Amor vincit omnia

di sissir7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** Chapter 9 ***
Capitolo 10: *** Chapter 10 ***
Capitolo 11: *** Chapter 11 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


Il silenzio lo teneva sveglio.
Era nella sua piccola e buia camera per gli ospiti di Jungkook e non riusciva ad addormentarsi.
Il letto era comodo e anche se era gennaio stava bene a maniche corte sotto al pesante piumone in quella casa così confortevole e calda.
Non c’era nessun motivo per non dormire e voleva, lo voleva tantissimo, chiudere gli occhi per riposare la mente, il corpo, gli occhi rossi per tutti i pianti
che aveva fatto in quel periodo.
Perché quando perdi entrambi i genitori a 22 anni per uno stupido incidente d’ auto ti escono solo lacrime dal corpo improvvisamente stanco e svuotato di quella vita che volevi assolutamente vivere.
Quella vita che ora aveva preso una piega orrenda e Taehyung si sentiva in standby, altrove, in un incubo.
Si sedette sul letto e sospirò.
I capelli castani erano un casino e gli occhi erano gonfi ma era di una dolcezza e di una bellezza incredibile.
Il suo viso ovale, le labbra carnose, gli occhi dolci a mandorla che mostravano le sue fattezze orientali e il portamento elegante facevano di lui
un ragazzo affascinante, solare e quando lo guardi la prima cosa a cui penseresti è proprio “Non dovrebbe mai soffrire uno così. Non dovrebbe mai conoscere dolore.”
Perché ti scatena empatia e voglia di vivere mille avventure al suo fianco.
Ma Tae, così lo chiamava la madre e i suoi amici più stretti, ora sapeva esattamente cos’era il dolore e il cuore ne traboccava.
Uscì dalla camera in silenzio e andò in bagno.
Poggiò le mani al lavandino e la ceramica fredda lo fece rabbrividire.
Pensò per un tempo indefinito alla sua vita.
Al fatto che aveva deciso di abbandonare gli studi andando contro la volontà dei genitori e lavorare come barista in un bar abbastanza famoso in città,
dove lo pagavano anche bene.
Pensava a casa sua, dove viveva con i genitori, e alla sua cameretta ancora piena di tutte le sue cose.
L’odore di rosa che la madre portava.
Le foto di quando andava a pescare con il padre, sin  da piccolo.
Le tende panna in tutte le stanze, la cucina piccola ma che profumava sempre dei biscotti che gli faceva la mamma, il salone dove festeggiava ogni anno il suo compleanno.
Il suo posto nel mondo.
Quella casa ora era chiusa da un mese ormai.
Un corpo vuoto che non aveva più significato per lui.
Strinse gli occhi e si portò velocemente una mano al petto; il dolore era lancinante.
Non piango neanche più, si ripeteva.
Sono esausto, non riesco neanche a piangere.
Gli mancava il fiato.


“Tae?”
La voce dell’amico gli arrivò forte.
Jungkook aprì la porta del bagno e lo vide pallido reggersi al lavandino mentre aveva quello che era un attacco di panico.
“Oddio, Tae…”
“S-sto bene. Voglio solo…solo…”
La sua voce era flebile, stanca.
Jungkook lo prese per la vita e lo portò in camera sua, facendolo stendere nel suo letto matrimoniale.
Dal primo giorno aveva detto a Tea che poteva dormire con lui, erano come fratelli, anzi, senza come.
Ma Tae non poteva piangere ogni sera davanti a lui facendogli passare notti insonni come le sue perché già era stato gentile ad ospitarlo e
non poteva ripagarlo in quel modo, facendolo preoccupare ancora di più.
“Ti prendo un po' d’acqua.”
Quel ragazzo era davvero affezionato a Tae.
Si conoscevano da sempre e anche se caratterialmente molto diversi, si completavano in un modo incredibilmente perfetto.
Era un po' più basso di Tae, aveva capelli neri corvini così come gli occhi profondi e un fisico da far invidia ad ogni modello o campione di sport.
Ma era apprensivo, dolce, anche un po' timido a volte, responsabile e aveva la capacità di mettere sempre di buon umore tutti.
Tornò in camera sua con un bicchiere d’acqua e un tè caldo che Tae adorava, ma si era addormentato.
Si sedette sulla piccola poltrona che aveva vicino al letto e sorseggiò il tè mentre sentiva un dispiacere incolmabile.
Lui aveva i suoi genitori a chilometri di distanza e ci litigava così spesso…
Si sentì in colpa per tutte le volte che lo aveva fatto perché ora una delle persone più importanti della sua vita non li aveva più una madre e un padre
e  il solo pensiero di perdere i suoi gli faceva serrare gli occhi e pensare subito ad altro.
Si chinò sul volto di Tae e gli sussurrò che sarebbe andato tutto bene.
Gli accarezzò per un po' i capelli, poi si stese al suo fianco e si addormentò cullato dal respiro dolce e profondo del suo più caro amico.

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


Erano passati quattro mesi da quando Tae abitava da Jungkook e giorno dopo giorno si sentiva grato per avere uno come lui ma sentiva che
doveva riprendere a vivere la sua vita, staccarsi dalle apprensioni di Kookie, come lui lo chiamava affettuosamente, e ritornare a lavorare,
ad avere responsabilità.
Ricominciare.
Dalla notte dell’attacco di panico l’amico lo aveva costretto a dormire con lui ed effettivamente fu un bene non essere più solo in quelle ore in cui il mondo sembra solo orribile e sbagliato.
Tae era stretto nelle braccia di Jungkook che aveva l’abitudine di abbracciare un cuscino mentre dormiva ma ora il cuscino era stato
sostituito dal corpo di Tae che per non svegliarlo decise di aspettare il suo risveglio.
Aveva la schiena contro il petto dell’amico e il suo respiro sul collo. I loro corpi aderivano e quel tepore era piacevolissimo.
Tae sorrise.
Poco dopo le braccia di Kookie si mossero e lasciarono la presa.
Sbadigliò e aprì gli occhi.
Realizzò che era avvinghiato a Tae e si scusò subito.
“Oddio, lo sai che devo tenere un cuscino da stringere, potevi darmene uno come le altre volte.”
Così dicendo, si buttò sul suo lato del letto portandosi le braccia al volto per coprire un imbarazzo che non pensava potesse provare nei confronti del suo qausi fratello.
“Tranquillo, è stato piacevole essere abbracciato da te per qualche ora.”
Rispose Tae divertito e bello come il sole.
Si guardarono per qualche secondo e il silenzio che cadde fu strano.
Tae non rideva più, ma era serio e guardava profondamente gli occhi dell’amico.
“Io…”
Il cuore di Jungkook batteva all’impazzata.
Poi Tae continuò.
“…pensavo di riprendere gli studi fra qualche mese.”  
“Oh.”
Fu tutto quello che rispose.
Si tirò su e si mise seduto.
Il sole caldo di fine aprile entrava dalla grande finestra e anche se era una giornata bellissima che infondeva buon umore, Jungkook si sentì preoccupatissimo dopo quell’affermazione.
“E’ una cosa bellissima, davvero, ma è anche una decisione importante e non capisco cosa ti abbia fatto cambiare idea. Tu odi studiare.”
Tae non si aspettava quell’avversione da parte dell’amico e rimase con la bocca aperta, un po' abbattuto.
“Tae, non voglio dire che non saresti capace, sei un ragazzo intelligente ma tutto il contesto, la pressione…  Sono passati solo quattro mesi.”
“Io lo so, okay? Lo so che l’università non è mai stata il mio scopo ma voglio provarci. Voglio rendere orgogliosi i miei genitori che voleva che continuassi gli studi.”
“Ma se lo fai per questo sarà ancora più complicato.”
“Non diventerò un manager o un medico come avrebbero voluto i miei ma...”
“E allora cos’è che farai? Ogni corso di studi ha le sue difficoltà. Io studio economia ed è un incubo.”
“Letteratura e filosofia.”
Jungkook per poco non cadeva dal letto.
“C-cosa?”
“Hai sentito.”
“Ma…”
Non continuò con l’elenco delle mille difficoltà che avrebbe potuto incontrare perché vide per la prima volta nella sua vita una determinazione
negli occhi dell’amico che non gli uscivano parole per fermare quella decisione.
Tae fece spallucce.
“Voglio provarci. Ho passato giorni ad informarmi sui corsi e sui programmi d’esame e sento che studiare queste cose può spronarmi a
diventare chi veramente voglio essere.”
“Wow Tae.”
"Non fare quella faccia sorpresa! Non sono immaturo come pensi!”


Gli lanciò il cuscino in faccia e iniziarono a ridere e a giocare come due bambini.
A un certo punto, Jungkook gli prese i polsi ed essendo parecchio più forte di lui, lo costrinse a stendersi sul letto.
Gli si mise sopra a cavalcioni e gli stringeva ancora  i polsi sopra la testa.
Tae non riusciva a liberarsi dalla presa e ridevano come matti.
Con il fiatone diceva che si arrendeva ma Kookie non lo lasciava.
Guardò Tae che gli sorrideva.
“Che c’è? Ho qualcosa in faccia?”
Chiese Tae, che non sapeva quante volte l’amico li aveva immaginati in quella situazione mentre faceva ben altro che giocare.
“No, non hai nulla.”
Tae non sapeva che pensare.
Guardava quelle labbra piccole ma sensuali a pochi centimetri da lui ed era così confuso.
La presa ai suoi polsi era ancora forte e i muscoli dell’amico sopra di lui erano contratti e in bella vista dato che dormiva senza maglietta.
La tensione tra di loro era qualcosa di nuovo per entrambi che non avevano mai avuto una relazione romantica con qualcuno e quindi essere così fisicamente vicini  gli dava sensazioni incredibili.
“Jungkook…”
“Quando mi chiami con il mio nome completo di solito le cose si fanno serie.”
E così dicendo, si allontanò e si alzò velocemente perché se fosse rimasto anche solo un secondo di più…
“Niente di serio.”
Disse Tae, quasi come deluso da quello che non era successo.
“Volevo solo ringraziarti per quello che hai fatto e che stai facendo per me.”
Jungkook era di spalle e quella schiena nuda e definita lo fece sospirare fin quando non fu coperta da una t-shirt nera.
“Non devi dirlo neanche.”
Gli rivolse un sorriso e gli disse che lo aspettava di là per la colazione.


Mangiarono con calma ed entrambi diedero poca importanza a quello che era successo poco prima anche perché per la società in
cui vivevano e per il modo in cui erano cresciuti quello che avevano provato era un tabù e una possibilità non contemplata nella vita di un uomo. C’erano delle dovute eccezioni ma la maggior parte degli ambienti era così: tradizionalista.
Eppure, loro erano semplicemente loro stessi mentre provavano quell’emozione, quell’eccitazione e potevano giurare che non c’era nulla
di strano o di sbagliato.
Era stato tutto così naturale e sincero.
“Pagherai gli studi con i soldi che i tuoi hanno messo da parte, giusto?”
“Sì, farò così. Loro li avevano conservati proprio per mandarmi all’università ed anche io ho qualcosa da parte.”
Tae asciugò e sistemò i piatti che Jungkook aveva lavato.
“Puoi comunque rimanere qui, lo sai.”
“Sì, sì lo so e non me ne andrò fin quando non trovo un appartamento, tranquillo.”
Gli fece l’occhiolino e Jungkook si sciolse sorridendo come un idiota.
Non poteva perdere tutto quello.
Tutti e due non potevano perdere quell’amicizia così sincera, spontanea e profonda costruita su una fiducia rarissima.
Qualsiasi cosa fosse successa tra loro due quella mattina nel letto doveva rimanere un ricordo per lasciare spazio a un rapporto
diverso ma troppo importante per rinunciarci.
Così, entrambi sapevano che non sarebbero mai andati oltre ma sapevano anche che avrebbero sempre potuto godersi le dolcezze e le attenzioni che continuavano a darsi.

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


Taehyung superò con qualche difficoltà il test d’ammissione ma ebbe tanto supporto sia da Jungkook che da altri suoi amici.
Passò tutta l’estate sui libri per prepararsi e quando uscirono i risultati chiamò Kookie vicino a sé che stringeva nelle sue mani quella nervosa di Tae. Un click e avrebbe letto l’esito ma si fermò.
“Non ce la faccio, vedi tu.”
Disse chiudendo gli occhi poggiando la testa sulla spalla del suo amico che intanto lesse la lieta notizia.
Appena Tae realizzò scattò in piedi e si mise  a ballare in modo imbarazzante coinvolgendo Jungkook che preso dall’emozione lo tirò a se e l’abbracciò fino a fargli mancare il fiato.
“Ce l’hai fatta! Mio dio! Ed io che ho avuto dubbi all’inizio!”
“Lo so! E’ incredibile! E’ un sogno…”
Si guardavano felicissimi.
“I tuoi genitori sarebbero fieri di te. Io lo sono, tantissimo.”
Tae a quelle parole non trattenne le lacrime e gli occhi si fecero lucidi.
Le mani grandi di Jungkook erano poggiate al suo collo e gli accarezzava il viso con i pollici asciugando le gocce che lo bagnavano.
“Non piangere Tae Tae. Non dovrai più farlo d’ora in poi. Andrà tutto bene.”
Quel volto dolcissimo e sereno che aveva davanti non lo avrebbe mai più dimenticato.
E non avrebbe dimenticato neanche quello che ebbe il coraggio di fare.


