Kingdom Hearts: Omniverse

di FlameWarrior
(/viewuser.php?uid=1050091)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Nova ***
Capitolo 2: *** Oltre il nero ***



Capitolo 1
*** Prologo: Nova ***


La tranquillità di quella notte gli permetteva di osservare quei cuori denominati stelle in un cielo infinito. Nel tempo che scorreva inesorabile si fermava sempre più spesso a controllarle, con il timore che se non l’avesse fatto una di esse si sarebbe spenta, senza essere notata da nessuno.
Certo, non poteva stare sempre incollato ad una finestra, per questo aveva un aiutante. Un suo vecchio allievo e amico.
Incrociò le braccia dietro la schiena, gli occhi acuti che notavano uno sfavillare lontano anni luce. Si concentrò, la propria forma spirituale che viaggiava tra gli astri e i buchi dimensionali. Espandendosi e rimpicciolendosi fino ad arrivare a destinazione.
Un mondo in eterno conflitto, dove le forze erano in un continuo sbilanciarsi e schiacciarsi. Una stella colma di dolore, speranza, decisione, sconforto. Un turbinio di abitanti, ognuno con Luce e Oscurità.
Un caos nell’ordine istituito dalla specie dominante, un pianto nella gioia di una risata.
Riflesso di uno specchio deformante che vive nel momento stesso in cui muore.
Particolare oltre ogni dire, così diverso dai suoi simili. Deserto, foresta, oceano, pianura. Neve, pioggia, vento. Calore, gelo. Un insieme di colori ed espressioni.
Si carezzò la lunga barba grigia, rimanendo in contemplazione. Sentiva che qualcosa stava accadendo, ma non riusciva a scorgere alcunché.
Poi tutto cessò, ogni forma di vita svanì inghiottita in un vuoto pieno di desolazione, una stanza buia e chiusa, ove scappare era solo un sogno sbiadito.
Il mondo mutò, tempeste si formarono in ogni dove. Portando distruzione e sommergendo chi si era salvato con le proprie onde. I venti ululavano imperiosi, portando con loro parole dimentiche e troppo spesso udite dalle stanche orecchie dell’anziano.
La terra si spaccò formando fauci pericolose, che azzannavano ciò che si era creato, ingurgitando avidamente ogni stelo di vita.
Yen Sid era scoraggiato, vedeva le luci dei cuori spegnersi a velocità impressionante. Con i suoi poteri non avrebbe mai potuto salvarli tutti.
Cercò le luci più intense, individuandole e tentando di raggiungerle, fallendo la maggior parte delle volte.
Aveva perso quasi ogni speranza, quando finalmente riuscì ad afferrare due di esse. Luminose e unite.
Le avvolse nella propria luce, trascinandole in un varco e trasportandole lontane. Intimorite però si opposero, dimenandosi e scalciando. Deviando la magia del vecchio mago per separarsi e finire in mondi diversi, invece che nella Torre dove lui si trovava.
Yen Sid tornò in sé non appena la Stella si spense, esplodendo e scaraventandolo indietro. Mantenendo la calma passeggiò nello studio rotondo, riflettendo su cosa convenisse fare. I mondi di certo erano nuovamente in pericolo e non si trattava di una minaccia da poco. Forte abbastanza da nascondere la propria presenza e astuta da mirare ai mondi ai confini, ove nessuno sarebbe potuto mai arrivare in tempo.
Con un gesto della mano richiamò a sé le Tre Fate. Agitate lo ascoltarono, per poi recarsi nella stanza accanto, circolare come la precedente conteneva una serie di specchi coperti.
Alle tre però non interessavano e alzando le bacchette al centro del locale mandarono un messaggio a l’unico in grado di poterle sentire da mondi di distanza.

