nel cielo la macchina del tempo. Non mi ero sbagliato allora. È arrivato un altro me stesso molto più forte da un altro mondo.
Devo resistere, lui mi aiuterà.
«Credi che basti questa tua stupida mossa per fermarmi, ragazzino!?» mi dice seccamente il mostro. «Ora sta a vedere! Ah, ah, ah!»
Gli vedo spalancare la bocca e sparare fuori da essa una grande sfera energetica. Rossa, con delle venature nere che la circondano. Sembra infuocata.
Ed è diretta verso Mai.
 
«No!» urlo mentre mollo la presa sulle spalle di Darbula.
So cosa devo fare. La disperazione e l’amore che provo mi hanno reso lucido in una frazione di secondo.
Slitto davanti al mostro e punto i piedi sul suo petto. Mi do lo slancio più forte che posso in direzione di Mai per cercare di raggiungere la palla infuocata e allo stesso tempo scaglio il demone a terra, il più lontano possibile.
Faccio esplodere la mia aura con un urlo disumano dando fondo a ogni residua energia e aumento la mia velocità.
Come una saetta riesco a frappormi appena in tempo tra il colpo mortale del Re degli Inferi e il corpo pietrificato della ragazza che amo.
Non faccio in tempo a deviare la sfera però, e neanche a difendermi.
Vengo travolto in pieno.
Un dolore immane. Sento le ossa sbriciolarsi e ho la sensazione che i miei organi interni stiano per esplodere.
Resto in piedi fino all’ultimo, come ancorato a terra, finché non termina quella paurosa scarica di energia.
Crollo in ginocchio, prima di cadere disteso sulla schiena sbilanciato dal peso della Z Sword che porto a tracolla.
 
Non vedo niente. Non sento niente.
Non percepisco neanche più il dolore.
Mi sembra di essere come sospeso.
Vedo la mia vita passarmi davanti in un niente.
Mia mamma da ragazza che mi prende in braccio e mi culla dolcemente. Gohan che combatte i Cyborg. Mai adolescente che mi sorride e mi porge metà del suo panino in mezzo alle macerie. Mai felice il giorno di Natale dell’anno scorso.  Darbula distrutto dal mio Masenko.
«No! Trunks! Trunks!»
Una voce. Sento una voce lontana. Intravedo qualche ombra davanti a me. Qualcuno mi sta scuotendo e chiamando.
La voce di mia madre, sì la riconosco. È qui davanti. Ora riesco a vederla meglio. Sta piangendo.
«M-mamma, non p-piangere» provo a dirle a fatica.
«Mai» sussurro ormai privo di forze provando lentamente a girare la testa.
Vedo la statua ancora integra e sorrido debolmente.
Ce l’ho fatta, l’ho salvata. Mi ero ripromesso che un giorno avrei dato la vita per lei, che mi sarei anche gettato tra le fiamme pur di proteggerla.
Beh, quel momento è arrivato a quanto pare.
Stavolta sono stato abbastanza forte. Ho completato la mia missione.
Il resto lo lascio al me stesso del futuro. Deve arrivare per forza dal futuro se è così forte.
 
Percepisco un’aura prodigiosa a pochi metri da me. Con uno sforzo tremendo sposto la testa. Lo vedo, alle spalle di mia mamma. Anzi, mi vedo. Io tra qualche anno. È una strana sensazione.
Non so perché sia qui, ma sarà lui a riportare in vita Mai.
Io ho dato tutto, il dolore fisico mi sta lacerando. Credo che non mi resti molto.
Lo guardo e cerco di sollevare il pollice della mia mano sinistra tenendo il pugno chiuso.
Mi sorride e ricambia con lo stesso gesto.
Sono tranquillo, posso andarmene in pace con me stesso se è davvero giunto il momento.
 
Ho un sussulto, inizio a tossire sangue. Sto davvero male.
Mi tornano in mente le parole che Gohan  mi aveva detto prima di andare incontro alla morte sfidando i Cyborg in quella tremenda giornata:
«Un giorno dovremo tutti guardarci indietro. Io voglio farlo a testa alta senza scordarmi chi ero. Fiero di me stesso e di tutto quello che ho fatto. Dall’inizio e fino all’ultimo atto.»
Ora capisco tutto, Gohan. Sono riuscito a diventare come te e ne sono orgoglioso.
 
«Mai!» cerco ancora di dire con tutte le mie forze, ma probabilmente quello che esce dalla mia bocca è solo un rantolo. Sento mia madre piangere mentre mi stringe una mano. Giro ancora faticosamente la testa verso la statua di Mai. Con uno sforzo immane e provando un dolore atroce allungo il braccio destro verso di lei. Con la punta di un dito riesco a sfiorare il suo stivale pietrificato.
«Mai!» le dico nuovamente, come a sperare in una sua risposta che non può arrivare.
La risposta è infatti solo un silenzio assordante. Di quelli che fanno male.
Guardo la sua faccia di pietra e potrei giurare di averla vista rigata di lacrime.
O forse è solo il mio volto semplicemente a essere rigato di lacrime.
Sto delirando probabilmente, ma la sofferenza è troppa anche per uno abituato a soffrire come me.
Il dolore sta avendo il sopravvento. Sento che sto precipitando in un vortice di oscurità.
Vedo nero intorno a me.
«Mai!» chiamo un’ultima volta disperatamente. Inutilmente.
Mai, il rumore che fa ciò che non dici è un boato. È come un terremoto in un campo minato.

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Capitolo 6
*** Rage and Love ***


6 - Rage and Love
 
Sono arrivato qui con tutti miei sogni, abbastanza da vivere tre vite in tre mondi.
Sogni che sono iniziati nel mio mondo finché è esistito e sono giunti fino in questo, passando da quello di mio padre da cui sono appena partito.
Mi guardo intorno. Edifici in fiamme, fumo nero. Grida disperate, odore di sangue.
Uno scenario di guerra. Una visione a cui sono abituato.
Un buio spettrale rischiarato solo da uno spaventoso squarcio nel cielo che emette un bagliore verde terrificante.
Sembrerebbe un incubo, uno di quelli che mi fanno spesso compagnia durante la notte da quando sono piccolo.
Vorrei svegliarmi. Vorrei dimenticare.
Ma è tutto vero. Tutto tremendamente reale.
 
«Trunks, stai attento. Io ho bisogno di te. Non potrei sopportare se qualcosa…»
«Mai» la interrompo. «Ti ho mai detto quale istante della mia vita vorrei fermare per renderlo eterno, se potessi scegliere?»
«No…» mi risponde, forse stupita dalla mia domanda in un contesto simile.
«La prima volta che hai detto il mio nome» le dico, guardandola negli occhi.
«Ora vai dentro con mia madre e gli altri. Non uscire per nessun motivo» aggiungo. «Per il resto, conta su di me. So come trovarti e so dove cercarti: in cima alle mie priorità. Perché in cima alle mie priorità ci sei tu, sei l’unica. Quindi stai tranquilla, tornerò da te. Ne usciremo anche stavolta. Insieme. Come sempre.»
 
Penso che l’amore cambia davvero le cose.
Cerco di essere forte, ma senza mai smettere di essere dolce.
Perché a volte i pugni fanno meno effetto dei gesti d’affetto.
Io lo so per certo.
Non voglio cedere all’odio anche quando si accende in me. Tuttavia non permetterei a niente e a nessuno di colpire chi posso difendere. Chi amo.
Io lotto per proteggere, combatto con coraggio.
La guerra è nel mio destino. Ce l’ho sempre fatta e ce la farò anche stavolta.
Sono cresciuto con la sensazione di portare il peso del mio mondo sulle spalle e c’erano dei giorni in cui non mi sentivo le forze necessarie per sostenerlo. Schiacciato dalle troppe responsabilità e dalle aspettative. Ho imparato a convivere con questo, come ho imparato a convivere col dolore nel cuore.
Grazie a Mai sono riuscito a rinchiudere in un angolo queste brutte sensazioni e ad essere felice finalmente. Ho iniziato a vivere davvero grazie a lei.
A dare il giusto peso a quello che capita. E ad apprezzare le piccole cose.
Ho imparato a non smettere di stupirmi, come quando si è bambini. A continuare a sognare.
A credere che dopo una tempesta possa tornare sempre il sole, e che magari tutto sarà anche più bello di prima grazie alla presenza di un arcobaleno.
E anche a barattare l’istinto con la ragione, quando serve.
Se penso ai giorni in cui mi sentivo Atlante e al momento in cui ho realizzato di non aver più, letteralmente, un mondo da portare sulle spalle perché era stato distrutto insieme a tutti i suoi abitanti…beh, mi sento in colpa.
Quindi sono pronto ad assumermi le mie responsabilità in questo nuovo mondo.
Tornare subito a combattere per proteggere le persone mi permette di affogare i miei sensi di colpa, almeno un po’. Mi dà la possibilità di andare avanti.
 
Guardo mia madre a pochi metri da me, inginocchiata per terra.
Piange. Stringe la mano del me stesso di quest’epoca.
Lo guardo. O meglio, mi guardo.
È quasi irriconoscibile. Una maschera di sangue. Vestiti lacerati, ematomi e lividi su tutto il corpo.
Il braccio allungato disperatamente verso uno statua. Verso Mai, la sua Mai.
Osservo quel viso pietrificato in un’espressione di terrore.
Una scena straziante. Stringo il pugno sinistro con rabbia. Mi mordo il labbro fino quasi a farlo sanguinare.
Sento una debolissima aura provenire ancora da Trunks. È questione di tempo comunque, non può resistere ancora a lungo in quello stato. È un bene che abbia perso conoscenza, la sofferenza deve essere atroce in simili condizioni.
Io so che è un duro e non mollerà tanto facilmente. Noi siamo fatti così. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono ritrovato in fin di vita per poi rialzarmi, più forte di prima. Più rabbioso di prima.
Perché ciò che non ti uccide ti carica.
Mi soffermo sulla sua espressione. Serena. Quella di chi sa di aver dato tutto e compiuto la sua parte nella battaglia. In attesa che sia qualcun altro a completare la missione.
In attesa di me.
 
«Mamma, porta dentro Trunks e anche la statua» dico con risolutezza. «È ancora vivo, non preoccuparti. Quando avrò risolto questa faccenda troverò un modo per curarlo» aggiungo per rassicurarla, anche se in realtà non ho una soluzione in mente per questo.
«Meno male che sei arrivato tu, Trunks! Ma cosa ci fai qui? È successo qualcosa nel futuro?!» mi risponde asciugandosi le lacrime.
«Fai quello che ti ho detto e stai tranquilla. Ora non c’è tempo da perdere, ti spiegherà tutto Mai. Andate!» affermo.
«Ehi, dove credete di scappare?! Ah, ah, ah! Ho voglia di divertirmi ancora un po’!» sghignazza Darbula.
«Sono io il tuo avversario! Guardami!» gli dico in tono deciso.
Il demone si gira verso di me e mi fissa con aria di sfida.
Lo guardo dritto negli occhi. Non abbasso lo sguardo. Non ho paura.
 
Quando mi rendo conto che Mai e Bulma, aiutate da alcuni soldati, sono entrate nella Capsule Corporation, mi metto a urlare rivolto verso lo squarcio nel cielo: «Cosa vuoi ancora dalle nostre vite, Zamasu?! Ti abbiamo già sconfitto una volta, lascia stare questa line temporale! Loro non ti hanno fatto niente!»
«Ah, ah, ah! Anche se immagino che coi suoi poteri stia assistendo alla scena, non può risponderti dagli Inferi!» interviene Darbula. «Comunque se ti interessa mi ha detto che, dopo essere stato eliminato insieme al mondo futuro da cui proviene, è riuscito a trasferirsi nell’Aldilà di questa linea temporale. A quel punto mi ha liberato dal Paradiso in cui  ero stato rinchiuso e mandato qui con nuovi poteri. Abbiamo un obiettivo in comune, cioè uccidere te per vendicarci. Per poi dare inizio a una nuova era senza mortali a insozzare il mondo coi loro peccati! Ah, ah, ah!»
Ecco come stanno le cose. Ora è tutto chiaro.
Io stesso cinque anni fa e prima di ottenere la forza che ho acquisito nella guerra contro Black non penso che sarei stato in grado di fronteggiare questa versione di Darbula potenziata da Zamasu.
Ma ora è diverso. Tutto è cambiato.
Mi sento superiore a lui.
 
«Cos’è, hai paura ragazzino?! Ah, ah, ah!» cerca di deridermi il demone.
«Questo è il terzo mondo in cui combatto. Mi sono ritrovato in fin di vita non so neanche quante volte e mi sono sempre rialzato. Sono morto una volta, ma non è bastato ad impedirmi di tornare. Ti ho già ucciso cinque anni fa nella mia linea temporale e ho passato a fil di spada Zamasu. Secondo te dovrei davvero aver paura di uno come te?!» gli rispondo con calma.
Ma ora sono stanco di parlare.
 
«Stai in guardia, mostro!» gli urlo mentre mi scaglio verso di lui a tutta velocità brandendo la mia spada, quella donatami da Tapion tanti anni fa.
«Spada!» grida il Re del Mondo Demoniaco prima di gettarsi contro di me.
La battaglia è furiosa.
È più forte di come ricordavo. Ma anche io lo sono.
Respingo i suoi fendenti senza troppe difficoltà. Sono talmente concentrato che mi sembra quasi di vedere i suoi colpi al rallentatore.
La mia trasformazione in Super Saiyan di secondo livello ha raggiunto un limite altissimo grazie agli ultimi tremendi scontri che ho dovuto sopportare.
Sono più veloce del mio avversario, tuttavia non riesco a dargli il colpo di grazia. Anche lui è forte, e il potere che gli ha concesso Zamasu l’ha reso uno spadaccino ancora più temibile.
Ma io non temo nessuno quando c’è da maneggiare una spada.
Con una finta rapidissima gli faccio credere che sto per colpirlo alla sua destra, ma lo faccio solo per fargli abbassare la guardia dall’altra parte.
Con una mossa fulminea affondo il colpo alla sua sinistra, nel fianco.
Sento la sua carne lacerata dalla mia lama, prima che il mostro riesca a limitare i danni con un balzo all’indietro e a scappare volando verso il cielo.
Lo seguo all’istante. Non voglio dargli tregua. Mi sento come uno squalo che segue l’odore del sangue.
 
Lo guardo. Sta ansimando, si tiene il fianco. Sta perdendo sangue dalla ferita che gli ho inferto, ma purtroppo per liberarsi di uno come lui non è ancora abbastanza.
Penso alla Mai di questa linea temporale pietrificata e al me stesso in bilico tra la vita e la morte. Non c’è tempo da perdere, devo chiudere in fretta lo scontro e trovare un modo per salvarlo. È come se vedessi davanti a me le tre Parche in procinto di tagliare il filo della sua vita.
Provo molta rabbia. Penso a cosa direbbe o farebbe mio padre in questa situazione.
«Ehi ragazzino, perché non ti unisci a me e a Zamasu nella creazione della nostra nuova era? Sono sicuro che potrebbe perdonarti se glielo chiedessi!» prova a circuirmi Darbula, forse anche solo per prendere tempo.
«Un bastardo privo di emozioni come te non potrà mai capire cosa significa combattere per proteggere qualcosa! Per difendere chi si ama!» gli rispondo in tono sprezzante.
Sì, mi sembra molto da Vegeta questa frase in effetti. E per sentirmi ancora più nei suoi panni ho un’idea per risolvere la faccenda.
Ripongo la spada nel fodero, prima di tutto. Divarico le gambe, spalanco le braccia ai miei lati e faccio defluire una quantità immensa di energia verso le mani. Quando mi sento al limite sposto le braccia tese davanti al mio petto e urlo: «Final Flash!»
 
Non può evitare il colpo in quelle condizioni. Lo prendo in pieno.
Voglio distruggerlo.
Mi rendo conto però che non riesco a travolgerlo. In qualche modo sta resistendo, sta cercando di bloccare la mia onda d’energia.
Percepisco più nitidamente il ki di Zamasu e alzo lo sguardo verso lo squarcio nel cielo. Un fascio di luce verde sta investendo Darbula.
Quel maledetto Kaiohshin sta cercando di aiutare il suo alleato trasferendogli altro potere dagli Inferi!
Sento le urla di Darbula, mi rendo conto che è comunque al limite.
Cerco di aumentare la potenza del mio colpo per fare breccia nella sua resistenza. Sto raggiungendo anch’io il mio limite, sono praticamente in apnea. Iniziano a tremarmi le braccia.
Ho davanti un muro che non riesco a sfondare.
Decido di cambiare strategia, non voglio rischiare di esaurire le mie energie senza avere la certezza di finirlo con questo Final Flash. Rischierei di trovarmi indifeso in caso di un suo contrattacco.
Sono ancora giovane, ma ho combattuto talmente tante battaglie e commesso così tanti errori che ho imparato a miei spese che l’incoscienza e la fretta sono le prime cose da evitare in momenti come questi.
E che non c’è peggiore errore di un errore che non ti rende migliore.
 
Interrompo il mio colpo e sfodero nuovamente la spada.
Voglio finirlo con il trattamento che ho riservato a Freezer e a Zamasu, i miei scalpi più prestigiosi.
Osservo il mio nemico. Ansima paurosamente, nonostante l’aiuto di Zamasu è messo davvero male.
Imbrattato di sangue, pieno di lividi. Un occhio ormai chiuso da quanto è gonfio.
Il mio Final Flash l’ha provato ancora di più del mio fendente di prima sul fianco, anche se non l’ha finito.
Manca poco ormai. Vedo la meta.
Mi fa quasi pena se penso a com’era arrogante e strafottente fino a poco fa.
«È finita» gli dico, mentre mi avvicino inesorabile come una condanna.
«Se davvero devo morire di nuovo, allora porterò con me un po’ di gente! Ah, ah, ah!» sbraita Darbula mentre forma una gigantesca sfera d’energia con una mano.
Osservo il folle delirio nel suo occhio e mi preparo ad incassare, prima di dargli il colpo di grazia.
 
