Mijo

di Tigre Rossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

 

Mijo

 

 


 

 

 

Hector amava tutta la sua famiglia, e questo era un dato di fatto.

Come poteva non amarla? Era la cosa più bella che avesse. L’unica che fosse davvero sua nonostante tutti i suoi errori e tutti i suoi sbagli.

Amava più di qualsiasi cosa al mondo la sua Imelda e la loro Coco, quella famiglia che aveva perduto fin troppo tempo prima e che mai aveva smesso di desiderare.

Amava tutti quei parenti che non aveva mai avuto modo di conoscere in vita ma che comunque l’avevano accolto a braccia aperte tra loro, come se il suo posto fosse al loro fianco da sempre.

E amava anche la sua famiglia vivente, che lo incantava con quella sua energia instancabile e magnetica.

Ma che nella sua famiglia vivente Miguel fosse il suo preferito . . . beh, quello era un altro dato di fatto.

 

 

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Il primo anno che Hector poté attraversare il ponte era davvero, davvero nervoso.

Passò tutta la giornata di fronte allo specchio, in camera da letto, ad aggiustarsi i capelli, lisciarsi i vestiti nuovi di zecca, lustrarsi le scarpe e soprattutto a togliersi e rimettersi il cappello, come per decidere in che modo stesse meglio.

Imelda capiva la sua agitazione, e bene. Ma dopo parecchie ore di questi preparativi infiniti era anche abbastanza esasperata.

Per questo, quando Hector si tolse per la trentesima volta il foulard che portava al collo, la donna alzò rassegnata gli occhi al cielo e sbottò, a metà strada tra lo stanco e il divertito “Vuoi finirla? Sei tirato a lucido più di quando ci siamo sposati.”.

Hector sobbalzò a quelle parole, come se solo in quel momento si fosse reso conto della presenza della moglie, e il foulard gli scivolò di mano, cadendo a terra. “Scusami.” balbettò, imbarazzato “È che . . . sono nervoso.” ammise, abbassando appena lo sguardo.

Imelda non riuscì a trattenere un piccolo sorriso intenerito, e gli si avvicinò. “Lo so, ma non hai motivo di esserlo.” lo rassicurò, accarezzandogli il braccio  “Sarà una bella festa, vedrai.”.

Lo scheletro però non parve convinto, e dopo qualche secondo di silenzio ed incertezza mormorò sottovoce quel dubbio che non riusciva a zittire, quella paura che lo faceva tremare dentro “E se . . . se non potrò passare nemmeno quest’anno?”.

La moglie lo guardò per qualche momento, colpita dal profondo timore nascosto da quelle parole. Poi, le sue mani andarono a quelle dell’altro e si intrecciarono con esse in una stretta rassicurante e gentile, come facevano un tempo, quando erano solo due ragazzini pieni di speranze e sogni, con ancora un futuro davanti.

“Hai sentito quello che ci ha raccontato Coco.” disse piano “Miguel ha parlato a tutta la nostra famiglia di te. Si è dato da fare affinché quel tabù che ho imposto su di te e sulla musica svanisse. Stava tentando di rivelare al mondo dell’inganno di Ernesto. Davvero credi che, dopo tutto questo, possano dimenticarsi di te? Che Miguel possa dimenticarsi di te?” chiese, guardandolo in quei grandi occhi preoccupati.

L’uomo esitò, come se non sapesse bene in che modo rispondere, e Imelda sospirò appena, per poi sciogliere una mano dal loro intreccio e posarla sul petto del compagno, proprio lì dove, una vita prima, stava il suo cuore. “Ti vuole bene, e lo sai.” sussurrò dolcemente “Puoi sentirlo. È l’amore che prova per te a mantenere in vita il tuo ricordo, ora che Coco è qui con noi.”.

Hector chiuse gli occhi, ben consapevole di tutto questo, ma incapace di riuscire a togliersi di dosso tutti quegli anni di speranze continuamente infrante. Dopo aver aspettato per così tanto tempo, ora che aveva davvero una possibilità anche solo il pensiero di non riuscire nemmeno quella volta era semplicemente troppo.

“Lo so. Ma . . . “ provò ad obbiettare, coprendo con la mano libera quella di lei.

“Niente ma.” lo bloccò subito la donna, quasi ferocemente.

Si piegò e raccolse da terra il foulard, per poi avvolgerglielo attorno al collo e fermarlo in un fiocco elegante, con infinita cura.

“Tu oggi tornerai a casa con noi, e questo è quanto.” affermò decisa lisciandolo con i palmi, per poi rialzare lo sguardo sul marito che la osserva sorpreso e un po’ toccato.

Sorrise e lo prese per mano. “Andiamo ora, o faremo tardi alla tua prima riunione di famiglia.” lo esortò, e quando lui si costrinse a sorridere ed annuì lo guidò fuori, senza mai sciogliere la loro stretta.

 

 

Hector era un po’sopraffatto.

Da Santa Cecilia, dai rumori e dai colori della vita che scorreva tutta attorno a lui, da quella marea di persone vive, con un cuore nel petto e il sangue caldo nelle vene, che aveva visto nel cimitero, per strada, letteralmente ovunque. Dall’accogliente casa così piena di entusiasmo in cui erano entrati e da quella piccola folla di persone che Imelda gli aveva presentato un po’ orgogliosamente, chiamandola ‘la nostra famiglia vivente’.  Dal chiacchiericcio di Coco, che si era entusiasmata come una bimba nel rivedere tutte quelle persone care a cui aveva dovuto dire addio solo qualche mese prima, e che aveva iniziato ad indicargliele una per una, parlando di loro con una dolcezza e tenerezza infinita. Dal suo improvviso silenzio quando aveva visto Elena, sua figlia, e quello sguardo quasi doloroso che gli aveva rivolto. Da come aveva compreso al volo cosa gli stesse chiedendo ed aveva semplicemente annuito, osservando poi con l’anima stretta stretta la sua bambina andare dalla propria figlia ed accarezzarle dolcemente il viso, anche se lei non poteva sentirla. Da come si era sentito partecipe di quel dolore che poteva comprendere così bene –quanti decenni aveva gridato al vuoto al solo pensiero di non poter rivedere la sua, di figlia?-,  un dolore comune a tutti i genitori ormai solo ombre.

Era sopraffatto da tutta quella vita e quella morte insieme, e da tutto ciò che stava in mezzo.

Talmente sopraffatto che ci mise un po’ a rendersi conto di qualcosa, qualcosa che per un attimo gli fece mancare il respiro.

Si voltò verso Imelda, che era al suo fianco, come sempre. “Non vedo Miguel.” disse,  improvvisamente in pensiero “Non sarò andato via di nuovo, vero?”.

La donna alzò gli occhi al cielo, allungò una mano e gli fece girare delicatamente il viso di lato, verso una stanza dalla porta socchiusa di poco “Guarda lì, preoccupatone.”.

Lo scheletro strinse gli occhi e riuscì ad intravedere una piccola figura di spalle. Una figura che conosceva fin troppo bene.

“Sta solo dando gli ultimi tocchi all’ofrenda.” gli spiegò la moglie, dolcemente “Di solito se ne occupa Elena, ma credo che questa volta abbia voluto farlo lui.”.

“Oh.” Esitò per un momento, ma alla fine mormorò “I-io allora vado da lui. Va bene?”.

Imelda sorrise, come se se lo aspettasse “Ma certo. Salutalo anche da parte mia.”.

Hector rispose al suo sorriso e poi si avvicinò alla porta socchiusa. C’era troppo poco spazio per entrare, così la spinse un po’ e questa si spostò con un lieve cigolio, quasi impercettibile.

Ma probabilmente non era poi tanto impercettibile, perché a quel suono il bambino si girò, e il musicista si ritrovò di nuovo di fronte, dopo tanti mesi, il visino allegro e gli occhi luminosi del suo piccolo Miguel.

Il ragazzino guardò nella sua direzione per qualche secondo, prima di sorridere e mormorare, cogliendolo completamente impreparato “Hola papà Hector! Ti stavo aspettando. Sapevo che non avresti fatto tardi alla tua prima festa in famiglia. “.

Lo scheletro rimase senza fiato, del tutto preso alla sprovvista “Miguel?” balbettò, incredulo “Riesci . . . riesci a vedermi?”.

Lui non parve sentirlo e disse ancora, indicando con una mano l’altarino dietro di sé “Guarda un po’ chi c’è sull’ofrenda, quest’anno.”.

Hector, ancora più confuso, seguì la direzione indicata dalla sua mano e per un momento sentì quel cuore che non aveva più stringersi forte. Là, proprio al centro dell’ofrenda, stava la vecchia foto che appena un anno prima aveva stretto tra le mani. Ma questa volta la parte strappata era lì, al suo posto, e un piccolo sé stesso, vivo, giovane e senza alcuna idea di quale sarebbe stato il suo futuro gli restituiva lo sguardo.

Fece qualche passo in avanti, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel piccolo miracolo, fino a raggiungere il bambino, ma lui non parve accorgersene. Forse non lo poteva vedere, dopotutto. Forse poteva sentire solo la sua presenza, sapere che era là. Ma già questo non avrebbe dovuto essere possibile. Quindi, perché . . . ?

La voce del bambino si insinuò tra i suoi pensieri, distogliendolo da essi “Me l’ha data mama Coco. L’aveva conservata lei per tutto questo tempo. Ma sicuramente te l’ha già raccontato lei stessa.”. Si fermò per un momento, mordicchiandosi il labbro e dondolandosi sui talloni, prima di ammettere in un soffio di fiato, con gli occhi bassi “Ci manca, mama Coco. Mi manca, e tanto. Però sono felice di sapere che ora voi due vi siete finalmente potuti riabbracciare.”.

Il musicista si voltò verso di lui, ma adesso il ragazzino si era girato e aveva lo sguardo fisso sulle foto dell’ofrenda, come se stesse pensando a qualcosa. Dopo qualche secondo riprese a parlare, quasi con orgoglio “In questi mesi mi sono dato un po’ da fare. Abbiamo rivelato al mondo quello che ti ha fatto de la Cruz. Abbiamo messo in mostra le tue lettere con i testi delle tue canzoni, assieme alla tua chitarra. Hai tutta la fama che ti meriti, ora.” spiegò per poi aggiungere, con la voce un po’ commossa “È un po’ tardi, forse, ma almeno adesso verrai ricordato da tutto il mondo, e per sempre. Non rischierai mai più di essere dimenticato.”.

Quelle parole colpirono Hector nel profondo. Quando parlò, la sua voce tremava, ma era sincera e colma di affetto “Non voglio essere ricordato dal mondo, mijo. A me basta che sia tu a ricordarmi. Il resto non conta.”.

Miguel non reagì a quelle parole. Non poteva davvero sentirlo, dopotutto.

Ma qualcosa parve avvertire, perché sorrise e solo dopo qualche momento chiese, quasi in maniera malandrina  “Ah, rischio altre maledizioni se uso la tua chitarra?”. Si porto una mano ai capelli, scompigliandoseli appena, e solo in quel momento il morto si rese conto che era vestito come un vero musicista, e che un cappello quasi più grande di lui era per terra, al suo fianco, mentre la sua vecchia chitarra era proprio davanti a lui, appoggiata contro l’ofrenda. “Non me la sento di chiedere ai miei genitori soldi per una nuova. E poi, suonarla mi fa sentire un po’ come se tu fossi di nuovo accanto a me.”.

L’antenato si sentì colmo di calore a quell’affermazione tanto dolce e quella domanda la cui risposta gli sembrava così scontata. “Ma certo che puoi suonarla, chamaco.” mormorò, un po’ commosso “È tua, adesso.”.

Il ragazzino si batté la mano sulla fronte, come se si forse appena ricordato di una cosa importante “È vero, forse non sai la grande novità!” esclamò entusiasta, con gli occhi che gli brillavano come due piccole stelle scure “La nostra famiglia ha accettato di nuovo la musica! Ora posso essere un musicista, un vero musicista, senza dover rinunciare a quelli che amo. Non riesco ancora a crederci!”.

Un sorriso sincero illuminò il volto dello scheletro “Sei sempre stato un vero musicista.” affermò, non senza del genuino orgoglio “L’ho capito quando ti ho sentito cantare per la prima volta. Hai la musica nelle vene, piccolo mio.”.

Miguel, ignaro di tutto ciò, continuò a parlare, esplodendo quasi dalla gioia “Per ora mi sto solo allenando, ma non sono mai stato tanto felice. Ho partecipato ad un paio di gare, qui in città, e ho anche vinto! Mi sembra un sogno! Io . . .”

“Miguel!” Una voce alta, dolce ed improvvisa colse entrambi di sorpresa, interrompendo quel piccolo monologo.

Il bambino si girò verso la porta, gridando in risposta “Arrivo, mama! Cinque minuti!”. Poi, si rigirò di nuovo verso l’ofrenda. Il suo viso sembrava quasi teso ora, e si torturava le mani, come se fosse indeciso su qualcosa.

Rimase per qualche millesimo di secondo in silenzio, ma poi fece, a voce talmente bassa che riuscì a coglierla a stento “Voglio . . . voglio farti sentire una cosa. Mi sto ancora esercitando, ma voglio che tu senta.”.

Allungò la mano destra verso la chitarra, ma prima di toccarla sussurrò scherzosamente “Non maledirmi, d’accordo?”.

Hector rimase completamente immobile, troppo stupito per fare o dire qualsiasi cosa. Osservò suo nipote prendere la chitarra, sedersi a terra di fronte all’ofrenda, posizionare le dita sulle corde e chiudere gli occhi. E, dopo un momento che gli parve lunghissimo, iniziò a suonare per lui.

Miguel suonò, suonò con la consapevolezza di un musicista espero e con la passione di un bimbo alle prime armi. Ad occhi chiusi, ed accompagnando ogni melodia a voce bassa, quasi sussurrando le parole, suonò tutte le canzoni che aveva sentito da Hector nella Terra dell’Aldilà. Suonò Juanita, suonò Un Poco Loco. Suonò Ricordami, e sentire quella melodia suonata da lui l’anima di Hector si strinse ancora un po’ di più.

Scivolò al suo fianco quando le ultime note si distolsero nell’aria, senza parole, incapace di fare altro che riempirsi gli occhi di quel piccolo miracolo vivente che era suo nipote.

“Ay, mijo . . “ fu tutto quello che riuscì a dire, prima che la voce gli cedesse. Sollevò una mano scheletrica e, proprio come aveva visto fare a Coco poco prima, gli sfiorò il viso nello spettro di una carezza.

Il bambino rimase immobile, ad occhi chiusi, ma rabbrividì, quasi avesse avvertito un soffio di fiato sulla pelle. Quando li riaprì erano fermi, per quanto colmi di emozione, e la sua voce calda e sicura “C’è altro. Una canzone che ho scritto io. Pensando a te e a quello che mi hai insegnato.” ammise “Ma non voglio suonarla qua. Voglio che la senta tutta la famiglia, com’è giusto che sia.”. [1]

Hector sentì gli occhi pizzicargli appena, e dovette sbattere le ciglia un paio di volte per trattenere le lacrime. “Miguel, io . . . non so cosa dire.” mormorò senza fiato, incapace di distogliere lo sguardo da lui, come se temesse che se l’avesse fatto tutto sarebbe scomparso, come qualsiasi altro sogno.

Miguel socchiuse le labbra, come per dire qualcosa, ma un’altra voce lo chiamò da fuori, così si limitò a sospirare ed ad alzarsi da terra, stringendo la chitarra in una mano e l’enorme cappello nell’altra.

“Andiamo?” chiese, sorridendo “Altrimenti gli altri inizieranno senza di noi.”.

