Stargirl

di lalla124
(/viewuser.php?uid=42180)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Premessa: il personaggio di Stargirl non è stato inventato da me, ma dall’autore dell’omonimo romanzo, Jerry Spinelli; per tan

Premessa: il personaggio di Stargirl non è stato inventato da me, ma dall’autore dell’omonimo romanzo, Jerry Spinelli; per tanto il comportamento ed i dialoghi di Stargirl sono stati ispirati e talvolta ripresi completamente da tale romanzo.

 

 

 

 

Un giorno come gli altri a mensa. Un altro giorno in questa noiosissima scuola. Dovevo ammetterlo; mi ero stufato. Ero stufo di essere un vampiro e di “vivere” in questo modo. “Con il tempo ti abituerai” mi disse Carlisle tanti anni fa. Da allora era passato quasi un secolo e non era cambiato niente. Avevo constatato di persona che con il tempo non si riesce ad accettare quel che si è e a rassegnarsi alla propria condizione. No. Il tempo ti permette di riflettere su ciò che sei, fino a giungere alla conclusione di essere un essere pericoloso, costretto a vivere per sempre, uccidendo. Con il tempo nasce la consapevolezza di essere un mostro, e si comincia ad odiarsi. Un odio immenso, tanto grande quanto lo stesso tempo infinito parato davanti. Un odio fondato, che non può mutare.

Con il tempo non si migliora, si peggiora. Questa era da un certo periodo la mia filosofia.

Quel giorno non avevo un buon umore, dovuto probabilmente al fatto che era da due settimane che non mangiavo ed Alice, ovviamente, se n’era accorta. Alice. Forse era uno dei pochi motivi per cui valeva la pena continuare ad andare avanti. Ma per quanto? Io e la mia famiglia avremmo continuato in questo modo per sempre, spostandoci da una città all’altra? Certo, non mi aveva mai dato fastidio muovermi, anzi, avevo sempre apprezzato l’aria nuova; ma era diventato noioso e ripetitivo anche questo, come tutto, dal resto.

Il mio umore inoltre stava peggiorando a causa di tutti i futili ed inutili pensieri di questi ragazzini che cercavo di tenere lontano, inutilmente, dato che il mio stato d’animo non permetteva di concentrarmi. Erano tutti agitati per l’arrivo di una nuova ragazza. Avevo visto il suo volto attraverso i loro pensieri. Non era molto diversa da loro. L’arrivo di un nuovo studente era un evento più unico che raro qui a Forks. Con il suo arrivo era riuscita a mutare il loro piccolo ecosistema.

Era strano però, insieme all’agitazione c’era anche qualcos’altro. Sorpresa, forse?

La maggior parte delle persone in quella stanza stavano pensando a lei; ma di lei neanche l’ombra.

Poi entrò. Ora capivo quella sensazione di stupore. Dovevo ricredermi; non era per niente uguale agli altri. Era completamente diversa. Il giallo accesso della sua gonna lunga e della sua maglietta faceva uno strano contrasto con quelle scure degli altri. Inoltre… cosa portava in spalla? Sembrava… poteva essere… un ukulele? Certo, era davvero strana. 

“È quella la nuova arrivata?” chiese Emmett sorpreso quanto me.

Ma da dove è uscita?” continuò Rosalie al suo fianco con la stessa espressione.

Non li ascoltai. Tutti la stavano guardando in silenzio, ma lei sembrava non notare niente. Si comportò come se nulla fosse. Dopo essersi presa il pranzo si sedette in un tavolo vuoto non molto distante da noi. Da quella posizione potevo vederla bene. Era una ragazzina, niente di particolare. Non era truccata, a differenza di tutte le altre. Cercai di leggerle i pensieri; ormai ero costretto a compromessi di basso livello con me stesso per sfuggire alla coltre di noia che mi circondava. Ma niente. Era lì, a pochi metri da me, ma non sentivo niente. Non ero mai stato “sordo” prima di adesso. Mi sforzai di nuovo, nulla. Cosa stava succedendo? Perché non riuscivo a sentire? Molto probabilmente la sua mente non funzionava come quelle degli altri e il modo in cui si comportava non faceva altro che confermare la mia ipotesi. Cercai di vedere nei pensieri degli altri per così sentire la sua voce; normalmente i pensieri assomigliano molto alla voce dei loro creatori. In questo modo avrei avuto una “traccia” con cui aiutarmi a percepire i suoi.

Rimasi in ascolto; si era trasferita da poco insieme ai genitori, il perché nessuno lo sapeva. Ciò che mi sorprese di più era il suo nome: Stargirl. Non poteva essere sicuramente il suo vero nome. Cercai ancora, ma scoprii che nessuno le aveva rivolto la parola. Vedendola l’avranno sicuramente scambiata per una matta.

Intanto lei era tranquilla, non si importava degli sguardi che la maggior parte della mensa le lanciava ed il bisbiglio che si era formato.

Cristy aveva proprio ragione! Che stramba…………Stargirl? Che razza di nome è?...............Mio Dio com’è vestita?.................Come gli è venuto in mente di portare una chitarra a scuola?...........

Cercai di chiudere una volta per tutte la mia mente da quel cicaleccio. Mentre mangiava stava guardando il volto di ciascun studente della mensa. Presto il suo sguardo sarebbe caduto sulla mia famiglia ed avrebbe incrociato il mio. Quando accadde la sua reazione mi sorprese, di nuovo; non abbassò il viso imbarazzata, ma continuò a guardarmi, interessata. La sua curiosità era giustificata; non credevo avesse mai visto una persona dalle mie qualità fisiche. Il resto non riuscivo a spiegarmelo. Teneva gli occhi fissi sui miei. Dopo poco mi sorrise e mi salutò con la mano. Fui io ad abbassare gli occhi. Nessuno si era mai comportato così; nessuno era mai arrivato a tanto. Di solito l’istinto degli umani li spingeva ad evitarci. Forse non aveva paura di noi? Era talmente tanto sciocca da non avvertire il pericolo?

“Sbaglio o ti ha salutato?” mi chiese Emmett sorpreso. Il mio umore stava peggiorando.

La campanella della mensa suonò proprio allora e mi permise di evitare di rispondere ad Emmett. Adesso sarebbero ricominciate le lezioni e anche la coltre di monotonia che ormai mi perseguitava sarebbe diventata più fitta.

 

Mi sedetti al solito posto, aspettando che la lezione cominciasse. Mi sarei annoiato come al solito.

Sentii un intenso profumo di lavanda. Alzai la testa e la vidi. Frequentava il mio stesso corso di inglese. L’unico posto libero sarebbe stato quello alla mia sinistra. Poverina, non la invidiavo per niente. Dopo aver parlato con quello sciocco professore si diresse verso di me; come avevo previsto il suo banco era quello vicino al mio. Si sedette; solo il corridoio ci separava.

