Love will hold us together

di Jade Tisdale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** My model, my girl ***
Capitolo 2: *** That strange day at the beach ***
Capitolo 3: *** Pizza day ***
Capitolo 4: *** 'Cause our love is like a white rose ***
Capitolo 5: *** Our little Valentine ***
Capitolo 6: *** The first time we met ***
Capitolo 7: *** Mrs. Nyssa Lance ***
Capitolo 8: *** (Un)lucky girl ***



Capitolo 1
*** My model, my girl ***


#1 Prompt: Person A is an art student and Person B is the nude model for their class project.

 

My model, my girl

 

 

«Ah, capisco. No no, non c'è nessun problema. Grazie comunque.»
Sara chiuse la chiamata, abbandonando il cellulare sulla scrivania.
Sospirò, passandosi una mano sul viso, e depennò il nome Jared sulla lista che aveva scritto quella mattina.
Nyssa bussò lievemente alla porta già aperta, ma Sara non rispose in alcun modo. La mora le passò una tazza di caffè bollente, che l'altra accettò volentieri.
«Non ne posso più» sussurrò, mentre Nyssa incrociava le braccia.
«Non avete ancora trovato il modello per il vostro progetto di arte?»
Sara scosse la testa, affranta. «Io e Meredith abbiamo stilato una lista di persone potrebbero sostituire Paul, visto che ci ha dato buca all'ultimo minuto, ma stranamente sono tutti fuori città, o al lavoro, o in vacanza. Se non riusciamo a trovare un modello disponibile, saremo costretti ad abbandonare il progetto» sbuffò, prendendosi la testa fra le mani.
«Avete chiesto alla sorella di Meredith? Non è una modella?»
«Sì, ma si è rifiutata di posare nuda nonostante le sue misure rispettassero perfettamente i canoni che abbiamo stabilito. Il mio gruppo mi ha lasciato i nomi di amici e parenti che avrebbero potuto accettare, ma si sono rifiutati tutti. Non so più cosa fare.»
Nel vedere la sua amata così abbattuta, la mora provò un profondo dispiacere. Sapeva quanto Sara tenesse al corso di arte, perciò, le si strinse il cuore al pensiero che, il giorno seguente, la bionda avrebbe attraversato i corridoi del college con un'espressione triste stampata in viso -quella tremenda, dannata espressione triste che faceva rattristare anche lei.
Sara mandò giù un sorso di caffè, trattenendo a stento l'ennesimo sospiro. «Non importa. Ci inventeremo qualcosa.»
Nyssa annuì appena. Subito dopo, lasciò la stanza con un lieve sorriso a contornarle le labbra.




Sara attraversò l'atrio vuoto più in fretta che poté: era in ritardo.
Quella mattina la sveglia non era suonata, il tostapane si era fuso e, come ciliegina sulla torta, il pensiero di dover affrontare i suoi compagni di corso e la professoressa Smith per dirgli che non aveva trovato il modello per il loro progetto l'aveva quasi convinta a darsi malata.
Corse sulle scale salendo i gradini a due a due, e quando arrivò al secondo piano, di fianco alla sua classe, si appoggiò con la schiena al muro per riprendere fiato.
Subito dopo, Meredith, la sua compagnia di corso, uscì dall'aula e incontrò il suo sguardo.
«Ho sentito qualcuno arrivare. Ho immaginato fossi tu» si giustificò la ragazza, stringendo le mani di Sara tra le proprie. «Ti devo ringraziare, da parte di tutta la classe. Senza di te a quest'ora saremmo persi!» esclamò, saltellando allegramente sul posto.
La bionda corrugò la fronte, confusa. «Di che cosa stai parlando?»
«Parlo della tua ragazza. È strepitosa, e simpaticissima: la adorano tutti! È davvero-»
Ma, prima che Meredith potesse finire la frase, Sara si diresse a passo spedito all'interno dell'aula. Non appena la vide, il suo cuore perse un battito.
«Nyssa?» esclamò, stupita.
La diretta interessata si voltò nella sua direzione, delineando un sorriso. Si avvicinò a lei, lasciandole un bacio a fior di labbra. «Scusa se ti ho disattivato la sveglia, ma volevo farti una sorpresa.»
«Sei stata tu?» domandò Sara, inarcando un sopracciglio. «Non importa» proseguì, scuotendo appena il capo. «Quello che mi importa, è sapere che cosa ci fai qui.»
Nyssa si strinse nelle spalle, per poi fare una giravolta su sé stessa. «Non è ovvio?»
La bionda aprì un poco la bocca, ancora scioccata per quello che stava accadendo. «Tu non puoi» sussurrò «non devi... non devi farlo per forza.»
«Se non lo faccio, perderai l'occasione di sfruttare le tue incredibili doti artistiche. E io non voglio darti un dispiacere» disse, accarezzandole dolcemente la guancia destra. «E poi, non accadrà niente di male. Potreste scommettere su chi realizza il ritratto più bello. È così che si fa al college, no?»
Sara rise, scuotendo ancora una volta il capo, e nel mentre, la professoressa Smith li intimò di dare inizio alla lezione.
«È il mio momento» sospirò la mora, dirigendosi verso il centro della stanza. «Augurami buona fortuna» aggiunse, facendole l'occhiolino.
Non appena Nyssa si levò l'accappatoio, nella stanza calò il silenzio.
I presenti, insegnante compresa, si misero a disegnare con estrema serietà, felici di aver finalmente trovato il soggetto ideale per il loro progetto.
Alcuni, prima di cominciarono, ringraziarono nuovamente Sara e Nyssa per la disponibilità, e Timothy, uno dei tanti compagni di corso della bionda, si congratulò con lei per aver trovato una fidanzata così sexy, come lui la definì.
Davanti a quel complimento, Sara si nascose dietro alla propria tela, rossa in viso e con un sorriso imbarazzato -e al tempo stesso soddisfatto- a contornarle le labbra.
















Ci sono ben 7 mie long e raccolte in corso in tre fandom diversi, e logicamente, anziché concludere le altre, mi è venuta voglia di aggiungere la numero 8 alla lista. Lo so, sono un caso perso, ma qui ho trovato una serie di prompt fantastici che non potevo non condividere con voi >.<
And come al solito esordisco meravigliosamente con un titolo buttato lì perché ero/sono a corto di idee e con dei colori anch'essi casuali perché volevo cambiare un po' xD

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Capitolo 2
*** That strange day at the beach ***


#2 Prompt: Your OTP on a beach date. Person B runs into the water, beckoning A to follow. Person B then can’t stop laughing as A makes it ankle-deep into the water only to release various high pitched shrieks about how cold it is, dancing, splashing themselves in the process. 


That strange day at the beach

 

 

Le spiagge di Starling City erano affollate, come qualunque altro giorno d'estate. I bambini costruivano castelli di sabbia, i ragazzi giocavano a beach volley, mentre gli adulti facevano una passeggiata sul lungomare o si godevano il piacevole calore del sole.
Sara era distesa su un asciugamano di fianco a Nyssa: quest'ultima indossava gli occhiali da sole di Sara, il costume rosso di Sara -il suo preferito, oltretutto-, e si era spalmata la crema solare di Sara.
Era la prima volta che la figlia del Demonio passava un pomeriggio in spiaggia come una persona normale, per questo non si era mai preparata ad un'evenienza simile. E poi, la sua amata l'aveva obbligata a seguirla. Letteralmente. Perciò, non aveva avuto scelta.
Sara sbuffò all'improvviso: l'erede si tolse gli occhiali, dedicandole un'occhiata confusa.
«Che succede?»
«Mi annoio» disse la bionda, mettendosi a sedere. «Andiamo a fare un bagno.»
«Sinceramente, preferisco restare qui.»
«Non era una domanda» affermò l'altra, iniziando a correre verso l'oceano.
Nyssa, credendo di averla scampata, emise un sospiro di sollievo, ma subito dopo, Sara si voltò verso di lei e le fece un cenno con la mano, invitandola a seguirla.
Canary si tuffò nell'acqua e riemerse dopo qualche secondo, fradicia e sorridente. La mora la raggiunse senza fretta, ma quando iniziò a sentire sotto ai propri piedi la sabbia umida, si bloccò.
Non era mai stata in una spiaggia prima d'ora, fatta eccezione quando aveva salvato la sua amata su Lian Yu, ma di certo, non aveva trovato il tempo di fare un bagno.
Solo allora se ne rese conto: il mare la spaventava.
Era una cosa nuova, diversa, proibita. Suo padre non l'aveva mai portata in vacanza, e in quel momento, lei si sentiva come un bambino che mette piede per la prima volta nell'oceano.
La cosa che più la stupì, fu vedere Sara così contenta di essere lì: il mare l'aveva inghiottita più volte in passato, allontanandola da Oliver, dal Queen's Gambit e dall'Amazo, le sue uniche fonti di salvezza. Avrebbe dovuto esserne spaventata, e invece era felice.
Ma il mare, dopotutto, l'aveva sottratta alla morte.
L'aveva condotta da lei.
Nyssa inspirò profondamente, dopodiché, compì un ulteriore passo. L'acqua le arrivò fino alle caviglie, e a quel contatto, la figlia del Demonio non riuscì a trattenersi.
«È congelata!» esclamò, dando vita ad una serie di saltelli, strilli e imprecazioni che fecero scoppiare Sara a ridere. Ma Nyssa non le diede retta e continuò a guizzare da una parte all'altra, incurante degli sguardi dei bagnanti fissi su di sé.
La bionda continuò a ridere per un tempo indeterminato, fino a quando la pancia non iniziò a farle male e dovette trascinare Nyssa nell'acqua con forza pur di farla smettere.
Quest'ultima iniziò a tremare, cercando in ogni modo di liberarsi dalla stretta di Sara che la obbligava a restare in mare.
«Voglio uscire» balbettò, muovendo goffamente i fianchi.
Sara sorrise, per poi poggiare delicatamente le proprie labbra bagnate su quelle di Nyssa.
La mora, dopo un primo momento di esitazione, smise di tremare. Poco dopo assecondò quel bacio, spingendo dolcemente Sara verso il basso, fino a quando entrambe furono completamente immerse nell'acqua.