Hector si alzò a terra a sua volta ed osservò il bambino correre fuori, il viso sorridente e gli occhi pieni di entusiasmo, e solo quando sì sentì abbastanza stabile sulle gambe tremanti lo seguì fuori.

 

La prima cosa che fece, appena uscito da quella stanza, fu cercare sua moglie.         

 

La trovò seduta sui gradini dell’ingresso, mentre osservava con un sorriso intenerito la più piccola della famiglia Rivera, stretta tra le braccia della sua mamma, accarezzare il pelo morbido di Pepita.

Quando la raggiunse, lei alzò subito gli occhi per incontrare i suoi, ma il marito parlò prima che potesse fare altro “Imelda…Miguel può vederci o sentirci?”.

La donna parve confusa da quella domanda “Perché me lo chiedi?”.

Hector si sedette accanto a lei e le raccontò tutto, gesticolando e con la voce che vibrava come una corda tesa. Lei rimase ad ascoltare in silenzio fino alla fine, i grandi occhi scuri colmi di stupore.

“Non so cosa dirti.” rispose  piano, stringendosi nelle spalle ed accarezzando Pepita che era corsa a rifugiarsi nella sua gonna “Di regola, i viventi non possono nemmeno avvertirci. Ma ci sono casi in cui ci intravedono o sentono un nostro sussurro. A volte, i bambini molto piccoli riescono a vederci, anche se non capisco che siamo solo anime.” spiegò, indicando con un cenno del capo la piccola Socorro che proprio in quel momento li stava fissando, ridendo e muovendo le manine nella loro direzione. [2]

“Però Miguel è stato tra di noi ed ha attraversato il confine tra i nostri mondi uscendone indenne.” aggiunse pensierosa “Forse può sentire la nostra presenza. Forse sapeva che l’avresti cercato. O forse lo sperava. Gli manchi tanto quanto lui manca a te, in fondo.” disse infine, con una nota di tenerezza nella voce.

“Lui non mi manca.” ribatté Hector, quasi d’istinto.

Imelda fece un sorriso stanco, scuotendo appena la testa “Non sono morta ieri, mi amor.” lo rimproverò piano per quella debole bugia “Ti manca.”.

Il musicista tentò di ribattere, ma poi i suoi occhi furono catturati proprio da Miguel, che aveva appena raggiunto sua madre e, dopo aver fatto qualche smorfia alla sorellina per farla ridere, l’aveva resa tra le braccia ed aveva iniziato a canticchiarle qualcosa a bassa voce, cullandola con affetto.

Hector si sentì ancora di più sopraffatto a quella scena e, con un piccolo sospiro, ammise quasi a malincuore “È vero, mi manca.”.

Certo che gli mancava. Era stato il primo, dopo tanto tempo, a credere ancora in lui, a fidarsi di lui e a essere fiero di lui. Era stato il primo, da quando era morto, a volergli bene.

Come poteva non mancargli, il suo piccolo mijo?

 

 

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Il secondo anno, Hector era nervoso quasi quanto la volta precedente.

Attraversare il ponte gli faceva ancora un effetto strano. Camminare per le strade di Santa Cecilia ancora di più. Ed essere circondato da umani . . . beh, bisogna davvero dirlo?

Forse proprio per questo non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo quando arrivò alla casa della sua famiglia vivente, nel ritrovasi in quel luogo già così familiare, nonostante fosse in realtà tanto estraneo.

I suoi occhi scattarono subito alla ricerca di Miguel, proprio come l’anno prima, e questa volta riuscirono facilmente nel loro intento.

Il ragazzino era in cortile e teneva la sorella per le manine, guidandola mentre muoveva alcuni passi incerte sulle gambe ancora deboli, nel goffo tentativo di rincorrere il povero Dante tra le risate del più grande.

Rimase a fissare il nipote per un po’, preso quasi alla sprovvista.

Era cambiato, nell’ultimo anno. Si era alzato di almeno cinque centimetri, il suo viso aveva iniziato a perdere un po’ il suo aspetto paffuto e i suoi capelli si stavano lentamente allungando. Indossava ancora lo stesso completo da mariachi dell’anno precedente, ma si vedeva che iniziava ad andargli un po’ piccolo. E c’era una nuova serietà nei suoi gesti, una maggiore consapevolezza nel modo in cui teneva d’occhio la sorellina e la sosteneva, facendo attenzione affinché non si facesse male. Sembrava così . . . così cresciuto.

Al suo fianco, Coco batté le mani, incantata dalla vista dei suoi due nipotini “Come sono diventati grandi!” esclamò, commossa “Sono una meraviglia, tutti e due!”.

La piccola Socorro, quasi l’avesse sentita, alzò la testa verso di loro e sorrise, lo stesso identico sorriso dolcissimo della sua bis-nonna che riuscì a strappare un suono commosso ad Hector.

Imelda gli lanciò un’occhiata divertita, e lui tentò di mascherare la sua emozione con un colpo di tosse non molto convincente. “Cosa c’è?” chiese imbarazzato, tentando di distrarla.

La donna scosse appena la testa. “Nulla.” lo prese a braccetto ed osservò con un enorme sorriso i due bambini “Sono davvero dolcissimi.”.

Hector tornò a guardarli e rimase sorpreso dal rendersi conto che ora Miguel guardava nella stessa direzione della piccolina, come se stesse cercando di capire a cosa – o a chi- stesse sorridendo.

Dopo qualche breve secondo, chiamò a gran voce il padre e gli chiese se poteva badare a Coco al posto suo mentre lui andava ad aggiustare una cosa sull’ofrenda. Il genitore lo raggiunse subito e prese la figlia tra le braccia, lasciandolo libero di andare.

Il ragazzo allora si girò e praticamente corse nella stanza in cui avevano preparato l’ofrenda, lasciando la porta socchiusa più o meno come aveva fatto l’anno precedente.

Dopo qualche momento di incertezza, il musicista sciolse con dolcezza la stretta della moglie e lo seguì, trovandosi costretto ancora una volta a spostare la porta per entrare. Questa scricchiolò appena, ma Miguel, seduto a gambe incrociate a terra, non si scompose.

Rimase in silenzio per più o meno due minuti prima di salutarlo, quasi avesse colto solo in quel momento la sua presenza “Hola, papà Hector.”.

Hector sorrise “Hola, chamaco.” rispose, raggiungendolo e sedendosi accanto a lui “Sai, credo che tu stia crescendo troppo in fretta. Rallenta un po’, o dovrai buttare questo completo nel giro di qualche mese.”.

“Ho così tante cose da raccontarti, quest’anno!” esclamò Miguel, gesticolando con veemenza e parlando velocemente, quasi temesse di non avere il tempo di dire tutto ciò che voleva “Non ho avuto un minuto di respiro, davvero, sta succedendo tutto così velocemente! Ho iniziato a frequentare una scuola di musica – una vera scuola di musica, con musicisti e maestri veri! E ho iniziato ad esibirmi in giro ed a fare qualche saggio oltre che a continuare con le gare. Mi esercito praticamente ogni volta che ho un momento libero, e i miei per permettermelo mi hanno anche esonerato dalla fabbricazione di scarpe. Ora mi occupo semplicemente di portarle a chi ci richiede la consegna a domicilio, ma anche così mi sembra che il tempo per la musica non mi basti mai.”.

Il sorriso del fantasma si fece ancora più grande all’evidente entusiasmo del nipote “E’ una cosa bellissima, mijo.” si complimentò, sincero “Ma stai attento a non farti trascinare troppo. La musica è importante, ma la tua serenità e la tua famiglia molto di più. Impara a prenderti del tempo per te stesso e per stare con i tuoi cari, anche se questo significa toglierne un po’ alla musica. Sei giovane, Miguelito. Hai tutto il tempo del mondo, per esercitarti.”.

Il ragazzo, del tutto ignaro delle sue parole, continuò a parlare e a parlare di tutto e di più. Parlo dei suoi compagni alla scuola di musica, di come abuelita Elena fosse diventata la sua maggiore fan e sostenitrice, di come Coco si rannicchiasse sempre accanto a lui quando si allenava e restava ad ascoltare fino ad addormentarsi. Parlò di quanto si sentisse felice, ora, e completo, e finalmente a casa.

Parlò e parlò, e mentre parlava tutte quei piccoli cambiamenti svanirono, facendolo apparire agli occhi di Hector ancora una volta come quel piccolo bimbo dal viso dipinto e profondamente incapace di stare in silenzio che aveva conosciuto tre anni prima.

Cosa che ovviamente non poté non strappargli un sorriso ancora più grande.

 

 

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Il terzo anno, Hector si limitò a dare solo un’occhiata generale attorno a sé, prima di raggiungere l’ofrenda.

Miguel, ancora una volta, era lì, seduto per terra e tutto intento ad accordare la chitarra con la lingua tra i denti e lo sguardo concentrato.

Il musicista sorrise nel vederlo e lo raggiunse, sedendosi di fronte a lui per osservarlo lavorare. Subito notò i piccoli calli sui suoi polpastrelli, la prova più evidente dell’impegno e della costanza che stava mettendo in quegli anni per essere all’altezza del suo sogno. Anche lui li aveva avuti, appena più duri di quelli, e ricordava bene la soddisfazione che aveva provato quando avevano iniziato a formarsi.

Il ragazzo si sistemò meglio, massaggiandosi per un momento una gamba evidentemente addormentata, per poi improvvisare qualche veloce melodia.

Hector storse la bocca, divertito “Attento, mijo. Fai scivolare troppo il pollice. Sii meno morbido.” lo corresse istintivamente, notando uno dei primi errori che lui stesso da autodidatta era stato costretto a correggere, quando aveva iniziato.

Poi si congelò, rendendosi conto che lui non poteva sentirlo, non davvero. Non importava quanto lo desiderasse, non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo abbastanza da poterlo aiutare.

Gli sfuggì un sospiro sconsolato a quella realizzazione. Ecco, uno dei tanti effetti collaterali dell’essere morto. Voler fare tanto, e non poter fare più praticamente nulla.

“Vorrei insegnarti così tanto, chamaco…” mormorò, sentendo la sua voce tremare appena.

Miguel, completamente inconsapevole, annuì soddisfatto e posò la chitarra accanto a sé, per poi alzare lo sguardo fino ad incontrare quello dell’Hector nella fotografia. Solo in quel momento il fantasma si rese conto che non indossava più il suo solito completo, ma uno nuovo di un delicato rosa salmone, e che i suoi capelli erano stati tagliati di fresco, più corti di quanto li avesse mai portati.[3]

Il ragazzo iniziò a parlare ed a raccontare dell’anno appena trascorso con il solito entusiasmo, ma per la prima volta Hector non riuscì ad ascoltarlo, non davvero. Nemmeno quando suonò ancora per lui fu davvero lì, presente e cosciente, perso com’era a studiare il suo viso e constatare meravigliato quanto la sua voce stesse cambiando, diventando da morbida e delicata a profonda e toccante.

Lo seguì fuori quasi di riflesso, senza nemmeno rendersene conto davvero, e rimase a fissarlo mentre prendeva in braccio Socorro e le faceva il solletico, strappandole una risatina.

Rimase così, perso nei suoi pensieri, fino  quando una voce dolce e preoccupata non lo raggiunse, riscuotendolo “Papà? Va tutto bene?”.

Il musicista sbatté le palpebre un paio di volte, prima di voltarsi verso sua figlia, che lo guardava inquieta “Certo, piccola mia.” la rassicurò, fingendo un sorriso.

Coco però non parve convinta. Inclinò appena la testa, osservandolo attentamente “Allora perché sei così triste?”.

Il genitore si trovò un po’ preso alla sprovvista. Non sapendo cosa dire, alla fine cedette e spiegò piano, come se stesse cercando le parole giuste “Non sono triste, mija. Solo che vedere crescere Miguel anno dopo anno mi fa pensare a quanto ho perduto. Mi fa capire cosa avrebbe significato esserci. Esserci davvero. Mi fa rendere conto ancora di più di quanto non ho potuto fare e di come non ho potuto vederti crescere.” ammise, guardando il viso maturo della figlia. Non aveva mai potuto guardarla mentre diventava grande, vederla innamorarsi, stringere al petto i suoi, di figli, vivere quella vita tanto meravigliosa di cui avrebbe dovuto essere parte. “Mi fa pensare a tutto quello che non ho mai potuto insegnarti e di come non sono mai stato al tuo fianco. Avrei voluto così tanto . . .” la sua voce si spezzò per un momento e si costrinse a distogliere lo sguardo, pur di evitare che notasse i suoi occhi lucidi.

Coco rimase in silenzio per un momento, prima di allungare una mano e stringere dolcemente quella del padre. “Ma tu c’eri, papà.” lo rassicurò lentamente, lasciandolo senza fiato.

Hector alzò lo sguardo su di lei, e la figlia continuò con un piccolo sorriso “Anche se non fisicamente, eri lì, accanto a me. Non te ne sei mai andato, non davvero. Eri lì, e guidavi ogni mio singolo passo. Ti ho sempre portato nel mio corazon, papà. E lì, tu hai continuato a vivere ed a restarmi vicino.”.

Il papà la guardò per qualche momento, senza parole, prima di abbassarsi e stringerla nell’abbraccio più forte che poteva, commosso. Nascose il viso contro la sua spalla, mentre sentiva le lacrime pungergli gli occhi “Ay, mi Coco.” sussurrò senza fiato, sentendosi completamente sopraffatto da quelle parole.

La figlia rispose teneramente al suo abbraccio, e i due rimasero così, stretti stretti per quella che parve un’eternità.

Quando finalmente si sciolsero dalla stretta, Hector posò un enorme bacio tra i capelli di Coco, strappandole un sorriso “Non so cosa farei senza di te, mija.” mormorò tra i suoi capelli bianchi, eterno promemoria del tempo che aveva perso.

Poi, i due rimasero lì, in silenzio ma con i volti sorridenti, a guardare i due fratellini giocare e ridere, fino a quando Coco non parlò di nuovo, lentamente e con gentilezza  “Sai, anche per Miguel è così.”.

Il musicista la guardò confuso, e la figlia sorrise e coprì con una delle sue mani tremanti quella che il padre aveva posato sulla sua spalla una volta sciolto l’abbraccio. “Non ti ha raccontato come ha imparato a suonare?” chiese, e quando l’altro scosse la testa spiegò “Ha imparato di nascosto, guardando e riguardando i video in cui De la Cruz suonava. Ne imitava i movimenti, memorizzava le parole e ripeteva i gesti fino a quando non ha imparato. Solo che quei gesti, quelle melodie, quelle canzoni, erano tuoi. Erano sempre stati tuoi. Gli hai insegnato tutto quello che sa, prima ancora di conoscerlo. Lo hai aiutato a diventare quello che è ora.”.

Hector rimase senza parole, e dopo qualche secondo di sorpresa e realizzazione i suoi occhi scuri si spostarono dal viso gentile della figlia a quello allegro ed entusiasta del nipote, che stava facendo saltellare Socorro sulle ginocchia canticchiando alcuni versi di Un Poco Loco.

E, per un attimo, non si sentì poi così tanto inerme.

 

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Il quarto anno, Hector ebbe il folle timore di essere entrato nella casa sbagliata. Principalmente perché non ebbe nemmeno il tempo di entrare in cortile prima che una bimba sconosciuta dai lunghi capelli scuri e spettinati lo attraversasse, e in senso letterale, correndo come una pazza assieme ad altri due bambini di qualche anno più grandi di lei.

Il fantasma, non abituato a quella sensazione sgradevole – non gli era ancora mai successo che un vivente gli passasse attraverso, dopotutto-, si portò una mano lì dove un tempo c’era il cuore e si girò, sul punto di inveire contro la piccola nonostante non potesse sentirlo. Ma le parole gli morirono in gola nello studiare meglio quel piccolo gruppetto.

