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IantoJones
si svegliò di soprassalto, soffocando un grido.
L'oscurità lo accolse, lasciandolo per un istante smarrito e
boccheggiante, impietrito dal terrore, che gli impediva ogni gesto, ogni suono. C'era qualcosa, nel buio, qualcosa che non avrebbe
dovuto essere, frammenti di un sogno strano e terribile
rimasti impigliati tra le sue ciglia, come ragnatele.
Poi l'interruttore della lampada posta sul comodino scattò,
e una calda luce ambrata si diffuse, dissolvendo, almeno in parte, le ombre.
"Va tutto bene, Ianto?"
La voce premurosa di Jack fece al silenzio ciò che la luce
aveva fatto al buio, e la sua mano sulla pelle, il suo braccio intorno alle
spalle, sciolse la tensione, scacciò la paralizzante sensazione di impotenza.
"Un incubo... un incubo
terribile..." mormoròIanto,
socchiudendo gli occhi, infinitamente confortato da quell'abbraccio,
dal profumo di lui che lo avvolgeva, penetrante, persistente, dannatamente
eccitante...
"Me ne vuoi parlare, Ianto?"
sussurrò Jack tra i suoi capelli, facendolo aderire
maggiormente a sè.
Ianto fece un cenno di diniego col
capo, con la convinzione di un bambino che crede di
poter rendere inoffensivi i mostri notturni semplicemente negandone
l'esistenza.
"No... magari domani... adesso non voglio più
pensarci..." mormorò, appoggiandosi a Jack,
lasciandosi cullare dalle sue braccia, con un sospiro.
Jack non rispose. Ianto chiuse gli occhi.
Ma subito li riaprì.
Perchè c'era qualcosa che non andava, una sensazione
sgradevole, un'inquietudine che di nuovo lo attanagliava, rubandogli il
respiro.
Forse aveva a che fare con l'incubo, forse con la stanza
ancora troppo buia, come se la luce della lampada faticasse a rimanere accesa,
affievolendosi sempre di più.
Forse aveva a che fare con lo strano odore che andava sovrapponendosi
al profumo di Jack, un odore dolciastro, vagamente
nauseante, che faceva pensare a fiori schiacciati, marciscenti,
al decadimento, alla putrefazione...
"Che cos'è quest'odore?"
chiese a Jack, cercando di alzare il volto per guardarlo.
Ma il braccio di Jack lo stringeva troppo forte,
impedendogli ogni movimento, e le dita della mano posata sulla sua spalla
premevano con forza inusuale, penetrando nella carne,
facendogli male. Ianto cercò di nuovo di muoversi,
sempre più soffocato dall'odore, vagamente consapevole che il tocco di quelle
dita, solitamente caldo e vellutato, gli trasmetteva una sensazione ostile,
viscida, disgustosa.
"Jack?..." mormorò, cercando il volto dell'altro, appena distinguibile
nell'oscurità sempre più fitta, la luce della lampada inghiottita, soffocata.
E infine lo vide, vide gli occhi stranamente luminosi che lo
fissavano, obliqui, allungati, e vide il ghigno terrificante, che deformava i
lineamenti, che li snaturava. E i
denti, Dio del cielo, quei denti lunghi e affilati come lame, che sfuggivano
dalle labbra, incapaci di contenerli, che si aprivano e si chiudevano con un
suono quasi metallico, terribile...
La realtà s'infranse come una vetrata colpita da un sasso,
esplodendo contro di lui in una tempesta di schegge taglienti.
Gridò, mentre spingeva via la creatura, solo per scopire di non poterla muovere, solo per accorgersi che
quella mano viscida era già suo collo, le dita premute sulla trachea che
tagliavano la carne con artigli che prima non c'erano.
E mentre il mondo si confondeva
nell'oscurità bluastra dell'asfissia, Ianto gridò
ancora, un grido disperato, che gli graffiò la gola come cristallo infranto.
"Ianto, va tutto bene?"
Le sue mani artigliarono l'aria, mentre boccheggiava per
respirare, e quando incontrarono il corpo accanto al suo scattarono a colpire,
disperatamente.
"Ianto, calmati, sono io, Jack!"
Ben lungi dal tranquillizzarlo, quella dichiarazione lo
gettò nel panico. Iniziò a scalciare, a colpire alla cieca, gemendo, gridando
frasi incoerenti.
"Hai fatto un brutto sogno, Ianto,
solo un sogno!"
Jack era più forte di lui. Lo era
da sempre. Lottare era inutile, maIanto
aveva tanta di quella disperazione in corpo, tanta di quella paura, che ci
volle uno sforzo non indifferente perchè l'altro riuscisse a immobilizzarlo.
"Buono, Ianto, buono..."
lo cullò, serrandolo tra le braccia, avvertendo che il
suo corpo cedeva, sciogliendosi in bassi singhiozzi disperati.
Lo tenne stretto, incurante delle ferite che gli aveva inferto, del sangue che gli colava da un taglio sullo
zigomo, macchiando le lenzuola bianche. Lo tenne stretto come se non volesse
lasciarlo mai più e, lentamente, lo sentì rilassarsi, cedere, sciogliersi tra
le sue braccia, in una disperata resa.
"E'stato un sogno...solo un
sogno..."
Gli baciò i capelli, gli baciò la
fronte, gli sfiorò le labbra e posando la fronte sulla sua rimase a guardarlo
nel silenzio che seguì, respirando il suo caldo respiro. Sentiva battere con
forza il cuore di Ianto, batteva contro il suo petto
e, Dio, quanto gli piaceva quel suono!...
Ogni timore era fugato, restava solo quel momento prezioso a
cui si aggrappavano entrambi: lo stesso respiro, la stessa
pelle, lo stesso cuore. L´illusione, per quel momento
rubato, di non essere più soli.
Fu Jack il primo ad allontanarsi.
Scostò il capo per vedere meglio il compagno che ancora teneva gli occhi
chiusi. Negli gli occhi chiusi e nell´espressione
tirata si leggevano ancora aggrappati a lui i segni dell´incubo. Nel sentirlo muoversi però Ianto
aprì gli occhi lentamente, quasi con timore.
Non vi furono domande. Solo uno sguardo
interrogativo e un cenno del capo, incoraggiante, mentre con la mano
destra Jack gli stringeva la nuca per rassicurarlo.
Ianto era un groviglio di emozioni, un nodo irrisolto e dolente che non sapeva
trovare il proprio bandolo. Essere colpito in quel modo, mentre era così
esposto, lo aveva lasciato completamente alla deriva, e la consapevolezza, via via più solida, che si fosse trattato solo di un sogno, non
bastava a liberarlo da quel senso di disperazione e perdita.
Sollevò lo sguardo su Jack, riempiendosi gli occhi di lui, nel tentativo di colmare quel vuoto. Vide le
proprie dita salire, quasi timorose, a seguire il contorni
di quel bel viso, disegnando la linea volitiva della mascella, cui faceva da contraltare la morbida curva delle labbra piene. Sospirò,
esausto, appoggiandosi a lui.
"Preferirei morire piuttosto che perderti" udì la
propria voce giungere da un luogo molto remoto.
Risollevò lo sguardo, cercando quello di Jack,
come colto da un'improvvisa consapevolezza. Quando parlò ancora la sauvoce risuonò ferma, quasi
dura.
"Preferirei ucciderti, piuttosto che vederti
cambiare" affermò, afferrandogli il mento tra le dita e costringendolo a
guardarlo.
Jack aggrottò la fronte, cercò di
sorridere, ma l'espressione di Ianto era tale da
rendere dfficile perfino per lui sdrammatizare.
"Bene, Ianto, ti autorizzo a
farlo" sussurrò, con gravità. E protendendosi a
baciargli la fronte aggiunse:
"Anzi, conto che tu lo faccia
davvero, se mai capitasse".
"Cristo, Jones, fai più
schifo del solito!!!"
Owen gratificò Ianto
di un'occhiata disgustata, mentre sedeva al proprio posto.
Lui non gli rispose, se non con un piccolo gesto di insofferenza.
"Hai l'aria stanca" osservò Gwen,
con un tono decisamente più dolce.
"Vedi che ti fa male lavorare fino a tardi?" lo
canzonò Owen, impietoso, "Ah, questo dannato
attaccamento al dovere!..ahia!!"
Lo scappellotto di Jack lo colpì in
pieno sulla nuca, producendo uno schiocco sonoro e costringendolo ad incassare
la testa nel collo.
"Buongiorno a tutti, tranne a
te, Owen" li salutò il Capitano.
"Stavo solo scherzando! l´avesse detto Gwen non si
sarebbe presa uno scappellotto!!" protestò il dottore.
"No, hai ragione. Lei l´avrebbe
sculacciata."scherzòJulian comparendo dalla cucina con un vassoio di the
fumante sorretto sopra la testa come un equilibrista. Aveva preso il ruolo di
tuttofare quasi seriamente, in attesa di riuscire ad
essere effettivamente d´aiuto. Si fece accosto aIanto e s´inchinò
portando il vassoio alla sua portata.
"Vedrai che questo ti fa resuscitare, è una miscela
indiana arricchita da un tocco personale."
Gwen guardò male Owen ed era chiaro che si chedeva
se il tocco personale non glielo avesse fornito lui.
Quei due erano diventati ottimi compagni di bevute, sembravano
degli adolescenti a caccia della bravata peggiore. Se era comprensibile in Julianper cui tutto era nuovo..
beh. Gwen incrociò le braccia al petto e sollevò il
naso verso il soffitto.
Ianto si sforzò di sorridere ai
tentativi dei suoi colleghi di rasserenarlo.
In realtà, in quel momento, mentre l'attività frenetica
della base li teneva tutti impegnati, e le luci al neon rischiaravano a giorno
ogni più remoto anfratto, i fantasmi e i mostri della notte sembravano più
distanti e flebili che mai. Lo sguardo di Jack lo avvolgeva premuroso, e quando
gli sorrise si senti completamente rassicurato.
"In realtà credo di aver solo bisogno di dormire"
disse a Julian, prendendo la tazza di thè e inalandone la fragranza.
"Accidenti, questo potrebbe davvero far resuscitare i
morti" sorrise.
Toshiko entrò in quel mentre con
una cartelletta rossa stretta al petto. Quel giorno si era messa i tacchi e un bell´abito verde che faceva pensare alla primavera, ma il
vero tocco di classe era il sottile filo di perle al collo.
Gwen provò tenerezza nei suoi confronti quando la vide rallentare e cercare di camminare
sulle punte per risultare più discreta. Buttò l´occhio
per vedere se gli altri se ne erano accorti: il senso
di cameratismo che si respirava alla base era splendido, ma poteva avere come
aspetto negativo una non comune inclemenza.
MaToshiko
li raggiunse accolta da sorrisi. Quando arrivava la mattina, non importava cosa
fosse accaduto la notte precedente, mostri o ricerche estenuanti, lei aveva
sempre un aspetto solare ed ottimista che portava un po´ di buon umore. In un lavoro in cui spesso dovevi
fare i conti con la morte e rischiavi di sentirti inutile
quella era una gran cosa.
"Buongiorno a tutti" esordì posando il plico sul
tavolo. Julian le posò accanto una
tazza fumante meritandosi uno strano sguardo da Ianto.
Forse era proprio quello che voleva perché lo vide e sorrise storto.
"Scommetto che hai lavorato tutta la notte."la stuzzicò Owen.
"Oh no, non ho lavorato... " sorrise lei cordiale
"ero a letto e leggevo il giornale..."
Owen si passò una
mano sugli occhi sconsolato.
"E non fare quella faccia! Non
ci credo che tu non sessa mai a leggo... legga mai a
sesso... a letto." tossicchiò e si voltò
fiduciosa verso Jack.
"Insomma, leggevo il giornale - beh, la sua versione
digitale, ero sul database della polizia - ..."
Owen sorrise soddisfatto e gli si
leggeva in volto un "l´avevo detto".
".. e c´era
una denuncia della protezione animali. Beh, io mi commuovo subito se si
maltrattano gli animali e ho letto di questo."buttò una copia del giornale di Cardiff
fresca fresca di stampa sul tavolo, impugnò la tazza
come un'arma e diede un bel sorso.
Fu Jack a raccogliere il giornale e
ad aprirlo, mentre gli altri si apprestavano all'ascolto.
Gli ci volle poco per trovare la pagina che aveva colpito
l'interesse di Tosh. Mentre scorrevano le righe i
suoi occhi blu s'incupirono, mentre una piccola ruga
gli segnava la fronte.
"Colonia di gatti rischia lo sterminio. Una colonia di
gatti che viveva presso il CathaysCemetery di Cardiff
ha rischiato di venire spazzata via dalla crudeltà di una coppia di anziane
sorelle residenti nella zona. Le due insospettabili vecchiette hanno infatti cosparso di liquido combustibile il piccolo
magazzino che da anni veniva utilizzato dai felini come riparo e hanno
appiccato il fuoco. Solo il pronto intervento del personale cimiteriale ha
evitato che gli animali, intrappolati tra le fiamme, incontrassero una fine
terribile. Le due donne sono state arrestate."
"La gente è sempre più fuori di testa"
bofonchiò Owen. "Ai miei tempi le vecchiette
andavano a portare da mangiare ai gatti randagi, non davano loro fuoco..."
"Ma anche queste lo facevano" intervenne Toshiko, e vedendo l'espressione perplessa di Owen continuò.
"Queste due signore andavano ogni giorno a portare da
mangiare ai gatti, e siprendeavno
cura di loro da anni... Gli addetti del cimitero sono rimasti molto sorpresi da
questo gesto"
"Non ci posso credere, tutti quei poveri mici." Commentò Gwen con lo
sguardo già perso nel suo rogo immaginario.
Jack le passò il giornale per
leggere i dettagli, poi si appoggiò allo schienale della sedia e li guardò con
un mezzo ghigno:
"A noi non piacciono le vecchine
che bruciano i gatti vero?"
Gwen si mosse a disagio
mentre leggeva. "Dici che c'è qualcosa
sotto?"
"Questo me lo dovrete dire voi, vi voglio sul posto
entro venti minuti."ed
intrecciò con diletto le mani di fronte a sè.
"Venti minuti? E perché mai?
Il fuoco è già sedato, dobbiamo solo indagare" protestò Owen, ma non trovò alcun appoggio, solo un ìsopracciglio di Jack che s´incurvava
con un'angolazione pericolosa.
"Toshiko resta qui, Vengono Ianto e Julian."fu la sua sola risposta.
