Cercai di concentrarmi sulle note della canzone, ma non ci
riuscii, di nuovo.
Ero un vampiro, bastava solamente un millesimo della capacità
di concentrazione che avevo per suonare al pianoforte in modo perfetto ed
impeccabile canzoni del calibro di Claire de Lune di Debussy.
Tuttavia, quando suonavo il piano, il mio obiettivo era
quello di concentrarmi al massimo e porre tutta la mia attenzione
nell’esecuzione, per non pensare ad altro. E sempre, anche se spesso ed
involontariamente qualche pensiero veniva formulato,
l’esecuzione di quella canzone riusciva a trascinarmi completamente nei mondi
immaginari che suscitavano quelle note.
Per l’ennesima volta mi interruppi
di scatto. In quei mondi immaginari era comparso nuovamente il suo viso.
Appoggiai pesantemente le dita sul mio pianoforte e un impercepibile rumore di
legno rotto concluse quello delle note senza ordine. Stupidi e deboli oggetti;
non potevo controllare la mia forza in quelle condizioni. Nemmeno Debussy riusciva
a non farmi pensare a lei. Volevo starle vicino. Non avevo mai provato una sensazione tale e solo la sua lontananza riuscì a venire
a galla nella mia mente. Il mio non era il solito desiderio di uccidere, di
volere il suo sangue, desiderio che non mi avrebbe suscitato alcun sospetto;
quante di quelle volte avevo desiderato farlo. No, il mio era il desiderio di conoscerla, di sapere com’era, un
sentimento del tutto umano e nuovo.
Provai a pensare perché mai mi suscitava questo. E perché
proprio a me. Né Jasper,
né Alice, né tanto meno ad Emmett e Rosalie erano minimamente
coinvolti da questa Stargirl.
I loro pensieri, per quanto mi sforzassi di non ascoltarli, non erano
minimamente rivolti verso di lei. Perché i miei sì?
Non era il desiderio stesso ad incutermi la paranoia ed il
tormento che stavo vivendo, anzi, quasi mi rincuorava pensare a quella debole,
ma al contempo forte creatura.
Era la voglia di vederla che proveniva dal mio lato più
oscuro che mi agonizzava. Ero un vampiro ed io, anche se a dirsi era assurdo, avevo
paura degli esseri umani, riversavo i tormenti di me stesso su di loro, perché
erano inevitabilmente prelibati ed invitanti e bastava un semplice errore
affinché il demone potesse prevalere e portasse a farmi sentire un mostro. Ed
io avevo un’ assurda e impadroneggiabile paura del mio
demone. Avevo paura che questa bambina lo avrebbe potuto stuzzicare, se
soddisfavo il mio ingenuo e segreto desiderio di conoscerla. Inoltre c’era quel
sentimento umano, quello che mi faceva nascere questo desiderio. Una sorta di
strana ed inspiegabile senso di felicità dimenticata con il tempo, che sapevo
non mi apparteneva e che perciò mi metteva a disagio.
“Edward, che hai?” La squillante e
severa voce di Alice mi riportò alla riva, dopo ben…
già, dopo ben quarantacinque secondi che ero perso nell’oceano tempestoso dei
miei pensieri. La guardai con fare disinvolto. Da tempo aveva notato qualcosa
di strano. Per fortuna era stata l’unica.
“Non ho idea di cosa tu stia parlando” replicai pacato. Una miriade di immagini si
susseguirono in testa. Confuse e troppo veloci per capirle.
Tutte però avevano come soggetto Stargirl.
“Non fare lo stupido” disse questa volta più preoccupata.
Ripresi a suonare Claire de Lune.
“Niente che ti possa preoccupare”
Non volevo coinvolgerla in questa storia, in alcun modo. Era
un problema unicamente mio, personale, intimo. Anche
se credevo fosse davvero difficile tenere nascosto qualcosa a qualcuno che
fosse capace di vedere il futuro. In quel periodo tuttavia anche Alice mi preoccupava;
era agitata ed inquieta per i problemi di autocontrollo
di Jasper e non faceva che pensare a lui. Motivo in
più per evitare di coinvolgerla nei miei di problemi.