Non riusciva a riconoscere i due bambini più grandi, ma la bambina era tanto familiare e allo stesso tempo tanto estranea da togliergli il fiato. La forma del visino era la stessa di quella di Miguel, rotonda e paffuta, il naso invece era esattamente quello di Imelda, e il sorriso, nonostante quell’incisivo davanti mancante a fare da finestrella, era identico a quello della sua dolce Coco.

Immobile, per un momento boccheggiò, mentre realizzava incredulo “Quella è la piccola Socorro?”.

Imelda, che stava studiando a sua volta la bambina, annuì “Credo proprio di sì.”.

“Ma . . . non è possibile!” Hector era completamente incredulo. Come poteva una bambina cambiare così tanto solamente in un anno? Era assurdo!  “Come può essere così cresciuta?”.

La donna sorrise appena al suo stupore “Non ricordi come crescono in fretta i bambini della sua età? Anche con la nostra Coco è stato così.” gli ricordò, con infiniti affetto e dolcezza nella voce “Un giorno era una neonata tutta risatine e gridolini di gioia, mentre il giorno dopo era già una bimbetta con le treccine capace di distruggere casa appena distoglievamo lo sguardo.”.[4]

Quelle parole gli strapparono un sorriso. Sì, aveva dimenticato quanto in fretta, in quei tre anni che aveva potuto vivere con loro, la loro piccolina era cresciuta. Sembrava quasi che ogni giorno diventasse una bimba completamente diversa, e lui non si stancava mai di studiare tutti quei piccoli, minuscoli cambiamenti che la facevano diventare giorno dopo giorno più grande.

Coco non parve affatto lusingata da quell’osservazione, poiché protestò, quasi indispettita “Mama! Non ero così terribile!”.

Imelda non riuscì a trattenere una risatina, questa volta, ed accarezzò con affetto le lunghe trecce bianche della figlia “Sì, invece. Purtroppo hai ereditato l’energia inestinguibile del tuo papà.” affermò, non senza un pizzico di malinconia, che però riuscì a celare abbastanza bene.

Il musicista sbruffò, con un sorrisetto che però tradiva quanto avesse apprezzato quella sua affermazione “Non so se prenderla come un complimento o un’offesa.”.

Prima che uno dei tre potesse fare o dire altro, però una voce alta e profonda li raggiunse, cogliendoli tutti di sorpresa.

“Coco, rallenta o ti farai male!”

Hector si girò d’istinto e per la seconda volta nell’arco di un minuto temete di aver davvero sbagliato casa.

Di fronte a lui stava un ragazzo alto, vestito con un completo da mariachi rosso fuoco e con un enorme sorriso caldo e rassicurante. In una mano stringeva la chitarra che era stata di Hector. Il suo viso,  dagli zigomi alti e regolari, era decorato da una sola fossetta.

“Miguel? “ mormorò senza fiato, non riuscendo a credere ai propri occhi.

Era tanto familiare da fare male al cuore, eppure così diverso dal dodicenne piccolino e fragile che aveva conosciuto. No, non poteva essere lui. Era troppo, troppo . . .

Un piccolo grido tagliò l’aria e Socorro gli passò attraverso – di nuovo- per correre ad abbracciare il ragazzo, saltandogli addosso con tanta energia da farlo traballare “Mig-uel!”.

Miguel rise, scuotendo la testa e mettendosi la chitarra sulla schiena per abbracciare la sorellina “Calmati, toro scatenato!” disse, inginocchiandosi per essere alla sua altezza e scompigliandole ancora di più i capelli “I nostri antenati potrebbero spaventarsi e non venire, se continui a gridare in questo modo ed a correre come una pazza per casa.”.

La bambina non fece caso al rimprovero bonario del fratello ed iniziò a strattonarlo dalla giacca “Gioca con noi, Mig-uel!”.

“Non posso, Coco.” le spiegò il più grande, tentando di calmarla “Devo finire di aggiustare l’ofrenda e poi dare una mano a papà ed ad abuelita e . . .”.

La piccola però non voleva sentire ragioni. “Gioca con noi!” gridò ancora e gli sfilò decisa il cappello dalla testa, impugnandolo come un trofeo.

Fu in quel momento che Hector si rese conto dell’acconciatura di Miguel. I capelli gli erano cresciuti, ed erano decisamente più lunghi di come li aveva sempre portati fino a quel momento. Erano . . . erano proprio come . . .

“Porta i capelli come me!” esclamò incredulo ed entusiasta come un bambino. Afferrò il braccio della moglie ed indicò esaltato i capelli del ragazzo, che adesso stava lottando con la sorella per rimpossessarsi del cappello “Guarda, Imelda!”

Imelda sorrise,  evidentemente intenerita.“Lo vedo, lo vedo.”.

Rimase per mezzo secondo a guardare il nipote attentamente, prima di mormorare con dolcezza “Ti somiglia ogni anno sempre di più.”.

“Tu credi?” il musicista, sorpreso da quell’affermazione, lo osservò con più attenzione. Avevano lo stesso modo di sorridere, e lo sapeva bene, così come la stessa fossetta, ma aveva sempre creduto che le somiglianze fisiche tra loro due terminassero lì. Ma ora che stava crescendo, in effetti, iniziava davvero a somigliare all’adolescente smilzo e combina guai che era stato lui.  E i capelli in quel modo non facevano che intensificare quell’impressione.

“Mhm-mhm.” annuì la moglie, prendendogli la mano “Dagli un altro po’ di tempo e sarà del tutto uguale a te. Forse addirittura più guapo.” aggiunse, scherzosa.[5]

“Come osi insinuare una cosa del genere? Nessuno potrà mai essere più guapo di me!” obbiettò con orgoglio il marito, gonfiando vanitosamente il petto, per poi osservare ancora la discussione tra i due fratelli degenerata in una lotta scherzosa.

L’allegria svanì rapidamente, ed un’acuta malinconia gli si insinuò nelle ossa, facendolo quasi rabbrividire. Quando la loro Coco si fu allontanata per cercare Elena, mormorò piano e quasi esitante “Come hai fatto ad abituarti?”

“A cosa?”

“A vederli tutti crescere ed invecchiare senza che loro lo sappiano.” ammise a malincuore “Vedere chi ami diventare grande senza poter essere davvero al suo fianco.”.

Imelda esitò per un momento, chiaramente in difficoltà.

“Non ci si abitua mai. Fa sempre male.” rispose infine, per poi aggiungere a voce talmente bassa che la colse a stento “Ma è meglio guardare crescere chi ami senza poterlo mai avere vicino, che averlo al proprio fianco con la consapevolezza che non invecchierà di neanche un altro giorno.”.

La donna distolse lo sguardo, tentando di riprendere il controllo mentre Hector si voltava a guardarla.

Sapeva quanto avesse fatto male ad Imelda, scoprire della sua morte e di come era avvenuta. Sapeva quanto, nonostante la sua rabbia, l’idea che lui fosse morto anni prima senza che lei lo sapesse l’avesse fatta sentire in colpa. Sapeva che la consapevolezza che fosse morto talmente giovane, ancora praticamente un ragazzo, la spezzava dentro ogni singolo giorno. Sapeva quando il pensiero di ciò che Ernesto gli aveva fatto, di quello che aveva portato via a tutti loro, della vita che gli era stata rubata, la uccidesse. Tentava di non farglielo capire, ma per lei anche solo quei suoi capelli neri che aveva tanto amato, ancora senza nemmeno un filo d’argento, erano un doloroso promemoria di quei cinquanta anni di vita che li avevano separati e che mai avrebbero potuto riavere indietro. E lui lo sapeva fin troppo bene.

Con un sospiro, le circondò la vita e la trasse a sé, spingendola contro il proprio petto per poi stringerla con quelle braccia che nemmeno la morte poteva rendere meno dolci. Lentamente sollevò la mano che ancora stringeva nella propria e la portò alla bocca, per baciarla con la riverenza riservata ad una regina.

“Ay, mi corazon.” mormorò contro la sua mano, e davvero non c’era bisogno di altro.  Non quando si trattava di loro. Non più.

Rimasero così, stretti l’uno all’altra, ad osservare i due nipoti fino a quando riuscì a infilarsi nuovamente il cappello in testa e a tenere la piccola a distanza di sicurezza.

“Devo andare ora, Coco.” disse Miguel, tirandosi in piedi “Se fai la brava, dopo canterò una canzone in più per te. Ok?”.

Socorro annuì, ancora un po’ imbronciata per non essere riuscita nel suo intento ma rabbonita da quel patto.

Il ragazzo sorrise e le scompigliò ancora i capelli, per poi andare verso l’ofrenda, come al solito.

Hector esitò “Io d-devo . . .”.

Imelda annuì, scivolando placidamente via dalla sua stretta “Vai.” mormorò, lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia “Ti sta aspettando.”.

Il fantasma le sorrise, prima di seguire il nipote come ogni anno; fu solo quando lo vide seduto per terra di fronte all’ofrenda con la chitarra in mano che si convinse con certezza di essere davvero nella casa giusta.

 

Miguel era ancora un chiacchierone, esattamente come prima. Parlò e parlò, e questa volta Hector non si perse nemmeno una parola.

Parlò letteralmente di tutto: di alcune amicizie che si era fatto in ambito musicale, per quanto non riuscisse a fidarsi eccessivamente dei propri colleghi – chissà perché-, di quanto Coco stesse crescendo, delle ultime gare che aveva vinto, della sua decisione di abbandonare la scuola di musica e di tornare a dare una mano ai suoi nella fabbricazione di scarpe.

“Mi stava prendendo troppo tempo, e mi sono reso conto che imparavo molto meglio da solo che lì. E poi, mi mancava far parte nell’attività di famiglia. Finivo per passare troppo tempo senza di loro, ed è qualcosa che non sopporto troppo bene.” spiegò, passandosi una mano tra i capelli scurissimi.

Ma soprattutto, parlò di una casa discografica nata da relativamente poco, lì in città, che l’aveva notato durante una delle sue gare e che gli aveva offerto un contratto.

“Non ho ancora firmato.” ammise “Cioè, so che è un’ottima cosa entrare in una casa discografica a soli sedici anni e che il fatto che sia nella mia città sia solo un vantaggio, però non sono del tutto convinto. Non voglio ritrovarmi a dover fare musica solo per soddisfare un pubblico e scrivere canzoni con l’unico obbiettivo di fare soldi. Non è per questo per cui suono.”.

Hector sorrise, colpito da quelle parole. Quello non era proprio un discorso che avrebbe fatto un qualunque sedicenne.

“Sei maturato molto, mijo.” mormorò “La scelta sta a te. Non posso darti grandi consigli. Suonare per una casa discografica è qualcosa a cui io non sono mai arrivato; alla tua età avevo appena iniziato ad esibirmi abitudinariamente nella plaza, e già questo era un enorme successo.”.

Già, lui non aveva mai raggiunto la fama necessaria per essere notato da una casa discografica. Si esibiva ovunque servisse musica e magia, ma non era mai andato oltre a questo. Ernesto, invece, c’era riuscito; con le sue canzoni, era arrivato lì dove lui non aveva mai nemmeno pensato di poter giungere. Lui non si era mai fatto scrupoli di alcun tipo. La musica non era davvero la sua vita, ma solo un mezzo per renderla più bella, più luminosa, apparentemente perfetta.

Non come lui. Non come Miguel.

“Devi lasciarti guidare dal tuo cuore.” affermò con decisione “Se senti che firmare quel contratto ti permetterà di vivere il tuo sogno senza però danneggiare il tuo legame con la famiglia e la musica, fallo. E non avere paura, perché nessuno può trasformarti in qualcuno che non sei. Nessuno.”

Miguel rimase in silenzio per qualche momento, giocherellando con la chitarra “Quella casa mi vuole disperatamente.” spiegò “I vari agenti hanno detto che sarei la loro punta di diamante, e che quindi sono disposti a farmi dettare le condizioni del contratto. Ci ho pensato un po’, e ho deciso di chiedere la massima autonomia e libertà. Non voglio essere seguito da un agente, ma gestire da solo esibizioni, musica, registrazioni, qualsiasi cosa. Sarò io a decidere cosa suonare, quando suonare e come suonare. Non voglio essere la marionetta di nessuno.”.

Il sorriso dell’antenato di fece ancora più grande “Così si fa!” esclamò entusiasta, battendo le mani “E loro cosa hanno risposto?”.

“Erano decisamente d’accordo. Si tratta di meno lavoro per loro, dopotutto. E mi hanno assicurato che potevo fare qualsiasi cosa, anche registrare delle cover delle canzoni che De la Cruz ha reso famose. Le tue canzoni. Anzi, me l’hanno sinceramente consigliato.” buttò fuori, quasi con disprezzo “Hanno detto, testuali parole ‘Un discendente di Hector Rivera che canta le sue canzoni rubate! Questo sì che ti porterebbe al successo assicurato!’.”.

Hector rimase senza parole, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Miguel ringhiò, letteralmente infuriato “Come se potessi fare davvero una cosa del genere! De la Cruz ti ha portato via tutto, ha preso le canzoni che erano tue e solo tue e le ha cantate al mondo intero, costruendo su di esse tutto il suo successo. Ti ha ucciso per quelle canzoni, che avrebbero dovuto essere cantate solo tra le mura di casa nostra. E io dovrei cantarle per loro? Per il successo assicurato?”.

Chiuse con forza il pugno, quasi si stesse trattenendo da spaccare qualcosa “Quando io canto le tue canzoni, lo faccio per averti ancora con me. Per farti rivivere in quelle note. Le canto solo qui, tra le mura della nostra casa. Le canto nel dia de muertos, affinché nessuno di noi ti dimentichi più. Le canto per Coco, per mama e papà, per abuelita, per voi che tornate a trovarci. Le canto per te. Non per il successo. Non per i soldi. Non per il mondo. Per noi. Per la nostra famiglia.”.

Miguel chiuse gli occhi, come se stesse lottando contro le lacrime. Respirò a fondo e poi disse, riaprendo gli occhi e tentando di riprendere il controllo della propria voce “Gli ho risposto che non avrei mai fatto una cosa del genere. Che non avrei mai insultato la tua memoria in questo modo. Quelle sono le nostre canzoni. Nostre e basta. Loro non possono averle. Nessuno che non faccia parte di questa famiglia può averle.”. Si fermò per riprendere fiato, prima di continuare “Ho giurato che non avrei mai firmato nessun contratto, se non avessero messo per iscritto che non mi avrebbero mai spinto a cantarle od a registrarle per alcun motivo. Sto ancora aspettando la loro risposta, ma non mi interessa se sarà negativa. La famiglia è più importante di qualsiasi altra cosa. Almeno questo lo so.”.

Hecotr si sporse in avanti e gli accarezzò il viso, commosso “Grazias, mijo. Davvero.” sussurrò, tentando di trattenere le lacrime.

Miguel deglutì e strinse forte a sé la chitarra, prima di sorridere e di fingere un tono allegro “Detto questo, vuoi sentire come me la cavo, ora? Dammi qualche anno, e potrò competere con te, me lo sento!”.

Il musicista rise, strofinandosi gli occhi “Tu mi hai già superato in tutto quello che conta, Miguelito, e alla grande direi.” mormorò affettuoso, per poi accoccolarsi accanto a lui ed ascoltarlo suonare ancora una volta le loro canzoni.

Questa volta, però, si unì al suo canto, come aveva fatto un dia de muertos di fin troppi anni fa.

E per un folle momento, eccoli di nuovo, l’Hector e il Miguel di fin troppi anni fa, che cantavano insieme per la prima e l’ultima volta, ignari di tutto tranne di quelle note meravigliose che univano i loro cuori.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Mi piace pensare che ‘In ogni parte del mio corazon’ non sia una canzone di Hector, ma la prima canzone scritta da Miguel, in memoria della sua avventura nel mondo dei morti e di ciò che ha imparato quella notte.