Assorto nella lettura di un volume non si accorse della sua compagna entrare nella biblioteca. Con passi calmi gli si avvicinò, tra le mani guantate di bianco un foglio arrotolato e fermato da un nastro tricolore.
- Topolino? -
Lo richiamò, il topo alzò il capo dal libro che lo aveva intrigato tanto per spostare l’attenzione su colei che la richiedeva.
- È arrivata questa da parte del Maestro Yen Sid. -
Fece, porgendoglielo. Lo srotolò e lesse con attenzione le parole che vi erano impresse, assumendo man mano un’aria grave.
Minni al suo fianco rimaneva in silenzio, sapendo già quello che le sarebbe stato detto. Difatti Topolino scivolò giù dalla sedia, le diede un bacio sulla guancia le disse che era urgente e che doveva recarsi dal Maestro.
Annuì rassegnata, augurandogli un buon viaggio. Appena la coda svanì oltre il corridoio sospirò affranta. Era difficile essere la Regina di un Re sempre in viaggio.
Fortunatamente aveva un’amica a starle vicina, che la capiva e la supportava. Paperina stessa era spesso in ansia per il Mago di Corte. Suo amico e unico amore, Paperino.
Sapeva che seguiva Topolino in ogni avventura, ma con il carattere rissoso che si trovava non riusciva a stare mai completamente tranquilla.
A consolarla era la presenza del Cavaliere del Regno, Pippo. Sbadato e all’apparenza distratto, era capace di calmare gli animi e creare piani d’attacco o difensivi brillanti.
Parlava raramente di sé, ma era l’unico a cui sia la Regina che la Dama di Corte avrebbero mai affidato le vite dei loro amati.
 
Le onde si frantumavano sulla spiaggia con un suono leggero e rilassante, arrivando a bagnare le sue calzature.
Il cielo sereno non mostrava nuvola che potesse indicare un possibile cambiamento, e lui se lo godeva rimanendo steso con le braccia incrociate dietro la testa. Gli occhi che si chiudevano mentre la coscienza sprofondava in un sonno leggero. Quello era lui, in tempo di pace.
L’Organizzazione era stata sconfitta, aveva affrontato il test per diventare Maestro del Keyblade, fallendolo. Ma ciò non lo tormentava, credeva fosse meglio in quella maniera. Un titolo non indicava nulla a suo parere. Da piccolo al contrario lo voleva a tutti i costi, tanto che nel primo viaggio aveva fatto qualsiasi cosa per farsi riconoscere da Filottete come eroe.
Una voce squillante lo richiamava, cantilenando il suo nome per farlo riprendere prima. Aprì gli occhi, incrociandoli con un paio simile ai suoi. Azzurri come cielo e mare. Una leggera frangetta rossa, labbra rosee, un naso delicato. Coperta da un abitino bianco e da un lungo corpetto rosa e nero con cappuccio.
- Sora, alzati. –
Lo riprese ancora una volta, assicurandosi che non la ignorasse. Il ragazzo sbadigliò, mettendosi seduto e successivamente in piedi.
- Che succede? –
Chiese, grattandosi la nuca con una mano. Non poteva mai farsi un pisolino senza essere disturbato da colei che era la sua amica d’infanzia.
Le labbra di lei si stesero in un sorriso mentre estraeva da una tasca un biglietto stropicciato. Sora lo guardò incuriosito, l’ultima volta che Kairi era arrivata con un biglietto, benché intrappolato in una bottiglia, non aveva portato buone notizie.
Appena glielo porse lo afferrò, aprendolo e stirandolo per poter leggere correttamente ciò che vi era scritto. Gli occhi che scorrevano in quelle poche righe e che ripartivano dall’inizio, incredulo.
Un messaggio che non veniva dal Re. Parole scritte di fretta che recitavano le ultime volontà di un uomo. Una sola richiesta.
Sora non poteva crederci. Il Destino era nuovamente in moto, e l’avrebbe condotto a scoprire nuovi mondi e a trovare un’avventura dal quale sarebbe potuto non tornare. Di nuovo.
Kairi da parte sua si limitava a sorridergli, se ne sarebbe andato di nuovo. Lasciandola su un’isola troppo enorme nella sua piccolezza. Odiava che il suo ruolo di Principessa le impedisse di partire con i propri amici e vivere avventure entusiasmanti. Ma il Re era stato chiaro. Non poteva permettersi di svanire, doveva restare al sicuro sulle Isole del Destino.
- Quando partirai? –
Gli chiese, il castano scosse la testa alzando le spalle. Doveva parlarne con Riku, questa volta sarebbero stati insieme.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Oltre il nero ***


Il viaggio si era da subito presentato lungo. Yen Sid aveva dato loro delle coordinate precise, ma senza il Warp ci avrebbero impiegato molti giorni. Si erano così attrezzati per passare il tempo. Ma, nonostante la premura, Sora tendeva ad annoiarsi facilmente. Interrompeva spesso l’attività iniziata per cominciarne un’altra. Così era passato da una lettura ad un puzzle, dal puzzle al contare le meteore che sfrecciavano vicino. Un continuo cambio. Riku era abituato all’irrequietudine dell’amico, eppure faticava a non sgridarlo. Si limitava ad alzare gli occhi al cielo o a prenderlo in giro.