Appoggiò il suo zaino, che in realtà era una sacca su cui ci aveva disegnato sopra dei girasoli. Più che a una ragazza sembrava un’ingenua bambina. Non la guardai più fino a fine lezione.

Era un semplice essere umano come tutti gli altri in questa scuola; solo un po’ diverso da loro. Ma comunque umana.

Quello che mi attirava di lei era il suo profumo. Non era più attraente di quello altrui, ma era molto forte ed era naturale. Possibile che un essere umano potesse possedere un odore di lavanda così intenso e naturale?  Mi girai impercettibilmente verso di lei. Aveva messo sul suo banco un bicchiere di plastica con dentro una margherita.

Per quanto strana e stravagante uscito da scuola me la dimenticai presto. Di certo non sarebbe stata lei a cambiare la mia filosofia e la mia “vita”.

Infatti vissi nella completa convinzione che lei non esistesse fino all’arrivo in mensa del giorno dopo. Era vestita sempre nella stessa maniera singolare. Oggi la maggior parte dei pensieri dei ragazzi erano concentranti sulla festa che Alex Tyson avrebbe dato per il suo compleanno. Patetico…

Ormai non mi importava più di questa…Stargirl. Non avrebbe cambiato la mia vita non leggerle nel pensiero. Quello che fece oggi però rese inutili tutti i miei tentavi di non notarla. Non si limitò solo a mangiare e a studiare il viso di ciascuno, di nuovo. Sembrava stesse cercando qualcuno. Quando ebbe finito si alzò e cominciò a suonare l’ukulele saltellando per la mensa. Tutti, compresi noi, la guardarono allibiti e in silenzio: stava cantando “buon compleanno” a Tyson, che da sorpreso com’era divenne rosso. Alla fine gli diede un pacchettino. Dentro c’erano biscotti fatti in casa. Finita la sua esibizione tornò a sedersi. Nessuno parlò più fino al suono della campanella. Erano tutti troppo perplessi e allibiti. Ed anche noi, seppur non ci importasse niente di quella ragazzina, eravamo rimasti stupiti del suo comportamento.

No, non era per niente simile agli altri. Mi trovai improvvisamente a sorridere; se i miei fratelli lo avessero notato avrebbero sicuramente capito che c’era qualcosa che non andava. Non ero solito sorridere tra me e me. Era originale, quasi buffa. Ma era se stessa in fin dei conti; non le importava di quello che pensavano gli altri e delle stupide regole conformiste che ormai contagiavano tutti.

Che strano, credevo di provare una sorta di malsana curiosità nei suoi confronti, forse data dalla mi ammirazione per lei. Sì, in un certo senso la stimavo per quello che era, perché era quello che voleva essere e lo faceva senza troppi problemi, non importandosene se gli altri l’avrebbero presa per una pazza. La maturità che ho accumulato nel corso degli anni era più che sufficiente per non essere dello stesso parere dei ragazzini di questa scuola e considerarla una matta solo perché non era uguale a loro.

Fatto sta che io ero uno vampiro, lei un essere umano, anche se senza dubbio fuori dal comune. Non mi sarei potuto avvicinare a lei nemmeno se avessi voluto. Era quindi inutile e dannoso per me stesso provare quello strano sentimento di interesse. Sarebbe stato meglio togliermela dalla testa e fingere che non esistesse.

 

Per quanto mi sforzassi di non notarla, non ci riuscii, per il semplice motivo che lei attirava puntualmente l’attenzione su di se. Da quel giorno ad ogni compleanno ripeteva la stessa scenata e ad Halloween aveva messo su ogni banco un biscotto a forma di zucca. Sapevo che non lo faceva per vantarsi e far mostra di sé, lo capivo, ma di certo non aiutava la mia curiosità. Più si comportava in modo così strano, più inspiegabilmente venivo attirato da lei e dal suo modo di essere; provavo uno strano e perverso interesse di conoscerla. Chi diavolo era questa ragazzina in grado di scaturire in me queste sensazioni?

Pensavo a questo mentre io e io miei fratelli stavamo seduti a mensa nello stesso consueto tavolo. Oggi nessuno compieva gli anni, perciò si limitò a sedersi e a mangiare, sempre nello stesso tavolo, sempre vuoto.

Un urlo improvviso attirò la mia attenzione, a cui ne seguirono molti altri.
”Un topo! Un topo!” cominciò a urlare Ashley Maxwel.

“Oh no! Cannella!”

Era la prima volta che ascoltavo la sua voce. Non l’avevo mai sentita parlare; anche in classe, se ne stava sempre zitta. Era semplice, ma dolce come quella di una bambina.

Corse verso quel topo e lo prese tra le mani.

“Quello schifo è tuo?” gli urlò in faccia Ashley.

“Non è uno schifo, è un topo.” le ripose lei tranquilla.

“Come fai a tenerlo in mano?” continuò Ashley inorridita.

“Basta avere solo un po’ di presa, tieni, vuoi provare?” e glielo avvicinò. Lei si allontanò urlando. Io non avevo occhi che per lei.

“Tieni quello schifo lontano da me!” Anche Stargirl si allontanò, sorpresa dalla sua reazione.

Un sorrisetto mi comparve sul viso. Almeno aveva tentato, anche se inconsapevolmente, di scalfire la mia coltre di monotonia.

 

 

 

 

Bhe……..che ne pensate? Ribadisco…..è solo un piccolo esperimento, una cosa venuta così da un’idea improvvisa. Prometto già che non sarà lunga, anche perché idee non ne ho al momento.

Provate quindi a commentare (se volete) e a dirmi cosa ne pensate.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


“Buon compleanno Edward

“Buon compleanno Edward!” mi disse Emmett sarcastico.

Io gli risposi con uno sguardo che esprimeva molto più fastidio delle parole. Oggi non era il mio compleanno. Secondo la mia patente però sì; non ricordando quando ero nato ero stato costretto a dichiarare un giorno qualunque. E quel giorno era oggi. Un futile giorno come gli altri per me.

La cognizione del tempo di noi vampiri era diversa da quella degli esseri umani. Mentre per loro la noia non fa altro che allungare il tempo e l’agonia, per noi produce l’effetto contrario, talmente ne siamo abituati. La nostra tuttavia è un’agonia infinita, che non svanirà mai; almeno fino a quando il tempo davanti a noi si sarà esaurito.

