Quelle ore buca all'Università

di Daleko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


 


1.

 

La frase pronunciata maggiormente, quella mattina, era: «Ma quanto cazzo è lento 'sto ascensore?». In attesa di poter entrare in quel fetido cubicolo c'erano almeno una ventina di studenti; qualche altro temerario si avvicinava, osservava un po' la scena, e poi si dirigeva verso le scale con fare sconsolato, di solito seguito da qualcun altro che aveva deciso di abbandonare la missione. Dopo quella che parve un'eternità finalmente le porte si aprirono, qualcuno ne uscì incolume nonostante la pressa della folla, e infine –sgomitando e bestemmiando– riuscirono a entrare quasi tutti i ragazzi desiderosi di salire. In fondo alla folla, fermo nell'atrio come un giunco afflosciato, rimase l'unico disgraziato che non riuscì a schiacciarsi nell'ascensore con gli altri. Le porte gli si chiusero davanti al naso; qualcuno gli ghignò in faccia e a lui partì un "vaffanculo" mentale che evitò di esprimere ad alta voce. Li vide trattenere il fiato, stare sulle punte, alitarsi in faccia per riuscire a entrare tutti insieme. Sparirono dalla vista... E poi ricomparvero con la riapertura delle porte. «Scendete!» qualcuno urlò dal fondo, irritato. Uno dei più vicini all'uscita sospirò, uscì dall'ascensore e si stirò gli abiti con fare annoiato, mentre l'ascensore si decideva a partire. Le porte non si riaprirono e l'atrio si ritrovò a essere molto più vuoto e silenzioso di quanto non fosse soli pochi secondi prima. I due ragazzi si guardarono, uno infastidito, l'altro divertito; stranamente, quello cacciato dall'ascensore era il più allegro. Fu lui a parlare per primo. «Questo di Giusso sembra l'ascensore a Garibaldi, eh?» commentò nel tentativo di fare conversazione. L'altro si accigliò. «Garibaldi?» ripeté senza capire. «Sì, alla Stazione Centrale. Non lo prendi mai?» domandò di nuovo. «Oh. No, no, vengo in autobus». La conversazione cadde per un momento, e gli occhi di entrambi rimasero fissi sulle porte metalliche ben chiuse. «Ah, io comunque sono Alessandro» riprovò quello a socializzare, tendendogli una mano abbronzata. «Nicola» gli fu risposto. Al nome seguì una breve stretta di mano di circostanza, poi gli occhi tornarono all'ascensore. «Certo che è lento davvero...» mormorò Alessandro. «Mh. Mi sa che salgo a piedi o ritardo il primo giorno» commentò Nicola, muovendosi verso le scale senza dire altro.

 

Il cellulare spento rifletteva vagamente il suo viso; in attesa dell'ascensore Alessandro ne approfittò per controllare il suo aspetto. I capelli neri erano tenuti fermi da un cappello di filo, la barba incolta gli dava un'aria vagamente adulta e gli occhi scuri, incorniciati da ciglia folte e lunghe, lo facevano apparire esotico agli occhi dei concittadini. Quel giorno si trovava attraente e fu con quel pensiero in mente che finalmente riuscì a entrare nell'ascensore vuoto. Non fece in tempo a pigiare sul pulsante, però, che una ragazza entrò di corsa nell'atrio. Vedendo la porta dell'ascensore aperta sventolò una mano in sua direzione. «Tieni aperto!» gli urlò e Alessandro alzò istintivamente una gamba contro la fotocellula. Pochi secondi dopo una ragazza ansimante saltò nell'ascensore. La osservò per un momento: guance rosse dal freddo, vaporosi capelli castani, occhi scuri, trucco leggero e abbigliamento nella norma per una studentessa universitaria. Lo zaino che aveva sulle spalle sembrava più grande di lei e questo pensiero gli indusse un sorriso. Rivolgendogli uno sguardo interrogativo, la nuova arrivata pigiò sul pulsante del quarto piano. «A che piano vai?» chiese lei con voce pacata. «Stesso tuo» rispose Alessandro. Lei emise un verso di disperazione. «Ti prego, dimmi che devi seguire Lingua Olandese. Non conosco nessuno del mio corso» ammise alzando gli occhi al cielo, e l'altro scoppiò a ridere. «Sì, Lingua alle dieci e mezzo. Alessandro, piacere» si presentò per la seconda volta in pochi minuti. Le tese la mano e lei la strinse prontamente, con fare allegro. «Chiara, piacere mio! Che bello conoscere già qualcuno, mi sono tolta un peso!» esclamò continuando a stringergli la mano. Alessandro continuò a sorridere con gusto e fecero in tempo a scambiare altre due parole prima che le porte dell'ascensore si riaprissero. Trascorsero qualche altro minuto a cercare l'aula, girando in tondo per il piano almeno un paio di volte, prima di trovare l'ingresso giusto.

 

Per essere la prima lezione del suo primo anno, l'aula gli sembrò tremendamente piccola. C'erano una mezza dozzina di persone sedute qui e là, sparse e in religioso silenzio, probabilmente nessuno che si conoscesse già da prima. Entrò senza salutare, si diresse verso la terza fila e si sedette a un'estremità, lasciando lo zaino sul pavimento e aprendo la giacca a vento, senza sfilarla. Era magro, con un'altezza nella media, ed era abituato a passare inosservato: tutto in lui era estremamente nella norma, come il suo aspetto, la voce e il comportamento, gentile ma freddo con pressoché chiunque lo avvicinasse. Sistematosi nel suo banco aprì un quaderno, prese una penna nera, scrisse in alto a destra il suo numero di matricola e ripose la penna sul foglio, non sapendo cos'altro fare. La sua attenzione venne attirata verso l'ingresso, dove un crescente chiacchiericcio indicava altri studenti in avvicinamento. Non appena alzò lo sguardo sulle nuove figure appena entrate, un braccio si alzò a indicarlo con le parole: «C'è Nicola!». Sorpreso, si ritrovò incollato addosso gli occhi di una coetanea eccessivamente esuberante, accompagnata dalla sua nuova conoscenza. Entrambi gli si avvicinarono rumorosamente. «Eeeehi, non mi avevi detto che seguivi Olandese! Lei è Chiara. Scali di posto?». Tutti i presenti osservavano e giudicavano il terzetto senza emettere un fiato. Nicola arrossì, imbarazzato a causa di quell'eccessiva attenzione, e si alzò per addentrarsi nella fila. Chiara ne approfittò per tendergli la mano destra, e lui la strinse distrattamente senza ripetere il proprio nome; raccolse poi le proprie cose, fece spazio per entrambi e tornò a sedersi. Alessandro non perse tempo, sedendosi accanto a lui e tirando fuori lo smartphone quasi contemporaneamente. «Raga, è la prima ora del primo anno. Ci vuole un selfie di gruppo, forza!». Chiara si gettò nell'inquadratura con un sorriso smagliante e Nicola fu tirato dentro con un braccio sulle spalle; si costrinse a un sorrisetto, sentendosi fuori posto. Sbirciò sullo schermo mentre Chiara sceglieva il filtro per Instagram e Alessandro sciorinava hashtag sui nuovi amici e l'università. Il silenzio fu ristabilito solo con l'inizio della lezione.


 


Note dell'Autore
Salve amici! Provo a fronteggiare la noia del secondo semestre con un nuovo racconto romantico (e con lacrime, e sudore, e tutti gli altri liquidi corporei che vi vengono in mente), questa volta ambientato nella mia stessa università. Purtroppo non seguo Olandese e non ho idea di quanto siano più o meno seguiti i corsi di Olandese, nel caso siate studenti di Olandese vi prego di non odiarmi a morte per eventuali incongruenze con la realtà. Vi ricordo inoltre che tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione, disclaimer che è sempre bene ripetere fino alla nausea. Se il primo capitolo vi ha incuriosito, se volete essere sicuri di esprimere il vostro gradimento o se volete farmi sapere che anche voi frequentate l'UniOr e che l'ascensore di Giusso è davvero schifosamente lento, lasciate una recensione. Love you all, e a presto.

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Capitolo 2
*** 2. ***


 

 

2.

 

«Ma non abbiamo più contattiii, soltanto like a un altro pooost!»

«Ma tu mi manchi, mi manchi, mi manchi in carne ed ossa...»

Nicola li ignorava, restando in tema con la canzone e continuando a digitare sul suo smartphone. Rialzò lo sguardo, scoprendo incredibilmente che al duetto si erano aggiunti altri ragazzi, in quello che era diventato un piccolo coro. Alessandro era terribilmente stonato, ma nessuno sembrava farci caso più di tanto –e in ogni caso la canzone originale, utilizzata come base, usciva al massimo del volume dallo smartphone del cantante dilettante, aiutandoli a mascherare la loro incapacità canora.

«Daiiii Nico unisciti!»

Chiara era passata a chiamarli "Ale" e "Nico" a una velocità inquietante, più o meno a metà della prima lezione, ma Alessandro non sembrava essere da meno e così, non sapendo bene come, Nicola si era ritrovato risucchiato nella composizione di un terzetto estremamente esuberante. Erano seduti sui muretti umidi di Largo San Giovanni Maggiore, le lezioni erano terminate da un po’ e gli ultimi studenti si attardavano in giro con gli amici. La playlist era andata avanti, la musica aveva un qualcosa di familiare e Chiara si avvicinò a Nicola, prendendogli le mani e provando a tirarlo in piedi con sé. «Voglio ballare con teee, soltanto con te...» cantava scherzosamente sulla base, ma il ragazzo si limitò a sbuffare divertito. Alessandro recuperò lo smartphone dal muretto. «Oh, Chia, aspetta che cambio canzone...» «Vabbè, che metti?»

 

Dalla piazzetta arrivavano risate, urla e una canzone conosciuta. Nella luce del tramonto, nella temperatura fresca di fine ottobre, il vetro verde delle birre luccicava attirando l'attenzione di un passante. Alto, con la barba curata e un bel cappotto nero, occhiali squadrati, le spalle dritte e la borsa a tracolla, decise di fare una breve deviazione. Uscendo dalla libreria risalì la piazza, dirigendosi verso i muretti invece di continuare sulla strada principale. Lo sguardo scivolò distrattamente sui presenti, intenti a bere Heineken e a cantare tra loro, fermandosi su un coetaneo in disparte. Gli si fermò davanti, con un sorrisetto a incisivi scoperti. «Nico?» richiamò la sua attenzione. Nicola trasalì, alzando il capo di scatto e fissando il nuovo arrivato con aria sorpresa, come colto nel fare qualcosa di sbagliato. «...oh, Ale» rispose dopo un momento di troppo. «Ha! Che sorpresa vederti qui. Non sapevo ti fossi iscritto all'Orientale! Non volevi studiare alla Federico?» provò a chiacchierare, ma Nicola si limitò a stringersi nelle spalle. Provò a formulare anche una risposta vocale, ma Chiara arrivò all'improvviso poggiandogli pesantemente una mano sulla spalla. «Nicooo, non ci presenti il tuo amico?» chiese con un sorriso smagliante. Il ragazzo le tese la mano destra, stringendola in modo fermo e pacato. «Alessandro, piacere» si presentò. «Chiara» rispose lei, e continuando a stringergli la mano si voltò verso l'altro lato della piazzetta. «Aleee, qui c'è un altro Alessandro! Vieni!» richiamò la sua attenzione, emozionata per la coincidenza. Nicola seguiva la scenetta con lo sguardo. «Credo che Ale debba tornare a casa» s'intromise bruscamente nelle presentazioni. La ragazza provò a ribattere, ma il diretto interessato fu più veloce: «Oh, no, non preoccuparti. Non ho nulla da fare a casa». Nicola lo fissò con sguardo torvo, poi arrivò l'ultimo del terzetto. «Eccomi eccomi! Ciao omonimo» scherzò alzando una mano da afferrare, azione che l'altro Ale compì prontamente.
«Sei tu che hai messo mezza discografia di Calcutta?» cominciarono a chiacchierare tra loro. «Sì, ti sei unito per questo?» «Oh, no, salutavo Nico».  Tre paia di occhi si spostarono sulla figura di Nicola, l'unico seduto, poi tornarono alla conversazione. «Ah, vi conoscete?» «Già. Non è meglio Brunori?» «Chi?». Ale –quello nuovo– rise divertito. «Conosci solo Calcutta e Thegiornalisti, ho indovinato?» «Sgamato!» «Il mio ex ascoltava musica indie italiana, si faceva tutti i concerti dei Gazebo Penguins» disse all'improvviso Chiara, felice di poter contribuire. Il secondo Ale si voltò verso Nicola. «Nico, te lo ricordi il concerto dei Gazebo al club?». Sfoggiava una fila di denti dritti e bianchi, in contrasto con l'espressione infastidita dell'amico. «Sì, me lo ricordo» ribatté seccamente. «Ti ubriacasti e vomitasti addosso a Roberto» aggiunse l'altro. «Ricordo pure questo» fu l'unico commento di Nicola. Ale tornò a rivolgersi verso gli altri due, intenti a cercare qualcosa sul cellulare. «Mo
li cerco, che canzone metto?» «Ma scusa, non consumi dati?» «No Chia, c'ho l'All Inclusive» «Metti Difetto» suggerì il secondo Ale, con le mani in tasca e il collo allungato sullo schermo dell'altro. Con le prime note della canzone nell'aria, Ale si voltò nuovamente verso Nicola, chiudendo uno dei suoi occhi azzurri in un occhiolino divertito.
Un paio di ragazzi si avvicinarono; uno dei due portava un casco aperto stretto in mano, l'altro una birra. «Oh, Ale!» lo salutarono da lontano. Il terzetto rimase in silenzio, Chiara e Ale in disparte a guardare, Nicola nuovamente con lo sguardo sullo smartphone. «Oh Iva
, Gianni, ciao. Che ci fate qui?» rispose cordialmente; il suo carisma si avvertiva come l'odore di un dopobarba costoso. «Andiamo a fa un giretto co gli altri. Te?» «Niente di che, ho appena finito le lezioni...» «Du palle 'stuniversità, eh? Ma quando finisci?» «Un altro po, un altro po. Nicola te lo ricordi?». Il ragazzo fu costretto ad alzare il volto, stirando le labbra in un sorriso esageratamente finto e muovendo una mano nell'aria in segno di saluto. Ivan sorrise divertito, alzò una mano e costrinse l'altro a battergliela, in modo simile a come fatto dai due Alessandro pochi minuti prima. «Oooh, Nico! Sei proprio 'no stronzo, è 'na vita che non ti fai vede in giro! Che morte avevi fatto?!». Nicola inspirò a fondo. «Sai com'è, dovevo studiare per la maturità...» «A facc do cazzo, 'intimeno alla fine del quarto anno già avevi da studia per la maturità?». Nicola si limitò a una risatina imbarazzata. Ivan tornò a rivolgersi verso Alessandro. «'abbuò fra noi dobbiamo andare, fatti senti, abbuo?» si congedò. Dopo i saluti di rito, mentre i due conoscenti si allontanavano ridendo e chiacchierando ad alta voce, Alessandro riportò la sua attenzione ai due rimasti in disparte. «Scusate, nostre vecchie conoscenze» commentò affabile. 


«Tu fumavi, e ostentavi una malinconia che male si intonava coi tuoi leggings fluorescenti» cantava Ale a memoria. Chiara urlava. «Le lomo, le polaroid, l'immagine di sé che mette ansia, le finte ansie giuro non c'è posto nel mio cuore per un post in più su Facebook!» si univa alla voce del nuovo amico; avevano cambiato gruppo, e ora una canzone de I Cani era diventata la loro nuova fonte d'intrattenimento. Nicola sembrava accartocciato su se stesso, e non ebbe alcuna reazione quando l'altro Alessandro andò a sederglisi accanto. Indossava solo una felpa. «Sembra simpatico, eh?» notò. Nicola grugnì in segno di finta approvazione, ma Alessandro non ci fece caso. «Beh, di sicuro sembrano andare d'accordo» notò ancora. Nicola gli scoccò finalmente uno sguardo, gli occhi marroni stretti a scrutarlo. «A proposito, cos'è questa novità dell'All Inclusive? Ieri non hai voluto cercare la canzone data a lezione» domandò sospettoso. Alessandro abbassò lo sguardo sulle Timberland scamosciate, ridacchiando imbarazzato. Ci fu un momento di silenzio, poi: «Non dirlo a Chiara, eh?». Nicola tornò con lo sguardo sullo smartphone, scuotendo la testa in modo divertito. «Assurdo» commentò. Le note di Wes Anderson riempirono il silenzio fra i due.

 


Note dell'Autore
Se leggi fin qui e non lasci una recensione, manderò Alessandro (quello stonato) a cantare per te tutta la discografia dei Gazebo Penguins, sotto la finestra di camera tua, per tutta la notte precedente il tuo prossimo esame. Lettore avvisato, mezzo salvato!
Ancora una volta, tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. Non conosco nessun Alessandro all'Orientale, ma vi voglio tutti bene a prescindere. Nessun hipster è stato maltrattato durante la stesura di questo capitolo. A presto!

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Capitolo 3
*** 3. ***


 

 

3.

 

I ricci castani gli ricadevano sulla tempia destra in modo elegante, la montatura degli occhiali sembrava essere stata progettata per la forma del suo viso, le labbra si schiudevano attraenti lasciando spazio, quando necessario, alla sua voce calda e profonda. Alessandro lo guardava, lo ascoltava, lo invidiava e ribolliva. Il suo primo giorno era iniziato con la convinzione di essere uno schianto, e invece erano le sue speranze a starsi schiantando contro un muro. Si sentiva banale e fuori posto, cosa rara per lui che di solito godeva di un'autostima fin troppo elevata. La prima cosa che fece quella sera, tornato a casa dopo il loro primo incontro, fu di regolarsi la barba in un taglio simile al suo. Aveva sempre amato il proprio aspetto, le ciglia lunghe e folte dall'aria tenebrosa, le labbra sottili, la fronte alta, l'abbronzatura naturale... Ma da qualche giorno gli sembrava di vedere solo difetti, difetti nati per contrasto con i pregi dell'altro Alessandro: non aveva gli zigomi alti, non aveva gli occhi chiari, non aveva la mascella definita, non aveva nemmeno una postura militare o il suo fisico appena muscoloso, di quel vedo-non vedo che tanto fa impazzire la ragazze. Non aveva niente, e con quel pensiero anche la sua autostima iniziò a vacillare. Cominciò a mangiarsi le unghie.

