Doppelgänger

di Cauchemar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo I ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** capitolo I ***


PARTE I

 

Ianto Jones si svegliò di soprassalto, soffocando un grido.

L'oscurità lo accolse, lasciandolo per un istante smarrito e boccheggiante, impietrito dal terrore, che gli impediva ogni gesto, ogni suono. C'era qualcosa, nel buio, qualcosa che non avrebbe dovuto essere, frammenti di un sogno strano e terribile rimasti impigliati tra le sue ciglia, come ragnatele.

Poi l'interruttore della lampada posta sul comodino scattò, e una calda luce ambrata si diffuse, dissolvendo, almeno in parte, le ombre.

"Va tutto bene, Ianto?"

La voce premurosa di Jack fece al silenzio ciò che la luce aveva fatto al buio, e la sua mano sulla pelle, il suo braccio intorno alle spalle, sciolse la tensione, scacciò la paralizzante sensazione di impotenza.

"Un incubo... un incubo terribile..." mormorò Ianto, socchiudendo gli occhi, infinitamente confortato da quell'abbraccio, dal profumo di lui che lo avvolgeva, penetrante, persistente, dannatamente eccitante...

"Me ne vuoi parlare, Ianto?" sussurrò Jack tra i suoi capelli, facendolo aderire maggiormente a .

Ianto fece un cenno di diniego col capo, con la convinzione di un bambino che crede di poter rendere inoffensivi i mostri notturni semplicemente negandone l'esistenza.

"No... magari domani... adesso non voglio più pensarci..." mormorò, appoggiandosi a Jack, lasciandosi cullare dalle sue braccia, con un sospiro.

Jack non rispose. Ianto chiuse gli occhi.

Ma subito li riaprì.

Perchè c'era qualcosa che non andava, una sensazione sgradevole, un'inquietudine che di nuovo lo attanagliava, rubandogli il respiro.

Forse aveva a che fare con l'incubo, forse con la stanza ancora troppo buia, come se la luce della lampada faticasse a rimanere accesa, affievolendosi sempre di più.

Forse aveva a che fare con lo strano odore che andava sovrapponendosi al profumo di Jack, un odore dolciastro, vagamente nauseante, che faceva pensare a fiori schiacciati, marciscenti, al decadimento, alla putrefazione...

"Che cos'è quest'odore?" chiese a Jack, cercando di alzare il volto per guardarlo.

Ma il braccio di Jack lo stringeva troppo forte, impedendogli ogni movimento, e le dita della mano posata sulla sua spalla premevano con forza inusuale, penetrando nella carne, facendogli male. Ianto cercò di nuovo di muoversi, sempre più soffocato dall'odore, vagamente consapevole che il tocco di quelle dita, solitamente caldo e vellutato, gli trasmetteva una sensazione ostile, viscida, disgustosa.

"Jack?..." mormorò, cercando il volto dell'altro, appena distinguibile nell'oscurità sempre più fitta, la luce della lampada inghiottita, soffocata.

E infine lo vide, vide gli occhi stranamente luminosi che lo fissavano, obliqui, allungati, e vide il ghigno terrificante, che deformava i lineamenti, che li snaturava. E i denti, Dio del cielo, quei denti lunghi e affilati come lame, che sfuggivano dalle labbra, incapaci di contenerli, che si aprivano e si chiudevano con un suono quasi metallico, terribile...

La realtà s'infranse come una vetrata colpita da un sasso, esplodendo contro di lui in una tempesta di schegge taglienti.

Gridò, mentre spingeva via la creatura, solo per scopire di non poterla muovere, solo per accorgersi che quella mano viscida era già suo collo, le dita premute sulla trachea che tagliavano la carne con artigli che prima non c'erano.

E mentre il mondo si confondeva nell'oscurità bluastra dell'asfissia, Ianto gridò ancora, un grido disperato, che gli graffiò la gola come cristallo infranto.

"Ianto, va tutto bene?"

Le sue mani artigliarono l'aria, mentre boccheggiava per respirare, e quando incontrarono il corpo accanto al suo scattarono a colpire, disperatamente.

"Ianto, calmati, sono io, Jack!"

Ben lungi dal tranquillizzarlo, quella dichiarazione lo gettò nel panico. Iniziò a scalciare, a colpire alla cieca, gemendo, gridando frasi incoerenti.

"Hai fatto un brutto sogno, Ianto, solo un sogno!"

Jack era più forte di lui. Lo era da sempre. Lottare era inutile, ma Ianto aveva tanta di quella disperazione in corpo, tanta di quella paura, che ci volle uno sforzo non indifferente perchè l'altro riuscisse a immobilizzarlo.

"Buono, Ianto, buono..." lo cullò, serrandolo tra le braccia, avvertendo che il suo corpo cedeva, sciogliendosi in bassi singhiozzi disperati.

Lo tenne stretto, incurante delle ferite che gli aveva inferto, del sangue che gli colava da un taglio sullo zigomo, macchiando le lenzuola bianche. Lo tenne stretto come se non volesse lasciarlo mai più e, lentamente, lo sentì rilassarsi, cedere, sciogliersi tra le sue braccia, in una disperata resa.

"E'stato un sogno...solo un sogno..."

Gli baciò i capelli, gli baciò la fronte, gli sfiorò le labbra e posando la fronte sulla sua rimase a guardarlo nel silenzio che seguì, respirando il suo caldo respiro. Sentiva battere con forza il cuore di Ianto, batteva contro il suo petto e, Dio, quanto gli piaceva quel suono!...

Ogni timore era fugato, restava solo quel momento prezioso a cui si aggrappavano entrambi: lo stesso respiro, la stessa pelle, lo stesso cuore. L´illusione, per quel momento rubato, di non essere più soli.

Fu Jack il primo ad allontanarsi. Scostò il capo per vedere meglio il compagno che ancora teneva gli occhi chiusi. Negli gli occhi chiusi e nell´espressione tirata si leggevano ancora aggrappati a lui i segni dell´incubo. Nel sentirlo muoversi però Ianto aprì gli occhi lentamente, quasi con timore.

Non vi furono domande. Solo uno sguardo interrogativo e un cenno del capo, incoraggiante, mentre con la mano destra Jack gli stringeva la nuca per rassicurarlo.

Ianto era un groviglio di emozioni, un nodo irrisolto e dolente che non sapeva trovare il proprio bandolo. Essere colpito in quel modo, mentre era così esposto, lo aveva lasciato completamente alla deriva, e la consapevolezza, via via più solida, che si fosse trattato solo di un sogno, non bastava a liberarlo da quel senso di disperazione e perdita.

Sollevò lo sguardo su Jack, riempiendosi gli occhi di lui, nel tentativo di colmare quel vuoto. Vide le proprie dita salire, quasi timorose, a seguire il contorni di quel bel viso, disegnando la linea volitiva della mascella, cui faceva da contraltare la morbida curva delle labbra piene. Sospirò, esausto, appoggiandosi a lui.

"Preferirei morire piuttosto che perderti" udì la propria voce giungere da un luogo molto remoto.

Risollevò lo sguardo, cercando quello di Jack, come colto da un'improvvisa consapevolezza. Quando parlò ancora la sau voce risuonò ferma, quasi dura.

"Preferirei ucciderti, piuttosto che vederti cambiare" affermò, afferrandogli il mento tra le dita e costringendolo a guardarlo.

Jack aggrottò la fronte, cercò di sorridere, ma l'espressione di Ianto era tale da rendere dfficile perfino per lui sdrammatizare.

"Bene, Ianto, ti autorizzo a farlo" sussurrò, con gravità. E protendendosi a baciargli la fronte aggiunse:

"Anzi, conto che tu lo faccia davvero, se mai capitasse".

 

"Cristo, Jones, fai più schifo del solito!!!"

Owen gratificò Ianto di un'occhiata disgustata, mentre sedeva al proprio posto.

Lui non gli rispose, se non con un piccolo gesto di insofferenza.

"Hai l'aria stanca" osservò Gwen, con un tono decisamente più dolce.

"Vedi che ti fa male lavorare fino a tardi?" lo canzonò Owen, impietoso, "Ah, questo dannato attaccamento al dovere!..ahia!!"

Lo scappellotto di Jack lo colpì in pieno sulla nuca, producendo uno schiocco sonoro e costringendolo ad incassare la testa nel collo.

"Buongiorno a tutti, tranne a te, Owen" li salutò il Capitano.

"Stavo solo scherzando! l´avesse detto Gwen non si sarebbe presa uno scappellotto!!" protestò il dottore.

"No, hai ragione. Lei l´avrebbe sculacciata." scherzò Julian comparendo dalla cucina con un vassoio di the fumante sorretto sopra la testa come un equilibrista. Aveva preso il ruolo di tuttofare quasi seriamente, in attesa di riuscire ad essere effettivamente d´aiuto. Si fece accosto a Ianto e s´inchinò portando il vassoio alla sua portata.

"Vedrai che questo ti fa resuscitare, è una miscela indiana arricchita da un tocco personale."

Gwen guardò male Owen ed era chiaro che si chedeva se il tocco personale non glielo avesse fornito lui. Quei due erano diventati ottimi compagni di bevute, sembravano degli adolescenti a caccia della bravata peggiore. Se era comprensibile in Julian per cui tutto era nuovo.. beh. Gwen incrociò le braccia al petto e sollevò il naso verso il soffitto.

Ianto si sforzò di sorridere ai tentativi dei suoi colleghi di rasserenarlo.

In realtà, in quel momento, mentre l'attività frenetica della base li teneva tutti impegnati, e le luci al neon rischiaravano a giorno ogni più remoto anfratto, i fantasmi e i mostri della notte sembravano più distanti e flebili che mai. Lo sguardo di Jack lo avvolgeva premuroso, e quando gli sorrise si senti completamente rassicurato.

"In realtà credo di aver solo bisogno di dormire" disse a Julian, prendendo la tazza di thè e inalandone la fragranza.

"Accidenti, questo potrebbe davvero far resuscitare i morti" sorrise.

Toshiko entrò in quel mentre con una cartelletta rossa stretta al petto. Quel giorno si era messa i tacchi e un bell´abito verde che faceva pensare alla primavera, ma il vero tocco di classe era il sottile filo di perle al collo.

Gwen provò tenerezza nei suoi confronti quando la vide rallentare e cercare di camminare sulle punte per risultare più discreta. Buttò l´occhio per vedere se gli altri se ne erano accorti: il senso di cameratismo che si respirava alla base era splendido, ma poteva avere come aspetto negativo una non comune inclemenza.

Ma Toshiko li raggiunse accolta da sorrisi. Quando arrivava la mattina, non importava cosa fosse accaduto la notte precedente, mostri o ricerche estenuanti, lei aveva sempre un aspetto solare ed ottimista che portava un po´ di buon umore. In un lavoro in cui spesso dovevi fare i conti con la morte e rischiavi di sentirti inutile quella era una gran cosa.

"Buongiorno a tutti" esordì posando il plico sul tavolo. Julian le posò accanto una tazza fumante meritandosi uno strano sguardo da Ianto. Forse era proprio quello che voleva perché lo vide e sorrise storto.

"Scommetto che hai lavorato tutta la notte." la stuzzicò Owen.

"Oh no, non ho lavorato... " sorrise lei cordiale "ero a letto e leggevo il giornale..."

Owen si passò una mano sugli occhi sconsolato.

"E non fare quella faccia! Non ci credo che tu non sessa mai a leggo... legga mai a sesso... a letto." tossicchiò e si voltò fiduciosa verso Jack.

"Insomma, leggevo il giornale - beh, la sua versione digitale, ero sul database della polizia - ..."

Owen sorrise soddisfatto e gli si leggeva in volto un "l´avevo detto".

".. e c´era una denuncia della protezione animali. Beh, io mi commuovo subito se si maltrattano gli animali e ho letto di questo." buttò una copia del giornale di Cardiff fresca fresca di stampa sul tavolo, impugnò la tazza come un'arma e diede un bel sorso.

Fu Jack a raccogliere il giornale e ad aprirlo, mentre gli altri si apprestavano all'ascolto.

Gli ci volle poco per trovare la pagina che aveva colpito l'interesse di Tosh. Mentre scorrevano le righe i suoi occhi blu s'incupirono, mentre una piccola ruga gli segnava la fronte.

"Colonia di gatti rischia lo sterminio. Una colonia di gatti che viveva presso il Cathays Cemetery di Cardiff ha rischiato di venire spazzata via dalla crudeltà di una coppia di anziane sorelle residenti nella zona. Le due insospettabili vecchiette hanno infatti cosparso di liquido combustibile il piccolo magazzino che da anni veniva utilizzato dai felini come riparo e hanno appiccato il fuoco. Solo il pronto intervento del personale cimiteriale ha evitato che gli animali, intrappolati tra le fiamme, incontrassero una fine terribile. Le due donne sono state arrestate."

"La gente è sempre più fuori di testa" bofonchiò Owen. "Ai miei tempi le vecchiette andavano a portare da mangiare ai gatti randagi, non davano loro fuoco..."

"Ma anche queste lo facevano" intervenne Toshiko, e vedendo l'espressione perplessa di Owen continuò.

"Queste due signore andavano ogni giorno a portare da mangiare ai gatti, e si prendeavno cura di loro da anni... Gli addetti del cimitero sono rimasti molto sorpresi da questo gesto"

"Non ci posso credere, tutti quei poveri mici." Commentò Gwen con lo sguardo già perso nel suo rogo immaginario.

Jack le passò il giornale per leggere i dettagli, poi si appoggiò allo schienale della sedia e li guardò con un mezzo ghigno:

"A noi non piacciono le vecchine che bruciano i gatti vero?"

Gwen si mosse a disagio mentre leggeva. "Dici che c'è qualcosa sotto?"

"Questo me lo dovrete dire voi, vi voglio sul posto entro venti minuti." ed intrecciò con diletto le mani di fronte a .

"Venti minuti? E perché mai? Il fuoco è già sedato, dobbiamo solo indagare" protestò Owen, ma non trovò alcun appoggio, solo un ìsopracciglio di Jack che s´incurvava con un'angolazione pericolosa.

"Toshiko resta qui, Vengono Ianto e Julian." fu la sua sola risposta.

