Chiuso per Ferie

di Zomi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosso ***
Capitolo 2: *** Arancione ***
Capitolo 3: *** Giallo ***
Capitolo 4: *** Verde ***
Capitolo 5: *** Blu ***
Capitolo 6: *** Indaco ***
Capitolo 7: *** Viola ***
Capitolo 8: *** Fucsia ***



Capitolo 1
*** Rosso ***


*FanFiciton partecipante alla Yuri&Yaoi's Week indetta dal Fairy Piece*

 




 
CHIUSO PER FERIE
 
 



 
“Bordeaux. Ti prego Dio, dimmi che non ho ispirato un orribile bordeaux… Ros-soRos-soROSSO! Regola numero uno: rosso è il colore del sesso, bordeaux è il colore delle borse dell’acqua calda. Rosso è il colore del sesso, della paura, del pericolo, e dei cartelli che dicono “è vietato l’ingresso”. Tutte le cose che preferisco nella vita.”
Lola -Kinky boots
 


Izou sospirò nuovamente, l’auto che rallentava nell’imboccare il candido cancelletto della villetta al mare della famiglia Newgate.
L’edificio si mostrava con i suoi imponenti due piani, la verniciatura candida data di fresco e il prato verdeggiante sul davanti e quello grigio cemento con il cesto da basket sul dietro, la veduta del mare a portata di mano.
Izou sospirò di nuovo.
“Ti divertirai” lo aveva rabbonito “Sarà una bella vacanza” aveva aggiunto la falsa speranza.
Non che a Izou dispiacesse il mare e quella quindicina di giorni di vacanza settembrina fuori programma.
No, Izou Shirohige amava il mare.
Lo amava come amava il profumo di un buon libro appena acquistato, come la sensazione dell’acqua calda sui piedi, la brezza autunnale che li aveva accompagnati sull’autostrada fin lì, le sciarpe e i dolci. Amava il mare come la salsa barbecue che pizzica la lingua.
Ma amava di più Marco.
Il suo Marco.
E accontentarlo in quella patetica quanto  falsa messinscena era il minimo che potesse concedergli per come lui ricambiava –ancora non sapeva per quale grazia- il suo medesimo sentimento.
Già, non era il mare, o il tempo che avrebbe trascorso con la famiglia di lui in vesti di “”Amico”” a donargli quell’aria cupa e mogia.
In fin dei conto Edward Newgate era stato fin troppo gentile a invitarlo come “più uno” di suo figlio in quella vacanza fuori programma, voglioso di rivedere la famiglia riunita attorno alla sua possente mole con compagni e amici cari al seguito sempre ben venuti.
No, era qualcosa di peggio, non ancor ben identificato, che la sua benevola mente gli celava ma che ben presto avrebbe fatto la sua entrata in scena, con un elegante inchino e un sorriso velenoso.
Si, Izou lo sentiva: c’era qualcosa a cui non aveva voluto pensare e ora era troppo tardi.
L’auto frenò piano, le portiere si aprirono e…
-Benarrivati!-
La voce tonante del padrone di casa lo aveva fatto quasi urlare come una ragazzina, riducendo lo spasmo da adolescente in un poco vigoroso squittio, e mentre scambiava abbracci, pacche calorose sulle spalle e domande di circostanza riguardo il viaggio con Marco, Izou era certo che il buon e caro, enorme, gigantesco, ginormico Edward Newgate non gli avesse tolto gli occhi di dosso per un solo istante.
-Sei tu quindi l’amico di Marco!- non una domanda, una certezza, e la presa possente con cui gli aveva stritolato la mano dandogli il benvenuto lo aveva scosso da capo a piedi.
-È un piacere fare la sua conoscenza signor Newgate, Marco mi ha parlato di lei- si era sforzato di parlare con tono tranquillo e placido, quasi non stesse conoscendo il padre del suo ragazzo, il suo ragazzo gay, lo stesso ragazzo gay con cui faceva l’amore un giorno sì e l’altro pure e con cui avrebbe dovuto fingere una serena amicizia per l’arco dell’intera vacanza, relegando la loro relazione amorosa in… bhè non sapeva nemmeno lui dove.
 
Un attimo. A cosa aveva appena pensato?
 
-Non darmi del Lei: gli amici di mio figlio sono miei amici!- lo aveva spinto in casa con tanto di valige e borsoni, quasi che non pesasse più di un fruscello di ciliegio.
-Su su andate: la stanza è di là. La tua vecchia stanza Marco- l’occhiolino rivolto al biondo non era sfuggito a Izou, che aveva incrociato le labbra e mosso la crocchia nera disorientato da tanta semplicità con cui il genitore lo aveva accolto in casa propria.
-I tuoi fratelli saranno qui tra poco- vociò ancora mentre alcune padelle sbattevano tra loro -Oh: Ho messo le tue lenzuola preferite!-
Le valigie gli sfuggirono di mano contro il pavimento in legno del piano superiore, gli occhi fissi su Marco che apriva la porta beige della sua camera e che lo chiamava confuso mentre nella mente di Izou un gran vociale di urla e allarmi generali risuonavano in pieno attacco di panico.
 
Lenzuola?
Lenzuola.
Parola buffa “lenzuola”, che si abbina perfettamente a letto e sess…
 
Il cuore gli cadde nello stomaco, sciogliendosi negli acidi gastrici quando mise piede nella camera che avrebbe condiviso con il biondo per più di dieci lunghe notti. Tanto erano amici no?
Potevano dormire nella stessa stanza, nello stesso letto matrimoniale, con le stesse profumate e lisce lenzuola… rosse?
Dio del cielo!
Erano lenzuola fresche di bucato color rosso quelle?
Rosse come rose d’amore, come mele succose, come succhiotti appena dati, come labbra da baciare.
Rosse come il sesso!!!
-Ma-marco…- esalò la sua prima parola, richiamando il biondo che si stava occupando di svuotare il suo borsone.
Gli si fece vicino, studiando anche lui il letto che aveva tanto rapito lo sguardo del compagno.
-Si?- sollevò un sopracciglio, in ascolto.
-Dormiremo qui?- indicò le lenzuola scarlatte –In questo letto rosso?-
Marco annuì.
-Dormiremo?- titubò sperando fosse uno scherzo. Un bruttissimo scherzo.
Perché, insomma, lui e Marco che dormono in un letto dalle lenzuola rosse aveva un che di diabolicamente ironico e sconfortante.
-Che altro vorresti fare?- tornò al suo borsone il biondo, dandogli le spalle.
Già, che altro voleva fare Izou abituato a fare l’amore con il suo compagno una notte sì e l’altra pure?
Chissà che aveva in mente di farci in quelle lenzuola, maliziose e rosse, il caro Izou.
Con il suo caro amico Marco poi.
Già, si sedette a terra il moro: chissà che voleva farci.
Al momento solo dargli fuoco.
 

 

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Capitolo 2
*** Arancione ***


I cristiani usavano un tempo l’arancione per inidicare i cadaveri dei peccatori di gola.
Guglielmo da Baskerville

 

