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di Hi Im a Kupo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


CAPITOLO UNO
 
8/novembre/2018
 
“Aurora!” un mugolio proviene dal salotto, soffocato dallo spesso strato di pile della coperta rosa nella quale la ragazza è avvolta.
“Dibbi” colei che risponde allo stesso nome della dea dell’alba si sporge oltre la porta della cucina, con un vasetto di nutella extra large in mano e un elegante pigiama a motivi di mucche addosso. Del fenomeno atmosferico di cui è responsabile la dea della quale porta il nome è rimasto solo il colore: un rosso intenso che le adorna il naso, conseguenza della terribile influenza che la prima ragazza ha gentilmente pensato di condividere.
All’udire la sua voce la testolina della prima spunta dal guazzabuglio di coperte, i due occhi lucidi per la febbre che corrono verso l’immagine dell’amica in piedi a pochi passi da lei, e brillano di una luce nuova quando notano ciò che la ragazza tiene fra le mani. Con un movimento straordinariamente veloce per l’essere incastrata in quel nido di pile, si sporge verso di lei e afferra il vasetto, tornando poi compostamente al suo posto.
“Non importa, ora ho tutto ciò che mi serve” risponde aprendo con eleganza il barattolo e immergendoci dentro il dito, portandoselo poi alle labbra con fare soddisfatto.
“Sbettila di cottabidare il cibo altrui!” la sgrida l’influenzata amica, accompagnando le dure parole con uno schiaffetto sulla mano, recuperando il tanto conteso oggetto. Due occhioni da gatta che la guardano implorante, affermando di stare tanto male, essere tanto triste e terribilmente preoccupata per l’esame imminente, sembrano divertire l’amica che, a dispetto della splendida espressione di rimprovero che le adorna i bei lineamenti, si lascia sfuggire uno sbuffo e si siede accanto a lei, abbandonandole in grembo uno dei due cucchiaini che aveva portato con sé. “Sii civile, ­albedo”, ridacchia di nascosto mentre l’altra torna a fiondarsi felice nella Nutella, oh, quel prezioso cibo degli dei!
 
 
“Questo esame è un casino..” si lamenta Diana, ripulendosi l’angolo della bocca dal cioccolato, mentre torna ad assumere una posizione migliore sul divano. I libri malamente accatastati di fianco a lei, in attesa che qualcuno li sfogli, sembrano ancora meno invitanti del solito.
“Non parlarmene, mercoledì avrò questo esame di storia antica che al momento mi sta prendendo l’anima” si massaggia le tempie prendendo una pausa per respirare, a dispetto del naso chiuso che rende le cose più complicate del dovuto. “Almeno tu studi qualcosa di interessante: a me toccano Roma e Atene, manco ci portassero a vederle!”
Ride Diana, soffocando nella sua gola gonfia per qualche istante. “Una vacanza in effetti ci starebbe eccome.. ma restando in tema, quando stamattina ripetevi hai detto qualcosa su una ricorrenza figa, cos’era?” un colpo di tosse conclude la sofferta frase della ragazza. Qualsiasi cosa pur di prendere tempo dal dovere che la chiama a gran voce dal suo fianco destro.
“Parli della teoria di Sauer?” chiede inspirando fortemente dal naso “secondo questo storico, alcuni degli avvenimenti più strani che riguardano quegli anni sono legati ad una leggenda per cui, ogni volta in cui si presentava un determinato allineamento dei pianeti, qualcosa di strano succedeva: sparizioni, fenomeni vari..  sembra una cazzata ma ci sono stati due eventi in cui le condizioni atmosferiche erano le stesse e gente è davvero sparita”.
“Quindi questo allineamento è successo tipo due volte e poi mai più? Mi sembra un tantino strano, eh..” solleva un sopracciglio confusa, mentre recupera il primo degli odiosi libri. “E poi, di persone scomparse nella storia ce ne sono state tantissime e poi ritrovate, che so, morte anni dopo. Perché dovrebbe essere proprio per colpa di un allineamento planetario?” Diana sfoggia il suo scetticismo da fisica.
