La Morte del Cigno - Distruzione degli Addicted

di Chameleon94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** PIETRO ***
Capitolo 3: *** SARDINA ***
Capitolo 4: *** FIORENZA ***
Capitolo 5: *** CALU' ***
Capitolo 6: *** GENOVEFFA ***
Capitolo 7: *** LINO ***
Capitolo 8: *** GIACOMO ***
Capitolo 9: *** NICOLE ***
Capitolo 10: *** CATERINA ***
Capitolo 11: *** VIRGINIA ***
Capitolo 12: *** SERAFINA ***
Capitolo 13: *** IL GRAN FINALE ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


PROLOGO

 

Erano tutti insieme, ancora una volta, forse non più affiatati come prima ma pur sempre numerosi, una vera folla; gli Addicted viaggiavano sul pulmino, diretti verso una meta indefinita, ma l’unica cosa certa era la loro amicizia, almeno questa era la versione ufficiale… e sicuramente si sarebbero diretti verso un posto migliore, dove poter mangiare insieme, incontrarsi con altre persone e discutere allegramente della loro droga preferita: le serie TV!

L’autista guidava tranquillo, fischiettando una musichetta che ricordava vagamente qualcosa di malvagio e diabolico; guidava tranquillo, con il suo unico occhio e la benda dal lato sinistro… guidava tranquillo, con le mani appoggiate sul volante arrugginito, guidava tranquillo… con il suo busto molto robusto e una motosega a tracolla, guidava tranquillo… Ma parliamo dei componenti del gruppo:

Caterina cercava di movimentare un po’ la situazione, visto che erano bloccati nell’usuale traffico mattutino dell’autostrada, con le sue movenze caraibiche ed energia nelle vene, ma gli altri non erano interessati alle sue danze, preferivano due cose: o dormicchiare, giustamente, era questo l’effetto della calca di automobili, tutte in fila indiana; l’altro intrattenimento preferito era chiacchierare, quelle frasi sottili che uscivano dalle loro bocche beffarde, pronte confabulare e a sparlare di ogni cosa… ma una vera sorpresa li aspettava.

Nicole era una di quelli diciamo, meno giovani, quindi fu la prima ad appisolarsi, e, purtroppo, a perdere tutto il divertimento, mentre gli altri, appunto, ridevano del suono che emetteva mentre russava, e continuavano a scherzare dei difetti altrui, lei inclusa, ma prendevano in giro un po’ tutti, alla fine.

In particolare era Calù a ridacchiare degli altri, amante dei giochi e delle lussurie, degli scherzi e altro, egli tirava dei popcorn che aveva comprato, addosso a Nicole, senza che lei se ne accorgesse. Si fermò presto, non perché volesse, ma perché Fiorenza, maestra di ogni arte eccetto che della gioia e del divertimento, lo riprese e gli diede uno spintone, facendolo rotolare sul suolo del veicolo, senza fargli troppo male.

Pietro era il più rilassato, sempre preso dal suo telefonino, controllava chissà cosa, erano affari suoi, però gli altri non potevano fare a meno che di sbirciare; lui mandava delle occhiate criptiche dalle sue lenti a contatto, senza dire nulla, ma consapevole che gli altri ne volessero sapere di più dei suoi fatti personali, infatti lui molto spesso parlava di sé, raccontava le sue avventure, glie ne succedevano di tutti i colori, e spesso il colore principale era il rosso, quello dell’amore e della passione, ma non si capiva bene cosa stava succedendo in quelle avventure, cose vere? O cose inventate? Chissà.

Ma ci soffermeremo di più su questi dettagli nelle storie specifiche.

Intanto, Serafina e Lino andavano molto d’accordo, spiriti simili, entrambi erano silenziosi, con i loro difetti e le loro perfezioni, era ignoto cosa pensassero davvero degli altri; infatti, al contrario dei loro amici, essi non sparlavano, non pubblicamente, ma tenevano tutto dentro, probabilmente sarebbero esplosi prima o poi per tutto ciò che contenevano. Erano seduti nella stessa fila, dal lato opposto, entrambi vicino al vetro del pulmino, vetro sottile ed aguzzo, mentre osservavano il panorama dai lati dell’autostrada, un contorno di verde, bellissimo, proprio come quello che era il contorno della trama della storia che stiamo raccontando. Erano seduti molto distanti nella stessa fila, per questo potevano scorgere la natura dai finestrini, che riflettevano, oltre a ciò che esisteva fuori, anche quello e quelli che allora abitavano il pulmino, e riflettevano persino le loro vite e il loro stato interiore, la loro stessa anima.

Genoveffa preferiva parlare non degli altri, bensì delle sue vite, esatto! Ne aveva parecchie, era stata in ogni posto del pianeta, aveva fatto tante esperienze nel corso degli anni, era saggia ed esperta in materia di serie, concerti, eventi, scrittura, e tanto altro. Però poteva anche dare opinioni agli altri, ammonirli e soprattutto incitarli a migliorare sé stessi.

Nel frattempo, Giacomo si era proprio scocciato di attendere in quel pullman ristretto che lo faceva impazzire, ma anche assolutamente rotto degli scherzi, delle frecciatine e cofecchie dei suoi compagni d’avventura; per ammazzare la noia, gli venne un’idea brillante: prendere spunto da Boccaccio e il suo Decamerone, da Chaucer e i suoi Canterbury Tales, e intrattenere, così, se stesso e gli altri, con una serie di racconti basati proprio su di loro, furono tutti incuriositi e molto eccitati alla prospettiva, ignari del fatto che sarebbero state storie molto più severe del previsto…

Calù, Serafina, Caterina “Cat”, Lino, Nicole (appena svegliata), Genoveffa, Fiorenza, Pietro e “Sardina”, l’unica non menzionata finora, si apprestavano ad ascoltare le storie.

Questi sono solo alcuni dei passeggeri del veicolo, quelli su cui Giacomo aveva deciso di soffermarsi inizialmente. Ma, grazie alla sua fervida immaginazione e all’atmosfera che si era creata dal momento che aveva proposto “i racconti degli addicted”, anche gli altri passeggeri adesso ai suoi occhi erano diventati meritevoli di entrare a far parte di quei racconti, non solo come contorno ma con uno dedicato a loro. Il pulmino che li stava conducendo al luogo del raduno si era rivelato lo stimolo perfetto per le “pazze” idee di Giacomo.

 

 

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Capitolo 2
*** PIETRO ***


PIETRO

 

Lui era un business man, con un’idea fissa in testa… decisamente. Mediamente alto, sulla trentina, capelli corti, lenti a contatto, e stranamente piacente alle donne, Pietro era un grande imprenditore, più ricco di quanto ne avesse bisogno, con varie discoteche in suo possesso e una montagna di ragazze ai suoi piedi. Di esperienze in amore ne aveva fatte parecchie, tutte sfortunate a detta sua, in realtà nascondeva bei segreti.

Era una sera di Novembre, faceva freddo all’ombra di Via “Vento”, proprio al di fuori di uno dei suoi locali, uno dei suoi club esclusivi, ma dentro… beh, all’interno si stava dannatamente bene, al caldo e c’era non poco movimento, in tutti i sensi.

Le persone ballavano e si sfrenavano, le loro silhouette sembravano ombre cinesi, impazzite al ritmo delle luci e dei colori della notte, mentre la sfera al centro dell’ampia stanza rifletteva l’atmosfera. Alcuni ragazzi sedevano sui comodi divanetti, nel frattempo i loro amici danzavano seguendo le musiche di DJ Cash, e altri ancora correvano ai bagni riservati, a far chissà cosa.

Fu lì che fece la sua entrata in scena Pietro, con la sua giacca nera e un bastone, oggetto che gli serviva a poco visto che camminava benissimo, era semplicemente per rendere l’idea del boss, che gli andava molto a genio. In quello stesso istante ci fu un gioco di sguardi fra le persone sedute e quelle in movimento, per un attimo rubò la scena… no, aspettate, la rubava sempre, o così credeva.

Negli ultimi tempi credeva poco all’amore, pensava invece più che esistessero le storielle di una notte, le avventure e le disavventure, e sicuramente le donne oggetto. Infatti, stremato dalle ultime “fatiche”, di recente, aveva messo su qualche chilo, più che altro, bevendo alcolici.

La prima cosa che fece, avvicinandosi al bancone del suo fido scagnozzo Paolo, fu chiedere una birra, la prima di una lunga serie in quella stessa serata.

“Dammi la solita, va’ “

“Certo, capo” Annuì il lacchè.

Tutt’a un tratto, entrarono due individui nel locale, loschi; Pietro se ne accorse subito e si avvicinò cautamente:
“Posso aiutarvi? Magari possiamo bere qualcosa…”

“Non penso”

Un oggetto metallico venne sfilato dal taschino del tizio incappucciato, Pietro pensò che si trattasse di un coltello o di un’arma, ma era ben altro...

“Cosa? Manette?”

Ebbene sì, il giovane fu ammanettato e dichiarato colpevole, i due individui si rivelarono essere degli sbirri, travestiti da improbabili ladri. L’accusa era grave: spaccio di droga nel suo locale, e lui ne era quindi responsabile, anche se non si era capito bene se lui ne fosse a conoscenza, o peggio, ne avesse fatto uso lui stesso.

Le persone furono tutte sconvolte dall’accaduto e cercarono immediatamente di uscire dal luogo, ma le guardie lo impedirono: non tanto perché fossero coinvolte, a loro interessava soltanto Pietro, però volevano che tutti sapessero chi avevano di fronte: un vero criminale.

Pietro disse le solite frasi del caso, “Sono innocente” eccetera, eccetera.

Ma le guardie lo presero comunque, ovviamente. Fu trattenuto in una cella per qualche ora, ma dopo qualche parola dei suoi avvocati, i migliori Azzeccagarbugli del pianeta, fu liberato.

Fu come se non fosse accaduto nulla. Per lui era la routine. Quella stessa notte tornò nel suo appartamento, si spogliò e si stese sul suo letto, una persona accanto a lui si voltò verso il suo lato.

“Ehi, come va?” Disse la voce femminile.

“Va come va. Saltiamo questa parte e andiamo al sodo” Fece lui.

E così fu.

La mattina seguente, lui era ancora di malumore per la sua “capatina” al commissariato, mentre lei era splendente come un raggio di sole. La casa di Pietro era molto grande, antica e ci si perdeva, la donna gli portò la colazione a letto, ma lui fece un gesto e la buttò via. Non si dissero molte parole, lei veniva costantemente trattata male, alla fine lui pensò che fosse colpa proprio della sua ragazza, decise, quindi, di rinnegarla, chiamandola per telefono, nonostante lei fosse a pochi metri di distanza, beh, era una sua abitudine troncare in quel modo, perciò non poté farne a meno.

Facciamo un altro breve salto temporale, e passiamo alla sera seguente, il locale era di nuovo aperto, in qualche modo, ma non senza una sfoltita della clientela, già, la gente si era dimezzata, dopo la brutta faccenda della droga e della polizia, le persone avevano deciso di cambiare locale, e, detto francamente, tra noi, non era neanche un bel locale, sì… una mezza cosa, ma sicuramente ce n’erano di migliori in giro.

Pietro era incazzato ancora di più, licenziò persino il suo scagnozzo, per smaltire i costi, e decise di miscelare i drink da sé, sarebbe stato molto più economico. Dopo una serie di bevute, come di consueto, vide la sua sala svuotata, con un paio di ragazze che ballavano e la musica a palla, bloccata sulla stessa canzone da mezz’ora, e, colto dalla noia, decise di provarci: raccolse un po’ di ego, si sistemò la cravatta e andò verso di loro, accarezzandole sulle curve sinuose, le due si voltarono e fecero degli sguardi compiaciuti, avevano apprezzato, e avrebbero apprezzato ancora di più delle sue carezze, un po’ di attenzioni e qualche soldo.

Si erano compresi a vicenda, ed erano soddisfatti di quello che ricevevano in cambio.

Dopo averle usate, Pietro si rese conto che quelle donne non volevano altro che il suo denaro, quindi ci rimase male, all’improvviso, così, dopo essersi svegliato dall’effetto degli alcolici, troncò anche quel rapporto, stavolta con un bigliettino a entrambe. Bisogna dire che non era da incolpare, il pover’uomo credeva davvero di essere lui la vittima, non poteva comprendere le ragioni delle altre, forse era proprio una sua incapacità.

Mentre si dirigeva verso la sua automobile, il giovane vide un’ombra sfuggente, che corse subito via; egli cosa poteva fare, se non che inseguirla? Correvano entrambi, ma quella era una strada che lui conosceva bene, da buon guidatore, la colse alla sprovvista, prendendo una scorciatoia, e le saltò addosso.

“Cosa nascondi? Cosa cerchi?” Disse ignaro.

“Solo una cosa: te” Esclamò la donna, sottovoce.

Era molto giovane, sulla ventina, e di gran lunga più giovane di lui, ma sapeva il fatto suo apparentemente, però, certo, non sapeva chi aveva di fronte, o forse sì?

I due si afferrarono bruscamente, e iniziarono a baciarsi come se non ci fosse stato un domani. Sembrava la scena di un film, lui la prese e la spalmò su di una macchina, ma… a sorpresa, la ragazza gli infilò un ago nel collo: era una sostanza strana, che lo fece subito precipitare in un sonno profondo.

Non si era capito quanto tempo fosse passato, ma Pietro si svegliò: era circondato da figure incappucciate, stavolta molto più misteriose, era stretto a una sedia, ma poteva parlare, e si trovava in un luogo mai visto prima, una specie di giardino, e quelle figure lo osservavano ben bene, ma cosa volevano? Fu questo che pensò prontamente.

“Slegatemi. Volete soldi? Ce li ho, ma slegatemi. Oh, e vorrei capirci qualcosa, porco Giuda”

“Zitto” Fece la voce femminile di fronte a lui, al centro del cerchio formato da incappucciati.

E lui rimase zittito, per qualche strano motivo, la sua lingua rimase come inceppata, non poteva muoverla bene, era come addormentata. Eppure non poteva essere l’effetto del sonnifero, aveva appena detto una frase di senso compiuto poco prima.

Pietro fece una mossa abile: si alzò di scatto e si buttò all’indietro, distruggendo la sedia di legno, così fu in grado di slegarsi da quel groviglio di nodi.

“Adesso basta, fatevi da parte, conosco il Kung Pao!”

Una delle figure distese il braccio, puntando il dito verso Pietro, l’effetto che ebbe su di lui fu come uno strangolamento, fu stritolato ma non ucciso, non ancora.

Le figure del mistero si tolsero i cappucci, e lui notò subito volti familiari, in primis la donna che lo aveva catturato, ma, non solo erano tutte ragazze, erano anche volti da lui conosciuti vagamente: erano… sue ex? Possibile? Questo si domandò.

“Ci conosciamo… credo?” Indicò lui.

“Tu credi?” La donna al centro non si era ancora manifestata, ma era chiaro che fosse di sesso femminile. Alla fine si scoprì anch’essa, nuda, era Albina, l’unica che lui seppe riconoscere chiaramente, una sua fiamma storica.

“Lo sapevo, c’entri tu in questa storia” Inclinò la testa il ragazzo.

“Per niente, sei tu al centro di tutto… o così ti piacerebbe” Fece Albina.

“Ti ricordi come è finita la nostra storia?” Disse sempre lei.

“Certo, mi hai mollato, ci sono rimasto male per un paio d’ore, non sai che dolore che mi hai inflitto! Strega!”

“Muahahah. Mai tali parole furono più azzeccate. Dopo che hai terminato il rapporto tra tutte noi, ci siamo riunite, e abbiamo preso parte a una setta malefica, composta da 13 streghe. E per la cronaca, ti ho mollato solo perché mi hai tradito con altre settordici ragazze, non ricordo quante fossero, cambiavano ogni giorno”. Albina era piuttosto in collera.

“Mai più” Riprese, “Mai più crederemo in quelli come te, tutti dovranno pagare per le nostre sventure”

“Cosa?! Sono io lo sventurato” Tentò di difendersi Pietro, ma si rese conto persino lui di avere torto.

Un’altra ragazza si fece avanti, di cui non ricordava il nome, però ricordava alcuni dei connotati: “Ti useremo noi stavolta, come messaggio verso il mondo, mai più tali abusi saranno ammessi.”

“Senti, tipa, non mi ricordo neanche cosa ti ho fatto ma mi sembra una reazione esag—“ Fu interrotto, mentre una delle ragazze teneva stretto magicamente.

“Silenzio, stavolta siamo noi a comandare, e quindi, andiamo a comandare, ragazze!” Fece un’altra ancora.

Si ritrovarono in poco tempo al centro di una vecchia chiesa, adibita stavolta a luogo di culto perverso, un posto satanico, dove le cose più oscure avvenivano, senza che nessuno lo sapesse.

Le donne, tutte attorno a lui, pregavano, e, a bassa voce, recitavano delle formule a ripetizione, cose incomprensibili che sarebbero difficili da riprodurre in questo testo.

“Fermatevi, cosa fate? E’ meglio che non sia quello che penso! Io sono solo un cucciolo indifeso!”

“Perché, quando mai tu pensi? Non interrompere il nostro rituale!” Lo mise a posto Albina.

Il suolo attorno a Pietro iniziò a illuminarsi, un cerchio di luce rossa lo avvolse a partire dai piedi, e iniziò a sentirsi inerme, confuso e triste. Le donne gli stavano facendo qualcosa… qualcosa di mai provato prima.

La luce paonazza iniziò a salire, e sotto di essa non restava altro che dura pietra… Pietro cominciò a spaventarsi sul serio. Tutto il blocco di granito iniziò a ricoprire il corpo del povero ragazzo, con le mani incerte e il respiro bloccato in gola, finì tutto paralizzato.

“Finalmente. Giustizia è fatta” Le donne applaudirono, mentre la faccia di Pietro era immobilizzata in un’espressione di terrore. La luce svanì e le donne iniziarono a disfare l’altare dei suoi oggetti sacri: il rito demonico era concluso.

Quando tutto questo finì, le ragazze tornarono alle loro vite, un po’ più sollevate, ma, come promesso, inviarono al “mondo” un pacco regalo. La statua infatti fu recapitata ai suoi amici più cari.

“Ma è una imitazione, vero?” Disse Cat.

“Beh, è fatta davvero bene, complimenti a chi l’ha realizzata, io avrei fatto una parodia” Ridacchiò Calù.

“Sì… davvero interessante” Fece Nicole con un mezzo sorriso arrossito.

“Il suo ego è cresciuto se si è fatto fare una statua, ma lui dov’è?” Si chiese giustamente Sardina…

“Ragazzi, io voglio andare a casa” Fece Giacomo, “Facciamo che è lui, perché non ci mettiamo una pietra sopra? Ah, capita la battuta?”

Ci fu un silenziò glaciale. Giacomo era appoggiato alla scultura, e nella sua più grande imbranataggine, la fece cadere dal piedistallo, frantumandola in mille pezzi.

“Ok, facciamo che era una brutta copia, no?” Disse, e ammise anche di essere il più goffo del gruppo.

 

 

 

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Capitolo 3
*** SARDINA ***


SARDINA

 

In un mondo surreale e fantascientifico, che non avete mai visto (in realtà, probabilmente sì), ambientato oltre le nuvole, in una galassia lontana lontana, abitavano varie specie, tra cui quella umana, con una realtà tutta a sé stante, probabilmente la peggiore fra le razze, soprattutto gli individui di colore bianco, da evitare.

In una città anonima e poco interessante del pianeta ‘Gelato al cioccolato’, abitava Sardina, la protagonista della storia, la quale, aveva una vita per nulla degna di nota, ma, che cercheremo di approfondire più tardi. Cosa altro poteva fare questa ragazza come lavoro, se non quello di creare dolci? Come tutte le persone del pianeta, infatti, si cimentava in cucina, creava i cupcake più disparati e improbabili, cercando di consegnare tutto alla sua boss entro le scadenze, che erano molto strette; impastava, decorava, aggiungeva ingredienti tra i più indigesti, forse per puro divertimento.

Era una ragazza normale, potremmo dire, con i capelli lunghi colore rosso fiamme, un naso a punta e delle mani da lavoratrice, unghie lavorate ma rovinate dalla pasta usata per preparare i suoi famigerati ‘dolcetti’.

Un giorno, si recò al lavoro come di consuetudine, e consegnò i cupcake, stavolta direttamente ai clienti, per un’esperienza più ravvicinata con i consumatori dei suoi prodotti, glielo aveva imposto la sua direttrice.

“Quanto mi dai per i tre cupcake che hai ordinato?”

Il cliente fece una smorfia annoiata “Sono tre, quindi un quarto di razione”.

“Avaro. L’altra volta era mezza razione”

Lo strano essere a cui stava servendo i suoi manicaretti tirò la lingua da fuori, ma, più che altro, se ne fregò dell’osservazione della donna.

Il cliente alieno assaggiò uno dei dolcetti, con un solo colpo lo ingurgitò dentro di sé, masticando a bocca aperta senza alcun riguardo per le persone che gli stavano attorno, tra cui altri consumatori dei dolciumi, ebbene… continuava a masticare, fino a che non sputò una sostanza grigiastra, una roba polverosa, dopo che essa si era attaccata ai suoi denti.

“Allora? Cosa mi hai rifilato qua, Sardina.”

“Il solito” Rispose secca, lei.

“E me ne sono accorto. Questa è una ciofeca! Non ti pagherò neanche un briciolo di razione! Il tuo lavoro fa schifo!”

“Argh…” Un fuoco penetrò dentro la ragazza, un’aura spaventosa la avvolse, qualcuno direbbe che fosse la ‘forza’. Sardina sfilò dalla sua cintura la sua fida spada laser, la accese e dalla sua base metallica vene emanata una luce rossa, come i suoi capelli, ma anche segno del lato oscuro. Con una singola movenza, piena di non-chalance, decapitò il povero cliente, che aveva osato così tanto nell’aggredirla.

“Un fastidio in meno. Nessuno si può permettere di contestare il mio lavoro. Il prossimo!” Gridò rivolgendosi alla clientela, che da questo momento fu più cortese con lei.

Finita la ‘faticosa’ giornata, Sardina portò a casa il frutto del suo lavoro, razioni del suo cibo preferito, aveva pessimo gusto in fatto di pietanze, ma questo è un altro discorso.

Il giorno successivo, stessa storia, si recò al lavoro, solo che trovò chiusa la pasticceria. Si chiese immediatamente come mai. Trovò affisso un manifesto, era la solita sbadata e si era scordata di leggerlo quando lo vide, piuttosto fece subito dei lamenti strani, era il suo modo di esprimersi, finché non vide la nota, poggiata sul vetro del negozio. Recitava:
“Ogni attività lavorativa è sospesa, la Principessa ha indetto un raduno, per reclutare persone nella sua missione di assoluta importanza!”