Gwen tossì per sdrammatizzare, tirò indietro la sedia e si alzò in fretta distribuendo ordini e raccogliendo gli strumenti. I due nominati rimasero interdetti ognuno per un proprio motivo, ma entrambi con piacere. Per Ianto ogni possibilità di dimostrare il proprio valore oltre il ruolo del maggiordomo era la ben venuta, non fosse per il brivido del pericolo che lo inebriava come - ci meditò - come i ferormoni del cinquantunesimo secolo, concluse soddisfatto. Cercò con la coda dell´occhio Julian che con un gran sorriso sul volto attendeva già nei pressi dell´uscita. Era così diverso dalla persona che avevano incontrato la prima volta, assetato come un bambino di conoscenza, ma con la forza e la determinazione di un adulto. Chissà se si rendeva conto che era la prima occasione in cui Jack lo lasciava andare in missione senza di lui. Era ufficialmente parte del Torchwood, già era trascorso più di un mese dal suo arrivo, e certo era stato un acquisto che aveva arricchito il gruppo. Ma solo un ingenuo non avrebbe notato come Jack lo controllasse sempre a distanza o avrebbe dimenticato che c´erano molte cose non dette nel suo passato. o comunque molte cose non dette a loro...

Quando Ianto prese l´uscita Julian gli si accostò, passo svelto e sorriso confidente. Raggiunsero il SUV e partirono a caccia di vecchiette piromani. L´autoradio si accese con il motore e nella cabina si diffuse a tutto volume la voce profonda e vellutata di Jim Morrison:

 

I found an island in your arms

Country in your eyes

Arms that chain us

Eyes that lie

Break on through to the other side

Break on through to the other side

 

Gwen si sporse all´orecchio di Julian per farsi sentire "Guarda che non dovresti fermarti a quarant´anni fa...."

Julian, per contro, sorrise soltanto.

 

Break on through to the other side

Break on through to the other side

 

 

Fecero in tempo a giungere sul posto, prima che Tosh li contatasse.

Il viaggio in macchina era trascorso piacevolmente, allietato dalla musica e dai soliti battibecchi. Gwen si era goduta come sempre il ruolo di unica donna della squadra, miscelando con una sapienza tutta femminile i suoi doveri di eroina con i suoi diritti di rappresentante del sesso debole. Non che questi ultimi avessero molto spazio...

"Credevo che nell'Ottocento ci fossero dei gentiluomini" aveva rimproverato scherzosamente Julian, qualche giorno prima, "Come quelli dei romanzi di Jane Austen, o delle sorelle Bronte...e invece a noi sei capitato tu!! Non c'è giustizia!"

La verità era che a Julian risultava assolutamente naturale trattarla con lo stesso cameratismo che le riservavano gli altri, così come gli risultava naturale essere più cortese, perfino galante, con Toshiko.

"Il problema non sono gli uomini dell'Ottocento, o quelli del Tremila" aveva osservato Owen, sardonico come sempre, "Il problema sei solo tu, Gwen Cooper"

Ne era seguito l'ennesimo scambio di battute al fulmicotone tra i due focosi colleghi, che era seguitato anche quando gli altri avevano perso ogni interesse per loro.

Anche quel giorno non erano mancate battute e scherzi, anzi, l'assenza di Jack li rendeva tutti ancora più audaci e spensierati, come studenti in libera uscita.

Perfino Ianto, a dispetto della notte trascorsa, si divertiva a fomentare i bisticci e a schierarsi ora con Owen, ora con Gwen, dando man forte a Julian.

Avevano superato l'arcata d'accesso al Cathays Cemetary e avevano percorso poche decine di metri attraverso i prati ben curati, disseminati di lapidi e statue di angeli, quando la voce di Toshiko li raggiunse.

"Ragazzi, c'è stato uno sviluppo nella vicenda delle due anziane signore..."

"Che c'è?" la interruppe Owen, "Hanno gettato i pesci rossi nel water e hanno tirato lo sciacquone?"

"No..." la voce di Toshiko esitò, per un attimo, "Sono morte. Si sono uccise lanciandosi contro uno specchio insieme..."

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Il Suv si fermò sull’acciottolato e rimasero per un momento stupiti a riflettere

Il Suv si fermò sull’acciottolato e rimasero per un momento stupiti a riflettere.

“Forse” Gwen fu la prima a parlare “dovremmo dividerci. Io ed Owen possiamo andare alla stazione di polizia, ho ancora qualche amico felice di rivedere una ex collega li, Owen recupererà i corpi e li porteremo all’Hub.” poi voltandosi verso i sedili posteriori dove Ianto controllava su un visore la mappa del cimitero e Julian con le mani dietro la testa osservava oziosamente l’esterno, “Voi due potreste controllare il magazzino.”

Ianto annuì. La struttura del cimitero non sembrava in alcun modo predeterminata, nessuna forma particolare, nessun disegno da satellite. Forse quella rischiava di rivelarsi solo un vicolo cieco o forse il luogo in cui quella follia era cominciata. Con la coda dell’occhio vide Gwen porgere qualcosa a Julian e sollevò lo sguardo incuriosito. Era una pistola automatica, proprio del genere che Jack si era sempre rifiutato di affidargli.

“Non si sa mai..” strizzò l’occhio Gwen.

Julian esitò, per gli stessi motivi che avevano fatto indurire lo sguardo di Ianto. Non era certo timore delle armi il suo, quanto la consapevolezza che quella era una chiara trasgressione degli ordini, una tentazione fin troppo forte per il suo sangue ribelle.

“Su, prendila.” ripeté Gwen e non dovette più insistere. Julian prese l’arma e la ficcò dentro lo zaino.  Poi cercò lo sguardo di Ianto, colse al volo i suoi pensieri e rispose con un sorriso da furfante.

“Vogliamo farci attendere sulla scena? Jack attende il suo resoconto..”

Soltanto lui sentì nel proprio auricolare una voce roca commentare. “Attendo....”

 

L'auto ripartì, sollevando una nuvola di polvere bianca dal terreno ghiaioso.

Ianto alzò gli occhi al cielo.

Era una giornata insolitamente calda e afosa per quel periodo dell'anno. Nuvole grigie restavano appese all'orizzonte, senza decidersi a portare un po'di pioggia. Anzi, la loro presenza gravava come una cappa soffocante, rendendo difficile perfino respirare.

Il ragazzo si allentò il nodo della cravatta con le dita, mentre si avviava nuovamente attraverso l'arcata d'ingresso, come in una sorta di deja-vu.

Raggiunsero facilmente il magazzino, che recava i segni evidenti del recente incendio.

Julian calpestò un cartone fradicio, quasi sfatto in poltiglia dalla solerzia dei pompieri.
Fece appena in tempo a fare un passo che da un cespuglio poco lontano schizzò fuori un gatto, che sparì veloce come un ombra passandogli tra i piedi.

Lo scozzese sorrise, dopo la sorpresa iniziale.

"Se ci fosse stata Gwen probabilmente avrebbe sparato prima di rendersi conto di cosa fosse" osservò Ianto con la sua solita aria compita.

Ci fu un breve scambio di silenziosi sorrisi.

Il magazzino non rivelò nulla di utile. Il fuoco e l'acqua usata per spegnerlo avevano lasciato ben poco da esaminare.

"Non sapevo ci fosse il Luna Park in città"

Julian, intento a studiare le pareti annerite, rivolse a Ianto un'occhiata interrogativa.

In tutta risposta l'altro sventolò un foglio bruciacchiato e macchiato in più punti, stampato a caratteri colorati.

"Puzza di pesce..." aggiunse Ianto con una smorfia, "probabilmente è stato usato per avvolgere del cibo."
Julian alzò le spalle.

"Credi sia rilevante per le indagini?"

Ianto fece un piccolo sorriso.


"No... non so... mi sono sempre piaciute le giostre."

“Secondo me questo è un indizio di vitale importanza.” Lo corresse Julian. “Serve una buona dose di follia per dar fuoco al conforto della vecchiaia e poi rompersi la testa contro un muro.

“Uno specchio” lo corresse Ianto. Julian bofonchiò come se non vedesse questa grande differenza.

“Non so” riprese Ianto dubbioso. “Forse dovremmo cercare ancora qui..” disse girandosi attorno, scostando alcune pietre con il piede per mettere in mostra nuovi volantini del Luna Park. Julian lo osservava con le braccia conserte appoggiato al muro.

Poi entrambi sentirono la voce musicale di Jack nelle loro teste:

“Ianto, Julian, mi sembra una bellissima idea. Ci vediamo al Luna Park.”

 

Paradossalmente per raggiungere Jack Julian e Ianto non dovettero far altro che tornare verso la base.
Infatti il Luna Park sorgeva non lontano da Roald Dahl Plass, in un fondo industriale che si affacciava sulla baia di Cardiff.

Dal momento che Owen e Gwen avevano portato via il Suv, i due dovettero prendere un taxi.

Avvenimento questo che diede a Julian Vallantine la possibilità di essere illuminato sulla situazione politica inglese dall'eloquio poco forbito e molto gallese di un tassista a dir poco iracondo.

Quando scesero nei pressi del Luna Park, il giovane scozzese aveva quasi le lacrime agli occhi, e fu così che Jack se lo vide venire incontro, affiancato dal sempre ieratico, seppur sorridente, Ianto.

Per un singolo istante sul volto del Capitano si dipinse un'espressione compiaciuta, alla vista dei due uomini. Così diversi, tra loro, eppure così assolutamente gradevoli! Julian aveva adottato un look moderno e vagamente trasandato che, complici i lunghi capelli sempre legati in una morbida coda sulla nuca, gli conferiva un'aria dannatamente sexi.

Impeccabile nel suo completo antracite, la cravatta solo un po'lasca intorno al collo, Ianto non avrebbe sfigurato ad una cerimonia di inizio corsi a Oxford, sia come giovane docente, sia come studente.
Ma non era il momento, e non era il luogo, e il Capitano dovette reprimere l'impulso di dimenticare, per un pomeriggio i suoi innumerevoli doveri, per dedicarsi solo ed esclusivamente al piacere...
"Non siamo un po'troppo grandi per le giostre, Capitano?" domandò Julian, che tuttavia stava già sbirciando con palese curiosità in direzione delle strutture variopinte. In realtà si trattava di un piccolo Luna Park che, alla luce del mattino, appariva quanto mai deserto e squallido. Le attrazioni, tutte chiuse, avevano conosciuto tempi migliori, le facciate dipinte coperte da uno strato di polvere e salsedine.

Le cabine di controllo, le biglietterie, tutto vuoto. Nella pista degli autoscontri le macchine erano abbandonate a casaccio sulla pista come se fosse stata semplicemente tolta l’elettricità nel mezzo della corsa.

“Bizzarramente macabro questo posto, sembra abbandonato.” commentò Julian guardando gli altri incuriosito “Forse quei volantini erano vecchi”.

“Oh, no.” Ianto stava controllando il suo palmare “E’ arrivato in città lunedì scorso, semplicemente questi posti sembrano sempre macabri ed abbandonati di giorno. E’ come un palcoscenico, prendono vita di notte, con le persone, le luci e la musica.”

“Come sei romantico, Ianto Jones” osservò Jack, inarcando le sopracciglia.

Nell’aria aleggiava un vago sentore di popcorn e quello più dolciastro delle ciambelle. Poi da qualche parte un violino prese a suonare una vecchia melodia. (un canone inverso in realtà) Sembrava familiare, ma nessuno dei tre riuscì a riconoscerla.

Jack Harkness si infilò le mani in tasca spostando indietro le falde del cappotto ed annusando il piacere di una esperienza imprevista alle porte.

“Beh, signori miei, questo mi sembra un invito in piena regola, che ne dite?”  disse facendo strada.

Ianto era un passo dietro di lui, gli occhi un po’ sull’inseparabile palmare, un po’ sulle giostre attorno a loro cercando di orientarsi. “C’e’ qualcosa di strano qui…”

“Ma non mi dire… “ commentò Julian, ma venne ignorato dagli altri due.

“Vedo le onde di diffusione di una frattura nella Fessura, ma è come se fossero interrotte, asimmetriche… tagliate.” Ianto continuava   a consultare il suo strumento non comprendendone ne letture.

Per nulla impressionato Julian continuava a riempirsi gli occhi di particolari, ogni tanto si fermava a curiosare ed in effetti Ianto si chiese come doveva apparirgli quella vista senza aver mai conosciuto la vera natura di quel luogo. Quale che fosse poi la vera natura.

“Quindi Capitano, la gente paga per essere spaventata?” chiese infine.

“Visto il lavoro che facciamo non possiamo giudicarli se anche loro vanno a caccia di un po’ di brivido non trovi?”

“Film, salti nel buio.. l’uomo si nutre di emozioni quanto si nutre di cibo e acqua” meditava Ianto ad alta voce, cercando qualcosa che evidentemente non riusciva a mettere a fuoco. Julian non sapendo cosa altro fare si mise ad imitarlo cercando non sapeva bene cosa. Tutto li sembrava surreale, forse avrebbe dovuto dar la caccia alla normalità.

“Capitano…” chiamò ad un certo punto Ianto indicando un edificio a due piani dalla facciata a forma di castello.

Ma Jack era sparito.

 

Ripresero a vagare per il luna park, Ianto più inquieto, ora, sebbene non lo desse a vedere, gli occhi chiari che si muovevano senza sosta nella speranza di scorgere la figura famigliare di Jack, l'ondeggiare delle falde del suo cappotto militare. Improvvisamente, stupidamente, tutta l'inquietudine della notte trascorsa gli era ripiombata addosso, e gli artigliava le membra, gli ottenebrava la mente, insinuandosi subdolamente e suggerendogli pensieri gravidi di morte e terrore.
Avevano seguito la musica, senza consultarsi, mossi da un comune, tacito accordo, e la musica li aveva condotti davanti a un'attrazione coperta da un pesante tendaggio blu notte e argento, prima di tacere all'improvviso.

"Che cos'è?" sussurrò Julian, e nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole si domandò perchè lo facesse a voce così bassa...

"Sembra una specie di padiglione..." rispose Ianto, pensieroso. "Forse la tenda d una cartomante, o..."
La voce gli si spezzò in gola in un grido rauco. Julian accorse al suo fianco allarmato.
Mentre parlava, Ianto aveva sollevato un lembo della tenda e si era trovato di fronte qualcuno che, dall'interno, stava facendo lo stesso.

O così gli era parso...

"E'un labirinto di specchi!" disse Julian, sorridendo meravigliato.