Noto però lo spostamento della sua pupilla, che cambia direzione. Non è più rivolta a me, ma più in basso.
Capisco in un istante.
«Fermati, vigliacco!» gli urlo disperatamente mentre metto via la spada.
«Aaahhh!!!» grida il mostro scagliando il suo colpo verso la Capsule Corporation.
Verso Mai. Mia madre. Il giovane Trunks e la Mai pietrificata. Verso tutte le persone che si sono rifugiate lì dentro.
Con una mossa disperata scaglio a mia volta un potentissimo flusso di energia.
Riesco a deviare la sua sfera e a dirigere tutta quella potenza verso il cielo, generando un’immensa deflagrazione.
All’improvviso, mentre sono ancora girato, sento il demone urlare: «Lancia!»
Non faccio in tempo a voltarmi che un dolore lancinante mi gela il sangue.
Guardo la mia spalla sinistra. Trafitta dalla lancia di quel mostro.
La punta ha completamente trapassato il mio corpo.
Lotto con tutte le mie forze per restare in volo e non crollare.
Afferro l’asta dell’arma, sulla quale continua a colare il mio sangue, con la mano destra e la tiro fuori con tutte le mie forze.
Sento la lama riattraversarmi la carne in senso contrario. Un dolore atroce. Mi sento svenire.
Non urlo. Non voglio dargli questa soddisfazione.
Lascio cadere la lancia e mi guardo la spalla. Un buco piuttosto grande dal quale continua a zampillare sangue mi fa quasi spaventare. Vorrei crollare a terra, vorrei riposarmi un attimo.
Ma non posso. Non devo mollare.
Ritrovo la mia lucidità. Cerco di sopraffare il dolore.
Penso a tutte le battaglie che ho combattuto, a tutte le volte che pensavo che sarei stato ucciso da un momento all’altro. Non sarà questa ferita a fermarmi.
Darbula mi ha ingannato. È stato furbo oltre che vigliacco nel creare questo diversivo.
Mi strappo una manica del mio giubbino di jeans e provo a fissarla come una fasciatura per bloccare l’emorragia sulla spalla.
 
Mentre sto finendo di compiere questa operazione vengo attaccato dal Re del Mondo Demoniaco.
Un’altra mossa  vile. Degna di un essere come lui.
Non faccio in tempo a spostarmi, né a difendermi.
Vengo colpito da una ginocchiata in pancia e da una serie di pugni in faccia e sul petto.
Resisto, i suoi colpi non sono alla massima potenza perché è conciato piuttosto male anche lui.
Quando centra in pieno la mia spalla ferita, però, precipito al suolo.
Non riesco neanche più a mantenere la mia trasformazione in Super Saiyan.
Mi sento debole e privo di forze con tutto il sangue che sto perdendo. Investito dal dolore, con il braccio sinistro fuori uso.
L’impatto della mia schiena con il terreno mi toglie il respiro. Vedo Darbula piombare su di me brandendo la sua spada. Riesco a rotolare da un lato e ad evitare il suo colpo mortale. Lo vedo estrarre velocemente l’arma conficcata nel suolo.
Ma non faccio in tempo a rialzarmi. Il mostro mi blocca a terra, premendo un piede sul mio petto.
Ci guardiamo negli occhi mentre solleva la spada verso il cielo. Un istante che mi sembra durare una vita.
«Addio ragazzino! Ah, ah, ah!» mi deride.
 
Bang! Bang!
Due rumori improvvisi mi scuotono. Vedo la spada di Darbula volare via e il demone fare un passo indietro, prima di piegarsi sulle ginocchia arrancando. Mi libero dalla sua morsa, riesco ad allontanarmi da lui. È avvolto nel fumo.
Mi rendo conto di quello che è successo e di quello che sta per succedere.
«Scappa Mai! Vai Via! Torna dentro!!!» urlo con tutte le mie forze.
Riesco a vederla, fuori dall’ingresso principale della Capsule Corporation, a una centinaio di metri da noi.
Il fucile ancora in posizione. Il vento le muove i lunghi capelli neri.
Fiera, decisa. Bella.
Una dea guerriera dell’antica Grecia. Una versione moderna di Atena. Un fucile e fegato da vendere al posto dell’armatura, della lancia e dello scudo di Medusa.
Ha colpito Darbula sulla mano e sul cuore. Due colpi precisissimi, da cecchino infallibile. Ha usato dei proiettili speciali e potentissimi che le aveva dato mia madre prima di partire stamattina per il nostro viaggio nel tempo.
«Chi ha osato intromettersi!» sbraita il demone rialzandosi e facendo esplodere furibondo la sua aura tutto intorno a sé.
 
Lo spostamento d’aria causato dalla sua energia è spaventoso.
Vedo con orrore Mai che viene travolta in pieno dall’ondata e sbalzata in aria a un paio di metri di altezza. Sbatte violentemente la schiena contro il muro della Capsule Corporation e crolla a terra ricadendo. Il volto nascosto dai fili d’erba del giardino.
Sono paralizzato. Mi sento male.
«Mai!!!» urlo disperatamente con gli occhi pieni di lacrime.
È immobile. Il fucile qualche metro più avanti.
Temo che sia morta.
Mi sento la testa esplodere.
Mi porto le mani alle tempie e sbraito con tutto il fiato che sento dentro di me: «Nooo!!!»
Sprigiono un’energia spaventosa. Non so neanche dove possa riuscire a trovarla.
Non sento più il dolore né la fatica.
Provo solo rabbia. Tanta, troppa rabbia.
La rabbia mi carica. Mi fa esplodere qualcosa dentro.
Mi sento come se si fosse acceso improvvisamente un interruttore.
O come se fosse andato in frantumi qualcosa dentro di me. Qualcosa come il mio cuore.
 
«Aaahhh!!!» grido furiosamente mentre mi trasformo nuovamente in Super Saiyan di secondo livello.
Un’aura blu mi avvolge. Mi sento gli occhi ribaltati, come se non avessi le pupille.
Mi sento in trance.
Una furia. Una bestia indomabile.
Con un ultimo barlume di coscienza mi rendo conto che non sono sensazioni nuove per me.
Penso a Zamasu e a Black. Penso a Goku che mi aveva parlato di recente di quanto fossi spaventoso nella mia trasformazione in Super Saiyan Rage.
Ma non me ne frega niente di avere una coscienza in questo momento.
Sono furioso. Mi lascio travolgere dall’odio.
Mi hanno tolto Mai.
Io senza di lei non voglio vivere.
Tutto quello che volevo nella mia vita, lo volevo con lei.
Ora c’è spazio solo per la vendetta.
La mia vendetta.
Ho sete di sangue.
 
Inizio a camminare verso Darbula. Inesorabile. Come una condanna a morte.
Non c’è un tribunale, non c’è un processo.
Sono io il giudice.
Ogni mio passo è talmente pesante da generare una piccola scossa di terremoto nel terreno circostante. Emetto scariche elettriche blu dall’aura prodigiosa che mi avvolge.
«Come hai osato!» ringhio rivolto verso il demone.
Non riconosco neanche più la mia voce.
E non voglio sentire la sua. Mai più.
Lo voglio distruggere, non solo uccidere.
 
Mi scaglio contro di lui, velocissimo.
Inizio a colpirlo. Selvaggiamente.
Pugni, calci, ancora pugni. E ancora. Ancora.
Ho una rabbia senza fine dentro di me.
Sono una furia cieca.
Non riesco a pensare ad altro se non che voglio farlo soffrire prima di eliminarlo.
Lo voglio devastare. Deve pagare per quello che ha fatto.
Sento le sue ossa spezzarsi sotto i miei colpi. Sento l’odore ripugnante del suo sangue.
Colpisco più forte. Di più.
Di più.
Mi sto quasi rompendo le nocche delle mani da quanto lo sto picchiando furiosamente.
«Questo non dovevi farlo, bastardo!» gli grido. Penso di avere il volto rigato dalle lacrime.
Ma non mi interessa. Nulla ha più senso in questo momento.
Sento Darbula rantolare. Non riesce a reagire. Non può farlo.
Continuo a colpirlo, come una macchina impazzita.
Non sento più il braccio sinistro. Anche la fasciatura che mi ero fatto non ha retto alla mia furia.
Sto perdendo una valanga di sangue. Ma non mi importa. Né del mio braccio, né di quello che sarà di me.
Urlo.
La mia rabbia. Il mio dolore.
 
«Trunks!»
Una voce. Mi sembra di sentire una voce. Ovattata, lontana. Come in un sogno.
«Trunks!»
La sento ancora. Un suono dolce. Femminile. Un suono che sa d’amore.
Sto delirando probabilmente.
«Trunks! Trunks!»
Ancora una voce. Una voce diversa stavolta. Maschile. Dura. Autoritaria.
«Ehi, Trunks!»
La stessa voce, un’altra volta.
 
Mi giro alla mia sinistra, confuso.
Mi sembra di scorgere mio padre.
È trasformato in Super Saiyan Blue e mi guarda con fare severo, anche se dal suo volto traspare un sorriso.
È in posizione d’attacco, pronto a combattere.
Credo di aver perso talmente tanto sangue da avere le visioni.
Non può essere qui davvero. Il dolore mi sta facendo avere delle allucinazioni.
«Trunks, non dimenticarti che sei il figlio del Principe dei Saiyan! E ricordati quello che ti ho insegnato: in certe situazioni, più che un cuore grande, ci vuole fegato!» mi dice con decisione Vegeta.
O meglio, la sua immagine proiettata dalla mia mente devastata.
È vero. Devo avere il fegato di distruggere una volta per tutte Darbula adesso, poi penserò alle sofferenze del mio cuore.
Mi volto alla mia destra, verso il corpo esanime di Mai.
«Trunks!»
Sento ancora la prima voce, quella dolce.
Vedo Mai che faticosamente sta cercando di mettersi in ginocchio, sostenendosi con la canna del suo fucile.
Ma allora non era frutto della mia immaginazione! Mai è viva!
Mi giro di nuovo verso mio padre e gli dico: «Facciamolo, papà!»
Forse sto parlando da solo, ma non mi interessa.
Vegeta mi risponde con un ghigno. I suoi occhi brillano. Furore e follia.
So cosa fare.
 
Con un calcio colpisco Darbula per distanziarlo di qualche metro.
Mi metto in posizione. La gamba destra più avanti rispetto alla sinistra.
Porto entrambe le braccia alla mia destra e giro le mani mentre le piego.
Faccio defluire tutta la mia energia in quel punto.
Guardo mio padre che sta facendo lo stesso al mio fianco.
Un cenno d’intesa.
Distendo le braccia in avanti all’altezza della mia gamba destra e spalanco i palmi delle mani.
Un urlo, all’unisono: «Galick Gun!!!»
 
Uso tutta la forza che mi è rimasta.
Investo Darbula, che a stento riesce ancora a reggersi in piedi.
Cerca di opporre resistenza, come prima. E, come prima, un fascio di luce verde prova a fargli da scudo.
Zamasu non vuole saperne di mollare.
Un muro poderoso, difficile da abbattere.
Spingo più che posso. Sono al limite, ma non posso cedere.
Sapere che Mai è viva mi fa andare oltre la fatica e la sofferenza. Sentire Vegeta al mio fianco mi dà sicurezza.
Grido la mia rabbia. La mia voglia di difendere il mondo. La mia speranza ritrovata.
Grido il mio dolore fisico. Il braccio sinistro mi pulsa spaventosamente.
Non c’è più spazio per i calcoli. È un colpo da tutto o niente. Dentro o fuori.
Vivere o morire.
 
Darbula però non cede, grazie a Zamasu. Inizio a non farcela più.
Bang!
Il Re del Mondo Demoniaco si accascia improvvisamente su un ginocchio e si tiene con una mano una tempia.
«Vai Trunks!»
Mi giro e faccio in tempo a vedere Mai ancora in piedi, col fucile puntato. Prima che crolli a terra, stremata. Ha ferito Darbula ad una tempia, un colpo perfetto.
«Ora Trunks!» mi urla mio padre.
Ha ragione, le difese del demone stanno cedendo. Mai ha aperto uno spiraglio, non posso sprecare questa occasione.
Grido più forte che posso e faccio esplodere la mia aura.
Aumento la potenza del mio Galick Gun.
Sento il muro davanti a me cedere. Sbriciolarsi.
Travolgo Darbula, lo mando verso il cielo.
Un’esplosione fragorosa. Un boato tremendo.
Mi sembra di scorgere una colonna di fumo rosso e una specie di nube verde mentre vengono risucchiate dallo squarcio nel cielo.
Poi, lentamente ma inesorabilmente, vedo lo squarcio chiudersi.
La luce del sole torna a illuminare la Città dell’Ovest.
L’odore di morte lascia spazio al profumo della vita.
 
Mi giro verso mio padre. Ma non c’è nessuno. Ovviamente.
«Abbiamo vinto, papà» dico a voce alta, con lo sguardo rivolto verso il cielo. Verso un’altra linea temporale.
Percepisco improvvisamente il ki di Kaiohshin e del Signor Kibith. Si sono teletrasportati qui, dentro la Capsule Corporation.
Bene, salveranno loro il me stesso di questo mondo e gli altri feriti. Anche la Mai pietrificata è salva.
Per ultimo mi farò aiutare anch’io. Non sento più il braccio e non mi resta neanche un briciolo di energia. Ma sono felice.
Ho sconfitto quel mostro e Mai sta bene.
Sorrido mentre crollo sull’erba morbida del giardino, sfinito.
 
«Trunks! Trunks!»
Sento la voce di Mai e cerco di mettermi seduto. Sta correndo verso di me. È un po’ claudicante e acciaccata ma mi sembra che stia bene.
Anzi, è così bella che non mi sembra vero.
Mi si getta tra le braccia. Mi stringe forte. Più di quello che sono in grado di fare io in questo momento.
«Piano Mai, mi fai male!» le dico ridendo. «Sono piuttosto a pezzi!»
«Mi hai fatto preoccupare, scemo!» mi risponde ridendo a sua volta e scompigliandomi i capelli con la mano.
«E tu non mi hai ascoltato» ribatto in tono serio. «Ho temuto di averti perso.»
«Però siamo stati forti insieme!» mi dice sorridendo dolcemente.
Ha ragione. E in effetti, senza il suo aiuto non so se ce l’avrei fatta a vincere.
«È vero, insieme a te mi sento invincibile» le rispondo. «È bello pensare che tra tutte le variabili, incognite ed ipotesi della nostra vita, tu hai scelto me e io ho scelto te.»
Vedo gli occhi di Mai brillare, di gioia e di amore.
È una frazione di secondo, perché mi stringe ancora più forte e mi bacia. Con passione, con trasporto.
La sento parte di me. Oggi più che mai.
Siamo legati da qualcosa che va oltre il nostro io più profondo. Ci intrecciamo al punto tale che non saprei dire più dove finisci tu e dove comincio io, Mai.
Non sento più un braccio e ho dolori dappertutto, ma la mia vita è meravigliosa così com’è.
Il mio mondo è Mai, e finché mi starà vicina tutto sarà possibile. Saremo felici, lo so.
 
Sembra che le nostre labbra non vogliano saperne di lasciarsi.
Il sapore della persona amata è ancora più dolce quando si temeva di averla persa.
Finalmente riusciamo a staccarci, almeno un po’.
Ci guardiamo negli occhi, fronte contro fronte. Sorridiamo.
Le dico: «Certo che in un mondo dove tutto sembra già scritto, noi cambiamo le regole. Perché io e te siamo una formula perfetta.»
«Ma questo non toglie che sei stata una pazza ad attaccare Darbula!» aggiungo.
Mai mi risponde con un sorriso e facendomi la linguaccia. Per poi dirmi:
«In qualunque mondo, ci vogliono due pazzi armati di coraggio pronti a tenersi stretti.
Due pazzi come noi!»
 

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Capitolo 7
*** The lost Kaiohshin ***


7 – The lost Kaiohshin
 
«Quell’incapace ha fallito…»
Riapro gli occhi mentre sto ancora digrignando i denti.
I pugni stretti così forte da conficcarmi le unghie nei palmi delle mani.
Tenere gli occhi chiusi e concentrarmi per vedere ancora quello che sta succedendo su quell’insulso pianetino dell’Universo 7 mi farebbe solo male.
Non voglio assistere ai festeggiamenti di quegli esseri indegni. Mi farebbe solo provare altra rabbia per il mio fallimento.
Un altro fallimento, già…
Come posso aver fallito di nuovo? Io, Zamasu, la Luce del mondo?
Ho viaggiato tra gli Universi e nel tempo per fallire ancora? Io, Zamasu, il Purificatore?
 
«Lo sapevo che non dovevo fidarmi di quel Darbula! È pur sempre un mortale! Un inutile peccatore!»
Alzo la voce, anche se vorrei urlare. Vorrei sbraitare la mia rabbia.
La mia sete di giustizia.
Perché il mio progetto di purificare il mondo dai mortali e dai loro peccati non riesce a concretizzarsi?
Io sono la Legge.
Un dio è assoluto. E qualunque cosa faccia una divinità è giusta.
Nessuno sembra capire l’importanza di questa Nuova Era a cui sto cercando di dare inizio, il mondo divino a cui aspiro.
Un mondo privo di inutili desideri umani. Privo di peccati.
Il mio Nirvana.
 