Gwen tossì per sdrammatizzare,
tirò indietro la sedia e si alzò in fretta distribuendo ordini e raccogliendo
gli strumenti. I due nominati rimasero interdetti ognuno per un proprio motivo,
ma entrambi con piacere. Per Ianto ogni possibilità
di dimostrare il proprio valore oltre il ruolo del maggiordomo era la ben
venuta, non fosse per il brivido del pericolo che lo
inebriava come - ci meditò - come i ferormoni del
cinquantunesimo secolo, concluse soddisfatto. Cercò con la coda dell´occhioJulian che con un
gran sorriso sul volto attendeva già nei pressi dell´uscita.
Era così diverso dalla persona che avevano incontrato
la prima volta, assetato come un bambino di conoscenza, ma con la forza e la
determinazione di un adulto. Chissà se si rendeva conto che
era la prima occasione in cui Jack lo lasciava andare in missione senza di lui.
Era ufficialmente parte del Torchwood, già era
trascorso più di un mese dal suo arrivo, e certo era stato un acquisto che
aveva arricchito il gruppo. Ma solo un ingenuo non
avrebbe notato come Jack lo controllasse sempre a distanza o avrebbe
dimenticato che c´erano molte cose non dette nel suo
passato. o comunque molte cose non dette a loro...
Quando Ianto prese l´uscitaJulian
gli si accostò, passo svelto e sorriso confidente. Raggiunsero il SUV e partirono a caccia di vecchiette piromani. L´autoradio si accese con il motore e nella cabina si
diffuse a tutto volume la voce profonda e vellutata di JimMorrison:
I foundanisland in yourarms
Country in youreyes
Armsthatchainus
Eyesthatlie
Break on through to the
other side
Break on through to the
other side
Gwen si sporse all´orecchio
di Julian per farsi sentire "Guarda che non
dovresti fermarti a quarant´anni fa...."
Julian, per contro, sorrise
soltanto.
Break on through to the
other side
Break on through to the
other side
Fecero in tempo a giungere sul posto, prima che Tosh li contatasse.
Il viaggio in macchina era trascorso piacevolmente,
allietato dalla musica e dai soliti battibecchi. Gwen
si era goduta come sempre il ruolo di unica donna
della squadra, miscelando con una sapienza tutta femminile i suoi doveri di
eroina con i suoi diritti di rappresentante del sesso debole. Non che questi ultimi avessero molto spazio...
"Credevo che nell'Ottocento ci fossero dei
gentiluomini" aveva rimproverato scherzosamente Julian,
qualche giorno prima, "Come quelli dei romanzi di
JaneAusten, o delle sorelle
Bronte...e invece a noi sei capitato tu!! Non c'è
giustizia!"
La verità era che a Julianrisultava assolutamente naturale trattarla con lo stesso
cameratismo che le riservavano gli altri, così come gli risultava naturale
essere più cortese, perfino galante, con Toshiko.
"Il problema non sono gli uomini dell'Ottocento, o
quelli del Tremila" aveva osservato Owen,
sardonico come sempre, "Il problema sei solo tu, GwenCooper"
Ne era seguito l'ennesimo scambio
di battute al fulmicotone tra i due focosi colleghi, che era seguitato anche
quando gli altri avevano perso ogni interesse per loro.
Anche quel giorno non erano mancate
battute e scherzi, anzi, l'assenza di Jack li rendeva tutti ancora più audaci e
spensierati, come studenti in libera uscita.
Perfino Ianto, a dispetto della
notte trascorsa, si divertiva a fomentare i bisticci e a schierarsi ora con Owen, ora con Gwen, dando man
forte a Julian.
Avevano superato l'arcata d'accesso al CathaysCemetary e avevano percorso poche decine di metri
attraverso i prati ben curati, disseminati di lapidi e statue di angeli, quando la voce di Toshiko
li raggiunse.
"Ragazzi, c'è stato uno sviluppo nella vicenda delle
due anziane signore..."
"Che c'è?" la interruppe Owen, "Hanno gettato i pesci rossi nel water e hanno
tirato lo sciacquone?"
"No..." la voce di Toshiko esitò, per un attimo, "Sono morte. Si sono
uccise lanciandosi contro uno specchio insieme..."
Il Suv si fermò sull’acciottolato e rimasero per un momento stupiti a
riflettere
Il Suv si fermò sull’acciottolato e rimasero per un momento
stupiti a riflettere.
“Forse” Gwen fu la prima a parlare “dovremmo dividerci. Io ed
Owen possiamo andare alla stazione di polizia, ho ancora qualche amico felice
di rivedere una ex collega li, Owen recupererà i corpi e li porteremo all’Hub.”
poi voltandosi verso i sedili posteriori dove Ianto controllava su un visore la
mappa del cimitero e Julian con le mani dietro la testa osservava oziosamente
l’esterno, “Voi due potreste controllare il magazzino.”
Ianto annuì. La struttura del cimitero non sembrava in alcun
modo predeterminata, nessuna forma particolare, nessun disegno da satellite.
Forse quella rischiava di rivelarsi solo un vicolo cieco o forse il luogo in
cui quella follia era cominciata. Con la coda dell’occhio vide Gwen porgere
qualcosa a Julian e sollevò lo sguardo incuriosito. Era una pistola automatica,
proprio del genere che Jack si era sempre rifiutato di affidargli.
“Non si sa mai..” strizzò l’occhio Gwen.
Julian esitò, per gli stessi motivi che avevano fatto
indurire lo sguardo di Ianto. Non era certo timore delle armi il suo, quanto la
consapevolezza che quella era una chiara trasgressione degli ordini, una
tentazione fin troppo forte per il suo sangue ribelle.
“Su, prendila.” ripeté Gwen e non dovette più insistere.
Julian prese l’arma e la ficcò dentro lo zaino.Poi cercò lo sguardo di Ianto, colse al volo i suoi pensieri e rispose
con un sorriso da furfante.
“Vogliamo farci attendere sulla scena? Jack attende il suo
resoconto..”
Soltanto lui sentì nel proprio auricolare una voce roca
commentare. “Attendo....”
L'auto ripartì, sollevando una nuvola di polvere bianca dal
terreno ghiaioso.
Ianto alzò gli occhi al cielo.
Era una giornata insolitamente calda e afosa per quel
periodo dell'anno. Nuvole grigie restavano appese all'orizzonte, senza
decidersi a portare un po'di pioggia. Anzi, la loro presenza gravava come una cappa
soffocante, rendendo difficile perfino respirare.
Il ragazzo si allentò il nodo della cravatta con le dita,
mentre si avviava nuovamente attraverso l'arcata d'ingresso, come in una sorta
di deja-vu.
Raggiunsero facilmente il magazzino, che recava i segni
evidenti del recente incendio.
Julian calpestò un cartone fradicio, quasi sfatto in
poltiglia dalla solerzia dei pompieri.
Fece appena in tempo a fare un passo che da un cespuglio poco lontano schizzò
fuori un gatto, che sparì veloce come un ombra passandogli tra i piedi.
Lo scozzese sorrise, dopo la sorpresa iniziale.
"Se ci fosse stata Gwen probabilmente avrebbe sparato
prima di rendersi conto di cosa fosse" osservò Ianto con la sua solita
aria compita.
Ci fu un breve scambio di silenziosi sorrisi.
Il magazzino non rivelò nulla di utile. Il fuoco e l'acqua
usata per spegnerlo avevano lasciato ben poco da esaminare.
"Non sapevo ci fosse il Luna Park in città"
Julian, intento a studiare le pareti annerite, rivolse a
Ianto un'occhiata interrogativa.
In tutta risposta l'altro sventolò un foglio bruciacchiato e
macchiato in più punti, stampato a caratteri colorati.
"Puzza di pesce..." aggiunse Ianto con una
smorfia, "probabilmente è stato usato per avvolgere del cibo."
Julian alzò le spalle.
"Credi sia rilevante per le indagini?"
Ianto fece un piccolo sorriso.
"No... non so... mi sono sempre piaciute le giostre."
“Secondo me questo è un indizio di vitale importanza.” Lo
corresse Julian. “Serve una buona dose di follia per dar fuoco al conforto
della vecchiaia e poi rompersi la testa contro un muro.
“Uno specchio” lo corresse Ianto. Julian bofonchiò come se
non vedesse questa grande differenza.
“Non so” riprese Ianto dubbioso. “Forse dovremmo cercare
ancora qui..” disse girandosi attorno, scostando alcune pietre con il piede per
mettere in mostra nuovi volantini del Luna Park. Julian lo osservava con le
braccia conserte appoggiato al muro.
Poi entrambi sentirono la voce musicale di Jack nelle loro
teste:
“Ianto, Julian, mi sembra una bellissima idea. Ci vediamo al
Luna Park.”
Paradossalmente per raggiungere Jack Julian e Ianto non
dovettero far altro che tornare verso la base.
Infatti il Luna Park sorgeva non lontano da Roald Dahl Plass, in un fondo industriale
che si affacciava sulla baia di Cardiff.
Dal momento che Owen e Gwen avevano portato via il Suv, i
due dovettero prendere un taxi.
Avvenimento questo che diede a Julian Vallantine la
possibilità di essere illuminato sulla situazione politica inglese dall'eloquio
poco forbito e molto gallese di un tassista a dir poco iracondo.
Quando scesero nei pressi del Luna Park, il giovane scozzese
aveva quasi le lacrime agli occhi, e fu così che Jack se lo vide venire
incontro, affiancato dal sempre ieratico, seppur sorridente, Ianto.
Per un singolo istante sul volto del Capitano si dipinse
un'espressione compiaciuta, alla vista dei due uomini. Così diversi, tra loro,
eppure così assolutamente gradevoli! Julian aveva adottato un look moderno e
vagamente trasandato che, complici i lunghi capelli sempre legati in una
morbida coda sulla nuca, gli conferiva un'aria dannatamente sexi.
Impeccabile nel suo completo antracite, la cravatta solo un
po'lasca intorno al collo, Ianto non avrebbe sfigurato ad una cerimonia di inizio
corsi a Oxford, sia come giovane docente, sia come studente.
Ma non era il momento, e non era il luogo, e il Capitano dovette reprimere
l'impulso di dimenticare, per un pomeriggio i suoi innumerevoli doveri, per
dedicarsi solo ed esclusivamente al piacere...
"Non siamo un po'troppo grandi per le giostre, Capitano?" domandò
Julian, che tuttavia stava già sbirciando con palese curiosità in direzione
delle strutture variopinte. In realtà si trattava di un piccolo Luna Park che,
alla luce del mattino, appariva quanto mai deserto e squallido. Le attrazioni,
tutte chiuse, avevano conosciuto tempi migliori, le facciate dipinte coperte da
uno strato di polvere e salsedine.
Le cabine di controllo, le biglietterie, tutto vuoto. Nella
pista degli autoscontri le macchine erano abbandonate a casaccio sulla pista
come se fosse stata semplicemente tolta l’elettricità nel mezzo della corsa.
“Bizzarramente macabro questo posto, sembra abbandonato.”
commentò Julian guardando gli altri incuriosito “Forse quei volantini erano
vecchi”.
“Oh, no.” Ianto stava controllando il suo palmare “E’
arrivato in città lunedì scorso, semplicemente questi posti sembrano sempre
macabri ed abbandonati di giorno. E’ come un palcoscenico, prendono vita di
notte, con le persone, le luci e la musica.”
“Come sei romantico, Ianto Jones” osservò Jack, inarcando le
sopracciglia.
Nell’aria aleggiava un vago sentore di popcorn e quello più
dolciastro delle ciambelle. Poi da qualche parte un violino prese a suonare una
vecchia melodia. (un canone inverso in realtà) Sembrava familiare, ma nessuno
dei tre riuscì a riconoscerla.
Jack Harkness si infilò le mani in tasca spostando indietro
le falde del cappotto ed annusando il piacere di una esperienza imprevista alle
porte.
“Beh, signori miei, questo mi sembra un invito in piena
regola, che ne dite?”disse facendo
strada.
Ianto era un passo dietro di lui, gli occhi un po’
sull’inseparabile palmare, un po’ sulle giostre attorno a loro cercando di
orientarsi. “C’e’ qualcosa di strano qui…”
“Ma non mi dire… “ commentò Julian, ma venne ignorato dagli
altri due.
“Vedo le onde di diffusione di una frattura nella Fessura,
ma è come se fossero interrotte, asimmetriche… tagliate.” Ianto continuavaa consultare il suo strumento non
comprendendone ne letture.
Per nulla impressionato Julian continuava a riempirsi gli
occhi di particolari, ogni tanto si fermava a curiosare ed in effetti Ianto si
chiese come doveva apparirgli quella vista senza aver mai conosciuto la vera
natura di quel luogo. Quale che fosse poi la vera natura.
“Quindi Capitano, la gente paga per essere spaventata?”
chiese infine.
“Visto il lavoro che facciamo non possiamo giudicarli se
anche loro vanno a caccia di un po’ di brivido non trovi?”
“Film, salti nel buio.. l’uomo si nutre di emozioni quanto
si nutre di cibo e acqua” meditava Ianto ad alta voce, cercando qualcosa che
evidentemente non riusciva a mettere a fuoco. Julian non sapendo cosa altro
fare si mise ad imitarlo cercando non sapeva bene cosa. Tutto li sembrava
surreale, forse avrebbe dovuto dar la caccia alla normalità.
“Capitano…” chiamò ad un certo punto Ianto indicando un
edificio a due piani dalla facciata a forma di castello.
Ma Jack era sparito.
Ripresero a vagare per il luna park, Ianto più inquieto,
ora, sebbene non lo desse a vedere, gli occhi chiari che si muovevano senza
sosta nella speranza di scorgere la figura famigliare di Jack, l'ondeggiare
delle falde del suo cappotto militare. Improvvisamente, stupidamente, tutta
l'inquietudine della notte trascorsa gli era ripiombata addosso, e gli
artigliava le membra, gli ottenebrava la mente, insinuandosi subdolamente e
suggerendogli pensieri gravidi di morte e terrore.
Avevano seguito la musica, senza consultarsi, mossi da un comune, tacito
accordo, e la musica li aveva condotti davanti a un'attrazione coperta da un
pesante tendaggio blu notte e argento, prima di tacere all'improvviso.
"Che cos'è?" sussurrò Julian, e nel momento stesso
in cui pronunciava quelle parole si domandò perchè lo facesse a voce così
bassa...
"Sembra una specie di padiglione..." rispose
Ianto, pensieroso. "Forse la tenda d una cartomante, o..."
La voce gli si spezzò in gola in un grido rauco. Julian accorse al suo fianco
allarmato.
Mentre parlava, Ianto aveva sollevato un lembo della tenda e si era trovato di
fronte qualcuno che, dall'interno, stava facendo lo stesso.
O così gli era parso...
"E'un labirinto di specchi!" disse Julian,
sorridendo meravigliato.
E sollevò di nuovo il tendaggio, per rivelare un pallido
Ianto Jones che fissava la propria immagine, qualche passo indietro.
