I nostri occhi

di SalmaDirectioner99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nulla è più importante della famiglia, dell'amore e degli amici. Me lo dicono tutti, dimenticando che la mia famiglia si sta sgretolando, che gli amici ti voltano le spalle e che l'amore, se non sempre, spesso ti tradisce. Devi essere felice di quello che la vita ti ha dato, dicono ancora. Ma la vita non mi ha dato niente che io non mi sono presa con le mie mani. Dicono, dicono, dicono. Ma non capiscono. Entro nella mia stanza e sbatto la porta. Quella è la mia cameretta da 4 anni, non da sempre. Spoglia e priva di ricordi, per paura che un giorno quei ricordi possano portarmi malinconia. Mi guardo allo specchio e vedo lei, nient'altro che lei, se avesse la mia età. Saremmo ancora identiche, lo so, se non fosse per quel suo sorriso unico. Mi butto sul letto e chiudo gli occhi. Ed ecco, sono lì, nell'unica stanza della casa che evito sempre. La mia vera stanza, la nostra. Quella in cui abbiamo dormito dal momento in cui non abbiamo avuto più paura di separarci da mamma e papà. Sono lì, tra il mio letto e il suo, tra il suo caos e il mio. Tra i suoi 14 anni e i miei. Ora sono cresciuta, ne ho 18. Ma ora come ora, sono bloccata nella me 14enne, quando la tragedia ancora doveva succedere. E noi tranquille passavamo le notti a raccontarci i segreti che solo le sorelle si dicono. A consolare i pianti l'una dell'altra, quando un ragazzino ci spezzava il cuore. Sono in quella stanza e riesco a respirare il suo odore, a vedere la sua ombra mentre si muove nel bagno. Riapro gli occhi e sono nello studio di papà, al quale ha rinunciato per trasformarlo nella mia nuova camera. Nonostante io tenga quella porta chiusa a chiave, insieme ai miei sentimenti, la sua mancanza mi schiaccia il cuore e me la porto dentro ogni giorno come un peso inevitabile. Non c'è più famiglia senza di lei. Non c'è più amicizia senza di lei. Non c'è più amore, senza l'amore di mia sorella.

