Il calice di Anna

di anilasnoches
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Al camping ***
Capitolo 3: *** Il lago di Paola ***
Capitolo 4: *** All'ombra di un leccio ***
Capitolo 5: *** Oltre il cuore di tenebra ***
Capitolo 6: *** Il mondo nei miei occhi ***
Capitolo 7: *** Dal diario di Massimo ***
Capitolo 8: *** Dal diario di Anna ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il più grande svantaggio di vivere in un seminterrato è che la mattina quando ci si sveglia,e fuori c’è una bella giornata,non si può ammirare nessun panorama attraverso le finestre.Probabilmente era per questo che,nella mente autolesionista di Massimo,ogni mattina le prime parole a cui pensava fossero quelle che suo padre soleva dire quando le cose si mettevano male.
-- Per quanto possa essere difficile la tua vita,per la sola possibilità di poter guardare il cielo azzurro illuminato dal sole ogni mattina questa varrà la pena di essere vissuta.
Ora non si trovava più nella sua vecchia camera a casa dei suoi,dove si apriva un balcone affacciato su un terreno alberato.Osservando l’unica miserevole finestrella della stanza,di circa mezzo metro per venti centimetri,quelle parole per lui erano una beffa più che mai.
Scacciando via questi pensieri si ricordò che il motivo per cui fosse già sveglio alle sei di mattina,si doveva al fatto che di lì ad un’ora e mezza sarebbero passati a prenderlo il suo amico Pino,accompagnato dalla fidanzata Cosima,per una sette giorni in un camping a Sabaudia.Probabilmente avrebbe optato per una permanenza in città durante quella settimana di ferie piuttosto che farsi convincere a fare il terzo incomodo,se non fosse che in quel periodo si registravano temperature altissime;infatti,in quella prima settimana di settembre nella periferia di roma-sud dove abitava,il caldo sembrava quasi indotto aritificialmente.Nel suo appartamento seminterrato poi stagnava un’aria talmente umida che,per chi non ci fosse abituato, nel giro di un paio d’ore avrebbe rischiato il soffocamento.
Dopo essersi lavato da capo a piedi e aver indossato un’anonima maglietta bianca,un paio di bermuda a tema militare e un paio zoccoletti marroni - non avrebbe mai indossato delle scarpe con quel caldo,dato il suo grave problema di eccessiva sudorazione ai piedi - preparò un’austera valigia ridotta all’essenziale.
Ora gli toccava parecchio da aspettare,essendosi svegliato come di consuetudine molto prima dell’appuntamento prefissato,in modo tale da essere "strasicuro" di rispettare il suo puntualismo maniacale.
Seduto sul letto,non aveva granchè nella sua stanza per rifarsi gli occhi,che nel complesso risultava piuttosto spoglia.Un portapenne in ceramica,su cui erano dipinte delle raffigurazioni ondeggianti verde olivastro e giallo oro su uno sfondo dalle varie sfumature di blu,sembrava ricordare al resto della stanza che lo spettro dei colori visibili dall’uomo fosse ben più ampio.Questo stava su una di quelle scrivanie metalliche grigie che si possono raccattare dalle scuole pubbliche con due cassetti annessi che,assieme ad un piccolo armadio in compensato bianco – il quale conteneva quasi tutta la sua “roba”,dai vestiti ai libri - competava l'arredamento.Sulle pareti,sempre di colore bianco,non era appeso o attaccato nulla.Inoltre,per via della metodicità con cui veniva messa in ordine,non dava nemmeno la soddisfazione che l’occhio potesse cadere su qualcosa fuori posto - sembrava quasi la cella di un detenuto,se non fosse stato per il pavimento di grosse mattonelle grigiobianche che in quel caso prendevano il posto del tipico parquet degli edifici pubblici.
Quando stava quasi per crollare nella nostalgia,sentì bussare alla porta di casa.Andò ad aprire,trovando Pino e Cosima accompagnati da una terza persona.Cosima portava un top a fascia rosa,degli short jeans e degli infradito.Pino invece indossava una camicietta bianca su un pantalone di cotone blu e mocassini bianchi ai piedi.Sulla spalla reggeva con una mano la giacca del completo,come a ricordare a tutti che non ne indossava una solo perché faceva troppo caldo,oltre ad un orologio da polso col cinturino in plastica – immancabile status symbol in una persona che ci teneva a non essere confuso con un squattrinato a spasso,malgrado lui non appartenesse nemmeno alla classe media.La terza persona era una ragazza:l’altezza equivaleva a quella di Massimo,circa un metro e settanta.Aveva una pelle diafana,in forte contrasto con gli occhi scuri e cadenti - di una profondità che sembrava celasse un cuore di tenebra tutto da scoprire,per chi avesse avuto il coraggio di esplorarlo.Indossava un vestito grigio talpa col colletto bianco da grembiule delle scuole elementari che le ricadeva largamente fino alle ginocchia,scarpette nere senza tacco e un cappellino argenteo tipicamente da mare.Nella semioscurità di quel pianerottolo i suoi capelli castano scuro sembravano neri come la pece,realizzando,assieme al resto della sua figura,una scala di grigi che suscitavano in Massimo la nostalgia di un’epoca mai vissuta.Quella ragazza sembrava l’anacronia fatta persona,pensò.
Se ne stava a braccia conserte e con lo sguardo rivolto verso il pavimento,prima che Pino la presentasse a Massimo.Quando gli si avvicinò per stringergli la mano,sciolse le braccia conserte e scoprì un fazzoletto bianco ornato da un merletti rosso legato al braccio sinistro.
Si chiamava Anna.Un nome che,come anche l’aspetto,non suggeriva nessuna persona conosciuta a Massimo.Scese un silenzio ingombrante sulla scena.A Pino i silenzi che non erano quelli che scandivano le pause per prendere fiato fra una parola e l’altra erano sempre pesati molto - in particolar modo se si sentiva tutti gli occhi puntati addosso.Quindi,con una voce caricaturale per suscitare maggiore ilarità – ma che invece lo faceva sembrare solo più ridicolo – e con i suoi occhi a palla strabuzzanti dalle orbite,prese a parlare.
-- Allora Massimì,ma da quant’è che c’aspetti?Sai – continuò rivolgendosi ad Anna – Massimino la mattina si sveglia così presto che si dovrebbe pigliare un gallo come animale domestico --.
Ad Anna riusci solo di fare un sorrissetto,mentre Massimo storceva la bocca.Aveva più volte avvisato Pino che odiava quel vezzeggiativo,perché era così che il direttore della casa di riposo dove lavorava usava chiamarlo e che lui vedeva come un subdolo pretesto per ricordargli regolarmente la sua inferiorità gerarchica come operatore socio sanitario - ruolo per cui sentiva sprecata la sua laurea in infermieristica,per giunta.
-- Eheh,ce lo farei un pensierino,se fossi capace di addomesticare un gallo e il mio coinquilino sopportasse il tanfo degli animali -- rispose Massimo.
-- Sfido io -- riprese Pino -- quello deve già sopportare la puzza de’ piedi tuoi!
Cosima si lanciò in una sonora risata,che mozzò appena si accorse che Massimo stava guardando Pino in cagnesco,traducendola in una gomitata di circostanza al suo fidanzato.Quest’ultimo,dopo aver simulato una grassa risata alla sua stessa battuta – che faceva sentire Massimo trattato alla stregua di un bambino,come quando capitavano le risate registrate nelle sitcom per ricordare ai telespettatori che avrebbero dovuto ridere – pronunciò prontamente la formula magica di cui abusava per pararsi il culo quando derideva qualcuno a sproposito:”sto scherzando”.
L’aria si era fatta pesante;ma il suono del clacson di una macchina la dileguò all’istante,ricordando a Pino che aveva lasciato la sua auto in doppia fila.Risultò determinante in quel momento per aiutare Pino ad uscire da quella situazione scomoda,costringendolo assieme agli altri ad andare alla macchina per iniziare subito il viaggio verso Sabaudia.Nonostante Massimo si sentisse umiliato per essere stato preso in giro su un particolare così imbarazzante della sua persona,da un certo punto di vista si sentiva sollevato per la reazione di Anna alla battuta di Pino:non aveva avuto il coraggio di guardare Massimo in faccia nemmeno per un momento,rimanendo sempre a testa bassa e con un espessione che a lui era sembrata quasi triste,come se fosse stata colpita anche lei dall’umorismo di Pino.
Per quanto Anna avesse avuto una buona impressione su Massimo,questo rimaneva comunque contrariato per non essere stato informato della sua presenza in quella vacanza da Pino – oltre al fatto che neanche dopo le presentazioni si era degnato di spiegargli un bel niente.Dal canto suo,Massimo non prese l’iniziativa di chiedere delucidazioni:una sorta di buon senso gli suggerì che fosse meglio aspettare che le cose si spiegassero da sole.