Poggiò una mano dietro il collo di Jungkook e con decisione lo baciò, come fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto nella sua vita.
Il bacio si intensificò per qualche secondo e le lingue si sentirono scorrere bramose le une sulle altre mentre Tae stringeva il corpo di quella che si poteva considerare la sua anima gemella.
Ma si fermò, si allontanò e sul volto apparse un’ espressione di rimorso.
“Non dovevo, scusa.”
“Perché non dovevi? Va bene.”
Jungkook provò a riavvicinarlo ma lui indietreggiò.
“Tae…”
“Scusami, ma non è questo che voglio per noi. Io voglio la tua amicizia e non posso perderti, un giorno, per un errore che uno dei due farà.”
“Ma di cosa parli… Perché sei così prevenuto? Perché sei convinto che finirebbe male? Noi stiamo praticamente insieme da anni e io non ti ferirei mai.”
Serrò le mascelle dopo aver detto queste difficili parole e Tae si sentì ancora più in colpa per non ricambiare allo stesso modo quei sentimenti.
“Lo so che non mi faresti soffrire, ma sento che…”
 Quelle amare parole furono come una lama dritta al cuore per Kookie.
“…sento che non sei il mio destino.”
Calò un silenzio tombale e anche il sole sembrò impallidire.
“Oh…”
"Io non so spiegarti quanto mi dispiace dirti questo.”
“N-no Tae, va bene. Devi sempre essere sincero ed apprezzo che lo sei stato con me. Davvero.”
“Ma ti ho ferito. Ti ho detto una cosa orribile”
Si portò le mani sul viso sinceramente dispiaciuto.
“Hey.”
Jungkook si avvicinò a lui e gli abbassò le mani rivelando quel volto dolce che tanto amava e continuò:
“Hai appena ricevuto una notizia fantastica, andrai all’università! E dovremmo festeggiare, non stare qui a complicarci la vita per un bacio.”
“Mio Dio, ma cosa ho fatto per meritare uno come te?”

                                                                                                    ----------------------------------

Il primo anno di università passò così velocemente che neanche Tae sapeva come aveva fatto a sopravvivere a tutti gli esami che fortunatamente aveva passato.
Un anno lo aveva cambiato molto per quello che aveva sopportato e per le esperienze che l’università gli aveva regalato.
Aveva trovato un appartamento a un’ora da quello di Jungkook e si vedevano quasi ogni fine settimana per pranzare o cenare insieme.
Si raccontavano tutto nei minimi dettagli ed entrambi potevano dire di ave trovato una stabilità che gli permetteva di essere quasi felici.
Un venerdì sera, Jungkook andò a casa di Tae per cena e fu la prima volta che vide l’appartamento del suo migliore amico.
Era al terzo piano e aveva una bella vista sul grande parco sottostante.
Era semplice, ma raffinato proprio come Tae che ormai era diventato un uomo e aveva abbandonato quell’aria da ragazzino irreverente
che aveva sempre avuto.
Stavano mangiando quando Jungkook glielo disse.
“Sei cambiato.”
“Spero in meglio”
“Ovviamente in meglio. Questa casa è bellissima e ti rispecchia tanto. Hai uno stile semplice ma hai cura dei dettagli. Il tuo volto mi sembra molto più maturo e hai imparato cose così interessanti che ti fanno sembrare un vero intellettuale. Cucini anche da dio. Un uomo da sposare.”
Gli fece l’ occhiolino e Tae alzò gli occhi al cielo.
“Tu sei un uomo da sposare per la pazienza che hai e che hai avuto soprattutto con me.”
Si sorrisero complici.
Fu una serata molto bella e quando furono alla porta venne naturale loro salutarsi con un bacio.
A Jungkook era mancata la morbidezza delle labbra di Tae e glielo disse.
“Le labbra delle ragazze che ho baciato non sono nulla in confronto alle tue, credimi.”
Glielo sussurrò stringendolo in un abbraccio.
Poi aggiunse: “Non preoccuparti però. So cosa siamo e lo rispetterò sempre.”
 Tae lo strinse un po' di più a se e senza neanche pensarci, disse: “Ti amo, Kookie.”
Sorrise.
“Anche io, Tae.”

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Capitolo 4
*** Chapter 4 ***


Jungkook quell’anno si sarebbe laureato mentre Tae avrebbe iniziato il secondo anno all’università e prese due decisioni molto importanti.
La prima, fu quella di vendere la casa dei suoi genitori che nel tempo aveva svuotato e mantenuto abbastanza bene, ma era una spesa che non poteva più sostenere e i ricordi legati ad essa, seppure belli, avrebbero sempre fatto troppo male.
Così, ne ricavò un bel po' di soldi per prendere la seconda decisione più importante della sua vita: andare a studiare un anno fuori.
Quando lo disse a Jungkook lui gli rispose che non avrebbe mai smesso di stupirlo con le sue notizie bomba.
“Sarà meraviglioso, è quello che mi serve. Ti rendi conto che andrò nella terra di Shakespeare e dei più grandi Romantici inglesi! Studiare la letteratura, la storia e la filosofia lì sarà tutt’altra cosa, sarà… non mi escono neanche le parole.”
Alcune persone nel bar in cui erano andati quel pomeriggio guardarono Tae divertite per tutta l’emozione che emanava.
“Sarà indimenticabile. E spero ci sentiremo almeno una volta a settimana.”
"Non ti preoccupare, Kookie. Non mi dimentico di te. Anzi! Potresti venire a trovarmi durante le vacanze di Natale. Londra è una meraviglia in quel periodo. Ci immagini a sul London Eye o a Piccadilly Circus a mettere sicuramente in imbarazzo tutta la Corea del Sud?”
Scoppiarono a ridere perché sapevano quanto si sarebbero potuti divertire davvero.
Tuttavia, la tristezza sul volto di Jungkook era visibile.
“Ti perderai la mia laurea.”
“Lo so. E’ l’unica ragione per cui non riesco ad essere pienamente felice.”
“Ma in fondo ti eviti la cosa più noiosa e pesante che potresti mai sentire.”
“Non lo metto in dubbio caro mio.”

Parlarono ancora un po' di quanto l’università gli stava prosciugando il tempo per stare insieme.
“E’ una cosa grossa questa dell’ erasmus di un anno.”
“Sì. Spero di non pentirmene.”
“Tu sei nato per il mondo, Tae. Devi viverlo.”
“Probabilmente non sarò più lo stesso quando  tornerò.”
Questa frase fu profetica.
Non lo sapeva ancora, ma a Londra avrebbe fatto un incontro che gli avrebbe cambiato l’esistenza, che gli avrebbe fatto mettere in dubbio tutto e che gli avrebbe fatto vivere quel destino che non vedeva con Jungkook.
Avrebbe incontrato la sua fine.
Ma anche il suo inizio.

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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


Tae quella notte dormì da Junkook che l’avrebbe accompagnato all’aeroporto la mattina seguente; ma dormì davvero poco a causa dell’emozione. Allora decise che avrebbe impresso per bene tutti i dettagli del viso di Jungkook mentre dormiva: le labbra rosse socchiuse, i capelli scuri e
ribelli sulla fronte, le ciglia scure, il petto che si alzava dolcemente.
Voleva quel ricordo per sopravvivere alle prime notti senza di lui a Londra e mentre lo guardava, inevitabilmente, si addormentò con un sorriso
sulle labbra.
Ora erano in aeroporto in largo anticipo e presero un frappè mentre aspettavano il check in.
Tae indossava un lungo cappotto color caffè, una camicia e un paio di jeans.
Portava anche gli occhiali da sole e Kookie gli disse subito che si era vestito troppo leggero per gli standard londinesi.
“Ho un maglione nella valigia a mano ma scommetto che se mi fosse servito saresti volato fino a Londra solo per portarmelo e farmi stare al caldo.”
Lo disse ridendo.
Jungkook alzò gli occhi al cielo e disse che lo diceva per il suo bene e che ammalarsi pochi giorni prima l’inizio dei corsi all’ università non era proprio
il top.
Il tempo volò e arrivò il turno di Tae per passare al check in e si salutarono con un lungo abbraccio.
“Appena puoi fammi sapere che sei vivo.”
Tae aveva il mento appoggiato alla spalla dell’amico, gli occhi chiusi e lucidi e si sentiva di star facendo un errore.
“Dai, vai. Perderai l’aereo.”
Lo scostò a forza e Tae andò, senza riuscire a dire più nulla.
Era un sogno?
O un incubo?


Si sedette al suo posto fortunatamente vicino al finestrino e vide tutto farsi sempre più piccolo mentre pensava che se si fosse reso conto di aver preso la decisione sbagliata, sarebbe ritornato subito a casa.
In cuor suo, ovviamente, sperava con tutte le sue forza che sarebbe andato tutto bene.
Quando scese dall’aereo l’aria fredda di fine settembre lo accolse e iniziò subito a tremare.
Andò al bagno dell’aeroporto per infilarsi il maglione e, dopo il casino con le due valigie, riuscì ad uscire ed avviarsi alla metro per arrivare
agli uffici di accoglienza di uno dei college più prestigiosi al mondo, Cambridge.
La metro era parecchio caratteristica, l’aria di Londra affascinante come le sue gentili ed eleganti persone e si sentì al posto giusto e
appena arrivò davanti al college rimase esterrefatto per la maestosità.
I brividi gli corsero dietro la schiena.
“Wow.” Sussurrò.
Lo mandarono subito nel suo appartamento che avrebbe diviso con altri tre ragazzi che lo accolsero gentilmente.
Era tutto molto semplice, come piaceva a lui.
Poco accogliente ma in fondo era un dormitorio ed era normale.
Le tende leggere azzurre erano anche alla finestra della sua camera che era abbastanza grande contro ogni sua aspettativa.
Aveva la moquette e quando tolse le scarpe sentì quella morbidezza sotto i piedi e rimase per diversi minuti a godersi la sensazione.
L’armadio era piccolo per tutti i suoi vestiti ma avrebbe trovato una soluzione.
La scrivania era bella grande invece e c’era un vocabolario di inglese e qualche quaderno nuovo che avrebbe potuto utilizzare.
Si mise comodo, infilandosi la tuta.
Nel bagno in camera c’era una doccia moderna con un mosaico bellissimo e in generale, lo stile era molto moderno.
Adorava tutto e non vedeva l’ora di fare vedere tutto a Jungkook.
All’improvviso bussarono alla sua porta.
Era Mike, uno dei suoi futuri colleghi di corso che gli disse che la cena sarebbe stata disponibile alle 7:00 pm  alla mensa se avess voluto mangiare con loro.
Era un ragazzo molto carino, con le lentiggini e  capelli chiari che contrastavano con gli occhi verdi e scuri.
“Oh…ehm, grazie per avermi avvisato ma penso mangerò fuori.”
Il suo inglese era grammaticalmente perfetto e fluente.
La pronuncia british era il vero problema.
Mike rispose con un semplice okay poi aggiunse che se avesse avuto bisogno di qualcosa poteva chiedere.
Loro erano all’ultimo anno e di solito mettevano i ragazzi giovani degli erasmus con quelli più grandi in grado di guidarli e rassicurarli perché sapevano quanto gli stranieri potessero sentirsi spaesati in un posto così diverso da casa loro.
Tae rimase in camera sua fino al giorno dopo, era distrutto e la differenza di orario lo faceva sentire strano e doveva controllare spesso l’ora.


La mattina seguente fece colazione con Mike e gli altri due ragazzi, Lucas e Ethan.
Parlarono molto di quello che studiavano e dei loro interessi.
La colazione gli piacque molto perché anche la sua in Corea era abbondante.
Furono tutti così gentili e sperava che l’atmosfera non sarebbe cambiata e che avrebbe potuto chiamarli amici un giorno.
Disse a tutti che si scusava per la sua pronuncia orribile e furono molto dolci nel dirgli che non doveva scusarsi.
“Il tuo inglese è molto buono, non preoccuparti della pronuncia british.” Gli disse Lucas sorridendogli.
“Sappiamo che è difficile per un non madrelingua arrivare alla nostra pronuncia quindi, studia e vedrai che comunque i risultati saranno ottimi.”  
Si sentiva così speranzoso dopo quella mattinata e non vedeva l’ora di iniziare i corsi lunedì.
Dopo aver girato un po' per  il College e la gigantesca biblioteca che ti faceva sentire in un’altra epoca, andò a pranzare.
Chiamò Jungkook che rispose subito.
“Heeeey Tae!”
“Hey!”
“Ieri ti ho risposto ai messaggi ma non li hai letti.”
“Oh, dannazione. Scusa. Sono stato preso da tante cose.”
“Allora, com’è? Chi hai conosciuto?”
Tae gli raccontò tutto mentre pranzava e girava  per il centro di Londra.
Parlarono per ore e neanche se ne accorsero fin quando Tae si rese conto del fuso orario.
“Oddio Jungkook ma lì che ore sono?”
“Oh cazzo. E’ passata la mezzanotte da un bel po'.”
“Ti ho tenuto sveglio, scusa.”
Era fermo davanti ad una vetrina di tazze da tè bellissime e pensò di comprarne una a Kookie.
“Ah, non fa nulla. Inizio il mese prossimo a lavoro.”
“Uh, bene! Senti, ora devo andare. Ho appena trovato il primo regalo da comprarti”
“Tae… non spendere i soldi inutilmente. Sei lì da quanto? 24 ore?”
“E’ una sciocchezza ma devo assolutamente prendertela.”
“Okay, okay. Ci sentiamo presto.”
“Ok, ciao Kookie.”