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Capitolo 2
*** 1 ***


Scendo le scale lentamente, so già che in cucina mi aspetta una tazza di caffè caldo. Scalino dopo scalino i miei capelli rossi e lunghi si muovono davanti a me, coprendo quasi totalmente la maglia del pigiama con il volto di topolino disegnato sopra. Ed eccola, l'unica ragione per svegliarsi alle sei di mattino anche in una giornata d'estate. Una tazza di caffè fumante sul tavolo della cucina, con accanto il solito biglietto "torniamo Stasera". Mamma e papà da quando siamo rimasti noi tre, cercano di passare tutto il loro tempo fuori casa. Quasi dimenticando che seppur una figlia è andata l'altra ancora è qui e ha bisogno dei genitori. Sospiro, prendo la tazza e mi accomodo sul divano. TV e telefono, la fine della mia produttività. Alle 10 decido che quattro ore a procrastinare bastano, per oggi almeno. Corro in camera e in due secondi mi infilo pantaloncini e maglietta, Adidas e si parte. Le cuffie nelle orecchie mentre le parole di Dua Lipa accompagnano i miei passi per le strade soleggiate di Roma. Naturalmente brulica di turisti affamati di fotografie. Quel Colosseo l'avrò visto mille volte, ma rimane comunque una meraviglia tutta italiana. Decido che non è abbastanza stimolante girovagare sola, quindi contatto immediatamente Lorenzo sperando che abbia voglia di venire a darmi un bacio. Digito il suo numero, che finalmente sono riuscita a memorizzare dopo tre anni che stiamo insieme. Squilla. Squilla. Squilla. Nessuna risposta, chissà che fine avrà fatto. Dovrebbe essere a lavoro, questo lo so. Ma non è opportuno andare a controllare, giusto? Al diavolo. Mi dirigo a passo veloce verso il bar dove fa da cameriere. Un sorriso in volto mentre il sole attraversa la mia pelle e mi ricorda che è estate, la mia stagione preferita. Infondo vale la pena vivere questa vita, nonostante tutto ciò che è successo. Lorenzo ed io abbiamo una relazione stabile, solida. Lui ha 20 anni, due più di me. Dopo il 4 settembre di quattro anni fa, non riuscivo ad allacciare rapporti con nessuno. La scomparsa di Natalia mi aveva segnata in maniera irreversibile, era l'unica amica di cui avevo bisogno e improvvisamente, non c'era più. Quando vidi lui la prima volta, mi parve di rivedere gli occhi teneri di mia sorella ed ebbi la sensazione che lui fosse lì per me, mandato da lei per colmare il vuoto che mi aveva lasciato. Mi aveva fatta innamorare piano e cautamente, misurando ogni parola ed ogni passo. Arrivata davanti al bar decido di chiamarlo ancora. I tavolini posti fuori erano tutti occupati, ma riuscivo a vederlo oltre il vetro della porte e della vetrina. Eccolo, appoggiato al bancone con il pacco di sigarette in mano, probabilmente a breve uscirà a fumare. Decido quindi di aspettare, di fargli una sorpresa.
Ma rimango sorpresa io quando lo vedo uscire tenendo per mano un'altra ragazza. Questa porta la sua stessa divisa, è una sua  collega. Senza rendermene conto mi avvicino, incredula per vedere meglio, le da un bacio.
Ecco, sento la rabbia salire. La delusione, il mondo che gira, gira ancora e poi cade. Il mondo si è rotto e mi sono rotta anch'io, un'altra volta. Lorenzo alza lo sguardo ed incrocia il mio, allontana il suo corpo da quello della ragazza e viene verso di me. Io rimango immobile, impaziente che mi raggiunga.
"Davvero, non è come sembra."
Davvero, sei una merda.
Senza neanche volerlo o pensarlo, il mio corpo fa da sé e gli tira un ceffone su quella guancia che un tempo divoravo di baci. Mi brucia la mano, come so che brucia la sua faccia, ma non basta. Alzo l'altra mano e schiaffeggio l'altra guancia, quella che a quanto pare mostrava a quella ragazzina. Almeno non ribatte e prende tutti gli schiaffi che sa di meritare, pezzo di merda. Non mi servono spiegazioni ne giustificazioni. Ho visto con i miei occhi, gli unici di cui, a quanto pare, mi posso fidare ciecamente. Si chiude così una relazione apparentemente perfetta, una realtà che mi permetteva di continuare. Crollo sul mio letto non appena riesco a raggiungerlo. Un pianto distruttivo prende il sopravvento del mio corpo, mi inonda il viso e scuote il mio petto. Nemmeno i respiri profondi funzionano. Chiudo gli occhi, ecco, sto viaggiando nel tempo. Ecco, Nataly mi abbraccia mentre faccio colazione. Ecco, Lorenzo mi regala un fiore il giorno di San Valentino. Ed ecco, apro gli occhi. Lo specchio di fronte al letto mi mostra la realtà: io presa a schiaffi dalla vita.

