Duellante, Ladro, Detective

di Mari Lace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una carta inaspettata ***
Capitolo 2: *** Dove? ***
Capitolo 3: *** Verità? ***
Capitolo 4: *** Riunione ***
Capitolo 5: *** Pronti? Ai posti... ***
Capitolo 6: *** Scontro ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Una carta inaspettata ***


[Per quanto riguarda Yu-gi-oh!, questa storia si ambienta da qualche parte prima de "Le memorie del Faraone", ma per comodità i ragazzi sanno il nome di Atem.]



«È inutile, non riesco a concentrarmi!» sbottò un’esasperata Anzu, seduta alla sua scrivania nel vano tentativo di stesura di una relazione di scienze. Posò la penna e si alzò.

Aveva cercato di mandar via il senso d’inquietudine che le attanagliava lo stomaco per tutto il pomeriggio, ma non c’era stato verso. Si affacciò alla finestra. Era sera ormai, il sole era tramontato da un’ora.

Mentre faceva scorrere lo sguardo sui tetti di Domino City, i suoi pensieri andarono a Yugi. Non che l’avessero mai lasciato, in realtà. Il motivo della sua inquietudine era proprio lui.

Era sulle tracce di un nuovo, pericoloso criminale da ormai tre mesi. Non sapeva i dettagli, ma aveva sentito da Jonouchi giusto il giorno prima che avevano finalmente trovato una traccia.

Lei avrebbe voluto rendersi utile, ma Yugi – il Faraone, in realtà – aveva dichiarato che era una questione personale e doveva occuparsene lui, da solo. Aveva chiesto ai suoi amici di fidarsi di lui.

A lei in particolare aveva fatto promettere che non si sarebbe preoccupata.

“«Fidati di me, Anzu. Mi occuperò anche di questa minaccia, e tutto tornerà come prima. Mi conosci ormai, no? Non preoccuparti.»”

E lei si fidava, davvero. L’aveva visto affrontare moltissime minacce negli ultimi anni, una più oscura e potente dell’altra, e uscirne sempre vincitore. Non aveva dubbi che potesse affrontare anche questa, eppure…

eppure qualcosa di diverso c’è. Non sapeva cosa, non aveva un motivo logico per pensarlo; era solo… un presentimento.

Anzu si sarebbe data della stupida, in condizioni normali.

Ma dopo tutte le avventure vissute al fianco di un Faraone la cui anima era stata sigillata 5000 anni prima, dopo aver assistito in prima persona all’oscuro potere delle ombre, non poteva semplicemente ignorare i suoi presentimenti.

Prese una giacca ed uscì. Fortunatamente i suoi non erano in casa quella settimana, non aveva voglia di inventare una scusa.

Conscia che Atem si sarebbe probabilmente arrabbiato, s’inoltrò nelle vie di Domino alla sua ricerca. Stava per chiamare Jonouchi, quando una specie di vortice oscuro apparì in cielo. Pericolosamente vicino al negozio di giochi dello zio di Yugi.

Anzu affrettò il passo, sperando non fosse troppo tardi.

 ¤

«Equipaggio Libro di Magia Nera al mio Mago Nero, che guadagna 500 punti d’attacco! Posiziono una carta trappola e finisco il turno».

«Tutto qui ciò che sai fare, Faraone?»

Si trovavano nella strada accanto al negozio di giochi. Yugi aveva lasciato che l’altro sé stesso prendesse il controllo del suo corpo per affrontare l’ombra che avevano inseguito negli ultimi mesi.

L’ombra in questione, in quel momento separata dal giovane duellante solo dal campo di gioco che aveva evocato lui stesso con il potere delle ombre, era in realtà un uomo. Indossava un mantello nero che rendeva impossibile farsi un’idea chiara della sua corporatura, ed una maschera rappresentante un corvo. Il fatto stesso che fosse un uomo avevano potuto dedurlo solo dalla voce, ammesso quindi che non l’avesse distorta in qualche modo.

I due Yugi non erano riusciti a capire quale fosse esattamente il suo obiettivo, ma sapevano che per raggiungerlo aveva bisogno di tre manufatti. Uno l’aveva rubato da un museo egizio tre mesi prima, era uno smeraldo che, esposto alla luce della luna, brillava rivelando un’altra pietra al suo interno.

Inizialmente non conoscevano l’identità degli altri due oggetti, ma l’uomo stesso gliene aveva rivelato uno quella sera. Sfidandoli, aveva infatti chiesto che mettessero in palio il Puzzle del Millennio. Naturalmente, di perderlo non se ne parlava neppure.

Atem non poteva vedere il volto del suo avversario, ma immaginarsi un ghigno sprezzante era fin troppo facile, visto il suo tono. Poteva capirlo, aveva dei mostri abbastanza potenti.

Ma lui non crede nel cuore delle carte quanto me. I miei amici non mi tradiranno mai. Perché è questo che sono per me le mie carte: amici, non mostri.

«Se è così che vuoi giocare, non avrò certo pietà» affermò l’avversario. «Il mio Octopus basterebbe già da solo ad eliminare il tuo inutile mago, ma voglio schiacciarti completamente» disse, procedendo ad attivare una carta rituale che gli permetteva di rimpiazzare il suo mostro con un altro, di qualsiasi livello fosse, dalla sua mano. «Ti presento Lord Raven Renya, Faraone. Con i suoi 5000 punti d’attacco cancellerà per sempre il tuo mago, sottraendoti i 2000 Life Points che ti rimangono».

Atem non tentennò minimamente a quella notizia. Rimase in silenzio.

«Vuoi mantenere una poker face? Benissimo, fai pure. Attacca, Lord Raven Renya! Distruggi il suo mago!» E quando l’avrai fatto, avrò finalmente l’anima del Faraone. Poi basterà unirla a Pandora seguendo le istruzioni dell’antica pergamena… E nessuno potrà più anche solo pensare di fermarmi!

Immerso nei suoi sogni di grandezza, l’uomo neanche notò l’accenno di sorriso formatosi sul volto del ragazzo. «Non sarà così facile. Attivo la carta trappola: Alleanza Oscura!»

«Cosa credi di fare? La tua misera trappola non fermerà il mio attacco!»

«Convincitene, se vuoi. Se il mio Mago Nero viene attaccato, questa trappola mi permette di evocare una carta compatibile dal deck, e io evoco Giovane Maga Nera!»

Sul campo, accanto al mago, apparve la giovane maga, sorridendo al suo maestro.

«Poi i miei maghi uniscono i loro poteri d’attacco, arrivando a 5500 grazie al bonus di 500 garantitogli dalla trappola. Il tuo corvo può solo soccombere!» esclamò Atem con un sorriso trionfante. Anche questo nemico era stato sconfitto. Quel Lord Raven Renya, carta che non aveva mai visto prima, sembrava essere l’asso nella manica del suo avversario; distrutto quello, dubitava ci fossero altre carte realmente pericolose nel suo deck. Anche se ci fossero state, comunque, le avrebbe semplicemente sconfitte grazie al legame che aveva con le sue carte. Aveva la vittoria praticamente in mano.

Osservò l’uomo dall’altro lato del campo. Era difficile dirlo per via della maschera, ma gli sembrò ribollire di rabbia.

«Te ne pentirai amaramente, Faraone».

Era stato quasi un sibilo, l’aveva sentito appena. Subito dopo, sentì l’energia oscura che li circondava intensificarsi. Guardò in alto, e vide che si stava formando un vortice nero.

Che stava succedendo?

Con una calma glaciale, l’uomo pescò. «Speravo fosse più facile prenderti, ma ti sei dimostrato una vera seccatura. Non mi lasci altra scelta» disse.

Per qualche motivo, Atem fu percorso da un brivido. L’energia malvagia era sempre più forte.

L’uomo materializzò una carta in campo. Stupendo i due Yugi, che si aspettavano un mostro, aveva scelto una carta magia. Non l’avevano mai vista prima. Somigliava a Tifone Spaziale Mistico, ma era viola e rosso. «Ma cosa..?»

«Qui sei troppo potente, ti avevo sottovalutato. Ti porterò dove ti ho in mio potere, allora!» esclamò, prorompendo in una risata resa ancora più cupa dal rimbombo nella maschera.

«Attivati, Altra Dimensione!»

Il vortice violaceo iniziò ad ingrandirsi. Nel frattempo Atem pensava. Altra Dimensione? Che pensa di fare? Vuole “portarmi dove mi ha in suo potere”? Intende il Regno delle Ombre? Controllò freneticamente le carte che aveva in mano, ma non c’era nessuna magia che potesse neutralizzare quello strano vortice. Che succederà ai miei maghi?

Finalmente il vortice smise di crescere. Fu allora che iniziò a muoversi. Dritto nel suo campo.

Con grande sorpresa sia di Yugi che di Atem, quello strano vortice passò attraverso i suoi mostri, lasciandoli intatti. Ma non si fermò. Proseguì dritto verso il duellante, e lo inghiottì.

Ritrovandosi immerso in un indefinito spazio rosso, il Faraone si trovò a lottare per non perdere conoscenza. Era difficile, sentiva moltissimi rumori indistinti intorno a lui, diversi suoni che non capiva…

Poi sentì una voce nota.

Se fino ad allora aveva miracolosamente conservato un briciolo di calma e freddezza, la perse in quel momento.

«Yugi! Atem!!!»

Conosceva bene quella voce, l’avrebbe riconosciuta in mezzo a mille simili.

Anzu.

 

 

 

Beep, beep.

Una mano assonnata andò alla ricerca del cellulare, pensando di spegnere la sveglia.

Solo dopo aver guadagnato un minimo di lucidità si rese conto che lui non aveva impostato nessuna sveglia.

Non solo, prendendo in mano il cellulare sul comodino si rese conto che non era quello a suonare.

Sempre più stupito, il bambino noto come Conan Edogawa recuperò il farfallino-modulatore vocale e prese il cellulare di Shinichi da una tasca dello zaino. Fortuna che Kogoro aveva il sonno pesante.

Il numero era sconosciuto. Sempre più strano. Chiunque lo stesse chiamando doveva avere davvero urgenza di parlargli, perché il cellulare continuò a suonare tutto il tempo che gli ci volle per chiudersi in bagno ed impostare il modulatore sulla voce di Shinichi. «Pronto?» mormorò, sperando di non svegliare Ran.

«Perché ci hai messo tanto, detective?!»

Per Shinichi quello fu il colpo definitivo. «Kid?! Come fai ad avere questo numero?»

«Non ho tempo per queste sciocchezze» rispose Kid sbrigativo, aggiungendo però subito «ed ovviamente per me è stato un gioco da ragazzi». Era facile per il bambino immaginare il volto ghignante del ladro fantasma, ma nel suo tono avvertì anche altro. Se non l’avesse conosciuto, Conan avrebbe pensato che fosse… preoccupato? Difficile da credere.

«Stanotte mi trovavo dalle parti di Haido» iniziò a raccontare il ladro. Aveva ormai tutta l’attenzione del piccolo detective. «Improvvisamente è successa una cosa… Strana. Hai presente quando faccio apparire qualcosa dal nulla?»

«Quando fingi di farlo, vuoi dire?» replicò Conan, incapace di trattenersi. Istinto da detective. «È sempre un piacere svelare i tuoi trucchi». Aveva nel frattempo messo via il farfallino, non valeva la pena di fingere con Kid. Non sapeva come, ma quel ladro conosceva bene la sua vera identità.

«Sì, ecco… Stanotte qualcuno è apparso davvero dal nulla. Nessun trucco. Su un tetto vicino a dov’ero, così, da un momento all’altro».

Il bambino inarcò un sopracciglio. «Ti sei addormentato, hai avuto un sogno realistico e per questo hai sentito il bisogno di chiamarmi?» indagò scettico. D’accordo che aveva sviluppato un margine di tolleranza per la fantascienza – insomma, lui aveva diciassette anni e ne dimostrava sette a causa di una pillola –, ma a tutto c’era un limite. Cosa doveva pensare, che esistesse un mantello dell’invisibilità? Ma per favore.

«Non ho dormito. Era uno strano uomo, indossava una maschera da corvo. Piuttosto inquietante, se vuoi saperlo. Comunque, non mi ha notato, e mi sono avvicinato per capirci qualcosa. All’inizio pensavo anch’io ci fosse un trucco, una botola nascosta o qualcosa del genere».

«E non l’hai trovato, quindi vuoi che ci pensi io?» Shinichi era sempre più incredulo. Kaito Kid gli stava davvero passando un caso? Surreale.

«No» rispose però il ladro, spazientito. «Non c’era nessun trucco, ti dico – ma non è questo il punto. Quell’uomo ha fatto una telefonata. Ha ordinato a qualcuno di trovare e portargli un ragazzino…» Un sequestratore?

«…e il qualcuno a cui l’ha ordinato si fa chiamare Gin, per quel che ho sentito» concluse.