Jungkook posò il cellulare sul comodino e si strofinò gli occhi per la stanchezza.
Sbadigliò.
Si distese di nuovo a letto.
“Era Tae?”
Era una voce profonda e assonnata.
Rispose che era lui e che gli dispiaceva di averlo svegliato per aver parlato quelle due ore e mezza.
“No, tranquillo. Era Tae, posso accettarlo.”
E gli si avvicinò per baciarlo. Si accocolarono vicini.
“Non sa di me, vero?”
Jungkook scosse la testa che era poggiata al petto nudo del suo ragazzo.
“Non lo sa.”
“Lo saprà mai?”
“A lui non importerebbe.”
“Ti ama.”
“Ma non come intendo io. Non come mi ami tu.”
I loro sguardi si incrociarono e si baciarono di nuovo, con passione.
Jungkook stava nascondendo quella relazione da tempo, mesi.
Il suo ragazzo, un ragazzo più grande di lui, sapeva tutto di lui e Tae e rimase comunque al fianco di Jungkook perché lo amava, lo amava davvero anche se per lui sbagliava a non dire nulla a Tae.
“Sarei dovuto andare da lui a Natale ma non ci andrò. Verrò con te in vacanza.”
“E quindi gli vorresti dire di noi come regalo di Natale? Non ti sembra…ingiusto?”
“E’ una buona occasione per dirglielo. Non  troverò più il coraggio altrimenti.”
Il ragazzo sospirò e  disse che se pensava che fosse la cosa giusta, avrebbe rinunciato a convincerlo a dirglielo subito.
Si addormentarono entrambi tranquilli e consapevoli che Tae in fondo avrebbe capito.


Passarono tre mesi.
I tre mesi più incasinati e stressanti che Tae aveva mai vissuto ma erano ricompensati dalla bellezza di Londra, dalla gentilezza dei suoi novi amici e dalla passione che aveva per quello che stava studiando.
Era fine novembre e presto avrebbe avuto le prime prove da superare e quella mattina era felice di seguire letteratura inglese,
ciò che adorava di più del suo corso di studi.
Ma entrò un uomo che portò una notizia che fece scalpitare tutti gli studenti seduti in aula.
Quell’uomo affascinate, alto, dai capelli dorati e la pelle diafana annunciò che sarebbe stato lui a concludere il corso perché il Prof. Cohen aveva avuto un imprevisto negli USA e non sarebbe tornato fino a fine anno.
I giovani volti rimasero impietriti a quella orribile notizia.
Cambiare un professore poco prima dell’esame non era per niente positivo.
Sarebbe cambiato il metodo con cui studiare e anche parte del programma, come si affrettò a spiegare il nuovo docente.
“Ma non temete. Io all’esame voglio che esponiate soprattutto la vostra critica, ovviamente unita al programma ma… Insomma, so quanto vi sentite destabilizzati ora. Quindi, vi verrò in contro.”
Dopo queste parole l’umore generale effettivamente migliorò.
Tae anche sospirò rilassato.
Le lezioni con il nuovo professore, il Dott. Lonsert, erano pura magia.
Aveva una delicatezza nel parlare che incantava e una passione che ti faceva amare tutto quello che spiegava, persino i concetti più complicati. Quando tornava incamera a studiare gli appunti si convinceva sempre più che avrebbe preso un buon voto a quell’esame a cui teneva tanto.
Ormai Lonsert era la sua unica ispirazioni.
O almeno lo era, fin quando un giorno si presentò in classe con affianco il ragazzo più affascinante e mozzafiato che Tae avesse mai visto.


Appena entrò, tutti si zittirono e tutto parve andare a rallentatore.
Gli sguardi erano tutti su di lui, vestito completamente di nero.
Pantaloni eleganti neri, t-shirt nera, giacca nera, capelli tirati indietro di un color pazzesco, grigi dai riflessi blu e teneva sotto braccio dei libri.
La sua pelle emanava luce, era bianca come il latte.
Gli occhi a mandorla tipici asiatici contenevano uno sguardo profondo che ti gelava sul posto.
Le labbra erano carnose.
Il profilo delicato, regale.
Si sentì nell’aria un profumo delicato, fresco, piacevolissimo.
Le ragazze non poterono non commentare, così come alcuni ragazzi.
Tae, appena vide il suo volto sentì di non riuscire più a respirare.
I brividi gli corsero sulle braccia e dietro la schiena.
Si chiese cosa fosse quella sensazione che mai aveva provato vedendo un ragazzo, per quanto bello fosse.
Ma lui.
Lui era molto di più.
Era qualcos’altro. 


“Vi presento Jimin.”
“Buongiorno a tutti.”
Disse, facendo un piccolo inchino.
Poi il professore continuò.
“Mi sostituirà perché, devo ammetterlo a malincuore, è più preparato di me riguardo l’argomento di oggi.”
Tutti sorrisero.
“Inoltre, sono sicuro che lo troverete almeno affascinante come me nonostante la sua giovane età.”
“Oh, professor Lonsert, lei è troppo buono. Il suo fascino è insuperabile.”
E se poteva esistere una voce come quella allora il Paradiso esisteva perché è li che ti sentivi quando lo ascoltavi.
Era una voce calma, dolce, suadente, che ti faceva sentire al sicuro.
“Bando ai convenevoli.”
Taglio il professore.
“Ragazzi, buona lezione. Ci vediamo settimana prossima.”


Quel ragazzo così sicuro di sé e incantevole iniziò la lezione e per Tae fu difficilissimo concentrarsi.
Non faceva altro che fare considerazioni su Jimin nella sua testa.
Si chiedeva dove viveva, quanti anni veramente avesse perché sembrava troppo giovane per avere le competenze per fare una lezione così complessa, ma la fece e divinamente.
E’ sicuramente coreano come me, si disse Tae.
Chissà come ci è finito qui, come fa a parlare così bene inglese, se è nato qui o in Corea.
Avrà fratelli?
Poi pensò che se avesse avuto una ragazza, quella ragazza era innanzitutto la più fortunata al mondo ma anche la più bella visto che lui era…
“C’è qualcosa che non le è chiaro?”
Tae quasi balzò dal suo posto.
Lo stava fissando.
Perché si era messo in prima fila proprio quel giorno?
“Ehm, n-no. No. Tutto chiaro. Mi scusi.”
Jimin gli sorrise e non fece altro che complicare le cose perché Tae sentì il cuore impazzirgli nel petto.
Ma che cosa stava succedendo?
Jimin lo percepì.
Lo percepì perché la sua natura era tutt’altro che umana e il suo udito anche.
“Bene. Allora continuo.”
Disse, e così continuò la lezione.


Disse quello che era successo a Jungkook la sera stessa.
Gli descrisse la bellezza impossibile di quel ragazzo e la sua maestria nel tenere una lezione e anche di come si era distratto ed era stato ripreso. “Volevo morire Kookie, te lo giuro. Non ero io, non so cosa mi fosse preso.”
“Dai, almeno ti ha notato.”
“Sì, ma per il motivo sbagliato.”
Parlarono ancora per un po' fin quando Tae non si ricordò delle imminenti vacanze natalizie.
Ma Jungkook gli disse che non sarebbe andato.
“Se ti mancano dei soldi posso darteli io, non è problema.”
“Non sono i soldi.”
Silenzio.
“Kookie? C’è qualcosa che non va?”
“Tae, io andrò in vacanza con Jin. Il mio ragazzo.”
Quella giornata proprio non voleva smettere di fargli venire attacchi di cuore.
“Oh…”
“S-stiamo insieme da…qualche mese ed io non te l’ho detto perché quello che stava succedendo tra di noi era…”
“O-okay. E’ solo che…non so cosa dire.”
“Lui sa quello che è successo. Sa cosa sei tu per me ed è stata la persona più comprensiva e dolce in questa situazione e vorrei solo che tu non ti arrabbiassi.”
Tae deglutì a fatica.
Non era arrabbiato, ma sorpreso.
E un po' triste.
“Kookie, io supporto ogni tua decisione ed anche questa.E capisco perché tu non me l’abbai voluto dire.”
Lo capiva veramente.
Capiva che Jungkook sperava in loro e non voleva rovinare tutto dicendo che si frequentava con un altro.
Ma nel momento in cui lui lo aveva rifiutato, aveva scelto Jin ovviamente.
“Voglio che tu sappia che devi essere felice, ok?” gli disse Tae.
“Sii felice e questo basterà per me.”
“Grazie. Davvero.”
La loro amicizia non sarebbe mai stata rovinata da niente e nessuno.
O quasi nessuno.
Dopo pochi mesi, tutto sarebbe cambiato.

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Capitolo 6
*** Chapter 6 ***


Poco prima dell’esame di letteratura inglese, Tae aveva dei dubbi riguardo un argomento e, una volta saputo l’indirizzo dell’ufficio dove il Prof. Lorset riceveva gli mandò una mail a cui ripose subito, dicendogli di andare da lui quel giovedì nel tardo pomeriggio.
E così fece.
L’edificio era una costruzione in mattoni rossi di cinque piani.
Era un quartiere elegante e non ci si poteva aspettare di meno da un uomo come lui.
Arrivò all’ultimo piano dove c’era solo una porta in legno scuro e una targhetta in oro con il nome Peter Lorset.
Bussò.
La porta si aprì.
“Buonasera profes-”
Jimin curvò le labbra morbide in un sorriso.
“Buonasera, Taehyung. Prego, entra.”
E si avviò dentro.
Tae rimase per qualche secondo immobile, ovviamente non aspettandosi di trovarsi Jimin davanti.
Entrò in quello che era un open space enorme, che comprendeva un salotto sulla sinistra e una cucina modernissima con una penisola in marmo mozzafiato sulla destra.
A terra c’era il parquet scuro e lucido.
La parete di fronte a lui in fondo alla casa non era un muro ma una vetrata immensa, che andava da terra fino al soffitto.
La vista era…wow.
Si vedeva la città al tramonto e Tae non poté che complimentarsi per quello che vedeva.
Sempre sulla sinistra, notò una scala a chiocciola che portava alla zona notte della casa.
“Grazie. È un bel posto.”
Disse Jimin, sempre con quel sorriso gentile sul volto.
Indossava un pantalone della tuta nero e una t-shirt nera.
Era a piedi nudi.
Anche così sembrava pronto per una sfilata di moda.
Avrebbe fatto invidia ai migliori modelli per il suo fisico slanciato e asciutto, anche se ora che si vedevano le braccia e la t-shirt gli fasciava le spalle e la schiena, si notava che era abbastanza muscoloso e forte.
Tae si ritrovò a fissarlo.
Di nuovo.
“Ancora distratto?”
Gli disse in modo persuasivo.
“S-scusami. È che mi aspettavo di vedere Lorset.”
Era molto confuso.
“Lui non c’è, ha avuto in impegno con un collega ma ha detto che puoi chiedere a me.”
Così dicendo si sedette al grande tavolo di vetro al centro del salone e accavallò elegantemente le gambe.
Tae si sentiva così dannatamente fuori posto.
Poggiò la borsa sulla sedia, si tolse il cappotto e si sedette. 
Che ci faceva Jimin in quella che sembrava la casa del suo professore, e non l’ufficio?
Gli vennero in mente mille pensieri tra cui uno che voleva assolutamente ignorare.
Non poteva essere.
Non poteva esserci una relazione tra i due.
“Ehm.”
“Se ti chiedi cosa sono io per Lorset, beh, sono suo figlio. Adottivo, ovviamente. Avrai riconosciuto in me i tuoi stessi tratti coreani.”
“Non dovevi darmi spiegazioni. Sono solo uno studente che-” 
“ Lo so. Volevo solo mettere le cose in chiaro.”
Anche se lo disse con decisione, suonò comunque gentile.
Reggere il suo sguardo era così difficile.
Quegli occhi scuri ma che a certi livelli di luce sembravano schiarirsi e diventare azzurri e poi di nuovo neri mettevano in soggezione e Tae che distolse lo sguardo.


Gli spiegò le sue perplessità e Jimin, come si aspettava, dissipò tutti i suoi dubbi.
Averlo così vicino, sentire ancora meglio il suo delicato profumo fu meraviglioso.
Quasi non voleva andarsene una volta che finirono di parlare.
“Hai un punto di vista molto interessante.”
“Sono appassionato di letteratura. Una fissa.”
Rise nervoso.
“Andrai bene all’esame tranquillo.”
E mentre lo disse si passò la mano tra i capelli e si inumidì le labbra carnose.
“G-grazie.”
Tae non sapeva se sarebbe stato in grado di camminare dopo quella visione.
Ma si alzò e arrivò alla porta senza difficoltà.
“Per qualsiasi cosa, ci sono sempre.”
Disse piano Jimin.
Tae annuì e lo salutò gentilmente poi la porta si chiuse e rimase per qualche secondo come sotto una magia che gli fece girare la testa.
Tornò al dormitorio e neanche salutò i ragazzi, chiudendosi in camera sua e buttandosi sul letto.
Si sentiva un adolescente in piena crisi ormonale.