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Capitolo 3
*** 2 ***


Sento bussare alla porta e mi sveglio da un sonno profondo. È mamma, lo so già, senza bisogno di aspettare che apra la porta per scoprirlo. Due colpi deboli, lenti sulla porta. Lei bussa così. Da sempre è stata una brava madre, ha cresciuto me e Naty con amore e attenzione, seguendo ogni passo. Eravamo il trio inseparabile, noi. Eravamo amiche, e l'amicizia che avevamo era la migliore che si poteva condividere tra madre e figlie. La porta si schiude piano e fa capolino una chioma rossa come la mia, poi la fronte su cui iniziano a comparire delle piccole rughe d'età. Ed ecco i suoi occhi, il suo volto ed infine lei.
"Ehi." dice calma mentre si avvicina al letto e si siede.
Ne approfitto per guardare l'ora, sono le 23.41 e loro sono appena rientrati, lo capisco dal suo abito elegante.
"È un altro di quei momenti?" mi domanda.
So bene a cosa si riferisce. Dopo quattro anni ancora non riesco ad andare avanti e di tanto in tanto crollo, fino ad aver bisogno di uno psicologo. Lo so bene che nemmeno loro stanno bene, ma fingono meglio di me.
Cerco i suoi occhi, sperando che almeno questa volta incontrino i miei. Non succede da parecchio. Sia lei che papà faticano a guardarmi in faccia, sarà per il viso identico a quello di Natalia, per la voce simile e i gli stessi capelli. Sarà che vedono in me quello che già hanno perso una volta, una figlia.
"Lorenzo ha un'altra." sgancio la bomba.
Ed ecco che la bocca di mamma si allarga in un espressione sconvolta. Sgrana gli occhi. Fa male anche a lei questa notizia. Lorenzo faceva parte della famiglia, ed entrambi i miei genitori lo trattavano come figlio loro.
Non mi risponde ed il silenzio accoglie il mio pianto disperato che ancora una volta mi fa tremare. Le braccia calde di mia madre mi accolgono in un abbraccio, mentre appoggia le sue labbra sulla mia fronte.
"Piccola mia.." riesce a dirmi con voce debole e delusa.
"Ogni ferita su quel tuo cuore è ingiusta, quel tuo cuore così buono di altrettanta bontà non ne ha ricevuta."
Le sue parole mi fanno piangere di più, e di più. Mi stringe finché non cado addormentata tra le lenzuola.


Sole, luce che mi trasmettono un po' di positività entrano dalla finestra svegliandomi. Decido che un giorno e una notte passati a piangersi addosso senza fare nulla sono abbastanza. Che per questa questione almeno, devo andare avanti. Per me i cambiamenti d'umore sono abbastanza frequenti, ma non credo di essere bipolare, no. È che in momenti come questo cerco di farmi forza, di vedere il lato positivo. Però spesso questo mio farmi forza viene e va, lasciandomi scombussolata e facendomi vivere giorni tristi, disperati e giorni in cui me ne frego e sto tranquilla. Oggi, per l'appunto me ne frego e sto tranquilla. Ho deciso così.
Mi vesto e mi metto i miei panni migliori, sempre adatti a una giornata d'estate che probabilmente passerò a camminare. Una gonna rossa e una camicetta bianca. All star bianche. Mi trucco con cura e sistemo i capelli in una treccia morbida che mi arriva quasi fino al sedere. Ci ho messo anni a farli crescere così tanto. Esco e mi dirigo alla fermata dell'autobus, sicuramente la mia amata Roma mi farà sentire meglio. Faccio una passeggiata per piazza di Spagna osservando i monumenti storici che amo alla follia, come amo l'arte. Mi fermo a fare qualche foto, tiro fuori la Canon dalla custodia quando un ragazzo maldestro mi sbatte contro. Fortuna che la macchinetta fotografica è legata al mio collo, se mi fosse caduta sarei stata capace di prendere a sberle anche lui.
"Scusa.." dice con aria menefreghista mentre riprende a giocare con il cellulare.
Che gente, penso mentre lo vedo allontanarsi. Scatto le foto, ne scatto tante. Vorrei tanto avere un'amica con cui condividerle, ma è vero che più cresci e meno amici hai, ed io all'età precoce di 18 anni già sono sola come un cane! Scaccio questo pensiero negativo, per evitare di tornare a rimuginare su quelle amiche che tanto mi hanno delusa. Oggi no, mi dico. Oggi sto bene.
Dopo qualche ora il caldo inizia a darmi alla testa e mi sento stanca, è tempo di una pausa. Senza pensarci due volte cammino veloce verso la gelateria migliore del mondo. Ice cream art. Già il nome dice tutto. Purtroppo tutti i tavolini sono occupati, ma c'è un posto libero al tavolino di un ragazzo. Che faccio? Mica posso sedermi lì e iniziare una conversazione? No certo che no. Posso sedermi e ignorarlo. Mi avvicino, un po' imbarazzata. Prima di sedermi mi rendo conto che è il ragazzo di prima, andiamo bene!
Tiro la sedia e prima che io possa appoggiare le chiappe sul metallo freddo lui parla.
"Ferma, che fai!" mi fa sobbalzare, poi lo guardo storto.
"Mi siedo?" dico con tono al tempo stesso arrogante e incerto.
"Sto aspettando una persona.." mi guarda dritta negli occhi.
Io mi fermo, congelata dalla sua frase nel bel mezzo di agosto. Che imbarazzo, perché non ci ho pensato! Afferro il telefono che avevo appoggiato sul tavolino e silenziosamente faccio per andarmene. Una figura di merda, oltretutto niente gelato nel mio posto preferito. È possibile essere così sfortunati?
"Sto scherzando!" ridacchia.
Io mi risiedo di peso e lo guardo truce e incazzata.
"Piacere Nicolò." mi porge la mano e mi rivolge un sorrisone.
Che testa di cazzo, penso tra me e me. Ma gli sorrido anche io e gli porgo la mano.
"Debora." taglio corto.
Lui annuisce con la testa, rendendosi conto di non avere davanti una persona molto sociale.