Cercai di lanciarle un sorriso rassicurante per essere
credibile e soprattutto chiaro sulle mie intenzioni. Lei mise il broncio, in
realtà davvero dispiaciuta che non condividessi con
lei i miei pensieri.
“Quindi questa la posso buttare
via” Mi fece vedere la rosa che mi avevano regalato al mio “compleanno”.
“Sì” risposi impassibile continuando a suonare. Subito dopo
inspiegabilmente me ne pentii. Lei non la buttò; con un sorriso malizioso me la
mise sul pianoforte. Sapeva che non l’avrei buttata.
Io però non sapevo perché non l’avrei buttata. Era
solo una rosa che era appartenuta a Stargirl, non Stargirl. Perché mai mi doveva
importare anche della rosa? Continuai a suonare.
“Riceverai finalmente un regalo che ti piacerà”
Mi fermai ed Alice se ne andò.
Tutto questo avvenne in un decimo di secondo. Provai a leggere da lontano i
pensieri di Alice, per sapere a cosa si stesse
riferendo. Quels transports il doit exciter… C'est nous qù n ose
méditer… De rendre à
l'antique esclavage. Sentii
un sorriso amaro dipingersi sulla faccia. Aveva inteso alla lettera, e aveva
ragione; non potevo un momento prima escluderla, per
poi leggerle il futuro.
Era inutile cercare scuse; Stargirl
era diventata il mio passatempo, quello che mi
permetteva di uscire dalla noia, quello che mi stava dando finalmente una
“botta di vita”. Quello che mi stava facendo sentire pian
piano umano.
Sentii le mie labbra piegarsi in quel sorrisino sghembo che
avevo sempre detestato, ma che Esme adorava. Stargirl rimaneva una semplice umana e
quello strano profumo di lavanda rendeva le cose piuttosto facili. Resistevo
ogni giorno ad un’orda di profumi allettanti, perché uno solo dovrebbe cambiare qualcosa? Inoltre l’accenno di Alice era evidentemente positivo, ed io mi fidavo di lei.
Mi convinsi che sarei riuscito a resistere a Stargirl
e sarei riuscito a stare con lei. E smisi di suonare.
Il giorno dopo aspettai con impazienza il pranzo alla mensa.
Una sensazione che non avrei mai detto che avrei
provato. Almeno era qualcosa di diverso rispetto alla noia. Prevedibilmente Jasper si era accorto delle mie strane sensazioni,
ma Alice era riuscita a convincerlo a non badarci troppo. Aveva già i
suoi di problemi e l’ultima cosa che mi auguravo per lui era occuparsi anche
dei miei. A mensa quindi non pensò troppo a me e ben presto lasciò stare.
Attesi, cercando di non dare nell’occhio,
la sua comparsa. Ancora una volta quell’agitazione
per il suo arrivò mi mise di nuovo a disagio; non era da me preoccuparmi troppo
per un essere umano. Quel giorno il suo tavolo rimase vuoto. Lessi velocemente
i primi pensieri che mi capitarono sottomano, ma non riuscii a trovarla da nessuna
parte. Quel giorno non era venuta a scuola a quanto pare.
Le mie spalle si abbassarono impercettibilmente. Cercai di distrarmi, invano,
intervenendo più volte nella conversazione del giorno riguardante la prossima
partita a baseball, fino al suono della campanella. Dal mio tono non traspariva
nessuna emozione; ormai tutti se n’erano abituati,
tutti sapevano del mio periodo cupo e buio e non se ne sorpresero molto. Tranne ovviamente Alice e, per un momento, Jasper.