“Ah non so, non sono io ad averlo detto” Aurora fa spallucce mentre libera il manuale sommerso dalla coltre di coperte e lo appoggia aperto sulle gambe della coinquilina “Vedi, in questo preciso anno è sparita un’intera legione di romani che si stava dirigendo per una campagna esplorativa verso nord, e invece qui, in Grecia, è sparito un filosofo del quale è stato perso anche il nome, che si stava occupando esattamente della questione del tempo, ed in entrambi i casi le condizioni erano le stesse.”
Diana si morde un labbro sfogliando distrattamente le pagine di Fisica 1, mentre ripensa alle parole della ragazza, dubbiosa.
“Mi pare comunque strano, sai per caso come era questa disposizione dei pianeti alla fine?” chiude il libro di scatto, colta da un’idea improvvisa.
“Ma.. dovrebbe essere questa” due facciate dopo e sul foglio di carta lucida del libro si staglia uno splendido schizzo di un’abbozzata disposizione planetaria, pieno di cerchi, simboli, e strane parole tedesche delle quali nessuna delle due comprende niente. I pianeti rimangono comunque distinguibili, per lo meno per lo stretto necessario che permette a Diana di inserirne le coordinate in un programma di astronomia crackato. I pianeti sullo schermo del pc ruotano velocemente così come velocemente avanza la data riportata nell’angolo sinistro del desktop, fino al loro fermarsi improvviso. I pianeti disposti nella medesima posizione ritratta dal disegno di Sauer e tre date allineate: quella probabilmente risalente al periodo romano, una precedente assimilabile al periodo greco ed una, Diana ed Aurora spalancano gli occhi per un istante, futura. La data futura, con sorpresa ed un fremito di eccitazione delle ragazze, corrisponde al giorno corrente. L’orario invece… “cazzo, è fra cinque minuti” esclama Aurora sbattendo la mano sul divano, coinvolta. Diana rimane a fissare i numeri digitali cristallizzati sullo schermo, prima di chiuderlo con un colpo secco.
“Beh, se la mia vita deve cambiare fra cinque minuti, tanto vale che vada in bagno ora, almeno sono pronta” uno slancio delle gambe e le coperte volano a terra scoprendo anche la povera coinquilina che le urla dietro indispettita, mentre la prima si dirige lontano dal salotto accompagnata da uno starnuto.
 
 
Diana tira lo sciacquone canticchiando distrattamente una canzone di Ed Sheeran, mentre si sposta davanti allo specchio per lavarsi le mani e sciacquarsi la faccia stravolta dall’influenza, quando un tuono sconquassa la quiete della casa. Sobbalza lasciando scivolare la saponetta dalle mani dritta sul pavimento, imprecando si china a raccoglierla quando un altro rumore improvviso e violento gliela fa lanciare ancora più lontano. Invoca un qualche aiuto divino per la pazienza, quando, dopo aver catturato la fuggitiva forma di sapone per l’ennesima volta si accinge ad avvicinarsi alla finestra, curiosa della causa del furioso strombazzare d’auto lungo lo stradone costeggiante il palazzo.
La saponetta cade ancora sul pavimento, ma nessuna imprecazione l’accompagna questa volta. Diana è impietrita con le braccia mollemente abbandonate lungo i fianchi. “Non può essere..” le uniche parole che scivolano sussurrate fuori dalle sue labbra.
Gira sui tacchi e torna da dove era venuta, abbandonando tutto come era, e si slancia come una furia fuori dall’appartamento, ignorando le esclamazioni sorprese e confuse dell’altra ragazza che le chiedono dove diamine si stesse dirigendo.
Anche l’ascensore, troppo lento per essere aspettato, viene ignorato mentre vola dagli scalini saltandone due alla volta. Spalanca il portone d’ingresso e si lancia fuori, incurante della pioggia scrosciante che le inzuppa i capelli ed i vestiti, e ciò che vede la paralizza.