 E sollevò di nuovo il tendaggio, per rivelare un pallido Ianto Jones che fissava la propria immagine, qualche passo indietro.

Julian si sarebbe messo a ridere per esorcizzare quel clima spettrale che era caduto su di loro, ma voltandosi verso Ianto e vedendo il suo sguardo sbarrato comprese che qualcosa non andava nell’amico. Si voltò, controllò nuovamente lo specchio per trovare il motivo di tanto allarme, ma poté solo aggrottare la fronte incapace di comprendere.

Ianto non si mosse nemmeno quando lo scozzese lasciò cadere il telo e tornarono soli. Per un motivo del tutto irrazionale che non poteva spiegare all’amico, a quella vista si era sentito stringere il cuore in un pugno come se ogni sua paura, ogni suo incubo, fossero nuovamente esplosi oltre la linea del reale. Le labbra strette in una fessura, Ianto sentiva il cuore correre all’impazzata e dovette ritrovare il controllo del proprio respiro prima di poter nuovamente parlare. Disse solo, a fil di voce: “Dobbiamo trovare Jack.”

Julian al suo fianco era sempre più confuso, continuava a cercare un qualsiasi segno reale di quel pericolo che avvertiva lui stesso, ma era come cieco: una insopportabile sensazione di impotenza che  gli era diventata compagna, ma mai tollerata. I suoi compagni erano diventati per lui gli occhi con cui vedere il mondo, seguiva vigile le loro reazioni per capire se una situazione era sottocontrollo o stava sfuggendo loro di mano, se era nella norma o semplicemente aliena. Sentire ora Ianto perdere la sua maschera di distaccato controllo di fronte a qualcosa che nemmeno poteva vedere risvegliava in lui un senso di paura che faceva accelerare il cuore ed acuire i sensi.

Eppure sembrava tutto frutto della loro suggestione.

Fu Ianto a rompere ogni indugio , affrettandosi verso un angolo dove erano stati accatastati  arnesi e  pezzi di ricambio. Afferrò due sbarre e correndo verso l’ingresso della struttura ne lanciò una al compagno. L’idea che Jack fosse entrato senza di loro, senza che lui avesse potuto avvertirlo dell’incubo della notte precedente, gli aveva messo il fuoco nel sangue. Girò una, due volte spostando le cerate per trovare l’ingresso.

“Se qualcuno suonava quel violino è ancora dentro e  noi lo troveremo.” incitava Julian. “E se Jack è dentro lo troveremo prima che gli accada nulla.”

Julian gli aveva scoccato uno sguardo pensieroso. Tendeva a non porsi domande in materia di sentimenti, quello era un ambito che gli si era rivelato ancora più ampio della botanica del XXI secolo, ma in un certo senso era contento di esserci solo lui come testimone di quella situazione. In effetti aveva quasi l’impressione che Ianto in realtà si fosse dimenticato della sua presenza.

“Ianto” azzardò per tranquillizzarlo “Non possiamo sapere se è dentro. Era qui accanto a noi e non può averci preceduto di molto.”

Ma furono parole perse nel vuoto. Ianto aveva appena trovato l’ingresso per la Casa degli Specchi e vi era entrato senza guardarsi indietro. Uno, due passi, il primo vicolo e si fermarono con sei Ianto Jones ad osservarli ed altrettanti giovani scozzesi. Una pioggia di luce polverosa discendeva su di loro, creando un mondo di penombre, di spicchi luminosi ed angoli neri. I due si spostarono d’istinto spalla a spalla. Julian aveva estratto la pistola di Gwen dal suo zaino per tenersi pronto a tutto, ma aveva avuto il buon senso di non sganciare ancora la sicura.

Da qualche parte il violino ritornò a suonare e fu chiaro che stava chiamando proprio loro ma capire da dove provenisse in quel labirinto privo di punti cardinali era praticamente impossibile.
Ianto seguì l’istinto per quel senso di urgenza che non veniva meno e prese la direzione che portava nel cuore del labirinto. Sette Vallantine lo guardarono avviarsi e poi lo seguirono.

Procedettero in quel mondo di prospettive ingannevoli, dove lo spazio perdeva di significato, dilatandosi in un gioco di infiniti passaggi. A Ianto sembrava di poter essere inghiottito da un momento all’altro da quelle gallerie illusorie, afferrato da un altro se stesso. Evitava perfino di guardare la propria immagine riflessa, nel timore di vederla mutare espressione…

“Jack!!” chiamò, incapace di sopportare oltre quel silenzio nel quale s’infrangeva il suo respiro.

Gli parve di cogliere un’ombra blu, e quasi si ruppe il naso lanciandosi in quella direzione, e trovando davanti a sé solo un altro specchio.

“Credo sia meglio uscire, Jones” suggerì Julian, posandogli la mano sulla spalla mentre si massaggiava il volto dolorante, e Ianto non oppose resistenza. Il violino taceva nuovamente.

Non fu facile trovare l’uscita che, come sempre nei labirinti di specchi, era accanto all’ingresso.

“Probabilmente non è mai nemmeno entrato qui” suggerì Julian, incoraggiante.

“Sarà andato altrove ad esplorare, e noi abbiamo solo perso tempo”.

Ianto annuì distrattamente, e nemmeno quando, finalmente, udì la voce di Jack nell’auricolare,  si tranquillizzò del tutto.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


"Giuro che se non foste voi vi sgriderei come scolaretti in gita. Vi sembra questo il modo di sparire nel mezzo delle indagini? Sapete, dopotutto," sorrise storto "che non avete il permesso di divertirvi senza di me…"

A quelle parole Ianto chinò il capo, incapace di impedirsi di arrossire, mentre Julian sbuffò una breve risata.

“E come potremmo divertirci senza di te, Capitano?” lo provocò, ironicamente.

“Se pensi di aver bisogno di lezioni, sono certo che il nostro Ianto sarebbe più che lieto di fornirtele” rispose Jack, stringendo gli occhi fino a ridurli a due fessure sottili e luminose.
“Ma di cosa stai parlando?!” esclamò Ianto, sgranando gli occhi. Che diavolo saltava in mente a Jack di fare certe affermazioni davanti a un collega, fosse anche l’ultimo arrivato come Julian?
Ma Jack non rispose, limitandosi a scrollare le spalle e a ridere. Poi li afferrò entrambi, una mano per spalla, e li sospinse fuori dal Luna Park, proprio mentre la voce di Gwen tornava a farsi udire nell’auricolare, per aggiornarli sugli ultimi avvenimenti.

Non ci volle molto per ritornare alla base, dove Tosh li attendeva, sola.

“Ci sono state delle segnalazioni, mentre eravate fuori” iniziò a parlare prima ancora che l’ultimo di loro fosse entrato.

“Gwen e Owen stanno arrivando con i corpi delle signore Nichols, ma dicono che alla stazione di polizia c’era un gran via vai, e che…Jack?!?””

La sua voce, sorpresa e allarmata, salì di un’ottava.

“Che c’è?” domandò Jack innocente, sollevandosi dal suo collo, sulla cui curva nivea andava allargandosi un’ombra rossa, laddove la bocca del Capitano si era appoggiata, in un bacio che era più un sensuale morso.

Jack sorrise di fronte allo sguardo esterrefatto della povera Tosh, ma per quel sorriso a Jack si poteva perdonare di tutto e lei nascose il volto fra i capelli tornando cocciutamente a guardare la sua consolle.

“Si.. certo.. dicevo” cercò affannosamente il punto dove si era fermata. Sentiva tutti gli sguardi addosso e le parve di poter cogliere i loro pensieri, come un ricordo del tempo in cui aveva davvero potuto farlo.

Guarda come si imbarazza.

Salterebbe addosso a chiunque se fosse abbastanza bello.

Non poteva mancare che lei..

Tosh si alzò e corse via lasciandosi alle spalle i compagni interdetti. Jack si passò le mani fra i capelli mentre la seguiva con lo sguardo e poi si voltava verso di loro, con sguardo interrogativo.

"Che le è preso adesso?"

Lo sguardo di Ianto andò velocemente da Jack alla porta oltre la quale era sparita la ragazza, e viceversa. Sembrava indeciso sul da farsi, ma Julian lo prevenne, posandogli una mano sulla spalla.
“Vado a vedere che è successo” lo tranquillizzò, sorridendo comprensivo.
“Non ti servirà a niente” lo interruppe Jack, alzando le spalle. “È masochista come tutti i giapponesi”
“Ma che ti prende, Jack?” lo rimproverò Ianto, mentre Julian partiva all’inseguimento della ragazza.
“Ma cosa prende a voi!” ribatté lui in tutta risposta.
“C’è un tasso di frustrazione qui dentro che toglie il fiato” continuò, facendo un ampio movimento con le mani. “E tu non fai eccezione!” gli puntò il dito contro.
Ianto spalancò gli occhi, aprì la bocca per ribattere, ma la mano di Jack gli afferrò il viso, e le sue labbra calarono a rubargli il respiro, con prepotenza. Ianto non riuscì a opporsi a quel bacio, non ci provò neppure. Socchiuse gli occhi, mentre la sua bocca veniva violata, senza delicatezza, invasa in ogni sua piega da quell’assalto liquido, bollente, che cancellava tutto il resto, che spazzava via ogni ragione e perché, scagliandolo a mille anni luce da se stesso, tra le stelle.
Si sciolse in quel bacio, aggrappandosi a Jack, abbandonandosi alla sua bocca esigente e impietosa, alle sue mani che lo afferravano per i capelli, tirandoglieli dolorosamente, che sgualcivano gli abiti, frugando, pretendendo, e solo il suono tristemente famigliare della porta meccanica che veniva azionata lo costrinse a tornare in sé. Spinse via Jack, che oppose resistenza. Le sue labbra rese tumide dal bacio erano più rosse che mai, un fiore peccaminoso dal quale Ianto si sarebbe fatto ben volentieri divorare, in quel momento.
“I ragazzi…” sussurrò, non riconoscendo la propria voce resa roca dal desiderio.
“Si fottano” sussurrò Jack, a sua volta, gli occhi offuscati, come polle d’acqua torbida.
“Jack, Ianto, ci siete?”
Gwen comparve per prima, proprio mentre Ianto, con uno sforzo notevole, si allontanava da Jack e le dava le spalle, le mani che correvano febbrilmente a sistemare i capelli, gli abiti.

I passi di Gwen rallentarono fino a fermarsi e li guardò con sospetto, prima l’uno, poi la schiena dell’altro. Le era già capito una volta di trovarsi in una situazione di imbarazzo, ma era arrivata nel cuore della notte ed effettivamente non doveva trovarsi in quel luogo. Ma ora? Provò un senso di rabbia crescente, ma li per li era troppo stupita e potè solo giustificarsi sollevando un sacchetto di carta stropicciato.

“Ho un panino per Tosh. E’ rimasta qui dentro tutto il giorno.” Poi si sporse un poco cercandola alla sua consolle. “Ma dov’e’?”

Ianto tacque. Non era sicuro di saper controllare la voce. Piuttosto si mise le mani in tasca per assicurarsi discrezione e guardò Jack in cerca di aiuto.

“E’ scesa in archivio per confrontare le informazioni con vecchi casi.” mentì quello con il candore di un angelo e il sorriso di un diavolo. “Vuoi unirti a noi?”

“Cosa stavate facendo?” s’informò lei, facendosi avanti. Dopotutto forse si era sbagliata innervosendosi per nulla. Era un suo classico incendiarsi sempre alla prima scintilla per scoprire che era un fuoco di paglia.

Si mosse verso la console per appoggiarvi il panino di Tosh.

O forse quella non era una punta di gelosia? Non doveva forse ammettere, almeno a sé stessa, che la maggior parte del suo amore per Rhys si chiamava gratitudine ed affetto, sicurezza? Che non aveva mai avuto il coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo accettando una relazione in cui nulla c’era di certo e prestabilito? Ianto per contro era una relazione senza impegni: prendere giorno per giorno quel che veniva. Si rese conto che non aveva sentito la risposta e posato il panino si voltò a cercarli.

“Cosa stavate facendo?”

Jack era accanto alla porta e la chiuse con il codice di sicurezza.

“Ci stavamo divertendo.”

Ah, beati voi!” rise Gwen, togliendosi la giacca e tirandosi su i capelli. Una risata solo un po’forzata, in realtà. “Noi stavamo lavorando, pensate un po’” aggiunse, con una punta di acredine.
“Lavoro, lavoro, lavoro…” sospirò Jack, staccandosi dalla porta con aria indolente.

“Già, seguendo i tuoi ordini!” ribatté lei, e aggiunse, con una smorfia: “Comunque anch’io sono contenta di rivederti, Jack!”

“Oh sì, l’avevo capito” rispose lui, toccandosi il naso con un dito e guardandola maliziosamente, “L’ho capito dall’odore…”

Gwen non capì a cosa si riferisse. Non subito.

Ianto sì, e prima arrossì, poi impallidì, infine, respirò profondamente, decidendo che era ora di impegnarsi a fare qualcosa di concreto.

Owen apparve dalla scala che saliva dai livelli inferiori.

“Ho sistemato le due nonnette, e se nessuno di voi a qualcosa di più eccitante da propormi, credo inizierò l’autopsia” annunciò, stiracchiandosi. “Gwen vi ha già detto il resto?”

Gwen si riscosse, aprì le labbra per parlare, le richiuse, emise una specie di rantolo, e poi finalmente riuscì ad articolare un suono di senso compiuto: “Sì…no…stavo per farlo…Dunque…” respirò profondamente.
“Mentre eravamo alla stazione di polizia, è stata portata dentro una donna. Sembrava in stato confusionale, ma da quanto abbiamo capito, era lì perché era successo qualcosa al suo bambino… Insomma…” si scostò i capelli dal viso, irritata con Jack, e ancora di più con se stessa, che gli permetteva di farla sentire così.

“Morale” intervenne Owen, sempre più spiccio, “quella tale aveva sorpreso il marito mentre cercava di affogare in bambino nel bagnetto. Lei è intervenuta, è riuscita a salvare il piccolo, ma il marito si è ammazzato – indovinate un po’?...- gettandosi contro lo specchio del bagno”.

Anche Julian e Tosh erano tornati, e avevano udito l’ultima parte del discorso.

“Ma non è finita” riprese Owen, godendosi quel momento di attenzione collettiva.