[2] Non so se è una cosa valida anche per la tradizione messicana, ma in molte culture è diffusa la credenza che i bambini, soprattutto i più piccoli, possano vedere gli spiriti dei morti.

[3] I completi indossati da Hector quando era ancora vivo erano di tre colori diversi, secondo gli autori: quello della foto bianco, quello del ricordo su Coco rosso e quello sul ricordo di Ernesto rosa.

[4] Mi piace immaginare Coco come una bambina prima e poi una ragazza piena di vita e un po’ ribelle, e che ciò sia stato tramandato alla sua nipotina più giovane; gli autori hanno confermato che scappava di casa per ballare, motivo di litigi continui con la madre Imelda.

[5] Che Miguel da grande possa somigliare anche fisicamente ad Hector è una mia grande convinzione; anzi, credo che sarebbe anche più carino, senza quel nasone enorme del bisnonno –Non te la prendere Hector, lo sai che ti amo!-.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Mijo

 

 

 

 

 

Il quinto anno, Hector trovò Miguel ancora intento ad addobbare con gli ultimi fiori l’ofrenda, in compagnia della piccola Socorro e di Dante.

L’antenato rimase a guardarli fino a quando non ebbero finito, godendosi quell’allegra complicità tanto spontanea e così piena di vita. La bimba era adorabile, tutte risate e schiamazzi, e il più grande non poteva fare a me di coccolarsela e di giocherellare con lei in qualsiasi momento. Era ancora un po’ più alto, giusto di qualche centimetro, ma si notava. Ormai Hector lo superava solo di cinque centimetri, più o meno, e si preparò psicologicamente all’idea che l’anno prossimo il suo piccolo sarebbe stato troppo grande per poterlo chiamare ancora chamaco. Ma alla fine non importava, poiché anche con una barba lunga venti metri lui avrebbe comunque continuato a chiamarlo in quel modo. Era il suo chamaco, dopotutto.

Quando l’ultimo mazzolino di fiori fu al proprio posto, Miguel disse alla sorellina di andare fuori a giocare, promettendola di raggiungerla da lì a breve. La piccola protestò un po’, ma poi seguì lo scodinzolante Dante fuori, tentando di tirargli la coda.

Miguel sorrise, per poi allungarsi e lucidare un po’ il vetro che proteggeva la foto di Hector, Imelda e Coco, facendo molta attenzione a non farla cadere. Si tirò indietro i capelli, diventati ancora più lunghi nell’ultimo anno, e si sedette contro l’ofrenda, ad occhi chiusi.

“Questa è una di quelle volte in cui vorrei davvero sentirti, papà Hector.” mormorò così piano da far credere per un attimo al fantasma di esserselo solo immaginato “Vorrei tanto parlarti a quattr’occhi, e sentire le tue risposte. Perché sono certo che tu me ne dia di risposte, e tante anche, nonostante io non possa sentirti.”.

Hector lo scrutò, preoccupato “Cosa succede, Miguelito?” chiese, abbastanza allarmato da quelle parole. Era successo qualcosa di brutto? Quella casa discografica era riuscita ad imbrogliarlo come aveva temuto? Se qualcuno aveva anche solo lontanamente fatto del male al suo chamaco, lui l’avrebbe trovato e gliel’avrebbe fatta pagare, non importava che fosse già morto. Una qualche maniera l’avrebbe sicuramente trovata.

Quasi avvertendo la sua preoccupazione, si affrettò ad aggiungere “Non si tratta di niente di male, eh! Solo che . . . vorrei tanto parlartene davvero.”.

“E allora fallo, mijo. Parlamene.” lo esortò con affetto “Io sono qua, anche se non puoi vedermi. Sono sempre qua con te.”.

Miguel respirò a fondo, come per raccogliere tutto il suo coraggio, e alla fine buttò fuori, come in una terribile confessione “Ho incontrato una persona. Una ragazza.”.

Il musicista rimase per un attimo stranito. Oh. Oh! Si trattava di quel tipo di incontro!

Sorrise, divertito anche se sorpreso, e si sedette proprio accanto a lui “Non pensavo di dover un giorno affrontare una conversazione di questo tipo.” commentò “Ma avanti, sputa il rospo, figliolo!”.

Miguel riaprì gli occhi,si mordicchiò il labbro e continuò “Si chiama Esme e ha gli occhi verdi verdi, stupendi. Canta per la mia stessa casa discografica. Perché sì, alla fine hanno ceduto ed ho iniziato a collaborare con loro. Non hanno ancora cercato di fregarmi, quindi credo che tutto sommato stia andando bene.” spiegò, per poi riprendere il filo del discorso.

“Ci siamo incontrati per caso qualche mese fa, in uno degli studi. Insomma, non proprio per caso. Ho sentito la sua voce mentre cantava e, ecco, l’ho seguita fino a trovarla.” ammise, un po’ imbarazzato, passandosi una mano tra i capelli “Stava registrano una cover de la Llorona accompagnandosi col pianoforte. Era semplicemente da brividi.”.

Esitò, evidentemente in imbarazzo, prima di ammettere con voce sognante “È fantastica, ma allo stesso tempo spaventosa. Meravigliosamente spaventosa. Forse in questo somiglia un po’ a mama Imelda, ma tu non dirglielo, ok? ”. [1]

Ecco, quindi è questo il punto pensò Hector, senza riuscire a trattenere un sogghigno complice.

Riconosceva quella espressione e quel tono di voce incantato. Li riconosceva fin troppo bene.

“Ohi ohi.” commentò, scuotendo appena la testa pur di non scoppiare a ridere “In che cosa ti sei infilato, chamaco? Non si sfugge da una ragazza così, sappilo.” lo ammonì, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla “Ti entra nel cuore e ci resta per tutta la vita e anche dopo la morte, e io ne sono la prova.”.

Miguel si inumidì le labbra, chiaramente in difficoltà “Quando canta . . . papà, mi fa sentire davvero loco.” sussurrò, chiudendo gli occhi e portandosi una mano al cuore “E anche quando fa tutto il resto, se è per questo. Ma soprattutto quando canta. O quando mi guarda. O quando mi chiama per nome. Non credevo che fosse davvero possibile, ma beh, a quanto pare lo è.”.

Il musicista annuì, quasi gravemente “Conosco quella sensazione, mijo.”.

Il ragazzo riaprì gli occhi e prese a tormentare con le dita il foulard rosso fuoco che portava al collo. “All’inizio non voleva proprio saperne di me. Mi ignorava e via dicendo.” ammise, per poi aggiungere con aria quasi colpevole “Ma io non mi sono arreso. L’aspettavo fuori dalla casa discografica tutte le sere. Le andavo dietro. Tentavo in tutti i modi di parlarle. Ho suonato per lei. Questo genere di cose, insomma.”.

“Bravo chamaco, è così che si fa!” esclamò l’altro, battendo le mani entusiasta. “O almeno, è quello che ho fatto anche io.” aggiunse, per poi ricordare tutte le scarpe che si era preso in testa proprio durante quel corteggiamento un filino esasperante. “Forse non è proprio il modo più indicato, ma funziona.” borbottò, passandosi imbarazzato una mano tra i capelli.

Il diciassettenne sorrise ai propri bottoni “Alla fine ha ceduto e mi ha concesso di cantare con lei. Solo una canzone, niente di più.” mormorò, senza riuscire a smettere di sorridere “Ma a me quella canzone non è bastata. E credo nemmeno a lei, anche se non lo ammetterà mai.”.

Hector chiuse gli occhi, ricordando per un momento la prima volta che lui ed Imelda avevano cantato insieme, dopo che l’aveva tormentata per mesi. In quel momento, quando le loro voci avevano danzato insieme sulle note de La Llorona, aveva capito che il suo cuore ormai le apparteneva, e che sarebbe stato così per sempre. Sembrava passato così tanto tempo . . . ma in effetti, era passato veramente tanto tempo. Una vita intera, almeno.

La voce esitante di Miguel lo trascinò via dai suoi ricordi “Ora noi . . . non so bene come definirci. Siamo colleghi, certamente, ma anche di più. Piano piano siamo diventati anche amici, ma come definizione non basta. Non per me, almeno.” si morse così forte le labbra da farsi uscire il sangue “Io s-sono, beh . . .”.

Si fermò, incapace di continuare, ma il fantasma terminò la frase per lui.

“Cotto?” annuì, sorridendo come se fosse scontato “Sì, decisamente, chamaco. Te lo leggo negli occhi. È talmente chiaro che anche un cieco se ne accorgerebbe. E non credo che la tua terribile Esme non riesca a vederlo.”.

Miguel sospirò, frustato, ed Hector si sentì stringere un poco quel cuore che non aveva più.

Con dolcezza, allungò la mano e la posò sulla sua guancia, in una carezza gentile “Dai tempo al tempo, piccolo.” lo rassicurò, teneramente “Continua a dimostrarle quanto tieni a lei, e vedrai che capirà che quello che provi è sincero. Si innamorerà di te prima che tu possa rendertene conto. Anzi, probabilmente già lo è. Sei talmente facile da amare, mijo.”

Abbassò la mano, per poi dire ancora, con un pizzico di amara consapevolezza “Devi darle solo fiducia. Le ragazze come lei sono un po’ restie ad accettare  e mostrare i propri sentimenti, ed hanno i loro buoni motivi per esserlo. Ma alla fine lo fanno. Lo fanno sempre. Vedrai.”.

Il ragazzo rimase in silenzio per un po’, quasi rimuginando tra sé. Ad un certo punto, però, alzò la testa di scatto e disse “Sai, all’improvviso mi sono reso conto che in fondo non mi va moltissimo di parlarne. Che ne dici di un po’ di musica?.”

L’antenato non ebbe il tempo di dire niente che lui si era già chinato a prendere la chitarra. Prima di posare le dita sulle corde però mormorò, un filino testo “Spero che non ti dispiaccia se non canto Un Poco Loco e Juanita, questa volta. Non mi sento proprio in vena.”.

Hector sorrise un po’ amaramente e gli posò una mano sulla spalla “Sei esonerato per quest’anno, chamaco.”

 

 

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Il sesto anno, Hector fu contento di trovare Miguel in giardino, a tentare contemporaneamente di pulire il visino di una Socorro sporca di fango, sgridarla per l’ennesima marachella e non scoppiarle a ridere in faccia. La sua solita fossetta era lì, al suo posto, più profonda che mai, e per l’antenato fu un gran sollievo.

Quando ebbe finito di dare alla sorella un aspetto quantomeno presentabile, il maggiore la mandò dalla madre e poi si infilò come al solito nella stanza dell’ofrenda, con un enorme sorriso stampato in faccia.

Era alto quanto lui, ormai, notò Hector e . . . sì, portava il pizzetto proprio come l’aveva sempre portato lui. Era quasi la sua copia sputata, adesso, e per quanto gli facesse strano non riuscì a reprimere un moto di irrazionale orgoglio.

Il ragazzo fischiettò, e dopo aver pulito il vetro della loro foto ed averlo salutato come al solito, si sedette a terra con le gambe incrociate e la chitarra sulle ginocchia. Sorrise all’aria ed iniziò a parlare, con un entusiasmo ancora più vivo del solito.

Quella volta, Miguel parlò quasi ininterrottamente per quindici minuti. E su quei quindici, l’argomento di almeno dodici minuti buoni fu Esme.

Le cose tra loro avevano preso decisamente una piega più dolce, a quanto pareva; poteva vederlo bene da quel luccichio familiare che gli faceva risplendere gli occhi come due stelle scure.

“Quindi siete una coppia ora?” commentò il musicista, felice per il proprio nipotino “Il famigerato fascino River ha colpito un’altra volta, vedo!”.

Il ragazzo, del tutto ignaro della soddisfazione del suo antenato, continuò a parlare e a parlare, riempiendolo di parole e dettagli che lui ascoltò con un sorrisetto a metà strada tra l’affettuoso e il divertito.

“Abbiamo iniziato a duettare ed a cantare insieme. Siamo addirittura partiti per un mini tour, solo noi due, per tutti i paesini più sperduti del Messico. È stato assolutamente fantastico! Casa mi è mancata un po’, ma cantare insieme a lei non ha davvero prezzo.” raccontò, entusiasta, per poi ammettere imbarazzato “A dire il vero, per un momento abbiamo temuto di non riuscire a fare in tempo per oggi, visto che ho perso i biglietti del treno, ma per fortuna siamo riusciti a trovare un passaggio all’ultimo minuto.”

“Uhm” commentò il fantasma “Iniziamo male, chamaco. Non cominciare a saltare le grandi occasioni, altrimenti tua mama Imelda si pentirà di non aver aggiunto le solite condizioni, l’ultima volta che ti abbiamo rimandato qui, e vedrà come porvi rimedio. E non so se la fermerò.”.

Quasi l’avesse sentito, si affrettò a rassicurarlo “Ma non preoccuparti, papà Hector, sarei comunque tornato a casa, in un modo o nell’altro. Il dia de muertos si passa in famiglia, e niente può impedirmi di passarlo qui, a casa, con tutti voi.” affermò con sicurezza e sincerità, riuscendo a strappargli un sorriso.

“Forse però, la prossima volta mi converrà stare un po’ più attento.” concesse, passandosi una mano tra i capelli “Esme non la smetteva più di ridere. Mi prede sempre in giro, dice che ho la testa tra le nuvole e che se non l’avessi attaccata al collo volerebbe via con il vento. Fingo di prendermela, ma in effetti non ha tutti i torti.”.

E così via, per circa altri sette minuti buoni.

Hector si ritrovò a scuotere divertito la testa. Esme di qua, Esme di là. . . anche lui era così esasperante e sdolcinato, nei primi mesi con Imelda?

Lo sei ancora gli sussurrò maligna una vocina all’orecchio, ma lui la ignorò testardamente, tornando a prestare attenzione alle parole del nipote, che era arrossito all’improvviso.

“Fra poco faremo un anno. Vorrei scriverle una canzone come regalo. Come hai fatto tu con Un Poco Loco, per mama Imelda.” mormorò, tormentandosi le dita.

Il musicista dovette seriamente trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo, per quanto trovasse intimamente tutto ciò molto toccante.

“Ma guarda come sei diventato romantico.” lo prese in giro, per poi puntargli l’indice contro e rimproverarlo, solo in parte realmente risentito “E non tanti anni fa facevi le smorfie a me ed Imelda, piccolo ipocrita!”.

Abbassò la mano, ridacchiando appena “Comunque, è una bel-. . . aspetta, come fai a sapere che ho scritto Un Poco Loco per lei?” esclamò scioccato, realizzando di colpo ciò che l’altro aveva detto e sentendosi incredibilmente esposto. Come aveva fatto quel piccolo diavoletto a capire . . . oh beh, non è che ci volesse Sherlock Holmes per arrivarci, in fondo. Non era mai stato, beh, troppo discreto quando si trattava di loro due. [2]

Miguel parlò ancora, distraendolo dal suo piccolo shock momentaneo “Però, non so come fare. Ho mille idee, ma nessuna sembra adatta.”.

Prese la chitarra e suonò una breve serie di note lente e dolci ”Che ne dici, ad esempio, di questa melodia? Troppo sdolcinata, vero?” chiese con una smorfia, per poi suonare qualcosa di decisamente molto più allegro “Questa, invece? Un po’ fuori luogo?”.

Hector scosse la testa per l’ennesima volta, riconoscendosi terribilmente in quell’espressione sognate e allo stesso tempo nervosa fino all’inverosimile “Ay, ay Miguelito.” borbottò con affetto “Non c’è niente da fare, noi Rivera perdiamo letteralmente testa, cuore ed anima per tutta l’eternità, quando ci innamoriamo.”