Julian si sarebbe messo a ridere per esorcizzare quel clima
spettrale che era caduto su di loro, ma voltandosi verso Ianto e vedendo il suo
sguardo sbarrato comprese che qualcosa non andava nell’amico. Si voltò,
controllò nuovamente lo specchio per trovare il motivo di tanto allarme, ma
poté solo aggrottare la fronte incapace di comprendere.
Ianto non si mosse nemmeno quando lo scozzese lasciò cadere
il telo e tornarono soli. Per un motivo del tutto irrazionale che non poteva
spiegare all’amico, a quella vista si era sentito stringere il cuore in un
pugno come se ogni sua paura, ogni suo incubo, fossero nuovamente esplosi oltre
la linea del reale. Le labbra strette in una fessura, Ianto sentiva il cuore
correre all’impazzata e dovette ritrovare il controllo del proprio respiro
prima di poter nuovamente parlare. Disse solo, a fil di voce: “Dobbiamo trovare
Jack.”
Julian al suo fianco era sempre più confuso, continuava a
cercare un qualsiasi segno reale di quel pericolo che avvertiva lui stesso, ma
era come cieco: una insopportabile sensazione di impotenza chegli era diventata compagna, ma mai tollerata.
I suoi compagni erano diventati per lui gli occhi con cui vedere il mondo,
seguiva vigile le loro reazioni per capire se una situazione era sottocontrollo
o stava sfuggendo loro di mano, se era nella norma o semplicemente aliena.
Sentire ora Ianto perdere la sua maschera di distaccato controllo di fronte a
qualcosa che nemmeno poteva vedere risvegliava in lui un senso di paura che
faceva accelerare il cuore ed acuire i sensi.
Eppure sembrava tutto frutto della loro suggestione.
Fu Ianto a rompere ogni indugio , affrettandosi verso un
angolo dove erano stati accatastatiarnesi epezzi di ricambio.
Afferrò due sbarre e correndo verso l’ingresso della struttura ne lanciò una al
compagno. L’idea che Jack fosse entrato senza di loro, senza che lui avesse
potuto avvertirlo dell’incubo della notte precedente, gli aveva messo il fuoco
nel sangue. Girò una, due volte spostando le cerate per trovare l’ingresso.
“Se qualcuno suonava quel violino è ancora dentro enoi lo troveremo.” incitava Julian. “E se
Jack è dentro lo troveremo prima che gli accada nulla.”
Julian gli aveva scoccato uno sguardo pensieroso. Tendeva a
non porsi domande in materia di sentimenti, quello era un ambito che gli si era
rivelato ancora più ampio della botanica del XXI secolo, ma in un certo senso
era contento di esserci solo lui come testimone di quella situazione. In
effetti aveva quasi l’impressione che Ianto in realtà si fosse dimenticato
della sua presenza.
“Ianto” azzardò per tranquillizzarlo “Non possiamo sapere se
è dentro. Era qui accanto a noi e non può averci preceduto di molto.”
Ma furono parole perse nel vuoto. Ianto aveva appena trovato
l’ingresso per la Casa
degli Specchi e vi era entrato senza guardarsi indietro. Uno, due passi, il
primo vicolo e si fermarono con sei Ianto Jones ad osservarli ed altrettanti
giovani scozzesi. Una pioggia di luce polverosa discendeva su di loro, creando
un mondo di penombre, di spicchi luminosi ed angoli neri. I due si spostarono
d’istinto spalla a spalla. Julian aveva estratto la pistola di Gwen dal suo
zaino per tenersi pronto a tutto, ma aveva avuto il buon senso di non sganciare
ancora la sicura.
Da qualche parte il violino ritornò a suonare e fu chiaro
che stava chiamando proprio loro ma capire da dove provenisse in quel labirinto
privo di punti cardinali era praticamente impossibile.
Ianto seguì l’istinto per quel senso di urgenza che non veniva meno e prese la
direzione che portava nel cuore del labirinto. Sette Vallantine lo guardarono
avviarsi e poi lo seguirono.
Procedettero in quel mondo di prospettive ingannevoli, dove
lo spazio perdeva di significato, dilatandosi in un gioco di infiniti passaggi.
A Ianto sembrava di poter essere inghiottito da un momento all’altro da quelle
gallerie illusorie, afferrato da un altro se stesso. Evitava perfino di
guardare la propria immagine riflessa, nel timore di vederla mutare espressione…
“Jack!!” chiamò, incapace di sopportare oltre quel silenzio
nel quale s’infrangeva il suo respiro.
Gli parve di cogliere un’ombra blu, e quasi si ruppe il naso
lanciandosi in quella direzione, e trovando davanti a sé solo un altro
specchio.
“Credo sia meglio uscire, Jones” suggerì Julian, posandogli
la mano sulla spalla mentre si massaggiava il volto dolorante, e Ianto non
oppose resistenza. Il violino taceva nuovamente.
Non fu facile trovare l’uscita che, come sempre nei
labirinti di specchi, era accanto all’ingresso.
“Probabilmente non è mai nemmeno entrato qui” suggerì
Julian, incoraggiante.
“Sarà andato altrove ad esplorare, e noi abbiamo solo perso
tempo”.
Ianto annuì distrattamente, e nemmeno quando, finalmente,
udì la voce di Jack nell’auricolare,si
tranquillizzò del tutto.
"Giuro che se non foste voi vi
sgriderei come scolaretti in gita. Vi sembra questo il modo di
sparire nel mezzo delle indagini? Sapete, dopotutto," sorrise
storto "che non avete il permesso di divertirvi senza di me…"
A quelle parole Ianto chinò il
capo, incapace di impedirsi di arrossire, mentre Julian sbuffò
una breve risata.
“E come potremmo divertirci senza
di te, Capitano?” lo provocò, ironicamente.
“Se pensi di aver bisogno di
lezioni, sono certo che il nostro Ianto sarebbe più che lieto
di fornirtele” rispose Jack, stringendo gli occhi fino a
ridurli a due fessure sottili e luminose. “Ma di cosa stai
parlando?!” esclamò Ianto, sgranando gli occhi. Che
diavolo saltava in mente a Jack di fare certe affermazioni davanti a
un collega, fosse anche l’ultimo arrivato come Julian? Ma
Jack non rispose, limitandosi a scrollare le spalle e a ridere. Poi
li afferrò entrambi, una mano per spalla, e li sospinse fuori
dal Luna Park, proprio mentre la voce di Gwen tornava a farsi udire
nell’auricolare, per aggiornarli sugli ultimi avvenimenti.
Non ci volle molto per ritornare alla
base, dove Tosh li attendeva, sola.
“Ci sono state delle
segnalazioni, mentre eravate fuori” iniziò a parlare
prima ancora che l’ultimo di loro fosse entrato.
“Gwen e Owen stanno arrivando con
i corpi delle signore Nichols, ma dicono che alla stazione di polizia
c’era un gran via vai, e che…Jack?!?””
La sua voce, sorpresa e allarmata, salì
di un’ottava.
“Che c’è?”
domandò Jack innocente, sollevandosi dal suo collo, sulla cui
curva nivea andava allargandosi un’ombra rossa, laddove la
bocca del Capitano si era appoggiata, in un bacio che era più
un sensuale morso.
Jack sorrise di fronte allo
sguardo esterrefatto della povera Tosh, ma per quel sorriso a Jack si
poteva perdonare di tutto e lei nascose il volto fra i capelli
tornando cocciutamente a guardare la sua consolle.
“Si.. certo.. dicevo” cercò
affannosamente il punto dove si era fermata. Sentiva tutti gli
sguardi addosso e le parve di poter cogliere i loro pensieri, come un
ricordo del tempo in cui aveva davvero potuto farlo.
Guarda come si imbarazza.
Salterebbe addosso a chiunque se
fosse abbastanza bello.
Non poteva mancare che lei..
Tosh si alzò e corse via
lasciandosi alle spalle i compagni interdetti. Jack si passò
le mani fra i capelli mentre la seguiva con lo sguardo e poi si
voltava verso di loro, con sguardo interrogativo.
"Che le è preso
adesso?"
Lo sguardo di Ianto andò
velocemente da Jack alla porta oltre la quale era sparita la ragazza,
e viceversa. Sembrava indeciso sul da farsi, ma Julian lo prevenne,
posandogli una mano sulla spalla. “Vado a vedere che è
successo” lo tranquillizzò, sorridendo comprensivo. “Non
ti servirà a niente” lo interruppe Jack, alzando le
spalle. “È masochista come tutti i giapponesi” “Ma
che ti prende, Jack?” lo rimproverò Ianto, mentre Julian
partiva all’inseguimento della ragazza. “Ma cosa
prende a voi!” ribatté lui in tutta risposta. “C’è
un tasso di frustrazione qui dentro che toglie il fiato”
continuò, facendo un ampio movimento con le mani. “E tu
non fai eccezione!” gli puntò il dito contro. Ianto
spalancò gli occhi, aprì la bocca per ribattere, ma la
mano di Jack gli afferrò il viso, e le sue labbra calarono a
rubargli il respiro, con prepotenza. Ianto non riuscì a
opporsi a quel bacio, non ci provò neppure. Socchiuse gli
occhi, mentre la sua bocca veniva violata, senza delicatezza, invasa
in ogni sua piega da quell’assalto liquido, bollente, che
cancellava tutto il resto, che spazzava via ogni ragione e perché,
scagliandolo a mille anni luce da se stesso, tra le stelle. Si
sciolse in quel bacio, aggrappandosi a Jack, abbandonandosi alla sua
bocca esigente e impietosa, alle sue mani che lo afferravano per i
capelli, tirandoglieli dolorosamente, che sgualcivano gli abiti,
frugando, pretendendo, e solo il suono tristemente famigliare della
porta meccanica che veniva azionata lo costrinse a tornare in sé.
Spinse via Jack, che oppose resistenza. Le sue labbra rese tumide dal
bacio erano più rosse che mai, un fiore peccaminoso dal quale
Ianto si sarebbe fatto ben volentieri divorare, in quel momento. “I
ragazzi…” sussurrò, non riconoscendo la propria
voce resa roca dal desiderio. “Si fottano” sussurrò
Jack, a sua volta, gli occhi offuscati, come polle d’acqua
torbida. “Jack, Ianto, ci siete?” Gwen comparve per
prima, proprio mentre Ianto, con uno sforzo notevole, si allontanava
da Jack e le dava le spalle, le mani che correvano febbrilmente a
sistemare i capelli, gli abiti.
I passi di Gwen rallentarono
fino a fermarsi e li guardò con sospetto, prima l’uno,
poi la schiena dell’altro. Le era già capito una volta
di trovarsi in una situazione di imbarazzo, ma era arrivata nel cuore
della notte ed effettivamente non doveva trovarsi in quel luogo. Ma
ora? Provò un senso di rabbia crescente, ma li per li era
troppo stupita e potè solo giustificarsi sollevando un
sacchetto di carta stropicciato.
“Ho un panino per Tosh. E’
rimasta qui dentro tutto il giorno.” Poi si sporse un poco
cercandola alla sua consolle. “Ma dov’e’?”
Ianto tacque. Non era sicuro di saper
controllare la voce. Piuttosto si mise le mani in tasca per
assicurarsi discrezione e guardò Jack in cerca di aiuto.
“E’ scesa in archivio per
confrontare le informazioni con vecchi casi.” mentì
quello con il candore di un angelo e il sorriso di un diavolo. “Vuoi
unirti a noi?”
“Cosa stavate facendo?”
s’informò lei, facendosi avanti. Dopotutto forse si era
sbagliata innervosendosi per nulla. Era un suo classico incendiarsi
sempre alla prima scintilla per scoprire che era un fuoco di paglia.
Si mosse verso la console per
appoggiarvi il panino di Tosh.
O forse quella non era una punta di
gelosia? Non doveva forse ammettere, almeno a sé stessa, che
la maggior parte del suo amore per Rhys si chiamava gratitudine ed
affetto, sicurezza? Che non aveva mai avuto il coraggio di buttare il
cuore oltre l’ostacolo accettando una relazione in cui nulla
c’era di certo e prestabilito? Ianto per contro era una
relazione senza impegni: prendere giorno per giorno quel che veniva.
Si rese conto che non aveva sentito la risposta e posato il panino si
voltò a cercarli.
“Cosa stavate facendo?”
Jack era accanto alla porta e la chiuse
con il codice di sicurezza.
“Ci stavamo divertendo.”
“Ah, beati voi!”
rise Gwen, togliendosi la giacca e tirandosi su i capelli. Una risata
solo un po’forzata, in realtà. “Noi stavamo
lavorando, pensate un po’” aggiunse, con una punta di
acredine. “Lavoro, lavoro, lavoro…” sospirò
Jack, staccandosi dalla porta con aria indolente.
“Già, seguendo i tuoi
ordini!” ribatté lei, e aggiunse, con una smorfia:
“Comunque anch’io sono contenta di rivederti, Jack!”
“Oh sì, l’avevo
capito” rispose lui, toccandosi il naso con un dito e
guardandola maliziosamente, “L’ho capito dall’odore…”
Gwen non capì a cosa si
riferisse. Non subito.
Ianto sì, e prima arrossì,
poi impallidì, infine, respirò profondamente, decidendo
che era ora di impegnarsi a fare qualcosa di concreto.
Owen apparve dalla scala che saliva dai
livelli inferiori.
“Ho sistemato le due nonnette, e
se nessuno di voi a qualcosa di più eccitante da propormi,
credo inizierò l’autopsia” annunciò,
stiracchiandosi. “Gwen vi ha già detto il resto?”
Gwen si riscosse, aprì le labbra
per parlare, le richiuse, emise una specie di rantolo, e poi
finalmente riuscì ad articolare un suono di senso compiuto:
“Sì…no…stavo per farlo…Dunque…”
respirò profondamente. “Mentre eravamo alla stazione
di polizia, è stata portata dentro una donna. Sembrava in
stato confusionale, ma da quanto abbiamo capito, era lì perché
era successo qualcosa al suo bambino… Insomma…”
si scostò i capelli dal viso, irritata con Jack, e ancora di
più con se stessa, che gli permetteva di farla sentire così.
“Morale” intervenne Owen,
sempre più spiccio, “quella tale aveva sorpreso il
marito mentre cercava di affogare in bambino nel bagnetto. Lei è
intervenuta, è riuscita a salvare il piccolo, ma il marito si
è ammazzato – indovinate un po’?...- gettandosi
contro lo specchio del bagno”.
Anche Julian e Tosh erano tornati, e
avevano udito l’ultima parte del discorso.
“Ma non è finita”
riprese Owen, godendosi quel momento di attenzione collettiva.
“Mentre stavamo uscendo è
arrivata una comunicazione urgente. Un ragazzo di vent’anni ha
cercato di uccidere la propria fidanzata sbattendola sette volte
contro uno specchio. Quando la polizia è arrivata, lui ha
cercato di uccidersi, ma è stato fermato, e ora è in
una cella d’isolamento. La ragazza è in ospedale, non
sappiamo se se la caverà”.