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Capitolo 3
*** Pizza day ***


#3 Prompt: Person B hearing orgasmic sounds of pleasure coming from Person A in the room nearby. Intrigued and turned on, B opportunely enters the room, finding Person A eating their favorite food.

 

Pizza day

 

 

Nyssa infilò la chiave nella serratura con forza, ma quando la ruotò, si stupì nel trovare la porta già aperta.
Quella mattina, quando si era svegliata, Sara aveva ammesso di sentirsi poco bene. Le era dispiaciuto lasciarla a casa da sola, ma già la settimana precedente si era data malata per accompagnare la moglie ad un controllo in ospedale, e sarebbe parso troppo strano se avesse nuovamente evitato di andare al lavoro.
Oltretutto, il suo capo -Daiana Baker, una giovane donna in carriera a dir poco sgradevole- abitava a pochi isolati da loro e non era particolarmente cortese nei confronti dei suoi dipendenti. Sarebbe stato un rischio enorme se si fosse presentata alla sua porta e avesse scoperto che Nyssa era completamente sana.
Però, Sara non la era. Ormai era al settimo mese di gravidanza e già da diversi giorni i dolori al ventre erano tornati. I dottori temevano che il bambino potesse nascere prematuramente, per questo Nyssa avrebbe preferito restarle accanto giorno e notte.
Non le importava niente dello stipendio, sarebbe stata tranquillamente a casa senza riceverlo per giorni, ma la sua superiore si lamentava per il poco personale, nonostante fosse stata lei stessa a licenziarne metà in quanto li riteneva incapaci.
Inutile rimuginarci sopra. D'altronde, il mese precedente un suo collega era scivolato dalle scale e Daiana si era rifiutata di mandarlo al pronto soccorso. Finito il suo turno, Nyssa aveva accompagnato il collega in ospedale, dove scoprirono che si era slogato la caviglia.
Più e più volte avrebbe voluto licenziarsi, ma Sara era già stata rimpiazzata dal negozio in cui lavorava perché era rimasta incinta -nemmeno i suoi capi erano molto gradevoli, considerato che le avevano detto chiaro e tondo che non sarebbero rimasti più di un anno senza una commessa stabile- e se anche Nyssa avesse abbandonato il suo posto, come avrebbero fatto a pagare l'affitto e a dare una vita al loro bambino?
La mora sospirò, passandosi una mano sulla fronte. I troppi pensieri le avevano fatto venire il mal di testa.
Attraversò l'atrio con un brutto presentimento: come mai Sara aveva lasciato la porta d'entrata aperta?
Cercò di scacciare via tutta la negatività. Magari era uscita a buttare la spazzatura e una volta rientrata si era semplicemente dimenticata di chiuderla a chiave. Era tipico di lei dimenticare le cose.
Abbandonò la valigetta vicino al divano, dopodiché chiamò Sara un paio di volte.
Non ricevendo alcuna risposta, iniziò ad allarmarsi. Corse nella loro camera, credendola svenuta, ma trovò il letto rifatto.
Merda.
Allora, immaginò che avesse vomitato di nuovo, così si diresse verso il bagno, ma, in quello stesso istante, un rumore attirò la sua attenzione.
Era strano. E famigliare.
Chiuse gli occhi per alcuni secondi nel tentativo di capire da dove provenisse.
La cucina.
Attraversò il corridoio in fretta e furia, ma quando capì di che rumore si trattasse, si bloccò sulla soglia.
Erano gemiti di piacere.
Mio Dio.
La mora spalancò appena le palpebre, sconvolta. Cosa diamine stava combinando?
Subito dopo, un altro gemito.
Nyssa deglutì. Le tremavano le gambe.
Un'innumerevole quantità di ipotesi le balenarono in testa, ma sperò con tutta sé stessa che non fosse vera nemmeno una.
C'era solo un modo per scoprirlo. Anche se era a disagio.
Prese un respiro profondo, dopodiché, aprì la porta in un attimo.
«Che cazzo stai-»
Sara si voltò nello stesso istante, con la bocca piena e un pezzo di pizza fumante tra le mani. «Uhm?»
Fu allora che Nyssa capì.
Quest'ultima avvampò di colpo, stringendo involontariamente le mani a pugno. «N-Niente, io...»
Sara si bloccò, assumendo un'espressione confusa. Ci mise un paio di secondi per comprendere cosa era passato per la testa di Nyssa.
«No... Ti prego, non dirmi che hai pensato male» disse la bionda, volgendo rapidamente lo sguardo dal cartone di pizza alla moglie. «Non dirmi che credevi davvero...»
«Erano suoni osceni, Sara» si giustificò l'altra, sospirando. «Ho pensato a qualunque cosa. E poi, c'era la porta aperta...»
«Avevo fame. Ho prenotato in una pizzeria d'asporto, e probabilmente ero così desiderosa di mangiare che mi sono scordata di chiuderla a chiave. Sai come sono fatta.»
La mora annuì lievemente, stringendosi nelle spalle.
Dopo il primo momento di shock, Sara si dimostrò impassibile, anche se, dentro di sé, moriva dalla voglia di scoppiare a ridere.
«Lo sai che mi esalto sempre quando mangio la pizza» continuò, mandando giù un altro boccone.
«Lo so» ammise Nyssa, «ma questi gemiti di piacere non li fai nemmeno quando siamo a letto. Avevo tutto il diritto di preoccuparmi.»
Sara sussultò appena. Colpita in pieno.

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Capitolo 4
*** 'Cause our love is like a white rose ***


#4 Prompt: Person B heartbroken, and going through a recently deceased Person A’s personal effects. They discover and decide to play a video made by A. Person B is eventually in tears as they watch Person A attempting to perfect a wedding proposal multiple times on the tape, stopping halfway through a sappy line or revising the phrasing to sound more suave. 

 

Cause our love is like a white rose

 

 

Sara Lance era morta da due giorni ormai.
Avrebbe dovuto passare una settimana a New York per un viaggio di lavoro, ma non è nemmeno riuscita a salire sull’aereo. La mattina della partenza, essendo in ritardo, aveva preso il primo taxi disponibile e, una volta giunta a destinazione, proprio mentre stava pagando il taxista prima di scendere dall’auto, un uomo ‒ ubriaco marcio ‒ sfondò a centoventi chilometri all’ora la portiera posteriore del taxi su cui si trovava.
Lei era morta sul colpo. Il taxista era in coma e se si fosse svegliato avrebbe sicuramente perso l’uso del braccio destro. C’erano stati tre feriti, tra i quali una bambina di otto anni che in quel momento stava attraversando le strisce pedonali insieme alla madre. E l’uomo che aveva segnato le loro vite per sempre, invece, non si era nemmeno fatto un graffio.
Sara aveva lasciato i genitori ‒ capitano della polizia il padre e professoressa universitaria la madre ‒, la sorella maggiore, Laurel Lance, noto avvocato di Star City, e la sua fidanzata, Nyssa Raatko.
Quest’ultima aveva saputo dell’incidente grazie al notiziario delle dieci, ma solo una mezz’ora dopo ‒ quando ormai aveva chiamato e richiamato Sara migliaia di volte sperando in una risposta che non ricevette mai, arrivando così al punto di giungere nel luogo dell’accaduto ‒ le arrivò la chiamata ufficiale da parte dell’ospedale.
«Ci dispiace molto, signora», aveva esordito una voce femminile piuttosto giovane, e quella frase era bastata per farle capire cos’era successo a Sara. «La sua ragazza è morta.»
Nyssa smise di ascoltarla in quel preciso istante. Capì solo qualcosa riguardo al fatto che l’infermiera, o dottoressa, o qualunque altra fosse la mansione della donna dall’altro capo del telefono, avesse già informato i genitori, e che Quentin, troppo scosso, le aveva chiesto di avvisarla.
La donna lasciò cadere a terra il telefono subito dopo, portandosi una mano davanti alla bocca e l’altra all’altezza dello stomaco.
Non poteva essere vero. Non poteva capitare a lei una cosa del genere. Era abituata a sentire persone che le raccontavano le proprie tragedie famigliari, ma mai si sarebbe immaginata che una cosa simile sarebbe potuta accadere a lei.
Poggiò la mano destra sopra al cofano di un’auto parcheggiata lì vicino, sorreggendosi per non cadere, e nel mentre scorse un’enorme macchia di sangue sull’asfalto vicino al taxi ‒ accuratamente circondato dal nastro della polizia e da una dozzina di agenti ‒ in cui Sara aveva perso la vita.
Non può essere il suo sangue, pensò, col cuore che batteva a mille. Era dentro l’auto. È morta dentro l’auto.
Sentì un conato salirle lungo la gola e nel giro di poco si piegò in due, vomitando quel poco che aveva messo sotto ai denti quella mattina.
Due uomini si avvicinarono chiedendole le stesse bene, la aiutarono a rimettersi in piedi e uno di loro si offrì di riaccompagnarla a casa, ma Nyssa rifiutò e andò di corsa ‒ letteralmente ‒ all’ospedale. Solo allora riuscì a comprendere ciò che era davvero accaduto.
Aveva perso la sua fidanzata. Per sempre.
La donna che aveva amato per quattro lunghi anni era morta, e lei non aveva potuto fare niente per salvarla.
Da quel momento in poi, sarebbe stata sola al mondo, e non aveva idea di come sarebbe riuscita ad andare avanti senza il sorriso di Sara ad illuminarle l’alba di ogni giornata.
L’amore della sua vita era morta a soli ventisette anni, mentre lei avrebbe vissuto per chissà ancora quanto, e ciò le fece provare un incolmabile senso di colpa.
Si sentiva uno schifo. Non sapeva che di lì a poco sarebbe stato anche peggio.