Un’eternità; spesso mi ero trovato a riflettere su questo concetto. Non ero mai giunto alla conclusione di “cosa” si trattasse. Una cosa avevo imparato dall’Eternità; aveva il potere di far dimenticare. Una delle capacità più lodabili e nel contempo odiabili, che distrugge sia i ricordi più inutili, sia quelli più importanti, vicini o lontani nel tempo che siano. Da ciò un’altra cosa avevo appreso: odiavo l’Eternità. Questo era un altro punto che componeva l’elenco della mia filosofia.

Grazie alla noia il tempo passò in fretta. Ormai mi muovevo come fossi una sorta di burattino, ripetendo i soliti e costanti gesti, sempre gli stessi da quando ci eravamo trasferiti qui a Forks. Un burattino mosso dai fili del Destino.

Eh sì. Io credevo nel Destino. Tutti coloro che non credono nel Fato hanno sempre affermato che non esiste qualcosa o qualcuno in grado di predisporre il futuro di ognuno e che l’avvenire lo decidiamo noi stessi. Io non avevo mai deciso di diventare un vampiro, non avevo mai desiderato che mia madre morisse di spagnola. Per questo, anche se tutt’ora mi era difficile ammettere che c’era qualcun altro che decidesse la mia vita, io credevo nel Destino.

A causa di questi scuri pensieri anche oggi la mia giornata era rovinata, nonostante il sostantivo “giornata” per me non avesse nessun significato. Mi sedetti con il mio vassoio, la nostra copertura per far credere a tutti che eravamo come loro.

 Il mio sguardo fu puntualmente catturato, come tutte le volte, da lei. Oggi mi avrebbe suonato la canzoncina di buon compleanno? Credevo proprio di no. Dopo così tanto tempo vicini durante le lezioni di inglese il suo istinto l’avrebbe sicuramente messa in guardia su di me e sulla mia famiglia. Tra poco la campanella avrebbe suonato e la pausa sarebbe finita.

Come previsto non fece niente. Mancavano ormai solo pochi minuti. Si alzò per mettere al suo posto il vassoio vuoto e per andarsene. Solo che imprevedibilmente non uscì dalla porta, ma cominciò a suonare con il suo ukulele “buon compleanno”. Ovviamente con il mio nome alla fine. Tutti si voltarono a guardarmi, ma non ci feci caso. Non notai nemmeno le risate trattenute di Emmett o lo sguardo scioccato di Rosalie. La mia attenzione era catturata da quella figura esile e saltellante che si stava dirigendo verso il nostro tavolo. Si fermò esattamente davanti di me. Sul suo volto si era dipinto un grande sorriso. Non sembrava per niente intimorita. Non mi diede i soliti biscotti, bensì una rosa rossa.

Da sempre avevo pensato che il fiore che meglio poteva rappresentare i vampiri fosse la rosa; dall’aspetto affascinante, ma dalle spine letali, dai delicati petali e dal dolce profumo, ma dal colore rosso del sangue. Guardai la rosa, poi guardai lei.

“Saluta Edward Cullen, Cannella” disse al suo topo che portava sulla spalla. La campanella suonò e lei prese subito la sua sacca andandosene. Tutti rimasero lì, noi compresi. Sentii impertinenti i pensieri dei presenti, sbalorditi da ciò che aveva fatto. Anche loro credevano che non avrebbe potuto osare tanto. Continuai a evitare Rosalie che scuoteva la testa sconvolta, le risate fragorose di Emmett e i pensieri allibiti di Alice e Jasper. Rimasi quasi incantato a guardare quella rosa. Perché non mi aveva dato i soliti biscotti? Probabilmente aveva intuito qualcosa di strano in noi. Non ne ero sicuro dato che non potevo leggerne i pensieri.

Avrei dovuto accertarmene; il mio compito era proprio quello di capire se qualcuno aveva intuito la nostra vera natura. Se ciò si dimostrava vero allora di norma ce ne andavamo senza lasciare tracce. E la musica della noia sarebbe iniziata di nuovo, come un vecchio disco rotto che non vuole fermarsi. Avrei dovuto scoprire qualcosa di più su di lei. Non negavo che mi gravava molto; avrei voluto restare nella mia coltre di noia e sperare che il tempo passasse. Ma passasse poi per cosa? Per tutta l’Eternità? Come potevo saperlo, dato che non conoscevo il suo significato? Sapevo che non avrei mai trovato la risposta a questo domande.

 

Per tutta la lezione di inglese la osservai. Stargirl. Perché una persona cambierebbe il proprio nome? Che soddisfazione può ricavarci? Non stava facendo niente di particolare. Notai che questa volta non aveva messo una margherita, ma una viola sul suo tavolo.  

Non mi piaceva come mi comportavo; non mi piaceva come mi faceva comportare. C’era un motivo per cui la continuavo ad osservare ed era un motivo pericoloso. Da quando era arrivata mi aveva subito incuriosito, ora però la mia curiosità era aumentata. Chi sei, Stargirl? Il motivo non lo sapevo nemmeno io e questo mi dava una grande stizza. Fino ad ora nessun umano aveva mai attirato così tanto la mia attenzione. Forse perché c’era qualcosa di più profondo dietro a quel profumo di lavanda? Forse il destino ha deciso di tirare i fili un po’ più in là questa volta? Scossi violentemente la testa. Che pensieri erano questi, Edward? Forse era dovuto alla fame? Stasera sarei partito con Jasper per andare a caccia.

 

La fine delle lezioni arrivò presto e senza guardare in faccia nessuno mi diressi verso la mia Volvo, dove ormai mi stavano già aspettando. Misi la prima e cercai di arrivare il più veloce possibile a casa. Anche questa volta però lei attirò il mio sguardo. Stava andando a casa come tutti, pedalando su una bicicletta blu. Nessuno veniva a scuola in bicicletta. La cosa non mi sorprese per niente, data la personalità della persona in questione. Stava ancora scalfendo piccole brecce nella mia coltre di noia. E la cosa mi irritava. Desideravo solo essere lasciato in pace. Chiedevo forse troppo, Destino?

 

Ero appena tornato dalla battuta di caccia e stavo correndo veloce nella foresta. Il vento che infilzante mi colpiva da sempre mi dava un forte senso di benessere. Sommato al fatto che ero sazio il mio umore era migliorato. Mi stavo dirigendo nel solo luogo dove potevo raggiungere un compromesso con la mia agonia; una piccola radura all’interno della foresta. Un luogo perfetto per pensare in tranquillità, senza il chiasso dei pensieri altrui.