“Dovremmo parlare con il ragazzo”
propose Ianto, rivolto a tutti, ma con lo sguardo su Jack. Il quale,
da parte sua, annuì:
“Perché no?”
“Hey, è’
arrivata Torchwood.” Disse Clive Parker affacciandosi dal suo
ufficio al primo piano della stazione di polizia. “Te l’avevo
detto io, che quel ragazzo ne puzzava lontano un miglio.”
Alle sue spalle Andy Davidson si alzò
di fretta per vedere a sua volta. “C’e’ anche
Gwen?” alzandosi per guardare a sua volta.
“Gwen? Gwen? Ma lo sai che sei
proprio senza speranza? Quelli li vivono su un altro pianeta,
guardali bene.”
Il Suv si era appena fermato di fronte
all’ingresso principale incurante della striscia gialla di
divieto. Clive non si sarebbe stupito se gli avessero detto che era
un segnale in codice del governo per dire “riservato
Torchwood”. Oh, no, ormai non si stupiva più di nulla,
ma continuava comunque ad arrabbiarsi. Lui doveva fare i conti per
chiudere il mese fra lo stipendio da fame che gli davano egli
alimenti, tenere a bada ubriachi e mariti sfrattati di casa quando
lui stesso avrebbe strozzato sua moglie. La sua ex moglie. Ma,
nonostante questo, qualsiasi fascicolo che potesse dare un qualche
interesse al suo lavoro, risvegliare un po’ della sua curiosità
moribonda, gli veniva sempre tolto di mano da quei bellimbusti.
Guarda te come andavano vestiti. Uno aveva un cappotto che sarebbe
andato bene a carnevale, con tanto di galloni. Clive aguzzò lo
sguardo. Non c’era dubbio, era proprio lui, quello che si
presentava con un sorriso che ti faceva desiderare un muro cui dare
le terga. Jack Harkness, eccome se se lo ricordava quel nome, gli si
presentava sempre come se fosse la prima volta che si incontravano.
Dopotutto come pretendere che il gran capo del Torchwood si
ricordasse di una nullità come lui?...
La giapponese, l’uomo dalla
faccia tirata, c’erano tutti. E quello? Ah, guarda un po’,
avevano trovato un altro damerino dai capelli lunghi, forse si
credeva un cantante.
Dulcis in fundo, ecco scendere
la piccola Gwen. Dio come era cambiata! L’avevano rovinata. Se
la ricordava ancora al suo primo giorno di servizio timida ed
impacciata, con un cappello troppo grande calcato in testa. Ora
sembrava tirata fuori da qualche film. La vide fermarsi e guardare in
alto verso il suo vecchio ufficio.
Andy accanto a lui non stava più
nella pelle.
“Dai” lo incitò
Clive. “Sappiamo cosa cercano, andiamo ad accompagnarli prima
che lo facciano altri.” Raccolse il badge e si avviò,
Andy dietro di lui sembrava regredito allo stadio di uno scolaretto.
Alla vista di Andy il volto
di Gwen si aprì in un gran sorriso, che subito venne
dissimulato dalla presenza dei colleghi. Gwen sapeva che era stupido,
ma si sentiva in imbarazzo a manifestare i propri sentimenti alla
presenza dei ragazzi, e di Jack in particolare. Era un atteggiamento
meschino e non le faceva certo onore. Un po'come se, ai tempi della
scuola, lei fosse entrata nella cricca dei ragazzi più
popolari e non potesse più dare confidenza agli altri...
Di certo l'atteggiamento di Owen, Jack,
perfino di Tosh, non aiutava. Se quest' ultima si limitava a
mantenere un timido riserbo, guardando in direzione degli agenti come
se i suoi occhi non li vedessero nemmeno, Owen non faceva certo
mistero del disprezzo che provava per quelli che ai suoi occhi
apparivano alla stregua di impiegati. Quanto a Jack, le poche volte
in cui si era degnato di rivolgere la parola a Andy, Gwen si era
sentita in imbarazzo per il suo vecchio amico. Il Capitano a volte
aveva il potere di far sentire le persone così completamente
stupide!!!...
"Buongiorno" salutò
Clive Parker, ergendosi in tutta la sua considerevole statura, che
tuttavia non superava quella del suo interlocutore.
"Buongiorno" rispose Jack,
fermandoglisi a un palmo dal naso, e solo perchè gli si era
parato dinnanzi. Era abbastanza palese che considerava
quell'interferenza quanto meno irritante. "Immagino siate qui
per Peter Hastings" proseguì l'agente Parker, senza
lasciarsi intimorire. "Torchwood, giusto?..." aggiunse,
ironico.
"Già" annuì
Jack, "e se abbiamo finito di perdere tempo con i convenevoli,
andremmo a fare il nostro lavoro".
Gwen si rabbuiò. Non era da Jack
essere così sgradevole, nemmeno con la feccia!
Parker non si rabbuiò. Si
arrabbiò e basta. Se non fossero stati alla stazione di
polizia, ma in un pub, se non avesse indossato l'uniforme, ma una
maglietta del Cardiff City Football Club, se non fosse stato in
servizio... Sarebbe potuto andare avanti ore a immaginare cosa
avrebbe fatto a quella bella faccia da rivista patinata se le
contingenze non fossero state così sfavorevoli, ma il
proprietario della faccia non sembrava avere tutto quel tempo.
"Vi accompagno" borbottò,
gettandogli un'ultima occhiata truce prima di dargli le spalle.
"Meno male, stavo iniziando ad
eccitarmi...." sussurrò Jack, ma con un volume abbastanza
alto perché Parker, e non solo lui, potessero udirlo.
Il poliziotto si irrigidì
e gonfiò il petto, sulle prime Gwen pensò che si
sarebbe girato per centrare Jack con uno dei suoi pugni proverbiali,
ma il tempo doveva aver messo un po’ di sale in zucca al
vecchio Clive.
Ugualmente il livello di testosterone
fra quei due stava raggiungendo livelli allarmanti, e senza neppure
un valido motivo. Prese Jack per un braccio e lo costrinse a girarsi
il tempo sufficiente ad ammonirlo con uno dei suoi sguardi più
torvi, adombrato dalla frangia nera sulla fronte.
“Ma cosa ti salta in mente? Siamo
a casa loro, potresti dimostrarti più gentile no?”
“Nostalgia di casa Gwen? Se vuoi
puoi sempre tornarci.” rispose lui algido, lasciandola
ammutolita a guardarlo voltarsi e proseguire, troppo stupefatta anche
solo per arrabbiarsi.
Si fece superare da Owen che avanzava
mani in tasca cercando poliziotte carine nelle vicinanze, vide Ianto
e Julian scambiarsi uno silenzioso sguardo d’intesa ed infine
Toshiko che le mise una mano sulla spalla.
“Dai, vieni” la incitò,
ma senza la consueta dolcezza nella voce. Guardava dritto davanti a
sé, dove il Capitano stava scomparendo dietro una curva del
corridoio e la fronte era segnata da una ruga di preoccupazione.
Gwen, arrabbiata con se stessa per quella reazione infantile, non se
lo fece ripetere e le fu subito dietro.
La cella di sicurezza si trovava nel
seminterrato, lontana da ogni uscita. Era una precauzione più
formale che necessaria perché chi mai si sarebbe sognato di
evadere da una stazione di polizia che brulicava come un alveare? Ed
allo stesso copione rispondeva anche ogni altro aspetto della zona di
detenzione: pittura che supplicava di essere rinfrescata da qualche
anno, una lampadina ad incandescenza orfana della sua pirofila e due
porte in fondo al corridoio. La prima dava sulla stanza di
osservazione, la seconda sulla piccola stanza degli interrogatori.
Gwen arrivò quando ormai tutti erano dentro la prima delle due
ad eccezione di Jack, Andy e Clive fermi sul corridoio nel mezzo
dell’ennesimo confronto.
Nessuno si accorse di Gwen quando mise
la testa dentro la stanza d’osservazione. Ognuno era impegnato
a modo suo.
“Quindi… Tu da quanto
lavori qui?” chiedeva Owen a Priscilla Miller, una ragazza che
era ancora alle prime armi quando lei se ne era andata. Chissà
se aveva preso il suo posto alla fine, non c’erano poi così
tante donne poliziotto. E poi aveva almeno dieci anni meno di Owen.,
o di lei, pensò stizzita. Julian e Ianto continuavano a
parlare sottovoce ed ora anche Toshiko si era unita a loro. Tutto
questo Gwen lo colse con uno sguardo perché subito dopo la sua
attenzione , e non solo la sua, fu attirata dalla voce potente di
Jack.
“Quindi voi mi volete dire che
avete un giovane instabile con una fobia per gli specchi e voi
l’avete messo in una stanza in cui una parete intera può
mandarlo in paranoia? Tiratelo subito fuori di li! Ora! Adesso!”
“Non se ne parla neppure.”
rispose a quel punto Clive sembrava averne avuto abbastanza. “Quel
giovane instabile è un assassino e fino ad ora non ha
dimostrato nessuna reazione nei confronti di quello specchio, è
assicurato alle manette e non tenterà di romperlo con la sua
testa.”
“Forse non mi hai inteso, il mio
è un ordine, ed ora obbedisci se non vuoi trovarti degradato
ad assistere gli anziani.” gli urlò in faccia Jack, lo
sguardo furioso che alterava i bei lineamenti.
Nel corridoio tutti tacquero.
Clive Parker fremeva di rabbia, e Dio
solo sapeva se aveva tutte le ragioni per farlo! Gwen stava giungendo
alla conclusione che se non avesse tirato un pugno a Jack, questa
volta l’avrebbe fatto lei, quando Ianto si fece avanti, posò
la mano sul braccio del Capitano, in un gesto cortese, ma fermo, e lo
costrinse a guardarlo.
“Signore, credo che l’agente
Parker e Davidson saranno più che disponibili a farci parlare
con il sospettato ovunque ci faccia comodo”. Rivolse lo sguardo
limpido ai due agenti, implorando una comprensione che – lo
sapeva – non erano tenuti a riservargli.
Jack si scrollò la sua mano di
dosso con un gesto infastidito, ma Ianto lo afferrò di nuovo,
imperturbabile, deciso, costringendolo a rivolgere nuovamente su di
lui lo guardo, che si era fatto freddo e duro come il cuore di un
ghiacciaio perenne.
Gwen intervenne, sorridendo impacciata
ai due ex colleghi.
“Ragazzi, se per voi va bene,
sposteremmo Hastings nell’altra stanza… Se il Capitano
Harkness crede che la presenza dello specchio possa inficiare l’esito
dell’interrogatorio, bhè…” lanciò
un’occhiata a Jack, mordendosi il labbro.
“Va bene, Gwen” borbottò
Andy, visibilmente contrariato dal comportamento di Harkness, ma
incapace di negare un favore all’ex collega.
“Basta chiederle gentilmente, le
cose…” aggiunse, immusonito.
Jack si pose sulla porta della cella
controllando, le braccia incrociate al petto mentre dietro di lui
Ianto si era posto ad una rispettosa distanza e Gwen era andata con
gli altri nella saletta attigua per non essere di intralcio. Parker
entrò nella stanza degli interrogatori e si chinò sulla
sedia per sciogliere le manette a cui il giovane era legato, strinse
la sua maglietta nel pugno all´altezza della nuca per evitare
gesti inconsulti tirandolo su.
"Sveglia ragazzo, non farti
sollevare di peso dai." lo incitò stancamente il
poliziotto che già si sentiva esausto per quella situazione
talmente incongrua da sembrare quasi una presa in giro.
Avrebbe ormai fatto qualsiasi cosa
perché i grandi eroi di Torchwood se ne andassero il prima
possibile portandosi dietro problemi e supponenza.
Il giovane non oppose alcuna
resistenza, ma nemmeno gli venne incontro. Clive l´aveva visto
accadere più di una volta ormai nei suoi anni di onorato
quanto sofferto servizio: prima uccidevano
ottenebrati da rabbia o disperazione,
poi come se il tocco della follia li avesse lasciati come una nube
passeggera annichilivano sotto il peso delle proprie azioni e si
rinchiudevano in se stessi. Era la forza repressa della mente che
poteva colpire anche la più innocente vecchietta, o era
semplicemente qualcosa nel vento a sbloccarli? Poco importava, dopo
non restava più nulla né della vittima né del
suo assassino.
Che tristi pensieri, tutta colpa della
telefonata di sua moglie che lo rendeva malinconico, o del ragazzo
che si era rovinato la vita, o del caffè della macchinetta che
quel giorno era davvero imbevibile. Quel giorno non era dei migliori.
Che Torchwood si togliesse presto dalle palle!...
Sospirò e si girò verso
il vetro a specchio da cui sapeva che il folto gruppetto lo stava
osservando. Quello era uno dei motivi per cui lo avevano sempre
bocciato come ispettore, non sapeva evitarsi di
guardare in quella direzione: sapere
senza poter vedere, scorgere solo la propria immagine riflessa pur
sapendo che altri lo guardavano gli dava la sensazione di avere dei
fantasmi alle spalle.
Lì per lì non si rese
nemmeno conto del campanello d´allarme che gli suonò in
testa. Assorto nei suoi pensieri, aveva colto qualcosa di
incongruente ma la sua mente non riusciva a comprendere ciò
che vedeva e lo lasciava come un corpo abbandonato senza guida. Un
altro Clive Parker era in piedi di fronte a lui, pallido sotto la
luce fredde del neon, un po´ appesantito rispetto all´immagine
che aveva di sé stesso, ma sempre in forze nonostante i
capelli un po´ radi e bianchi, fermo con una mano sospesa a
mezz´aria a stringere... il nulla.
Del ragazzo fra le sue mani lo specchio
non aveva alcuna traccia.
Nella stanza accanto lo videro
bloccarsi come una statua di sale, la bocca semiaperta dallo stupore.
Il giovane Hastings prese a divincolarsi d´improvviso, urlando
suoni senza senso, cogliendo il
poliziotto alla sprovvista e
sfuggendogli di mano, buttandolo a terra con una spallata e
cadendogli sopra stretto com´era ancora il pugno di Clive alla
sua maglia.
Gwen urlò e corse verso
l´ingresso della cella seguita da Owen.
Julian poggiò il palmo contro il
vetro come se potesse attraversarlo.
Ianto vide Jack infilare la mano nel
cappotto ed estrarre l´arma, caricarla e puntarla con un
movimento fluido. Lo vide entrare con un piede di fronte all´altro
a braccia distese, e prima che riuscisse ad entrare a sua volta udì
due colpi in serrata successione.