“Jimin.”
“Peter.”
Jimin, chiusa la porta, si voltò e vide il volto severo del professore.
“Doveva chiedere consulenza a me.”
“Lo so. Ma…insomma, lo hai visto?”
Chiuse gli occhi estasiato e si morse il labbro inferiore.
“Qualsiasi pensiero ti sia venuto, eliminalo subito.”
“Mi ritieni così irresponsabile?”
“No. Ma quando vuoi qualcosa, sei testardo e la vuoi ottenere a qualsiasi costo. E questa cosa mi preoccupa sempre.”
Jimin gli si avvicinò e gli mise le mani sulle spalle.
“Ascolta, non ho cattive intenzioni. Non è come pensi.”
Gli sorrise e andò a stendersi sul divano.
Peter fu sorpreso dalla sincerità che percepì.
“Oh. Quindi non è una tua possibile vittima?”
“O santo cielo, no. Ha una mente preziosa ed è così…”
Gli occhi di Jimin fissarono un  punto sul soffitto per un po'.
Non trovava le parole.
“Quindi ti piace. Ti piace davvero tanto.”
Il ragazzo si coprì il volto con le mani.
Lorset gli si sedette vicino e gli disse:
“Noi siamo qualcosa di molto complicato, ragazzo mio. Siamo dei mostri. Lo penso spesso perché quello che facciamo per sopravvivere ci rende tali ma…quando vedo te, quando vedo la passione per quello che ti piace capisco che non siamo dei mostri.
Abbiamo ancora la nostra parte umana e tu me la ricordi sempre. Soprattutto ora. Insomma, guardati. Potrei dire che sei arrossito se solo avessi del sangue in circolo nel tuo corpo.”
Rise piano, e Jimin fu felice di vedere quella comprensione.
“Posso farti una domanda, Peter?”
“Certo.”
“Anche se il mio cuore non batte, anche se non ho sangue e faccio quello che faccio…pensi che possa amarmi?”
Peter strinse le labbra e pensò bene alle parole da dire.
“Il problema non è l’amore. Certo che può amarti, sei meraviglioso. Devi sempre ricordarti che l’unica cosa che conta per davvero è se ti accetta. Soprattutto per chi sei, non per cosa sei.”
“Ma nel nostro caso, cosa sono è un problema enorme.”
“Lo so. Ma deve imparare a convivere anche con quello se ti ama.”
Gli scompigliò i capelli con fare paterno e lo lasciò alle sue riflessioni.
Jimin era convinto che quel ragazzo fosse un’eccezione e che lo avrebbe accettato.
Quando era entrato per la prima volta in aula, sentiva solo il cuore di Tae battere.
Sentiva solo il suo odore dolce e il suo sguardo su di lui gli fece sentire sulla pelle un calore che mai pensava fosse possibile provare per una creatura come lui, per un vampiro che è destinato solo al freddo e alla solitudine.
Ma Tae era come il sole, un sole che lui sentiva, finalmente.
Un calore che gli faceva ricordare com’era essere vivo e non ci voleva rinunciare.
Quindi, decise che se avesse capito che anche Tae poteva provare qualcosa per lui, avr ebbe mostrato ogni parte disè, ogni parte che non aveva mai mostrato a nessuno perchè fin a quel momento non aveva sentito per nessuno qualcosa di simile.
Aveva deciso che era il momento di lasciarsi andare.

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Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


“Sapevo che saresti andato bene all’esame. Sono felice per te.” gli disse Mike, quello con cui aveva legato di più sin dall’inizio.
Stavano vedendo un film nel piccolo salotto che condividevano con gli altri tre ragazzi dell’altro appartamento ma quel pomeriggio non c’era nessuno e potevano avere la tv e il divano tutti per loro.
“Sono felice di aver preso il voto più alto. Mi sembra ancora impossibile.”
“Sono sicuro che supererai tutti gli esami con ottimi voti. Si vede che sei un ragazzo…”
“Un ragazzo?”
“Non lo so. Ma sei uno con la testa sulle spalle che però ha occhi da sognatore e che ha una sensibilità diversa.”
“Oh…penso sia la cosa più carina che qualcuno mi abbia mai detto. Grazie Mike!”
"Figurati.”
E fecero cin cin con le birre che stavano bevendo.


Ancora non aveva rivisto Jimin e dopo ave fatto l’esame non vide più neanche il professor Lonsert.
Pensava spesso a Jimin.
Lo incuriosiva tantissimo e avrebbe voluto sapere tutto di lui.
Sentiva che era una di quelle persone che incontri una sola volta nella vita.
Poi quelle cose che aveva provato non riusciva a dimenticarle e addirittura pensò che si trovava a Londra  solo perché era destinato ad incontrare quel ragazzo così incredibile.
Con questi pensieri, vagava per gli enormi scaffali della biblioteca in cerca di un manuale.
Si incamminò verso il settore che gli interessava e appena alzò lo sguardo lo vide.
Stava su una scala poggiata agli scaffali che maneggiava dei libri.
Jimin aveva riconosciuto il suo odore da quando aveva varcato la soglia della biblioteca.
Lo stava solo aspettando.
“Hey” gli disse sorridendogli.
“Buongiorno Jimin.”
Scese le scale con una naturalezza impressionate, avendo in mano tre libri che posò sul tavolo in legno dietro di lui.
Gli si avvicinò e chiese:
“Posso?” porgendogli la mano aperta.
Tae gli diede il foglio con sopra scritti i manuali che gli servivano.
Jimin lesse concentarto.
Indossava un maglione grigio scuro di lana, a collo alto e jeans scuri.
Il suo stile era molto simile a quello di Tae ma ancora più minimalista e Tae lo adorava visto che gli stava d’incanto.
“Te li prendo subito.”
E gli ridiede la lista.
“Lavori qui?”
“Oh, sì. Diciamo che è il mio lavoro ufficiale oltre essere assistente del professor Loster. Sono il secondo responsabile della biblioteca e uno dei miei compiti è fare l’inventario dei libri, riordinarli, scegliere dei volumi e cose così.”
“Sembra molto interessante.”
“Lo è se ami i libri.”
Intanto camminavano.
Si fermarono poche corsie dopo e Jimin prese i libri per Tae che lo ringraziò.
“Sono libri in latino.”
“Eh, lo so. Sarà un lavoraccio cercare le cose che mi servono ma ho la volontà per farlo.”
“Lo so. Ma voglio darti una mano, se me lo concedi. L’esame è vicino ed un piccolo aiuto può farti solo bene.”
Era nella sua natura saper persuadere e convincere ma stavolta lo fece con buone intenzioni e con sincero interesse.
“Conosci anche il latino quindi…”
“Sono laureato in Lettere antiche e poi ho dei master riguardanti la cultura e la letteratura inglese.”
“Ma…come…”
“Volontà. Lo hai detto tu. Dai, sediamoci e incominciamo a lavorare.”


Si sedettero e passarono lì tutto il pomeriggio, fino alla chiusura della biblioteca di cui Jimin era il responsabile.
“Fra un quarto d’ora dobbiamo andare ma abbiamo fatto parecchio.”
Gli sorrise dolcemente e dopo aver passato tutte quelle ore con lui, Jimin gli sembrò più umano e meno irraggiungibile.
In fondo, era un ragazzo come lui che sapeva scherzare e che oltre a quella bellezza esterna aveva una bellezza interiore che esprimeva con la sua immensa cultura e allo stesso tempo con umiltà.
Uscirono e una volta chiusa a chiave la biblioteca si incamminarono fuori al College. 
“Grazie per il tuo aiuto, non so come potermi sdebitare.”
“Oh, figurati. Serve anche a me per rinfrescarmi la memoria su cose che ho fatto tanto tempo fa.”
“Beh, almeno…”
Tae non sapeva da dove nasceva quel coraggio spudorato ma sentiva una tale sintonia tra loro che voleva solo passare più tempo possibile con Jimin e quindi gli disse: “….almeno lascia che ti offra  una cena, un sabato. Se vuoi.”
Jimin guardò il volto bellissimo di Tae, quegli occhi grandi e dolci e quelle labbra perfette curvate in un piccolo sorriso e sentì in gola un nodo,
un nervosismo che mai aveva sentito, sintomo di una felicità di cui pensava di non essere degno.
Che regalo meraviglioso che gli stava facendo la vita dopo così tante sofferenze.
Annuì visivamente emozionato.
Tae sospirò, un po' preoccupato per una risposta negativa ma al sì di Jimin sorrise felice come una Pasqua e dopo essersi scambiati i numeri di cellulare si lasciarono con la buonanotte.


Tae si strinse nel piumino blu che indossava e mise il cappello di lana che Kookie gli aveva regalato prima di partire.
Camminò per tutto il tempo con un sorriso a trecento denti stampato in faccia ancora incredulo che uno come Jimin potesse interessarsi a lui.
Non si sottovalutava, sapeva che aveva una bella personalità ed era un bel ragazzo ma Jimin era ad un altro livello che lui non raggiungeva.
Però, aveva capito che quel ragazzo era diverso, che aveva una sensibilità simile alla sua riguardo alla cultura e a quello che suscita.
Quando stava con lui, sentiva di poter essere sè stesso come quando stava con Jungkook e anche di più.
Una cosa impossibile, pensava.
Ma era appena successo.
Quel sabato sera sarebbe uscito con Jimin a cena e non vedeva l’ora. 

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Capitolo 8
*** Chapter 8 ***


Quella mattina Londra era rumorosa e viva più che mai.
Le strade gremivano di persone eccitate per l’avvicinarsi del Natale e le vetrine dei negozi erano tutte scintillanti e luminose,
proprio nello stile natalizio che rendeva Londra uno spettacolo da vedere almeno una volta nella vita.
Le nuvole erano poche nel cielo e il sole era tiepido.
Jimin guardava fuori dalla finestra della sua camera, le mani nella tasca dei pantaloni della tuta e sorrideva nel vedere
che la vita era rimasta più o meno uguale dopo 300 anni.
Il suo volto e il suo fisico ne dimostravano 22 ma quei tre secoli lui li aveva vissuti e ne sentiva tutto il peso in quel cuore che ormai non batteva più. Ormai si era abituato a quel corpo così diverso da tutti quelli che lo circondavano.
Si era abituato a non sentire più i gusti o il dolore fisico.
Quello a cui non si sarebbe mai abituato era la solitudine.
Quell’incessante sensazione di provenire da un mondo diverso, sbagliato, odiato, temuto non lo lasciava mai.
Mai.
Sospirò.
Nella malinconia di quei pensieri però c’era Taehyung.
Quel ragazzo così vivace ma allo stesso tempo capace di essere profondo e riflessivo come gli aveva dimostrato in biblioteca giorni prima.
Avevano parlato di letteratura, dei loro artisti preferiti, di musica, di viaggi e dei loro pensieri riguardo tante cose.
Non avevano parlato affatto delle loro vite, troppo presi dai discorsi sull’arte e le loro passioni.
Jimin temeva il giorno in cui avrebbero affrontato l’argomento.
Avrebbe dovuto dargli spiegazioni e avrebbe dovuto farlo nel modo più delicato e rassicurante possibile perché dire a un essere umano che sei una creatura immortale che succhia il sangue per vivere non era proprio concepibile per lui.
Come?
Come far uscire quelle parole dalla sua bocca?
Non lo aveva mai detto a nessuno.
Nessuno aveva ma avuto la sua fiducia.
Tuttavia, sentiva in quel 20% di umanità che era rimasto che Tae era un’anima affine alla sua, nonostante lui non ne avesse più una.
Che cosa assurda, pensò.
Era così complicato.
Si sentiva perso e felice allo stesso momento e tutto quello che sperava era non perderlo.


“Ti stai frequentando con quel ragazzo, eh?”
Il professor Lorset, che Jimin chiamava Peter ormai, entrò nella sua camera sorridendo.
“Come fai a saperlo? Mi segui?”  chiese Jimin che apparse un po' nervoso perché sapeva che Peter in fondo non avrebbe voluto che lui si affezionasse ad un umano.
“Hai il suo odore addosso.”
Jimin fece un piccolo sorriso.
“Hai passato molto tempo con lui.”
I capelli dorati dell’uomo brillarono al sole che entrava in camera.
I suoi occhi chiari erano penetranti e Jimin  non resse lo sguardo.
Si passò una mano tra i capelli grigio scuro, come faceva spesso, e si sedette sul suo letto a gambe incrociate.
“E’ un problema per te se vedo Tae?”
“Beh, io”
“Non mi importa comunque. So che vuoi il mio bene e credimi se ti dico che non gli torcerei neanche un capello. Non per fargli del male almeno.” Sorrise malizioso.
Peter ricambiò il sorriso e sospirò.
Poi disse: “In realtà ti stavo per dire che potrebbe farti bene un po' di calore umano. Sai, emozioni. Qualcuno con cui passare il tempo.”
“Ho te.”
Peter scoppiò a ridere.
“Sai cosa intendo, Jimin. Io sono solo…tuo ‘padre’, mentre hai bisogno di un amico. Di una persona che possa darti attenzioni diverse. Io so come ci si sente.”
“Lo so.”
Peter si sedette al suo fianco.
“In 800 anni ho avuto molte donne ma nessuna è rimasta e non solo perché è…”
Sul volto di quell’uomo  mozzafiato apparve un’ombra di tristezza che stringeva il cuore.
“Non dobbiamo parlarne se non vuoi.”
“No, devo. Devo dirti che quando le donne che ho amato sono morte, io invece sono stato costretto a vivere secoli con il dolore della loro assenza. Giorno dopo giorno la consapevolezza della loro morte mi uccideva. Ho cercato sempre di essere forte ma quando le vedevo dormire serene al mio fianco non facevo altro che immaginare che non si sarebbero più svegliate.”
Jimin strinse i denti.
Sentiva un colpo allo stomaco.
Quelle parole erano troppo e lui pensava a Tae.
Peter gli poggiò una mano sulla spalla.
“Loro hanno accettato ciò che ero e…sarò sempre grato di averle incontrate, amate e essere amato. Hanno dato senso ai miei giorni e so che accadrà anche te.”
Jimin annuì sperando accadesse con Tae.
Anche se  solo per la durata della vita di Tae.
Dopo un po' di silenzio per riprendersi da quel discorso, Jimin gli disse che le sue parole, seppur dolorose, lo avevano aiutato e reso ancor più consapevole che non doveva rinunciare a Tae solo per la paura di non riuscire a dirgli cos’era.
Glielo avrebbe detto e avrebbe accettato le conseguenze.
“Sono sicuro che andrà tutto bene. Non tutti gli esseri umani sono insensibili e ingiusti. C’è del buono. L’ho vissuto.”
“Tae lo è. E’ davvero una persona che non conosce cattiveria, ne sono certo.”
“Bene. Voglio che nonostante le mie angoscianti parole tu possa goderti i momenti con lui e che possa divertiti con lui. Per davvero. Fate ogni cosa che vi passa per la testa, godetevi ogni singolo istante.”
“Se me lo concederà, gli regalerò la vita migliore che possa avere e sperare di vivere. E’ una promessa che faccio a me stesso. Lo farò.”
 