Giunto nel posto desiderato ebbi una spiacevole, quanto curiosa sorpresa. La trovai seduta a gambe incrociate su una roccia al centro della radura. Aveva i palmi delle mani alzati verso il cielo e le mani appoggiate sulle ginocchia, mentre i suoi occhi erano chiusi. Non sembrava essersi accorta della mia presenza. Il mio umore crollò di nuovo; non potevo starmene per conto mio nemmeno qui. Fui sul punto di chiederle di andarsene, ma invece mi avvicinai incuriosito. Possibile che in quel momento la mia malsana curiosità fosse più forte della mia ragione?

Nonostante fossi a pochi centimetri da lei, non si accorse di niente. Cosa stava facendo? Il mio olfatto percepì la sua dolce fragranza alla lavanda. Scossi la testa per svegliarmi da quel senso di tepore. Il mio istinto mi spinse a provare a parlarle. La scossi appena e lei sussultò, come se l’avessi svegliata da un sonno.

“Salve, Edward Cullen” mi disse con quella voce da bambina “Come stai?”

La sua personalità si rifletteva anche nelle parole. Ignorai la domanda.

Cosa stavi facendo?”

“Mi stavo cancellando” rispose lei con un sorriso.

Io rimasi scettico. Non perdeva mai occasione di dimostrarsi diversa dal normale. Questo non fece altro che aumentare la mia attenzione.

Cosa intendi?”

“Cerco di isolarmi per non pensare a niente. In questo modo i brutti pensieri escono dalla mia mente e mi sento più tranquilla…”

Sarebbe stato bello se questa sorta di sua meditazione avesse potuto funzionare anche su di me.

“Vuoi provare?” mi chiese serena.

Come poteva il suo istinto non avvertirla del pericolo che affrontava se mi fossi seduto accanto a lei?

Spinto ancora una volta dalla curiosità mi sedetti sull’erba accanto a lei, consapevole che assecondarla sarebbe stata una terribile sciocchezza.

“Chiudi gli occhi” disse lei mentre faceva lo stesso. Ero stato coinvolto in una completa idiozia. Potevo benissimo alzarmi ed andarmene in quello stesso momento, ma l’attenzione verso di lei e la consapevolezza che forse potevo riuscire un po’ a capirla mi obbligarono a restarmene lì seduto. Alla fine chiusi gli occhi anch’io.

“Ora pensa solamente ad una grande gomma che cancella ogni tua parte del corpo”

Aprii di scatto gli occhi, ancora colpito dalla sua imprevedibilità. Cosa dovevo fare? Pensare che una gomma da cancellare facesse svanire il mio corpo. La mia ragione e il mio istinto stavano combattendo, divisi dal desiderio di andarmene immediatamente e di restar lì. Vinse alla fine il mio istinto, ormai troppo forte. Era la prima volta che facevo qualcosa contro il volere di me stesso. Seguii quindi le indicazioni che mi aveva dato. Immaginai una grande gomma da cancellare che lentamente spazzava via ogni mia parte. Cominciai dalle dita, per poi salire con le mani e poi con le braccia.

Avevo la strana sensazione di non essere più in grado di muovere i miei arti. Aprii gli occhi di scatto. Allora questa sua strana meditazione aveva realmente fatto effetto. Non mi piaceva; l’idea di poter perdere ogni contatto con la realtà non era affatto piacevole per un vampiro abituato a una sorveglianza costante.

“A quanto pare ci sei riuscito. La prossima volta però devi essere più rilassato.

Solo allora mi accorsi che insieme a me c’era anche lei.

“Tu ci riesci?” Lei annuii.

“Per quanto tempo resti in… meditazione?” Lei alzò le spalle.

“Dipende da quale tipo di pensieri mi devo liberare, talvolta anche ore…”

“Devi venire per forza in luoghi simili per pensare?” Ancora una volta il mio istinto prevalse e cominciai a porle una lunga concatenazione di domande inspiegabili persino a me.

“Sì, la mente necessità di spazio e aria per liberarsi.

Ormai l’avevo accettato; Stargirl mi aveva conquistato.

Perché hai cambiato nome?” continuai ancora. Lei alzò le spalle.

“Non mi piaceva. Non era il mio nome.”

E Stargirl è il tuo nome?”

“Per ora sì, se poi mi stuferò lo cambierò…”

“In cosa?” Più parlava, più la mia voglia di sapere cresceva.

“Non lo so, quando ne troverò uno più adatto a me”

E sai anche trovare il nome adatto per altre persone?” chiesi di getto.

Lei mi guardò pensando alla risposta. Non se la aspettava una domanda del genere.

“No. Ognuno può scoprire solamente il proprio nome. Tu ti senti Edward?”

Mi spiazzò ancora di più del suo comportamento. Sembrava un domanda da nulla, ma in realtà era molto più contorta di quanto sembrava. Mi fece pensare a lungo, ma non riuscii nemmeno a capire cosa volesse significare. Non le risposi.

“E tu ti senti Stargirl?” Lei annuii con foga.

In quel momento capii che non era per niente una persona stupida, anzi. Si stava dimostrando molto più intelligente di chiunque altro, me compreso. Era riuscita a dare una risposta ad una domanda che non ero in grado nemmeno di pormi per la sua complessità, nonostante avessi passato molto tempo a riflettere e a interrogarmi. Stava crescendo in me la consapevolezza che da lei potevo imparare più di qualche cosa.

“Qual è il tuo vero nome?” continuai sempre più attratto.

PerchéStargirl non può essere un nome vero?”

Altra domanda che mi bloccò, ma continuai.

“Intendevo dire qual è il tuo vero nome”

“Ha importanza?”

“Tanta quanto ne ha questa conversazione, no?” risposi io.

Stavo cominciando a capire come pensava la sua mente, e lo faceva veramente in modo insolito. Lei non se l’aspettava. Abbassò lo sguardo e annuii con la testa.

Perché mi hai regalato la rosa e non i biscotti oggi?” dissi ricordandomi della mia “missione”.

“Semplice, a mensa tu e la tua famiglia non mangiate mai niente. Pensavo non ti avrebbe fatto piacere, visto che avete paura del cibo.”

Non riuscii a trattenermi dal ridere fragorosamente e di gusto. Paura del cibo? Non era nemmeno minimamente vicino alla realtà.

Cosa c’è da ridere?”

“Pensi veramente che noi abbiamo paura del cibo?”

“Certo. Per ogni cosa esiste un tipo di paura.”

Il mio viso ritornò serio, colpito ancora una volta da queste sue frasi enigmatiche. Senza aggiungere altro si alzò.

 “Ci vediamo domani, Edward Cullen.” E dicendo questo si inoltrò tra gli alberi come se nulla fosse, scomparendo nella foresta.

Stargirl. In quel momento intuii che avrei passato molto tempo con lei.