“Che noia, io preferisco fare ciò di cui mi occupo meglio ogni giorno, cioè… decapitare i clienti e infastidirli a morte!” Pensò subito. Però, in fondo, era anche un’esperienza che, magari, l’avrebbe avvicinata alla Principessa, cosa che desiderava da tempo, ma non aveva mai immaginato ci sarebbe stato un incontro con lei. Diciamo che aveva un rapporto particolare con questa donna, pur non avendola mai incontrata di persona, aveva sentito tutte le storie delle sue imprese più spericolate, era, probabilmente, il suo modello femminile, un’ispirazione. Quindi, in realtà, era davvero desiderosa di questa possibile esperienza, solo che era molto insicura, credeva che avrebbe fatto una pessima figura davanti al suo idolo, e si trovava molto più a suo agio nel suo ambiente personale, quello dei dolci velenosi.

Si diede, così, una botta metaforica e si unì all’adunata generale.

Alla conferenza c’erano persone di ogni tipo, buoni e cattivi, ma tutti uniti nella speranza di combattere la tirannia dell’Impero mega galattico, che Sardina detestava.

Tutto quello che lei vide fu una massa informe e confusa di individui, a lei non importava niente di quelle persone, ma solo della Principessa, la quale, proprio allora, iniziò a proferire parola.

Togliendosi il velo bianco, svelò il suo viso, insieme a un improbabile acconciatura, cosa che notarono subito tutti, e, oh sì che ebbero da ridire su quel taglio di capelli:

“Buongiorno miei sudditi, sono la Principessa Sola, e vorrei tanto che fosse davvero un buon giorno per voi, ma l’Impero Megagalattico minaccia ogni singola persona. Non possiamo farcela da soli, ma insieme saremo più forti, vi chiedo dunque di unirvi alla nostra crociata e… ehm…” Si interruppe stranamente, avvicinando uno dei suoi consiglieri, “Altezza, non ricorda il suo discorso?”

“A te come sembra? Coglione!” La Principessa Sola non si rese conto di aver parlato davanti al microfono, rendendo udibile a tutti quel colorito linguaggio. L’imbarazzo fu subito evidente sul suo volto. E, ancora una volta, la folla ebbe da ridire.

“Questa Principessa… è proprio un’isterica, si vede che è ‘Sola’, le farebbe davvero comodo una scopata…” Bisbigliò un tipo vicino a Sardina. Ella colse subito la frecciatina, e non perse tempo a sfoggiare la sua spada.

“Ma quanta confidenza, è la nostra Principessa!”

“Si, una Principessa che non si fila nessuno, è egoista e cafona, ed è brava solo a dare ordini”

Sardina si fece rossa in viso, rispecchiandosi molto nella donna al governo, si avvicinò tenendo in pugno la spada laser, ma una mano la fermò.

“Ehi, che peperina, calma… calma.” Disse imbarazzato un ragazzo, che si frappose fra queste persone in conflitto.

“Non mi sembri molto diversa dalla Principessa” Disse colui che aveva chiaramente qualcosa contro Sola.

Il ragazzo non fece caso al commento del tizio anziano, e concentrò la sua attenzione su Sardina, tra i due ci furono sguardi strani, incomprensibili, probabilmente si capirono solo loro, ma l’importante fu che si capirono. Entrambi notarono subito i capelli dell’altro, molto, molto strani. Lui aveva i capelli verdognoli e da punk, una faccia divertente con un’espressione pazzoide e incerta.

“Uhm… non fare caso a lui, cerca una battaglia” Disse facendo riferimento all’uomo anziano.

“Se è per questo anche io… cerco sempre battaglie e guai… e perché sto dicendo questo?” Si rese conto di non volere essere più come la Principessa, se davvero era isterica come appariva, iniziava ad avere paura nell’identificarsi.

“Ou… okay, io sono Sardina, e non sono per niente come la Principessa Sola, giusto che tu lo sappia”

“Ma, ma certo, si vede, io sono Crazy-F”

“Si vede che sei Crazy, cioè… voglio dire… uhm, niente. F sta per… Fuck?” Disse la ragazza lisciandosi i capelli lunghi.

“Cosa? No, NO.” La fermò lui.

“Un nome quindi? Fabr…” Fu interrotta ancora.

“Filostrato”

“Davvero? …” Rimase senza parole, e non si trattava certo di uno scherzo.

“Beh, perché no, tu ti chiami Sardina”

“E’ così che mi hanno scritta, che ne so”

Questo scambio di parole inutili lo scambieremo, era chiaro che battibeccassero, e non ci importava niente di questa sottotrama. Passiamo a qualcosa di più interessante… All’improvviso arrivarono lampi, tuoni, e dal nulla sbucarono fuori delle astronavi gigantesche, non persero tempo e iniziarono a sparare raggi contro la folla, le persone proprio accanto a loro svanivano come fasci di luce, diventavano aria, si polverizzarono, essenzialmente.

Crazy-F (lo chiameremo così, l’altro nome è davvero improponibile) prese la mano di Sardina e iniziarono a correre, da veri codardi, ma senz’altro da aspiranti sopravvissuti. Si fecero strada tra la calca e, sebbene lei fosse assolutamente contraria e lo guardava male, continuarono a scappare. Raggiungendo la torre dove risiedeva la principessa, che, giustamente, si era recata all’interno dell’edificio per ripararsi dagli attacchi, mica era scema.

Tralasciando una noiosissima e difficile da descrivere scena d’azione, arrivarono davanti alla torre, ma non entrarono, trovarono subito la Principessa Sola che, anch’essa scappava.

“Adesso puoi lasciarmi la mano… Per piacere.”

Il ragazzo non badò a quelle effusioni che stavano avvenendo, e si rivolse all’autorità:
“Principessa, lei è la nostra unica speranza.”
La regnante si fece una grossa risata, “Ma scherzi? Siete voi la mia speranza, siete gli unici sopravvissuti su questo pianeta, probabilmente.” Si voltò verso il pilota “Capitano, prepariamoci a partire, con questi due tizi presi a caso: la nostra salvezza”

Sardina subito si montò la testa: “Principessa, non la deluderemo.” E salirono, così, sulla navicella.

Il viaggio fu lungo, l’attesa ammorbante, ma la storia deve pur intrattenere, quindi saltiamo anche questa scena.

Arrivarono presto (si fa per dire), alla fortezza Imperiale, e Sola non perse tempo a dare in mano ai due un paio di armi scadenti, e li silurò fuori dalla navetta, fregandosene e rinunciando a partecipare attivamente alla sua missione personale.

Sardina e Crazy-F erano ben immersi nella stazione spaziale, il suo interno era come labirintico, pieno di stanze, celle e quant’altro, dove perdersi, era come l’universo, no, che dico, come il Multiverso.

Superarono una serie prove molto intelligenti e si sorpresero delle loro abilità, come risolvere dei puzzle dell’ABC per aprire portali, accoppiare figure dello stesso colore, disegnare cani, gatti, ma bisogna dire che lo fecero con maestria.

Il malvagio tiranno Zurg governava la base operativa dell’impero, soldato del lato oscuro, e monitorava la situazione dalle telecamere, e decise che era fin troppo facile, quindi pigiò un tasto preciso della sua pulsantiera e attivò una trappola, una trappola molto particolare e colma di ironia, era ben cosciente (li stava spiando) della situazione di quei due, e della loro crescente chimica, se vogliamo chiamarla così.

Sardina e Crazy-F furono catturati da un raggio di attrazione, che scelta di parole azzeccata, e iniziarono a gravitare a testa in giù l’uno accanto all’altra, come se fossero stato intrappolati in una rete di grovigli.

Erano stretti, vicini, e senza nulla da dire.

“Ehm…” Lui iniziò a rompere il ghiaccio della gelida bambola “Ti piace la musica? Potrei suonare per te… ehm, no, non era quello che intendevo”.
“Baciami” Accennò lei, sottovoce, ma con tono serio.

“Ok” Iniziarono così a baciarsi, ben bene, tutto questo mentre il soldato dell'impero vomitava.

La trappola sessuale di Zurg ebbe effetto: con una semplice mossa li aveva distratti e pesantemente indeboliti.

“Adesso si saranno inebetiti” Pensò il losco individuo in armatura.

Il raggio-calamita li condusse nella stanza del trono, dove risiedeva Zurg, lo scontro finale stava per avere inizio.

I due non capivano cosa stesse succedendo, un minuto prima limonavano, e il minuto dopo si trovarono a evitare le lame delle guardie reali; non erano per nulla esperti nell’arte del combattimento, ma veri maestri della fuga e dell’evitare danni: non si fecero colpire da nessuno.

Zurg li strinse al collo con il solo movimento della mano. Poi prese la mano di Sardina, e fece per portarla via.

“Cosa fai?!” Esclamò il ragazzo dai capelli verdi impazziti, preoccupato.

“Porto via la debole donzella in pericolo, è così che vanno sempre le storie, no?”

“Ti amo. Sto parlando a Sardina, non a te, tiranno, non farti strane idee” Confessò il giovane.

“Lo so” Disse lei, coprendosi il volto con i capelli.

Dopo una breve rincorsa tra i tre, e una breve pausa, Zurg e Sardina si rinchiusero in una delle segrete della fortezza.

“Facciamolo, adesso.” Disse attraverso la sua maschera.

“Così? Qui? Tu porti l’armatura.” Disse lei.

“Ti ecciterà di più. Cosa c’è? Non vuoi farlo? Non mi dire che non ne sei capace…”

“Pfft, ma va’. Io con tutti i miei clienti in pasticceria…”

Furono interrotti nuovamente. Il giovane Crazy-F distrusse la porta facendovi un foro con la spada laser dal raggio di colore verde.

“E’ l’ora del rock ‘n roll” Disse lei, attivando la sua arma. E anche Zurg estrasse dai pantaloni la sua spada… laser.

Combatterono bene, sebbene lui fosse in numero ridotto stavolta, era un abile maestro di spade, come aveva riferito a Sardina, e anche lei ci sapeva fare, era palese, da quella sfida a sferzate di laser. Crazy-F e Sardina duellavano bene insieme, lui un po’ impacciato ma comunque capace.

Finché la spada di Crazy-F non si inceppò “Maledizione, ti odio Principessa per queste armi difettose” La spada si attivava e si disattivava a intermittenza, era davvero una cosa fastidiosa da vedere, a un tratto si disattivò completamente. Zurg puntò la lama di luce verso il collo di lei,

“Che la fortuna sia con te, abile guerriera, stavolta non hai scampo”

Crazy-F si trovava proprio accanto a lei, impotente, incapace di proteggerla, la sua spada si attivò finalmente, ma in modo del tutto inaspettato… prese in pieno i fianchi di Sardina, tagliandole il corpo in due, la parte di sopra cadde a terra come una pera cotta, gli occhi sbarrati.

“Beh, avevo ragione” Ridacchiò Zurg.

“No dai, non è possibile che sia così imbranato” Ammise il ragazzo “Era interessante lei, aspetta, qual era il suo nome? Non ricordo, peccato che sia morta prima che potessimo scoprire il suo passato, le sue origini e altro, un vero peccato! Si vede che non era importante ai fini della trama, a quanto pare…”

Zurg si fece avanti.

“Ragazzo mio, sei davvero una sorpresa, ti interesserebbe un addestramento per il lato oscuro?”

“Sì… SIII, avrò una carriera, muahahahahahahah…”

 

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Capitolo 4
*** FIORENZA ***


FIORENZA

 

Nonostante il mondo sia un posto crudele, e ingiusto per molta gente, a Berlino, qualche tempo fa, c’era sempre una zona dove tutti potevano contare per il rispetto e il benessere: l’Accademia delle Arti Nuove.

Lì regnava la pace, la tecnologia contava ma non era il fulcro, c’erano sani rapporti di amicizia e anche di subalternità, come era necessario in una catena di ruoli. Da pochi mesi fu promossa una nuova direttrice: Fiorenza, ragazza mite e solare, mediamente alta, con dei lineamenti degni di nota, capelli ricci e un mezzo sorriso sempre stampato in faccia; ella, appunto, sorrideva a tutti e li trattava con gentilezza, senza alcuna differenza di sorta. Mai fermarsi alle apparenze.

Tutto questo infatti avvenne nei primi mesi sotto la sua direzione, l’Accademia, infatti, non aveva mai goduto di un periodo così rigoglioso e così pieno di iscritti: arrivavano da tutto il mondo per iscriversi lì, il fior fiore della gioventù, con la speranza di trovare altri come loro e condividere la passione per la scrittura, la poesia, la pittura, anche l’architettura e chi più ne ha, più ne metta. E ci riuscirono.

Le cose stavano per cambiare leggermente, ovviamente non può essere mica tutto rosa e fiori, giusto?

La differenza, e intendo proprio dire differenza, cominciò a notarsi con il tempo.

Fiorenza arrivò alla sua scuola, come ogni giorno, con la cartella in mano, piena di scartoffie e attività interessanti da realizzare nel corso delle ore, e il suo immancabile sorriso; era sempre pronta a salutare tutti quelli che incontrava salendo le scale. Nel suo ufficio si radunavano tutti i ragazzi, ai quali veniva spiegato il progetto del momento, e ognuno aveva il proprio compito, come era giusto che fosse, inoltre c’erano delle regole ben pensate e stabilite.

Il progetto del giorno era stato presentato da Lucia, competente studentessa dell’Accademia; il progetto riguardava la traduzione di alcuni testi antichi tedeschi. Se l’era cavata molto bene la ragazza.

Intervenne subito Fiorenza, e si congratulò con lei per il bel lavoro svolto:
“Sei stata molto precisa, e credo tu abbia adattato bene i dialoghi, non sono tradotti alla lettera, ma neanche completamente estranei al testo originale. Molto bene, cara!”

“Grazie, meno male che c’è un po’ di soddisfazione per gli sforzi di una povera ragazza, ci ho lavorato tutto il mese!” Disse la giovane allieva.

“Era proprio necessario questo commento?” Pensò la direttrice.

“Silenzio, prendi pure il tuo credito, cara”

Quando la giovane si allontanò, Fiorenza e le sue colleghe co-redattrici del progetto furono soddisfatte; Fiorenza prese il suo taccuino block-notes e annotò il voto al progetto, che era, appunto segreto, ma noi possiamo dirlo ai lettori, era un bel 9e, nella riga di sotto, segnò un altro voto, con sopra scritto “Lucia – 5.5”, lei e le colleghe ridacchiarono sotto i metaforici baffi.

Fiorenza era molto legata alle sue amiche, come un po’ a tutti del gruppo di colleghi e alla comunità dell’ambiente accademico, alcuni li considerava come figli propri.

Un episodio successivo, vide lei e le sue amiche che, come al solito, si scambiavano commenti, non tanto sui progetti didattici quanto sulle persone:
“Si è comportata molto male con me”

“Eheheh, va bene, dai, prenderò provvedimenti” Disse Fiorenza, con le scintille che attraversavano i suoi occhiali.

Ella, di recente, aveva compilato tutto il suo blocchetto di voti, e non c’era più spazio, i progetti non erano tanti, mentre il libretto era letteralmente invaso da voti alle persone. Fiorenza, così, non ne poté più, e smise di usarlo, pensò che fosse disumano giudicare le persone in quel modo e mettere voti insufficienti a tutti.

Ma, con la sua intelligenza, escogitò un altro stratagemma: mise a punto, con le sue doti informatiche, una ‘app’ di ultima generazione, chiamata “Le stelle dello Sceriffo”, con cui ognuno poteva fare come lei ed esprimere la propria opinione, non ci trovò niente di male, si disse “Perché no?”

In questo modo, tutta la scuola poteva dire ciò che pensava, esprimersi e dare voti da 0 a 5 stelle. Senza distinzioni di ogni sorta per ogni utente: aveva creato un vero Social Network. C’era un’unica, piccola, eccezione: i suoi voti erano, di fatto, i soli che contavano.

Lei controllava un po’ tutta la situazione, ma, in fondo, era anche colei che aveva ideato “Le Stelle dello Sceriffo”.

Si davano voti a ogni cosa: alle scarpe, agli abiti, ai cappelli, alle scritte sui muri, alle parti del corpo, al carattere e, senz’altro, alle persone in sé.

Fiorenza era una vera esperta in fatto di voti, e pensò che tutti avrebbero dovuto avere la possibilità di esprimersi. Però lo scettro doveva pur andare in mano a qualcuno.

Le sue amiche erano sempre felici insieme a lei, e non avevano dubbi della buona riuscita di questa applicazione geniale, iniziarono quindi ad usarla spensierate, senza farsi troppe pippe mentali, e decisero quindi di dare voti anche a Fiorenza stessa.

Nicole, voto a Fiorenza: 5/5 – “Grande maestra di tutte le arti, amica sincera e socievole”

Caterina, voto a Fiorenza: 5/5 – “Direttrice integerrima e persona superlativa”

Virginia, voto a Fiorenza 4.5/5 – “Nostra lodata divinità, anche se qualche commento se lo potrebbe risparmiare ogni tanto”

Fiorenza lesse subito i voti e fu certamente contenta, in particolare ringraziò Virginia per essere stata onesta, le fece un sorriso di intesa e poi prese il suo telefono, e abbassò la reputazione proprio a Virginia, da 4 stelle a 3 stelle.

“Perché me l’hai abbassato?” Si chiese la povera donna, sconvolta.

“Le tue scarpe di oggi non mi vanno molto a genio, tutto qua, non ti preoccupare” E sorrise di nuovo.

Fiorenza iniziò, però, a pensare di essere troppo larga di voti: di fatto, aveva ‘regalato’ a molte persone della sua cerchia 4 stelle su 5. Lei, ovviamente era la sola ad avere una media di 5 stelle dai suoi seguaci. Questo non le bastava più, e decise di abbassare di una stella tutti gli altri utenti del Social. Nessuno la rimproverò, non avevano il potere o il diritto per farlo.

Ella si confidò con le sue amiche, e confessò a Nicole e a Caterina di sentirsi un poco a disagio nel frequentare ancora Virginia e altri colleghi della sua cerchia, aveva un voto troppo basso rispetto a loro, chiese se per loro andava bene rimuoverla dal gruppo, le due non fiatarono.

“Chi tace, acconsente” Pensò, e la rimosse come aveva promesso.

Virginia, una ragazza molto intelligente e arguta, con la risposta pronta, le si avvicinò e le disse:
“Eh, però non hai perso tempo a rimuovermi e a rimpiazzarmi, vedo”

Fiorenza era confusa, “Di cosa parli, cara?” E fu questo tutto quello che si degnò di dirle, prima di ‘oltrepassarla’ come se fosse stata aria.

E così la Direttrice continuò a frequentare le sue più strette amiche, ma senza Virginia.

Ma Virginia non si arrese, decise di andare a parlare con Nicole e Caterina, ma le due non si espressero, ancora una volta, non vollero contestare il parere della loro superiore.

“Non vi sembra ingiusto, che per un mezzo voto in meno, io sia stata retrocessa e snobbata?”

Fiorenza udì la conversazione, dietro di loro, e fu assolutamente d’accordo.

“Devo dire che hai ragione, cara, mi dispiace. Prenderò subito provvedimenti…”

La donna dai capelli ricci non scherzava, convocò subito una riunione con tutti quelli che ancora contavano nell’Accademia delle Arti Nuove, ecco quello che recitò:
“Miei cari, carissimi, da oggi in poi abbiamo una nuova regola: tutti quelli sotto il grado 4 della scala “Stelle dello Sceriffo” non potranno più frequentare i piani 3 e 4 dell’edificio, e non potranno interagire con le persone di livello 4" e ovviamente con lei che era l’unica di livello 5, il massimo grado della scala.

Si rivolse di nuovo a Virginia: “Visto, adesso il sistema è più giusto, non sarai più la sola che non potrà frequentare quelli di livello 4. Potrai benissimo uscire con i tuoi simili”.

Di nuovo, verso la moltitudine degli studenti:

“Inoltre, queste regole saranno molto importanti, e se verranno trasgredite, nel senso che… se vedremo alcuni con la targa a 3 stelle o voto più basso con individui con la targa da 4 stelle, questi verranno espulsi dall’Accademia, e faremo in modo che vengano banditi anche dalla città, possibilmente. Questo è quanto.” E li salutò alzando la mano, con il suo solito sorriso a trentadue denti.

Per una perfetta organizzazione erano necessarie quelle regole, anche se la popolazione dell’Accademia non fu per niente contenta. Ma il livello 4 non fu più l’unico esclusivo; dopo un po’ di tempo, vennero installati altri piani esclusivi del palazzo, il piano 2 era riservato alla popolazione di 3 stelle, il piano 1 alle persone di 2 stelle, e il piano terra ovviamente a quelli che avevano solo una o zero stelle, diciamo pure che qui il regolamento fu un molto clemente, consentiva a quelli di una e zero stelle di convivere allo stesso livello di altezza. Inoltre ella fu magnanima con quelli di livello 4, infatti potevano interagire con lei, la Sovrana Suprema. Questo era considerato un altro privilegio.

Le cose continuarono a cambiare, quando furono introdotti i teleschermi ai piani sottostanti al terzo e al quarto, per le persone di livello sottostante alle 4 stelle. Così la Sovrana poteva controllare la vita dei suoi sudditi, di colore che erano inferiori, per colpa di nessuno, ovviamente, soltanto per natura. Solo in questo modo era possibile mantenere la pace, l’equilibrio e la prosperità in quella comunità, che diventava di giorno in giorno più difficile da gestire: come contro ogni forma di governo, vennero organizzate delle sommosse, ma furono subito stroncate con le palette dotate di taser, di cui venivano muniti scagnozzi della Leader Fiorenza, gli unici di livello inferiore che avevano una qualche autorità.

Ognuno doveva indossare una tuta bianca, con uno stemma sul petto, una pergamena stretta in un pugno, che rappresentava, appunto, l’arte e la cultura, stretta nel pugno di coloro che la possedevano, e che possedevano anche il potere.

Sebbene la vita fosse dura per i poveracci di livello inferiore, e potessero mangiare solo di scarti, e prendere parte a progetti minori e di poca importanza oramai, l’ambiente del livello 4 e della Leader Suprema era davvero di lusso: godevano di ogni bene, comfort, una via di appartamenti costruiti sotto le tende, gallerie e gallerie di negozi, supermercati, autostrade, e si organizzavano spettacoli basati sulla letteratura, recite dove veniva sfruttati anche i bambini, provenienti dai regni adiacenti di Berlino. Era una vera pacchia per quelli di Livello 4. E non potevano non mangiare bene, si abbuffavano come animali, ma lo facevano con garbo, eleganza e con un atteggiamento d’élite. La loro pietanza preferita era la pizza, anche se, a detta di alcune guardie che frequentavano le masse inferiori, ai loro piani del palazzo la pizza era, forse, più buona, così si diceva, era diventata una leggenda metropolitana che la pizza fosse più ‘autentica’ nella bassa vita, ma in fondo, cosa ne sapevano loro, pensò Fiorenza, la pizza non era un cibo di quel luogo, era stata importata da molto lontano.

Ma i dubbi continuavano a celarsi fra quelle cerchie elitarie, l’idea che non tutti fossero degni di quella vita o leali alla Suprema Leader, l’ascesa al potere e le differenze di classe non accennavano a fermarsi.

Eppure, la vita sotto le tende dei piani 3 e 4 (utenti con 4 stelle, ricordiamo), era ottima, la gente si divertiva persino a spiare dalle telecamere le basse abitudini delle persone inferiori, sempre attraverso i teleschermi, e cercavano di comprendere la loro futile esistenza.