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Capitolo 2
*** Al camping ***


Una volta arrivati a Sabaudia,avevano passato l’intera mattinata in spiaggia per poi pranzare nel ristorante del camping,nel primo pomeriggio.Il resto della giornata invece lo avevano passato più che altro a riposare in tenda.Quando ormai era calata la sera,Pino e Cosima si erano già allontanati da una mezz’oretta. Finalmente,pensò Massimo.Era da quella stessa mattina che attendeva quel momento in cui si sarebbe trovato da solo con Anna;tuttavia,nessuno dei due aveva ancora spiccicato mezza parola.L’angolo del camping in cui si trovavano consisteva in uno spiazzo di terra in cui si stendavano due file di tende,di cui la prima era a cielo aperto e la seconda sovrastatata da un telone di plastica sorretto da un’impalcatura di legno.L’unico lampione che avrebbe dovuto illuminarlo era spento,tanto da realizzare un’atmosfera di penombra,e il sottofondo musicale di uno spettacolo per bambini a pochi metri rendeva per contrasto ancor più soffocante la scena. Lei stava seduta su una sedia di plastica,dando le spalle alla loro tenda e giocherellando nervosamente col suo cellulare -- Allora,ti sei divertita oggi? La domanda era evidentemente retorica,visto che entrambi si erano annoiati tutto il giorno,ma ormai non gli importava più:quel silenzio fra loro due stava diventando per lo meno imbarazzante.Anna non sapeva cosa rispondere.Alla fine si limitò semplicemente a simulare un debole cenno del capo prima di riabbassare lo sguardo,senza lasciare a Massimo nessun margine di iniziativa per un eventuale discorso.Questi allora pensò che quindi per attirare la sua attenzione non aveva altra scelta che essere meno generico. -- Sai,non si può non notare quel fazzoletto che tieni legato al braccio sinistro… -- fece una lunga pausa,prima di riprendere a parlare alternando le frasi ad altre brevi pause:-- beh…quindi mi chiedevo…se non sono troppo indiscreto…ecco,se per caso non abbia un significato particolare per te? Anna strinse istintivamente il braccio sinistro con la mano destra - proprio in corrispondenza del gomito,dove teneva legato il fazzoletto – come se avesse voluto fermare un'emorragia,ma i ricordi si erano fatti strada nella sua mente con la forza di un'inondazione.Le parole di Massimo avevano squarciato in maniera troppo profonda la sua memoria perchè potesse arginare il fluire dei ricordi che,come un'inondazione,avevano invaso la sua testa,costringendola ad aggrapparsi ad episodio in particolare per non naufragare completamente nel mare della nostalgia.Dello spiazzo in cui si trovava erano rimaste soltanto polvere e terra,quelle del cortile della sua vecchia casa ad Ostia.Poteva sentire i primi brividi di un autunno che lentamente stava sostituendo l’estate,di cui lei e lui non avevano paura di affrontare con tutta la forza dell’adolescenza;il cinguettio degli uccellini mattutini che sostituiva la musica;il grigiore dell’alba prematura che sostituiva la penombra.Lui,che le legava il fazzoletto al braccio sinistro proprio come lo teneva lui,la incitava ad alzare il pugno chiuso e ad urlare “al lavoro e alla lotta!”. Massimo si rendeva conto di aver colto nel segno,anche se aveva l’impressione di averla scombussolata.Però,prima che potesse ritirare la domanda,Anna lo anticipò:--Me lo regalò una persona cara alla prima manifestazione di piazza a cui partecipammo insieme.Avevamo solo 14 anni al tempo,e a quanti altri scioperi nazionali,raduni di compagni e rivolte studentesche abbiamo partecipato…magari senza saperlo è possibile che ci siamo pure incontrati io e te in una di queste occasioni,che dici? -- Non credo -- rispose Massimo,un po’ a disagio. -- Non ho mai partecipato ad eventi del genere,neanche ai tempi della scuola.Ho sempre odiato stare in mezzo alla folla.Figurati che anche alle feste finisco sempre per rannicchiarmi in un angolo,dove magari se sono fortunato mi capita di beccare un altro povero cristo come me. Fece un sorriso per sdrammatizzare,poi riprese: -- Inoltre,crescendo mi sono convinto sempre di più che se fossi finito invischiato in tutti quei cori,quegli slogan e quei simboli,avrei finito per non essere più me stesso. -- Hai perfettamente ragione.Col tempo le facce cominciano a sembrarti sempre più simili tra loro.Cristo! – la sua voce si infervorò leggermente,dando l’idea di sentire da vicino la questione - alla fine ti viene il dubbio che abbiano indossato tutti la stessa stramaledetta maschera! Si interruppe.Poi,con la sicurezza e l’indifferenza di un navigato professore universitario,continuò:-- per quanto quelli che vi partecipino possano avere buone intenzioni,alla fine è sempre il fattore collettivo a prevalere,il che rende le folle di piazza un ammasso facilmente strumentalizzabile e suscettibile di infiltrazioni indesiderate.Gli slogan prendono il sopravvento sui contenuti,e in ogni caso i media sono abili a distogliere l’attenzione delle coscienze da questi attraverso il bombardamento di sequenze violente con cui i manifestanti non hanno nulla a che spartire. --Sì… --,concordò Massimo,un po’ spiazzato dalla lucidità di quel ragionamento. Anche Anna era rimasta molto colpita dalle parole del suo interlocutore.Pensò fosse passata un’eternità dall’ultima volta che qualcuno aveva suscitato il suo interesse in maniera così immediata in una discussione.Fissò i suoi occhi nello sguardo di Massimo,che a sua volta sosteneva magneticamente il suo.Restarono a guardarsi reciprocamente per qualche istante,come a cercare di capire se conoscessero da molto più tempo di quello che pensavano.In quella semioscurità Anna poteva distinguere solo i lineamenti del faccione di Massimo,tra cui la mascella volitiva e il naso importante. -- Senti Massimo,ti andrebbe domani di lasciar perdere il signor “Guido io” e la signora “Posso sedermi davanti?” per andare a vedere la villa di Domiziano insieme a me?Si tratta di una villa romana appartenuta appunto all’imperatore Domiziano,anche se si ritiene che abbia avuto origine nell’epoca Augustea --. -- Certo --,rispose Massimo,piacevolmente sorpreso di fronte all’improvvisa intraprendenza di una persona che fino a qualche minuto prima doveva ancora rivolgergli la parola,oltre ad essere divertito dagli epiteti che aveva usato per riferirsi a Pino e Cosima.Sapeva a cosa erano dovuti:il rapporto di forza nella loro coppia era spostato quasi completamente dalla parte di Pino.Se volessimo quantificare il loro potere prendendo come esempio un corpo umano,quello di Cosima corrisponderrebbe ad una gamba,mentre quello di Pino a tutto il resto. -- Ma non avremmo dovuto organizzare una visita guidata o qualcosa del genere? --chiese Massimo. --No,tranquillo.Sono laureata in beni culturali e posso tranquillamente fare io da guida --. -- Non è solo questo…voglio dire,come la troviamo questa villa? --. -- Ti ho detto che non devi preoccuparti.Ci sono già stata e so esattamente dove dobbiamo andare --. Massimo sembrava un po’ perplesso,ma confermò la sua disponibilità senza sollevare ulteriori questioni. In quel momento esatto tornarono Pino e Cosima. -- Ma che è ‘n cimitero? --,esordi subito Pino,con la faccia compiaciuta. -- Annamocene a dormì va,che è meglio.Sperando che domani non ce ritroviamo tre metri sotto terra. L’aria sembrò essersi diradata per concentrarsi tutta nella bocca di Pino:Massimo ed Anna improvvisamente diventarono di nuovo due sconosciuti.