“Mentre stavamo uscendo è arrivata una comunicazione urgente. Un ragazzo di vent’anni ha cercato di uccidere la propria fidanzata sbattendola sette volte contro uno specchio. Quando la polizia è arrivata, lui ha cercato di uccidersi, ma è stato fermato, e ora è in una cella d’isolamento. La ragazza è in ospedale, non sappiamo se se la caverà”.

“Dovremmo parlare con il ragazzo” propose Ianto, rivolto a tutti, ma con lo sguardo su Jack. Il quale, da parte sua, annuì:

“Perché no?”


Hey, è’ arrivata Torchwood.” Disse Clive Parker affacciandosi dal suo ufficio al primo piano della stazione di polizia. “Te l’avevo detto io, che quel ragazzo ne puzzava lontano un miglio.”

Alle sue spalle Andy Davidson si alzò di fretta per vedere a sua volta. “C’e’ anche Gwen?” alzandosi per guardare a sua volta.

“Gwen? Gwen? Ma lo sai che sei proprio senza speranza? Quelli li vivono su un altro pianeta, guardali bene.”

Il Suv si era appena fermato di fronte all’ingresso principale incurante della striscia gialla di divieto. Clive non si sarebbe stupito se gli avessero detto che era un segnale in codice del governo per dire “riservato Torchwood”. Oh, no, ormai non si stupiva più di nulla, ma continuava comunque ad arrabbiarsi. Lui doveva fare i conti per chiudere il mese fra lo stipendio da fame che gli davano egli alimenti, tenere a bada ubriachi e mariti sfrattati di casa quando lui stesso avrebbe strozzato sua moglie. La sua ex moglie. Ma, nonostante questo, qualsiasi fascicolo che potesse dare un qualche interesse al suo lavoro, risvegliare un po’ della sua curiosità moribonda, gli veniva sempre tolto di mano da quei bellimbusti. Guarda te come andavano vestiti. Uno aveva un cappotto che sarebbe andato bene a carnevale, con tanto di galloni. Clive aguzzò lo sguardo. Non c’era dubbio, era proprio lui, quello che si presentava con un sorriso che ti faceva desiderare un muro cui dare le terga. Jack Harkness, eccome se se lo ricordava quel nome, gli si presentava sempre come se fosse la prima volta che si incontravano. Dopotutto come pretendere che il gran capo del Torchwood si ricordasse di una nullità come lui?...

La giapponese, l’uomo dalla faccia tirata, c’erano tutti. E quello? Ah, guarda un po’, avevano trovato un altro damerino dai capelli lunghi, forse si credeva un cantante.

Dulcis in fundo, ecco scendere la piccola Gwen. Dio come era cambiata! L’avevano rovinata. Se la ricordava ancora al suo primo giorno di servizio timida ed impacciata, con un cappello troppo grande calcato in testa. Ora sembrava tirata fuori da qualche film. La vide fermarsi e guardare in alto verso il suo vecchio ufficio.

Andy accanto a lui non stava più nella pelle.

“Dai” lo incitò Clive. “Sappiamo cosa cercano, andiamo ad accompagnarli prima che lo facciano altri.” Raccolse il badge e si avviò, Andy dietro di lui sembrava regredito allo stadio di uno scolaretto.

Alla vista di Andy il volto di Gwen si aprì in un gran sorriso, che subito venne dissimulato dalla presenza dei colleghi. Gwen sapeva che era stupido, ma si sentiva in imbarazzo a manifestare i propri sentimenti alla presenza dei ragazzi, e di Jack in particolare. Era un atteggiamento meschino e non le faceva certo onore. Un po'come se, ai tempi della scuola, lei fosse entrata nella cricca dei ragazzi più popolari e non potesse più dare confidenza agli altri...

Di certo l'atteggiamento di Owen, Jack, perfino di Tosh, non aiutava. Se quest' ultima si limitava a mantenere un timido riserbo, guardando in direzione degli agenti come se i suoi occhi non li vedessero nemmeno, Owen non faceva certo mistero del disprezzo che provava per quelli che ai suoi occhi apparivano alla stregua di impiegati. Quanto a Jack, le poche volte in cui si era degnato di rivolgere la parola a Andy, Gwen si era sentita in imbarazzo per il suo vecchio amico. Il Capitano a volte aveva il potere di far sentire le persone così completamente stupide!!!...

"Buongiorno" salutò Clive Parker, ergendosi in tutta la sua considerevole statura, che tuttavia non superava quella del suo interlocutore.

"Buongiorno" rispose Jack, fermandoglisi a un palmo dal naso, e solo perchè gli si era parato dinnanzi. Era abbastanza palese che considerava quell'interferenza quanto meno irritante.
"Immagino siate qui per Peter Hastings" proseguì l'agente Parker, senza lasciarsi intimorire. "Torchwood, giusto?..." aggiunse, ironico.

"Già" annuì Jack, "e se abbiamo finito di perdere tempo con i convenevoli, andremmo a fare il nostro lavoro".

Gwen si rabbuiò. Non era da Jack essere così sgradevole, nemmeno con la feccia!

Parker non si rabbuiò. Si arrabbiò e basta. Se non fossero stati alla stazione di polizia, ma in un pub, se non avesse indossato l'uniforme, ma una maglietta del Cardiff City Football Club, se non fosse stato in servizio... Sarebbe potuto andare avanti ore a immaginare cosa avrebbe fatto a quella bella faccia da rivista patinata se le contingenze non fossero state così sfavorevoli, ma il proprietario della faccia non sembrava avere tutto quel tempo.

"Vi accompagno" borbottò, gettandogli un'ultima occhiata truce prima di dargli le spalle.

"Meno male, stavo iniziando ad eccitarmi...." sussurrò Jack, ma con un volume abbastanza alto perché Parker, e non solo lui, potessero udirlo.

Il poliziotto si irrigidì e gonfiò il petto, sulle prime Gwen pensò che si sarebbe girato per centrare Jack con uno dei suoi pugni proverbiali, ma il tempo doveva aver messo un po’ di sale in zucca al vecchio Clive.

Ugualmente il livello di testosterone fra quei due stava raggiungendo livelli allarmanti, e senza neppure un valido motivo. Prese Jack per un braccio e lo costrinse a girarsi il tempo sufficiente ad ammonirlo con uno dei suoi sguardi più torvi, adombrato dalla frangia nera sulla fronte.

“Ma cosa ti salta in mente? Siamo a casa loro, potresti dimostrarti più gentile no?”

“Nostalgia di casa Gwen? Se vuoi puoi sempre tornarci.” rispose lui algido, lasciandola ammutolita a guardarlo voltarsi e proseguire, troppo stupefatta anche solo per arrabbiarsi.

Si fece superare da Owen che avanzava mani in tasca cercando poliziotte carine nelle vicinanze, vide Ianto e Julian scambiarsi uno silenzioso sguardo d’intesa ed infine Toshiko che le mise una mano sulla spalla.

“Dai, vieni” la incitò, ma senza la consueta dolcezza nella voce. Guardava dritto davanti a sé, dove il Capitano stava scomparendo dietro una curva del corridoio e la fronte era segnata da una ruga di preoccupazione. Gwen, arrabbiata con se stessa per quella reazione infantile, non se lo fece ripetere e le fu subito dietro.

La cella di sicurezza si trovava nel seminterrato, lontana da ogni uscita. Era una precauzione più formale che necessaria perché chi mai si sarebbe sognato di evadere da una stazione di polizia che brulicava come un alveare? Ed allo stesso copione rispondeva anche ogni altro aspetto della zona di detenzione: pittura che supplicava di essere rinfrescata da qualche anno, una lampadina ad incandescenza orfana della sua pirofila e due porte in fondo al corridoio. La prima dava sulla stanza di osservazione, la seconda sulla piccola stanza degli interrogatori. Gwen arrivò quando ormai tutti erano dentro la prima delle due ad eccezione di Jack, Andy e Clive fermi sul corridoio nel mezzo dell’ennesimo confronto.

Nessuno si accorse di Gwen quando mise la testa dentro la stanza d’osservazione. Ognuno era impegnato a modo suo.

“Quindi… Tu da quanto lavori qui?” chiedeva Owen a Priscilla Miller, una ragazza che era ancora alle prime armi quando lei se ne era andata. Chissà se aveva preso il suo posto alla fine, non c’erano poi così tante donne poliziotto. E poi aveva almeno dieci anni meno di Owen., o di lei, pensò stizzita. Julian e Ianto continuavano a parlare sottovoce ed ora anche Toshiko si era unita a loro. Tutto questo Gwen lo colse con uno sguardo perché subito dopo la sua attenzione , e non solo la sua, fu attirata dalla voce potente di Jack.

“Quindi voi mi volete dire che avete un giovane instabile con una fobia per gli specchi e voi l’avete messo in una stanza in cui una parete intera può mandarlo in paranoia? Tiratelo subito fuori di li! Ora! Adesso!”

“Non se ne parla neppure.” rispose a quel punto Clive sembrava averne avuto abbastanza. “Quel giovane instabile è un assassino e fino ad ora non ha dimostrato nessuna reazione nei confronti di quello specchio, è assicurato alle manette e non tenterà di romperlo con la sua testa.”

“Forse non mi hai inteso, il mio è un ordine, ed ora obbedisci se non vuoi trovarti degradato ad assistere gli anziani.” gli urlò in faccia Jack, lo sguardo furioso che alterava i bei lineamenti.

Nel corridoio tutti tacquero.

Clive Parker fremeva di rabbia, e Dio solo sapeva se aveva tutte le ragioni per farlo! Gwen stava giungendo alla conclusione che se non avesse tirato un pugno a Jack, questa volta l’avrebbe fatto lei, quando Ianto si fece avanti, posò la mano sul braccio del Capitano, in un gesto cortese, ma fermo, e lo costrinse a guardarlo.

“Signore, credo che l’agente Parker e Davidson saranno più che disponibili a farci parlare con il sospettato ovunque ci faccia comodo”. Rivolse lo sguardo limpido ai due agenti, implorando una comprensione che – lo sapeva – non erano tenuti a riservargli.

Jack si scrollò la sua mano di dosso con un gesto infastidito, ma Ianto lo afferrò di nuovo, imperturbabile, deciso, costringendolo a rivolgere nuovamente su di lui lo guardo, che si era fatto freddo e duro come il cuore di un ghiacciaio perenne.

Gwen intervenne, sorridendo impacciata ai due ex colleghi.

“Ragazzi, se per voi va bene, sposteremmo Hastings nell’altra stanza… Se il Capitano Harkness crede che la presenza dello specchio possa inficiare l’esito dell’interrogatorio, bhè…” lanciò un’occhiata a Jack, mordendosi il labbro.

“Va bene, Gwen” borbottò Andy, visibilmente contrariato dal comportamento di Harkness, ma incapace di negare un favore all’ex collega.

“Basta chiederle gentilmente, le cose…” aggiunse, immusonito.

Jack si pose sulla porta della cella controllando, le braccia incrociate al petto mentre dietro di lui Ianto si era posto ad una rispettosa distanza e Gwen era andata con gli altri nella saletta attigua per non essere di intralcio. Parker entrò nella stanza degli interrogatori e si chinò sulla sedia per sciogliere le manette a cui il giovane era legato, strinse la sua maglietta nel pugno all´altezza della nuca per evitare gesti inconsulti tirandolo su.

"Sveglia ragazzo, non farti sollevare di peso dai." lo incitò stancamente il poliziotto che già si sentiva esausto per quella situazione talmente incongrua da sembrare quasi una presa in giro.

Avrebbe ormai fatto qualsiasi cosa perché i grandi eroi di Torchwood se ne andassero il prima possibile portandosi dietro problemi e supponenza.

Il giovane non oppose alcuna resistenza, ma nemmeno gli venne incontro. Clive l´aveva visto accadere più di una volta ormai nei suoi anni di onorato quanto sofferto servizio: prima uccidevano

ottenebrati da rabbia o disperazione, poi come se il tocco della follia li avesse lasciati come una nube passeggera annichilivano sotto il peso delle proprie azioni e si rinchiudevano in se stessi. Era la forza repressa della mente che poteva colpire anche la più innocente vecchietta, o era semplicemente qualcosa nel vento a sbloccarli? Poco importava, dopo non restava più nulla né della vittima né del suo assassino.

Che tristi pensieri, tutta colpa della telefonata di sua moglie che lo rendeva malinconico, o del ragazzo che si era rovinato la vita, o del caffè della macchinetta che quel giorno era davvero imbevibile. Quel giorno non era dei migliori. Che Torchwood si togliesse presto dalle palle!...

Sospirò e si girò verso il vetro a specchio da cui sapeva che il folto gruppetto lo stava osservando. Quello era uno dei motivi per cui lo avevano sempre bocciato come ispettore, non sapeva evitarsi di

guardare in quella direzione: sapere senza poter vedere, scorgere solo la propria immagine riflessa pur sapendo che altri lo guardavano gli dava la sensazione di avere dei fantasmi alle spalle.

Lì per lì non si rese nemmeno conto del campanello d´allarme che gli suonò in testa. Assorto nei suoi pensieri, aveva colto qualcosa di incongruente ma la sua mente non riusciva a comprendere ciò che vedeva e lo lasciava come un corpo abbandonato senza guida. Un altro Clive Parker era in piedi di fronte a lui, pallido sotto la luce fredde del neon, un po´ appesantito rispetto all´immagine che aveva di sé stesso, ma sempre in forze nonostante i capelli un po´ radi e bianchi, fermo con una mano sospesa a mezz´aria a stringere... il nulla.

Del ragazzo fra le sue mani lo specchio non aveva alcuna traccia.

Nella stanza accanto lo videro bloccarsi come una statua di sale, la bocca semiaperta dallo stupore. Il giovane Hastings prese a divincolarsi d´improvviso, urlando suoni senza senso, cogliendo il

poliziotto alla sprovvista e sfuggendogli di mano, buttandolo a terra con una spallata e cadendogli sopra stretto com´era ancora il pugno di Clive alla sua maglia.

Gwen urlò e corse verso l´ingresso della cella seguita da Owen.

Julian poggiò il palmo contro il vetro come se potesse attraversarlo.

Ianto vide Jack infilare la mano nel cappotto ed estrarre l´arma, caricarla e puntarla con un movimento fluido. Lo vide entrare con un piede di fronte all´altro a braccia distese, e prima che riuscisse ad entrare a sua volta udì due colpi in serrata successione.

