Stupid Valentine Day

di Zomi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nami rovescia secchi ***
Capitolo 2: *** Izou si arrabbia ***
Capitolo 3: *** Halta riceve il suo primo bacio ***



Capitolo 1
*** Nami rovescia secchi ***


 
Questa Fanfiction partecipa all'iniziativa indetta dall'One Piece Shipping
 
 
 
Stupid Valentine Day
 
 
 

 


Il secchio si riempiva in fretta sotto il getto gelido del lavandino del cortile.
Era il terzo che Nami colmava per le pulizie dell’aula.
Di acqua ovviamente.
Di imprecazioni urlate sommessamente, ci aveva ricoperto il piccolo cortile che separava l’edificio scolastico dalla palestra ormai vuota.
Il primo secchio si era svuotato sulle scalinate interne della scuola quando i mocciosetti del primo anno le erano sfrecciati vicino, facendole perdere l’equilibrio.
Era quindi stata costretta a tornare ai rubinetti nel retro del cortile, gli unici disponibili per le pulizie interne, e ricominciare da capo.
Il secondo le era scivolato di mano quando l’aveva visto uscire in tenuta da kendo dalla palestra. Di sicuro quell’idiota aveva scambiato la porta che dava sull’esterno dell’edificio con quella che lo collegava agli spogliatoi, e invece che rientrare e lasciala in pace aveva anche avuto il coraggio di alzare la mano e salutarla come niente fosse.
Stupido Roronoa!
Come poteva salutarla così, con una nonchalance che non poteva appartenergli, dopo nemmeno sei ore da… da… oh non riusciva nemmeno a formulare il pensiero!
Sentiva l’imbarazzo tornare a colorarle le guance di porpora, e il suo orgoglio ammonirla per il suo gesto avventato e dall’esito disastroso.
Perché sei ore prima, in quella uggiosa giornata di Febbraio –il quattordicesimo del mese per essere precisi!- aveva avuto l’orrida idea di consegnare a Zoro Roronoa del cioccolato.
E si sa no?
Se regali del cioccolato al 14 di Febbraio, vuol dire una ed una sola cosa.
Ma non se di cognome fai Roronoa, non se sotto la capigliatura verde marimo non hai nulla se non il kendo, non se sei così stupido e rispondi alla ragazza che ti regala dei cioccolatini un semplice “Grazie”.
No, questo non è accettabile.
Non si può rispondere con un grazie a un pegno tanto importante. No, no, no!
-Stupido Roronoa- fissò il rubinetto ancora scossa d’imbarazzo e rabbia.
Poteva dirle di tutto, che le avrebbe parlato dopo (cosa che non aveva fatto nemmeno durante la pausa delle lezioni), o rifiutare garbatamente il suo pacchettino, o strasene anche zitto!
-Stupido Roronoa!- diede un giro di polso alla manipola del rubinetto, lasciandolo gocciolare nel secchio.
-Stupido- sollevò il carico d’acqua, inveendo contro al ragazzo.
–Stupido- che poi poteva mandarle un messaggio, un bigliettino, un qualcosa con la sua risposta invece che un bel niente.
-Stupido Ro…- come poteva trattarla così?
-… ro…- che farabutto! Spezzare il cuore a una così fragile ed innamorata ragazza che sollevava secchi d’acqua come fossero piume!
-…no…- non erano amici forse?
Almeno un po’ di rispetto nei confronti della loro amicizia longeva. Non ricambiava? Ottimo, che lo dicesse, non che tergiversasse facendola soffrire e arrabbiare.
Oh stupido stupido…
-E io che pensavo di piacerti-
-Ah!-
Presa di sorpresa il secchio le sfuggì di mano, per la terza volta, bagnandole le calze bianche della divisa scolastica e la gonnellina blu, rubandole anche un basso ringhio idrofobo.
-Ma c’è l’avete con me?!?- strillò rossa in viso, fulminando l’imponente figura di quel babbeo formato ragazzo che era venuto a disturbarla.
Perché davvero, non poteva essere altro se non uno stupido!
Zoro la squadrò da capo a piedi, la divisa scolastica aveva sostituito l’uniforme del kendo, e ad accompagnarlo al posto della katane di bambù aveva la cartella e una fine sciarpa color petrolio a difenderlo dal freddo pungente di Febbraio.
Teneva saldamente gli occhi puntati su di lei, studiandola armarsi di secchio e tornare ad occupare i rubinetti del cortile.
Nonostante le gote rosse di freddo e gli occhi dardeggianti, Nami manteneva la sua bellezza aurea con la sua cascata di capelli mossi e rossi e quel suo musetto imbronciato.
Si, Nami era davvero una bella ragazza…
-Che hai da guardare Roronoa?-
… peccato per quel suo caratterino da strega.
-Se qualcuno deve essere arrabbiato qui, non dovrei essere io?- si addossò al bordo dei lavandini –Ti ho sentito sai additarmi a dello stupido per venti volte-
-Ventuno!- lo corresse maligna, tirandogli una linguaccia –E te lo meriti!-
Zoro inarcò un sopracciglio confuso: che aveva fatto ora di sbagliato?
A volte davvero non la capiva, e cercare di trovare una spiegazione al suo umore ballerino era una fatica immane.
Troppa per un pigro come lui.
-Tsk, mocciosa- sbuffò scontroso –Si può sapere che hai?-