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Capitolo 3
*** Il lago di Paola ***


Probabilmente quell’espressione l’avrebbe ricordata per il resto della sua vita.Massimo aveva potuto scrutarla giusto il tempo che la navetta su cui viaggiava alla velocità di circa 60 kilometri orari aveva impiegato a farlo entrare ed uscire dal suo campo visivo.Un ragazzo di etnia indiana,seduto sul ciglio della strada,con lo sguardo perso nel vuoto.Uno sguardo tanto deprimente che,in quella giornata di sole sulla splendida costa sabauda,stonava quanto un izba in mezzo al deserto.Uno sguardo che a Massimo faceva sentire una tremenda nostalgia.
-- A che pensi?
La domanda di Anna gli fece scollare la testa dal finestrino.Lei lo guardava col viso che sporgeva dal posto davanti al suo,con un sorriso che sembrava nutrirsi della luce che lo illuminava allo stesso modo in cui il giorno prima sembrava scalfirlo.E finalmente poteva cogliere delle sfumature di colore nei suoi occhi neri che fino a quel momento,rifugiandosi nell’oscurità,erano risultati impenetrabili.
-- Niente,ho solo la sensazione che questa sarà una giornata che non dimenticherò.
-- Ci puoi scommettere!
Intanto la navetta stava svoltando verso l’entroterra,quando ormai la spiaggia veniva interrotta dal promontorio del circeo,su cui era incastonata la Torre Paola.
Si fermò in uno spiazzo circondato da villette,da cui partivano altre due strade.
Anna sembrava disorientata.Massimo prese istintivamente ad avvicinarsi al conducente per chiedere indicazioni,solo che una volta di fronte a lui si rese conto di non sapere nulla della villa di Domiziano,e pensò che Anna fosse più idonea a chiedere indicazioni;ma quando si giro chiederle supporto lei era già scesa dalla navetta.Stava imboccando la strada che correva nella direzione opposta da quella da cui erano arrivati nello spiazzo.
-- Aspetta! -- le urlò Massimo,correndogli dietro – sei sicura di sapere dove stai andando?Non faremmo meglio a chiedere qualche indicazione al conducente?
-- Che c’è,non ti fidi di me? – le rispose Anna,quando l’ebbe raggiunta.
Beh,vedi tu.Ci conosciamo da un giorno e ancora non so perché nessuno mi ha informato che avremmo passato vacanza insieme.Stamattina mi svegli  alle sette e mi trascini letteralmente fuori dalla tenda col cazzo ancora duro dall’erezione post-risveglio,perché “rischiavamo di perdere il bus”.Mi intimi di uscire dal camping in punta di piedi manco stessimo evadendo di prigione,quando al cancello l’unica "sentinella" constava di un tizio disteso su una sedia a sdraio con la bocca spalancata,che più che dormire sembrava mezzo morto.Ed infine restiamo ad aspettare un ora sotto il sole che arrivi la prima navetta.
Questo è quello che avrebbe detto Massimo se fosse stato più impulsivo e se non si fosse trovato di fronte una persona che gli ispirava a pelle così tanta empatia.
-- No figurati,scusami.Ti seguo.
Lungo i lati della strada c’era soltanto vegetazione costituita prevalentemente da pini.Sulla destra però la strada era delimitata in tutta la sua lunghezza da una recinzione a rete con tanto di filo spinato sulla sommità,che ad un certo punto veniva interrotta solo da un portone di legno a mezzaluna antistante una casetta in mattoni.Superato questo continuarono a camminare per un manciata di minuti,quando improvvisamente Anna si fermò.
-- Adesso basta!Questa recinzione sembra non finire mai,e io voglio vedere il lago di Paola.Sono sicura che se oltrepassiamo la recinzione riusciremo a vederlo – disse.
-- E come vorresti oltrepassarla?Dai che c’è sempre tempo per vedere il lago.
-- Con queste! – e dicendo ciò,Anna tirò fuori delle pinze dalla sua borsetta.
-- Ehi,ma che ci fai con delle pinze nella borsetta? – chiese Massimo,esterrefatto.
-- Sai com’è,non si sa mai.
-- Certo,può sempre capitare di dover fare un buco in una recinsione quando si esce a fare una passeggiata – commento Massimo,con un tono leggermente ironico.
Ma Anna già non lo ascoltava più,intenta a tagliare i fili metallici della rete.Inginocchiata su una gamba,con una maglia bianca smanicata che le andava un po' larga,corti leggins neri e scarpini da corsa,sembrava che dovesse partire per una cento metri.Intanto Massimo prese guardare da tutte le parti,preoccupato che qualcuno spuntasse fuori dal nulla,benchè quella zona sembrasse piuttosto isolata.Non c’era anima viva e il silenzio della natura che regnava tutt’intorno era tranquillizzante.Una volta aperta una breccia abbastanza ampia per passare,Anna ci si infilo senza difficoltà.Massimo la segui suo malgrado,non ritenendo sicuro lasciarla andare da sola.
Ma guarda cosa mi tocca fare a 28 anni suonati! – pensò.
-- Dicevi?”Che c’è,non ti fidi di me?” – le disse,raggiungendola.
-- Dai che è solo una piccola deviazione!Appena abbiamo visto il lago riprendiamo la strada per la villa,te lo prometto.
Intanto erano entrati in un punto in cui la vegetazione si infittiva.
-- Non è questo il problema….
-- Che puzza! – lo interruppe Anna.
In effetti tra le piante erbacee e le fronde di ailanto attraverso le quali si stavano facendo strada aleggiava un insopportabile tanfo di uova marce.
Si fermarono di colpo.Davanti a loro,ad una ventina di metri,dava loro le spalle una persona in ginocchio che sembrava occupata a potare delle piante.
-- Chi è là? – urlò,alzandosi in piedi e voltandosi.
Nello stesso istante Anna e Massimo si erano acquattati nell’erbaccia alta.Quindi questi cominciò ad avvicinarsi con passo incerto.Era un vecchio sulla sessantina,vestito in jeans e cannottiera logori di terra.Teneva una cazzuola in una mano,quasi ad altezza ventre.
-- Non credo ci veda,da come sembra spaventato – disse Anna,sottovoce – e dev’essere anche un po’ rincoglionito per illudersi di darsi un'aria minacciosa con una cazzuola.
-- Comunque io non ho intenzione di aspettare che la usi su di noi come arma non convenzionale – rispose Massimo,sempre a bassa voce.
-- Va bene,torniamo indietro.
-- Aò,addò ve n’annate voi due?! – urlò il vecchio,vedendo Massimo ed Anna scappare.Nell’inseguirli si limitò a velocizzare il passo,senza affannarsi a correre,tanto che una volta che fu nei pressi del punto della recinzione da cui erano entrati Massimo ed Anna nella proprietà,ormai questi due stavano già correndo in strada lontani dalla sua vista. 
Stavolta Massimo strisciando fuori dal buco si lacerò l’avambraccio,ma finchè non si furono allontanati abbastanza non avvertì Anna.
-- Guarda che ti sei fatto! – disse Anna col fiatone,vedendo la ferita di Massimo.Prese una boccetta di alcol etilico,dell’ovatta e un cerotto dalla sua borsetta,e prese a medicargliela.
Quella borsetta è un kit di sopravvivenza,pensò Massimo.
-- E’ sempre così…prendo scelte azzardate che finiscono per fare male alle persone che mi stanno intorno – disse Anna,tamponandogli la ferita che perdeva sangue copiosamente con un pezzo di ovatta umido di alcol etilico.
-- Che intendi dire? – rispose Massimo,con una smorfia di dolore.
Di fronte a quella domanda Anna reagì come uno scazzato disilluso reagirebbe alla domanda di un parente over 50 su cosa sta facendo della sua vita:sguardo che evita quello dell’interlocutore,con le pupille che schizzano da tutte le parti come a cercare disperatamente di inquadrare la propria vita fino a quel momento,o semplicemente per raccogliere l’assist di qualcuno o qualcosa che lo tiri fuori da quella situazione;espressione per monosillabi o al massimo parole masticate quanto basta per renderle tali;veloce risoluzione,una volta appurato che non c’è modo di sormontare il muro di gomma attorno ai propri argomenti,che la reticenza è l’unica via percorribile.
-- Niente,è una lunga storia... – e così dicendo,continuava a tamponargli la ferita.Quando questa cominciò a non sanguinare più,Anna vi ripose il cerotto che aveva preso dalla borsetta.Ripresero a camminare,finendo per girare in tondo e ritrovarsi di nuovo al punto di partenza.Ormai a Massimo appariva chiaro che Anna non aveva la minima idea su quale fosse la strada per la villa.