Sono stato un Kaioh del Nord e un assistente Kaiohshin. Ma ho capito che stavo sprecando la mia vita, la mia possibilità di lasciare un segno nella Storia sfruttando la mia posizione e il mio potere.
Il mio maestro Gowasu cercava di insegnarmi i compiti di un Kaiohshin: vegliare sui comuni mortali senza intervenire; avere fiducia in loro e nelle loro possibilità di progredire, di civilizzarsi; accettare i loro peccati, la loro violenza, le loro nefandezze; sperare che nel corso dei secoli o dei millenni avrebbero saputo capire e migliorarsi, da soli.
Una divinità come il Kaiohshin non deve intromettersi nelle vicende dei mortali anche se vede che non riescono a imboccare la retta via. È semmai compito di un Dio della Distruzione valutare se è il caso di porre fine a una civiltà, a un pianeta.
Il Kaiohshin è una divinità pacifica, deve allenare i suoi poteri per poterli usare solo in caso di seria minaccia al proprio Universo, non per perseguire una personale giustizia.
Io ho un potere incommensurabile e non dovrei usarlo?!
 
Sì, ma che senso ha?
Io non so che senso abbia…
Osservare da lontano popoli incivili che si combattono tra loro, spinti da istinti animali.
Vedere mortali che si uccidono tra loro inseguendo desideri inutili e governati da una legge bestiale in cui solo il più forte può sopravvivere.
Non serve a niente la figura del Kaiohshin, non in questi termini.
Io ho cambiato le regole. Ho provato a farlo per il bene di tutti.
Un mondo privo di desideri e di peccati non può che essere migliore.
Un mondo senza esseri mortali non può che rappresentare un’esistenza ideale.
Il mio Piano Zero Umani è una legittima conseguenza di tutto questo.
Io rappresento la Giustizia.
Io sono la Verità.
Io porto la Luce nel mondo.
 
È tutto così semplice…
Sì, ma allora perché fallisco sempre?
Perché basta un ragazzo come quel Trunks per fermarmi?
Cosa lo spinge a combattere? Motivazioni più forti, più giuste delle mie?
E perché il destino lo aiuta? Perché aiuta lui e gli esseri umani di quell’inutile pianeta Terra?
Neanche la distruzione del suo mondo l’ha fermato.
Io invece, nonostante fossi immortale, sono finito qui. Negli Inferi. Non certo un posto che si confà ad uno Spirito Eletto come me.
E il me stesso di quell’altra linea temporale che aveva assunto le sembianze di un Saiyan e che i terrestri chiamavano Black? Sparito. Non esiste neanche più la sua anima.
Il mio alleato Darbula? Sarà tornato a marcire in quel Paradiso che tanto odia, quell’inetto.
Perché tutto questo?
Perché?!
Dove sbaglio?
 
Mi alzo, devo calmarmi.
Sto tremando dalla rabbia. Dalla frustrazione.
Sono confuso, disorientato.
Mi preparo un tè.
Mi sono fatto dare tutto il necessario e le guardie non hanno avuto da ridire. Non è certo una cosa che si possa negare ad una povera anima dannata.
Prendo la tazza bollente e torno a sedermi.
Chiudo gli occhi, respiro profondamente.
L’aroma mi entra nelle narici e mi arriva al cuore, se ancora ne possiedo uno.
Ma io, ho mai avuto un cuore?
 
È tutto così simile a un tempo, su un pianeta lontano. In un altro Universo.
Un pianeta piccolo, ma bello, rigoglioso. Immerso nella natura e nella pace. Nella serenità.
Un posto che è stata la mia casa per secoli.
Dove sono cresciuto e diventato un grande guerriero.
Il pianeta dei Kaiohshin dell’Universo 10.
Mi sembra di averti qua davanti, Gowasu.
Maestro.
Non sempre ti capivo.
Ma tu, invece, mi avevi capito. Ai tuoi occhi era chiara da tempo la mia vera natura.
E nonostante questo hai lasciato che ti uccidessi a sangue freddo per impadronirmi del tuo ruolo di Kaiohshin e dei tuoi poteri.
Hai creduto fino all’ultimo che fossi diverso, che non fossi del tutto cambiato da quello che ero un tempo.
Sì, perché in un tempo talmente lontano che fatico a riportarlo alla memoria, anche io ho avuto un cuore.
E tu, Maestro, avevi visto quel cuore.
Mi avevi teso una mano.
Eri venuto sul mio pianeta nella Galassia del Nord dove esercitavo con giudizio il mio ruolo di Kaioh e mi avevi proposto di diventare tuo allievo.
Volevi fare di me un Kaiohshin, il migliore tra tutti gli Universi.
Avevi visto in me potenzialità che neanche io mi illudevo di avere.
 
Non odiavo i mortali allora, forse ero solo giovane e ingenuo…
Accettai con entusiasmo la tua proposta, cambia vita.
Diventai come un figlio per te.
E sì, lo ammetto, tu non sei stato solo un Maestro per me. Ma anche e soprattutto un padre.
Un padre buono che mi ha cresciuto e allenato indicandomi una via da seguire.
Io quella via ho deciso di insozzarla di sangue, quando ho reputato che non avrei più avuto bisogno di te.
Già da tempo non necessitavo più della presenza di un maestro dato che il mio potere era diventato inimmaginabile, a un certo punto ho ritenuto inutile anche avere una figura paterna.
Eppure, a cosa è servito tutto questo?
Ho sublimato il mio potere con l’immortalità e mi sono messo al servizio dell’altro me stesso chiamato Black per ottenere anche i poteri curativi necessari a rendere più forte il suo corpo Saiyan dopo ogni combattimento.
Siamo arrivati a fonderci, ma è bastata una volgare spada umana a dividerci.
Ho sbagliato tutto, Maestro?
Tu mi hai teso la mano fino all’ultimo, eri disposto a perdonarmi, a cercare una soluzione con le altre divinità pur di salvarmi la vita a fronte del mio fallimento e nonostante tutti quegli omicidi.
E io?
Non solo non volevo il tuo perdono, ma anzi, ti avrei ucciso di nuovo.
E non so neanche perché. Perché in ogni linea temporale ti ho ucciso oppure ho tentato di farlo?
Ora che sono qui, ora che ho fallito ancora, forse mi rendo conto che non lo meritavi.
Tu sei l’unico che ha creduto in me secoli fa e che ha continuato a sperare che ci fosse qualcosa di buono nella mia anima anche quando gli altri potevano vedere solo un assassino.
Forse adesso avrei bisogno di un padre, Gowasu.
 
Guardo il tè nella mia tazza.
Torbido, come la mia anima.
Non ricordo neanche più l’ultima volta che un tè preparato da me sia stato limpido come quelli che riuscivo a fare da giovane.
Quando ancora non immaginavo neanche lontanamente che un mortale potesse avere una forza superiore a quella di una divinità.
Quando ancora non ritenevo che gli esseri inutili andassero eliminati all’istante.
Quando non sapevo che il compito di un Kaiohshin fosse solo vegliare sui popoli del proprio Universo e garantirne semplicemente l’ordine.
Guardo la mia immagine riflessa e distorta nella bevanda.
Rivedo un me stesso più giovane.
Il me stesso che stava iniziando a cambiare, a vedere le cose diversamente.
Avevo appena viaggiato avanti nel tempo di mille anni con Gowasu per vedere se in un pianeta che ritenevo insulso come quello dei Babariani l’evoluzione avesse fatto passi avanti.
Contravvenendo agli ordini del mio mentore, uccisi uno di quegli esseri incivili. Li avrei sterminati tutti per fare pulizia, se solo avessi potuto.
Esseri disgustosi e decerebrati. Incapaci di provare un minimo di senso di giustizia e di decoro.
Creature senza valore.
Spazzatura.
 
Mi tornano alla mente le parole di Gowasu di quel giorno. Lui mi aveva già detto che bisognava lavorare solo sul mio lato interiore, perché dal punto di vista dell’allenamento fisico non aveva più nulla da insegnarmi. Il mio potere lo superava di gran lunga ormai.
Ma avevo un problema con il mio concetto di giustizia secondo lui:
«Non esistono creature senza valore, tutto ciò che la natura ha creato ha un significato. I pianeti non sono soltanto nostri in quanto divinità. Dobbiamo limitarci a vegliare sugli esseri viventi e, se sono destinati ad estinguersi, lo faranno da soli.
Il compito di un Kaiohshin è salvaguardare la pace e trovare un modo per correggere la rotta di quei pianeti che, allontanandosene, rischiano di turbare eccessivamente il proprio equilibrio.
Solo un Hakaishin ha il diritto di non essere indulgente e di usare in modo attivo i propri poteri verso quei popoli che non è possibile convincere con le parole.»
 
Ricordo il mio silenzio al termine di quel discorso inaccettabile. Ero sconvolto, non volevo rassegnarmi ad un’esistenza inutile. Tu provasti a spronarmi, ancora una volta:
«Vedi, Zamasu, è bello che tu abbia un forte senso di giustizia…tuttavia, quando diventa troppo forte, al pari di un’ossessione per la “pulizia” di chi non ci va a genio, riduce la serenità del cuore.
Al contrario, avere la magnanimità di lasciare che le cose facciano il loro corso può condurre alla pace.»
«In pratica dovrei far finta di non vedere? A cosa serve il potere che ho coltivato tanto a lungo?!» ti chiesi, disperato, ormai sull’orlo del baratro.
«Zamasu, sono consapevole che sei in possesso di un potere in grado di schiacciare il male, ma non devi lasciarti dominare dalla superbia. O arriverà il giorno in cui questa ti schiaccerà e ti farà cadere in trappola.
Il compito di un Kaiohshin è vegliare sugli altri non guidato dallo spirito combattivo ma da un cuore sereno.
La tua forza e i tuoi poteri servono solo a mantenere la serenità del cuore.»
 
Eri paziente, Gowasu. Ma io no. Ho ucciso senza pietà te e tutte le altre divinità degli Universi. Ho provato a fare lo stesso con tutte le creature mortali.
Il mio senso di giustizia mi fa da guida, non la serenità del mio cuore. Quella non esiste più da tempo.
Il mondo in cui governano gli umani è l’errore. I mortali sono destinati a ricadere nella violenza e a distruggere il pianeta che abitano. L’Universo non ha bisogno di loro, l’esistenza stessa degli umani è il Male.
Per questo io sono nel giusto!
E allora, perché ho fallito?
La mia superbia mi ha travolto?
Cos’hanno in più rispetto al mio potere incommensurabile e alla mia essenza divina quei Saiyan e quei terrestri?
Che il loro senso di giustizia sia superiore al mio?
Che il loro combattere per difendere qualcun altro e per amore dia loro una marcia in più?
È davvero un peccato questo battersi per gli altri, superare i propri limiti e mettere in gioco la propria vita in nome della salvezza?
Non è che forse possono essere considerati anche loro un esempio?
Forse non tutti gli esseri mortali sono uguali in senso negativo…forse capisco solo ora il significato delle parole del mio Maestro, quel significato che mi è sempre risultato così oscuro.
 
Sono davvero in grado di giudicare i peccati degli altri solo perché sono una divinità?
E se fossi io a sbagliarmi nonostante sia permeato dalla perfezione divina?
Non è che forse mi sono sempre e solo concentrato sulla pagliuzza negli occhi delle creature che ho sempre ritenuto inferiori senza considerare la trave che avevo nel mio, di occhio?
Non è che forse il mio sogno, quell’Universo privo di mortali e di tutti gli errori che si trascinano dietro per definizione, fosse solo un’utopia priva di senso?
Mi chiedo se non stessi solo inseguendo un paradosso, più che un obiettivo: come potevo infatti creare un Nirvana eliminando ogni desiderio mortale e quindi ogni peccato, se proprio io, il Divino Artefice di tutto questo, stavo fondando questo sogno su un desiderio enorme?
Sì, perché alla base di tutta la missione che mi sono autoimposto c’è un desiderio gigantesco, il mio desiderio. Quello di eliminare tutte le creature.
Inizia a sembrarmi tutto così surreale.
Mi gira la testa, mi sento confuso.
 
Guardo il tè, torbido da far paura, e seguo il fumo che esce dalla tazza bollente.
Osservo il cielo. Se si può definire tale la volta di questo posto orribile.
Urla in lontananza. Pianto e stridore di denti. Anime che hanno lasciato ogni speranza.
Penso a te, Maestro.
A quello che ti ho fatto.
Credo che avrei bisogno di parlarti, adesso.
Mi chiedo se tu sia ancora vivo in questa linea temporale o se tu sia già stato assassinato. Da me.
E mi chiedo se il me stesso di questo mondo sia già stato ucciso da Lord Beerus o se abbia ancora speranza. Se magari sia in realtà diverso da me. Se abbia compreso il vero significato degli insegnamenti di Gowasu.
Se il tè che prepara sia limpido e trasparente. Se il suo cuore sia sereno.
 
Maestro, non so dove tu sia.
Ma vorrei parlarti, adesso.
Sì, vorrei chiederti scusa.
Dirti che mi manchi.
E che, in fondo, mi piaceva sentire il calore di un padre.

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Capitolo 8
*** Atena ***


8 – Atena
 
C’è una bella brezza rilassante stasera, si sta bene sul terrazzo. Sarà una nottata serena, iniziano già a intravedersi le stelle. E la luna. Piena. Mi è sempre piaciuta, non saprei dire per quale motivo. Forse perché mi infonde sicurezza, così grande. O forse perché con la sua luce riesce a rischiarare l’oscurità della notte e sembra che possa portarsi via tutti i problemi.
«Sai, oggi quando ti ho guardata dopo che avevi sparato a Darbula, ho avuto come una visione.»
Trunks si gira e mi fissa intensamente negli occhi.
 
Siamo lì seduti da soli da un po’ ormai, dopo aver cenato con tutti gli altri. In fondo qui conosciamo tutti, ma è come se in realtà non conoscessimo nessuno.
Siamo arrivati in questo mondo solo da poche ore e dovremo imparare a convivere con i noi stessi di cinque anni fa. Inserirci in punta di piedi nelle loro vite. Mi chiedo se qui ci considerino ospiti o solo degli invasori, al di là di quello che è successo oggi.
Sì, al di là del fatto che Trunks, il mio Trunks, abbia salvato le sorti di questa linea temporale. Questo, in fondo, conta poco con il nostro inserimento. La gente ci può anche vedere come eroi, però a me interessa sapere cosa pensano di questo paradosso i Trunks e Mai che già vivevano qui. Perché, in fin dei conti, questo è il loro, mondo. In effetti, io non so come reagirei. Penso che probabilmente non avrei problemi ad accettare un’altra me stessa nella mia vita. Ma in realtà conta poco quello che farei io, bisognerebbe capire come la pensano i diretti interessati.
E non abbiamo ancora avuto modo di parlare davvero con loro, è stata una giornata più intensa di quanto mai avrei potuto immaginare.
Ormai ho vissuto in tre mondi e mi sono resa conto che i vari noi stessi di ogni linea temporale non sono semplici copie l’una dell’altra. Ogni mondo è diverso: affronta situazioni diverse, combatte pericoli diversi, è popolato da persone diverse. E questo si riflette sul carattere di chi ci vive.
Da quello che ho capito, infatti, i Trunks e Mai di questo mondo non sono una coppia. Magari lo diventeranno, ma magari no…e comunque anche per noi non è stato facile arrivare a confessarci a vicenda i nostri sentimenti. La nostra è stata una vita dura e segnata dal dolore, in cui l’amore faticava a trovare spazio, per forza di cose. E da questo punto di vista, questa linea temporale sembra piuttosto simile alla nostra. Così, allo stesso modo, i noi stessi di quest’epoca potrebbero avere paura ad aprirsi del tutto l’uno verso l’altra.
 
«Una visione? In che senso?» Non capisco dove voglia arrivare. È da un po’ che lo vedo assorto nei suoi pensieri in effetti. Niente di nuovo, per carità. Lui è così: pensieroso e silenzioso, dolce ed educato. In fondo lo amo proprio per questo.
«Quando ti ho vista in piedi, col fucile ancora puntato e i capelli mossi dal vento, per non parlare del portamento fiero e di quanto fossi bella nonostante quello che stava succedendo…beh, mi sei sembrata davvero come una dea della guerra arrivata per combattere al mio fianco. Ti ho visto come una nuova Atena in quel momento. E mi sono sentito un po’ come Ulisse quando avvertiva la presenza della sua dea prediletta al suo fianco nei momenti critici.»
«Non avevo mai pensato che potessi vedermi addirittura come una dea…come non avrei mai detto di poter essere bella in un momento simile! E, soprattutto, che tu me lo dicessi con una tale naturalezza, di solito ti imbarazzano queste cose!» gli rispondo ridendo, per prenderlo un po’ in giro.
«Eh, allora non te lo dirò più così direttamente, se devi prenderti gioco di me!» ribatte Trunks, imbronciato, incrociando le braccia.
Lo adoro quando fa così. Adesso che ho potuto conoscere suo padre Vegeta ho anche capito da chi ha ereditato certi atteggiamenti!
«E comunque mi hai fatto spaventare, davvero» aggiunge. «Se tu…se tu…non ce l’avessi fatta, io…non so cosa avrei fatto!»
Sta stringendo i pugni. So che gli avevo promesso di stare in disparte durante la battaglia, ma non potevo starmene a guardare. Non in un momento simile.
«Guarda che lo stesso vale per me» gli dico, accarezzandogli i capelli. «Cosa sarebbe stato di me se quel mostro ti avesse ucciso? Quando ho temuto che stesse per darti il colpo di grazia, semplicemente non ho capito più niente. Ho preso il fucile e ho fatto del mio meglio. In questi casi rimpiango di non poter essere un vero guerriero. Per stare al tuo fianco. Fino alla fine, nel caso.»
 