 

Al bar del secondo piano erano soliti sedersi a un tavolino, ma da quando l'altro Alessandro aveva fatto la loro conoscenza era sempre più presente, forse troppo presente, nonostante non fosse parte del gruppo. Non che l'Alessandro originale, come si autodefiniva, volesse evitarlo: ma il lunedì mattina alle otto era davvero troppo presto per iniziare a subire l'umiliazione del confronto.
«E com'è Scienze Politiche?» ciarlava Chiara rivolta verso Alessandro. Il ragazzo le rispondeva affabilmente, lasciandosi trascinare nella conversazione, mentre Nicola e l'altro Alessandro si scambiavano sguardi cupi al di sopra delle loro tazzine vuote. «Interessante, direi. Certo, ci sono molte cose poco simpatiche che ancora dovete scoprire, dell'università... Ma tutto sommato, ne vale la pena» rispondeva lui senza smettere l'espressione sorridente. Chiara sfarfallò le ciglia annerite dal mascara. «Veeero, tu sei al secondo anno!» ricordò interessata. L'Alessandro annoiato sferrò un calcio silenzioso a Nicola, le gambe nascoste dalla superficie del tavolo, per comunicargli qualcosa. Si alzarono, attirando l'attenzione degli altri due. «Raga, io e Nicola dobbiamo vedere della roba per i libri di Olandese. Torniamo subito» li avvisò con tono fintamente allegro, poi si allontanò dal bar assieme all'amico. Appena furono abbastanza distanti lo afferrò per un braccio, tirandolo a sé per poter parlare sottovoce. «Oh ma da dove è uscito quello?» borbottò, probabilmente intenzionato a spettegolare. Nicola si divincolò con fastidio, infossò le mani nelle tasche della felpa e fece spallucce, continuando a spaziare con lo sguardo. «Daje Alessa
, sta solo parlando. Se ti dà fastidio che parli solo lui intromettiti, no?» provò a suggerire. Alessandro si accigliò. «Ma che c'entra? È... È...» provò a rispondere senza trovare le parole giuste. Nicola ghignò, finalmente alzando gli occhi verso quelli dell'altro. «Sì, eh? Fa quest'effetto a tutti» rispose con una punta di soddisfazione nella voce.
L'acuta, inconfondibile risata di Chiara arrivò loro e li indusse a girarsi verso il bar. Li videro salutarsi scambiandosi due baci sulle guance, poi Alessandro assicurò la borsa a tracolla e si diresse verso le scale, voltandosi nella loro direzione. Intercettando lo sguardo di Nicola gli ammiccò divertito, poi scese rapidamente le scale. Chiara lo seguì con lo sguardo, Nicola rimase immobile per qualche secondo, poi si affrettò verso le scale. «Oh, ma dove vai?» gli urlò dietro Alessandro, non ricevendo risposta. Chiara lo raggiunse. «Ehi! Avete visto il fatto dei libri?» chiese allegramente. Il ragazzo le si rivolse balbettando, ancora concentrato sulle scale. «No, cioè... Sì, ma... Dov'è andato Alessandro?» cambiò argomento. Lei si accigliò. «Fuori a fumare, perché? Ma dov'è andato Nicola?». Alessandro le toccò le punte dei ricci, sovrappensiero. «Niente, niente. Andiamo a prendere i posti. Siamo al piano terra, giusto?» si assicurò mentre s'incamminavano verso le scale. «Sì! L'aula di fronte l'ingresso. Ma non correre, c'è ancora un sacco di tempo!» affannò per stare al passo dell'altro.

Al piano terra c'era la consueta folla precedente le lezioni. Mentre Chiara cercava Nicola nel trambusto, Alessandro rivolse la sua attenzione verso l'esterno dell'edificio. Lasciò la ragazza a occuparsi dei posti e attraversò l'ampio atrio modificando la sua visuale dell'esterno, riconoscendo gli altri due fuori in strada. Alessandro fumava a braccia incrociate, gesticolando con la mano che reggeva la sigaretta; Nicola dapprima gli sembrò molto irritato, poi decisamente arrabbiato. Non poteva ascoltare la loro conversazione a quella distanza, quindi si limitò a osservarli.
Nicola non stava avendo una discussione amichevole, ma quando batté con forza un indice contro il petto dell'altro quello non ebbe la reazione negativa che ci si aspetterebbe; anzi, sembrò forse ancora più divertito di quanto non fosse prima. Era quasi solo Nicola a parlare, probabilmente a sfogarsi, mentre l'altro si limitava a rispondere o commentare di tanto in tanto. Più di una volta Nicola sembrò sul punto di prenderlo a pugni (l'altro Alessandro quasi ci sperava), e più di una volta invece arretrava, quasi nel volersi trattenere dal fare qualcosa di stupido. Inaspettatamente, d'un tratto il suo interlocutore gli poggiò una mano in testa con fare paterno, provando a scompigliargli i capelli. La reazione dell'altro non fu di normale smarrimento, quanto di rabbia: alzò di scatto un braccio, allontanando quello di Alessandro, e tornò a puntargli un dito davanti alla faccia, forse minacciandolo. Alessandro rise, gettò la sigaretta a terra, portò la mano destra nella tasca della giacca e ne estrasse un pezzo di carta (l'altro Alessandro era troppo lontano per capirne la natura), che infilò nello scollo della felpa di Nicola, immobile. Sembrava tremare dalla rabbia, e quando Alessandro si voltò verso l'ingresso della sede l'altro Alessandro scattò nuovamente verso la folla, turbato dalla scena che aveva appena spiato. Ritrovò Chiara proprio mentre la porta dell'aula veniva aperta, e tennero occupato un posto per Nicola per parecchio tempo prima che lui si presentasse. Alessandro non chiese e Nicola non disse, solo Chiara sembrò non accorgersi di una certa tensione nell'aria.


 



Note dell'Autore
Non è troppo confusionario con due Alessandro presenti, vero? Sul serio, lasciatemi dei feedback, va bene anche un "fa tutto schifo ciao", almeno capisco le impressioni altrui (e mi sento considerato, vvb). Ripeto ancora una volta che tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. A presto!

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Capitolo 4
*** 4. ***


 

 

4.

 

I vetri della finestra tremavano a causa dei bassi; dalle casse dello stereo usciva con forza della musica punk rock. La camera da letto non era molto grande, c'era appena lo spazio per un paio di letti singoli, un armadio a ponte, una scrivania, finestra con vista sulla strada e poco altro. Le pareti erano tinteggiate di blu, e un computer fisso dello scorso decennio faceva del suo meglio per trasferire file da un server all'altro. Il proprietario della stanza era steso pigramente su uno dei due letti; vestito con calzini, jeans e una felpa scolorita, si limitava a digitare incessantemente sul suo smartphone. La sua attività fu interrotta da una voce di donna. «Nico, per favore! Abbassa il volume, Luca sta dormendo» urlò per sovrastare il volume della musica. Il ragazzo si voltò a guardare la donna ferma all'ingresso della stanza; manteneva la porta aperta per assicurarsi che il figlio l'avesse sentita. Nicola si alzò lasciando lo smartphone sul letto. «Scusa ma'. Abbasso» rispose dirigendosi verso lo stereo. Girò la manopola dell'audio verso sinistra, portando l'audio a un volume accettabile. «Troppo tardi» sospirò comunque sua madre, e quando tornò a guardarla trovò un bambino dai capelli scompigliati accanto a lei, intento a strofinarsi distrattamente gli occhi. 

«Ehi, malaticcio. Passata la febbre?» chiese al fratello minore con tono addolcito. Gli si avvicinò, portando il dorso della mano alla fronte dell'altro. «Più o meno. Chi ascoltavi?» biascicò l'altro entrando in camera. La madre richiuse lentamente la porta, lasciandoli da soli in stanza. «The Offspring» rispose Nicola, e Luca: «Fighi. Quando fanno un concerto mi ci porti?» richiese il ragazzino. «Per il mio compleanno?» aggiunse speranzoso. Nicola lo osservò mentre si sedeva a gambe incrociate sul letto libero, e cercò di trattenere un sorriso divertito; era tentato dal prenderlo in giro. «Non sei piccolo, a undici anni, per un concerto punk?» lo stuzzicò. Il fratellino gli rivolse una smorfia con la bocca. «Ma ho detto per il mio compleanno, quindi ne avrò dodici. E no, non sono piccolo! Mi hai portato a un concerto due anni fa, ti ricordi? E avevo nove anni e mezzo!» esclamò. Nicola si stupì della sua memoria. «Sì, mi ricordo» rispose sedendosi accanto a lui, imitandone la postura. «Però ora è diverso...» «E perché?» «Perché sì» «Uffa, allora mi ci porti o no?» «Va bene, va bene, ti ci porto. Quando vengono a Napoli, però, e non credo succederà presto...» «E perché?» «Perché loro non sono Lo Stato Sociale, Luca!» rise Nicola. Il fratellino lo guardò senza capire e lui gli passò un braccio attorno alle spalle, strofinandogli la mano contro un braccio in modo affettuoso. «Niente, non ci pensare. Perché dormivi sul divano?». Luca si strinse nelle spalle. «Guardavo Boing. Chi ti scrive?» s'incuriosì indicando lo smartphone dallo schermo illuminato. «Compagni di scuola» abbreviò, provando a semplificargli le nozioni. Luca non fu soddisfatto da quella risposta; si spostò sul letto e si sedette sui talloni, inginocchiato sul materasso, per fissare il fratello negli occhi. «Sono simpatici?» «Sì, abbastanza» «C'è qualcuno che conosco?».

Nicola rimase in silenzio a scrutare il volto del bambino. Si assomigliavano molto: stessa zazzera di capelli castani, stesso naso piccolo e dritto, stessi ordinari occhi nocciola. Si riconosceva nella figura giovane dell'altro, e la sensazione che ne ricavava era di profonda tristezza e preoccupazione. Luca non riusciva a capire cosa accadesse dietro lo sguardo vuoto di Nicola, così saltellò sui talloni per attirare la sua attenzione. «Allora?» ripeté. L'altro scosse la testa, distogliendo lo sguardo. «No, nessuno». «E come si chiamano?» insisté il bambino. Nicola alzò gli occhi al cielo. «Chiara e Alessandro. Ma che t'importa?» borbottò, snocciolando rapidamente i nomi per confonderli tra loro, ma Luca non ci cascò e si aprì in un sorriso larghissimo. «Sei all'università con Alessandrooo? E perché non me l'hai detto?!» chiese con tono petulante. Nicola scattò in piedi. «Non ho detto con quell'Alessandro! Ci sono un sacco di Alessandro in giro, lo sai?» ribatté irritato. Luca s'incupì, aggrottando la fronte in modo ferito. Nicola osservò le occhiaie del fratellino stringersi sotto gli occhi tristi e si affrettò a sedersi nuovamente accanto a lui. «Scusami, non volevo urlare. È un'altra persona, tutto qui» si giustificò con voce pacata. Luca annuì, poi tornò a sorridere. 

«Quando me li presenti?» chiese di nuovo. Nicola sorrise in modo poco convinto. «Non è come... Non è come per Ale e gli altri, sai. Non abitano tutti qui» provò a spiegargli. «E perché?». «Perché... Perché l'università c'è solo in pochi posti, quindi tutti gli altri si devono spostare per andare a studiare lì. Non è come la tua scuola, che ce ne sono tante in giro e quindi nella tua ci vanno tutti bambini di queste parti. Capito come funziona?» si assicurò. Luca annuì di nuovo, nonostante l'espressione delusa in volto. «Peccato. Mi erano simpatici i tuoi amici, giocavano sempre con me a Little Big Planet» notò. Nicola sorrise, alzando gli occhi al cielo. «Allora, non leggi i messaggi? Li leggo io?» Luca tornò a punzecchiare il fratello maggiore. «No, non ti preoccupare, possono aspettare» tagliò corto lui. Il bambino si alzò dal letto, dirigendosi verso lo schermo acceso del computer sotto lo sguardo attento del fratello. «Cosa fai qui?» chiese incuriosito. «...non badarci» biascicò Nicola senza convinzione. Strinse le labbra. «Luca. Luca!». Attirò la sua attenzione. «Che ti avevo detto sul computer?» «Ma tanto non capisco niente, è scritto tutto strano!» «Ma che ti avevo detto sul computer?» «Ma ti è arrivato un messaggio qui sotto, credevo lo volevi sapere» gli comunicò lagnosamente. Nicola si accigliò, allungando il collo per osservare lo schermo del computer, parzialmente coperto dalla figura del fratellino. 
«Qui c'è scritto "Discòrd", ma è tutto in inglese...» provò a leggere Luca. Nicola si alzò rapidamente, spostando la sedia dalla scrivania e piantando gli occhi sullo schermo, con espressione vagamente preoccupata sul volto. Sembrava essersi dimenticato della presenza di Luca nella stanza, così il bambino ne approfittò per continuare a osservare. «F... Non è una parolaccia? Perché gli stai scrivendo delle parolacce?» mormorò al fratello, venendo ignorato. Nicola digitava molto velocemente. «Fo... Fru... Chi? I-dont...» provò a leggere quanto scorreva su schermo. Non gli risultava facile. «Perché continua a scrivere "webcam"?» rise all'improvviso, quando l'altro utente cominciò a inondare il server dello stesso messaggio per farsi leggere da Nicola. Il ragazzo non sembrava contento di quel comportamento e imprecò fra i denti, scatenando un'altra breve risata in Luca. «Cosa duemila euro?» chiese subito dopo con voce stupita, leggendo la cifra mentre scorreva verso l'alto. Questa domanda non sfuggì al fratello, che scosse rapidamente la testa. «Non sono euro, vai a fare altro» ribatté. «Sì che sono euro! C'era il simbolo!» s'incaponì il bambino. Nicola sembrava estremamente irritato. Ridusse a icona tutte le finestre, si alzò di fretta e si diresse verso il proprio letto. «Uno, non era una E, era una S; due, non erano tre zeri; e tre, non sono fatti tuoi! Esci dalla stanza!» sbottò Nicola recuperando il cellulare. Luca se ne risentì. «Sì, vabbè, però come stai...» mormorò tra sé. Nicola già non l'ascoltava più; infilò un paio di Vans digitando sul cellulare, poi si diresse verso la porta. «Sta' lontano dal computer, Luca!» urlò al fratellino attraversando l'ingresso del piccolo appartamento. Uscì di casa sbattendo la porta d'ingresso.

«Pronto?»
«Giuro che questa volta t'ammazzo, questa volta ti... Devi smetterla di tirarmi in mezzo a questa roba, hai capito?» ringhiò il ragazzo al telefono. Ci fu qualche secondo di silenzio riempito solo dalla pioggia. Nicola si era riparato sotto uno dei balconi del primo piano, l'acqua gli schizzava sulle scarpe ma la rabbia gli impediva di sentire freddo. «Senti Nico... Tu non devi rompere i coglioni a me perché tu c'hai i cazzi tuoi per la testa e all'improvviso te ne vuoi tirare fuori, t'è chiaro?». La voce al cellulare era stranamente glaciale, sgarbata, poco familiare. Il ragazzo non fu reattivo come avrebbe voluto. «Non me ne fotte niente di quello che dici che posso e che non posso fare, l'ho capito qual è il tuo gioco! Lo so che... È un modo stupido per costringermi a tornare, ok?» «Però funziona» ghignò l'altro. «...te l'ho già detto, prima era diverso, ora non...» «Ora non è cambiato niente. Qualcuno fa cose, qualcuno le organizza, qualcuno le vende, uno fa lo stronzo al computer. Tu sei quello stronzo al computer. Sei tu che ti sei voluto menare dentro, te lo ricordi?». Altro momento di pausa. «Prima era diverso» riuscì solo a ripetere. «Sì, a me non frega niente se per te ora è diverso, perché per me non è cambiato un cazzo. Ti ho dato sei mesi di tempo per tornare a fare il tuo lavoro, hai avuto il tempo di abituarti ai cambiamenti, ora che vuoi? Mi hai mollato questo casino, non potevi aspettarti che non succedesse niente». La strada era quasi deserta a causa del maltempo, ma il ragazzo continuava a tenere la voce bassa. «Sei proprio un figlio di puttana. Quindi per convincermi a tornare metti in giro queste stronzate? Vuoi farmi arrestare?». L'altro rise di gusto. «Ehi, sei te che c'hai un fratellino. Magari ci prendi gusto, che ne so io?» «Sei proprio una merda. Non toccare Luca. Ma come cazzo fai? Lo sai che ti adora. Figlio di puttana!» «Hai finito con i complimenti?». Nicola inspirò lentamente. 
«Senti Nico... Tu mi piaci, okay? Lo sai che fosse per me, insomma, potresti fingere che io non esista e roba del genere. Davvero» continuò la voce. L'altro lo interruppe con un sibilo. «Se fossi sparito...» «Non c'entra niente se ti vedo o non ti vedo nella vita reale. Questo non ha niente a che fare con la vita reale» puntualizzò l'altro. «Quindi fai il sociopatico per farmi fare quello che vuoi? Ancora?» «Oh, andiamo...» ridacchiò l'altro, apparentemente lusingato da quella ch'era stata partorita come offesa. «Credevo avessi più palle. Invece loro...» «Non fare nomi» «...ti dicono di fare quello che hai fatto, e tu lo fai? Funziona così? Sei la loro troia?» continuò senza interrompersi. Toccò all'altro restare in silenzio.  Nicola continuò. «Questa roba non è...» «Niente nomi!» «Sì, sì! Questa roba non è quello, ok? E non è nemmeno uno... Uno degli altri servizi. Non è un gioco, non è una... Una di quelle stronzate informatiche. C'è il carcere! E io col cazzo che vado in carcere per colpa... Per colpa loro!» affannò ancora al telefono. L'altro sospirò divertito. «Eh, però io oggi ti ho detto di non cancellare i file. Te l'avevo detto o no?» «...» «E tu cosa stavi facendo?» «Stavo cancellando tutti i fottutissimi file, sì, e allora?» «E allora io ti conosco, e questo è un problema, Nico'. Perché loro sanno che io ti conosco, e tu servi, capi'? Quindi hai da fare il bravo, oggi te lo sei preso l'anticipo, o l'hai già dimenticato? Per piacere, fallo per me» aggiunse alla fine. «Ma vai a mori' ammazzato» commentò rabbioso Nicola; spostò lo smartphone dall'orecchio, intenzionato a interrompere la chiamata, poi cambiò idea. 
«Oh, ti giuro che se trovo un malware ti rovino la vita, dico davvero» lo minacciò dopo un attimo. Sentì l'altro sorridere al telefono. «Quando hai un malware del genere hai pure i carabinieri a casa, fidati di me» venne ripetuta la minaccia, nemmeno troppo velata. «Tu lo sai che... Che mettere camicie costose, e scarpe costose, e fare tanto il carino con la gente che ci casca pure, non ti fa essere meno merda di quello che sei? Lo sai?» «Però ti piaceva frequentare 'sta merda, una volta» notò l'altro. Il ragazzo scoppiò in una risata amara. «Una volta ero un coglione totale! Ma tu e gli altri lo siete rimasti» continuò a sfogarsi. Non ebbe risposta e Nicola rimase in silenzio per quasi un intero minuto, poi l'altro riprese a parlare. «Nico, parlando tra noi... Non m'interessa tutta quella storia con Chris, su questo hai ragione, faccio un po' schifo, ma mi dici perché vuoi smettere? È per colpa mia?» tornò a parlare con il tono dolce e pacato che il ragazzo ricordava. Cominciò a dolergli il petto mentre l'ansia aumentava. «...le cose sono cambiate» borbottò di nuovo. «Ma a causa mia? O per Luca?» aggiunse l'altro. «Per tutto, va bene? Tieni fuori Luca da questa situazione di merda» ringhiò di nuovo. L'altro rise. «Vabbè, vabbè. Salutami tua madre, va bene? Ci vediamo» lo salutò. Nicola si limitò a chiudere la chiamata, poi ripose in tasca lo smartphone. Si sentì le gambe molli, così poggiò la schiena al muro, e chiudendo gli occhi si lasciò scivolare verso il basso.

Rientrato a casa s'infilò in camera sua, dove Luca lo aspettava di nuovo seduto sul letto, intento a leggere un Topolino datato. «Ti va di guardare un cartone insieme prima di cena?» propose al fratellino. L'altro si dimostrò entusiasta all'idea. Nicola gettò nuovamente il cellulare sul letto, poi tornò a sedersi al computer; fissò per un attimo il trasferimento dei file e infine lo annullò con espressione funerea. Invertì il processo, aprì un browser internet, staccò un post-it dalla base della tastiera –assicurandosi che il fratellino non guardasse– e digitò  un lungo sito web terminante in .onion. Cominciò a trafficare al computer, questa volta assicurandosi di essere l'unico a poter guardare sullo schermo. «Cosa metto? Vuoi guardare Hercules?» chiacchierava nel frattempo. «Metti il dischetto di Ralph! Ralph Spaccatutto!» «E va bene, vada per Ralph Spaccatutto. Mettiti sotto le coperte, però...» «Nico, Nico! Il tuo cellulare sta vibrando di nuovo!» «Ignoralo, Luca. Prima o poi si scocciano e smettono. Sotto le coperte, ho detto!» «Va bene, ho capito, ho capito» «Ragazzi, è pronto a tavola! Nico, vieni ad apparecchiare!» «Vabbè, lo mettiamo dopo. Mangiamo prima, va bene?» «Però lo guardiamo?» «Certo che lo guardiamo» «Ragazzi, avete sentito?» «Sì, ma', arriviamo!» «Ma mica hai da lavorare di nuovo al computer?» «Sì, più tardi lavoro» «Ma non avevi detto che...» «Forza, che si fredda!» «Dai, Luca, andiamo. Non ci pensare. Andiamo che dopo guardiamo Ralph Spaccatutto insieme».