D’altronde sapeva anche come farlo restare calmo e seduto sui sedili. Sfidarlo a giochi decisamente lunghi, come monopoli, era uno dei metodi che usava più volentieri. Certo, a lungo andare si annoiava pure lui, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per non dover sentire l’amico chiedere tra quanto sarebbero arrivati ogni dieci minuti.

Alla fine del primo si chiedeva come avrebbe fatto i giorni successivi.

 

La fine del mondo. Sora gli aveva detto di esserci stato una volta, ma che non credeva di tornarci. Avevano lentamente oltrepassato quel posto per procedere oltre. Chiedendosi cosa ci potesse mai essere oltre la fine.

La risposta gli si pose davanti gli occhi. Un buco nero. La navicella riusciva a stento a non esserne attratta, mentre le spirali continuavano a muoversi e divorare ciò che ne rimaneva del mondo.

Viaggiando nell’Universo erano già incappati in passaggi simili, eppure nessuno di loro esercitava una forza gravitazione pari a quella che avevano dinanzi.

Cip e Ciop salirono persino dalla sala motori per dar loro istruzioni. Dovevano passarci attraverso senza distruggere la navicella. Sembrava più facile a dirsi che a farsi.

Gli scudi, man mano che venivano trasportati verso il centro del buco nero, toccavano picchi di energia elevati, scheggiandosi e sfavillando. I passeggeri li osservavano preoccupati, se avessero ceduto non sarebbero di certo sopravvissuti.

La nave era ormai passata a metà e l’ansia diminuiva ad ogni secondo che passava. Poi, alzando lo sguardo dai dati della Gummyship rimasero incantati.

Oltre il vetro i loro occhi ammiravano l’infinito. Le stelle brillavano come mai le avevano visto fare. I mondi parevano essere circondati da scudi di luce, segno che l’oscurità non li aveva nemmeno intaccati. Yen Sid li aveva incentivati a scendere in ogni nuovo mondo e creare una carta con le varie indicazione a riguardo soprattutto sugli abitanti.

Con prudenza sfrecciarono fino a quello più vicino, girandosi intorno per trovare il punto di accesso. E finalmente eccolo, lasciando il compito di atterrare ai loro formidabili ingegneri si permisero di osservare quel mondo dall’alto.

La terra rigogliosa, i campi arati e case di pietra venivano sminuiti dall’enorme castello oltre il bosco e il lungo ponte. Girarono in tondo fino a che un allarme risuonò all’interno della navicella. Ciop comparve in quel momento, grattandosi la pelosa guancia dichiarando che il motore aveva smesso di andare e che stavano per precipitare.

La calma con cui lo disse fece inizialmente dubitare i due ragazzi dell’effettiva verità, ma appena iniziarono a prendere velocità si sedettero ai posti di comando, allacciando le cinture e cercando un punto dove atterrare senza fare danni e sopratutto dare nell'occhio.

Nonostante gli sforzi e l’indubbia bravura di Sora ai comandi, il contatto con il terreno distrusse l’ala sinistra, facendo scivolare tra rami e cortecce la gummyship, fermandosi esclusivamente dopo un colpo frontale contro un grande albero su un’imponente rupe.

 

 

Si era svegliata controvoglia, con il sole a scalfire la barriera di rami e foglie insediandosi fino a poggiarsi sul suo viso. Strizzo le palpebre, cercando di ignorare quel lieve calore che si stava formando sulla guancia come il bacio di una madre, si girò dalla parte opposta, borbottando tra sé e sé. Non voleva alzarsi ma stare in quel riparo, tra le braccia dell’albero a circondarla e nasconderla, sonnecchiando fino al Suo ritorno.