Tae si vestì con calma.
Indossò un maglioncino blu scuro e i jeans.
Si guardò allo specchio aggiustandosi i capelli che ormai gli coprivano gli occhi. Indossò il giubbino, prese il portafogli e chiuse la sua camera.
Disse ai ragazzi che usciva e tutti gli buttarono frecciatine immaginando avesse un appuntamento con una ragazza.
Se solo avessero saputo…
Si incamminò tra la gente che felice comprava i regali di Natale e quella gioia che lo circondava lo mise di buon umore perché non poteva nascondere di essere piuttosto nervoso per quella sera.
Si era visto con Jungkook quel pomeriggio grazie a Skype e gli aveva raccontato il pomeriggio in biblioteca e che aveva invitato Jimin a cena.
Kookie aveva  cercato di rassicurarlo dicendogli che non aveva di cui preoccuparsi ma Tae pensava che era facile dire così, lui lo amava e lo conosceva come nessuno.
Tuttavia, ora sereno e appena girò l’angolo lo vide.
Aveva la testa bassa sul cellulare.
La sua figura slanciata era stretta in un trench nero e una sciarpa di lana doppia gli avvolgeva il collo.
Aveva un profilo regale.
Se ne stava immobile con naturalezza come una statua di marmo e la sua pelle diafana poteva farti credere che lo fosse.
Alcune ciocche di capelli di quel colore di stelle e argento gli cadeva sulla fronte.
Era uno spettacolo.
Era a qualche metro quando Jimin alzò il volto e lo guardò, come se sapesse che stava arrivando e gli sorrise piano, salutandolo con la mano.
Quel sorriso che mostrava i suoi denti bianchissimi era gioioso e Tae sentì salirsi quasi le lacrime.
Non poteva credere che Jimin era lì per lui.

“Hey!”
“Ciao Jimin”
Jimin lo abbracciò per qualche secondo e cautamente poggiò il naso alla sua pelle per sentire il dolce profumo di Tae.
Era l’odore più buono che avesse mai sentito.
Entrarono e si sedettero. Il ristorante era molto bello ma alla mano e l’atmosfera tranquilla aiutava Tae a non rimanere troppo rigido e anche Jimin preferiva un’ambiente in cui poteva rilassarsi.
Parlarono un po' e Tae pensò che era stato un’idiota a preoccuparsi.
Jimin era così adorabile e per niente serio e altezzoso come era apparso la prima volta che lo aveva visto quando tenne la lezione al posto di Lorset.  Era così umano.
“Comprato qualche regalo alla tua famiglia per Natale?” chiese Jimin con naturalezza, ma Tae mutò d’improvviso l’espressione del volto.
“Beh…”
“Scusami. Se non vuoi parlarne non devi.”
Rispose Jimin che capì al volo le emozioni di Tae.
Il suo sangue scorreva più velocemente e i muscoli si contrassero.
Percepì tutto questo e gli dispiacque molto.
 “Voglio. E poi parlarne mi aiuta ogni volta a superare la cosa quindi…”
“Ok”
Tae sembrò calmo.
“I miei genitori sono morti poco più di un anno fa. Ho venduto la casa e sono stato per un po' dal mio miglior amico Jungkook.
Poi ho iniziato l’università perché prima non volevo, ho sempre lavorato. Ho trovato un mio appartamento, ho trovato un mio equilibrio e ho scelto di fare l’Erasmus perché, come mi ha sempre detto anche Jungkook, io sono fato per il mondo.”
Sorrise alzando le spalle.
 “Ne parli con molta decisione e forza. Sono felice che stai vivendo la tua vita a pieno. Devi sempre farlo, Tae.”
Quelle parole ovviamente toccarono Jimin che se era totalmente preso da quel ragazzo prima, ora lo ammirava in un modo indicibile.
“Anche io sono felice di avere questa forza e determinazione. E sono felice di essere qui.”
Jimin abbassò lo sguardo, preoccupato.
“Jimin... Tutto ok?”
Torturava il tovagliolo con le mani e per poco non lo strappò.
Non rispose.
Non sapeva cosa dire, aveva paura di come poteva andare il discorso, delle domande di Tae; ma Tae capì che forse c’era qualcosa  che non andava e non voleva pressarlo e cambiò discorso.
“Jimin, posso dirti una cosa?”
La sua voce calda e profonda era bellissima e Jimin la adorava; lo aveva anche tranquillizzato in realtà.
“Certo, dimmi.”
Alzò piano lo sguardo verso quel ragazzo che si porse un po' verso di lui.
“Sei bellissimo”
Tae lo disse guardandolo dritto negli occhi con le labbra curvate in un piccolo sorriso.
“Non solo bellissimo, comunque. Mi sono reso conto passando del tempo con te che sei una persona come poche ce ne sono al mondo e ce ne dovrebbero essere di più, onestamente. E voglio ringraziarti per essere così anche se suona è strano o non ha senso ma…davvero.
Grazie per essere chi sei.”
Quello che provò e pensò Jimin  è indescrivibile, non sapeva dargli un nome.
Semplicemente lo sentiva e chiuse gli occhi per godersi quell’attimo.
Grazie per essere chi sei. 
E cos'era lui per Tae? 
Non un mostro, nè un corpo senz'anima, nè qualcosa di sbagliato come lui sentiva di essere, ma una persona. 
Una persona che gli piaceva. 
Tutto questo era nuovo per lui ed era l'unica cosa che desiderava: essere chi era senza vergona o paura.
E Tae gli aveva dato questo, ora. 
Gli aveva dato un senso. 
Sospirò.
“Spero di non averti messo in imbarazzo. Appari sicuro e forte ma sei timido.”
Jimin abbassò il volto e rise portandosi una mano al viso dopo quelle parole.
“Tae…mio dio.”
Non riusciva a smettere di sorridere.
“Che c’è? E’ la verità.”
Disse Tae mangiando disinvolto un boccone.
Quando Jimin si riprese finirono di mangiare e uscirono in strada a fare una passeggiata.


Erano quasi arrivati al College e Tae prese la mano di Jimin, che si fermò di colpo, cercando di lasciargliela.
“Scusa…”
“No. Non dirlo neanche. E’ solo che…ho le mani gelate.”
Tae corrugò la fronte.
“E ti preoccupi?! Lo so. E’ dicembre è normale, non fa niente.”
E gliela riprese, incrociando le dita con quelle veramente gelate di Jimin.
“Ti regalo un paio di guanti a Natale.” gli disse sorridente.
Quel sorriso poteva curare qualsiasi cosa pensò Jimin.
Se solo avesse potuto dirgli che non sarebbe cambiato nulla, che gli avrebbe potuto dare solo il freddo con il suo tocco.
Questa cosa lo intristiva ma lo nascose bene.
Quindi, continuarono a camminare mano nella mano e Tae resisteva al freddo della sua mano, non la voleva lasciare.
Jimin sentiva il sangue di Tae scorrere sul suo palmo grazie alla stretta della sua mano.
Era caldo e regolare.
Era così piacevole.
Quando si salutarono si abbracciarono a lungo.
L’aria era fredda e umida e i rumori sembravano ovattati.
Erano l’uno persi nella stretta dell’altro.
“Qualunque cosa ti sia successa, qualsiasi dolore o…” dicendo questo all’improvviso, Tae lo strinse un po' più forte.
“Voglio solo tu sappia che va bene. Che puoi sfogarti e che passerà. Te lo prometto.”
“Tae…”
“Non devi dirmi nulla. Abbiamo tempo.”
L’abbraccio si sciolse e si guardarono.
Jimin si limitò ad annuire.
Il tempo per lui ormai qualcosa di così fuggente e quella frase non gli piaceva.
Non avevano tempo, tutto quello sarebbe finito così in fretta.
Tae gli baciò il dorso della mano con quelle labbra carnose e calde e appena si voltò incamminandosi verso il dormitorio, Jimin baciò l’esatto posto dove si erano appena posate quelle labbra e cercò di tenere quel calore sulle sue il più a lungo possibile.
Iniziò a nevicare.
Alzò lo sguardo al cielo nero.
Esisteva l’inferno.
Aveva fatto un patto col diavolo e sapeva cos’era il dolore.
Eppure, in quel momento era sicuro di essere felice.
Lo sapeva.
Lo sentiva in quel poco di umanità che aveva.
Lo sentiva davvero.
Sorrise pensando che era valsa la pena vivere 300 anni, era valsa la pena vivere fin a quel momento perché Tae era lì.
Ed era l’unica cosa che importava.
 

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Capitolo 9
*** Chapter 9 ***


Quel Natale fu il giorno più’ incredibile che Jimin avesse mai vissuto nei suoi 300 anni.
Quel Natale capì fino in fondo che non conta il luogo o il tempo che ti circonda, conta solo chi ti è vicino
e Tae era lì come nessuno mai c’era stato per lui.
Nevicava e si tenevano stretti sotto un cielo costellato da decine di fuochi d’artificio che dipingevano il Tamigi di colori accesi.
Si scambiarono i regali e i guanti che Tae disse gli avrebbe regalato glieli regalò per davvero, ed erano davvero bellissimi.
Jimin invece aveva scoperto che lui amava Gucci e gli regalò un maglione costosissimo di quella marca.
La reazione che ebbe Tae fu scioccante; tra le lacrime e l’euforia non smetteva di ridere e ringraziarlo.
Passò anche Capodanno tra giorni freddi ma riscaldati da quell’amore che cresceva poco a poco sempre di più e in modo così naturale,
come se stesse sbocciando un fiore.
I corsi all’università sarebbero iniziati fra qualche giorno e Tae per la prima volta ne era dispiaciuto perché significava non poter più
passare mattine al parco con Jimin o fare tardi la sera guardando film o andare in giro per Londra con Jimin che lo portava sempre in posti diversi e bellissimo.
Si sarebbe dovuto staccare da quella specie di sogno e riconcentrarsi sullo studio.


“Ahhh, non voglio chiudermi in quelle aule e passare ore sui libri.”
Disse con l’umore visibilmente sottoterra.
Erano a casa di Jimin, il sole tramontava e se ne stavano seduti sul morbido tappeto nel salone a mettere in ordine le polaroid che avevano fatto da quando si erano conosciuti.
Jimin sospirò e gli disse che doveva solo riprendere il ritmo, poi tutto sarebbe filato liscio.
Tae si stese a terra e sconsolato strinse un cuscino tra le braccia.
Iniziò a dire qualcosa.
“E’ solo che…”
Fissava il soffitto.
Strinse ancora di più il cuscino al petto.
Il cuore ci martellava contro e Jimin lo sentiva.
“Tae…”
Si alzò e si distese al suo fianco.
“Dimmi cosa pensi.”
Disse Jimin, prendendogli la mano e intrecciando le loro dita.
Tae si voltò verso di lui.
Dopo mesi, quella bellezza era ancora sorprendente e poi gli vennero in mente tutti i ricordi che aveva collezionato con quel ragazzo che era lì,
ad ascoltarlo, a volerlo supportare in quel momento e come aveva fatto da tanto ormai.
Sentiva che era un regalo che la vita aveva deciso di fargli dopo tutto il dolore che aveva sopportato senza poter trovarci un senso.
Un senso che ora aveva davanti.
La risposta che aspettava.
Si girò di lato guardando Jimin dritto negli occhi e disse:
“Penso che ti amo.”
E non si erano nemmeno ancora baciati.
Non c’era un motivo.
Semplicemente ancora non era successo.
Ma in quel momento, Tae sentì un tale desiderio di voler baciare quelle labbra che i brividi gli corsero lungo la schiena velocissimi,
le mani iniziarono a sudare e le labbra d’istinto si separarono come pronte ad accogliere altre labbra.
Jimin era senza fiato, senza speranza, senza raziocinio, senza volontà ormai.
Sentiva ogni centimetro del suo corpo tendere verso quello di Tae che si avvicinò pericolosamente.
Chiuse gli occhi.


Tae poggiò le labbra sulle sue, carnose, bramose.
Si baciarono così lentamente che il tempo sembrò paralizzarsi.
Ogni piccolo movimento delle lingue, delle labbra che si toccavano era lento e dolce e passavano i minuti ma non si stancavano,
non volevano andare più veloce, non desideravano altro che quel sapore piano, pianissimo, invadere le loro bocche.
Tae morse il labbro inferiore di Jimin e poi con le labbra lo succhiò piano, ancora e ancora.
Era una sensazione così piacevole.
Le mani di Jimin scorrevano sulla schiena di Tae che era su di lui.
Si staccarono e si guardavano persi l’uno negli occhi socchiusi dell’atro, bocche umide e aperte, respiri calmi, estasi pura.
Non capivano nulla.
Sentivano il mondo tremare sotto i loro corpi.
Tae voleva di più, voleva divorare non solo quelle labbra, ma quel corpo perfetto che aveva sotto di lui.
Gli vennero in mente pensieri pazzeschi che lo fecero arrossire.
Avrebbe fatto cose a quel corpo che non pensava poter desiderare di voler fare.
“J-Jimin…”
Si baciarono ancora, più sicuri.
Jimin sentiva l’erezione durissima di Tae sul suo ventre e, oh mio Dio, cosa gli avrebbe fatto.
Cosa poteva fargli se solo avesse potuto.
Tae mosse i fianchi per premere contro Jimin ma Jimin lo serrò in una morsa di ferro e lo spostò.
Tae si sentì morire.
Stava per esplodere.
“Jimin! Cosa diamine…”
“Io…io…”
Se ne stava con la testa tra le mani.
Tremava tantissimo, stringeva i pugni, gli mancava il fiato.
Tae vedendolo si preoccupò e si rese conto che qualcosa non andava.
“Hey…cos’hai?”
Si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
“Non posso farlo. Non posso…”
Il pianto rese quella voce triste, che faceva male ascoltare.
Tae sospirò.
Non stava capendo niente anche perché l’eccitazione non passava e non sapeva cosa fare,
si sentiva terribilmente incapace di affrontare quella situazione.
Cercò di tranquillizzare il fidanzato, di minimizzare la cosa che in fondo non era così grave.
Magari non era la serata giusta e lui aveva troppo insistito.
Ma Jimin non alzava la testa, non rispondeva, quasi sembrava non respirare neanche.