-Sai benissimo che ho!- replicò sibillina, gli occhi bassi a fissare il secchio riempirsi e le braccia incrociate al petto.
Osava anche prenderla in giro ora?
Non bastava che ignorasse la sua dichiarazione, pure la beffa doveva subire?
-Se sapessi che hai avrei già rimediato- grugnì il ragazzo, dandole le spalle e buttandosi la cartella sulla schiena, deciso a non litigare con lei.
Almeno non quel giorno così importante.
No, quel giorno proprio no.
-Buon servizio di pulizia- s’incamminò verso il cortile –Spero che Rufy e Usopp sopravvivano alla tua tirannia…- ghignò bastardo –Ah e domani parliamo dei tuoi cioccolatini ok?-
-Cosa!?- urlò la rossa, braccia tese a sollevare il secchio ed equilibrio precario.
Il recipiente ci pensò: sciabordò l’acqua che conteneva a destra e sinistra per un paio di volte prima di decidersi a non perderne nemmeno una goccia e  lasciarsi abbandonare contro il fondo del lavandino in metallo mentre la furia rossa che l’aveva riempito correva verso Zoro.
-Frenafrenafrena!- l’afferrò per un braccio, strattonandolo per la sciarpa e rischiando di soffocarlo nel bloccarlo –Che vuoi dire?-
Sentì Zoro imprecare, la sciarpa allentata da una sua possente mano e qualche verso rivolto anche a lei, ma non aveva il coraggio di alzare gli occhi dalla punta delle sue scarpe e incrociare il suo sguardo con il suo liquido di speranza e le gote rosse come pomodori.
Il suo orgoglio glielo impediva.
-Dannazione!- sbuffò sistemandosi la sciarpa attorno al collo Zoro -Prima mi dai dello stupido e ora tenti di soffocarmi? Strano modo che hai di dimostrare che ti piaccio-
-N-non pr-prendermi in giro!- pigolò piano, il viso che le andava a fuoco.
Perché doveva gongolare così tanto?
Non poteva sorvolare sul fatto che le piacesse e darle per una benedetta volta una risposta?
-Non ti sto prendendo in giro- rilassò il braccio che le teneva in ostaggio, sollevando il gemello ad abbracciarla per le spalle, tirandosela vicino –Però ammetterai che sei strana no?-
-Piantala di fare lo stupido e parla!- lo strattonò nuovamente per la sciarpa, rubandogli un verso strozzato.
-Parlare? Di cosa?- oh non avrebbe mai smesso di fare lo stupido, doveva saperlo.
-Sai bene di cosa!- sibilò paonazza, sollevando appena gli occhi a scrutare il ghigno bastardo del ragazzo.
Era stato quel sorriso sghembo a fregarla, a farla innamorare perdutamente, e si ritrovò ad amarlo un po’ di più nel fissarlo ancora in quel momento.
-Parli dei tuoi cioccolatini?- la canzonò –Vuoi una risposta magari?-
-E tu un pugno lo vuoi?-
Zoro sghignazzò, stringendosela con maggior forza contro e, preso un respiro, abbassò le labbra alla sua guancia, toccandola appena.
Quando risollevò il capo, il volto di Nami era di un interessante sfumatura bordeaux che si accoppiava perfettamente ai suoi capelli di rame.
-E… e questo?- tartagliò la rossa, toccandosi la guancia che bruciava dove le labbra di Zoro l’aveva sfiorata.
-Bhè…- si grattò il capo quello, rialzandosi e guardandosi attorno nel cortile -… è la mia risposta-
-Questa non è una risposta Roronoa!- lo tirò a sé, riportandolo alla sua altezza –Questo è un bacio da bambini della materna!-
-Dannazione donna: non puoi pretendere già un bacio in bocca!- abbozzò un rossore al viso, reggendo lo sguardo sbigottito di Nami –Ok che mi piaci ma dammi tempo di…-
-Ti piaccio quindi?- si portò a un soffio da lui.
Zoro deglutì, la sciarpa improvvisamente soffocante anche se allentata.
Forse era il rossore al viso, o le guance cremisi di Nami così vicine, la sua chioma di fuoco o quel suo buon profumo fruttato.
-Tsk- distolse lo sguardo –Credi che sia qui perché sennò?-
Gli occhi della rossa si illuminarono, e sul suo bel viso le labbra si distesero in un sorriso smagliante e dolce, che rubò qualche battito al ragazzo.
-Quindi ti piaccio- affermò sicura, gli occhi furbi a studiarlo –E tu piaci a me- riassunse senza peli sulla lingua.
-A quanto pare- piegò le labbra divertito.
-Quindi…- si sporse su di lui, premendo la punta le naso contro la sua guancia.
-Quindi?- la incalzò.
-Quindi…- socchiuse gli occhi, facendo ben sperare Zoro -… mi porti il secchio in classe!-
-Cosa?!- strabuzzò –Ma per chi mi hai preso?-
-Per il mio ragazzo- rispose ovvia, sorridendo malefica –Vero Zoro-kun?-
Zoro grugnì, allontanandosi di un passo e studiandola prima di avvicinarsi al lavandino e afferrare il secchio.
-Strega- l’additò, tornando da lei, da quel suo sorriso felice e giocoso, che mutò in un ringhio rabbioso non appena il verde le lanciò contro il contenuto del secchio.
-Chiamami di nuovo Zoro-kun e ne avrai il doppio- ghignò sadico accarezzandole il capo fradicio.
Ancora oggi tra le mura scolastiche riecheggia l’urlo che Nami lanciò prima di atterrare Zoro e strozzarlo.
Suonava come un “Stupido Roronoa” ma in molti giurano che Nami ridesse mentre urlava.