Trunks mi sorride dolcemente e mi guarda. Il chiaro di luna si riflette nei suoi occhi lucidi. Deve essere stato colpito dalle mie parole e probabilmente si sente in colpa perché reputa di avermi messo lui in pericolo. Lo conosco, è un testone, e si prende sempre la responsabilità di tutto e di tutti. Da sempre. Ma so anche che non piangerebbe mai davanti a qualcuno. Soprattutto davanti a me.
Lui non sa che io l’ho visto piangere, una sola volta, quando ancora non ci conoscevamo. O almeno, lui non poteva neanche immaginare la mia esistenza, ma io lo spiavo affascinata da mesi durante i suoi combattimenti insieme a Gohan contro i Cyborg. Eravamo dei ragazzini di 14 anni allora, mi sembra passata una vita. Io, a differenza sua, ho assistito alla morte di Gohan davanti ai miei occhi…senza poter far nulla per poterlo aiutare. E ho anche visto Trunks arrivare sul campo di battaglia a recuperare il corpo del suo maestro. Ero rimasta scioccata, sotto la pioggia per ore, incapace di andare via dal mio nascondiglio. Temevo che anche Trunks fosse stato ucciso in precedenza, ma per fortuna mi sbagliavo. Non dimenticherò mai le sue lacrime e le sue urla, la sua trasformazione improvvisa in Super Saiyan. Come non scorderò mai la speranza che tornava a crescere dentro di me insieme all’amore che iniziavo a sentire per lui, pur non conoscendone ancora neanche il nome.
Ti ho visto piangere una sola volta, Trunks. E ricomincerei sempre da te, sempre. Ogni cosa.
 
 «Grazie per oggi. Anzi, per tutto. Per esserci sempre per me, per esserci sempre stata da quando ti ho conosciuta…» mi dice, con un filo di voce.
«Sono io che devo ringraziarti, Trunks» gli rispondo. «Per tutto. Per avermi reso una persona migliore da quella che ero prima di conoscerti, quando vivevo immersa nella rabbia. Con il solo desiderio di uccidere i Cyborg, di vendicarmi. E per avermi reso felice, come mi avevi promesso quando abbiamo parlato per la prima volta.»
Gli prendo una mano, prima di proseguire: «Hai detto che ti sembravo Atena e che tu ti sentivi come Ulisse, vero? Beh, se devo essere sincera, quando ho ripreso conoscenza e ti ho visto massacrare quel demone mi ha quasi spaventato da quanto eri una furia. Più che Ulisse direi che sembravi Ares, il dio della guerra. Mi hai impressionata, sul serio!»
«Ehm…in effetti credo di avere qualche problema nella gestione della rabbia! E poi, se qualcuno ti fa dal male, io letteralmente mi sento esplodere» risponde Trunks, grattandosi leggermente la testa con la mano, visibilmente a disagio.
«Ma guarda che io adoro la tua trasformazione in Super Saiyan Rage!» esclamo ridendo.
«Meno male allora!» esclama. «Perché, vedi, io in fondo penso che la rabbia sia come il fiato: se la trattieni troppo puoi finire soffocato.»
Lo guardo negli occhi e gli sorrido. È così puro, così vero…nel suo caso vale davvero quel modo di dire che afferma che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Non sa nascondere quello che prova.
Mi sento fortunata ad averlo incontrato nella mia vita.
Lo abbraccio e lo stringo forte. Ho avuto paura di perderlo oggi. E ora ho voglia di baciarlo.
Ci guardiamo un attimo. Credo che anche lui stia pensando le stesse cose, glielo leggo in faccia.
Ci scambiamo un bacio, lungo e intenso, al chiaro di luna.
Sono felice.
 
Restiamo un po’ così, in silenzio, solo a sentire i nostri battiti.
A sentire che ci siamo, l’uno per l’altra.
Che ci saremo sempre. Ovunque. E qualunque cosa accada.
 
Mi sento bene così, ma sono anche molto stanca. Non fisicamente, perché per fortuna il Signor Kibith ha guarito tutti, compresa me. Ma psicologicamente è stata una giornata davvero devastante e ora che inizia a farsi tardi mi sta venendo fuori tutta la stanchezza che ho accumulato.
«Vado a farmi una doccia, Trunks. Poi vado direttamente in camera…sono abbastanza a pezzi. Ci vediamo dopo» gli dico, mentre gli accarezzo dolcemente una guancia.
«Va bene, io resto ancora un po’ qui a guardare la luna e le stelle, intanto. Mi rilassano…a dopo allora» mi risponde Trunks sorridendo.
 
L’acqua calda mi aiuta a distendere i nervi. Questa doccia me la sto proprio godendo, non come quella che ho fatto al termine della battaglia. In quel momento ero ridotta abbastanza male.
Penso di essere una ragazza coraggiosa, di esserlo sempre stata.
Ma sono anche una che ha paura. E oggi ho avuto paura, tanta.
Per Trunks, soprattutto, ma anche per me. Quando l’impeto generato dall’aura di Darbula mi ha sbalzato contro il muro a un paio di metri di altezza ho provato un dolore lancinante che mi ha tranciato il respiro. Credo sia stato un bene aver perso conoscenza in fretta, anche se quando ho iniziato a vedere tutto nero intorno a me ho creduto di non farcela. Mi è passata davanti tutta la mia vita in quel momento. Sono stata fortunata oggi, ma sono fiera di essere intervenuta al fianco di Trunks.
Come sono orgogliosa del mio coraggio e della mia paura. Perché credo che il coraggio se non è accompagnato da un giusto timore, non sia altro che incoscienza.
Coraggio e paura in fondo sono complementari. Due facce della stessa medaglia.
Spengo l’acqua ed esco dalla doccia. Mi sento meglio adesso, mi sembra di aver lavato via tutte le tossine che avevo accumulato oggi.
Mi asciugo e mi fisso l’accappatoio, pronta a far ritorno in camera.
 
Quando apro la porta del bagno e vado in corridoio, sono abbastanza sovrappensiero. Sono tranquilla.
«Ciao!»
Una voce mi fa quasi prendere un colpo, credevo che non ci fosse nessuno lì.
È una voce che conosco bene però, quindi mi tranquillizzo subito.
Sì, quella che ho sentito è la mia voce.
Mi giro e la vedo. Anzi, mi vedo. Solo qualche passo più in là c’è la Mai di questa linea temporale.
MI fa uno strano effetto parlare con un’altra me stessa così simile a me, vederla così vicino…non è neanche paragonabile a quello che ho provato quando mi sono rivista da bambina nel mondo da cui siamo partiti stamattina.
Se quello era già un paradosso, questa sembra quasi una follia.
È come essere davanti allo specchio e rivedersi con cinque anni di meno. Come se stessi guardando una fotografia di cinque anni fa.
Se devo essere sincera e magari anche un po’ vanitosa, spero di essere ancora carina come lo è lei.
«Ciao!» le rispondo sorridendo.
Immagino che, se per me è stata una giornata intensa, per lei sia stata tremenda. Non credo abbia molta voglia di fare conoscenza con me. Non adesso, almeno.
«Ho fatto una doccia prima di andare a letto per rilassarmi un po’ e direi che ci voleva proprio!» le dico allegramente. «Ci vediamo domani a colazione?»
«Ehm…io…veramente…senti, ti va di parlare un po’, adesso?» mi chiede distogliendo lo sguardo dal mio, visibilmente imbarazzata.
«Ma certo!» le rispondo. «Anch’io avrei voluto scambiare il prima possibile quattro chiacchiere con te, solo che credevo che stasera fossi…come dire…stanca!»
«Sei molto gentile, lo apprezzo! Davvero. Ma non preoccuparti, sto bene!» mi dice sorridendo e tornando a guardarmi.
Ha un modo di fare dolce, è proprio carina. O meglio, dovrei forse dire che siamo carine dato che siamo la stessa persona, in fondo!
«Ti va di parlare nella mia stanza? Così staremo tranquille…» aggiunge.
«Va bene, sono curiosa di vedere se abbiamo gli stessi gusti noi due in fatto di arredamento!» le rispondo ridendo.
 
Mi accomodo sulla sedia della sua scrivania e mi guardo intorno. Non c’è che dire, la ragazza ha buon gusto.
Lei si siede sul letto e resta in silenzio per qualche secondo. Sembra indecisa su quello che vorrebbe dirmi.
«Io…»
Ci rendiamo conto che abbiamo detto in coro la stessa parola e cominciamo a ridere. Almeno la tensione se ne è andata, direi.
«Io…volevo ringraziarvi per quello che avete fatto oggi per noi. Per me, per Trunks, per tutti» riprende la Mai di questo mondo. «Io…nonostante le condizioni in cui ero ridotta, ho visto quello che avete fatto. Siete stati magnifici!»
«Non devi ringraziarci! Anzi, siamo noi a dover ringraziare te, Trunks, Bulma e tutti gli altri per averci accolto…non abbiamo più un mondo che sia veramente nostro, perché la linea temporale in cui siamo nati è stata distrutta qualche giorno fa» le rispondo, cercando di non farmi travolgere dai sentimenti che provo per le sorti della mia linea temporale.
«Guarda che io sono contenta che siete venuti qui. E, anzi, credo che lo siano tutti» mi dice, seria. «Non so se per te è lo stesso, dato che in fondo siamo la stessa persona, ma io ho sempre desiderato avere una sorella maggiore. Non avrei problemi a considerarti come tale. Ne sarei solo felice!»
«In effetti anch’io, fin da piccola, ho sempre sognato di avere una sorella, soprattutto quando mi sentivo sola…ed è successo spesso, troppo spesso. Quindi non posso che pensarla come te!» affermo, sorridendo.
«Quindi…sorelle?» mi domanda Mai, venendomi incontro e allungando il mignolo della mano destra verso di me.
 
Vedendole fare questa azione avverto come un tuffo al cuore. Mi rivedo da bambina, con mia madre, a stringerci i nostri mignoli per farci una promessa. Mi aveva fatto giurare che qualunque cosa fosse successa, avrei comunque dovuto cercare di essere felice. Mamma deve aver fatto lo stesso anche con questa me stessa più giovane. Avrei voglia di piangere per la nostalgia, per tutto quello che ho dovuto sopportare fin da quella assurda guerra coi Cyborg…ma non voglio rovinare un momento così bello.
«Sorelle!» le rispondo, stringendole il suo mignolo con il mio. Ricaccio indietro le lacrime e sfodero il mio sorriso migliore.
Dopotutto, sono la sorella maggiore a questo punto e voglio anche provare ad aiutarla. Sì, perché io ho mantenuto la promessa che avevo fatto con mia madre e poi con Trunks, perché adesso mi sento felice nonostante tutte le disgrazie che ho dovuto affrontare.
Il problema è che questa Mai non mi sembra affatto felice e neanche serena. Bulma mi ha raccontato qualcosa a proposito del fatto che già due settimane fa era stata pietrificata da Darbula e che da allora si è molto chiusa in sé stessa.
Non posso giudicarla per questo. Deve essere stata un’esperienza terribile. E, fortunatamente, io non ho dovuto subire anche questa tragedia.
Però ho superato le guerre contro i Cyborg e Black, addirittura la fine del mio mondo. E l’ho fatto insieme a Trunks. È come se ci fossimo stretti l’uno all’altra fin da adolescenti per darci forza.
Ci siamo presi e non ci siamo più persi.
Credo che sia stata questa la mia forza, e anche quella di Trunks. Insieme siamo più forti.
E, dato che siamo così simili, forse anche a lei farebbe bene parlare con il suo Trunks per chiarire cosa davvero provano l’uno per l’altra. E andare avanti, incontro alla vita.
 
«Sei stata davvero coraggiosa quando hai sparato a quel mostro. Entrambe le volte. Sei stata fantastica! Io, invece, ero bloccata dal terrore prima ancora di venire pietrificata…questa è stata la seconda volta in cui mi sono ritrovata così. Anche due settimane fa è successo, e da allora ho sempre avuto paura che potesse ricapitarmi. Per quello sono rimasta paralizzata quando mi sono ritrovata davanti quel demone. Sembrava uno dei miei incubi di tutte queste ultime notti insonni venuto a trovarmi nella vita reale. Almeno, due settimane fa mi ero gettata io contro il suo sputo per fare da scudo a Trunks. Ma anche in quel caso, pur dimostrando coraggio, forse ho sbagliato tutto…perché da allora il mio rapporto con Trunks è cambiato. Credo che lui si senta in colpa per quello che mi è successo. E io non riesco a spiegargli che non deve sentirsi così…solo che ho anche paura di ferire il suo orgoglio. Non stavamo insieme, ma in cuor mio è come se lo fossimo da sempre. Ci siamo sempre stati l’uno per l’altra fin da quando eravamo ragazzini, ma in queste due settimane non abbiamo fatto altro che evitarci. Sono una codarda anche per questo. Continuo a scappare e a commettere errori…» mi dice, sconsolata, a testa bassa e stringendo i pugni. «Vorrei essere forte come te. E trovare il coraggio per parlare con il mio Trunks, come sicuramente avrai fatto tu a suo tempo con il tuo» aggiunge, guardandomi con gli occhi lucidi.
«Guarda che io non sono perfetta. Non puoi immaginare quanti errori abbia commesso anch’io nella mia vita. Ad esempio io non ho mai incontrato Darbula nel mio mondo, perché quel giorno stavo pattugliando la zona sbagliata con i miei uomini. Credevamo che fosse atterrata in un altro punto la navicella del mago Babidi, e così non ho potuto essere presente al momento della battaglia. Lo sai che nella mia linea temporale in quello scontro sono morti sia Kaiohshin che il Signor Kibith? Solo Trunks si salvò, e a malapena anche. E da allora, nonostante avesse ucciso entrambi i nemici, non ha mai saputo darsi pace per le sorti delle due divinità che l’avevano allenato fino a quel giorno. Magari la tua presenza sul campo di battaglia ha fatto in modo che il corso della storia si modificasse ed è anche grazie alle cure di Kibith se oggi siamo sopravvissuti tutti.
Devi sapere che nel mio mondo la morte di Kaiohshin ha avuto effetti nefasti anche successivamente, perché ha reso possibile l’invasione da parte di un dio malvagio che è arrivato a distruggere addirittura la nostra linea temporale. Questa divinità ha viaggiato nel tempo perché ha visto nel nostro mondo un bersaglio facile. Vedi, quando in un Universo muore un Kaiohshin, perde la vita automaticamente anche il Dio della Distruzione, una divinità dai poteri sconfinati. Ecco, la nostra linea temporale era totalmente indifesa…c’era solo Trunks. E io, per quello che potevo fare. Bulma ha perso la vita per darci una speranza di salvezza e io stessa ho rischiato più volte seriamente di essere uccisa. Abbiamo viaggiato nel tempo e siamo andati in una linea temporale in cui fossero ancora vivi il padre di Trunks e i suoi amici. Grazie a loro ce l’abbiamo fatta…già, ma a che prezzo…»
 
Mi interrompo, quasi a voler riprendere fiato. È stato un lungo sfogo. Doloroso. Ma necessario, credo, sia per me che per Mai.
Voglio che reagisca, come ho sempre provato a fare io nonostante tutte le avversità che il destino mi ha posto davanti.
Mai mi sta guardando. I suoi occhi sono penetranti, inizio a intravedere al loro interno una luce diversa rispetto a poco fa.
«Quelle come noi…sanno sempre rialzarsi davanti alle prove che il destino gli mette davanti e affrontare i propri errori, vero?» mi chiede.
«Vedi, anche se non voglio dimostrarlo, dentro di me soffrirò sempre per quello che ho dovuto vivere e avrò sempre dei sensi di colpa per essere l’unica sopravvissuta del mio mondo insieme a Trunks. Ho visto morire davanti ai miei occhi tutta la gente che ci voleva bene e che ha sempre creduto in noi.
Ma ho imparato che bisogna andare avanti, pensare a quello che ci resta e non solo a quello che si è perso.
Soprattutto se quello che ci resta è davvero importante.
So di aver fatto errori e che ne farò altri di sicuro in futuro, ma so anche che posso ancora aiutare gli altri e aiutare me stessa. Oggi ho rivisto negli occhi delle persone che vivono qui lo stesso sguardo della mia gente, quella che non esiste più, ormai. Ho capito che avrei potuto far qualcosa per loro, proteggerli.
Lo stesso che hai sempre fatto anche tu, ne sono certa.
Adesso credo che devi pensare anche a te stessa. Se vuoi una cosa nella tua vita, devi andare a prendertela. Se hai dentro di te un fantasma, devi affrontarlo. Non dico sbatterlo fuori, ma almeno confinarlo in un angolo buio. Se pensi di aver commesso un errore, devi farne tesoro e trasformarlo in un’occasione.
Tu sei forte, Mai. Tu puoi diventare anche più forte di me, hai capito?!»
 