-… finalmente una buona forchetta!-
Izou cercò di sorridere, ma la bocca piena di carne alla griglia glielo impedì, un rivolo di salsa arancione che colava dal labbro.
Che ne sapeva lui che Satch, il fratello del suo Marco, fosse uno chef?
Uno chef stellato che rendeva ogni singolo alimento una leccornia, un nettare degli dei, un festino porno per il suo palato a ogni assaggio!
Il moro sorrise, la bocca che andava a svuotarsi riempiendo di arcobaleni e unicorni il suo stomaco.
-Piascere!- bofonchiò mentre il castano dalla prominente banana si sedeva davanti a lui, il mento sorretto da un palmo aperto e il sorriso sornione stampato in viso.
-Sai…- frappose tra loro, sulla tovaglia arancione e macchiata della tavola, un vassoio straripante della profumata e saporita carne alla brace che aveva preparato per la cena -… Marco non mi ha mai accennato  a te-
-Nsco?-  azzannò una costoletta: ma con cosa l’aveva condita? Nutella e felicità?
Non riusciva a smettere di mangiarne e sentiva già il suo lato dietetico imprecargli conto.
-No- replicò, gli occhi cenerini che scivolavano sul fratello biondo, composto e fintamente disattendo allo scambio di battute tra lui e Izou, ridacchiando –Marco non ha mai accennato al suo caro amico Izou-
Il moro fissò attonito il suo interlocutore, la mascella che rallentava la voracità con cui masticava e gli occhi che diventavano liquidi.
Marco non aveva mai accennato ai suoi fratelli della sua esistenza?
Mai mai?
Boccheggiò, l’ingordigia che scemava dalla sua bocca mentre il chiacchiericcio della famiglia del biondo lo circondava.
-Satch taci!- ringhiò Marco, una mano che si inabissava sotto la tovaglia ad accarezzare la coscia tremula del suo ragazzo.
Che diamine aveva in mente suo fratello?
Già era difficile far sentire Izou parte della famiglia come amico e non purtroppo come suo compagno, provare a minare il loro rapporto –d’amicizia o d’amore- era qualcosa che non avrebbe permesso a nessuno.
-Smettila- ammonì il castano a tono basso e mascella dura.
-Come quando eravamo bambini, vero fratellino?- sghignazzò Satch, afferrando una forchetta e avvicinandola a un vassoio colmo di prelibatezze –Vuoi tenere per te i giocattoli migliori- fece l’occhiolino a Izou riempiendogli il piatto –E anche gli amici-
Quello ridacchiò con la bocca piena, rischiando di soffocarsi, e ci sarebbe anche riuscito se Marco non lo avesse aiutato a liberarsi con delle calorose pacche sulla schiena alla Newgate.
Con gli occhi colmi di lacrime, il moro riuscì a intravedere le saettanti occhiatacce che il suo ragazzo lanciava a fratello, sghignazzante e divertito dal suo tentato suicidio.
-Su su- aggiunse salsa piccante color carota al piatto del corvino –Raccontami tutto: come vi siete conosciuti?-
-Satch…- tentò un nuovo ammonimento il biondo.
Troppo curioso, Satch era sempre stato troppo curioso.
S’impicciava degli affari degli altri, metteva parola dove non doveva e spettegolava peggio delle signore Kokoro e Tsuru del suo condominio.
Non gli avrebbe permesso di interrogare il suo dolce e innocente ragazz…
-In libreria!-
Dannazione!
Chiuse gli occhi maledicendosi, lui e la sua scarsa accuratezza nel ricordarsi le limitate doti di circospezione del moro.
Perché lo sapeva, sapeva benissimo che Izou era goloso, e vedersi riempire il piatto come quel dannato capellone faceva non gli aveva aperto solo stomaco e cuore ma aveva liberato da ogni briglia anche la sua lunga e petulante lingua.
-Libreria?- Satch fece rotolare qualche patata nel piatto della sua vittima.
-Mmm- annuì quello, ignaro della trappola che il castano gli aveva teso –Stavo scegliendo un nuovo libro e mi stavo giusto giusto spoilerando l’ultima pagina come faccio sempre- sgranò gli occhi e squittì estasiato nel vedersi offrire un’abbondante cucchiaiata di salsa barbecue arancione, leccandosi le labbra e muovendo rapido le corde vocali nel parlare.
Oh si, avrebbe parlato, detto ogni singolo peccato commesso nella sua vita, accollandosi le colpe anche dei suoi avi.
Tutto, purché Satch continuasse a concedergli la meravigliosa possibilità di mangiare le sue prelibatezze.
Le verdure erano speziate in modo afrodisiaco, e la carne si scioglieva in bocca accompagnata dalla salsa arancina che l’abbracciava con affetto.
Oh cibo, cibo, cibo: c’era qualcosa di più bella nella vita?
Bhè fare l’amore con il suo Marco, ovvio, e questa opzione includeva anche meno calorie di quelle con cui stava rimpinzando il suo delicato corpo.
Arricciò le labbra in un sorriso felino, gongolando e stringendosi il viso tra le mani nel assaporare una nuova forchettata di carne imbevuta nel liquido piccante e arancione come il peccato di gola.
Chisse ne fregava delle calorie: non poteva resistere!
-Non capisco- Satch spostò il piatto unto di Izou da sotto il suo naso, sostituendolo con uno più piccolo che si affrettò a riempire con una fetta di dolce, il via vai dei commensali che andava a scemare segno che la conversazione dei fratelli Newgate col padre si stava spostando verso il salotto della villetta, mentre alcuni si affrettavano ad occuparsi delle stoviglie sporche.
-Prima di acquistare un libro, leggo sempre l’ultima pagina- ingoiò una forchettata della torta il moro, uggiolando quando la pastafrolla accarezzò le sue papille gustative.
Come, come aveva potuto vivere senza quel sublime dessert fino a quel giorno?!?
-E…?- lo incalzò il castano, aggiungendo della frutta sciroppata al dolce, gli occhi di Marco che lo incenerivano e quelli di Izou lacrimanti per l’ingordigia.
-… e Marco ha strappato l’ultima pagina del libro che volevo comprare- leccò la forchetta insaziabile, leccando la posata più volte per non farsi scappare alcuna briciola di quella pastafrolla color tuorlo e dal sapor di paradiso -Dicendomi che se la volevo dovevo uscire con lui- ingoiò rapido il boccone, sgranando gli occhi quando si rese conto di ciò che aveva detto.
-Come amici- aggiunse con fare troppo ovvio.
-Mmm- lo studiò Satch, picchiettando un cucchiaio nella terrina della panna montata, indeciso se concederla o meno al suo schiavo di gola.
-Uscire come amici- guizzò con gli occhi al fratello, che gli grugnì contro mentre rafforzava la presa sulla coscia del compagno.
Doveva portarlo via da lì, lontano da Satch e dalle sue tentazioni culinarie.
-Si…- leccò la forchetta nuovamente Izou, abbassando una mano ad accarezzare la gemella del biondo –Ci conoscevamo di vista e spesso ci incrociavamo nella libraria- aguzzò la mete in cerca di una buona menzogna -Era interessato al mio lavoro di beta reader-
-Beta che?- sollevò un sopracciglio il castano, oscillando il ciuffo a banana.
-Mi occupo di leggere i romanzi e trovare errori grammaticali, o di sintassi- allungò una mano a sfiorare la terrina della panna montata, mantenendo gli occhi fissi al suo interlocutore –Correggo le bozze e aiuto gli autori a migliorare le loro opere- tirò appena a sé la vaschetta, facendola scivolare sulla tovaglia arancione –Attulamente sto lavorando con I. G. Page al suo ultim…-
-AHHHHHHHHHHHH!!!-
Un piatto si infranse nel lavandino squarciando la quiete serale, mentre un caschetto castano e sbarazzino abbandonava le retrovie della cucina,  fiondandosi alla tavola occupata dai tre uomini, impiantando i palmi sulla tovaglia e spostando di peso Satch dal suo posto.
-Hai detto I. G. Page?!?!?- strillò Halta, sbilanciandosi verso Izou e sgranando gli occhi al suo annuire spaventato.
Izou deglutì, esitando un sorriso forzato mentre tentava, invano, di sostenere lo sguardo di quel scricciolo in miniatura in modalità “Euforia e occhi a stella”.
Perché la ragazza di Satch lo guardava come una reliquia?
Non si era innamorato di lui vero?
No, perché lui era abbastanza gay.
Da quasi ventisette anni a quella parte e di cambiare sponda non ci pensava propr…
-Oddio ma io la amo!!!- gli rese le mani nelle sue, spalmandosi sulla tavola e sgambettando contro il petto di Satch, che la frenò posandole le mani sui fianchi, bofonchiando qualcosa contro l’interruzione della sua dolce metà, prima di arrendersi e posare il mento sul sedere a mezz’aria della sua compagna.
-Adoro i suoi romanzi: così sciolti e avvincenti! E i personaggi! Sono totalmente innamorata di dottor Death!-
-Ehi!- sbuffò Satch, rivolgendo un dito medio a Marco che gli sghignazzava contro.
-… con le sue occhiaie e il cappello maculato- sospirò imperterrita Halta non mollando la presa sulle mani di Izou -Con quel dannato bisogno di essere…
-Amato!- singhiozzò il moro, spingendo la ciotola di panna verso il suo compagno e stringendosi appassionato alla ragazza –E solo la piccola ma vulcanica Khoalea può farlo! Oh ma non ti dico, non ti dico cosa accade nel nuovo romanzo perché…-
Gli uggiolii si moltiplicarono, le urla di gioia e dolore raggiunsero decibel preoccupanti e dopo un quarto d’ora Satch rinunciò a capire di cosa stessero blaterando la sua dolce Halta e quel soggetto non ancora identificato di Izou.
Soffiò dal naso, arrendendosi al fatto che il suo interrogatorio era finito con poche informazioni e troppe prelibatezze sprecate per cavare nemmeno mezzo rango dal buco.
Ruotò gli occhi verso Marco, intento a ridacchiare e assaporare, senza tante cerimonie, la sua panna montata, non accennando a voler lasciare soli il duo di fan della scrittrice che aveva rapito i loro cuori di lettori.
-Ridi ridi- l’additò, accarezzando la schiena della sua ragazza e togliendo qualche briciola dalla tovaglia arancione –Tanto non è finita qui-

 

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Capitolo 3
*** Giallo ***


Il giallo di solito indica che non è così grave.
Bobby Unser
 

 
-… no, no, no, NO!-
Il tonfo di qualche arnese tecnologico che veniva picchiato sul tavolo del salotto, un urlo disumano e un lieve “clik” furono tutto ciò che Marco percepì prima di mettere piede nella stanza dove Izou stava lavorando.
Aveva tanto insistito per potersi portare con sé il suo Pc, per poter continuare il lavoro di beta reading, e approfittando dell’uscita di una parte della famiglia Newgate in spiaggia si era messo all’opera, leggendo con occhi incollati allo schermo e ticchettando lesto le dita sulla tastiera.
Almeno, così aveva lavorato prima di urlare disperato.
-Che succede?- si era avvicinato cauto al moro, posando una mano al tavolo e fissando il suo ragazzo, viso spalmato sulla tastiera e ginocchia a terra.
-… giallo…- mugugnò quello picchiando la fronte sulla barra spaziatrice -… giallo…-
Marco sospirò, il braccio teso a ruotare il laptop verso di lui e scrutare confuso lo schermo del macchinario, colorato di un intenso color canarino.
-Che è successo?- domandò provando a pigiare qualche tasto, non ottenendo risposta dall’arnese.
-E IO CHE NE SO?!?!?- lacrimò Izou, sollevando rapido il capo e incenerendo con gli occhi il biondo.
-Stavo sistemando un paragrafo quando… puff!- si alzò da terra e artigliò il tavolo –Quel stupido computer ha deciso di diventare un limone andando in tilt e perdendomi tutto!- si morse il labbro inferiore, le lacrime agli occhi -Tutto!-
Il biondo lo studiò attento, non capendo la sua disperazione.
Izou era ligio al dovere, lavorava sodo e non tralasciava nessun particolare, fiero del suo operato.
Era ovvio pensare che ci tenesse al suo lavoro, ma quella crisi isterica era esagerata per fino per uno come lui, abituato a essere sopra le righe.
Alzò una mano, posandola in una goffa carezza sulla spalla del moro, stringendogli la pelle che sporgeva dalla maglietta all’altezza del collo, strappandogli mezzo sorriso.
-Recupererai tutto quando tornerai a casa- tentò di consolarlo, vedendolo tremare –Hai tutto il materiale via mail no? Il romanzo, i dati, le bozz…-
Lo schiaffò che gli colpì la mano allontanandola fu doloroso.
Quasi che Izou l’avesse colpito in pieno viso a pugno chiuso, carico della rabbia che gli leggeva nello sguardo e velenoso come la bile gialla e acida che poteva vedergli ribollire nel palato.
-Che vuoi che me ne importi delle bozze!- parlò lapidario, i pugni stretti lungo i fianchi, il corpo scosso dai fremiti e teso davanti al biondo –Quello è solo lavoro!-
Lo vide chiudere gli occhi e voltare il capo, i capelli setosi e neri che ondeggiavano come spire.
-Izou- lo richiamò alla calma, certo che i fratelli presenti in casa si fossero accorti dell’accaduto e che fossero, chi più in disparte e chi meno,  muti spettatori di quella strana litigata.
-Si sistemerà tutto- tentò di rabbonirlo con tono pacato –Non farne una tragedia-
-Certo!- sbottò quello, battendo un palmo della mano sul tavolo prima di avviarsi verso la porta della mansarda –Non è una tragedia aver perso tutto no?- si allontanò di un passo vedendo il biondo provare a parlare.
-Tanto tu non vuoi capire!- l’accusò prima di dargli le spalle.
La porta gracchiò nell’aprirsi prima di emettere un secco boato nel venir chiusa con stizza, e permettere a Izou di allontanarsi indisturbato.
L’ennesimo sospiro di pazienza sfuggì alle labbra di Marco.
Perché doveva essere così melodrammatico, si chiese massaggiandosi il ponte del naso con due dita, gli occhi chiusi ad elaborare quanto successo.
Era solo un Pc, e se il suo lavoro era salvo, di cosa tanto si preoccupava di aver perso?
Altri dati? Bozze di lavori vecchi? Appunti non salvati in drive?-
-Marco-
Aprì mezz’occhio scrutando Jozu armeggiare con il computer ancora in sciopero.
-Va da lui- fece stridere la sedia sulle mattonelle, posando la sua enorme mole su di essa e mettendosi a lavoro –Qui ci penso io-
Marco annuì, ringraziando il fratello esperto di informatica con una mano stretta con forza sulla sua spalla.
Sapeva che tra di loro, tra fratelli, la parola “grazie” era difficile da pronunciare. Imbarazzante quasi.
Ma bastava un piccolo gesto per capirsi.
Lanciò un’ultima occhiata al fratello maggiore prima di incamminarsi sulla spiaggia dorata.
 