Un uomo, alto, muscoloso, probabilmente piacente se considerato in un contesto differente dall’attuale, se ne sta in gonnella e armatura, spada sguainata e capelli appiccicati alla faccia a causa della pioggia, in mezzo alla strada, invocante contro alcune dimenticate divinità, verso un’automobile ferma ed un autista particolarmente inquieto, che si applica nel detronizzare ogni santo del paradiso per colpa di quel discutibile individuo che lo sta facendo tardare a lavoro.
Diana inclina la testa confusa, le gocce di pioggia che le scivolano sulle guance e le appiccicano fastidiosamente i vestiti alla pelle.
“No, non è possibile..” pronuncia a voce sufficientemente alta per essere sentita dal centurione impazzito, il quale si gira verso di lei e dopo un attimo di confusione varia la sua direzione d’attacco dall’automobile a lei, urlando “TU!”. Diana sbatte le palpebre un paio di volte prima di realizzare il potenziale pericolo, girarsi con un colpo di anche e cominciare a correre verso casa. Il pavimento bagnato non aiuta, mentre si slancia furiosamente verso l’ingresso della palazzina, i passi di lui sempre più vicini. Con violenza si catapulta addosso all’ascensore schiacciando ripetutamente il pulsante e pregando che si apra in tempo. Un urlo terrorizzato proviene dal piano superiore, sede del suo appartamento e attuale collocazione di Aurora, facendole gelare il sangue nelle vene. L’ingresso del dannato centurione è tempestivo, non preparato però alla terribile scivolosità del pavimento, che comporta una sua disastrosa caduta con tanto di spada al seguito e tutto il resto. Con un coraggio che assolutamente non pensava di avere, Diana sfida le sue terrificanti abilità ginniche e con un balzo lo supera, sorprendendosi dell’essere riuscita ad atterrare su due piedi e non sul culo come suo solito, mentre torna alla carica salendo gli scalini il più veloce possibile, decisa a capire il perché la sua coinquilina avesse deciso di farsi venire una crisi isterica proprio ora.
Arrivata al pianerottolo di casa apre la porta di slancio, col fiatone, il naso colante e bagnata come un pulcino: “Che diamine succede?!” strilla colando acqua sul pavimento come un rubinetto aperto, prima di rendersi conto che in casa, Aurora, non è più sola.
 
 
 
 
Aurora se la vede passare davanti, bianca come un fantasma, blaterando frasi confuse e senza un senso definito.
“Diana dove stai andando?” le chiede notandole ancora addosso la minima vestaglia di seta nera, comprata per capriccio poco tempo prima e assolutamente inadatta per la sua condizione di salute e climatica attuale. Non risponde, continua a blaterare dell’impossibilità di qualcosa, e se la fila dalla porta lasciandosela aperta alle spalle. Aurora sospira, convinta che la sessione le stia facendo davvero brutti scherzi, mentre se ne va in cucina cercando qualche pacchetto di fazzoletti sopravvissuto al terribile genocidio di quegli ultimi giorni. Un pacchetto, ben nascosto fra la confezione di cracker e la tostatrice, viene riesumato dalla sua postazione, e, mentre la ragazza si accinge ad estrarne il contenuto e portarselo al naso, si ritrova a pensare quanto sia ormai decisamente necessario fare un salto al negozietto più vicino per far scorta di tutto l’ormai indispensabile il prima possibile.
Occhi nascosti della carta, cammina a passo certo verso la sala, ubicazione dei suoi immensi volumi di storia antica e mitologia quando nota con la coda dell’occhio qualcosa che non dovrebbe essere lì. Un ometto, alto forse poco più di lei, capelli scuri e carnagione olivastra (completamente fuori luogo per la stagione in cui ci si trova) la fissa confuso spostando lo sguardo prima a lei e poi al libro al suo fianco.
Per puro impulso, invocando il signore ed il suo aiuto, Aurora prende la prima cosa che si trova a portata di mano, la (terribile) lampada di Diana, antico cimelio di una sua vecchia fiamma.
“Chi sei? Cosa vuoi da me? Cosa ci fai qui?” strilla convulsamente malmenando la lampada di fronte a sé. L’omino si protende in avanti, forse per fermare quella che ai suoi occhi pare una furia omicida, magica e divina, o solo per cercare un contatto che facesse calmare quella strana donna impazzita.