Fiorenza si compiacque di ciò che aveva creato, aveva riportato l’armonia, la pace e l’ordine in quella scuola, aveva creato una vita disegnata a pennello da poter condividere con le sue amiche di Serie A, con quei teneri bambini e con il suo giullare Michael, che la faceva tanto ridere, tanto da farle fare versi che non ci saremmo mai aspettati da una persona del suo rango. Si diede un bel 10 e lode per quell’Impero che aveva costruito per sé stessa, insomma.

Ben presto però, ne rimasero davvero pochi di amiche di Serie A, molti furono cacciati per accusa di alto tradimento all’Autorità, accusa mai verificata per mancanza di prove sufficienti, e la loro colpevolezza rimase avvolta da un alone di mistero. Le strade, così, dei piani superiori si svuotarono, e rimase un grande vuoto e una grande solitudine.

 Le ribellioni divennero sempre più difficili da sedare.

Un giorno, alla corte di Fiorenza, fu accusata di tradimento una ex studentessa, Sardina, diventata guerriera e membro onorario della Resistenza.

“Bene, cara. Questa volta ci sono le prove, ammettilo, ammetti di fare parte di quell’insulsa marmaglia chiamata Resistenza.”

La guerriera rimase in silenzio. Nicole, Caterina e le altre amiche iniziarono a mormorare.

Sardina iniziò a difendersi, riferendo alla sovrana di volere “Un processo per singolar tenzone”

La Leader Suprema subito comprese la faccenda, questa cosa non era mai avvenuta prima d’ora, la guerriera disse di voler combattere contro di lei, e Fiorenza divenne rossa in volto, dalla collera, i suoi capelli presero fuoco come quelli di Ade. Non poteva certo permettere che la sua vita fosse messa a repentaglio, altrimenti chi avrebbe garantito l’equilibrio in quella struttura? No… qualcun altro doveva pensarci, quindi elesse il suo fido cagnolino e giullare come guerriero del processo: Michael!

La sfida era abbastanza equa, avevano 10 minuti per combattere, altrimenti sarebbero stati ghigliottinati entrambi, e ognuno aveva la propria arma: Sardina aveva impugno la sua spada metallica, chiamata “Fata”, mentre il giullare Michael, cantastorie, possedeva soltanto uno scettro per bambini.

La sfida non fu presa sul serio da nessuno, molti la videro come uno degli spettacoli del giorno, stavolta un po’ più sanguinosi per attirare le poche persone rimaste e far rialzare il livello di intrattenimento.

Stranamente, Sardina si trovò in difficoltà, fu rivelato che Michael era un bravo combattente, e la aggredì come un vero animale, provocando una sferzata di pugni e calci verso la faccia, le sue battute pungevano più della spada.

“Ce la puoi fare, caro!” La incitò la Leader Suprema, sua padrona indiscussa.

Michael cambiò tattica e decise di addentare Fata, la spada di Sardina, maciullandola pezzo per pezzo, fino a che non fu resa inutile da utilizzare. Ma Sardina fu abile nello sfilare al giullare il suo piccolo scettro-giocattolo, una specie di lancia, e con un colpo da maestro che nessuno si aspettò, salvò la vita a entrambi i duellanti.

Infatti, colpì Fiorenza, lanciandole lo scettro come una saetta, con una mossa da maestro, la fece volare fino a conficcarla nel muro della sala. Fiorenza rimase con gli occhi spalancati a quella mossa, letteralmente, ed impalata alla parete, mentre il sangue schizzava da ogni parte.

In questo modo tutti furono vivi e più felici, venne proclamata la Vera Repubblica, il corpo della ex Leader rimase lì dove era stato impalato, come simbolo della tirannia e trionfo della libertà. E, sebbene, ci fossero meno regole nell’Accademia delle Arti Nuove in quella nuova era, ci furono anche meno restrizioni e meno differenze, un po’ come era partito all’inizio il progetto di Fiorenza, possiamo dire che l’idea in sé non era malvagia, aveva semplicemente preso una piega inaspettata e sgradita dopo il suo abuso di potere. Ma, come sappiamo, la storia tende a ripetersi, quindi possiamo solo presumere che gli eventi dell’Impero di Fiorenza si sarebbero ripetuti in futuro, purtroppo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** CALU' ***


CALU’
 
Il mondo di cui parleremo in questo episodio è sempre la Terra, ma come non l’avete mai vista: infatti nel 2118 il nostro pianeta fu invaso dalle nuove specie di animali, le quali, più intelligenti e sviluppate degli esseri umani, presero il controllo e spodestarono dal potere questi ultimi, proclamando la Terra di loro proprietà. Non ci furono grandi cambiamenti oltre a questo, il mondo, dominato da animali antropomorfi oramai, appariva invariato, un’altra differenza che possiamo aggiungere fu (o sarà, visto che siamo proiettati nel futuro) che i vizi furono molto più evidenti rispetto al mondo umano.
Una sera, nelle scorribande e gli inseguimenti in ex territorio umano, si fecero strada delle creature particolari, una di queste era il protagonista della storia, Calù, chiamato anche Calùroso dai suoi amici, per il suo grande spirito di accoglienza, infatti egli era un bravo padrone di casa, ma di recente fu sfrattato per eccessiva baldoria, fu minacciato di essere ucciso dai suoi vicini, e quindi era in cerca di un nuovo alloggio.
In quel momento tutto ciò che trovò nei vicoli della città fu un magazzino abbandonato, un vecchio deposito ora pieno di sporcizia, ma Calù – cosa che non abbiamo ancora riferito – era una iena ridens e ci sguazzava in quel tipo di ambiente. Sistemò un po’ di oggetti, buttò nel cestino cianfrusaglie appartenenti ai vecchi proprietari, senza curarsi del fatto che sarebbero potuti venire a reclamarli, allestì la sua nuova casa e soprattutto, al centro della stanza, posizionò il suo oggetto più prezioso: la televisione.
Come mai proprio quella? Calù era un amante del trash televisivo, adorava guardare e commentare i programmi più bizzarri sui Social Network, postando reazioni e gif (immagini con didascalia o animazioni) molto simpatiche e divertenti. Terribile cuoco, non poteva fare altro che nutrirsi di sporcizia mentre vedeva la tv. Era uno spasso uscire con quella iena, anche perché aveva una risata contagiosa, non smetteva mai di ridere tanto che spesso si affogava durante il processo, i suoi amici dovevano prenderlo a bastonate sulle spalle per salvargli la vita.
Come abbiamo appena accennato, Calù era pieno di amici, ma adorava uscire soprattutto con una gatta della antica nobiltà di nome Caterina, una vera aristogatta. I due, insieme, facevano le esperienze che meno preferivano, con la speranza di trovare “l’animale gemello” con cui accoppiarsi.
Nel mini-episodio che trattiamo qui i due si cimentarono in una delle tante attività più popolari, in questo caso la meno peggio per Calù: i balli latino-americani.
Caterina e Calù si muovevano insieme in balli di coppia, sebbene una coppia non fossero, ma lo facevano per non restare soli come dei cani, non volevano essere dei cani, erano fieri della loro razza. Caterina era di una vera nobiltà d’animo e di aspetto, elegante e aggraziata, aveva molti “pretendenti”. Calù invece non era visto di buon occhio, purtroppo, non perché fosse proprio una iena, era un animale come un altro nel parere di molti, ma per il fatto che non teneva mai la bocca chiusa, parlava e sparlava di tutti, si portava dietro un tanfo esagerato (viveva nell’immondizia!), e rideva a crepapelle, cosa che poteva piacere all’inizio ma alla lunga stancava ai possibili pretendenti.
Durante l’arco di questa breve spiegazione ebbe luogo il ballo tra Calù e Caterina, subito dopo ci fu un cambio di coppie, entrambi trovarono immediatamente un nuovo partner, nel ballo era facile, nella vita un po’ meno.
La giovane iena trovò un bravo ragazzo come partner, un cagnolino dalla faccia buffa, e mentre si muovevano in passi al ritmo del merengue, facevano conversazione e cercavano di conoscersi, per quanto fosse possibile, vista la breve durata della canzone.
“Ciao, io sono Calù, come puoi vedere sono una inea, HAHAHAHAHA”
Il cane rimase in silenzio, era un poco timido.
“Io sono… Lino. Ecco.”
“Ah, ho capito” Ci fu un attimo di freddezza tra i due, cosa che non poteva mai accadere nel ballo, capirono che non avrebbero potuto legare, e poi, anche se non lo disse, Calù odiava la razza canina, come abbiamo accennato prima.
“Di cosa ti occupi nella vita?” Chiese Calù, la musica era a tutto volume e non si capiva niente.
“DI COSA TI OCCUPI NELLA VITA?” Ripeté.
“Io sono un primario dell’Ospedale” Disse con il suo muso.
Calù storse il naso, come poteva avere questo tizio un lavoro così da pezzente? Beh, non per niente era un cane, pensò.
No… no no no no, non sarebbe mai potuto essere il suo pretendente.
“That is so out of the question… E’ un bel lavoro devo dire, get the fuck out of here, hahaha, complimenti!”
Calù era molto furbo, esperto poliglotta, usava le altre lingue come arma per ferire gli altri, per coprire le sue vere parole, mascherarle e non farsi comprendere, un po’ come faceva Don Abbondio, il prete del classico I Promessi Sposi. Decise poi di troncare definitivamente la conversazione:
“Scusa, niente di personale, è che io me la faccio solo con la nobiltà, e con i presidenti degli Stati Maggiori. Ci vediamo! (Ma anche no)” E si allontanò anche prima che finisse la canzone.
Le danze ripresero e Calù non perse tempo a tornare in pista, stavolta se la dovette vedere con un personaggio mascherato.
“Hola, chico. Sono Zorro, ma puoi chiamarmi Z!”
Calù fece semplicemente un gesto con la manina in forma di saluto, e scodinzolò la coda.
“Oh mamma, gli animali in maschera sono la mia seconda fantasia erotica preferita, hihi, e la lista è lunga!” Voleva dirlo solo nella sua mente ma la frase gli uscì fuori naturalmente, Z sentì ogni cosa ma non si turbò molto, anche lui era un tipo strano dopotutto, quindi non lo preoccupavano i desideri e le grandi lussurie di Calù.
“Madre de Dios, allora abbiamo fatto centro!” Disse l’animale con il cappello e il mascherino, “Mi puoi ripetere il resto della lista, por favor?”
“Pffft. Quante cose vuoi sapere, chi ti ha dato tutta questa confidenza, poi? Hasta la vista, caballero!”. E troncò anche questo breve incontro, peccato, ora avrebbe anche potuto togliere le persone in maschera dalla lista.
Dopo ore di balli e di aspiranti fidanzati cercati senza alcun successo, Caterina e il suo amico si presero dei drink e si sedettero su uno dei divanetti.
“No vabbè, ha detto di essere un primario, che cosa pacchiana! E’ molto naff, e a me piace il TRASH, c’è una grossa differenza”
“Ma infatti non ho commentato” Prevenne Caterina, per non causare liti e imbarazzo.
“Lo so, HAHAHAHAHAHA” Scoppiò così in una grossa ridacchiata.
“Poi ce n’è stato un altro che puliva i cessi, no vabbè, a quel punto volevo suicidarmi, sembra di essere come dentro a uno di quei Reality Show, che io ADOROOOOO, hihihihi” Continuò.
Caterina “Cat” rideva assieme a lui, più che altro perché, come è stato detto, aveva la risata contagiosa, ma anche perché condivideva quel suo modo di rifiutare gli altri e faceva la preziosa, ma di questo parleremo in un altro capitolo, con un’altra ambientazione.
Decisero, così, di provare un altro locale, il Kara-Crazy, dove – potete immaginarlo – si cantava con il Karaoke, e lì era consentito ogni genere di cose, le più pazze, appunto, ed erano ammesse molte abitudini erotiche, giusto per divertimento.
In questo club sfizioso, soprattutto per utilizzo di Calù e non tanto per Cat, la gente si stendeva sui tavoli, molti si mettevano l’uno sopra all’altro, come ammassati, assaggiavano pietanze in modi che non sono neanche consentiti da descrivere, quindi passiamo oltre.
Per tutto ciò che vedeva, Caterina ebbe il disgusto e vomitò un po’ (parecchio a dire il vero), ma faceva comunque il tifo per Calù, il quale, non trovando un posto per sé, volle fare lo showman e diede inizio allo spettacolo:
“Salve a tutti, oggi non ballerò, non più, né parlerò, perché i monologhi sono COSI’ NOIOSI e io parlo già troppo, quindi canterò per voi, ma canterò davvero, non come fa certa gente che dice che canterà e poi si sta zitta”
“Canterò una canzone che non è proprio il mio stile ma vi piacerà: Somewhere Over the Rainbow!”
E la cantò tutta d’un fiato, riscuotendo un clamoroso successo tra il pubblico che scoppiò in un fragoroso applauso, gli lanciarono rose, gli lanciarono spine, e quant’altro.
Stava andando alla grande, poi la sua natura Trash decise di portarlo su di un’altra rotaia, quindi cantò:
Faciteve ‘na limunata di Jenny “The Best” Esposito, in seguito un altro pezzo di Pamela “la Suora”, che faceva Squagliati nel Cioccolato caldo sotto il mio velo.
Tutto questo non fu accolto bene dal pubblico del club, questa volta tutto ciò che lanciarono furono pomodori, e avevano tutti una gran mira perché presero Calù in faccia, e furono seguiti da fischi e da cioccolato scadente, per riprendere il tema dell’ultima canzone.
Dopo la figuraccia, Calù non poté fare altro che scappare in lacrime, persino Cat lo aveva abbandonato dopo quella pessima scelta di canzoni.
Aveva, quindi, deciso di lasciare la città, nonostante avesse appena trovato un nuovo alloggio lì, non poteva mica restare nel luogo in cui si era fatto notare ed aveva fatto conoscere quelle terribili canzoni? (Eccetto la prima, ovviamente).
La iena prese tutte le sue cose e le avvolse in un fagotto, che portò dietro le spalle, aspettò alla fermata dell’Autobus e prese il primo che arrivò, giusto per fuggire il prima possibile.
Ma, ahimè, prese il mezzo sbagliato, infatti quello non era un Autobus ma un camion dell’immondizia, guidato dalla grande lavoratrice Lisanna, questo lo condusse in poco tempo alla discarica.
Solo dopo Calù si accorse di essere l’unico passeggero, in quanto, era ancora distratto dal pensiero della pessima performance della serata e, in più, aveva tutto intorno il trash, quindi, non pensandoci, si era avviato nel luogo che più adorava.
Infatti, una volta giunto alla discarica, tutto il materiale preferito di Calù fu rovesciato insieme a lui in una ancora più grande montagna di rifiuti, tra cui c’erano anche scorie e rifiuti tossici.
Come avevamo accennato a inizio capitolo, Calù ci sguazzava in questo ambiente, perciò, sebbene volesse scappare dalla città, fu più che contento di trovarsi in quel posto, stava letteralmente nuotando nel Trash come Zio Paperone nuotava nella sua piscina di denaro.
Dopo un periodo di euforia, si accorse di essersi distratto ancora una volta: tutto l’ammasso di rifiuti e scorie si stava dirigendo verso il “mattatoio”, cioè verso lo smaltitore. Non solo quella valle era tutta in discesa, ma i rifiuti e Calù venivano spinti da vari compattatori dorati chiamati “Cat”, già, proprio come la sua migliore amica che lo aveva tradito.
Allora Calù iniziò a spaventarsi, cercò di nuotare di nuovo in superficie senza successo, stava ammassandosi tutto e stava crollando nello smaltitore, ormai a pochi metri di distanza. L’atmosfera si stava infuocando, e la iena, allora, iniziò a prendere per mano tutti i rifiuti più carini attorno a lui, formando un cerchio perfetto, e disse le sue preghiere, sperando nell’ultimo miracolo:

“Ti prometto che non amerò mai più il Trash, ti prometto che non canterò più quelle canzoni che già rinnego, ti prometto che non sparlerò della gente e mi accontenterò, e ti prometto che non commenterò più i programmi tv con quell’accento così sguaiato che ho, CAMBIERO’, PLEASE”
Dall’alto arrivò una luce, come una mano che stava per prendere qualcosa, un’ombra eclissò la luce, divenne sempre più grande, significava che qualcosa era in avvicinamento, Calù gridò:
“L’ARTIGLIO!”
La mano gigante e affilata era scesa in terra per afferrare qualcosa, proprio vicino al ragazzo-iena, ma cosa?
Era guidata dalla factotum della discarica Lisanna, presente ancora una volta nel racconto, e come possiamo immaginarci dalla morale dell’episodio, raccolse la cosa più preziosa e ancora funzionante presente in quel mare di oggetti: una Televisione ancora intatta! La salvezza del mondo, una TV.
Calù si rassegnò, ma fu d’accordo con la scelta di Lisanna, l’importante era che la Televisione si sarebbe salvata da quel destino crudele, quindi almeno ci fu un lieto fine in questa vicenda di perdizione. Eventualmente egli incontrò il suo destino nella bocca gigantesca, ma il suo dolore fu alleviato senz'altro.
E raccontiamo, inoltre, che ci fu un lieto fine anche per il cavaliere in maschera, Z (in quanto tutti tifavamo per lui), il quale cavalcava per la città nella notte, fiero, assieme a uno straniero.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** GENOVEFFA ***


GENOVEFFA

 

Questa storia parla di Genoveffa, una ex Amazzone ritiratasi nella penisola Italiana dopo un lungo periodo di battaglie.

Dopo l’affondamento della sua isola natale, l’isola Potatoes dove abitavano le Amazzoni, ella dovette abituarsi ad una vita pacifica all’interno della società italiana, ma dal profondo del suo cuore emergeva il desiderio di continuare a combattere.

Genoveffa dovette trovarsi un lavoro noioso che non stiamo a descrivere proprio per il suo essere anonimo e pesante, ma grazie alla potente arma di Internet, continuò a combattere sui blog e a difendere i suoi ideali, a parlare di cioè che le piaceva e ad attaccare gli altri, soprattutto il genere maschile, da generazioni considerato nemico delle Amazzoni e razza inferiore e ostile. A ogni provocazione, la donna quarantenne ruggiva e metteva a posto i suoi avversari proveniente da chissà dove attraverso il mondo virtuale.

Proprio tramite internet, Genoveffa riuscì ad adattarsi alla vita comune, intrattenendosi grazie all’aiuto di film e serie tv, e come ogni vera passione, divenne una cosa seria e personale; ella iniziò anche a viaggiare per esplorare il mondo, si trattava di una bella esperienza, ma alla fine dedita principalmente all’incontro dei suoi beniamini: gli attori. E fu proprio ad una di queste convention che incontrò di persona Gina Gavin, una bellissima e famosa attrice per metà ispanica e per metà siciliana, la sua preferita per i film importanti in cui aveva recitato e le varie soap opera latine. Così, ogni convention divenne presto un pretesto per vederla di nuovo, e di nuovo, mentre aveva una certa ostilità verso gli attori maschi, essendo lei abituata a vivere in un mondo di sole donne. Le convention iniziavano ad aumentare e con esse le spese, ma per Genoveffa non era un problema: le bastava tirare fuori montagne di soldi dal suo prezioso panariello magico (un cestino che aveva portato con sé dall’isola Potatoes).

Presto arrivò una succosa occasione: un grande concorso per avere una piccola parte proprio nella nuova serie tv con protagonista Gina Gavin. E provate a indovinare chi lo vinse? Esatto, Genoveffa! Era riuscita a farsi strada nella competizione eliminando e uccidendo tutti gli avversari come era solita fare, rimase così l’unica in gara, e vinse per esclusione.

I produttori le firmarono un contratto da guest star ricorrente, per un mucchio di episodi, e le venne consegnato proprio da Gina, come premio:
“Siamo felici di averti nel MIO nuovo show! Benvenuta, Genoveffa!”

“Grazie, posso chiamarti Gina? E tu puoi chiamarmi G. se ti va, il mio nome è un po’ (parecchio) brutto.”

“Certo, ormai siamo colleghe” disse sorridendo.

Genoveffa tornò un’ultima volta nel paese dove risiedeva, si licenziò così dal suo lavoro anonimo e salutò le sue amiche più strette, Virginia e Big Mama.

“Che invidia? Ma come hai fatto a vincere?” Chiese la prima.

“Ah beh, ero l’unica partecipante a quanto pare…”

Virginia e Big Mama si scambiarono un’occhiata tra di loro.

“D’accordo, ci vediamo in televisione allora!”  E così si salutarono G. e Virginia, abbracciandosi. Genoveffa si rivolse quindi verso Big Mama.

“Oooh, mancherai tanto a Big Mama, stai attenta!”

“Non preoccuparti, ritornerò, più potente e fiera di prima” Esclamò G. ponendo il pollice sul petto.

“Noooo, tu non sai quello che fai, stai giocando con forze più grandi di te!” La mise in guardia la donna.

“Ma va. Perché scusa?” Disse senza pensarci troppo.

“Lo showbusiness è una cosa mostruosa, a real calamity, be careful!! Potresti finire schiacciata dalle tue stesse passioni. Adesso anche Big Mama deve andare, deve tornare dalla sua Big Family! Statt’accort!”

“Grazie Big Mama, mi rassicuri sempre” Si scambiarono i saluti, Genoveffa raccolse le sue valigie e fece per andarsene.

 

…Alcuni lunghi viaggi in aereo più tardi…

 

G. era finalmente arrivata nello strano e imponente mondo dello spettacolo, dove figure ignote la aspettavano. Chissà come sarebbe andata? Era questo che si domandava, cercava un posto nel mondo dopo l’avventura conclusa con le Amazzoni, cercava di nuovo se stessa, forse era questo lo scopo dei suoi viaggi.

Si recò nella città dove avrebbero girato lo sceneggiato, Creepyston, un luogo lugubre e maledetto, dimenticato da tutti e completamente isolato dal mondo esterno, era come una realtà a sé. La troupe e gli attori sul set la accolsero in quanto vincitrice del concorso, tra cui il regista, Ralph, un uomo molto pignolo, attento e scrupoloso nel suo lavoro.

“Sei arrivata in ritardo, chiunque tu sia” Disse in tono rigido.

“Sono… la vincitrice del concorso, non lo sa?”

“Certo che lo so, ho studiato i profili di tutti gli attori, e, a dire il vero, non ero molto propenso a far recitare una principiante nella MIA serie! Ma vabbè, non importa, benvenuta comunque” Le disse facendo un sorriso forzato. Genoveffa lo guardò altrettanto storto e passò oltre, pensò che quell’essere inferiore era comunque importante nella realtà del programma per essere ucciso, quindi si limitò a snobbarlo.

Entrò in un furgoncino, capì che sarebbe stata la sua casa per un po’, sullo sportello era affisso un foglio con il suo nome e cognome, e dentro c’era anche il camerino, dove si sarebbe preparata per la parte e avrebbe studiato i copioni.

Gina entrò e le fece avere il copione del primo episodio, in cui sarebbe apparso quasi tutto il cast.

“Ma non dovrebbe essere il lavoro del regista, questo? Non che non mi faccia piacere averti qui al posto suo…” Chiese l’aspirante attrice.