Si udì un rantolo soffocato poi tutto tacque, nella stanza e in quella attigua. Ianto si precipitò accanto a Jack, pronto ad eseguire ogni suo ordine, ma ciò che vide lo lasciò senza parole. Il giovane Hastings era riverso sul poliziotto con un fiore purpureo che gli si andava allargando sulla schiena. Le braccia abbandonate, il polso destro ancora chiuso in una manetta orfana, il capo riverso con gli occhi ciechi.

Ianto accorse, chinandosi sul giovane ed esitando non volendolo spostare. Gli tastò la giugulare, ma non v´era segno di battito alcuno e strinse le labbra in un una fessura di rabbia repressa. Già sentiva

Owen cercare di farsi largo nel corridoio.

"Fermo Andy, aspetta!" Questa era Gwen che tratteneva il suo ex collega.

Ianto respirò, si rendeva conto di attendere, di voler ascoltare qualsiasi cosa pur di non dover fronteggiare il suo timore. Poi strinse i denti e si allungò sopra il corpo del ragazzo, dove Clive Parker non si era ancora mosso né si era sentita la sua voce prodigarsi in colorite bestemmie.

Sul volto pallido di Clive ancora era dipinto lo stupore, come se la morte fosse stato solo un brutto scherzo a coronare una giornata cominciata male.

E poi fu un assordante silenzio.

Ianto si rialzò, guardando Jack incredulo. Vide Gwen afferrarlo per il bavero del cappotto, strattonandolo violentemente. "Che cosa hai fatto!?" chiedeva.

“Che cosa hai fatto!?” ripeté Gwen, strattonandolo violentemente, ma tanto sarebbe valso tentare di smuovere un albero. Né la voce furibonda della ragazza, che continuava sbattergli in faccia quella domanda, sembrava suscitare nel Capitano alcuna reazione, se non una palese insofferenza.

Afferrò i polsi di Gwen e se la staccò di dosso, avviandosi lungo il corridoio da cui erano venuti, incurante dei tentativi concitati di salvare l’agente a terra.

Quando passò accanto a Tosh quest’ultima si ritirò d’istinto, appiattendosi contro la parete, come se fosse terrorizzata solo al pensiero che lui potesse toccarla.

“Dove vai, Ianto?” domando Julian, pallido, inginocchiato al fianco di Owen, i pantaloni imbrattati di sangue.

Ianto non rispose.

Guardò il giovane scozzese, poi il corridoio lungo il quale era scomparso Jack. Se qualcun altro fece caso a lui non lo diede a vedere.


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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Il Nucleo era innaturalmente silenzioso.

Il famigliare ronzio che lo pervadeva, anche nelle lunghe notti nelle quali rimaneva deserto, e che faceva da tappeto sonoro alle sue veglie insonni, buttato sul vecchio e comodo divano di pelle dell’ufficio, era cessato. Come se l’energia che pervadeva quel luogo, alimentando le macchine, tenendo costantemente in funzione i sistemi di sorveglianza, si fosse esaurita.

Perfino le luci erano spente, salvo quelle di emergenza, che gettavano un alone rossastro tutt’intorno, confondendo i contorni delle cose e rendendo più che mai labile e indistinto il confine tra realtà e ombra.

Ianto Jones trattenne il respiro, muovendosi in quella luce innaturale, sgradevole.

Gli sembrava di essere tornato indietro alla notte in cui Lisa si era risvegliata, e lui l’aveva perduta, senza avere nemmeno il tempo di capire, senza poter sapere cosa sarebbe stato, se solo gli altri, no, se solo Jack Harkness gli avesse permesso di calmarla, di farla ragionare…

Quanto l’aveva odiato, allora! Solo il dolore che lo consumava, ottenebrando le sue percezioni, rallentando le reazioni, era stato più intenso dell’odio che provava.

Come aveva potuto essere così spietato? Con che freddezza i suoi occhi avevano decretato la sentenza capitale, privi di pietà, come quelli di un angelo di pietra nel cuore gelido di una cattedrale d’inverno?... Bello e crudele, e quella crudeltà, unita a quella bellezza indecente per un uomo, costituiva una bestemmia di fronte alla creazione, un peccato mortale che nessuno dio sembrava intenzionato a lavare, nonostante tutto…

E lui, Ianto Jones, il più miserabile degli esseri umani, si era reso conto, col passare del tempo, di avere bisogno di quella crudeltà, di non poterne fare a meno, di aver trovato in essa un’altra ragione per vivere, e per morire.

“Jack?” chiamò, la voce più ferma di quanto non si fosse aspettato. La mano che impugnava la pistola restava distesa lungo il fianco.

"Jack" ripeté e la sua voce si disperse nel silenzio. Jack.

Fra le ombre sanguigne del nucleo si nascondevano quelle, più inquietanti, del suo passato, tutti i suoi rimorsi, tutto il dolore di un tempo che gli era rimasto attaccato alle ossa come le cicatrici di una malattia, come un predatore in agguato pronto ad affondare i denti.

Ianto si fermò per ascoltare i suoni familiari della base, ma nuovamente gli rispose solo un minaccioso silenzio.

Solo. Il pensiero lo colpì con una fitta al petto. Respirò. Solo...

Si voltò su se stesso cercando nel buio, imponendosi di respirare e ricacciare indietro quella fitta dolorosa al petto che era stata il sigillo del suo spirito per così tanto tempo, quando ogni gesto era un dovere ed ogni sorriso accuratamente preparato.

Chissà dove sarebbe stato ora se Jack non gli avesse impedito di andarsene? Sulle prime era stato il lavoro la sua ancora di salvezza, la sua armatura di perfetta, distaccata efficienza, l´unico luogo nella sua vita in cui le cose sembravano essere lontane dal baratro anche nei momenti peggiori. Erano stati giorni taglienti per la sua anima ed allo stesso tempo giorni ardenti.

"Jack"

Le ombre non risposero, non risposero le luci sanguigne dell´impianto di emergenza.

Ianto strinse i denti e maledisse ogni passo che l´aveva portato fino a lì, dall´incubo che non aveva ascoltato a tutti quei piccoli gesti che non aveva voluto cogliere, perché Jack era sempre lui,

imprevedibile, indecifrabile. Potevi solo fidarti ciecamente ed abbandonarti. Ma fino a dove, fino a che punto?

"Ianto."

Quasi gli sembrò di non sentirlo, come se fosse una semplice eco dei suoi richiami. Si costrinse a tenere l´arma distesa contro il fianco mentre cercava di capire da dove giungesse la voce.

"Sei venuto per me?" nuovamente, alle sue spalle, così vicino da sentirne il caldo respiro sul collo. Una mano gli scivolò lungo il braccio, sciogliendo con gentilezza le dita che stringevano dalla pistola.

Ianto deglutì, combattuto tra la paura e il folle, irrazionale desiderio di voltarsi e gettarsi tra le sue braccia, incurante di ciò che sarebbe potuto accadere, desideroso, anzi, che tutto si compisse in fretta, in un modo o nell'altro.

Si sforzò di ignorare quell'impulso, come i brividi che scaturivano dal punto della sua nuca su cui il respiro caldo di Jack andava a morire, sferzandolo con scariche elettriche insostenibili.

Si voltò, lentamente, docilmente, la dita intrecciate a quelle di Jack, la pistola ancora nella mano, puntata al ventre di quest'ultimo.

“Sì, Jack, come avevo promesso” rispose, stancamente.

Il volto dell'altro si distese in un sorriso morbido come il velluto, mentre il suo corpo si premeva contro di lui, contro la canna della pistola spianata, con la voluttà di un amante anelante l'amplesso.

“Bene. E Ianto Jones mantiene sempre le sue promesse, vero?” domandò, insinuante, la voce dolce e vischiosa come miele, un delizioso veleno sonoro.

A Ianto parve che il suo volto si velasse di una nebbia traslucida, per un istante. Ma forse erano solo le lacrime che gli pungevano le palpebre, inopportune, superflue.

Rimase immobile quando Jack si protese verso di lui, e le sue labbra calde si posarono sui suoi occhi, raccogliendo quel pianto con un bacio, un altro.

Ma quando si staccò da lui e lo spazio che li separava fu più ampio di quello di un respiro, Ianto vide gli occhi dell'altro brillare sinistri, come zaffiri maligni, e seppe che avrebbe dovuto agire, e in fretta.

“Sì” sibilò Jack, come se gli avesse letto nella mente, “devi essere svelto, Ianto, molto svelto...”

E Ianto sapeva cosa fare.

Per il calore del suo abbraccio, per lo sguardo in cui amava perdersi, per le catene che li legavano...

Fissò in quegli occhi pieni di menzogna.

Ma non poté sparare.

Jack non gli usò tanta premura. Si liberò dell´arma che li separava strappandogliela di mano e gettandola nell´oscurità, dove si perse con un freddo rimbalzo, e lo prese per una spalla spingendolo contro l´arco della zona autopsia.

Stringendogli il mento nella mano Jack lo costrinse a voltarsi lentamente, prima da una parte, poi dall´altra, come se ne stesse studiando il cranio sotto la pelle.

"Cosa ti succede, piccolo maggiordomo? Dove è finita tutta quella cieca dedizione?"

Tornò a posare i suoi occhi algidi su di lui, allargando il sorriso, facendo schioccare le lingua come avrebbe fatto un serpente che annusa l´aria.

"E´ paura quella che sento, mio piccolo compagno di giochi?..."

Ritrovandosi impotente e sconfitto Ianto sentì crescere in se stesso la rabbia della disperazione, una forza che montava come una marea, che non avrebbe saputo trattenere, che lottava per uscire dalla gola, dai denti serrati, dallo sguardo. Il respiro gli bruciava in petto.

Jack socchiuse gli occhi sollevando appena il mento e per prendersi gioco di lui gli posò un dito sulle labbra come se ogni suo gesto fosse in realtà vano. Ne scrutò gli occhi profondi e lucidi di rabbia animale e lo schiacciò ancor più con il suo corpo per cogliere il soffio del suo spirito ardente, per baciare le sue labbra e morderle affondando con i denti nella morbida carne, contagiato da tutta quella disperata vita.

Ianto pressato nel corpo da quel peso, stretto alla gola dalla mano che ben altre emozioni sapeva elargire, si sentì lentamente soffocare e reclinò indietro il capo. Socchiuse gli occhi per mantenere a fuoco le cose e la rabbia si fece lacrime che scivolarono veloci dal volto.

“Shhhh...” sibilò la voce di Jack, o di ciò che di Jack era rimasto in quell'essere, dolce, consolatoria, mentre le dita affondavano nella carne tenera della gola di Ianto, mozzandogli il respiro.

“Basta lacrime, basta dolore... Hai recitato la parte... Settimana per settimana... Giorno per giorno... Ora per ora... Sei stato bravo, Ianto Jones, ma adesso è ora di passare dall'altra parte” continuò, passandogli la lingua sulla guancia, con un umida carezza che leccò via il sale delle lacrime, confondendo la loro scia sulla pelle.

Ianto sapeva, sentiva che avrebbe dovuto reagire, lottare. Sarebbe morto se non lo avesse fatto. Ma che importanza aveva, arrivati a quel punto? Tuttavia l'istinto di sopravvivenza spinse il suo corpo all'azione, prima che la mente potesse formulare un pensiero razionale. Le sue mani scattarono in avanti, spintonando via Jack, e le sue gambe balzarono di lato, scartando un eventuale assalto, nella direzione in cui la pistola era caduta. Ianto incespicò, cadde, sentì il suo ginocchio esplodere in un grumo pulsante di dolore, quando urtò contro una sporgenza metallica. Udì un ruggito alle proprie spalle, ma non si voltò. Quello che avrebbe potuto vedere non poteva essere peggio di ciò che aveva già visto.

Individuò la pistola che sporgeva da sotto un mobile e un po'correndo, un po'trascinandosi si lanciò in quella direzione.

Sentì le proprie ossa scricchiolare, il corpo cedere quando l'altro gli fu addosso, schiantandolo col proprio peso a terra, cercando di bloccargli braccia e gambe. Ma questa volta Ianto Jones non si arrese, si rivoltò, combattè con le unghie e coi denti, sferrando pugni e calci, mordendo l'aria, come quando, da ragazzo, faceva i conti con la propria vita nei sobborghi di Londra, annaspando per non andare a fondo nella merda.

"Tutto solo Ianto Jones, era una questione personale?"

Ianto cercava alla cieca la pistola guadagnando a stento pochi centimetri di speranza.

"Ora è ora di passare dall´altra parte" disse la voce di Jack facendosi roca e rovinando in una eco inumana. "Dove non esiste tempo e non esiste dolore."

Era il momento, l´ultima occasione, l´ultimo tentativo. Ianto si allungò con tutto se stesso per raggiungere la pistola annidata sotto il mobile e finalmente la sfiorò con le dita, l´allontanò toccandola ma nuovamente la raggiunse incurante della camicia che lo strozzava, annaspò per avvicinarla con le unghie ed infine la impugnò. Voltandosi con le sole spalle in un modo che sembrava senza speranza, sentendo la schiena protestare ed i nervi uscir di sede riuscì a portare la spalla destra sotto il corpo e voltare il capo verso la cosa che lo tratteneva.

La pistola nelle mani, l´orrore negli occhi, sparò.

Ci fu un sibilo, uno suono come di infranto. Poi il silenzio.

Ianto lottò per respirare, schiacciato dal peso della creatura che gli si era afflosciata sopra. La creatura... Jack... Con un singhiozzo cercò di liberarsi, incurante del ginocchio dolorante, della carne cedevole e inerte nella quale le sue dita affondavano, mentre cercava di spingerlo via. Il suo cappotto... il suo odore... Come aveva potuto?!...

Poi una risata roca sgorgò dalla gola di Jack Harkness, o chiunque egli fosse, e Ianto si ritrovò a fronteggiare ancora quegli occhi freddi, inumani, simili a specchi nei quali si rifletteva solo la sua paura.

Gridò quando la bocca dell'essere si abbattè su di lui, puntando alla gola, e in quel grido credette si sarebbe annullato ciò che restava della sua anima.


“Jack! Ianto!”

Fu Gwen la prima ad entrare nel Nucleo, seguita da uno scarmigliato Julian.

Toshiko riattivo il sistema e i neon si riaccesero, inondando di una fredda luce bianca tutto l'ambiente.