 

 

 

 

 

Ok… ho provato a scrivere anche il secondo capitolo. Devo dire che questo è un Edward che si fa mooooolti problemi. Che volete farci; problemi per l’autrice, problemi per i suoi personaggi…. Comunque spero che questo capitolo vi abbia intrigato più del precedente!

Concludo ringraziando moltissimo coloro che hanno avuto la pazienza di commentare sotto propria volontà, oltre anche a coloro che hanno letto questo capitolo!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 ***


Cercai di concentrarmi sulle note della canzone, ma non ci riuscii, di nuovo

Cercai di concentrarmi sulle note della canzone, ma non ci riuscii, di nuovo.

Ero un vampiro, bastava solamente un millesimo della capacità di concentrazione che avevo per suonare al pianoforte in modo perfetto ed impeccabile canzoni del calibro di Claire de Lune di Debussy. Tuttavia, quando suonavo il piano, il mio obiettivo era quello di concentrarmi al massimo e porre tutta la mia attenzione nell’esecuzione, per non pensare ad altro. E sempre, anche se spesso ed involontariamente qualche pensiero veniva formulato, l’esecuzione di quella canzone riusciva a trascinarmi completamente nei mondi immaginari che suscitavano quelle note.

Per l’ennesima volta mi interruppi di scatto. In quei mondi immaginari era comparso nuovamente il suo viso. Appoggiai pesantemente le dita sul mio pianoforte e un impercepibile rumore di legno rotto concluse quello delle note senza ordine. Stupidi e deboli oggetti; non potevo controllare la mia forza in quelle condizioni. Nemmeno Debussy riusciva a non farmi pensare a lei. Volevo starle vicino. Non avevo mai provato una sensazione tale e solo la sua lontananza riuscì a venire a galla nella mia mente. Il mio non era il solito desiderio di uccidere, di volere il suo sangue, desiderio che non mi avrebbe suscitato alcun sospetto; quante di quelle volte avevo desiderato farlo. No, il mio era il desiderio di conoscerla, di sapere com’era, un sentimento del tutto umano e nuovo.

Provai a pensare perché mai mi suscitava questo. E perché proprio a me. Né Jasper, né Alice, né tanto meno ad Emmett e Rosalie erano minimamente coinvolti da questa Stargirl. I loro pensieri, per quanto mi sforzassi di non ascoltarli, non erano minimamente rivolti verso di lei. Perché i miei sì?

Non era il desiderio stesso ad incutermi la paranoia ed il tormento che stavo vivendo, anzi, quasi mi rincuorava pensare a quella debole, ma al contempo forte creatura.

Era la voglia di vederla che proveniva dal mio lato più oscuro che mi agonizzava. Ero un vampiro ed io, anche se a dirsi era assurdo, avevo paura degli esseri umani, riversavo i tormenti di me stesso su di loro, perché erano inevitabilmente prelibati ed invitanti e bastava un semplice errore affinché il demone potesse prevalere e portasse a farmi sentire un mostro. Ed io avevo un’ assurda e impadroneggiabile paura del mio demone. Avevo paura che questa bambina lo avrebbe potuto stuzzicare, se soddisfavo il mio ingenuo e segreto desiderio di conoscerla. Inoltre c’era quel sentimento umano, quello che mi faceva nascere questo desiderio. Una sorta di strana ed inspiegabile senso di felicità dimenticata con il tempo, che sapevo non mi apparteneva e che perciò mi metteva a disagio.

Edward, che hai?” La squillante e severa voce di Alice mi riportò alla riva, dopo ben… già, dopo ben quarantacinque secondi che ero perso nell’oceano tempestoso dei miei pensieri. La guardai con fare disinvolto. Da tempo aveva notato qualcosa di strano. Per fortuna era stata l’unica.

“Non ho idea di cosa tu stia parlando” replicai pacato. Una miriade di immagini si susseguirono in testa. Confuse e troppo veloci per capirle. Tutte però avevano come soggetto Stargirl.

“Non fare lo stupido” disse questa volta più preoccupata. Ripresi a suonare Claire de Lune.

“Niente che ti possa preoccupare”

Non volevo coinvolgerla in questa storia, in alcun modo. Era un problema unicamente mio, personale, intimo. Anche se credevo fosse davvero difficile tenere nascosto qualcosa a qualcuno che fosse capace di vedere il futuro. In quel periodo tuttavia anche Alice mi preoccupava; era agitata ed inquieta per i problemi di autocontrollo di Jasper e non faceva che pensare a lui. Motivo in più per evitare di coinvolgerla nei miei di problemi.

Cercai di lanciarle un sorriso rassicurante per essere credibile e soprattutto chiaro sulle mie intenzioni. Lei mise il broncio, in realtà davvero dispiaciuta che non condividessi con lei i miei pensieri.  

Quindi questa la posso buttare via” Mi fece vedere la rosa che mi avevano regalato al mio “compleanno”.

“Sì” risposi impassibile continuando a suonare. Subito dopo inspiegabilmente me ne pentii. Lei non la buttò; con un sorriso malizioso me la mise sul pianoforte. Sapeva che non l’avrei buttata. Io però non sapevo perché non l’avrei buttata. Era solo una rosa che era appartenuta a Stargirl, non Stargirl. Perché mai mi doveva importare anche della rosa? Continuai a suonare.

“Riceverai finalmente un regalo che ti piacerà”

Mi fermai ed Alice se ne andò. Tutto questo avvenne in un decimo di secondo. Provai a leggere da lontano i pensieri di Alice, per sapere a cosa si stesse riferendo. Quels transports il doit exciter… C'est nous n ose méditerDe rendre à l'antique esclavageSentii un sorriso amaro dipingersi sulla faccia. Aveva inteso alla lettera, e aveva ragione; non potevo un momento prima escluderla, per poi leggerle il futuro.

Era inutile cercare scuse; Stargirl era diventata il mio passatempo, quello che mi permetteva di uscire dalla noia, quello che mi stava dando finalmente una “botta di vita”. Quello che mi stava facendo sentire pian piano umano.

Sentii le mie labbra piegarsi in quel sorrisino sghembo che avevo sempre detestato, ma che Esme adorava. Stargirl rimaneva una semplice umana e quello strano profumo di lavanda rendeva le cose piuttosto facili. Resistevo ogni giorno ad un’orda di profumi allettanti, perché uno solo dovrebbe cambiare qualcosa? Inoltre l’accenno di Alice era evidentemente positivo, ed io mi fidavo di lei. Mi convinsi che sarei riuscito a resistere a Stargirl e sarei riuscito a stare con lei. E smisi di suonare.