 



Note dell'Autore
Primo capitolo in cui il sottogenere Thriller si rivela in tutta la sua interezza. Spero che il tutto sia comprensibile, era parecchio che non mi dedicavo a un "romantico-si-vabbè-pure" (la mia incapacità di scrivere romantici puri è universalmente riconosciuta). Commenti graditi, recensioni gradite, ipotesi e speculazioni gradite, biglietti dell'ANM omaggio graditi. Ancora una volta si ripete che tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. Alla prossima, e state lontani dai siti cipolla <3

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Capitolo 5
*** 5. ***


 

 

5.

 

«Ma esiste qualcosa di più noioso di Linguistica Generale?» sbadigliò Chiara. La mancina copriva la bocca aperta, la destra recuperava lo zaino per dirigersi all'uscita. «Ho sentito di peggio in altri corsi, dai» provò a consolarla Alessandro. Accodandosi agli altri studenti in uscita si persero di vista per un momento, ritrovandosi nell'atrio. «Abbiamo due ore buca, dove andiamo?» chiese lui dirigendosi verso l'esterno. Chiara ci pensò su per un po', incamminandosi con lo zaino sulle spalle e la giacca aperta su di un maglioncino porpora. «Mmmm... Dopo abbiamo lezione a Duomo, perché non ci sediamo in cortile a mangiare?» propose battendo le mani. Alessandro finse di valutare l'offerta, poi annuì. «Ottima idea!» commentò. Lui camminava guardando lei, lei gli trotterellava al fianco fissando la strada. «Ma Nico che ha detto, viene per Olandese?» gli chiese all'improvviso. Alessandro notò lo smartphone crepato che stringeva nella mano destra. «Gli stai scrivendo?» domandò in rimando, occhieggiando lo schermo. «Sì, ma su Whatsapp non risponde» gli mostrò lei: gli ultimi sei messaggi erano stati inviati da Chiara. Alessandro apprezzò mentalmente il non aver trovato emoticon affettuose sullo schermo. «Ah, non saprei, non ci siamo sentiti stamattina. Dovevo scrivergli?» chiese tra sé. La ragazza provò a fornire una risposta, ma la strada in salita la faceva affannare e così si trovò in difficoltà, finendo col ridere della situazione. Il tutto si risolse da solo quando il cellulare le squillò tra le mani: la scritta "Nicola Uni" dava mostra di sé sullo schermo. «Nico?» «Oh, scusa se non ti ho risposto, ero per strada e... Comunque sono in cortile a Duomo. Arrivate?» chiese il ragazzo al telefono. «Sì. Aspetta, ti passo Ale» terminò brevemente. Alessandro le faceva segno di voler parlare anche lui, e quando lei gli tese il dispositivo lui lo prese delicatamente, seppur senza rallentare il passo. «We! Ieri sera sei sparito. Com'è che stamattina non sei venuto?» chiese ad alta voce. All'altro capo della linea ci fu qualche momento di silenzio, poi: «Ieri sera non mi sentivo bene, mi sono preso mezza giornata. Ma perché ne stiamo parlando al telefono?» chiese Nicola. Alessandro rise, lo salutò, interruppe la chiamata e passò lo smartphone alla legittima proprietaria. Arrivarono alla sede in pochi minuti, oltrepassarono l'atrio parlando della lezione appena terminata e si ritrovarono nel cortile affollato. Si diressero al muretto sul quale si sedevano di solito, trovando Nicola impegnato a masticare un tramezzino. «Ehi! Potevi almeno aspettarci!» esclamò Chiara sedendosi al suo fianco. Nicola alzò una mano in segno di saluto, Alessandro gli fece un cenno con la testa e andò a sedersi accanto a Chiara. Lei prese un tegamino in plastica fuori dallo zaino, lui tirò fuori un panuozzo. Chiara lo fissò esterrefatta. «Davvero mangi tutto quel coso?» domandò incredula. Alessandro lo addentò senza complimenti, poi indicò il tegamino dell'amica con il retro del panino. «E tu che mangi?» chiese con la bocca piena. La ragazza aprì il contenitore. «Riso condito!» informò gli amici con fare entusiasta. Ci furono un paio di bocconi collettivi, ognuno intento a preoccuparsi del proprio pranzo, poi Chiara riprese la parola. «Poi perché non sei venuto stamattina? Ale non mi ha detto niente» si rivolse a un Nicola particolarmente taciturno. «Ha detto che non si sentiva bene» «Aleee, fai parlare lui!» «No, davvero. Stavo poco bene con la pancia, tutto qui» la rassicurò Nicola, aprendosi in un mezzo sorriso d'incoraggiamento. Chiara lo scrutò preoccupata. «Sì ma hai certe occhiaie... Non hai dormito?» continuò. Nicola si strinse nelle spalle, poi portò una mano nella tasca destra dei jeans per estrarne il suo smartphone. Lo degnò giusto di un'occhiata, prima di scorrere con un pollice sullo schermo e tornare al suo tramezzino. L'operazione venne ripetuta una seconda volta, poi fu il cellulare di Chiara a vibrare. La ragazza imitò quasi tutte le ultime azioni dell'amico, ma quando il suo sguardo incontrò lo schermo le si illuminò il viso. Portò il cellulare all'orecchio. «Ale, ciao! ...sì, perché? ...siamo a Duomo. Ok! Ok. Va bene, a dopo!» terminò la conversazione e ripose lo smartphone. «Sta venendo Ale!» informò gli altri con eccessiva allegria, cominciando a masticare velocemente il riso restante. Nicola terminò l'ultimo boccone del suo tramezzino, si alzò con calma e rivolse la sua attenzione all'Alessandro presente, intento a reincartare il suo panino. Nicola rimase a osservarlo con le mani in tasca, e quando l'altro infilò con rabbia il cartoccio nello zaino si sentì quasi in pena per lui. Non molto tempo dopo una mano gli si poggiò sulla spalla.

Non aveva davvero bisogno di voltarsi per sapere chi fosse. La forma della sua mano, il peso, la presa erano già abbastanza rivelatori. La sua voce si rivolse ai colleghi seduti davanti a lui, Chiara s'illuminò e lo salutò con voce acuta, poi spostarono il loro sguardo su di sé, il cui nome era stato appena pronunciato. Si voltò lentamente, un movimento alla volta, e alzò lo sguardo sui suoi occhi azzurri, oltrepassando le lenti degli occhiali e fissandosi nelle pupille. «Dimmi» andò dritto al sodo.
Nicola aveva imparato a odiare quell'espressione. Faceva perdere la testa a tutti, tranne a lui che aveva imparato a comprenderne il significato: gli angoli delle labbra lievemente sollevati, gli occhi vispi e ridenti, le palpebre languide pronte a socchiudersi. Con il corpo diceva: "Io sono più furbo di te. Io sono migliore di te". Quel suo modo di fare in passato l'aveva attratto terribilmente, tanto quanto in quel momento lo repelleva. Lo vide rialzare gli occhi sugli altri due presenti, chiedere un attimo di pazienza, poi rivolgersi nuovamente a lui per scambiare due parole in privato. Si limitò a seguirlo senza dire nulla, lasciando lo zaino accanto ai colleghi rimasti seduti, infossando le mani nelle tasche quasi fino ai polsi e fermandosi nel punto più isolato del cortile, accanto all'entrata dello stesso.
«Allora, fatto tutto?» chiese Ale. Nicola annuì; teneva lo sguardo piantato sul terreno. «Recuperati i file?» «Sì» «Okay. Che mi dici dei francesi?» «Sono online. Prezzi al ribasso» borbottò Nicola. Non sembrava molto allegro. «Mh-mh. Spedizione?» «Dieci» «E gli spagnoli?» «Offline. Siamo in tre al momento» continuò a borbottare. Lanciò un'occhiata a Chiara e l'altro Alessandro, vedendoli ridere insieme. Li invidiò. «Bene. Porto detto, allora. Degli altri due che mi dici? Ancora down?» «Sì. Ma è tutto schermato e...» «Non m'interessa, sono affari tuoi. Riportali online entro settimana prossima con il catalogo aggiornato, ok? Te lo faccio arrivare sulla solita casella» tagliò corto. «Chi è rimasto online nel marketplace?» «Solo gli inglesi, solo nove millimetri» rispose prontamente, desideroso d'interrompere quella conversazione. Alessandro scoppiò a ridere. «Sfigati. Ok, recuperiamo mercato lì. Sempre a sei-e-cinquanta?» «Glock a cinquecento. Senti, per ieri...» «Gli olandesi al cinquanta percento sono ancora online?» «Gli olan...? Sì, ma riguardo ieri...» «Sei sicuro che gli altri siano tutti down?» «Porca puttana, possiamo parlare un momento di ieri?». In silenzio, Alessandro restò a fissare il ragazzo minuto, intristito, stanco davanti a sé. Annuì e lo vide sospirare. «Erano solo parole, vero? Mica hai fatto qualche stronzata su... Su uno di quei siti?» chiese mormorando a voce sempre più bassa. Alessandro sbuffò, portando una mano alla borsa a tracolla ed estraendone un pacchetto di sigarette. «Rilassati, era solo uno scherzo. Un'idea di Chicco» si giustificò richiudendo la borsa. Parlava con una sigaretta ferma tra le labbra, ancora spenta. «Sì ma Chicco è tanto se sa accendere il computer. È a te che...» si grattò distrattamente una guancia, cercando di calmare l'agitazione. «È a te che ho insegnato cose, non a Chicco» gli fece notare. Alessandro gli passò un braccio attorno alle spalle, portandolo verso l'uscita. «Vieni, facciamo due passi» lo invitò. Nicola si lasciò trascinare.



«Ma è bellissimo!» esclamò Chiara. Sullo smartphone di Alessandro era visibile la foto di un pastore tedesco. «Come si chiama?» chiese interessata. «Jackie. È una femmina» rispose orgoglioso il ragazzo, riprendendo il cellulare e bloccando lo schermo. Una voce femminile in lontananza attirò l'attenzione di entrambi. «Chiaraaaaa!» esclamò la voce in rapido avvicinamento. Quando Alessandro alzò lo sguardo, trovò Chiara con le braccia al collo di una loro coetanea: capelli tinti di rosso, t-shirt dell'Hard Rock, piercing all'orecchio e occhi grigi, erano evidentemente amiche. «Cinzia, a-i-u-t-o, non credevo di beccarti all'università! Ma non stai facendo russo?» «Sì, ho lezione fra un'ora, quindi ho pensato di venire un po' prima» rispose la ragazza. Chiara indicò l'amico, il quale affrettò ad alzarsi. «Lui è Alessandro» lo presentò lei. Il ragazzo tese una mano alla nuova arrivata, ammirandone il viso ben truccato e il sorriso che gli rivolgeva. «Cinzia, piacere» si presentò. «Piacere mio» si limitò a rispondere lui. Cinzia sembrava molto sicura di sé, quasi a proprio agio nel nuovo ambiente universitario, al punto da non sembrare una matricola. Riportò l'attenzione su Chiara. «Tesoro io ora devo salire a prender posto o resto seduta a terra, magari ci vediamo dopo, va bene?» la salutò con un bacio laterale a mezz'aria, probabilmente per non rovinare il trucco di entrambe, e poi si voltò per allontanarsi. «Ciao Alessandro!» si congedò anche dall'altro, rivolgendogli un cenno amichevole col capo e affrettandosi verso le scale. Il ragazzo rimase a guardarla andar via e Chiara lo fissò per qualche secondo. «La smetti di fare il maniaco?» lo rimproverò infastidita. Alessandro tornò a guardare la collega con aria confusa. «Eh?» «Le stavi guardando il sedere!» «No, non è vero...» «Sì che è vero, Ale! Non puoi guardare il sedere delle mie amiche!» «Ma ti dico che non lo stavo facendo!» ribatté lui. Tornarono a sedersi, entrambi lievemente a disagio. Chiara si alzò di scatto, lasciando anche lei tutto sul muretto e allontanandosi. «Vado a vedere dove sono gli altri!» sbottò in modo inusuale. Alessandro rimase solo con un mucchio di giacche e zaini.

La strada era un tripudio di alberi piantati lungo il marciapiede, venditori ambulanti, studenti frettolosi, motorini e pedoni. Nessuno faceva caso a loro: Nicola era sotto pressione e Alessandro era ancora più a suo agio in quel modo, nascosto in bella vista. Cominciò a fumare mentre passeggiavano a passo lento. Fu Nicola a cominciare a parlare. «Ale, ti prego. Dimmi che non hai fatto nessuna stronzata. Quel tizio aveva pure sparato una cifra bella precisa» borbottò. Alessandro si limito a tirare un paio di boccate di fumo, poi scosse la testa. «Lo scopo era farti ragionare. Ci siamo riusciti, no? Alla fine ti piace fare quello che...» provò a commentare, ma Nicola gli piazzò una banconota davanti. Anzi: si piazzò davanti ad Alessandro e gli piantò la banconota sul petto, tenendola ferma solo con indice e medio, a mo' di puntina. Alessandro prese lentamente la banconota, la osservò per un momento, spostò il suo sguardo sul ragazzo, poi di nuovo sulla banconota -senza capire. Si era ammutolito e l'altro ne approfittò. «Riprenditeli. Mi stai minacciando, quello che sto facendo lo sto facendo sotto minaccia. Non voglio i tuoi soldi» spiegò. «Nico, sono duecento euro» «...che io non voglio!» «E smettila di dire stronzate. Prendili» provò a restituirgli la banconota, piegata e accartocciata in mano per non renderla riconoscibile ai passanti. «Non mi servono. Non so che cazzo farmene dell'ultimo iPhone, o...» «Ancora con 'st'iPhone! Tieni, porta Luca da qualche parte. Se lo merita» provò a infilargli nuovamente la banconota in mano. Titubante, Nicola non li restituì, limitandosi a stringere i denti.
Alessandro gettò la sigaretta a terra, scoprì l'orologio sul polso e diede uno sguardo all'orario. «Accidenti, sono in ritardo. Devo proprio andare» mormorò fra sé. Nicola sentiva la vena sulla tempia pulsare. «Vai da Chicco a riferire, mh?» «No, pranzo con Mirko» rispose l'altro con nonchalance. Nicola boccheggiò, e Alessandro distolse lo sguardo con un sorrisetto. «Dai, non fare quella faccia» commentò divertito. «Lo frequenti ancora!» esclamò Nicola con tono strozzato. Era arrossito. «Sì, e allora?» rispose l'altro facendo spallucce. Il ragazzo non seppe come commentare. «Dai, dopo te lo saluto» si congedò incamminandosi. Nicola gli afferrò un polso con la mano libera. «In che senso "me lo saluti"? Sa di questa storia?» chiese allarmato. Alessandro gli rivolse un'occhiata annoiata. «Rilassati, non lo sa nessuno. Ti pare? Sa che ti ho beccato all'università, tutto qui» terminò. Alzò lo sguardo sulla strada, poi la sua espressione mutò in una maschera di noia. «Sta arrivando la tua amica. Lasciami o faccio tardi» sbottò. Nicola lasciò la presa, l'altro si allontanò e Chiara arrivò quasi di corsa, avvicinandosi. «Ma no, è già andato via? Volevo salutarlo!» si lamentò. Prese Nicola sotto braccio e si diressero nuovamente verso la sede. Il ragazzo lasciò scivolare silenziosamente la banconota nella tasca dei jeans, non ascoltando quanto gli veniva detto da Chiara.
«...ed è così carino, non trovi?» captò all'improvviso. Il ragazzo si sforzò a sorridere. «Come faccio a saperlo, scusa? Ti sei presa una cotta?» provò a fare conversazione; il ricordo di poco prima, quando lui era incastrato in quella spiacevole discussione e, intanto, Chiara e Alessandro era seduti in lontananza a chiacchierare in modo così sentito, gli fece provare nuovamente quella misera sensazione di invidia. Chiara, nel frattempo, era visibilmente arrossita. «Oh, ti prego, non dirglielo. Te lo sto dicendo in confidenza!» esclamò preoccupata, quasi appendendosi al braccio del ragazzo. Lui annuì. «Tranquilla. Ho visto che andate molto d'accordo, alla fine vi conoscete da pochissimo, è una bella cosa» notò. «Sì, poi è così gentile! Non lo so... Credi che io gli piaccia?» domandò titubante. Nicola sorrise divertito. «Quante paranoie, chiediglielo e basta, no?» «Sì, certo! Vado da lui e dico "ciao Ale, vuoi uscire con me? Sei bellissimo e dolcissimo e tutto il resto, grazie ciao"?». Risero entrambi. «Vabbè, magari non proprio in questo modo. Che ne dici di "Ale cosa fai sabato sera io mi annoio un sacco perché non andiamo a mangiare una pizza"?» snocciolò tutto d'un fiato. «Ecco, secondo me funziona meglio» suggerì infine. Chiara alzò gli occhi al cielo. «Sì, secondo te io lo fisso dritto dritto in quegli occhi azzurrissimi e...»

Nicola smise di ragionare lucidamente per un istante. Si bloccò all'ingresso del cortile, ad appena due metri da dov'era stato meno di dieci minuti prima, e smise di sentire il mondo esterno. Il suo primo pensiero fu: "Alessandro ha gli occhi neri". Il suo secondo istinto fu di alzare lo sguardo su Chiara, la quale lo scrutava preoccupata, e poi provò a unire i puntini. Aveva commesso un errore terribile e sentì la pelle gelarsi dal panico. Boccheggiò, incapace di esprimere delle vere e proprie parole, poi alzò la mano destra in direzione della ragazza, come a dirle di fermare le sue parole, le sue idee, tutto quanto. «No» sussurrò infine. Chiara era sempre più confusa. «No?» «No. No, Chiara, stagli lontana, capito?». Chiara non aveva capito affatto e si accigliò ulteriormente; sembrava meno amichevole del solito. «In che senso? Perché? È fidanzato?» domandò velocemente. Nicola scosse la testa. «No, non è... Senti, non è una brava persona, okay? Non è una brava persona e basta. Stagli lontana. Non lasciarti...» gli mancò la voce. «Coinvolgere» terminò. La ragazza si ritrasse come se avesse ricevuto uno schiaffo. «Nicola, io faccio quello che mi pare» lo avvisò, ma l'altro continuava a scuotere la testa. «No Chia', non capisci, non sto scherzando. Non è un tipo a posto, non provarci con lui» «Che fa che non è a posto, sentiamo? Spaccia?» chiese ad alta voce, con una vaga risata rabbiosa. Nicola aveva la bocca schiusa, troppo scosso per continuare la conversazione. «No! Senti, io ti sto solo dicendo che...» «Non me ne importa di quello che dici tu! Non è che perché sono femmina allora devi...» «Non c'entra un cazzo che sei femmina! Chissene fotte che sei femmina!» quasi urlò lui. Qualche ragazzo si voltò a guardarli, cominciando a mormorare tra loro. Alessandro li raggiunse in fretta, portando con sé borse e giacche a mo' di facchino. «Oh ma che state a fa'? Volete finire su Spotted?» scherzò cercando di stemperare la tensione. «Tu non ti intromettere!» sbottò Nicola, e l'umore di Alessandro cambiò rapidamente. Era più alto e massiccio di lui, per niente intimorito dal collega, così mutò la sua espressione in una decisamente più incattivita. «Non urlare addosso a Chiara, hai capito? Non ti permettere» ringhiò in sua direzione. Chiara fece un passo indietro, Nicola scosse la testa senza distogliere lo sguardo dall'altro ragazzo. «Quanto sei fesso, Alessa'» commentò raccogliendo borsa e felpa da terra, continuando a tenere gli occhi puntati su di lui. Non ci furono ulteriori commenti, così Nicola si diresse all'uscita del cortile. Alessandro e Chiara lo seguirono con lo sguardo finché non sparì alla loro vista, poi il ragazzo le si rivolse con premura. «Stai bene?» fece in tempo a chiederle prima che le porte dell'aula si aprissero; iniziava la lezione.