La verità era che ero rimasto deluso dall’assenza di Stargirl. Quel desiderio era tanto forte che stava
traboccando dal mio spirito.
Un qualcosa di oscuro nel mio animo
decise che quel giorno me se sarei fregato di tutto. Quel giorno non lo avrei
passato nella noia come al solito. Quel giorno dovevo
vedere l’unica persona che l’avrebbe potuto rendere diverso e meno monotono. Mi
diressi immediatamente verso il parcheggio, senza dire niente. Sarei andato a
casa di Stargirl.
Non sapevo dove abitasse, perciò andai a caso. Non erano
però molte le abitazioni disponibili per l’affitto in una cittadina così
piccola, quindi riuscii a trovarla subito. Parcheggiai piuttosto lontano. Non
appena scesi dalla mia Volvo sentii la voce della
bambina che cercavo. Proveniva dal suo giardino. Di nuovo quel senso di
curiosità.
Attraversai veloce la strada e mi appostai
davanti alla betulla che sorgeva davanti a casa sua, dall’altra parte della
strada. Era troppo occupata per accorgersi di me,
anche se in quella posizione ero più che visibile; volevo infatti essere visto
da lei. Osservai con attenzione quello che stava facendo. Con una vecchia
macchina fotografica stava cercando di immortalare dal suo giardino il bambino
che viveva nella casa vicino, in quel mentre intento a
giocare con un triciclo e del tutto ignaro che qualcuno gli stesse scattando
una foto. Era quindi questo il motivo per cui non era
venuta a scuola? Ancora, per l’ennesima volta, mi stupii. Non mi ero ancora
abituato. Soprattutto non avevo ancora capito cosa stesse
facendo. Rivolse l’obiettivo verso di me. Io sorrisi abbassando
gli occhi. Da tantissimo tempo nessuno mi faceva sorridere in quel modo. Gli rialzai quando sentii un lieve scatto.
“Buongiorno, Edward Cullen!” gridò con un sorriso. Aveva anche un bellissimo
sorriso. Io veloce attraversai la strada. Finalmente, eccomi davanti a lei,
piena di segreti e sorprese. Quell’insopportabile
desiderio di curiosità era del tutto scomparso ora, lasciando posto solo ad una
totale serenità. Esattamente come l’altra volta, nella foresta, liberai i miei
pensieri.
“Cosa stavi facendo?”
“Stavo fotografando Ben” disse lei con fare innocente
indicando il bambino.
“Perché?” Lei sorrise di nuovo.
“Cosa diresti se qualcuno di cui
non conosci nemmeno l’esistenza in questo momento ti consegnasse un album di foto
sulla tua vita? Una piacevole sorpresa, non trovi?”
Risi molto più fragorosamente della scorsa volta. No, era troppo bizzarra. Tanto bizzarra da farmi rendere conto di quanto quello che stavo
provando era diverso dalla noia. Pensai realmente ad una situazione
assurda come questa; se qualcuno mi avesse dato in quel momento un tomo di
migliaia di pagine su centosette anni.
“Farei i complimenti al fotografo.” Mi fu inevitabile
trattenermi; cercai di rimediare.
“E quello che vorresti fare tu con quel bambino?” Lei fece spallucce, ingenua.
“Sì. Bhè… è quello che cerco di
fare.” Questa volta mi limitai a sorridere.
“Sei rimasta a casa per questo?”
“Fa bene non andare a scuola
qualche volta.” Mi guardò per un attimo negli occhi. Non mi spiegavo come facesse a non staccarli dai miei. Non riusciva ancora a
capire che ero pericoloso?
“Vuoi venire a Port Angeles con
me?” Sussultai per l’improvvisa domanda. Ebbi un attimo di esitazione
prima di risponderle. Qualcosa mi diceva di non accettare, la
paura del demone aveva di nuovo preso il sopravvento, inevitabilmente. E poi non mi conosceva neppure, come faceva a proporre una
domanda del genere ad uno sconosciuto?