“Ehm, lui… è impegnato, dai, sarà un’occasione per stare un po’ insieme, per te va bene?”

“Non ho nulla in contrario”

“Ottimo” Riprese passandosi una mano sui capelli neri a caschetto, e le diede un’occhiata molto dolce, “Ti spiego in pratica le basi dello show: si chiamerà ‘La mia vita da favola’, parla di una principessa che ha questa vita bellissima in un regno incantato, ma deve scendere a patti con la terribile strega del bosco adiacente al regno, in pratica sono una specie di coinquiline, se vogliamo metterla così.”

“E tu quindi fai la principessa, vero?” Chiese G.

Gina fece una delle sue smorfie: “Macché, il ruolo della principessa viziata e so-fare-tutto-io lo interpreta quella fastidiosa, presuntuosa e prima donna che è Anna Pierson, come potrai capire non ci sopportiamo tanto, purtroppo devo condividere il programma con lei, siamo un po’ coinquiline come nella finzione scenica, anche se è il MIO show, infatti io interpreto la strega, ma meglio così a dire la verità, adoro il ruolo, molto meglio della principessa.”

“Infatti anche io preferisco i cattivi, i buoni sono degli idioti”

Gina concordò: “E’ infatti per questo che non ho voluto il ruolo della principessa, è una debole, sono io la vera protagonista, praticamente sono una strega che una volta tutti temevano, ma ora sono caduta in disgrazia e sono diventata mezza alcolizzata, nessuno mi prende più sul serio e devo riconquistare la mia fama di malvagia, il popolo mi deve temere ancora una volta”

“Sembra fantastico” Disse Genoveffa, gli occhi che le brillavano. Continuò: “E il mio ruolo? Mica sono la sorellastra brutta e grassa?”

“Ti spiego: interagiremo molto noi due: sarai la mia fata madrina, una tipa all’apparenza buona ma che nasconde un suo lato losco, sarai una spia per conto mio e ti farai strada nel regno della principessa fingendo di essere sua amica. Che ne pensi?”

“Già lo adoro” Disse urlando come una fangirl, cercò di trattenere l’entusiasmo, ma nella sua mente già ballava dalla gioia, per l’idea del ruolo e che avrebbe avuto molte scene con Gina, mentre le incuriosiva l’idea di avere a che fare anche con la protagonista, non conosceva Anna Pierson, ma poteva mai essere spietata come l’aveva descritta Gina?

“Parlando del diavolo…” Fece l’attrice che avrebbe interpretato la strega, quando vide entrare nel camerino Anna, donna bionda e dura come la pietra:

“Ah, stavate parlando di me? Giustamente, non puoi evitare di parlare della protagonista se si parla del MIO show.”

Gina e Genoveffa si scambiarono un’altra occhiata, che confermava un po’ l’identikit fatta dalla prima riguardo l’altra attrice.

“Già mi sta sulle palle” Pensò G.

I battibecchi continuavano: “Rileggi il copione, sono io la protagonista della serie” fece Gina, appoggiata dall’amica.

“Infatti si chiama ‘La mia vita da favola’ proprio come la vita della tua strega, Sabrina!” Disse la bionda rilanciando la palla.

“Almeno lei ha un bel personaggio, e sarà fantastico grazie alle sue doti recitative, al contrario della tua principessa Cheryl” Prese le difese Genoveffa, ruggendo contro di lei.

Anna si trovò in minoranza numerica, dovette quindi ritirarsi dallo scontro.

Fu solo la prima di diverse discussioni. Essendo Genoveffa una principiante, Gina decise di aiutarla e le diede, così, qualche lezione di recitazione. Le insegnò tutto quello che c’era da sapere sul mestiere, alcuni dei suoi segreti e trucchi.

“Liberati da ogni pensiero, sei una fata oscura, sei fiera come la mia Sabrina, lasciati andare al ruolo, libera il tuo viso dalle barriere e rilascia le tue espressioni” Le spiegò in modo professionale.

Genoveffa era molto colpita dalla sua tecnica, e come in ogni progetto che venga condiviso, nacque qualcosa, la loro intesa divenne sempre più forte. La donna dai capelli rossi cercava di frenare le sue emozioni, era chiaro lontano un miglio che provava qualcosa per l’attrice latina, era abituata ad avere rapporti con le altre colleghe amazzoni ma questa era una cosa diversa, un’esperienza che non faceva da molto tempo, da quando aveva iniziato a vivere nella società.

Iniziarono le riprese, ed ebbero occasione di stare un po’ di tempo anche con il regista, lui subito si accorse della loro chimica, e ne rimase un po’ spaventato, aveva altri piani per la serie, che sveleremo in seguito. Ralph riponeva grandi speranze in Gina, ma non vedeva di buon occhio Genoveffa, per lui un’intrusa prelevata da un contest la cui idea egli aveva sempre rifiutato; dovette comunque adattarsi e far continuare a recitare Genoveffa insieme a Gina.

Intanto, per Genoveffa questo era un sogno che si avverava, recitare con la sua attrice preferita in un programma che sembrava molto promettente. E nel frattempo, iniziava a vedere la sua collega dai capelli neri con occhi diversi, ma non era ancora chiaro cosa pensasse Gina di lei, in fondo era un’attrice, sapeva avere espressioni molto criptiche e nascondere le sue vere emozioni.

 

Stavano girando la prima puntata, era un lavoro parecchio tosto e il regista non lo rendeva più semplice, stavano infatti ripetendo la stessa scena moltissime volte, in particolare c’era un problema con la recitazione di Genoveffa:
“Scena 8, Ciak 15 – si gira!”

Si trovavano nella stanza verde, un posto dove costruire le scene in grafica computerizzata, in questo caso l’immaginazione avrebbe guidato le attrici all’interno del bosco e dell’antro della strega, la quale guardava gli eroi che si godevano il loro lieto fine attraverso uno specchio:

“Non posso crederci, no! Com’è possibile che quei perdenti stiano celebrando dopo che ho acquisito il cristallo malefico, il più potente oggetto di tutti i reami, non rideranno più, non scherzeranno più… dopo che lo avrò usato su di loro!” La bravura di Gina era a dir poco eccezionale, riusciva bene a dare l’impressione della strega Sabrina.

Il cristallo cadde a terra improvvisamente, e si spezzò in mille frammenti di vetro.

“AH!” La strega ci rimase male “Dev’essere la maledizione che mi ha mandato quella viziata di Cheryl l’ultima volta che ci siamo viste” Il personaggio si sedette sul suo piccolo trono in rovina:
“Uh, ora capisco perché nessuno mi teme più, sono diventata lo zimbello di tutto il regno, cosa altro posso fare? Senz’altro riverserò i miei dispiaceri nell’alcool…” E iniziò a prendere in mano la bottiglia, contenente in realtà acqua minerale.

La grassottella Genoveffa entrò in scena, con un abito da fata oscura tutto viola e appesa a dei fili come un burattino, per realizzare l’effetto del volo a computer, i fili reggevano il suo peso a malapena, e non riusciva molto a muoversi, piuttosto era guidata nei movimenti dalla troupe.

“Che ci fai ancora qui?” Disse con voce poco credibile “Togli via quella bottiglia che non ti reggi in piedi, guarda cosa sei diventata, una Grimilde ammansita” Replicò G. con delle smorfie al posto delle espressioni facciali.

“Sei qui per insultarmi o cosa?” Fece la strega, la fronte corrugata.

“Quello che dico… rimettiti in sesto, datti una lavata (anche di testa) e torna all’attacco!”

“Non posso farcela, tutti i miei piani sono andati in fumo, ho perso anche quel cristallo con una mossa goffa” Rispose con la mano poggiata sul volto, come segno di noia.

“Allora qual è il problema? Io che ci sto a fare qua. Ti darò una mano, mi infiltrerò nel regno in qualità di Fata Superiora, così ti riferirò le loro mosse e potrai prevedere i loro piani, sarai dieci avanti agli altri!”

Il sorriso malvagio tornò sul volto di Sabrina-Gina, si alzò dal trono e iniziò a girare per la sala, con fare maestoso recitò una sorta di discorso malvagio ispirato da un film Disney.

“Mah, buona!” Urlò il regista dopo 15 tentativi, ma comunque insoddisfatto dal lavoro della rossa. “Non mi piace la ‘recitazione’ di quella cagna…” proferì sottovoce.

Ma le due attrici furono semplicemente sorprese della buona riuscita della scena e stapparono una vera bottiglia di champagne, alzarono un po’ il gomito, e quindi si ritirarono nelle loro stanze, felici del lavoro realizzato; si buttarono sul letto dell’attrice latina e ci diedero dentro con il fuoco ispanico della prima, ma anche la seconda mostrò il suo lato da Amazzone all’altra, rivelando doti celate da lungo tempo.

Intanto, Anna Pierson stava chiudendo baracca e burattini, irrigidita dalla situazione delle riprese, e invidiosa del successo della collega, stava per mollare il progetto da un momento all’altro.

Ralph il regista le stava dietro, nervoso, supplicandola di restare.

“Non posso, Ralph, non mi piace la piega che sta prendendo questo programma, Gina me lo ha rubato, e adesso è arrivata anche quell’altra zantraglia a darle corda, non ce la faccio più. Mi devi perdonare, ma devo trovare un altro progetto.” Disse riprovata.

“Ti prego, resta, ti raddoppierò la paga, ti darò anche il doppio delle scene della Gavin”

“E allora perché fin ora ce le ha lei tutte le scene?”

“Ma è l’antagonista, e bisogna ammettere che è un bel personaggio…”

“Allora prendi gli sceneggiatori e migliora il mio di personaggio!” Lo incitò la bionda.

Il regista la convinse, quindi, a restare, dicendo che sarebbe stata la svolta della sua carriera, che in realtà Gina aveva detto delle belle cose sul suo conto e potevano risolvere il loro conflitto, anzi, che le loro scintille sarebbero state la forza del programma, questo fece riflettere Anna e si convinse ad entrare nella roulotte della latina per porle le sue scuse.

Proprio in quel momento, Genoveffa e Gina avevano appena finito di deliziarsi tra di loro, ed erano ancora euforiche per la sera prima, un po’ rintontite per quanto avevano bevuto.

Anna entrò senza bussare e le trovò ancora a letto:
“Ero entrata per scusarmi, ma non credevo di dovermi scusare per questo, non volevo interrompere…”

Gina le tirò una bottiglia di champagne addosso, ma la bionda fu pronta a scansarsi.

“Sei venuta a disturbarmi ancora una volta? Penso che siamo d’accordo che già disturbi abbastanza la mia vita” Fece Gina.

“Io penso…” Intervenne Genoveffa, ma fu interrotta da Anna.

“Stavo per lasciare il programma” Disse tutta d’un fiato. La confessione scioccò Gina, l’altra rimase un po’ indifferente.

“Ma quindi…” Genoveffa fu interrotta di nuovo, stavolta da Gina: “Non puoi farlo, tu sei lo show”

Le altre due donne restarono entrambe esterrefatte, ma per motivi diversi.

“???” Genoveffa non aveva capito bene, era ancora stonata per l’alcool, pensò che non aveva sentito bene, non era possibile che Gina avesse detto una cosa del genere.

“Come puoi dirlo? Tu mi odi, pensi che ti ho rubato il programma, anche se Ralph mi ha detto…”

“Che ti stimo? E’ vero” Finì la frase la mora.

“Devi scusarmi se mi sono comportata male con te” riprese la bionda “Non sono bella e divertente come lo sei tu, sono molto introversa e rigida purtroppo” disse con la sua espressione da camionista.

Gina si alzò dal letto e si avvicinò alla collega, toccandole il viso.

“Io…” Intervenne Genoveffa, sentendosi un po’ di troppo, stavolta però le parole le si bloccarono in gola e non riuscì a parlare anche senza essere interrotta.

Le due attrici non la pensarono proprio e iniziarono a prendersi per mano, avvicinarono i volti e si baciarono appassionatamente, intrecciando le loro lingue e i loro capelli come se si fossero trovate in una scena del film Avatar.

“Ma io che ci faccio qui?” Si intromise G. “Sei una stronza, però, prima mi porti a letto e poi subito te la fai con la prima che arriva” ringhiò contro la latina.

“Pffft. Pensavi davvero che ci fosse qualcosa tra noi due? Non avrebbe mai potuto funzionare. Ricordati che sono una strega” Disse ridacchiando e facendole l’occhiolino, per prenderla in giro.

Genoveffa la mandò a quel paese, ma se la prese soprattutto con la bionda, la quale intervenne subito:
“La verità è che io e Gina abbiamo già amoreggiato tempo fa” Disse imbarazzata “Poi il mondo dello showbusiness ci ha messe l’una contro l’altra, io ti ho sempre amata” Confessò Anna alla mora.

“No!” Genoveffa non poteva accettare tutto questo drama, aveva vissuto una bella serata con il suo idolo e non poteva essere tutto rovinato da quella sciacquetta da quattro soldi “Questo è il mio racconto!” Disse provocandole.

Prese allora la sua vecchia spada da Amazzone, scoprendola dall’hammer space (Nota: cioè dal nulla come in ogni opera di finzione), e attaccò la bionda, interrompendo quella scena d’amore nella quale lei si trovava in mezzo.

Ma Gina la colse di sorpresa, colpendola con un’altra bottiglia in testa, sembrava essere la sua arma preferita, stendendo la rossa a terra. Finì in tragedia per Genoveffa, trafitta nello stomaco dalla sua spada e dalla sua stessa amante, e in seguito le fu aperto il coperto ed estratti tutti gli organi, in ultimo il cuore; le due donne si cibarono delle parti interne dell’ex Amazzone per festeggiare il trionfo del vero amore.

“La fata losca è stata sconfitta, il nostro lieto fine è messo al sicuro”

“Si ma adesso come facciamo con lo show senza la fata?”

“Troveremo un’altra attrice, qual è il problema?” E ci risero sopra. Eventualmente la loro chimica straordinaria portò la serie tv al successo per svariate stagioni.

Fu un lieto fine per tutti tranne che per Genoveffa, povera vittima che credeva di essere al centro della storia, ma che fu letteralmente divorata dal mondo dello spettacolo, come era stato profetizzato mesi prima dalla sua amica.

 

 

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Capitolo 7
*** LINO ***


LINO

 

Anche il prossimo personaggio ha il suo capitolo, forse credeva che sarebbe riuscito a sfuggire al suo destino, ebbene no… non si sfugge al dio Karma.

La creatura di cui parliamo in questa storia nasce in un campo di fiori accanto a un lago profondo, venne alla luce un giorno sbocciando dal fiore Narciso. Un bambino all’apparenza normale, crebbe in un batter d’occhio in un uomo. Dal punto di vista estetico, nulla da ridire, non c’erano difetti, forse fu proprio questo il motivo per cui affiorarono nella sua personalità varie pecche.

Lino divenne un uomo abbastanza soddisfatto della sua vita, tranquilla, e avvolta nel mistero. Aveva una sfilza di donne ai suoi piedi, le quali si chiedevano perché lui non le dedicasse tempo, cercavano di fare breccia nel suo cuore, ma egli le trattava davvero male, le poverette non erano perfette quanto lo era lui. Infatti, per quanto gli piacesse giocare con le ragazze, la sua passione più grande era… se stesso. Le snobbava e lasciava una scia di cuori infranti alle sue spalle; quando entrava in casa subito si notavano i tanti specchi piazzati in posti strategici, dove si rifletteva la luce del sole che colpiva il suo sorriso, e così abbagliava tutte le stanze e illuminava l’appartamento.

Non a caso, il suo passatempo preferito era proprio stare le ore a fissare gli specchi, gli unici grandi amici che erano degni del suo rispetto, perché erano i soli in grado di visualizzare la sua immagine, l’immagine perfetta che a lui piaceva tanto.

Si ammirava per ore ed ore, si sparava pose, sorrideva di fronte allo specchio, ammirava i suoi occhi verdi e si sistemava un ciuffo vaporoso, e nel frattempo, magari involontariamente, si toccava in varie parti e, così, imparò ad esplorare il proprio corpo, cercando i punti di piacere che non riusciva a trovare insieme alle altre persone.

Ma quando spuntò il primo capello bianco, Lino subito si spaventò e si allarmò, lo tagliò immediatamente, per non rovinare la sua immagine perfetta, ma presto spuntarono un paio di rughe, qualche callo al piede, non sapeva cosa stesse succedendo al suo corpo. Andò quindi da un medico, gli spiegò i sintomi, ma questo si fece una grossa risata di fronte alla sua amata faccia, cosa che fece un po’ storcere il naso a Lino. Il dottore gli spiegò in poche parole che il suo era un processo naturale e che il suo nome era “invecchiamento”.

Ma il ragazzo non poteva accettare una cosa simile, cercò mille modi di preservare il suo aspetto, pensò addirittura di imbalsamarsi ma non avrebbe voluto restare senza vita, senza energia vitale, proprio come quella dei fiori. Allora decise di dedicarsi alla fotografia, era l’unica consolazione, l’unico modo in cui poteva restare giovane e bello. Si recò da diversi fotografi, ma non sopportava il risultato finale, non era abbastanza per lui, ma un giorno scoprì che con il cellulare poteva fare foto bellissime di se stesso, apprese così che fotografando la sua stessa immagine si sentiva più appagato, era l’unica persona che sapeva catturare bene il suo spirito, la sua vera anima.

Lino aveva comunque altri interessi, gli piaceva molto la letteratura e altre forme d’arte, come i film e le serie tv, e spesso voleva condividerle con i suoi amici. Pietro spesso gli proponeva nuove cose da vedere, ma il suo amico storceva il naso come era solito fare:

“Vuoi venire a vedere l’Assassinio di Gianni Morandi?” Propose Pietro.

“Uhm… nah, non mi attira” Rispose Lino, reclutante.

“Allora vuoi vedere con noi Le Cose Più Strane?”

“Uhm… nah, troppo strano”

E così snobbava anche i suoi amici, ma non era colpa loro se non si avvicinavano alla perfezione di Lino, era colpa della natura stessa, infatti Lino aveva degli amici che frequentava, una cerchia ristretta di elite con cui usciva e leggeva libri, guardava serie; erano amici molto simili a lui, spiriti somiglianti, e anche le serie che più adorava lo riguardavano in qualche modo, forse parlavano proprio di lui? E’ per questo che gli piacevano? Non si sa bene, perché erano serie che vedevano in pochi, magari soltanto lui.

A ogni raduno della stretta elite di Lino, c’era il “momento serie”, nonostante ne vedessero davvero poche, sempre le stesse praticamente, il “momento letterario” dove si scambiavano opinioni sui libri, e il “momento di adorazione”, quello più importante, nel quale i partecipanti si prostravano di fronte alla perfezione di Lino, era la cosa più vicina al guardarsi allo specchio che esistesse per lui, in questo modo riusciva ad accettare alcuni dei suoi amici più stretti.

Ma la vita di lusso e di grande cura personale del giovane costava parecchio, quindi fu costretto ad abbandonare per qualche ora la sua attività di fronte allo specchio, per dedicarsi a un lavoro con cui accumulare denaro e continuare a vivere agiatamente. Visto che era diventato piuttosto bravo a fotografarsi, decise di aprire un piccolo studio fotografico, dove era costretto ad osservare qualcun altro oltre che se stesso, e bisogna dire che ebbe un discreto successo.

In breve tempo il suo studio divenne famoso e popolare, così da attirare le gelosie dei suoi colleghi fotografi. In particolare la sua amica Aura, figlia delle stelle, esperta fotografa da lungo tempo, stava coltivando una certa ammirazione per il ragazzo, ma anche una gelosia soppressa, perché effettivamente lei era più brava, ma lui più popolare. Si lanciavano così in sfide di fotografia, usando strumenti diversi: lei aveva una preziosa macchina fotografica ereditata dalla sua famiglia, mentre Lino usava il suo cellulare di ultima generazione, di altissima qualità, altrimenti non sarebbe stato degno di catturare la sua immagine.

Decisero di aprire uno studio in comune, lavoravano molto bene insieme, ovviamente la loro rivalità continuava a crescere, ma la loro affinità anche, Lino non aveva cattivi sentimenti verso Aura, in fondo lei lo stimava e si prostrava a lui come tutti i suoi seguaci, questo andava bene al giovane. Ma Aura era invidiosa della maggiore popolarità di Lino, anche perché lei era molto più professionale e talentuosa in quel lavoro ma povera di ammirazione, quindi stava pianificando di prendere tutto lo studio fotografico per sé. Ma non sapeva come sbarazzarsi del ragazzo, tutto quello che sapeva fare era fotografare le persone, ma una foto era innocua, c’era bisogno di qualcosa di più.

Un giorno Aura aveva la luna storta, non sopportava più tutti gli apprezzamenti che la gente faceva a Lino, la sua aura personale stava diventando sempre più rossa come la rabbia, anche se lei la nascondeva al socio, e lui, immerso nella sua auto contemplazione, non si accorgeva di nulla. Decise quindi di chiedere aiuto ai suoi lodati astri, per capire un po’ come doveva agire.

“Vi prego miei cari astri, splendide stelle e galassia lucente, guidatemi voi verso la salvezza e la GIUSTIZIA”

Le preghiere mistiche di Aura furono esaudite, una luce brillante illuminò uno dei quartieri adiacenti allo studio fotografico, e illuminò in particolare un piccolo negozietto abbandonato. Mentre Lino svolgeva tutto il lavoro, Aura si prese un momento per sé e visitò questo negozio, aprendo la maniglia impolverata.

Non c’era nessuno al suo interno, apparentemente, Aura fece un giro di perlustrazione, vide vari oggetti molto strani, cimeli antichi, ninnoli di ogni genere, e si chiedeva come facesse qualcuno a collezionarli tutti, e per quale scopo.

“Ho bisogno di aiuto per sbarazzarmi del mio collega, voglio diventare la ‘stella’ della città, voglio avere io tutto il successo!”

A quelle parole una figura in ombra si fece avanti, rivelando un tipo strano, come il negozio del resto, Giacomo.

“Sono qui mia cara, ho udito le tue parole e sono apparso in tuo soccorso” Disse Giacomo, criptico.

“Grazie… sei stato mandato dagli Astri, non è così” Si domandò la ragazza.

“Può darsi, questo non è importante al momento, la tua vendetta lo è. Cosa ti serve in particolare, cara?”

“Io… non so… voglio un’arma, però non sono brava a uccidere”

“E’ un po’ contraddittorio quello che dici. Cosa sai fare esattamente?”

“Io… so fare le foto. Questo” Disse unendo le mani, un po’ impaurita dall’uomo misterioso.

“Molto bene, credo di avere quello che fa al caso tuo: un oggetto letale” Disse facendo un mezzo sorriso. Aprì uno dei suoi scaffali, tirò via un po’ di polvere da alcuni oggetti preziosi, e prese cautamente tra le mani una macchinetta fotografica, una polaroid di vecchia scuola.

“Questa ti aiuterà, non ha un nome ma io la chiamo la Macchina dell’Immortalità, puoi prenderla se ti va bene” Concesse Giacomo.

“Grazie, grazie mille!” E fece per andarsene Aura.