“NON CI PROVARE!” la lampada viene sacrificata in nome della causa, facendole compiere un perfetto volo ellittico prima di finire a circa cinque metri dall’obiettivo ultimo della ragazza “DIANA!” urla Aurora, sprovvista ormai della sua temibile arma mentre si catapulta nel ripostiglio per cercarne una nuova. Finalmente trovata, agguantata la scopa spelacchiata e brutta ormai prossima alla sua fine, decide di impugnarla come lancia e minacciare il povero sventurato di morte qualora avesse provato ad avvicinarsi, rubare qualcosa, o fare entrambe le cose insieme.
“DIANA!” strilla ancora Aurora, così vicina ad un collasso nervoso, mentre continua ad urlare qualcosa riguardante alla sua laurea, al fatto che mancasse così poco e che fosse così totalmente ingiusto morire prima di raggiungere tale successo, dopo aver passato una vita intera a studiare, sommersa dalle lacrime che scendevano copiose sulle sue guance, il naso colante e la voce impastata. Le priorità, avrebbe detto Diana vendendola in tale momento di sconforto. Peccato che quella dannata ragazza avesse deciso di prendersi una pausa e sparire per un viaggetto in vestaglia proprio ora, nel momento del bisogno. Maledetta lei e la sua scampagnata.
Decisamente ovvio che l’uomo in casa fosse a dir poco sconvolto dalla discutibile performance della ragazza che continuava ormai solo a ripetere “se devo morire, fatemi morire da laureata!”. Sentendosi in colpa per aver fatto spaventare così tanto la ragazza, senza aver in effetti capito come avesse fatto a farlo, prova a districare la situazione allontanandosi un pochino portando le mani ben in vista, assemblando poche parole sconnesse nel vano tentativo di chetarla.
“Dove mi trovo?”
La ragazza si azzittisce un attimo, lo fissa incerta sul da farsi, e sembra rilassare le braccia abbassando di poco la temibile arma. L’uomo inspira bruscamente e accenna un passo in avanti verso di lei, sbagliando completamente strategia. La ragazza torna all’erta in men che non si dica, rizzando nuovamente il manico della scopa verso il nemico.
“DIANA!” strilla di nuovo convulsamente. L’uomo è ormai quasi certo che non sentirà mai più bene come una volta.
Pochi attimi dopo e la porta si spalanca di colpo portando alla luce una nuova, devastata, donna. Il rumore provocato fa sussultare ulteriormente Aurora, il cui povero cuore è ad un passo dal cedere definitivamente, e direziona l’arma verso la nuova arrivata.
“Un’altra!” strilla ancora la ragazza, prima di applicarsi in una serie di borbotti e lamenti sconnessi sul fatto che tutti, oggi, ce l’avessero proprio con lei.
“Sono io, scema!” urla Diana, vestaglia appiccicata al corpo, chignon disfatto e spettinato, con ciuffi svariati che le si appiccicano disastrosamente sulla fronte, fiato corto, occhi spalancati, e naso sempre più rosso.
“Diana!” mugola ancora Aurora, riconoscendo solo ora l’amica stravolta “C’è un uomo!”.
La suddetta ragazza presa in causa guarda prima lui, poi lei, poi la porta, e nuovamente lui: “Ma questo è innocuo!” sbraita girandosi verso la porta nel tentativo di chiuderla, ignorando l’amica che le chiedeva disperata perché diamine la stesse intrappolando nella stessa stanza con quell’individuo, e lui, che la guardava se possibile ancora più confuso di prima. Il tentativo risulta completamente fallimentare quando il centurione letteralmente vola dentro alla stanza, non riuscendo ad arrestare la corsa coi sandali bagnati ed il pavimento ormai troppo scivoloso. La poverina che si accingeva nella vana impresa di bloccare fuori il pericoloso pazzoide, viene travolta, crollando tristemente a terra sommersa da quello che certamente non era un peso piuma. Un mugolio strozzato indica la sua probabile prematura dipartita, mentre Aurora, terrorizzata, con un felino balzo si sposta all’indietro, nascondendosi dietro a quello che fino a cinque secondi fa era stato classificato come la sua terribile nemesi.