“Se non vuoi, non importa” La sua
voce mi riportò alla realtà. Chiusi gli occhi cercando di uscire dallo stato
confusionale in cui ero entrato.
“E… s-sì…” balbettai un risposta, incerto anch’io su ciò che avevo deciso di
fare.
“Possiamo usare la tua macchina?”
“Sì”
Perché improvvisamente mi era
riuscito così difficile dimostrarmi convinto? Non ero più sicuro di niente. Lei
corse dentro casa, mentre io camminai verso la Volvo.
Stavo facendo salire sulla mia auto un essere umano che neppure conoscevo e che
rischiava la vita. Stai cadendo, Edward,
stai precipitando. Solamente quel malsano desiderio, che stava
diventando assillante e non vedevo l’ora che sparisse, mi costringeva ad andare
a Port Angeles con lei. Sapevo che l’unico modo per
liberarsene era soddisfarlo, almeno un minimo. E in
quel momento quel malsano desiderio mi costringeva a scoprire cosa Stargirl avrebbe fatto a Port
Angeles.
La feci salire in auto e partii
spedito. Non mi sforzai di sorreggere una conversazione; ero troppo impegnato a
pensare alla sciocchezza che stavo facendo. Intanto la freccetta del
contachilometri saliva indisturbata. Mi voltai di scatto verso il finestrino
del passeggero che si stava abbassando. Quella matta aveva messo la testa fuori dal finestrino in corsa e stava sorridendo mentre
l’aria le colpiva il viso. Come la freccia era salita ora era
scesa.
“Ma sei matta?!”
Per istinto avvicinai la mano alla sua spalla per tirarla
dentro, la ragione che però mi era rimasta mi suggerì
saggiamente a ritirarla in tempo e a non toccarla. Ritrasse per fortuna la
testa subito dopo. Stava ridendo. Io invece non ci trovavo assolutamente nulla
di divertente; cosa diavolo le aveva preso la testa?!
Il suo senso del pericolo doveva essere senza dubbio andato; non aveva pensato
che le avrebbe potuto succedere qualcosa se avesse
tirato fuori la testa ad una velocità simile? Questo era senza dubbio un ottimo
modo per farmi rallentare. Lei d’altro canto non la smetteva di ridire.
“Perché diavolo l’hai fatto?” Dal
mio tono volevo sembrare arrabbiato, ma lei non smise di sorridere.
“È bellissimo sentire l’aria sul viso. Dovresti provarlo.”
Non avrebbe mai immaginato che lo facevo
quotidianamente e per di più ad una velocità doppia di questa. Non negavo
nemmeno che fosse una fantastica sensazione, ma io ero un vampiro, lei un
essere umano, si sarebbe potuta fare male e non volevo
averla sulla coscienza. Ero terribilmente arrabbiato; non pensavo potesse
essere così infantile.
“Ma non così! Potevi farti male”
Lei smise di ridere, ma continuò a guardarmi.
“Pensi che sia matta?” disse senza alcun risentimento.
“Sì, qualche volta” risposi io sincero
e deciso, guardando la strada davanti di me, pur di non incrociare il suo
sguardo. Non riuscivo a mantenere un costante contatto visivo con lei. C’era
sempre una gara di sguardi che lei vinceva sempre. Strinsi lievemente il volante;
non mi ero mai sentito così sottomesso e condizionato da un umano. Era una sensazione
irritante, ma al contempo rasserenante; era una piccola debolezza che mi faceva
sentire umano.
“Va bene, non farò più la matta con te”
Era tornata ad essere felice, passando il tempo a guardare
quello che c’era fuori dal finestrino, senza aprirlo.
Tornai ad accelerare, osservando di sottocchio il passeggero accanto a me. Solo
allora mi accorsi di nuovo del suo forte odore di
lavanda. Mi stupii ancora una volta di quanto fosse
naturale e poco umano. Ed ancor più mi attirò il fatto che
non mi faceva venire l’acquolina.