“Scusa, dove credi di andare, cara? Vieni, vieni…”

“C’è qualcosa che non va, per caso?” Chiese sbadata la ragazza dai capelli neri.

“Hai dimenticato qualcosa… un pagamento”

“Molto bene, ho tutti i soldi che vuoi” Rispose tastandosi nelle tasche.

“No, non parlo di vile denaro, non mi interessa, voglio qualcos’altro, solo non so che cosa… fammici pensare un attimo” E infatti ci pensò, ponendo l’indice sotto il naso, dopo una breve riflessione, decise.

“Mi piacerebbe avere una ciocca dei tuoi capelli scuri come la notte”

Aura rimase impietrita: “Scusa ma che ci devi fare? (Pervertito!)”

“La venderò online, quando diventerai famosa” Fece un ghigno il proprietario del negozio.

Lei non rispose, lo guardò male e scappò via dal locale con la sua preziosa arma. Il proprietario non disse molto, disse solo che faceva al caso suo, ma Aura si domandava come una ‘Macchina dell’Immortalità’ potesse aiutarla, l’uomo non aveva specificato, restava solo di provarla.

Nel frattempo, allo studio, Lino si stava scontrando con alcuni clienti difficili. Lui era impegnatissimo a scattarsi dei selfie per il suo album, e quei clienti lo stavano incitando a sbrigarsi.

“Si sbrighi, abbiamo bisogno delle immagini per la fototessera della carta d’identità”

“Un attimo solo, siate gentili per favore, sto facendo dei selfie se non ve ne siete accorti” Disse il fotografo, indisponente.

“Ma noi la paghiamo quindi vogliamo un servizio efficiente”

Il fotografo li guardò con un sorriso e con uno sguardo sorpreso, si domandava come fosse possibile che quei clienti non lo stessero adorando, e addirittura si stessero comportando in modo rude con lui. Li ignorò completamente, e fu contento quando questi lo piantarono in asso e uscirono dallo studio, rinunciando alle foto.

Un altro suono colpì la porta, stava entrando qualcun altro.

“Chi altro mi disturba mentre mi faccio i selfie?”

“Ehi, Lino, sono io” Egli la riconobbe, era la sua amica e collega Aura, lui non disse niente, e lasciò parlare lei, era evidente che avesse in mente qualcosa, ma che cosa, esattamente?

La ragazza lanciò la sua proposta, con il suo solito sorrisetto malandrino: “Ho avuto un’idea molto carina: che ne dici se appendiamo un tuo ritratto fuori dal negozio? Così le persone sapranno subito che si devono affidare a noi… o meglio, a te… scusami.”

“Così va meglio” Approvò l’uomo.

“Bene, ma che ne pensi?”

“Mi sembra un’ottima idea!” Approvò ancora Lino.

Si mise quindi in posa, un po’ sotto le direttive di lei, che gli disse come si doveva posizionare esattamente, si allisciò i capelli sistemando il ciuffo, sfoggiò il suo iconico sorriso da ebete, e fu pronto per la collega.

“Grande! Vai così!” Disse la donna tirando fuori la polaroid e prendendo la ‘mira’.

Scattò la foto, il flash uscì dalla macchinetta, ma il ragazzo fu risucchiato con quella stessa posa all’interno dell’apparecchio. Dalla polaroid uscì subito la foto, di vecchio stile, e ci mise pochi minuti per far apparire l’immagine, Lino era così come lo avevamo lasciato, adesso la sua giovinezza sarebbe stata finalmente preservata, come lo era quella del ritratto di Dorian Gray, per quanto quella fosse una situazione un po’ diversa. Dunque possiamo solo immaginare che il ragazzo fosse contento all’interno di quella immagine.

Ma la donna aveva altri piani: prese la piccola foto e la inserì nel macchinario del suo studio, così riuscì a creare un ritratto gigante di Lino. Aura fece una grande ristrutturazione allo studio, fece un mucchio di soldi ed ebbe successo come sperava, con quelli rase proprio al suolo il negozio, e sopra si fece costruire una sala artistica dove esporre i suoi lavori. Continuò ad accumulare foto, e continuò a catturare persone all’interno delle immagini e poi a ingrandirle, così, perché ci provava gusto, fino a che non ne ebbe abbastanza per creare una mostra fotografica con i suoi ritratti.

La sua assistente, Star-fy (perché in quale altro modo poteva chiamarsi se non così?), lavorava molto bene con lei, e la stimava, una relazione che assomigliava un tempo a quella tra Aura e Lino, e anche in questo caso l’assistente, in fondo in fondo, stava accumulando un po’ di astio e di invidia per l’altra donna.

Aura era molto gelosa dei suoi quadri e dei ritratti, non li faceva mai toccare a Star-fy, neanche per sistemarli, infatti Star-fy era praticamente inutile lì dentro, si stavano semplicemente preparando per la grande mostra fotografica che si sarebbe tenuta l’indomani.

Ma qualcosa andò storto… ovviamente, e non parliamo solo di qualche cornice che era posizionata storta, ma proprio di una vera catastrofe che stava per accadere.

Il giorno prima della mostra, Star-fy, l’imbranata assistente di Aura, stava pulendo per terra, quando una mosca iniziò a disturbarla, poggiandosi proprio sul ritratto di Lino, la ragazza cicciottella fu subito spaventata, aveva il terrore che potesse succedere qualcosa al quadro, soffiò via la mosca da lì con un getto d’aria pesante, ma un po’ di saliva andò a finire sul quadro, macchiandolo.

“Oh no, la padrona mi ucciderà per questo! Devo ASSOLUTAMENTE rimediare, questo era il suo capolavoro o così dice!”

Star-fy prese cautamente il ritratto e lo portò nel laboratorio delle foto, dove la magia accadeva ogni volta, in questo caso era un intervento di riparazione, doveva stare molto attenta… proprio quello che non riusciva a fare. Il sorriso di Lino era stato rovinato dalla sua sputazza, ma poteva ancora sistemare la situazione, prese un fazzoletto e lo passò sul viso ritratto del ragazzo, ma questo si macchiò ancora di più, i colori naturali furono rimpiazzati da altri più strani. Come poteva rimediare? Pensò di nasconderlo ma di certo la padrona se ne sarebbe accorta, Aura l’avrebbe come minimo licenziata.

Allora pensò di fare una cosa migliore: ristrutturare il quadro, prese tutti i colori e i materiali dell’ex studio e scelse attentamente quelli che andavano meglio per il ritratto.

“Il marrone per i capelli, forse?” E scelse anche altri colori, sistemando un po’ il viso, non era più quello di prima ma almeno non era uno scarabocchio. Mentre Aura dormiva ignara sogni tranquilli accompagnata dalle sue care stelle, la sua assistente si accorse di aver fatto un altro errore grave: il quadro iniziò a puzzare, come mai? Si chiese la ragazza paffuta.

Ci passò una mano di alcool ma l’odore fetido non passò, annusò meglio i capelli ritratti del giovane e si accorse di averli ricolorati con qualcosa di pericoloso: andò a vedere l’etichetta del colore, e trovò scritto qualcosa di terribile:
“Merda d’Artista” un prezioso oggetto che teneva nascosto Aura per qualche motivo.

Quindi, praticamente, aveva spalmato la merda sulla testa del povero Lino, rovinando per sempre il quadro. La ragazza cosa altro poteva fare? Pensò di lasciarlo così di non fare altri danni e di riappendere il quadro dove lo aveva trovato.

Il giorno della mostra Aura entrò nella sala e non si accorse di nulla, Star-fy cercò di distrarla in ogni modo possibile, la padrona era sorridente ed in pace con il mondo, aveva ottenuto tutto il successo che desiderava e niente avrebbe potuto toglierlo… tranne la sua apprendista sbadata.

Aura si accostò al quadro di Lino, sentì subito la puzza, Star-fy dovette confessare l’accaduto, e così Aura si disgustò subito e vomitò proprio sulla faccia del ragazzo, una sostanza verdognola e quasi melmosa lo attraversò. Ma la fotografa non volle arrendersi, voleva continuare la sua mostra anche senza il suo ‘capolavoro’, all’improvviso, però, entrarono dei poliziotti nella sala.

“Ci hanno fatto delle segnalazioni da parte di alcune persone, si parla di familiari scomparsi, lei ne sa qualcosa?”

“Io… NULLA.” Sogghignò la ragazza.

“E invece sì” insistettero gli sbirri “Deve venire con noi, è in arresto per aver intrappolato una sfilza di persone nelle fotografie”

“Astri miei… aiutatemi, fate scomparire questi brutti ceffi” Ma non ci fu niente da fare, gli amati astri non la aiutarono stavolta, fu punita anche lei per la sua malvagità e per la smania di successo. Ma prima di essere portata via, non si dimenticò che questa era una storia che doveva finire con una morte, prese quindi una noce di cocco trovata lì sul tavolo, a casaccio, e la lanciò verso il quadro di Lino, cogliendolo in pieno e facendogli un bel buco grande al centro, presumibilmente facendo fuori il ragazzo che si trovava intrappolato.

Finì in questo modo la storia di Lino, da protagonista a quadro ma pur sempre al centro dell’attenzione dall’inizio alla fine, e con Aura giustamente imprigionata in una cella al confine del mondo, una cella priva di finestre e quindi lontana dal cielo stellato e dagli astri che l’avevano tradita.

Mentre tutto questo accadeva, Star-fy divenne una fotografa di successo, non più malvagia come la sua insegnante, e addestrò una nuova generazione di aspiranti fotografi più pacifici rispetto alla donna incarcerata.

 

 

 

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Capitolo 8
*** GIACOMO ***


GIACOMO
 
Era una mattinata qualunque, in un paesino ai confini della Transilvania, in un grande castello, e in quale altro luogo se non questo poteva vivere il protagonista della storia? Il Conte Giacomo Ugolino, conte di un sacco di paesi poco importanti e poco rilevanti ai fini del racconto, era un uomo molto giovane, ma già pieno di preoccupazioni e doveri, ma non era affatto un santo, dentro di sé celava una malvagità senza fini, un lato oscuro e perfido che aspettava solo il momento giusto per emergere.
Per quanto riguarda la descrizione fisica, egli andava per una testa pelata, pressappoco ma ci sarebbe arrivato presto, le occhiaie viola sotto le palpebre, a causa del fatto che vegliava di notte e dormiva di giorno, denti affilati e tutti fuori posto, una bella pancia in mostra, un alito da far paura, piedi con le unghia incarnite. Insomma, era un vero mostro! Dentro e fuori, vi erano anche altri problemi di salute, ma penso che abbiamo già descritto abbastanza il soggetto in questione.
Quella mattina si svegliò di soprassalto, perché durante la sua veglia si era purtroppo addormentato. Iniziava così un nuovo giorno solitario e monotono.
“Signore, ecco a lei la sua pancetta, uova, pancake, pane tostato, vino, insomma, la sua colazione all’inglese” Disse il maggiordomo robot, accompagnato da un altro aiutante meccanico.
“Lasciatela lì, e andate a farvi fottere, subito.” Disse in modo rude il padrone, Giacomo Ugolino. Egli li trattava davvero male, come macchine quali erano, ma senza rispettarle. E trattava tutti allo stesso modo, a dire il vero, forse per questo era sempre solo, lasciato a se stesso con la sua anima malvagia e brontolona.
Disse: “Oggi mi sono svegliato con un desiderio: non voglio più essere solo, voglio avere degli amici!”
E si mise, così, all’opera, alla ricerca disperata di amicizie, e mise i manifesti ovunque, costrinse persone a diventare suoi amici, a costo di pagarli.
“20 euro all’ora, vi va bene?” Disse Giacomo a due individui.
“Perfetto.”
“E vi posso trattare anche male, giusto?” Chiese ancora.
“Giusto giusto. Allora cominciamo.” E iniziarono a tastarlo, dapprima in alto, poi scendendo mano mano.
“Ma, che diavolo fate? Siete forse fatti di qualche droga?” Giacomo era sconvolto.
“No no, è il nostro lavoro, ci hai pagati per questo.” Giacomo capì che i due avevano frainteso, il loro lavoro era un altro, non sarebbero stati suoi amici, quindi decise di darci un taglio, e li uccise, a colpi di taglierina tascabile.
Ma, alla fine della mattina, riuscì a trovare, in qualche modo, dei veri amici, forse grazie a quei manifesti che aveva posto dappertutto. I suoi nuovi compagni avevano molto in comune con lui, ma soprattutto erano dei fancazzisti, esperti nel cazzeggiare, ossia nel non far nulla pur di non lavorare. Il nulla era la loro attività preferita, e Giacomo si trovava perfettamente a suo agio in questa circostanza.
Bevevano, e mangiavano, e mangiavano ancora, un’altra delle loro attività preferite.
“E poi ci sono questi due mamozzi, che non mi lasciano mai in pace, meh!” Disse Giacomo, parlando dei suoi maggiordomi robotici.
“Ahahahahah” E tutti a ridere, sfottere quei due robot era davvero un bel passatempo.
A fine giornata, Giacomo era davvero soddisfatto, divertito, realizzato, e non era più solo, ma ben accompagnato. Ma presto un tarlo si materializzò nella sua mente.
“E se si prendessero gioco di me? Come io faccio con i miei maggiordomi? In fondo sono bruttissimo, sono pieno di difetti e mancanze. Oddio…” E iniziò a tormentarlo, questo pensiero molesto, finchè vere e proprie conversazioni non si palesarono nel suo cervello:


Pietro: “E’ proprio un perdente, non sa nulla della vita.”
Calù difese il protagonista: “Ma dai, non dire così, è un bravo ragazzo, non prenderlo in giro, solo… è davvero un cesso, haha! Jajaja” Disse il giovane, ridendo come un maiale. Tutto sempre nella mente di Giacomo.
Nicole: “Poi vuole fare il Karaoke senza saper cantare! Ed io già odio di mio il Karaoke, ma lui fa davvero cagare, hahahaha!”
Da questo, Giacomo iniziò a pensare che fosse proprio vero,  e andò subito a confrontare gli amici.
“Voi mi avete tradito, avete tradito questa città!” Esclamò contro i suoi compari.
“Ma che sei fuori, Giac? Noi ti vogliamo bene, sei uno di noi” Fece Pietro, sinceramente.
“E’ vero, non diremo mai quelle cose su di te!” Disse Nicole.
Ma Giacomo era ormai un caso perso, era fuori di testa, e continuò ad attaccare i suoi veri amici, questi, non volevano troncare il rapporto con lui, ma Giacomo non gli diede scelta, dovettero cominciare a ignorarlo, e lo abbandonarono a se stesso, dopo che lui fece di tutto per far finire quel bel rapporto amichevole.
Il Conte si ritrovò così, a fine giornata, di nuovo solo soletto, ma più triste che mai.
“Cosa ho fatto, è colpa mia, ho perduto gli amici per un tarlo nella testa, sono pazzo! Oddio!” E si mise le mani sul capo, sbattendo con i pugni sul cervello.
Ad un tratto gli eventi della giornata iniziarono a riavvolgersi come in una videocassetta, e si tornò all’inizio della giornata…
RIAVVIO
Giacomo si svegliò di soprassalto, i suoi maggiordomi robot al suo fianco, come sempre,
“Signore, le abbiamo portato le sue uova, la pancetta…” Furono interrotti…
“Si si, ho capito, potete anche andare, non mi importa” I due robot, feriti, lasciarono la stanza del nobile.
“Ma che succede?” Giacomo capì che qualcosa era andato storto, era di nuovo la mattina precedente! Il tempo si era raggomitolato su se stesso, e si era tornati a quello stesso giorno dove aveva rovinato tutto con i suoi amici.
“Sono bloccato nello stesso giorno, però può essere un’occasione per sistemare le cose! Ottima idea!” Decise, così, di cercare aiuto, ma non poteva farlo da solo, e non certo con quei maggiordomi inutili, cercò quindi un dottore.
ALLO STUDIO DELLO PSICHIATRA:
Era una sala colorata, con banchi e penne, sembrava di essere tornati a scuola, il Dottore, un uomo sulla quarantina, giovane per il suo lavoro, sembrava molto competente, e camminava avanti e indietro per tutta la stanza, cercando di capire il caso che si trovava di fronte.
“Doc mi aiuti, per favore, è la mia ultima speranza, ho bisogno di una mano, come posso risolvere i miei problemi???”
Il Dottore si voltò: “Dimmi che problemi hai”
“Ho rovinato tutto con i miei amici per colpa di pensieri molesti! E ho paura di poter nuocere anche me stesso”.
Il dottore replicò: “Ho capito tutto, ho capito il tuo caso, sei un soggetto di tipo C, uno dei miei casi stereotipati, che più banali non si può. Ti prescrivo una mappata di medicine che ti aiuteranno. Starai bene, promesso.” Fece il medico stringendogli la mano.
“Ma io non voglio prendere medicinali.”
“Allora… vaffanculo.” Giacomo rimase alibito alla risposta dello psichiatra. Non era abituato ad essere trattato male.
“Come prego?”
“Ho detto V-A-F-F-A-N-C-U-L-O” E fece lo spelling.
“Si si, ho capito, ma perché?”
“Se non vuoi prendere le medicine non puoi stare bene. Poi, detto fra noi, i tuoi problemi sono davvero minimi, stupidi, nel mondo c’è la povertà, le malattie, e tu ti preoccupi di ste cose, ma serio? Via via, vaffanculo ed esci da qui” Sbrigò subito il dottore. “E non dimenticarti di pagarmi profumatamente!” Ricordò l’uomo.
Giacomo era davvero triste e deluso, persino il dottore lo aveva mandato a quel paese e lo aveva rifiutato, sempre per colpa sua, non aveva voluto prendere le medicine. Decise, così, di andare a trovare altri amici, che aveva, oltre al gruppo dei cazzeggiatori abusivi.
Cercò quindi i suoi amici Crazy-F e Sardina, una coppia perfetta e armoniosa, un po’ rockettara ma alla mano.
“Ah, Crazy-F, amico, potrei darti del filo da torcere” Disse il protagonista.
“Ahahahaha, e come mai, Giac?” Disse il rocker.
“Sono pazzo, ahimè! Devo riempirmi di medicine, altrimenti i pensieri non se ne vanno. Potrei farmi del male...”
“Speriamo di no, dai.” Fece Sardina per consolarlo.
Poi si ricordò di una cosa, il Dottore gli aveva consigliato, per sfogarsi, di mettere su carta i suoi pensieri, le sue paure più remote:
Quindi egli scrisse delle storie, ma per paura di esporsi, non scrisse i cazzi propri, bensì i cazzi degli altri! Scrisse quindi delle storie su Sardina e Crazy-F e come andava il loro rapporto di coppia, così, per perdere tempo.
E decise di fargliele leggere, ma la cosa non andò per nulla bene, i due la presero male e lo rifiutarono, dicendo che non se la volevano fare con un vero pazzoide, e in più li aveva trattati proprio male in quelle storie.
“Addio, Giacomo.” E se ne andarono, giustamente.
Quella stessa sera, Giacomo fece uno sforzo e decise di prendere quei medicinali, voleva davvero stare meglio, li assaggiò e avevano un sapere tremendo, ma era il prezzo da pagare per le sue azioni sconsiderate, e anche il prezzo per poter stare meglio.
Purtroppo per lui, abbinò le medicine a degli alcolici, per mandarle giù, e per consolarsi della sua solitudine. Questo gli mandò letteralmente il cervello in pappa. Le sue visioni furono rimpiazzate da allucinazioni.
Egli vagava per il castello come un fantasma, spaventando i maggiordomi.
“Ciao ciao” Fece l’occhiolino Giacomo, salutando qualcuno. I suoi preziosi peluche presero vita, e lo abbracciarono, stringendolo forte.
“Ah, mi siete rimasti solo voi, peluche, cari amici, sembrate così… animati! Vi adoro, siete i miei unici compagni ormai!” Il Conte Giacomo Ugolino finì per mangiarseli, come un suo omonimo aveva fatto con i propri figli in un racconto Dantesco.
RIAVVIO
Era il terzo giorno che era intrappolato… nello stesso giorno, Giacomo era stufo.
“Signore, sono pronte le sue uova, la pancetta” Giacomo buttò il piatto in faccia al robot, mandandolo in corto circuito. Poi dovette mettersi tutta la mattinata ad aggiustarlo.
“Beh, ho impiegato la mattina in modo diverso, almeno.” Però quei giorni sembravano ugualmente tutti lo stesso, come erano infatti, a causa del loop temporale.
“Chissà qual è la causa… devo cercare un modo di spezzare questo meccanismo da film di fantascienza!”
Ma invece di fare ciò, cercò di non essere solo, trovò quindi un nuovo amico, Z!
“We, amigo, como estas? Hablamos de cosas malas?”
“Già Z, ho proprio bisogno di una spalla in questo momento” Disse Giacomo, sconsolato, era così triste, che non era una sorpresa che si trovasse così in solitudine. Ma ci era abituato ormai.
“Puedo besarte? Amigo?”
“Che significa ‘besarte’???” Gli occhi di Giacomo uscirono fuori dalle orbite. Il cavaliere mascherato di nome Z gli stava per stampare un bacio sulle labbra.
Il Conte fu pronto e di ottimi riflessi, gli prese la sua ‘spada’ di cavaliere, e gliela piantò dentro a dove sapete voi, cari, carissimi lettori.
Giacomo si mandò affanculo da solo, aveva rovinato un altro rapporto, decise di piantarla con gli ‘amici’, e cercare una soluzione al suo loop che lo mandava in paranoia, lo faceva davvero impazzire.
Allora si trovò di fronte una tenda purpurea, era il luogo dove risiedeva una potente maga:
“Maga Big Mama (cos’è? Uno scioglilingua, disse tra sé e sé), ho bisogno del tuo aiuto, neanche lo psichiatra è riuscito ad aiutarmi! Ho bisogno di te!”
“Dimmi il tuo problema, Giac.”
“Sono bloccato in un loop temporale, ogni giorno è lo stesso, e rovino le mie amicizie, come posso fare? Non dirmi che devo prendere medicine, per favore.”
La Maga Big Mama chiuse gli occhi, iniziò ad agitare le mani attorno alla sua palla di cristallo, intorno a lei vi erano tanti talismani potenti e oggetti artigianali dei più bizzarri.
“O Spiriti, spiriti malvagi, lasciate questo corpo! O oscuri spiriti! Andate via, lasciate in pace questo povero Cristo!”
“No, maga, non ho bisogno di un esorcismo. Vabbè, cambiamo strategia.” Fece Giacomo per sviare quella situazione fastidiosa: “Maga, ti prego, parlami del mio futuro! Controlla le tue magiche carte!” Fece Giacomo, preoccupato.
La Maga fece come richiesto, e mescolò il suo grande mazzo, pieno pieno di carte, ed infine le poggiò sul tavolo, scoprendole una ad una.
“Oh my God! Ma c’avit cumbinat ca! Tutt stu burdell! Vedo amicizie spezzate, paranoie, dottori, medicine, un passato tragico, un mostro dall’orribile aspetto, ‘Groundhog Day’ (Ricomincio da capo), morte… morte dappertutto all’orizzonte! Che casino! Ma che hai combinato, Giac?”
“Grazie tante Maga,  questo lo sapevo già… aspetta, hai detto forse ‘morte’??? Ah! ODDIO!” Giacomo scappò da quella tenda, dimenticandosi di pagare. Per contro, la Maga gli mandò tante maledizioni, che di sicuro gli sarebbero arrivate.
 