Si udì un rantolo soffocato poi
tutto tacque, nella stanza e in quella attigua. Ianto si precipitò
accanto a Jack, pronto ad eseguire ogni suo ordine, ma ciò che
vide lo lasciò senza parole. Il giovane Hastings era riverso
sul poliziotto con un fiore purpureo che gli si andava allargando
sulla schiena. Le braccia abbandonate, il polso destro ancora chiuso
in una manetta orfana, il capo riverso con gli occhi ciechi.
Ianto accorse, chinandosi sul giovane
ed esitando non volendolo spostare. Gli tastò la giugulare, ma
non v´era segno di battito alcuno e strinse le labbra in un una
fessura di rabbia repressa. Già sentiva
Owen cercare di farsi largo nel
corridoio.
"Fermo Andy, aspetta!" Questa
era Gwen che tratteneva il suo ex collega.
Ianto respirò, si rendeva conto
di attendere, di voler ascoltare qualsiasi cosa pur di non dover
fronteggiare il suo timore. Poi strinse i denti e si allungò
sopra il corpo del ragazzo, dove Clive Parker non si era ancora mosso
né si era sentita la sua voce prodigarsi in colorite
bestemmie.
Sul volto pallido di Clive ancora era
dipinto lo stupore, come se la morte fosse stato solo un brutto
scherzo a coronare una giornata cominciata male.
E poi fu un assordante silenzio.
Ianto si rialzò, guardando Jack
incredulo. Vide Gwen afferrarlo per il bavero del cappotto,
strattonandolo violentemente. "Che cosa hai fatto!?"
chiedeva.
“Che cosa hai fatto!?”
ripeté Gwen, strattonandolo violentemente, ma tanto sarebbe
valso tentare di smuovere un albero. Né la voce furibonda
della ragazza, che continuava sbattergli in faccia quella domanda,
sembrava suscitare nel Capitano alcuna reazione, se non una palese
insofferenza.
Afferrò i polsi di Gwen e se la
staccò di dosso, avviandosi lungo il corridoio da cui erano
venuti, incurante dei tentativi concitati di salvare l’agente a
terra.
Quando passò accanto a Tosh
quest’ultima si ritirò d’istinto, appiattendosi
contro la parete, come se fosse terrorizzata solo al pensiero che lui
potesse toccarla.
“Dove vai, Ianto?” domando
Julian, pallido, inginocchiato al fianco di Owen, i pantaloni
imbrattati di sangue.
Ianto non rispose.
Guardò il giovane scozzese, poi
il corridoio lungo il quale era scomparso Jack. Se qualcun altro fece
caso a lui non lo diede a vedere.
Il famigliare ronzio che lo pervadeva,
anche nelle lunghe notti nelle quali rimaneva deserto, e che faceva
da tappeto sonoro alle sue veglie insonni, buttato sul vecchio e
comodo divano di pelle dell’ufficio, era cessato. Come se
l’energia che pervadeva quel luogo, alimentando le macchine,
tenendo costantemente in funzione i sistemi di sorveglianza, si fosse
esaurita.
Perfino le luci erano spente, salvo
quelle di emergenza, che gettavano un alone rossastro tutt’intorno,
confondendo i contorni delle cose e rendendo più che mai
labile e indistinto il confine tra realtà e ombra.
Ianto Jones trattenne il respiro,
muovendosi in quella luce innaturale, sgradevole.
Gli sembrava di essere tornato indietro
alla notte in cui Lisa si era risvegliata, e lui l’aveva
perduta, senza avere nemmeno il tempo di capire, senza poter sapere
cosa sarebbe stato, se solo gli altri, no, se solo Jack Harkness gli
avesse permesso di calmarla, di farla ragionare…
Quanto l’aveva odiato, allora!
Solo il dolore che lo consumava, ottenebrando le sue percezioni,
rallentando le reazioni, era stato più intenso dell’odio
che provava.
Come aveva potuto essere così
spietato? Con che freddezza i suoi occhi avevano decretato la
sentenza capitale, privi di pietà, come quelli di un angelo di
pietra nel cuore gelido di una cattedrale d’inverno?... Bello e
crudele, e quella crudeltà, unita a quella bellezza indecente
per un uomo, costituiva una bestemmia di fronte alla creazione, un
peccato mortale che nessuno dio sembrava intenzionato a lavare,
nonostante tutto…
E lui, Ianto Jones, il più
miserabile degli esseri umani, si era reso conto, col passare del
tempo, di avere bisogno di quella crudeltà, di non poterne
fare a meno, di aver trovato in essa un’altra ragione per
vivere, e per morire.
“Jack?” chiamò, la
voce più ferma di quanto non si fosse aspettato. La mano che
impugnava la pistola restava distesa lungo il fianco.
"Jack" ripeté e la sua
voce si disperse nel silenzio. Jack.
Fra le ombre sanguigne del nucleo si
nascondevano quelle, più inquietanti, del suo passato, tutti i
suoi rimorsi, tutto il dolore di un tempo che gli era rimasto
attaccato alle ossa come le cicatrici di una malattia, come un
predatore in agguato pronto ad affondare i denti.
Ianto si fermò per ascoltare i
suoni familiari della base, ma nuovamente gli rispose solo un
minaccioso silenzio.
Solo. Il pensiero lo colpì
con una fitta al petto. Respirò. Solo...
Si voltò su se stesso cercando
nel buio, imponendosi di respirare e ricacciare indietro quella fitta
dolorosa al petto che era stata il sigillo del suo spirito per così
tanto tempo, quando ogni gesto era un dovere ed ogni sorriso
accuratamente preparato.
Chissà dove sarebbe stato ora se
Jack non gli avesse impedito di andarsene? Sulle prime era stato il
lavoro la sua ancora di salvezza, la sua armatura di perfetta,
distaccata efficienza, l´unico luogo nella sua vita in cui le
cose sembravano essere lontane dal baratro anche nei momenti
peggiori. Erano stati giorni taglienti per la sua anima ed allo
stesso tempo giorni ardenti.
"Jack"
Le ombre non risposero, non risposero
le luci sanguigne dell´impianto di emergenza.
Ianto strinse i denti e maledisse ogni
passo che l´aveva portato fino a lì, dall´incubo
che non aveva ascoltato a tutti quei piccoli gesti che non aveva
voluto cogliere, perché Jack era sempre lui,
imprevedibile, indecifrabile. Potevi
solo fidarti ciecamente ed abbandonarti. Ma fino a dove, fino a che
punto?
"Ianto."
Quasi gli sembrò di non
sentirlo, come se fosse una semplice eco dei suoi richiami. Si
costrinse a tenere l´arma distesa contro il fianco mentre
cercava di capire da dove giungesse la voce.
"Sei venuto per me?"
nuovamente, alle sue spalle, così vicino da sentirne il caldo
respiro sul collo. Una mano gli scivolò lungo il braccio,
sciogliendo con gentilezza le dita che stringevano dalla pistola.
Ianto deglutì, combattuto tra la
paura e il folle, irrazionale desiderio di voltarsi e gettarsi tra le
sue braccia, incurante di ciò che sarebbe potuto accadere,
desideroso, anzi, che tutto si compisse in fretta, in un modo o
nell'altro.
Si sforzò di ignorare
quell'impulso, come i brividi che scaturivano dal punto della sua
nuca su cui il respiro caldo di Jack andava a morire, sferzandolo con
scariche elettriche insostenibili.
Si voltò, lentamente,
docilmente, la dita intrecciate a quelle di Jack, la pistola ancora
nella mano, puntata al ventre di quest'ultimo.
“Sì, Jack, come avevo
promesso” rispose, stancamente.
Il volto dell'altro si distese in un
sorriso morbido come il velluto, mentre il suo corpo si premeva
contro di lui, contro la canna della pistola spianata, con la voluttà
di un amante anelante l'amplesso.
“Bene. E Ianto Jones mantiene
sempre le sue promesse, vero?” domandò, insinuante, la
voce dolce e vischiosa come miele, un delizioso veleno sonoro.
A Ianto parve che il suo volto si
velasse di una nebbia traslucida, per un istante. Ma forse erano solo
le lacrime che gli pungevano le palpebre, inopportune, superflue.
Rimase immobile quando Jack si protese
verso di lui, e le sue labbra calde si posarono sui suoi occhi,
raccogliendo quel pianto con un bacio, un altro.
Ma quando si staccò da lui e lo
spazio che li separava fu più ampio di quello di un respiro,
Ianto vide gli occhi dell'altro brillare sinistri, come zaffiri
maligni, e seppe che avrebbe dovuto agire, e in fretta.
“Sì” sibilò
Jack, come se gli avesse letto nella mente, “devi essere
svelto, Ianto, molto svelto...”
E Ianto sapeva cosa fare.
Per il calore del suo abbraccio, per lo
sguardo in cui amava perdersi, per le catene che li legavano...
Fissò in quegli occhi pieni di
menzogna.
Ma non poté sparare.
Jack non gli usò tanta premura.
Si liberò dell´arma che li separava strappandogliela di
mano e gettandola nell´oscurità, dove si perse con un
freddo rimbalzo, e lo prese per una spalla spingendolo contro l´arco
della zona autopsia.
Stringendogli il mento nella mano Jack
lo costrinse a voltarsi lentamente, prima da una parte, poi
dall´altra, come se ne stesse studiando il cranio sotto la
pelle.
"Cosa ti succede, piccolo
maggiordomo? Dove è finita tutta quella cieca dedizione?"
Tornò a posare i suoi occhi
algidi su di lui, allargando il sorriso, facendo schioccare le lingua
come avrebbe fatto un serpente che annusa l´aria.
"E´ paura quella che sento,
mio piccolo compagno di giochi?..."
Ritrovandosi impotente e sconfitto
Ianto sentì crescere in se stesso la rabbia della
disperazione, una forza che montava come una marea, che non avrebbe
saputo trattenere, che lottava per uscire dalla gola, dai denti
serrati, dallo sguardo. Il respiro gli bruciava in petto.
Jack socchiuse gli occhi sollevando
appena il mento e per prendersi gioco di lui gli posò un dito
sulle labbra come se ogni suo gesto fosse in realtà vano. Ne
scrutò gli occhi profondi e lucidi di rabbia animale e lo
schiacciò ancor più con il suo corpo per cogliere il
soffio del suo spirito ardente, per baciare le sue labbra e morderle
affondando con i denti nella morbida carne, contagiato da tutta
quella disperata vita.
Ianto pressato nel corpo da quel peso,
stretto alla gola dalla mano che ben altre emozioni sapeva elargire,
si sentì lentamente soffocare e reclinò indietro il
capo. Socchiuse gli occhi per mantenere a fuoco le cose e la rabbia
si fece lacrime che scivolarono veloci dal volto.
“Shhhh...” sibilò la
voce di Jack, o di ciò che di Jack era rimasto in
quell'essere, dolce, consolatoria, mentre le dita affondavano nella
carne tenera della gola di Ianto, mozzandogli il respiro.
“Basta lacrime, basta dolore...
Hai recitato la parte... Settimana per settimana... Giorno per
giorno... Ora per ora... Sei stato bravo, Ianto Jones, ma adesso è
ora di passare dall'altra parte” continuò, passandogli
la lingua sulla guancia, con un umida carezza che leccò via il
sale delle lacrime, confondendo la loro scia sulla pelle.
Ianto sapeva, sentiva che avrebbe
dovuto reagire, lottare. Sarebbe morto se non lo avesse fatto. Ma che
importanza aveva, arrivati a quel punto? Tuttavia l'istinto di
sopravvivenza spinse il suo corpo all'azione, prima che la mente
potesse formulare un pensiero razionale. Le sue mani scattarono in
avanti, spintonando via Jack, e le sue gambe balzarono di lato,
scartando un eventuale assalto, nella direzione in cui la pistola era
caduta. Ianto incespicò, cadde, sentì il suo ginocchio
esplodere in un grumo pulsante di dolore, quando urtò contro
una sporgenza metallica. Udì un ruggito alle proprie spalle,
ma non si voltò. Quello che avrebbe potuto vedere non poteva
essere peggio di ciò che aveva già visto.
Individuò la pistola che
sporgeva da sotto un mobile e un po'correndo, un po'trascinandosi si
lanciò in quella direzione.
Sentì le proprie ossa
scricchiolare, il corpo cedere quando l'altro gli fu addosso,
schiantandolo col proprio peso a terra, cercando di bloccargli
braccia e gambe. Ma questa volta Ianto Jones non si arrese, si
rivoltò, combattè con le unghie e coi denti, sferrando
pugni e calci, mordendo l'aria, come quando, da ragazzo, faceva i
conti con la propria vita nei sobborghi di Londra, annaspando per non
andare a fondo nella merda.
"Tutto solo Ianto Jones, era una
questione personale?"
Ianto cercava alla cieca la pistola
guadagnando a stento pochi centimetri di speranza.
"Ora è ora di passare
dall´altra parte" disse la voce di Jack facendosi roca e
rovinando in una eco inumana. "Dove non esiste tempo e non
esiste dolore."
Era il momento, l´ultima
occasione, l´ultimo tentativo. Ianto si allungò con
tutto se stesso per raggiungere la pistola annidata sotto il mobile e
finalmente la sfiorò con le dita, l´allontanò
toccandola ma nuovamente la raggiunse incurante della camicia che lo
strozzava, annaspò per avvicinarla con le unghie ed infine la
impugnò. Voltandosi con le sole spalle in un modo che sembrava
senza speranza, sentendo la schiena protestare ed i nervi uscir di
sede riuscì a portare la spalla destra sotto il corpo e
voltare il capo verso la cosa che lo tratteneva.
La pistola nelle mani, l´orrore
negli occhi, sparò.
Ci fu un sibilo, uno suono come di
infranto. Poi il silenzio.
Ianto lottò per respirare,
schiacciato dal peso della creatura che gli si era afflosciata sopra.
La creatura... Jack... Con un singhiozzo cercò di liberarsi,
incurante del ginocchio dolorante, della carne cedevole e inerte
nella quale le sue dita affondavano, mentre cercava di spingerlo via.
Il suo cappotto... il suo odore... Come aveva potuto?!...
Poi una risata roca sgorgò dalla
gola di Jack Harkness, o chiunque egli fosse, e Ianto si ritrovò
a fronteggiare ancora quegli occhi freddi, inumani, simili a specchi
nei quali si rifletteva solo la sua paura.
Gridò quando la bocca
dell'essere si abbattè su di lui, puntando alla gola, e in
quel grido credette si sarebbe annullato ciò che restava della
sua anima.
“Jack! Ianto!”
Fu Gwen la prima ad entrare nel Nucleo,
seguita da uno scarmigliato Julian.
Toshiko riattivo il sistema e i neon si
riaccesero, inondando di una fredda luce bianca tutto l'ambiente.
“Qui c'è del sangue!”