 

Il giorno dopo aspettai con impazienza il pranzo alla mensa. Una sensazione che non avrei mai detto che avrei provato. Almeno era qualcosa di diverso rispetto alla noia. Prevedibilmente Jasper si era accorto delle mie strane sensazioni, ma Alice era riuscita a convincerlo a non badarci troppo. Aveva già i suoi di problemi e l’ultima cosa che mi auguravo per lui era occuparsi anche dei miei. A mensa quindi non pensò troppo a me e ben presto lasciò stare.

Attesi, cercando di non dare nell’occhio, la sua comparsa. Ancora una volta quell’agitazione per il suo arrivò mi mise di nuovo a disagio; non era da me preoccuparmi troppo per un essere umano. Quel giorno il suo tavolo rimase vuoto. Lessi velocemente i primi pensieri che mi capitarono sottomano, ma non riuscii a trovarla da nessuna parte. Quel giorno non era venuta a scuola a quanto pare. Le mie spalle si abbassarono impercettibilmente. Cercai di distrarmi, invano, intervenendo più volte nella conversazione del giorno riguardante la prossima partita a baseball, fino al suono della campanella. Dal mio tono non traspariva nessuna emozione; ormai tutti se n’erano abituati, tutti sapevano del mio periodo cupo e buio e non se ne sorpresero molto. Tranne ovviamente Alice e, per un momento, Jasper.

La verità era che ero rimasto deluso dall’assenza di Stargirl. Quel desiderio era tanto forte che stava traboccando dal mio spirito.

Un qualcosa di oscuro nel mio animo decise che quel giorno me se sarei fregato di tutto. Quel giorno non lo avrei passato nella noia come al solito. Quel giorno dovevo vedere l’unica persona che l’avrebbe potuto rendere diverso e meno monotono. Mi diressi immediatamente verso il parcheggio, senza dire niente. Sarei andato a casa di Stargirl.

 

Non sapevo dove abitasse, perciò andai a caso. Non erano però molte le abitazioni disponibili per l’affitto in una cittadina così piccola, quindi riuscii a trovarla subito. Parcheggiai piuttosto lontano. Non appena scesi dalla mia Volvo sentii la voce della bambina che cercavo. Proveniva dal suo giardino. Di nuovo quel senso di curiosità.

Attraversai veloce la strada e mi appostai davanti alla betulla che sorgeva davanti a casa sua, dall’altra parte della strada. Era troppo occupata per accorgersi di me, anche se in quella posizione ero più che visibile; volevo infatti essere visto da lei. Osservai con attenzione quello che stava facendo. Con una vecchia macchina fotografica stava cercando di immortalare dal suo giardino il bambino che viveva nella casa vicino, in quel mentre intento a giocare con un triciclo e del tutto ignaro che qualcuno gli stesse scattando una foto. Era quindi questo il motivo per cui non era venuta a scuola? Ancora, per l’ennesima volta, mi stupii. Non mi ero ancora abituato. Soprattutto non avevo ancora capito cosa stesse facendo. Rivolse l’obiettivo verso di me. Io sorrisi abbassando gli occhi. Da tantissimo tempo nessuno mi faceva sorridere in quel modo. Gli rialzai quando sentii un lieve scatto.

“Buongiorno, Edward Cullen!” gridò con un sorriso. Aveva anche un bellissimo sorriso. Io veloce attraversai la strada. Finalmente, eccomi davanti a lei, piena di segreti e sorprese. Quell’insopportabile desiderio di curiosità era del tutto scomparso ora, lasciando posto solo ad una totale serenità. Esattamente come l’altra volta, nella foresta, liberai i miei pensieri.

Cosa stavi facendo?”

“Stavo fotografando Ben” disse lei con fare innocente indicando il bambino.

Perché?” Lei sorrise di nuovo.  

Cosa diresti se qualcuno di cui non conosci nemmeno l’esistenza in questo momento ti consegnasse un album di foto sulla tua vita? Una piacevole sorpresa, non trovi?”
Risi molto più fragorosamente della scorsa volta. No, era troppo bizzarra. Tanto bizzarra da farmi rendere conto di quanto quello che stavo provando era diverso dalla noia. Pensai realmente ad una situazione assurda come questa; se qualcuno mi avesse dato in quel momento un tomo di migliaia di pagine su centosette anni.

“Farei i complimenti al fotografo.” Mi fu inevitabile trattenermi; cercai di rimediare.

“E quello che vorresti fare tu con quel bambino?” Lei fece spallucce, ingenua.

“Sì. Bhè… è quello che cerco di fare.” Questa volta mi limitai a sorridere.

“Sei rimasta a casa per questo?”

Fa bene non andare a scuola qualche volta.” Mi guardò per un attimo negli occhi. Non mi spiegavo come facesse a non staccarli dai miei. Non riusciva ancora a capire che ero pericoloso?

“Vuoi venire a Port Angeles con me?” Sussultai per l’improvvisa domanda. Ebbi un attimo di esitazione prima di risponderle. Qualcosa mi diceva di non accettare, la paura del demone aveva di nuovo preso il sopravvento, inevitabilmente. E poi non mi conosceva neppure, come faceva a proporre una domanda del genere ad uno sconosciuto?

Se non vuoi, non importa” La sua voce mi riportò alla realtà. Chiusi gli occhi cercando di uscire dallo stato confusionale in cui ero entrato.

“E… s-sì…” balbettai un risposta, incerto anch’io su ciò che avevo deciso di fare.  

“Possiamo usare la tua macchina?”

“Sì”

Perché improvvisamente mi era riuscito così difficile dimostrarmi convinto? Non ero più sicuro di niente. Lei corse dentro casa, mentre io camminai verso la Volvo. Stavo facendo salire sulla mia auto un essere umano che neppure conoscevo e che rischiava la vita. Stai cadendo, Edward, stai precipitando. Solamente quel malsano desiderio, che stava diventando assillante e non vedevo l’ora che sparisse, mi costringeva ad andare a Port Angeles con lei. Sapevo che l’unico modo per liberarsene era soddisfarlo, almeno un minimo. E in quel momento quel malsano desiderio mi costringeva a scoprire cosa Stargirl avrebbe fatto a Port Angeles.

La feci salire in auto e partii spedito. Non mi sforzai di sorreggere una conversazione; ero troppo impegnato a pensare alla sciocchezza che stavo facendo. Intanto la freccetta del contachilometri saliva indisturbata. Mi voltai di scatto verso il finestrino del passeggero che si stava abbassando. Quella matta aveva messo la testa fuori dal finestrino in corsa e stava sorridendo mentre l’aria le colpiva il viso. Come la freccia era salita ora era scesa.

“Ma sei matta?!