“Strega! Cosa mi hai fatto?!” urla l’uomo crollato sul pavimento, rialzatosi con foga e recuperato la spada, prontamente puntata al collo della poverina agonizzante a terra.
“Non lo so, NON LO SO!” strilla quella, recuperando a fatica la voce strozzata e portando le mani a proteggere la faccia. I momenti della sua vita le cominciano a scorrere seriamente davanti.
Nel mentre, la disperata Aurora, ormai completamente in balia degli eventi, recupera quel tanto di lucidità necessaria per capire che, forse, non era il caso di farsi prendere dal panico e lasciare che un pazzo uccidesse la sua coinquilina davanti ai suoi occhi; si sa, le macchie di sangue sono le più difficili da far venir via.
“Ave, Romanus” afferma a gran voce la ragazza, sgusciando dal suo nascondigli sicuro, per meglio indicarlo con la mano nel tipico saluto dell’epoca.
Il romano si ferma, arresta il colpo pronto per essere inflitto alla povera sventurata sotto di lui, e si volta verso di lei: “Ave et tu” le risponde dubbio, squadrandola da testa a piedi.
La ragazza a terra si ferma, sposta le mani da davanti la faccia, e si volta verso di lei: “Ma che diamine”.
Aurora avanza verso di lui, un passo per volta, lentamente. Lo osserva, lo sguardo vaga sui suoi vestiti ed i dettagli delle armature, inconfondibilmente originali. La leggenda di cui aveva parlato poco prima con l’amica le torna alla mente, e per quanto irreale sembra non essere poi tutto così impossibile.
“Appartieni alla Nona Legione, quella che si dirigeva verso Nord all’inizio del secondo secolo?” chiede cautamente, portando le mani in avanti per rassicurarlo nelle sue pacifiche intenzioni.
“Si donna, io ed i miei uomini ci stavamo dirigendo in quella direzione quando ci siamo imbattuti in qualcosa di misterioso, ed un attimo dopo mi sono trovato qui. Quale è il tuo nome, e come sai la mia storia?” sembra più calmo per quanto ancora all’erta. Sposta definitivamente la spada dalla compagna, e la scavalca avvicinandosi alla ragazza che ha parlato.
“Il mio nome è Aurora e..” non fa in tempo a finire la frase che, all’udire quel nome spalanca gli occhi e cade in ginocchio di fronte a lei. La ragazza, alquanto sorpresa, razionalizza l’accaduto solo quando una voce alle sue spalle sussurra “oh, dea Eos” prima di inginocchiarsi anch’esso.
La ragazza, spaesata, rivolge uno sguardo all’altra, che se possibile lo è persino di più, ancora distesa a terra.
“Ma cosa succede” mima quest’ultima con le labbra, tenendo lo sguardo fisso sull’amica, la quale, recuperata definitivamente la piena lucidità, decide di sfruttare la situazione a suo favore.
“Diana, hai bisogno di una mano?” avanza di un passo verso di lei, mentre il centurione segue con un rapido movimento della testa la direzione indicata dagli occhi di Aurora. Così vede la poverina, disastrata sul pavimento bianco dell’appartamento, con un’espressione sconvolta sul volto, e ci manca poco che si cominci a strappare i capelli dalla testa.
“Oh mia Dea!” si sposta rapido verso di lei, prostrandosi al suo fianco “Perdonami ti prego, per questo mio disonorevole gesto! Se solo lo avessi saputo, mai avrei rivolto la lama contro di te”. Diana, arretrata spasmodicamente di qualche centimetro alla vista dell’uomo in rapido avanzamento verso di lei, ora lo guarda atterrita. Solleva prima un sopracciglio, e poi l’altro, spostando gli occhi verso la sua coinquilina.