Gwen si precipitò al fianco di Owen, gli occhi chiari dilatati
dall'apprensione.
“E qui c'è la pistola di
Ianto” aggiunse Julian, sollevando da terra l'arma.
“Ma che accidenti è
successo?!” inveì Gwen, guardandosi intorno come se il
colpevole di qualsiasi cosa fosse successa lì dentro fosse tra
i suoi compagni.
“Non lo so” mormorò
Toshiko, digitando sulla tastiera.
“Il sistema di videosorveglianza
è stato manomesso... cioè... “ si schiarì
la voce, come se temesse di proseguire dando voce al proprio dubbio.
“Cioè cosa?” le si
affiancò Owen, la fronte aggrottata.
“Cioè... qualcuno che
conosceva i codici lo ha disattivato....” concluse mestamente
la giapponese.
Owen masticò una bestemmia.
“E adesso? Che accidenti
facciamo?” domandò Gewn, sempre pericolosamente in
bilico tra rabbia e preoccupazione.
"Le tracce di sangue proseguono
verso l'uscita" osservò Julian che aveva raccolto l´arma
dell´amico e l´aveva infilata alla cintura dietro la
schiena, un gesto che aveva imparato guardando Gwen.
"E´ ora di parlare chiaro. "
intervenne Owen. "C´e´ qualcosa che non va in Jack,
ha ucciso un ragazzo e va bene, poteva essere posseduto da chissà
quale alieno, ma non aveva alcun motivo per freddare anche il
poliziotto!"
Buttò con rabbia la busta con
gli effetti personali del ragazzo sul tavolino vicino al divano da
dove cadde per l´impeto. I suoi vestiti erano ancora ricoperti
di sangue, così come quelli di Julian che aveva tentato di
aiutarlo seguendo passo passo i suoi ordini.
"Si comporta in modo strano"
rincarò Toshiko che aveva ancora lo sguardo fisso sui segni di
sangue che mostravano come qualcosa fosse stato trascinato di peso.
Sembrava immaginare quanto poteva essere accaduto con dovizia di
particolari.
Quando tentava di tranquillizzare i
suoi ex colleghi si era dimostrata sicura e confidente, ma ora ogni
maschera era crollata e camminava avanti e indietro, mettendosi una
mano sulla fronte per pensare meglio e per nascondere la vista della
stanza dell´interrogatorio che ancora le aleggiava davanti agli
occhi.
"Si ma dov´e´ Ianto?
Cosa è accaduto. Non pensate davvero che Jack abbia potuto
fargli del male?" chiese Toshiko esitante, senza davvero voler
una risposta.
"Potrei controllare se questo è
il suo sangue." propose Owen.
"Non c´e´ tempo."
Gwen tagliò l´aria con una mano. "Dobbiamo sapere
dove sono. Tosh, controlla se c´e´ ancora qualcuno nel
Nucleo, forse è una falsa pista quel sangue, e controlla se
trovi agenti esterni contaminanti. Owen... il corpo del ragazzo può
aspettare, cerca Ianto e Jack con loro segnalatori."
Owen annuì. Era chinato accanto
a Julian, aiutandolo a raccogliere gli oggetti del giovane Hastings
che gli erano caduti dal tavolo. Quando riabbassò lo sguardo
per prendere il raccolto dalle mani di Julian e mettersi alla ricerca
dei due compagni notò che Julian si era fermato nel mezzo,
osservando uno stupido pezzetto di carta. Come se quello fosse il
momento più adatto per perdersi dietro ai propri pensieri!
Stava per riprenderlo a male parole per
le sue divagazioni quando lo vide alzarsi, abbandonando tutto a terra
tranne quel pezzetto di carta.
"No Owen" gli si rivolse
Julian guardandolo dall´alto in basso. "Fai l´autopsia
al ragazzo , è vitale."
Gwen sgranò gli occhi e serrò
la mascella pronta a farsi sentire, ma Julian alzò il
foglietto strapazzato fra le mani per mostrarlo a loro, come se fosse
la chiave.
"Tosh, controlla nel lunapark che
è arrivato due giorni fa in città, è qui vicino.
Questo biglietto viene da li. Scommetto che ci sono state anche le
due vecchiette. Gwen, " riprese voltandosi, in preda
all´impazienza e si fermò vedendo il suo sguardo torvo.
Lei lo fissava irata, poco mancava che
pestasse un piede. "Ma cosa ti prende, Jack e Ianto sono più
importanti, non ha importanza dove sono state le vittime, loro
vengono prima."
Julian sembrò sorpreso, prese
fiato ma non se la prese a male, rigirò piuttosto il biglietto
nella mano e lo strinse nel pugno, prima di dire : "Gwen, io
Ianto e Jack oggi siamo stati in quello stesso parco.
Il cielo sulla baia era lavanda e oro,
nuvole che si levavano ad altezze vertiginose, come colonne di
fiamme, grondando sangue sul mare piatto, purpureo.
Le luci rutilanti delle attrazioni
erano già accese, il loro bagliore variopinto che impallidiva
sullo sfondo di quell'incendio celeste. Una cacofonia di musiche in
filodiffusione, irrispettose le une delle altre, riempiva l'aria, già
satura dell'odore dolciastro delle frittelle e dello zucchero filato.
Owen sorprese Toshiko che guardava con
desiderio un baracchino dal quale diversi bambini si allontanavano
portando con sé una nuvola rosa e zuccherina. La giapponese
arrossì di fronte a quello sguardo duro.
Incuranti della presenza, seppur ancora
esigua, dei visitatori, seguirono Julian che, con passo sicuro, li
conduceva verso il labirinto degli specchi.
“Eccolo!” indicò ad
un certo punto lo scozzese, riconoscendo il tendone blu notte e
argento.
“Sembra ancora chiuso”
osservò dubbioso Owen, socchiudendo gli occhi. In effetti, a
differenza delle altre attrazioni, che al calar delle ombre
sembravano essere risorte ad una nuova e luminosa vita, il labirinto
degli specchi appariva deserto e abbandonato. Anzi, la mancanza della
luce capace di rendere reali i suoi infiniti giochi visivi, lo faceva
sembrare ancora più cupo e sinistro...
“Al diavolo, entriamo e basta!”
protestò Gwen, scostando stizzita i pesanti tendaggi, solo per
arrestarsi di fronte alla solida parete di cristallo, dalla quale la
sua immagine la fissava, agguerrita e pronta a tutto, e tuttavia
impotente.
Eliminato il tendone, presero a tastare
le pareti lisce e fredde, girando intorno alla struttura,
apparentemente così fragile, eppure impenetrabile.
“Sicuri che siete entrati?”
domandò Toshiko, rivolta a Julian.
Lo scozzese emise un grugnito di
assenso, spingendo, inutilmente, una lastra di vetro.
Poi, un attimo prima che Gwen,
spazientita, tirasse fuori la pistola e facesse fuoco sul uno
specchio a caso, il cuore stesso del labirinto parve accendersi di
una luce rossa, mentre, contemporaneamente, una musica di violino
scaturiva da un luogo imprecisato, e tutta la struttura iniziava a
ruotare su se stessa, rendendo ancora più ingannevole il
ricorrersi dei riflessi nei riflessi.
Julian sollevò lo sguardo
d´istinto a quella musica e sentì sorgergli un sorriso
sulle labbra. Sollevò lo sguardo verso quel castello di
cristalli che andava prendendo vita e rimase incantato nonostante la
drammaticità del momento. Il tempo scorreva loro come sabbia
fra le dita, i loro compagni erano nelle mani di qualcosa di
incomprensibile ed alieno, ma nonostante questo, nonostante tutto
questo, quel suono vibrato e dolce suscitava in lui un senso di
malinconia che lo riscaldava.
"Qualcuno ci sta prendendo in
giro" disse Owen allontanandosi di qualche passo per vedere
l'edificio nella sua interezza, il naso all´insù verso
quei balconi che occhieggiavano rossastri nella notte.
Valutò la parete, la pistola
impugnata e tenuta a due mani di fronte a lui, canna verso il basso.
"Che ne dite se invece di seguire la strada indicata non
entriamo dalla porta di servizio? Sono certo che li in alto non hanno
messo nessun trucco da baraccone per bloccare l´accesso."
Gwen lo raggiunse di corsa per
controllare a sua volta, i capelli sciolti che si agitavano come una
nube attorno a lei ogni volta che si voltava di scatto.
"Si, si potrebbe... ma perché
semplicemente non rompiamo questi maledetti specchi?"
Nessuno le rispose. Non c´era un
buon motivo per non farlo, certamente non erano dicerie come gli anni
di sventura a fermarli, ma ognuno di loro, anche la stessa Gwen,
sentiva che quel luogo era vivo e pronto a difendersi, che fossero
gli specchi o il violinista o lo stesso padrone del castello.
"Da che parte siete entrati
Julian." chiese allora Gwen rivolgendosi allo scozzese ancora
assorto a contemplare la propria immagine stupita nel cristallo.
“Difficile dirlo, soprattutto ora
che si muove” arricciò il naso lui, massaggiandosi la
nuca.
“potremmo provare quel ballatoio
lassù... almeno dà l'impressione di essere un po'più
solido” propose Toshiko, e il suo intervento suscitò uno
scoppio di ilarità in Owen.
“Scusate” sogghignò
il medico, cercando di darsi un contegno, “ma mi è
venuta in mente la faccenda del gatto che si arrampica sugli
specchi... avete presente, no?”. Ma a parte un sospiro da parte
di Tosh, la sua uscita non fece sensazione.
Ma, gatto o non gatto, l'impresa non si
rivelò delle più facili.
Già arrampicarsi su una
superficie liscia e senza appigli era un'impresa che avrebbe generato
frustrazione in animi meno allenati, ma il fatto di doverlo fare,
almeno teoricamente senza dare nell'occhio risultava pressochè
impossibile. E questo sebbene, per qualche strano motivo, avessero
l'impressione che nessuno, tra i visitatori che affollavano sempre
più numerosi il Luna Park, potesse scorgerli...
Gwen era voltata verso la via e con un
braccio alzato come usava fare, pronta a dichiararsi Torchwood a
piena voce, ma non passò molto che si ritrovò ad
abbassarlo, interdetta. Nessuno la guardava, nessuno guardava non
solo nella direzione di un gruppo di persone in nero che si
arrampicavano come ragni su uno specchio ma verso l´edificio
più appariscente del luna park in quel momento. Gwen si voltò
a guardare i compagni per vedere quanto se ne rendessero conto, poi
come ultima verifica si mise giusto davanti ad una famigliola che le
veniva incontro e questi si spostarono si dalla sua strada, ma senza
dar a vedere di averlo fatto per lei.
"Ragazzi... sbrighiamoci, questo
posto non mi piace. Non mi sono mai piaciuti i Luna Pack."
Owen aveva raggiunto il secondo piano
nel frattempo, aiutato da Julian sotto di lui ma si trovava
nell´ingrata situazione di non trovare altre appigli per
salire. Oltre, naturalmente, a sentirsi molto
stupido.
"Attento Owen." Disse sotto
di lui Toshiko e lo guardava salire sulle spine.
"Oh, beh, grazie Tosh, adesso si
che farò attenzione."
"Forse dovremo cercare una uscita
sul retro." rincarò lei. "Sarebbe più
sicura."
"Non vorrei ricordartelo ma noi
diamo la caccia agli alieni, non c´è nulla di sicuro."
"Non per questo devi spezzarti
l´osso del collo salendo su una parete di specchi se ci sono
altri ingressi." rincarò lei.
Per Owen fu troppo. Già sentiva
tutti i muscoli bruciare per quello sforzo ingrato, già
Toshiko e Gwen se ne stavano imbambolate invece di cercare vie
alternative, la spalla doleva e sapeva che non sarebbe riuscito a
sollevarsi un centimetro di più. Peggio, il piede destro non
aveva alcuna sporgenza sicura e restava li mezzo appeso contro uno
specchio. Le parole gli uscirono di bocca prima che potesse mordersi
la lingua, se mai Owen Harper l´aveva fatto, e si voltò
d´istinto verso , Toshiko. Tanto bastò al suo peso per
spostarsi, il piede perse la presa e si sentì inesorabilmente
tirare indietro dalla forza di gravità mentre sotto di lui
Julian, per aiutarlo, aveva fatto un passo indietro.
Cadere avrebbe fatto male, Owen lo
sapeva, ma per un attimo rimase sospeso a mezz´aria e immaginò
quanto grotteschi clown dovevano sembrare, lui e Julian uno sopra
l´altro, in quel momento.
Ianto aprì gli occhi,
faticosamente, lottando per emergere dal torpore che gli
immobilizzava le membra, gli ottenebrava i sensi.
La coscienza giunse fin troppo in
fretta, e con essa il dolore, sordo, pulsante, che gli mordeva il
collo come una cosa viva. Quanto a muoversi... Per un attimo credette
che le sue percezioni fossero irreparabilmente compromesse, e che i
suoi occhi gli stessero giocando uno scherzo sinistro.
D'istinto alzò le braccia
davanti a sé, ad incontrare la fredda superficie di uno
specchio, da quale un se stesso stravolto, irriconoscibile, lo
fissava. Girò su se stesso, solo per incontrare ancora i
propri occhi, due, tre, sei volte. Si trovava all'interno di una
sorta di prisma, a base esagonale, una bara di specchi che gli
lasciava appena lo spazio sufficiente per muoversi. Il panico
s'impadronì di lui, prepotentemente evocato da quella
costrizione, dall'incombere soffocante di quelle pareti liscie e
fredde, che lo illudevano con la beffa di infiniti corridoi
proiettati verso una non meno rassicurante oscurità...
Girò ancora su se stesso, in
preda ad un'agitazione crescente, incurante del dolore al collo,
dell'odore dolciastro del proprio sangue che imbrattava la camicia ai
suoi doppi prigionieri. Girò e picchiò le pareti coi
pugni chiusi, la voce che sfuggiva dalla gola arsa in un grido
inarticolato, che si evolveva, esasperandosi.
Ruotava così vorticosamente che
quando i suoi occhi colsero un'immagine differente non la
registrarono subito, ma dovette tornare a voltarsi di scatto, come se
qualcosa, annidato nella coda del suo occhio, fosse fuggito
all'improvviso.
Restò immobile, quando vide alle
spalle del proprio riflesso emergere apparentemente da uno dei
corridoi d'ombra, la figura di Jack.
Si voltò, ma si trovò a
fronteggiare di nuovo se stesso, solo, gli occhi dilatati iniettati
di sangue, velati di follia.
Sollevò di nuovo le mani,
ruotando su se stesso, più lentamente, fino a tornare a
guardare nella direzione in cui aveva visto, o gli era parso di
vedere, l'altro uomo. Pareti levigate, fluide, scorrevoli, di nuovo
il proprio volto sgomento, e di fianco, il mento quasi appoggiato
alla sua spalla, quello disteso e ammiccante di Jack Harkness...