 
Lo trovò seduto sugli scogli.
Il vento del tardo pomeriggio gli scompigliava i capelli corvini sfuggiti alla coda mal composta mentre le dita dei piedi si lasciavano bagnare dalla condensa delle rocce colorate dalle alghe.
Gli si sedette accanto, guardandolo in silenzio.
Aveva gli occhi rivolti al mare, le gambe raccolte al petto su cui posavano le braccia conserte.
Sembrava perso nei suoi pensieri ma Marco era certo che si fosse accorto della sua presenza.
Non prese coraggio prima di parlare, ne un respiro profondo a rendere solenne il discorso. Semplicemente parlò al suo ragazzo.
-Come stai?- lasciò che una sua gamba gli sfiorasse un piede.
-Hai presente quando stai male dentro?- non distolse gli occhi dal cielo che iniziava ad ingiallirsi, prossimo al tramonto -Così tanto che il tuo malessere si riversa dritto al petto, appesantendoti il respiro?-
-Stai male?-
-No, va tutto bene- sorrise mesto.
Il suo Marco, sempre così preoccupato per lui.
Così perso nel preoccuparsi di cose sciocche da non accorgersi di quelle importanti.
-Va tutto bene- ripeté non osando allungare una mano a stringere la sua, pauroso di un rifiuto -Ma tu, per favore... ti prego... resta qui accanto a me. Se te ne vai il respiro torna pesante-
Lo sguardo azzurro di Marco s’intensificò sul moro, e non gli importò nulla che qualcuno potesse vederli.
Che qualche suo fratello, rumoroso e incapace di capire, li vedesse.
Alzò il braccio e strinse a sé Izou in un abbraccio caldo, costringendolo a posare la fronte sulla spalla opposta. Lo sentì respirare piano, inalare il suo profumo e ricambiare la stretta dei loro corpi arpionandosi a lui.
-Marco- pigolò piano, con quel suo tono infantile che tanto il biondo amava.
Rispose stringendoselo maggiormente a sé.
Era una sensazione nostalgica, che il suo corpo aveva quasi dimenticato e che ora, riscoprendola, voleva cibarsene a mani piene, sfruttando fino all’ultimo raggio dorato di sole su di loro.
-Mi mancava- ridacchiò Izou, impiantando il mente con fare giocherellone sulla spalla del compagno -È da più di cinque giorni che non mi abbracci-
-Non è vero- si difese fin troppo in fretta.
-Si invece!- lo pizzicò sul fianco –Non lo fai nemmeno quando dormiamo: hai paura che Satch possa entrare in camera a farci chissà che scherzo… come se dopo le super cavalcate che fa con Halta avesse fiato per certe sciocchezze-
Marco sbuffò, preso in contro piede, memore di tutte le volte in cui Izou aveva provato ad accoccolarsi a lui nel loro letto, costrigendolo a dormire in una posa da morto se non voleva che lo abbandonasse sul materasso preferendo il divano alla sua compagnia notturna e per nulla molesta.
-Non si sa mai- spiegò.
-A-ah- rise il moro, staccandosi appena dal suo petto e accostando le labbra alle sue, frenando il bacio quando Marco si scansò.
I suoi occhi nocciola si riempirono nuovamente di rabbia.
-Ecco!- ringhiò –Ecco cosa mi fa male!- alzò le mani allontanandolo, lui e quel suo sguardo indagatore e confuso.
-Sei tu!- gli puntò un dito al petto –Tu che non mi permetti di accarezzarti o baciarti!-
-Izou…-
-Lo so!- si esasperò –Lo so che i tuoi non sanno che sei gay: lo so! Ma io sì: io so quanto tu sia magnifico nonostante il tuo orientamento sessuale- si alzò da terra, sfregandosi i bermuda e ritrovando un po’ di compostezza.
-E fa male- scosse il capo –Fa male sapere che la nostra relazione è ridotta a poche foto sul mio Pc- si passò una mano tra i capelli, sciogliendosi la coda e incamminandosi lungo il bagno asciuga –Un Pc ora giallo e rotto e che ha cancellato tutto ciò che era rimasto di noi prima di questi giorni-
Si fermò con le mani in tasca, la schiena rivolta al tramonto e a Marco, ancora muto e fermo a fissarlo.
-Non mi sono mai nascosto, né quando alle elementari ho riposto alla maestra Califa che potevo fare benissimo Biancaneve, che lei non aveva mai visto cosa avesse sotto la gonna la principessa per dire che poteva essere solo una bambina a interpretarla- mosse il primo passo –Né quando ci siamo conosciuti. Ma ora per te lo sto facendo: per te, per stare con te - si allontano piano –Davvero non ti fa male?-
 

Quella sera Izou non cenò con la famiglia Newgate.
Un mal di testa atroce lo aveva costretto a letto.
E Marco, quando Jozu gli riconsegnò il Pc del moro ora funzionate e attivo più di prima, non riuscì a consegnarlo prontamente al suo ragazzo.
Lo tenne per sé, per poche ore.
Lo tenne per sé, senza più alcuna traccia di giallo.
Lo aprì e trovò subito la cartella delle immagini contente le foto delle loro uscite, sfogliandole, guardandole, zoomando sui particolari, accarezzando i contorni dei loro baci e isolandosi dai fratelli.
E quando si coricò con Izou nel loro letto rosso e immacolato, trovando il ragazzo addormentato sul fianco a dargli la schiena, una fitta lo colse al centro del petto.
Una fitta che faceva davvero male e dai contorni gialli.

 

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Capitolo 4
*** Verde ***


Il verde è il colore della speranza, tranne che nel cerchio intorno agli occhi.
Georg Lichtenberg
 