Due giorni dopo vi fu il funerale. Il cimitero si riempì ben presto di amici, parenti e colleghi di Sara, ognuno dei quali lasciò un mazzo di fiori ‒ le rose bianche, i suoi preferiti ‒ accanto alla sua lapide.
Nyssa, invece, se n’era rimasta in disparte durante tutta la funzione. Laurel aveva tentato di confortarla, ma era stato tutto inutile. Il suo mondo era finito nell’istante in cui Sara era morta, e da quel giorno in poi la sua vita non avrebbe più avuto senso.
La stessa Laurel l’aveva invitata a stare da lei in quei giorni, per cercare di superare il dolore insieme, ma ciò fu solo causa dell’ulteriore disagio di Nyssa.
Quando quest’ultima ritornò finalmente a casa, poco dopo la fine del funerale, il respiro le venne a mancare.
Davanti alla soglia c’erano la valigia e la borsa di Sara, che Quentin aveva riportato il giorno prima. Il suo cappotto preferito, quello che si era dimenticata prima di uscire di casa due giorni prima, era ancora appeso all’attaccapanni, e lì vicino c’erano le sue pantofole azzurre e l’ombrello a pois rosa che tanto adorava. Ma la cosa che fece andare fuori di testa Nyssa più di tutto, fu il fatto che l’aria fosse ancora impregnata del profumo di Sara.
D’istinto, la mora si affrettò ad aprire la valigia per assicurarsi che non ci fosse nulla di rotto, e lo stesso fece subito dopo con la borsa. La svuotò e tutto il suo contenuto cadde a terra, creando più rumore di quanto si sarebbe immaginata, ma fu lieta di scoprire che c’era ancora tutto ciò che apparteneva a Sara: il suo rossetto, i suoi guanti, il pacchetto di caramelle alla frutta che aveva preso dalla credenza prima di partire, il portafogli, gli occhiali da sole e il suo telefono ‒ che, stranamente, era ancora al ventidue per cento di batteria. Nyssa lo prese tra le mani e, nel farlo, un brivido le attraversò la schiena.
Osservò a lungo la cover che le aveva regalato il Natale precedente, con una loro foto che avevano scattato davanti allo specchio del bagno mentre si baciavano.
Si perse nell’osservare le loro labbra unite e i loro sguardi sereni per un tempo indecifrabile, fino a quando la vibrazione del cellulare non attirò la sua attenzione.
Sbloccò la schermata e, con grande sorpresa, vi trovò una notifica. Sorrise senza rendersene conto: Sara aveva sempre la testa per aria, per questo si appuntava spesso le cose che doveva fare in giornata sul telefonino, mettendo un punto interrogativo laddove non era sicura se avrebbe fatto o meno quella determinata cosa.
Nyssa lesse con attenzione la lista di cose che l’amata avrebbe dovuto fare una volta arrivata a New York: chiamare la mamma e dirle che il viaggio è andato bene, comprare a Laurel un souvenir degli Yankees, chiedere a Hank ‒ un suo collega ‒ di mandarmi via e-mail le foto della sua bimba appena nata?, avvisare il mio capo che sono arrivata, dire a Nyssa di guardare nel mio cassetto della biancheria?, inviare a Paul ‒ un lontano cugino ‒ un messaggio dicendogli che sono arrivata a NY e che lo passerò a trovare domani?.
Non appena lesse il proprio nome, il cuore di Nyssa perse un battito. Ritornò rapidamente al punto precedente, senza leggere il resto della nota, e rimase a fissare lo schermo del cellulare per diverso tempo chiedendosi di cosa si trattasse.
Che cosa c’era nel cassetto della biancheria di Sara? Era qualcosa di importante? Ma soprattutto, se così fosse stato, perché Sara aveva messo un punto interrogativo di fianco alla nota?
Un’emozione indecifrabile prese il sopravvento in Nyssa che, poco dopo, decise di scoprire cosa le avesse nascosto la ragazza. Raggiunse la camera da letto ‒ l’odore di Sara era ancora forte, così forte che iniziò a girarle la testa ‒ e aprì in fretta il cassetto, trovando, sopra ad una pila di reggiseni, un cd con su scritto x Nyssa con la grafia di Sara. Se lo rigirò tra le dita un paio di secondi prima di accendere il computer della defunta fidanzata ‒ non se lo sarebbero potute permettere, ma la bionda era stata costretta a comprarne uno per lavoro ‒, e ci vollero un’altra manciata di minuti prima che il viso di Sara occupasse tutto lo schermo.
Era un video. E stando alla data scritta in basso a destra, era stato girato la sera prima della morte di Sara, probabilmente poco prima che Nyssa tornasse a casa dal lavoro.
Quest’ultima esitò per un istante, chiedendosi se fosse un bene far partire quel video. Negli ultimi due giorni non era riuscita a chiudere occhio perché Sara era stata il suo unico pensiero, e aveva cercato in ogni modo di non pensare a lei pur di stare meglio. Se avesse ascoltato quella registrazione, la situazione sarebbe solo peggiorata. Inoltre, Sara le diceva sempre le cose importanti di persona: si limitava a scriverle dei bigliettini o ad inviarle dei messaggi solo quando si trattava di qualcosa che poteva aspettare. Ma, d’altronde, su quel dischetto c’era il suo nome, e a Nyssa la voce di Sara mancava tantissimo.
Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e, un istante dopo, come previsto, la voce dell’amata le entrò nella testa.
«Ciao», esordì, impacciata. Abbassò lo sguardo, fissando il vuoto per qualche secondo, cosa che faceva sempre quando esitava. «Se stai guardando questo video, significa che sono arrivata a New York e che ti ho chiamata.»
Nyssa percepì un immenso tuffo al cuore nell’udire quelle parole. Sara non aveva mai lasciato Star City, e ciò la fece sentire in colpa, perché non avrebbe mai dovuto guardare quel video. Essendoci il punto interrogativo davanti a quella nota, Nyssa avrebbe dovuto comportarsi onestamente e lasciare perdere, perché sarebbe dovuta essere la sua amata a scegliere se dirglielo o no.
Finiscila qui, le urlava la sua mente. Smettila ora. Ti stai solo facendo del male.
Ma il suo cuore non ne voleva sapere di starla a sentire.
«E ti chiedo scusa, perché ti devo dire una cosa veramente importante e avrei dovuto farlo prima di partire, ma non ne ho avuto il coraggio. Mi dispiace, davvero. So che non avrei dovuto farlo. Quando ci siamo messe insieme, ti ho fatto promettere che non avremmo mai utilizzato altri mezzi per dirci le cose che contano, e mi dispiace dover essere proprio io a infrangere quella promessa. Sappi solo che, quando ho registrato questo video, mi sono ripromessa che te ne avrei parlato una volta tornata a casa la settimana prossima, e che invece ti avrei detto del dischetto solamente se avessi capito che sarebbe stato impossibile per me parlartene di persona. Avevo promesso a me stessa che sarei stata forte, che avrei resistito fino al mio ritorno e che non mi sarei comportata da codarda. Ma, evidentemente, se stai guardando questo video significa che non ce l’ho fatta. Ci ho provato, ma questa cosa è davvero difficile da dire, per me.»
Prese un respiro profondo e subito dopo un enorme sorriso le contornò le labbra rosse e perfette. «Tu mi piaci, Nyssa. Mi sei sempre piaciuta. E mi è sempre piaciuto il modo in cui mi hai trattata fin dal primo istante. Mi piacciono i tuoi baci. Mi piace quando mi prepari i pancakes alla mattina, anche se in cucina sei negata e sono immangiabili. Mi piace quando ti basta uno sguardo per capirmi. Mi piace quando mi massaggi le spalle dopo una giornata dura. Mi piace il fatto che tu pianga insieme a me quando sono triste. Mi piacciono la tua tenacia e il modo in cui cerchi sempre di tirarmi su il morale quando sono triste con qualche tua battuta ‒ per la cronaca, ti ho sempre fatto credere che fossero squallide quando invece le adoro e mi trattengo sempre dallo scoppiare a ridere, ma sono sempre stata troppo orgogliosa per ammetterlo e adoro il fatto che, nonostante io ti abbia sempre detto che le detestavo, tu abbia continuato a raccontarle comunque. Mi piaci quando ridi, e quando ti spunta quella dolcissima ruga in mezzo alla fronte quando sei confusa, e mi piaci quando ti arrabbi per delle stupidaggini, come quando mi dimentico di cambiare il rotolo di carta igienica.»
Nyssa sorrise a sua volta, le guance rigate dalle lacrime. Nemmeno se n’era accorta di aver iniziato a piangere da quanto era presa dal discorso di Sara.
«Mi piace quando ti preoccupi per me e quando mi dai il bacio della buonanotte. Mi piace il profumo dei tuoi capelli, mi piace il modo strano in cui ti metti lo smalto, e mi piace quando fai progetti per il futuro. Mi piace il modo in cui mi guardi quando pulisco la casa e mi piace quando mi chiami Sarbear[1], anche se questo soprannome a dirla tutta mi fa schifo e tu lo sai, ma sai anche che, in fondo, mi piace che tu mi chiami in un modo tutto tuo.» Un altro sospiro, ma questa volta Nyssa poté scorgere negli occhi dell’amata un velo di malinconia. «Io… ti amo, Nyssa. Non te lo dico spesso, anzi, non te lo dico mai, e mi dispiace. Ma sto divagando, è che sai bene come sono fatta: quando ho qualcosa di importante da dire non vado mai dritta al punto, ma cerco sempre una scorciatoia per ritardare il momento adatto, perché ho sempre paura della tua reazione. Magari sai già dove voglio arrivare, perché tu sei mille volte più intelligente di me, e magari in questo momento starai sorridendo, o sarai in lacrime, oppure avrai già il telefono in mano pronta a farmi la ramanzina. Ma so anche che sarai felice di sentire le mie parole, perché è una cosa che aspettavi da tanto.»
La diretta interessata si pietrificò, e per un attimo il respiro le venne a mancare. Sara stava davvero… stava davvero facendo quello a cui pensava lei?
Si sentì grata e triste al tempo stesso, e non per il fatto che l’amata le stesse facendo una dichiarazione d’amore tramite una registrazione, quanto perché ora che era morta non avrebbero più avuto modo di parlarne.
I suoi pensieri tristi furono interrotti dalla soave, dolce e meravigliosa risata di Sara.
«Dio, sono proprio negata a fare queste cose. Tu sei molto meglio di me nel trovare le parole giuste.»
Nyssa si portò una mano all’altezza del cuore e non riuscì a resistere alla tentazione: mandò indietro la registrazione a pochi secondi prima, al momento in cui Sara era scoppiata a ridere fragorosamente. Riascoltò quei pochi istanti ancora e ancora, fino a quando lei stessa, consumata dalle risate e dalle lacrime, si ritrovò a singhiozzare in una maniera disperata. Il rumore dei suoi singhiozzi, però, non riuscì a coprire il suono della voce dell’amata, ancora chiara e luminosa, mentre proseguiva il suo discorso.
«Nyssa, io ti amo. Veramente. In un modo inimmaginabile. E starei qui a ripetertelo all’infinito se potessi, ma la vita mi ha insegnato che potremmo morire da un giorno all’altro. E io voglio vivere ora, con te. Per sempre. Voglio stare al tuo fianco fino alla fine dei miei giorni. Per questo mi sono decisa a farti la proposta: tu avresti voluto sposarti tanto tempo fa, ma io mi sono sempre rifiutata dicendoti che non ero pronta, che ero ancora insicura e che non sapevo cosa volevo farne della mia vita. Ma ora lo so, e mi dispiace non averlo capito prima.»
Sara prese tra le mani una scatolina blu scuro, e nel mentre, Nyssa lasciò scivolare il computer sul letto.
Era troppo per lei. Era troppo da sopportare in una volta sola.
Le lacrime iniziarono a cadere rapidamente sulle sue guancie, bagnando la tastiera, e, nel giro di poco, le si appannò la vista, ma ciò non le impedì di vedere cosa ci fosse all’interno del cofanetto che Sara aveva aperto davanti ai suoi occhi.
«Mi vuoi sposare?», chiese, con gli occhi lucidi. In una mano teneva l’anello e nell’altra una rosa bianca, che aveva probabilmente preso nell’istante in cui all’amata si era offuscata la vista. «Ricordi il nostro primo appuntamento?», proseguì poi, annusando il fiore. «Ti sei presentata con un mazzo di rose bianche, e quando ti ho chiesto perché le avessi scelte di quel colore, tu mi hai semplicemente risposto che ti ricordavano me. Da quel giorno, ho iniziato ad amarle, perché erano come diventate il segno del nostro amore.»
Nyssa strinse con forza le mani intorno allo schermo del pc, consapevole che avrebbe potuto romperlo da un momento all’altro. Tuttavia, accecata dal dolore, non riuscì a placare la voglia di mettere a soqquadro la stanza e di rompere tutto quanto. Ma sapeva anche che, se si fosse comportata in quel modo, se avesse perso la ragione, avrebbe distrutto tutti i ricordi della vita passata insieme a Sara, ed era una cosa che voleva evitare. Ora che lei era morta, voleva assolutamente essere circondata da ogni oggetto che le era appartenuto quando era ancora in vita. E poi, Sara aveva sempre detestato vederla arrabbiata, per questo avrebbe cercato di mantenere la calma. Lo avrebbe fatto per lei.
Si passò una mano sul viso, asciugandosi le guance umide, e tirò su col naso un paio di volte prima che Sara ricominciasse a parlare.
«Ora sicuramente mi starai chiamando per darmi una risposta, perciò…»
, sospirò, illuminando per l’ennesima volta lo schermo con il suo sorriso raggiante. «Ti lascio andare. Troverai tutto in terrazza. Un bacio, amore mio. A tra poco.» E subito dopo, quando Sara le schioccò un bacio con le dita, Nyssa si sentì morire.
Si accasciò a terra, sfinita, e questa volta il respiro le venne a mancare per davvero. Iniziò ad inspirare ed espirare velocemente, col cuore che minacciava di schizzarle fuori dal petto, e in un istante credette che sarebbe svenuta. Ci vollero alcuni minuti prima che si calmasse e si ricordasse delle ultime parole di Sara.
“Troverai tutto in terrazza.”
Prese un respiro profondo e, aiutandosi con la spalliera del letto, si alzò in piedi. Pochi secondi dopo trovò la scatola contenente l’anello sopra al tavolino di vetro nel terrazzo, e di fianco la rosa bianca ‒ che aveva già iniziato a seccarsi ‒ dentro a un vaso e un biglietto. La donna lo prese tra le mani con le gambe che le tremavano: quello sarebbe sicuramente stato il colpo di grazia che l’avrebbe fatta crollare.