“Qui c'è del sangue!” Gwen si precipitò al fianco di Owen, gli occhi chiari dilatati dall'apprensione.

“E qui c'è la pistola di Ianto” aggiunse Julian, sollevando da terra l'arma.

“Ma che accidenti è successo?!” inveì Gwen, guardandosi intorno come se il colpevole di qualsiasi cosa fosse successa lì dentro fosse tra i suoi compagni.

“Non lo so” mormorò Toshiko, digitando sulla tastiera.

“Il sistema di videosorveglianza è stato manomesso... cioè... “ si schiarì la voce, come se temesse di proseguire dando voce al proprio dubbio.

“Cioè cosa?” le si affiancò Owen, la fronte aggrottata.

“Cioè... qualcuno che conosceva i codici lo ha disattivato....” concluse mestamente la giapponese.

Owen masticò una bestemmia.

“E adesso? Che accidenti facciamo?” domandò Gewn, sempre pericolosamente in bilico tra rabbia e preoccupazione.

"Le tracce di sangue proseguono verso l'uscita" osservò Julian che aveva raccolto l´arma dell´amico e l´aveva infilata alla cintura dietro la schiena, un gesto che aveva imparato guardando Gwen.

"E´ ora di parlare chiaro. " intervenne Owen. "C´e´ qualcosa che non va in Jack, ha ucciso un ragazzo e va bene, poteva essere posseduto da chissà quale alieno, ma non aveva alcun motivo per freddare anche il poliziotto!"

Buttò con rabbia la busta con gli effetti personali del ragazzo sul tavolino vicino al divano da dove cadde per l´impeto. I suoi vestiti erano ancora ricoperti di sangue, così come quelli di Julian che aveva tentato di aiutarlo seguendo passo passo i suoi ordini.

"Si comporta in modo strano" rincarò Toshiko che aveva ancora lo sguardo fisso sui segni di sangue che mostravano come qualcosa fosse stato trascinato di peso. Sembrava immaginare quanto poteva essere accaduto con dovizia di particolari.

Quando tentava di tranquillizzare i suoi ex colleghi si era dimostrata sicura e confidente, ma ora ogni maschera era crollata e camminava avanti e indietro, mettendosi una mano sulla fronte per pensare meglio e per nascondere la vista della stanza dell´interrogatorio che ancora le aleggiava davanti agli occhi.

"Si ma dov´e´ Ianto? Cosa è accaduto. Non pensate davvero che Jack abbia potuto fargli del male?" chiese Toshiko esitante, senza davvero voler una risposta.

"Potrei controllare se questo è il suo sangue." propose Owen.

"Non c´e´ tempo." Gwen tagliò l´aria con una mano. "Dobbiamo sapere dove sono. Tosh, controlla se c´e´ ancora qualcuno nel Nucleo, forse è una falsa pista quel sangue, e controlla se trovi agenti esterni contaminanti. Owen... il corpo del ragazzo può aspettare, cerca Ianto e Jack con loro segnalatori."

Owen annuì. Era chinato accanto a Julian, aiutandolo a raccogliere gli oggetti del giovane Hastings che gli erano caduti dal tavolo. Quando riabbassò lo sguardo per prendere il raccolto dalle mani di Julian e mettersi alla ricerca dei due compagni notò che Julian si era fermato nel mezzo, osservando uno stupido pezzetto di carta. Come se quello fosse il momento più adatto per perdersi dietro ai propri pensieri!

Stava per riprenderlo a male parole per le sue divagazioni quando lo vide alzarsi, abbandonando tutto a terra tranne quel pezzetto di carta.

"No Owen" gli si rivolse Julian guardandolo dall´alto in basso. "Fai l´autopsia al ragazzo , è vitale."

Gwen sgranò gli occhi e serrò la mascella pronta a farsi sentire, ma Julian alzò il foglietto strapazzato fra le mani per mostrarlo a loro, come se fosse la chiave.

"Tosh, controlla nel lunapark che è arrivato due giorni fa in città, è qui vicino. Questo biglietto viene da li. Scommetto che ci sono state anche le due vecchiette. Gwen, " riprese voltandosi, in preda all´impazienza e si fermò vedendo il suo sguardo torvo.

Lei lo fissava irata, poco mancava che pestasse un piede. "Ma cosa ti prende, Jack e Ianto sono più importanti, non ha importanza dove sono state le vittime, loro vengono prima."

Julian sembrò sorpreso, prese fiato ma non se la prese a male, rigirò piuttosto il biglietto nella mano e lo strinse nel pugno, prima di dire : "Gwen, io Ianto e Jack oggi siamo stati in quello stesso parco.

Adesso, vuoi venire con me?"



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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


PARTE V


Giunsero al luna park al calar del sole.

Il cielo sulla baia era lavanda e oro, nuvole che si levavano ad altezze vertiginose, come colonne di fiamme, grondando sangue sul mare piatto, purpureo.

Le luci rutilanti delle attrazioni erano già accese, il loro bagliore variopinto che impallidiva sullo sfondo di quell'incendio celeste. Una cacofonia di musiche in filodiffusione, irrispettose le une delle altre, riempiva l'aria, già satura dell'odore dolciastro delle frittelle e dello zucchero filato.

Owen sorprese Toshiko che guardava con desiderio un baracchino dal quale diversi bambini si allontanavano portando con sé una nuvola rosa e zuccherina. La giapponese arrossì di fronte a quello sguardo duro.

Incuranti della presenza, seppur ancora esigua, dei visitatori, seguirono Julian che, con passo sicuro, li conduceva verso il labirinto degli specchi.

“Eccolo!” indicò ad un certo punto lo scozzese, riconoscendo il tendone blu notte e argento.

“Sembra ancora chiuso” osservò dubbioso Owen, socchiudendo gli occhi. In effetti, a differenza delle altre attrazioni, che al calar delle ombre sembravano essere risorte ad una nuova e luminosa vita, il labirinto degli specchi appariva deserto e abbandonato. Anzi, la mancanza della luce capace di rendere reali i suoi infiniti giochi visivi, lo faceva sembrare ancora più cupo e sinistro...

“Al diavolo, entriamo e basta!” protestò Gwen, scostando stizzita i pesanti tendaggi, solo per arrestarsi di fronte alla solida parete di cristallo, dalla quale la sua immagine la fissava, agguerrita e pronta a tutto, e tuttavia impotente.

Eliminato il tendone, presero a tastare le pareti lisce e fredde, girando intorno alla struttura, apparentemente così fragile, eppure impenetrabile.

“Sicuri che siete entrati?” domandò Toshiko, rivolta a Julian.

Lo scozzese emise un grugnito di assenso, spingendo, inutilmente, una lastra di vetro.

Poi, un attimo prima che Gwen, spazientita, tirasse fuori la pistola e facesse fuoco sul uno specchio a caso, il cuore stesso del labirinto parve accendersi di una luce rossa, mentre, contemporaneamente, una musica di violino scaturiva da un luogo imprecisato, e tutta la struttura iniziava a ruotare su se stessa, rendendo ancora più ingannevole il ricorrersi dei riflessi nei riflessi.


Julian sollevò lo sguardo d´istinto a quella musica e sentì sorgergli un sorriso sulle labbra. Sollevò lo sguardo verso quel castello di cristalli che andava prendendo vita e rimase incantato nonostante la drammaticità del momento. Il tempo scorreva loro come sabbia fra le dita, i loro compagni erano nelle mani di qualcosa di incomprensibile ed alieno, ma nonostante questo, nonostante tutto questo, quel suono vibrato e dolce suscitava in lui un senso di malinconia che lo riscaldava.

"Qualcuno ci sta prendendo in giro" disse Owen allontanandosi di qualche passo per vedere l'edificio nella sua interezza, il naso all´insù verso quei balconi che occhieggiavano rossastri nella notte.

Valutò la parete, la pistola impugnata e tenuta a due mani di fronte a lui, canna verso il basso. "Che ne dite se invece di seguire la strada indicata non entriamo dalla porta di servizio? Sono certo che li in alto non hanno messo nessun trucco da baraccone per bloccare l´accesso."

Gwen lo raggiunse di corsa per controllare a sua volta, i capelli sciolti che si agitavano come una nube attorno a lei ogni volta che si voltava di scatto.

"Si, si potrebbe... ma perché semplicemente non rompiamo questi maledetti specchi?"

Nessuno le rispose. Non c´era un buon motivo per non farlo, certamente non erano dicerie come gli anni di sventura a fermarli, ma ognuno di loro, anche la stessa Gwen, sentiva che quel luogo era vivo e pronto a difendersi, che fossero gli specchi o il violinista o lo stesso padrone del castello.

"Da che parte siete entrati Julian." chiese allora Gwen rivolgendosi allo scozzese ancora assorto a contemplare la propria immagine stupita nel cristallo.

“Difficile dirlo, soprattutto ora che si muove” arricciò il naso lui, massaggiandosi la nuca.

“potremmo provare quel ballatoio lassù... almeno dà l'impressione di essere un po'più solido” propose Toshiko, e il suo intervento suscitò uno scoppio di ilarità in Owen.

“Scusate” sogghignò il medico, cercando di darsi un contegno, “ma mi è venuta in mente la faccenda del gatto che si arrampica sugli specchi... avete presente, no?”. Ma a parte un sospiro da parte di Tosh, la sua uscita non fece sensazione.

Ma, gatto o non gatto, l'impresa non si rivelò delle più facili.

Già arrampicarsi su una superficie liscia e senza appigli era un'impresa che avrebbe generato frustrazione in animi meno allenati, ma il fatto di doverlo fare, almeno teoricamente senza dare nell'occhio risultava pressochè impossibile. E questo sebbene, per qualche strano motivo, avessero l'impressione che nessuno, tra i visitatori che affollavano sempre più numerosi il Luna Park, potesse scorgerli...

Gwen era voltata verso la via e con un braccio alzato come usava fare, pronta a dichiararsi Torchwood a piena voce, ma non passò molto che si ritrovò ad abbassarlo, interdetta. Nessuno la guardava, nessuno guardava non solo nella direzione di un gruppo di persone in nero che si arrampicavano come ragni su uno specchio ma verso l´edificio più appariscente del luna park in quel momento. Gwen si voltò a guardare i compagni per vedere quanto se ne rendessero conto, poi come ultima verifica si mise giusto davanti ad una famigliola che le veniva incontro e questi si spostarono si dalla sua strada, ma senza dar a vedere di averlo fatto per lei.

"Ragazzi... sbrighiamoci, questo posto non mi piace. Non mi sono mai piaciuti i Luna Pack."

Owen aveva raggiunto il secondo piano nel frattempo, aiutato da Julian sotto di lui ma si trovava nell´ingrata situazione di non trovare altre appigli per salire. Oltre, naturalmente, a sentirsi molto

stupido.

"Attento Owen." Disse sotto di lui Toshiko e lo guardava salire sulle spine.

"Oh, beh, grazie Tosh, adesso si che farò attenzione."

"Forse dovremo cercare una uscita sul retro." rincarò lei. "Sarebbe più sicura."

"Non vorrei ricordartelo ma noi diamo la caccia agli alieni, non c´è nulla di sicuro."

"Non per questo devi spezzarti l´osso del collo salendo su una parete di specchi se ci sono altri ingressi." rincarò lei.

Per Owen fu troppo. Già sentiva tutti i muscoli bruciare per quello sforzo ingrato, già Toshiko e Gwen se ne stavano imbambolate invece di cercare vie alternative, la spalla doleva e sapeva che non sarebbe riuscito a sollevarsi un centimetro di più. Peggio, il piede destro non aveva alcuna sporgenza sicura e restava li mezzo appeso contro uno specchio. Le parole gli uscirono di bocca prima che potesse mordersi la lingua, se mai Owen Harper l´aveva fatto, e si voltò d´istinto verso , Toshiko. Tanto bastò al suo peso per spostarsi, il piede perse la presa e si sentì inesorabilmente tirare indietro dalla forza di gravità mentre sotto di lui Julian, per aiutarlo, aveva fatto un passo indietro.

Cadere avrebbe fatto male, Owen lo sapeva, ma per un attimo rimase sospeso a mezz´aria e immaginò quanto grotteschi clown dovevano sembrare, lui e Julian uno sopra l´altro, in quel momento.


Ianto aprì gli occhi, faticosamente, lottando per emergere dal torpore che gli immobilizzava le membra, gli ottenebrava i sensi.

La coscienza giunse fin troppo in fretta, e con essa il dolore, sordo, pulsante, che gli mordeva il collo come una cosa viva. Quanto a muoversi... Per un attimo credette che le sue percezioni fossero irreparabilmente compromesse, e che i suoi occhi gli stessero giocando uno scherzo sinistro.

D'istinto alzò le braccia davanti a sé, ad incontrare la fredda superficie di uno specchio, da quale un se stesso stravolto, irriconoscibile, lo fissava. Girò su se stesso, solo per incontrare ancora i propri occhi, due, tre, sei volte. Si trovava all'interno di una sorta di prisma, a base esagonale, una bara di specchi che gli lasciava appena lo spazio sufficiente per muoversi. Il panico s'impadronì di lui, prepotentemente evocato da quella costrizione, dall'incombere soffocante di quelle pareti liscie e fredde, che lo illudevano con la beffa di infiniti corridoi proiettati verso una non meno rassicurante oscurità...

Girò ancora su se stesso, in preda ad un'agitazione crescente, incurante del dolore al collo, dell'odore dolciastro del proprio sangue che imbrattava la camicia ai suoi doppi prigionieri. Girò e picchiò le pareti coi pugni chiusi, la voce che sfuggiva dalla gola arsa in un grido inarticolato, che si evolveva, esasperandosi.

Ruotava così vorticosamente che quando i suoi occhi colsero un'immagine differente non la registrarono subito, ma dovette tornare a voltarsi di scatto, come se qualcosa, annidato nella coda del suo occhio, fosse fuggito all'improvviso.

Restò immobile, quando vide alle spalle del proprio riflesso emergere apparentemente da uno dei corridoi d'ombra, la figura di Jack.

Si voltò, ma si trovò a fronteggiare di nuovo se stesso, solo, gli occhi dilatati iniettati di sangue, velati di follia.