 
La pineta che costeggiava il mare era sempre sembrata fuori posto per Marco.
I pini, con la loro chioma geometrica e verde, erano tipici della montagna, non del mare, e lui con la sua logica di allora bambino li trovava fuori luogo e inadatti a circondare i tuffi dagli scogli, i gelati presi sotto il sole, i castelli di sabbia e le corse con i suoi fratelli.
Era stato Vista, il suo fratello più grande, a spigargli che certe volte alcune cose che sembrano fuori luogo, erano lì invece perfettamente collocate e rendevano magnifico ciò che li circondava, con la loro caratteristica di outsider, rendendo l’ambiente che non gli apparteneva ancor più bello.
-Sono i dettagli fuori posto che rendono magnifico il mondo, non credi Marco?- l’aveva spronato a ragionare.
Marco aveva annuito convinto, e lo era ancora mentre respirava a polmoni piene il profumo melenso e pungente della melassa che colava dagli alti rami della pineta, avanzando gravo del suo dolce peso.
Del suo dettaglio fuori posto.
Con occhi stanchi tentò di mettere a fuoco la schiena di Namur, ma era troppo lontano e di certo per nulla voglioso di attendere di bagnarsi con le onde del mare per aspettarlo e arrivare insieme alla spiaggia.
Erano quindi soli, e solamente un grillo canterino ben nascosto tra i pini poteva vederli.
Sorrise rallentando il passo e assaporando la luce smeraldina che illuminava la via fino alla spiaggia, lo sguardo che si allargava ad abbracciare ogni sfumatura di verde che gli appariva dinanzi.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente, la schiena dritta e il capo rivolto al cielo mentre il suo dolce peso lo guardava confuso.
Si lasciò accarezzare dalla brezza marina che entrava tra le fronde, sorridendo quando un polpastrello andò ad aggiungersi al vento che gli accarezzava la pelle sudaticcia del viso.
Lo sentì corrergli sullo zigomo sinistro, percorrere il contorno dell’occhio e giocare sulla mezza luna verdastra della sua occhiaia.
Verde e profonda, la pelle appesantita dalla mancanza di sonno abbracciava l’occhio di Marco rendendo più scuro e profondo il color turchese della sua iride, che brillò però rinata quando il candido dito disegnò il suo contorno.
La piccola falange corse veloce su tutta la lunghezza di quel piccolo dettaglio verde, sottolineando le ore di sonno non godute di Marco prima di fermarsi e accarezzare con maggior dolcezza la pelle gonfia e stanca.
-Dovresti dormire di più- suggerì sottovoce Izou, allentando la presa di gambe e braccia sul tronco del biondo, lascando dondolare un piede scalzo.
-Non riesci a riposare bene?- chiese premuroso, portando il dorso della mano ad accarezzare la sua guancia lievemente pungente per la ricrescita della barba.
-Scalcio?- si sporse a guadarlo in faccia, la voce preoccupata e colposa –Non ti lascio dormire Mar…-
-Mi piace svegliarmi presto e guardarti dormire- ammise d’un fiato il biondo, scoppiando a ridere e squarciando il silenzio della pineta quando Izou si afflosciò contro la sua gola uggiolando con toni strozzati e acuti assieme, in balia di quegli attacchi di dolcezza con cui il compagno cercava di ucciderlo a forza di infarti.
-MARCO!!!- risciò di strozzarlo stringendo le braccia a lui e facendogli quasi perdere l’equilibrio sulla via segnata tra le ombre dei pini.
Il biondo ridacchiò, poggiando i pesi di entrambi sui piedi, il capo piegato a confrontarsi con lo sguardo nocciola del compagno, stretto a lui e rosso in viso, il cuore che batteva forte contro la schiena del suo cavaliere.
-Fermo fermo!- rise, stringendo le braccia sotto le anche del moro, facendolo sobbalzare e sistemandoselo sulla schiena.
Sorrise amabile nel venir accarezzato in ricambio, qualche ultimo mugugno espresso con finta rabbia dal moro prima che si chetasse e tornasse ad abbracciarlo con disinvoltura.
L’ennesimo sospirò lasciò le labbra di Marco.
Erano passati giorni dall’episodio del pc.
Da quel pomeriggio passato a tormentarsi in domande che mai avrebbero preso voce e una notte trascorsa a ribollire di rabbia contro se stesso e a ciò che aveva deciso di fare al suo ragazzo.
Erano seguite mattine silenziose da parte di Izou, sorrisi educati ma non più dolci dei suoi, chiacchiere svogliate e per nulla intrise d’amore e una vita di facciata che aveva scardinato ogni dettaglio di quella vera, prendendone il posto con brutale e cruda violenza.
Izou era diventato il suo amico.
Non il suo amante, non il suo confidente, non la persona con sui ridere e sfogarsi per ogni singola cosa.
Un amico.
E la speranza che nulla fosse andato perduto, che nessun loro contatto sentimentale fosse visibile solo su alcune foto conservate con cura in un pc, era andata via via assottigliandosi.
Non gli restava che guardarlo dormire al mattino, beandosi della sua silenziosa compagnia e rubando ore di sonno al suo corpo già denutrito di quell’amore che si stava negando da solo.
Gli restavano solamente i sospiri dormienti del moro, i mugugni borbottati in dormiveglia e qualche carezza rubata prima che i raggi del sole illuminassero ciò che durante l’intero giorno si nascondeva fin troppo bene.
Non gli restava che quelle poche ore a ricordargli cosa erano assieme, uniti non solo dall’amicizia.
Fino a quel giorno.
Non aveva ancora capito perché Izou avesse sfidato con tanta goliardia quel toro di suo fratello Atmos in una gara di corsa , nonostante Marigold, moglie dell’imponente primogenito, avesse ben avvertito della forza taurina del marito il moro.
Fatto sta che Izou ci aveva riso sopra, aveva urlato un poderoso e  provocatorio “Chi arriva ultimo in spiaggia sta sotto nel coito” e un scatto fulmineo… si era fatto sorpassare da Atmos che lo aveva anche fatto inciampare.
Responso della gara: un Izou incapace di camminare per una caviglia lesa, una maglietta firmata impolverata e macchiata dall’onta della sconfitta e suo fratello borioso e mascolino che aveva continuato la corsa verso la spiaggia armato di moglie tra le braccia.
Così si era ritrovato Marco nella pineta.
Con il compagno mutilato in spalla, costretto a portarlo fino alla spiaggia per la via più lunga scelta dal padre per non sapeva quale motivo, e con l’ombra dei pini ad accompagnarli visto che tutti i fratelli erano ormai scomparsi dalla loro vista.
E il biondo  non poteva che esserne più felice.
Riprese a camminare lungo il bosco, i passi calmi e per nulla vogliosi di raggiungere la meta.
Era bello starsene all’ombra e al fresco con Izou addosso, così vicino come mai lo era stato in quei giorni, e sentirlo giocherellare con qualche sua ciocca dorata, finalmente libero da occhi indiscreti di toccarlo e vezzeggiarlo con piccole carezze e soffi sul collo.
Riaccendeva in lui la speranza che la loro relazione non fosse stata del tutto zittita.
Che ci fosse ancora qualcosa e che Izou l’avesse perdonato nonostante lui non avesse mai pronunciato alcun verbo di scuse.
-Perché mi guardi dormire?- lo scosse dai suoi pensieri riportandolo all’ordine del giorno.
Marco scrollò le spalle, una mano scesa ad accarezzare la caviglia lesa del moro.
-Fa male?- chiese, deviando il discorso.
Troppo imbarazzante ammettere che gli mancavano tutti quei gesti di dolcezza e affetto che gli aveva proibito di rivolgergli.
Troppo scomodo confessare che gli mancavano tutti.
-No. Perché mi guardi dormire?- tornò all’attacco ricevendo la medesima risposta silenziosa –Dovresti approfittare di questa vacanza riposandoti- l’ammonì –Le occhiaie poi non ti stano bene e la mancanza di sonno causa…-
-Mi manchi- parlò lapidario -Mi manchi e mi dispiace-
Izou strinse le dita sulle spalle a cui si aggrappava, allargando gli occhi prima di addolcirne lo sguardo. Il suo Marco, il suo sciocco Marco.
-Non avrei mai dovuto trascinarti in questa vacanza- continuò quello –Non dovevo chiederti di fingerti mio amico, non dovevo negarti di baciarmi e non…-
-È tutto ok- lo abbracciò con forza, infossando il capo contro la sua gola, rassicurandolo -È tutto ok Marco, va tutto bene-
Una mano candida e fresca scivolò nel collo largo della canotta del biondo, fermandosi su un pettorale ad ascoltare il battito deciso del suo cuore. Il palmo era fresco contro la pelle sudaticcia e calmava i battiti frenetici che risuonavano nella cassa toracica del biondo in apnea di parole.
-Non avrai pensato che bastasse così poco per allontanarmi da te?- gli sussurrò all’orecchio Izou, ridacchiando e calmando quei timori che turbavano nel profondo il biondo sempre così impassibile e distaccato, e che lui aveva capito nonostante la reticenza ad esprimerli del compagno.
Sciolse la stretta delle gambe, scivolando a terra ma rimanendo abbracciato al corpo di Marco, stringendolo con forza e allacciando il braccio attorno alle sue spalle, spingendoselo contro al petto.
-Non ti libererai di me così facilmente- gli soffiò sul collo –Per ora il nostro rapporto è solo…- schioccò la lingua sul palato in cerca delle parole giste -… chiuso per ferie-
Si staccò brusco, facendo sussultare il biondo con una manata ben assestata al suo sedere, scuotendolo dal torpore in cui era caduto cullato dai suoi tocchi e dal tono basso e dolce della sua voce.
-Ma quando riaprirà non avrai scampo!- lo superò di corsa, ridacchiante e divertito.
-Chiuso per ferie- borbottò tra sé, rimuginando, fissando il compagno avanzare spedito lungo la pineta, braccia piegate dietro il capo e passo ben saldo sul terreno.
-Izou- lo richiamò, facendogli piegare il capo all’indietro a guardarlo interrogativo.
-Si occhietti pieno di sonno?- fece dietrofront saltellando, prendendolo bonariamente in giro.
Marco sorrise di sghembo, incrociando le braccia al petto.
-Avevo capito che la caviglia ti facesse male…- indicò con un cenno del capo il falso piede leso del moro, che si bloccò nel suo avanzare baldanzoso.
-Oh!- socchiuse la bocca, prima di girare sui tacchi e ridacchiare, le ombre della pineta su di lui.
-Marco- ammiccò al biondo con occhi languidi –Dovevo pur inventarmi qualcosa per strusciarmi su di te-
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 5
*** Blu ***


Blu scuro, è il colore della notte dove si concentrano e si bloccano i nostri occhi, le orecchie, le parole, tutto quanto.
Banana Yoshimoto
 