ANGOLO DELL'AUTORE:
Ringrazio il One Piece Love per aver organizzato questo evento per il giorno di San Valentino: è stato divertente cercare e sbizzarrirsi con le fan art.
Zomi

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Capitolo 2
*** Izou si arrabbia ***


Questa Fanfiction partecipa all'iniziativa indetta dall'One Piece Shipping
 
 


Prese un respiro profondo.
La mano teneva fermo il pacchetto contro il suo sterno, che non accennava a voler smettere di alzarsi e abbassarsi con quella frequenza accelerata.
“Calma” si riprese da solo “Devi mantenere la calma”.
Erano gesti che conosceva e che aveva ripetuto nel suo immaginario migliaia di volte: aprire lo sportelletto, infilare il suo pacchettino, richiudere lo sportelletto.
Facile no?
Se ci riuscivano decine di ragazzine urlanti ed etero, perché mai lui avrebbe dovuto avere problemi nel compiere quei poche e meccanici gesti?
Forse perché lui di etero non aveva poi granché, forse nemmeno l’ombra.
E forse perché era il girono di San Valentino, e lui si accingeva ad infilare nell’armadietto delle scarpe scolastiche di Marco Newgate, quel Marco, quel biondo stoico e dagli occhi indecifrabili per cui aveva perso la testa, un pacchettino ben confezionato e maneggiato con la massima cura ed attenzione contenente dei cioccolatini che per sentito dire (alto dettosi “spiare peggio del KGB”) sapesse fossero i preferiti del sopracitato Newgate.
 A coronare il tutto, sulla su detta scatolina c’era un bigliettino intrinseco di parole d’amore firmato da lui stesso.
Non con il sangue, ma aveva ponderato l’idea.
-Calma- soffiò dal naso –Izou devi mantenere la calma-
Si guardò attorno un’ultima volta, accertandosi che il corridoio del liceo fosse sgombero.
Chiedere di andare in bagno era stata la scusa per uscire dalla classe, ma non poteva rischiare perdendo tempo.
C’era una nota positiva però.
Nessuno avrebbe sospettato di lui: era un amico stretto di Marco, e vederlo vicino al suo armadietto non avrebbe sollevato nessun sospetto.
Rincuorato dal pensiero, alzò la mano e con gesto rapido aprì lo sportello della cassettiera.
All’inizio fu uno solo.
Un sacchettino, anonimo e con un fine nastrino rosso a chiuderlo, che gli cadde con noia sui piedi.
Izou riuscì a malapena a percepirne la caduta, prima che un altro, e un altro e un altro ancora seguito poi da una dozzina abbondante di pacchetti, sacchetti e cioccolatini confezionati in mille fantasie gli cadessero addosso aiutati dalla legge di gravità.
-Ma cosa…?!-
-Ehi Izou!-
-Ah!!!-
Sobbalzò, le mani lanciate in aria e il suo pegno d’amore caduto nel marasma di cioccolatini vomitati dall’armadietto di Marco, mischiandosi tra loro.
-Rufy!!!- strillò pestando i piedi a terra –Ma ti sembra il modo?!-
-Il modo di cosa?- piegò il capo il moretto, avvicinandosi.
-Di salutare!- sbottò ovvio, sperando che il ragazzetto non notasse la montagnola di regali ai suoi piedi e non intuisse da dove fossero caduti.
-Perché sei davanti all’armadietto delle uwabaki di Marco?-
Dannazione!
Molto probabilmente il cervello di Rufy funzionava un solo giorno al mese, e la dea bendata e bastarda aveva deciso che quel giorno di attività fosse proprio quello.
-E tu perché bighelloni nei corridoi? Non hai lezione?- replicò pronto.
-La professoressa Hina ha detto che le stavo tentando nel commettere un omicidio e mi ha cacciato fuori dalla classe- scrollò le spalle quello, ignaro del pericolo che aveva evitato –E poi tra poco c’è merenda per cui…-
Izou lo vide abbassarsi alla montagnola di cioccolatini, e con estrema nonchalance e pratica raccoglierli avido, aprendone uno e masticandolo con un angolo della bocca mentre continuava a riempirsi le braccia.
Il già pallido volto di Izou sbiancò.
-COSA. STAI. FACENDO?!?- tuonò violento, pestando un piede sul capo moro di Rufy e premendolo con forza –Stai rubando i cioccolatini a Marco chan?!?!?-
-Ouch! Izou!!!- piagnucolò il minore, la bocca impastata di cacao –Perché mi picchi?-
-E tu perché rubi i doni d’amore altrui?!- strinse i pugni combattivo.
Tra quei doni c’era anche il suo, ma non avrebbe comunque permesso a nessuno di abbuffarsi con l’amore impacchettato destinato ad altri: era furto.
Con l’aggravante di dolo all’amore, e lui non poteva permettere che qualcuno, fosse anche il fratello minore del migliore amico del suo Marco chan, rubasse i doni di san Valentino che decine di innamorati avevano confezionato per altri e non per lui.