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Capitolo 4
*** All'ombra di un leccio ***


Superate finalmente le strade fiancheggiate esclusivamente da ville recintate,Anna perse ogni punto di riferimento.Lasciando cadere lo sguardo che si era fissato su uno stormo di gabbiani che per ora dominava il cielo,vide disegnarsi tutt’intorno una vasta distesa di terreni arati,pensando con sfiducia alla possibilità di trovare la villa di Domiziano.
In secondo piano,alla loro sinistra,si stagliava un bosco di pini marittimi,preceduto da una bassa vegetazione e qualche albero di leccio.
Potevano inoltrarcisi e sperare nella buona sorte.Ma sarebbe stato un salto nel buio,pensò Anna.
Le catene montuose che si scorgevano tutt’intorno,lontane come tifosi che guardano la partita dal terzo anello,sembravano essere le uniche spettatrici della sua rassegnazione.Oltre naturalmente a Massimo.
- Ok,lo ammetto,non so dove cazzo stiamo andando!
- Ma va…? – rispose Massimo,non riuscendo ad evitare di tradire del sarcasmo nel suo commento.
- Quindi l’avevi capito?E che aspettavi a dirmelo!?Di arrivare a Frosinone!?
La bianca scia di un aereo aveva quasi tagliato in due il cielo.Ipnotizzato da questa,Massimo si rese conto di essere tremendamente stanco,tanto da non riuscire a controbattere niente all’inconcepibile provocazione di Anna.Dal canto suo,Anna era altrettanto distrutta,e la diatriba morì sul nascere.
Logorati dal caldo che si faceva sempre più asfissiante e spaesati come un ragioniere ultrasessantenne il mattino della pensione,si risolsero a proseguire sul sentiero battuto che si staccava perpendicolarmente dalla strada asfaltata da cui provenivano,in direzione del bosco di pini.Tuttavia,giunti ad un leccio che fiancheggiava il sentiero,si lanciarono uno sguardo d’intesa e quasi simultaneamente si stesero alla sua ombra.Nelle loro intenzioni avrebbero dovuto riposarsi solo dopo aver raggiunto il bosco,ma dopo i primi cinquecento metri i loro propositi andarono a farsi benedire.
-- Ah! – esclamò Anna,tirando un sospiro di sollievo – io da qui non mi ci alzo più! --.
Un'altra scia perpendicolare alla precedente e altrettanto persistente stava di nuovo per tagliare in due il cielo,formando un’inquietante croce bianca assieme alla prima.
-- Idem --.
Con gli occhi fissi al cielo,Massimo si scervellava su come chiedere ad Anna il perché gli avesse mentito quella mattina.Tuttavia,aveva paura di scombussolarla come la sera prima.Anna suo malgrado capi che lui avrebbe voluto chiederglielo,perché i minuti passavano troppo silenziosi e Massimo si ostinava a non guardarla.Non ebbe la forza di spiegarsi,però,scaricando su di lui tutto l’onere di lacerare quel silenzio che appesantiva l’aria come umidità.
-- Se facesse un po’ più freschino,oggi si starebbe da dio…
Altre due scie in cielo andavano ad incrociarsi alle prime,stravolgendo la croce che avevano disegnato precedentemente.
-- Già… -- rispose Anna,osservando una lucertola poco distante da loro che prendeva il sole.Quell’animale a sangue freddo era l’unico essere vivente che riuscisse a vedere fuori dall’ombra del leccio.
I minuti divennero ore.Ore che per Massimo sembravano mesi,ad aspettare che Anna si risvegliasse.Non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto a prendere sonno.Immaginò che evidentemente fosse abituata ad addormentarsi in condizioni estreme.Intanto pazientava stoicamente,osservando le scie che copiosamente continuavano a rigare il cielo.Ormai erano passate quattro ore da quando si erano messi a riposare all’ombra di quel leccio,quando Anna si risveglio.Il cielo aveva assunto un aspetto a “griglia sfumata”,perché le scie che vi persistevano abbastanza a lungo si espandevano,andando ad oscurarne anche larghe porzioni.Come avrebbe potuto,un osservatore ingenuo,immaginare che fra quelle candide e suggestive formazioni bianco perla si nascondessero scarichi di carburanti aeronautici e agenti chimici da geoingegneria climatica,del cui impatto ecologico Massimo dubitava.
-- Scusami,non mi era mai successo prima di… -- Anna si interruppe improvvisamente,stropicciandosi gli occhi per il sonno,quando Massimo girò la testa per guardarla.Lo squadrava come se lo vedesse per la prima volta.
-- Oh,ma che strano.Non avevo ancora notato che tu avessi gli occhi chiari.Anche se non riesco a capire se sono cerulei o cosa.Cavolo,non riesco capire la giusta sfumatura --.
Neanche lo stesso Massimo era in grado di riconoscere quale fosse l’effettiva sfumatura dei suoi occhi.Da anni non riusciva nemmeno più a compiacersi nel guardare allo specchio quelle iridi che sembravano sbiadite dalla vista di numerose generazioni,anonime al pari della sua spoglia camera in affitto.Quel colore così triste si rifletteva perfettamente nell’azzuro lattiginoso del cielo,ovattato dagli aerosol rilasciati dagli aerei che in parte schermavano i raggi del sole.
Ma se da una parte gli appariva in maniera evidente cosa ostacolasse la luce del sole che dipingeva il cielo sopra le loro teste,dall’altra non arrivava a spiegarsi cosa invece oscurasse la luce nei suoi occhi.
-- Vada per il ceruleo.Dopotutto,anche mia madre li ha di questo colore. 
Anna sporse il labbro inferiore,riservandosi qualche dubbio.
-- Comunque non mi spiego che ci fai assieme a Cosimo e Pina.Io mi sarei barricato nella sauna interrata in cui vivi,piuttosto che passare una settimana assieme a quei due.
-- Questo perché non ci sei mai stata intorno all’ora di pranzo.
-- Ma non hai altri amici? --
La domanda di Anna fu a bruciapelo,quasi brutale.Brutale come lo sarebbe un bambino,tuttavia,come si evinceva dallo sguardo sinceramente interessato di lei.
Massimo non si scompose,e le rispose con il suo solito tono fievole:
-- Il fatto è che ho paura di me stesso quando passo troppo tempo da solo.I pensieri e le sensazioni cominciano ad affollarsi dentro di me in maniera completamente arbitraria.Tutto quel peso… -- la sua voce si spense lentamente,come il ritornello ripetuto alla fine di una canzone.
-- Tutto quel peso…? – lo incalzò Anna.
-- Insomma,mi fa sentire a disagio – concluse.
-- Come ti capisco.Stare da soli al cospetto della propria coscienza ti carica di responsabilità.A volte anche troppe per le spalle mortali che ci ritroviamo.Tra l’altro nella mia testa è come se vigesse l’anarchia ad un certo punto,perché ho come l’impressione che i miei pensieri non mi appartengano più e siano indipendenti dalla mia volontà.E poi alla fine ci si mette anche la nostalgia…. --
Massimo si stupiva della facilità con cui Anna cambiasse tono e registro nel suo modo di parlare,per lui che era l’equilibrio per antonomasia quando si esprimeva.Per un momento si illuse anche di poter venire a conoscenza di qualche episodio della sua vita,prima che lei distruggesse le sue speranze:
-- Vabé,si sono fatte le due.Forse è meglio che ci avviamo.Te la senti di continuare?Non ci credo più di tanto che la riusciamo a trovare questa villa.
--  Certo.Non voglio che questa giornata finisca così presto.Erano anni che non mi sentivo così vivo…e poi,non abbiamo niente di meglio da fare --.
Approssimandosi ai piedi del bosco di pini,sentirono tutta l’inconbenza di quegli alti fusti che potevano raggiungere anche i trenta metri.L’immaginazione prese il largo,oltre il non poter vedere di quelle piante che si moltiplicavano una dietro l’altra,esponendoli al potere della suggestione.Cosa avrebbero scovato oltre i meandri di quel bosco?Un tesoro trafugato?Un corpo in decomposizione?Un covo occulto?O semplicemente,quello che stavano cercando?