Mi interrompo e la fisso intensamente. I suoi occhi sono sempre più luminosi. Più belli. Più vivi.
Riprendo a parlare: «Come ti dicevo, ho sicuramente commesso tanti sbagli nella mia vita. Ma sono anche sopravvissuta a due lunghe guerre e alla fine della mia linea temporale. Ho vissuto in tre mondi.
Se c’è una cosa che ho capito, è che i nostri errori sono anche le nostre più grandi occasioni.
Perché, vedi, certi periodi della nostra vita sono come delle canzoni. E, secondo me, una canzone è un’istantanea di stati d’animo. E quindi ti sorprenderai di come tutto può cambiare in un attimo.»
 
Fisso i suoi occhi e rivedo i miei.
Lo sguardo di chi è forte.
Di chi non molla niente.
Di chi ha dato il bentornato alla serenità ed è pronta ad andare a prendersi anche la felicità.
Gli occhi di chi vuole trasformare i propri errori nelle sue più grandi occasioni.

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Capitolo 9
*** Armstrong (prima parte) ***


9 – Armstrong   (prima parte)
 
 
Un boato.
Tutto ciò che ricordo è un boato.
E un dolore atroce, anche. Quello non potrò mai dimenticarlo.
Il silenzio assordante come un boato proveniente dal corpo pietrificato di Mai mi ha cullato a modo suo verso la morte eroica che ero convinto di aver trovato.
E un boato, reale stavolta, mi ha riportato alla vita. A quella vita che ero convinto di aver perso mentre stavo affogando in un mare di dolore talmente denso e tenebroso che non avrei mai pensato di poterne uscire.
Riaprendo gli occhi ho fatto in tempo a vedere Trunks, il me stesso arrivato qui all’improvviso dal futuro, distruggere Darbula. Una furia, una bestia. È stato fantastico.
 
Ero come paralizzato dal dolore, faticavo anche solo a respirare. Mi chiedevo se il mio cuore stesse davvero battendo ancora. Sinceramente, non lo sentivo affatto.
«Trunks!»
Lo sento ancora nella mia testa, quell’urlo.
«Trunks!»
Mi rimbomba di nuovo, nonostante sia sera ormai e sia passata l’intera giornata da quel momento.
Un urlo che mi ha riportato alla vita, davvero stavolta.
Sì, perché è solo quando ho sentito quella voce a me tanto familiare che ho percepito nitidamente il mio cuore battere.
E più sentivo avvicinarsi il rumore di quei passi frenetici verso di me, più accelerava anche lui le sue pulsazioni.
Un dolce suono, prodotto da suole di stivali a me fin troppo familiari.
«Trunks! Io…io…»
Vedevo nitidamente Mai, la mia Mai, davanti a me. Piangeva, e aveva il fiatone per lo scatto appena fatto.
Bella. E magnificamente viva.
Grazie Trunks. Grazie me stesso del futuro. Sono in debito con te, adesso. Non tanto per la mia vita, forse neanche per le sorti del mio mondo. Ma per aver salvato Mai.
 
Non dimenticherò mai ciò che è successo, a quel punto.
Mai che, in lacrime, si getta tra le mie braccia inermi e mi stringe forte. Io che non posso praticamente muovermi, non so quante ossa fratturate potrei aver avuto in quel momento.
Ad essere onesto mi stava facendo un gran male anche lei con la sua presa. Ma, soprattutto, mi faceva stare bene. Anzi, da Dio.
Mi sentivo in Paradiso, anche se avrei voluto tanto urlare dal dolore per l’Inferno che avevo dentro.
Ma non c’era spazio per il dolore. Non in quel preciso istante.
So solo che avrei desiderato sciogliermi in quell’abbraccio, per diventare un tutt’uno con lei. Come avevo sempre sognato, del resto.
I dieci centimetri che ci avevano diviso il giorno del nostro primo incontro otto anni fa ormai non esistevano più.
Proprio quei dieci centimetri che mi erano sembrati diventare chilometri nelle ultime due settimane…svaniti, nella fugacità di un attimo.
Avrei voluto imprigionare quell’istante nell’eternità.
Come in una prigione d’ambra.
 
Fino ad allora era come se io e Mai non ci fossimo mai toccati…forse ci eravamo solo sfiorati, come fa il cielo con i prati.
Ma stavolta era diverso. La sentivo mia. E non avevo paura di dirle quello che era da una vita che cercavo di confessarle.
Volevo dirle davvero che l’amavo. Che l’avevo sempre amata. Chiederle scusa, per tutti i miei errori.
Sì, ero più morto che vivo, ma mi sentivo abbastanza forte da confessarle che la amavo da otto anni. Ma che ero stato troppo codardo per dirglielo prima.
Forse mi sentivo in pace con me stesso per averle fatto da scudo col mio corpo. Ci vogliono le palle per gettarsi tra le fiamme per qualcuno, lo so bene, ma lei ne ha avute molto di più quando si è sacrificata per me.
Forse aver appena visto la morte in faccia tanto nitidamente da poter disegnare quello che mi è apparso davanti ed essere riuscito comunque a tornare, mi faceva sentire invincibile in quel momento.
O forse era tutto il sangue che avevo appena perso a rendermi meno lucido e quindi più folle.
So solo che avrei voluto baciarla.
So solo che stavo davvero raccogliendo tutte le mie residue forze per compiere un gesto solo in apparenza tanto semplice.
Mi sentivo alleggerito, per una volta nella mia vita, dal peso del mondo che avevo sempre dovuto portare sulle spalle.
Ero pronto, era il momento.
 
Poi, all’improvviso, due auree potentissime. Due ki a me ben noti.
La faccia del Signor Kibith a un metro da me, alle spalle di quella di Mai.
Ho forse gridato dallo spavento, credo che l’assistente di Kaiohshin si sia anche offeso per questo. Si sa, del resto, che non ha un carattere così docile lui.
Ha farfugliato qualcosa di incomprensibile guardandomi male, mentre iniziava a guarirmi.
Ma avevo tutt’altro per la testa in quel momento…
Mi chiedo se avrei avuto davvero la forza di baciare Mai, anche nel caso in cui non fossero arrivati Kaiohshin e Kibith.
Forse è stato un bene, però.
Mentre Kibith mi curava, ho intravisto la mia immagine riflessa e, beh, ero mostruoso in quel momento. Mi mancava un dente davanti, avevo i capelli mezzi bruciati, ematomi ovunque, un occhio completamente violaceo e sangue dappertutto.
Sono sincero: Mai avrebbe meritato un ricordo migliore per il nostro eventuale primo bacio. Oltre al fatto che avrebbe dovuto avere davvero fegato per farsi baciare da uno in quello stato pietoso!
Sì, però chissà se e quando troverò ancora la forza d’animo che sentivo di avere in quel momento…
 
Penso a tutte queste cose nella mia stanza e mi sento confuso…
Anche se nel frattempo è sera, ho ancora dentro di me l’adrenalina del combattimento di stamattina. E quella sensazione stupenda di sentirmi vivo, nonostante abbia potuto vedere la morte in faccia. O forse è semplicemente quell’abbraccio di Mai ad avermi lasciato questo senso di elettricità.
Fatto sta che la gran confusione che ho in testa mi consiglia di prendere una boccata d’aria, magari guardando le stelle sul terrazzo.
 
Quando esco, mi rendo conto che qualcuno mi ha preceduto.
La luce della luna si riflette su una lama.
Un ragazzo, seduto, sta guardando il cielo notturno con aria malinconica. La punta della sua spada è appoggiata per terra e l’impugnatura è vicino al suo volto.
Accenno un sorriso. La malinconia che emana quel ragazzo la conosco bene.
Sì, perché è la mia stessa malinconia. Ho davanti il me stesso di un futuro più avanti di cinque anni rispetto a questo mondo.
Una situazione surreale, ma piacevole.
«Ehi» mi dice, senza voltarsi.
«Ehi» rispondo, mentre vado a sedermi a un paio di metri da lui.
Restiamo per un po’ in silenzio, a guardare le stelle.
È una situazione imbarazzante, me ne rendo conto. Ma se lui è come me, immagino che non sia una persona di troppe parole. Ci vorrebbe la mamma in una situazione del genere per intavolare una conversazione, lei ha sempre la frase giusta da dire per mettere tutti a proprio agio.
 
«Come sta la mamma?» mi chiede all’improvviso, fissandomi con i suoi occhi fieri.
«Bene, l’hai vista anche tu, no? Sono stati anni di pace questi, dopo i fatti dei Cyborg qui abbiamo dovuto solo affrontare Darbula e Babidi due settimane fa. Ma ce l’abbiamo fatta…in qualche modo» gli dico, mordendomi il labbro al pensiero di quello che era successo a Mai in quell’occasione a causa della mia debolezza. «Ho messo in pericolo la vita di Mai quella volta, è una cosa che non riesco ad accettare. E inoltre ho avuto bisogno di Kaiohshin per riuscire a uccidere Darbula…come oggi è stato necessario il tuo intervento, del resto. Vorrei essere forte come te».
«Guarda che neanch’io mi sento abbastanza potente. Ho visto la mamma morire davanti ai miei occhi senza poter far nulla per salvarla, uccisa brutalmente dello stesso essere che ha poi causato la distruzione del mio mondo. Ho perso tutto. E ho perso tutti, tranne Mai per fortuna.
Se fossi stato più forte…avrei potuto salvare altre persone che credevano in me. Avrei potuto salvare la mamma.
Ho affrontato anch’io Darbula e Babidi cinque anni fa. E sai com’è andata? Ho vinto solo grazie al sacrificio di Kaiohshin e a quello di Kibith. E meno male che Mai non era presente sul campo di battaglia. Sono sopravvissuto solo io a quello scontro, non potendo neanche immaginare quello che sarebbe successo a causa di tutto ciò. Senza poter sapere che avrebbe condizionato addirittura il destino di questa linea temporale. Sì, perché io conosco bene l’entità che, dagli Inferi, ha inviato qui Darbula stamattina.
Devi sapere che esistono dodici Universi, tra cui il nostro, e che in ogni Universo ci sono un Kaiohshin e un’altra divinità a lui complementare ma molto più potente: un Dio della Distruzione. Queste due divinità sono legate dallo stesso destino però: se una di loro muore, succede lo stesso anche all’altra. Quindi, alla morte di Kaiohshin il nostro mondo era privo di protezione, e così, qualche anno dopo, una divinità malvagia proveniente da un altro Universo e addirittura da un’altra linea temporale ci ha attaccati. È stata una lunga e terribile guerra. La mamma si è sacrificata per permettermi di viaggiare nel tempo e chiedere l’aiuto di papà e di Goku. Anche Mai ha rischiato seriamente la vita per aiutarmi. È stato uno scontro durissimo, perché nel frattempo quel Kaiohshin malvagio si era alleato con il sé stesso della mia linea temporale che era riuscito a diventare immortale grazie alle Sfere del Drago e i due avevano ucciso tutte le divinità degli Universi. Ho combattuto con papà e Goku, ma alla fine per vincere abbiamo avuto bisogno dell’intervento della divinità suprema di tutti i dodici Universi. Il prezzo da pagare, però, è stata la distruzione della mia linea temporale e di tutte le persone che erano riuscite a sopravvivere fino a quel momento.
Non sono poi così migliore di te. Tu hai ancora Mai, la mamma e tutti gli altri. Anche Kaiohshin e Kibith li hai salvati, in qualche modo. E non conoscerai la follia di Zamasu, quella divinità malvagia di cui ti parlavo. Puoi guardare in faccia il futuro con serenità, davvero».
 
Il me stesso del futuro ha distolto lo sguardo durante il suo discorso. È stato un duro sfogo il suo, un terribile racconto. Credo che si senta molto in colpa e io stesso sono sconvolto nell’aver appreso tutto quello che ha dovuto passare. Nell’aver scoperto che ha visto morire la mamma senza poter far nulla per impedirlo.
E lo ammiro, perché nonostante tutto ha trovato la forza di reagire.
Sì, vorrei diventare davvero come lui.
«Come se la passa papà?» gli chiedo, anche per provare a distoglierlo dai suoi tristi pensieri.
«Dovresti vederlo, va alla grande! Lui e Goku sono diventati fortissimi, ormai hanno raggiunto una tale evoluzione del Super Saiyan da essere al livello di una divinità. La chiamano Blue, questa trasformazione. Li ho visti addirittura fare la fusione da Super Saiyan Blue e credo che sia impossibile descrivere a parole il livello di energia che sprigionavano. È stato qualcosa di sublime! Una meraviglia…
E poi papà l’ho trovato cambiato rispetto all’ultima volta. Era più…umano, diciamo. Pur restando sempre il fiero e valoroso guerriero che conoscevo gli ho visto negli occhi e nei gesti una sensibilità che non credevo potesse avere. Penso che abbia imparato a combattere per proteggere gli altri, non solo per superare i propri limiti. Credo che si sia affezionato anche a Mai tra l’altro: si è raccomandato di proteggerla sempre prima che partissimo» mi risponde, accennando un sorriso.
 
«È fantastico! E invece, Gohan?» domando, sempre più curioso.
«Lui è completamente diverso da quello che era stato il nostro maestro. Pensa che è addirittura diventato padre di una bimba e vive felice con lei e sua moglie adesso! Fa il professore universitario ormai, non può più competere neanche lontanamente coi livelli di combattimento raggiunti da papà e Goku.
Certo che la forza di loro due è mostruosa…altro che la mia. Cercare di raggiungere il loro livello sarà il mio obiettivo da adesso in poi» mi dice, fissandomi serio.
«Allora diventeremo forti insieme» esclamo, sorridendo.
«Ma…sei sicuro che ti vada bene se io e Mai restiamo qui?» mi chiede titubante.
«Io sono solo contento se resti qui…ultimamente sentivo il bisogno di avere l’aiuto di qualcuno per sostenere il peso di questo mondo che da sempre grava sulle mie spalle. Immagino che tu sappia bene cosa intendo. Ultimamente mi sento inadeguato al ruolo di eroe che gli altri mi hanno cucito addosso. Inizio a faticare a dover indossare ogni giorno una maschera e ad essere quello che la gente vuole che io sia. È da tempo che le responsabilità che sento di avere verso tutti mi stanno distruggendo da dentro, senza che nessuno lo possa immaginare. O senza che nessuno voglia chiedersi davvero come sto…dato che da fuori mostro sempre la mia faccia migliore. La mia maschera più luccicante.
E devi sapere che aver visto Mai mettere in pericolo la propria vita per salvarmi due settimane fa mi ha fatto crollare definitivamente. Mi ha fatto anche allontanare da lei. Non eravamo una coppia, ma ci siamo sempre stati l’uno per l’altra. Ma ultimamente l’ho fatta soffrire, ho commesso un errore dietro l’altro.
Sono contento che tu sia arrivato, perché sento il bisogno di avere qualcuno su cui poter contare. La gente mi vede come un Batman, ma io in questo momento mi sento più un Robin. Ora darò tutto me stesso per cercare di arrivare al tuo livello» affermo con decisione.
 
«Ti ho visto combattere oggi e quello che hai fatto per proteggere Mai è stato meraviglioso, non semplicemente eroico. Non devi sentirti in colpa per quello che è successo due settimane fa: le nostre Mai sono ragazze in gamba, più forti di me e te messi insieme sotto tanti punti di vista. Sono speciali.
Hanno coraggio da vendere, vivono la guerra in prima linea. Con il fucile in una mano e il cuore nell’altra. Pronte a gettarsi oltre ogni ostacolo. Sono ragazze che chi ha la fortuna di incontrare deve essere capace di tenersi stretto.
Io ho sofferto tanto nella mia vita, ho creduto di non farcela più di una volta…ma in quei momenti trovavo Mai al mio fianco, pronta a sostenermi, a dare l’esempio col suo atteggiamento. Si è caricata anche lei il peso del nostro mondo sulle spalle e siamo andati avanti, insieme, trovando la forza di scrivere il nostro destino. A un certo punto della mia vita ho capito che dovevo dire addio a quelle brutte sensazioni che mi facevano soffrire da sempre, metterle in un angolo della mia anima. Ho provato a dire addio a quel senso di insoddisfazione perenne che mi dava solo malessere. Ho reagito, guardato avanti.
E, soprattutto, ho capito che dovevo tenermi stretto Mai.
Io posso aiutarti a diventare più forte. Posso anche aiutarti a sostenere il peso di questo mondo, anche perché ti assicuro che è terribile il non poter avere più qualcosa da proteggere. Ma per il resto devi pensarci tu. Sei tu che devi trovare dentro te stesso la forza di arrivare alla felicità. Di guardare in faccia il destino con la capacità di poterlo scrivere come vuoi tu, come se fosse una storia scritta da te e non solo vissuta per decisione di qualcun altro. Io ce l’ho fatta, grazie a una persona speciale come Mai. Sono sicuro che ce la farai anche tu».
 
Dopo aver detto queste parole, Trunks rientra in casa e mi lascia lì solo, a riflettere.
Mi rendo conto che è arrivato il momento in cui devo essere disposto a giocarmi tutto se voglio provare a far saltare il banco.
Devo smetterla di comportarmi da codardo se voglio raggiungere quel traguardo che sogno da una vita.
Devo riuscire a dire addio.
Da oggi voglio smettere di accettare passivamente tutto, voglio gettare quella maschera.
Non mi devo accontentare, la vita non lo immagina quanto ancora c’è da dare…
E quanto devo dare a me.
Sì, devo riuscire a dire addio a tutto ciò che ho sempre odiato.
E devo andare a prendermi ciò che mi fa stare bene.
Devo conquistarmelo…
E io so chi mi fa stare bene.
 