«Ho pensato ti potesse interessare, visto che l’uomo che mi ha fatto quasi saltare in aria mentre vestivo i panni della tua amichetta si fa chiamare Bourbon, e mi chiamava Sherry. Insomma meitantei, non so chi siano questi tizi fissati con l’alcool, ma il tono con cui ha dato gli ordini l’uomo-corvo non mi è piaciuto per niente. Sono ore che giro alla ricerca del ragazzino».

Shinichi si accorse di tremare. Gin. In più, l’uomo che aveva dato l’ordine indossava una maschera con un corvo… Ricordava fin troppo bene le parole sussurrategli da Akemi in punto di morte.

“«Si vestono sempre di nero, come dei corvi…»”

Possibile che?!

«Dov’è quell’uomo ora?!» quasi urlò al telefono. Si maledisse mentalmente ricordandosi che Ran – e Kogoro – erano a poca distanza.

«Scusami?»

«L’uomo con la maschera! Quello che sarebbe apparso dal nulla! Dov’è?!» chiese ancora, agitato.

«Non ne ho idea» rispose piatto il ladro. «Mi hai ascoltato o hai fatto finta, detective? Ti dico che c’è qualcuno in pericolo in giro per la città e tu mi chiedi dell’uomo?»

«Come hai potuto lasciarlo andare!» sbottò Shinichi. Kid aveva ragione, bisognava trovare l’obiettivo di quegli assassini, ma se quello fosse davvero stato il capo dell’Organizzazione… Pensare che il mago gli era arrivato così vicino…

Conan non poteva saperlo, ma dall’altra parte della città Kaito fece una smorfia. «Quel tipo emanava un’aura strana» disse. «E comunque che potevo fare, con la mia pistola spara-carte? Sono abbastanza certo che fosse armato, e per quanto mi secchi ammetterlo, avrebbe avuto buone probabilità di sopraffarmi. Soprattutto se può materializzarsi dal nulla. Sono stato fortunato che non si sia accorto di me» terminò seccato. Giustificarsi era l’ultimo dei suoi pensieri in quel momento.

Non stava facendo tutto quello solo perché c’era qualcuno in pericolo, o perché la vista di quell’uomo gli avesse dato i brividi. Quell’uomo era vestito di nero ed indossava una maschera da corvo.

Nero ed un animale. L’idea che fosse coinvolto con l’Organizzazione che aveva provocato la morte di suo padre, Toichi Kuroba, non sembrava così astratta.

Per questo Kaito aveva messo, una volta tanto, da parte l’orgoglio ed aveva telefonato a Kudo Shinichi, il suo rivale. Non conosceva i dettagli, ma anche lui era coinvolto con un’Organizzazione simile a quella. Un alleato poteva fargli comodo.

«D’accordo. Ma come troviamo l’obiettivo di quegli uomini? Devi darmi un indizio», disse Conan, una volta ritrovata la lucidità mentale. Il ladro aveva ragione, non era il momento di perdere la calma.

«L’uomo l’ha descritto così: un ragazzo di circa 17 anni, con i capelli neri e le punte viola, ritti a formare quasi una stella. Ha anche una frangia bionda, insomma non passa proprio inosservato. Ha anche detto che sarà quasi sicuramente spaesato, in giro per la città».

Conan rimase zitto qualche secondo, assimilando le informazioni. «Non è proprio la descrizione che mi aspettavo, ma grazie, Kid. Certo non rischiamo di confonderlo con qualcun altro. Spero solo non sia già finito nelle mani di Gin».

«Se lo speri, sbrigati ed esci anche tu a caccia, detective» commentò Kaito, attaccando subito dopo.

Conan restò qualche secondo a fissare il cellulare.

Quel ladro riusciva sempre ad irritarlo, anche quando gli proponeva un’alleanza.






- Angolo Autrice -

Grazie per aver letto :)

Come accennato nell'introduzione, ho iniziato questa fic per partecipare alla Crossover challenge! di Elettra.C . Era un po' che volevo provare a scriverne uno comunque! Spero mi venga bene.

Per ora che ne pensate? Fatemi sapere!

Alla prossima,

Mari

P.S.

Chiedo perdono per i duelli, non tocco Yu-gi-oh da una vita e ho inventato metà delle carte. Siate clementi :)

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Capitolo 2
*** Dove? ***


Sentiva un terribile fastidio agli occhi. Provò ad aprirli, ma dovette subito richiuderli con una smorfia di dolore. La luce era accecante. Tastando intorno a sé cercò di tirarsi su, ci riuscì poggiando la schiena su quel che, immaginava, era il muro di qualche abitazione.
Schermandoli con la mano li riaprì, più lentamente. La testa gli pulsava.
Ma che..?
Dopo essersi abituato a tutta quella luce, Atem si appoggiò meglio contro il muretto. La vista che gli si proponeva lo stupì.
Non riconosceva niente di ciò che aveva intorno.
Quel posto non somigliava neanche lontanamente a Domino City, né a tutti gli altri luoghi che aveva visitato negli ultimi anni. Non sapeva spiegarlo, ma gli dava proprio una sensazione diversa, come se il mondo si fosse capovolto.
Non era la prima volta che gli succedeva; aveva provato lo stesso senso di non-appartenenza quando Yugi aveva completato il puzzle, risvegliandolo dal suo sonno.
Non avrò viaggiato ancora nel tempo..? considerò preoccupato.
I ricordi della sera prima gli tornarono alla mente, e le preoccupazioni legate a quello strano luogo passarono in secondo piano. Devo trovare Anzu… Era certo di aver sentito la voce della ragazza prima di sparire, ed era terrorizzato all’idea che fosse finita nelle mani del suo avversario.
Ma come avrebbe fatto a trovarla? Non aveva nessun indizio.
Abbassò lo sguardo sul Puzzle che portava al collo per trarne un po’ di conforto.
L’effetto fu l’opposto: il Faraone scivolò ancora più nella disperazione, rendendosi conto di non avere la piramide rovesciata al collo.
Fu solo grazie ad un enorme sforzo di volontà che non cadde nel panico mentre cercava freneticamente di rintracciare Yugi dentro alla sua testa.
Senza ottenere alcuna risposta.
¤
«Ho capito. Grazie comunque, Takagi. Se scopri qualcosa, avvisami immediatamente..! È fondamentale!»
Con quest’ultima raccomandazione, Shinichi attaccò senza lasciare al povero poliziotto neanche il tempo di rispondere.
Quella notte non era stato segnalato nessun individuo sospetto. C’erano stati un paio di furti, ma i responsabili erano già stati catturati e le loro descrizioni non combaciavano con quella riferitagli da Kid.
Così non andava. Aveva finito di controllare il parco di Haido, ma aveva veramente troppi pochi indizi per quella ricerca. Cercare un diciassettenne in giro per Tokyo conoscendone solo l’aspetto era come cercare un ago in un pagliaio, non importa quanto peculiare fosse la sua capigliatura.
Stando alle informazioni del ladro non doveva essere di Tokyo, visto che era “spaesato”. Per questo aveva pensato potesse aver deciso di nascondersi in un parco, ma era un azzardo. Quel ragazzo avrebbe potuto essere dovunque.
Si passò una mano tra i capelli, frustrato. Non poteva farcela da solo, non così.
Prese il cellulare di Shinichi e notò con stupore che c’erano due chiamate perse.
Entrambe da Ai.
La richiamò subito.
«Si può sapere dov’eri finito?» il tono glaciale di Ai gli suggerì che era piuttosto irritata, ma c’era altro. Il detective aveva avvertito una punta di preoccupazione nella sua voce. Sperò di essersi sbagliato, perché l’ultima cosa che gli serviva in quel momento era un altro problema.
«Stamattina il dottore ha trovato qualcuno» disse Ai. «Davanti al muretto di casa tua. Si reggeva a stento, è tuttora molto debole. Agasa l’ha portato qui e ora sta dormendo sul divano» la ragazza fece una pausa. «Non mi dà l’impressione di essere uno di loro, Kudo, ma è sospetto. Che ci faceva lì? E poi ha dei capelli semplicemente assurdi
Shinichi non credeva alle sue orecchie. Capelli assurdi..? Possibile che fosse proprio lui?
Ai si spazientì. Mezzo minuto di conversazione e il ragazzo ancora non aveva parlato. «Il gatto ti ha rubato la lingua?» domandò caustica. «Degnati di venire qui, quando ritrovi la voce. O è chiederti troppo?»
«Arrivo subito» fu l’unica risposta. Shinichi chiuse la chiamata e salì sul suo skate, partendo a tutta velocità in direzione di Beika. L’aveva davvero trovato?
¤
- Parco di Ueno (Tokyo) -
 