 

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Capitolo 5
*** Oltre il cuore di tenebra ***


Giunti ormai ai piedi del bosco,Massimo e Anna dovettero constatare che il sentiero si interrompeva.
-- Come se non bastasse che ormai stiamo praticamente andando allo sbaraglio,adesso dovremmo anche entrare in un bosco senza seguire un sentiero.Scusa Anna,ma come faremmo dopo a tornare indietro senza un sentiero? -- disse Massimo.
-- Male che vada costeggeremo il lago fino a che non ritroveremo la strada asfaltata.Tanto fino a li non dovrebbero essercene più di villette di borghesucci ad occultare il lago. --
-- La fai facile tu.Vabé,dopotutto non abbiamo nessun impegno in programma oggi. --
Massimo la guardò con un misto di ammirazione e arrendevolezza.La sua determinazione lo affascinava,al netto di tutti i problemi che gli stava creando.
-- Aspetta -- riprese Anna,vedendo che Massimo stava per asciugarsi il sudore che gli bagnava la faccia con la sua maglia – se mi sleghi il fazzoletto ti asciugo io. --
E così dicendo,gli avvicinò il suo braccio sinistro.
-- No tranquilla,non ce n'è bisogno. --
-- Insisto. --
Le si dipinse un adorabile sorriso sul volto.Il sorriso di chi sa di avere la piena complicità del proprio interlocutore.Non quella complicità che nasce in virtù di un rapporto di potere,ma più semplicemente quella consapevolezza che si basa sul rapporto di fiducia reciproco.Massimo obbedì,non senza difficoltà.Il nodo con il quale era stato legato il fazzoletto particolarmente ostico.Inoltre notò una smorfia di dolore sul volto di Anna,che sembrava soffrire quando Massimo gli premeva sul gomito.
-- Ti fa male? -- gli chiese,preoccupato.
-- No,tranquillo.E' solo che l'ho legato un po' troppo stretto -- rispose Anna,cercando di dissimulare il dolore.
Quando Massimo riusci a slegarlo,come prevedeva si scopri una lesione da pressione in corrispondenza del gomito.Questi era abituato a vederne di ben più gravi lavorando in una casa di riposo,quindi non ne era impressionato.Cerco di esaminarla meglio,ma lei si ritrasse.A quel punto pensò che fosse lecito chiedergli qualcosa in più su quel fazzoletto,nonostante tutto ciò che lo riguardasse sembrava un taboo.
-- Scusami se te lo chiedo,ma da quanto tempo e perché porti questo fazzoletto legato così stretto?Guarda il tuo braccio. --
-- Con tutto il rispetto,questi non sono affari che ti riguardano -- rispose severamente Anna.
Massimo era mortificato.Gli sembrava un crimine aver intaccato quel sorriso così splendente e genuino,ma non si aspettava una reazione così brusca.Per fortuna lei riprese subito uno smalto sorridente e prese a pulirgli il viso con estrema calma,come se volesse dilatare quei momenti.Lui poteva sentire tutto il suo calore attraverso il cotone che gli accarezzava il viso.Quando ebbe finito di asciugarlo Anna ripiegò delicatamente il fazzoletto sotto gli occhi di lui,che stette a guardarlo per qualche istante.Concentrò la sua attenzione sui motivi floreali e baroccheggianti del merletto rosso che lo adornava,del tipo che avresti potuto vedere sul tavolo di una vedova della nobiltà decaduta.Si era chiesto più volte cosa ci facesse legato come una fasciatura al braccio di Anna.Non era quello il suo posto.Ma soprattutto si chiedeva perché questa cosa lo turbasse tanto.Forse perché gli ricordava la sensazione di sentirsi fuori posto da una vita,in perenne ritardo con il grande treno della storia.Una sensazione che solo svegliandosi la mattina nella sua triste tana di periferia era sicuro di non provare.
Con molta calma si inoltrarono tra gli alberi,procedendo nella stessa direzione del sentiero appena lasciato.Procedevano ad un'andatura piuttosto lenta sotto la fresca ombra delle piante,assuefatti gradualmente alle sensazioni del bosco. 
Non avevano la più pallida idea di quanto avessero camminato quando cominciò a materializzarsi ai loro occhi una costruzione non ben definita,dietro gli alberi di fronte a loro che diventavano sempre meno numerosi.Quella che cominciavano ad intravedere aveva le sembianze di una chiesa sopraelevata piuttosto malridotta.
-- Quella è una chiesa o sbaglio? -- disse Massimo.
-- Si,e sembra anche diroccata.Dev'essere molto vecchia,perché non ho mai sentito parlare di forti scosse di terremoto nella zona -- rispose Anna.
Superati gli alberi si trovarono di fronte ad una radura "recintata" tutt'intorno dai pini del bosco e in mezzo alla quale troneggiava impietosa la chiesa in questione,preceduta da una specie di rampa naturale formata dal terreno erboso.Il tetto spiovente era crollato al punto da dare l'illusione che l'affresco del cristo sulla facciata frontale stesse ascendendo veramente al cielo,le cui mani protese sembravano quasi uscire fuori dall'edificio.Il portale spalancato era contornato di una serie di variegati ghirigori che si ripetevano specularmente da destra a sinistra,dando quel tocco barocco decisamente inadeguato per l'attualità della chiesa.Entrando si ritrovarono un pavimento ricolmo delle macerie del tetto crollato.Gli affreschi delle pareti erano stati in gran parte vandalizzati e non c'era traccia di statue.In quei trecento di metri quadrati tutto sembrava essere stato trafugato.
-- E' veramente desolante la condizione in cui è stata lasciata questa chiesa.Anche considerato il fatto che certamente sia stata sconsacrata,non trovo giusto che sia stata abbandonata a sé stessa in questa maniera. --
Sull'altare maggiore non c'era traccia di tovaglie o fiori,ma si trovavano sparse delle candele di varie dimensioni.La porticina del tabernacolo era parzialmente aperta,che tuttavia non permetteva di vedere cosa ci fosse oltre.Incespicando fra le macerie Massimo si mise a perlustrare le navata sulla parte destra in cerca di qualcosa che fosse scampato ai trafugatori,mentre Anna si diresse verso la navata centrale.Quando ad un certo punto si volse in cerca di Anna,vide questa come annichilita di fronte al tabernacolo,dalla cui porticina chiusa fuoriusciva un pezzo di stoffa bianco.
-- Tutto a posto? -- disse,avvicinandosi a lei.
-- Si – rispose lei,senza voltarsi.
Non gli sembrava molto convinta.
-- Cosa c'è lì dentro? -- chiese,riferendosi al tabernacolo.
-- Niente.Solo una di quelle tovaglie usate durante l'eucarestia. --
Continuava ad essere poco convincente per Massimo.Anna dovette averne sentore,tanto che si girò di scatto con un espressione molto aggressiva.
-- Che c'è,non mi credi?Perché dovrei mentirti?Non vedi che si sono portati via quasi tutto? -- e sembrava pensare:tu non mi conosci,non sai nulla di me,quindi è inutile che mi guardi con quella faccia inquisitoria.
Massimo rimase interdetto.Lei dava l'idea di una disgraziata sotto gogna mediatica che si difendeva dai giudizi trancianti in una trasmissione generalista.Fin dalla prima discussione che aveva avuto con lei,Massimo aveva percepito un muro di gomma attorno alla sua persona,che qualcosa evidentemente aveva rischiato di lacerare.Non riusciva a spiegarsi altrimenti quell'atteggiamento così difensivo.Naturalmente Massimo era consapevole di non poter pretendere che lei si mettesse a nudo dopo così poco tempo.Però,allo stesso tempo,percepiva una prevenzione da parte sua che forse nessuna connessione reciproca poteva superare.
Guardandola più da vicino si rese conto che sulla porticina dorata del tabernacolo qualcuno aveva disegnato un pentacolo rovesciato,presumibilmente con del sangue.Che fosse quell'inquietante simbolo esoterico ad aver scombussolato Anna?Se si,Massimo non osava immaginare per quale motivo.Sulla strada del ritorno si fermarono a chiedere delle indicazioni - per la fermata del pullman che li avrebbe riportati al campeggio - ad un Indiano che lavorava al giardino di una villetta.Questi,tuttavia,con evidente imbarazzo e frustrazione,non riusci a formulare nemmeno una frase di senso compiuto.Con grande stupore di Massimo,Anna sembrò commuoversi di fronte a quella scena,come se all'improvviso si fosse ipersensibilizzata.Quello fu l'unico momento in cui sembrò tradire le sue emozioni.  