Tuttavia lo stomaco brontolava, chiedeva di essere riempito con qualsiasi cosa fosse commestibile, come anche il suo cuore.
Facendo sforzo sulle braccia si issò seduta, stiracchiandosi e beandosi della pace che la circondava. Aveva scelto un bel posto dove stare quando rimaneva da sola. Che alla fine non era mai completamente sola, lì, nella Brughiera, circondata da creature di ogni genere, forma e colore. 
Saltò giù dall’albero sentendo subito l’erba solleticarle i piedi, poi iniziò a correre, scendendo sempre di più fino ad arrivare al lago. Si dissetò accucciandosi e prendendo l’acqua con le mani a coppa, chiedendo a Baltasar qualcosa da mangiare che subito le andò a procacciare. 
Non mangiava molto, non ne sentiva il bisogno, ma spesso la Antica Creatura, che lei affettuosamente chiamava Sar, le imponeva di farlo. 
Non la costringeva con la forza, non era proprio il tipo, bensì le si metteva a fianco e nel silenzio che si creava le porgeva ciò che avrebbe dovuto mangiare. 
Spesso erano fiori, la loro linfa la saziava, gli Iris erano i più gustosi, altre era un composto fatte dalle fate che danzavano sull’acqua.
Ogni tanto le invidiava, così leggere, belle e piccole. Lei invece aveva la taglia e le fattezze di un umano, goffa rispetto alle altre fate e spesso con la testa fra le nuvole. 
Come anche in quel momento. 
Pensava a ciò che c’era in quel mondo, a come la vita degli umani scorresse rapida in confronto alle loro, e a come sua Madre guidasse le nuove vite. 
Era fiera di essere figlia di una Fata così potente e maestosa eppure nel contempo sentiva di non esserne neanche all’altezza. 
Questo suo ultimo pensiero era sempre più spesso dovuto a Baltasar, che la guardava da lontano, attendendo il ritorno della sua più vecchia amica, Malefica, che da anni ormai era partita e comparandola a lei.
Capiva il motivo per cui lo facesse, erano rare le fate con sembianze e, sopratutto, dimensioni umane, ed era ancora più raro che quelle fate decidessero di procreare in maniera umana. 
Era così che era nata, e da quei pochi racconti che era riuscita a strappare dalla Regina Aurora aveva scoperto che sua Madre aveva creato non pochi problemi durante la gravidanza. 
Però la Regina li raccontava ridendo, scostando le chiare ciocche dietro le orecchie e punzecchiando Malefica appena la vedeva. 
Anche Fosco rideva, appollaiato dalla finestra pronto ad una fuga strategica al primo segno di irritazione della propria Padrona. 
Tornò al presente quando Fiorina, Giuggiola e Verdelia  le sventolarono le piccole manine davanti al volto, agghindate nei loro vestitini blu, rossi e verdi. 
<< Bambina, qualcosa non va? Sembri essere triste. >>
Fece Verdelia, sovrastando le voci delle compagne. 
<< Tutto bene, mi chiedevo quando torneranno. >>
<< Baltasar non ti ha detto niente? >>
Ora confusa da quella domanda posta da Giuggiola scrollò il capo, mentre la fata dal vestito rosso si portava la mano alla bocca indecisa se continuare quel discorso o meno. 
Le tre fate si guardarono tra loro, iniziando successivamente a discutere su chi dovesse parlare.
<< Non glielo devi dire tu. Voglio dirglielo io. >> 
Esclamò indispettita Fiorina appena notò come Giuggiola avesse aperto la bocca per parlare. 
<< Ci sono delle regole Fiorina, io glielo dico questa volta, tu la prossima. >>
<< No, tu l’hai detto una volta, a me tocca questa e a Verdelia la prossima. >>
 Era abituata al loro modo di fare, e non le interruppe, tuttavia non riuscì a nascondere uno sguardo di rimprovero. 
<< Parlate. >>
Con uno sbuffo Giuggiola cedette la parola tanto agognata a Fiorina.
<< Hanno visto Malefica, al limitare delle Brughiera. Pare che qualcosa sia precipitato dal cielo. Ma ancora non lo hanno trovato! >>
Esclamò tuttavia Verdelia, accorgendosi successivamente di come le compagne la stessero guardando sdegnate, mormorando un leggero e risentito “Scusate”. 
Rimase qualche momento interdetta. Era raro che sua Madre non riuscisse a trovare qualcosa, ancora più raro il fatto che Sar sapesse e non glielo avesse detto. 
Si girò verso quella maestosa creatura che era il suo protettore, teneva tra le mani fatte di rami un mazzetto di Iris. 
Sbagliava. Le aveva già parlato, solo in una lingua che fino a quel momento non aveva voluto cogliere, quella dei fiori. 
Iris, il Messaggero. 
Si rimise in piedi, prendendo quel mazzo e assaggiandone i petali. 
Era ora di darsi da fare e spalancare le ali. 





 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3747412