D'istinto mosse le mani in avanti,
sebbene fosse consapevole che, ammesso che ci fosse qualcuno con lui,
avrebbe dovuto trovarsi alle sue spalle. Ma la consapevolezza non
aveva ragione d'essere in quel luogo, che sfidava ogni logica,
deformava ogni percezione, alterava arbitrariamente ogni convinzione.
Non incontrò nulla davanti a sé,
laddove era certo che ci fosse, fino a poco prima, uno specchio, e
avanzando di un passo si rese conto che il riflesso era un poco più
avanti, e che era uscito, in qualche modo, dalla sua prigione di
vetro solo per trovarsi in un'altra stanza non meno angusta, che gli
si chiudeva intorno in un reiterato gioco di rifrazioni ingannevoli.
Urlò di rabbia, urlò di
paura, batté i pugni contro il suo io riflesso e quasi si
stupì di non sentire alcun dolore. Un senso di nausea lo stava
assalendo al punto che non osava più voltarsi a guardare gli
infiniti volti sconvolti di Ianto Jones. Né voleva cercare il
volto sorridente di Jack per scoprire se era reale o il suo incubo.
Si portò una mano alla bocca per non urlare e da li il passo
fu breve verso
quel sordo dolore al collo che non
sapeva ben definire ma che sembrava andare al ritmo del suo cuore in
tumulto.
Da ogni dove giungeva il canto stridulo
del violino che strappava alle corde una melodia aliena ed
inquietante. Ianto alzò lo sguardo al soffitto in cerca di
aria per respirare ed anche li si ritrovò, un
volto fatto tutto di occhi sgranati
annegati nel panico. Una luminosità rossastra si propagava
pulsando fin sopra di lui. Dovette cercare gli specchi con le mani
per appoggiarsi, perché lo colse un senso di vertigine ed una
profonda nausea. Erano freddi sotto le mani, spiacevoli al tatto e
quasi sfuggenti ma non poté far altro che appoggiarvisi anche
con la schiena, sperando che se non si fosse
guardato alle spalle avrebbe potuto
immaginare un muro solido e sicuro.
E poi vide di nuovo Jack. Gli dava le
spalle, immobile davanti all'ennesimo specchio, che rifletteva la sua
immagine. Fu con quest'ultima che Ianto incrociò lo sguardo,
nel momento in cui il Capitano alzava un pugno per colpire la
superficie riflettente, e poi un altro pugno, e un altro ancora,
provocando una serie di lenti, cadenzati rintocchi.
Ianto mosse un passo in avanti, incerto
riguardo a cosa avrebbero trovato i suoi piedi. La figura nello
specchio aveva la bocca spalancata in un ininterrotto grido
silenzioso, mentre seguitava a picchiare i pugni con crescente
violenza. Come se volesse uscire.
Continuò anche quando la figura
davanti allo specchio si voltò a fronteggiare Ianto, un
sorriso cattivo sulle labbra.
In quel mentre mille pensieri gli
traversarono la mente.
Sapeva,sentiva, che in un altro momento
ed in un altro luogo avrebbe capito con chiarezza cosa stava
accadendo ma ora i suoi senti erano ottenebrati come se si trovasse
imbrigliato nelle maglie di un sogno.
Quel sorriso tagliente e crudele si
faceva strada prepotentemente nella sua mente, forte della minaccia
letale che prometteva.
Sentì il desiderio di
allontanarsi, ma alle sue spalle c´era un muro di vetro.
Avrebbe voluto chiedere aiuto, ma la
sua voce era muta quanto quella del Jack nello specchio, quello che
continuava a guardarlo e a chiamarlo prendendo a pugni la propria
prigione.
Il Jack nello specchio...
Quel pensiero vagò nella mente
di Ianto come una eco solitaria.
Il Jack nello specchio, che urlava e
chiamava.
Ianto spostò lo sguardo dall´uno
all´altro colto da una improvvisa, sorprendente speranza. Se la
sentì crescere dentro come una pianta che si risveglia al sole
e senza rendersene conto inspirò aria nei polmoni e raddrizzò
le spalle, riprese a sorridere anche se l´incubo gli era ormai
addosso con i suoi occhi troppo sgranati e i denti candidi dietro
labbra tirate in una piega malevola.
La sua seconda possibilità,
pensò Ianto, quella che non si sarebbe lasciato scappare anche
se avrebbe dovuto combattere con le unghie e con i denti fino
all´ultimo brandello di anima. Qualcosa gli diceva che proprio
di quello si trattava.
Non attese allora di subire gli eventi,
ma si scagliò addosso alla figura del suo incubo per bloccarla
contro un muro di specchi. Scaricò in quello slancio tutta la
rabbia repressa ed ogni timore, da quando quell´essere, ora lo
sapeva, si era introdotto nei suoi sogni. E quello come un manichino
sembrava incassare ogni colpo senza patirne l´effetto. Ianto
gli era addosso, premendolo contro gli specchi e stringendogli il
collo con il braccio, osservando i suoi lineamenti, ma ricacciando
indietro ogni dubbio dimentico di ogni pietà fino a quando non
si rese conto che anche il suo Jack, quello al di là dello
specchio, era accanto a loro, la mano posata contro il vetro che li
divideva, e cercava di dirgli qualcosa.
"Che ti prende, piccolo
maggiordomo?" sibilò il suo avversario, digrignando i
denti e fissandolo con occhi traboccanti odio e scherno.
"Non vuoi passare dall'altra
parte? Come mai? Lo desiderano tutti.. alla fine è quello che
tutti noi vogliamo!"
Gli occhi di Ianto correvano frenetici
dall'essere contro cui lottava alle labbra di Jack, nello specchio,
sforzandosi di leggere da esse il muto suggerimento che tentava di
comunicargli.
Cosa, cosa avrebbe dovuto fare? Penso
freneticamente.
Le due anziane signore, l'uomo che
aveva cercato di affogare il figlio... si erano scagliati contro uno
specchio... Stavano tentando di rientrare? Ma nel farlo erano morti,
non solo i loro doppi, ma, presumibilmente, anche gli originali
intrappolati...
"Cosa devo fare, Jack?!?"
gridò disperatamente, assestando un altro colpo alla creatura
che continuava a divincolarsi.
"Prendimi per mano, Ianto..."
sibilò quest'ultima, accusando appena il colpo, un rivolo di
sangue che sgorgava dalle labbra carnose rendendole ancora più
rosse.
"Prendimi per mano e passa con me
dall'altra parte..."
Ianto agì, agì in fretta.
Scaraventò l'essere lontano da sè, lontano dallo
specchio, e senza esitare buttò le mani in avanti, con tutta
la forza che aveva.
Si preparò all'urtò,
doloroso, all'istante in cui il vetro avrebbe squarciato la pelle
delle nocche, conficcandosi in schegge affilate nella sua carne.
Invece incontro il calore di altre
mani, che afferravano le sue.
Le mani di Jack.
Non ebbe bisogno d'altro.
Tirò con tutte le proprie forze,
incurante della sensazione di gelo che gli stringeva i polsi,
risalendo lungo le braccia, ignorando il richiamo insostenibile che
lo invitava a lasciarsi andare, a cedere. Lo specchio si fletté,
con un suono stridente, poi parve rientrare in se stesso,
deformandosi, ed infine esplose, investendolo con una tempesta di
frammenti e polvere scintillante.
Ianto serrò gli occhi,
sentendosi cadere all'indietro.
Come quando scoppia una bolla di
sapone, con un suono che l´orecchio non coglie, ma lascia
sempre stupito lo spirito, allo stesso modo qualcosa si ruppe nel
labirinto di specchi e tutti coloro che all´esterno si
affannavano per entrare si guardarono stupiti l´un l´altro
chiedendosi cosa fosse accaduto. Nulla nell´aspetto sembrava
essere mutato, dall´interno traspariva ancora una sua luce
malevola ed inquietante.
Fu Toshiko la prima a comprendere.
"Il violino" disse "non
suona più, sentite"
Gli altri dovettero concentrarsi per
ricordare che c´era stata una musica e comprendere che ora non
ne restava che il riflesso a propagarsi nel tempo.
"E´ successo qualcosa,
dobbiamo entrare." Gwen guardava la facciata cercando qualche
traccia di movimento.
"Ma brava." Commentò a
denti stretti Owen dondolandosi dalle sbarre della balconata
dell´ultimo piano mentre Julian sotto di lui era salito a sua
volta al primo piano gli faceva da appoggio. "Secondo te noi
esattamente cosa staremmo facendo?"
"I buffoni!" rispose lei
schietta.
"Ma sentitela... la principessina.
Ne ho le palle piene di te Gwen, sappilo."
"Ahh! Ora che lo so vivo meglio,
ti ringrazio Owen. Ed ora volete scendere di li o preferite che vi
usi per migliorare la mira?"
"Non perdi occasione per prendere
in mano una pistola Gwen, in effetti mi ricordo quanto ti piaceva."
Toshiko e Julian tacevano di fronte
alla situazione tragicomica. Non volendo alzare la voce preferivano
il silenzio ma si scambiarono sguardi preoccupati perché si
rendevano conto che il labirinto era mutato e qualcosa era in attesa.
La giapponese si avvicinò agli scalini di metallo argentato,
alti e stretti, e li risalì guardando da vicino gli specchi.
Aguzzò lo sguardo, si guardò alle spalle sgranando gli
occhi per poi controllare nuovamente negli specchi. Dietro di lei
Owen e Gwen continuavano la loro partita di insulti mentre Julian la
stava seguendo con lo sguardo.
"Manca il mondo" sussurrò,
sfiorando lo specchio di fronte a lei con una mano. La sua immagine
la seguiva docilmente nei gesti, ma attorno a lei non v´era
altro che una indistinta rossa luminosità.
Agli altri non fu subito chiaro di cosa
stesse parlando, ma poi Julian, che era sceso a terra lasciando Gwen
e Owen al loro battibecco, le si accostò, socchiudendo gli
occhi.
Nello specchio, lui e Toshiko
sembravano due figure ritagliate e incollate su uno sfondo vuoto,
circondati solo da quella rossa assenza, come se non esistesse nessun
Luna Park, e intorno a loro ci fosse solo un nulla sospeso.
"Accidenti...." borbottò,
inclinando la testa da un lato e restando quasi sorpreso che la sua
immagine lo imitasse docilmente.
"Ha anche smesso di girare, sarà
un buon segno?" sopraggiunse Owen pulendosi i pantaloni dalla
polvere causata dalla precedente caduta.
La frase era ancora in sospesa, quando
il primo specchio esplose, con un fragore assordante, seguito da uno
scroscio di vetri.
Toshiko si coprì la testa con le
braccia, spaventata dal rumore mentre Owen estraeva la pistola e si
preparava a qualsiasi evenienza. Julian fece qualche passo indietro,
raggiunto da Gwen, per guardare la facciata e comprendere cosa stesse
accadendo. Fu solo allora che compresero che quel primo specchio era
solo un proemio per una sinfonia di vetri infranti che dai piani
superiori caddero loro addosso come una pioggia tagliente. Julian
fece appena in tempo a prendere Gwen per un polso e tirarsela addosso
per coprirla con il proprio corpo come e quanto più gli
riuscì. Lei ne rimase così sorpresa che lo lasciò
fare e per il tempo di uno scrosciare di cristalli si ritrovò
stretta contro di lui, nella sicura penombra del suo abbraccio.
Quando tornò il silenzio Gwen esitò un momento, poi si
spinse via poggiando le mani sul suo petto, battendovi sopra
leggermente come per togliere la polvere e fissando con impegno le
proprie mani.
Un ultimo scroscio di vetri ritardatari
li richiamò all´ordine, si scambiarono uno sguardo ed
estrassero insieme le pistole per volarsi a fronteggiare qualsiasi
cosa li attendesse. Tuttavia impiegarono qualche momento a capire
cosa questo fosse. Come una bolla di sapone il labirinto era esploso
in una miriade di frammenti ed ora ne restava solo il suo scheletro
sottile, fatto di riquadri malinconici che incorniciavano il vuoto.
Un suolo di frammenti sottili come sabbia scricchiolavano sotto i
piedi mentre ovunque spicchi di vetro infranto spiccavano incastrati
con le punte verso il cielo sottili come rasoi.
Altri ancora pendevano dal soffitto in
modo assai poco rassicurante, dando l´impressione di attendere
soltanto uno sprovveduto. Sembrava in tutto un paesaggio lunare,
anche nella sua sospesa immobilità.
Gwen mormorò: "Ma cosa è
successo?"
Nessuno rispose, i loro sguardi
correvano su quella desolazione in cerca di una forma familiare, il
fiato sospeso nell´attesa. Owen fece un passo avanti, incerto
sulle prime, e si sentì il rumore del vetro che urlava e
strideva prima di sbriciolarsi come fosse stato vivo.
Poi, qualcosa si mosse.
Lo udirono distintamente tutti, anche
se non capirono da dove arrivasse. Poco importava, fu sufficiente a
infrangere il senso di meraviglia che li tratteneva e presero a
correre verso il cuore della distesa di specchi, chi scivolando, chi
spaccando sotto i piedi, in una frenetica ricerca.
E fu così che li trovarono, Jack
e Ianto, raggomitolati a terra, in mezzo a quel deserto di cristallo,
il primo che abbracciava l'altro, avvolgendolo completamente nelle
falde del proprio cappotto, probabilmente per proteggerlo dalla
bufera tagliente che si era appena depositata. Sembravano
addormentati, come uccelli sullo stesso ramo, capo contro capo. I
capelli di Jack erano cosparsi di pulviscolo argenteo, e il cappotto
era lacerato in più punti. Restava immobile, e Ianto, tra le
sue braccia, era appena visibile.
Gwen e Owen furono i primi a
raggiungerli, calpestando rabbiosamente il vetro, che si sbriciolava
con un suono sgradevole.
Gwen allungò una mano per
toccare la schiena del Capitano, ma si arrestò, timorosa,
cercando lo sguardo di Owen.
Poi Jack levò su di loro lo
sguardo, vagamente annebbiato. Infiniti graffi e tagli andavano
rimarginandosi a vista d'occhio sul suo volto, che tornava
gradualmente alla primitiva perfezione.
"Jack!" gridò Gwen,
e in quel grido risuonò tutto il suo sollievo.
Jack aggrottò la fronte, fece
una piccola smorfia, togliendosi alcune sottili schegge di vetro che
gli pungevano le guance. Poi sorrise, come chi, svegliandosi dopo un
lungo sonno, scoprisse che c'è il sole.