Il fischio salì al cielo, fin tra le stelle rischiando di squarciare il blu della notte.
-Eccolo!- chiassò a gran voce Satch, stringendosi Halta al petto e sollevando il viso alla notte stellata.
Bastò attendere pochi secondi prima che la spiaggia fosse illuminata a giorno dalla fontana di luci dei fuochi d’artificio, strappando a tutti i presenti appostati tra la sabbia un coro di ovazione e meraviglia.
-Nonno! Nonno hai visto?!?-
Mani alzate ad accarezzare le scintille colorate, e una manciata di dita puntate a indicare quello o questo nuovo gioco pirotecnico, scuotendo e reclamando a gran voce l’attenzione del nonno.
Marco sorrise intenerito, studiando con meticolosità le sue cinque nipoti, zampettare e trotterellare attorno al nonno Edward, lasciando in pace per poche ore papà Namyuul e mamma Kairen, mentre il bonario patriarca si lasciava schiavizzare dalle nipotine.
-Ho visto, ho visto Killuna!- accarezzò una testina rossa.
-Sono Killquattro nonno!- sbuffò la piccola, ricevendo un buffetto dall’omone che si scusò ridacchiando con la sua tonante risate, piegando il capo per il divertimento e lanciando, con occhi stanchi per gli anni ma non ancora del tutto ciechi, un’occhiata alle cinque vispe nipotine.
Tutta colpa dell’oscurità notturna si difese, ma Marco sapeva fin troppo bene quanto fosse difficile distinguere le gemelline di suo fratello, e agitate ed entusiaste col naso all’insù poi per i fuochi d’artificio notturni era decisamente impossibile.
Solo Izou sembrava riuscire a distinguerle senza errori, e senza far scatenare una guerra di gelosia tra sorelle.
Marco alzò appena il mento in direzione del padre, prima di scivolare piano sulla sabbia nera per la notte, premendo il fianco contro quello di Izou.
Una nuova coda scarlatta si  schiantò verso il cielo, cantando stridula e zittendo la famiglia Newgate ammassata sulla spiaggia dietro la Villa estiva, chetando il suo sibilo per un solo istante prima di esplodere in un fragore di scintille bluastre.
Le bambine tacquero trattenendo il respiro prima di gridacchiare entusiaste, seguite a ruota dal moro che affiancava il biondo.
-Non ho mai visto fuochi d’artificio notturni così belli!- esalò Izou, spostando il peso del corpo contro la figura del compagno, godendosi la sua vicinanza.
Teneva le mani unite sopra le ginocchia, strette al petto, dondolandosi a volte in attesa di una nuova fontana di luce a spezzare il blu notturno.
Era ammaliato dai giochi di luce chimica che ballavano tra le stelle, e ogni nuovo fragore dinamitico seguito da esplosioni di scintille gli facevano battere il cuore in un turbinio di emozioni difficili da decifrare.
Di una cosa era certo però: stava condividendo un momento speciale con Marco, e sebbene fossero ancora chiusi per ferie, l’emozione di averlo accanto non accennava alcun cedimento.
Erano assieme, erano vicini e solo la notte poteva notare la loro vicinanza intima e molto più che amichevole.
Stava bene, si sentiva in pace col mondo Izou,  immerso nel blu della notte e con il calore di Marco a confermargli che era lì con lui.
Aveva ancora gli occhi incollati al cielo blu quando una mano del bidono gli sfiorò una tempia, disegnando pigro una fine trecciolina che si univa ad altre in una più spessa e scura treccia che annodava i capelli d’ossidiana del moro.
-Le bambine- rise sottovoce Izou, lasciandosi accarezzare il capo –Si sono innamorate dei miei capelli-
-Devo esserne geloso?- chiese roco, non staccando le dita tra gli intrecci che le bambine avevano creato con tanta diligenza sul capo del moro.
-E perché mai?- volse gli occhi su di lui, una nuova cascata di luci nel blu della notte –Io sono tuo-
Le labbra di Marco s’incurvarono all’insù, in un sorriso appena illuminato da un mortaretto che si spegneva, una carezza più lenta e calda scivolò sul viso del moro.
Izou ringraziò l’oscurità notturna che celò il rossore delle sue gote per quel sorriso, e sfidando la sorte, posò il capo sulla spalla del compare, stringendosi a lui quando lo percepì fremere per la vicinanza.
Tornò a perdersi tra le stelle artificiali, a contrario di Marco che invece vagò con gli occhi azzurri sulla spiaggia.
Davanti a lui vedeva i suoi fratelli stretti alle compagne, chi con più passione come Satch e Halta che sembravano incapaci di dividersi dall’abbraccio che li stringeva, chi con più sobrietà come Atmos e Marigold, che si accontentavano di tenersi per mano, o chi ne approfittava spregiudicatamente, rubando baci caldi sotto i fuochi d’artificio come Namyuul e Karien, certi che le gemelline fossero al sicuro nel torturare il nonno.
E lui?
Lui se ne stava fermo immobile, le mani penzoloni sulle ginocchia abbandonate tra la sabbia e con accanto l’uomo della sua vita che si accontentava, si accontentava dannazione!, di posare il capo sulla sua spalla.
Anche lui voleva stringere Izou a sé, anche lui voleva baciarlo senza ritegno, anche lui desiderava stringere tra le dita la sua mano invece che inutile sabbia.
Da quanto non lo baciava, non lo sfiorava con un dito, non giocava con i suoi capelli?
E perché diamine non lo faceva poi?
Perché non aveva ancora trovato il coraggio di dire a tutti che Izou non era solo un amico, ma anche la persona con cui voleva dividere la propria vita per sempre?
Non era la paura di un rifiuto del padre, o l’allontanamento da parte della famiglia…
Era un problema solo suo, con sé stesso e con la paura di affrettare troppo le cose, paura di essere un completo disastro con la persona che amava di più.
Gli sarebbe servito un segno, un unico singolo segno di incoraggiamento che tutto, davvero tutto, andava bene!
Ma dove poteva trovarlo? Nel blu della notte forse?
Gli occhi gli caddero sulla figura imponente del padre, le braccia colme di nipoti, alcun turbamento a scuoterlo e il capo spostato dal cielo alla spiaggia.
Sentì la schiena rizzarsi da sola allo scoppio dell’ennesimo petardo, sgranando gli occhi confuso.
Suo padre lo aveva guardato con un ghigno e facendogli l’occhiolino o si era sbagliato?
Lo scintillio del fuoco d’artificio l’aveva investito prendendolo di sorpresa, accecandolo in quella breve frazione di secondo in cui suo padre… gli aveva sorriso mentre Izou era addossato a lui?
Gli aveva davvero rivolto un segno d’intesa, di approvazione quasi maliziosa, mentre il suo amico Izou se ne stava con capo abbandonato contro di lui?
Abbassò il capo al moro stretto al suo fianco.
La carnagione chiara inscurita dal blu della notte, i capelli neri e setosi cupi come tenebra e un sorriso, solare e luminoso, sulle labbra.
Soffiò dal naso Marco, una nuova fontana di luce nel cielo ad illuminare la notte e spazzare via tutti i suoi dubbi.
Le labbra carnose e spesso indecifrabili del biondo si posarono in un bacio tra le trecce con decisione, inalando avido il profumo del moro.
Incespicò a causa del buio notturno, ma riuscì a tentoni a trovare una mano del compagno e, infischiandosene del blu del cielo che veniva e scompariva con i lampi artificiali, afferrò saldo la presa sul palmo del moro.
-Marco?- lo chiamò sorpreso quello ma non ricevette risposta, solo un braccio attorno alla vita a premerlo contro un busto caldo e accogliente e la stretta, forte e sicura, di Marco sulla sua mano.
Sgranò gli occhi e gli puntò contro quelli azzurri del compagno, rivolgendo un’infinità di domande che si persero nel buio.
Izou non seppe mai quale fu il numero di chiusura dello spettacolo pirotecnico sulla spiaggia.
Non seppe mai il colore dell’ultima fontana di luce né perché le gemelline gridacchiarono entusiaste per chissà quale figura nata nel cielo.
Quella sera Izou non vide nulla che non fosse Marco, il suo sguardo, la sua voce muta e tutte le parole che non si erano mai detti, immersi nel blu della notte.

 

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Capitolo 6
*** Indaco ***


                              




 
Ti sveglierai sull'indaco del mattino |
quando la luce ha un piede in terra e l'altro in mar,
Fabrizio De André
 