Giacomo aveva perso tutto, i suoi amici, persino i suoi maggiordomi se n’erano andati. Era rimasto da solo con la sua ricchezza sconfinata, e con le sue medicine allucinogene.
Ormai riusciva solo a dire…
“Psico- psico- psico- patico”
“Sono psico- psico- patico”
RIAVVIO
La mattina era arrivata da poco, l’alba lucente illuminava la casa oscura del Conte Giacomo Ugolino.
“Non ne posso più di questo loop! Uffa! Basta!”
Ma i suoi maggiordomi non c’erano, forse non erano ancora arrivati, oppure il tempo era cambiato e lo avevano lasciato, come tutti.
RIAVVIO
La mattina era arrivata da poco, l’alba lucente illuminava la casa oscura del Conte Giacomo Ugolino.
“Di nuovo, ma è solo mattina, non è passata neanche la gior…”
RIAVVIO
“…nata?” Che diavolo suc…”
RIAVVIO
“…Cede?”
RIAVVIO
RIAVVIO
RIAVVIO
Si scoprì che il loop temporale era legato all’andamento del cervello di Giacomo, come era ovvio da prevedere. Più egli si faceva pippe mentali, più il ‘riavvio’ peggiorava.
“Vorrei solo che smettesse”
RIAVVIO
RIAVVIO
Giacomo si alzò dal letto, riusciva a fare pochi passi, ma il tempo continuava a resettarsi, riuscì a malapena ad arrivare fino al muro, e fece ciò che doveva, stava impazzendo davvero, per cercare di riavviare il cervello una volta per tutte, lo spinse contro il muro. E di nuovo. Ancora. Ancora.
RIAVVIO
“Non è possibile!”
RIAVVIO
Continuava a sbattere la testa contro il muro, finchè non si crearono crepe in testa, il sangue scorreva e cadeva giù sul pavimento, ma Giacomo continuava, il Conte non si sarebbe fermato finchè il riavvio fosse cessato, e il suo cervello distrutto. Finì per riuscirci, il riavvio cessò di esistere, come lui stesso.
 
 

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Capitolo 9
*** NICOLE ***


NICOLE

 

“Zzzzz”

“Zzzzz”

“Crrrrr”

Questi erano solo alcuni dei suoni che emetteva Nicole mentre dormiva, ma si svegliò di botto e così cominciò un’altra giornata…

Iniziò ad aprire le finestre, per far entrare la luce in tutta la stanza da letto:

“Ecco che inizia una nuova giornata di merda”

Si preparò alla svelta per uscire, le attendeva una lunga giornata di lavoro. Tutto normale come ogni giorno, la colazione al bar, qualche chiacchiera con le amiche… Ma il momento migliore, che più la eccitava, era proprio al bar, quando prendeva il suo caffè:
“Ah, questo caffè è proprio il nettare degli Dei!”

“Hai ragione” Fece una voce amica, era Virginia: “Cosa farai oggi, cara?”

Nicole sbuffò, annoiata “Che te devo dì: il solito lavoro di merda, sto tutta una giornata davanti a uno schermo, non era questo che volevo quando dissi che volevo ‘tecnologizzarmi’ al massimo”.

Virginia capì e le pose una mano sulla spalla.

A questo punto vi chiederete se questa storia è tutta casuale oppure va a parare da qualche parte, ebbene sì, cominciamo a dare qualche svolta:

Un individuo misterioso stava scrutando Nicole e la sua amica da un angolino del locale, fece un sorrisetto, e continuò ad osservare, ascoltando attentamente tutte le parole.

Una volta che le ragazze ebbero finito, si salutarono e, mentre Nicole stava per uscire dal bar, la sua mano fu presa da quel losco individuo, che la trascinò in una stanza segreta del locale.

“Ho sentito tutto.”

“E tu chi diavolo sei?”

“Non è importante, io non sono importante in questa storia, però ho sentito ciò che hai detto prima”

“AH. Sei uno stalker, oppure uno spione, non so cosa sia peggio!” Fece la ragazza.

Quest’uomo, avvolto nell’ombra, continuava a ridacchiare:
“Hai detto di volere tecnologizzarti, io ti posso aiutare, ihih.”

Nicole lo guardava mentre accendeva la sua sigaretta elettronica: “Guarda bello, sono già super tecnologica, ho un computer all’ultima moda, e persino il mio fumo preferito è elettronico, non ho bisogno di aiuto. Grazie”

Visto che lei non volle sentire ragioni, l’uomo si limitò a darle un volantino. Lei lo aprì e cominciò a leggere…

“Invito ESCLUSIVO per… ‘Il Paese dei Catorci’. Che sarebbe?” Disse incuriosita.

“Vieni e lo scoprirai! Muahahahah”

Lei non fece caso a quella risata, completamente presa dall’invito, si sentiva lusingata ed intrigata. Accettò immediatamente, senza sentire altro.

Partirono immediatamente, il reclutatore guidava un treno per quella terra inesplorata, misteriosa e piena di interesse da parte di Nicole.

La donna cercò di capire un po’ cosa stesse succedendo; il treno era davvero colmo di persone, e lei voleva un po’ cercare di sapere le esperienze altrui, si avvicinò ad un’altra ragazza:
“Come sei finita qui?”

“Un tipo strambo mi ha avvicinata in un locale, e mi ha fatto questo invito stranissimo, uno sconosciuto praticamente, e io che potevo fare… ho accettato!”

Nicole fu colpita, si ritrovò nell’esperienza di quella ragazza. “Stessa cosa è capitata a me” Fece un’altra ancora. “Qual è il tuo nome” Chiese la protagonista del racconto.

“Caterina, ma puoi chiamarmi Cat”

Il treno arrivò a destinazione X, tutti i passeggeri a bordo erano eccitati, non stavano nella pelle di scoprire le mille cose di quel paese, ignari di quello che gli aspettava davvero.

A prima sensazione, furono tutti colpiti da quel posto, era proprio come se lo immaginavano, l’aspettativa fu ripagata a pieno: a dispetto del nome, ‘catorci’, quel paese era all’ultimo livello in quanto a tecnologia; la realtà virtuale era solo una delle numerose attrazioni, tutti furono estasiati da quella terra, inclusa Nicole, che si trovava un po’ nei panni di Alice, come nel paese delle meraviglie.

Nicole e Caterina rimasero vicine, per non perdersi, vista tutta quella confusione. Vi era una folla incredibile all’ingresso del paese.

Le due donne, insieme ad altre persone, provarono una ad una, tutte le attrazioni, e ne furono come ipnotizzate.

“Ne voglio ancora!”

“Ancora!”

Nicole, a un certo punto, fu adocchiata da un altro uomo, uno su di un piedistallo, al centro del parco, con un vestito elegante, ma calvo e con un pizzetto molto folto.

La donna si accorse subito dei suoi sguardi, ma era anche presa dalle esperienze che stava vivendo, quindi la sua guardia era completamente abbassata.

“Avvicinati, mia cara” Fece il Maestro verso Nicole.

“Come ti chiami, visitatrice?” Continuò a chiedere.

“Sono Nicole.” L’uomo la acchiappò e la condusse sul piedistallo insieme a lui.

“Ragazzi, questa è la nostra nuova arrivata, fate un applauso a Nicole!”

Tutti applaudirono, come chiese il Maestro. Nicole era tutta eccitata, e lieta di quella accoglienza.

“Grazie, davvero”

“Benvenuta Nicole, so che sarai una delle nostre visitatrici migliori” Disse facendo l’occhiolino.

“Ma tu sei il maestro qui, vero? Come ti chiami?”

“Chiamami Robb. E basta.” Disse l’uomo sulla quarantina.

Scesero da quel piedistallo e lui le mostrò tutto il parco dei divertimenti tecnologici, una visita guidata ancora migliore di quella che aveva fatto in precedenza.

“Vedo che sei portata per questo genere di cose moderne! Brava. Ti va di provare questa?” Chiese Robb.

Nicole era tutta contenta e felice, che accettò senza esitare, prese una lunga bacchetta e iniziò a ‘provare’ quella sensazione.

“Questa è un’erba alla techno, l’ultima esperienza di estasi del Paese dei Catorci. Che ne pensi?”

Nicole aveva gli occhi fuori dalle orbite, tanto era fantastica quella sensazione appena provata.

“Dico che è uno sballo! Ahah! Fammi provare le altre ‘cose’! Dai!” E così si lasciò andare.

Quindi Robb la condusse al negozio di droghe tecnologiche. La invitò a prendere tutto ciò che desiderava.

“Sembrano ottime. Aspetta però… so che c’è sempre un prezzo… quanto pago per questa?” Disse indicandone una.

“Assolutamente ZERO. Prendi, prendi, cara. In fondo… sei nostra ospite” E rifece l’occhiolino.

Lei si fece prendere dalla mano, e assaggiò un po’ di tutto. La sensazione era fantastica, davvero uno sballo, come diceva lei.

Ormai Nicole era completamente presa da tutto l’incomprensibile che le stava accadendo, e lei era contenta, davvero!

A un certo punto, però, le cose cominciarono ad arrivare ad un nuovo livello di stranezza, Nicole cominciò a vedere gli asini volare, le pecore che cacavano cioccolata, bastoncini di zucchero che sbucavano dal terreno, uomini con le trombe giganti che suonavano l’Inno alla Gioia.

Tutto e di più.

Le persone si fecero più grandi del solito, per qualche motivo, le proporzioni erano di parecchio sbilanciate, specie quelle delle parti basse, ma a Nicole piaceva molto ciò che vedeva, era come se ogni sua fantasia stesse prendendo vita, stava diventando tutto reale, o era un’allucinazione? Lei non si poneva questi problemi, erano troppo per persone insicure e perdenti, lei voleva semplicemente godere la vita in quel momento, cogliere l’attimo, era questo il suo scopo.

Andava tutto secondo i piani, Robb era entusiasta della sua prescelta Nicole. Adesso toccava a lei…

La mattina seguente, tutti erano ancora presi dal mal di testa e sensazioni strane, erano di pessimo umore, tutti tranne Robb, che non aveva provato nulla il giorno precedente, si era limitato a far assaggiare quelle dolcezze a Nicole, che era la nuova arrivata.

“Adesso tocca a te, mia cara” Le sussurrò mentre lei si svegliava.

“Buongiorno… mica tanto, mi sento malaccio”

“Bevi questo, ti aiuterà” E le pose una tazza di un qualcosa di strano, strano come tutto ciò che era in quel luogo.

In effetti la bevanda le fece bene, ma si sentiva ancora molto stordita da quello che era successo quella notte. Robb la accompagnò fuori dalla tenda dove si era accampata in quelle stesse ore.

“Eccoci, adesso è il tuo turno aiutarci” Invitò gentilmente l’uomo quarantenne.

“In che modo vi posso essere utile?” Nicole era un po’ scombussolata, ma voleva ricambiare il favore.

“Beh, puoi cominciare pulendo tutto! Grazie mille per il tuo aiuto” Le diede una scopa, una paletta e la spinse via a fare il suo lavoro.

“Ehi, bello, io non sono la sguattera di nessuno!” Nicole cominciò a farsi sentire, per farsi rispettare.

“Ti sei divertita ieri, no? Adesso è arrivato il momento di ripagarci. Pulisci TUTTO il Paese dei Catorci!”

Nicole si mise le mani in testa, non sapeva come poteva ripulire tutto in un solo giorno, prima che arrivasse la sera e tornassero a fare quel casino che avveniva ogni notte.

Iniziò a lavorare, ma dopo solo cinque minuti non ne potette più.

“E’ una Mission Impossible! Non ce la posso fare, non è un lavoro degno di me!”

Robb fece un applauso. “Ah… quindi ci troviamo di fronte a una ribelle, vedo… Molto bene, servi, venite qui” Schioccò le dita e una dozzina di ragazzi si palesarono per prelevare Nicole.

“Ah bene, siete qui, siete venuti a portarmi a casa, vero?” Chiese la donna protagonista.

“Non proprio. Portatela al Computer Madre, ADESSO” E così fecero, come su richiesta del Maestro Robb.

Le bloccarono gli arti e la condussero al Computer principale, era da lì che partiva l’energia che alimentava tutte le attrazioni del paese.

“Bene, era questo che volevi quando sei arrivata, no? Ti volevi tecnologizzare” Ridacchiò il Maestro.

I ragazzi, tra cui la sua amica Cat, ormai una schiava di quel dio del Paese dei Catorci, la inserirono in una macchina strana, che la inglobò come una bocca gigante poteva fare con la sua colazione. Adesso NICOLE era solo un codice, un ammasso di programmazione.

“Finora, ti abbiamo servito e riverito, adesso sarai tu a fare tutto per noi, vero, NICOLE?” Disse il dio.

“Certo, come desidera, Padrone” Il Computer-NICOLE era davvero una brava servetta, niente di più, niente di meno, ormai.

‘NICOLE’ era molto brava nel suo nuovo lavoro, faceva tutto ciò che compiaceva al suo padrone, anche se… nel suo codice, un briciolo di libero arbitrio rimaneva. Cercò con tutta se stessa di ribellarsi agli ordini, ci provò:
“NICOLE, da brava cagnolina, ripulisci il server dati dei nuovi ospiti, non rimarrà traccia di quello che hanno fatto l’altra notte, e nessuno saprà nulla di quello che succede in questo paese…” Recitò al computer mentre fischiettava malignamente.

“Io… NO.”

“Come scusa?” Robb fu sconvolto da quella risposta.

“Io… non farò più nulla di quello che mi chiedi. Voglio essere libera, mi ribello”

Robb si mise una mano sulla fronte, come dispiaciuto: “Un vero peccato, mia cara, eri così brava, mi piacevi molto, sono desolato nel dover fare questo” Disse prendendo la sua buona tazza di caffè, e la versò sul computer che conteneva il codice ‘NICOLE’.

La bevanda fece andare tutto in cortocircuito, sulla schermata di Windows appariva la finestra famigerata “ERRORE. ERRORE.” Molteplici volte. Non si capiva più nulla. Il programma ‘NICOLE’ si arrestò una volta per tutte.

“Ah, questo caffè è proprio il nettare degli Dei!” Sghignazzò Robb, riprendendo le parole iniziali che aveva proferito la povera donna all’inizio della storia, come per chiudere il cerchio.

 

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Capitolo 10
*** CATERINA ***


CATERINA

 

Era una sera come le altre, in una stradina di periferia, tutti erano molto tranquilli mentre camminavano normalmente per incontrarsi con le persone con cui sarebbero usciti, era Sabato, quindi potete immaginare il fermento che era immagazzinato e latente nella gente, eccitata per quella serata che si apprestava ad arrivare, ma sempre in tranquillità.

Poco ne sapevano di quello che sarebbe successo, e chi stava arrivando in pista…

Caterina si stava preparando alla grande, aprì il suo guardaroba e fu rapita completamente da quegli abiti che possedeva, come se la ingurgitassero con le loro maniche-tentacoli, ed entrò lì per provarsi mille cose. Alla fine sbucò dall’armadio con un vestito rosso scollato, ma perfetto per l’occasione. Stessa cosa con le scarpe, si trovò davanti ad uno schieramento di accessori nel suo stanzino personale, puntò il dito contro quelle scarpe come per selezionarle in modo deciso, così scelse, e scelse bene. I capelli rossi tinti, di una tonalità scura come se fosse voluta apparire un po’ dark, e come tocco finale un po’ di rossetto, che non guastava mai.

Uscì di casa e attraversò la strada che conduceva, vicino da lei, a un determinato posto ancora avvolto nel mistero, ma con passo deciso camminava e stendeva tutti quelli che si trovavano sulla sua strada, ed era infatti quello il suo intento: non lasciare viva alcuna persona.

Caterina spinse la porta ed entrò lì dentro… nella sala da ballo. Salutò Calù con un bacio, e insieme iniziarono a chiacchierare, sollevarono le mani e cercavano di scorgere chi c’era quella sera nel locale, le loro prede… i ballerini.

“Stasera sono venuta non per partecipare, ma conquisterò tutti” Disse agguerrita la Cat.

“Oh oh oh, brava, mi compiaccio, fagli vedere di che pasta sei fatta!” Applaudì il compagno Calù.

Iniziò a tastare il terreno con i suoi tacchi, le sue fedeli armi adatte al ballo latino americano, come con un gesto nervoso ma rilassato.

Un uomo si avvicinò al microfono per dare l’annuncio:
“Stasera ci sarà una competizione speciale! Eleggeremo la reginetta della festa, in base alla vostra performance, e i voti saranno dati proprio dai ballerini! Quindi preparatevi, donne, date tutto ciò che avete, e diamo inizio alle danze!” Rivelò.

“Darò tutta me stessa e vincerò quel titolo!”

Calù intervenne per riportare un po’ di realismo: “Eh ma non te la puoi cavare con un paio di passi, mi sa che per vincere dovrai fare fuori qualcuno”.

Caterina si voltò e lo osservò malignamente: “E’ proprio quello il mio obbiettivo.”

La loro ricerca dei ‘pretendenti’ era quindi sospesa per quella sera, apparentemente, anche se si cercava sempre di trovare quella sensazione giusta, quella persona giusta.

Iniziarono tutti a ballare, molto sciolti e snodabili, e Caterina fu subito al centro della scena, una vera rossa tutto fuoco, sulle note di Carnaval danzavano ma in realtà era come se duellassero per la conquista di quel titolo. A lei non importava se fossero uomini o fossero donne quelli che crollavano ai suoi piedi, l’importante era che ci rimanessero secchi, che lei lasciasse il segno su di loro.

Trovò subito il partner giusto, un uomo molto alto, una specie di Ken danzante, e presto ci fu uno scambio di battute:

“Sei la più bella stasera” Fece lui.

“Tutto qua? Non sai fare di meglio”

Lui, sbigottito, replicò: “Ti ho appena fatto un complimento”

“…Si, un complimento molto banale, io non mi accontento, sei proprio tu banale. Ciao”

Gli stampò un bacio sulla guancia e lui rimase stecchito, presumibilmente morto; chiamò gli addetti per rimuoverlo dalla pista e cercò immediatamente un nuovo partner.

“E tu che mi dici?” Iniziò lei stavolta a dare a parlare il ballerino con cui iniziò a far coppia.

“Sei fantastica”

Lei fece una smorfia abbastanza compiaciuta, ma non impressionata: “Uhm, già andiamo meglio, un po’ meno clichè di quell’altro pagliaccio. Cosa saresti disposto a fare per me?”

“Beh, potrei spogliarmi, no?” E così fece il ballerino, iniziò dalla maglietta e poi i pantaloni, tutto questo mentre ballava, ovviamente non riuscì più ad andare a tempo con la musica, cosa che fece continuare Caterina da sola, mentre ammaliava altre persone accanto a lui.

“Okay. E adesso?” Chiese lui.

“Adesso ci divertiamo” Disse la ragazza: per prima cosa gli calpestò entrambi i piedi, per distrarlo, poi lo colpì al centro del petto, perforandolo, e lo respinse. Il ragazzo, morto ed umiliato, fu rimosso anche lui dalla pista, immediatamente.

“Bene, non ha resistito ai miei colpi e ai miei passi. Pazienza. Andiamo avanti” Disse molto rilassata.

“Stop” Fece il DJ. Tutti si fermarono di colpo. Erano passati ormai un paio di balli, ma Caterina aveva già fatto una strage di cuori.

“Proprio ora che stavo conoscendo qualcuno di interessante!” Urlò Calù contro il DJ, il quale non se ne fregò minimamente e continuò a recitare la sua formula:
“Adesso che ci siamo riscaldati, potete iniziare a votare, ballerini votanti da una parte e ballerine da eleggere dall’altra.”

Molte ragazze erano imbarazzate per quell’elezione, mentre altre più decise, proprio come la Cat.

Visto che lei non poteva permettersi di perdere, e non aveva avuto modo di conquistare tutti ma proprio tutti come aveva pianificato, decise di attuare una nuova strategia: eliminare le donne candidate.

Si avvicinò ad una sua amica e iniziò a darle a parlare…

“Lo sai che hanno detto di te? Senti, non te lo dovrei dire, ma voglio essere sincera perché siamo amiche”

“Si sì, certo, dimmi” Disse l’altra.

“No, è terribile, alcuni ragazzi mi hanno detto cose su di te, del tipo ‘quella lì non me la sbatterei neanche se mi pagasse, e so che di solito lo fa, si fa pagare, poverina’ Mi dispiace dovertelo dire”

La povera ragazza ci rimase male e scappò immediatamente dal locale, in lacrime. La sua già bassa autostima era stata fatta fuori dalla Cat.

Dopo altre quattro ragazze stecchite, sempre mentre i maschi votavano, fu la volta di Sardina:

Le due erano molto amiche, Caterina era genuinamente interessata alla sua amicizia, ma ovviamente in quella serata di gare e competizioni, tutto era lecito, non le importava più niente.

Non sapendo che strategia utilizzare su Sardina, la fulminò direttamente con la sua visione a raggi X, il suo asso nella manica. Sardina fu rimossa dal gioco e dalla pista, letteralmente.

Fummo al punto che rimasero solo Caterina e Big Mama, esatto, solo loro per l’elezione di reginetta della festa. La Cat fu indecisa, non sapeva per nulla quale strategia usare contro Big Mama, quella donna era forte e incorruttibile, per nulla ingenua, e i raggi laser si erano esauriti, doveva ricaricarsi, ma non aveva più tempo.

“Vincerò sicuramente io, sono la migliore, ma nel dubbio… mi conviene fare fuori anche lei…”

Così Caterina si avvicinò per baciarla, sulle labbra, ma Big Mama le diede un ceffone prima che ci arrivasse, e a Cat saltò fuori un dente, uno buono.

“Don’t you dare, brat. I t’agg capit, SLUT!” E cominciò a menarla di brutto.  Gli occhi di Caterina divennero rossi, come incendiati, e non ci vide più dalla rabbia per quell’offesa. Rispose al fuoco con il fuoco, e prese a addentarla con le zanne che le erano rimaste, era l’unico modo per fare fuori Big Mama, iniziò dalla testa, poi il petto, e infine le cosce. Rimase poco della povera Big Mama, mentre Caterina continuava a masticarla nervosamente. Dopodiché tutte le donne furono esaurite, era rimasta in piedi solo la Cat in quell’arena di sangue e disfatte, chi tra vergogna, lacrime, chi tra carni macellate e teste bucate dal laser.

Gli uomini erano tutti troppo idioti e impegnati nella votazione, che non si erano resi conto di quello che era successo, forse qualcuno sì, ma nessuno ebbe il coraggio di vedersela con Caterina.

Il DJ tornò a salire sul palco, e pronunciò le seguenti parole: “Visto che non ci sono regole qui, tutto è lecito in amore e guerra, e qui direi che siamo in guerra, quindi le votazioni sono annullate poiché tutte le candidate sono sparite dalla pista, per qualche motivo, la vincitrice è Caterina! Fatele un applauso! Una vittoria meritata ed onesta!”