Yugi si era svegliato piuttosto confuso. Si trovava fra due cespugli, e non ricordava assolutamente come ci fosse finito. Gli pulsava la testa.
Si guardò intorno spaesato. Poco distante da lui c’era una panchina. La luce del sole era filtrata da alberi tutto intorno a lui. Doveva trovarsi in un parco.
Ma quale? Non gli era familiare. Si alzò lentamente, reggendosi alla panchina. Il suo mal di testa non accennava a diminuire, anzi. In quel modo non riusciva a ragionare.
Si sedette.
L’ultima cosa che ricordava era… lo scontro. Aveva lasciato che se ne occupasse Atem.
E poi quel vortice violaceo.
Venirne risucchiato era stato orribile, Yugi si era sentito spezzare. Ma guardandosi ora sembrava che fosse illeso. Era stata solo una sensazione?
Rimase immobile su quella panchina per un bel po’. Non avrebbe saputo dire per quanto.
Sapeva solo che il mal di testa aveva finalmente iniziato a passargli. Fu allora che successero due cose.
La prima, si accorse di non avere più il Puzzle al collo, e di non aver sentito la presenza del Faraone nella sua mente da quando si era svegliato.
La seconda, sentì una voce. Qualcuno gli stava parlando. Si forzò a concentrarsi sull’ambiente esterno a lui. Una bambina lo stava chiamando.
«Oniisan? Oniisan! Stai bene??»
Yugi ci mise un po’ a capire. La bambina parlava in giapponese, ma aveva uno strano accento. Non l’aveva mai sentito prima. Poteva essere un indizio su dove fosse quel posto.
Provò a parlare, ma aveva la gola troppo secca, gli faceva male. Si limitò ad annuire.
Solo allora si accorse che intorno a loro c’erano altre persone, molte delle quali gli rivolgevano occhiate curiose o compassionevoli.
Doveva avere un aspetto penoso.
La bambina gli sorrise. «Perché sei qui tutto solo?»
«Mari!» l’urlo improvviso di una donna distrasse Yugi, facendogliela cercare istintivamente. Non fu difficile, perché la donna si avvicinò ed afferrò la bambina per un braccio. Squadrò il ragazzo con aria torva. «Quante volte ti ho detto che non devi parlare con gli estranei?» la sgridò trascinandola via.
Quando furono sparite dalla vista, Yugi si alzò. Non sapeva dov’era, ma doveva iniziare a muoversi. Doveva scoprire dov’era finito il suo puzzle, per ritrovare il Faraone. La sua unica traccia al momento era l’uomo con la maschera da corvo, forse trovando lui avrebbe avuto qualche risposta.
Scelse una direzione a caso, sperando lo portasse ad uscire dal parco.
Aveva fatto solo pochi passi che avvertì una mano sulla spalla. Si fermò e si voltò a fronteggiare la proprietaria della mano.
Era una giovane donna. Da come lo guardava sembrava volesse imprimersi il suo volto in modo indelebile. Indossava un’uniforme – doveva essere una poliziotta.
Sforzando la gola dolorante, Yugi parlò. «Posso aiutarla, agente?»
Sentendolo parlare la donna sorrise. Per qualche motivo Yugi avvertì un brivido scendergli giù per la schiena.
«Yes, you probably can, boy»
La poliziotta mise davanti al volto di Yugi quello che sembrava essere un distintivo. Il ragazzo cercò di leggerlo, ma dall’oggetto uscì una nuvoletta di gas.
Perse i sensi quasi immediatamente, finendo fra le braccia della donna.
Alcuni passanti si fermarono, vagamente preoccupati, ma la donna in uniforme li rassicurò in buon giapponese. Il ragazzo aveva avuto solo un calo di zuccheri, disse, e si sarebbe occupata personalmente di portarlo in ospedale per un controllo.
Tranquillizzata così la loro coscienza, i passanti si disinteressarono della cosa e proseguirono per la loro strada, non notando che la presunta poliziotta entrò insieme al ragazzo su una Porsche nera che l’aspettava subito fuori dal parco, e che la direzione presa dalla macchina era totalmente opposta al più vicino ospedale.
¤
Il Faraone si svegliò di soprassalto. Ricordava vagamente di aver incontrato un anziano gentile che gli aveva offerto il suo aiuto. Aveva detto di essere un dottore. Era sembrato sincero, ed Atem l’aveva seguito dentro casa. Avrebbe preferito cavarsela da solo, ma come poteva, non sapendo neanche dove si trovava? In più era debole, troppo debole. Accettando l’aiuto di quell’uomo contava di recuperare le forze e, magari, ottenere un po’ di informazioni.
Dentro casa l’uomo gli aveva preparato un tè. Dopo, ricordava solo che le palpebre gli si erano fatte sempre più pesanti… doveva essersi addormentato sul divano.
Mentre era incosciente, aveva rivissuto la battaglia della sera prima. Le parole dell’uomo-corvo continuarono a rimbombargli in testa anche ora che si era risvegliato.
“«Ti porterò dove ti ho in mio potere!»”
«Ehi, mi senti?»
A riportarlo alla realtà fu la voce di un bambino. Non si era nemmeno accorto della sua presenza.
Doveva avere più o meno sette anni, pensò.
Anche lui aveva, come l’anziano che l’aveva aiutato, uno strano accento.
«Dove sono?» chiese Atem diretto. Era quel che più gli premeva sapere.
Non era del tutto certo di potersi fidare – il sonno improvviso che l’aveva colto era sospetto; avevano messo qualcosa nel tè? – ma, oltre a non avere molta altra scelta, il fatto che non l’avessero legato lo faceva ben sperare.
«A Tokyo, in Giappone» rispose il bambino. Osservava con curiosità il ragazzo ancora steso sul divano, ma non sembrava particolarmente stupito dalla sua domanda. «Chi sei, oniichan?»
Tokyo?
Atem si tirò su a sedere. «Quanto siamo lontani da Domino?» chiese ancora, ignorando la domanda rivolta a lui.
Stavolta il bambino sembrò un po’ più stupito, o per lo meno confuso. «Domino?» ripetè incerto.
«Sì, Domino City. Non la conosci?»
Era strano, Domino era una città piuttosto conosciuta. Era praticamente la Capitale dei Duellanti.
Fu attraversato da un terribile sospetto. Forse la confusione derivava da qualcosa che era avvenuto a Domino?
«Mai sentita, oniichan. È da lì che vieni? Per questo hai uno strano accento?» indagò Conan.
Quel ragazzo aveva i capelli proprio come li aveva descritti Kaito Kid, cosa che non era certo fosse possibile. Le punte sembravano mantenere la forma per magia, non si erano scomposte neanche mentre il giovane dormiva. Sembrava straniero, a giudicare dai tratti del volto, ma parlava il giapponese senza problemi. L’unica cosa strana era la pronuncia.
Chiunque fosse, non c’erano dubbi che l’obiettivo degli uomini in nero fosse proprio lui.
Insomma, quante probabilità c’erano che non una ma due persone avessero quel tipo di acconciatura?
Shinichi, che non aveva mai distolto gli occhi dal volto dello strano ragazzo, colse un lampo di shock seguire le sue parole. Non durò molto.
«In che anno siamo?» chiese Atem, sperando di sbagliarsi. Se era finito in un’altra linea temporale Yugi, Anzu e il Puzzle avrebbero potuto trovarsi letteralmente dovunque – e in qualsiasi momento, per quel che ne sapeva. Non poteva pensarci.
«20**» rispose Conan. Se quella domanda l’aveva stupito non lo diede a vedere.
Questo ragazzo mi incuriosisce sempre di più, pensò il detective, un luccichio nello sguardo.
L’anno è lo stesso. Ma allora..? Atem provò contemporaneamente sollievo e confusione.
Restarono in silenzio per qualche minuto, poi il Faraone si alzò. «Devo trovare i miei amici», disse.
Stavolta Conan sbarrò gli occhi. «I tuoi..? C’è qualcun altro quindi?»
«Sì, o almeno credo» rispose sbrigativo lo spirito millenario. Aveva perso troppo tempo, ora che aveva la certezza di trovarsi nel suo tempo – anche se il senso d’estraneità permaneva – era più ottimista riguardo al trovare Yugi e Anzu. Portò una mano in tasca, e constatò con sollievo che il suo deck era al suo posto. Non era solo.
Vedendo il suo sguardo riempirsi di decisione, Shinichi inarcò un sopracciglio. «Non puoi uscire, oniichan» esclamò, mettendoglisi davanti. «Fuori ti stanno cercando. È pericoloso».
E ancora non ho scoperto chi sei e perché ti cercano, pensò. Shinichi odiava non sapere qualcosa. Non l’avrebbe lasciato andare prima d’aver sentito una spiegazione soddisfacente ed aver pianificato attentamente una strategia.
Se l’uomo vestito da corvo era chi pensava, forse il momento di muovere Scacco Matto all’Organizzazione era finalmente arrivato.
Atem lo squadrò dubbioso. C’era qualcosa in quel bambino che stonava, ma non aveva ancora ben chiaro cosa.
«Mi cercano?» ripeté. «Quindi sai chi sono?»
Il detective sfoderò il sorriso più innocente di Conan.
«Non esattamente. È una storia un po’ complicata» disse, prendendo Atem per la mano e portandolo a risedersi sul divano. «Ora ascoltami attentamente».
Quel ragazzino gli dava decisamente i brividi.
¤
Niente da fare, pensò Kaito scoraggiato. Aveva perlustrato praticamente tutta la città, e non era certo stata un’impresa facile. Per cercare un ragazzo che neanche conosceva aveva perfino ignorato le chiamate di Aoko. Era pomeriggio inoltrato ormai, il sole stava tramontando.
Presto sarebbe stato nell’elemento preferito dal suo alter ego, la notte.
Ma per quanto ci si impegnasse trovare una persona in una città di oltre quindici milioni di persone era quasi impossibile, a meno di essere veramente molto fortunati.
Decise di passare da casa. Poi, prima di uscire nuovamente in perlustrazione, avrebbe chiamato Kudo. Più tempo passava, più era probabile che a trovare il ragazzo fossero gli uomini in nero.
«Non conosco nessuna città del genere! Smetta di farmi perdere tempo, signorina!»
Quell’urlo improvviso lo distrasse dai suoi pensieri. A lamentarsi era stata una signora di mezza età. Doveva essere appena tornata dalla spesa, perché aveva due buste piene in mano.
Il rimprovero era rivolto ad una ragazza alta più o meno quanto Aoko, con i capelli del suo stesso colore, ma più corti. Doveva esserci rimasta male, perché Kaito colse un’espressione esitante sul suo volto. La donna le voltò le spalle e continuò per la sua strada.
Stato d’emergenza o no, Kaito non poteva semplicemente ignorarla.
«Posso aiutarti?» le chiese, poi le mise la mano dietro l’orecchio e fece apparire una rosa bianca. «Signorina?» aggiunse, sfoggiando il suo sorriso più amichevole.
La ragazza guardò lui e il fiore, alternamente, confusa.
«Conosci Domino City?» chiese poi, con un lampo di determinazione negli occhi.
Kaito fece sparire nuovamente la rosa, preso in contropiede. Gli era sembrata disperata prima, ma si stava ricredendo.
«Mai sentita» rispose, quasi dispiaciuto.
La ragazza scosse la testa. «Non è possibile», disse. Fissando lo sguardo in quello del mago, «Deve pur esserci qualcuno che la conosca!» esclamò decisa.
Al ladro ricordò un po’ Aoko quando dichiarava che suo padre avrebbe smascherato Kid.

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Capitolo 3
*** Verità? ***


Kaito sorrise. «Sei molto determinata. Questo posto dev’essere molto importante per te».

La ragazza scosse la testa. «Non è il luogo in sé», disse. «Devo trovare i miei amici».

Sentendo quella frase Kaito si riscosse. Anche lui doveva trovare qualcuno, non poteva dilungarsi oltre con quella ragazza. Gli dispiaceva, però. «Capisco. I tuoi amici sono fortunati» affermò. Con un agile movimento del polso fece nuovamente apparire la rosa. «Ti auguro buona fortuna, signorina».

Lei guardò qualche secondo il fiore, pareva indecisa se accettarlo o meno. Alla fine lo prese.

«Mi chiamo Anzu» disse. «Questa rosa è il tuo modo di salutarmi?»

A Kaito sembrò che le tremasse la voce, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco: lo strano accento della ragazza rendeva difficile distinguerne bene l’intonazione.

Osservandola più attentamente, notò che stava stringendo la rosa con decisamente troppa forza.

Si era lasciato distrarre dalla sua determinazione: era comunque una ragazza sola in una città che, apparentemente, non conosceva. Era normale che fosse spaventata.

Ma lui doveva andare. Mentre chiacchierava con Anzu, un ragazzo da qualche parte in città rischiava la vita.

Lo sguardo gli andò sui suoi capelli. Erano piuttosto normali, non come quelli che doveva cercare lui. Eppure era così spaesata… e ora che la guardava meglio, notò anche delle evidenti occhiaie.

Maledicendosi mentalmente, decise che non poteva semplicemente lasciarla lì.

«Da quant’è che sei in giro, Anzu? Hai mangiato qualcosa oggi?»

«No, io… Non ci ho pensato» rispose incerta la ragazza. Presa com’era dalla ricerca di Yugi e dal tentativo di raccapezzarsi in quella città sconosciuta, mangiare era stato l’ultimo dei suoi pensieri.

Era strano, ma non si sentiva neanche affamata. Era come avere un nodo alla bocca dello stomaco. «Non penso che riuscirei a mangiare» aggiunse per chiudere l’argomento.

Quando il ragazzo si era fermato a parlarle, prima persona amichevole di quella giornata, aveva provato un senso di sollievo. Si era rassicurata, ed istintivamente aveva sperato che non la lasciasse.

Era stanca, aveva girato inutilmente per ore. Non aveva ottenuto niente se non risposte sgarbate o, nel migliore dei casi, perplesse. Ma sembrava che nessuno avesse del tempo da dedicarle.

Poi era apparso lui e le aveva regalato un fiore.

Anzu sospirò. Che cosa aveva sperato? Era un ragazzo gentile, d’accordo. Ma non poteva aiutarla.

Doveva andare avanti. Certo il fatto che fosse ormai buio non l’aiutava. Vorrei che Yugi e Atem fossero qui… Scosse la testa decisa, scacciando quel pensiero. Stavolta erano loro ad aver bisogno di lei, e avrebbe fatto il possibile. Non aveva il tempo di lamentarsi.

«…mi senti?»

La voce del ragazzo la riportò alla realtà. Arrossì. Si era persa nei suoi pensieri e l’aveva completamente ignorato. «Scusami», mormorò. «Ti ho rubato abbastanza tempo. Vai pure, non preoccuparti», l’incoraggiò.

Kaito alzò lo sguardo e si grattò la testa. «Devo esserti antipatico», commentò. «Ti ho proposto di venire con me a mangiare un boccone e raccontarmi la tua situazione così da poterti aiutare, ma se la tua risposta è cacciarmi…»

Anzu non credeva alle sue orecchie. Le stava davvero proponendo il suo aiuto? E lei poteva accettarlo?

«Non so neanche come ti chiami».

Non sapendo cosa rispondere disse la prima cosa che le passò per la testa.

Kaito non riuscì a trattenere una risata.

Non se n’era reso conto, ma durante tutta la giornata aveva accumulato parecchio stress. Rilasciarlo in quel modo gli fece bene.

«Kaito Kuroba, al tuo servizio» si presentò con un mezzo inchino. «Ora però ti pregherei di andare. Dovrei cercare una persona anch’io».

Ancora un po’ incredula, Anzu annuì e seguì il ragazzo per le vie a lei sconosciute di Tokyo.

¤

«No…»

Un proiettile si conficcò nel pavimento a meno di un centimetro dalla testa di Yugi. La cosa peggiore era lo sguardo freddo dell’uomo che aveva premuto il grilletto.

Yugi non aveva mai visto uno sguardo così puramente crudele, nemmeno in Bakura. Quell’uomo biondo sembrava seriamente pronto ad ucciderlo, il liceale si ritrovò ad interrogarsi su quando sarebbe successo. Aveva paura. Non voleva morire in quel modo, senza neanche sapere in che condizioni fossero i suoi amici – specialmente Atem. Doveva fare qualcosa… ma cosa?

L’assassino vestito di nero alzò nuovamente la pistola.

«Non farmi perdere altro tempo, ragazzino. Dimmi dov’è il puzzle o muori, lo troverò comunque».

Stavolta puntava direttamente alla sua fronte. Yugi si riscoprì a tremare. Era così che finiva quindi? Veniva ucciso da uno psicopatico senza avere la possibilità di reagire?

Ingoiò un po’ di saliva.

Quelli potevano essere i suoi ultimi momenti, ma certo non avrebbe tradito i suoi amici.

Fissò la canna della pistola in religioso silenzio.