 



Note dell'Autore
Feedback, recensioni e panuozzi graditi. Fanno piacere pure scenate che intrattengano durante le ore buca a Duomo. Ancora una volta si ripete che tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. Ci vediamo presto!

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Capitolo 6
*** 6. ***


 

 

6.

 

«Grazie per l'aiuto. Sei stato davvero gentile» disse la ragazza di buonumore. Lui sorrise. «Figurati, è stato un piacere. Non potevi di certo portare quattro buste di libri da sola!». Risero entrambi, continuando a discendere lungo la strada. Passando accanto a un bar, lui si fermò. «Ehi, ti va un caffè? Offro io» si propose. L'altra portò la mano destra al mento, come a rifletterci. «Ma sì, perché no? Tanto ci abbiamo messo poco» accettò di buon grado, poi si sedettero a uno dei tavolini esterni. Lui si assicurò di essere notato dal barman all'interno. «Allora, segui con Chiara?» «Già, abbiamo gli stessi corsi. Voi come vi conoscete?» «Oh, eravamo compagne di classe al liceo...» «Ciao ragazzi, cosa ordinate?». Alessandrò alzò lo sguardo sul cameriere, poi lo spostò sulla figura di Cinzia. «Cosa prendi?» le chiese con un sorriso. «Solo un caffè, grazie» «Va bene, allora due caffè e... Puoi portarmi un bicchiere d'acqua frizzante, per favore?». Il cameriere annuì con un sorriso; scriveva la comanda sul blocco note. «Ve li porto subito» concluse sparendo all'interno del bar. I due rimasero nuovamente soli. «Alessandro, ma lo sai che assomigli un sacco a un attore di Bates Motel?» gli si rivolse con tono appena stupito, come se lo avesse già notato da un po'. Il ragazzo alzò le sopracciglia, divertito. «Sul serio? Quale?» «Aspetta, non ricordo il nome... Te lo faccio vedere» sospirò. Infilò una mano ingioiellata nel parka verde, estraendo uno smartphone dalla tasca. Lo poggiò sul tavolino d'alluminio, aprendo un browser per una ricerca. «Uh, figo, è un Samsung?» «Sì, l'esse-sei-edge» confermò lei senza alzare lo sguardo. Trovato l'attore cercato, girò il cellulare per mostrarlo ad Alessandro. «Ecco, lui!» «Ma è Richard!» «Chi?» «Il marito di Isabella, quello degli Altr... Oh. Tu non hai visto Lost, eh?». Lei batté le palpebre, confusa. «È una serie vecchia. Avrei dovuto?» chiese, quasi in tono retorico. Alessandro ghignò. «No, in effetti no. Ha il finale peggiore della storia della televisione. Comunque, che cosa fa in Bates Motel?» provò a riportare la conversazione sul binario principale. Cinzia tornò a sorridere. «È lo sceriffo Romero! Se non l'hai visto, guardalo. È parecchio figo» commentò. Alessandro si limitò a un sorrisetto. «La serie o l'attore?» chiese per stuzzicarla. Cinzia arrossì, riabbassando lo sguardo sullo schermo. «Ehm, la serie. Ovviamente la serie» «Sì, dai, stavo scherzando. Scusami» stemperò la tensione. Arrivarono i loro caffè, Alessandro pagò in monete e rimasero nuovamente soli.
 

*
 

«Che noia... Perché oggi nessuno mi risponde?» borbottava tra sé. Stesa sul letto, in una nuvola di capelli ricci, Chiara continuava a controllare i social in cerca di una notifica che non arrivava. Sbuffò annoiata.
La sua camera era spaziosa, tutta in rosa e piena di peluche, fumetti, fotografie attaccate ai mobili e alle pareti. Un portatile sulla scrivania riproduceva hit latinoamericane, e libri e quaderni aperti lì a fianco supggerivano una sessione di studio terminata, o forse in pausa. La ragazza si alzò a sedere, poi portò il cellulare all'orecchio.
«Pronto?»
«Ciaaao, Ale! Cosa fai oggi? Non hai risposto ai miei messaggi!»
«Oh, scusa Chia', non li ho proprio visti. Ho aiutato Cinzia a vendere dei libri a Napoli, così...»
Chiara fece una smorfia, tornando a stendersi di botto. La voce di Cinzia si fece sentire in lontananza: «Chiaraaaa, raggiungici dai! Siamo ai quattro palazzi!» la invitò esuberante. Chiara alzò gli occhi al cielo. «Scusa Ale, devo andare. Salutami Cinzia, okay?» si congedò rapidamente. Il ragazzo provò a rispondere qualcosa, ma lei interruppe rapidamente la chiamata. Mosse rapidamente il pollice sullo schermo, portò nuovamente lo smartphone a un lato del viso e intanto, con la mano libera, cominciò a massaggiarsi l'altra tempia.
«Pronto?»
«Ciaaao, Ale! Ti disturbo?»
«Chiara, ciao. Perdonami, sono in ritardo a lavoro. Va tutto bene?»
Chiara s'immusonì. «Sì, sì, scusami tu, non sapevo lavorassi di sabato. Buona giornata allora!» «D'accordo, grazie. Buona giornata a te». Click. La ragazza rimase a fissare lo schermo con aria imbronciata, battendo alternatamente i talloni contro una gamba del letto. Sospirò, poi tentò una terza telefonata; al quinto squillo partì la segreteria. «Oh, andiamo!» sbottò indignata. «Almeno Nico che mi dovrebbe delle scuse!» continuò a lamentarsi, rialzandosi a sedere. Alla fine scosse la testa, gettò il cellulare sul letto e andò alla scrivania.

 

*
 

«Mamma quando torna?» si lagnò il bambino. Nicola sospirò, alzando lo sguardo dai libri. «Lo sai che ha il turno di sera, oggi. Perché non vai a guardare i cartoni in salotto?» lo invitò lui, ma Luca incrociò le braccia. «No. Mi scoccio di stare da solo, perché non giochi un po' con me?» «Perché devo studiare questa roba. A proposito, lo sapevi che puoi dire una lunga effe ma non una lunga pi?» «Davvero?» «Prova» lo invitò lui. Voleva approfittare di quel momento per tornare allo studio, ma restò a guardare il fratellino con sguardo divertito. «Ffffff... P... P... P... È vero!» scoppiò a ridere lui. Nicola allargò il suo sorriso. «Lo so. Ora vai a guardare i cartoni» ripeté l'invito. Luca scese dal letto continuando a ripetere le consonanti e a ridere della sua nuova scoperta, poi lasciò la camera richiudendo la porta dietro di sé. Finalmente Nicola poté tornare ai suoi libri, ma slo pochi minuti dopo venne interrotto dal trillo del campanello. «Luca, chiedi chi è!» urlò il ragazzo con irritazione, gettando un'occhiata all'orologio del computer. Sentì la porta aprirsi, poi una voce maschile parlare col fratellino. Si alzò di scatto, aprendo la porta della camera.
L'appartamento era piuttosto piccolo; ingresso, soggiorno e cucina erano concentrati in un unico ambiente, sul quale si affacciavano due camere da letto e un bagno. Dalla sua posizione, Nicola poteva vedere la porta d'ingresso aperta ma non il nuovo arrivato. Mentre la sua testa si lasciava andare a varie supposizioni, la bocca continuava a parlare autonomamente. «Luca, chi è?» chiese avvicinandosi. Luca si voltò a guardarlo, raggiante, con un pacco fra le mani. «È Ale! Mi ha portato un regalo, guarda!» esclamò eccitato, sventolandolo in sua direzione. Nicola si bloccò sul posto. La porta venne chiusa dal nuovo arrivato, il quale si mostrò alla vista del proprietario. «Ciao, Nico. Perdonami, pulivo le scarpe sullo zerbino. Casa tua non è proprio cambiata, eh?» chiese con nonchalance. Nicola non trovò la forza di rispondergli, restando a fissarlo un po' furente, un po' preoccupato. Alessandro si diresse autonomamente verso il tavolo, dove poggiò il casco della moto e la solita borsa, poi sfilò la giacca e tornò all'ingresso, dove se ne liberò sull'appendiabiti. Rimase in jeans, scarpe stringate, camicia e maglioncino di cachemire. Si ravvivò il ciuffo riccio con una mano, raddrizzò gli occhiali sul naso, si voltò verso Luca e gli scompigliò i capelli, con lo stesso gesto che aveva rivolto a Nicola solo cinque giorni prima. «Lo posso aprire?» continuava a ripetere il bambino. «Certo, dai. Aprilo, vediamo se ti piace» lo invitò con voce calda e accondiscendente. La carta da regalo venne strappata senza complimenti e lasciata cadere in terra, e il volto di Luca si mosse in una espressione di totale stupore e felicità. «Ohmio Dio... Nico, guarda! Guarda!!! È l'edizione speciale! È l'edizione speciale, Ale?» chiese conferma al ragazzo, il quale ridacchiò divertito. «Sì, è l'edizione speciale» confermò lui. Luca ricominciò a saltellare. «È l'edizione speciale di Disney Infinity! Wow! C'è pure Hulk!!! Grazie Ale, grazie!!!» continuava a urlare e saltellare fino a restare a corto di fiato. Nicola si mosse verso di lui. «Va bene, ora basta. È tardi, ci giocherai domani» sbottò, tirando via lo scatolo dalle mani del fratellino –il quale cominciò a strillare. «No Nico, dai! Voglio giocare adesso! Per favore! Ma stavo andando a guardare Boing, invece gioco, che cambia?! Chiamo la mamma! Nico, ridammelo!». «Ma sì, Nico, dai, ridaglielo» s'intromise Alessandro. Nicola gli scoccò un'occhiataccia, trovandolo a sorridere maliziosamente. Luca cominciò a piangere e a spingerlo debolmente, così il fratello gli restituì la confezione. «Solo mezz'ora» borbottò. Luca prese il suo nuovo videogioco e corse al televisore. «Ale, ci giochi con me? Ci giochi?» chiedeva intanto. Alessandro, con le mani in tasca e lo sguardo fermo su Nicola, già non gli badava più. «Scusa, Luca, ho da fare con tuo fratello. Più tardi vengo a vedere come giochi, va bene?» gli rispose; poi, senza attendere altro da parte del bambino, recuperò la borsa dal tavolo e si avvicinò all'altro, fermandosi a pochi centimetri da lui e invadendo il suo spazio personale. «Andiamo in camera tua» mormorò. Nicola era più basso di lui di almeno quindici centimetri, così si limitò ad alzare lo sguardo sul suo volto, irritato. Riportò gli occhi sul fratellino, intento a scartare il videogioco, poi strinse le labbra e fece dietrofront. Quando entrambi furono in camera sua, Nicola chiuse la porta a chiave.

«Mi sembrava di averti detto di star lontano da casa mia» sbottò subito dopo. Alessandro si lasciò cadere disteso sul letto, con la borsa sul pavimento accanto a sé. «Forse» rispose annoiato. «E soprattutto di stare lontano da mio fratello» sottolineò. Era ancora fermo davanti alla porta, con gli occhi fissi sull'ospite indesiderato, e sembrava trattenersi anche dal semplice battere le palpebre. «Forse» ripeté Alessandro. Ci fu un momento di silenzio. «Magari potresti anche evitare di portargli regali pagati in questo modo. Ma si può sapere che cazzo ci fai qui?» finalmente chiese Nicola. L'altro si alzò a sedere, scavò nella borsa e ne estrasse un pacchetto di sigarette. «Dovevo parlarti, hai il cellulare scarico. Non te ne sei accorto?». Lo sguardo del ragazzo si spostò dalla figura sul letto, ricercando il suo smartphone. Lo vide sul comodino, collegato al caricabatterie; gli occhi seguirono quindi il cavo del caricabatterie, trovandolo staccato. Al suo posto era collegato il GameBoy di Luca. Nicola sospirò. «No, non me ne sono accort... Oh, ma che cazzo fai?! C'è Luca in casa, stronzo! Spegni quella merda!» gli ringhiò improvvisamente, andandogli incontro. Alessandro si alzò dal letto, continuando a far scattare la zippo per accendere la sigaretta. «Rilassati, apro la finestra. L'odore va via subito» «Non me ne frega niente dell'odore, gli fa male! Spegnila!» «Che rottura di cazzo che sei. Va bene, la poso, felice?» lo accontentò, sventolando la sigaretta parzialmente accesa per assicurarsi che non venisse sprecata. Tornò a sedersi, ripose il tutto nel pacchetto semivuoto, infine lo assicurò nella borsa. Nicola seguì le sue azioni con lo sguardo, fermo in piedi accanto a lui. Aspettò che avesse terminato prima di ricominciare a parlare.
«Allora, si può sapere che vuoi?» chiese. Alessandro si strinse nelle spalle. «Volevo solo vederti, non posso?» rispose battendo le palpebre. Nicola scosse la testa, poi andò a sedersi al computer. «Scherzavo, non fare l'offeso. Ho delle novità, apri il marketplace, che ti mostro» sospirò, alzandosi e avvicinandosi anche lui al computer. Poggiò una mano e un gomito sulle spalle dell'altro, come seduto a un tavolino, e inclinò la testa nell'osservare lo schermo. «'azzarola come sei veloce. Sembri uno di quelli dei telefilm americani, quelli che fanno tutti con la tastiera» notò. Nicola sbuffò. «Basta usare gli shortcuts. Aspetta, sto modificando il circuito» «Perché?» «Perché sì. Fatto» «Da dove risultiamo connessi?» «Dalla Repubblica Ceca. Allora, ecco il marketplace. Ora?» tagliò corto Nicola, voltandosi a guardare l'altro. Il suo viso era così vicino da potergli contare i peli della barba curata, ma gli occhi di Alessandro erano fissi e concentrati sullo schermo. «Perché non usi Torch?» «Perché come search engine fa schifo, okay? Possiamo andare avanti?» «Sì, sì. Ok, vai sul terzo sito da sopra» «Non fai nomi perché hai paura che abbia microfoni in casa o cos'altro?» lo imbeccò Nicola. Cliccò sul link segnalatogli da Alessandro, poi si voltò a guardarlo; gli rivolgeva uno sguardo incuriosito. «Hai dei microfoni in casa?» «No, Ale» «E perché dovrei pensarlo, allora?» «Scherzavo. Cos'è, tu puoi farlo e io no?» «Sarà...». Tornarono a guardare lo schermo. La pagina continuava il suo lento caricamento, così tornarono a parlare tra loro in quella posizione, comoda per Alessandro e molto meno comoda per Nicola. «Però se fai il ricettatore dovresti quantomeno riuscire a dire quello che fai, no?» insisté. Il ragazzo fece una smorfia. «Sei proprio sicuro di non avere dei microfoni in casa?» «Sicurissimo» sorrise l'altro; ne guadagnò un'occhiataccia. «Perché nel caso in cui io fossi un ricettatore tu saresti colpevole quanto me, lo sai, vero?» rispose cautamente Alessandro. Nicola sospirò. «Ale, sto scherzando davvero. Ecco, si è caricata la... Woah!» si bloccò nel guardare lo schermo. L'altro gli batté sulla spalla con la mano poggiata. «Benvenuto nel mercato in cui stiamo per espanderci» gli mormorò all'orecchio, poi si raddrizzò e scrocchiò la schiena. Nicola si voltò verso di lui, grattandosi una guancia con fare preoccupato. «Loro sanno che non è proficuo come quello delle carte di credito, vero? Basta un click per bloccare un account scammato» provò a fargli notare. Alessandro si sedette sul letto, poi si strinse nelle spalle. «Ripeto, non è affar mio. Loro mi dicono di riferirti e io lo faccio. Sei in grado di metter su qualcosa in una settimana?» «...dipende. Di quanti account stiamo parlando?» «Beh, se vogliamo essere concorrenziali...»
La maniglia della porta si abbassò, poi si rialzò e così per un paio di volte. Entrambi si ammutolirono, voltandosi a guardarla. «Nico, perché ti sei chiuso dentro?» arrivò la vocina sottile di Luca attraverso il legno. I due ragazzi si scoccarono un'occhiata; Nicola si girò per tornare al computer e chiudere tutte le finestre, Alessandro andò ad aprire la porta. Rimase lì a guardare il bambino dall'alto. «Luchetto, ciao di nuovo. Allora, com'è il gioco?» provò a fare conversazione. Luca gli sorrise debolmente. «È molto bello. Nico, non mi sento bene» si rivolse di nuovo al fratello, il quale si voltò a guardarlo. Alessandro si spostò dalla traiettoria, poggiando la schiena al muro e infilando le mani in tasca. Il bambino era molto pallido e Nicola si affrettò verso di lui. «Vieni qua, fammi sentire se scotti...» gli si inginocchiò davanti, poggiandogli il polso sulla fronte e sulle guance. «Ricordi cosa ti ha detto il dottore?» «Sì» «Quanto ti senti male da uno a dieci?» «Uhmmm... Sette e mezzo» «Va bene. Credi di riuscire a mangiare qualcosa e aspettare che torni mamma?». Il bambino si strinse nelle spalle. Nicola alzò lo sguardo su Alessandro. «Sei con la moto?» chiese. Alessandro annuì, l'altro sospirò tornando ad alzarsi. «Okay, te ne devi andare. Vieni Luca, chiediamo l'auto a Tina, andiamo» lo prese in braccio, e il bambino gli si aggrappò addosso con i quattro arti. Alessandro recuperò la borsa sul letto, poi uscì dalla stanza spegnendo la luce. 

 

*
 

La stanza si era oscurata rapidamente con il calare della sera. Chiara accese la lampada da tavolo poggiata sulla scrivania, riprendendo a disegnare sul foglio che aveva davanti. Il cellulare sul letto vibrò, lei si voltò a guardare lo schermo illuminato e si alzò per raggiungerlo. «Finalmente qualcuno mi ha ri...» borbottò tra sé, bloccandosi appena preso il cellulare in mano. Rimase ferma per un po', pentendosi di aver spento la musica allegra di un'ora prima, e mentre malediceva il suo batticuore la vibrazione riprese, questa volta continua. Aspettò ancora qualche secondo prima di rispondere. «Chiara?» disse una voce maschile. Lei non rispose, limitandosi a respirare con forza per segnalare la propria presenza. L'altro sorrise al microfono. «Ehi, è da un po' che non ci vediamo, lo so che può sembrare strano ma... Ricordi quando apprezzasti i The Do a casa mia? È stato più o meno a...» «Sì, me lo ricordo» sbottò lei per tagliar corto. L'altro rimase in silenzio per un momento. «Sì, beh... Vengono in concerto a Napoli fra un po', stavo per comprare un biglietto per andarci con Aldo e gli altri, però... È buffo, no? Mi è venuto in mente che volevi ascoltarli e quindi ho pensato di scriverti. Ti va se ci andiamo insieme?».
Silenzio. Silenzio. Silenzio. Il dialogo era stato evidentemente preparato, mentre Chiara non si sarebbe mai aspettata nulla del genere. Le si riempirono gli occhi di lacrime. «Perché, Francy ha da fare quel giorno?» rispose ferita. L'altro sospirò. «No, ci siamo lasciati» spiegò con calma. Ancora silenzio. «Vabbè, senti, perché non ci pensi su? Io il mio biglietto comincio a comprarlo, poi se vuoi hai ancora tre settimane di tempo. Fammi sapere, d'accordo?» le propose con convinzione. Chiara sentiva le lacrime scorrerle sulle guance, così spostò il cellulare dal viso per asciugarselo con una manica. Le ci volle un po' per rispondere in modo tranquillo; non voleva mostrarsi così debole. «Okay, ciao» borbottò rapidamente. «...buon sabato sera, stammi bene» terminò il ragazzo. La telefonata venne interrotta ma lei restò in piedi al centro della camera, ferma a fissare il vuoto, per ancora qualche minuto.