“… le mani scivolarono sulle curve dei fianchi, stringendoli spasmodici mentre le spinte si susseguivano maniacali.
Ansimi, gemiti, morsi di voci echeggiavano nel piccolo ambulatorio, mentre le spinte del dottor Death non davano tregua al corpo della  piccola Khoalea, che sussultava a ogni affondo del medico, graffiando il dorso di lui e avvinghiandosi al suo nudo corp…”
-Dio quanto vi odio!- sbuffò Izou, ticchettando rapido sul pc, annotandosi maledizioni e ingiurie contro il manoscritto che stava correggendo e il suo autore.
Non era possibile che fosse costretto a leggere certe cose!
Lui, che non poteva avvicinarsi alle sode chiappe di Marco da ben più di dieci giorni, doveva leggere di due meravigliosi personaggi che copulavano nel piccolo magazzino medico dell’ospedale, e si certo, forse dopo quattro libri era anche ora, ma diamine lui era in astinenza e doveva già sopportare l’allupato Satch, ora anche loro due?!
Per fortuna che lo pagavano!
Sospirando si addossò allo schienale della sedia, una mano a massaggiarsi gli occhi appesantiti dallo sforzo di lavorare al buio per non disturbare il sonno altrui, l’altra penzoloni tra le gambe.
L’alba era ormai prossima, avvertendolo che stava sul manoscritto ormai da tre ore e che poteva concedersi una pausa.
Ma Izou non era di quell’idea.
Voleva lavorare il più possibile prima che la famiglia Newgate si svegliasse, godendo appieno della loro presenza nei giorni che rimanevano prima della fine di quella improvvisata vacanza che aveva amato.
Si era svegliato nel cuore della notte, lasciando Marco nelle braccia del fidato Morfeo con una punta di gelosia, zampettando fino alla cucina dove, al romantico chiarore del pc, aveva iniziato a ticchettare svelto. Il tempo era volta, e ora le prima sfumature violacee del cielo lo avvertivano che l’alba stava per salutarlo con le sue nuance di arancioni misti al viola e a quel colore indefinito che tutti chiamavano indaco, ma che lui aveva imparato ad associare agli occhi indecifrabili del suo compagno.
Con gli occhi chiusi ghignò, facendosi cullare dalle onde del mare chiare e calme, che gli giungevano senza intoppi nella improvvisa quiete di casa Newgate.
Era raro sentirla così tranquilla e priva di schiamazzi di nipoti, zii e nonni esaltati.
Respirò piano, abbandonando i muscoli del corpo sulla sedia e godendosi il chiarore mattutino che accompagnava la notte a dileguarsi, lo sciabordare del mare sulla spiaggia vicina, l’assenza di cinguettii ancora dormienti e qual silenzio caldo, anomalo che lo circondava, abbracciandolo e spezzato a volte dalla ventola del pc in raffreddamento.
Stava bene, abbandonò il capo all’indietro retto dalle spalle, stava davvero bene, anche se gli mancava…
-Ehi-
Voltò il capo di scatto al richiamo, sorridendo intenerito dalla figura che si avvicinava a lui dalle scale con solo i boxer indosso.
Eccolo, eccolo il suo tassello mancante di felicità.
-Ehi- salutò di rimando in un sussurro, non osando muovere un dito per paura di infrangere la calma dell’alba –Che fai? Sono solo le…- gettò un’occhiata all’orologio appeso in cucina -… quatto e sette minuti-
-Ti cerco- si avvicinò Marco, posando una mano sulla sua gola tesa quando lo raggiunse –Perché non eri a letto?-
-Lavoro- borbottò piano Izou, godendo del calore del palmo del biondo sulla sua gola e posando il capo scompigliato contro il suo avambraccio.
La mano di Marco scivolò sulla pelle candida lievemente abbronzata dal sole estivo, strappandogli una fusa quando fermò le dita ad abbracciargli il collo ma mantenendo il pollice alzato, ad accarezzarlo sul profilo della mascella.
-Hai molto da fare?- abbassò la voce, tanto che Izou credette di aver immaginato la sua voce tra le onde.
-Poco- sussurrò ad occhi chiusi, la crocchia spettinata contro il fianco caldo di Marco e una mano a trattenere il suo braccio su di lui.
Si lasciò cullare dalle piccole carezze del biondo, premendo la treccia, opera delle gemelline Kill che gli giungeva su una tempia, contro il suo fianco, osando appena reclinare all’indietro il capo e socchiudere gli occhi nel perdersi nel sorriso caldo e mal accennato di Marco.
Era bello Marco.
Con le labbra morbide a sorridergli, la pelle calda del petto a cui gli permetteva di posarsi, le ciocche bionde spettinate e i suoi occhi di un liquoroso color indaco.
Oh amava quello sguardo!
Né azzurro né viola, né freddo né caldo.
Denso come le nuvole dell’alba, del colore della calma e del mare quando si fonde col cielo.
-… ti amo…- sospirò in un soffio, non rendendosi conto di aver alzato la mano per accarezzare la guancia ispida di barba di Marco.
Quello sorrise, instancabile nel disegnare il profilo del viso del moro, e senza opporre reticenza si abbassò su di lui unendo le loro labbra.
Un breve gemito sfuggì a Izou, che spalancò gli occhi staccandosi riluttante ma deciso.
-Marco!- lo riprese sottovoce e severo, guardandosi attorno in cerca di spettatori indesiderati –I tuoi…-
-Shhh!- gli accarezzò le labbra zittendolo, non volendo smettere di sorridere.
Tornò a baciarlo, labbra contro labbra, la mano a reggergli il capo sulla gola mentre sfregava il naso contro il suo mento in quella buffa posa al contrario, alla “Spiderman” era certo l’avrebbe chiamata Izou, se non avesse avuto la bocca occupata a ricambiarlo e le mani strette alla sua nuca, nel chiaro segno di non voler lasciarlo andare.
Sorrise, intensificando il bacio e ignorando le luci violette dell’alba che scivolavano nella cucina, spezzandosi contro le loro figure unite.
La sua mano scese sulla maglia del moro, infilandosi sotto di essa a graffiare la pelle diafana che nascondeva, mordendo piano il labbro di Izou quando lo sentì ridacchiare per le sue carezze.
Al moro sembrava di impazzire.
Erano passati giorno dal loro bacio nella pineta, e quello, così lungo e passionale, era il primo che si concedevano da troppi gironi e di cui sentiva l’urgente necessità.
Percepire la bocca del biondo sulla sua, le sue mani a stringerlo, il respiro rotto e accelerato, la voglia che pizzicava il palato e la porta del frigo che si apriva in un cigol… eh?
Aprì un occhio di scatto, la testardaggine gli aveva concesso solo quello: di separarsi dalla bocca di Marco non se ne parlava.
Ma bastò un solo bulbo oculare vigile e attento per notare la figura in tuta e ricolma di dorati dreadlocks di Rakuyou.
-Ehi- lo vide emergere dal frigo, armato di bottiglietta d’acqua –Buongiorno!-
Fu un attimo.
Izou che urlava, la sua sedia che cadeva all’indietro, il suo corpo che gesticolava parole senza senso nella cucina e Marco, oh caro Marco, che alzava una mano a salutare suo fratello.
-Oh ma continuate pure- agitò la mano verso di loro Rakuyou, avviandosi verso la porta, i baffi lisciati dalla mano libera –Tolgo il disturbo: la mia corsa mattutina mi aspetta!-
Marco sollevò nuovamente la mano salutandolo, piegando lo sguardo poi al compagno ancora disteso a terra.
-Tutto ok?-
-Non so- si trattenne dal strillare troppo Izou, le mani premute sul viso scarlatto e l’alba ormai alta sopra l’orizzonte –Era tuo fratello quello che ci ha visto limonare come due dodicenni?-
-Izou…-
-Non devi rispondermi!- sbottò non accennando a volersi alzare –Lasciami morire qui di vergogna Marco-
La bocca di Marco sbuffò, ma i suoi occhi color indaco sorrisero. Se solo Izou avesse saputo…

 

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Capitolo 7
*** Viola ***


Io credo che Dio si incazza se tu,
di fronte al colore viola di un campo di fiori,
neanche te ne accorgi.
(Il colore viola)