¤

«Non è carino prendere in giro gli altri», si lamentò Shinichi. «Soprattutto i bambini».

Atem aveva appena finito di raccontargli come fosse finito lì, senza omettere alcun dettaglio. Nemmeno quello di essere un Faraone vissuto migliaia d’anni prima.

Il bambino l’aveva ascoltato con aria scettica, assumendo un’espressione seccata quando aveva concluso. Era evidente che non credesse ad una parola.

«Non sono io quello che mente, qui» replicò Atem piatto. «Un ladro ha casualmente sentito un uomo sospetto ordinare di cercarmi, d’accordo. Posso crederlo. Ma perché avrebbe chiamato te?» fece una pausa e rivolse uno sguardo significativo a Conan. «Ho percepito subito qualcosa di strano in te. Non ne ero certo, ma ora lo sono. Tu non sei affatto un bambino».

Shinichi sussultò. Quella non era una domanda, quello strano ragazzo l’aveva affermato con sicurezza. Com’era possibile? Aveva scoperto il suo segreto in pochi minuti, mentre Ran – che lo conosceva da sempre – si era fatta ingannare per mesi.

Non era l’unica cosa strana. La storia raccontata dal ragazzo era piuttosto fantasiosa, palesemente inventata – la magia non esiste, su questo Shinichi non aveva dubbi –, ma lui era sembrato sincero. Non aveva dimostrato la minima incertezza mentre parlava. Uno dei vanti del giovane detective era l’essere in grado di capire quando una persona mentiva. In quel modo riusciva a scoprire molti assassini ancora prima di capire che trucco avessero usato. Ma il suo talento non sembrava funzionare con quel ragazzo. Doveva essere o un bugiardo veramente abile, o completamente pazzo. Non riusciva a capire.

«Non fare quell’espressione sconvolta, Kudo»

Shinichi si riscosse. Haibara era entrata nella stanza – o era lì da prima? Non avrebbe saputo dirlo. Aveva concentrato tutta la sua attenzione sull’estraneo.

Shiho continuò. «Da un punto di vista puramente scientifico, l’esistenza di più dimensioni alternative è estremamente probabile. Perché dovrebbe esistere un solo universo? Le probabilità sono infinite. E non mi stupirebbe affatto scoprire che alcuni di questi universi si differenziano dal nostro solo per piccoli dettagli – la magia, ad esempio».

Shinichi la guardò scettico. «La magia è un dettaglio piccolissimo, in effetti…» commentò.

Atem osservò incuriosito la piccola scienziata. Emetteva un’aura simile a Conan, probabilmente non era una bambina neanche lei. Senza probabilmente, pensandoci meglio. Mai vista una bambina che parla con tanta sicurezza della probabilità scientifica dell’esistenza di infiniti universi…

Conan si avvicinò ad Ai per non farsi sentire dal terzo ragazzo. «Vuoi dirmi che gli credi?»

Shiho socchiuse gli occhi, prendendosi qualche secondo per scegliere con cura le parole.

«Che altri universi esistano, è estremamente probabile. Che sia possibile attraversarli lo è molto meno» disse. «Certo, è più facile pensare di farlo con la magia piuttosto che con la scienza… Ma non ne so abbastanza in merito per poter giudicare». Sentiva su di sé lo sguardo del Faraone, ma non batté ciglio, anzi, prese a fissarlo a sua volta. Se la sua storia era vera, poteva essere un soggetto di studio estremamente interessante.

«C’è qualcuno» affermò Atem all’improvviso.

Conan lo guardò storto. Ora voleva convincerlo anche dell’esistenza dei fantasmi, magari?

In quel momento suonò il campanello.

Shiho non nascose la sorpresa, mentre Shinichi non sapeva come reagire. Come faceva a saperlo? Seduto sul divano dava le spalle alla porta, non poteva aver visto arrivare nessuno.

Qual era il suo trucco?

Doveva per forza esserci un trucco. Se non ci fosse stato – se fosse stata magia – tutte le sue convinzioni sarebbero state messe in discussione. Il detective non poteva neanche pensarci.

Continuando ad esaminare ogni possibilità – una volta eliminate le più assurde avrebbe trovato la verità, per quanto improbabile fosse; così insegnava Sherlock Holmes – andò alla porta.

“Qualcuno” non spiegava comunque chi fosse.

Prima di aprire esitò. Possibile che fossero gli uomini in nero..?

Potevano aver rintracciato il ragazzo in qualche modo? Se così fosse stato, il dottore era a rischio.

Non sembrava un’ipotesi probabile, però…

Con un groppo in gola, Conan aprì la porta.

Davanti a lui vide un ragazzo che non conosceva. Lo guardò meglio. Sembrava familiare…

«Shinichi?!»

La voce scioccata del dottor Agasa, materializzatosi accanto alla porta, lo stupì.

Ecco chi gli ricordava quel ragazzo: sé stesso.

Gli occhi del bambino si spalancarono mentre comprendeva.

Non sarà…

Lo sconosciuto sull’uscio sfoderò un sorriso a 32 denti. «Ti trovo bene, detective~»

¤

«Non… lo so…»

La lotta interna al ragazzino era evidente, ma contro il pentothal poteva ben poco. Non che le sue informazioni fossero troppo utili, comunque.

Se Gin fosse stato ancora nella stanza gli avrebbe sicuramente sparato; fortunatamente Vermouth l’aveva allontanato prima di procedere all’iniezione.

Studiò incerta il volto della loro vittima, Yugi Muto. Lei era l’unica nell’Organizzazione a conoscere la sua reale identità, l’unica a cui il boss avesse parlato delle altre dimensioni.

Stando a ciò che sapeva, Yugi e il Faraone, che poi era il loro vero obiettivo, condividevano lo stesso corpo. Prendere uno sarebbe dovuto equivalere a prendere l’altro. Ma quando l’aveva trovato, il ragazzo non aveva con sé il Puzzle del Millennio, l’oggetto che permetteva il contatto fra le due anime. Inizialmente aveva pensato che con il cambio di dimensione avesse cambiato forma o qualcosa del genere, ma durante l’interrogatorio di Gin lo spirito millenario non si era fatto sentire in alcun modo. Ma dov’era finito allora? Vermouth non sapeva più che pensare.

Decise che non era compito suo trarre le conclusioni di quella vicenda; le informazioni le aveva ottenute, ora l’unica cosa da fare era riferirle al boss. Spettava a lui decidere la prossima mossa.

Con lo sguardo fisso sul ragazzo ormai scivolato in uno stato d’incoscienza, considerò che poteva ancora essergli più utile da vivo che da morto; uscendo chiuse la porta a chiave, più per proteggere l’ostaggio dai più psicopatici fra i suoi colleghi che per un reale timore di una sua fuga.

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Capitolo 4
*** Riunione ***


Sono a casa di uno sconosciuto che dice di volermi aiutare.

Sto usando il suo computer e apparentemente in questo mondo non esiste Domino City, né tantomeno Duel Monsters.

Anzu era indecisa su quale fosse la parte più surreale della sua situazione.

Da quando aveva conosciuto “l’altro Yugi” aveva vissuto esperienze ben al di fuori dell’ordinario, avrebbe dovuto esserci abituata.

Solo che finché si trattava di anime intrappolate in una telecamera o di persone possedute da uno spirito malvagio, se glielo spiegavano, poteva capire. Stavolta non c’era nessuno a spiegarle niente.

Da quando aveva intravisto Yugi venire ingoiato da un inquietante vortice rossastro e, senza fermarsi a pensare, gli si era tuffata dietro cercando di afferrarlo, si era trovata di fronte a molte domande e nessuna risposta. Avrebbe pensato d’aver viaggiato nel tempo, ma un rapido controllo aveva dimostrata errata quell’ipotesi.

Poi c’era Kaito. Era un ragazzo gentile, o almeno lo sembrava. Qualcosa in lui le diceva che poteva fidarsi, ma alcune esperienze negative con Bakura e Marik l’avevano, suo malgrado, resa più pronta a diffidare, anche contro il suo stesso istinto.

Le era venuto qualche sospetto quando aveva scoperto che anche Kaito stava cercando Yugi (o una persona con il suo stesso aspetto, ma le possibilità che si trattasse di un sosia erano risibili).

O era davvero stata così fortunata da trovare un alleato (Anzu voleva davvero crederlo), o era incappata in uno dei nemici del Faraone. Se non altro, in quest’ultimo caso avrebbe saputo che il ragazzo non era ancora finito nelle loro mani.

Riportò lo sguardo sullo schermo del PC e sospirò. Doveva assolutamente risolvere i suoi dubbi su Kaito. Lui era uscito dicendo di dover controllare una cosa subito dopo averle acceso il computer.

Le aveva anche preparato un panino, in realtà, ma lei non l’aveva toccato. Un po’ perché, per quanto ne sapeva, avrebbe potuto metterci un sonnifero, ma soprattutto perché, nonostante fosse digiuna dalla sera prima, non aveva affatto fame. Le veniva la nausea al solo pensiero di mangiare.

Nell’ultima mezz’ora aveva cercato informazioni sul suo mondo (inutilmente) e su Tokyo, la strana città in cui era finita. Ora digitò, sentendosi vagamente a disagio, un nome: Kuroba Kaito.

¤

«Io gli credo».

«Il tuo parere non conta, pazzo di un ladro» replicò subito Shinichi, osservando l’ultimo arrivato e il sedicente Faraone con palese irritazione.

Già l’aveva tradito Haibara, ci mancava solo che un prestigiatore si pronunciasse sull’esistenza della magia.

Kaito, per tutta risposta, sorrise. «Come spieghi tutta questa situazione altrimenti, detective? Con la sua storia torna tutto. Come ha fatto l’uomo-corvo ad apparire dal nulla, come mai in giro per Tokyo ci sono due ragazzi che parlano giapponese con un accento stranissimo e perché sono così spaesati». (Atem, sentendolo, alzò un sopracciglio). Il ladro prese fiato e continuò. «Mettendo tutto questo da parte, comunque, che la magia esistesse lo sapevo già. E non parlo della mia» spiegò, pensando ad Akako, l’inquietante strega che frequentava la sua stessa classe. Non impazziva all’idea di consultarla, ma forse lei avrebbe saputo dir loro qualcosa di più sull’esistenza di altre dimensioni.

Il diciassettenne rimpicciolito scosse ostinatamente la testa.

Vagliata ogni possibilità, aveva finito per scartarle tutte. Una piccolissima parte del suo cervello iniziava a considerare l’ipotesi che la teoria della scienziata fosse corretta, ma tutto il resto di lui si rifiutava di accettarlo. Era in crisi.

Aveva provato qualcosa di simile solo quando un calciatore che ammirava tantissimo aveva commesso un omicidio, e nonostante tutti gli indizi portassero a lui, l’irrazionalità l’aveva dominato e si era appigliato a spiegazioni improbabili, teorie degne di Kogoro.

Stavolta però non era un problema di sentimenti.

La magia andava contro ogni sua convinzione. Era una spiegazione che poteva accettare uno come Misao Yamamura, l’incapace detective di Gunma. Non lui.

«Due?»

La voce di Atem interruppe il filo dei suoi pensieri. Si stava rivolgendo a Kaito. «Hai detto due ragazzi? Hai trovato qualcun altro come me?» l’incalzò, alzandosi anche. Sembrava incapace di restare fermo, dopo quella rivelazione.

Un’altra improbabile ipotesi si formò nella testa del detective del liceo. Possibile che quel ragazzo fosse un agente dell’organizzazione? Magari sospettavano di lui, e lo stavano usando come esca per farlo venire allo scoperto.

Gli ci volle poco per eliminare anche quel pensiero, e scosse la testa sconfortato. Una strategia così elaborata non aveva senso, se avessero avuto sospetti su di lui l’avrebbero prelevato e basta – senza contare che Haibara sembrava essere a suo agio. Non si fidava del tutto dell’estraneo, ma neanche avvertiva la sensazione di terrore puro che provava in presenza di uno dell’Organizzazione.

«Sì, due» confermò Kaito. «Prima di venire qui ho incontrato una ragazza che parla come te. Si chiama Anzu». La reazione del ragazzo confermava l’idea che si era fatto della situazione. Ora doveva solo convincere il piccolo, diffidente detective a collaborare. Sembrava avere serie difficoltà ad accettare tutte quelle informazioni.

Sul volto del Faraone si dipinse il sollievo. «Dov’è lei ora?»

«Al sicuro, a casa mia. Ha girato tutto il giorno per cercarti, le serviva un po’ di riposo ma non voleva saperne. Per convincerla a fermarsi le ho proposto di usare il mio computer per raccogliere informazioni».

Atem annuì. Almeno Anzu era al sicuro. Aveva un brutto presentimento riguardo a Yugi, però.