 

*


«Grazie della compagnia. Mi sono divertita, oggi» mormorò Cinzia. Parlavano sottovoce per qualche motivo poco chiaro a entrambi, fermi sotto la metro di Università. Lei dondolava sulle punte. «Allora... Mi sa che ci separiamo qui. Tu vai nell'altra direzione, vero?» chiese conferma. Alessandro annuì senza smettere di fissarla, l'espressione dispiaciuta che stonava con un mezzo sorriso sulle labbra. La ragazza gli arrivava al mento, un po' più alta di Chiara ma non abbastanza da poter essere guardata in viso, se lei decideva di abbassare il capo e nascondersi da lui. Il ragazzo si chiedeva il perché. «Okay, allora... Devo proprio trovare l'abbonamento» scherzava con una mano nella tasca dei jeans. «Forse è nella borsa?» suggerì lui, ma lei lo tirò fuori dal parka. «No, eccolo qui. Stupido abbonamento» scherzò ancora, tornando a guardare il ragazzo davanti a sé. Alessandro intuì una certa atmosfera che non voleva sprecare, così portò una mano alla nuca dell'altra. «Allora, uh...» riprese a parlare Cinzia, ma venne interrotta da un bacio. Chiuse gli occhi e socchiuse le labbra, ricambiandolo. Portò entrambe le braccia al collo di Alessandro, e quando terminò quel bacio lei lo strinse con forza, ridendo. Lui la sentiva tremare e se ne stupì; di solito dava l'impressione di una ragazza forte e intraprendente, mentre in quel momento sembrava sciogliersi dall'emozione. Alessandro ricambiò con piacere l'abbraccio e chiuse a sua volta gli occhi, inspirando con forza l'odore del suo shampoo alla frutta. Le accarezzò i capelli rossi, poi lei lo lasciò andare e lui si raddrizzò, ancora sorridente. Cinzia aveva il volto paonazzo, ma nonostante l'improvvisa timidezza era palesemente felice. «Scrivimi più tardi, okay? Ci vediamo» si congedò. Fece per allontanarsi, poi ci ripensò e Alesssandro la baciò di nuovo. Alla fine lei andò via ridendo dall'imbarazzo e il ragazzo la seguì con lo sguardo finché non sparì sulle scale mobili.
«Evvai!» esclamò sottovoce. Si diresse al capo opposto dell'atrio, raggiante, per raggiungere l'altro binario. Vi arrivò con l'aria sognante.

 



Note dell'Autore

Dovrei seguire il consiglio di un lettore e cominciare a farmi pagare le marchette; nel frattempo, per i curiosi arrivati fin qui, i The Dø sono loro (e no, non hanno nessun concerto in programma in Italia, almeno non nel mondo reale). Colgo l'occasione per rimarcare che tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. Buon sabato sera a tutti!

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Capitolo 7
*** 7. ***


 

 

7.

 

Lunedì mattina, otto e un quarto, solito tavolino del solito bar: Alessandro si ritrovava a prendere il caffè, per la prima volta dall'inizio delle lezioni, completamente solo. L'indice della destra scorreva sullo schermo dello smartphone, poggiato sul ripiano di legno accanto al suo caffè, per conversare virtualmente con Cinzia. Parlavano del più e del meno, delle lezioni della giornata, programmavano il pranzo insieme. Il momento idilliaco fu interrotto da una chiamata in arrivo; Alessandro si accigliò. Prese la bustina di zucchero poggiata nel piattino, la scrollò, strappò un angolo di carta e rovesciò il dolcificante nella bevanda calda, il tutto senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Inizialmente credeva fosse una telefonata partita per sbaglio, ma al quarto squillo si convinse a rispondere.
«Pronto?» «Ciao Ale, senti, scusa per venerdì, è un periodo proprio di schifo questo» esordì la voce. Al ragazzo parve bassa quanto stanca, e non volle infierire. «Ma no dai figurati, capita a tutti. Oggi vieni?» «No, ecco... Ti chiamo proprio per questo. Puoi farmi un favore? Puoi prendere appunti anche per me in questi giorni? Poi magari me li passi per email o qualcosa del genere. Va bene anche se registri eh, poi me li sbobino io» spiegò l'altro. Parlava, quasi sussurrava in un ambiente silenzioso, al chiuso, forse in casa propria. «Sì, certo, non ti preoccupare. Ma va tutto bene? C'è qualche problema?» si preoccupò lui genuinamente. Una seconda voce spezzò il silenzio, dapprima con qualche roco colpo di tosse, poi con una sottile voce lamentosa. «Nico...» si lagnò la voce di un bambino. Il cellulare venne allontanato bruscamente e Alessandro, a causa del chiacchiericcio al bar, non riuscì a sentire cos'altro accadeva all'altro capo del telefono. L'amico tornò a parlare con lui dopo qualche momento. «Sì, sì... Scusa Ale, devo proprio andare. Chiedi scusa a Chiara da parte mia, ok? Ciao, buona giornata» concluse frettolosamente. Alessandro non riuscì a dire nulla prima che la chiamata venisse interrotta, e si ritrovò a fissare lo schermo con aria confusa. Spostò lo sguardo dal cellulare, accorgendosi di aver girato distrattamente il caffè per tutto quel tempo; portò il cucchiaino alla bocca, tirò via lo zucchero bagnato con le labbra e il cellulare riprese a vibrare sul tavolino. Sbuffò, posando il cucchiaino e riportando il cellulare all'orecchio.
«Nico?» provò a riprendere la conversazione, alzando la tazzina e avvicinandola alle labbra «Ale?» rispose l'altra voce, e il ragazzo quasi si rovesciò il caffè addosso. «Chiara! Scusa, dimmi!» esclamò in risposta, gettando un'occhiata allo schermo per assicurarsene. La tazzina venne rimessa al proprio posto, e l'attenzione di Alessandro fu assorbita dalla chiamata. «Vabbè. Sei già in sede?» «Sì, sono al secondo piano, dove sei?» «Ho fatto tardissimo! Non è passata la metro! Cioè, ha saltato una corsa!». Sentirla urlare in quel modo gli scatenò un sorriso. «Ehi, dai, calmati. Stavo per scendere, vuoi che ti tenga un posto?» domandò cortesemente. L'altra sembrò estremamente sollevata. «Oddio sì, ti amo quando fai così, arrivo!» ringraziò Chiara prima di interrompere la telefonata. Per la seconda volta, Alessandro si ritrovò a fissare lo schermo con un vago turbamento in petto. Non fece neanche in tempo a bloccare lo schermo, ché una terza telefonata lo distrasse. Numero sconosciuto.
«Pronto?» rispose senza entusiasmo. Lo sguardo rassegnato era rivolto al caffè. «Ciao Alessandro, sono –beh– l'altro Alessandro, l'amico di Nico» si introdusse la calda voce maschile al telefono. Un terzo turbamento, di tipo ancora diverso, tornò ad agitare il ragazzo. «Oh. Ciao, dimmi» lo invitò con lieve fastidio; sentì l'altro sorridergli in risposta. «Nulla d'importante, Nico non risponde al telefono e mi chiedevo se l'avessi visto o sentito. Il cellulare di Chiara non è raggiungibile, così...» si giustificò. "Per forza" rifletté l'Ale turbato tra sé, "è appena uscita dalla metro". Ci pensò su per un momento. «No, non l'ho sentito» mentì senza nessun motivo preciso. L'altro sospirò. «È un vero peccato. Beh, se lo vedi fagli sapere che lo cerco. Buona giornata» si congedò cordialmente, interrompendo anche lui la telefonata prima che il malcapitato potesse rispondere. Frustrato, tolse la vibrazione del cellulare e lo infilò in una tasca del giubbotto, il buon umore stranamente rovinato dagli ultimi minuti. Si alzò, recuperando lo zaino, e prima di andare bevve il caffè tutto d'un sorso. «Bleah» rabbrividì riponendo la tazzina. «Me l'hanno fatto freddare» sbuffò allontanandosi dal bar. 


Durante la lezione, seduti vicini, Chiara e Alessandro seguirono fin troppo in silenzio per le loro abitudini, e quando uscirono s'incamminarono –ancora in silenzio– verso la sede successiva. Entrambi pensavano a troppe cose, cose diverse, e nessuno dei due sembrava voler parlare per primo. «Stamattina mi ha chiamato...» «...mi ha chiamato Ale» «...Nic– oh» «...oh» s'interrompevano a vicenda, lanciandosi solo qualche rado sguardo, continuando a camminare vicini. «Che ti ha detto?» «Che volev– no, scusa, parla pure» «No, cioè, prima tu. Nel senso, lo stavo chiedendo io a...» «...sì, sì... No, niente. Non è potuto venire, quindi mi ha chiesto di passargli gli appunti e... Di chiederti scusa da parte sua. Ma perché stavate litigando, venerdì?» «Ah, uh...» borbottò Chiara, arrossendo. Scosse la testa. «No, una scemenza. Comunque non so cosa volesse Ale, ho trovato la chiamata persa, ma poi non l'ho più richiam...» «Ah, sì, non disturbarti, cercava Nico, ha chiamato anche me» s'affrettò a rispondere. Chiara gli gettò un'occhiata sospettosa, poi si strinse nelle spalle e tornò a guardare davanti a sé. La strada in salita impegnava i polmoni di entrambi, così avevano una buona scusa per evitare la conversazione. Tre o quattro minuti dopo, le loro voci ripresero a intrecciarsi. «A proposito, volev...» «...ah, non so se sai...» «...scusa, vai» «No, no, parla prima tu» si scusò Alessandro, imbarazzato. Ritornò il silenzio, poi Chiara si schiarì la voce per annunciarsi all'interno della conversazione. «Ricordi il mio ex? Quello dei Gazebo Penguins? Sabato sera mi ha chiamata» disse tutto d'un fiato. Il ragazzo sentì contorcersi le viscere. «E che voleva?» sbottò; lei fece spallucce. «Non so. Mi ha invitata a un concerto, ma non so bene quali siano le sue intenzioni...» rifletté tra sé. «Beh, cosa può volere secondo te?» s'irritò Alessandro. Chiara gli rivolse uno sguardo incredulo. «Ma perché te la prendi così tanto, scusa?» chiese stupita. L'altro si rabbuiò, tornando con lo sguardo sulla strada. «No, niente» rispose. Evitò una collisione con un gruppo di turisti, poi la sentì sospirare al suo fianco. «Vabbè, tu che volevi dirmi?» lo incoraggiò. Alessandro ripensò al suo sabato pomeriggio, al tempo trascorso con Cinzia, a quei rapidi baci in metropolitana e a quel giorno e mezzo di messaggini. Si morse la lingua. «No, niente» ripeté ottuso. Chiara ridacchiò. «Certo che quando voi ragazzi v'immusonite, eh...» provò a prenderlo in giro, abbassando la voce mentre entravano nella seconda sede della giornata. L'altro alzò gli occhi al cielo. «Non me la sono presa, è che non ricordo più cosa volevo dirti, giuro» mentì ancora. «Vabbè...» fu il commento ricevuto in risposta, e la conversazione terminò lì.


La seconda lezione terminò per entrambi con un sonoro gorgoglio nello stomaco. Uscirono dall'aula come dopo anni di carcere e si riversarono nel cortile assieme agli altri studenti, cercando una panchina libera –o quantomeno qualche centimetro di muretto su cui sedersi. Alessandro impattò contro qualcuno; abbassò lo sguardo per scusarsi, convinto di aver urtato uno sconosciuto, e invece si ritrovò Cinzia a fissarlo con un largo sorriso. Il ragazzo si voltò verso Chiara, allarmato per un motivo che non riusciva a spiegarsi, e vedendola di spalle ne approfittò per tirare Cinzia lontano da lì. Rientrò nell'aula dalla quale era appena uscito, mescolandosi con gli studenti della lezione successiva. «Ehi, che ci fai qui?» domandò stupito. Lei gli gettò le braccia al collo, strofinando la fronte contro la sua guancia. Alessandro le baciò le labbra, lei si staccò e tornò a fissarlo con allegria. «Ti ho detto che non potevo pranzare con te perché avevo lezione alla mezza, non che alla mezza non fossi a Duomo. Ho lezione qui» ridacchiò. Lui alzò le sopracciglia, stupito. «Oh. Non lo sapevo» riuscì solo a dire. «Già. Chiara non c'è?» chiese Cinzia, prendendogli affettuosamente una mano. Il ragazzo cominciò ad agitarsi. «Oh, ehm, sì, Chia– Chiara è al telefono da qualche parte, sì» confermò, e prima che lei potesse rispondere: «A che ora finisci? Magari ci vediamo dopo le lezioni, ti va?» propose. Il volto ben truccato di Cinzia si illuminò. «Oh, sì! Finisco alle sei e mezza, certo che mi va!» confermò. Alessandro le diede un rapido bacio, poi indietreggiò verso la porta. «A proposito, bella maglia» si complimentò. Cinzia abbassò lo sguardo sulla propria t-shirt, rappresentante il logo dei Blink-182, poi lo rialzò sul ragazzo. «Grazie!» esclamò entusiasta. Lui sventolò una mano, uscendo dall'aula, e impattò nuovamente contro qualcuno. Gli occhi scuri di Chiara lo scrutavano con divertimento. «Ma dov'eri finito?! È un'ora che ti cerco!» rise. Lui le poggiò una mano dietro lo zaino, invitandola a seguirlo. «Ti avevo perso di vista. Vieni, andiamo a mangiare fuori che qui è tutto pieno» si affrettò verso l'uscita della sede. «Ma abbiamo quattro ore buca! Dove le passiamo quattro ore?!» si lagnò Chiara. Alessandro finse di non sentirla.

 

 



Note dell'Autore

Breve capitolo dedicato a Good Ale (o Ale-occhi-neri, o qualunque soprannome vogliate dargli –li adoro tutti) e i suoi turbamenti amorosi. Again, tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. Buona domenica sera a tutti!

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Capitolo 8
*** 8. ***


 

8.
 

«Sì, riferisco. Ti ho detto... Sì, ma ti ho detto che... Mh. Va bene, ci vado mo'. Oh, dici a Igor che ci sto andando. Non ti... Sì. Non ti preoccupare. Chicco... Eh, Chicc... Oh, hai detto venerdì, e per venerdì siamo online. Sì. Sì, ora non posso parlar... Eh, sto all'università. Dove cazzo dovrei appartarmi in un'università, scusa? ...ventimila. D'accordo. A stasera, parla con Igor, ciao».
Alessandro mormorava al telefono, coprendo bocca e microfono con la mano libera quando qualcuno gli passava accanto. Sembrava estremamente irritato, camminava veloce e con passo sicuro, puntando a un'aula del quarto piano. S'infilò di traverso in un gruppo di studenti in attesa dell'ascensore, uscendone a fatica per cambiare corridoio. «Odio questa sede del cazzo» borbottò tra i denti. Gettò un'occhiata all'orologio sul polso, alzò gli occhiali spingendoli con un dito sul ponte, poi si affrettò con una breve corsa. Raggiunse un altro gruppo di studenti intenti a entrare in aula, afferrando una ragazza per lo zaino. «Chiara!» la chiamò per indurla a voltarsi. La sua voce richiamò l'attenzione anche di un altro presente, e così si ritrovò a salutare anche il suo omonimo con un veloce cenno del capo. Prima che uno dei due potesse dire alcunché, il ragazzo unì le mani in segno di preghiera. «Cara, scusami se ti disturbo prima della lezione, ma è da ieri mattina che cerco Nico e non ho idea di che fine abbia fatto. Hai sue notizie?» domandò affabile con un sorrisetto preoccupato, sfoggiando tutto lo charme di cui era capace. Chiara aprì la bocca truccata in un'espressione di allarmata sorpresa. «Ale! No, non lo so... Però ci ha chiesto di prendere gli appunti per lui in questi giorni, ha detto di non poter seguire, giusto?» rispose gettando un'occhiata all'altro Alessandro, per nulla felice di essere stato interpellato. Grugnì in segno di assenso. «Va bene, grazie mille» si congedò rapidamente, rivolgendo un altro attraente sorriso alla ragazza. Chiara rimase ferma a guardarlo andar via, più che felice di essere stata d'aiuto, e l'amico fu costretto a trascinarla all'interno.
Alessandro scese gli scalini due alla volta, nuovamente con lo smartphone in mano. «Siri, chiama Mirko» ordinò all'assistente vocale, poi lo avvicinò all'orecchio. Iniziò a parlare appena l'altro accettò la chiamata. «Oh, mi serve la moto che ho un'urgenza a lavoro, sei a casa? Mi scendi rapido casco e giacca?» chiese affrettandosi all'esterno della sede. «Sì, die... cinque minuti e sto a Piazza Carità. Comincia a scendere, arrivo» si raccomandò prima di interrompere la chiamata. Non correva, limitandosi a camminare a passo molto veloce. «Siri, chiama Nico». Rispose la segreteria e lui imprecò sottovoce, affrettando il passo. Qualche minuto dopo, superata Piazza Carità e infilatosi in una delle tante stradine secondarie della città, focalizzò la propria attenzione su un ragazzo in lontananza. Lo raggiunse in breve, sfilando nel frattempo la borsa a tracolla e portandola con una mano.
«Per una volta che vai all'università con la moto hai un'urgenza a lavoro! Che sfiga, eh?» provò a conversare Mirko. Alessandro gli gettò un'occhiata distratta, impegnato com'era a recuperare e indossare la sua giacca di pelle. Alto quanto lui ma estremamente più esile, sbarbato, con una miriade di capelli rossi e occhi d'un verde chiarissimo, un allegro sorriso che gli sorgeva sulle labbra sottili. Alessandro registrò la sua presenza, ne prese atto e chiuse la zip della giacca senza fare commenti. «Devo proprio andare. Grazie» si premunì di risultare garbato anche in quella occasione, prendendo il casco chiuso dalle mani di Mirko e calzandolo senza altre perdite di tempo. Pochi secondi dopo era già in strada, in sella alla sua Yamaha nera, concentrato sul modo migliore per evitare il traffico.