 

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Il settimo anno, per qualche orribile momento Hector ebbe seriamente paura che Miguel fosse di nuovo partito in tour e che non fosse riuscito a tornare in tempo, quella volta.

Lo cercò ovunque, come ogni anno; prima nel cortile, poi nella stanza dell’ofrenda, ma non c’era traccia di lui da nessuna parte.

Il timore lo colpì come un pugno nello stomaco. Possibile che si fosse davvero dimenticato? O che, peggio ancora, avesse scelto di non esserci?

Ma no, non poteva essere. Miguel non avrebbe mai fatto una cosa del genere. L’aveva promesso.

E poi, se non ci fosse stato davvero, non ci sarebbe stato nemmeno quell’entusiasmo festoso nell’aria. Ogni cosa sarebbe apparsa vuota e fredda, e la famiglia mutilata, spenta, spaccata. Invece tutto era esattamente come sempre. Socorro, con la lunga treccia quasi sciolta, saltellava allegra in giro assieme agli altri cugini e Dante, e anche tutto il resto della famiglia sembrava sereno, compresa Elena che stava dando gli ultimi ritocchi alla strada di petali. Non sarebbe stato così, se Miguel fosse stato chissà dove, ignorando quel giorno tanto importante. Probabilmente era solo uscito a comprare qualcosa che mancava per la cena, oppure stava rientrando a casa proprio in quel momento. Forse . . .

Una risata calda e familiare lo colse di sorpresa e lo fece girare di scatto, mentre al timore si sostituiva il ben più piacevole sollievo.

Il suo Miguel, vestito di rosso e tutto sorridente, era appena uscito dalla bottega reggendo un enorme cesto di fiori. Ma non era solo.

Imelda, che si era voltata anche lei nel sentirlo ridere, studiò attentamente la piccola figura che aiutava il nipote e chiese quasi senza fiato, come se avesse già intuito la risposta “Chi è quella ragazza?”

A Hector bastò un solo, rapido sguardo per riconoscerla. Miguel non aveva parlato di altro per anni, dopotutto.

Finalmente eccola lì, la famosa Esme.

Non era per niente come l’aveva immaginata per tutto quel tempo. Bassa bassa, snella, con un visino sottile, i capelli ricci che le arrivavano appena sotto le orecchie e due grandi occhi verdi, era completamente diversa da Imelda. Eppure anche lei aveva quell’aria quasi regale, quell’espressione seria e controllata che però nascondeva il più luminoso dei sorrisi o il più terrificante dei sogghigni.

“Oh, lo so io.” gongolò, senza riuscire a trattenere un sorriso “È la fidanzata di Miguel.”.

“Qué?” esclamò Coco, che li aveva appena raggiunti ed osservava a sua volta senza parole la giovane sconosciuta. Sembrava completamente incredula “Il piccolo Miguel fidanzato?”.

Un piccolo sorriso intenerito illuminò il viso di Imelda “Credo che non sia più tanto piccolo, mija, anche se ai nostri occhi lo sarà sempre.” spiegò con affetto alla figlia, prendendo contemporaneamente per mano il marito.

Il musicista non riusciva a fare altro che continuare a guardarli mentre, ridendo, gli passavano accanto e posizionavano il cesto accanto all’ingresso del cortile. Un volta sistemato per bene, Miguel si chinò con un sorrisetto e sfilò uno dei fiori più colorati dal mazzo per poi porgerlo alla ragazza in un gesto teatrale.

Esme alzò gli occhi al cielo, per poi sorridere e fingere di accettarlo. Ma all’ultimo momento, invece di metterselo tra i capelli, si allungò in avanti e glielo infilò dietro l’orecchio sinistro, lasciandolo per un momento senza parole.

“Ecco, così sei decisamente muy guapo.” affermò, con una bella voce vellutata e musicale, da cantante.

Il sorriso di Miguel si fece ancora più grande e sincero, e subito si portò una mano al petto, pavoneggiandosi “Io sono sempre muy guapo, diosa.”.

Hector fece una smorfia “Flirtano come due adolescenti.”.

Imelda alzò gli occhi al cielo “Sono due adolescenti.” gli ricordò, per poi aggiungere con un ghigno “E poi, non credo che tu possa permetterti giudizi, mi amor.”.

“Qué? Io non sono mai stato così!” protestò quasi indignato, per quanto fosse consapevole che lo era stato, decisamente.

“Ehm, invece sì, in effetti.” commentò Felipe, divertito.

“E anche peggio.” aggiunse praticamente un secondo dopo Oscar.

“E il vero problema è che lo sei ancora.” borbottò Julio, quasi vergognandosi.

“A volte, sei quasi imbarazzante da guardare.” confermo Victoria, decisa.

Hector sobbalzò e, girandosi, si ritrovò letteralmente accerchiato da tutta la sua famiglia, che fissava quella fresca novità in maniera quasi affamata, senza prestare attenzione a nient’altro.

“Q-quando siete arrivati, esattamente?” chiese, un po’ inquieto.

“Appena abbiamo notato Miguelito con la sua dolce metà.” tubò Rosita, le mani strette strette al petto “Ma guardateli, non sono adorabili insieme?”.

Coco si voltò verso il padre, guardandolo confusa “Come facevi a sapere chi fosse, papà?” chiese innocentemente. A quelle parole, le teste dell’intera famiglia si girarono nella direzione di Hector, che sotto i loro sguardi indagatori si fece piccolo piccolo.

“Tu sapevi chi fosse?” ripeterono quasi in perfetto unisono, tanto da fare paura.

“Qué?” balbettò il musicista, preso alla sprovvista “No! Cioè, ho, ecco . . . ho tirato ad indovinare, sì!” mentì debolmente, confermando così il loro sospetto

“Lui te ne aveva parlato.” realizzò Victoria, socchiudendo gli occhi e fissandolo truce, proprio mentre Oscar affermava con aria quasi scioccata “Tu sapevi.”.

Felipe fece la faccia più delusa ed offesa del mondo “Sapevi e non ci hai detto niente, traditore!” esclamò, puntando l’indice contro il cognato.

“No, no, assolutamente!” si affrettò a difendersi quest’ultimo, alzando le mani “Io . . .”.

Attorno a lui, la famiglia esplose. Letteralmente.

“Perché non ce l’hai detto?”

“Tenere per te una cosa così importante . . .”

“Egoista!”

“Avresti dovuto dircelo!”

“Lurido traditore!”

“Dovevamo saperlo!”

“Mi familia, calmatevi.” disse Imelda, con quello sguardo da matrona che non ammetteva repliche. I suoi familiari si zittirono, ma non smisero di lanciare occhiatacce assassine al povero Hector, che si era nascosto dietro Coco, coprendosi la faccia col cappello pur di sfuggire alla loro rabbia.

La donna sospirò e spiegò “Sì, probabilmente Miguel ne ha parlato con Hector, negli anni passati. Ma si trattava, appunto, di una sua confidenza personale, su un argomento molto delicato. E non credo che volesse che l’intera famiglia lo sapesse prima di essere pronto lui stesso a parlarne con tutti o a farla conoscere ai suoi genitori. E credo anche che Hector non abbia detto nulla di tutto questo a nessuno, compresa me . . . “ e qui lanciò una mezza occhiataccia al marito, che stava sbirciando la sua protettrice da dietro la spalla della figlia. Il poverino gemette e si coprì ancora il volto, e lei continuò imperterrita “per rispettare questa sua fiducia.”.

E anche per non rendere la prima storia d’amore del mio chamaco l’argomento principale di conversazione di questa famiglia di pettegoli  per i prossimi dieci anni. ammise a sé stesso il musicista, anche se ebbe il buon senso di non dirlo ad alta voce.

“Non credo che dovremmo prendercela con lui, in questo momento, ma essere felici per il nostro Miguel.” continuò ignara la moglie “Non capita tutti i giorni, qualcosa di tanto bello.”.

Gli altri non sembravano molto rabboniti dalle sue argomentazioni, ma prima che qualcuno di loro potesse dire altro Elena, con la solita energia, raggiunse la giovane coppia ed agguantò Esme per la guancia, in un gesto affettuoso di solito riservato solo ai nipoti.

“Lascia stare questo mariachi combina guai, mija.” le disse con un sorriso “E vieni ad assaggiare il dolce, avanti.”

La ragazza cercò con gli occhi Miguel, evidentemente in difficoltà. Il ragazzo sorrise e le disse “Vai pure, Esme. Vi raggiungo anche io tra cinque minuti.”.

Elena lo guardò male “Non ho detto a te, Miguelito. L’assaggio del dolce è per questa deliziosa senorita.”.

Miguel si finse offeso a morte “Ma come, abuelita? Non sono più io il tuo preferito?” scherzò, portandosi entrambe la mani sul cuore.

“Hai aspettato un anno per presentarmela, mijo.” rinfacciò la nonna, anche se con un piccolo sorriso “Questa è la tua punizione.”.

“Ok, ok.” si arrese, alzando le mani in segno di pace “Andate pure a mangiare il dolce senza di me.”.

Elena non se lo fece ripetere due volte e trascinò via con sé la povera ragazza, che non ebbe alcun modo di opporsi e dovete limitarsi a lanciare uno sguardo assassino al fidanzato, che se la rise di cuore.

Poi, si voltò e letteralmente corse nella stanza dell’ofrenda, lasciando la porta socchiusa.

Hector, senza nemmeno pensare, scivolò via dalle spalle della figlia e fece per raggiungerlo, prima di sentirsi chiamare per nome da quasi tutti i suoi parenti.

Si girò, e tre quarti della famiglia lo stavano guardando male, a braccia incrociate e con facce serie serie “Non penserai di nasconderci informazioni vitali ancora una volta, vero?” chiesero all’unisono, mentre Imelda alzava gli occhi al cielo e Coco ridacchiava.

Il fantasma fece il suo migliore sorriso “Non oserei mai.” affermò, prima di filare via più in fretta che poteva.

 

Quando entrò nella stanza, facendo scricchiolare la porta come al solito, Miguel era seduto a terra e giocava con il fiore che Esme gli aveva infilato dietro l’orecchio.

“Hola, papà Hector.” lo salutò “Se te lo stai chiedendo, sì, quella è Esme.”.

Il musicista alzò gli occhi al cielo con affetto “Non mi ci è voluto molto per capirlo, chamaco.” borbottò, sedendosi accanto a lui.

“E come hai potuto vedere, la famiglia l’adora. Credo che mi abbia fregato un po’ il posto, a dire il vero.” ridacchiò piano, per poi farsi serio “Spero che piaccia anche a tutti voi. È davvero fantastica, anche se ci vuole un po’ per conoscerla e capirla bene.”.

“Ay, la adorano già tutti, se è per questo.” confermò con una smorfia “Non hai nemmeno la minima idea della scena che è avvenuta a mezzo metro da voi, due minuti fa.”.

Miguel si fece silenzioso e continuò a giocherellare con il fiore che stringeva dolcemente tra le dita. Rimasero così, l’uno vicino all’altro, in silenzio, fino a quando il ragazzo non sussurrò in un soffio di fiato “Voglio chiedere . . . voglio chiederle di sposarmi.”.

Hector rimase immobile, senza sapere cosa dire o anche solo cosa pensare, se non che non poteva senza alcun dubbio riferire questo alla parte defunta e chiacchierona della loro famiglia.

“Non so se accetterà.” continuò lui, abbassando lo sguardo “Lei è talmente fantastica, e io . . . beh, sono io.”

“Sì, ed è più che abbastanza.” affermò con decisone l’antenato, quasi offeso che il nipote potesse pensare il contrario “Accetterà sicuramente, chamaco. Come potrebbe fare altrimenti?”.

Il mariachi si mordicchiò il labbro a sangue “Sono preoccupato. Tantissimo. Ho paura che possa tirarmi la chitarra in testa, o peggio. È terribile, quando vuole.” si passò una mano tra i capelli, nervosamente, prima di chiedere “T-tu . . . tu come hai fatto a convincere mama Imelda?”

Il fantasma sbruffò, imbarazzandosi quasi solo nel ripensarci “Non lo so bene nemmeno io.” ammise “Ricordo solo che ero terrorizzato tanto quanto te. Ma lei mi sorprese, come sempre.”.

Miguel sospirò e si portò le ginocchia al petto, per poi posarci sopra il mento “Vorrei che tu potessi davvero consigliarmi. E che potessi conoscerla sul serio, anche. Ti piacerebbe tanto.” mormorò piano “Anche se temo che si alleerebbe con mama Imelda e ci farebbero passare le pene dell’inferno.”

Hector non riuscì a trattenere uno sbruffo divertito “Ne sono certo.”.

Poi, vedendolo così teso, sorrise teneramente e gli posò una mano sulla spalla “Andrà tutto bene, mijo. Vedrai.” lo rassicurò “E quando ti dirà di sì sarà uno dei momenti più belli di tutta la tua vita. Te lo prometto.”

 

 

Quando uscirono dalla stanza, Hector non fu sorpreso di trovare sia Imelda che Coco sedute a pochi metri di distanza da Esme, che aveva in braccio la piccola Socorro e le stava aggiustando la treccia, rimproverandola piano ma con una luce intenerita nello sguardo.

Sorrise e si avvicinò alle sue due ragazze, per lasciare un bacio delicato sulla fronte della figlia e poi sedersi accanto alla moglie, che si accoccolò d’istinto più vicina a lui.

“Che ne pensi, mi corazon?” domandò incuriosito dopo qualche momento, notando come stava studiando attentamente la giovane cantante. Sapeva che la moglie aveva un buon intuito con le persone. E Julio gli aveva raccontato come avesse predetto sempre in maniera corretta quali coppie, all’interno della loro famiglia, sarebbero durate ed avrebbe avuto il proprio lieto fine.

Imelda si prese qualche momento, prima di parlare “Sembra molto decisa. Ma dolce, anche. E sembrano entrambi molto innamorati.” aggiunse poi con un sorriso sincero, che il marito non poté fare a meno di imitare.

Miguel aveva appena raggiunto la cantante, facendo in modo che non se ne accorgesse. La abbracciò da dietro, posandole il mento sulla spalla con una naturalezza e una dolcezza infinite. Esme, per nulla sorpresa, girò appena il viso, mentre lui le sussurrava qualcosa all’orecchio, e ridacchiò sottovoce, scuotendo la testa quasi con divertita rassegnazione. E Miguel . . . beh, Miguel la guardava ridere, incantato, come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto.

Mentre in tutto questo Socorro fissava schifata i due ragazzi e faceva le smorfie più buffe e disgustate del proprio repertorio da bambina di sei anni, ovviamente.

Il sorriso di Hector si fece ancora più grande “Sì, lo credo anche io.” sussurrò, per poi aggiungere con una smorfia “Anche se Miguel sembra un po’ un idiota, a guardarla con quegli occhi enormi e quel sorriso ebete sulle labbra.”.

A suo fianco, Coco ridacchiò di gusto, nascondendosi il volto dietro una mano. I due genitori la fissarono, confusi, e lei spiegò, sentendosi quasi in colpa “Non vorrei dirtelo, papà . . . ma quella è la stessa espressione che hai tu ogni volta che guardi mama.”.

A quelle parole, Imelda trattenne a stento una risata imbarazzata, riuscendo a farla passare per un breve colpo di tosse, mentre Hector, beh, se avesse potuto arrossire, l’avrebbe sicuramente fatto.

La piccola Socorro, evidentemente seccata ed annoiata da tutte quelle moine, saltò già dalle gambe di Esme e corse a strattonare il fratello dai pantaloni, per richiamare la sua attenzione.