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Capitolo 4
*** 3 ***


Quel giorno alla gelateria passò tra sguardi storti e silenzi. Quel ragazzo non mi disse nulla, mi fissò per un po' e si arrese all’idea che non ero interessata ad un amicizia o nulla del genere. Prima di andarsene però mi porse un pezzetto di carta con su scritto ‘Nicolò Martino, cercami su Facebook’. Un messaggio chiaro che ovviamente avrei ignorato, ma per sicurezza presi il foglietto e stropicciandolo lo misi in tasca.
 
Dopo cena prendo il pc e mi butto sul letto, uso come scusa per me stessa che voglio ascoltare un po' di musica. Ma appena il computer è operativo digito www.facebook.com. Motore di ricerca, scrivo Nicolo Martino. Mille Nicolò Martino. Uno solo però è di Roma quindi clicco sul suo profilo. Una foto con un sorriso a bocca spalancata, giuro che quasi riesco a vedere la sua gola! Occhi sgranati e felici. Indossa una maglietta sbiadita degli Imagine Dragons e in mano regge il suo a quanto pare inseparabile cellulare. Che tipo! Decido che forse un amico non mi fa male e a occhi serrati per il sacrificio che sto per fare, premo aggiungi amico. Questione di pochi secondi prima che sullo schermo appaia la notifica ha accettato la tua richiesta. Pare che stava aspettando quello. Ah no, lui ha una dipendenza cronica per il cellulare. Già mi pento, sicuramente è uno strano. Poi un ding mi fa sobbalzare, un messaggio. Accidenti.

Da Nicolò:
Mi dai il tuo numero? Whatsapp è più comodo.

Caspita, diretto e conciso. Evita. Evita. Evita. E invece no, il messaggio già l’ho letto ed è brutto visualizzare senza rispondere.
A Nicolò:
Mi fai pentire di aver schiacciato su quella richiesta d’amicizia!

Da Nicolò:
Sei ancora in tempo per toglieremi dagli amici…!

Pure il faccino sorridente, che arrogante!


A Nicolò:
Ci puoi scommettere che ti tolgo dagli amici!

Da Nicolò:
Va bene, è stata un’amicizia breve ma intensa. Mi mancherai.
Il suo messaggio mi fa sorridere, forse non è poi così male. Non lo rimuovo dagli amici, spero però che non se ne accorga. Infondo, non mi ha fatto niente di male. A parte aver quasi fatto cadere la mia adorata macchina fotografica. Chiudo il portatile e lo poggio sul comodino. Penso a quello che mi disse lo psicologo l’ultima volta che c’andai.
Gli amici sono importanti sai, non ti lasciano mai sola con i tuoi brutti pensieri. Fatti qualche amico.
Fatti qualche amico, ripete la mia mente. Come se fosse facile. Come  si fa a farsi degli amici?
 