«Hai detto che torna tutto, ma non è così. Non mi spiego perché sono stato separato dal mio amico. Io non dovrei neanche avere un corpo, attualmente».

Shinichi era seriamente stufo di sentire tutte quelle sciocchezze. Tutto quel che diceva il ragazzo straniero era assurdo quanto la sua capigliatura, tutto totalmente illogico.

«Smettetela» ordinò, incapace di trattenersi oltre. Si voltò verso Atem. «Basta con queste assurdità. Dimmi come hai fatto a sapere che lui stava arrivando». Indirizzò un’occhiataccia a Kaito. «Vi eravate messi d’accordo? C’era un orario prestabilito? Come--»

Kaito lo fermò poggiandogli una mano sulla spalla. «Calma, detective, calma. So che sembra tutto assurdo, ma non puoi chiudere gli occhi per questo. Cos’è, comunque, questa storia di cui parli?»

Atem non batté ciglio di fronte alle accuse del finto bambino. Vedeva che era chiaramente in conflitto, anche se non ne capiva del tutto il perché, ma non poteva permettersi di preoccuparsene.

«L’ho sentito arrivare. Capisco che tu non mi creda, ma non posso perdere altro tempo» spiegò brevemente. Si rivolse a Kaito. «Portami da Anzu, per favore». Sarebbe voluto andare direttamente da Yugi, ma non aveva idea di dove fosse. Sperava che l’amica avesse scoperto qualcosa.

Il ladro del chiaro di luna guardò prima Conan, ancora chiaramente combattuto, poi di nuovo Atem. Annuì. «È meglio se rimani qui, però. Andrò a prenderla» decise.

Sulla porta di casa, esitò un momento. «Detective, cerca di schiarirti le idee mentre sono fuori. Avremo bisogno anche del tuo cervello».

¤

Anzu si prese la testa fra le mani, le faceva male. Aveva recepito troppe informazioni troppo rapidamente. Chiuse la pagina internet e si stese un secondo sul letto.

Un secondo solo… nelle sue intenzioni.

Si svegliò un paio d’ore dopo. Si tirò su a fatica, si sentiva la testa pesante. Si stropicciò gli occhi per uscire definitivamente dal dormiveglia. Per poco non le venne un infarto, trovandosi Kaito davanti.

Seduto su una sedia con le braccia poggiate sullo schienale, il ragazzo l’osservava incuriosito.

«Dormito bene, principessa?»

«…che ore sono?» mormorò lei, ancora un po’ confusa.

Per un secondo aveva pensato di trovarsi nella sua solita stanza… poi la realtà le si era presentata con forza davanti agli occhi.

Il ragazzo le porse un involucro. «Ho visto che non hai toccato il panino. Vuoi che dia un morso io, così vedi che non è avvelenato?» propose.

Stava per schernirsi dicendo che non aveva fame, ma lui la bloccò con un cenno.

«Devi mangiare, dobbiamo andare in un posto. C’è una sorpresa» spiegò sorridendo.

«Una sorpresa..?»

«Ti racconto strada facendo», fu l’unica risposta di Kaito. Poi il ragazzo l’afferrò per un braccio e la trascinò fuori casa.

¤

«Se ho ben capito, la tua anima è contenuta in questo… puzzle, giusto? Un oggetto magico del tuo mondo».

«Possiamo dire così», rispose Atem. La storia degli oggetti del millennio era un po’ più complicata di così, ma non era decisamente il momento di soffermarcisi.

Da quando l’altro ragazzo - Kaito - era uscito, la scienziata in miniatura gli si era avvicinata. Gli aveva dato qualcosa da mangiare e ne aveva approfittato per porgli alcune domande.

L’altro “bambino”, invece, era rimasto in disparte.

L’espressione di Ai si fece pensosa. «Potrebbe essere…» sussurrò.

Atem la fissò incuriosito. Non disse niente, invitandola silenziosamente a continuare.

Persino Conan uscì dalla sua trance e si avvicinò per ascoltare la deduzione dell’amica.

«Potrebbe essere», ripeté Ai, stavolta a voce un po’ più alta, «che nel nostro mondo il tuo puzzle non abbia forma. In fondo la sua esistenza è basata sulla magia, e come un certo qualcuno ci insegna, da noi la magia non esiste» fece una pausa, rivolgendo un’occhiata significativa a Conan.

Lui le rispose con uno sguardo confuso. Non capiva dove volesse arrivare.

Il Faraone, invece, iniziava ad intuirlo. «Vuoi dire…»

Ai annuì. «L’oggetto che ti contiene qui è incorporeo, il tuo spirito no. Il puzzle… potresti essere tu stesso», aveva concluso, con la stessa espressione di uno zoologo che si trovi davanti un esemplare in via d’estinzione.

«Ha senso», commentò Atem osservandosi le mani. Ecco perché si era svegliato senza piramide al collo… spiegava anche come potesse avere un corpo pur essendo stato separato da Yugi.

«Ne dubito», commentò Conan. Mosse qualche passo verso il presunto Faraone.

«Non so se posso crederti», disse. «Ma so che l’Organizzazione ti cerca, quali che siano i motivi. Comunque la guardi, ci conviene unire le forze». La sua espressione contrita diceva il contrario, ma Atem apprezzò comunque l’offerta di alleanza.

«Mi aiuterai a trovare Yugi?»

Shinichi prese un bel respiro, poi annuì. Si sedette alla scrivania ed accese il PC. Dovrà pur esserci qualche indizio, se davvero c’è un altro come lui in giro… magari sono gemelli.

Shiho alzò gli occhi al soffitto. Era veramente difficile far cambiare idea a Kudo.

Si sedette sul divano ed accese la televisione. Magari c’era qualche notizia interessante.

¤

«È qui!»

Anzu si fermò un momento per riprendere fiato e studiò la casa di fronte a lei.

Davvero Atem era lì dentro..?

Non aveva scoperto molto su Kaito, se non che suo padre era tragicamente morto otto anni prima. Le bastava; forse era incosciente, ma aveva deciso di fidarsi.

E quella non sembrava una trappola.

Seguì il ragazzo verso la porta di casa, impaziente di rivedere il suo amico.

«Non puoi trattenermi!»

«È chiaramente una trappola! Andrò io!»

«Non se ne parla!»

Prima ancora che Kaito aprisse la porta, ai due ragazzi arrivarono le urla di Conan e Atem.

Anzu riconoscendo la voce di quest’ultimo ebbe un tuffo al cuore. Era davvero lui.

Entrò in casa mentre una bambina – notò con stupore – prendeva la parola:

«Calmatevi entrambi. Non potete semplicemente andare senza un piano, nessuno di voi due» stava dicendo, riservando un’occhiataccia all’altro bambino nella stanza. Anzu capì con stupore che l’altra voce urlante apparteneva proprio a lui.

Atem scosse la testa. «È una cosa che devo fare comunque», disse.

Solo poi si accorse di Anzu, e l’ombra di un sorriso apparve sul suo volto. «Sei salva».

Lei gli andò incontro; quando lo raggiunse loro e i bambini formavano una specie di piccolo cerchio irregolare. Kaito si posizionò al centro.

«Ci siamo persi qualcosa?» domandò, teso ed eccitato al contempo.

Forse il momento di affrontare gli assassini di suo padre era finalmente arrivato.

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Capitolo 5
*** Pronti? Ai posti... ***


Vodka si accese la decima sigaretta dell’ultima mezz’ora.

Doveva sorvegliare chiunque entrasse nel parco e la cosa non gli piaceva per niente. Il loro obiettivo probabilmente non si sarebbe nemmeno presentato. Avrebbe preferito di gran lunga restare con Gin a guardia del boss.

Invece gli era toccato quel compito ingrato…

Non capiva perché il ragazzo che cercavano avrebbe dovuto consegnarsi a loro.

Avevano diffuso in rete una foto di Yugi, l’ostaggio che avevano catturato, con due o tre lividi in bella mostra. Gin non si era trattenuto più di tanto con l’interrogatorio, nonostante l’ordine fosse di lasciarlo in vita.

Sulla foto avevano semplicemente scritto “Caccia al tesoro, Haido Park”.

Speravano così sia di far capire all’obiettivo che, se avesse voluto ritrovare il suo amico, avrebbe dovuto presentarsi lì, sia di non mettere in allarme le forze dell’ordine. Era solo un gioco, non c’era bisogno di preoccuparsi.

Per la seconda parte aveva funzionato.

Per la prima, era una trappola così lampante che Vodka, al posto del ragazzo, non si sarebbe mai presentato. Non vedeva perché avrebbe dovuto farlo lui, ma d’altra parte a volte le persone con una morale facevano cose molto stupide.

«Qualcosa da segnalare?» mormorò nel microfono collegato al suo auricolare. Era in contatto con Chianti, anche lei assegnata al recupero del bersaglio; studiava però la scena dall’alto, appostata sul tetto di un edificio posizionato di fronte ad un’altra entrata.

Visionava i passanti attraverso il mirino del suo fucile ad alta precisione.

«Nulla» fu la risposta. Chianti sembrava persino più irritata di lui. «Questo lavoro è una noia! Spero che il ragazzino si sbrighi ad arrivare» si lamentò. «Altrimenti il dito potrebbe scivolarmi sul grilletto».

Vodka non replicò; sapeva benissimo che non l’avrebbe mai fatto, rovinare la missione avrebbe avuto conseguenze piuttosto spiacevoli per lei. Anche lui sperava solo di finire in fretta, comunque.

Passò così, inerte, un’altra mezz’ora.

I visitatori del parco continuavano ad aumentare; questo era positivo, in teoria, perché in tutta quella folla sequestrare qualcuno senza dare nell’occhio sarebbe stato più semplice, ma rendeva anche difficile la sua individuazione.

«Ehi, Vodka. Tutta la gente, o quasi, che entra da qui sembra diretta verso uno stesso punto, si muovono a gruppi. Da te come procede?» gli gracchiò la voce del cecchino nell’orecchio.

Lui studiò chi aveva intorno con un po’ più di attenzione. In effetti si stava creando una specie di assembramento. Si alzò dalla panchina su cui era rimasto seduto tutto quel tempo e si avvicinò per capire la causa di tutta quell’agitazione. «Che succede?» domandò bruscamente ad un ragazzino.

Notò con stupore che l’età media di quella folla si aggirava intorno ai quindici anni.

L’adolescente che aveva fermato lo guardò seccato. «C’è un tipo uguale a quello della foto in rete» disse. Parve ripensarci subito dopo. «Come se sapessi di cosa parlo!» sbottò e si voltò per inoltrarsi ulteriormente nel gruppo.

Vodka restò di sasso. Era davvero venuto? Doveva essere proprio stupido. Bene, meglio per me.

C’era però da risolvere il problema di tutta quella gente.

«Chianti, dovrebbe essere arrivato. Ha attirato troppa attenzione, però» bisbigliò nel microfono.

Con suo stupore, l’auricolare gli trasmise la risata della donna.

«Gin l’aveva previsto», comunicò lei, «che qualche idiota avrebbe creduto alla storia della caccia al tesoro. Ho pronta un’immagine che ne comunica la fine, ora la diffondo. Tu accertati che sia davvero lui… e che abbia la piramide al collo, soprattutto».

Più facile a dirsi che a farsi, pensò Vodka, guardando con ribrezzo la calca di ragazzini. Assisté così ad una scena curiosa: si misero a controllare il cellulare praticamente all’unisono.

Subito dopo sentì espressioni irritate, tipo “Ma non è possibile!”, “Che significa?”, “E il premio?”. Ghignò; la seconda immagine aveva fatto effetto, evidentemente. Il gruppo si sfoltì e lui riuscì ad avanzare.

Ora poteva vederlo chiaramente: un ragazzo alto, con i capelli più assurdi che avesse mai visto, ancora circondato da tre o quattro ragazzi. Gli altri, più o meno seccati, si stavano allontanando tutti.

«Ma insomma, davvero non sai niente della caccia?!» sentì dire ad uno dei ragazzini.

«Nulla di nulla», rispose il ragazzo con un’alzata di spalle. La descrizione corrispondeva a quella fattagli da Gin; però… non ha il puzzle, notò allarmato Vodka.

Dopo qualche altra insistenza, lo straniero riuscì a liberarsi dagli altri ragazzi. Mosse qualche passo verso di lui. Sembrava volesse superarlo, ma l’uomo lo fermò.

«Sei qui per il tuo amico?» domandò.

Il ragazzo si congelò all’istante. «Sì», rispose. Non sembrava intimorito.

«Dov’è il puzzle?»

«Questo lo saprete solo quando avrò visto Yugi».

Vodka serrò il pugno. «Credi di poter dettare condizioni?» sibilò minaccioso.

L’altro lo fissò serissimo. «Esattamente. Avete bisogno del mio puzzle, ma se mi uccidete non lo troverete mai, ve l’assicuro. Ascoltarmi è il minimo che possiate fare» spiegò.