“Mig-el! Cantaci una canzone!” gridò, tutta eccitata.

“Uh?” Miguel fece il finto tonto, inginocchiandosi di fronte a lei senza però togliere la mano destra dalla spalla della fidanzata “Una canzone dici, Coco?”.

La piccolina annuì, sorridente.

Miguel si voltò verso la ragazza “Che dici, Esme? Possiamo concedere una canzone a questa monella?”

La ragazza finse di pensarci su “Uhm, non lo so.”.

“Dai, per favore!” pregò la piccolina, rivolgendosi questa volta alla ragazza facendo i suoi migliori occhi da cucciolo.

I grandi occhi verdi di lei brillarono appena, proprio come facevano quelli di Imelda quando Coco era piccola e le chiedeva qualcosa con uno dei suoi sorrisi giganti.  “Forse, se qualcuno promette di non mangiare tutti i pasticcini . . .” borbottò, come se non fosse ancora del tutto sicura.

“Non ne ho toccato nemmeno uno!” affermò la bambina, quasi oltraggiata.

Miguel scosse appena la testa e si allungò per pulire il musetto sporco della sorella “E cosa sono queste briciole, allora?”.

Socorro grugnì, sconfitta “Ok, non ne tocco più!” promise, ritentando con gli occhi da cucciolo.

Esme trattenne a stento un sorriso “Uhm, allora credo che si possa fare.” affermò, per poi voltarsi verso il ragazzo “Mi amor?”.

Il viso di lui si illuminò letteralmente nel sentirsi chiamare in quel modo.

“Sai che non posso dire di no a voi due, mi corazon.” sussurrò scherzoso in risposta, per poi porgerle una mano in maniera quasi cavalleresca. Lei la accettò, senza più tentare di nascondere il suo sorriso, e si fece guidare verso il centro del cortile, mentre il resto della famiglia, vivente e non, si radunava attorno a loro.

Miguel la lasciò andare e si sfilò la chitarra di dosso, mentre le dita si posizionavano come d’abitudine sulle corde. Guardò la sua compagna, una domanda negli occhi, e lei molto semplicemente annuì.

E, come se non avesse bisogno d’altro, Miguel fece il suo miglior grido ed iniziò a suonare.

Già alle prime note, gli occhi di Hector si assottigliarono, mentre al suo fianco Imelda trattenne il respiro. Poi, quando il ragazzo iniziò a cantare quelle parole che entrambi conoscevano fin troppo bene, per un momento si sentirono trascinati indietro nel tempo.

“Puoi dirmi se c'è il sole?

Ay mi amor! ay mi amor!

Rispondi "c'e tempesta"

Ay mi amor! ay mi amor!”.

Ma fu quando Esme si unì al canto, alternandosi all’amato con tanta naturalezza da lascare tutti estasiati, che i cuori morti di entrambi si fermarono.

“Le scarpe dove sono?

Ay mi amor! ay mi amor!

Rispondi "proprio sulla testa!"

Ay mi amor! ay mi amor!”

“Non ci credo.” sussurrò senza fiato Hector, incapace di distogliere lo sguardo da quella giovane coppia.

“Hector.” lo chiamò in un gemito Imelda, mentre le proprie mani cercavano le sue e le stringevano forte forte, quasi in maniera disperata.

Miguel ed Esme, del tutto ignari, continuarono a cantare, insieme questa volta, iniziando a ballare l’uno attorno all’altra, quasi come se il resto del mondo non esistesse.

“Io mi sento un poco loco

un poqui-ti-ti-to loco!

Tu spesso mi sorprendi

mi molli e mi riprendi

ma poi non te la prendi

Se io sono un poco loco!”

Quella era la loro canzone. Quella con cui Hector si era dichiarato a Imelda tanto, tanto tempo prima. La canzone che avevano cantato insieme al loro matrimonio. La canzone che li aveva uniti ed aveva intrecciato i loro cuori per sempre.

E Miguel e Esme la cantavano proprio come avevano fatto loro due per anni, alternandosi come se lo facessero da sempre, ballando l’uno attorno all’altra, senza mai distogliere lo sguardo.

Quella era Un Poco Loco.

Era Un Poco Loco cantata nella maniera in cui doveva essere cantata.

Con amore. Giovane, fiducioso, splendido amore.

Esme fece una giravolta, mentre la gonna del suo vestitino verde si sollevava appena, formando un delicato cerchio attorno a lei, e continuò, sorridendo a Miguel ed a Miguel soltanto.

“Che loco che mi sento 

forse sono un poco lento

con te non si capisce

Miguel si unì nuovamente a lei, il sorriso più innamorato della terra ad illuminargli il volto.

“Il dubbio si infittisce!

La cabeza impazzisce!

Quando sei un poco loco!”.

Hector si strinse più vicino ad Imelda, ascoltando incantato quella melodia che mai avrebbe creduto di poter risentire, non in quel modo.

“Sono bellissimi.” sussurrò Imelda, con i grandi occhi scuri lucidi e la splendida voce profonda spezzata “Spero che abbiano tutto quello che noi non abbiamo potuto avere. Spero che almeno loro possano averlo.”.

Il musicista si sentì pizzicare gli occhi. Avvolse la moglie tra le braccia e la strinse forte contro il proprio petto, baciandola delicatamente tra i capelli.

“Lo avranno, mi corazon.” la rassicurò, con voce provata ma sicura “Miguel ha imparato dai miei errori. Non li commetterà anche lui. Non lascerà da sola l’amore della sua vita come ho fatto io. E, se mai dovrà scegliere, saprà capire cosa è più importante.”.

Chiuse gli occhi, incapace di continuare, mentre il sollievo e il rimpianto si fondevano insieme in un nuovo tipo di veleno.

Sì, loro avrebbero avuto tutto quello che avrebbe dovuto essere suo e di Imelda. La pace, la felicità, una vita lunga e felice. Non avrebbero commesso i loro sbagli. Il loro amore non sarebbe stato mutilato e lacerato. Almeno, non il loro.

Una mano delicata gli sfiorò il viso, come a volerlo risollevare da quei pensieri dolorosi, e il fantasma si costrinse a riaprire gli occhi ed a sorridere all’amore della sua vita e della sua morte, mentre le ultime parole della canzone riempivano l’aria.

“Che loco che mi sento 

io sono un poco lento

Che loco che mi sento 

io sono un poco lento

Che loco che mi sento 

io sono un poco lento

Che loco che mi sento 

io sono un poco lento

Un poqui-ti ti ti ti ti ti ti ti ti ti ti ti-to loco!”.

Miguel allungò un braccio ed afferrò la mano di Esme, per farle fare un’ultima giravolta e poi attirarla contro di sé, stringendola in maniera quasi possessiva contro il proprio petto.

Attorno a loro, l’intera famiglia esplose, tra grida ed applausi, e quasi si trattasse di una delle loro esibizioni i due si inchinarono, continuando a tenersi per mano.

Anche la piccola Socorro batteva le mani, entusiasta, ma non era soddisfatta. Affatto.

“Un’altra! Un’altra!” richiese a gran voce, tra l’approvazione generale.

Il fratello rise, scuotendo appena la testa “Dai, Coco! Oggi è il nostro giorno libero! Non vorrai farci ricorrere al nostro intero repertorio, vero?”, le chiese, facendole l’occhiolino.

“Sììì!” esclamò invece la bimba, saltellando su e giù come una molla.

Miguel sospirò, quasi se lo aspettasse “Temo che non ce la toglieremo mai di dosso, se non l’accontentiamo.” osservò, rivolgendosi alla compagna.

La cantante sollevo un sopraciglio a formare un arco perfetto “Come se ti dispiacesse.” commentò ironicamente.

Il ragazzo si portò un dito alla bocca, facendole cenno di tacere “Shh, devo mantenere una certa reputazione!” scherzò, prima di chiedere “Allora, ci stai, diosa?”.

Il sorriso di Esme, questa volta, era a dir poco splendente “Potrei mai dirti di no?” chiese piano, gli occhi verdi che brillavano come pietre preziose.

Il mariachi rispose al suo sorriso e poi si sedette sul pozzo al centro del cortile, portandosi la chitarra al petto, mentre lei si sedeva al suo fianco, infilandosi dietro l’orecchio un ciuffo ribelle di capelli.

Chiuse gli occhi per un momento e poi, quando delle note malinconiche ed appassionate iniziarono a sfiorarla, cominciò a cantare dei versi che tutti conoscevano fin troppo bene.

“Ay de mí, llorona

Llorona de azul celeste

Ay de mí, llorona, llorona

Llorona de azul celeste”.

Nel sentire quelle parole, Hector si alzò e si voltò verso Imelda, che lo guardava confusa.

“Per una volta che non siamo noi a doverci esibire, godiamocela.” affermò deciso, per poi farle un dolcissimo sorriso e porgerle la mano destra. “Mi concedi questo ballo, mi corazon?” sussurrò in un sospiro.

Il sorriso di Imelda valeva più di qualsiasi altra risposta.

La sua mano si posò in quella di lui e, mentre i due giovani innamorati continuavano a cantare e suonare, Hector trascinò la sua amata in una danza solo loro, a metà strada tra un valzer e un tango, lasciando che i ricordi del passato e quei sentimenti ancora vivi e pulsanti guidassero i loro passi.

“Y aunque la vida me cuesta llorona

No dejare de quererte

No dejare de quererte!”

 

 

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L’ottavo anno, Hector trovò Miguel nella stanza dell’ofrenda insieme a Esme.

Le stava indicando le fotografia più in basso, chiamando ogni parente per nome e raccontando qualcosa su di loro, e lei tra le sue braccia ascoltava in silenzio, come completamente persa nella sua voce.

Quando ebbe finito di parlare, la cantante sorrise “I miei preferiti rimangono comunque loro.” commentò, indicando con un cenno nella testa la foto di Hector ed Imelda.

“Ne ero sicuro.” osservò il musicista “Sei una tale romantica . . .” la prese in giro.

Lei gli tirò una gomitata tra le costole “No, affatto. È per questo che mi piacciono tanto. Nonostante tutto quello che hanno passato, non sono riusciti a dimenticarsi. Non sono riusciti a non amarsi più. Ed è una cosa tanto difficile, ormai, che si meritano un bel po’ di rispetto per questo.” spiegò, per poi aggiungere “E poi, papà Hector ti somiglia così tanto che non posso fare a meno di sentirmi affezionata a lui solo guardando la sua foto.”.

Quell’ultimo commento colpì profondamente Miguel, che chiese sorpreso ”Davvero mi somiglia?”.

La ragazza annuì, come se fosse ovvio. “Ma tu sei decisamente più guapo.” aggiunse con un sorriso, accarezzandogli la fossetta con le punta delle dita, facendolo arrossire.

Hector sbruffò “Stai perdendo punti, senorita.”.

Miguel tentò di nascondere il proprio compiacimento e il proprio rossore e poggiò il mento sulla sua spalla “Secondo me, tu somigli tantissimo a mama Imelda, invece.”

L’altra aggrottò la fronte “Ma se siamo completamente diverse. Insomma, guardala, è stupenda. Sembra un’attrice dei tempi d’oro del cinema.”.

Quel complimento tanto sincero strappò un sorriso al fantasma “Ok, li hai riguadagnati.”.

Il mariachi si strinse nelle spalle “Io preferisco te.” mormorò contro il suo collo.

Esme alzò gli occhi al cielo “Ci voleva pure, mi amor.” ribatté ironica ma non troppo, strappandogli una risatina imbarazzata.

Il giovane rimase un attimo in silenzio, prima di continuare “Ma comunque, mi riferivo al vostro carattere. Siete entrambe combattive. Fiere. Maestose. Forti. Spaventose. Terrificant-ouch!” gemette, portandosi una mano dove il pugno di lei l’aveva colpito, mozzandogli il fiato.

“Questo te lo sei meritato.” dichiarò decisa la cantante, sollevando il mento ed incrociando le braccia “È da parte mia e di mama Imelda.”.

Hector scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Era bello non essere quello che veniva malmenato, per una volta.

“Devo assolutamente raccontare questa scenetta a Imelda.” mormorò tra sé e sé, senza smettere di ridere.

“Scusami, scusami!” esclamò lui, alzando le mani in segno di resa. Poi, la abbracciò di nuovo e continuò, imperterrito “Però ero sincero.”.

“Ne vuoi un altro?” ringhiò lei, mostrando il pugno chiuso “Basta chiedere.”.

“Dico sul serio.” insistette “Mama Imelda è una sorta di istituzione. Ha cresciuto una bambina completamente da sola. Ha dato vita ad un’attività dal niente. Ha tenuto unita la nostra famiglia. Ha reso tutto questo possibile. “.

Le pupille della cantante si assottigliarono “Dove stai andando a parare, Miguel?” chiese lentamente, quasi con freddezza.

Il mariachi aggrottò la fronte, confuso “Da nessuna parte.”.

Esme respirò a fondo, prima di parlare “Se ti sta venendo qualche strano pensiero . . . Se pensi che io possa fare quello che ha fatto lei . . .” sibilò, con la voce che tremava appena “Se pensi anche solo lontanamente che, in caso a te venisse la stessa folle idea di lasciarmi da sola, io non ti rinchiuderei in casa a vita . . .”

Miguel spalancò gli occhi, incredulo “Non ho intenzione di andarmene!” esclamò, senza riuscire a credere che lei avesse anche solo potuto pensare una cosa del genere. “Perché mai dovrei farlo? Tutto quello che conta davvero ce l’ho qua, stretto tra le mie braccia.” mormorò, stringendola più forte a sé “Perché dovrei abbandonarlo? Perché dovrei abbandonarti?”.

La cantante si ostinò a non rispondere, stringendo le labbra e tenendo gli occhi fissi sull’ofrenda, e il ragazzo tentò ancora di spiegarsi  “Io volevo solo dire che mama Imelda era una roccia. La roccia di papà Hector e della nostra famiglia. Proprio come tu sei la mia, mi corazon.”

Esme sbuffò, quasi come se riuscisse a credergli “Le tue paroline dolci da autore di canzoni d’amore non bastano.” mormorò, incrociando le braccia.

Il musicista la fissò, chiaramente preso alla sprovvista da quelle parole e quell’atteggiamento improvvisamente duro “Davvero hai paura di questo?” chiese “Che io possa lasciarti?”.

La ragazza chiuse gli occhi per un attimo, prima di girarsi e guardare il compagno dritto in faccia “Io ti conosco, Miguel. So quanto tieni alla tua famiglia. So che per te la musica è come l’aria che respiri, e ti amo anche per questo.” rispose, come se ogni parola le facesse male “Ma non posso giurare, se dovessi scegliere tra la musica e la nostra famiglia, a cosa daresti la precedenza. E di questo sì, ho paura.”.

Lui tentò di rassicurarla, ma lei non gli diede modo di parlare “Eri già pronto a fuggire una volta, quando avevi solo dodici anni e non avevi mai realmente suonato. Come posso sapere che non lo farai ora?” chiese, fissandolo con i grandi occhi di smeraldo che bruciavano.

Il mariachi riuscì a sciogliere l’intreccio delle braccia di lei e ne strinse dolcemente le mani tra le proprie “La mia scelta l’ho già presa anni ed anni fa, e l’ho confermata più e più volte.” affermò con forza “La musica è tanto per me, ma non è tutto. La famiglia viene prima. Tu vieni prima. Ed è stato proprio il passato ad insegnarmelo.”.

Provò a dire altro, ma lei strappò le mani dalle sue e sbottò, incapace di trattenersi più a lungo “So della proposta di Alvaro.”

Miguel si congelò sul posto, letteralmente.