Nel frattempo si è fatto tardi, decido di tornare in camera mia.
Finalmente ho le idee chiare però, come forse mai era successo prima. Sono lucido e più tranquillo, mi sento più forte.
Mi è anche sembrato di rivedere una serenità che quasi non ricordavo più negli occhi della persona che mi fa stare bene, l’unica in grado di farlo davvero.
Ho rivisto la luce negli occhi neri di Mai. Quella luce che mi ha aperto le porte del Paradiso fin dalla prima volta che l’ho vista.
Ho deciso, sono pronto.
Sarò antiquato, ma voglio scrivere una lettera. Voglio scrivere di me, perché a parlarne sono meno bravo.
Ho deciso che Mai deve sapere quello che provo.
Non posso perdere altro tempo.
 
Guardo la luna piena e respiro profondamente, come a cercare la forza e al contempo l’ispirazione per esprimere come vorrei i miei pensieri.
Penso a Mai ovviamente, ma anche alle dee lunari.
Coraggiosa e affascinante come Artemide, la luna crescente.
Sensuale e inebriante come Selene, la luna piena.
Penso anche a tutt’altro però: provo a immaginare quello che abbia provato Armstrong quando, primo uomo della storia, ha appoggiato il suo piede sul suolo lunare. Questi pensieri possono sembrare strani al giorno d’oggi, in un periodo in cui non solo possiamo viaggiare facilmente nello spazio, ma addirittura possiamo farlo nel tempo.
Però, anche se sono passati tantissimi anni e la scienza ha fatto passi da gigante…beh, credo che l’emozione che abbia provato quell’astronauta in quel preciso istante sia qualcosa che l’evoluzione tecnologica non potrà mai raggiungere.
Una distanza che non potrà mai essere colmata tra sentimento e ragione.
Come ti sei sentito, caro Armstrong, mentre muovevi quel tuo primo passo su un altro pianeta?
Cosa provavi? Quanto sentivi pieno il tuo cuore? E la tua anima?
Un uomo potrà mai provare quello che hai vissuto tu, per primo, in quell’istante?
Si potrà mai sentire più in alto di te, anche solo di un metro?
Come se tu avessi potuto fare quel tuo primo passo anche solo un metro più in alto di quanto già non fossi…
Non avresti forse “goduto” ancora di più se ti fossi trovato anche solo un metro più in alto, caro Armstrong?
Io desidero solo che Mai capisca quello che provo per lei, perché mi risulta difficile esprimerlo a parole.
Quando sto con lei credo di sentire quello che avrebbe provato Armstrong se avesse potuto fare quel suo primo passo ancora più in alto.
Un passo tra le stelle.
Un salto nell’infinito.
 
Ora mi sento davvero pronto, Mai.
Prendo un foglio e una biro.
Inizio a scrivere, cercando di fare in modo che non mi tremi troppo la mano per l’emozione:
 
Scusa, se non sono un poeta,
se ho tanto da imparare prima di poter scrivere di te.
Scusa, se mi hai visto piangere,
se mi hai visto perdere, se a volte non c’era niente da ridere.
I sogni non sono opinioni,
il cuore non sente ragioni…
Tu lo sai meglio di me,
sai l’effetto che fa!
 
Ti ho detto: "Scusami, ci conosciamo?" 
Tu hai detto:  "Scusa, stai dicendo a me?" 
E adesso… 
Guarda, amore, cosa siamo: 
il primo passo di Armstrong 
ma un metro più in alto… 
Di tutte le cose che ho fatto, 
la migliore siamo io e te! 
Adesso, 

Il mondo intero sta guardando 
Il primo passo di Armstrong 
ma un metro più in alto…

 
Scusa, se non so farmi grande come le montagne,
per proteggerti da tutto e tutti, e anche da me…
Scusa, se tutto il mio coraggio sparisce in un abbraccio,
ma non so fare finta quando sei davanti a me…
E adesso, scusami se sono sveglio,
ma forse la notte fa pensare meglio.
L’amore scomoda i pianeti e le galassie,
quando basterebbe solo dirti: «Grazie!»
 
Quando basterebbe dirti semplicemente che
ti proteggerò dal mondo, dalle sue brutture,
e sarò sempre al tuo fianco nelle tue paure.
Starò attento quando parlerai, e ancora più attento se non parlerai:
imparerò ad ascoltarti senza che tu debba per forza parlarmi, saprò anticiparti.
Farò del mio meglio, ma se il mio meglio non bastasse farò di più, farò molto di più.
 
Quindi, Mai, conta su di me.
C’è un solo cuore dove posso stare,
un solo posto dove ritornare…
Perché solo tu sai accendermi nell’anima.
Perché noi siamo il primo passo di Armstrong,
ma un metro più in alto!
 
Piego il foglio e lo infilo in una busta.
Guardo ancora una volta la luna. Respiro a pieni polmoni il suo chiarore per darmi forza, per vincere le mie insicurezze.  Mi chiedo se davvero Mai si aspetti questo da me…se non mi abbia sempre visto semplicemente come un amico.
Mi dico, ad alta voce: «Magari un giorno poi…poi me ne pentirò. Ma ne valeva la pena rischiare tutto, o no?»
«Ci vuole un gran coraggio ad essere felici…» aggiungo, sospirando.

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Capitolo 10
*** Armstrong (seconda parte) ***


10 – Armstrong  (seconda parte)
 
 
«Vai!»
Provo a infondermi coraggio, stringendo forte la lettera nella mia mano sinistra. La lettera in cui ho messo tutto me stesso, in cui ho gettato via la maschera che indosso sempre e da sempre. La maschera dell’eroe senza paura.
Chiudo in un pugno la mia mano destra e me la batto sul petto, sul cuore, per darmi la carica. Esco dalla mia stanza e cammino nel corridoio buio fino a quella di Mai.
Vedo filtrare la luce da sotto la porta. Bene, è ancora sveglia.
Sollevo la mano, pronto a bussare, quando inizio a essere assalito dai dubbi.
Se mi dovesse respingere? E se mi reputasse uno sdolcinato da quattro soldi?
Io sono un guerriero, forse non dovrei dire o scrivere certe cose! Probabilmente una ragazza coraggiosa come Mai non vorrebbe neanche che il suo ragazzo ideale le pensasse, queste cose!
Sto facendo pensieri privi di senso e logica, me ne rendo conto…ma capisco anche di aver paura ad aprirmi in un modo simile.
Voglio tornare in camera mia, ho deciso!
Mi giro di scatto e urto  goffamente un mobiletto del corridoio. Prendo al volo un vaso, lasciando cadere a terra la lettera.
 
Alle mie spalle compare un fascio di luce. «Cosa stai facendo Trunks?!» esclama perplessa Mai dalla soglia della sua stanza aperta.
Devo essere ridicolo in questa situazione, con un vaso in mano e al buio, a tarda sera! Vorrei sprofondare. «Ah, no, niente! Avevo…d- dimenticato una cosa, ma devo averla lasciata in giardino!» balbetto mentre mi allontano.
Ma perché, le ho detto che stavo andando in giardino? Sono proprio un imbranato.
E così mi ritrovo all’aperto sul pianerottolo di casa, senza neanche averne voglia. Meno male che alla fine non le ho consegnato la lettera…un attimo, ma dov’è la lettera?! Cerco disperatamente nelle tasche e mi guardo intorno, ma non c’è traccia. Poi, un flash: il mobiletto, il vaso, la lettera che cade, Mai che mi trova lì e io che scappo come un coniglio impaurito.
 
L’avrà trovata, la starà leggendo di sicuro. Guardo la finestra della camera di Mai, la luce è sempre accesa. Mi siedo sul primo gradino della scalinata che conduce al giardino e resto lì, inebetito, con le mani tra i capelli. Vorrei sparire, credo di non essere mai stato così imbarazzato in vita mia.
Sollevo ancora lo sguardo, stavolta verso la luna. Penso a quello che ho scritto, rifletto sul fatto che vorrei andarmene lì in questo momento, proprio come aveva fatto Armstrong, per fuggire dalle conseguenze del mio gesto. Sorrido tra me e me, dandomi dello stupido.
Osservo affascinato le stelle e penso che, in fondo, una stella per splendere ha bisogno di bruciare.
Credo che se voglio essere davvero felice qualche rischio devo essere disposto a prendermelo, pur correndo il pericolo di scottarmi.
Ammetto che una parte di me continua assurdamente a sperare che Mai non abbia trovato la lettera o magari la reputi uno scherzo.
 
Non saprei quanto tempo possa essere passato, se minuti o ore. Resto seduto a guardare gli astri celesti cercando di non pensare a nulla. Mi concentro sul mio respiro, mi sto tranquillizzando.
In quel momento si apre la porta di casa  e sento dei passi veloci, leggeri, alle mie spalle. Qualcuno mi abbraccia da dietro, stringendomi il petto e appoggiando la testa tra la mia nuca e la spalla. Riconoscerei a occhi chiusi questo profumo.
Il profumo di Mai.
Sento nitidamente i battiti del suo cuore contro la mia schiena, all’altezza del mio, di cuore. Ha un battito profondo, regolare, rilassante. È tranquilla. Questo mi fa stare bene e mi calma, almeno un po’. Cerco di regolare il mio battito per metterlo in sincronia con il suo, ma dopo poco sono costretto a rinunciare. Mi sembra infatti di avere un batterista di un gruppo punk nel petto!
 
Restiamo così, in silenzio, per attimi o forse secoli. So solo che sto bene, sto davvero bene con lei vicina. Il suo contatto, il suo profumo: in fondo, vorrei che questo momento durasse per sempre.
«Ehi» mi sussurra Mai a un certo punto.
Sento il soffio caldo del suo respiro e il suono dolcissimo della sua voce accarezzarmi il collo e l’orecchio. Sento Mai parte di me. È un sensazione stupenda e mi rende ancora più imbranato di quello che già ritengo di essere.
«Ehi» le rispondo.
Non so cosa dire, sono a disagio. Aggiungo: «Hai visto com’è bella la luna stasera?».
«Davvero, è stupenda. Non l’ho mai vista brillare così» mi risponde.
 
Dopo qualche secondo di silenzio, in cui cerco di concentrarmi ancora sul battito del suo cuore, Mai dice sottovoce: «Ho avuto paura oggi, lo sai?».
«Immagino, deve essere stato orribile ritrovarsi ancora trasformati in una statua, dover rivivere l’incubo di due settimane fa. So che hai sofferto a causa di quel mostro, non avrei mai voluto che succedesse di nuovo la stessa cosa!» le rispondo.
«Ma no, stupido, non hai capito!» esclama Mai, per poi aggiungere direttamente nel mio orecchio: «Ho avuto paura di perderti…».
Ho un sobbalzo.
«Non dovevi buttarti in quel modo e nelle condizioni in cui eri contro quella sfera infuocata per farmi da scudo! Ho creduto che fossi morto, pensavo di impazzire imprigionata com’ero in quello stato. Stavo male all’idea di non poterti soccorrere!» continua.
Mentre pronuncia queste parole, sposta il suo braccio destro dal mio petto e mi colpisce timidamente con un pugno sulla spalla. Fa scivolare la testa dietro la mia e la sento appoggiare la fronte sotto il mio collo, all’altezza delle scapole. Capisco che sta piangendo. I suoi singhiozzi mi stringono il cuore in una morsa e mi seccano la gola. Vorrei piangere anch’io, ma sento che devo essere forte. Una lacrima mi riga una guancia ma non lo do a vedere.
 
Mi rendo conto che devo gettare via la maschera e parlare apertamente se voglio che Mai si fidi davvero di me:
«Anch’io ho avuto paura di perderti. Non ho esitato neanche un attimo e lo rifarei ancora. In quella frazione di secondo ho semplicemente realizzato che ero pronto a dare la vita per proteggere la tua. Non potevo permettermi che ti succedesse qualcosa.
Se devo essere sincero, è da due settimane che ho paura. Paura che tu un giorno potessi decidere di cambiare vita, di andartene. Quello che è successo nella prima battaglia con Darbula ti ha spaventato e io non sono stato capace di evitarlo! Non riesco a darmi pace per questo! Se Kaiohshin non avesse bloccato quel demone credo che non sarei stato in grado di distruggerlo e farti tornare normale!
Ti ho sentita distante in questo periodo, mi sembravi diversa. Non ho voluto raccontarti i miei problemi perché non volevo vederti soffrire ancora e mi sentivo in colpa. Sono stato un incapace, sia nei tuoi confronti che in quelli di tutta la gente che conta su di me.
Tutti si aspettano da me qualcosa, tutti pensano che qualunque problema possa presentarsi, io sarò in grado di risolverlo. Solo perché ho questi poteri…ma a volte temo di non essere abbastanza forte da reggere il mondo sulle mie spalle. A volte temo di non poter essere come Atlante. Mi sento schiacciato da queste responsabilità che gravano su di me da quando ho ricordi.
Non poterne parlare con te e l’idea che te ne potessi andare mi ha devastato interiormente.
Rendermi conto che anche tu stavi soffrendo e non riuscire a far niente per aiutarti ha peggiorato tutto. Sono felice sia arrivato l’altro Trunks dal futuro, che abbia distrutto quel mostro e portato a termine lui la missione…io la mia l’avevo compiuta: la mia missione era quella di proteggerti!».
 
Pronuncio queste parole senza mai riprendere fiato, mi sento più leggero ora. Capisco che Mai ha smesso di piangere. È tornata a cingermi il petto con entrambe le braccia.
«Non devi più pensare a una cosa del genere, io non me ne andrò mai, hai capito!? Qualunque cosa accada!» mi risponde con decisione.
Per poi aggiungere: «Questa vita ci ha scelti, io e te siamo stati più forti del destino che era stato scritto per noi. Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? C’erano ancora i Cyborg, eravamo adolescenti. E ti ricordi cosa mi avevi promesso allora?»
«Certo, ti avevo promesso la felicità. Io ero convinto che desiderassi la pace ma tu sapevi che prima o poi io sarei stato capace di distruggere quegli androidi. Ti eri resa conto che in una vita come la nostra il vero lusso sarebbe stato la felicità» le rispondo.
«E infatti, come avevo previsto, hai riportato la pace e l’hai anche garantita altre volte. Come pensi che avrebbe fatto Kaiohshin da solo contro Darbula l’altra volta?! Non sono una guerriera, ma ho capito subito che eri tu l’unico in grado di distruggerlo. E oggi!? Quanta gente avrebbe ammazzato, oltre a me, quel mostro senza il tuo intervento?!
Qui tutti hanno fiducia in te, non devi dimostrare niente a nessuno! E per quanto mi riguarda, mi fiderò sempre di te: hai saputo mantenere la tua promessa di quel giorno, mi hai reso felice. Anzi, hai regalato a tutti la felicità!
Ti chiedo scusa per queste due settimane in cui mi sono chiusa in me stessa, ma quest’ultima battaglia mi ha fatto aprire gli occhi. Essere tornata una statua, aver affrontato i miei demoni interiori, aver temuto che tu fossi stato ucciso per salvarmi. Ho capito che nessun mostro dentro la nostra testa fa paura come la vita vera».
 
Resto in silenzio, le sue parole mi hanno toccato.
Finché sussurro: «Grazie. Di tutto. Per esserci e per esserci sempre stata».
Lei mi risponde facendo le fusa delicatamente con la sua testa tra la mia spalla e il collo, come se fosse una gatta. È così tenera…capisco che è felice, sento anche un brivido provenire dal collo. Che mi abbia dato un bacio? Non ci giurerei, ma sarebbe un sogno. Mi piace il contatto con lei.
Mi piace lei.
 
Torno a guardare la luna piena. Così luminosa, così affascinante. Così rassicurante.
Improvvisamente Mai si sposta e me la ritrovo davanti. Mi prende le mani e mi fa segno di alzarmi. Obbedisco, come ipnotizzato.
La guardo. Il chiaro di luna la rende così sensuale e bella che ne resto ammaliato.
 
Si avvicina e appoggia la fronte alla mia, sempre tenendomi le mani. Abbasso lo sguardo.
«Mi hai scritto delle cose stupende in quella lettera, lo sai?», mi dice interrompendo i miei pensieri.
Già,  la lettera! Mi imbarazza molto quella dedica e inizio a balbettare parole senza senso: «Eh, sì, beh, vedi…i-io…n-non è che…».
«Ti amo» mi interrompe. «Ti ho sempre amato».
 
Una sorta di elettroshock mi attraversa il corpo, sento improvvisamente andare in ordine tutti pezzi che si erano rotti dentro di me. Un enorme puzzle che magicamente si ricompone.
Capisco di aver trovato l’ultimo frammento che mancava alla mia anima.
Mi rendo conto di non aver più il cuore spezzato a metà.
 
Alzo lo sguardo, voglio guardarla negli occhi. Godermi il momento che aspetto da una vita.
Sì, Mai, perché è una vita che ti aspetto.
«Anch’io ti amo da sempre» affermo con decisione. «E da oggi lo farò un po’ di più».
 
Vedo gli occhi di Mai brillare, come attraversati da una fiamma. È una frazione di secondo, prima di sentire la sua bocca sulla mia. Mi sta baciando. La sto baciando. Mi sembra un sogno.
La morbidezza delle sue labbra, la dolcezza del suo sapore, il suo profumo…mi sento inebriato, appagato, così vulnerabile e invincibile allo stesso tempo.
Un bacio lungo, intenso, che mi fa palpitare come mai mi era successo prima.
Anche la sua lingua è bramosa, non ero l’unico ad aspettare da tempo questo momento.
Il momento della svolta. Il giorno che arriva e ti cambia la prospettiva. La risposta a tutte le domande.
 