Quell’arroganza e sicurezza irritò non poco l’assassino, che tuttavia ghignò. Ma sì, credi pure di averci in pugno. Esistono tanti modi per farti parlare, ragazzino.

«Se le cose stanno così, seguimi» gli ordinò. Uscì dal parco, comunicando a Chianti il passaggio al piano B; invece di eliminarlo sul posto e prelevare il puzzle, l’avrebbe portato da Gin. Tutto questo ovviamente lo sussurrò tenendosi alla debita distanza dal ragazzo, che non poté sentire.

Insoddisfatta per non essersi potuta divertire, la donna rimise il fucile nella custodia e abbandonò la postazione.

¤

«Si muovono!»

A seguito di quell’esclamazione un maggiolino giallo si staccò lentamente dal marciapiede e si immise in strada.

«Dove devo andare, Shinichi?» chiese il professor Agasa, il guidatore del suddetto maggiolino.

«Svolti alla prima a destra e poi subito a sinistra; utilizzeremo la parallela per ora, non voglio che ci notino» spiegò. «Seguiremo il segnale del trasmettitore fino alla loro base, poi agiremo» disse, ricevendo un segno d’assenso dal ragazzo seduto dietro.

«Andrà bene?» chiese un’agitatissima Anzu. «Non gli faranno del male?»

«Non lo permetterò» affermò Conan con sicurezza, ma era teso e si vedeva. «Rientri sull’autostrada, professore, sembrano diretti fuori città».

Il dottore eseguì.

¤

Yugi si trovava in un’enorme stanza chiusa. Non era legato.

Aveva perlustrato la stanza per ore cercando una via d’uscita, ma era stato inutile.

L’unica porta era serrata ermeticamente; c’era una finestra, ma delle sbarre gli impedivano di uscirne, e se anche non ci fosse stato quell’ostacolo materiale, uscire da lì non sarebbe stato semplice: era al primo piano. Lo scoprì affacciandosi.

A complicare ulteriormente le cose, di fronte all’ingresso principale – proprio sotto la sua finestra – stava, immobile, l’uomo biondo che l’aveva torturato. Il solo vederlo provocò forti brividi nel giovane Mutou.

Sedette scoraggiato con la schiena contro il muro esterno.

Cosa faresti se fossi qui, Amico?

Un rumore improvviso lo riscosse bruscamente dalle sue riflessioni. Sembrava… uno sparo!

Scattò in piedi e si affacciò nuovamente. Era stato l’uomo biondo a sparare, probabilmente, visto che aveva la pistola ancora alzata e, se gli occhi non gli stavano giocando uno scherzo, fumante.

Il muso dell’arma era puntato contro un altro uomo vestito di nero e… Yugi tremò.

Non vedeva benissimo a causa della distanza, ma non ebbe dubbi.

Il ragazzo accanto alla macchina scura doveva essere Atem. La sagoma corrispondeva.

Lo stupore di vederlo in forma fisica passò in secondo piano. L’hanno catturato…

«Faraone! No!» urlò, o meglio, ci provò. Dalla sua gola secca uscì solo un rantolo inudibile.

Nonostante il suo ottimismo e la fiducia nei suoi amici, le speranze di Yugi vacillarono. La situazione sembrava disperata; non aveva il suo deck, non sapeva dove si trovasse.

Poteva solo guardare, e così fece. Vide il nuovo arrivato spintonare il Faraone verso l’uomo biondo.

Li vide parlare, ma non riuscì a sentire cosa dicevano.

Avrebbe voluto agire, gridare ad Atem di scappare da lì, ma non poteva.

L’unica cosa che potesse fare era credere nel suo amico, come aveva sempre fatto.

Mi fido di te, pensò, rianimandosi un po’. Non devo disperare.

¤

«Giri qui, professore!» esclamò Conan.

«Ne sei certo, Shinichi? Loro stanno proseguendo» dicendo questo, comunque, il dottor Agasa accostò dove gli era stato detto.

«L’uscita che stanno per prendere porta in aperta campagna, non è una strada frequentata. Non possiamo permettere che ci notino» spiegò il detective. Aprì la portiera e salto giù dall’auto, immediatamente imitato dai due seduti sul retro.

«Lei aspetti qui!» si raccomandò prima di chiudere la portiera. Iniziò a correre seguendo il segnale degli occhiali e tirò fuori il cellulare; aveva ricevuto un messaggio.

– Ok. –

Si concesse un sorriso. Se quella persona stava arrivando, avevano una speranza.

Era stata una fortuna che a ricevere Atem avessero mandato proprio Vodka; non aveva minimamente sospettato la presenza di un localizzatore. Basandosi sul racconto di Kid, Shinichi sospettava che li stesse portando dritti dal capo. Finalmente.

Gettò uno sguardo inquieto dietro di sé, focalizzandosi sulla ragazza, Anzu.

Non capiva perché fosse voluta venire a tutti i costi – o meglio, lo capiva, ma non vedeva come potesse rendersi utile. Avrebbe preferito rimanesse a casa con Haibara.

¤

L’assassino biondo, seguendo gli ordini, portò Atem dal capo, in una stanza interna della villa, senza lasciarlo neanche una volta lì. Non c’erano finestre.

«Ci rivediamo, Faraone».

A parlare era stato un uomo con la maschera da corvo, lo stesso responsabile dell’arrivo di Yugi, Atem e Anzu in quella dimensione. Alla vista del ragazzo egiziano gli si erano illuminati gli occhi – non che nessuno avesse potuto notarlo.

«Libera Yugi». La voce di Atem risuonò nella stanza, decisa, senza traccia di paura.

«Visto dove sei dovresti preoccuparti per te stesso» replicò asciutto l’uomo. Gin rafforzò la stretta sulla spalla del loro ospite. «Ho detto che ti avrei avuto in mio potere, e così è stato. Dov’è il puzzle?» l’interrogò frenetico, studiandolo. A ben pensarci… com’era possibile che avesse un corpo?

«Non l’avrai, se non liberi il mio amico». Di nuovo, il tono di Atem non tradì la minima incertezza.

Gin iniziava a spazientirsi, ma la reazione del capo stupì lui e la vittima della sua presa.

L’uomo scoppiò infatti a ridere, una risata cupa che rimbombò nella maschera per almeno un minuto.

«Allora non l’avrò», disse smettendo di ridere. Il Faraone lo guardò con sospetto. Se solo non ci fosse stata quella maschera, avrebbe potuto provare a decifrare la sua espressione…

«Sembri confuso, Faraone, ma vedi, io non ho mai desiderato il puzzle. Quel che volevo realmente sei tu».

«Non capisco». Non stava andando esattamente come avevano pianificato; sapere che il piccolo detective stesse seguendo la conversazione grazie al microfono-localizzatore piazzato sul suo bracciale lo confortò un po’. Avrebbe potuto aggiustare il piano.

L’uomo-corvo rise ancora. «Legalo, Gin. Poi lasciaci» ordinò bruscamente al suo sottoposto.

Il biondo s’irritò, ma obbedì. Sperava quasi che il ragazzo opponesse resistenza, per potersi sfogare colpendolo, ma questo non accadde. Gli assicurò i polsi e lo bloccò su una sedia. Dopo un ultimo sguardo pieno d’odio ad Atem, Gin uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

«Era proprio necessario?»

La voce del Faraone suonò sorprendentemente calma, nonostante la situazione bloccata in cui si trovava.

L’uomo non gli rispose, ma riprese il discorso di prima. «Ho detto di volerti, ma non è del tutto esatto. Quel che voglio realmente è la tua anima» decretò. Sotto la maschera gli si disegnò un ghigno.

Aveva mandato via Gin perché non avrebbe capito; Vermouth era l’unica a cui avesse confidato i suoi veri piani, l’unica a sapere delle altre dimensioni. Tuttavia anche con lei non era stato completamente sincero. Le aveva fatto credere di poter condividere la sua sorte.

Le aveva parlato di Pandora, la pietra in grado di conferire l’immortalità, se le si faceva assorbire il giusto ingrediente… un’anima millenaria, ad esempio.

Era sempre stato questo il vero scopo dietro alla sua Organizzazione: il raggiungimento dell’immortalità. Grazie ai suoi scienziati aveva ottenuto soluzioni temporanee, fallibili che l’avevano sottratto alla morte… per il momento. Non sopportava più di dover dipendere da loro, di dover temere ogni giorno la fine della sua vita. Sarebbe dovuto morire molti anni prima, ma si era opposto. Era andato contro natura, aveva ottenuto un potere oscuro.

Aveva trovato le istruzioni sull’uso di Pandora in un’antica pergamena; trovare la pietra aveva richiesto molto più tempo di quanto avesse sperato, ma ora era in mano sua. Il suo ghigno soddisfatto si allargò osservando il ragazzo immobilizzato davanti ai suoi occhi.

Mancava così poco…

Tirò fuori Pandora; appariva come un normale smeraldo, ma al suo interno celava qualcosa di ben più interessante. L’aveva appesa ad un cordino, e l’ondeggiò davanti agli occhi del Faraone.

«Stanotte, con la luna piena, indosserai questa. Se non tenterai di opporti potrei anche risparmiare il tuo amico», affermò.

Atem seguì la pietra con lo sguardo, come ipnotizzato. «Che succederà?»

«Niente di cui tu debba preoccuparti» rise l’uomo. «Quando l’avrai fatto non avrai più alcun pensiero, puoi credermi».

¤

Conan aveva fatto segno agli altri di fermarsi dietro ad un cespuglio. Da lì potevano vedere una villa in lontananza, a circa cinquecento metri. Tra il loro nascondiglio e l’edificio, però, non c’era assolutamente niente. Avanzare significava comunicare la loro presenza agli uomini in nero.

Non avevano detto niente, per un po’. Il finto bambino era rimasto assorto a lungo, ascoltando qualcosa attraverso un auricolare. Alla fine fece un gran sospiro; Anzu notò con stupore che tremava. «Agiremo stanotte», disse solo. «Con il buio potremo avvicinarci senza essere notati subito… loro aspetteranno la luna piena».

Nessuno lo contraddisse, anche se il ragazzo accanto ad Anzu, avvolto in un mantello bianco, non sembrò molto contento della novità.

«Starà bene?» chiese la ragazza, lo sguardo sulla villa. Era preoccupata.

«Sì» disse solo Conan. Deve star bene.

Anzu annuì e si sedette accanto all’ammantellato, lasciando liberi i pensieri.

Aveva paura, ma era pronta. Chiunque fossero quegli uomini, non li avrebbe perdonati per aver fatto del male a Yugi. Proteggerò i miei amici.

Pensieri simili passavano nelle teste degli altri due ragazzi.

Shinichi era agitato, eppure lucido. Gli succedeva ogni volta che affrontava quegli uomini.

Stavolta sarà diverso, però. Potrebbe non essercene un’altra.

Passarono così alcune ore. Valutando che fosse il momento giusto, Conan mise la mano in tasca e tirò fuori una piccola scatola, una di quelle usate per conservare i farmaci.

Ai gliel’aveva consegnata senza dire una parola; il suo sguardo, comunque, aveva compensato.

Fa’ attenzione, Kudo.”

L’aprì e, cercando d’ignorare il nodo che gli si era formato allo stomaco, l’ingerì.

Passarono pochi secondi prima che venisse colto dagli spasimi sotto gli sguardi inquieti degli altri due ragazzi.

¤

«Che significa?» domandò freddamente Gin.

Era già irritato per non essere stato informato dei dettagli del piano.

Vedere il ragazzino libero di muoversi raddoppiò la sua irritazione. Si contenne solo perché, nonostante tutto, sapeva benissimo che far arrabbiare quella persona non era una buona idea. Neanche per lui.

«Calmati, Gin. Io e il nostro ospite abbiamo trovato un accordo».

L’assassino non celò la sua sorpresa. «Un accordo?»

«Esatto. Va’ a prendere l’altro e portalo fuori, nel mio cortile privato» gli ordinò il capo, incurante dello stupore del sottoposto. Non gli interessava che capisse, non aveva importanza. «Quando l’avrai fatto, tenetevi a distanza».

Pur ribollendo di rabbia, Gin annuì. Salì le scale e raggiunse la stanza dove tenevano l’altro prigioniero. Estrasse la pistola ed aprì la porta, tenendolo sotto tiro.

Se non altro, aveva capito che il capo aveva in mente un qualche tipo di scambio.

«Muoviti».

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Capitolo 6
*** Scontro ***


Il cortile interno della villa era piuttosto ampio; quella sera era anche stranamente affollato.

Al centro vi erano un uomo con una maschera da corvo e, a pochi passi di distanza, un ragazzo alto dai tratti stranieri.

Vicino all’entrata c’erano un uomo dai lunghi capelli platinati, completamente vestito di nero – come l’uomo con la maschera – che puntava una pistola alla tempia di un ragazzo curiosamente simile allo straniero al centro.