Esme parve notarlo, e per questo forse le sue parole avevano una nuova, terribile durezza, quando continuò “So che ti ha chiesto di lavorare con lui per una casa discografica inglese. So che ti ha proposto un contratto permanente a Londra.”

Hector smise di respirare.

No, non poteva essere. Non di nuovo. Non lui. Non il suo chamaco.

“Ay, Miguel . . .” gemette, portandosi una mano dove una volta batteva il suo cuore.

Era stato tutto vano, dunque? Avrebbe visto il suo Miguel compiere ancora ed ancora i suoi stessi errori? L’avrebbe visto buttare la sua vita e il suo amore, per la fama, il successo, nuove occasioni che gli avrebbero portato solo infiniti rimpianti? L’avrebbe visto soffrire come aveva sofferto lui, senza poter fare nulla per impedirlo.

“Perché non me l’hai detto?” sibilò piano la ragazza, le labbra che le tremavano impercettibilmente. Se fosse per la rabbia o il dolore, il fantasma non avrebbe saputo dirlo. Ma riconobbe quel tremito, poiché le labbra della sua Imelda avevano tremato allo stesso modo, più di un secolo fa.

Miguel chiuse gli occhi “Esme . . .”.

“Perché non me l’hai detto?” urlò, questa volta, stringendo i pugni come si stesse trattenerlo dal picchiarlo.

No, no, no. pensò Hector. Non poteva sopportare una cosa del genere. Non di nuovo.

Lui esitò, e fu in quel momento che gli occhi verdi di lei iniziarono a spezzarsi.

“Hai deciso di andare, vero?” sussurrò, la bella voce vellutata spezzata e distrutta.

Gli occhi caldi di Miguel si spalancarono. Ma in essi non c’era dolore, né rimpianto, né senso di colpa o dispiacere. Solo una grande forza ed orgoglio, in mezzo ad un’infinità d’amore e consapevolezza.

“No!” fu la sua risposta, decisa e fiera, che lasciò la donna senza fiato. Sospirò, per poi spiegare piano “Ho rifiutato appena me l’ha chiesto. Per questo non te l’ho detto, perché non c’era motivo di farlo. Non volevo che ti preoccupassi inutilmente per qualcosa che non era nemmeno un’opzione possibile, nella mia testa. “.

La cantante lo guardava con i suoi grandi occhi verdi, senza riuscire veramente a credere a quelle parole che le sembravano qualcosa di troppo bello per essere vero.

“Dici . . . dici davvero?” sussurrò, la voce che le tremava.

Miguel, finalmente, sorrise. E nel suo sorriso non c’era ombra di inganno. “Certo. Te l’ho già detto, e te lo ripeterò fino a quando non mi crederai.” rispose, allungando le mani e prendendo ancora una volta quelle di lei “La nostra famiglia è la mia scelta. Tu sei la mia scelta. Non Alvaro, non Londra, non la fama internazionale.” Una mano si sciolse dall’intreccio e si posò delicatamente sul ventre di lei “Tu e la nostra famiglia.”.

Hector si sentì per un momento come se il suo cuore avesse ripreso a battere “Ay, ragazzo mio . . .” sospirò, mentre un piccolo sorriso malinconico gli illuminava il volto.

Quante cose sarebbero state diverse, se lui avesse capito tutto questo anni fa? Quante cose sarebbero cambiate, se fosse stato un po’ più saggio ed avesse pronunciato quelle stesse parole, invece di prendere la sua chitarra ed abbandonare ogni cosa?

Esme si lasciò sfuggire un gemito. Uno solo. Poi, con un enorme, meraviglioso sorriso, avvolse le braccia attorno al collo dell’altro e lo abbracciò stretto stretto, nascondendo il volto contro il suo petto pur di non mostrargli le sue lacrime.

Miguel sorrise e la strinse forte a sé, circondandola con le sue braccia forti e cullandola piano, quasi fosse una bambina che doveva essere rassicurata.

Rimasero in silenzio per un tempo che parve infinito, prima che il mariachi iniziasse a mormorare tra i suoi capelli “Noi non saremo come loro, mi corazon. Non saremo come papà Hector e mama Imelda. Possiamo somigliargli, ma non dobbiamo seguire la loro stessa strada. Anche se si amavano tanto, hanno commesso degli errori terribili, entrambi. Quell’amore li ha salvati nella stessa misura in cui li ha feriti. Non hanno avuto un lieto fine, in questa vita.” lo disse con amarezza, quasi con dolore, accarezzandole piano la schiena, giù e su, giù e su.

Poi, però, la sua voce si fece sicura e fiduciosa, quando promise “Ma per noi non sarà così. Ti giuro sull’amore che provo per te che non commetteremo i loro stessi sbagli. Io non commetterò gli stessi sbagli di Hector. Noi non avremo il nostro lieto fine in un’altra vita, ma in questa.”.

Lentamente, sciolse l’abbraccio, ma non si staccò da lei. Si limitò a cercare il suo viso, ancora nascosto contro il suo petto, e glielo fece sollevare verso il proprio, guidandolo delicatamente con la propria mano. Cancellò quelle timide lacrime sul suo viso con la punta del pollice e ne sfiorò le labbra quasi con riverenza, per poi sorridere e sussurrare, posando la fronte contro la sua “Tu sei la musica della mia vita, Esme. Non potrei mai e poi mai perderti. Mi ucciderebbe più di qualsiasi altra cosa.”.

Esme sorrise e chiuse gli occhi, come se quelle parole fossero musica capace di lenire le sue più profonde ferite e placare le sue più grandi paure. “Te amo.” mormorò, talmente piano da farlo sembrare un sussurro trasportato dal vento “Te amo, y aunque la vida me cuesta,  no dejare de quererte.”.

Le guance di Miguel si colorarono appena di rosso, come se quella tenere confessione fosse più di quanto si sarebbe aspettato.

“Te amo, Esme Rivera.” sussurrò in risposta, la voce che gli tremava impercettibilmente, senza riuscire a smettere di sorridere “Te amo, y aunque la vida me cuesta,  no dejare de quererte. “.

Rimasero così, fronte contro fronte, a respirare l’uno il respiro dell’altra, fino a quando una vocina acuta ed inconfondibile, da fuori della stanza, non si insinuò tra loro, facendo quasi trasalire Hector.

“Tia Esmeee!”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, senza riuscire a trattenere una risatina “Credo che Coco ti reclami.” osservò divertito, mentre lei riapriva gli occhi, permettendogli di perdersi per un attimo in quel verde senza fondo. Si costrinse a distogliere lo sguardo ed a lasciarla andare, anche se a malincuore “Vai, prima che distrugga tutta casa.”.

“Posso restare ancora un po’.” propose la cantante, sciogliendo controvoglia la stretta attorno al suo collo.

Miguel scosse la testa con un sorriso “Sto bene. Sto più che bene.” la rassicurò, baciandola velocemente tra i capelli “Vai.”.

La giovane rispose al suo sorriso e gli accarezzò la guancia, prima di voltarsi per raggiungere la bambina.

Il musicista, però, non doveva essere del tutto disposto ancora a lasciarla andare, perché disse scherzoso e con un tono monello nella voce “Comunque, se pensavi davvero che avrei seguito Alvaro da qualche parte, vuol dire che non mi conosci per niente, diosa. Non mi affiderei a lui nemmeno per trovare parcheggio, figuriamoci . . . ahi!” gemette, quando l’ennesimo sicuro pugno di Esme lo colpì nello stomaco, facendolo piegare per qualche frammento di secondo.

“Questo te lo sei meritato davvero.” dichiarò la ragazza, incrociando le braccia e scrutandolo truce.

Il ragazzo rise, sentendosi quasi colpevole. “Sì, forse s-“ provò ad ammettere, ma non ci riuscì, perché proprio in quel momento Esme l’aveva afferrato per il bavero della giacca e attirato verso di sé, coprendogli la bocca con la sua.

Hector trasalì e distolse lo sguardo, imbarazzato. “A-hem, dovete proprio?” gemette, per quanto sapesse che nessuno dei due poteva sentirlo o vederlo “Ci sono spiriti particolarmente impressionabili qui, non so se avete presente?”.

La ragazza si tirò appena indietro, guardando il compagno con un sorrisetto da vincente “Ed anche questo.” disse sulle sue labbra, lasciandolo poi andare.

Miguel la fissava, a metà strada tra lo smarrito e l’estasiato, un lieve rossore che gli colorava le guance. Poi, un piccolo sorriso gli illuminò il viso, mentre la solita fossetta faceva la sua comparsa in mezzo a tutto quel rossore “Ay, mi amor.” sospirò, quasi sognante “Tú me traes un poco loco, sul serio. Come potrei anche solo pensare di sopravvivere per mezzo minuto, senza di te?”.

Esme scosse la testa e gli accarezzò con le punta delle dita la fossetta “Terrai duro.”

“Ripeto, potete evitare?” gemette il povero Hector, più imbarazzato che mai.

“Tiaaa!” urlò di nuovo Socorro, evidentemente infastidita da tanta attesa.

Miguel ed Esme scoppiarono a ridere quasi contemporaneamente, e poi la ragazza gli sorrise e disse, con il più grande sorriso del mondo “Vado a calmare la piccola peste.”.

“Ecco sì, brava.” esclamò Hector “Gracias, piccola Socorro. Sei la mia salvezza.”.

La ragazza si voltò ed uscì quasi di corsa, e Miguel la seguì con lo sguardo, per poi portarsi le dita alle labbra quando se ne fu andata, quasi fosse ancora incredulo.

 

Rimase così all’incirca per mezzo minuto, prima di trasalire, quasi si fosse reso conto di qualcosa, e diventare di un’intensa sfumatura di rosso pomodoro, perfettamente abbinata al suo completo.

“I-io . . .” balbettò, prima di dire tutto d’un fiato “Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere alla nostra prima discussione seria, papà Hector. Ed a . . . q-questo.”.

Il fantasma sobbalzò appena. Come si era reso conto che era lì? Come aveva fatto a capirlo?

Il ragazzo sospirò ed aggiunse, tentando di riprendere il controllo di sé “Sia chiaro, però, che non voglio assolutamente che tu ti senta in colpa per questa discussione o roba del genere. In fondo, ho avuto la forza di rifiutare una proposta tanto importante anche grazie a te. Pensare a te mi fa sempre ricordare cosa è più importante, anche nei momenti più difficili.” mormorò con un piccolo sorriso, sedendosi a terra come ogni anno ed iniziando a giocherellare con le proprie mani.

Fu solo in quel momento che Hector notò la piccola fede d’oro fasciava il dito di Miguel.

Un enorme, sincero sorriso gli illuminò il volto, cancellando tutto il resto “Credo di doverti le mie congratulazioni, mijo. Stai diventando proprio grande, eh?” disse con orgoglio, sedendosi accanto a lui.

Miguel riprese a parlare, con la stessa aria persa di poco prima “Comunque sì, se te lo stai chiedendo. Ci siamo sposati, alla fine. La scorsa estate. Era bellissima, in abito bianco. Abbiamo cantato e ballato per tutta la notte, ed è stato letteralmente stupendo. Avrei tanto voluto che voi foste lì.” ammise, un po’ dispiaciuto.

“Anche a me sarebbe piaciuto, chamaco. Anche se sicuramente avrei dovuto assistere a molti altri di quello.” fece con una smorfia, riferendosi al bacio di dopo prima “E sinceramente l’idea non mi alletta particolarmente.”

“E non è tutto.” Miguel si morse appena il labbro, prima di dire con un sorriso luminosissimo “Aspettiamo un bambino.”

“Ay!” esclamò senza fiato l’antenato, guardando il proprio nipotino, non più proprio ino, con immensa gioia e stupore. Ora, la sfuriata di Esme aveva ancora più senso, ed era addirittura più terribile.

“Certo che ti stai dando da fare, Miguel.” mormorò quasi incredulo. Beh, non c’è lui potesse parlare, considerando che aveva avuto Coco appena diciottenne. Il suo sorriso si fece ancora più grande, mentre gli posava una mano sulla spalla “Auguri di cuore. È la cosa più bella che potesse capitarti.” esclamò con calore sincero “Sono veramente felice per te.”.

Il giovane tornò a tormentarsi le mani “Lo sappiamo da pochissimo. Giusto qualche mese.” spiegò, per poi ammettere con un gemito “Ancora non riesco a crederci. Mi sembra tutto un sogno. Sono così felice, ma allo stesso tempo terrorizzato.”.

Il fantasma annuì, quasi gravemente “Sì, ricordo la sensazione fin troppo bene.”.

Miguel si mordicchiò il labbro inferiore “Non so se sono pronto a diventare padre. Non so se sarò mai pronto.” mormorò, iniziando poi a parlare a raffica, quasi senza respirare tra una parola e l’altra “Insomma, sono un disastro ambulante, riesco appena a badare a me stesso, sono stato capace di bruciare del tè una volta anche se non è fisicamente possibile e . . .”

Stava andando in panico, proprio come aveva fatto quella sera lontana di tanti anni prima, al momento di esibirsi per la prima volta.

Hector, allarmato, si sporse in avanti e gli posò entrambe le mani sulle spalle, come se quello fosse ancora il dodicenne nervosissimo di fronte al suo primo palco, ed iniziò a parlare nella maniera più rassicurante e gentile possibile, nella speranza che qualcosa di tutto ciò potesse raggiungerlo e calmarlo.

“Ok, ok, calmati, chamaco. Respira. È normale avere paura. È una grande responsabilità ed è più che naturale non sentirsi pronto. Non ti sentirai pronto in nemmeno un milione di anni.” sussurrò, tentando in ogni modo di infondergli un po’ di serenità e sicurezza. “Ma vedrai che andrà bene. Sarà difficile, certo, ma hai Esme, e con lei sarà tutto più facile. E quando guarderai per la prima volta il sorriso di tuo figlio e lo stringerai tra le tue braccia, proverai così tanto amore per lui che non sentirai nemmeno più la paura.” sorrise, nel ricordare il primo, meraviglioso sorriso della sua dolce Coco, talmente indelebile da essere rimasto impresso nella sua anima anche dopo la morte “Posso assicurartelo.”.

Il mariachi respirò a fondo, tentando di riprendere il controllo. Quando si sentì un po’ più tranquillo, ammise piano “Esme dice che sono esagerato. Dice che ho fatto talmente tanta pratica con Coco che sarà una passeggiata badare ad un bimbo mio.” esitò un attimo, prima di sussurrare con un minuscolo sorriso incredulo “E dice che, quando nascerà, il bambino sarà fortunato ad avermi come papà.”.

Hector non poté fare a meno di annuire “Esme ha ragione, decisamente. Sarai un fantastico papà, mijo. Molto di più di quanto lo sia mai stato io.” concordò, con tutta la sicurezza e l’affetto del mondo, senza mai smettere di guardare Miguel negli occhi “Lo sento nelle ossa.”.

 

 

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Il nono anno, Hector era mentalmente e psicologicamente preparato a tutti i possibile scenari che l’avrebbero accolto al suo arrivo. Si era preparato a tutto, davvero.

Ma non, ovviamente, a quello che trovò.

 

La prima cosa che fece fu ovviamente cercare Miguel nel cortile, in mezzo ai bambini urlanti capeggiati da Socorro e ai mille profumi delle pietanze calde. Quando non lo trovò, si diresse d’istinto verso la stanza dell’ofrenda, la cui porta questa volta era spalancata.

Si infilò dentro, incuriosito da quella novità, e ciò che vide gli scaldò l’anima in una maniera inimmaginabile.

Lì, proprio di fronte all’ofrenda, di spalle ma ben riconoscibile, stava Miguel con un elegante completo da mariachi bianco perla. E, stretto tra le sue braccia forti, c’era un bambino di pochi mesi.