La famiglia Newgate aveva numerose tradizioni che richiedevano la totale e completa presenza di ogni singolo membro della famiglia.
La settimana di vacanze settembrina che lo stesso Izo stava vivendo né faceva parte, come anche i dodici giorni di festa pre e post Natale, i tre giorni di compleanno per la defunta signora Newgate ma soprattutto…
-La finale di coppa di Basket!-
L’urlo esplose nel salotto della villetta estiva, mentre il vociare infernale dei fratelli Newgate intonava cori più o meno corali e intonati per inneggiare la loro squadra del cuore, intenta nell’affrontare la partita finale della stagione.
-I Mody Dick sono sotto di soli dieci punti, e il terzo e quarto tempo sono tutti da giocare!- saltò a piè pari dal divano Satch, facendo sobbalzare Halta che scosse il capo sorridendo.
-C’è tutto il tempo per farli neri!- si aggiunse Rakuyou, pugni ben stretti e occhi infuocati incrociati con quelli del fratello.
-Un passaggio ben piazzato, un terzo tempo e…-
-I Foderi Rossi non si lasceranno sconfiggere così banalmente- ghignò Izo, accavallando le gambe e portandosi alle labbra qualche patatina delle poche rimaste.
-Hanno tenuto testa agli attacchi avversari finora e, a un passo dalla fine, non si faranno scappare nessun tiro da tre punti!-
Gli occhi dei fratelli Newgate si assotigliarono velenosi contro l’unico tifoso degli avversari serali della loro squadra del cuore, lì presente per annegare i loro sogni proibiti.
-L’avevo detto che non era un bel tipo- borbottò Satch, frapponendo tra lui e Izo la dolce Halta, che alzò appena gli occhi dal libro in cui si era immersa, del tutto disinteressata alla partita.
-Sembrava una personcina così a modo ed educata- bisbigliò all’orecchio di Jozu, mal nascosto da una mano Namur, mentre il fratello dal sorriso smagliante come diamanti, annuiva solenne.
-Marco!- sbottò per fino Rakuyou, regalando un pugno contro la spalla di Marco, concentrato a studiare l’azione sportiva nel replay della pausa tra i tempi di gioco.
-Ci hai portato in casa il nemico!-
-Come hai potuto?!?- incalzò Vista, sussurrando poi al fratello coi rasta -Che dovremmo farci ora con lui?!?-
-Qualche idea l’avrei di cosa farci con il nemico: sotto di me, a novanta…- borbottò roco e con mani incrociate davanti al volto, immerso nello studio.
-Cosa?!- strabuzzò gli occhi Vista, sporgendosi appena verso il fratello.
-Cosa?- sollevò un sopracciglio il biondo, tornando alla realtà.
Vista boccheggiò, gli occhi lucidi e il volto lievemente troppo rosso, mentre Halta ridacchiava divertita e Satch tentava inutilmente di tapparle le orecchie.
-Ho detto qualcosa?- interrogò i fratelli, prima di voltarsi verso Izo, nella sua maglia numero 9 dei Foderi Rossi, colorata di viola per la partita in esterna.
-Io…- deglutì il moro -... io credo che andrò ad aiutare il signor Edward con i pop corn-
Scivolò veloce dal divano, superando con un agile salto i fratelli di Marco seduti e attoniti a fissarlo sul pavimento, svicolando al primo accenno di interrogatorio da parte loro al biondo consanguineo.
Era certo che, al fischio di ripresa della partita, si sarebbero già belli che dimenticati della battuta sfuggita dalle labbra di Marco, preso alla sprovvista mentre studiava le azioni del replay, ma al momento erano tutti fin troppi interessati a quel sbuffo rubato a neuroni distratti.
Scosse il capo, aggiungendo l’episodio agli innumerevoli che si susseguivano nelle ultime giornate della vacanza alla dimora estiva della famiglia di Marco.
La mattina stessa il biondo gli aveva rubato un bacio sulla porta del bagno, appena una frazione di secondo prima che uno dei suoi fratelli si affacciasse dalla propria stanza, recidivo del bacio rubatogli davanti agli occhi di Rakuyou poche albe prima, fratello che al momento non ne aveva ancora fatto parola con nessuno dei due incriminati.
La sera precedente gli aveva regalato una manata al sedere, e al pranzo del giorno prima ancora gli aveva accarezzato l’interno gamba per tutta la durata del pasto.
Erano gesti che Izo apprezzava, agognava da settimane, ma che ora non riusciva a capire perfettamente: non era stato Marco a presentarlo come un semplice amico? Non era stato lui a chiedergli di mantenere un basso profilo e di “chiudere per ferie” la loro relazione?
E ora lo rincorreva con baci, carezze, tocchi che non potevano rientrare in una semplice amicizia, e che strizzavano l'occhio alla chiusura forzata di un rapporto amoroso.
Non riusciva a capire cosa fosse successo, cosa passasse per la testa al suo ragazzo e come…
-Cercavi qualcosa Izo?-
… fosse finito in cucina davanti al signor Edward e al microonde ticchettante in attesa del tipico scoppiettio dei pop corn pronti da gustare.
-Eh ah, mr Newgate io…
-Edward- lo corresse bonario, bandana della squadra del cuore sul capo pelato e baffoni candidi lisciati con due dita.
-Si, ecco, Edward, ero… ero…- era lì perchè?
Ah, si, per scappare dalle domande ormai imminenti dei fratelli Newgate sulla sua relazione con Marco!
-.. per aiutarla con i pop corn- si addossò con i gomiti alla penisola che lo divideva dal capo famiglia, l’apparecchio domestico ricolmo di chicchi di mais pronti allo scoppio tra loro.
Edward sorrise sornione, quasi sapesse del reale motivo che aveva portato Izo in cucina.
-Ti ringrazio- si avvicinò -Ma per quanto vecchio sia, riesco ancora a tenere sotto controllo questo monellaccio di un microonde-
-Oh!- sgranò gli occhi il moro -Non volevo insinuare che-
-Lo so, lo so ragazzo: scherzavo- rise roco.
Izo abbozzò un sorriso, giocherellando a punta di dita con la sua maglia viola, occhiando il recipiente che a breve avrebbe accolto i pop corn pronti anch’esso di un plasticoso color vinaccia.
Era faccia a faccia con il suo suocero e non sapeva che dire o fare.
Non sapeva nemmeno se mai avrebbe potuto considerarlo suocero, o se l’uomo avesse mai voluto considerare lui un degno genero.
-Quindi, uhm, sale o burro?- improvvisò un dialogo impacciato.
-Perché non entrambi?-
-Insieme?!- si scandalizzò all’idea dell’impasto.
-O divisi- rise il patriarca Newgate, non staccando gli occhi dal moro -E voi: insieme o divisi?-
Izo arcuò un sopracciglio, non certo delle parole sentite sopra la ticchettio del microonde.
-Noi?-
-Voi si-
-Noi- ripetè, schioccando la lingua sul palato -Noi… chi?-
-Voi… voi- posò il mento su una mano Edward, il corpo abbandonato sulla penisola e un occhiolino rivolto al moro che fremette da capo a piedi.
Non aveva idea di che conversazione stesse sostenendo, e non era certo di volerne comprendere appieno il significato.
-Signor Ed… Edward, non capisco a cosa si stia riferendo-
-Mi sembra lampante- smosse i baffoni candidi con un accenno di sorriso, allungando una mano a disegnare il bordo della terrina viola ancora vuota.
-Parlo di te e di mio figlio. Marco. Quello biondo, sguardo apatico, labbra carnose… ci dividi la camera e il letto da qualche settimana. Qui- si bloccò e studiò con peculiare attenzione Izo -Spero di più nella vita quotidiana, nel tuo o suo appartamento, e con anche maggior intimità dato che da quando siete qui non vi ho mai sentito fare l’amore né baciar… Izo ti vedo cianotico-
Un lieve rantolo lasciò le labbra del moro al richiamo.
Non un vero respiro ma una fuga inaspettata della sua stessa anima, che assaliva ai cieli scivolano dalle sue labbra e dal suo corpo violaceo di imbarazzo, misto ad uno shaker non scomponibile di emozioni.
Cosa avevano appena udito le sue orecchie?!?
-Vuoi un bicchier d’acqua?- lo interpellò Edward sporgendosi verso di lui, e venendo agguantato dalle mani tremanti di Izo.
-Lei, lei signor Newgate lei…-
-Edward- sbuffò inutilmente cercando di correggerlo.
-Lei sa di me e di Marco?!?-
-Come potrei non saperlo?- rise smuovendo i baffi a un centimetro dal volto di Izo, violaceo e privo di respiro.
Com’era possibile?!?
Era certo di essere stato accorto e aver limitato i contatti con Marco.
Non si erano scambiati baci o effusioni, e quei pochi che vi erano stati, erano stati  dati con la massima certezza che nessuno li avrebbe mai visti. Certo, Marco era diventato un pò avventato negli ultimi giorni, ma non credeva che Edward li avesse visti.
Nè che qualche fratello di Marco avesse spettegolato su di loro con il padre: come Rakuyou, anche i restanti fratelli sembravano leali e rispettosi della rispettiva privacy.
Com’era possibile quindi?
Deglutì, spaventato all’idea che l’unica richiesta espressa da Marco per quella vacanza, non fosse stata rispettata, e che la serenità del biondo nel vivere la loro relazione dipendesse da lui e dall’ignorare l’esistenza di tale relazione da parte del padre.
Doveva fare qualcosa.
Doveva dire qualcosa.
-Io… io posso spiegarle ogni cosa!- ridacchiò nervoso -Erano… erano tutti gesti fraintendibili certo, ma le posso… le posso assicurare che tra me e Marco non c’è nulla, nulla che non sia amicizia ecco!- lasciò la presa sul suocero solo per agitare la mani frettolosamente -E qualsiasi cosa lei abbia visto, o sentito dire le posso assicurare che non è assolutamente ciò a cui sta pensando, e che in alcun modo Marco ed io siamo legati da un qua certo tipo di affetto amoroso che ci porteberre a baciarci in pinete lungo il mare, o stringerci in notti di fuochi d’artificio o ancora scambiarci baci all’alba mentre tutti dormono o che-
-Credi che non lo veda?- lo interruppe brusco, aripionandolo per la canotta viola.
-Dimmi Izo- lo interrogò, ignorando i tremori del moro -Credi che non veda come Marco ti cerchi o ti tratti?-
Izo deglutì, mantenendo lo sguardo sul patriarca Newgate, che ricambiava con dura fermezza.
-La buona anima della mia consorte si incazzerebbe se io, dinanzi a Marco e il suo amore per te, lo ignorassi!- allentò la presa sull’indumento del moro -Ed è per questo che mi fa male vederlo nascondersi con te per una semplice carezza, o un gesto d’affetto, o non sentirvi fare all’amore di notte o dei semplici prelim-
-Ho capito!- lo bloccò brusco Izo, alzando le mani e zittendo il trillare del microonde.
Sentiva il volto avvampare di un imbarazzo violaceo e pungente, che gli colorava il viso fino alla punta delle orecchie, chiazzandolo di viola imbarazzo anche nell’animo.
Si massaggiò gli occhi con i palmi, cercando di recuperare un minimo di compostezza nel scoprire che il patriarca della famiglia Newgate sapeva della relazione amorosa che condivideva con Marco.
Cosa che doveva invece ignorare.
E che l’ignorare tale relazione non era mai avvenuta come azione, anzi!
Tutti i loro sotterfugi erano stati inutili, maldestri e inutili.
Sembrava che lo sapesse a sempre, e si era indignato pure nel non vederli amoreggiare o sentirli di notte nel… gli stava venendo un la di testa atroce!
-E-Edward, lei...-
-Voglio che Marco sia felice- lo interruppe nuovamente, accarezzandogli il volto con paterno affetto -Non lo vuoi anche tu?-
Izo annuì, rilassandosi al tocco dell’uomo.
Certo che lo voleva, aveva rinunciato a tutta la loro relazione per lui, per esprimere il suo desiderio di nascondere il loro legame alla famiglia, senza pretendere una spiegazione né fare domande.
Solo per rendere felice Marco.
-Si- annuì -Io voglio che Marco sia felice. Ma non voglio nemmeno mettergli fretta nel dire a tutti di noi-
-Ma io non sono tutti!- picchiò un pugno sul ripiano offeso -Sono il padre ed esigo delle effusione amorevoli tra te e-
-Yoi-
-Marco!-
Izo sussultò e ruotò appena il capo verso la porta della cucina, da cui il biondo osservava il padre e il suo ragazzo discutere, mentre il primo manteneva le manone sul volto del secondo.
-Il timer del microonde ha suonato da un pò e non arrivavate- si avvicinò cauto, percependo una qualche anomalia -Vi serve una mano coi pop corn?-
Gli occhi a mandorla di Izo saettarono da padre a figlio, analizzando l’espressione di Edward con estrema e violacea paura.
-No, coi pop corn no- mollò la presa su di lui -Ma esigo che tu faccia una cosa Marco-
Il biondo si accostò all’isola, mantenendo gli occhi su quelli del padre, in totale ascolto.
-Dimmi pure-
Izo deglutì impaurito, e quando l'uomo aprì bocca percepì prima una scossa elettrica su tutto il corpo che le parole pronunciate.
-Ti do dieci secondi per prendere Izo e marciare sulle scale, infilarvi nella vostra stanza e fare per una benedetta volta l'amore- impiantò l'indice con forza sul ripiano, davanti gli occhi sgranati di Marco.
-Papaà cosa…-
-E se non lo fai, vado a prendere l’album di famiglia della tua adolescenza, quello dove hai l’apparecchio e lo mostro a Izo!- minacciò serio -Hai capito?-
Marco aprì e chiuse gli occhi ripetutamente, incapace di capire.
-Tu… tu sai di me e di Iz…-
-Dieci!- tuonò Edward -Nove… otto…-
La mano di Marco scattò su polso del moro, strattonandolo e correndo verso le scale.
-Marco!- strillò il ragazzo, mentre decisi passi sbattevano sugli scalini della scala interna, non fermandosi alle proteste del moro.
-Marco aspett… no! Piantala con quelle mani sotto la mia mag… Dio del cielo, Marco sei nudo nel corridoio, aspetta almeno di essere in stan… MARCO! NON STRUSCIARTI SU DI ME CONTRO LA PARETE!-
Edward sorrise.
Un braccio sull’isola della cucina, la mano a reggere il capo, il cuore più leggero.
Sentì la porta di una camera sbattere, e fusa soffocate echeggiare mentre gli schiamazzi dei suoi figli davanti alla tv le zittivano.
Aprì con pigrizia lo sportello del microonde, svuotandone il contenuto nella pirofila violacea che attendeva i pop corn.
-Ah cara mia- si rivolse con un sospiro alla moglie defunta, infilandosi un fiocco candido in bocca -Come se non mi fossi accorto di come Marco mangiava il sedere di Izo con gli occhi- tornò in salotto con la pirofila viola in mano.