-Non sto rubando nulla- gonfiò le guance Rufy, incespicando con le braccia ricolme di pacchetti –Marco mi da sempre il suo cioccolato di San Valentino-
-Che cosa?!?-
Che diamine stava farneticando?!?
Marco usava i doni altrui per dichiararsi a Rufy? A quel Rufy?!?!
-Si, di solito mi permette di mangiarli in tram, ma quest’anno mi ha fatto una deroga e posso mangiarli a merenda- sorrideva l’imbecille, non si rendeva conto dell’affronto all’amore che stava perorando da chissà quanti anni -Li da un po’ a me e un po’ a Ace-
Il cuore di Izou non poteva reggere.
Era peggio di quanto pensasse: era una threesome!
-… qualcuno anche a Sabo-
Ah! Infarto, infarto!
Sentiva la morte avvicinarsi, il freddo abbracciarlo e le campane suonare.
-Merenda!- esultò ballonzolando sui piedi Rufy al suono della campanella di inizio pausa, prima di afferrare per un gomito l’incoscienze Izou e trascinarselo dietro –Dai vieni: sono certo che se chiederai a Marco darà del cioccolato anche a te!-
Non percepì nemmeno uno dei scalini delle scale interne del liceo mentre veniva trascinato dall’irruente Monkey, e riuscì a riprendere conoscenza solo quando il freddo pungente di febbraio l’investì nel giardino scolastico, avvertendolo blandamente della presenza di altri studenti attorno a lui.
-Ehi Izou!- sfiorò con lo sguardo il braccio teso che Ace gli rivolgeva, non perdendo mai di vista Rufy e il suo mal tolto.
-Wow!- si stupì Sabo notando il bottino e affacciandosi a sbirciarlo tra le braccia di Rufy –Aumentano di anno in anno-
-Shishishi- sghignazzò il moretto, adagiando la montagnola di doni al fianco di Marco, che li degnò di appena un’occhiataccia   -Non è meraviglioso?-
-No, Rufy non lo è!- ringhiò Izou tendendo un braccio ad allontanare le fauci già sporche di cacao dal trio di fratelli.
Non poteva crederci.
Ogni 14 Febbraio Marco riceveva dei doni preziosi che poi… no, non poteva essere.
-È vero?- si voltò a fulminare con gli occhi a mandorla Marco, placidamente seduto sulla scalinata antincendio sotto cui si riunivano –Dai i doni di San Valentino che ricevi a Rufy e fratelli?-
-Ehi detta così la fai sembrare una cosa romantica- sghignazzò Ace, afferrando un sacchettino di dolci.
-Zitto Portuguese!- lo zittì rabbioso, non staccando mai gli occhi di dosso a Marco -È così o no?-
Il biondo lo scrutò serio.
Studiò il viso pallido e curato di Izou, la crocchia ben stretta sulla nuca, i contorni delicati degli occhi e le sue labbra tese a trattenere l’ira. Riconobbe la sua rabbia, la sua indignazione e anche una sfumatura di un qualcosa che non riusciva a tradurre.
-Si- rispose in fine all’amico –Permetto a Rufy, Ace e Sabo di mangiare il cioccolato che ricevo- resse lo sguardo stupefatto del moro, la voce calma e distaccata dai sentimenti che decifrava sul suo volto –Sarebbe peggio se li mangiassi io: sarebbe come accettare i sentimenti di chi me li dona, e abusarne-
-Oh immagino!- esplose con nota ironica –Darli invece da mangiare a queste scimmie è decisamente meglio!-
-Ehi!-
-Zitto Sabo!- latrò idrofobo.
Lui aveva messo tutto il suo cuore in quei cioccolatini.
Si era informato, li aveva cercati e li aveva fatti con le sue mani, cercando di dare il massimo e di infondere nell’impasto ciò che provava per Marco. E lui?
Lui li dava ad altri, come fossero semplici dolciumi e non la rappresentazione di un sentimento più grande.
-Li leggi almeno i bigliettini?- si piegò ad afferrare un pacchetto a caso, sbattendolo sotto al naso di Marco –Hai mai provato a leggere chi te li manda e cosa prova per te?-
Si sentiva rifiutato prima ancora di esporsi, ignorato in partenza, trattato come una nullità.
Odiava, odiava Marco per il suo comportamento.
Chi diamine si credeva di essere per poter denigrare a quel modo i pegni d’amore altrui?
-Non meriti nemmeno un briciolo dell’amore che questi cioccolatini racchiudono- lanciò contro il petto di Marco il pacchettino –Spero che tu almeno questo lo sappia-
Gli voltò le spalle, pagandogli la stessa moneta d’inconsiderazione   che lui stesso gli aveva rivolto, non ricambiando il suo sguardo carico di domande.
Marciò spedito oltre le scale antincendio, mirando a tornare in aula, l’animo ferito dal comportamento della persona più importante per lui, che ora avrebbe dovuto ignorare.
Lui e le urla di Rufy.
-Marco hai visto? Questi sono i tuoi preferiti!-
Stupido Rufy!
 