Hector, quasi incapace di credere ai propri occhi, fece un passo in avanti, e poi un altro, e poi un altro ancora, fino ad raggiungere le due figure, restando poi al loro fianco per poter osservare da vicino quell’ennesimo, meraviglioso miracolo.

Miguel aveva il sorriso più luminoso e sincero di tutta la sua giovane vita, e stringeva il piccolo come se fosse la cosa più preziosa dell’intero universo. E il piccolino . . . beh, il piccolino era una vera meraviglia. Sembrava un dolcissimo Miguel in miniatura. Aveva lo stesso viso paffuto e tenero, la stessa fossetta solitaria sulla guancia, lo stesso sorriso scalda cuore. Ma i suoi occhi erano verdi come quelli della madre, grandissimi e mozzafiato. Per qualche momento, quando il fantasma gli si affiancò, si fissarono sul suo viso, curiosi, ma poi scattarono subito verso quello del padre quando questi riprese a parlare, indicandogli l’ultima fotografia dell’ofrenda.

“Vedi, mijo?” disse, la voce colma di così tanto affetto che per un attimo l’antenato si sentì completamente sopraffatto “Questa è tua mama Coco, quando era un po’ più grande di te. Quella accanto a lei è mama Imelda, una senora seria seria con una voce da angelo e un cuore da guerriera. E quello, invece, è tuo papà Hector.”.

Il bimbo gongolò, facendo qualche strano, affascinante verso incomprensibile, e il padre sorrise ed annuì, come se avesse appena detto la cosa più saggia del mondo.

“Sì, proprio lui. È un musicista fantastico ed è anche molto bravo con i bambini. Sono certo che appena ti conoscerà ti adorerà alla follia.” affermò con orgoglio, prima di rivolgere uno sguardo colmo di affetto alla foto “È il migliore papà che si possa avere. Mi ha insegnato tutto quello che so. Gli devo davvero tanto, mijo, sai?”.

Hector non riuscì a non trattenere un sorriso “Non esagerare ora, chamaco.” mormorò, lottando per reprimere un singhiozzo commosso.

Il bambino osservò per qualche momento la foto con i suoi occhioni, quasi stesse cercando di mettere a fuoco bene il viso di questo famigerato papà. Poi si girò verso Hector, fissandolo altrettanto attentamente. Dopo qualche breve secondo, sorrise ed iniziò a battere goffamente le manine.

Il padre lo fissò, evidentemente confuso “Qué . . .?”. poi si bloccò, vedendo il modo in ci il bimbo si voltava nuovamente verso la fotografia, poi verso il suo fianco destro ed infine iniziava a ridere ed allungare le manine al nulla, come se avesse visto qualcosa.

O forse, riconosciuto qualcuno.

In quel momento, Miguel capì. E sorrise del più sincero dei sorrisi.

Si voltò verso destra, sollevando un pochino più in alto il bimbo, e con voce quasi commossa sussurrò “Sì, piccolo mio, hai indovinato.”.

Si fermò per un momento a prendere fiato, prima di mormorare, cogliendo completamente impreparato il confuso antenato “Mijo, ti presento tuo papà Hector.”.

Alzò gli occhi verso il vuoto che aveva davanti e, con un sorriso ancora più grande, disse con orgoglio “Papà, ti presento il tuo nipotino più piccolo, Hector.”.

Il musicista si portò entrambe le mani alla bocca, troppo incredulo e commosso per poter fare altro, mentre gli occhi iniziavano a pizzicarli. Non poteva essere. Non poteva.

Ay, Miguel . . .

Il piccolo Hector rise, sporgendosi in avanti con la manina tesa come per afferrarlo, e lo scheletro non poté fare altro che abbassarsi e stringere quella manina minuscola tra le sue, salutando il suo nuovo nipotino con la sua voce tremante e toccata “Hola, piccolo Hector. Hola, piccolo mio.”.

Miguel tornò a guardare il figlio, che ora rideva ancora più di gusto “È bellissimo, non è vero?” chiese orgogliosamente “Ha gli occhi della sua mamma. E una sola fossetta, proprio come noi due!”.

Lo spirito annuì, lottando contro sé stesso per non farsi sfuggire nemmeno una lacrima “È meraviglioso.” confermò, per poi aggiungere dolcemente “Ma tu continui ad essere il mio preferito, mijo.”.

Una voce dolce e familiare riempì l’aria, sfiorandoli con delicatezza.

“Mi amor? Ti stanno aspettando tutti.”.

Il mariachi si voltò verso la porta “Arrivo subito, mi corazon. Puoi prenderlo un attimo?” chiese, indicando il bimbo con un cenno della testa “Vi raggiungo tra un momento.”.

“D’accordo.” Esme li raggiunse e prese in braccio il bambino, che la salutò con un piccolo gridolino di gioia. Sorrise al marito e gli diede un rapido bacio sulla guanci, alzandosi sulle punte.

“Saluta papà Hector anche da parte mia.” gli disse, per poi allontanarsi con il piccolo che faceva un goffo ciao ciao con la manina da oltre la sua spalla, chiudendo la porta una volta che fu uscita.

Miguel si voltò di nuovo verso il vuoto, e stavolta aveva gli occhi lucidi.

“Sapevo che eri tu.” sussurrò quasi senza fiato “Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo. E so anche che adesso stai trattenendo le lacrime, anche se non posso vederti.” aggiunse mentre il lato destro della bocca si alzava verso l’altro “Sei un tale sentimentale.”.

Hector sbruffò, strofinandosi gli occhi con il dorso della mano “Senti chi parla. E poi, sei tu che ogni volta mi prendi di sorpresa, mijo.” gli rinfacciò con affetto.

Miguel si passò una mano tra i capelli, improvvisamente quasi teso “Spero che non ti dispiaccia se ho dato a mio figlio il tuo nome.”.

“Dispiacermi?” ripeté l’altro, portandosi una mano al petto “Ne sono onorato. Spero solo che non mi somigli, però.”.

Del tutto ignaro delle sue parole, il giovane ammise “Spero che ti somigli tanto. Spero che abbia la tua positività, la tua passione, il tuo coraggio e la tua gentilezza. Ha già il tuo amore per la musica. Si addormenta solo se io o sua mamma cantiamo per lui. Fin dal giorno che è nato, gli ho cantato Ricordami. L’ho fatto quasi senza rendermene conto, mentre lo cullavo per la prima volta tra le mie braccia.” mormorò, con un sorriso così da genitore da stringere l’animo del parente ancora di più “Non vorrei che ti dispiacesse, però.”.

“Come potrebbe?” ribatté d’istinto Hector, sorridendo commosso “Ho scritto quella canzone per mia figlia. E ora, sapere che il figlio del mio cuore la canta al suo bambino . . .” si fermò, incapace di continuare.

“Gli insegnerò a cantare ed a suonare.” promise, con gli occhi che gli brillavano “E gli canterò tutte le tue canzoni, anche Juanita. Quando sarà abbastanza grande per ascoltarla ma non troppo per capire cosa significhi davvero, e con tanto di censura, ovviamente. Proprio come hai fatto con me.” chiarì con un sogghigno.

Fece un passo in avanti, come se volesse raggiungerlo, come se volesse stargli ancora più vicino. Respirò a fondo, prima di parlare ancora “E gli racconterò sempre di chi mi ha insegnato tutto quello che so. Di chi per primo ha creduto in me. Di chi so che mi aspetterà sempre dall’altra parte.“.

Il suo sorriso si fece, se possibile, ancora più grande “Gli racconterò sempre di te, papà Hector.”.

Hector sentì distintamente una parte di sé spezzarsi a quelle parole.

“Ay, mijo . . .” sospirò, senza riuscire però a dire altro.

Sollevò una mano e la allungò verso il suo viso, come per sfiorargli la guancia.

Se teneva la mano così, ferma a pochi millimetri dalla sua pelle, poteva quasi illudersi di riuscire a toccarlo davvero.

Miguel, che stava lottando a sua volta contro le lacrime, abbassò lo sguardo a terra e dopo qualche secondo chiese, la voce che gli tremava impercettibilmente “Ti va . . . ti va di suonare qualcosa insieme? Come una volta?”.

Il fantasma non poté fare a meno di annuire “Sarebbe un onore.”.

Il neo genitore si sedette per terra di fronte a lui, mentre questi faceva lo stesso, e si tolse la chitarra dalla schiena, armeggiando un po’ per controllare che fosse accordata a dovere. Hector si sporse in avanti e si allungò verso la sua vecchia chitarra, come per sfilargliela dalle mani, e una versione fantasma dello strumento si formò tra le sue mani, solida e concreta quanto le sue vecchie ossa.

Si misero entrambi in posizione e il più giovane chiuse gli occhi, prendendo fiato.

Poi, una ninna nanna molto amata e mai dimenticata iniziò a riempire dolcemente l’aria, trasportandoli indietro, quasi a dieci anni prima.

Quando Miguel iniziò a cantare, questa volta non era solo.

“Ripensa a me
Non dimenticarlo mai
Ricordami
Dovunque tu sarai
Lo sai che devi fare se
Non sono insieme a te
Ascolta la canzone e tu
Sarai vicino a me”

Hector chiuse gli occhi a sua volta, lasciando che le sue dita danzassero sulle corde e la sua voce giocasse con quella del nipote, anche se era solo un’illusione destinata a svanire quando quella melodia si sarebbe dissolta.

“Ricordami
Ora devo andare via
Ripensa a me
Sentendo questa melodia
Uniremo con le note il cuore e le anime
Il tuo amore rimarrà
Sempre per me . . .”

Quando la canzone terminò, lo spirito rimase per qualche altro momento con gli occhi chiusi, tenendosi stretto quell’illusione più che poté.

Ma poi sentì il suo ragazzo trattenere il fiato, e pronunciare con incredulità due parole. Due parole che lo fecero tremare dentro.

“Papà Hector . . . ?”.

Il musicista aprì gli occhi di scatto e di fronte a lui c’era Miguel, che lo guardava con gli occhi spalancati e colmi di lacrime.

Lo guardava davvero, come se riuscisse a vederlo lì, davanti a lui, come una volta.

Hector esitò, senza riuscire a credere a ciò che aveva di fronte agli occhi. Ma poi, la speranza lo spinse ad osare.

“Miguel?”

Miguel posò a terra la chitarra, delicatamente. E poi si buttò addosso a lui, d’istinto, come il bambino fiducioso che era stato. Ed Hector era lì per prenderlo, come sempre.

Lo strinse forte forte a sé, in un abbraccio che sapeva di tanti anni di attese.

Lo strinse, anche se non avrebbe dovuto essere possibile, anche se i vivi non dovrebbero vedere i morti, figuriamoci toccarli.  Ma non gli importava delle leggi della fisica, non in quel momento, non col suo Miguel che lo abbracciava quasi disperatamente, il viso nascosto nella sua spalla, come il bambino di un tempo, quel bambino che aveva imparato ad amare più di se stesso.

“Sei qui.” gemette il più giovane, mentre una lacrima gli scorreva lungo la guancia destra “Sei qui davvero.”.

Hector lo abbracciò più stretto che poté, come per assicurarsi che fosse reale, che non fosse solo un crudele sogno. Ma era reale, per quanto folle fosse. Poteva toccarlo, poteva abbracciarlo. Non sapeva perché, ma andava bene così. [3]

“Ay, mijo.” sussurrò, stringendolo come se non volesse più lasciarlo andare “Sono qui, sono sempre stato qui.”.

Il ragazzo tirò su con il naso, nascondendosi ancora di più dentro quell’abbraccio, e l’altro non poté fare niente di diverso dall’accarezzargli la testa, sentendo per la prima volta dopo tanto tempo i suoi capelli, morbidi e fini proprio come se li ricordava.

“Sono così orgoglioso di te, Miguel. Così orgoglioso.” mormorò, abbracciandolo ancora un po’ più stretto “Sei la cosa più bella che mi abbia dato la morte.”.

A quelle parole, il mariachi non riuscì a trattenere un singhiozzo “Papà Hector . . .”.

Ad Hector sembrò davvero di star stringendo, in quel momento, lo stesso Miguel che aveva conosciuto tanto tempo prima, quella notte che aveva cambiato ogni cosa. Lo stesso Miguel dodicenne che, nonostante tutte le sue visite, era sempre rimasto fisso nella sua mente, intoccabile, sorridente ed eterno.

Ma quello che aveva tra le braccia non era più un bambino.

Il suo piccolo Miguel aveva ventuno anni, adesso. La stessa età che aveva lui quando era morto.

Il defunto sentì il suo cuore morto sanguinare a quella consapevolezza.

Ventuno anni.

Sembrava passata un’eternità, ma aveva solo ventuno anni.

Lo aspettava così tanto. Doveva ancora vivere così tanto.

E lui era fiero e lieto che il suo Miguel avesse quella possibilità che a lui era stata negata.

Hector sospirò, accarezzandogli ancora i capelli e stringendolo ancora più forte.

“Ti prego, ti prego, vivi per entrambi, d’accordo?” gli sussurrò piano all’orecchio, come se stesse mormorando una preghiera “Abbi una vita lunga e felice con la tua famiglia. Non sprecare nemmeno un momento. Non dimenticare mai cosa è importante davvero.”.

Gli fece alzare il viso e gli accarezzò una guancia, delicatamente, come aveva fatto l’ultima volta che lui aveva potuto vederlo. Poté sentire sotto le proprie ossa la consistenza calda e rassicurante della sua pelle.

Sorrise, pur di non piangere, e sussurrò con voce spezzata “Io ti aspetterò sempre dall’altra parte, ma tu non avere fretta, d’accordo?”.

Miguel si morse il labbro ed annuì appena, senza mai riuscire a distogliere i grandi occhi scuri dai suoi. Poi, si buttò di nuovo addosso a lui e lo strinse ancora ed ancora, come se non fosse pronto a lasciarlo andare, non di nuovo, non dopo tutto quel tempo.

“Ti voglio bene, papà Hector.” singhiozzò, chiudendo gli occhi in modo che non potesse vedere le sue lacrime.

Hector chiuse gli occhi a sua volta, sentendosi per un fragile attimo veramente di nuovo vivo. Rispose al suo abbraccio ancora una volta, stringendolo come un padre stringe il figlio a lungo rimasto lontano da casa.

“Te ne voglio anche io, mijo.” mormorò, mentre una lacrime solitaria cadeva tra i capelli dell’altro “Non hai nemmeno idea di quanto.”

E rimasero lì, l’uno abbracciato all’altro, come se in quel momento che a loro parve brevissimo ed infinito nient’altro fosse importante.

E, in fondo, era davvero così.

 

 

 

 

 

 [1] Sono assolutamente sicura che, quando il nostro Miguelito diventerà abbastanza grande da innamorarsi, donerà il proprio cuore ad una ragazza fiera e all’apparenza fredda, proprio come Hector ha fatto con Imelda, e che senza saperlo la corteggerà come ha fatto lui un secolo indietro.

[2] La prima cosa che ho detto, quando sono uscita dal cinema, è stata “Ma quindi se Ricordami era per Coco, Un Poco Loco era per Imelda? Cioè, Hector ha scritto quella canzone dolcissima per Imelda? Insomma, dal testo è palese che si stava riferendo a lei. Deve essere per lei Oh, Hector…”. E niente, ora nessuno può più togliermi dalla testa questa idea. Per me gli si è addirittura dichiarato con questa canzone. E credo che lei si sia innamorata proprio sentendogliela cantare. Diabete portami via.

[3] La musica può commettere le anime, no? Bene, ora che le anime di Hector e Miguel, entrambi musicisti, mariti e papà, sono più vicine che mai, quella musica tanto preziosa può finalmente unire anche loro. Anche solo per un fragile momento.

 

 

 

 

 

 

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