Alla donna migliore che mi potesse capitare. Ti meriti questo e altro. Ti amo!
Per sempre tua,
Sara”

Che stupida che sei, pensò, con un lieve sorriso. Aveva lasciato incustoditi l’anello e la rosa all’aperto per chissà quanto: sarebbe bastata una folata di vento per rovinare tutto. Ma magari Sara aveva preparato tutto la mattina stessa della partenza, perciò aveva ipotizzato che dopo poche ore lo avrebbe detto a Nyssa.
«Non azzardarti a mettere piede nel terrazzo», le aveva detto quella mattina, sulla soglia di casa. «L’ho lavato stamattina. Aspetta qualche ora prima di uscire.»
«Ti sei messa a fare i lavori di casa prima della partenza?»
, aveva chiesto una Nyssa ancora mezza addormentata con un sorriso.
«Sai che quando sono agitata mi metto a pulire tutto. Non sono mai stata a New York, perciò sono eccitata e ansiosa al tempo stesso. Ora vado, altrimenti perdo l’aereo. Ci vediamo.» Detto questo, Sara aveva dato un bacio ‒ l’ultimo ‒ alla sua fidanzata, dopodiché era scomparsa per sempre dalla sua vita.
Col cuore al galoppo, Nyssa aprì la scatolina, osservò l’anello per un istante e se lo mise al dito. Era splendido e le stava d’incanto, anche se lei non poteva saperlo. Poi, riprese a osservare con attenzione il biglietto, e si accorse che di fianco alla firma dell’amata quest’ultima aveva lasciato il segno delle proprie labbra con un bacio. Nyssa se lo avvicinò al naso ed inspirò il profumo del rossetto alla ciliegia di Sara, e dopo poco si sentì nuovamente svenire. Abbandonò il biglietto sul tavolino, e subito dopo le venne l’idea migliore di sempre.




Arrivò al cimitero un quarto d’ora dopo, con le gambe doloranti e il respiro affannato. Si avvicinò alla tomba di Sara con la rosa tra le mani, e solo quando fu abbastanza vicina per arrivare a sfiorare con le dita l’incisione del suo nome ricominciò a piangere come non mai.
Osservò la rosa per l’ultima volta, inspirando a fondo il suo profumo quasi del tutto scomparso, per poi lasciarla cadere sul prato accanto agli altri innumerevoli mazzi di rose bianche.
Ma quella rosa era diversa. Era speciale. Perché era quella che Sara aveva comprato a Nyssa per farle la proposta di matrimonio. Perché era una delle ultime cose che Sara aveva tenuto fra le mani prima di morire. Perché era il segno del loro amore, che sarebbe per sempre rimasto nel cuore di Nyssa e nel ricordo indelebile che aveva di Sara.









[1] È un soprannome comune negli Stati Uniti per le ragazze che si chiamano Sara perché per loro chi ha questo nome è morbida, coccolona e dolce come un orso. Non fate domande, l’ho letto su internet ahahaha.






Premetto che ci ho messo un paio di giorni per scrivere questa storia e che è stata in assoluto una delle più difficili che abbia mai scritto.
Per l’incidente stradale di Sara ho preso spunto dal libro “Quando all’alba saremo vicini” di Kristin Harmel che ho finito ieri e che ho amato come non mai. Anche in quel caso Patrick, l’ex marito della protagonista, è morto su un taxi poiché una donna ubriaca ha sfondato la portiera posteriore dell’auto in cui si trovava. Per il resto le circostanze, le ambientazioni ecc. sono tutta farina del mio sacco.
Il fatto che le rose bianche siano il fiore preferito di Sara me lo sono inventata, mi è venuta l’idea mentre scrivevo la shot.
Invece, la frase: “Detto questo, Sara diede un bacio ‒ l’ultimo ‒ alla sua fidanzata, dopodiché scomparve per sempre dalla sua vita.” La parola “vita” sarebbe dovuta essere “vista”. All’inizio si trattava di un semplice errore di battitura, ma poi, rileggendo la storia, mi sono resa conto che mi piaceva di più così. È più d’impatto, secondo me.
Dovrei aver detto tutto! Ringrazio chiunque abbia letto :) xoxo

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Capitolo 5
*** Our little Valentine ***


#5 Prompt: Your OTP having to chaperone their child’s school valentine’s day party. The children are given a fun activity to write down “what they think love is” on a paper heart to pin on the wall. Your OTP decides take a peek at what their child wrote. Both can’t help but smile when they see “Love is… Person A and B.”