 
 
Marco gli aveva scritto un messaggio durante le lezioni.
Izou l’aveva ignorato.
Aveva provato ad avvicinarsi a mensa.
Si era seduto in mezzo alla sorella del biondo Halta e all’amica Bay, un muro femminile perfetto.
Ma al suono della campanella finale delle lezioni sapeva che non avrebbe avuto altre scuse per evitarlo.
Ci provò comunque.
Inforcò veloce la sua bicicletta e pedalò lesto, evitando Roronoa e la rossa che teneva sotto braccio, filando per le vie che lo portavano come ogni giorno a casa.
No, Izou non voleva parlare con Marco, non voleva spiegarsi né accattare scuse.
Scuse di che poi?
Voleva ignorare l’amore e chi glielo rivolgeva?
Buon per lui, se ne sarebbe pentito prima o poi.
Lasciò i freni lungo la piccola discesa che anticipava il suo quartiere, allargando le gambe e permettendo ai pedali di girare a pieno ritmo da soli per la velocità acquisita.
Con i capelli d’ossidiana sciolti, curvò all’ultimo e imbocco la via di casa, frenando appena in tempo quando lo notò davanti al suo cancello.
Se ne stava tranquillamente addossato alla recinzione in ferro, aspettandolo come se nulla fosse.
-Stratega maledetto- si morse la lingua, scendendo dal sellino –Com’è possibile che sotto quella capigliatura ad ananas tu riesca ad elaborare il modo perfetto per anticipare tutti?-
-Dono naturale- sollevò le spalle Marco, scostandosi appena per permettere a Izou di aprire il cancello.
-Devo parlarti- lo fissò accompagnare la bicicletta nel giardino condominiale, sistemandola in una rastrelliera che aveva visto giorni migliori.
-Meraviglioso!- gli sorrise radioso, il cancello ancora aperto quasi fosse un invito.
Il biondo fu tentato di accettare quella resa, ma non appena mosse il primo passo, l’inferriata corse sul suo piede, chiudendo ogni accesso.
-Ma io non ho voglia di ascoltarti!- gli tirò una linguaccia.
Bravo Izou vai così: maturo e diplomatico!
A  passo di marcia, il moro attraversò il piccolo giardino condominiale, fermandosi alla porta d’ingresso dello stabile ad armeggiare con il mazzo di chiavi.
Manteneva la schiena voltata, negando al biondo il suo sguardo furioso e le labbra spiegate in una smorfia delusa.
-Sono gay- lo sentì affermare in strada.
Le chiavi quasi gli caddero di mano.
Oh andiamo! Non poteva cavarsela così: il suo orientamento sessuale non lo giustificava.
Era quindi giusto ignorare i sentimenti di decine di ragazze solo perché a lui non piacevano le tette? No, no, no!
Marco era stato ingiusto e crudele, e meritava il suo silenzio.
Per un paio di settimane magari.
Giorni.
Forse l’avrebbe chiamato alla sera per riappacificarsi e zittire le sue urla interiori che ballavano e piangevano di gioia nel sapere che almeno lui, si lui, Izou Shirohige, aveva una possibilità con l’amore della sua vita.
Ma al momento era meglio ignorale, o sarebbe corso tra le sue braccia.
-Benvenuto nel club!- strillò con voce acuta, cercando di infilare il porta chiavi a forma di fenice nella serratura.
-Non volevo dare false speranze a nessuno-
-Potevi rifiutare con garbata educazione invece che sfamare quei pozzo senza fondo dei tuoi amici!- perché diamine la chiave della posta non apriva il portone principale?! E andiamo su!
-Essere rifiutati non è mai bello- le braccia incrociate sul cancello, gli occhi fissi a capire perché Izou cercava di aprire il portone con la giraffa di peluche che aveva come portachiavi.
Si schiarì la gola, notando come la schiena del moro sfavillò nel sentirlo, prendendo a mani piene il coraggio. Non poteva più aspettare: doveva sapere quanto idiota era stato.
-È il primo anno che mi regali del cioccolato?-
Il mazzo di chiavi cadde a terra, scivolando dalle mani tremanti di un pallido Izou.
-Ehm…- tartagliò intirizzito e ancora voltato di spalle -… forse-
Marco liberò un profondo respiro che non si era reso conto di trattenere.
Premendo la mano sull’inferriata a farsi da leva, salto il cancello con un’agile falcata, pestando a piè pari l’erba umidiccia del giardino.
Non corse per raggiungerlo, ma camminò piano lasciandogli il tempo di entrare nel condominio e ignorarlo se avesse voluto.
In fondo, si meritava la sua rabbia.
Ma Izou restò fermo lì, impalato davanti al portone dell’edificio trovando al forza di voltarsi solamente quando Marco gli fu al fianco.
-Bene- gli si fece vicino, premendo il corpo al suo fianco –Non avrei sopportato l’idea di averti ignorato per anni come uno stupido-
Lo sentì mugugnare qualcosa di indefinite, il capo rivolto ai piedi con cocciutaggine che lo fece sorridere intenerito.
Come si poteva non innamorarsi di lui?
Dei suoi occhi color nocciola, le gote che esprimevano tante emozioni come le sue labbra sempre sorridenti…
-Posso chiederti se sei libero sabato?- non gli tolse gli occhi di dosso, deciso a non perdere l’occasione che aveva rischiato di gettare al vento per la sua abitudine malsana di San Valentino.
-Uhm… non so- giocherellò con le chiavi Izou, capriccioso e voglioso di farsi corteggiare –Magari vorrò tenerti ancora il muso-
-Capisco- rise, allontanandosi di un passo -È giusto così suppongo- si avviò al cancello, percependo un piacevole calore nel sentirsi gli occhi del moro addosso.
Saltò nuovamente la recinzione, e tornato in strada alzò due dita della mano in segno di saluto.
-Chiamami appena deciderai di perdonarmi- piegò il capo e gli sorrise suadente –Attenderò il tuo perdono per ringraziarti a dovere per il cioccolato- la labbro superiore alzato in un sorriso suadente –E chiederti di stare con me-
Sperava di aver detto le parole giuste, di essersi spiegato e che il moro, con quei suoi dolci occhi a taglio orientale e le gote arrossate sperava d’emozione, lo perdonasse presto.
Gli mancava già il suo bel sorriso spontaneo e leggero.
Salutò con un cenno del capo e non aspettò che Izou gli rispondesse, voltò l’angolo e s’incamminò spedito verso casa.
Percorse appena pochi metri quando il cellulare iniziò a vibrargli nella tasca dei pantaloni.
-Pronto?- rise.
-Sei perdonato- trillò una voce che amava –Ora fai dietro front che ho voglia di baciarti?-
 

 

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Capitolo 3
*** Halta riceve il suo primo bacio ***