Quest’ultimo notò che qualcuno li stava spiando dalla finestra, ma non ne sembrò particolarmente preoccupato.

Nonostante la situazione manteneva la calma.

L’uomo mascherato tolse la maschera, suscitando non poco stupore nei presenti, stupore che poté solo aumentare vedendo il volto che aveva tenuto nascosto fino a quel momento.

Non era, come avevano pensato tutti, un adulto – né tantomeno un anziano.

Era il volto di un giovane uomo.

¤

Fuori dalla villa, a guardia dell’entrata, c’era Vodka.

Era abbastanza infastidito per essere stato nuovamente escluso dal fulcro dell’azione, ma non avrebbe mai osato contestare le decisioni di Gin – ancora meno quelle del Boss.

Il suo compito si preannunciava piuttosto tranquillo: perfino tra i membri dell’organizzazione quelli a conoscenza della manovra di quella sera si contavano sulle mani.

Quando sentì dei rumori, il primo pensiero dell’uomo fu che fosse qualche scoiattolo o qualche altro animale selvatico. Quando alzando lo sguardo intravide una figura umana, il volto coperto da un cappuccio, rimase non poco stupito. Possibile che qualcuno fosse capitato lì per caso?

Tirò fuori la pistola e gliela puntò immediatamente contro.

«Chi sei?» chiese, facendo del suo meglio per suonare minaccioso.

Il ragazzo non rispose, fece solo un gesto: si calò il cappuccio sulle spalle, lasciando che la luce della luna gli illuminasse il volto.

Vodka impallidì nel riconoscerlo. Gli tremò la mano.

«Non è possibile, tu… Gin…»

Non poté dire né pensare nient’altro, perché improvvisamente avvertì un pizzico sul collo e tutto intorno a lui si fece nero. Cadde al suolo senza un lamento.

¤

Yugi faceva del suo meglio per restare lucido nonostante il freddo e la fame.

Non capiva bene cosa stesse succedendo e perché quell’uomo spietato – Gin, gli era sembrato che l’avessero chiamato – l’avesse portato lì.

Sapeva solo che Atem era di fronte a lui, pericolosamente vicino al loro nemico, l’uomo che li aveva spediti lì.

Da quando era entrato nel cortile con l’assassino il Faraone gli aveva rivolto una sola rapida occhiata. Qualsiasi fosse la situazione, Yugi aveva un brutto presentimento.

Vide che l’uomo al centro, ora senza maschera, stava osservando la luna.

«Ci siamo» dichiarò ad un certo punto, ma questo Yugi non riuscì a sentirlo.

L’uomo riusciva a stento a contenere l’eccitazione, ora che era finalmente ad un passo dal suo obiettivo.

Dopo tutti quegli anni di ricerche e tentativi falliti, vedeva l’immortalità davanti a sé; doveva solo estrarla dal corpo del ragazzo di fronte a lui.

Estrazione che sarebbe avvenuta molto più rapidamente, se il Faraone avesse accettato di buon grado Pandora. Era questo il motivo per cui gli aveva proposto un patto: se avesse indossato spontaneamente la pietra, avrebbe lasciato libero Yugi – almeno, questo era quel che aveva detto.

Non aveva nessuna intenzione di tener fede alla parola data, ma questo Atem poteva al massimo sospettarlo. Il capo dell’organizzazione sapeva che avrebbe rischiato tutto pur di salvare la vita del suo amico. Nonostante avesse cinquemila anni, quello spirito si faceva ancora guidare da quegli stupidi sentimenti di lealtà ed amicizia.

Non ebbe bisogno di controllare l’orologio, sentì sulla pelle che era giunto il momento.

Estrasse il pendente con Pandora e la porse al Faraone.

«È giunto il momento» annunciò. «Donami la tua anima».

Il ragazzo non protestò né disse nulla. Semplicemente prese il gioiello e l’osservò contro la luce della luna.

Sulla zona circostante si diffuse una brillante luce rossa, proveniente dall’interno della pietra.

«No!» urlò Yugi, disperato. Aveva capito che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato in quella scena. Gin gli diede un calcio per zittirlo.

Il Faraone non si voltò verso di lui ed indossò la pietra, sotto lo sguardo pieno di desiderio del capo.

Poi successe tutto molto velocemente.

Per prima cosa, nel cortile risuonò un’imprecazione semi-soffocata, seguita da un tonfo metallico.

Yugi non capì subito; vide la pistola del suo aguzzino improvvisamente per terra, mentre il suo proprietario si osservava stupito la mano. Nel muro dietro di loro erano conficcati due strani oggetti.

Strizzò gli occhi per vedere meglio; sembravano… carte da poker?

«Che significa?»

A risuonare stavolta era stata la voce del boss, una voce gremita di rabbia ed incredulità.

«Perché sei ancora qui? Cos’è quella?» incalzò furioso, muovendo un passo verso il ragazzo.

Per Yugi non fu difficile capire a cosa si riferisse; Atem teneva in mano una specie di pistola bianca. Non sapevo che sapesse sparare, fu tutto ciò che riuscì a pensare.

Approfittò comunque della confusione per strisciare lontano da Gin, per quanto gli era possibile.

Atem armeggiò con la pistola per qualche secondo, poi la puntò contro di sé – o meglio, contro Pandora, che ancora brillava sul suo petto.

«Tu non sei il Faraone» mormorò l’uomo. Il suo volto divenne una maschera d’odio. «Ridammi la pietra, altrimenti!»

Ma il ragazzo non lo lasciò finire. «Mio padre è morto per questa…» mormorò.

La sua voce suonava diversa rispetto a poco prima. Fissò gli occhi in quelli del boss e premette il grilletto.

Il gioiello andò in pezzi che si sparsero un po’ ovunque, mentre un urlo disumano si diffuse tremendo dal capo dei corvi. «Tu…!»

Un brivido scorse lungo la schiena di Yugi – e non solo.

Tre persone avevano approfittato della confusione per entrare nel cortile, frapponendosi tra Gin e la sua vittima. Al tentativo dell’assassino di recuperare la pistola fu l’unica ragazza, Anzu, a scattare e spedirla lontana con un calcio.

Di fronte al biondo si parò un ragazzo alto e moro. Una figura che l’assassino trovò vagamente familiare.

«Di’ un po’, ragazzino» disse. «Non ti avevo ucciso?»

«Ci hai provato» rispose Shinichi Kudo con un sorriso stentato.

Atem invece, appena arrivato, si era precipitato accanto all’amico che l’ha risvegliato. «Stai bene, Yugi?»

Lui lo guardò smarrito. «Sì» rispose. Non capiva, ma non aveva dubbi; il vero Atem era quello accanto a lui.

Il ragazzo al centro, intanto, dopo aver distrutto la pietra era sparito in una nuvola di fumo bianco.

Al suo diradarsi, non c’era più Atem.

Al suo posto, un ragazzo vestito di bianco, un cilindro dello stesso colore in testa ed un monocolo sull’occhio destro, osservava con distacco il giovane uomo davanti a sé.

La causa della morte di suo padre.

Quest’ultimo non sembrava più tanto giovane, sfigurato com’era dallo shock per essere stato ingannato in quel modo e per l’odio; ha visto Pandora, la speranza di tutta la sua vita, andare in pezzi.

«Ho passato decenni a cercarla» mormorò sconvolto, la voce vibrante d’ira.

«Non li dimostri» replicò Kaito facendo due passi indietro. Poteva solo immaginare quanto fosse realmente pericoloso quell’uomo.

«La pagherai… pagherete tutti». La sua voce tornò irrealmente calma, un’aura oscura lo circondò.

Dal nero intorno a lui si materializzarono dei tentacoli che si scagliarono contro il ladro del chiaro di luna, che riuscì a schivarne un paio. Un terzo gli arrivò pericolosamente vicino, ferendogli la spalla.

Non riuscì a trattenere un urlo di dolore; non era, capì, una ferita normale, sentiva la carne andargli a fuoco. Non posso affrontarlo.

Cercò di rispondere con la sua spara-carte, ma i suoi colpi s’infransero sulla nebbia oscura che aveva circondato il suo avversario.

Su questa stessa nebbia finì anche un pallone da calcio particolarmente veloce che distrasse momentaneamente il boss.

Dannazione, l’ha schivato, poté solo pensare Shinichi. Gin aveva riflessi decisamente troppo buoni, mentre lui aveva finito i palloni.

L’assassino si avvicinava sempre più al detective; sapeva essere letale anche senza un’arma da fuoco, Kudo non aveva dubbi al riguardo e si preparò a difendersi come poteva. Dietro di lui c’era un muro, non poteva più scappare.

Anzu, nel frattempo, aveva raggiunto Yugi. A lei ed Atem bastò uno sguardo per capirsi; te l’affido, sembrò dirle il Faraone.

Raggiunse Kaito e fermò giusto in tempo il tentacolo che stava per colpirlo.

«Abbiamo un conto in sospeso» dichiarò fermandosi davanti al boss.

«Sei arrivato tardi, Faraone» sussurrò lui furioso.

Atem non ribatté. Infilò una mano in tasca e ne estrasse qualcosa.

«Non duellerò con te, Faraone, non se posso ucciderti direttamente!» urlò l’uomo scagliando tutti i suoi tentacoli neri contro lo spirito.

Sotto lo sguardo incredulo di Shinichi, i colpi vennero parati da uno scettro – era apparsa una nuova figura davanti ad Atem. «Ai tuoi ordini, Faraone» proclamò il nuovo arrivato.

«Conto su di te, Mago Nero».

Il motivo per cui Shinichi poteva permettersi di osservare lo scontro è che Gin era a terra, ferito alle gambe da due proiettili.

Chi aveva sparato, precisissimo, aveva reciso i tendini dell’assassino.

«Akai» Gin poté solo sputare questo nome con rabbia. «Non posso credere che tu sia vivo».

«Purtroppo per te» sottolineò l’agente dell’FBI, tenendolo sotto tiro con il fucile. «Allontanati da lui, Kudo».

Il detective accettò il suggerimento. Mentre passava davanti all’unica finestra che dà sul cortile, notò un movimento dietro alla tenda. Qualcuno ci spiava, capì, ma non c'era tempo per preoccuparsene, chiunque fosse stato il misterioso osservatore.

Il capo dei corvi, sempre più furioso, aveva a sua volta evocato una creatura.

Sto sognando. Per forza. Shinichi si guardò intorno per controllare che non ci fossero proiettori. Non riuscì a trovarne nessuno.

Shuichi Akai osservava impassibile la scena; se vedere due mostri materializzarsi dal nulla ed affrontarsi a colpi di magia l’aveva stupito, era riuscito a nasconderlo bene.

Kaito si era riavvicinato ad Anzu e Yugi, una mano sulla spalla ferita. «Può farcela?» chiese alla ragazza.

«Credo in lui» gli risposero in contemporanea lei e il ragazzo uguale ad Atem.

Il ladro si ritrovò ad annuire, persuaso dalla loro sicurezza.

«Non ricordi com'è finito lo scorso duello, Faraone? Non puoi vincermi!»

«Stavo per farlo, per questo mi hai mandato qui».

«Sei troppo sicuro di te» rimarcò l’uomo. «Lord Raven, distruggi il suo mago!»

L’enorme corvo si avventò sull’incantatore, ma ad avvenire fu esattamente il contrario: colpito dallo scettro, fu l’uccello a svanire nel nulla.

L’avversario di Atem tremò di rabbia.

«Non finirà così… Voi non sapete…»

Sembrò esitare un momento. «Ricomincerò da capo, se necessario!» esclamò, materializzando un’altra carta. Una che stavolta il Faraone conosceva bene.

«Attivo Altra Dimensione!»

L’aria nel cortile tremolò, una strana tensione calò su tutti i ragazzi che si erano ritrovati spettatori del duello. Un vortice violetto apparve e si avviò verso il faraone ed il suo mago, minaccioso.

«È inutile che fingi calma, Faraone; stavolta ti spedirò in un posto meno accogliente di questo!»

Atem osservò l’uomo con disprezzo. «Cerchi ancora di scappare» sentenziò. «Dimentichi che non sei l’unico a possedere una magia».

Dalla sua mano si materializzò una freccia luminosa, che superò il mago e raggiunse il vortice, attraversandolo.

«Cosa pensi di fare?» rise con cattiveria l’uomo. «La tua freccia non può niente contro…»

Non terminò la frase, perché il suo vortice iniziò ad implodere. Sprazzi di luce ne uscirono da tutte le parti, finché non sparì del tutto. «Come hai…»

«Freccia Spezza Magia» annunciò calmo il Re dei Duellanti. «È finita».

Mentre lo diceva, il Mago Nero sferrò l’ultimo attacco; il corvo crollò a terra, senza più la minima traccia di potere.