“Cannella, cosa ti succede?”
Oh no, aveva portato anche il topo. Intravidi un leggere
tremolio dentro la sua borsa. Quel povero topo sarebbe morto letteralmente
dalla paura vicino a me. Cercò di tirarlo fuori dalla
borsa, ma senza risultato. Avrebbe dovuto seguire l’esempio del suo topo, la
ragazza.
“Non credo che tu stia simpatico a Cannella. È strano, è un topo molto socievole.” Sorrisi alla sua
vocina sconfortata.
“Non ho molto feeling con gli animali”
Mi sentii particolarmente colpevole per la futura e
probabile morte di quel topo. Lei tornò a perforarmi con lo sguardo. Aumentai
la pressione sull’acceleratore per far si che quel
viaggio terminasse al più presto. Quando mi osservava
cominciava ad infastidirmi, mi metteva a disagio. Distolsi per una attimo gli occhi dalla strada; mi stava studiando con
fare attento. In quel momento rimpiansi di non poterle leggere i pensieri.
“Hai l’aria di uno che sta cercando qualcosa.” Riflettei con aria confusa su quello che aveva detto.
“Tutti cercano qualcosa” azzardai a rispondere, per niente
abituato al suo modo di pensare. Lei ci pensò un attimo.
“Vero”
“Tu invece cosa stai cercando?” Lei si lasciò andare in una
risata.
“Quando lo troverò, lo saprò.”
Respirai più profondamente di quanto fossi
solito fare. Che strana conversazione, mi richiedeva più concentrazione
di quanto pensassi. Stargirl
invece sembrava tranquilla.
“Come fai a sapere che è quello?” Lei appoggiò la testa
sulle mani. Dopo pochi minuti mi guardò confusa.
“Non lo so. Dovrei chiederlo al Senor
Saguaro.” Strabuzzai gli occhi. Lei notò la mia
sorpresa.
“È un mio vecchio maestro” mi spiegò, concludendo
l’argomento. Non volli andare oltre neppure io. Anche se mi
stuzzicava il desiderio di conoscere anche il suo passato. Mi sarei
dimostrato troppo invadente se glielo avessi chiesto, sebbene l’invadenza non
c’era mai stata con lei. I primi edifici di Port
Angeles si fecero vedere.
“Dove andiamo?”
“Fermati pure qua.”
Parcheggiai l’auto dove mi aveva indicato. Si sedette sulla
prima panchina che trovò. Mi sistemai vicino a lei, tenendo la distanza. Come
sempre, a Port Angeles c’era molta gente,
indipendentemente dall’ora. Lei sembrava osservare e studiare ogni viso che passava
per quel marciapiede. Ancora una volta non capivo cosa stesse
facendo.
“Vedi quel ragazzo laggiù” disse d’un
tratto “È appena uscito dal lavoro e sta andando a prendere il suo cane Smuggler dal veterinario. Si era rotto una zampa, ma ora sta meglio. Stasera però dovrebbe andare a dormire
abbastanza presto, domani avrò un importante incontro con una persona che non vedeva da tempo.”
Quella fu forse la volta che mi stupii di più, nonostante la
mia mente avesse compreso che non avrebbe mai capito le sue idee se non fosse
stata Stargirl stessa a spiegarmele. Ero rimasto
totalmente attonito. Lei mi guardò con un sorriso.
“È un gioco; devi indovinare la vita delle persone. Prova
tu.”
Io abbassai la testa con un sorriso, imbarazzato, per molti
motivi. Innanzitutto per il gioco infantile e senza
senso che mi stava proponendo. Poi, per l’impossibilità della cosa; come potevo
indovinare se sapevo esattamente quale fosse la vita delle persone che mi
circondavano?
“Non credo di essere molto bravo”
“Prova ad usare la fantasia.”