 

Our little Valentine

 

 

«Kim, sei pronta?»
«Sì, mammina!» esclamò la piccola, con un piccolo saltello sul posto. Subito dopo, però, fece una smorfia. «Devo fare pipì» mugugnò, guardandosi le punte delle scarpe rosa e verdi nuove di zecca che le aveva regalato lo zio Oliver.
Sara sospirò, voltandosi verso la figlia: «Va’, sbrigati. E dì alla mamma di darsi una mossa e di uscire da quel bagno che siamo in ritardo.»
In tutta risposta la bimba annuì, dopodiché iniziò a correre a tutta velocità lungo il corridoio. Sara riprese a passarsi il rossetto sulle labbra, diede un’ultima sistemata ai capelli e raddrizzò lo specchio posto nell’atrio. Controllò di aver indossato gli stivali giusti ‒ anni prima aveva accompagnato la figlia all’asilo con una pantofola e una converse rossa ‒ e si concesse un rapido massaggio alle palpebre. Subito dopo percepì due mani soffici massaggiarle accuratamente le spalle, e Sara si beò di quel contatto più che poté.
«Stanca?» le sussurrò Nyssa all’orecchio, per poi lasciarle un bacio sul collo.
Sara arricciò il naso, osservando il riflesso suo e della moglie nello specchio. «Stressata» rispose, piegando appena la testa di lato.
«Sei tornata tardi ieri notte.»
«Abbiamo fatto l’inventario» sospirò la bionda, poggiando la propria mano su quella dell’amata. «Poi Henrique ha fatto un casino coi computer e ci abbiamo messo quasi un’ora per farli tornare a funzionare. Sono capitata proprio in un posto di merda.»
«Non credere che la sottoscritta sia messa meglio» rise Nyssa, mentre Sara si voltava verso di lei e le metteva le braccia intorno al collo. «Per essere l’assistente di un neo avvocato, tua sorella mi fa lavorare come una dannata.»
Sara ricambiò la risata, portandosi una mano davanti alla bocca. «Laurel è sempre stata terribile quando si tratta di lavoro. Pensa che al liceo è riuscita a farmi assumere nella stessa gelateria in cui faceva la tirocinante, però mi sgridava in continuazione perché non le piaceva il modo in cui modellavo le palline sui coni.»
«A me dà un sacco di scartoffie da firmare al posto suo e mi fa fare delle telefonate a dei tizi assurdi. L’unico lato positivo è che mi concede dei turni abbastanza ragionevoli.»
In quello stesso istante, la bambina dai capelli color biondo cenere ricomparve nell’atrio, irrompendo con un forte: «Pronta!»
Nyssa le dedicò un sorriso dolce, dopodiché le tolse il capellino bianco e prese a farlo ondeggiare sopra la sua testa. «E comunque non c’era bisogno che mandassi questa piccola pulce a chiamarmi» disse la mora, mentre la figlia tentava inutilmente di recuperare il proprio berretto di lana con dei buffi saltelli. «Avevo quasi finito.»
«Te l’ho detto» proseguì Sara, aprendo la porta davanti a lei. «Sono un po’ stressata.»




Come ogni anno, la Starling City Elementary School aveva organizzato una festa il giorno di San Valentino, cosicché i bambini potessero stare in compagnia e giocare mentre i genitori andavano a festeggiare. Sara e Nyssa, però, avevano smesso di celebrare quel giorno parecchio tempo prima che Kimberly nascesse, e loro ‒ come molti altri genitori ‒ preferivano passare una giornata in allegria con la loro bambina. Casualmente, quell’anno San Valentino era capitato di domenica, per questo si aspettavano di trovare molta più affluenza.
L’anno prima Kim non aveva potuto partecipare perché le era venuta la varicella, ma la settimana precedente, quando la maestra le aveva consegnato l’invito per la festa, era tornata a casa dicendo: «Quest’anno sono in seconda, non posso mancare. E poi sono sicura che Toby mi farà un regalino, quindi…» Toby era il suo fidanzatino da poche settimane, ma Nyssa ancora non si era abituata all’idea che la sua bambina, a soli sette anni, avesse già una cotta per qualcuno.
Giunte davanti all’entrata dell’aula di Kim, quest’ultima fu trascinata dentro alla classe da due sue compagne, che la invitarono a sedersi vicino a loro in prima fila. La maestra aveva appena iniziato ad introdurre la prima attività della giornata, secondo cui i bambini avrebbero dovuto scrivere cosa fosse per loro l’amore in un cuore di carta da appendere al muro. Nel frattempo, i genitori avrebbero aiutato le maestre a recuperare i vari pacchi di cioccolatini e gli stuzzichini ‒ che il preside offriva ogni anno agli studenti ‒ dalla mensa.
Kimberly si voltò appena in tempo per salutare Sara e Nyssa con la mano, ed entrambe risposero scoccandole un bacio volante.
«Vostra figlia è adorabile» esordì Meghan, la madre di Dorothy, una bimba di terza nonché amica di Kimberly. «Voi siete adorabili. Io e mio marito litighiamo ogni anno perché lui vorrebbe fare qualcosa di romantico, mentre io non me la sento di abbandonare la mia bambina. Così alla fine io vengo qui, mentre lui se ne sta a casa sdraiato sul divano a mangiare patatine e a bere birra davanti alla tv.»
Sara rise appena a quell’esclamazione, mentre Cassandra, la madre di Toby, poggiava una mano sulla sua spalla. «Davvero, vostra figlia è veramente educata. Quando è venuta a casa nostra, la settimana scorsa, non la smetteva un minuto di ringraziarci per l’invito. A Toby è quasi venuto da piangere quando sei venuta a prenderla!»
A sentire il nome del bambino, Nyssa fece cadere accidentalmente una pila di cioccolatini, che, per fortuna, non si ruppe. «Scusate» sibilò, sbuffando sommessamente.
La moglie si accovacciò di fianco a lei, aiutandola a raccogliere le scatole rosse. «Sei gelosa della tua bambina per caso?» sussurrò maliziosamente.
Nyssa fece una smorfia: era chiaro quello che le passava per la testa, perciò tanto valeva nasconderlo. «È troppo piccola per avere un fidanzato» sbottò seccata, arricciando il naso.
Sara non disse nulla, ma al tempo stesso non riuscì a reprimere un sorriso: la Nyssa ingelosita le piaceva un sacco.




Non appena i genitori ebbero finito di preparare i tavoli con il cibo e le bevando, si precipitarono tutti all’interno dell’aula per leggere cos’avessero scritto i propri bambini. Sara e Nyssa, al contrario, rimasero sulla soglia ad attendere Kim, che dopo non molto iniziò a correre nella loro direzione. Sara la prese in braccio, mentre Nyssa iniziò a farle il solletico sul collo.
«Confessa: su quel foglietto hai scritto che ami Toby.»
«No, no» rispose la piccola, scuotendo il capo e ridendo come una matta.
«Allora avrà sicuramente riportato qualche parolaccia che le ha insegnato la zia Thea» la prese in giro Sara. Ma in fondo non era vero: sua figlia era un angelo, ed era intelligente. Sapeva che non avrebbe mai fatto nulla di male, ma sia lei che Nyssa si divertivano a punzecchiarla.
«Neanche» proseguì Kim, indicando il muro pieno di foglietti colorati. «È una sorpresa!»
Sara lasciò andare la figlia a terra cosicché potesse tornare dalle proprie amiche. Subito dopo, Nyssa le mise una mano sulla schiena, conducendola verso la parete. Non ci misero molto ad individuare il cuore di Kimberly: era di un rosso splendente, completamente ricoperto da brillantini e paillettes. Nel leggere cosa c’era scritto al suo interno, Nyssa si portò una mano davanti alla bocca, e dopo non molto, Sara, scioccata quanto lei, fece lo stesso.
“L’amore è… le mie due mamme Nyssa e Sara,” diceva.










L’ultima volta vi ho lasciati con una storia strappalacrime, mentre adesso potrei avere un po’ esagerato con il fluff, ma si sa che mi piace passare da un’estremità all’altra.
Spero di pubblicare presto il prossimo capitolo, as always.
Sayonara!

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Capitolo 6
*** The first time we met ***


#6 Prompt:Your OTP having to tell the story of how they met after consuming two glasses of wine, a bottle of vodka, and a bottle of whiskey.

 

The first time we met

 

 