Halta era sicura che il Fato, o Destino, o Sfiga, avesse una qual certa preferenza nell’infestarle la vita.
Perché se era sopportabile vivere il cliché patetico e ridicolo dell’adolescenza dell’innamorarsi del miglior amico del proprio fratello maggiore,  e che, se anche difficilmente, era riuscita a sopravvivere all’imbarazzo di chiedere al su detto miglior amico, nella giornata di San Valentino, di andare con lei alla partita di basket Whitebeard contro i Kaido Beast, era pressoché inaccettabile e impossibile da sopportare che la sorte avesse deciso di darle la mazzata finale in quel modo così schietto e subdolo.
Perché Halta poteva sopportare tutto. Tutto.
Poteva sopportare il sorrisino malizioso e sornione di Nami e del suo ragazzo, incontrati accidentalmente all’entrata del palasport, rivolti a lei e a Satch.
Poteva accettare di non venir calcolata dai ragazzi presenti a causa del suo seno inesistente e dell’abbigliamento sportivo scelto per  l’occasione, poteva anche accettare che Satch, quel dannato miglior amico del suo consanguineo per cui aveva perso la testa, la trattasse come un ragazzo e non accennasse a nessuna galanteria del uso repertorio da latin lover consumato.
Si, poteva accettare tutto… ma non che Bay, la formosa, sexy e ammaliante Bay White  fosse presente al suo appuntamento (si, così lo considerava!) con Satch.
-Ehi Haltachan tutto ok?-
Sussultò, voltandosi a fulminare con gli occhi color zaffiro la formosa, fin troppo per i suoi gusti, figura di Bay al suo fianco.
-Si- annuì, dimenticandosi di inveire contro il fallo appena compiuto contro la sua squadra del cuore.
-Sembri sulle nuvole- ridacchiò Bay, oscillando la sua chioma albina.
-Peccato non ci sia tu- borbottò nel frastuono generale dello stadio, infossandosi nel sedile.
Aveva dato fondo ai suoi risparmi per i biglietti della partita, sperando di poter stare da sola con Satch almeno una sera, sfruttando l’assenza di Marco, suo fratello, impegnato nello studio con il suo amico Izou.
Non credeva di certo che, in un’unica sera, Satch l’avrebbe notata e sarebbe caduto ai suoi piedi: a quello ormai ci aveva rinunciato.
Ma a passare del tempo solo con lui, nutrendo la sua colossale cotta, no, a quello non aveva proprio intenzione di rinunciarci.
Forse Madre Sfiga aveva preso la sua caparbietà come una specie di sfida.
-Forza Whitebeard!!!- strillò Bay, prendendola a braccetto, alzandola di peso dal sedile.
-Stiamo perdendo!- le fece notare aspramente Halta –E mancano pochi secondi alla fine: è inutile che ti sgoli!-
-Oh andiamo!- ridacchiò –Non ti stai divertendo?-
No, non si stava divertendo.
Satch era scomparso a prendere i pop corn a metà del secondo tempo, dopo aver trascorso il primo a elogiare la bellezza di Bay, la sua passione sportiva, la sua bellezza,  la fortuna di averla incontrata allo stadio, la sua bellezza, di come le stesse bene la divisa dei Whitebeard, la sua bellezza e… aveva già accennato a quanto l’avesse elogiata per la sua bellezza, con tutte quelle moine che a lei non aveva mia elargito?
Si era totalmente dimenticato di lei.
Lei, che lo aveva invitato a San Valentino sul tram di ritorno da scuola approfittando dell’assenza di Marco, e usando tutto il suo coraggio di diciassettenne innamorata.
Certo, lo aveva invitato come amico a quella partita, strategicamente svoltasi a giorni di distanza dal fatidico giorno degli innamorati, ma avrebbe comunque potuto sospettare che lo avesse fatto in riferimento a quella celebrazione e a ciò che provava per lui, no?
No?
No.
-Eccomi qui ragazze!-
Camminando goffamente tra le persone esaltate per le ultime azioni di gioco, Satch barcollò fino a loro posando sul suo sedile vuoto i pop corn ormai inutili.
-Come andiamo?- domandò, sporgendosi e allungando un braccio dietro le spalle di Bay.
-Stiamo perdendo- mugugnò Halta, sedendosi sconsolata al suo posto, le mani puntate a reggere il volto mogio.
E non si riferiva solo alla sua squadra del cuore: aveva perso del tutto anche contro Bay per Satch.
Era ovvio che il cappellone fosse perso per la ragazza, e come poteva dargli torto?
Per fino con la canotta da basket ufficiale dei Whitebeard era femminile e sensuale, e lei, con la sua misera seconda su cui la maglia della squadra di basket non risaltava per niente, perdeva già in partenza.
Per non parlare che Bay e Satch erano coetanei, frequentavano la stessa scuola a differenza sua, che inoltre risultava ancora l’adorabile sorellina del suo migliore amico agli occhi del ragazzo con il ciuffo a banana, e mai e poi mai una possibile ragazza da corteggiare.
-Non preoccuparti Haltachan- le prese le mani Bay sollevandola dai suoi pensieri –I Kaido Beats anche se vincono dovranno affrontare i Mugiwara e loro li faranno neri!-
Halta annuì, accennando a un sorriso che scomparse sotto la frangia castana quando suonò la fine della partita.
Sconfitta schiacciante.
Non c’erano state speranze contro quegli armadi bestiali.
-Peccato- sospirò Satch, grattandosi la nuca –Che dite?- fece l’occhiolino alle due ragazze –andiamo ad annegare i dispiaceri in un buon frullato?-
 