Respirai ancora una volta profondamente, cercando di darle
corda e coinvolgendomi in un gioco stupido come questo. Mi limitai a leggere
nel pensiero del primo passante.
“Quella signora sta andando a trovare il marito in ospedale
per poi andare a casa a far la cena ai suoi due figli ed andare nuovamente in
ospedale il giorno dopo” dissi lievemente annoiato. Seppur ne
avessi abbastanza di quel gioco, non mi ero ancora stufato di chi lo
aveva ideato. Anzi, con queste sue pazze idee mi sentivo
stranamente rilassato. Mi distraevano e mi facevano pensare in un altro modo,
un’altra sconosciuta ottica.
“Non sei molto bravo” concluse lei
alla fine. Io alzai le spalle. In realtà non aveva la minima idea di quanto fossi stato bravo, se indovinare era lo scopo del gioco. In
realtà non credevo fosse esattamente questo, anche perché nessun umano l’avrebbe saputo con esattezza.
Dato il personaggio che aveva proposto il gioco, non
credevo fosse così scontato. Si alzò quindi improvvisamente.
“Era solo per compensare l’attesa. Andiamo.” Si incamminò fuori Port Angeles.
Io mi limitai a seguirla, sempre mantenendo le distanze, facendomi trascinare
dalla sua stranezza.
Camminammo per circa mezz’ora. Eravamo ormai fuori Port Angeles. Stavamo ritornando a Forks
a piedi; non capivo allora perché mi aveva fatto andare fino in città. Ormai
era il crepuscolo. Salì sulla collinetta poco lontano
dalla statale ed arrivata in cima, rivolta verso il sole, si mise seduta a
gambe incrociate. Mi sedetti silenzioso accanto a lei. Stava cominciando ad
alzarsi il vento, ma lei pareva non accorgersene. Dapprima mi limitai ad
osservarla, mentre immobile era immersa nella sua
strana meditazione.
Solo dopo iniziò a farsi sentire. Uno strano senso allo stomaco, che era da tantissimo tempo che non
provavo. Ero quasi sicuro che fosse invidia. Senza imbarazzo od orgoglio
affermai a me stesso che ero geloso; geloso di quel corpicino davanti a me. Guardavamo me, e c’era un ammasso
di tensioni, rimorsi, tristezza, debolezze, una coltre di noia. Guardavo lei,
invece, e vedevo felicità, spensieratezza, voglia di vivere. Era un’invidia
acida ed acerba. Desideravo anch’io quella sua voglia di vivere che avevo perso
tempo fa e che rivedevo in lei solo ora. Ne avevo bisogno per uscire da quella condizione che mi
stava tormentando e che mi ero illuso fino a mesi fa che sarebbe stata la mia
eterna dimora. Stargirl aveva ragione, stavo cercando
qualcosa ed era questo: un cambiamento immanente della mia filosofia di vita.
Lottai contro il mio orgoglio e vinsi.
“Stargirl” sussurrai, confondendo
il suono della mia voce con il vento. Lei riuscì a percepirla ed aprì gli
occhi. Qualcosa che non apparteneva al mio animo mi
spinse a parlare, sempre quel qualcosa di oscuro che mi aveva portato ad andare
a Port Angeles.
“Se tu vivessi per sempre, come affronteresti
l’Eternità?” Guardò davanti a sé con quel suo sorrisino.
“Come adesso” rispose semplicemente.
“Non ti annoieresti?” Le mi rivolse uno sguardo ed ancora
una volta mi sentii sottomesso. La guardavo incantato aspettando una risposta.
Tornò a guardare davanti a sé.
“Già, mi annoierei. Credo proprio che si
debba avere… sì… una ragione di vita. Un qualcosa che coinvolge, che si
ama con tutto se stessi, che fa provare emozioni. Così
questo qualcosa ti fa vivere.” Ritornò di nuovo a guardarmi. Io non staccai lo
sguardo da lei.