“È uno scherzo, non è vero?” e si sente crollare il mondo addosso quando tale ragazza, espressione affranta dipinta sul viso, scuote la testa in segno di negazione. Torna con lo sguardo sul centurione sconvolto, e sente un terribile impulso di mettersi a ridere.
Dopo questa, la sua sanità mentale ha definitivamente deciso di fare i bagagli.


SPAZIO AUTRICE

​Salve a tutti,
per prima cosa ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere questa storia fino a qui. La vostra presenza è molto importante per me, e ringrazio chiunque avrà voglia di lasciare una recensione. Sarò felice di rispondervi nel minor tempo possibile, per qualsiasi domanda, consiglio, o confronto.
​Vi auguro una splendida giornata, e ancora grazie infinite!
​Al prossimo capitolo!.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


CAPITOLO DUE
 
8/novembre/2018 (un poco più tardi)
 
Aurora la vede ridere. O più precisamente, la vede sconquassarsi sul pavimento come un’ossessa. E giustamente, Aurora non capisce.
Diana, dal canto suo, ha ormai perso ogni ragione. Pensa di essere impazzita, o di star ancora dormendo, e forse di non essersi mai svegliata quella mattina.
I due uomini, ora entrambi in piedi, osservano spaesati la scena. Il centurione, ancora sconvolto dall’aver quasi ucciso una presunta dea, non si perde un movimento della stessa, mentre l’altro, evidentemente più sveglio del precedente, ha cominciato a guardare il mondo che lo circonda, incuriosito.
Aurora sembra perdere le speranze nel confronto dell’amica, certa che essa non sia più in serio pericolo di vita, e si volta verso il ragazzo (ad uno sguardo più attento non sembra, in effetti, essere molto più vecchio di lei) e gli rivolge la parola, per la prima volta da quando era arrivato, con un tono più mansueto.
“Sei greco?” chiede osservando i tipici vestiti che porta. Lo vede sussultare e girarsi verso di lei, non del tutto certo che ora la donna sia davvero innocua, e osservarla per un attimo prima di schiudere le labbra per risponderle.
“Si” risponde con voce sommessa “Atene” prosegue, come a voler rispondere alla successiva tacita domanda che la ragazza sembrava in punto di porgli.
Lei sorride, e lui sembra sentirsi rassicurato dalla cosa. Per quanto i suoi studi gli fossero sembrati irreali fino ad un attimo prima, ora era quasi certo dell’esattezza delle sue scoperte.
“Non siamo più in Grecia, vero?” domanda, accettando in risposta il morbido scuotimento della testa della sua interlocutrice.
“In che anno ci troviamo?” chiede ancora, rimanendo in attesa, questa volta, di una sua risposta sonora.
“2018, dopo Cristo” specifica lei, assecondando il suo sguardo sconvolto, conscia del fatto che sia una cosa difficile da accettare. Lo vede spostare gli occhi oltre la sua schiena, quasi sconfitto, fino a che non li arresta sullo schermo della televisione, a pochi passi da loro.
“Si chiama televisore” lo informa lei, cautamente, nel tentativo di non causargli ulteriori shock cognitivi “permette di vedere immagini che si muovono e di sentire suoni senza che ciò che viene rappresentato si trovi davvero davanti a te… è un gioco di luce, alla fine” conclude, provando ad adattare il più possibile la spiegazione ad una concezione relativa all’epoca da cui l’uomo proviene.
“Come torno a casa?” domanda il ragazzo prima che lei riesca a sillabare una qualsiasi altra frase.
“Non lo so” intreccia nervosamente le dita mentre gli parla “non so neanche come siete arrivati, in effetti”. Aurora è consapevole di star camminando sul filo del rasoio, dubbia su quale sia davvero il limite ultimo di resistenza della mente umana, prima di un black-out di informazioni.
Non risponde più lui, continuando ad osservare l’aliena casa.
“Sono certa lo scopriremo” lo rassicura cautamente “intanto, come ti chiami?”.
Lui solleva lo sguardo su di lei, sorpreso. Una donna, che gli concedeva il suo aiuto per uno studio. Dubbio fra il sorprendente e l’inaccettabile, decide di non porsi (per ora) troppe domande. Apre la bocca per rispondere, quando viene fermato da un urlo ferino alle sue spalle.