L’estate continua spietata portando sempre più caldo soffocante. Passo qualche giorno chiusa in casa sotto la grazia del condizionatore e lavorando sul libro che spero di pubblicare presto. La scuola non mi è mai piaciuta, nonostante il linguistico sia una scelta ottima  e le lingue mi piacciono, penso che la scuola non ti insegna nulla di utile. Fare la scrittrice è il mio sogno, ma chi te lo insegna questo? Nessuno, lo impari da te a mettere sui fogli i tuoi sentimenti. Alterno ore davanti al pc e alla tv con qualche tuffo in piscina. Sempre sola però. I miei assenti, mia sorella dispersa chissà dove. Sono immersa nell’acqua calda quando brutti pensieri iniziano a rimbombarmi per la testa.  Sospiro.
Gli amici sono importanti sai, non ti lasciano mai sola con i tuoi brutti pensieri.
Ci penso e ripenso, forse ha ragione. Con le mani ancora bagnate afferro il telefono e apro facebook. Cerco il suo contatto e apro la chat. La fisso per un po', non sapendo che scrivere. Poi mi decido. Gli scrivo il mio indirizzo e gli dico di raggiungermi se può. E di portare il costume. Certo che farsi degli amici costa proprio tanto. Si illumina lo schermo.


Da Nicolò:
Sissignora.

Ci mette così poco che mi fa pensare abiti vicino casa. Sarebbe assurdo che non mi sono mai accorta della sua esistenza. Quando gli apro la porta lo trovo già in costume e senza maglietta, infradito e un asciugamano in spalla. Mi sorride.
“Ciao!” dice entusiasta.
Ricambio il saluto e lo invito ad entrare. E’ parecchio tempo che qualcuno non entra in casa, esclusa la signora delle pulizie. Si guarda intorno prestando attenzione ad ogni cosa. Si passa una mano sui capelli sudati, deve patire il caldo più di me. Arriviamo in giardino e quando vede la piscina esclama entusiasta
“Ah, ci voleva proprio!”
Si toglie le ciabatte, poggia l’asciugamano a terra e senza pensarci due volte si butta in acqua.
“Vieni” mi dice.
Mi tolgo il copri costume e mi siedo a bordo piscina.
“Allora, che scuola fai?” decido di parlare dopo aver fissato le mie gambe molleggiare.
“Il tecnico, ma ho finito a luglio.” Fa un’espressione sollevata che invidio.
“Beato te!”
Ci lasciamo andare alle chiacchiere e nonostante sia veramente strano, trovo che sia bello avere un quasi amico. Nelle due ore che abbiamo passato in giardino ho appreso che ha una sorella più piccola. Vive nella via dietro la mia e a quanto parte anche lui di amici non ne ha molti.
Quando la sera se ne va, affermando che sua madre si arrabbia se non mangiano insieme, io mi sento una persona un po' più normale. Una ragazza che ha passato un pomeriggio a socializzare e cercare di farsi un amico. A parlare del più e del meno. Ogni tanto, pur non volendolo, mi scappava un sorriso. Deve essere così avere un amico, ma forse è troppo presto per dirlo.