“E se non si riesce a trovare? Se
ormai tutto è diventato noioso ed inutile?” Il mio orgoglio
aveva ricominciato a premere, a soffocarmi, ma il bisogno di trovare una via
d’uscita era dannatamente più forte.
“Devi essere tu a vederlo con occhi diversi. Magari è sempre
stato sotto il tuo naso, ma non l’hai mai visto veramente.”
Cominciò a ciondolare avanti ed indietro, cingendosi le gambe
con le braccia esili.
“Come si fa a riconoscerlo?”
“Per ognuno è qualcosa di personale e diverso. Credo che… si
riesca a capirlo, e basta.”
“E se non c’è? Se
in un’eternità non si riesce a trovare?” Lei mi guardò confusa, non capendo la
mia domanda. Come se la risposta fosse evidente.
“Tutti hanno una ragione di vita, bisogna solo imparare a
riconoscerla. Si ha un’eternità a disposizione, giusto? Prima
o poi si riuscirà a trovarla.”
Quello fu il mio ultimo incontro con Stargirl.
Il giorno dopo non venne a scuola e nemmeno il mese
successivo. Se n’era improvvisamente andata, come era
arrivata. Nessuno sapeva più niente di lei, né perché si era nuovamente
trasferita. Quella ragazza non lasciò alcuna particolare impronta in nessuna
delle menti dei ragazzini di quella scuola, né in
quelle della mia famiglia. Tranne che nella mia. Alice
aveva avuto ragione, avevo ricevuto un regalo.
Da quella discussione con Stargirl
ero finalmente uscito da quella coltre di noia. Uno strano senso di libertà era
presente in me, che anche la mia famiglia aveva notato. Ora non ero più perso
nei tormenti della mia mente.
Ora stavo aspettando, stavo aspettando quel qualcosa di
speciale che lei aveva premunito, ma non con impazienza, ma con la semplice
tranquilla sicurezza che sarebbe accaduto. Tempo fa avrei pensato che potesse essere solamente una sciocca ed infantile
illusione, ma la mia considerazione di ciò che era sciocco, stupido ed
infantile era cambiata. Dentro di me era nata una piccola, ma
forte certezza. Piccola e forte come quella Stargirl, che dovevo ringraziare.
Avevo pensato spesso a lei; qualche volta avevo supposto che
non fosse stata reale, quanto più un sogno, o un miraggio. Avevo soprattutto
riflettuto sulle sue parole, che erano diventate ancore nell’oceano, ora
tranquillo, della mia mente.
Anche quel giorno mi fu inevitabile
pensare a lei, mentre entravo nella mensa e mi sedetti. Era difficile da
ammettere, ma mi mancavano i suoi auguri di buon compleanno, così fuori dall’ordinario. Tentavo di tener lontano il forte
cicaleccio della mensa, quel giorno più forte del solito, senza riuscirci. Venni
più volte disturbato dai pensieri dagli stupidi ragazzini che mi circondavano. Circolava
la voce che sarebbe arrivato un altro nuovo studente. Era la figlia del capo di
polizia di Forks; si
chiamava Isabella Swan.
Dopo un anno mi è venuto finalmente il lampo di genio e in
due giorni sono riuscita a finirla! Forse non si è conclusa
come me l’ero immaginata quando l’avevo iniziata, ma spero che vi sia piaciuto
questo piccolo esperimento! Ripeto dicendo ancora una volta che il personaggio
di Stargirl, insieme alla maggior parte delle sue
azioni, non appartiene a me ma al signor autore Jerry Spinelli.
Ringrazio quindi tutti quelli che hanno commentato e quelli
che commenteranno, coloro che hanno inserito tra i loro
preferiti questo piccolo esperimento e, ultimi, ma non meno importanti, tutti
coloro hanno letto questi tre capitolo.
Concludo con un alla prossima!
Lalla124