Tutti la applaudirono, lei sfoggiò il suo sorriso migliore e si inchinò a loro, per ringraziarli, fu commossa, ricevette il mazzo di fiori della vittoria, e dovette fare un discorso:
“Sono onorata per questo titolo, grazie a tutti! Anche se non avete votato più, sono comunque contenta che mi abbiate sostenuto, o meglio, quelli che sono sopravvissuti in pista, ve lo siete guadagnato e meritato, grazie! Sono pronta per l’investitura ufficiale.”

Il DJ rimase confuso: “Quale investitura?”

“Ho detto, investitura, quindi provvedete a una corona per me, che sia bella, mi raccomando”

Andarono subito a trovare una corona per lei, comprarono la più preziosa e costosa, con i loro soldi, e su cronometro, Caterina si era infatti raccomandata di far presto a comprarla, così sarebbe divenuta Reginetta prima dell’alba.

Il DJ ritornò nel locale con LA corona, “Ho trovato la migliore” Disse così.

Caterina fu compiaciuta, abbassò il capo, mentre tutti la osservavano, sorpresi e come incantati. E così fu coronata “Regina del Ballo”.

Si accostò al suo trono, sempre nel locale, e si sedette, prese un bastone qualunque e ne fece il suo scettro prestigioso, e fece salire accanto a lei Calù, in qualità di consigliere.

“Adesso che sono Regina del Ballo, comando io qui. Necessito di doni, regalatemi tutto ciò che possedete, e fate presto.”

IL DJ fu risparmiato da questo dovere, lui le aveva regalato già la corona, lei fu compiaciuta di nuovo, e gli pose un bacio, cosa che lo fece sgretolare in polvere, come in un noto film della Marvel. Il Dj fu quindi rimosso dai giochi e dalla pista.

Erano rimasti solo alcuni uomini nel locale, ma abbastanza numerosi per poter continuare a divertirsi.

“Cosa faccio ora? Ho già vinto tutto, mi annoio, e tanto” Fece lei, sbattendo lo ‘scettro’ contro il pavimento.

Il suo trono, inoltre, era molto scomodo, non si trovava per nulla bene lì sopra, cosa che la rendeva ancora più nervosa e suscettibile.

Calù se ne uscì con uno dei suoi suggerimenti “Per compiacerti ancora di più, potresti avere ALTRO, molto di più.”

“Hai ragione, bravo cagnolino” E così gli diede un biscotto, come segno di riconoscenza.

Riprese a parlare al microfono, sempre dal suo trono: “Come ho già detto, portatemi dei doni, i più validi vi risparmieranno la vita”

Pietro si avvicinò al suo cospetto: “Mia signora, vi ho portato un dono come richiesto: una penna d’oro!”

“Molto bene” Fece la Regina Cat. Si alzò, niente di meno si scomodò per Pietro, per ringraziarlo del suo regalo. “Grazie davvero… per questa penna?!” Disse sarcastica, “Cosa dovrei farmene io di una penna, questo è un insulto.”

“Ma io pensavo…”

“Sbagliato, tu non pensi, è questo il tuo errore, d’ora in poi non penserai proprio più. A niente”. Prese in mano quella penna, la aprì per bene, e gliela conficcò nel cuore. Pietro fu rimosso dalla pista.

“IL PROSSIMO” Gridò in modo solenne.

“Eh Maestà” Disse un uomo “Io sono povero, non ho nulla con me. Spero possiate capirmi….” Riferì l’uomo povero.

“Stai tentando la mia rabbia, povero uomo. Ma ti mostrerò clemenza, e ti lascerò andare in modo indolore”

“Calù” Continuò “Prendi quell’ascia. Tagliagli la testa” Stavolta la Regina non si sporcò le mani personalmente, ma fece fare tutto al suo lacchè.

“Come maestà?”

“Hai capito bene, voglio la sua testa.”

“Inchinati” Riprese sempre lei.

Lui abbassò il capo e fu ghigliottinato da Calù, il quale rimase traumatizzato da quell’esecuzione.

“Mi sto annoiando, voglio più sangue. PIU’ SANGUE.” Gridò la regnante. “Non mi accontento, questo posto ormai mi annoia, voglio il MONDO adesso”. La Polizia, a seguito di una segnalazione anonima, entrò nel locale, erano tre agenti con le loro pistole cariche, Cat usò la sua visione a raggi X, ricaricata, per trapassarli, e tagliò loro le teste. Si scomodò da quel trono, prese personalmente tutte le teste che aveva collezionato quella notte, e le infilzò su delle picche, infine le espose fuori dal locale, dove nessuno ebbe più il coraggio di entrare…

Calù capì che la situazione stava sfuggendo di mano, il caos era ormai senza fine, prese quindi il suo librone ‘degli inciuci, degli intrighi e delle maledizioni’, e gliene lanciò una alla sua amica Caterina, per evitare che finisse ucciso anche lui, come presto sarebbe potuto accadere. Era praticamente una ‘fattura’ quella che le aveva lanciato Calù.

Quello che successe fu alquanto strano: i corpi senza testa di quelli che aveva ucciso Caterina tornarono a muoversi, formarono un cerchio attorno a lei, erano come incantati di fronte alla sua bellezza, come prima, ma stavolta erano molto più aggressivi, continuavano a camminare in cerchio, il fuoco della passione iniziò ad accendersi tutto attorno a quei corpi, Caterina cosa poteva fare?

Iniziò quindi a ballare, mentre una musica inquietante era appena partita, una musica dentro di sé, che non riusciva a riconoscere ma era stata sempre dentro di lei, dormiente, un ritmo fatto di voci di morti.

Questa danza la prendeva davvero tanto, che si dimenticò del fuoco circostante. Ballava, ballava, e ballava ancora, senza fermarsi. A un certo punto fu davvero stanca, ma fu lì che si accorse di non riuscire a fermarsi, quel ballo si stava trasformando in un inferno, in un incubo… era come una specie di… tip tap?! Un ballo che lei odiava, non poteva sopportarlo, eppure le sue gambe continuavano a tappettare e tippettare sulla pista, senza sosta.

“Fatelo fermare, vi prego, chiunque sia stato a farmi questo lo ucciderò!”

E fu questo il suo karma, continuare il tip tap fino alla morte, finché le sue ossa non iniziarono a cedere, le punte dei piedi si infuocarono e tutto il corpo fu avvolto dalle fiamme. Rimase solo il suo scheletro, ancora intero, a ballare quella danza malefica proveniente dalla fattura del suo ex amico. Dopo un altro po’, lo scheletro che era rimasto del suo corpo esplose e tutte le ossa caddero al suolo. La corona rimase intatta, l’unica cosa rimasta di quella notte di stragi di cuori e di sangue.

 

 

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Capitolo 11
*** VIRGINIA ***


VIRGINIA

 

Solite chiacchiere tra ragazze, solita vita, era davvero tutto monotono per Virginia, e le sue amiche Nicole e Genoveffa.

Erano appena uscite dal bar, ognuna di loro avrebbe preso la sua strada per il resto della giornata, quindi si congedarono presto.

“Raga ora devo proprio andare a lavorare, mi attende una mattinata e un pomeriggio davvero noiosi, non ne posso più. Ci vediamo stasera?”

“Siiii” Le altre due approvarono. “Anche io devo stare tutta una giornata davanti a uno schermo, l’ho già detto per caso? Ho un deja-vu, strano…” Si lamentò Nicole, confusa.

“Ah, io adoro il mio lavoro, spedire pacchi è quello che voglio fare per tutta la vita!” Disse entusiasta Genoveffa. Le altre si lanciarono un’occhiata, ma in fondo, se lei era contenta così, perché mettere in discussione il lavoro.

“Stasera andiamo a quel locale nuovo” Approvarono tutte.

Una chiacchierata del tutto normale, e adesso Virginia si accingeva a iniziare la sua giornata di lavoro… normale, normalissima.

Entrò nel suo ufficio, appoggiò la sua borsa sulla scrivania, si diede una sventolata ai suoi capelli biondi quasi dorati, e si sedette sulla poltrona girevole. Uno schiocco di dita, da parte sua, ed arrivò l’assistente.

“James, portami le mie scartoffie, per favore”

Arrivò una montagna di carte, tutte da compilare, approvare e firmare, da questo si capì che la giornata sarebbe stata piena, ma anche molto nella norma.

“Buon divertimento” La salutò James.

“Non ne hai idea” Lasciò un commento criptico la nostra Virginia.

Era ormai passata un’ora e mezza, ma Virginia non stava facendo altro che giocare al solitario sul PC. In attesa… in attesa di qualcosa. Alla fine il momento che aspettava arrivò, a sorpresa, una voce nel suo orecchio sussurrò:
“Vernice Sulla Parete. Pronta?”

“Pronta” Disse decisa Virginia.

Nessuno si accorse di nulla attorno a lei, i colleghi, le persone che entravano e uscivano, era tutto regolare, l’aveva sentito solo lei, giustamente, assieme ad una luce rossa sopra l’orecchio. Qualcosa era chiaramente al posto sbagliato, non era come doveva essere.

Virginia prese una chiave dalla sua borsa, e aprì il terzo cassetto sulla sua scrivania, ne uscì una valigetta, la prese e si assentò per un momento, con la scusa di dover andare nel bagno. E ci andò davvero, ma…

Appena entrò nel bagno delle signore, aprì la valigetta, e a sorpresa ne uscì una persona, una donna, capelli biondi, mediamente alta, un’espressione buffa sul volto, assomigliava moltissimo a Virginia, era una somiglianza sorprendente, infatti:

“Sei pronta a fare il tuo dovere, Virginia?” Fece la donna che aveva aperto la valigetta.

“Certo, anche il tuo, Virginia” Disse l’altra.

“Non farti scoprire, mi raccomando” E fece l’occhiolino. Era tutto pronto, nessuno era in bagno ad osservarle, così si poterono scambiare il ruolo, Virginia passò il testimone e la sua controfigura sarebbe uscita da quello stanzino e avrebbe preso il suo posto su quella poltrona, a compilare le sue scartoffie, mentre lei…

Virginia, quella vera, entrò nel gabinetto, premette il pulsante dello scarico, e si infilò dentro la tazza durante quell’atto di risciacquo. Era la sola via per uscire da quel palazzo dove lavorava.

Le vie dello scarico erano infinite, milioni e milioni di tubi che conducevano chissà dove.

Nel suo caso, il tubo dove viaggiava la portò in una stanza buia, tutta bagnata, si asciugò vicino ad un climatizzatore gigante, prese un elastico e raccolse quei suoi capelli biondi in una coda di cavallo, molto più pratica, si strappò con forza la camicetta, rivelando una tuta nera a prova di proiettili, però sempre all’ultima moda, tolse i jeans invece molto delicatamente, ci teneva parecchio a quei pantaloni, e si mise un altro paio di colore nero.

Rimise il suo cambio d’abiti nella valigetta e la chiuse a chiave, poi mangiò la già menzionata chiave, così sarebbe rimasta al sicuro, e i suoi abiti non sarebbero stati toccati da nessuno. Pose la valigetta nel suo armadietto, quello con il numero 9 affisso davanti allo sportellino.

“Riconoscimento facciale, prego, dai fammi passare tesò” Si avvicinò allo schermo visivo, puntò l’occhio di fronte e la luce divenne verde.

“Accesso consentito” Disse la voce virtuale femminile, con poca personalità.

“Sono qui, cosa abbiamo oggi?”

“Il solito, Paris ne ha combinata una delle sue e adesso le stanno alle calcagna, probabilmente un gruppo terroristico” Disse il Computer sofisticato. Le linee a zig zag indicavano la sua voce.
“Cosa ne sarebbe della mia vita se non ci fosse lei, eh” Commentò sarcasticamente Virginia. Continuò: “Cosa ha combinato stavolta?”

“Ha lasciato il suo fidanzato, il playboy milionario figlio dei coniugi Pacifico, e adesso dei gangster le stanno alle costole.”

“Dai, era racchio e stronzo, non aveva tutti i torti Paris, sono con lei su questa scelta” Commentò ancora la donna.

“Pensaci tu, Agente VRG-009”

“Mi lancio sul pezzo.” Virginia era finalmente pronta e a conoscenza della sua nuova missione. Prese la tessera per la stanza 23, mostrò il badge al sensore, la porta si aprì, e salì sulla sua moto rossa fiammante.

Brumm Brumm Brumm

Il motore si accese, la pista era pronta per essere cavalcata. L’Agente VRG-009 si lanciò sull’autostrada, per percorrere quei kilometri a velocità esagerata, gli autovelox erano impazziti al suo passaggio.

“Vabbè, Paris mi pagherà tutte le multe, che ci devo fa’ “ Pensò tra sé e sé.

Quindici minuti più tardi…

Al centro commerciale, Paris Trumpet, la figlia del Presidente, stava facendo le spese giornaliere, vestiti da quaranta milioni era il suo budget quotidiano, ma era nuovamente in pericolo, come suo solito, stavolta l’aveva fatta grossa, aveva fatto arrabbiare varie famiglie alleate di gangster, che a quel punto la volevano morta.

L’Agente VRG-009 si trovava già lì, pronta a passare all’azione, ma la sua copertura non doveva ancora saltare, indossava un cappello vistoso da turista, e un abito casuale rosa, per non dare nell’occhio. Stava osservando la nuova collezione del negozio, si concedeva anche qualche sfizio durante la missione.

“Devo comprarmeli assolutamente!”

Indossò un paio di occhiali da sole, non curante di quello che stava succedendo lì dentro, ne provò vari ed effettivamente sembrava una turista, adorava provare indumenti anche quando lavorava.

Alla fine dovette ricordarsi per forza della missione, tolse gli occhiali e li rimise al loro posto.

“Ci sono. Quali info abbiamo sulla situazione?” Disse alla spia nell’orecchio.

“Due individui loschi a ore dodici. Proteggere la figlia del Presidente a ogni costo, anche della VITA”

“Mi auguro che non si arrivi a questo…” Disse sarcasticamente, Virginia era una donna molto intelligente, arguta ma anche simpatica, oltre che competente nelle sue missioni, anche se all’apparenza poteva non sembrare.

Si avvicinò alla ragazza ventenne, che non faceva altro che comprare abiti. Ma subito si accorse di lei e urlò:
“Virginia!!! Ciao!” E corse ad abbracciare la sua guardia del corpo.

La copertura saltò immediatamente e i due loschi personaggi iniziarono a sparare colpi dappertutto con dei fucili. Un gruppetto di Ninja sbucò da angoli remoti del centro commerciale, pronti ad attaccare, mentre gli agenti del governo, i colleghi di VRG-009, erano pronti ad intervenire per proteggere la ragazza.

Virginia fu pronta e reattiva a quell’azione, sganciò due pistole Colt B96 dai taschini sulle gambe, dove erano state ben nascoste fino a quel momento. Le puntò contro i due gangster, e premette il grilletto.

“Grazie al cielo che sei qui, Virginia, stavo cominciando ad annoiarmi!” Esultò Paris.

“Scappa, corri, è meglio” Le incitò Virginia.

Molti agenti corsero a prenderla, e con una fune salirono fino al piano superiore del negozio. Mentre Virginia si preparava a vedersela con il clan di Ninja.

“Fatevi sotto boys” Fece un gesto con la mano per farli avvicinare.

Niente più pistole, era diventato un incontro di arti marziali ormai, ma i Ninja non giocavano per nulla pulito, tirarono fuori svariate armi, tra cui coltelli, nunchuck, stelline appuntite, gli shuriken. Virginia li respingeva a suon di pugni, tutta sola, mentre gli altri agenti segreti proteggevano la figlia del Presidente.  Quattro ninja le saltarono addosso, ma con un calcio roteante, li fece schiantare agli angoli del negozio, uno si rialzò, l’agente prese una mazza e prontamente lo impalò.

Il Maestro Ninja era l’unico rimasto in piedi, fece un inchino e si fiondò su Virginia, lei si scansò con una capriola, il Ninja tirò fuori una spada affilata, ma lei contrattaccò con un bastone lasciato a terra da uno degli avversari che aveva messo al tappeto. La mazza si spezzò facilmente, ma lei gli strinse la testa con le due gambe, e la piegò a destra, spezzandogli il collo. Tutti i ninja erano morti, chi ucciso dai colpi di proiettile, chi fatto fuori da Virginia a mani nude.

“Così ti impari a sgualcirmi il mio vestitino rosa” Disse sputando addosso al cadavere.

Virginia uscì dal centro commerciale, Paris era stata portata sana e salva alla sua preziosa villa. Il suo compito era apparentemente finito per quel giorno, se non che…

“009, Paris è al sicuro ora, ma sei stata osservata dalle telecamere del negozio, ora sei l’obbiettivo principale, attenta ai cecchini!”

Controllò l’orologio e si accorse che era già arrivata la sera, tra un combattimento e l’altro; doveva vedersi con le sue amiche.

“Vediamo di fare una cosa di giorno, please”

I cecchini iniziarono a sparare, proiettili volavano da ogni parte, Virginia non potette che tentare la fortuna, con una serie di mosse competenti ed equilibrate, diciamo che erano delle acrobazie, tentò di evitare tutti i colpi sparati da posti anonimi.

Subito però notò un buffet ambulante, con dei crostini ripieni, si fermò un momento.

“Fermi tutti! Freeze!” E i colpi si interruppero momentaneamente.

Virginia provò un paio di crostini, erano saporiti, possiamo dirlo dalla sua espressione compiaciuta.

“Sei e mezzo, non male come sapore. Ora potete continuare a spararmi” Disse rivolgendosi ai suoi aggressori nascosti.

Continuò a correre all’impazzata, fino a che la sua moto non arrivò automaticamente a prelevarla, e fuggì dalla zona di guerra.

“Virginia è in ritardo all’appuntamento. Come dobbiamo fare con quella ragazza?” Disse Genoveffa alla sua amica.

“Eccola che arriva!” Esultò Nicole. Virginia era arrivata di nuovo al momento giusto, ma stavolta uscì dal condotto di aerazione, prima che la potessero notare.

Sempre con il suo vestito rosa, che aveva fornito la copertura durante la missione, si sedette e iniziarono ad ordinare.

Genoveffa notò subito che vi era un buco al bordo del suo vestito:

“Ma che hai combinato? Non è da te portare vestiti rotti o sgualciti!”

“…”

“No Comment” da parte di Virginia.

Ma la conversazione fu interrotta da altri gangster, che fecero irruzione nel locale.

“Tu! Hai mandato all’aria l’attentato a Paris Trumpet!”

Gli individui in giacca nera le stavano ancora al collo, lei fece sbucare dal nulla un fucile ad aria compressa, e fece fuori la prima zona d’attacco.

“Cosa?! Sei un agente segreto e noi non ce ne siamo accorte?!” Genoveffa era sbalordita.

“Tesoro, non prendertela con te stessa, bisogna ammettere che la copertura è stata molto efficiente” Ma in quel momento la sua vera identità era stata scoperta, una fune sbucò dal soffitto e lei la afferrò, fu quindi tirata su al piano superiore dell’edificio.

Si trovava in un grattacielo, ma non era per nulla al sicuro, i colpi continuavano ad arrivare dai piani inferiori, mentre lei correva disperata per le scale, gli aggressori la stava inseguendo di persona stavolta, finché non arrivò in cima al palazzo.

“Non mi prenderete mai! Ci vediamo in giro, piccoli!” Virginia era circondata, ma non ebbe altra scelta se non quella di buttarsi, erano ben 8 piani di caduta.

E si lanciò, sfracellandosi al suolo. Tutti controllarono ed accertarono la sua morte.

 

Mesi dopo, sulla spiaggia di Aruba, una donna bionda con un cappello vistoso, passeggiava e prendeva il sole, si godeva la vita insomma, in quel posto incantevole. Portava gli occhiali da sole, e viaggiava con un’identità nuova.

“Non mi troverete mai” Disse rivelando di essere Virginia. Ebbene sì, prima della sua morte, aveva fatto a cambio con la sua controfigura, e ora fingeva di essere morta, si era quindi ritirata dal suo noioso lavoro.

“Esatto, avete capito bene, stronzi! Sono sopravvissuta al mio racconto! Tiè” Disse rivolgendosi direttamente ai lettori.

 

 

 

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Capitolo 12
*** SERAFINA ***


SERAFINA

 

Giorno 1

La protagonista di questa storia non se la passava affatto bene, almeno dal suo punto di vista: la sua vita era piuttosto monotona, dalle poche cose che conosciamo possiamo dire che oscillava tra il nervosismo e la noia.

“Solita vita, solita storia”

Aveva una casa tutta per sé, ma non abitava da sola, per fortuna c’erano i suoi cani, fedeli compagni di sventura.

Quel giorno Serafina uscì di casa per pagare le bollette…

“Azz, 500 euro tra tutte le bollette, direi che me la sono cavata, che seccatura però…” E chi è che non odiava pagarle?

Uscita dalle poste, dovette provvedere a fare la spesa, per sé e per i cani.

“Altri soldi, eh”

Serafina aveva l’abitudine di lamentarsi spesso, per ogni cosa:

“Solito cibo, eh”

Era abbastanza brontolona e cinica, annoiata dalle solite cose della vita quotidiana, non le piaceva neanche mangiare, si nutriva solo di patatine e insalata, odiava la cucina tradizionale e vari alimenti tra cui carne, pesce, latticini e derivati degli animali, praticamente mangiavano più i cani che lei, una decisione rispettabile, tuttavia.

Tra le altre cose, aveva una relazione seria con una persona che abitava lontano da lei, quindi viaggiava spesso, ma sempre alla solita meta, e la cosa le dava fastidio:

“Ma perché non puoi venire tu da me? Io qui ho il mio nido” Chiese al fidanzato

“Nido? E’ così che li chiamano adesso, i terzi incomodi. Con chi ti stai vedendo, dimmi la verità?!”

“Coglione” E lo liquidò in fretta.

Per andare al lavoro doveva fare chilometri e chilometri, non avendo la patente, ci impiegava varie ore, e in più, era trattata anche male dal suo capo:

“Sei in ritardo” Disse il boss.

“Ehm… io abito a tre ore di cammino da qui, se lo ricorda?” Fece notare Serafina.

“Non mi interessa, prenda qualche mezzo pubblico”

Serafina odiava i mezzi di trasporto, piccoli e pieni di gente che parlava e urlava, erano insopportabili per lei.

Venne così la sera, e la sua unica consolazione erano i suoi cani, che la coccolavano e la viziavano:
“Belli, siete il mio tesoro, come farei senza di voi. Voi sì che avete una vita facile, vorrei tanto sapere cosa si prova ad essere un cane, avrei una vita senza preoccupazioni, senza responsabilità, qualcuno si prenderebbe cura di me, sarebbe tutto più facile…”

Mise quindi i cani a cuccia e si addormentò con questo pensiero.

 

Giorno 2

Serafina si svegliò serenamente, aprendo gli occhi e stropicciandoseli con le zampe…. Un momento… zampe?

“Bau bau bau!”

“Bau bau bau!”

Non riusciva più a capire ciò che stava dicendo, erano tutti versi strani, ma era felice: il suo desiderio si era avverato, era diventata davvero una cagnolina! La vita d’ora in poi sarebbe stata una passeggiata, pensò.