La serata procedeva meglio di quanto Sara si sarebbe aspettata. Quando aveva ricevuto l’invito da parte di Tommy era stata tentata di rifiutare ‒ l’ultima volta che aveva bevuto qualcosa insieme a lui e a Oliver era stato più di sette anni prima e temeva che, come allora, si potessero creare delle situazioni spiacevoli ‒, ma alla fine Nyssa aveva insistito affinché accettasse, e non se l’era sentita di dirle di no.
La cosa strana era che si trovavano dentro al pub da più di venti minuti ormai, ma i suoi due migliori amici d’infanzia non si erano ancora ubriacati. Certo, Oliver era costantemente tenuto d’occhio da Laurel, il che l’avrebbe reso meno propenso a bere troppo, ma Sara non pensava lo stesso di Tommy, che aveva portato con sé una ragazza un po’ fuori dal comune. Si chiamava Lexie, aveva lunghi capelli arancioni e da come era vestita l’avrebbero potuta scambiare per una spogliarellista del locale. O forse la è, pensò Sara, trattenendo una smorfia.
Un istante dopo, percepì la mano calda di Nyssa poggiarsi dolcemente sulla sua. «Va tutto bene?»
Sara si affrettò ad annuire, con un sorriso forzato.
Nyssa sorrise a sua volta. «A me non sembra» sussurrò, sebbene sarebbe comunque stato impossibile per Laurel e gli altri sentire le sue parole, visto l’esagerato baccano provocato dalla musica.
La bionda si strinse nelle spalle, lasciandosi andare ad un sospiro. «È che… sono i miei migliori amici di una vita. Li conosco. E so che quando bevono troppo possono diventare molto imbarazzanti.» Lanciò una rapida occhiata a Tommy e a Oliver, seduti nel divanetto posto dall’altro lato del tavolino, intenti a giocare ad una partita improvvisata di pollice di ferro. Laurel e Lexie, sedute accanto a loro, stavano facendo animatamente il tifo per il proprio fidanzato. «Non ho molta voglia che tu li veda ridotti in un brutto stato. Tutto qui.»
Nyssa si portò una mano sotto al mento, trattenendo una risata. «Mi hai portata in una discoteca a bere un drink con l’uomo che ha tradito sua sorella con te, che ora è di nuovo il suo fidanzato, e con il suo ex, quello a casa di cui ti infiltravi alle feste da ragazzina per fare colpo con la tua cotta adolescenziale, che è sempre lui» esclamò, alludendo a Oliver con lo sguardo. «La situazione è imbarazzante già così. Cos’altro potrebbe andare storto?»
Al sentire quelle parole, Sara sembrò tranquillizzarsi. Dedicò a Nyssa un sorriso sincero, per poi darle un bacio sulla guancia.
«Ehi, piccioncine» disse ad un tratto Tommy, voltandosi in direzione di Nyssa e Sara. «Non avrete intenzione di starvene lì in un angolo a consumare per il resto della serata, vero? Dobbiamo festeggiare tutti insieme!»
«Merlyn, è già finita la partita a pollice di ferro? Oliver ti ha già spezzato tutte le dita?» ironizzò Sara, facendo scoppiare a ridere Laurel. «E che cosa dovremmo festeggiare esattamente?»
«Il tuo ritorno e il tuo fidanzamento» rispose Tommy, indicando l’Erede del Demonio con lo sguardo. «Insomma, vi ho invitate qui per conoscerla e poi salta fuori che in realtà Oliver e Laurel l’avevano già incontrata. Perché sei stata presentata a tutti meno che a me, eh Nessie?»
«È Nyssa» lo corresse la mora.
«Perché lei è mia sorella e lui il mio futuro cognato. Di certo quando sono tornata non sei stato tu il primo ad essermi venuto in mente» lo punzecchiò la minore delle sorelle Lance, poggiando il proprio bicchiere sul tavolino.
Tommy accennò un sorriso, dopodiché Lexie gli sussurrò qualcosa all’orecchio, lo baciò appassionatamente e si allontanò dal gruppetto salutandoli con un rapido gesto della mano. «Scusatela, ma Alexandra lavora qui ed è dovuta scappare. Tra poco la vedremo sul palco» disse, mandando giù l’ultimo sorso del suo drink.
Avevo ragione. Fa la spogliarellista!, pensò Sara tra sé e sé.
«Avete intenzione di bere acqua tonica per il resto della serata? Non andrete molto lontane con quella» sottolineò Tommy, richiamando l’attenzione di una cameriera. «Ehi bellezza, potresti portare qualcosa per me e i miei amici?»
«Avanti, Tommy, lasciale in pace» lo ammonì Laurel. «Se non vogliono bere non devono sentirsi obbligate.»
«Anche perché onestamente io non sono una gran bevitrice» affermò Nyssa.
«E se proprio vuoi farci ubriacare, lo sai che con me non funzionerà mai» gli fece notare Sara.
Tommy si sporse leggermente in avanti, puntando i suoi occhi chiari in quelli glaciali di Sara. «Lo vedremo, Miss “Io so reggere l’alcool”.»




Nyssa mandò giù a fatica l’ultimo sorso di whiskey. Le bruciavano la gola e lo stomaco, ma la tentazione di finire il liquido caldo era stata più forte di lei. Abbandonò la bottiglia vuota a terra, accanto a tutte le altre, per poi accoccolarsi sul petto di Sara, che era spaparanzata sul divanetto nero.
«È stata sicuramente l’estate più bella della mia vita» esclamò Tommy, col volto simile a quello di un peperone.
«E che mi dici di quella volta che abbiamo marinato la scuola per fare colpo su quelle ragazze del college?» aggiunse Oliver, agitando il suo shot di tequila prima di buttarlo giù in un sorso solo.
«Com’è che si chiamavano? Carly e Sandy? O Cathy e Sammy? Non me lo ricordo, il suono è uguale.»Tommy iniziò a sghignazzare senza un motivo, piegandosi in avanti sul bracciolo del divano.
«Perché io non me lo ricordo?» mugugnò Laurel, un piccolo broncio a contornarle le labbra.
«Perché tu non hai mai marinato la scuola, signorina perfettina» ribatté Sara, accarezzando delicatamente i capelli di Nyssa, ormai sul punto di addormentarsi su di lei.
In tutta risposta, Laurel le fece il verso, per poi rivolgere la sua completa attenzione al proprio fidanzato.
«Allora, Sara e Nyssa» biascicò Tommy, cercando di rimettersi composto. «Non ci avete ancora raccontato come vi siete conosciute.»
A quella frase, la bionda si voltò verso l’amata, che le riservò un’occhiata eloquente.
«Beh, che dire» esordì, mettendo un braccio intorno alle spalle di Nyssa. «Stavo morendo e lei mi ha trovata.»
«Questo già lo sappiamo» la schernì la sorella maggiore. «Sii più specifica.»
Canary fece una smorfia, per poi sospirare. «Allora, partiamo dal principio. Io e il caro Oliver eravamo sull’Amazo alla ricerca di una cura per il Mirakuru, quando ad un tratto il buon vecchio Slade Wilson ‒ quello stronzo, meno male che è morto se no giuro che gli strapperei le budella con le mie stesse mani in questo preciso istante ‒ ci ha trovati e ha cercato di ucciderci. C’era una tempesta, così la nave è affondata e io sono quasi morta. Un po’ come il naufragio del Gambit. Te lo ricordi, Ollie?»
Il diretto interessato annuì, alzando in aria la sua bottiglia di vodka sotto lo sguardo acido di Laurel.
«Poi, non so come, mi sono ritrovata su Lian Yu, sono svenuta e quando mi sono svegliata questa meraviglia mi ha rivelato di avermi salvata» spiegò Sara, prendendo il mento di Nyssa con una mano per poi darle un bacio appassionato.
Tommy roteò gli occhi al cielo. «La volete smettere? Alex è ancora sul palco e se cominciate a pomiciare tutti quanti mi fate sentire solo» si lamentò, intimandole di proseguire.
«Quando le ho detto che ci trovavamo alla Lega degli Assassini, tua sorella non ha battuto ciglio» spiegò la mora, rivolta alla maggiore delle sorelle Lance. «Era come se già conoscesse quel luogo e sentisse di appartenervi.»
«Sarei dovuta tornare a casa, sia chiaro» puntualizzò Canary, alla ricerca di una bottiglia con ancora del liquore all’interno in mezzo alla massa dispersa sul pavimento del locale. «Nyssa è stata così gentile da volermi liberare, ma io mi sono opposta. All’epoca non lo volevo ammettere, ma…» Si guardò un attimo intorno, dopodiché si sporse leggermente in avanti, si mise una mano a lato della bocca e sibilò: «La trovavo già irresistibilmente sexy.»
Il trio seduto nel secondo divanetto rispose con fischi e ghigni di assenso, mentre Nyssa, che apparentemente non aveva udito le parole di Sara a causa della sbronza ‒ fra i cinque era quella messa meglio, ma probabilmente la stanchezza era un punto a suo sfavore ‒, riprese la parola. «Sapete, Sara si è dimostrata essere fin da subito una grandissima cazzona. Ha pure riso in faccia a mio padre. È stata coraggiosa. Nemmeno io ho mai riso in faccia a mio padre. Mi sono spaventata quando l’ha fatto. Ero convinta che l’avrebbe ammazzata, e invece no!» rise, contagiando anche la fidanzata nel giro di poco.
«Ho la pelle dura, dovresti saperlo!» affermò Sara, iniziando a singhiozzare.
«Insomma, sono stati cinque anni mica male, no?» chiese poi la figlia di Ra’s, voltandosi verso l’amata. «Ci siamo divertite un mondo.»
«Oh sì. Eccome se ci siamo divertite» rispose la bionda, dedicandole uno sguardo malizioso.
Nyssa alzò un sopracciglio, sorridendole amorevolmente. «Ti ricordi quando quella guardia è entrata in camera mia senza bussare e ci ha trovate a letto insieme? La faccia che ha fatto era esilarante.»
«Per forza, dopo aver visto la tua faccia non avrebbe potuto fare altro che scappare a gambe levate» esclamò Sara, scoppiando in una sonora risata, che fu però interrotta dall’ennesimo singhiozzo. «E quando tuo padre ha scoperto che non volevo indossare gli abiti della Lega perché non mi piacevano e tu hai fatto creare apposta per me il costume di Canary? Quella volta se non ti fossi messa in mezzo mi avrebbe uccisa veramente!»
Stavolta, fu Nyssa quella che si mise a ridere di gusto. La situazione si protrasse per un’altra decina di minuti, con le due intente a ricordare momenti del loro passato e a sghignazzare senza un motivo fino ad arrivare a doversi tenere la pancia per il dolore. Poi, ad un tratto, Sara si voltò verso i suoi amici, trattenendo a stento le lacrime. «E voi, ragazzi? Non avete nulla di esilarante da raccontarci?»
Tuttavia, la bionda non ricevette risposta: i tre si erano infatti addormentati da un pezzo, e sembrava che non si sarebbero svegliati per un bel po’. Nyssa e Sara si scambiarono uno sguardo divertito, per poi buttarsi nella pista da ballo in mezzo alla calca di persone che si spintonavano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piccola What if? in cui Laurel non è un’alcolizzata, lei e Oliver stanno insieme e Tommy non solo è vivo, ma conosce anche l’identità di Arrow e di Canary (perché la fantasia non è mai troppa xD).
San Valentino è ormai vicino, perciò (anche se non è vero lol) possiamo dire che questa storia fosse appunto in programma per quella data, ma per una volta sono riuscita a pubblicare in anticipo u.u

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Capitolo 7
*** Mrs. Nyssa Lance ***


#7 Prompt: Your OTP getting married. Person A makes the decision to take Person B’s last name. Person B won’t stop affectionately calling A by their first name followed by their new surname just to make Person A blush.