“Devo dirti una cosa.”
disse dopo un silenzio interminabile e con una voce dura, così profonda che non sembrava sua.
“Certo. Certo, dimmi.”
Fuori era buio ormai.
Tutto taceva.
Jimin si alzò e si asciugò le lacrime.
Tae anche si alzò, con fatica, con un’ansia che gli divorava lo stomaco.
Cosa stava succedendo?
Perché era tutto così strano all’improvviso?
“Ti prego, siediti.”
Tae lo fece e si sedette sul divano.
Jimin si passò la mano tra i capelli scuri e sospirò.
Non voleva trovare scuse, non voleva mentire.
Era stato già troppi decenni incastrato in una bugia che lo stava poco a poco divorando.
Ma non era un atto solo egoistico.
Avrebbe dovuto confessare tutto anche per il bene del ragazzo che amava.
“Tae, io so che quello che sto per dirti…”
Scuoteva la testa.
Non erano le parole giuste.
C’erano parole giuste per dire quella cosa?
“Le parole che stai per sentire sembreranno uscite da chissà quale libro o film sovrannaturale ma…sono una realtà che non  tutti conoscono, che non tutti accettano o credono ma sono comunque una realtà.
Devi credermi. Devi sforzarti di credermi perché se ti sto per confessare questa cosa è perché innanzitutto so che una persona intelligente e sensibile come te può capire, e so anche che mi crederesti perché mi conosci.
Perché io non sono mai stato così sincero con qualcuno se non con te dal primo momento che ti ho parlato.”
Tae aveva un’espressione sul viso indecifrabile.
Si sentiva impazzire.
Sorrise piano ma Jimin rimase serissimo.
“Io sono ciò che vedi ora, Tae. Sono Jimin. Sono quel ragazzo che sembra altezzoso e troppo serio ma che in realtà è timido,
a volte impacciato, che cerca di farti sorridere sempre.
Sono…sono quello che ti parla delle cose che ama con occhi sinceri. Sono quello che vedi, okay? Sono la persona che ami.”
“Sì. Sì, lo sei.” Disse Tae sbattendo velocemente le palpebre.
“Lo sono.”
“Sì”
“Ricordatelo. Dopo ciò che sto per dirti, ricordalo. Ricorda chi sono perché lo sarò per sempre.”
“Jimin…ma cosa dici. Per favore, non scherzare. Se c’è un problema, qualsiasi cosa”
“T-ti prego. Fammi parlare…”
Tae sospirò ed annuì.
Passò qualche secondo e Jimin disse:
“Quando hai letto dell’ Inferno in Dante, quando hai letto del Diavolo in Milton, quando…hai letto Dracula di Stocker, quando hai studiato questa letteratura inglese tu pensavi di star leggendo storie di fantasia, storie di cose impossibili.”
Jimin prese fiato.
Non riusciva a guardarlo negli occhi.
“Non sono impossibili. Non sono finzione. Sono vere. Sono cose che ho visto, che conosco. Sono chi sono.”
Nella stanza tutto sembrò più cupo, angosciante, pesante.
A Tae girò la testa.
“Non…non è così. Ma cosa…”
Scuoteva la testa a quelle parole.
Erano assurdità.
Erano uno scherzo durato fon troppo a lungo.
“Jimin, non so cos’hai ma parliamone domani, okay?”
Lo disse quasi scocciato ma Jimin non lo ascoltò.  
“Io, ciò che vedi, non è umano. Sono un demone. Sono…sono senz’anima. La mia storia è complicata e assurda ma mi devi credere.”
“Dovremmo andare a dormire, okay? Hai bisogno di dormire, Jimin. Deliri. Non so se è per quello che è successo poca fa ma…”
Tae sorrideva.
“Bene. Okay. Non volevo mostrartelo. Io non voglio ma non ho scelta. Se veramente vogliamo che tra di noi ci sia qualcosa di unico, se veramente vuoi me… devi guardare ora e devi credere.”
“Va bene. Fammi vedere.”
Tae incrociò le braccia, quasi a prenderlo in giro.
Jimin sapeva che quello era l’unico modo e allora chiuse gli occhi e iniziò a parlare in una lingua che Tae non aveva mai sentito.
Tutto quello che sentiva era solo un senso di inquietudine.


Quando Jimin riaprì gli occhi, non erano umani.
Erano di un rosso profondo, rosso sangue, caldo e brillante.
La pelle divenne ancora più chiara, quasi trasparente e le vene blu divennero nere sotto la pelle sottilissima.
Le labbra persero il loro colorito.
Sembravano marmo.
Tae indietreggiò.
Aveva la nausea e non controllava il tremore alle mani, alle gambe.
Una sorta di aura nera avvolse Jimin che separò le labbra facendo vedere i lunghi canini.
Le luci in casa andarono ad intermittenza per qualche secondo e quando ritornò la luce quell’aura nera introno al corpo di quell’essere
sparì come alla fine di una magia oscura.
Tae ormai non si reggeva e finì in ginocchio, con il viso imperlato di sudore e il fiato corto.
Jimin parlò ancora ma stavolta si capì cosa disse.
Gli sorrise.
“Lo so. Neanche a me piace ciò che vedi.”
Gli occhi rossi si abbassarono. Erano così tristi. Quella creatura dall’aspetto inquietante appariva in realtà agli occhi di Tae così vulnerabile.
Lo guardava.
Lo stava guardando bene.
Vedeva quella pelle bianchissima, morta, quel volto immobile, quei denti affilati, quelle vene nere, quelle tenebre che sembravano risucchiarlo,
vedeva tutto quello ma vedeva anche altro, l’unica cosa che importava.
Vedeva il suo amore, vedeva semplicemente Jimin.
Si alzò piano e andò verso di lui, il cui volto fu bagnato da una lacrima nera.
Tae ormai gli era di fronte.
Non pensava fosse reale.
Forse era un sogno.
Si diede un pizzico sul braccio. No, era vero.
“Okay.”
Disse, con la bocca secchissima e l’adrenalina a mille.
Jimin non riusciva a guardarlo.
Non poteva fargli questo.
“Okay.” Disse ancora Tae.
Poi chiuse gli occhi.
Sentì il buon odore di Jimin, quello che avrebbe riconosciuto ovunque e sempre.
Li riaprì.
Alzò la mano destra a fatica, sentiva il corpo pesante, ancora sotto shock.
Toccò quella pelle.
Fredda.
Ancora fredda, come sempre.
“Jimin…”
Ma Jimin non faceva nulla.
Aspettava solo di essere rifiutato.
Colpito.
Aspettava di sentire le urla di Tae, di vederlo correre via.
“Jimin, per favore, guardami.”
Scosse la testa.
“Ti prego…”
Niente.
Tae indietreggiò.
“Ho paura. Lo ammetto. Probabilmente…un altro come te potrebbe uccidermi all’istante. Ma non sei un altro. Non sei…uno sconosciuto, okay?
So chi sei. Ed ora, non ho paura di morire, non è quella la mia paura.”
Si portò una mano al petto.
Il cuore gli faceva malissimo, stava pompando troppo sangue.
“Non so neanche come faccio a parlare, ora.”
Jimin era impassibile.
“Probabilmente hai più paura tu adesso. Paura…paura che io possa impazzire o chissà cosa ma, va bene. Insomma, cioè, wow.
Ecco, è tutto assurdo ora ma…”
Jimin alzò la testa.
I loro sguardi si incrociarono.
Tae rabbrividì.
L’aria era pesante, la distanza tra loro la sentivano tutta sulla pelle, ma Tae era incredibilmente coraggioso come mai Jimin aveva immaginato.
“Non ti farò del male, non ne sarei capace. Io ti proteggerei con la mia vita.”
Tae annuì anche se palesemente ancora stordito.
“Ti credo. Io non so ancora come farà la mia mente ad accettare questo ma…ora, in questo momento, io ti credo. Voglio solo che tu…non pianga.
Non piangere.”
Detto questo, gli si spezzò la voce.
Lacrime nere scendevano ancora da quegli occhi cremisi che Jimin asciugò mentre quelle di Tae iniziarono a scendere.
“Oddio non so perché sto piangendo anche io, non  voglio piangere.”
Si asciugò in fretta il volto e corse letteralmente tra le braccia di Jimin che lo strinse a sé.
“Taehyung…”
“Non andartene, Jimin. Non fare pazzie ora, non abbandonarmi. Sarò muto, non lo saprà nessuno, davvero.”
“Oh, Tae, ma cosa dici…”
Le mani di Tae si agganciarono alla schiena di Jimin, le dita era ferme e decise, lo teneva stretto contro di sè con foga.
“Non importa che tu sia così fuori. Non importa!”
Singhiozzava.
Il volto tra il collo e la spalla di Jimin.
“Dentro so cosa sei. E’ quello che voglio, Jimin. E’ tutto quello che voglio.”
Posò una mano sul capo di Tae.
Lo strinse a sé.
Non aveva molte parole in quel momento, era sotto shock anche lui.
Avrebbe solo voluto rimanere in quell’abbraccio fino alla fine.
“Tae…” sussurrò.
Quel nome era l’unica cosa che lo attaccava al suo lato umano ormai.
Era l’unica cosa reale, sicura, giusta.
Tae si tranquillizzò.
Quanto tempo passò non lo sapevano.
Si sentivano al sicuro però, quello lo sapevano.
Quando Tae alzò lo sguardo, Jimin era umano anche fuori.
Le labbra erano di un rosa forte e bello, la pelle più sana, anche se comunque pallida, gli occhi cioccolato fondente, caldi, rassicuranti.
Jimin poggiò la fronte su quella di Tae che un po' tremava ancora e disse piano:
“Ora ti racconto la mia storia.”

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Capitolo 10
*** Chapter 10 ***


Taehyung serrò le mascelle e annuì.
Si ripeteva che tutto quello avrebbe avuto senso prima o poi, doveva solo fidarsi del suo ragazzo
che lo prese per mano e lo fece sedere al suo fianco sul divano.
L’orologio segnava quasi le due di notte.
Erano davvero passate tutte quelle ore da quando la sua vita era stata stravolta?
“Hey, sicuro di stare bene?”
“Sì Jimin. Tutto quello che vorrei ora è solo capire.”
“Allora devi solo ascoltarmi, okay?”
Lo disse con la voce più dolce possibile mentre si sforzava di sorridere.
“Nel 1718 ero un ragazzo di 22 anni che viveva in un piccolo villaggio vicino all’odierna Busan.”
“N-Nel…1718? In Corea…”
“Sì. Vivevo con i miei genitori, sono…”
Si fermò come se avesse ricordato qualcosa, come se quell’errore sul tempo verbale usato ancora gli faceva male.
“Ero…figlio unico.”
“Un momento…sei nato nel 1718?”
Tae era a dir poco scioccato.
“Sì. Ho 300 anni. Ma è molto più complicato di così.”
“Ah davvero?”
A entrambi scappò un sorriso.
“Ok, continua.”
Jimin prese fiato e raccontò la sua storia e come era arrivato ad essere chi era.


“Sono nato con una malformazione alla schiena che mi ha impedito di camminare e muovermi normalmente sin dalla nascita.
Puoi immaginare nel Settecento com’era vivere in quel modo.
A 22 anni, oggi diremmo che caddi in depressione, ero profondamente triste.
Non avevo amici se non un maestro privato che per fortuna potevamo permetterci.
Non eravamo ricchissimi ma…eravamo la famiglia più ricca del villaggio.
Comunque, grazie a lui amavo il mondo, davvero, ed ero curioso come pochi ma il mio fisico mi impediva di poter viaggiare,
di poter credere in me stesso. Di amarmi.
Così, per evitarti i dettagli più depressivi e tragici...”
Lo disse con un sorriso di chi è sopravvissuto al peggio e lo racconta con orgoglio.
“...una notte invocai il Diavolo.”
Tae corrugò la fronte e stava per dire qualcosa, ma si fermò.
Era inutile cercare di capire tutto subito.
“Lo feci molto ingenuamente, per la disperazione, mi avrei pensato che lo volevo per davvero quello che dissi.
Mai avrei immaginato che qualcuno avesse ascoltato. Ma Lui sì.”
“Hai…hai visto il Diavolo?”
Gli si accapponò la pelle.
“No, non si rivela mai, ma mi ha parlato come un padre. Mi ha rassicurato e mi ha detto che mi avrebbe dato ciò che desideravo.
Io ero convinto fosse un sogno, ero straziato da ore di pianto, allora dissi un semplice ‘sì’. A cosa avevo acconsentito lo capii solo il giorno dopo.” “Potevi camminare?”
“Potevo correre come ora sfrecciano le migliori macchine da corsa. Potevo fare salti altissimi, ero forte, incredibilmente resistente, mi sentivo vivo. Vivo per la prima volta.”
Tae sorrise ma sul volto di Jimin apparì come un dolore che potevi percepire fin dentro le ossa.
“Jimin…cosa…a cosa hai detto di sì?”
Gli occhi scuri di Jimin lo devastarono.
“Alla solitudine.”