Per istinto avvicinai la mano alla sua spalla per tirarla dentro, la ragione che però mi era rimasta mi suggerì saggiamente a ritirarla in tempo e a non toccarla. Ritrasse per fortuna la testa subito dopo. Stava ridendo. Io invece non ci trovavo assolutamente nulla di divertente; cosa diavolo le aveva preso la testa?! Il suo senso del pericolo doveva essere senza dubbio andato; non aveva pensato che le avrebbe potuto succedere qualcosa se avesse tirato fuori la testa ad una velocità simile? Questo era senza dubbio un ottimo modo per farmi rallentare. Lei d’altro canto non la smetteva di ridire.

Perché diavolo l’hai fatto?” Dal mio tono volevo sembrare arrabbiato, ma lei non smise di sorridere.

“È bellissimo sentire l’aria sul viso. Dovresti provarlo.”

Non avrebbe mai immaginato che lo facevo quotidianamente e per di più ad una velocità doppia di questa. Non negavo nemmeno che fosse una fantastica sensazione, ma io ero un vampiro, lei un essere umano, si sarebbe potuta fare male e non volevo averla sulla coscienza. Ero terribilmente arrabbiato; non pensavo potesse essere così infantile.

Ma non così! Potevi farti male” Lei smise di ridere, ma continuò a guardarmi.

“Pensi che sia matta?” disse senza alcun risentimento.

“Sì, qualche volta” risposi io sincero e deciso, guardando la strada davanti di me, pur di non incrociare il suo sguardo. Non riuscivo a mantenere un costante contatto visivo con lei. C’era sempre una gara di sguardi che lei vinceva sempre. Strinsi lievemente il volante; non mi ero mai sentito così sottomesso e condizionato da un umano. Era una sensazione irritante, ma al contempo rasserenante; era una piccola debolezza che mi faceva sentire umano.  

“Va bene, non farò più la matta con te”

Era tornata ad essere felice, passando il tempo a guardare quello che c’era fuori dal finestrino, senza aprirlo. Tornai ad accelerare, osservando di sottocchio il passeggero accanto a me. Solo allora mi accorsi di nuovo del suo forte odore di lavanda. Mi stupii ancora una volta di quanto fosse naturale e poco umano. Ed ancor più mi attirò il fatto che non mi faceva venire l’acquolina.

“Cannella, cosa ti succede?”

Oh no, aveva portato anche il topo. Intravidi un leggere tremolio dentro la sua borsa. Quel povero topo sarebbe morto letteralmente dalla paura vicino a me. Cercò di tirarlo fuori dalla borsa, ma senza risultato. Avrebbe dovuto seguire l’esempio del suo topo, la ragazza.

“Non credo che tu stia simpatico a Cannella. È strano, è un topo molto socievole.” Sorrisi alla sua vocina sconfortata.  

“Non ho molto feeling con gli animali”

Mi sentii particolarmente colpevole per la futura e probabile morte di quel topo. Lei tornò a perforarmi con lo sguardo. Aumentai la pressione sull’acceleratore per far si che quel viaggio terminasse al più presto. Quando mi osservava cominciava ad infastidirmi, mi metteva a disagio. Distolsi per una attimo gli occhi dalla strada; mi stava studiando con fare attento. In quel momento rimpiansi di non poterle leggere i pensieri.

“Hai l’aria di uno che sta cercando qualcosa. Riflettei con aria confusa su quello che aveva detto.

“Tutti cercano qualcosa” azzardai a rispondere, per niente abituato al suo modo di pensare. Lei ci pensò un attimo.

“Vero”

“Tu invece cosa stai cercando?” Lei si lasciò andare in una risata.

Quando lo troverò, lo saprò.”

Respirai più profondamente di quanto fossi solito fare. Che strana conversazione, mi richiedeva più concentrazione di quanto pensassi. Stargirl invece sembrava tranquilla.

“Come fai a sapere che è quello?” Lei appoggiò la testa sulle mani. Dopo pochi minuti mi guardò confusa.

“Non lo so. Dovrei chiederlo al Senor Saguaro.” Strabuzzai gli occhi. Lei notò la mia sorpresa.

“È un mio vecchio maestro” mi spiegò, concludendo l’argomento. Non volli andare oltre neppure io. Anche se mi stuzzicava il desiderio di conoscere anche il suo passato. Mi sarei dimostrato troppo invadente se glielo avessi chiesto, sebbene l’invadenza non c’era mai stata con lei. I primi edifici di Port Angeles si fecero vedere.

Dove andiamo?”

“Fermati pure qua.”

Parcheggiai l’auto dove mi aveva indicato. Si sedette sulla prima panchina che trovò. Mi sistemai vicino a lei, tenendo la distanza. Come sempre, a Port Angeles c’era molta gente, indipendentemente dall’ora. Lei sembrava osservare e studiare ogni viso che passava per quel marciapiede. Ancora una volta non capivo cosa stesse facendo.

“Vedi quel ragazzo laggiù” disse d’un tratto “È appena uscito dal lavoro e sta andando a prendere il suo cane Smuggler dal veterinario. Si era rotto una zampa, ma ora sta meglio. Stasera però dovrebbe andare a dormire abbastanza presto, domani avrò un importante incontro con una persona che non vedeva da tempo.”

Quella fu forse la volta che mi stupii di più, nonostante la mia mente avesse compreso che non avrebbe mai capito le sue idee se non fosse stata Stargirl stessa a spiegarmele. Ero rimasto totalmente attonito. Lei mi guardò con un sorriso.

“È un gioco; devi indovinare la vita delle persone. Prova tu.”

Io abbassai la testa con un sorriso, imbarazzato, per molti motivi. Innanzitutto per il gioco infantile e senza senso che mi stava proponendo. Poi, per l’impossibilità della cosa; come potevo indovinare se sapevo esattamente quale fosse la vita delle persone che mi circondavano?

“Non credo di essere molto bravo”

“Prova ad usare la fantasia.”

Respirai ancora una volta profondamente, cercando di darle corda e coinvolgendomi in un gioco stupido come questo. Mi limitai a leggere nel pensiero del primo passante.

“Quella signora sta andando a trovare il marito in ospedale per poi andare a casa a far la cena ai suoi due figli ed andare nuovamente in ospedale il giorno dopo” dissi lievemente annoiato. Seppur ne avessi abbastanza di quel gioco, non mi ero ancora stufato di chi lo aveva ideato. Anzi, con queste sue pazze idee mi sentivo stranamente rilassato. Mi distraevano e mi facevano pensare in un altro modo, un’altra sconosciuta ottica.

“Non sei molto bravo” concluse lei alla fine. Io alzai le spalle. In realtà non aveva la minima idea di quanto fossi stato bravo, se indovinare era lo scopo del gioco. In realtà non credevo fosse esattamente questo, anche perché nessun umano l’avrebbe saputo con esattezza. Dato il personaggio che aveva proposto il gioco, non credevo fosse così scontato. Si alzò quindi improvvisamente.