 
-… e così gli ho detto “Se non ti piace il mio ciuffo puoi pure andare a quel paese amico mio”-
La risata di Bay si rovesciò cristallina per la strada, facendo voltare sorridenti parecchi ragazzi che la squadrarono ammaliati.
Halta sospirò, il frullato che ondeggiava pigramente nel suo bicchiere mentre raggiungevano la fermata del tram.
-Sei una sagoma Satch- pizzicò sul fianco il moro Bay, strappandogli un ghigno –Ora capisco perché Haltachan ti ha chiesto di uscire-
La castana tossicchiò, riuscendo a non soffocarsi con il sorso di frullato che aveva in gola.
-No! Che… io…- farfugliò, il volto paonazzo e la voce acuta d’imbarazzo –Siamo solo amici… anzi nemmeno!- strillò –Satch è amico di mio fratello Marco, io… io sono solo la sorella dell’amico-
Che amara verità.
Sorella del migliore amico.
Le scappò un sospiro, tornando a giocherellare con la cannuccia del frullato.
-Halta aveva un biglietto in più per la partita- affermò Satch, camminando tra le due ragazze e lanciando sguardi a entrambe –Marco aveva impegni per cui… eccomi qui!-
-Capisco- annuì Bay, volteggiando sotto la fermata del tram.
Le luci della sera la rendevano ancora più bella e sensuale, e Halta si chiese se mai sarebbe apparsa così bella agli occhi di qualcuno.
-Allora sono felice di non essere stata la terza incomoda stasera- piegò il capo sorridendole.
-Figurati- mugugnò ignorando il chiacchiericcio eccitato di Satch nel sottolineare che la serata era stata resa magica anche per la sua presenza.
Grazie Satch, grazie davvero: la sua quindi di presenza era superflua se non addirittura molesta?
-Haltachan tu prendi il 12 vero?- la castana annuì –Bene, allora lo prendiamo insieme-
Che gioia: avrebbe trascorso ancora un po’ di tempo con la ragazza con cui la sua crush aveva una cotta.
Le fortune della vita.
-Mi abbandonate quindi?- mostrò il labbro pendulo Satch, accucciandosi a terra –Solo e sconsolato nel buoi della sera…-
Halta lo fissò, per una volta alla sua misera altezza, e avrebbe voluto dirgli che no, non lo avrebbe mai abbandonato, che avrebbe preso volentieri il 22 con lui, sebbene poi avrebbe dovuto cambiare altre tre bus prima di rientrare a casa.
Solo per lui.
Si, avrebbe voluto dirglielo ma proprio in quell’attimo il tram frenò davanti a loro, invitando le due ragazza a salire.
-Si ti abbandoniamo Satch!- gli tirò una linguaccia Bay, afferrandola per un braccio e trascinandola sul mezzo pubblico –Terrò Halta solo per me-
Le gioie figliavano quella sera per Halta, ora stretta tra le rotondità di dell’azzurrina e le sue braccia color pesca.
Si sentì sballottare nel caos di pendolari che salivano e scendevano dal tram, fermandosi davanti a un finestrino quando Bay, braccia ancora strette a lei, si ancorò a un appigliò.
-Ciao Satch!- salutò il compare, che si straziava il petto sulla banchina per la disperazione, ignorando le occhiatacce dei passanti.
-Che sciocco- ridacchiò Halta, percependo il volto di Bay abbassarsi al suo orecchio.
Lo adorava quando faceva lo scemo, riuscendo sempre a strapparle un sorriso e un sussulto al cuore.
-Davvero non ti piace?- le soffiò con voce calda Bay, non accennando a voler attenuare la presa su di lei.
-…mmm…- si limitò a mugugnare non togliendo gli occhi di dosso al moro che si era aggrappato all’esterno del finestrino, facendo bella mostra di due occhioni da cucciolo.
Come poteva semplicemente piacergli Satch?
Lo adorava, lo amava con tutta se stessa.
-Ne sono felice- si strinse più a lei Bay, premendo i seni contro la sua schiena –Perché tu invece mi piaci tanto-
Il bus sussultò nel partire, imponendo a Satch di arretrare di un passo per non essere investito.
Cosa che avrebbe voluto subire volentieri nell’esatto momento in cui vide Bay baciare con trasporto la sua Halta.
 