 
Si attaccò al campanello, letteralmente. Poggiò il pollice sul pulsante e lo tenne premuto, resistendo al trillo incessante e senza staccare lo sguardo della porta. Come previsto, Nicola aprì meno di un minuto dopo.
Ad Alessandro non parve molto in forma, con le profonde occhiaie nerastre sugli zigomi e gli occhi arrossati. Indossava un maglione sformato e il pantalone di una tuta, senza scarpe. Intuì che non stesse per uscire. «Ma sei completamente rincoglionito?» sibilò Nicola nel vederlo. L'altro alzò le braccia, poi portò la mancina –quella libera dal casco– a sbattere contro la gamba, in segno di incredulità. «Mi spieghi che cazzo fai? Io ti dico che c'è un lavoro urgente da fare e tu sparisci per tre giorni?» chiese spiegazioni a bassa voce, fermo sullo zerbino e con gli occhi fissi sulla figura sfatta davanti a sé. Nicola manteneva la porta con una mano e il muro con l'altro, a mo' di transenna umana. Inspirò con calma. «Luca...» provò a spiegare, ma Alessandro cambiò argomento con un cenno della mano. «Sì, sì, ho capito, ne abbiamo già parlato. Ma hanno detto entro venerdì» «...e allora giovedì lo faccio, ciao» concluse Nicola chiudendo la porta. Alessandro infilò un braccio all'interno, bloccando quell'azione in un cigolio di pelle nera. «Aspetta!» lo richiamò. Il proprietario di casa spuntò di nuovo dalla fessura aperta. «Che altro c'è?» chiese ancora, sospettoso. Alessandro sospirò. «Non puoi farlo giovedì, porca puttana Nico, tu mi fai passare un guaio così» ragionò a mezza voce, grattandosi il mento irto. «Dai, apri, ti aiuto io. Luca dorme?» si propose. Nicola rimase in silenzio, titubante, poi aprì un po' di più la porta. «Sì. Ma... Non ti lascio solo con lui. E non possiamo fare casino in camera». «Ovviamente» accondiscese Alessandro. La porta venne aperta del tutto e il ragazzo all'esterno strofinò le scarpe sullo zerbino, entrando. «Permesso» si annunciò educatamente alla casa vuota. Nicola sbuffò, richiudendo delicatamente l'uscio. «Puoi evitarti la parte. Non c'è nessun altro» commentò amareggiato. Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, restando a osservarlo mentre riponeva casco, giacca e borsa. Fermo all'ingresso, Alessandro ne approfittò per aggiustarsi i capelli allo specchio. Venne preceduto verso la camera con un sospiro, ma noncurante del fastidio arrecato si limitò a seguire l'amico all'interno. Le imposte erano chiuse, così come la finestra; c'era un vago odore di chiuso. Luca respirava pesantemente sotto le coperte, e Nicola si accertò che stesse bene prima di dirigersi alla scrivania. Alessandro seguì il tutto con distaccato interesse, osservando la scena come un documentario su Discovery Channel, poi si avvicinò al computer. Trovò una schermata nera piena di caratteri che non comprendeva, alcuni dei quali in grassetto. «Che stavi a fa'?» chiese a bassa voce. «Compilavo» spiegò Nicola, chiudendo programmi e spostando file per tornare su un desktop pulito. Alessandro si chinò, sedendosi sul talloni e poggiando gli avambracci sulle ginocchia. Rimase in silenzio per un po' mentre l'altro compiva la solita routine pre-connessione. «...allora, come sei finito all'Orientale?» domandò improvvisamente. «Che vuoi dire?» mormorò di rimando l'altro ragazzo, senza smettere di digitare sulla tastiera consumata. «È dal secondo liceo che vuoi studiare informatica alla Federico. Che cazzo ci fai a lingue?» ripeté Alessandro, irritato come sempre quando non riceveva una risposta immediata e precisa. Nicola non vi badò. «Te l'ho detto che non mi interessano più queste cose» rispose lui con calma. Ci fu un altro momento di silenzio. «E perché lingue?» continuò quello, interessato. «Perché sì. Sei qui per fare conversazione o per lavorare?» fu Nicola a cedere all'irritazione, e quando si voltò verso l'altro si sentì momentaneamente disorientato. «Allora, cos– ma che ci fai lì a terra?» alzò di poco la voce, riabbassandola subito. Alessando lo guardò senza capire. «Perché?» «Prendi una sedia dalla cucina, no?» gli venne suggerito. Trovandola una proposta sensata, il ragazzo si alzò con uno sbadiglio. «Sì. Prendo anche il MacBook, aspetta».

Il lavoro di quella mattina consisteva in noiose operazioni di vendita online; non c'era spazio per le distrazioni, così lavorarono in silenzio per un paio d'ore. Col passare del tempo si erano messi comodi: Nicola era curvo sul computer, seduto su un tallone, mentre Alessandro si era liberato del maglioncino, restando con una semplice t-shirt nera, e osservava l'altro lavorare scivolando lentamente sulla sedia, con il fondoschiena al centro della seduta e le ginocchia ben distanziate tra loro. Ogni tanto l'addetto al computer si fermava, voltandosi a guardare il fratello e assicurandosi che stesse bene, prima di tornare al suo lavoro. Alessandro aveva cominciato a ticchettare con i polpastrelli su di un lato della sedia, quando lo schermo del suo cellulare –momentaneamente abbandonato sulla scrivania– s'illuminò. «Ti cerca qualcuno» lo informò Nicola senza distogliere lo sguardo dallo schermo. L'altro non rispose, raddrizzandosi con un verso di fastidio e recuperando lo smartphone. Cominciò a digitare silenziosamente. «Sbaglio o è l'ultimo iPhone?» domandò senza curiosità. «Mh-mh» confermò lui. «E la usi quella stronzata delle emoticon che si muovono con la tua faccia?». Alessandro gli scoccò un'occhiata di traverso. «Stai scherzando?» commentò. «Sì. Chi è?» continuò l'altro a bruciapelo. «Mirko» fu la nuova risposta, data con totale assenza d'inflessione nella voce. «Mh» mugugnò Nicola. Continuava a badare al pc. Alessandro sorrise per qualcosa sullo schermo, continuando a scrivere. «Ti spiace andare fuori? Mi distrai» s'innervosì l'amico, ancora senza voltarsi, e lui ripose il cellulare sulla scrivania. «Che due coglioni che sei» se ne lagnò, alzandosi dalla sedia e andando a gettarsi sul letto libero. «Shh!» lo rimproverò Nicola; di tanto in tanto adocchiava il portatile accanto al proprio computer, consultando file, prezzi e dettagli dei prodotti. Alessandro spaziava con lo sguardo sugli oggetti presenti nella camera. «Certo che non hai davvero cambiato niente in questi mesi, eh» notò. «Questo l'hai già detto» commentò il ragazzo a mezza voce, e poi: «Vuoi stare zitto? Se si sveglia Luca mi incazzo» insisté. Alessandro sbuffò, si stese a braccia e gambe aperte con lo sguardo rivolto al soffitto. «Una volta eri più veloce...» «Una volta ero un coglione senza altri pensieri» fu la rapida risposta. Disteso sul letto, si girò su un fianco per avere l'altro nella propria visuale. «Nico, tu già facevi merda simile quando ti ho conosciuto, è inutile che ora fai il santarellino di 'sto cazzo». Ci fu qualche momento di silenzio, riempito solo dal battito sulla tastiera. «Facevo cose innocue, non mi occupavo di black market nel deep web, quindi...» «Cose innocue? Dillo a Mauro!» esclamò incredulo Alessandro. Nicola si voltò finalmente a guardarlo, ancora con una mano sospesa a mezz'aria sulla tastiera. «Che vuoi dire?» borbottò perplesso; l'altro sembrava divertito. «Che voglio dire? Gli hai hackato la webcam, l'hai ripreso mentre si faceva una sega e l'hai trasmesso durante il discorso di fine anno, davanti al resto della scuola. La chiami cosa innocua?» ridacchiò. Nicola arrossì, imbarazzato, e tornò a voltarsi al computer. «Non rompere i coglioni, eravamo al liceo» provò a sminuire il racconto. Restarono in silenzio un altro po', quando l'iPhone s'illuminò di nuovo. «Di' a Mirko di non rompere i coglioni» ringhiò Nicola. Alessandro si alzò dal letto, sgranchì la schiena, prese lo smartphone e lo usò con un pollice, annoiato. «Vuole sapere che urgenza ho avuto al lavoro. Che caro» lo avvisò con un sorrisetto. L'altro scosse la testa. «Ce l'hai come missione di vita?» «Cosa?» «Quella di prendere per il culo la gente. A proposito, sta' lontano da Chiara» buttò lì ancora a mezza voce. Il ragazzo in piedi, al suo fianco, trattenne a fatica una risata. «Ma è uno spasso, dai. Quel tuo amico schiatta appena mi vede da lontano» gorgogliò, fiero di quella constatazione. Nicola scrollò le spalle. «Ma almeno ti piace?» domandò a tempo perso. Alessandro si lasciò andare a un'onomatopea da presa in giro. «Ti prego, peserà cento chili...» «Ah, già, dimenticavo. A te se non c'hanno complessi di qualche tipo non ti piacciono» lo sovrastò Nicola. Alessandro gli passò una mano tra i capelli. «Dai che ti fa piacere» sogghignò enigmatico. «Vaffanculo» concluse Nicola, e rimasero in silenzio per un'altra mezz'ora.
 
Fu lo stomaco gorgogliante del proprietario di casa a suggerire loro di guardare l'orologio. «È la mezza. Mangiamo qualcosa?» propose Alessandro. «Mangerai quando sarai uscito di qui» ribatté Nicola. Parlavano ancora a bassa voce, e il conseguente sbuffo dell'ospite fu la risposta più rumorosa. Si alzò in piedi, avvicinandosi alla sedia e tirando il ragazzo per un braccio. «Dai, ho fame. Sveglia Luca e pranziamo» provò a convincerlo. Nicola alzò gli occhi al cielo, salvò le modifiche al computer e si alzò senza fare rumore. «No, si è addormentato appena prima che tu venissi, lascialo dormire» mise un punto fermo alla questione; Alessandro scrollò le spalle, si diresse verso il salotto e aspettò che Nicola lo seguisse. Con la porta chiusa fra le due stanze potevano parlare più liberamente. Mentre uno ravanava nel frigo, l'altro si poggiò al tavolo col bacino; con le mani nelle tasche dei jeans rimase fermo a guardarlo muoversi per la stanza. «Ce l'hai ancora con me?» chiese di getto. L'altro non si voltò, aprì il cassetto delle posate e ne estrasse un coltello da cucina. «Per cosa?» si limitò a chiedere. Alessandro fece spallucce. «Non so, per...» «No» tagliò corto Nicola, poi sembrò ripensarci: «Ce l'ho con te perché sei un bugiardo, manipolatore, egocentrico, narcisista e...» «E bellissimo, anche?» scherzò l'altro. Nicola si voltò a fissarlo con aria disgustata, poi tornò a tagliare in due un panino. «Scherzavo. Mi stai dando del sociopatico?» «Tu SEI sociopatico!» «Forse. Che male c'è?» commentò Alessandro, nuovamente intento a grattarsi il mento. Nicola gli si avvicinò, poi sbatté un piatto di carta sul tavolo. «Panino al prosciutto. Muoviti a mangiare, ché prima finisco e prima te ne vai» commentò irritato. Tornò al bancone della cucina, si poggiò a esso in modo simile a quello dell'altro, e addentò il proprio panino senza perdere di vista l'ospite. Alessandro fece una smorfia, prese il suo pranzo dal piatto e si diresse al divano, accomodandovisi pesantemente.
 «Di' un po', perché hai il cellulare spento?» continuò a fare domande. Lo sentì masticare, poi: «Così nessuno può rompere, ma a quanto pare per te questa cosa non vale». Lui sghignazzò. «Ehi, in cinque anni ho imparato a conoscerti» gli fece notare. Continuarono a mangiare in silenzio; c'era sempre una tensione più o meno latente tra loro. «Quindi a Mirko non l'hai detto?» proruppe Nicola, improvvisamente. «No» «Come mai?» «Scusa, perché avrei dovuto? Fa il barista, è praticamente inutile. Ma perché ne stiamo parlando?» commentò annoiato, portando lo sguardo sulla figura dell'amico; quello si strinse nelle spalle, apparentemente a disagio. Alessandro alzò un angolo della bocca in un sorrisetto, riprendendo a mangiare senza commentare nulla per qualche minuto, poi: «Ammettilo, ne sei contento» «Di che cosa?» «Di questa cosa, di tutto» rimase vago. Nicola scosse la testa. «Te l'ho detto: mi stai minacciando. Tu piantala di diffondere i miei dati in liste...» «Oh, andiamo, era solo uno scherzo!» s'indignò lui, interrompendolo. «Ah, ora dire in giro che vendo materiale pedopornografico lo chiami scherzo?». Alessandro gonfiò le guance per esprimere fastidio. «Te l'ho detto, è stata...» «Un'idea di Chicco, sì, sì, me l'hai già detto. Ma dato che ho un fottuto fratello di undici anni e non ho voglia di trovarmi i carabinieri in casa a smontarmi i device elettronici, che ne dici di piantarla con queste stronzate?» ringhiò improvvisamente. Alessandro alzò le mani, ancora con il panino mangiucchiato stretto nella destra. «Calma, oh. Come sei sensibile. Alla fine rivendi armi di contrabbando, tra i carabinieri e la DIGOS non ci vedo chissà che differenza» commentò. Nicola lo fissò come se avesse a che fare con un idiota, poi scosse la testa e tornò al cibo, rinunciando alla discussione. Alessandro fissò per un po' l'interno del proprio panino.

«Oh, Nico. Tralasciando il resto, mi piace lavorare con te» tentò un approccio gentile. «Smettila, non ce n'è bisogno. Risparmiati per i colleghi all'università» lo fermò il diretto interessato. Alessandro l'osservò terminare il pranzo, ancora con metà del proprio fermo tra le mani. Batté le palpebre per qualche momento, in una confusione inusuale per lui. «Ma dico davvero...» «Sì, okay. Possiamo tornare a lavorare o vuoi fare salotto per un'altra mezz'ora?» rispose lui. Il tono era ostile, e le braccia incrociate non suggerivano apertura alla conversazione. Alessandro si sentì giudicato; si alzò dal divano, dirigendosi verso il tavolo e gettando in malo modo il panino nel piatto. «Sei proprio un bambino. Non ho più fame» sbottò tornando in camera. Nicola rimase fermo lì per qualche altro momento, poi lo raggiunse senza dire un'altra parola. Tornarono a lavorare in silenzio, con una tensione maggiore e il forte desiderio, da parte di entrambi, di terminare rapidamente il lavoro. Impiegarono un'altra mezz'ora per mettere il tutto a punto, e quando Alessandro richiuse il portatile nella borsa ci fu un momento di silenzio e immobilità generale. Entrambi fissavano la borsa appena richiusa, ma sembravano bloccati appena prima del congedo; il ragazzo era pronto per andar via, con il maglione indossato, la giacca chiusa in petto, il casco a portata di mano e lo smartphone in tasca. Con inusuale flemma recuperò la borsa, mettendola a tracolla, poi si grattò distrattamente la nuca. «Senti Nico, ti va se...» iniziò una frase stroncata sul nascere. Nicola gli porse il casco. «No, non mi va» rispose seccamente. Si fissarono per un momento negli occhi; Alessandro si sentì incapace di oltrepassare l'ostilità dell'altro, nonostante il suo naturale saper sfruttare l'insieme di carisma, educazione e bell'aspetto che si ritrovava. Sospirò, poi si diresse alla porta. Nicola lo seguì con lo sguardo, ancora a braccia conserte, e aspettò che uscisse di casa per chiudere a chiave. Non si salutarono.

 

 



Note dell'Autore

Mi sembrava giusto dedicare, invece, un capitolo a "Evil Ale" (amo amo amo i vostri soprannomi!). Again, tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. Buon inizio settimana!

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Capitolo 9
*** 9. ***


9.

 
Chiara era solita affrontare il suo viaggio in metropolitana armata di auricolari e giochi sul cellulare. Undici fermate erano tantissime per potersi limitare a fissare il pavimento, così si armava già da casa con file mp3, applicazioni per smartphone e la pazienza necessaria. Quel giovedì pomeriggio in particolare, mentre attendeva la metro, si premunì di controllare il livello di batteria segnalato con un popup di "Batteria scarica". Sospirò, temendo la noia del ritorno a casa, e cominciò a fischiettare sommessamente. Impegnata com'era nel suo far nulla non notò, almeno in un primo momento, una figura al suo fianco; trasalì solo quando l'altra persona si schiarì la voce, palesando la propria presenza. Chiara si girò con stupore. «Gio!» esclamò nella sua direzione. L'altro le sorrise. Non era molto più alto di lei, né era particolarmente in forma, avvenente o affascinante. I capelli neri e sottili, lunghi fino alle spalle, erano legati in una coda bassa; la barba morbida e adolescenziale, ancora irregolare, gli arrivava alle guance arrossate come macchie allergiche; il naso dalle narici larghe si stagliava al centro della faccia pallida e rotonda. Si osservarono per qualche momento, entrambi alquanto timidi. «Uh, ti trovo bene» prese la parola il ragazzo, imporporando le gote dell'altra. «Che... Che ci fai qui?» chiese l'interessata. Lui si strinse nelle spalle. «Non mi hai più richiamato dopo settimana scorsa, così... Ero nei paraggi, in realtà ti ho vista per caso e mi sono avvicinato» si giustificò. «Sì, a proposito...» iniziò a rispondere lei titubante, ma l'espressione speranzosa di Giovanni la fece sentire a disagio. «Ecco, Gio, io...» tentò di nuovo, distogliendo gli occhi da quelli marroni di lui. «Io non credo che noi...» «Porta anche i tuoi amici!» «Uh?». I loro sguardi tornarono a incrociarsi. «Sì, porta anche i tuoi amici. Mi va solo di vederti per una sera, senza impegno, e se ti senti a disagio puoi sempre andar via, non è un appuntamento. Allora, che te ne pare?» propose nuovamente il ragazzo. «Appendo i ragazzi e ci vado con voi» aggiunse con un sorriso d'incoraggiamento. Chiara, messa all'angolo, riuscì solo a sospirare. «...va bene, ne parlo con gli altri, okay?» acconsentì titubante, distogliendo di nuovo lo sguardo. L'altro si esaltò. «Grande!» fu il suo unico commento, poi una voce metallica annunciò l'arrivo della metro e la loro attenzione fu deviata sul treno in arrivo.
 
*
 
Le sue labbra erano estremamente morbide, senza rossetto e con burrocacao fruttato, adolescenziale. Alessandro sentiva la pelle calda della ragazza sotto le mani, carezzandola al di sotto della maglia larga, e il sapore della sua bocca nella propria. Lei respirava tremante, con le guance in fiamme e le mani sudate, lasciandosi toccare il corpo. Le mani maschili arrivarono senza fretta ai gancetti del reggiseno, un indice s'intrufolò sotto l'elastico e provò a scorrere sul petto, pronto a fermarsi al primo ripensamento dell'altra. Lei gli si strinse contro, incoraggiandolo ad andare avanti, e il materasso del suo letto cigolò appena. Ridacchiò, imbarazzata a quel tocco lieve, e Alessandro sorrise senza allontanare il volto. «Ho perso Letteratura Inglese per colpa tua» finse di rimproverarla; lei rispose sfiorandogli le labbra con le proprie. «Sei ancora in tempo per andar via, se vuoi...» «Neanche per idea!». Risero di nuovo, poi Cinzia lo tirò gentilmente verso di sé, ritrovandosi distesa sul letto. Il ragazzo si bloccò, un ginocchio puntellato sul materasso e un piede ancora a terra, e la fissò con sguardo serio. «Sei assolutamente sicura?» chiese conferma. Lei annuì con un sorriso lieve e lui tornò a baciarla con trasporto. I vestiti si accumularono rapidamente sul pavimento.
 
*
 
«Sono stanco morto» sbottò accomodandosi sul letto. L'altro ragazzo chiuse la porta a chiave, poi sfilò la polo e la gettò su una sedia, rivelando un petto chiaro e glabro. «Il turno mi inizia tra mezz'ora, ho giusto il tempo di farti rilassare un po'» ammiccò lascivo, poi spense la luce. La stanza rimase illuminata solo dai giallognoli lampioni stradali, e il silenzio tra i due presenti fu riempito dalla frenetica vita dei passanti. Due polsi si mossero sulla zip di un paio di jeans, liberando le gambe e poi il busto da un maglione scuro, irriconoscibile nella penombra; gli stessi polsi corsero al materasso, puntellandosi per reggere il busto curvato all'indietro, e altri due polsi scivolarono sulle gambe allenate, villose, seguiti da mani snelle e labbra sottili. Un lieve sospiro si trasformò in un appena accennato, non trattenuto movimento del bacino. Accarezzò i capelli mossi che trovò a portata di mano, li strinse sentendoli morbidi tra le dita, li tirò lontani dal proprio corpo e invitò l'altro corpo, bollente come il suo, a stendersi sul letto. Comunicava in silenzio, a gesti, ottenendo quanto desiderato; scivolò con una mano sulle curve familiari sotto di sé, poi si chinò a baciarne la schiena.
 