 

Mrs. Nyssa Lance

 

 

Il giorno del loro matrimonio era ormai alle porte.
Sara aveva scelto la data e le decorazioni, mentre Nyssa si era occupata di trovare uno dei migliori servizi di catering di Starling City. Entrambe avevano già acquistato i propri abiti, spedito gli inviti, scelto i fiori… ma mancava ancora una cosa fondamentale all’appello.
«Quindi che si fa? Si torna ai vecchi metodi?»
«Sara, se per vecchi metodi intendi lanciare una moneta e vedere se esce testa o croce, allora non dirlo neanche.»
La bionda fece una smorfia in segno di disapprovazione. «Scusa. Non credevo che ti saresti opposta in questo modo.»
«Scegliere di cambiare cognome è una decisione importante» spiegò la donna, mantenendo un tono di voce calmo. «Non possiamo affidarci alla sorte. Dobbiamo essere oneste con noi stesse e chiederci se siamo realmente disposte a compiere questo passo.»
Sara sembrò pensarci su per qualche istante. «Giusto. Allora riflettiamoci sopra.» Poi abbassò lo sguardo e si perse nei propri pensieri.
Prima d’ora, non si era mai preoccupata di dover scegliere chi dei due partner avrebbe dovuto cambiare cognome. Aveva sempre dato per scontato che si sarebbe sposata con un uomo e che quindi sarebbe toccato a lei rinunciare al proprio nome, ma dopo aver conosciuto Nyssa le cose erano cambiate.
Sara Raatko. Non le piaceva neanche un po’, ma non lo avrebbe mai ammesso a voce alta. Ora che ci pensava, l’idea di cambiare cognome non le andava giù proprio per niente. Tuttavia, sapeva che se avesse detto una cosa simile alla futura moglie questa ci sarebbe rimasta male, ma al tempo stesso non voleva mentirle, perciò non aveva idea di cosa fare.
Pochi istanti dopo, come se le avesse letto nel pensiero, Nyssa prese la parola, anticipandola. «Lo farò io.»
Sara alzò di colpo lo sguardo, osservando la mora con sguardo confuso. «Ne sei sicura?»
L’altra annuì. «Sì, lo sono. Non ci avevo mai pensato prima di oggi, ma… credo sia una svolta necessaria per il mio futuro. Insomma, da quando ti ho conosciuta Nyssa Raatko non esiste più. Perciò…» Si chinò leggermente in avanti, lasciando dei leggeri baci sulle labbra di Sara. «Credo sia giunto il momento di trovare un nome che si adatti meglio alla nuova me.»
Sara rise appena, per poi mettere le braccia intorno al collo di Nyssa affinché la mora non si allontanasse. «Nyssa Lance. Suona bene, non trovi?»
Nyssa ruotò appena la testa di lato. «Può andare.»
La bionda sorrise a labbra strette, mentre un moto di felicità si fece strada dentro di lei. «Nyssa Lance» ripeté, come se volesse imprimerselo nella mente. «Nyssa Lance. Nyssa Lance. Nyssa Lance.»
«Sara, adesso non devi ripeterlo all’infinito!» sbottò Nyssa, che a quel punto era diventata rossa come un peperone.
Sara si strinse nelle spalle. «Hai ragione. Scusami. È che mi sono lasciata trasportare dalle emozioni.»
«Lascia che sia io a trasportarti fino alla camera da letto.»
Intercettando lo sguardo malizioso di Nyssa, Sara inarcò un sopracciglio, per poi permettere alla futura moglie di prenderla in braccio. Sara continuò a baciarla per tutto il tragitto, e si fermò soltanto quando giunsero sulla soglia della stanza. Nyssa le rivolse uno sguardo confuso.
«Devo dirti una cosa importante. Molto importante.»
Incuriosita e al tempo stesso preoccupata, Nyssa si sporse in avanti, permettendo così a Sara di avvicinare le proprie labbra al suo orecchio. Non appena sentì il suo respiro sulla pelle, però, riuscì a tranquillizzarsi.
«Nyssa Lance.»

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Capitolo 8
*** (Un)lucky girl ***


#8 Prompt: Person B’s ex trying to warn Person A about B right in front of the both of them. After a very long explanation about B’s unsavory nature and questionable past, Person A just nonchalantly replies “I know” and kisses B deeply. 

 

(Un)lucky girl

 

 

Quella mattina, Nyssa si era svegliata con un brutto presentimento. Non avrebbe saputo spiegare a parole la sensazione che provava, ma quel giorno la sfortuna sembrava perseguitarla. Non solo aveva rovesciato il sale e rotto uno specchietto da borsetta, ma adesso non riusciva nemmeno a trovare il suo cellulare.
«È venerdì tredici» constatò la mora dopo aver dato una rapida occhiata al calendario. «Ecco perché mi stanno capitando tutte queste disgrazie.»
«Non ti credevo così superstiziosa, sai?»
Nyssa inarcò entrambe le sopracciglia. «Non sono superstiziosa. Sono solo...»
«Fissata.» La bionda si fece improvvisamente seria. «Questa storia della sfortuna ti sta sfuggendo di mano. Forse dovresti solo rilassarti un po’.»
«Rilassarmi? Te lo ripeto, Sara, è venerdì tredici. E io non trovo il mio telefono. Dove cavolo l’ho messo?»
«Ascolta, fa’ un respiro profondo» le suggerì l’amata, accarezzandole lievemente il braccio sinistro. «Perché non andiamo a fare un giro al centro commerciale?»
«Non trovo il mio telefono!» ribadì la mora, in preda al panico. «Se mi chiamano dal lavoro è un casino. Sai che è solo quello il motivo per cui voglio trovarlo. E adesso vuoi che esca insieme a te?»
Sara corrugò la fronte. «Uhm, sai, è solo un venerdì pomeriggio qualsiasi. E noi siamo una normalissima coppia americana che passa tutta la settimana al lavoro o chiusa in casa. Quindi sì, hai ragione, è proprio bizzarro che io ti chieda di uscire l’unico giorno in cui entrambe siamo libere!»
Nel sentire quelle parole, Nyssa sospirò, passandosi una mano sulla fronte. «Hai ragione. Perdonami. È solo che questa storia della sfortuna mi sta mandando fuori di testa.»
«Mi spieghi come mai sei così terrorizzata da queste credenze popolari?»
«Non sono terrorizzata» puntualizzò l’altra, puntando l’indice in direzione di Sara. «È solo che... Non ho avuto dei precedenti piacevoli. Quando ero bambina, Talia mi raccontava sempre la storia di un guerriero che aveva osato sfidare nostro padre un venerdì tredici di tanti anni fa. Non era particolarmente forte, ma mio padre era diventato la Testa del Demonio da poco, perciò nessuno si sarebbe aspettato tanta brutalità da parte sua.»
«Cosa gli capitò?» domandò Sara, ricordando amaramente il giorno della sua iniziazione e il modo in cui Ra’s aveva deciso di mostrarle la sua vera forza.
«Se non ricordo male, ci fu una sanguinosa lotta, e nonostante lo sfidante stesse per vincere, improvvisamente ha perso l’equilibrio, un candelabro gli è caduto addosso ed è morto carbonizzato.»
Sara inarcò un sopracciglio con fare confuso. «E questo dovrebbe avere a che fare con il venerdì tredici?»
«Aveva portato con sé un gatto nero» spiegò Nyssa, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «In pratica è come se si fosse portato la sfortuna da casa. Lo sanno tutti che nel Medioevo chi possedeva gatti neri veniva condannato al rogo per stregoneria.»
«Io no» ammise Canary con nonchalance. «Storia medievale non era una delle mie materie preferite al liceo.»
«Lo vedo» sospirò l’altra, incrociando meccanicamente le braccia. «Allora, vogliamo andare al centro commerciale prima che cambi idea?»
Sara annuì, con un sorriso che si estendeva da un orecchio all’altro.