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Capitolo 6
*** Il mondo nei miei occhi ***


Non si sentiva niente.Né il frangersi delle onde,né lo spirare del vento,né tantomeno i versi dei gabbiani.Il silenzio era imperante.L’aria sembrava quasi assente,mentre il mare - in una calma piatta - sfumava dal grigio al nero man mano che le sue acque si avvicinavano all’alta banchina in piedi alla quale stava Massimo.Sopra di lui un cielo densissimo rispecchiava fedelmente le sfumature del mare che sovrastava,come a replicarlo.A riva l’acqua era talmente sporca e ricolma di rifiuti di ogni genere che Massimo provava ribrezzo al solo pensiero di infilarci dentro un piede.Ma ciò che più lo inquietò in quel quadro apocalittico fu vedere un volatile non meglio identificato che,rimasto fatalmente inzuppato in quella melma viscida e viscosa,cercava goffamente di liberarsene e spiccare il volo.Per un momento riusci anche ad aprire le ali,fiero come un’aquila.Tuttavia,alla fine dovette arrendersi all’idea che sarebbe morto lì,chiudendo le ali in un sonno eterno.In tutto ciò una persona se ne stava seduta come se niente fosse sull’estremità del molo che si estrendeva di fronte a Massimo,dando le spalle a quest’ultimo.Aveva i capelli scuri lunghi fino alle spalle,un vestito grigio e un fazzoletto legato al gomito del braccio sinistro.Non c’erano dubbi.Il suo istinto gli suggerì che non poteva trattarsi altri che di Anna.
Senza che avesse nemmeno il tempo di andare da lei,Massimo fu catapultato in una situazione completamente diversa.Solo l’atmosfera grigia non sembrava essere cambiata - nonostante le nuvole si fossero completamente diradate - come se in realtà davanti ai suoi occhi fosse stato posto un filtro.Si sentiva quasi braccato dalla massa di fluido putrido che aveva sopraffatto quel povero uccello.Stava scendendo su uno scivolo circolare.Non c’era acqua sotto di lui,e non sentiva nessun attrito.Era come se stesse scivolando su un cuscinetto d’aria. Ma la curva dello scivolo sembrava non finire mai e lui non riusciva a girare la testa.Presumibilmente si trovava in un acquapark stracolmo di persone,la cui ilarità era palpabile.Le svariate voci che si sovrapponevano l’una all’altra giungevano all’orecchio di Massimo come se questi stesse in mezzo a loro,e lo cullavano come il tonfo della pioggia scrosciante nelle mattine in cui rimaneva a casa sotto le coperte.
La scena cambiò ancora e Massimo si ritrovò di nuovo di fronte al molo dove si trovava Anna.Era come se si trovasse a recitare in un film in cui il regista non era lui.Una sceneggiata dove lui subiva passivamente il succedersi degli eventi.Tutto era rimasto perfettamente uguale a come lo aveva lasciato.Lei poggiava parte del suo peso sulle braccia distese,con le mani che poggiavano sulla superficie del molo.Aveva la posa di chi si godeva una bella vista.Ma quale?,si chiedeva Massimo.In quel mare sembrava sfociare la cloaca del mondo.Non ci si riusciva nemmeno a tuffare con lo sguardo.E il cielo era così coperto che sembrava gli sarebbe caduto in testa da un momento all’altro.

“È difficile

resistere al Mercato, amore mio.

Di conseguenza andiamo in cerca di

rivoluzioni e vena artistica.”

Riconobbe subito quelle parole.Si trattava de “Il liberismo ha i giorni contati” dei Baustelle,le cui note risuonavano nelle sue orecchie come se le stesse ascoltando alle cuffie. 
- Anna! – provò ad urlare,debolmente.Ma lei non si voltò,né lo degnò di una risposta.
- Tutto bene? – riprovò,con più forza.Ancora niente.
- Perché non rispondi? – urlò infine,rassegnato.
Lei non dava nessun segnò di sentire minimamente la sua presenza.
Forse perché le sue parole gli rimbombavano in testa più che uscire dalla sua bocca,mischiandosi ai demotivanti versi dei Baustelle.Allora tentò di camminare verso di lei,prendendo tuttavia un’andatura estremamente lenta.Cercò di sforzarsi a correre,ma si rese conto che c’era qualcosa che lo frenava.I pochi metri che lo separavano da lei divennero chilometri,e lei continuava ad essere lontana.

“Anna pensa di soccombere al Mercato.

Non lo sa perché si è laureata.

Anni fa credeva nella lotta.”


Quando riaprì gli occhi in tenda il sole era già abbastanza alto.Era solo.Il telone di plastica,comportandosi come le pareti di una serra,aveva reso quell’angusto spazio un forno all’aperto.Sentendosi soffocare Massimo fu costretto ad uscire subito all’aperto,nonostante lo stordimento.

“È difficile resistere al Mercato.

Anna lo sa.

Un tempo aveva un sogno stupido:

un nucleo armato terroristico.”

La canzone dei Baustelle che aveva sentito in sogno proveniva dal cellulare di un ragazzo accampato li affianco con la sua compagnia di amici.La tenda attorno alla quale erano radunati stava li da quando era arrivato,eppure questa era la prima volta che li vedeva.Uno di loro,in maniera piuttosto sfacciata,prese addirittura a ridergli in faccia.Massimo si guardò le parti basse temendo di essere uscito all’aperto con il cazzo duro come il giorno prima.Sinceratosi di non avere nulla che spiccasse alla vista nei pantaloni,guardò meglio il ragazzo e si rese conto che questo aveva le cuffie alle orecchie.Evidentemente ha la testa da un’altra parte,pensò Massimo.
Nella concitazione del risveglio si era quasi dimenticato del lucidissimo sogno che aveva fatto.Ricordava ancora tutto nei minimi particolari.Quella ragazza!,si disse.La conosceva solo da due giorni e gli era già entrata in sogno.E quel che era più strano era che non l’aveva nemmeno vista in faccia,nonostante il suo viso si fosse fissato prepotentemente nella sua memoria.Per non parlare della sensazione di essere trattenuto nei movimenti.Una volta aveva letto che se si sogna di correre al rallentatore,o comunque di muoversi al rallentatore,significa che c’è qualcosa che ci blocca o ci rallenta nella vita quotidiana.Ma questo cosa aveva a che fare con Anna?Forse alla fine si trattava solo di una fisiologica mancanza di lucidità durante la fase REM.
Massimo provò a guardasi intorno,ma di lei non c’era traccia.
Andò quindi a chiedere al guardiano al cancello se avesse visto una ragazza uscire da sola quella mattina.Questi era un signore anziano dall’aria preoccupantemente comatosa che se ne stava steso su una sedia a sdraio.Quando Massimo lo interpellò si ridestò istantaneamente,come un cane accucciato che ti vede per farti le feste.Dopo che gli ebbe descritto l’aspetto di Anna sembrò concentrarsi per fare mente locale e visualizzare tutte le facce che aveva visto passargli oltre quella mattina.
- Nun me pare d’averla vista ‘sta ragazza,però all’alba ho visto de spalle una uscire che c’aveva ‘na ferita ar gomito.Pò esse che era lei - rispose alla fine,con la sua faccia paffuta che sorrideva senza risparmiarsi.
Doveva essere proprio Anna.Se ha deciso di allontanarsi così presto,evidentemente vuole restare da sola - si disse Massimo,scoraggiato.
- Ha visto in che direzione è andata? – chiese Massimo.
- Si,è andata verso a spiaggia – rispose il signore,visibilmente entusiasta per essersi reso utile.
Massimo lo ringraziò,uscì quindi dal cancello e guardò in direzione della spiaggia.Il mare che aveva visto in sogno sembrava l’esatta versione “sottosopra” di quello che ora aveva davanti ai suoi occhi.