 
Era stato il fine settimana più stressante della sua vita.
Aveva passato tutto il restante sabato sera e la domenica a scambiarsi messaggi con Bay, scusandosi per ciò che era accaduto.
Dopo il breve bacio che l’albina aveva ricevuto, Halta era andata in panico.
Il suo primo bacio.
Aveva ricevuto il suo primo bacio, ed era stata una ragazza a darglielo.
Aveva iniziato a balbettare, ad agitare le mani davanti a se e farfugliare frasi senza senso nel caos più totale della sua testa.
Era stata di nuovo Bay a sorprenderla, senza un bacio questa volta, ma facendola sedere in un posto libero e sorridendole dolcemente.
Solo allora, con le gambe tremanti sicure a un appoggio e la testa che aveva rallentato nel suo vorticare, aveva sussurrato a Bay la verità: a lei piaceva Satch, tanto, quell’incontro di Basket nei suoi pensieri doveva essere un appuntamento –o una specie- e che, le dispiaceva, le dispiaceva da morire, ma non ricambiava i sentimenti della ragazza.
Bay aveva riso.
Non una risata isterica o delusa, ma sincera e divertita.
Le aveva assicurato che non era innamorata di lei ma che la riteneva una bella ragazza, si lei riteneva Halta bella!, e che ci aveva provato ingenuamente. Non si sentiva rifiutata ma le sarebbe piaciuto stringere amicizia con quella bella castana schioccata e in imbarazzo.
Si erano scambiati i numeri e si erano sentite per tutto il fine settimana.
Halta si era impegnata per non sentirsi in imbarazzo con Bay, per non ricordare il loro bacio e superato il primo impatto impacciato, aveva scoperto che l’albina era una ragazza simpatica e che con cui condivideva molte passioni.
Si erano già accordate per andare assieme alla partita di finale, Kaido Beast contro Mugiwara, e spesso si era ritrovata a ridere per qualche messaggio della ragazza, scordandosi completamente dell’accaduto.
Ma il lunedì mattina, a pochi passi dalla fermata del tram che l’avrebbe condotta a scuola , la tensione era tornata alle stelle.
Tesa come una corda di violino gettava occhiate preoccupate alla strada, sobbalzando ogni volta che vedeva sopraggiungere una vettura preoccupata che fosse il suo tram.
Marco le era accanto, addossato alla tettoia della fermata, il volto immerso nel cellulare a scambiare messaggi e ghigni non sapeva con chi, e non notava la sua tensione.
Halta cercò di calmarsi, una mano stretta a pugno lungo il fianco.
Non era l’incontrare Bay di persona sul tram a preoccuparla, ma Satch.
Lui le aveva viste, aveva visto quel bacio appena accennato.
E lei mai si sarebbe dimenticata i suoi occhi scuri sgranati fino all’inverosimile e l’espressione schioccata che si era aperta sul suo volto.
La riteneva un rivale in amore ora?
Avrebbe accennato a Marco del bacio, facendogli venire mille dubbi sulla sua vita privata?
Non che ci fosse nulla di male nel scoprirsi omosessuale, Marco ben lo sapeva e Halta pure, ma sapeva anche che Satch aveva una gran bocca larga che non serviva solo a dispensare baci e sorrisi da cardiopalma.
Che avrebbe potuto fare? Parlargli? Cercare di spiegargli che… non sapeva nemmeno lei cosa.
Non riuscì a emettere un sospiro di rassegnazione che il tram frenò davanti alla fermata.
Come il sabato appena trascorso, montò sul mezzo senza razionalizzare i movimenti, afferrando il primo appiglio libero, tremando appena quando il mezzo riprese la sua corsa.
Non si era accorta della sua vicinanza, men che meno che Marco l’aveva abbandonata andando ad occupare uno dei posti sul fondo del mezzo, lasciandoli vicini.
Lui invece l’aveva notata eccome, con la sua bella divisa scura e il suo caschetto scompigliato che amava.
Come amava i suoi occhioni azzurri e quel sorriso bellissimo.
Sospirò, prendendo coraggio.
-Ciao- la fece sussultare dopo un lungo silenzio, e a Halta sembrò di cadere dal cielo.
-Satch!- si trattenne dal strillare –Io… ehm… ciao?-
-Ciao- si ripeté il moro.
-Ciao- ancora.
La conversazione più brillante della sua vita, la ragazza lo doveva ammettere.
Il tram oscillò, frenò, aprì le porte e ripartì un paio di volte, prima che i due ragazzi riuscissero a guardarsi di sfuggita senza troppo imbarazzo.
-Per cui…- borbottò Satch, accavallando le gambe sul sedile che occupava e grattandosi una guancia -… Bay eh?-
Halta sussultò.
-È… è una bella ragazza- continuò incerto –A scuola è considerata molto… attraente, e insomma se ti rende felice…-
-È bisessuale!- strillò acuta Halta, tappandosi la bocca quando si rese conto di aver urlato nel tram le confidenze della sua nuova amica. Si guardò attorno preoccupata, avvicinandosi a Satch quando si rese conto che nessuno badava a loro e a ciò che aveva urlato.
-Bay- sussurrò appena –È bisessuale, per cui…- si schiarì appena la voce -… tu puoi provarci ancora- strinse le mani al suo appoggio –In più a me lei non piace, non… non è di lei che sono innamorata- sollevò appena gli occhi a incrociarli con quelli di Satch, grandi e fissi su di lei, sperando capisse ciò che non riusciva ad ammettere ad alta voce.
-Provarci con Bay-  rimuginò le parole della castana –Perché dovrei provarci con Bay?-
Halta tossicchiò.
La prendeva in giro?!
-Perché è quello che hai fatto durante tutta la partita sabato magari, ed è ovvio che ti piace?- sibilò.
-Bay?- inarcò un sopracciglio il capellone –A me?-
-A me non di certo!- alzò le mani in segno di difesa, rischiando di cadere a terra per l’andamento del mezzo se Satch non l’avesse presa per la vita, sollevandola come se non avesse peso e portandosela sopra le gambe.
La castana avvampò, emettendo un leggero gemito di imbarazzo nel trovarsi seduta sulle ginocchia del ragazzo. Strinse le ginocchia tra loro e si vietò di tremare quando il braccio di Satch le circondò le spalle spingendosela contro il petto.
-Non ci ho provato con Bay, e non mi pace- posò il mento sulla sua spalla Satch, soffiandole sul collo –Cercavo di… attirare la tua attenzione-
-Come?!-
Satch ridacchiò, allungando il braccio a posarsi sulle gambe di Halta.
-Non so se lo sai, ma è difficile avere la tua attenzione: con me abbassi sempre gli occhi!- schioccò le labbra, storcendole appena quando Halta arrossì.
La sua timidezza, e la sua cotta colossale per lui, la rendevano quasi un robot in sua presenza, perdendosi i suoi tentativi di catturare la sua attenzione.
Oddio che vergogna!
 –Ho cercato di farti ingelosire- continuò Satch, abbracciandola -Ma forse avrei dovuto fare come Bay: sembra funzioni-
-M-ma perché?!- cercò di non svenire.
Satch voleva la sua attenzione.
La sua!
-Ma perché mi piaci Halta!- rise Satch, avvicinando il viso al suo, immergendosi nei suoi grandi occhi azzurri –E a te… Bay no, giusto?-
-N-no!- tartagliò presa in contropiede dalla loro vicinanza –A me… a me piaci… t-tu!-
Satch ghignò, e annullò ogni distanza tra i loro visi.
-Ora lo so…-
Unì le loro labbra, baciandola piano, dolcemente, assaporando il suo dolce sapore e sciogliendosi quando sentì le sue mani, piccole e delicate, circondargli il volto e…
-Satch che diamine stai facendo a mia sorella?!?-
Lo zaino di Marco volò sulla testa di Satch, il tram frenò, Halta sgusciò via dall’abbraccio del capellone e scese alla fermata davanti la sua scuola, agitando la mano ridente mentre suo fratello minacciava furioso il suo ragazzo.
Suo.
Ragazzo.
Satch.
Non riusciva ancora a crederci.
-Halta…- mugugnò con volto spalmato sul finestrino il moro, ignorando Marco e le sue minacce.
La vide  rise e lo salutarlo finché il tram non ripartì, facendolo sorridere anche quando il suo miglior amico promise di ucciderlo in dieci modi diversi se l’avesse fatta soffrire.
-Mai Marco- si massaggiò la testa lesa dallo zaino del biondo –Non farò mai perdere ad Halta il suo bellissimo sorriso-



 

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