Ci fermiamo per un istante, ci guardiamo negli occhi e poi ci fissiamo reciprocamente le bocche. Per baciarci ancora. Ancora. E ancora.
Non saprei dire quanto. So solo che c’è da recuperare tanto tempo perso. Troppo. Ma per fortuna non è mai troppo tardi per vivere certi momenti. Per vivere certi sentimenti.
 
Credo che io non sarei in grado di staccarmi. Così è Mai a un certo punto a fare un passo indietro, tenendomi sempre le mani.
Sento di essere già dipendente da lei, di esserne assuefatto. Vuole dirmi qualcosa:
«Se davvero siamo destinati a portare il mondo sulle spalle, lo faremo insieme da adesso in poi.
Non sarai più solo. Io ci sarò sempre.
In due, si può lottare come dei giganti contro ogni dolore».
 
La guardo. La luna alle sue spalle la rende simile a una dea.
Sei straordinaria come magia, per me.
Vorrei farti mia, adesso.
Una volta e per sempre.
 
Le rispondo col cuore in mano:
«Grazie, non puoi capire quanto tu sia sempre stata importante per me.
L’unico vero appiglio che mi ha impedito di sprofondare nell’abisso in certi momenti.
Sei la ragione che mi ha sempre spinto a non mollare mai, a reagire, a credere che ci potesse essere un futuro diverso. Che si potesse essere felici.
Tu hai l’anima che io vorrei avere».
 
La guardo ancora negli occhi. Le cingo i fianchi con le mani, la attiro a me con decisione.
La stringo un po’ più forte mentre dico dolcemente, sottovoce:
«Teniamoci stretti stanotte, come nessuno ha mai fatto».
 
 

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Capitolo 11
*** Hakaishin ***


11 – Hakaishin
 
 
«Yawnnn…»
Mi stiracchio, mentre mi rigiro nel letto sbadigliando.
Cos’è tutto questo baccano? Un Dio della Distruzione non può neanche più riposare in pace?
Già negli ultimi tempi sono stato parecchio disturbato da diverse aure molto potenti che percepivo nel sonno e che non facevano altro che infastidirmi. E che, oltre tutto, disturbavano il mio sogno premonitore.
Un sogno in cui un guerriero misterioso di cui non ricordo il nome voleva combattere contro di me e mi permetteva di divertirmi, finalmente, dopo secoli passati senza trovare un degno avversario.
Ma che cos’è tutto questo vociare fastidioso?!
«Whis!» grido, aprendo lentamente gli occhi.
«Oh, ben svegliato, Lord Beerus!»
«Qualunque cosa sia a fare rumore, falla smettere che ho sonno!»
«State dormendo da trentanove anni, lo sapete? Oh, oh, oh!»
Cosa avrà mai da ridere quell’Angelo…vorrei proprio saperlo! Se dico che ho sonno è perché voglio dormire!
«Ancora cinque minuti, Whis…» ribatto, girandomi dall’altra parte e sistemandomi la coperta fino alle spalle.
«Va bene, vorrà dire che mangerò da solo questo cibo delizioso che ci hanno portato i nostri ospiti!»
«Eh! Cibo!» esclamo, gettandomi giù dal letto. «Ho fame!»
«Oh, oh, oh, Lord Beerus, siete sempre il solito!»
Osservo Whis ridere allegramente portandosi una mano davanti alla bocca.
Ma, sbaglio o aveva parlato di ospiti?
Mi giro alla mia destra e vedo una faccia nota sguazzare nel suo solito bicchiere pieno d’acqua.
«Ehi, Pesce Oracolo, dopo mangiato devo chiederti una cosa» gli dico.
«Certo, e ben risvegliato Lord Beerus!» mi risponde.
Mi volto dall’altra parte e quasi mi viene un colpo.
«E tu chi saresti!? Con quella faccia che ti ritrovi sei quasi riuscito a far spaventare l’Hakaishin più potente dei dodici Universi!» affermo con tono sprezzante rivolto verso quell’essere dalla faccia rossa e dai lunghi capelli bianchi.
«Ma…come si permette! Io…»
«Basta, basta, Kibith…lo sai che Lord Beerus ama scherzare!» interviene Kaiohshin, interrompendo quell’orribile personaggio vestito come lui.
Già, ma cosa ci fa qui Kaiohshin?
«Cosa sei venuto a fare sul mio pianeta? E chi è quello?» gli domando, guardandolo male per aver disturbato il mio sonno.
«Ah, ma lui è il mio discepolo, il Signor Kibith! Non se lo ricorda?» mi risponde.
«Una faccia così brutta me la sarei dovuta ricordare, in effetti…» ribatto ghignando.
«Suvvia, non siate scortese Divino Beerus! Oh, oh, oh!» interviene Whis.
«Tsk, faccio quello che mi pare…»
«Comunque, arriviamo da un piccolo pianeta chiamato Terra per parlarvi di una questione importante…» comincia Kaiohshin.
«Sì, sì, dopo mi spieghi…Whis, devo raccontarti uno strano sogno che ho fatto in cui c’era un guerriero che mi sfidava!» lo interrompo, per rivolgermi al mio Angelo.
«Va bene, allora vorrà dire che non mangeremo il cibo squisito che ci hanno portato i nostri ospiti!» mi risponde ridacchiando.
«No! Voglio mangiare adesso, ho fame!» ribatto, digrignando i denti.
Mi stanno facendo arrabbiare…non mi fanno parlare, vengono a svegliarmi sul mio pianeta e perdono tempo invece che farmi mangiare in pace!
Maledetti!
 
Ci sediamo a tavola e mi viene subito versata nel piatto una strana brodaglia fumante piena di cose strane.
«Cos’è questa roba?! Mi auguro per voi e per quel pianetucolo che avete nominato prima che sia squisito!» esclamo, irritato da quello che mi trovo davanti. «Altrimenti giuro che vado a distruggerlo subito!»
«Si chiama Ramen, Lord Beerus. Lo assaggi, vedrà che non resterà deluso!» mi risponde Kaiohshin, sorridendo timidamente.
Ok, spero che non mi facciano arrabbiare ancora, dato che sto morendo di fame.
Prendo le bacchette e assaggio un boccone…
Una calda esplosione di sapori fa saltare in aria le mie papille gustative e dilatare i miei occhi.
Ma quanto è buona questa roba!
«Whis, altro Canem!» ordino, in preda all’euforia.
«Oh, oh, oh! Calmatevi Signore! E poi si chiama Ramen!»
Ma chi se ne frega di come si chiama, ho solo bisogno di riempirmi la pancia!
E comunque, un giorno dovrò proprio andare a visitare questo pianeta su cui si mangiano pietanze così buone…
 
Dopo essermi rimpinzato, mi sento anche maggiormente in grado di ragionare.
Decido di svaccarmi comodamente sulla sedia, facendo passare un braccio dietro alla schienale.
Già, ma cosa è venuto a fare qui Kaiohshin?
«Ehi, di cosa volevi parlarmi? Spero non ti sia cacciato nei guai…lo sai che ci tengo alla tua vita, dato che non voglio farmi ammazzare a causa tua!» esclamo improvvisamente, guardando con la coda dell’occhio la mia controparte divina pacifica.
«Vede, sono successe un po’ di cose ultimamente…il nostro Universo 7 è stato minacciato per ben due volte nelle ultime settimane, ma la pace è stata garantita da due ragazzi di origine Saiyan che vivono sulla Terra. Questi due Saiyan, tra l’altro sarebbero anche la stessa persona in realtà, perché uno di loro arriva dal futuro…Whis è già al corrente di tutto…» mi risponde Kaiohshin.
Eh?! Minacce all’Universo 7? Viaggi nel tempo? Saiyan?! Non mi è nuova questa parola…non riesco a ricordare dove l’ho già sentita…
«Sì, Lord Beerus…abbiamo dovuto affrontare una doppia grave minaccia mentre voi dormivate!» interviene Whis. «Io ero stato avvisato di tutto in anticipo dal me stesso arrivato dal passato, che ha viaggiato nel tempo apposta per spiegarci quello che sarebbe successo nella nostra linea temporale. È una lunga storia, ma lui sapeva già cosa sarebbe accaduto perché ha potuto vedere il futuro. Ho dato io il permesso a quel guerriero Saiyan del futuro di venire a vivere qui insieme alla sua ragazza. Loro sono gli unici sopravvissuti del loro mondo, che è stato distrutto».
«Ci sono troppi viaggi nel tempo in questa storia, Whis! Tsk! Ma l’avrò distrutto io nel futuro quel mondo, immagino!» ribatto in tono sprezzante.
«No, signore. È stato il Sommo Zen’Oh a farlo, ponendo fine al folle piano dell’attuale aspirante Kaiohshin dell’Universo 10, che nel futuro ha ucciso il suo maestro Gowasu ed è venuto ad attaccare il nostro Universo».
«Perché è venuto proprio da noi? E non potevo ammazzarlo io? Mi sarebbe bastato schioccare le dita per distruggerlo…»
«Ehm…Lord Beerus…lui è venuto nel nostro Universo perché…come dire…voi non c’eravate. Perché io ero appena stato ucciso in battaglia insieme al Signor Kibith per impedire il risveglio di Majin Bu, l’essere che aveva ucciso il mio maestro, il Grande Kaiohshin. Alla fine, quel giovane Saiyan di cui parlavamo prima è riuscito a sventare la minaccia, ma noi non siamo sopravvissuti…» mi dice timidamente Kaiohshin, grattandosi la nuca con la mano, visibilmente imbarazzato.
«Che cosa hai fatti tu!» urlo, alzandomi di scatto e rovesciando la tavola ancora piena di piatti e bicchieri. «Ti sei fatto ammazzare come un idiota e hai provocato anche la mia morte?!»
Sono furibondo. Mi verrebbe voglia di caricare nella mia mano una sfera di pura energia Hakai e di scagliarla addosso a quell’incapace. Se solo ciò non significasse anche sancire la mia morte…
«Oh, oh, oh! Non preoccupatevi Lord Beerus! Nella nostra linea temporale sono intervenuto io per fare in modo che Trunks salvasse Kaiohshin poco prima che venisse ucciso durante la battaglia per impedire il risveglio di Majin Bu! Il me stesso del passato mi aveva spiegato tutto! Oh, oh, oh!» mi spiega Whis, ridendo.
«Tu! Razza di incapace! Stavi per farmi ammazzare anche in questa linea temporale allora!» sbraito ringhiando rivolto verso la mia controparte divina pacifica.
«M-mi dispiace…» balbetta Kaiohshin. «Ma l’importante è che siamo riusciti a mantenere la pace…anche nella seconda battaglia…»
«Cosa! Tu hai rischiato una seconda volta la pelle! La mia pelle, soprattutto!» urlo a squarciagola, ormai fuori di me.
Questo razza di idiota mi farà diventare pazzo un giorno, già lo so.
«Oh, oh, oh! Non preoccupatevi! Stavolta gli ho impedito di combattere perché sapevo che stava arrivando il Saiyan del futuro ad aiutare il sé stesso di questa linea temporale! L’attacco è stato orchestrato dagli Inferi ancora una volta da quel Kaiohshin dell’Universo 10 che ha creato grossi problemi nel futuro. Ma quei due ragazzi sono riusciti a sconfiggerlo di nuovo» mi spiega Whis.
 
«Quindi, fatemi capire: questo Kaiohshin dell’Universo 10 che ha creato problemi nel futuro ora si trova negli Inferi, giusto? Ma la sua controparte della nostra linea temporale è ancora viva?» esclamo, piuttosto irritato.
«Esattamente» mi risponde Kaiohshin.
«Esattamente un corno! Cosa stai aspettando, che venga a farti fuori ammazzando così anche me?!» sbraito, furibondo.
«M-ma veramente, per ora non ha creato nessun problema…potrebbe essere anche una persona diversa rispetto alla sua controparte futura!» ribatte timidamente Kaiohshin.
«Whis, io voglio distruggerlo per non correre inutili rischi! Ho ragione, vero?!» domando, sempre più infuriato.
«Oh, oh, oh, Lord Beerus! Siete sempre molto diretto! Ma credo che sia più corretto parlarne prima con Gowasu, che è il suo maestro nonché il Kaiohshin dell’Universo 10. E magari persino con il loro Hakaishin, Lord Rumsshi, e mia sorella, Lady Cus, visto che la cosa li riguarda da vicino».
«Tsk! Tu sei sempre così corretto…io vorrei solo risolvere il problema alla radice!» commento acidamente.
«Non credo sia giusto uccidere una persona che fino a questo momento si è comportata bene, potremmo limitarci a tenerlo d’occhio, non credete? E, soprattutto, dovremmo spiegare a Gowasu la situazione. Nel futuro è stato ucciso dal suo allievo, ma probabilmente in quel caso è stato colto di sorpresa. Abbiamo il dovere di ascoltare anche il suo parere prima di procedere!» mi risponde il mio Angelo guida.
«Allora andiamo sul pianeta dei Kaiohshin dell’Universo 10. Subito!» impongo, stizzito.
 
Ci teletrasportiamo all’istante e ci ritroviamo su un pianeta dalla natura rigogliosa. Un posto dall’aspetto curato e pacifico.
Bleah, che posto squallido! Molto meglio il mio, di pianeta!
«Divino Beerus, Grande Whis! Che sorpresa, benvenuti! E ci siete anche voi, Grande Kaiohshin dell’Universo 7 e Signor Kibith! Quanto tempo!»
Una voce saggia e gentile ci accoglie e mi distoglie dai miei pensieri. La voce dell’anziano Kaiohshin dell’Universo 10, che ci guarda sorridendo e ci invita a raggiungerlo.
«È molto che non ci vediamo, Grande Kaiohshin dell’Universo 10!» afferma Whis.
«Sono lieto di trovarla in forma, Grande Kaiohshin!» dice Kaiohshin.
«Chiamatemi Gowasu, come una volta! Fisicamente sto bene, ma ho una certa età. Credo che a breve andrò in pensione!»
«Ah, giusto! Oggi siamo venuti per incontrare il suo discepolo» ribatte Whis.
«Il mio discepolo? Parlate di Zamasu?»
Zamasu…che nome ridicolo. Mi viene voglia di distruggerlo solo per questo!
«È qui?» intervengo, fissando il vecchio con sguardo truce. «Ci permetta di fare la sua conoscenza, dopo che Whis e Kaiohshin l’avranno messa al corrente di quanto accaduto nel futuro».
 
Guardo Gowasu, dopo che è stato a messo a conoscenza di tutti gli avvenimenti accaduti. È allibito, fissa il vuoto. Sembra essere invecchiato dopo aver appreso queste notizie.
«L-la prego, Divino Beerus…non lo uccida. Le assicuro che Zamasu è una brava persona!» mi implora Gowasu.
«Tsk! Ma l’ha capito o no che l’ha ammazzata in ben due linee temporali diverse?! E che ha anche distrutto tutte le altre divinità?! Io voglio solo risolvere il problema! Adesso! Senza aspettare di dover morire!» sbraito, ormai furibondo.
Improvvisamente Gowasu si prostra ai nostri piedi, lasciandomi totalmente spiazzato.
«M-ma cosa sta facendo Grande Gowasu?! Si alzi!» esclama Kaiohshin, visibilmente a disagio.
«N-non è il caso! Non deve abbassarsi a tanto per colpa di un assassino!» aggiunge Kibith, anche lui imbarazzato.
«Oh, oh, oh! Deve perdonare Lord Beerus, a volte è fin troppo brusco nei modi! Ma si alzi adesso, lei è una divinità!» afferma Whis.
«No! Ha ragione il Divino Beerus…ma…vi prego, date una possibilità a Zamasu! Io lo conosco bene…anni fa ha avuto un momento di crisi in cui si è posto delle domande sugli esseri viventi e in cui il suo cuore ha rischiato di perdere la giusta serenità. Ma abbiamo superato quel periodo. L’abbiamo superato insieme! Ora vive nella giustizia, nella corretta accezione di giustizia…lo vedo dai suoi occhi, lo scorgo dal tè che prepara!» dice Gowasu, con la faccia appoggiata al prato, mentre stringe forte dei fili d’erba con le sue mani.
«Tsk! E va bene, ce lo faccia conoscere…e si alzi, lei è la massima divinità del suo Universo insieme a Lord Rumsshi!» ribatto, fingendomi piccato, anche se in realtà mi ha fatto un certo effetto vedere un vecchio e saggio Kaiohshin come Gowasu ridotto in quello stato.
«G-grazie! Grazie di cuore! Vi assicuro che andrà tutto bene! E vi giuro che informerò della situazione anche Lord Rumsshi e Lady Cus!» risponde Gowasu, rialzandosi e guardandoci con gli occhi lucidi e colmi di gratitudine.
Deve amare proprio quel bastardo del suo discepolo.  Mi sembra di vedere un padre che parla del proprio figlio.
 