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Capitolo 7
*** Dal diario di Massimo ***


Sono passate ormai tre notti da quando sono arrivato in questo campeggio prossimo a Sabaudia.in questa notte senza luna l’unica luce proviene dalla lampada portatile che illumina la pagina sulla quale sto scrivendo. Questa lampada di plastica rossa era la stessa che usavamo in famiglia quando andava via la corrente,fino ai tempi in cui io ero ancora un ragazzino. Allora non avevamo né cellulari,né tablet,né nessun altro aggeggio elettronico,quindi l’unica fonte di luce artificiale proveniva proprio da quella lampada.il ricordo di quei momenti di raccoglimento attorno alla sua luce la rendono più calda di quello che in realtà sia.e mi da l’illusione che l’immensa oscurità che ora mi circonda non vada oltre le quattro mura di casa mia.
Ormai non credo manchi molto all’alba.voglio approfittare delle ore di buio che restano per raccontare la mia giornata.
Ieri il tempo è stato un po’ uggioso,con un cielo nuvoloso che ha nascosto il sole per tutto il giorno.in spiaggia non c’erano molte persone,e il mare era un po’ agitato.avrò perlustrato il lungo lungomare di sabaudia per un paio d’ore prima di trovare anna. Si trovava ai piedi di una roccia circondata dalla vegetazione dunale,in un punto in cui lei era invisibile ai passanti.
Vedendomi sembrava imbarazzata,intuendo evidentemente il mio stupore di fronte alla sua eleganza. Indossava un lungo abito da sera di colore nero - nulla a che vedere con il vestito grigio che aveva la prima volta che l’ho vista – che era calato quasi perfettamente sulle sue forme delicate per arrivarle fino alle caviglie.al collo portava una collana con ciondolo a forma di piramide,ma non c’era nessuna traccia del fazzoletto.Sul suo viso risaltavano gli occhi cerchiati di nero e le labbra colorate di un grigio molto scuro.Sembrava pronta per celebrare un rito di stregoneria.
-- Cavolo,ti eri nascosta per bene – le dico,con un po’ di affanno nella voce.lei mi sorride forzatamente e sale in cima alla roccia ai piedi della quale era seduta e che collegava direttamente la spiaggia con il lungomare.la seguo senza discutere,quasi per inerzia - conciata in quella maniera era ancora più magnetica.da quella posizione si aveva una vista più panoramica e suggestiva.in mare c’era soltanto una persona a sfidare le sue acque,avanzando con una postura fiera.
Senza poter attendere oltre racconto subito ad anna il sogno che avevo avuto quella notte,con dovizia di particolari.Lei mi ascoltava con attenzione,distogliendo ogni tanto lo sguardo da me in direzione del mare.Alla fine del racconto sembrava molto turbata.
- Ha un significato per te – le chiedo molto delicatamente.
Lei non risponde,lasciando che il silenzio parlasse per lei.dopo aver lasciato passare qualche istante,comincia a parlarmi della persona che le aveva regalato il fazzoletto al braccio.
Quindi parte a raccontarmi la storia della sua vita da quando lo aveva incontrato per la prima volta in un centro sociale. Di come abbiano cominciato a frequentarsi. E di come, nel momento in cui il loro amore stava per sbocciare, lei abbia cominciato a sentire un po’ strette le ideologie che all’inizio li avevano fatti conoscere.
-- Col tempo ho cominciato a frequentare sempre di meno le attività e le manifestazioni del centro sociale, fino a che ho finito con l’emarginarmi e col chiudermi in me stessa. L’antifascismo ormai lo vedevo come qualcosa di anacronistico, e il progressismo come una linea inesorabile la cui direzione per me non aveva più alcun interesse. Lui non riusciva assolutamente ad accettarlo, e quando si avvicinò ad un gruppo anarco-insurrezionalista - come a voler lanciare una sfida a me e al sistema che secondo lui io stavo tacitamente avallando - finimmo per perdere i contatti. Io non credevo più in niente ed ero così stanca di nuotare in questo mare… --.
Le parole gli si strozzarono in gola ed il suo monologo si interruppe, mentre una lacrima nera le rigava il viso. Con quel pianto sporcato dal trucco sembrava come si stesse liberando di tutte le scorie e i sentimenti negativi che aveva interiorizzato intorno a lei fino a quel momento. Come se la cloaca del mondo stesse scaricando tutte le sue luride acque attraverso le sue lacrime. Mi chiedo se il mare di cui ha parlato sia lo stesso che nel mio sogno stagnava morente sotto i suoi occhi.
Dopo averla aiutata ad asciugarsi e pulirsi, lei ricomincia la sua storia:
- Quando in seguito malauguratamente mi capitò di rivederlo, per me fu uno shock. Lui che si contorceva su di un prato blaterando frasi sconnesse ed incomprensibili, una siringa di eroina gettata accanto a lui. I passanti che lo indicavano indignati. Il suo sguardo perso nel vuoto. Avrei voluto aiutarlo, ma non ce la facevo a guardarlo e scappai quasi subito. Mi riesce davvero complicato ricordarne i particolari. Ripensandoci a freddo non riuscivo proprio a capacitarmi di come avesse fatto a ridursi in quella maniera. Quando stavamo insieme eravamo arrivati al massimo a farci qualche spinello, pensavo. Alla fine dovetti arrendermi all’idea che la persona forte e dalla volontà ferrea che credevo fosse alla fine era solo un illusione.
Quando smise di parlare sembrava non soffrire più,ma i suoi occhi scuri sembravano così freddi e vuoti nella grigia luce lagunare di quel pomeriggio. Improvvisamente tutte le persone, le auto e gli animali sembravano essersi dileguati. Lo scenario nel quale eravamo calati in pratica era tenuto in vita soltanto dallo scrosciare cadenzato del mare e dal fruscio dei cespugli agitati da un leggero venticello.
Non so come mi sia venuto in mente,ma decido di rompere quel silenzio mettendomi a parlare di un articolo sulla pornodipendenza che lessi quando all’università studiavo farmacologia. Li si spiegava che l’assuefazione da materiale pornografico dipende dallo squilibrio nei livelli di dopamina - l’ormone che mette in moto il circuito di ricompensa e ci da la motivazione per compiere azioni che ci appaghino – dovuti all’abuso di materiale pornografico che ne stimola una eccessiva produzione,finendo col tempo per aumentare il desiderio a discapito del piacere.Mentre parlavo lei non distoglieva lo sguardo dal mare.pareva ipnotizzata dal moto delle sue onde.
-- lo stesso avviene con la dipendenza da droghe,visto che la loro assunzione induce la produzione di dopamina.Forse come accade per i pornodipendenti,che ad un certo punto per avere un orgasmo devono passare ad immagini e video sempre più trasgressivi,il tuo ex ragazzo ha avuto bisogno di passare dalle droghe pesanti alle droghe leggere per trovare appagamento – concludo alla fine la mia lectio magistralis.
 