   

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Capitolo 8
*** Fucsia ***


Il colore fucsia m'ha sempre fatto schifo,
ma pronunciato da lei mi pareva
l'unico colore del mondo.
(I Laureati)




-Sopra-
-Sotto-
-Sposta di lato-
-Passami quella di destra-
-Sopra-
-Sotto-
-Manca ancora molto?-
-Shhh… di lato, sotto-
-No!Sopra Killiuna!-
-E ora sotto Killquattro Bis-
Izo rise ad occhi chiusi, sdraiato sulla spiaggia, mentre le veloci e divertite mani delle cinque gemelle di Namyuul intrecciavano i suoi capelli in una complessa treccia a lui ignota.
Aprì cauto un occhio, venendo abbagliato prima ancora che dal sole, dalle sfavillanti e psichedeliche magliette leggere delle sorelle.
Tutte e cinque di una chiassosa e sfavillante sfumatura di fucsia.
Un colore altamente discutibile per lui, ma che alle gemelline sembrava piacere.
-Ehi!- lo accecò con un palmo Killidue -Non sbirciare!-
-Ops, chiedo venia- rise, tornando a chiudere la palpebra e ad ascoltare le ditine delle bambine tra i suoi capelli.
Era curioso di ciò che avrebbero realizzato, tutte e cinque assieme, e vagamente preoccupato per eventuali nodi, ma a cui avrebbe pensato in seguito.
Steso sulla sabbia della spiaggia, all’ombra dell’ombrellone dei Newgate, si godeva gli ultimi giorni di vacanza che gli erano stati regalati dalla famiglia di Marco.
Dalla loro famiglia, si corresse subito.
Dal coming out di Marco, avvenuto più che a parole con gemiti e mugugni indefiniti di un’intera notte, non erano sorte alcun tipo di reazioni sconcertate o scioccate.
Nessun fratello di Marco aveva sollevato domande o perplessità, quasi che fosse ovvio, scontato!, che fossero una coppia.
Solo Satch aveva mugugnato contrariato del rumore molesto della notte, ma Halta l’aveva zittito con un bacio, regalando poi una carezza a Izo e una a Marco.
Marco ne era rimasto stupido per un millesimo di secondo, rilassando poi le spalle e dandosi dello sciocco per le paure provate tanto a lungo, accettando senza proteste gli abbracci e le scapigliate a mano piena dei fratelli maggiori.
Il resto della giornata, e di quelle a seguire, erano state composte da pranzi, chiacchierate, rincorse sulla spiaggia, baci soffusi non più nascosti, mani intrecciate e sorrisi che Izo credeva di aver dimenticato di saper fare.
La vacanza era iniziata a qualche giorno dalla sua fine, regalando ad entrambi relax e quella quiete che tanto cercavano.
-Cosa state facendo?- si presentò un’ombra sopra Izo, occhi chiusi su ordine delle gemelline e abbronzatura ora negata.
-Facciamo una super treccia a zio Izo, zio Marco- squitti eccitata Killiuno, battendo le mani velocemente.
-Una super treccia?-
-Super treccia!- confermarono le sorelle in un coro fucsia e ridacchiante.
Izo fu certo di percepire, assieme alla carezza sulla sua spalla a fior di dita di Marco, anche il suo sorriso divertito, mentre si sedeva accanto a lui.
-Sembra impegnativo- dichiarò cercando e trovando la mano di Izo tra la sabbia -Credo quindi non vi si possa disturbare per la merenda-
-Merenda?- trillò Killiquattro -Ma certo che devi!-
-Ci serve la merenda per finire quest’opera!-
-Andiamo Killiquattro bis!-
-Arrivo… zio Izo non sbirciare!!!-
Piedini e magliette fucsia scattarono in un turbinio di rosa sgargiante, alzando un polverone di sabbia mentre Izo occhiava la fuga delle cinque bambine verso il nonno, che le afferrò a pochi metri da loro a braccia piene, sollevandole quasi non avessero peso, danzando goffamente verso la madre delle bambine che armeggiava tra succhi e panini imbottiti.
Izo.
-Sei il mio salvatore- ridacchiò permettendosi di osservare le bambine, contravvenendo al loro ordine di non sbirciare l’accipigliatura che stavano creando, ruotando il capo verso Marco, intento a giocherellare con una sua ciocca scusa.
-Veramente ero curioso della super treccia- sorrise con voce piatta, posando il capo sulla mano libera dal vezzeggiare il compagno.
-Oh, e sta venendo bene?- gli prese la mano carezzevole, portandosela alle labbra.
Kami, quanto gli era mancato poterlo baciare senza preoccupazione di venir scoperti.
-Non sono un esperto, ma sembra una treccia… se sia super non nè ho idea- si sistemò meglio sulla sabbia, invitando il moro a posare il capo sulle sue gambe intrecciate.
Izo sorrise e si avvicinò esperto, non accontentandosi delle gambe del compagno, ma prendendosi tutto il fianco del biondo, posando il capo sulla sua spalla e intrecciando la mano nella sua, accarezzandone il braccio per tutta la lunghezza.
Una semplice carezza, mani unite e il capo rilassato contro quello di Marco: perchè aveva dovuto rinunciarci così a lungo? Perchè ora quei semplici e innocenti gesti sapevano di un gusto tutto nuovo e prezioso?
Perchè la vacanza doveva finire, confinando le loro mani intrecciate a uscite sporadiche della settimana, e i loro sguardi chiusi dietro videochiamate sfuggenti impedendo alle loro pelli di sfiorarsi?
Izo sospirò, annaspando tra i suoi pensieri di già nostalgici dei loro tocchi e di già tornati alla routine lavorativa di sempre, ma ben deciso a ignorarli per quegl’ultimi giorni di beata illusione e vacanza.
O almeno sperava.
-Cosa ti turba?- lo baciò sulla fronte Marco, guardandolo con sguardo rilassato da dietro le lenti degli occhiali da vista.
-Nulla- negò stringendo la mano di Marco, che sciolse la presa delle dita solo per sostituirle con quelle della gemella, portando il braccio a stringere il moro al suo fianco.
-Cosa ti turba?- chiese nuovamente, sussurrando all'orecchio di Izo e posando, casto, un bacio dietro al lobo.
Che mi mancherà tutto questo, le tue carezze, il suo respiro sulla pelle, la tua voce. Mi mancherà quando torneremo alle nostre frenetiche vite dove il lavoro ci dividerà, permettendoci di viverci solo nei week end che durano sempre troppo poco.
-Il colore delle maglie delle bambine- parlò veloce, più dei suoi pensieri, più della voglia di dirgli di quanto già gli mancasse, posando gli occhi sulle gemelline intente a rifocillarsi con la merenda.
Marco sollevò gli occhi a studiare le nipoti, fremendo in un lungo brivido che scosse anche Izo.
-Non ti piace… il fucsia?- deglutì secco.
Izo per un secondo fu sul punto di dirgli la verità, ma il volto sconvolto del compagno lo fece divertire, incitandolo a continuare la sua bugia.
-È osceno ammettilo- lo canzonò -Non è rosa, non è rosso: è fucsia- rise al secondo brivido di Marco.
-E pensa che ne esistono ben sette tonalità: dal magenta chiaro al ciliegia hollywood. Oh e guai a te se oserai mai chiamare Halta fucsia queen*: non potrei accettarlo- ridacchiò impressionato dall’aumento di sudorazione di Marco.
Iniziava a pensare che il suo lato gay stesse ripudiando corporalmente l’idea che il suo compagno non apprezzasse il colore fucsia, così ben voluto nella moda e spesso associato al loro genere sessuale.
-Tu- si schiarì la gola Marco -Tu non gradisci il colore fucsia-
-Decisamente no- era sul limite della risata -È un problema forse?-
Sarebbe stata la prima scenata gay di Marco, in pieno pomeriggio, davanti alla sua famiglia e nella spiaggia pubblica. E per un colore discutibile.
Izo non vedeva l’ora scoppiasse.
Ma non fu l’esplosione ormonale di Marco a zittirlo, né le sue urla sul valore del colore a metà tra rosa e viola, nè tantomeno la sua indignazione da drama queen.
Fu una chiave.
Piccola, dai dentelli sagomati di fresco, che brillava nel palmo aperto di Marco, estratta nuova di zecca da un ferramente prima che dalla tasca del biondo.
Una chiave, non di un’auto, né di un lucchetto, ma della misura esatta della serratura esatta di un’abitazione.
Una chiave di color fucsia.
-Io volevo dartela in un contesto più intimo e privato- parlò atono Marco -Volevo dirti che l’idea di tornare a vederci tra un lavoro e l’altro, solo nei fine settimana o per tempi limitati di un appuntamento mi fa male. Volevo dartela per chiederti di venir a vivere con me- chiuse la mano e la strinse con forza attorno alla chiave -Ma non voglio che sia del colore che non ti piac… Izo!-
Le unghie del moro si erano conficcate nella mano di Marco, forzandola ad aprirsi e rubando, dal palmo sudaticcio e agitato, la piccola chiave fucsia che andò ad accarezzare con dita tremule ed emozionate.
La osservò in ogni sua sfaccettatura, dalla più scintillante e fucsia alla più metallica e secca.
La sua chiave fucsia.
-Odio il fucsia- ammise Izo, sollevando il capo a mostrare un sorriso dolce e prossimo al pianto -Ma se è il colore della chiave di casa nostra… allora è il colore più bello del mondo-
Non seppe dire se furono le labbra di Marco ad andargli incontro, o se fu lui a baciarlo per primo.
Izo non non seppe dirlo.
Ma era certo che la bocca di Marco sulla sua, con le sue mani tra i capelli intrecciati, i fratelli e il padre di Marco a guardarli senza che vi trovassero nulla di male se si scambiavano un bacio, e la piccola chiave color fucsia tra le dita strette a pugno sul cuore del biondo, fossero le cose più importanti che avrebbe mai ricordato di casa Newgate in quella vacanza di fine settembre.
Non erano più chiusi per ferie.





*Fucsia Queen, nello slang gay, indica una donna bella ed attraente


 

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