Varchiamo un grande cancello e ci avviciniamo in silenzio all’abitazione di Gowasu, quando finalmente lo scorgo. Sì, deve essere lui. Portamento fiero, pelle verde e cresta bianca. Indossa i tipici abiti dei Kaiohshin e sta spingendo un carrellino su cui sono appoggiate delle tazze da tè.
«Oh, eccoti Zamasu! Ci sono ospiti!» esclama Gowasu, mentre il suo discepolo si avvicina a noi e si inchina in segno di rispetto. «Il Divino Beerus, Dio della Distruzione dell’Universo 7, e il suo Angelo guida , il Grande Whis. Con loro c’è anche il mio collega Kaiohshin dell’Universo 7 e il suo discepolo, il Signor Kibith».
«Piacere di conoscervi. Il mio nome è Zamasu» afferma la causa di tutti i disastri avvenuti nel futuro, mentre risolleva lentamente il volto per guardarci.
Lo fisso in malo modo, ma nei suoi occhi non leggo intenzioni malvagie. Nella sua aura non percepisco oscurità.
Che avesse ragione Gowasu?
Davvero lo Zamasu di questa linea temporale può avere una personalità diversa da quella che ha avuto in altri mondi?
Mi volto in cerca di conferma verso Whis, che annuisce lentamente sorridendo. Anche lui ha avuto le mie stesse sensazioni.
Guardo Kaiohshin. Anche lui mi fa un cenno d’intesa.
Sono perplesso…vorrei ucciderlo subito, ma anche un Dio della Distruzione deve seguire i principi di giustizia che regolano gli Universi.
Devo saperne di più, devo capire se sarei davvero nel giusto ad ammazzare una persona innocente fino a prova contraria.
«Zamasu, perché non prepari il tè per i nostri ospiti?» interviene Gowasu. «E non dimenticarti i biscotti, se ricordo bene Lord Beerus amava molto questa specialità del nostro Universo 10».
«Tsk! Vuole comprarmi col cibo?!» ringhio a denti stretti e a bassa voce rivolto verso Whis.
«Oh, oh, oh! State tranquillo e godetevi i biscotti! Io non avverto nessuna minaccia qui!» mi risponde bisbigliando.
Incrocio le braccia sul petto e mi giro dall’altra parte borbottando, fingendomi offeso. Ma in realtà lo so che ha ragione il mio Angelo guida. Anch’io non avverto nessun pericolo nell’aria.
E, in fondo, ha ragione anche il vecchio Gowasu: quei biscotti sono tremendamente buoni!
 
«Grande Kaiohshin, potrà constatare lei stesso se ho detto la verità o meno sul mio allievo non appena vedrà il tè che ci porterà. Come saprà già benissimo, solo chi ha un cuore puro può riuscire a preparare un tè perfettamente limpido» afferma solenne Gowasu, non appena Zamasu entra in casa.
«Certo, Grande Gowasu. Per ora non ho percepito malvagità nella sua aura» risponde Kaiohshin.
«Nemmeno io!» interviene Whis sorridendo. «Piuttosto non vedo l’ora di assaggiare qualche biscotto! E sono sicuro che non stia più nella pelle anche Lord Beerus!»
Maledetto Angelo, certo che voglio quei biscotti!
«In effetti li mangerei volentieri. Ha ottima memoria, Gowasu» borbotto girandomi dall’altra parte e andandomi a sedere a tavola.
 
Poco dopo vediamo arrivare Zamasu con il carrello carico di tazzine e di biscotti.
Ci serve molto accuratamente e molto gentilmente, mentre io continuo a fissarlo per cercare di coglierlo in fallo.
Per provare a percepire qualcosa di negativo in lui.
Ma questo aspirante Kaiohshin emana solo purezza, anche davanti ai miei sviluppatissimi sensi divini.
Osservo il tè nella mia tazza mentre inizio a ingozzarmi di quei buonissimi biscotti che tanto bramavo. In effetti mi sembra limpido, ma in questo campo non sono io il vero esperto.
Guardo Kaiohshin e lui mi sorride, prima di iniziare a sorseggiare il suo tè scambiandosi un cenno d’intesa con Gowasu.
Anche Whis sorride, mentre mangia un biscotto dietro l’altro.
Persino sulla brutta faccia di Kibith leggo più distensione in questo momento.
«Hai preparato un perfetto tè, Zamasu» interviene Gowasu. «Ottimo lavoro, sono fiero di te».
«Grazie maestro» risponde il giovane discepolo inchinandosi leggermente.
«Ora che i nostri ospiti hanno potuto constatare di persona la purezza del tuo cuore, è giusto che tu sappia perché sono venuti a farci visita oggi» riprende Gowasu.
 
«M-mi dispiace immensamente per tutti i problemi che ho causato nelle altre linee temporali!» esclama disperato Zamasu inchinandosi nuovamente davanti a tutti noi, dopo aver appreso dal proprio maestro tutto quello che era successo fino a quel momento.
«Non è colpa tua, Zamasu. Alza la testa adesso» afferma con solennità Gowasu. «Non sei stato tu a sterminare tutte quelle divinità e quelle persone, ma sono state due tue controparti provenienti da altri mondi che sono arrivate addirittura a fare la fusione tra loro coi Potara».
«M-maestro, io…io l’ho uccisa…ben due volte!?» domanda Zamasu, con gli occhi lucidi.
«Tu non hai fatto niente, figliolo. Quello che conta è che ora, in questo mondo, tu abbia un cuore puro e che il tuo animo sia sereno e votato alla corretta forma di giustizia» risponde Gowasu. «E sono sicuro che la pensano così anche i nostri ospiti».
Guardo i miei compagni di viaggio, che sorridono e annuiscono rivolti verso Zamasu.
Poi gli occhi di tutti si posano su di me.
Incrocio le braccia al petto e mi volto dall’altra parte.
«E va bene, a quanto pare non dovrò distruggerti adesso. Ma sappi che se farai una sola mossa sbagliata - una sola -  verrò qui a fartela pagare, chiaro?!» esclamo, piuttosto irritato dalla situazione.
«Grazie Divino Beerus! Lei è davvero clemente e mosso da un forte senso di giustizia. In passato ho attraversato un momento di crisi spirituale, ma grazie all’aiuto del mio maestro ne sono uscito più forte. Ora il mio cuore è puro e il mio animo è sereno, glielo giuro!» mi risponde Zamasu, inchinandosi in segno di rispetto.
Va bene, ragazzo. Ti credo. Ma vedi di non farmi arrabbiare, chiaro?!
E vedi di finirla con queste moine.
Mi fanno venire la nausea.
 
«Avete detto che lo Zamasu che ha provocato la distruzione dell’altra linea temporale si trova negli Inferi adesso, giusto?» domanda improvvisamente Gowasu.
«Sì, è da lì che ha appena orchestrato il suo nuovo attacco sfruttando la collaborazione di Darbula, il re del mondo demoniaco. Ma, per fortuna, ha perso di nuovo» risponde Kaiohshin.
«Bene, vorrei andare a fargli visita. E credo che sarebbe utile se venissi anche tu, Zamasu» riprende Gowasu.
«M-ma, Grande Gowasu, io non credo che sia una buona idea, con tutto il rispetto…» balbetta Kaiohshin.
«Per me è una cosa senza senso! Avrebbe dovuto scegliere meglio il proprio allievo nel futuro. Ora pensi a questo Zamasu e veda di non commettere errori! E lasci perdere quell’altro, ha avuto quello che si meritava! Tsk!» sbraito, al colmo dell’ira.
Possibile che quel vecchio Kaiohshin non abbia altro a cui pensare che a quel pazzo che ha causato la mia morte nel futuro?! Avrebbe potuto addestrarlo meglio in quella linea temporale, ormai il danno è stato fatto! Maledetto, mi sale una rabbia se ci penso!
«Oh, oh, oh! Suvvia Lord Beerus, non siate così scortese col Grande Gowasu! In fondo è un suo diritto poter rivedere il suo allievo, oltre al fatto che immagino che si senta già abbastanza in colpa per tutto quello che è successo. E magari potrebbe essere un’esperienza formativa anche per questo Zamasu, per mostrargli che fine si può fare quando la malvagità, la brama e l’intolleranza prendono possesso del nostro cuore!» esclama Whis.
Maledetto Angelo, sempre a contraddirmi. E sempre con argomenti convincenti, tra l’altro.
«La ringrazio Signor Whis, è proprio quello a cui stavo pensando. E le chiedo umilmente perdono per tutta questa faccenda, Divino Beerus» dice Gowasu, inchinandosi davanti a noi.
«E va bene, la smetta adesso! Verremo anche noi però negli Inferi!» rispondo piccato.
 
Grazie a Whis ci trasferiamo tutti rapidamente negli Inferi. Zamasu resta silenzioso e in disparte, mentre continuo a squadrarlo sospettoso.
Ci ritroviamo in un ambiente desolante, brullo e pieno di rocce acuminate. Un lago rosso sangue attira la mia attenzione in mezzo a tutta quella desolazione, mentre alcune anime dannate ci passano accanto senza badare a noi.
Poi, in un angolo, lo vedo.
Sì, deve essere lui. Lo Zamasu assassino.
Quel bastardo.
Seduto, lontano da tutti, con una tazza da tè in mano.
Il suo sguardo è vuoto.
Non appena si accorge di noi, la tazza gli sfugge dalle mani andando in frantumi.
Osservo Gowasu e mi sembra che abbia gli occhi lucidi. Maledetto vecchio sentimentale.
Guardo lo Zamasu della mia linea temporale in fondo al nostro gruppo. Mi sembra scosso, deve avergli fatto male vedere un sé stesso di un altro mondo in questo luogo. E sarà meglio che si ricordi bene questo posto e di come deve comportarsi se vuole evitare di finire qui per mano mia.
Ci avviciniamo solennemente, guidati da Gowasu.
«Stia attento, potrebbe attaccarla!» sussurra Kaiohshin rivolto al suo collega dell’Universo 10.
Mi chiedo cosa penserebbe Lord Rumsshi di tutta questa situazione comunque…forse lui mi capirebbe essendo un Hakaishin! Solo a me sembra una stupida perdita di tempo, oltre che un rischio inutile?
«M-maestro…» balbetta con un filo di voce lo Zamasu defunto.
«Zamasu, perché hai fatto tutto questo? Tu saresti potuto diventare un grande Kaiohshin» afferma Gowasu.
«Io…ho cercato di seguire il mio ideale di giustizia…ma…avevo davvero ragione?» domanda il fetido essere che ha causato la mia morte nel futuro.
«Sono sicuro che il tuo cuore conosce già la risposta».
«M-maestro…io…».
«Prendi la mia mano, Zamasu!» esclama Gowasu, con gli occhi lucidi, tendendo una mano a quell’anima dannata.
«M-ma io…l’ho già uccisa due volte in altri mondi…e ho ammazzato così tanti esseri mortali inermi che non potrei ricordarmene neanche se lo volessi…perché mi porge la mano? I-io non credo di meritarlo…» ribatte Zamasu, visibilmente scosso.
«Ti ricordi la prima volta in cui hai stretto la mia mano? Ti ricordi com’era puro il tuo cuore quando eri il Kaioh del Nord dell’universo 10? Hai commesso degli errori, ma non è ancora troppo tardi per cambiare. Non è mai troppo tardi per diventare delle persone migliori» riprende Gowasu. «Coraggio, prendi la mia mano. Come quel giorno».
«M-maestro…io…m-mi…dispiace…» sussurra Zamasu cercando di trattenere le lacrime, mentre stringe la mano del suo vecchio mentore.
Guardo Gowasu.
Sorride, mentre abbraccia colui che l’aveva ucciso due volte in altre linee temporali.
Una scena piuttosto patetica dal mio punto di vista. Anche se devo ammettere che Gowasu ha avuto ragione a voler venire qui.
Mi volgo verso lo Zamasu del nostro presente. Ha gli occhi lucidi, resta in disparte. Mi sembra piuttosto sofferente per la situazione.
«Zamasu, vieni qui!» esclama Gowasu, chiamando il suo attuale allievo, che muove qualche passo in avanti verso di lui obbedendo.
«Sei ancora vivo, per fortuna…almeno tu…» gli dice lo Zamasu dannato sorridendo debolmente. «Ascolta sempre il tuo maestro, non commettere i miei stessi errori…».
«C-certo…» risponde lo Zamasu attuale.
Troppi Zamasu, troppo tempo perso per niente. Inizio a ricordare qualcosa a proposito del mio sogno premonitore e ad essere insofferente.
E, in più, la visione di quel bastardo che ora fa il pentito mi irrita.
«Non preoccuparti, il tè che prepara lui è ancora limpido e puro come quello che sapevi fare tu una volta, quando il tuo cuore era sereno. Sono certo che prima o poi riuscirai a prepararlo di nuovo così» riprende Gowasu.
«Bene, direi che possiamo andare a questo punto!» esclamo spazientito. «Whis, torniamo a casa!».
«Ora dobbiamo andare, Zamasu. Ma non dimenticartelo: non è ancora troppo tardi per diventare una persona migliore!» esclama Gowasu, sorridendo.
«Sì, maestro!» risponde Zamasu, mentre scompariamo dalla sua vista per tornare ognuno sui rispettivi pianeti.
 
Finalmente a casa. Finalmente posso smetterla di pensare a questa storia.
Ora mi sono ricordato alcune cose importanti e ho qualche bella idea per la testa per divertirmi un po’.
«Whis! Pesce Oracolo, devo parlarvi di un sogno premonitore che ho fatto e di cui mi sono appena tornati alla mente dei dettagli!» esclamo impaziente.
«Oh, oh, oh! Mi sembrate particolarmente su di giri Divino Beerus!» ribatte il mio Angelo.
«Sarà un piacere poterle essere utile!» aggiunge il Pesce.
«Ho sognato un guerriero fortissimo che mi sfidava e mi costringeva ad impegnarmi sul serio. Ho voglia di combattere una battaglia come si deve, ho il diritto di divertirmi anch’io con un avversario che sia almeno un po’ alla mia altezza. Prima si è parlato del pianeta Terra e di quel Saiyan arrivato dal futuro che vive lì, giusto?»
«Sì, Lord Beerus. Si tratta di quel pianeta su cui sembra che ci siano tantissime pietanze squisite. E inoltre è lì che vive Trunks, quel ragazzo Saiyan, insieme al sé stesso della nostra linea temporale» risponde Whis.
«Molto, molto bene. Non vedo l’ora di assaggiare tante cose buone da mangiare…se dovessi trovarmi bene potrei anche decidere di non distruggere mai quel pianeta!» esclamo eccitato.
Anche se non è solo il cibo a farmi bramare un viaggio sulla Terra. Penso a quel Trunks e ripenso a quel sogno premonitore che mi ha tanto colpito grazie alla presenza di quel guerriero misterioso di cui finalmente ricordo il nome.
Ghigno, sento già il potere della Distruzione scorrermi nelle vene come non succedeva ormai da secoli.
«Whis, Pesce Oracolo: avete mai sentito parlare di un guerriero chiamato Super Saiyan God?»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: non ho mai scritto note al termine dei vari capitoli di questa long che ha segnato il mio esordio su EFP ma mi sembrava doveroso farlo adesso, in occasione di questo final chapter.
Ho voluto lasciare un finale aperto e che si ricollegasse direttamente con l’inizio di Dragon Ball Super, solo con Mirai Trunks al posto di Goku nel sogno premonitore di Beerus.
Ovviamente è chiaro che Beerus andrà sulla Terra e che Trunks riuscirà a diventare Super Saiyan God in qualche modo…ci sarebbero tanti modi per far proseguire questa mia long, ma in questo momento credo sia giusto interromperla, almeno momentaneamente, come se si sia concluso un arco narrativo.
Il mio obiettivo era dare una continuazione alla saga di Mirai Trunks di Super, spero abbiate apprezzato il tentativo e che vi sia piaciuta l’idea su cui ho basato la trama.
In ogni caso in futuro non escludo che si possa ripartire da qui o con un “New World 2”…anche in tal senso vorrei tanto sentire la vostra opinione!
 
Questa è stata la mia prima long e in generale i primi capitoli sono stati i miei primi scritti in un mondo nuovo come era per me quello delle fan fic fino a tre mesi fa. Nel frattempo ho pubblicato tante altre cose, ma questa storia avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.
Quindi vorrei davvero ringraziare tutti voi che avete letto, commentato, preferito, ricordato e seguito questa storia. Vi sarò sempre grato, perché non avrei mai pensato di avere un simile seguito e così tanto affetto da parte vostra quando ho pubblicato il primo capitolo!
Questa long la dedico a voi, che mi sopportate qui, e a chi mi sopporta nella vita fuori da questo sito.
In particolare ci tengo a ringraziare alcuni di voi che mi hanno sempre supportato e aiutato, una cosa che non dimenticherò perché non la davo certo per scontata non conoscendo minimamente le dinamiche del mondo delle fan fic!
Moriko, Corsaro Nero e CTE: un grazie enorme a voi, che siete stati al mio fianco dal giorno 1 in questa strada e che avete dimostrato subito di avere fiducia in me.
Misato, Nala e Shanley: siete state fantastiche perché avete recuperato l’intera serie in pochissimi giorni quando mi avete conosciuto. Siete delle bravissime autrici e anche per questo è stato un onore grandissimo per me ritrovarvi anche qui e sentire il vostro parere.
Tone e Fielda: voi avete una passione sfrenata per la coppia Trunks-Mai e il vostro entusiasmo dilagante è stato ossigeno puro per me per portare avanti questa storia al massimo delle mie possibilità. Tone, ti ho conosciuta solo durante i capitoli finali di questa long, ma mi ha fatto davvero tanto felice sapere che stavi leggendo fin dall’inizio questa storia e che aspettavi con impazienza i miei aggiornamenti.
Gabkiller e tutti voi che mi avete lasciato dei commenti o avete seguito la storia: grazie di cuore, siete stati la mia forza.
 
A questo punto sarei davvero curioso di sapere il parere anche di chi ha letto tutta questa storia ma che non mi ha mai lasciato un commento. Per me ogni consiglio è un’occasione unica per migliorare, quindi sarei davvero felice di scoprire cosa ne pensate di questa mia long!
C’è molto di me in questa storia, spero che vi sia piaciuta e che vi abbia divertito!
Grazie ancora a tutti voi, è stato un bellissimo viaggio!
Ci sentiamo prestissimo con altre storie!
Teo5Astor
 
 
 
 

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