Shinichi non poteva saperlo né sospettarlo, ma la sua anima era stata reclamata dal potere di cui aveva abusato; quel corpo che avrebbe dovuto morire cinquant’anni prima non si sarebbe mai più risvegliato, il suo proprietario avrebbe vagato per sempre nel Regno delle Ombre.

Yugi guardò il suo amico con un sorriso. «È finita davvero…» mormorò sollevato.

Anzu corse ad abbracciarlo. «Sapevo che ce l’avresti fatta, Atem».

Cogliendola di sopresa, il Faraone ricambiò l’abbraccio. Il cuore di Anzu prese a battere un po’ più forte.

Shinichi raggiunse Kaito e si lasciò crollare accanto a lui.

«Devo essere pazzo».

Akai finì d’immobilizzare Gin e fece una chiamata.

Si voltò verso i ragazzi pochi minuti dopo.

«I miei colleghi saranno qui fra pochi minuti. Alcuni di voi potrebbero preferire non incontrarli» annunciò, lo sguardo posato su Kaito in particolare.

«Oh, al diavolo» sbottò però lui. «Sono quasi stato ucciso da un pazzo che evoca corvi giganti, non sarà l’FBI a spaventarmi. Piuttosto, qualcuno mi aiuta a medicare la spalla?» chiese.

La ferita, comunque, lo preoccupava già notevolmente meno; aveva smesso di bruciare nell’istante in cui l’uomo che l’aveva inflitta era caduto a terra sotto il colpo del mago.

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


«L’avete trovata?»

«Niente da fare. Ha cancellato ogni traccia. Vista la sua abilità nei travestimenti, sarà difficile ritrovarla».

Conan assentì con una smorfia, nonostante il suo interlocutore, Shuichi Akai, non potesse vederlo. «Capisco» mormorò.

«Novità sui tuoi strani ospiti?» domandò l’agente.

Aveva toccato un tasto dolente. Shinichi aveva ancora serie difficoltà ad accettare loro e quel che avevano portato nel suo mondo… magia.

«Dovrebbero ripartire oggi» comunicò ad Akai. Poi chiuse la chiamata.

 

«Allora, pensi di poterlo fare?»

«Perché dovrei?»

Kaito pensò che il sopracciglio inarcato della ragazza non promettesse nulla di buono.

«Perché te lo sto chiedendo?»

Lei ridusse a un soffio la distanza tra i loro volti. «Sarai mio in cambio di questo favore, Kuroba Kaito?»

Il ragazzo sospirò. La spinse delicatamente indietro. «No, Akako. Non sarò mai tuo schiavo».

Lei si voltò sdegnata.

Ecco fatto, si disse rassegnato Kaito. Non ci aiuterà.

«Ti aiuterò… per stavolta».

L’aveva detto a volume talmente basso che il ladro lo colse solo grazie al suo finissimo udito.

«Ho sentito bene?»

Akako gli dava le spalle, non poteva vedere la sua espressione. Insolito per lui, non aveva la benché minima idea di cosa le passasse per la testa.

Lei tornò a fronteggiarlo con sguardo determinato.

«Ti aiuterò, e dovrai essermi grato. Prima o poi ti avrò per me, Kuroba Kaito!» esclamò convinta, chiudendo la frase con un’inquietante risata.

Il ragazzo avvertì un brivido scendergli per la schiena.

«Sì, certo…» mormorò, chiedendosi se fosse stata una buona idea rivolgersi a lei.

 

Erano passate due settimane dallo scontro; Yugi, nonostante qualche livido fosse ancora visibile, si era ripreso bene. L’avevano sistemato nella vecchia stanza di Shinichi.

Atem e Anzu gli erano sempre accanto.

Spesso Ai faceva loro compagnia, ponendo domande sul loro mondo d’origine e sui loro usi. Seriamente interessata, segnava tutto ciò che le raccontavano su un libricino d’appunti.

Shinichi dal canto suo aveva dovuto rassegnarsi e credere ai propri occhi.

Aveva controllato ogni centimetro della villa del Boss e il luogo dello scontro in particolare, senza trovare nulla che permettesse di pensare a un trucco. L’improbabile doveva essere reale.

La sua parte più illogica continuava a sperare che qualcosa gli fosse sfuggito; quel giorno avrebbe avuto la risposta definitiva.

Kid si era impegnato a trovare un modo per rimandare indietro i tre stranieri: se avesse visto con i suoi occhi un portale aprirsi e loro sparire, non ci sarebbe stato più posto per i dubbi.

Certo era che da quel momento il detective non si sarebbe più rapportato allo stesso modo a qualsiasi caso. La sua certezza sulla non-esistenza del sovrannaturale era crollata miseramente, fatta a pezzi da chi pretendeva di essere nientemeno che un Faraone esistito cinquemila anni prima.

Per non perdersi troppo in quei pensieri, quelle due settimane si era buttato nell’operazione di smantellamento d’ogni sede dell’Organizzazione, aiutando l’FBI con deduzioni preziose.

Erano riusciti a neutralizzare tutti i membri, tranne Vermouth.

La donna, dopo il giorno dello scontro in cui probabilmente li aveva spiati dalla finestra, sembrava essersi dissolta nel nulla.

In fondo, sono proprio questi i casi in cui si ha bisogno di un detective.

Nonostante gli ultimi eventi, Shinichi era ancora deciso a seguire quella strada.

Ti troverò, e pagherai per i tuoi crimini.

 

Si erano tutti riuniti sul retro di villa Kudo, al sicuro da occhi indiscreti.

Kaito era arrivato per ultimo, in compagnia di un’alta ragazza dai lunghi capelli viola.

Non avrebbe saputo spiegarsi il perché, ma Shinichi si agitò alla sua vista.

Lei si lasciò indietro il ladro e superò senza una parola i due bambini, fermandosi direttamente davanti a Yugi, Atem e Anzu.

«Siete voi. Avverto un’energia diversa nei vostri corpi» affermò sicura.

«Lei chi sarebbe?» bisbigliò il detective a Kaito.

«Credimi: è meglio se non lo sai» fu l’enigmatica risposta.

«Puoi farci tornare nel nostro mondo?» domandò Atem, reggendo il suo sguardo senza problemi.

Erano stati via troppo a lungo. I loro amici dovevano essere molto preoccupati.

Akako lo squadrò attentamente. Un altro uomo immune al mio fascino, constatò irritata.

Farlo sparire dalla sua vista non le sarebbe proprio dispiaciuto.

Assentì lentamente. «Mi servirà una goccia di sangue» specificò, estraendo un coltello cerimoniale.

Conan strabuzzò gli occhi a quella vista, ma non si mosse.

L’amica di Kid non poteva essere un’assassina… oppure sì? Con lui non si poteva mai dire.

In ogni caso, il Faraone non era esattamente in cima alla sua lista di persone che necessitano di protezione. Una volta tanto, il finto bambino decise di limitarsi a osservare.

Raccolta una goccia di sangue da ognuno dei tre ospiti con un abile movimento del pugnale, Akako le unì a una pozione che aveva distillato in precedenza. Questa emise uno sbuffo di fumo e si tinse di blu. L’agitò per qualche secondo.

«Allontanatevi» ordinò a Kaito e ai bambini accanto a lui; fu prontamente obbedita.

Tracciò un cerchio sul terreno intorno ai tre mormorando qualche parola che nessuno capì.

Infine, gettò la fiala con la pozione in mezzo al cerchio; qualche schizzo finì sulle scarpe di Anzu.

Lei strinse con più forza le mani di Yugi e Atem. Voleva davvero tornare dai suoi amici, ma quella donna e quella strana cerimonia l’inquietavano.

Vide Atem cercare il suo sguardo e sorriderle. Si sentì rassicurare immediatamente; un familiare calore le invase il petto.

Akako pronunciò un’altra parola, e dal cerchio che aveva tracciato si sprigionò del fumo.

Sotto i loro piedi il terreno mutò in fluido; alla vista si sarebbe detto un lago d’argento, ma non era acqua quella che i tre avvertirono. Iniziarono a precipitarvi lentamente.

Anzu distolse lo sguardo dal Faraone per cercare Kaito e rivolgergli un ultimo saluto.

Il fumo blu le impediva di vedere bene, ma avrebbe giurato che il ragazzo le stesse sorridendo. Ricambiò.

Finalmente anche le loro teste varcarono il portale; il fumo smise d’uscire, il terreno ridivenne semplice terriccio.

Della pozione di Akako non c’era più alcuna traccia.

La strega si prese mezzo secondo per osservare il punto in cui tre ragazzi erano spariti, poi raggiunse gli spettatori.

«Mi pagherai presto, Ku-»

Kaito fu lesto nel tapparle la bocca. «Sì, certo. Sicuramente. Ora però andiamo» disse, rivolgendo uno sguardo vagamente preoccupato al bambino accanto a lui.

«Ku?» ripeté quest’ultimo. Normalmente avrebbe sorriso, ma lo spettacolo che si era appena svolto davanti ai suoi occhi l’aveva scosso. Proprio per questo, cercò di distrarsi provocando il mago.

«Kudo» sillabò Kaito, «le ho detto di chiamarmi Kudo». Sapeva che il detective non ci avrebbe creduto. Sospirò.

Conan lo guardò storto. «Mi auguro non sia vero».

Ai, nel frattempo, non aveva tolto gli occhi di dosso alla strega neanche per un secondo.

Atem veniva da un altro mondo, ma lei… lei no.

Sarebbe potuta essere un interessante oggetto di studio.

La scienziata in miniatura scrollò le spalle. Al momento ho un’altra ricerca a cui dedicarmi, ricordò a sé stessa con uno sguardo a Conan. Senza dire una parola, si staccò dal gruppo e tornò verso l’abitazione del dottor Agasa.

Il detective non se ne accorse, sul momento. Stava discutendo con il ladro.

«Abbiamo fatto una tregua, ma al prossimo furto non ti lascerò andare, Kid».

«Naturalmente, non mi lascerai andare. Semplicemente non potrai fermarmi» ribatté il ladro con un ghigno.

Erano arrivati al cancello.

Poggiò una mano sulla testa del bambino e gli scompigliò i capelli. «Ti voglio al meglio alla nostra prossima sfida, quindi vedi di non rimuginare troppo» gli sussurrò.

Precedendo le sue proteste, si rialzò e affiancò Akako. «Andiamo ora. Addio, detective!»

Conan lo guardò allontanarsi.

Avrebbe potuto cercare di stenderlo ora, e consegnarlo alla polizia.

Così, però… non sarebbe stato divertente.

Almeno la tua magia è un’illusione, perciò non illuderti, Kid.

Al prossimo scontro ti prenderò sicuramente.

 

«Si può sapere dov’eravate finiti? Yugi!! Ero preoccupatissimo!»

Jonouchi aveva avvolto Yugi e Anzu in un abbraccio stritolatore non appena li aveva visti.

«Vacci piano, Jono! Yugi è ferito!» lo redarguì la ragazza, ma era felicissima anche lei.

Il biondo li liberò subito. «Ferito? Non lo sapevo! Che è successo?» domandò a raffica.

Solo allora notò un brutto cerchio viola sul volto dell’amico.

«Chi è il bastardo che ti ha fatto questo? Dovrà vedersela con me!»

Anzu e Yugi si scambiarono uno sguardo e scoppiarono a ridere.

«Be’? Pensate che non ne sia in grado?»

Yugi indicò il Puzzle del Millennio, ora nuovamente al suo collo.

«Non potrà più nuocere a nessuno, Jono» lo rassicurò.

«Proprio così» rafforzò Atem, nuovamente nella mente di Yugi.

«Amico, mi dispiace che tu non abbia più un corpo».

Il Faraone sorrise. «Va bene così. Il mio momento non è ancora giunto, rimarrò ancora un po’ con te».

Yugi annuì. Era felice di essere ancora insieme a lui, pur sapendo che un giorno avrebbero dovuto dividersi.

Non voleva pensarci, non in quel momento.

«Atem come sta?» chiese Anzu a Yugi.

Si era quasi aspettata di ritrovarselo accanto, quando si erano ritrovati in una stradina di Domino, ma così non era stato. Al suo posto, il Puzzle.

«Bene. È con me» la rassicurò Yugi.

Jono li guardò perplesso. «Va bene, ragazzi. Sembra che abbiate molto da raccontarmi» iniziò. «Sembrate anche affamati a dirla tutta. Forza, andiamo a mangiarci un hamburger e mi racconterete! Chiamo anche Honda; stasera offre lui!»

I due ragazzi annuirono raggianti. «Sembra una buona idea!» esclamarono.

«Ovvio, è mia!»

Telefono alla mano, Jonouchi si avviò verso il loro fast-food preferito.

Anzu e Yugi si scambiarono uno sguardo e si affrettarono a seguirlo.

Erano di nuovo a casa.

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