- Ma di cosa cazzo stai blaterando – disse lei,con un tono che cresceva come un climax – come fai a paragonare la patetica esperienza degli smanettoni che si segano giornalmente di fronte ad un computer con la tragedia della tossicodipendenza.Nemmeno immagini la storia che si può celare dietro l’abuso di droghe.Non sospetti che un ragazzo che immaginava di cadere come Carlo Giuliani sfidando lo stato sia finito per morire di overdose,da solo e dimenticato da tutti.
-Scusami – dissi io,timidamente – non avevo capito che….
Prima che finissi la frase,mi ha voltato le spalle ed è andata via attraverso il lungomare.avrei voluto fermarla ,ma mi sentivo veramene inopportuno – non solo perché io ero vestito uno straccio rispetto a lei.Tra l’altro mi ero dimenticato di chiederle perché si era vestita in quella maniera,preso così dalla smania di raccontarle del sogno.Credo sia per questo motivo che sono rimasto con la sensazione amara che non mi avesse detto ancora la cosa più importante.

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Capitolo 8
*** Dal diario di Anna ***


Quella balla di fieno è rimasta nel mio campo visivo quanto avrebbe potuto restarci una stella cadente nel cielo notturno. Seduta su un sedile rivolto nel verso contrario al moto del treno l'ho vista scomparire oltre il finestrino tanto velocemente che l'ho rimpianta. Quella balla di fieno è il sogno spezzato di una ragazza che ha capito troppo tardi di voler diventare una danzatrice classica, è l’amicizia mai nata perché incontrata nel momento sbagliato, è l’amore soltanto sfiorato alla distanza. E’ in sostanza il mondo che scorre inesorabile mentre tu ti fermi a leggere il suo libro delle istruzioni. Un libro scritto in una lingua che non conosci. Di fronte a me sedeva una donna adulta nera di carnagione, vestita praticamente come fosse una quindicenne, con un top bianco che le lasciava scoperta tutta la pancia. Una profonda cicatrice le separava le sopracciglia, rendendo difficile fissarla negli occhi senza che la vista cadesse in quel solco che le deturpava il viso. La sua attenzione era rivolta ad osservare il paesaggio fuori dal finestrino che scorreva verso di lei, lo stesso che io potevo vedere solo fuggire via. Lasciava immaginare una storia triste che la vedeva protagonista, eppure nei suoi confronti provavo più invidia che pena in quel contesto. Il pensiero di quella balla di fieno mi ha tormentato per un tempo che non riesco a quantificare, sufficiente ad una disperazione che aveva bisogno di uno sfogo. Mio malgrado mi sono ritrovata ad attraversare ad una ad una le carrozze opponendomi al moto del treno, nel tentativo di rivedere il mio rimpianto. Tuttavia le carrozze sembravano non finire mai, mentre il mio desiderio mi stava consumando. Tutto ciò è diventato solo un ricordo quando mi sono messa alla guida dell'auto di mia madre. Ero ferma in discesa, con il piede piantato sul pedale del freno. Ho spento la macchina ed ho inserito il freno a mano, ma questa ha cominciato ugualmente ad andare a marcia indietro. Ho tentato di frenare con il pedale, ma è stato tutto inutile. La discesa sembrava inarrestabile come il susseguirsi delle parole di un romanzo. La mia storia era già stata scritta. Stavo per schiantarmi.  Una dolorosa fitta alla schiena mi ha riportato nella tenda, ricordandomi della pietra con la quale avevo lottato tutta la notte prima di entrare nel mondo dei sogni. Mi sono chiesta se un romanzo che sia già entrato nei cuori delle persone possa essere cambiato. Se la storia del mondo non ammetta una deviazione. Se la mia storia non possa finire altrimenti. C’erano solo Pino e mia sorella, ancora addormentati. Non vedevo Massimo dal pomeriggio del giorno prima e ad ora che è tramontato il sole non l’ho ancora visto. Avrei voluto chiedergli scusa per essere scappata in quella maniera ieri, non se lo meritava. Era stato così paziente nell'ascoltare il mio sfogo, e altrettanto sensibile nel rispecchiare il mio stato d'animo, come il mare riflette il colore del cielo. Inoltre era da tanto che non incontravo una persona così di buon cuore come lui. Fin da quando l’ho visto la prima volta mi sono chiesta perché stesse in un appartamento così misero, nonostante con lo stesso stipendio Pino vivesse molto più dignitosamente. Poi oggi parlando con quest’ultimo ho scoperto che invia parte del suo stipendio alla sua famiglia ed agli anziani della casa di riposo in cui lavorano – anche se a suo parere questi potevano cavarsela benissimo senza l'aiuto di Massimo -, restando con poco più dell’essenziale per vivere. Ho capito che stesse dicendo la verità perché i suoi occhi bovini tradivano odio mentre me lo diceva, come ogni volta che parlava di qualcosa che non riusciva a comprendere. Forse non era soltanto guidato dalla volontà di aiutare il prossimo e i suoi cari. Non poteva trattarsi di anche di un’esigenza di esibizionismo, altrimenti Pino non avrebbe dovuto prendersi la briga di effettuare una ricerca invadente per scoprire dove andassero a finire parte dei suoi guadagni. Sembrava quasi che Massimo fuggisse il denaro. Gli occhi di Pino sono diventati subito inquisitori quando gli ho chiesto dov’era andato a cacciarsi Massimo. Appena mi ha detto che era andato al centro di Sabaudia per motivi non ben chiariti, con una scusa sono scappata via per scrollarmi di dosso quell’insostenibile sguardo. No, in realtà era il richiamo delle rovine di quella chiesa che mi avevano indotto a congedarmi. Dovevo assolutamente ritornarci. Stamattina oltre l’altare maggiore ho scoperto anche la sagrestia. Questa consisteva in una piccolo ambiente il cui soffitto tra l’altro era completamente intatto. Sulla parete sinistra era appeso un crocifisso rovesciato, mentre su quella destra un poster di Baphomet. Nella parte superiore della parete frontale una piccola finestra circolare illuminava scarsamente l’ambiente, e nel pavimento del terreno si apriva una rampa di scale a chiocciola che presumibilmente conduceva alla cripta, dalla quale non proveniva nessun raggio di luce. Per terra, proprio davanti a questa apertura, erano appoggiati un teschio con due ossa incrociate una sull'altra. Lentamente mi sono avvicinata per esaminarle. So che rappresentano una tipologia di rappresentazione dell'espressione latina “memento mori” - "ricordati che devi morire" -, anche se fino ad ora mi era capitato solo di vederle scolpite. Al tatto erano pulite e sulla loro superficie non c'erano tracce di polvere, il che lasciava immaginare che fossero state ripulite di recente. Nello stesso istante in cui proprio dalla presunta cripta un urlo è giunto alle mie orecchie, un uccello alle mie spalle è volato fuori dalla finestra, inducendomi a voltarmi di scatto. Come se la situazione non fosse già abbastanza inquietante solo allora vedo sopra l’ingresso una frase scritta presumibilmente con della vernice rossa, o peggio con del sangue. Con l'adrenalina a mille mi sono messa a leggere quei caratteri che sembrava avessero pianto colore: "Adiutórium nostrum in nómine Dómini Inferi". Sapevo che si trattava della storpiatura di una frase utilizzata nei riti cattolici in lingua latina, vale a dire “Adiutórium nostrum in nómine Dómini” - "Il nostro aiuto è nel nome del Signore" -. Sapevo anche che venisse utilizzata nelle celebrazioni delle messe nere. Tutti quei riferimenti alla morte, a Satana e all'Anticristo non aiutavano certo a tranquillizzarmi. Un altro urlo - stavolta più soffocato -  proveniente da quell’abisso oltre la scalinata mi ha fatto voltare di nuovo. Sembrava provenire dall'inferno stesso. Lentamente nel mio cuore alla paura è cominciato a sostituirsi il desiderio, come se i demoni sepolti nelle profondità della mia anima si fossero risvegliati. Ormai l'urlo si era ridotto ad un rantolo. L’oscurità mi ha inevitabilmente risucchiato. E anche adesso mi sta chiamando.

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