Sollevò di nuovo le mani, ruotando su se stesso, più lentamente, fino a tornare a guardare nella direzione in cui aveva visto, o gli era parso di vedere, l'altro uomo. Pareti levigate, fluide, scorrevoli, di nuovo il proprio volto sgomento, e di fianco, il mento quasi appoggiato alla sua spalla, quello disteso e ammiccante di Jack Harkness...

D'istinto mosse le mani in avanti, sebbene fosse consapevole che, ammesso che ci fosse qualcuno con lui, avrebbe dovuto trovarsi alle sue spalle. Ma la consapevolezza non aveva ragione d'essere in quel luogo, che sfidava ogni logica, deformava ogni percezione, alterava arbitrariamente ogni convinzione.

Non incontrò nulla davanti a sé, laddove era certo che ci fosse, fino a poco prima, uno specchio, e avanzando di un passo si rese conto che il riflesso era un poco più avanti, e che era uscito, in qualche modo, dalla sua prigione di vetro solo per trovarsi in un'altra stanza non meno angusta, che gli si chiudeva intorno in un reiterato gioco di rifrazioni ingannevoli.

Urlò di rabbia, urlò di paura, batté i pugni contro il suo io riflesso e quasi si stupì di non sentire alcun dolore. Un senso di nausea lo stava assalendo al punto che non osava più voltarsi a guardare gli infiniti volti sconvolti di Ianto Jones. Né voleva cercare il volto sorridente di Jack per scoprire se era reale o il suo incubo. Si portò una mano alla bocca per non urlare e da li il passo fu breve verso

quel sordo dolore al collo che non sapeva ben definire ma che sembrava andare al ritmo del suo cuore in tumulto.

Da ogni dove giungeva il canto stridulo del violino che strappava alle corde una melodia aliena ed inquietante. Ianto alzò lo sguardo al soffitto in cerca di aria per respirare ed anche li si ritrovò, un

volto fatto tutto di occhi sgranati annegati nel panico. Una luminosità rossastra si propagava pulsando fin sopra di lui. Dovette cercare gli specchi con le mani per appoggiarsi, perché lo colse un senso di vertigine ed una profonda nausea. Erano freddi sotto le mani, spiacevoli al tatto e quasi sfuggenti ma non poté far altro che appoggiarvisi anche con la schiena, sperando che se non si fosse

guardato alle spalle avrebbe potuto immaginare un muro solido e sicuro.

E poi vide di nuovo Jack. Gli dava le spalle, immobile davanti all'ennesimo specchio, che rifletteva la sua immagine. Fu con quest'ultima che Ianto incrociò lo sguardo, nel momento in cui il Capitano alzava un pugno per colpire la superficie riflettente, e poi un altro pugno, e un altro ancora, provocando una serie di lenti, cadenzati rintocchi.

Ianto mosse un passo in avanti, incerto riguardo a cosa avrebbero trovato i suoi piedi. La figura nello specchio aveva la bocca spalancata in un ininterrotto grido silenzioso, mentre seguitava a picchiare i pugni con crescente violenza. Come se volesse uscire.

Continuò anche quando la figura davanti allo specchio si voltò a fronteggiare Ianto, un sorriso cattivo sulle labbra.

In quel mentre mille pensieri gli traversarono la mente.

Sapeva,sentiva, che in un altro momento ed in un altro luogo avrebbe capito con chiarezza cosa stava accadendo ma ora i suoi senti erano ottenebrati come se si trovasse imbrigliato nelle maglie di un sogno.

Quel sorriso tagliente e crudele si faceva strada prepotentemente nella sua mente, forte della minaccia letale che prometteva.

Sentì il desiderio di allontanarsi, ma alle sue spalle c´era un muro di vetro.

Avrebbe voluto chiedere aiuto, ma la sua voce era muta quanto quella del Jack nello specchio, quello che continuava a guardarlo e a chiamarlo prendendo a pugni la propria prigione.

Il Jack nello specchio...

Quel pensiero vagò nella mente di Ianto come una eco solitaria.

Il Jack nello specchio, che urlava e chiamava.

Ianto spostò lo sguardo dall´uno all´altro colto da una improvvisa, sorprendente speranza. Se la sentì crescere dentro come una pianta che si risveglia al sole e senza rendersene conto inspirò aria nei polmoni e raddrizzò le spalle, riprese a sorridere anche se l´incubo gli era ormai addosso con i suoi occhi troppo sgranati e i denti candidi dietro labbra tirate in una piega malevola.

La sua seconda possibilità, pensò Ianto, quella che non si sarebbe lasciato scappare anche se avrebbe dovuto combattere con le unghie e con i denti fino all´ultimo brandello di anima. Qualcosa gli diceva che proprio di quello si trattava.

Non attese allora di subire gli eventi, ma si scagliò addosso alla figura del suo incubo per bloccarla contro un muro di specchi. Scaricò in quello slancio tutta la rabbia repressa ed ogni timore, da quando quell´essere, ora lo sapeva, si era introdotto nei suoi sogni. E quello come un manichino sembrava incassare ogni colpo senza patirne l´effetto. Ianto gli era addosso, premendolo contro gli specchi e stringendogli il collo con il braccio, osservando i suoi lineamenti, ma ricacciando indietro ogni dubbio dimentico di ogni pietà fino a quando non si rese conto che anche il suo Jack, quello al di là dello specchio, era accanto a loro, la mano posata contro il vetro che li divideva, e cercava di dirgli qualcosa.

"Che ti prende, piccolo maggiordomo?" sibilò il suo avversario, digrignando i denti e fissandolo con occhi traboccanti odio e scherno.

"Non vuoi passare dall'altra parte? Come mai? Lo desiderano tutti.. alla fine è quello che tutti noi vogliamo!"

Gli occhi di Ianto correvano frenetici dall'essere contro cui lottava alle labbra di Jack, nello specchio, sforzandosi di leggere da esse il muto suggerimento che tentava di comunicargli.

Cosa, cosa avrebbe dovuto fare? Penso freneticamente.

Le due anziane signore, l'uomo che aveva cercato di affogare il figlio... si erano scagliati contro uno specchio... Stavano tentando di rientrare? Ma nel farlo erano morti, non solo i loro doppi, ma, presumibilmente, anche gli originali intrappolati...

"Cosa devo fare, Jack?!?" gridò disperatamente, assestando un altro colpo alla creatura che continuava a divincolarsi.

"Prendimi per mano, Ianto..." sibilò quest'ultima, accusando appena il colpo, un rivolo di sangue che sgorgava dalle labbra carnose rendendole ancora più rosse.

"Prendimi per mano e passa con me dall'altra parte..."

Ianto agì, agì in fretta. Scaraventò l'essere lontano da sè, lontano dallo specchio, e senza esitare buttò le mani in avanti, con tutta la forza che aveva.

Si preparò all'urtò, doloroso, all'istante in cui il vetro avrebbe squarciato la pelle delle nocche, conficcandosi in schegge affilate nella sua carne.

Invece incontro il calore di altre mani, che afferravano le sue.

Le mani di Jack.

Non ebbe bisogno d'altro.

Tirò con tutte le proprie forze, incurante della sensazione di gelo che gli stringeva i polsi, risalendo lungo le braccia, ignorando il richiamo insostenibile che lo invitava a lasciarsi andare, a cedere. Lo specchio si fletté, con un suono stridente, poi parve rientrare in se stesso, deformandosi, ed infine esplose, investendolo con una tempesta di frammenti e polvere scintillante.

Ianto serrò gli occhi, sentendosi cadere all'indietro.


Come quando scoppia una bolla di sapone, con un suono che l´orecchio non coglie, ma lascia sempre stupito lo spirito, allo stesso modo qualcosa si ruppe nel labirinto di specchi e tutti coloro che all´esterno si affannavano per entrare si guardarono stupiti l´un l´altro chiedendosi cosa fosse accaduto. Nulla nell´aspetto sembrava essere mutato, dall´interno traspariva ancora una sua luce malevola ed inquietante.

Fu Toshiko la prima a comprendere.

"Il violino" disse "non suona più, sentite"

Gli altri dovettero concentrarsi per ricordare che c´era stata una musica e comprendere che ora non ne restava che il riflesso a propagarsi nel tempo.

"E´ successo qualcosa, dobbiamo entrare." Gwen guardava la facciata cercando qualche traccia di movimento.

"Ma brava." Commentò a denti stretti Owen dondolandosi dalle sbarre della balconata dell´ultimo piano mentre Julian sotto di lui era salito a sua volta al primo piano gli faceva da appoggio. "Secondo te noi esattamente cosa staremmo facendo?"

"I buffoni!" rispose lei schietta.

"Ma sentitela... la principessina. Ne ho le palle piene di te Gwen, sappilo."

"Ahh! Ora che lo so vivo meglio, ti ringrazio Owen. Ed ora volete scendere di li o preferite che vi usi per migliorare la mira?"

"Non perdi occasione per prendere in mano una pistola Gwen, in effetti mi ricordo quanto ti piaceva."

Toshiko e Julian tacevano di fronte alla situazione tragicomica. Non volendo alzare la voce preferivano il silenzio ma si scambiarono sguardi preoccupati perché si rendevano conto che il labirinto era mutato e qualcosa era in attesa. La giapponese si avvicinò agli scalini di metallo argentato, alti e stretti, e li risalì guardando da vicino gli specchi. Aguzzò lo sguardo, si guardò alle spalle sgranando gli occhi per poi controllare nuovamente negli specchi. Dietro di lei Owen e Gwen continuavano la loro partita di insulti mentre Julian la stava seguendo con lo sguardo.

"Manca il mondo" sussurrò, sfiorando lo specchio di fronte a lei con una mano. La sua immagine la seguiva docilmente nei gesti, ma attorno a lei non v´era altro che una indistinta rossa luminosità.

Agli altri non fu subito chiaro di cosa stesse parlando, ma poi Julian, che era sceso a terra lasciando Gwen e Owen al loro battibecco, le si accostò, socchiudendo gli occhi.

Nello specchio, lui e Toshiko sembravano due figure ritagliate e incollate su uno sfondo vuoto, circondati solo da quella rossa assenza, come se non esistesse nessun Luna Park, e intorno a loro ci fosse solo un nulla sospeso.

"Accidenti...." borbottò, inclinando la testa da un lato e restando quasi sorpreso che la sua immagine lo imitasse docilmente.

"Ha anche smesso di girare, sarà un buon segno?" sopraggiunse Owen pulendosi i pantaloni dalla polvere causata dalla precedente caduta.

La frase era ancora in sospesa, quando il primo specchio esplose, con un fragore assordante, seguito da uno scroscio di vetri.


Toshiko si coprì la testa con le braccia, spaventata dal rumore mentre Owen estraeva la pistola e si preparava a qualsiasi evenienza. Julian fece qualche passo indietro, raggiunto da Gwen, per guardare la facciata e comprendere cosa stesse accadendo. Fu solo allora che compresero che quel primo specchio era solo un proemio per una sinfonia di vetri infranti che dai piani superiori caddero loro addosso come una pioggia tagliente. Julian fece appena in tempo a prendere Gwen per un polso e tirarsela addosso per coprirla con il proprio corpo come e quanto più gli riuscì. Lei ne rimase così sorpresa che lo lasciò fare e per il tempo di uno scrosciare di cristalli si ritrovò stretta contro di lui, nella sicura penombra del suo abbraccio. Quando tornò il silenzio Gwen esitò un momento, poi si spinse via poggiando le mani sul suo petto, battendovi sopra leggermente come per togliere la polvere e fissando con impegno le proprie mani.

Un ultimo scroscio di vetri ritardatari li richiamò all´ordine, si scambiarono uno sguardo ed estrassero insieme le pistole per volarsi a fronteggiare qualsiasi cosa li attendesse. Tuttavia impiegarono qualche momento a capire cosa questo fosse. Come una bolla di sapone il labirinto era esploso in una miriade di frammenti ed ora ne restava solo il suo scheletro sottile, fatto di riquadri malinconici che incorniciavano il vuoto. Un suolo di frammenti sottili come sabbia scricchiolavano sotto i piedi mentre ovunque spicchi di vetro infranto spiccavano incastrati con le punte verso il cielo sottili come rasoi.

Altri ancora pendevano dal soffitto in modo assai poco rassicurante, dando l´impressione di attendere soltanto uno sprovveduto. Sembrava in tutto un paesaggio lunare, anche nella sua sospesa immobilità.

Gwen mormorò: "Ma cosa è successo?"

Nessuno rispose, i loro sguardi correvano su quella desolazione in cerca di una forma familiare, il fiato sospeso nell´attesa. Owen fece un passo avanti, incerto sulle prime, e si sentì il rumore del vetro che urlava e strideva prima di sbriciolarsi come fosse stato vivo.

Poi, qualcosa si mosse.

Lo udirono distintamente tutti, anche se non capirono da dove arrivasse. Poco importava, fu sufficiente a infrangere il senso di meraviglia che li tratteneva e presero a correre verso il cuore della distesa di specchi, chi scivolando, chi spaccando sotto i piedi, in una frenetica ricerca.

E fu così che li trovarono, Jack e Ianto, raggomitolati a terra, in mezzo a quel deserto di cristallo, il primo che abbracciava l'altro, avvolgendolo completamente nelle falde del proprio cappotto, probabilmente per proteggerlo dalla bufera tagliente che si era appena depositata. Sembravano addormentati, come uccelli sullo stesso ramo, capo contro capo. I capelli di Jack erano cosparsi di pulviscolo argenteo, e il cappotto era lacerato in più punti. Restava immobile, e Ianto, tra le sue braccia, era appena visibile.

Gwen e Owen furono i primi a raggiungerli, calpestando rabbiosamente il vetro, che si sbriciolava con un suono sgradevole.

Gwen allungò una mano per toccare la schiena del Capitano, ma si arrestò, timorosa, cercando lo sguardo di Owen.

Poi Jack levò su di loro lo sguardo, vagamente annebbiato. Infiniti graffi e tagli andavano rimarginandosi a vista d'occhio sul suo volto, che tornava gradualmente alla primitiva perfezione.

"Jack!" gridò Gwen, e in quel grido risuonò tutto il suo sollievo.

Jack aggrottò la fronte, fece una piccola smorfia, togliendosi alcune sottili schegge di vetro che gli pungevano le guance. Poi sorrise, come chi, svegliandosi dopo un lungo sonno, scoprisse che c'è il sole.