“Era solo per compensare l’attesa. Andiamo.” Si incamminò fuori Port Angeles. Io mi limitai a seguirla, sempre mantenendo le distanze, facendomi trascinare dalla sua stranezza.

Camminammo per circa mezz’ora. Eravamo ormai fuori Port Angeles. Stavamo ritornando a Forks a piedi; non capivo allora perché mi aveva fatto andare fino in città. Ormai era il crepuscolo. Salì sulla collinetta poco lontano dalla statale ed arrivata in cima, rivolta verso il sole, si mise seduta a gambe incrociate. Mi sedetti silenzioso accanto a lei. Stava cominciando ad alzarsi il vento, ma lei pareva non accorgersene. Dapprima mi limitai ad osservarla, mentre immobile era immersa nella sua strana meditazione.

Solo dopo iniziò a farsi sentire. Uno strano senso allo stomaco, che era da tantissimo tempo che non provavo. Ero quasi sicuro che fosse invidia. Senza imbarazzo od orgoglio affermai a me stesso che ero geloso; geloso di quel corpicino davanti a me. Guardavamo me, e c’era un ammasso di tensioni, rimorsi, tristezza, debolezze, una coltre di noia. Guardavo lei, invece, e vedevo felicità, spensieratezza, voglia di vivere. Era un’invidia acida ed acerba. Desideravo anch’io quella sua voglia di vivere che avevo perso tempo fa e che rivedevo in lei solo ora. Ne avevo bisogno per uscire da quella condizione che mi stava tormentando e che mi ero illuso fino a mesi fa che sarebbe stata la mia eterna dimora. Stargirl aveva ragione, stavo cercando qualcosa ed era questo: un cambiamento immanente della mia filosofia di vita.

Lottai contro il mio orgoglio e vinsi.

Stargirl” sussurrai, confondendo il suono della mia voce con il vento. Lei riuscì a percepirla ed aprì gli occhi. Qualcosa che non apparteneva al mio animo mi spinse a parlare, sempre quel qualcosa di oscuro che mi aveva portato ad andare a Port Angeles.

Se tu vivessi per sempre, come affronteresti l’Eternità?” Guardò davanti a sé con quel suo sorrisino.

“Come adesso” rispose semplicemente.

“Non ti annoieresti?” Le mi rivolse uno sguardo ed ancora una volta mi sentii sottomesso. La guardavo incantato aspettando una risposta. Tornò a guardare davanti a sé.

“Già, mi annoierei. Credo proprio che si debba avere… sì… una ragione di vita. Un qualcosa che coinvolge, che si ama con tutto se stessi, che fa provare emozioni. Così questo qualcosa ti fa vivere.” Ritornò di nuovo a guardarmi. Io non staccai lo sguardo da lei.

E se non si riesce a trovare? Se ormai tutto è diventato noioso ed inutile?” Il mio orgoglio aveva ricominciato a premere, a soffocarmi, ma il bisogno di trovare una via d’uscita era dannatamente più forte.

“Devi essere tu a vederlo con occhi diversi. Magari è sempre stato sotto il tuo naso, ma non l’hai mai visto veramente. Cominciò a ciondolare avanti ed indietro, cingendosi le gambe con le braccia esili.

“Come si fa a riconoscerlo?”

“Per ognuno è qualcosa di personale e diverso. Credo che… si riesca a capirlo, e basta.”

E se non c’è? Se in un’eternità non si riesce a trovare?” Lei mi guardò confusa, non capendo la mia domanda. Come se la risposta fosse evidente.

“Tutti hanno una ragione di vita, bisogna solo imparare a riconoscerla. Si ha un’eternità a disposizione, giusto? Prima o poi si riuscirà a trovarla.”

Quello fu il mio ultimo incontro con Stargirl.

 

Il giorno dopo non venne a scuola e nemmeno il mese successivo. Se n’era improvvisamente andata, come era arrivata. Nessuno sapeva più niente di lei, né perché si era nuovamente trasferita. Quella ragazza non lasciò alcuna particolare impronta in nessuna delle menti dei ragazzini di quella scuola, né in quelle della mia famiglia. Tranne che nella mia. Alice aveva avuto ragione, avevo ricevuto un regalo.

Da quella discussione con Stargirl ero finalmente uscito da quella coltre di noia. Uno strano senso di libertà era presente in me, che anche la mia famiglia aveva notato. Ora non ero più perso nei tormenti della mia mente.

Ora stavo aspettando, stavo aspettando quel qualcosa di speciale che lei aveva premunito, ma non con impazienza, ma con la semplice tranquilla sicurezza che sarebbe accaduto. Tempo fa avrei pensato che potesse essere solamente una sciocca ed infantile illusione, ma la mia considerazione di ciò che era sciocco, stupido ed infantile era cambiata. Dentro di me era nata una piccola, ma forte certezza. Piccola e forte come quella Stargirl, che dovevo ringraziare.

Avevo pensato spesso a lei; qualche volta avevo supposto che non fosse stata reale, quanto più un sogno, o un miraggio. Avevo soprattutto riflettuto sulle sue parole, che erano diventate ancore nell’oceano, ora tranquillo, della mia mente.

Anche quel giorno mi fu inevitabile pensare a lei, mentre entravo nella mensa e mi sedetti. Era difficile da ammettere, ma mi mancavano i suoi auguri di buon compleanno, così fuori dall’ordinario. Tentavo di tener lontano il forte cicaleccio della mensa, quel giorno più forte del solito, senza riuscirci. Venni più volte disturbato dai pensieri dagli stupidi ragazzini che mi circondavano. Circolava la voce che sarebbe arrivato un altro nuovo studente. Era la figlia del capo di polizia di Forks; si chiamava Isabella Swan.

 

 

 

 

 

Dopo un anno mi è venuto finalmente il lampo di genio e in due giorni sono riuscita a finirla! Forse non si è conclusa come me l’ero immaginata quando l’avevo iniziata, ma spero che vi sia piaciuto questo piccolo esperimento! Ripeto dicendo ancora una volta che il personaggio di Stargirl, insieme alla maggior parte delle sue azioni, non appartiene a me ma al signor autore Jerry Spinelli.

Ringrazio quindi tutti quelli che hanno commentato e quelli che commenteranno, coloro che hanno inserito tra i loro preferiti questo piccolo esperimento e, ultimi, ma non meno importanti, tutti coloro hanno letto questi tre capitolo.

Concludo con un alla prossima!

 

Lalla124

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=217588