"State bene entrambi?" si
informò Owen, ancora restiò ad abbandonarsi a facili
entusiasmi. dopotutto, chi garantiva loro che quello fosse davvero il
Jack Harkness che erano abituati a conosce - nei limiti in cui egli
si era lasciato conoscere, beninteso - e non quell'essere
imprevedibile e inutilmente crudele che avevno visto in azione nelle
ultime ore?...
Ianto si mosse appena, come se stesse
riemergendo dall'incoscienza, polvere di vetro sui capelli, tra le
ciglia.
Jack si sollevò un poco,
poggiando una mano sui cristalli per sollevarla con una smorfia
subito dopo, solcata da una sottile linea rossa. Ma fu subito
dimenticata perché la sua attenzione era tutta per Ianto che
andava riprendendosi. Owen, poggiato sui talloni accanto a loro, lo
stava aiutando a sollevarsi reggendogli la testa. "No, aspetta."
lo guidava. "Gira la faccia verso terra prima di aprire gli
occhi, vieni, appoggiati."
Un po´ discosti Julian e Toshiko
erano chini su un cumulo più alto degli altri e scostavano con
cura le lamine acuminate da quello che restava di un corpo di
giovane. Sul loro sguardo si leggeva l´epilogo di una storia
tristemente annunciata. Si scambiarono uno sguardo a labbra strette e
con nuova gratitudine guardarono i loro amici riprendersi e
rialzarsi. Gwen aveva preso esempio e stava cercando gli altri corpi
nel labirinto infranto, liberandoli in modo approssimativo. Le due
anziane signore, l'uomo che aveva tentato di affogare il figlio...
"Che cosa è successo?"
chiese Ianto guardandosi attorno.
"Pare che tu fossi l´unico
ad aver capito cosa stesse accadendo"rispose Owen per tutti
"Certo che potevi anche avvertirci invece di sparire senza
preavviso. Tu e le tue manie da eroe!" lo rimproverò,
rabbioso.
"Si" sopraggiunse Toshiko "E´
pura fortuna se abbiamo capito dove eravate."
Ianto cercò Julian con lo
sguardo ma questi si teneva discosto e indossava una strana
espressione corrucciata, una ruga gli solcava la fronte rubandogli
molti anni dal volto. Ianto ne seguì lo sguardo fino
a Jack, ai suoi tagli che andavano
rimarginandosi, al sangue che si asciugava e per un momento si
ricordò cosa aveva significato per lui scoprire quella sua
straordinaria peculiarità e quanta era stata la meraviglia.
Sorrise fra sé, prendendo la mano che Jack gli offriva per
alzarsi.
"La ferita sul collo non sembra
prodotta dagli specchi" osservò Owen, costringendo Ianto
a reclinare il capo da un lato.
"Sembra più che altro...un
morso?..."
Ianto scostò la sua mano,
alzando le spalle. Era pallido, evidentemente esausto, ma anche
visibilmente sollevato.
"Sto bene, mi lascerò
medicare al Nucleo. Adesso voglio solo andarmene da qui" si
giustificò, abbozzando un sorriso.
"Van Dhoren..." lesse Gwen,
socchiudendo gli occhi.
Jack la guardò, senza lasciare
la mano di Ianto. Sembrava restìo ad allontanarsi da lui, come
se temesse di poterlo vedere svanire da un momento all'altro, se lo
avesse fatto.
"Che cos'è?" chiese a
Gwen.
"E'inciso su questa cornice...
sembra un marchio di fabbrica, qualcosa del genere..."
"Tosh, portiamolo al Nucleo per
esaminarlo" ordinò Jack, guardandosi intorno.
Il Luna Park era nel pieno della sua
attività, eppure nessuno sembrava far caso a loro, ai cadaveri
cosparsi di polvere di cristallo, alla rovina tagliente su cui si
muovevano, cauti.
Solo quando si avviarono verso il Suv,
per prendere il necessario per trasportare i corpi un bambino si
fermò a guardarli, imbambolato, ma poi i suoi occhi
s'incantarono quando un refolo di vento sollevò polvere di
vetro in un turbine luminoso su, verso il cielo stellato.
Owen era chino sul collo di Ianto, con
una mano gli teneva la testa reclinata e ferma.
"Sei fortunato che io abbia a
disposizione certi giocattolini sai? Qualsiasi altro medico della
terra ti lascerebbe una cicatrice imbarazzante e tu dovresti spiegare
per il resto dei tuoi giorni cosa stessii facendo per farti lasciare
un morso così."
Ianto non osò sollevare lo
sguardo.
Era chiaro che Jack non era stato Jack,
durante il tempo trascorso dopo la loro prima visita al Luna Park.
Ma non era stato come se un estraneo
avesse indossato i suoi panni, no.
Quello in un certo senso ERA Jack, con
i suoi ricordi e le sue espressioni, solo non era quello che
conoscevano e Ianto non poteva non chiedersi se fosse stato solo un
riflesso o piuttosto un ricordo del passato di cui era così
geloso, della persona che era stato un tempo, quello di cui parlava
John Hart. Quanto era finzione in quella creatura figlia del riflesso
e quanto aveva una radice di verità, seppur alterata come in
uno specchio deformante?...
Owen si raddrizzò soddisfatto,
riponendo in un astuccetto di cuoio un oggetto simile ad una penna
cromata, una di quelle eleganti penne da ufficio di classe.
"Secondo la mia modesta opinione"
disse osservando con cura il frutto del suo lavoro da diverse
angolazioni "il tuo collo è ancora più bello di
prima. Tu cosa ne dici Jack?" si voltò verso il capo
sorridendo.
"Oh, non lo so, Owen. Non so se si
possa rendere Ianto più bello di quanto non sia già. Ma
se qualcuno potesse farlo quello saresti tu."
"Si" bofonchiò lui di
rimando , "Certo..." ed in gran fretta si defilò.
Ianto si passò la mano sul
collo, che, a ha parte un lieve pizzicore, sembrava effettivamente
integro, e sorrise a Jack. Il Nucelo era tornato al primitivo e
famigliare disordine, ogni traccia del loro combattimento abilmente
cancellata da Julian in assoluta discrezione. Ianto doveva ammettere
che il giovane botanico stava diventando più bravo di lui a
ripulire i danni provocati da Torchwood, presto avrebbe dovuto farsi
promuovere, o cercare un altro lavoro...
“Com'era?”
Jack lo guardò con aria
interrogativa. Ianto respirò profondamente.
“Com'era stare dall'altra parte?”
ripeté, “Quando eri nello specchio, intendo... Eri
cosciente di cosa stesse capitando fuori?”
“Bhè, ero ragionevolmente
furioso!” rispose il Capitano, sbandierando uno dei suoi
irriverenti sorrisi.
“Più che altro perché
mi sono fatto irretire come un allocco... ma sai, non so proprio
resistere alla mia immagine riflessa” scherzò.
Ianto non sorrise, e anche Jack tornò
serio.
“No, non era cosciente di cosa
stesse accadendo, ma potevo immaginarlo, e questo mi faceva sentire
dannatamente impotente, e ancora più furioso. Non avrei
tollerato che capitasse qualcosa a uno di voi a causa mia”.
“Non ti avrei permesso di fare
del male a nessuno” lo interruppe Ianto, il tono pacato, atono,
che cozzava con la gravità di quanto stava affermando.
“Te l'ho promesso, ricordi?....”
“Già, hai preferito farti
quasi sbranare...” osservò sardonico Jack, indicando il
suo collo.
Ianto fece un sorrisetto.
“Bhè, non è stato
peggio di certe pratiche, in realtà...” osservò
con leggerezza.
Questa volta fu Jack a non sorridere.
“Sei stato sciocco ad affrontarlo
da solo. Avrebbe potuto ucciderti...”
“...o solo portarmi dall'altra
parte” intervenne Ianto, con fare pratico, “e dall'altra
parte c'eri tu... quindi non avrebbe potuto essere così male,
non credi?”
Si scambiarono un lungo sguardo,
spezzato solo dall'arrivo di Gwen.
“Allora... ai dirigenti del Luna
Park non risulta nessuna galleria degli specchi... I corpi delle
signore Beaumont, di Peter Hastings e Thomas Neville sono scomparsi
dall'obitorio, ma Owen ha dichiarato che sono stati requisiti per
accertamenti da Torchwood. Li sostuiremo con gli originali ritrovati
al Luna Park e chiuderemo la faccenda... Tosh sta facendo ancora
ricerche sul nome Van Dhoren, ma per ora nessuna pista... sembra si
tratti di una marca di specchi, o meglio, del nome di un artigiano
che li costruiva”.
“Perché dici 'costruiva?”
la interruppe Jack.
Lei alzò le spalle.
“Bhè, le indicazioni
recuperate finora fanno risalire il suo lavoro alla fine del 1600...
quindi possiamo ragionevolmente dedurre che sia morto da un pezzo,
no?” rise, e la sua risata suonò un po'forzata.
"Certamente quella giostra non era
del diciassettesimo secolo" s´inserì Toshiko
sedendosi sul divanetto e abbracciando le ginocchia con le braccia.
Il sollievo era chiaro sul volto di
tutti ed aveva lasciato una piacevole spossatezza. Quando lavoravi in
Torchwood imparavi presto a non dar mai per scontato che un giorno di
lavoro finisse o che avresti ritrovato tutti i tuoi compagni.
"Forse qualcuno ha voluto usare
quel nome, un po´ come se si trattasse di Nostradamus o di Jack
lo Squartatore. Figure carismatiche possono attirare l´emulazione"
disse Toshiko.
"Io non definirei Jack lo
Squartatore come carismatico." commentò Gwen.
"Oh si che lo era" intervenne
Jack con le braccia conserte sul braccio osservando un qualche punto
alla sua destra.
Gwen spalancò la bocca indignata
e lo puntò con un indice accusatorio, una, due, tre volte.
Jack si riscosse e la guardò
cadendo dalle nuvole, inarcando un sopracciglio e spalancando occhi
di cerbiatto quando comprese di dover difendere la propria
reputazione. "Oh no, assolutamente no, non ero io!"
Toshiko si era sporta in avanti in
preda alla curiosità. "Ma tu sai chi era vero Jack?"
Ianto si schiarì la voce, a
disagio, cercando un modo per cambiare argomento quando Julian gli
corse in soccorso prendendolo per una spalla e facendogli piegare il
collo senza troppa grazia.
"Owen, sei sicuro che non abbia
fatto infezione, mi sembra di vedere delle linee violacee che
scendono verso la spalla, qui alla base." E prese ad allargare
il collo della camicia di Ianto dove già la cravatta
giaceva abbandonata e lasca come un cappio per le impiccagioni.
"Ti dico come curare le tue
petunie, Julian?" Ribatté con sufficienza Owen dal suo
laboratorio. Stava armeggiando attorno agli armadietti per rimettere
apposto l´attrezzatura.
"Petunie..?" domandò
quello indignato.
"Si Owen" rincarò
Ianto. "Non è che mi trasformerò in una persona
intrattabile ed egocentrica? Non so, del tuo genere?"
Owen si voltò puntandoli con un
bisturi. "Non pensate di infinocchiarmi voi due. Gwen, Tosh, vi
stanno raggirando, attente" e con quell´espressione
tagliente sorrise deliziato di sé stesso e si rimise al
lavoro.
“Faremo ulteriori ricerche su
questo Van Dhoren” propose Ianto, evidentemente contagiato da
quell’atmosfera rilassata e giocosa, un infinito sollievo dopo
l’ansia e la concitazione delle ultime ore.
Jack si limitò ad annuire, ma
era evidente che i suoi pensieri lo portavano altrove, lontano anni
luce dai compagni, forse perfino da se stesso.
“Adesso cerchiamo di archiviare
questa brutta faccenda e passiamo oltre” si limitò ad
aggiungere, sorseggiando il caffè che andava raffreddandosi
nella tazza che teneva in mano.
“Volentieri!” sospirò
Gwen, arricciando il naso in una piccola smorfia.
“Giuro che dopo quello che è
successo avrò qualche problema a guardarmi allo specchio, nei
giorni a venire”.
“Io scommetto che qualcuno non
rinuncerà per questo a guardarsi” congetturò
Julian, lanciando un’occhiata eloquente a Jack, che si limitò
a inarcare le sopracciglia, come a sottolineare che non aveva idea di
cosa stesse parlando.
“Io mi preoccuperei più
che altro di tutti gli ani di sfortuna che abbiamo accumulato
quest’oggi” si udì la voce di Owen dall’altra
stanza.
“La faccenda dei sette anni di
disgrazia“ iniziò a spiegare Toshiko, con la sua solita
aria da professorina, “è molto antica. Presso molte
popolazioni non civilizzate, ma anche nei miti e nelle favole
occidentali gli specchi erano considerati per loro stessa natura
magici… oracoli, come quello di Biancaneve, o capaci di
catturare una parte dell'anima di chi vi si rifletteva. Questo
perché un tempo non erano chiare le dinamiche e le leggi della
riflessione della luce. Questo è il motivo per cui rompere uno
specchio porta sette anni di sfortuna. Con lo specchio va via una
parte della nostra anima.”
Al termine della spiegazione il
silenzio cadde tra i presenti, inspiegabilmente.
“Bhè, abbiamo delle cose
da fare, tutti” sbottò Gwen, scrollandoselo di dosso,
infastidita, e fu la prima ad allontanarsi, con evidente disagio.
Julian rimase meditabondo a osservare
Jack, prima di imitarla.
“Credi che con la distruzione del
labirinto sia andata perduta una parte della tua anima?”
domandò Ianto a Jack, guardando gli altri che si
allontanavano.
Lui non rispose subito. L’altro
si voltò a guardarlo. Gli occhi del Capitano fissavano un
punto indefinito, qualcosa che solo lui poteva vedere, un ricordo,
forse, proiettato sulle pareti della sua memoria come un vecchio
film. Un ricordo triste, a giudicare dall’espressione del suo
volto…
“Sai che ti dico?” Ianto si
alzò, avvicinandosi di un passo e richiamando la sua
attenzione.
“Non importa… Non importa
quello che è successo, quello che è andato perduto”
continuò, con aria convinta, “conta solo l’ora e
il qui… e ora tu sei qui con noi, e la tua anima ci basterà,
sempre e comunque…”
Jack Harkness scosse la testa, alzando
un mano per zittirlo.
“A volte sei proprio un dannato
ragazzino, Ianto Jones! Vuoi commuovermi?!” lo rimproverò,
una nota tenera nella voce, il solito sorriso a illuminargli il volto
senza età.
“Ne abbiamo già parlato,
mi pare: se io dovessi cambiare, tu sei autorizzato a eliminarmi…
e della mia anima, o di quello che ne resta, puoi farne quello che
vuoi. Se dovessi pensare a un posto sicuro in cui nasconderla
l’affiderei a te già da ora” concluse, avviandosi
verso l’uscita.