Dopo aver bevuto un bicchiere di latte, riprese a raccontare.
“Poi ti spiegherò il perché del latte ma…vorrei tu capissi quanto è preziosa la vita che hai grazie a ciò che ti sto raccontando.
Dissi di sì alla solitudine, ma anche alla morte stessa, non distinguevo più le due cose.
Fare un patto con il diavolo significa rinunciare a tutto ciò che hai. La mia famiglia non si ricordava di me.
Mi svegliai e andai camminando da loro, ero la felicità in persona, ma loro non mi riconobbero e mio padre mi buttò fuori casa con la forza.
Ero solo. Il Diavolo aveva la mia anima e i ricordi della mia famiglia che riguardavano me e non potevo fare nulla per cambiare le cose.
Andai in un piccolo tempio all’estremo sud, sulla costa, e rimasi lì per anni, fin quando non morirono tutti.
Da lì mi spostai in altri templi dove venivo accolto con tenerezza dai sacerdoti e dalle sacerdotesse che non credettero alla mia storia ma…
mi aiutarono. Probabilmente hanno pensato fossi pazzo o solo disperato, non so.
Ogni volta che il tempio cadeva in rovina a causa di guerre civili o malattie o semplicemente perché nessuno più ne era a capo,
io andavo via e mi spostavo in alte città. Nel corso degli anni però è stato sempre più difficile, la diffidenza è alla base della società ormai e non aveva più un posto.
Ma quando avevo 200 anni più o meno…non ricordo bene, il tempo è diventato davvero relativo per me, incontrai il Professor Lorset.
Peter. Lui aveva…”
Cercava di farsi un veloce calcolo mentale ma la matematica era da sempre l’unico suo punto debole.
“Oddio, non ricordo. Comunque, ora ha 800 anni e quando lo incontrai già era un demone da tanto. Noi demoni ci riconosciamo, sai?
Abbiamo una connessione mentale istantanea appena ne abbiamo uno vicino.”
“Vi leggete nel pensiero?”
“No, no, ma abbiamo come un sesto senso che ci fa capire che c’è qualcosa che non va, ecco.”
“Oh wow. E dove l’hai conosciuto? Non ne avevi paura?”
“Ero a Okinawa, in Giappone, in quel periodo. Stavo lavorando come revisionista di testi antichi per il dipartimento dell’Università della città.
E’ stato uno dei periodi più belli per me; finalmente stavo mettendo in ordine la mi avita e avevo trovato la mia strada.
Ero riuscito a laurearmi grazie a delle conoscenze, e in ateneo conobbi Lorset che al tempo era un ricercatore presso
l’Istituto di Arte e archeologia inglese.”
“Quindi lui è stato da sempre un professore?”
“Sì, anche la sua storia è molto complicata, più della mia sicuramente. Immagina 800 anni di storia fino ad oggi, 2018. Neanche io so tutto di lui.” “Immagino...è tutto così surreale.”
Tae si massaggiò la testa e sentiva quelle informazioni invadergli la mente.
Mille immagini gli passarono davanti, fantasie, perché poteva solo inventare come poteva essere la vita in quei secoli così lontani da lui ,
che aveva solo studiato sui libri.
“Quando capii che era come me, come potevo averne paura? Lui era l’unico al mondo per me che sapeva cosa aveva passato, i compromessi a cui avevo ceduto. Era l’unico che conosceva la morte come la conosco io.
Quindi non ne avevo para. Anzi. Anche io per lui sono stato una cosa bella nella sua vita.
Non eravamo più soli. Non lo saremmo mai più stati. Gli voglio davvero un mondo di bene anche se…”
Jimin fece spallucce.
“Sai, solito rapporto padre figlio. O meglio demone-demone. Litighiamo spesso.”
“Eppure lui sembra così calmo…”
“Lo è. Gli do io filo da torcere.”
Sorrisero.
Tae non face altro che sospirare fievoli ‘mio dio’ e ‘wow’
“Jimin…io…”
“Non devi dirmi nulla, non mi aspetto che tu possa subito accettare tutto questo e tanto altro che ho visto, vissuto. E’ difficile da comprendere una vita di 300 anni. Soprattutto quando…”
Ora veniva la parte più difficile.
Tutto quello detto finora per lui non era niente più ormai, la sentiva come la vita di qualcun altro ma la confessione che avrebbe dovuto fare ora era la cosa peggiore che avrebbe mai potuto dire a un ragazzo come Tae.
“So che stai per dirmi qualcosa di orrendo, qualcosa che ti turba ma io sono ancora qui. Significa qualcosa no?”
Jimin non poteva credere di sentirsi al sicuro in quel momento.
Annuì e prima avrebbe detto quello che doveva dire, prima quel peso sarebbe sparito.
“In cambio di questo corpo, di una vita eterna, ogni 100 anni devo…ecco, io” si morse il labbro inferiore.
Le parole erano lì, ma non uscivano.
“Tae io…”
Lo abbracciò.
“Dillo. Vedi, non devi guardarmi mentre lo dici se è troppo difficile. Facciamo così, okay? Mentre ti abbraccio.”
Jimin strinse a sé quel corpo e disse tutto d’un fiato:
“Devo uccidere 10 persone così che le anime possano andare all’Inferno.”



Jimin non sentì più il respiro di Tae sul collo.
Non osava muoversi.
Silenzio.
Un profondo e lancinante silenzio.
Si sentì solo il fruscio dei vestiti mentre Tae si allontanava rimanendo con lo sguardo basso e il volto rilassato.
“Capisco.” si limitò a dire.
Jimin ora temeva il peggio, temeva che Tae lo avrebbe incolpato, odiato.
“Tae, se non lo facessi ucciderebbe le persone con cui ho dei rapporti, tutte le persone con cui condivido anche solo uno sguardo, una parola e sono molto più di dieci ovviamente. Non posso permetterlo.”
“Non devi giustificarti, non hai altra scelta. E non è neanche una tua scelta farlo. E’ sbagliato, ma è il male minore, lo capisco.
Voglio dire, non…non posso dire di capire te o capire come possa tu viverla questa ingiustizia ma il principio di fondo, quello lo capisco. Moralmente, capisco.”
Jimin annuì sollevato.
“Sei un ragazzo molto intelligente. Non volevo sottovalutarti… E’ che è un compromesso che molti giudicherebbero senza tener conto che ci sono io dietro. Un essere vivente che le emozioni ancora le sente. E uccidere per nutrire quell’essere così lontano da ciò che sono io per davvero, dentro, è a volte insostenibile. Io…”
“Va tutto bene, Jimin.”
Che bugia enorme.
Ma cosa avrebbe dovuto dire a quel ragazzo e di fronte a quella faccenda?
“A parte questa cosa, poi, c’è un altro dettaglio che è assurdo. Io, ogni 100 anni che possiamo dire equivale più o meno alla vita di un uomo, io…mi reincarno.”
Tae rimase più sconvolto da questo che dagli omicidi.
“Cosa?! Quindi…tu non eri così?”
“Ho cambiato corpo due volte, questa è la mia terza volta.”
“Oh mio dio…”
“Già.”
“Oddio! Sei stato mai una donna?!”
Jimin scoppiò a ridere.
“No, no, solo uomo. Ma è una domanda molto interessante.”
“Waaa, peccato. Sarebbe bello poter sperimentare no?”
“Oh…non ci avevo mai pensato onestamente. Hai una mente molto interessante, sai?”
“Perversa?”
“No, anzi. Pensare fuori dagli schemi è sintomo di intelligenza.”
Tae arrossì.
“Ancora arrossisci quando ti faccio un complimento…”
“Sei tu  afarmelo, certo che arrossisco.”
Jimin non poteva credere, per l’ennesima volta nel giro di poche ore, che qualcuno potesse essere di fronte a lui dopo tutto quello che aveva detto.
“Mi stupisci sempre Kim Taehyung.”
Si baciarono piano e Tae rimase con le braccia sulle spalle di Jimin.
“Quindi, riassumendo, sei un demone mangia anime di 300 anni che si reincarna ed è immortale?”
“Beh…sì.”
“Wow.”
Fece poi un profondo respiro e il volto gli si intristì.
Iniziò a pensare ai lati peggiori di tutto quello.
“So a cosa pensi.”
“Mi vedrai morire… insomma, dopo stasera penso che stremo insieme per un bel po' perchè, beh, davvero ormai penso che senza te non voglio vivere quindi, volente o nolente, se ci terrai ancora a me fra 80, 90 anni, mi vedrai morire.”
“Non dovresti pensarci. Non succederà subito, okay? Non è importante quanto i giorni che passeremo insieme, vedila così. La morte in confronto a te, a noi, non è nulla per me.”
“Ma…per me non è un’alternativa. E’ il mio destino.”
“Tae…”
“Scusami, dio mio. Hai ragione. Sprecare tempo e forze pensando a una cosa così non ha senso. Andiamo avanti.”
Gli sorrise sinceramente e Jimin annuì.
“Ah, hai qualche domanda? Davvero vorrei chiarire tutto subito e toglierci ogni pensiero ora.”
Tae si alzò e iniziò a passeggiare per il salotto mantenendosi il mento con una mano visivamente concentrato nei suoi pensieri.
Jimin lo guardò quasi divertito ma sfogava la preoccupazione torturandosi le mani con le unghie.
Lo faceva spesso quando era in preda all’ansia.
“Ah! Il latte…”
“Oh, il latte. E’ un buon sostituto al sangue. Mi dà la forza che il cibo normale non mi dà anche se apprezzo mangiare. Ma il latte è come…mh, non saprei, il maggior apporto di energie per me ecco.”
“Oh, capisco. Interessante. E sai perché proprio il latte?”
“Dovrebbe essere perché è la fonte principale per la crescita dei bambini e metaforicamente dovrebbe nutrire al meglio anche la mia anima e renderla molto preziosa per…per Lui.”
“Lui? Ma sei immortale. La tu anima è tua…”
“Sì, ma…Lui mi ha detto che se faccio un certo tipo di errore, posso morire anche io.”
Jimin era visibilmente nervoso.
Non pensava che già sarebbero arrivati a quel punto del discorso.



“Errore? Jimin, sii più chiaro. Dimmi tutto se non sono io a farti le domande giuste. Tanto prima o poi le cose vengono a galla e preferisco essere sinceri ora…”
“Lo so, ma questo è un tasto delicato soprattutto per il nostro rapporto perché… vedi, l’errore che può costarmi la vita è”
Abbassò per un attimo lo sguardo e poi disse:
“avere rapporti sessuali completi con una persona vergine. E’…una condizione tra il Diavolo e Dio ovvero che il Diavolo può corrompere, creare demoni ma questi ultimi non devono assolutamente macchiare di peccato le anime umane sulla terra.
Che sia nel corpo, nella mente o nell’anima.”
“Ah…”
Il cuore di Tae batteva all’impazzata e rimase a bocca aperta.
“Ecco perché prima…mi sono fermato.” disse Jimin mordendosi il labbro inferiore nel ricordo di quella sua di eccitazione del momento.
“O-Okay, ora ha senso.”
“Ho…ho fatto bene a fermarmi quindi?” chiese nervoso, tendando di sapere la verità.
Tae voleva morire, e in quelle circostanze la morte era diventata un argomento serio ma sì, voleva proprio morire.
“Sì Jimin, mio dio. Saresti…saresti morto ora…”
Quasi gli mancò l’aria e si sedette al suo fianco.
“Davvero meno male.” e gli uscì una risatina nervosa.
Quella rivelazione portava a una situazione assolutamente assurda.
“Quindi, questo significa che la mia prima volta non può…essere con te.”
Jimin lo guardò dispiaciuto, un po' incazzato perché era vero, il primo ad avere Tae in quel senso non sarebbe stato lui.
“Non posso Tae, non se vuoi che io viva.”
“Preferisco averti vivo al mio fianco per sempre piuttosto che godere di te solo per poco tempo.”
Jimin non sembrò molto entusiasta di quella cosa comunque.
“Jimin?”
“Scusa è che…il pensiero di qualcun altro che…insomma, dai Tae. Non è per niente facile da accettare.”
“Okay, lo so, ma…una volta che l’avrò fatto, sarò solo tuo. Solo tuo, capisci?”
Gli posò una mano sul viso e un po' Jimin si sciolse.
Si baciarono di nuovo, più vogliosi dopo aver realizzato che quello che volevano fare era proibito e le cose proibite sono le più allettanti.
La mano di Tae scese sul suo petto, sul suo fianco, fino a poggiarsi sul cavallo dei suoi pantaloni mentre aveva ancora la sua lingua in bocca e i loro fiati caldi a sovrapporsi.
“Aspetta Tae…”
“Non possiamo scopare ma possiamo fare altro no?” gli sussurrò a fior di labbra, leccandole piano.
“…Tae…”
“Possiamo farlo questo?” gli chiese e si posizionò tra le sue gambe inginocchiandosi.
“Tae, aspetta. Possiamo, ma hai altre domande…prima che…”
“No, non voglio sapere nient’altro. Solo che ti fidi di me.”
Jimin annuì.
Lo rendeva così malleabile, così debole ed era una sensazione che nessuno mai gli aveva fatto provare.
Tae gli abbassò i pantaloni della tuta e i boxer mostrando l’erezione.
Sorrise incrociando lo sguardo perso di Jimin.
Si tolse la  maglia e strinse quell’asta nella mano destra mentre iniziò a muoverla su e giù.
Jimin poggiò le mani sul divano, graffiandone la superficie.
Tae leccava lentamente tutta la lunghezza, con la punta stuzzicò quella del demone che non tratteneva i gemiti con quella sua voce un po' acuta che quel corpo gli aveva donato.
Intanto il ragazzo massaggiava quelle cosce forti, aveva le mani un po' fredde ma a Jimin non dispiacquero i brividi che gli causarono.
Gli passò una mano tra i capelli mentre Tae piano lo prendeva in bocca stringendo con quelle labbra così morbide, calde.
“Vuoi venire per me, vero?”
E riprese a stringere il membro duro, fino a fargli toccare la sua gola, così calda e Jimin non ci credeva,
non credeva che stava facendo quello al suo cucciolo, al suo piccolo Tae che si stava dimostrando così  passionale e spinto.
“O mio dio…Tae…”
Faceva ancora su e giù ma si scostò per parlare mentre sostituiva la bocca con la sua mano.
“Vieni per me…dai…”
“Io…io…”
Tae riprese il lavoro eccezionale che faceva perdere la testa perfino a un demone che spingeva con il bacino in quella gola e Tae non batteva ciglio. Com’era possibile?
“Cazzo Tae sto…”
L’eccitazione di prima che era riemersa ora rendeva tutto più veloce.
Tae velocizzò i movimenti e stringeva sempre con quelle sue morbide labbra che presto furono sporche del seme di Jimin che stringeva gli occhi,
che sentiva il sangue scorrere velocemente.
Tae leccò ancora la lunghezza dura, calda assaporando quel liquido sulla lingua. Jimin guardava la scena a bocca aperta, occhi languidi, il suo ragazzo lì in ginocchio a leccarlo ancora lentamente.
Poi Tae si alzò e si sedette su di lui, sul suo ventre, baciando quelle grandi labbra che accolsero la lingua viscosa e bagnata.
Il liquido bianco univa il loro bacio profondo e Jimin stringeva il sedere di Tae, Dio se lo avrebbe scopato lì, subito.
Gli bastava solo abbassare i pantaloni di Tae.
Ma non lo fece.
Non poteva e non voleva.