Come previsto, il centro commerciale era pieno di persone, tanto che Nyssa e Sara furono costrette a trovare riparo in una caffetteria per non essere investite dalla folla.
«Aspetteremo qui fino a quando la calca non sarà diminuita» propose la bionda, levandosi la sciarpa dal collo. «Ti va?»
Questa volta, fu Nyssa ad annuire. «Mi scoccia solo non aver trovato il telefono.»
«Se preferisci chiamare il tuo capo per sicurezza, puoi sempre usare il mio cellulare.»
Nyssa fu tentata di dire di sì, ma poi scosse la testa. Era il primo pomeriggio che lei e Sara potevano trascorrere in tranquillità da settimane, e non avrebbe permesso al suo esigente capo di farle fare altri straordinari. Ora voleva solo trascorrere del tempo con la donna che amava.
«No» disse con un lieve sorriso. «Va bene così.»
A quella risposta, Sara arrossì appena ‒ o forse era a causa del freddo invernale ‒, dopodiché si sedette al tavolo e attirò l’attenzione di una cameriera per poter ordinare.
Più o meno due caffè, una cioccolata calda e una brioche al cioccolato dopo, qualcuno si avvicinò al loro tavolo. Nyssa alzò lo sguardo convinta che si trattasse nuovamente della cameriera, ma, con sua grande sorpresa, si ritrovò faccia a faccia con un volto a lei noto.
«Ma guarda un po’» esclamò una voce femminile, fingendosi sorpresa. «Chi si rivede.»
La figlia di Ra’s al Ghul deglutì con forza, incredula di ciò che i suoi occhi stavano guardando. Sì diede un pizzicotto sul braccio, per poi constatare che non era un sogno, ma la realtà. Non riusciva a crederci.
«Nyssa! Quanto tempo!» La donna si sporse in avanti darle un abbraccio, che lei ricambiò con scarso entusiasmo. «Qual buon vento ti porta in America?»
«Potrei farti la stessa domanda» sibilò Nyssa con un sorriso tirato.
Sara le osservò restando in silenzio. La donna aveva due profondi occhi verdi, un caschetto rosso che donava al suo viso la forma di un cuore e un sorriso smagliante ‒ e forse anche un po’ finto. Non l’aveva mai vista prima, ma poteva immaginare chi fosse.
«Beh, io sono qui per lavoro. Immagino che lo stesso valga per te. O mi sbaglio?»
Nyssa digrignò i denti. Respira, Nyssa, respira, si ripeté nella testa. Non osò incrociare lo sguardo di Sara, ma immaginò che anche lei stesse pensando la stessa cosa.
Prima che potesse formulare una risposta, la donna si voltò proprio verso la bionda, illuminandosi di colpo. «E tu chi sei?» esclamò, sprizzando gioia da tutti i pori.
Sara lanciò una rapida occhiata a Nyssa, la quale si affrettò a rispondere per lei.
«È la mia ragazza. Si chiama Sara e...»
«Mamma mia, quant’è carina! Piacere di conoscerti, Sara! Io sono Myriah e, beh... immagino che Nyssa ti abbia parlato molto di me.»
«Il piacere è tutto mio. Ma a dire la verità, non ti ho mai sentita nominare» mentì astutamente Canary.
Quel commento fece inasprire ancora di più la donna, cosa che fece divertire Sara più di prima.
«È davvero strano, soprattutto considerando che sono stata la sua relazione più lunga. Siamo state insieme quanto, un anno? Forse due, se non contiamo i sei mesi in cui non ti sei fatta più vedere.»
Nyssa si portò una mano alla radice del naso. Stava facendo il possibile per mantenere la calma, ma più i minuti passavano, più le risultava difficile.
D’altro canto, Sara non sembrava della stessa opinione. Guardò dritto negli occhi prima Myriah, poi Nyssa, la mascella contratta e un sopracciglio alzato. La sua relazione più lunga? Ma lo sa che stiamo insieme da otto anni noi due?
In risposta all’occhiata di Sara, Nyssa inspirò profondamente. Stai calma. Me ne occupo io.
Sara sembrò comprendere i suoi pensieri, perché subito dopo annuì decisa.
«Vedi, Myriah, io e Sara siamo un po’ di fretta. È stato un vero piacere rivederti dopo tutto questo tempo, ma adesso dobbiamo proprio andare.»
«Il piacere è stato tutto mio. Spero solo che la tua Sara non ci resterà male quanto me quando scoprirà chi sei veramente.»
Sara si voltò di scatto in direzione di Myriah, congelandola coi suoi grandi occhi di ghiaccio. «Che cos’hai detto?»
«Myriah, adesso basta» l’ammonì Nyssa, quasi sussurrando per non farsi sentire dagli altri clienti del locale. «Anche se sono passati più di dieci anni, non mi stupisce che tu serbi ancora rancore per me. D’altronde, sei sempre stata una vipera più velenosa di un serpente a sonagli. Ma questo non è né il luogo, né il momento adatto per fare la stronza.»
La donna dalla folta chioma rossa puntò i tacchi a terra, visibilmente contrariata e offesa. Malgrado il rimprovero di Nyssa, però, continuò a tastare il terreno.
«Volevo solo metterla in guardia» continuò, rivolgendosi a Sara. «Immagino che adesso le cose siano cambiate, visto che ti sei trasferita in America. Ma le hai mai parlato del tuo passato... discutibile
La figlia di Ra’s al Ghul deglutì impercettibilmente, mentre Myriah si faceva largo in un mare di ricordi che lei avrebbe tanto voluto dimenticare.
«Ti ha mai detto che suo padre è a capo di una setta? E che ci siamo conosciute durante uno dei suoi “incarichi”? Insomma, se qualcuno che ci fosse passato prima di me mi avesse messa in guardia sulla sua natura sgradevole, probabilmente sarei scappata a gambe filate.»
Seguì un silenzio di tomba che lasciò sulle spine sia Nyssa che Myriah. Sara mantenne lo sguardo fisso su quest’ultima, indecisa sul da farsi. Poi, con estrema nonchalance, scrollò le spalle e rispose con un semplice «Lo so» che fece venire la pelle d’oca alla sua interlocutrice. Si avvicinò a lei di qualche passo, e quando fu sicura di essere a pochi centimetri di distanza dal suo orecchio, le sussurrò qualcosa di comprensibile soltanto a loro due.
Subito dopo si sporse verso Nyssa e la baciò appassionatamente, incurante degli sguardi incuriositi dei clienti e di quello terrorizzato di Myriah.



«Indovina un po’ chi ha trovato il tuo telefono?»
Nyssa alzò di colpo lo sguardo, mentre un enorme sorriso le contornava le labbra. «Non. Ci. Credo. Dove diavolo era?»
«Nel cesto della biancheria sporca. L’hai dimenticato nella tasca dei jeans.»
«E ovviamente la batteria era morta, ecco perché non squillava» constatò la mora, stringendo trionfante il cellulare tra le mani. «Grazie, habibti.»
«Prego. Insomma, dopo quanto accaduto oggi, direi che questa è la prima cosa buona che ci capita.»
Mentre lo diceva, Sara sorrise senza rendersene conto, dopodiché si sedette accanto a Nyssa sul divano, poggiando la testa sulla sua spalla.
«Sapevo che Myriah era una stronza, ma non immaginavo fino a questo punto» rivelò Sara, mentre l’amata le accarezzava dolcemente i capelli. «Io non rivelerei mai a nessuno la tua vera identità. Mai.»
«Lo so. Ma non siamo tutti uguali. E sì, Myriah è una grandissima stronza, ma in parte ha avuto i suoi motivi per farlo.»
Sara alzò un poco lo sguardo, incontrando quello abbattuto di Nyssa. «Tu non hai fatto nulla. Myriah aveva la sua vita, e tu la tua. Era logico che non avrebbe funzionato. L’unica opzione plausibile, era che lei si unisse alla Lega, ma sappiamo entrambe che non sarebbe mai accaduto. Non si sarebbe rovinata la manicure per niente al mondo.»
Nyssa scoppiò a ridere di gusto, ma dopo pochi istanti si fece nuovamente esitante. «Ti ho mai raccontato cos’è successo quella notte? La notte in cui l’ho lasciata?»
«Sei sgusciata fuori dal letto e te ne sei andata via senza lasciarle nemmeno un biglietto. Come ho fatto io quando sono tornata a Starling City» ammise Sara, rimembrando con malinconia quanto accaduto. «Dopo tutti questi anni, è ancora arrabbiata? Tu mi hai perdonata dopo pochi mesi.»
«Lo so, ma... Myriah è diversa. Farle un torto equivale a rimanere nella sua lista nera per il resto della vita. Ma comunque, non intendevo quello. Mi riferivo a ciò che è successo prima che sgattaiolassi via mentre lei dormiva.»
La bionda ruotò appena la testa di lato, concentrandosi sulle parole di Nyssa. «Allora no. Non credo che tu me ne abbia mai parlato.»
La figlia di Ra’s prese un respiro profondo, poggiando la mano destra su quella di Sara. «Quella sera, prima di metterci a letto, abbiamo litigato. Pesantemente. A causa dei vari impegni con la Lega, non le avevo fatto avere mie notizie per oltre sei mesi, ed era logico che fosse arrabbiata. Ero tornata per lasciarla, perché sapevo che quella storia non avrebbe avuto un lieto fine. Myriah era arrabbiatissima con me, ma quando iniziai a parlare si ricredette, mi disse che mi amava da morire e che non voleva che finisse in quel modo. Non sapevo cosa fare. Non volevo lasciarla, ma al tempo stesso sapevo che sarebbe stata una follia mantenere una relazione a distanza con la vita che conducevo. Così, le rivelai tutto. Chi ero veramente, chi era mio padre, cosa fosse la Lega degli Assassini e il mio ruolo al suo interno. Lei mi rise in faccia, convinta che mi fossi inventata tutto. Ma quando le proposi di unirsi a noi, capì che non stavo scherzando. Iniziò a urlare e a dirmi cose senza senso, ma sapevo che era solo scioccata per quello che le avevo detto. D’altronde, aveva appena scoperto che la sua ragazza era un’assassina: come biasimarla?» Nyssa sospirò appena, e Sara le strinse la mano per incoraggiarla a proseguire. «Alla fine decidemmo di dormirci su. Ma io non dormii affatto, quella notte. Sapevo che Myriah non sarebbe mai diventata un membro della Lega per nessun motivo al mondo, e di certo non avrei mai rinunciato al mio diritto di nascita per una come lei. Innamorata sì, ma di certo non così stupida.»
Sara rise a labbra strette, ma tornò subito seria. «Per me l’avresti fatto.»
Nyssa le accarezzò la guancia con la mano libera. «Ma tu non sei Myriah.»
Canary arrossì lievemente. «Già. Nemmeno tu, per fortuna.» Si scostò distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, per poi dedicare a Nyssa uno sguardo malizioso.«Comunque quella del serpente a sonagli mi è piaciuta.»
«Sì? Allora potremmo aggiungerla alla nostra raccolta di frecciatine, così la prossima volta che incontreremo di nuovo Myriah saremo preparate.»
Sara scoppiò a ridere fragorosamente, senza lasciare andare la mano di Nyssa. «Adesso mi è chiaro come facesse a sapere del tuo coinvolgimento con la Lega. Sono contenta che tu me l’abbia detto.»
«Anche io» rivelò l’amata, avvicinandosi al viso di Sara. «E a proposito di rivelazioni, non mi hai ancora spiegato cos’hai detto a Myriah sottovoce. Quando mi hai baciata è diventata pallidissima.»
Sara rise sotto ai baffi, ma non ci mise molto a cedere. «Le ho detto la verità. E cioè che anch’io, come te, facevo parte della Lega, un tempo.»
Nyssa inarcò un sopracciglio. «Solo questo?»
«Beh... forse mi sono lasciata sfuggire una piccola, insignificante minaccia.» Si sporse appena in avanti, quanto bastava per catturare le labbra di Nyssa tra le proprie per qualche secondo. «Diciamo che, se mai dovessimo incontrarla di nuovo, non ti darà più fastidio.»
Nyssa sorrise sulle sue labbra. «È per questo che ti amo così tanto, Sara Lance.»
E il bacio che seguì ne fu la prova più lampante.

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