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Fu uno strano viaggio in metropolitana, e quando arrivarono a destinazione l'aria tra loro si era di molto distesa: scherzavano, ridevano, rievocavano vecchi ricordi. S'incamminarono insieme nella brezza serale, vicini e lentamente, nessuno dei due troppo desideroso di andar via. Chiara gorgheggiava e Giovanni l'adulava, complimentava, occhieggiava con desiderio, forse con affetto; nonostante la paura del dolore, la ragazza non riusciva a non compiacersene. Dalla fermata della metro era una strada in comune per entrambi, e rimandarono il momento del congedo al più tardi possibile. La casa di Giovanni fu quella incontrata per prima, e i due si constrinsero a fermarsi; l'imbarazzo tornò a formarsi tra loro. «Beh... Ci sentiamo» salutò rapidamente Chiara, ma l'altro l'afferrò per un avambraccio prima che potesse allontanarsi. «Aspetta Chia'... Non ti va di salire? I miei non ci sono, potremmo guardare un film o qualcosa del genere» propose di getto, come secondo progetto inopportuno della serata. Chiara scosse rapidamente la testa. «No, Gio... Non mi pare il caso, scusami» mormorò a disagio. Lui provò ad abbracciarla e lei lo lasciò fare, ma quando le labbra maschili cercarono le sue dal rossetto mangiucchiato, lei evitò la traiettoria sfiorandogli un bacio sulla guancia. «Ci sentiamo» ripeté a sguardo basso. Lui strinse le labbra, deluso. «Sì, ci sentiamo... Buonanotte» la salutò. Lei alzò una mano, sovrappensiero, e si allontanò alla volta di casa propria.
 
*
 
Il sole era tramontato, ma nessuno dei due aveva intenzione di alzarsi. Cinzia aveva gli occhi chiusi, con una guancia poggiata contro il petto di Alessandro e il corpo seminudo nascosto alla vista da una coperta. Si erano rivestiti del solo intimo prima di rilassarsi, Alessandro alzandosi per necessità e Cinzia per pudore, tornato a farsi sentire con forza dopo il rapporto. Mentre lei si limitava a godersi quell'abbraccio, lui fissava il soffitto con un sorriso ebete dipinto in volto; le accarezzava distrattamente la schiena, ancora troppo appagato per godersi la tranquillità. Fu lo squillo del cellulare di Cinzia, una sonora schitarrata heavy metal, a sconvolgere la perfetta beatitudine di Alessandro e a spingere la ragazza verso lo smartphone sul comodino. Diede un'occhiata allo schermo, si accigliò e accettò la chiamata. «Chiara?» si preoccupò, seduta con le coperte sulle ginocchia. Alessandro seguì la sua figura magra con lo sguardo, godendone mentalmente, quando quel nome gli impose un'improvvisa lucidità mentale. Si alzò a sedere a sua volta, il petto magro e irsuto a freddarsi nell'aria. Seguì la conversazione tra le due ragazze con un vago senso di disagio. «...e tu che gli hai detto? Chia'... No, Chia', dai. Ma ti ha... Ti ha preso in giro!» rispondeva rapidamente Cinzia; si voltò quindi verso Alessandro, alzando la mano libera per chiedergli di aspettare, poi si alzò dal letto e scalza, coperta dai soli slip e reggiseno, si diresse verso l'uscita della camera. «Ma che stronzata è?» la sentì sbottare al telefono. Dopo un momento di solitudine, ancora intento a fissare lo spazio vuoto lasciato dalla ragazza, Alessandro tornò a stendersi con uno sbuffo. Il buonumore era scomparso.
 
*
 
Non aveva molta voglia di giostrare il tutto; così, dopo un paio di minuti in cui la sua concentrazione rischiò di svanire, si staccò dall'altro corpo per gettarsi pesantemente sul materasso. «Sali tu sopra» mormorò con voce roca, toccandosi distrattamente per garantirsi una buona prestazione. L'altro non se lo fece ripetere due volte, portando una gamba all'altro lato del corpo sotto di sé, e muovendosi senza fretta. Il ragazzo disteso fissava il soffitto buio, con la mano sinistra poggiata sull'altro, voluttuoso bacino, e il braccio destro ripiegato sotto la nuca. Il piacere fisico non riusciva a connettersi a quello mentale e così i pensieri vagavano incontrollati, noncuranti degli ansimi di piacere di cui era artefice. Un suono estraneo s'intromise in quel rapporto, la vibrazione di un iPhone poggiato sul comodino.
Senza pensarci troppo, la mancina si staccò dalla pelle sudata dell'altro e andò al dispositivo, alzandolo per permettere agli occhi chiari di leggere la notifica. "O giù, 2F su, -15% ev., DDoS x3. Problema, richiama ASAP" recitava il messaggio. Gli occhi si spostarono sul nome del contatto, poi sulla persona realmente presente nella stanza, evidentemente non disturbata da quella distrazione. Lo sguardo ritornò sul contatto, ancora online. "E che cazzo, chiamami!" arrivò ancora. L'altro componente del rapporto rallentò gradualmente, sino a fermare del tutto il proprio movimento. «Ci sono problemi?» chiese titubante; non sembrava irritato, solo dispiaciuto. «Scusa, devo fare una telefonata urgente» rispose l'altro. L'amante capì il sottinteso, staccando il proprio corpo senza ribattere e tornando con i piedi nudi sul pavimento. Raccolse i propri vestiti, si diresse alla porta e l'aprì su di un corridoio illuminato. «Vado a prepararmi per il lavoro. Non preoccuparti di chiudere a chiave, tanto fra un'ora tornano i miei» mormorò con tono appena deluso. «Mh» fu l'unico commento che ebbe. Gli occhi ancora immersi nell'oscurità si spostarono, solo per un attimo, sulla silhouette alta e magra ferma sull'uscio, non fremendo né nel cuore né più in basso, dov'era ritornato in stato di riposo. La porta si richiuse, e rimasto solo finalmente portò il cellulare all'orecchio; il destinatario rispose dopo un solo squillo.
«E che cazzo Ale, si può sapere dov'eri finito?» iniziò la conversazione una voce irritata. L'altro sorrise. «Che ti frega, ti ho chiamato, no?» rispose in sua difesa. «Sì, beh, qui ci sono problemi. A casa c'è mia madre, quindi dobbiamo vederci altrove. Da te c'è qualcuno?». Alla domanda seguì un breve silenzio. «Sì, beh non sono a casa mia» rispose con calma Alessandro. Il silenzio che ne seguì fu più lungo del precedente. «...quanto tempo ci metti per tornare?» venne chiesto con voce forzatamente atona. Alessandro si alzò a sedere, si grattò un fianco con la mano libera e andò all'interruttore della luce, ancora nudo. «Sono con la moto, dammi mezz... Venti minuti». Cominciò a raccogliere i vestiti dal pavimento, dove li aveva lasciati non troppo tempo prima, e non si stupì del silenzio glaciale di cui lo donava l'altro. Sospirò. «Senti Nico, se possiamo vederci a metà strada...» «No, non possiamo vederci a metà strada» ringhiò lui. Altro silenzio; l'iPhone era incastrato fra spalla e orecchio. «Non rompermi i coglioni però, eh. È giovedì sera, dovrei essere in chiesa?» ironizzò infilando i boxer. Gli arrivò uno sbuffo, per niente divertito. «Pensa a muoverti, non ho tutta la sera. Salutami Mirko» concluse Nicola con disprezzo, interrompendo improvvisamente la chiamata. Alessandro recuperò il cellulare con la mano destra, fissando sorpreso lo schermo. «Ma tu guarda che stronzo!» esclamò divertito.

 

 



Note dell'Autore

Per essere un racconto romantico mancavano un po' troppo i risvolti amorosi, e oltre le ore buca all'Università è importante anche sapere cosa succede dopo​, l'Università...
NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.

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Capitolo 10
*** 10. ***


10.

 
«Quella giacca però è carina!» indicò Mirko con l'anulare della mano destra. La sinistra era ben stretta attorno all'avambraccio di Alessandro; molto più rilassato dell'altro, con le mani in tasca e la schiena dritta, osservava la vetrina con fare disinteressato, stringendo gli occhi attraverso il vetro degli occhiali. «Se lo dici tu. Non apprezzo molto lo stile marinaresco» commentò. Mirko gli poggiò una tempia sulla spalla, solleticandogli il collo con gli irregolari ciuffi rossi. Alessandro sapeva in che direzione stava per volgere quella conversazione, così l'anticipò con un sospiro. «Ma se ti piace così tanto... Sì, perché no, dai. Te la prendo» acconsentì senza battere ciglio. Mirko si schiuse in un grosso sorriso di soddisfazione. «Sììì...» sussurrò per prenderlo in giro, poi si raddrizzò lasciando andare il suo braccio. «Grazie, sei un amore» aggiunse senza smettere di sorridere. Alessandro fece spallucce, recuperò un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca e lo aprì portandolo alla bocca, estraendone una sigaretta con le labbra. «Più tardi passo da te. A che ora stacchi?» farfugliò riponendo il pacchetto e cercando la zippo. Mirko fece una smorfia con la bocca. «Oggi farò tardi, mi toccano gli straordinari! Martedì scorso...» cominciò a spiegare, improvvisamente interrotto dall'arrivo di due studenti. «Ehi, Ale!» trillò una voce femminile. Alessandro interruppe gli scatti dell'accendino, tirando aria perché s'incendiasse il tabacco, e alzò lo sguardo sulla proprietaria di quell'accento acuto. «Ciao cara. Ale. Già in giro?» salutò senza enfasi, tornando con le mani libere e occupando immediatamente la destra. Reggeva la sigaretta in modo molto classico, tra indice e medio, allontanandola dalle labbra per espirare il fumo. «Sì, in realtà abbiamo già finito la prima lezione, stiamo andando a Duomo... Come mai stamattina non sei venuto al bar? Hai mancato il nostro appuntamento del lunedì mattina!» si lagnò in modo infantile. Mirko lanciò un'occhiata turbata ad Alessandro, l'altro Alessandro ne lanciò una incuriosita a lui, e Chiara finalmente si accorse della figura estranea. Si fermò a fissarlo con un sorriso incerto, in attesa delle presentazioni. Alessandro lasciò andare uno sbuffo di fumo, poi mosse la mano destra nelle due direzioni opposte cui si trovavano gli altri. «Chiara, lui è Mirko. Mirko...» lasciò cadere la frase. Dopo un attimo, accuratamente soppesato, aggiunse: «Oh, e lui è Alessandro». Mirko porse mollemente la mano a entrambi, aggiungendo un «Ciaaao!» prolungato e dal tono troppo acuto. Chiara mosse lo sguardo tra i due conoscenti, come interdetta, poi cominciò a giocherellare con i suoi ricci. «Uh, sei un... Suo amico?» chiese titubante, temendo di risultare troppo invadente. Alessandro sospirò, lasciando cadere la cenere sul marciapiede, mentre l'altro Alessandro si spostava di qualche passo, continuamente urtato dai passanti. Si ritrovò accanto al suo omonimo, a respirare la sua colonia costosa. «Già. Ora Mirko deve andare a lavoro» rispose lui per l'altro, congendandolo da quella conversazione. Mirko annuì, accondiscendente, e si voltò a guardarlo. «Già. Ci vediamo più tardi», confermò. Alessandro gli ammiccò con un sorrisetto, Mirko ricambiò a mo' di saluto tipico, poi mosse una mano sottile verso gli altri e si allontanò verso il porto.  «Allora... Vieni anche tu a Duomo, oppure...?» chiese Chiara dondolando sui talloni. Alessandro ritornò a guardare la vetrina del negozio d'abbigliamento. «No, no. Oggi ho da fare. Inoltre non seguo tutto, molti corsi sono inutili...» mormorò, come riflettendo tra sé. Chiara rimase in silenzio per un momento, in attesa che ritornasse a guardarli, ma sembrò essersi dimenticato di loro. «Okay, allora ci vediamo...?» continuò titubante. Alessandro non rispose, continuando a fumare, poi tornò a guardare la ragazza mentre già gli rivolgeva le spalle. «Oh, Chiara!» la richiamò. Lei si voltò con aria speranzosa. «Hai mica sentito Nico di recente?» domandò senza cambiare espressione; quella di lei tornò perplessa. «Oh... Sì. Oggi dovrebbe venire a lezione» ricordò, cercando lo sguardo dell'amico per averne conferma; l'altro Alessandro, in preda a terribili complessi d'inferiorità, era intento a fissarsi le scarpe. «Mh-mh. Allora ci vediamo più tardi» congedò annoiato anche loro, ritornando alla sua attività principale. Chiara e Alessandro, quest'ultimo sollevato dal termine della conversazione, si allontanarono senza aggiungere altro.  
 
*  

«Nicooo!» esclamò Chiara gettandogli le braccia al collo. Gli avevano tenuto un posto in seconda fila, nonostante i brontolii di chi era stato ricacciato indietro. Il ragazzo le rivolse un sorriso un po' forzato. «Ciao Chiara. Ehi, non te l'ho ancora detto di persona, scusami. Ci sono stati dei problemi fra me e...» provò a giustificarsi, ma l'altra scosse la testa. «Non ti preoccupare! Anzi, scusami tu. Ci ero rimasta un po' male, ma...» fece spallucce. Cercò ancora una volta lo sguardo di Alessandro, seduto accanto a lei; le piaceva sedersi al centro, per poter conversare con entrambi. «Prima lo abbiamo incontrato con un amico, non è stato molto socievole» continuò lui, interpellato. Nicola si accigliò. «Che amico? Cioè, vi ha detto il nome?» domandò. «Mirko» si affrettò a rispondere Chiara, felice di poter spettegolare. «Era anche lui a scuola con te? Ma quanto è strano?!» bisbigliò divertita. Nicola aveva l'aria di aver appena ricevuto uno schiaffo. «Ah» gorgogliò semplicemente. Batté le palpebre un paio di volte, cercando una risposta adeguata. «Sì, hai ragione. Ѐ strano» convenne con lei. Mentre organizzavano i quaderni sui banchi, Chiara riprese a chiacchierare con Alessandro della lezione precedente, alla quale Nicola era mancato. Quest'ultimo, impegnato a copiare gli appunti dell'amica, si sentì improvvisamente battere sulla spalla destra da due dita poco pesanti. Si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con un coetaneo bruno, sbarbato, dal viso affilato e gli occhi chiari, d'un verde misto grigio particolarmente inusuale. Lo fissò per qualche secondo, non capendo, e l'altro aprì bocca senza emettere suono. La richiuse dopo un momento, abbassò lo sguardo in modo imbarazzato, lo rialzò su Nicola e lo riabbassò nuovamente. Provò nuovamente a parlare, ma ancora una volta non ne trovò la forza. «...sì?» provò a incoraggiarlo. Lo sconosciuto si guardò intorno in modo circospetto, poi spostò lo sguardo negli occhi scuri davanti a sé e tornò a riabbassarlo una volta ancora. «Senti...» iniziò con voce bassa e sottile. Nicola cominciava ad agitarsi, cercando di ricordare se avesse già visto quel ragazzo da qualche altra parte. Non gli sovvenne nulla. «Mi sembri un tipo piuttosto discreto, quindi credo tu non l'abbia fatto, cioè, sì, ehm, volontariamente...» mormorò quello, enigmatico. Nicola era sempre più perplesso, e aveva cominciato a guardarsi anche lui intorno, lievemente in ansia. Aspettò che l'altro riprendesse a parlare. Lo fece dopo un altro sospiro. «Sì, insomma, hai lasciato la localizzazione attivata, e così...» lasciò cadere la frase. In cambio ottenne un'occhiata interrogativa. Si fissarono per qualche momento, in silenzio, senza capirsi a vicenda. «Il GPS» ripeté l'altro. «Eh» confermò lui. Altri momenti di imbarazzato silenzio. «C'è la... La localizzazione attivata. Nelle app» fu precisato. «Eh» continuò ottusamente lui. Quello sospirò. «Risulta la tua localizzazione su...» si decise a parlare chiaro, ma Nicola esclamò un «Oh!» imbarazzato, arrossendo violentemente. Lo sconosciuto intuì che avesse finalmente compreso e riabbassò lo sguardo, anche lui imbarazzato. «Grazie, sì, non era... Non era volontario, grazie...» biascicò Nicola, estraendo in fretta il cellulare dalla tasca dei jeans e digitando freneticamente, ancora voltato all'indietro. L'altro gli sorrise timidamente. «Figurati, tanto non è che... Cioè, anche se non vuoi... Sì, non è che possano vederlo tutti, no?» provò a consolarlo lo sconosciuto. Nicola annuì, deglutendo a vuoto. «Sì, sì, grazie» abbozzò un mezzo sorriso, ancora paonazzo, poi si voltò verso la cattedra. Chiara tornò a guardarlo.   
«Ehi, che è successo?» gli chiese sbigottita. Nicola non si voltò a guardarla, battendo le palpebre per impedire agli occhi di lacrimare. «Oi?» lo incoraggiò lei. «Niente. Ho fatto una figura di merda» biascicò lui senza voltarsi. Chiara ridacchiò. «Però sono curiosa, non puoi dirmi solo così, dai» continuò ridendo. Tirò il braccio ad Alessandro, coinvolgendolo nella conversazione, e quando ebbe l'attenzione di entrambi riprese a parlare. «Okay, devo dirvi una cosa» cominciò. Entrambi si voltarono a guardarla. «Vi ho mai parlato del mio ex? Gio?»  introdusse l'argomento. Iniziò un altro gioco di sguardi: Nicola scoccò un'occhiata ad Alesssandro e Alessandro portò gli occhi al pavimento, ancora una volta con una sensazione cocente in petto. Provò a portare la mente a Cinzia, che lo aspettava alla fine delle lezioni. «No» rispose Nicola per entrambi, girando il busto verso l'amica. Lei sospirò. «Ѐ un mio vecchio compagno di scuola, siamo stati insieme due anni, poi...» s'interruppe, stringendo le labbra in un'espressione addolorata. «Eeeh, niente. Si mise con la mia migliore amica dell'epoca» sospirò. Nicola ghignò. «Ma dai, che migliore amica era?» la prese in giro, guadagnandosi uno sguardo tagliente. «Non rigirare il coltello nella piaga. Comunque... Ci siamo rivisti qualche giorno fa. Per puro caso» aggiunse dopo un attimo verso Alessandro, come premunendosi a specificarlo. Alessandro annuì, dando segno di attenzione. «Beh, in pratica mi ha invitato a un concerto, però ha detto solo così, in amicizia, perché ha voglia di rivedermi, e ha detto di invitare pure i miei amici, così magari mi sento più a mio agio e roba del genere» terminò tutto d'un fiato. «Ma...» iniziò  Nicola, rapidamente preceduto da lei. «Si sono lasciati» provò a indovinare la risposta; il silenzio del ragazzo fu sufficiente. «Che concerto è?» chiese Alessandro dopo un momento. «The Do a Napoli» si affrettò a rispondere lei, speranzosa, e l'altro: «Uh, figo. Certo, ci veniamo volentieri. Eh Nico?» chiese conferma all'amico con un'occhiataccia; Nicola si limitò ad annuire senza pensarci su. Chiara sorrise con gioia. «Grande!» commentò allegramente. 
 