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Capitolo 5
*** 4 ***


Suona il campanello, una, due, tre volte. Guardo l’ora, sono le 10 del mattino. Sicuramente a suonare non sono i miei. Ieri all’ultimo minuto mi hanno avvisata che avevano una riunione importante con altri medici a Bruxelles, quindi sono sola per i prossimi tre giorni. Gli occhi mi fanno male e ho ancora un sonno tremendo. Non ricordo nemmeno quando mi sono addormentata. Mi alzo, mi gira la testa. Scendo le scale e mentre vado verso la porta noto la tazza di caffè sulla penisola in cucina. Mamma deve avermela preparata prima di partire. E’ strano che una mamma medico incoraggi in questo modo a bere caffè, ma lo sa che senza quello non mi alzo dal letto. Guardo dallo spioncino della porta prima di aprire. Nicolò tiene le mani in tasca e si dondola facendo tacco-punta con i piedi. Se li guarda attento, scarpe nere rovinate. Cerco di nascondere il mio stupore nel vederlo lì e penso che forse è uno stalker e dargli il mio indirizzo non è stato proprio geniale. Eppure gli apro.
“Ehi, buongiorno!” quella sua voce allegra torna a suonare nelle mie orecchie e quasi mi da fastidio.
“Giorno.” Dico piano mentre apro la porta per permettergli di entrare.
“Che sei venuto a fare?” mi esce dalla bocca, ma non è quello che volevo dire. Almeno, non in quel modo.
“Ecco, io non pensavo di disturbarti.. ieri hai detto che non stai facendo niente in questi giorni e.. non so.” Dal suo tono impacciato e un po' triste intuisco che ci è rimasto male.
“No, scusami. Non volevo pormi in quel modo, solo che non ricevo spesso delle visite.”
Intanto ci dirigiamo verso la cucina e prendo la tazza che trovo poggiata sul tavolino davanti al divano.
Giurerei di averla vista sulla penisola della cucina qualche minuto fa… scaccio il pensiero e non ci do troppo peso. Sono stanca e la mia mente non regge.
“Ma i tuoi genitori non sono mai in casa?” mi chiede poggiando i piedi sul tavolino di legno scuro. Se sapesse quanto è costato, forse ci avrebbe pensato due volte.
“Tanto per cominciare, se mia madre ti vedesse con i piedi la sopra ti caccerebbe in men che non si dica!” scherzo. Lui arrossisce e poggia i piedi sul tappeto.
“Comunque sono a Bruxelles, sono partiti stamattina presto, o stanotte. Non saprei. Mia madre è medico e mio padre è uno psicologo. E se pure non fossero partiti, non sarebbero comunque a casa. Sono sempre in giro.”
Lui fa un fischio.
“Caspita, sono persone da stimare!” afferma.
Già.
“E i tuoi?” chiedo io, con nessuna cattiva intenzione.
Silenzio. Silenzio e ancora silenzio. Imbarazzo.
“Ho fatto una domanda inopportuna?” prendo coraggio e lascio uscire le parole.
“Oh, no. Solo, stavo pensando a come risponderti. E’ sempre così quando me lo chiedono. Non so se parlare dei miei genitori biologici o dei miei genitori adottivo.”
Ah, caspita.
“Alla fine parlo di entrambi.” Aggiunge sorridendomi, “i miei non li ho mai conosciuti. So solo che sono Americani, California per la precisione.”
“Quindi lo sei anche tu.” Intervengo io.
“Mi sento molto più italiano, sai! Sono stato adottato appena nato. Mia madre era giovane e non era in grado di tenermi, quindi i miei che erano lì per lavoro mi hanno adottato.” Si tortura le pellicine delle unghie togliendole una ad una. La schiena curva, le gambe divaricate e i gomiti poggiati sulle ginocchia.
Bella storia insomma, un americano finito in un paese di merda. Poteva andargli meglio!
“E scusa che lavoro fanno?” voglio cambiare discorso perché so che parlare del passato non è sempre bello.
“Mio padre è un ingegnere e mia madre è fotografa.. infatti se entri in casa mia vedi solo foto, ovunque, su ogni parete!”
Sento che potremmo parlare per ore, ma decidiamo che farsi un tuffo è meglio. Passa tutta la giornata da me e quando fa buio chiamiamo la pizzeria e ordiniamo la cena. Mi chiede se voglio vedere un film, ma gli dico di no. Voglio fargli vedere le mie foto. Infondo questo si fa con gli amici o sbaglio? E mi costa ammetterlo, ma temo che la nostra stia diventando proprio una bella amicizia. Mentre saliamo le scale lui si ferma dietro di me. Lo so perché non sento più i suoi passi. Mi giro, è fermo davanti una fotografia incorniciata.
“Perché in questa foto hai gli occhi verdi?” mi chiede.
Ecco, il discorso che volevo evitare almeno per un altro po'. Natalia.
“Non sono io quella.” Parole pesanti.
“Seh!” dice senza pensarci.
“E’ mia sorella gemella. E’ scomparsa quattro anni fa.”
Un altro silenzio.
“Ah, voi siete le gemelle.”
Le sue parole mi feriscono, noi siamo quelle gemelle. Una famiglia fatta a pezzi, la faccia di Natalia è finita in tv mille volte e questo imbecille non mi ha riconosciuta.
“Scusa ma mi è venuto un tremendo mal di testa. Mi sa che è meglio se te ne vai.”
Lo accompagno alla porta e mi sembra quasi di sentire i suoi pensieri. Sul suo volto colgo consapevolezza. Consapevole delle parole sbagliate che ha detto.
Quando chiudo la porta sento un rumore assordante venire dalla mia stanza. E’ caduto qualcosa. Ma chi l’ha fatta cadere? Mi munisco di coltello preso alla svelta in cucina, non sono nemmeno sicura di come si usa.

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