Scese dal letto a grande velocità, andò a salutare i suoi compagni a quattro zampe, oscillava un po’ perché non era abituata alla vita canina, però ci si trovava bene. L’unico problema era non capire ciò che diceva… si prese un attimo per lei, e inizio ad abbaiare di nuovo:
“Bau… bau? Bau bau! (Croccantini! Croccantini!)”

Stavolta capì quello che aveva detto, finalmente poteva parlare e comprendere, e parlare agli altri animali!

“Bau bau bau (Si! E’ fantastico!)”

Non sapeva come fosse possibile che si fosse trasformata in un cane, ma lei ci sguazzava in quella forma. Andò subito a mangiare insieme ai suoi compagni, i quali però si sentirono un po’ spodestati, era la loro zona e il loro cibo, quindi le abbaiarono contro e la respinsero:

“Bau Bau Bau (Questo è il nostro pranzo, bucchina!)”

E la attaccarono mordicchiandola con i denti aguzzi.

“Bau Bau! (Sono io, scemi, la vostra padrona!)”

I cani si guardarono tra loro e fecero:
“Bau? Bau! (Ma crede che siamo dei rimbecilliti? Va via!)”

Serafina fu quindi cacciata dalla sua stessa casa, ormai proprietà dei cani, ma presto sarebbero stati sfrattati anch’essi, in favore di un nuovo padrone umano.

Saltò sulla maniglia della porta blindata e la aprì con il muso, lasciando la sua dimora tanto odiata in precedenza.

“Bau bau bau… (Basta, ho chiuso comunque con quella casa, voglio vivere la vita di strada! Sarà fantastico!)” Abbaiò a se stessa.

Ma quello stile di vita non era certo facile, non sapeva dove trovare cibo, mentre attraversava la strada stava correndo il rischio di essere investita, e c’erano molti altri pericoli.

“Bau Bau! (Non fatemi secca, vi prego!)”

Corse per gli incroci mentre le macchine andavano a zig zag a causa dei suoi movimenti.

Si recò nuovamente al supermercato, come il giorno precedente.

“Bau bau! (Croccantini! Croccantini!)”

Si avvicinò a una busta di cibo per cani e la addentò cominciando ad aprirla. Tutto il cibo sbucò fuori a cascata.

“Bau! (Finalmente anche io mangio!)”

Ma prima che potesse iniziare a nutrirsi, fu presa da una commessa, che la riportò all’ingresso del negozio:
“Che ci fai tu qui? E’ di qualcuno questo cane? Ehilà? Non sapete che gli animali non sono ammessi qui dentro?” La commessa si accertò che non ci fosse nessuno nei paraggi all’ingresso del supermarket, e lanciò via Serafina con forza, facendole abbastanza male.

“Così ti impari. Non tornare mai più”

Serafina era affamata, non aveva altra scelta se non quella di recarsi in qualche vicolo e scavare nell’immondizia, come facevano tutti i randagi. Quell’odore era terribile, si mise una zampa sul muso per non sentire la puzza.

Non ebbe fortuna neanche lì, niente di commestibile. Dopo quel bagno nella spazzatura, cercava un luogo con acqua dove darsi una rinfrescata, ma a sorpresa arrivò qualcuno, che la prese in braccio:

“Abbiamo trovato un’altra randagia, non ha nessun collare” Disse l’uomo, e la pose all’interno del camion, con altri suoi simili.

A quel punto fu spedita in un canile, dove, anche lì, la trattavano davvero in maniera pessima, e la rinchiusero in una ‘cella’ con la rete.

“Da qui non scappi” Le disse il lavorante.

Serafina si accasciò sul pavimento, indebolita ed esausta, la giornata era stata piena di sventure, e in più c’era un’altra sorpresa: continuava a grattarsi, dappertutto, evidentemente stava cominciando ad avere le pulci. Era davvero una sensazione insopportabile.

Alla fine il bilancio della giornata fu decisamente negativo, era bloccata in quel posto tetro, senza sapere cosa fare, non aveva mangiato. La vita da cani non era per nulla come si aspettava. Voleva poter riprovarci, pensava che cambiando animale sarebbe stato più facile, così…

 

Giorno 3

Serafina si svegliò, si accorse dal suo nuovo verso che qualcosa era cambiato, di nuovo!

“Oink Oink Oink!” Il grugnito di Serafina era davvero rumoroso, e piuttosto divertente. Si diede un’occhiata girando su se stessa e rotolando a terra, e vide che si era trasformata in un porcellino.

La maialina Serafina era dunque fuori posto in quel canile, nessuno dei cani riusciva più a capirla, e neanche lei comprendeva quel suo verso, come era successo il giorno precedente, gli addetti di quel luogo si accorsero subito del cambiamento di quella mattina:
“Che ne è stato di quel cane? E’ uno scherzo, ci hanno messo un maiale qui dentro” E la rimossero, la portarono quindi in una fattoria.

“Oink oink oink! (Wow! Mi sono trasformata in Babe, il maialino coraggioso! Niente male però!)”

Adesso che viveva in una fattoria, aveva dei padroni, quindi la sua vita aveva avuto sicuramente una svolta in positivo!

Notò presto una nuova esigenza: doveva rotolarsi nel fango, nella sporcizia, e quel recinto ne era pieno. Quindi iniziò a rotolare, e non fece altro per tutto il giorno, assieme ai suoi nuovi amici porcellini.

Venne la sera e il suo nuovo padrone, la prese in braccio, disse:
“Guarda che bella che sei, sei davvero cicciotta, sarai un ottimo prosciutto!” Prese un’ascia e fece un gesto come per tagliarle la testa, con l’intenzione poi di staccarle gli arti uno ad uno per ricavarne il suo cibo preferito. Ma lei gli grugnì addosso, sparandogli fango sul viso, e scappò.

Inseguita da tutta la famiglia di padroni, non aveva scampo, e fuggì da una parte all’altra della fattoria, finchè non trovò una via d’uscita. E così si ritrovò di nuovo senza una casa, ma la notte era arrivata, si accasciò a terra, con la consapevolezza che la trasformazione sarebbe continuata la mattina successiva…

 

Giorno 6

Nei giorni precedenti Serafina aveva provato mille forme: dal gatto, un essere antipatico che graffiava tutte le piante, al bruco, che oziava per tutto il giorno le foglie degli alberi nell’attesa di trasformarsi in un bozzolo, si domandò perché non avrebbe potuto reincarnarsi in una farfalla, sarebbe stato molto più bello! E invece si ritrovò nei panni di…

“Chioc Chioc Chioc! (E che cazzo di verso è questo? Mai sentito!)” Disse come prima sensazione.

Si accorse presto di non potersi muovere, c’era qualcosa di estremamente pesante che la bloccava, le sue quattro gambe spingevano in avanti per cercare di muoversi, ma era molto difficile. Si sentiva come se avesse avuto una tonnellata sulle sue spalle, come uno zaino che le impediva il movimento.

Era un guscio pesantissimo, vide un po’ le sue gambe, e con la sensazione di pesantezza, capì di essere diventata una tartaruga.

“Chioc Chioc Chioc! (Eh no, non sono certo una tartaruga ninja… Non riesco a muovermi, uffa!)

Il suo guscio-corazza se non altro la proteggeva dal freddo e dai pericoli, non aveva bisogno di padroni, ma sicuramente aveva bisogno di cibo, eppure non riusciva a raggiungerlo, si trovava vicino al mare, lì ci sarebbe stato sicuramente qualcosa di commestibile per lei, anche se non sapeva bene di cosa si nutrissero le tartarughe…

In tutta la giornata riuscì a percorrere solo un paio di metri, eppure si stava sforzando moltissimo, era il massimo che potesse fare purtroppo. In più veniva continuamente toccata da insetti che si trovavano sulla riva, cosa che le dava molto fastidio, e non aveva modo di difendersi, riuscì solo a rinchiudersi dentro la corazza. Stava soffrendo molto la povera Serafina, si addormentò dentro il suo guscio. La vita da tartaruga era sicuramente bocciata, un po’ come le altre vite da animale.

 

Giorno 40

Ormai si era reincarnata in una varietà di animali, si era proprio scocciata di dover cambiare sempre, ogni volta non riusciva ad essere felice, c’erano sempre ostacoli e difficoltà. Ma stavolta qualcosa di nuovo era successo…

“Roarr! Roarr! (Che diamine?! Sputo fuoco, wow!)”

Si diede un’occhiata, e cominciò a sputare un alito infuocato, non poteva essere diventata altro che… un drago!

Il drago Serafina, iniziò a sfruttare le sue preziose e nuove abilità: uso il fuoco per scaldarsi, le zanne per crearsi una dimora fatta di rocce, e si fece una bella volata, già… era in grado di volare stavolta!

Non era male la sua nuova vita. La sua preoccupazione immediata era che avrebbe cambiato animale ancora una volta finita la giornata, doveva trovare un modo per impedirlo…

Tornò al suo covo con quest’idea: c’era un modo per fermare il suo desiderio? Forse se fosse stava contenta di una delle sue vite, non si sarebbe più trasformata! Questo pensò, ma…

Una volta tornata alla sua casa, trovò una brutta sorpresa: dei cavalieri in armatura erano venuti per ucciderla!

“Ti sconfiggeremo, brutto bestione! Salveremo la Principessa, e ci riprenderemo il regno da te!” Dissero in coro.

“Roarr Roarr! (In che epoca mi trovo?!)” Serafina non poteva fare altro che cercare di difendersi, lottare per la sua vita e per arrivare alla vita successiva, se fosse morta evidentemente non si sarebbe più trasformata, sarebbe morta e basta.

Iniziò a sputare fuoco e a volare per attaccare i suoi avversari, che combattevano valorosamente a cavallo e con le loro spade. Tentò la fuga, erano troppi, ma alla fine fu ferita ad un’ala e, mentre volava, precipitò in picchiata, si sarebbe sicuramente sfracellata, se non che, la giornata era finita, quindi si trasformò ancora… e ancora…

 

Giorno 137

“ZZZZZZZZZZZZZZZ”

“ZZZZZZZZZZZZZZZ”

“ZZZ (Ma che sto dormendo, forse? Mi sono trasformata in un ghiro?)” Serafina continuava a svolazzare, si era accorta che stavolta si era trasformata in una mosca!

Non voleva dirlo, ma forse…. Forse, quella era la volta buona che sarebbe stata felice: poteva muoversi velocemente, non aveva bisogno di nessun padrone, era capace di volare e fare tutto ciò che voleva, non faceva altro che cercare spazzatura ed escrementi da toccare, ma a lei stava bene così, la lezione l’aveva imparata, bisogna accontentarsi della propria vita e delle proprie sembianze, e in più, in questa vita nessuno cercava di ucciderla come era successo in precedenza quando era drago, era finalmente felice, finché…

*Splat* Fu spiaccicata da due mani che erano si erano sbattute fra loro.

“Ehi, guardate, ho ucciso una mosca! Evvai, adesso non ci darà più alcun fastidio!” Assicurò il bambino assassino di Serafina.

 

 

 

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Capitolo 13
*** IL GRAN FINALE ***


IL GRAN FINALE

 

“Nessun animale è stato ferito o maltrattato in questo racconto, tranne Serafina ovviamente” Continuò a raccontare il narratore.

“Adesso… la storia Crazy-F: cominciamo…”

Il silenzio tombale nel pulmino persisteva, finché una voce non lo interruppe:
“NO” Fu Genoveffa a rompere l’atmosfera imbarazzante.

“Caro, carissimo Giacomo, ti voglio fare notare che siamo praticamente arrivati al luogo del raduno” Mentiva, era un modo gentile per concludere la narrazione.

“Perché? Dai, ho ancora in mente le storie per Crazy-F, Aura, Robb, Star-fy, Big Mama, Lisanna, Michael e tanti altri!” Disse Giacomo eccitato.

“Non pensi di averci infangato già abbastanza” Si intromise Fiorenza.

“No perché? Sono storielle” Si difese il narratore.

“Ma se ci hai uccisi tutti in modo atroce!” Rispose Nicole. A quanto pareva, sembrava fossero tutti incazzatissimi. I racconti non avevano avuto l’esito sperato, ma se non altro, erano riusciti a intrattenerli, non si erano minimamente accorti che il tempo era passato.

“A me sono piaciuti, ho fregato tutti e sono rimasta viva fino alla fine” Ribatté Virginia, più contenta degli altri.

“Un’altra ingiustizia, perché lei vive e noi no?” Chiese la povera Caterina.

“Ma sono morto anche io, abbiamo avuto tutti lo stesso trattamento, tranne Virginia” Rispose Giacomo.

“A proposito, tu ti sei dato l’unica fine complessa ed empatica, le nostre sono una barzelletta” Fece notare Genoveffa.

“E io che vengo uccisa dal mio ragazzo, ma come ti viene?” Sardina aveva le braccia incrociate, era proprio stufa.

“Ma voi vi lamentate, io intanto sono stato fatto fuori per primo” Anche Pietro ebbe da dire la sua.

Molti erano delusi e avevano tanto da ridire. Serafina prese il panariello della tombola, insieme decisero tutti di mettere i numeri corrispondenti ai loro racconti, quello che sarebbe uscito sarebbe stata la morte effettiva di Giacomo.

Uscì fuori il numero 5, corrispondente al racconto di Genoveffa.

“Questo sarà divertente” Dissero più voci all’unisono.

E così con le mani nude strapparono le parti del corpo di Giacomo, le divisero in razioni e se ne cibarono, in fondo avevano molta fame, il viaggio era stato lungo e loro erano a stomaco vuoto.

Giacomo poteva anche essere fuori dai giochi, ma le storie che avevano sentito restavano, e il malumore riecheggiava tra tutti i membri del veicolo. Ci fu una breve ma accesa discussione, tra chi discuteva dei difetti messi in luce dalla narrazione, chi non ci poteva neanche pensare, chi celava le verità nascoste svelate dai racconti, in cui forse si rispecchiarono.

“Mettiamo in chiaro una cosa: io non sono un’assassina né ho un temperamento” cercò di difendersi Sardina.

“E io non sparlo mica così tanto, no?” Si domandò Calù.

“Io che devo dire, che porto il camion dell’immondizia? Ma serio?” Lisanna era ancora più sconvolta e delusa.

“Io invece sono proprio di classe e cazzuta come mi ha dipinto il racconto, non mettetevi contro questo agente segreto o verrete fatti fuori” Si vantò Virginia, ancora contenta per la sua storia, nonostante stesse un po’ esagerando a quel punto.

Ma si accorsero di una cosa, per cambiare discorso: la località del raduno era stata sorpassata da un pezzo! Perché, dunque, il pulmino continuava a correre? Fu la domanda che si posero tutti quelli che non stavano ancora discutendo dei racconti.

Notarono che il conducente era sparito, si era dileguato misteriosamente mentre loro stavano alle prese con quelle pestifere storie, ma il veicolo era ancora in movimento. Cosa ancora più strana.

“E mò che si fa?” Disse Genoveffa.

Il pulmino stava prendendo una serie di curve e si scontrava con delle piccole rocce sul terreno accidentato. Tutti fecero un balzo e si misero paura immediatamente.

Big Mama prese il comando del trabiccolo, dicendo: “Nessuno farà fuori Big Mama, né una storia né un pullman impazzito”, ma il volante era completamente andato, si muoveva da solo e non permetteva a nessuno di controllarlo. Big Mama lo attaccò per prendere in mano la situazione, ma finì per staccarlo.

Videro a quel punto che una serie di veicoli li stavano rincorrendo, un camion e un elicottero. Erano forse lì per ucciderli? Questo fu il pensiero iniziale di tutti, tra il panico e le urla per la situazione scombussolata.

Tra le varie cose, notarono che il pullman si stava dirigendo verso un burrone. Eh già. La situazione non poteva peggiorare.

“Che facciamo? Proviamo a uscire da qui dentro così almeno ci salviamo la vita” Improvvisò Lino.

Ma, per loro sfortuna, le porte non si aprivano più. La fine per loro sembrava certa e reale, altro che racconti.

“Finiremo peggio che nelle storie di Giacomo” Fu il pensiero di tutti.

“Che facciamo prima di andare… qualcuno vuole fare un’orgia?” Propose Pietro, ma fu respinto da un secco no generale. Tuttavia a Cat piacque l’idea e lei e Pietro scoparono davanti a tutti loro.

“Selfie prima della morte? Si dai” Esultò Lino e scattò con il telefonino.

“O Astri, miei cari Astri, salvatemi da questo destino crudele” Implorò Aura.

Il veicolo, infatti, precipitò giù dal burrone, ma qualcosa non andava…

“Siamo morti, vero?” Genoveffa aprì gli occhi, caddero tutti gli uni sopra gli altri all’estremità del trabiccolo, effettivamente poteva sembrare un’orgia, ma in realtà ciò che successe fu che una delle ruote si incastrò tra le rocce di una sporgenza del dirupo. Erano vivi per miracolo.

“Grazie Santa Lana” Pregò Genoveffa.

Non riuscivano a muoversi, erano tutti stretti in fondo all’abitacolo vicino al motore, ma ci furono baci e abbracci, urla di gioia e capriole di felicità. In più, qualcuno sfondò le porte per farli uscire: erano gli uomini proveniente dall’elicottero e dal camion, non erano lì per farli fuori, bensì per portarli in salvo.

Sembrava davvero che le cose si fossero messe per il verso giusto, come ribaltate, potremmo dire che addirittura quei racconti perversi avessero ‘secciato’ o scongiurato la loro morte.

“Ragazzi, rapporto?” Fece la voce sulla trasmittente in mano ad uno dei soccorritori.
“Tutto a posto, sembrano vivi, per fortuna, passo e chiudo”

“Raga mi sembra la mia storia sugli agenti segreti” Ironizzò Virginia.

“No no, non siamo spie, siamo qui per trarvi in salvo da questo burrone” Disse mentre le pale dell’elicottero continuavano a roteare.

Uno ad uno, tutti salirono sul mezzo volante, sollevati e un po’ impauriti, non sapevano chi fossero quegli uomini, ma gli erano semplicemente grati per l’operazione di salvataggio.

Pietro si fece avanti in quanto leader del gruppo:
“Grazie… ma voi chi siete? Cosa volete e come sapevate che eravamo in pericolo?”

“Non lo sapevamo, infatti, ma vi stavamo cercando già da un po’, poi c’è stata la segnalazione, siamo semplicemente contenti di aver ritrovato le nostre star…”

“Star???” Tutti si rizzarono all’in piedi nel sentire quella parola, cosa voleva dire?

Passarono un paio d’ore, e furono condotti in un luogo segreto… un teatro, era lì che avrebbero presieduto alla serata di premiazione. Si erano tutti cambiati ed erano all’ingresso della sala con i loro vestiti più eleganti.

Il presentatore raggiunse il palco e si avvicinò al microfono, era arrivato il loro momento, il momento più eccitante:
“Miglior soggetto tratto da un romanzo: ecco a voi gli Addicted!”

E si fecero avanti, tutto il pubblico sulla platea li stava applaudendo, gli Addicted fecero un inchino tenendosi per mano, erano molto emozionati e sorpresi.

“Ma quindi lei ci sta dicendo che Giacomo aveva già scritto e pubblicato in segreto quei racconti?” Gli chiese Genoveffa.

“Proprio così, il libro ha vinto anche il premio come miglior romanzo, quindi, vista la morte avvenuta in circostanze misteriose dell’autore, ad ognuno di voi spettano ben due statuette ‘Bookscars’ come premio! Congratulazioni!” Disse il presentatore, con il sorriso ufficiale stampato in faccia.

Così ricevettero tutti due premi, ringraziarono ancora il pubblico che li aveva votati, e il presentatore si apprestò, quindi, a leggere la motivazione, per il premio come miglior soggetto per un romanzo:
“Con i loro pregi e difetti, gli Addicted hanno dimostrato di essere dei personaggi briosi, divertenti, dalle mille sfaccettature, e la loro povera sorte non fa altro che farci tifare per loro, ci hanno mostrato i loro sogni, le loro speranze, i loro fallimenti, ma alla fine sono stati d’ispirazione e punto d’identificazione di molti lettori, dai quali per questo sono stati votati: la simpatia di Pietro, l’energia di Sardina, il buon giudizio di Fiorenza, lo spirito di Calù, la saggezza e l’esperienza di Genoveffa, la genuinità di Lino, la forza e resistenza di Nicole, la determinazione di Caterina, l’ironia e l’arguzia di Virginia, la bontà di Serafina e tutti gli altri, sono qualità che oscurano i loro difetti, quindi noi abbiamo apprezzato tanto questi personaggi, e speriamo di vivere ancora tante storie insieme a loro, in qualche modo ci influenzano e ci migliorano.” Ecco dunque spiegata la vittoria.

Erano tutti molto emozionati da quelle parole, toccati nel profondo dell’animo, non si aspettavano per nulla tutto quel successo di racconti che addirittura li avevano fatti arrabbiare, invece si erano rivelati di grande gusto e apprezzamento da parte di tutto il pubblico.

Ognuno di loro custodì quell’esperienza dentro di sé, e cercarono di preservare la loro amicizia, nonostante le loro vite presero strade molto differenti, ma in un certo modo, tutti divennero famosi dopo quella sera.

Pietro partecipò a un reality show, cosa che era un po’ il suo sogno, dove conobbe tante donne, e riuscì a vincere il milione di euro.

Sardina e Crazy-F divennero astronauti e coronarono il loro sogno di viaggiare nello spazio.

Fiorenza e Michael si sposarono, vissero un felice matrimonio, allevarono i loro dieci figli, aprirono un’accademia di arti e letterature dove crescere i propri figli nella sapienza.

Calù aprì una rubrica in TV sul gossip, e lì i suoi pettegolezzi furono apprezzati da un pubblico molto vasto, mentre Aura aprì una rubrica sui segni zodiacali e divenne la nuova Paolo Fox.

Caterina aprì invece un resort in una località di mare, con annessa scuola di danza e parco dei divertimenti a tema horror, che la piaceva tanto.

Nicole e Genoveffa iniziarono a presentare un programma sulle serie TV, dove consigliavano storie a tutti gli amanti della serialità.

Virginia, visto che le piacque tanto il suo racconto, mollò il suo lavoro e divenne davvero una spia del governo, molto ben pagata.

Serafina fu incaricata del più grande Zoo che si sia mai visto, in quel modo poteva stare a contatto con gli animali che adorava, anche i più selvatici, ma lei sapeva bene come renderli più docili con la sua dolcezza.

Lino divenne il volto di diversi sponsor pubblicitari, anche egli, come tutti del resto, fece un sacco di soldi con il suo lavoro.

Lisanna fu una grande studiosa e si laureò ben 8 volte nelle materie più disparate, e divenne una professoressa di università.

Big Mama fu semplicemente amata dalla sua famiglia ed ebbe una lunga vita, oltre cento anni.

Insomma ognuno di loro trovò il successo sperato dopo quella sera dei Bookscars, quei premi gli portarono fortuna, e realizzarono chi in un modo, chi in un altro, i propri sogni, sebbene si fossero separati gli uni dagli altri per motivi di lavoro. Ricordate, mai smettere di credere nei vostri sogni!

 

FINE

 

 

 

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