“Sei…tutto quello che ho sempre voluto Jimin.”
Il demone sorrise.
“Lo dico davvero. Ho sempre voluto qualcosa di unico, che non esisteva se non nella mia mente. Qualcosa che mi avrebbe stravolto ma che mi facesse sentire me stesso e sei tu Jimin. Sei tu.”
Tae ancora aveva le pupille dilatate per il piacere che aveva ricavato nel farsi scopare la bocca in quel mondo, era stato bellissimo.
Jimin, con occhi lucidi, gli prese il volto tra le mani.
“Il mio piccolo Tae.”
“Non…non sono piccolo. Abbiamo la stessa età.”
Disse sussurrando e chiudendo gli occhi per i piccoli e teneri massaggi dei pollici del suo ragazzo.
“Hai già dimenticato che ho 300 anni?”
Sorrise.
“No, però in teoria ne hai 22.”
“Con 278 di esperienza allora.”
Tae annuì e lo baciò dolcemente.
“Devo chiamarti hyung allora…”
“Oppa andrebbe meglio.”
“Oh…oppa.”
Tae sorrise alzando le sopracciglia e lo abbracciò lasciando piccoli baci sul suo collo.
“Rimarrei così per sempre Jimin, davvero.”
Jimin gli accarezzò la schiena.
“Anche io. Letteralmente.”




Dopo poco però si alzarono, fecero una doccia e Tae dormì da lui all’insaputa di Lorset che quando li vide la mattina seguente a colazione cercò di non mostrarsi troppo nervoso o in imbarazzo.
Pensava che se Jimin fosse ancora vivo, due erano le possibilità: non avevano fatto sesso, o Tae non era vergine e avevano fatto sesso.
Aveva passato la notte fuori e non sapeva nulla di ciò che era successo fino al pomeriggio quando Jimin gli raccontò tutto.
Lui sembrò calmo, vedeva Jimin molto serio e responsabile e quella situazione per ora era facilmente controllabile.
Non si sentiva responsabile delle azioni di Jimin, in fondo era un demone anche lui e ogni demone si sconta le sue pene e i suoi problemi ma l’affetto che provava per quel ragazzo a volte superava la ragione.
“E’ vergine?”
Jimin a quella domanda improvvisa sgranò gli occhi.
“Senti, sono affari miei se lo è e tu non riesci a tenerlo nei pantaloni visto che potresti morire.”
Disse disinvolto.
Jimin alzò gli occhi al cielo e gli disse la verità
“Ok, bene. Prima scopa con qualche umano prima sto più tranquillo comunque.”
A Jimin quelle parole fecero salire i nervi a fior di pelle ma lo ignorò per il bene comune e la conversazione finì lì.



Ora, pensò Jimin, le cose andranno meglio.
Se lo ripeteva ogni sera e ogni mattina.
Il rapporto con Tae stava continuando come sempre, anche meglio effettivamente, e pensava che avrebbe affrontato tutto un poco alla volta, ogni difficoltà, ogni dubbio, ogni momento in cui durante quei due mesi che erano passati e doveva trattenersi nel desiderare Tae.
Ma ce la stava facendo, poteva resistere perché il loro rapporto andava oltre il sesso.
Il loro amore prescindeva da quello e pensò che in una società come quella in cui vivevano era una cosa rarissima e questo lo fece essere ancora più felice e fiero di avere quel tipo di rapporto.
Questa sua visione positiva e che lo rendeva felice venne però distrutta.
In fondo, Tae era umano.
Era carne ed ossa, la sua vita era breve e voleva viverla, voleva fare esperienze e era giusto, ma lui avrebbe dovuto mettere da parte quella punta di egoismo che nei secoli non era cambiata.
Avrebbe dovuto accettare che la mentalità di Tae era di un 22enne, che aveva voglie, che era un semplice umano anche se uno die più rari.
Un giorno, dopo le lezioni, Tae gli diede appuntamento in un bar vicino al College.
Gli disse che aveva un’idea da proporgli, qualcosa che sperava potesse andare bene anche per lui. Jimin si infilò la giacca di pelle, i guanti e uscì di casa in quella serata frizzante di marzo.
Tae lo salutò con la mano da lontano, davanti all’entrata del bar.
Aveva un sorriso splendido sul volto e le preoccupazioni per cosa Tae volesse dirgli  si dissolsero vedendolo così rilassato.
“Hey…”
“Hey”
Si diedero un veloce bacio e entrarono sedendosi ad un tavolo e ordinando due tè caldi.
Tae fece un respiro profondo.
“Sono curioso di sapere di che si tratta.”
Disse Jimin accavallando le gambe.
L’odore di cannella li avvolgeva mentre una ragazza suonava una musica allegra al pianoforte.
Tae incrociò le braccia e le posò sul tavolo.
Era stretto in un maglioncino a collo altro verde scuro che sembrava morbidissimo.
“Ho la soluzione al nostro…problema.”
Jimin corrugò la fronte.
“Non abbiamo problemi.”
“Intendo il fatto che noi…non possiamo…”
“Oh…oh okay.”
Jimin si drizzò sulla sedia appoggiò i gomiti sul tavolo avvicinandosi a Tae per ascoltarlo attentamente.
“Allora, Jimin, io…”
Tae non lo guardava in volto, non ci riusciva mentre gli proponeva quella cosa.
“Dai Tae…” 
“Sì, scusa. E’ solo che conoscendoti non so quanto accetteresti questa cosa. Sei abbastanza apprensivo e geloso quindi…”
“Mi sta vendendo il mal di testa, ti prego.” disse ridendo.
“Okay, okay lo dico. Allora. C’è Jungkook…ecco, lui è davvero l’unica persona con cui abbia mai avuto un rapporto più intimo anche se non è successo molto ma  è il mio migliore amico, è stato come un fratello e  penso che lui potrebbe”
“Tae…”
“Potrebbe essere l’unico con cui io possa andare a letto senza pentirmene. Senza rancori o problemi.”
Jimin aveva un’espressione indecifrabile sul volto.
“Jungkook è la soluzione. Credimi. Ti ho raccontato di lui e di quanto mi ama. Farebbe di tutto pe me. Devo solo portarlo a letto e lui ha sempre avuto un debole per me. Non sarà difficile…”
“Lo…useresti. Lo inganneresti. Proprio Jungkook. E per cosa? Per noi? Vuoi che noi diventiamo il motivo per cui lui potrebbe odiarti?”
Tae non si aspettava quelle parole.
“Che ti succede Tae…”
Tae non lo rispondeva e teneva gli occhi bassi e l’atteggiamento di chi si sente incredibilmente in colpa.
“Questo non è il Tae che conosco. Lui non farebbe mai una cosa del genere.”
“Lo fai sembrare un problema più grande di quanto non lo sia, credimi. Andrà bene, lui non se la prenderà.”
“Come…come fai a sapere se questa cosa non lo porta a vederti sotto una luce nuova, di nuovo. Se poi volesse essere più che amici? Andare a letto con qualcuno non è una stronzata Tae. E’ un momento di condivisione profonda di chi si è dentro e fuori e puoi anche non credermi ma è così. Doni il tuo corpo, ma anche la tua vulnerabilità.”
“E Jungkook sarebbe bravissimo a non ferirmi, lo sai. Per quanto ci tenga a me se gli faccio capire che”
“Basta Tae, sul serio. Penso che dovresti rifletterci molto e quando avrai realizzato che sarebbe un errore madornale, pensa a come rimediare a questa conversazione.”

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Capitolo 11
*** Chapter 11 ***


Jimin non si faceva vedere da quasi una settimana, nè all’Università, né in biblioteca.
Si scambiavano qualche messaggio, ma era ancora arrabbiato per come Tae era irremovibile su quella sua decisone. “Puoi chiamarmi, per favore?” gli chiese.
“Pronto.”
La sua voce come una lama fredda sul collo.
“Hey”, disse dolce Taehyung, seduto su un letto dalle lenzuola candide guardando il cielo azzurro oltre la finestra. Rimasero in silenzio.
Jimin chiuse il libro che aveva davanti e disse:
“Non voglio farti soffrire. Eppure, so che lo sto facendo con il mio comportamento.
Ma penso che tu abbia bisogno di tempo per riflettere perché te ne pentirai se usi Jungkook in quel modo.”
“Ha un fidanzato.”
A quelle parole, si rasserenò.
“Bene! Quindi finalmente mettiamo un punto a questa discussione. Ah, ne sono felice, Tae.”
“No. Non hai capito.”
Quella voce era seria come mai lo era stata.
“Ha un fidanzato, ma mi ama. Non importa cosa succede, lui fa di tutto per me.”
Poi, Jimin sentì il rumore di un bacio, un gemito, un sospiro che gli fece venire la pelle d’oca lungo il collo.
“T-Tae...?”
“Andrà tutto bene, Jimin. Ti prometto che presto potrò essere solo tuo.”
La chiamata si staccò.
 

 

Jungkook gli prese il volto tra le mani e lo baciò di nuovo.
Quella camera d’albergo era confortevole e Taehyung sorrise pensando che presto tutto si sarebbe risolto.
“Senti, piccolo bimbo capriccioso, sappi che questa faccenda di farlo ingelosire non mi va a genio.”
“Lo so, ma sei qui.”
“Sono qui perché negli ultimi giorni mi chiamavi piangendo, pregandomi di venire a Londra e mi hai
fatto preoccupare. Troppo.”
Tae sospirò.
“Lo so che ti sto mettendo in una situazione scomoda. Ma con Jin mi hai detto che va male e...penso che dobbiamo starci vicino in questo momento. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Siamo sempre stati noi due soli.
Non abbiamo nessuno, Jungkook.”
Il minore abbassò lo sguardo incrociando le braccia.
“Comunque per me non è gioco, Tae. Jimin sarà ferito. E arrabbiato. Non penso tu abbia risolto le cose.”
“Dio mio, ma perché mi siete tutti contro! Proprio voi due che siete le persone più importanti al mondo per me,
non mi capite! Avete degli ideali...antiquati! E tu non sai un cazzo in realtà, okay?
Se mi vuoi aiutare non fare domande e fa ciò che ti dico!”
Jungkook era allibito dal comportamento di Tae.
Era un’altra persona.
Non era più l’amico comprensivo e con dei valori con qui era cresciuto. No.
In quegli occhi ormai c’era solo tanta avidità.
“Già è tanto che non ti ho chiesto di scoparmi, ragazzino, perché in realtà mi serviresti a quello
se volessi davvero usarti!”  
Lo spinse sul letto, gli si mise sopra bloccandogli le mani.
Proprio come quella volta, a casa sua.
Ma erano spensierati, allora.
Giocavano, felici.
Questo, invece, sembrava un gioco pericoloso in cui avrebbero perso entrambi.
“Calmati. Ok? Cazzo, ma ti senti? Che ti è successo, Taehyung...”
Lo guardava con dolore, non odio per quelle parole.
Era solo preoccupato e ferito.
Si distese al suo fianco.
Taehyung era confuso.
Sentiva che aveva perso la lucidità, che dentro di lui cresceva qualcosa di orribile.
Si portò le mani sul viso.
“Jungkook...”
Il moro si voltò verso di lui.
“Tae, io ti sarò sempre vicino. E ti ho aiutato. Quel bacio l’ho voluto anche io, nonostante sia davvero umiliante per me. Ma tu...tu...” 
“Jungkook...”
Una lacrima scese sul volto ancora coperto dalle sue mani tremanti.
 “Penso....penso che Jimin mi abbia maledetto.”
 



Un boato.
Il cielo si incupì e iniziò un temporale violento.
Entrambi sobbalzarono a quel rumore cupo.
“So che a Londra piove sempre, ma, dio mio, così all’improvviso...”
Un cigolio gli fece voltare lo sguardo.
La porta si stava aprendo lenta.
“Ma...era chiusa a chiave.” sussurrò Tae, con una brutta sensazione in gola.
Il ragazzo che si presentò, una volta aperta la porta, li squadrò dalla testa ai piedi.
Tae sgranò gli occhi.
“Così, sei tu il famoso Jungkook.”
La voce era quasi minacciosa.
“Sono Jimin.”
Un sorriso gli illuminò il volto.
“Scusatemi per l’entrata, come dire, inquietante. Vi va un tè?”

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