"State bene entrambi?" si informò Owen, ancora restiò ad abbandonarsi a facili entusiasmi. dopotutto, chi garantiva loro che quello fosse davvero il Jack Harkness che erano abituati a conosce - nei limiti in cui egli si era lasciato conoscere, beninteso - e non quell'essere imprevedibile e inutilmente crudele che avevno visto in azione nelle ultime ore?...

Ianto si mosse appena, come se stesse riemergendo dall'incoscienza, polvere di vetro sui capelli, tra le ciglia.



Jack si sollevò un poco, poggiando una mano sui cristalli per sollevarla con una smorfia subito dopo, solcata da una sottile linea rossa. Ma fu subito dimenticata perché la sua attenzione era tutta per Ianto che andava riprendendosi. Owen, poggiato sui talloni accanto a loro, lo stava aiutando a sollevarsi reggendogli la testa. "No, aspetta." lo guidava. "Gira la faccia verso terra prima di aprire gli occhi, vieni, appoggiati."

Un po´ discosti Julian e Toshiko erano chini su un cumulo più alto degli altri e scostavano con cura le lamine acuminate da quello che restava di un corpo di giovane. Sul loro sguardo si leggeva l´epilogo di una storia tristemente annunciata. Si scambiarono uno sguardo a labbra strette e con nuova gratitudine guardarono i loro amici riprendersi e rialzarsi. Gwen aveva preso esempio e stava cercando gli altri corpi nel labirinto infranto, liberandoli in modo approssimativo. Le due anziane signore, l'uomo che aveva tentato di affogare il figlio...

"Che cosa è successo?" chiese Ianto guardandosi attorno.

"Pare che tu fossi l´unico ad aver capito cosa stesse accadendo"rispose Owen per tutti "Certo che potevi anche avvertirci invece di sparire senza preavviso. Tu e le tue manie da eroe!" lo rimproverò, rabbioso.

"Si" sopraggiunse Toshiko "E´ pura fortuna se abbiamo capito dove eravate."

Ianto cercò Julian con lo sguardo ma questi si teneva discosto e indossava una strana espressione corrucciata, una ruga gli solcava la fronte rubandogli molti anni dal volto. Ianto ne seguì lo sguardo fino

a Jack, ai suoi tagli che andavano rimarginandosi, al sangue che si asciugava e per un momento si ricordò cosa aveva significato per lui scoprire quella sua straordinaria peculiarità e quanta era stata la meraviglia. Sorrise fra sé, prendendo la mano che Jack gli offriva per alzarsi.

"La ferita sul collo non sembra prodotta dagli specchi" osservò Owen, costringendo Ianto a reclinare il capo da un lato.

"Sembra più che altro...un morso?..."

Ianto scostò la sua mano, alzando le spalle. Era pallido, evidentemente esausto, ma anche visibilmente sollevato.

"Sto bene, mi lascerò medicare al Nucleo. Adesso voglio solo andarmene da qui" si giustificò, abbozzando un sorriso.

"Van Dhoren..." lesse Gwen, socchiudendo gli occhi.

Jack la guardò, senza lasciare la mano di Ianto. Sembrava restìo ad allontanarsi da lui, come se temesse di poterlo vedere svanire da un momento all'altro, se lo avesse fatto.

"Che cos'è?" chiese a Gwen.

"E'inciso su questa cornice... sembra un marchio di fabbrica, qualcosa del genere..."

"Tosh, portiamolo al Nucleo per esaminarlo" ordinò Jack, guardandosi intorno.

Il Luna Park era nel pieno della sua attività, eppure nessuno sembrava far caso a loro, ai cadaveri cosparsi di polvere di cristallo, alla rovina tagliente su cui si muovevano, cauti.

Solo quando si avviarono verso il Suv, per prendere il necessario per trasportare i corpi un bambino si fermò a guardarli, imbambolato, ma poi i suoi occhi s'incantarono quando un refolo di vento sollevò polvere di vetro in un turbine luminoso su, verso il cielo stellato.

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


PARTE VI


Cardiff, il Nucleo.

Owen era chino sul collo di Ianto, con una mano gli teneva la testa reclinata e ferma.

"Sei fortunato che io abbia a disposizione certi giocattolini sai? Qualsiasi altro medico della terra ti lascerebbe una cicatrice imbarazzante e tu dovresti spiegare per il resto dei tuoi giorni cosa stessii facendo per farti lasciare un morso così."

Ianto non osò sollevare lo sguardo.

Era chiaro che Jack non era stato Jack, durante il tempo trascorso dopo la loro prima visita al Luna Park.

Ma non era stato come se un estraneo avesse indossato i suoi panni, no.

Quello in un certo senso ERA Jack, con i suoi ricordi e le sue espressioni, solo non era quello che conoscevano e Ianto non poteva non chiedersi se fosse stato solo un riflesso o piuttosto un ricordo del passato di cui era così geloso, della persona che era stato un tempo, quello di cui parlava John Hart. Quanto era finzione in quella creatura figlia del riflesso e quanto aveva una radice di verità, seppur alterata come in uno specchio deformante?...

Owen si raddrizzò soddisfatto, riponendo in un astuccetto di cuoio un oggetto simile ad una penna cromata, una di quelle eleganti penne da ufficio di classe.

"Secondo la mia modesta opinione" disse osservando con cura il frutto del suo lavoro da diverse angolazioni "il tuo collo è ancora più bello di prima. Tu cosa ne dici Jack?" si voltò verso il capo sorridendo.

"Oh, non lo so, Owen. Non so se si possa rendere Ianto più bello di quanto non sia già. Ma se qualcuno potesse farlo quello saresti tu."

"Si" bofonchiò lui di rimando , "Certo..." ed in gran fretta si defilò.

Ianto si passò la mano sul collo, che, a ha parte un lieve pizzicore, sembrava effettivamente integro, e sorrise a Jack. Il Nucelo era tornato al primitivo e famigliare disordine, ogni traccia del loro combattimento abilmente cancellata da Julian in assoluta discrezione. Ianto doveva ammettere che il giovane botanico stava diventando più bravo di lui a ripulire i danni provocati da Torchwood, presto avrebbe dovuto farsi promuovere, o cercare un altro lavoro...

“Com'era?”

Jack lo guardò con aria interrogativa. Ianto respirò profondamente.

“Com'era stare dall'altra parte?” ripeté, “Quando eri nello specchio, intendo... Eri cosciente di cosa stesse capitando fuori?”

“Bhè, ero ragionevolmente furioso!” rispose il Capitano, sbandierando uno dei suoi irriverenti sorrisi.

“Più che altro perché mi sono fatto irretire come un allocco... ma sai, non so proprio resistere alla mia immagine riflessa” scherzò.

Ianto non sorrise, e anche Jack tornò serio.

“No, non era cosciente di cosa stesse accadendo, ma potevo immaginarlo, e questo mi faceva sentire dannatamente impotente, e ancora più furioso. Non avrei tollerato che capitasse qualcosa a uno di voi a causa mia”.

“Non ti avrei permesso di fare del male a nessuno” lo interruppe Ianto, il tono pacato, atono, che cozzava con la gravità di quanto stava affermando.

“Te l'ho promesso, ricordi?....”

“Già, hai preferito farti quasi sbranare...” osservò sardonico Jack, indicando il suo collo.

Ianto fece un sorrisetto.

“Bhè, non è stato peggio di certe pratiche, in realtà...” osservò con leggerezza.

Questa volta fu Jack a non sorridere.

“Sei stato sciocco ad affrontarlo da solo. Avrebbe potuto ucciderti...”

“...o solo portarmi dall'altra parte” intervenne Ianto, con fare pratico, “e dall'altra parte c'eri tu... quindi non avrebbe potuto essere così male, non credi?”

Si scambiarono un lungo sguardo, spezzato solo dall'arrivo di Gwen.

“Allora... ai dirigenti del Luna Park non risulta nessuna galleria degli specchi... I corpi delle signore Beaumont, di Peter Hastings e Thomas Neville sono scomparsi dall'obitorio, ma Owen ha dichiarato che sono stati requisiti per accertamenti da Torchwood. Li sostuiremo con gli originali ritrovati al Luna Park e chiuderemo la faccenda... Tosh sta facendo ancora ricerche sul nome Van Dhoren, ma per ora nessuna pista... sembra si tratti di una marca di specchi, o meglio, del nome di un artigiano che li costruiva”.

“Perché dici 'costruiva?” la interruppe Jack.

Lei alzò le spalle.

“Bhè, le indicazioni recuperate finora fanno risalire il suo lavoro alla fine del 1600... quindi possiamo ragionevolmente dedurre che sia morto da un pezzo, no?” rise, e la sua risata suonò un po'forzata.

"Certamente quella giostra non era del diciassettesimo secolo" s´inserì Toshiko sedendosi sul divanetto e abbracciando le ginocchia con le braccia.

Il sollievo era chiaro sul volto di tutti ed aveva lasciato una piacevole spossatezza. Quando lavoravi in Torchwood imparavi presto a non dar mai per scontato che un giorno di lavoro finisse o che avresti ritrovato tutti i tuoi compagni.

"Forse qualcuno ha voluto usare quel nome, un po´ come se si trattasse di Nostradamus o di Jack lo Squartatore. Figure carismatiche possono attirare l´emulazione" disse Toshiko.

"Io non definirei Jack lo Squartatore come carismatico." commentò Gwen.

"Oh si che lo era" intervenne Jack con le braccia conserte sul braccio osservando un qualche punto alla sua destra.

Gwen spalancò la bocca indignata e lo puntò con un indice accusatorio, una, due, tre volte.

Jack si riscosse e la guardò cadendo dalle nuvole, inarcando un sopracciglio e spalancando occhi di cerbiatto quando comprese di dover difendere la propria reputazione. "Oh no, assolutamente no, non ero io!"

Toshiko si era sporta in avanti in preda alla curiosità. "Ma tu sai chi era vero Jack?"

Ianto si schiarì la voce, a disagio, cercando un modo per cambiare argomento quando Julian gli corse in soccorso prendendolo per una spalla e facendogli piegare il collo senza troppa grazia.

"Owen, sei sicuro che non abbia fatto infezione,  mi sembra di vedere delle linee violacee che scendono verso la spalla, qui alla base." E prese ad allargare il collo della camicia di Ianto dove già  la cravatta giaceva abbandonata e lasca come un cappio per le impiccagioni.

"Ti dico come curare le tue petunie, Julian?" Ribatté con sufficienza Owen dal suo laboratorio. Stava armeggiando attorno agli armadietti per rimettere apposto l´attrezzatura.

"Petunie..?" domandò quello indignato.

"Si Owen" rincarò Ianto. "Non è che mi trasformerò in una persona intrattabile ed egocentrica? Non so, del tuo genere?"

Owen si voltò puntandoli con un bisturi. "Non pensate di infinocchiarmi voi due. Gwen, Tosh, vi stanno raggirando, attente" e con quell´espressione tagliente sorrise deliziato di sé stesso e si rimise al lavoro.

“Faremo ulteriori ricerche su questo Van Dhoren” propose Ianto, evidentemente contagiato da quell’atmosfera rilassata e giocosa, un infinito sollievo dopo l’ansia e la concitazione delle ultime ore.

Jack si limitò ad annuire, ma era evidente che i suoi pensieri lo portavano altrove, lontano anni luce dai compagni, forse perfino da se stesso.

“Adesso cerchiamo di archiviare questa brutta faccenda e passiamo oltre” si limitò ad aggiungere, sorseggiando il caffè che andava raffreddandosi nella tazza che teneva in mano.

“Volentieri!” sospirò Gwen, arricciando il naso in una piccola smorfia.

“Giuro che dopo quello che è successo avrò qualche problema a guardarmi allo specchio, nei giorni a venire”.

“Io scommetto che qualcuno non rinuncerà per questo a guardarsi” congetturò Julian, lanciando un’occhiata eloquente a Jack, che si limitò a inarcare le sopracciglia, come a sottolineare che non aveva idea di cosa stesse parlando.

“Io mi preoccuperei più che altro di tutti gli ani di sfortuna che abbiamo accumulato quest’oggi” si udì la voce di Owen dall’altra stanza.

“La faccenda dei sette anni di disgrazia“ iniziò a spiegare Toshiko, con la sua solita aria da professorina, “è molto antica. Presso molte popolazioni non civilizzate, ma anche nei miti e nelle favole occidentali gli specchi erano considerati per loro stessa natura magici… oracoli, come quello di Biancaneve, o capaci di catturare una parte dell'anima di  chi vi si rifletteva. Questo perché un tempo non erano chiare le dinamiche e le leggi della riflessione della luce. Questo è il motivo per cui rompere uno specchio porta sette anni di sfortuna. Con lo specchio va via una parte della nostra anima.”

Al termine della spiegazione il silenzio cadde tra i presenti, inspiegabilmente.

“Bhè, abbiamo delle cose da fare, tutti” sbottò Gwen, scrollandoselo di dosso, infastidita, e fu la prima ad allontanarsi, con evidente disagio.

Julian rimase meditabondo a osservare Jack, prima di imitarla.

“Credi che con la distruzione del labirinto sia andata perduta una parte della tua anima?” domandò Ianto a Jack, guardando gli altri che si allontanavano.

Lui non rispose subito. L’altro si voltò a guardarlo. Gli occhi del Capitano fissavano un punto indefinito, qualcosa che solo lui poteva vedere, un ricordo, forse, proiettato sulle pareti della sua memoria come un vecchio film. Un ricordo triste, a giudicare dall’espressione del suo volto…

“Sai che ti dico?” Ianto si alzò, avvicinandosi di un passo e richiamando la sua attenzione.

“Non importa… Non importa quello che è successo, quello che è andato perduto” continuò, con aria convinta, “conta solo l’ora e il qui… e ora tu sei qui con noi, e la tua anima ci basterà, sempre e comunque…”

Jack Harkness scosse la testa, alzando un mano per zittirlo.

“A volte sei proprio un dannato ragazzino, Ianto Jones! Vuoi commuovermi?!” lo rimproverò, una nota tenera nella voce, il solito sorriso a illuminargli il volto senza età.

“Ne abbiamo già parlato, mi pare: se io dovessi cambiare, tu sei autorizzato a eliminarmi… e della mia anima, o di quello che ne resta, puoi farne quello che vuoi. Se dovessi pensare a un posto sicuro in cui nasconderla l’affiderei a te già da ora” concluse, avviandosi verso l’uscita.

Ianto non lo seguì. Non ne aveva bisogno.

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