“NON MI TOCCARE!” lo strillo di Diana vibra intenso fra le pareti dell’appartamento. La ragazza, ripreso coscienza di quanto stava succedendo intorno a lei, non ha preso bene il tentativo di calmarla del centurione, che ha disgraziatamente pensato di appoggiarle le mani sulle spalle. Lo spintona via con tutta l forza della quale è dotata, cominciando poi ad urlargli contro frasi sconnesse sulla sua spada, il suo povero collo, e svariati insulti alla sua intelligenza.
“DIANA!” strilla Aurora verso l’amica, per un attimo dimentica del povero ragazzo al suo fianco “lascialo stare, è sicuramente più sconvolto di te!”.
Diana si ferma. Smette di colpo di bombardare di nevrotici pugnetti il petto del disgraziato in fronte a lei, e si volta verso l’amica.
“Ma siete tutti matti?” domanda irosa, i capelli ormai dimentichi dell’essere stati una volta legati in un ordinato chignon, e la piccola vestaglia nera totalmente stropicciata e smunta “Ma dico io, ci credi davvero che due pazzi di altre ere ci si siano fiondati tra capo e collo in casa, dal nulla?” prosegue con un tono di voce sempre più alto ad ogni sillaba che pronuncia.
“Non c’è bisogno di crederci, è quello che è” risponde lei, seria. L’amica la guarda, perdendo poco per volta la combattività disegnata sul suo volto che lascia posto ad un incredulo devasto. Probabilmente, se non si fosse trattato proprio di Aurora, la persona della quale si fida di più al mondo, avrebbe chiamato immediatamente il numero di pronto soccorso, denunciando un raro caso di malattia mentale degenerativa, comparso dal nulla. Forse sarebbe stato più facile così, ma le cose facili non si sono mai adattate bene alla sua vita, ed è proprio per questo motivo che è stata Aurora a pronunciare quelle fatidiche parole, con un tono talmente deciso da non ammettere repliche. Ed è proprio per questo motivo che Diana, il trauma negli occhi ed il vuoto nel cuore, gira su sé stessa e si dirige verso la cucina, ringhiando sommessamente sull’improvvisa necessità di aumentare il numero di scorte nel frigorifero.
 
 
Diana varca la porta della cucina diretta, senza scrupolo alcuno, alla macchinetta del caffè. Prende una tazza e la infila violentemente sotto al beccuccio di tale aggeggio, facendone tintinnare i bordi contro la sua superficie rigida. Inserisce la capsula, pigia il pulsante, ed il liquido scuro comincia a scorrere verso il piccolo contenitore. Un rumore alle sue spalle la fa voltare di scatto. Il centurione guarda l’innocuo elettrodomestico con lo sconvolgimento dipinto sul viso. Lei sbuffa, tornando a guardare la sua bevanda fumante.
“È un caffè, e questa non è magia ma tecnologia; abituatici, sei saltato in avanti di duemila anni, bel fustacchione” borbotta lei, con una sensibilità del tutto differente da quella dell’amica, raccogliendo la tazzina e portandosela alle labbra, mentre si gira verso l’uomo alle sue spalle. Si appoggia con nonchalance al mobile della cucina, incurante del suo aspetto devastato, mentre sorseggia regalmente la bevanda.
“Cosa vai dicendo, dea?” ringhia lui, additando come magia quanto appena successo.
“Finiscila con questa storia della dea” lo riprende lei, scocciata, come se semplicemente sperasse di addormentarsi e svegliarsi solo una volta che tutto ciò fosse finito. Si porta una mano alla tempia e massaggia nervosamente con i polpastrelli, tentando di moderare il suo comportamento.
“Okay” mugola distrattamente “vediamo di ricominciare: mi chiamo Diana, non sono una dea, tu sei invece..?”
Il viso del ragazzo si indurisce, quasi non avesse nemmeno sentito le domande che Diana gli ha appena posto, ed esclama a gran voce “Impostora, impostora! Maga maligna, mi hai ingannato!”.
Diana solleva un sopracciglio irritata mentre lo vede agitarsi nella sua direzione. Appoggia la tazza vuota sul mobile, accanto a lei, e prende un gran respiro richiamando a sé la calma.
“Guarda che hai fatto tutto tu, non ho mai detto di essere la tua dea” solleva gli occhi al cielo, spazientita “Il tuo nome, di grazia”.
Rimane zitto per un attimo, valutando se rispondere o no per poi considerare non particolarmente pericolosa l’idea, optando per aprire le labbra e degnare la ragazza dell’informazione richiesta.
“Marcus Iulius, figlio di Maximus, comandante della Nona Legione, diretta a Nord” rimane serio fissandola, in attesa di una sua reazione, la quale non tarda ad arrivare. La ragazza sposta la tazzina nel lavandino, prima di andare decisa verso la sedia della cucina e sistemarcisi sopra.
“Non darti nomi che non hai, Marco. Non ci sei mai arrivato a Nord, in fin dei conti” borbotta assottigliando lo sguardo, fisso nel suo. Il centurione le rivolge uno sguardo ancora peggiore e apre la bocca per rispondere, quando viene interrotto dal tempestivo accesso nella stanza di Aurora e dell’altro uomo.
“Fermi tutti! Io e Kyros abbiamo avuto un’idea sull’accaduto” afferma lei, indicando con la mano il ragazzo al suo fianco nel mentre “se non abbiamo torto, ci deve essere stato un fulmine che ha aperto il passaggio: ricordi il tuono tanto forte di prima?” chiede in direzione dell’amica, che risponde con un cenno affermativo della testa.
“Va bene tutto, ma credo che se un fulmine avesse colpito il nostro palazzo ce ne saremmo accorti tutti, o no?” domanda scettica Diana, ondeggiando nervosamente la gamba accavallata.
“Credo dipenda dal tipo di fulmine in questo caso” continua Aurora, sostenuta prontamente da Kyros.
“In effetti ha senso” dice il greco “ il fulmine che è precipitato vicino a me era diverso dai fulmini consueti; ricordo solo un forte mal di testa, non sono morto, e poi mi sono trovato qui”.
L’ormai troppo ricorrente tic al sopracciglio di Diana continua a mostrarsi in tutta la sua magnificenza.
“Questo uomo non mente, anche io ho notato una folgore divina a poco da me, prima di ritrovarmi qua. Io, però, non ho sentito dolore alcuno: solo l’immagine di lei” ed indica con la mano la povera Diana, mentre si sofferma per un istante con gli occhi sul suo viso “nella mia mente, prima di giungere in questo oscuro luogo”.
Diana sospira troppo rumorosamente, facendo voltare tutti verso di lei: “Non so se avete sentito male o no, ma il mal di testa lo state facendo venire a me, proprio in questo momento” borbotta, cambiando posizione delle gambe con un gesto di stizza.
Il greco la guarda per un attimo con sufficienza, prima di riportare lo sguardo su tutti i presenti e confermare ciò che era appena stato esposto dal romano.
“Per quanto irreale, in effetti anche io ho visto lei prima di ritrovarmi qui” afferma guardando la ragazza presa in causa, Aurora, che gli rivolge lo stesso sguardo curioso e concentrato.
“Sta di fatto che dobbiamo arrivare ad una, in un modo o nell’altro” sostiene la suddetta ragazza, prima di rivolgere lo sguardo verso la coinquilina e l’uomo al suo fianco “e voi due smettetela di fare i bambini e di litigare, che qui siamo tutti d’accordo sul volerli rimandare a casa”.
Diana sbuffa, spostando lo sguardo altrove, mentre il romano ribatte a gran voce di non aver proprio niente da condividere con quella dannata strega, men che meno il tempo di una discussione.
La ragazza si alza, stufa, dalla sua postazione sotto lo sguardo confuso degli altri abitanti della casa.
“Tanto vale che ci si metta sotto subito, allora” borbotta sciabattando verso la sala, all’insegna dei suoi immensi volumi di fisica.

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