Il cellulare gli vibrò un po' prima della fine delle lezioni. Il cielo si oscurava, fuori pioveva e l'umore generale non era dei migliori; Chiara e Alessandro erano seduti accanto a lui e non sentiva nessuno al di fuori dei suoi due colleghi−amici, quindi si agitò ancor prima di controllare il cellulare, temendo un messaggio di sua madre o dell'altro Alessandro; l'idea che potesse essere un avviso del suo gestore non lo sfiorò minimanente, né immaginò che potesse essere un'app diversa da Whatsapp o quella predefinita per i messaggi. Quando notò l'icona in alto a sinistra assottigliò gli occhi, aprendo la notifica e leggendo rapidamente nel balloon azzurro. "Spero di non disturbarti. Stamattina eri così imbarazzato che mi sono sentito in colpa", recitava. Nicola scoccò un'occhiata al professore di letteratura, poi digitò febbrilmente al di sotto del banco. "Non preoccuparti", scrisse. "Mi sono iscritto da poco e non ho pensato a disattivare la localizzazione". Inviò il messaggio e bloccò lo schermo dello smartphone, intenzionato a seguire la lezione, ma la risposta arrivò immediata. Lo sguardo tornò verso il basso. "Ah! Single da poco o in esplorazione?". Seguiva uno smile, cui il ragazzo non sapeva che significato dare. Ci rifletté su, gettando un'occhiata a Chiara −ben concentrata sulle parole del professore. "Nessuna delle due. Ero annoiato, non parlo con molta gente e così..." tornò a scrivere. La seconda volta non provò a riporre il cellulare, restando con lo sguardo sullo schermo grigio dell'applicazione finché non ebbe risposta. "Certo. Lo dicono tutti" spuntò pochi secondi dopo, seguito da un altro smile sorridente. Mandò a sua volta una faccina ridente, poi ricambiò la domanda: "E tu perché ti sei iscritto?". La risposta successiva arrivò dopo un po', facendosi attendere. "La verità è che non so come conoscere nuove persone all'università. Persone con cui uscire" specificò con una faccina imbarazzata. Nicola pensò che l'altro utilizzasse davvero troppi smile, ma ne mandò comunque uno a sua volta, un volto con gli occhi stretti dal dispiacere, per farlo sentire più a suo agio. Aveva perso interesse nella lezione. "Quindi... Sei fidanzato?" gli chiese l'altro utente, questa volta senza emoticon. "No" rispose semplicemente, poi: "E tu?". "Neanch'io" fu la risposta subitanea, di nuovo con un faccino sorridente. Nicola ricambiò. "Non mi è dispiaciuto trovarti stamattina, comunque. Grazie per aver dimenticato il GPS acceso!" scherzò lo sconosciuto; Nicola trattenne una risata nella vita reale, lanciando uno sguardo al professore, poi mandò una risata per iscritto. "Non farmi ridere! Sono a lezione." "Scusa" rispose l'altro con una linguaccia stilizzata, aggiungendo poco dopo: "Che idiota, non mi sono presentato. Raf, piacere". Nicola digitò istintivamente il proprio nome, seguito da un "piacere mio!" particolarmente enfatico, che non riconobbe come proprio. Rimase con gli occhi fissi sullo schermo. "Dai, smetto di disturbarti! Scrivimi quando hai tempo, ok? Buon pomeriggio" fu il congedo di Raf, questa volta abbinato a un cuoricino. Nicola sorrise allo schermo, poi digitò qualcosa di affermativo. Trasalì nel sentirsi toccare insistentemente dal gomito di Chiara. «Oh, Nico! Sveglia, la lezione è finita!» lo richiamò alla realtà. Il ragazzo alzò lo sguardo confuso su di lei, non rendendosi conto di quanto stava accadendo. Si scambiarono uno sguardo interrogativo, poi Nicola comprese e si affrettò a raccogliere le proprie cose.

 


Note dell'Autore

Gli aggiornamenti, anche se irregolari  continuano! 
NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.

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Capitolo 11
*** 11. ***



11.

 
Il vento spirava con forza, uggiolando contro la finestra chiusa. Il bambino era steso a letto, impegnato con un giochino rumoroso sul suo vecchio GameBoy, mentre il fratello maggiore si teneva impegnato alla scrivania. Al di fuori della loro camera in comune, la casa era buia e silenziosa; anche il solito sottofondo musicale mancava, quella sera. Luca non alzava lo sguardo dal quadrato luminoso davanti a sé, e Nicola un po' scribacchiava su un quaderno, un po' si barcamenava fra canali Discord, email onion, e un paio di borsellini di criptovalute; quando, di tanto in tanto, gli si illuminava lo schermo del cellulare, gettava un occhio anche lì, eventualmente rispondendo. La monotonia venne spezzata da un rumore familiare: entrambi i presenti udirono aprirsi la porta d'ingresso, e mentre Nicola si limitava a ignorare il nuovo suono, Luca saltò giù dal letto. «Mamma!» urlò lasciando il giochino sulla coperta e correndo nell'ingresso. «Luca, metti le pantofole» gli ricordò il fratello senza alzare lo sguardo dal quaderno, ma l'altro non lo udì o lo ignorò, già con le braccia attorno al busto della madre.

«Ciao amore, come ti senti?» lo salutò la donna, scoccandogli un bacio sulla fronte e ricevendone, in cambio, uno sulla guancia. Sembrava stanca: il viso, con rimasugli di giovinezza, era attraversato da rughe di preoccupazione; tra i capelli castani c'erano molti luccichii argentati, il cappotto le cadeva sformato sulle spalle, e i jeans slavati sembravano troppo larghi di qualche taglia. Luca la lasciò andare, restando comunque nei paraggi, e lei si avvicinò al divano per poggiare la borsa, sfilare la giacca e dedicare la propria attenzione alla posta, ritirata da poco e stretta nella mano destra. «Ciao ma'» la salutò Nicola ad alta voce, ancora concentrato al computer. «Che fai?» chiese Luca tirandola per un lembo del maglione. La madre controllava qualche bolletta, sospirando e sfogliandole come un mazzo di carte. Arrivò a una busta bianca, senza affrancatura e senza nome, e rimase a fissarla per qualche istante. Poi urlò: «Nico!». Si voltò verso la camera dei figli, ignorando il più piccolo e correndo verso il maggiore, il quale si voltò incuriosito. «Nico, ha ricominciato!» continuò eccitata; si sedette sul bordo di uno dei letti, osservando la busta e poi il figlio, ora seduto davanti a un desktop pulito. «Come fai a dirlo? L'hai già aperta?» domandò Nicola, dedicandole la sua attenzione. Luca arrivò dopo un po', incuriosito da quel trambusto e contrariato per non essere lui al centro dell'attenzione; andò a sedersi accanto alla madre, guardando la scena in silenzio e muovendo ritmicamente le gambe magre. «No, ma cos'altro può essere? Non c'è scritto niente» rispose lei, voltando la busta per riguardarla meglio. Nicola fece spallucce. «Allora aprila» la invitò; lei gli rivolse un ultimo sguardo trepidante, stringendo le labbra, poi portò le dita sottili all'apertura. Strappò il bordo in modo irregolare, guardò l'interno e schiuse le labbra, traendo aria con difficoltà. «Oh mio Dio... Ha ricominciato davvero!» sussurrò. Nicola abbassò lo sguardo. «Quanto?» le chiese. La donna estrasse delle banconote dalla busta, accompagnata da un «Wow!» del figlio minore. «Quattro... No, cinquecento!» continuò con voce tremante. Ritornò a guardare Nicola. «Aveva smesso da quanto tempo, sei mesi? Dio, credevo che non ne sarebbero arrivate altre!». Strinse le mani attorno alla busta, riponendovi le banconote con difficoltà. «Mamma, ma è papà che ci manda tutti questi soldi?» chiese con voce squillante. La donna e l'altro figlio si scambiarono uno sguardo imbarazzato, poi lei si alzò senza dire altro, lasciandoli soli. Nicola sospirò. «Luca, ti va se giochiamo un po' all'XBOX? Finisco di studiare più tardi» propose al fratellino, il quale accettò euforicamente. Uscirono anche loro dalla stanza; mentre Luca accendeva la console, Nicola si diresse verso la camera della madre. La trovò a riporre le banconote in un vecchio portagioie sul comò, e le si avvicinò senza dire nulla. Restarono in silenzio per qualche momento, poi lui le poggiò una mano sulla spalla. «L'importante è che siano arrivati, no?» butto lì. Lei annuì freneticamente. «Sì, ma... Vorrei sapere chi è. Ringraziarlo. Io non conosco nessuno, non frequento nessuno...» si voltò a guardare il ragazzo. «Ma chi è? Un amico di tuo padre? Davvero non ne sai niente?» chiese con gli occhi lucidi. Nicola distolse lo sguardo, scuotendo il capo. «Che importa chi è? Prenditi un giorno di ferie e porta di nuovo Luca da quel cazzo di pediatra, ma'. Non può restare a casa per sempre» s'irritò. Lei distolse a sua volta gli occhi dall'altro, portandoli istintivamente in direzione del salotto, dove si trovava il figlio minore. «Ho capito Nico... Ma come lo spiego che ha di nuovo un occhio nero? Penseranno che lo picchio, o...» s'interruppe con voce tremante. «Non possono portartelo via e basta, ma'! Ma lo vedi che ha sempre la febbre? Lo vedi che non mangia un cazzo? Sono sempre a casa con lui, se non ci sono io c'è Tina, ma poi ti sei vista allo specchio? Chi può mai pensare che picchi tuo figlio? Fai sul serio?!» le urlò contro, facendo un passo indietro. La madre cominciò a tormentarsi le mani callose. «...ma il pediatra ha già detto che è anemico, tutto qui, è normale che...» «È normale un cazzo, è normale!» continuò ad abbaiare il figlio. Spuntò improvvisamente, dalla porta, il diretto interessato. «Nico, vieni?» domandò con voce sottile, e i due adulti trasalirono, vergognandosi di essere stati sorpresi a discutere in quel modo. La madre teneva gli occhi bassi. «Sì Luca, vengo» acconsentì lui, allontanandosi col fratellino e lasciando la madre nella penombra di camera sua. 
 

* 
 

«Era davvero un sacco di tempo che non uscivamo insieme, mi mancava un sacco» rideva una delle ragazze. L'altra annuì. «Sì, anche a me» confermò con le labbra scure di rossetto. Erano nel chiuso di una paninoteca, sedute insieme a un tavolino di legno scuro, e aspettavano la loro ordinazione. «Allora, cos'hai deciso di fare con Gio?» introdusse l'argomento una delle due, tenendo gli occhi grigi ben fissi sull'amica; quella arrossì lievemente. «Oh, vero, non te l'ho più detto. Mi ha chiesto di andare a un concerto insieme, però– però come amici!» esclamò subito, notando l'espressione dell'amica. «Sì, come amici, ti credo di sicuro» scherzò. «No, davvero! Mi ha anche chiesto di invitare i miei amici, così... Vuoi venire anche tu? Suonano i The Do». Cinzia batté le mani. «Oh, sì, perché no? Viene anche Ale?» «Ale? Sì, perché?» si accigliò Chiara. L'altra fece una smorfia. «Che stronzo, non me l'ha mica detto. Magari non sapeva di potermi invitare?» rifletté ad alta voce. Chiara batté le palpebre. «Ma scusa, che c'entra Ale?» domandò ancora una volta. Cinzia scoppiò a ridere. «Ma daaai, non fare la finta tonta! Davvero non ti ha detto niente?» «Niente cosa?» s'irritò. «Usciamo insieme da un po'» le sussurrò l'amica, emozionata. L'espressione di Chiara mutò in un misto di irritazione e turbamento. «Davvero?» «Sì, perché?» «E da quanto?» «Ma non lo so Chia', perché?» abbozzò un sorriso confuso. Chiara si strinse nelle spalle. «No, così. Nessuno me l'ha detto» bofonchiò. Un cameriere si avvicinò al loro tavolo, interrompendo la conversazione e servendo i loro panini. Ringraziarono, poi Cinzia prese nuovamente la parola. «Dai, che permalosa che sei! Non c'è stata occasione. Allora, Gio e quella stronza si sono lasciati?» tornò all'argomento principale; mentre Chiara le rispondeva lei morse il panino, affamata. «Sì. Così mi ha detto, almeno. Non ho indagato» soddisfò bruscamente la sua curiosità. Cinzia rimase in silenzio, osservando l'altra alle prese con la sua cena, poi decise che non era la serata adatta per parlare di altre persone. «Certo che il mio è proprio buono! Il tuo com'è?» spostò allegramente l'attenzione sul cibo. L'altra si limitò a un altro movimento sterile delle spalle, mangiando in silenzio.

 

*


Alessandro si ritrovava molto raramente in città a quell'ora della sera. Abitando in provincia, costretto a muoversi con i mezzi pubblici, era sua abitudine tornare a casa nel tardo pomeriggio, uscendo con gli amici nel suo stesso quartiere. Quel giorno fece eccezione perché diretto a una festa di compleanno: non poteva rifiutare l'invito e suo padre si era offerto di recuperarlo in auto, una volta finita la festa. Camminava col suo gruppo di amici, stretto in una giacca a vento dalla quale usciva il colletto della camicia, e rideva di qualcosa inerente al liceo. Nessuno di loro portava un pacco regalo, avendo optato per un più pratico dono monetario, e così sembravano un normale gruppo di adolescenti, impegnati in una passeggiata serale per le vie di Napoli. Alessandro non era abituato a quei luoghi, muovendosi solo nelle zone attinenti all'università, così si scrutava intorno con interesse. «Oh, Ste', che piazza è questa?» chiese a uno degli amici; quegli rise. «Sei proprio un paesano, Alessa'. Manco Bellini conosci?». Alessandro appellò sua madre in modo poco carino, vi fu qualche risata e qualche schiaffo scherzoso sulle braccia, poi tornò a guardarsi intorno: vedeva persone benvestite sedute ai tavolini, camerieri muoversi velocemente tra la gente, e poi in qualche modo vide lui. Inizialmente non riconobbe la figura stravaccata sulla panchina, seduta con una birra in una mano e un'altra persona al suo fianco, tenuta vicina con un braccio attorno alle spalle. Intenti com'erano a baciarsi, pensò Alessandro, non aveva occasione di vederli in viso –e probabilmente, pensò ancora, era quel bacio così spinto ad aver attirato la sua attenzione; poi il ragazzo con la birra in mano rialzò le palpebre, senza smettere di baciare l'altro, e fissò lui –proprio lui, in quella folla scomposta– dritto negli occhi. Alessandro si sentì stringere lo stomaco, riconoscendo in quella persona l'amico di Nicola nonché palese cotta di Chiara. L'altro Alessandro, che staccava la sua bocca da quella del fulvo al suo fianco, e la occupava con la birra gettata in gola. Si ritrovò a fissare il suo pomo d'Adamo (o a immaginarlo solo, vista la distanza), mentre la sua mente associava l'altro ragazzo a quello conosciuto il giorno prima. Mirko, ricordò dopo un momento, il quale teneva la testa poggiata sulla spalla dell'amante, non sapendo di essere guardato. I due Alessandro si guardarono una volta ancora, intensamente, poi quello seduto alzò scherzosamente la birra nella sua direzione. «Oh, fra', ma che cazzo fai qua impalato?» gli urlò una voce in un orecchio. Alessandro trasalì vistosamente, voltandosi verso gli amici. Era rosso in viso, con gli occhi stralunati e appariva un po' confuso. «Come?» «Cosa come, ti avevamo perso! Che ti sei fermato a fare qua?» domandò l'amico. Alessandro batté le palpebre, vergognandosi di quel momento appena trascorso. «Scusa, mi sono distratto. Andiamo» rispose scontroso, riprendendo a camminare e anticipando gli altri, senza ben sapere in quale direzione andare.

 
 


Note dell'Autore

Chi è il vostro personaggio preferito? Finora, in privato, ho sentito di tutto (tranne Chiara: per qualche motivo a me poco chiaro, Chiara è antipatica proprio a tutti). Dovrei aprire un sondaggio in stile reality show... Anche se non ce lo vedo, Nicola, in un confessionale.

NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.

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Capitolo 12
*** 12. ***



12.

 
Il cielo terso permetteva una splendida veduta sul golfo di Napoli. Il buio serale offuscava l’orizzonte, e la miriade di luci in lontananza tracciava il profilo della città. Sul lungomare, entrambi stretti nelle loro giacche, passeggiavano due ragazzi.
«Mi sto pentendo di aver accettato la tua fetta di pizza, sto letteralmente scoppiando» scherzò uno. L’altro ridacchiò. «Dai, vuol dire che era buona, è positivo» notò. «Sì, beh, se continuo così dovrò tornare in palestra. Sto ingrassando…» «Ma no, che dici? Dove lo vedi questo grasso?» «Vabbè, parli tu che sei magrissimo… Mia sorella mangia più di te, e ha dodici anni!». Risero entrambi. «Tu invece, hai fratelli o sorelle?». Camminavano lentamente, spalla a spalla, con le mani nelle tasche e gli occhi per lo più sul marciapiede o sugli scogli in lontananza, scambiandosi solo qualche sporadico sguardo. «Sì, un fratello più piccolo, ha undici anni» rispose; l’altro mostrò un largo sorriso aperto. «Dai, mitico, sono quasi coetanei! È raro avere tutti questi anni di differenza, sai?» «Sì?» «Eh già! Oh, guarda: stanno suonando. Ci avviciniamo?». Adocchiata a breve distanza, una violinista era ferma sul marciapiede e dava mostra di sé, suonando una lenta melodia. I ragazzi si avvicinarono, mescolandosi alla piccola folla creatasi intorno alla musicista, e restarono ad ascoltarla per un po’. «Raf?» «Mh?» «Che musica ascolti, di solito?». Mormoravano senza distogliere lo sguardo dalla scena. «Oh, un po’ di tutto… E tu?» «Mmh, rock, ma anche questo non è male». Raf si voltò a guardarlo, studiandone la figura per qualche momento. I capelli, poco curati, erano pettinati lateralmente, lasciando libera la fronte piccola e il volto pulito. Seguì la linea del suo corpo longilineo, avvolto in un parka scuro, fino ai polsi seppelliti nelle tasche. Si chiese che odore avesse la sua pelle, mordendosi distrattamente un labbro già sanguigno dal freddo, poi tornò a osservare la donna. «Oi, Nico. Prendiamo delle mandorle caramellate?» provò ad attirare la sua attenzione. «Hai visto una bancarella?» «No, ma ci sarà sicuramente qualcuno di venerdì sera» obiettò Raf. Di comune accordo tornarono a camminare. Il vociare dei passanti riempiva gli sporadici momenti di silenzio imbarazzato, e nonostante il batticuore entrambi si trovavano a loro agio; Nicola rideva volentieri alla battute di Raf, e a Raf piaceva sentirlo ridere. Il tempo trascorreva piacevolmente. «Non ci credo che è già quasi finito novembre. Halloween non è neanche finito che già viene Natale…» sospirò Raf, sconsolato. «Come Halloween ha anche fatto stra-schifo. Da fuorisede non sono riuscito a trovare nessuna festa decente, e così l’ho passato con i coinquilini. Che in realtà sono più grandi, e sono venute le loro ragazze, e poi sono andati a ballare e io non potevo fare mica il palo, ti trovi? E così… Woah, ma quanto sto parlando? Scusami» s’imbarazzò dopo un po’. Nicola gli sorrise. «Non preoccuparti, mi piace ascoltare… Ehi, lì c’è una bancarella» estrasse una mano dalla tasca, portando l’indice davanti a sé e indicando un punto in lontananza. Raf gongolò. «Yess! Nico Occhi-Di-Falco» scherzò. Continuarono a camminare in quella direzione, senza dire nulla per un po’. Nicola aveva voltato il capo verso il mare, osservando lo sciabordare delle onde e isolandosi per un momento; tornò alla realtà nell’avvertire un tocco caldo contro la propria mano. Arrossì, abbassando lo sguardo, e lasciò che le loro dita si sfiorassero qualche volta, intrecciandosi e poi allontanandosi ancora, entrambi troppo timidi per un contatto prolungato. Il gioco terminò dopo pochi minuti. «'Sera! Mi dà una confezione di mandorle?» chiese Raf. Nicola osservò la sua allegria, sentendosene in qualche modo contagiato, e quando lui si voltò a chiedergli se volesse qualcosa, non riuscì a non ridere. «No, grazie» declinò l’offerta senza smettere il sorriso. Il venditore porse il pacchetto ai ragazzi, guardandoli un po’ stranito e un po’ divertito a sua volta. Raf pagò in monete, augurò una buona serata e si allontanò con l’amico, nuovamente passeggiando senza meta. Sgranocchiò qualche mandorla, adocchiando le mani dell’altro –nuovamente nelle tasche. Se ne dispiacque. «Sicuro di non volerne?» «No, grazie…». Commentarono l’abbigliamento di qualche passante, ridendo ancora di cose poco importanti. «Oi, andiamo sugli scogli? Lì è più tranquillo» propose Raf. Nicola lo osservò stupito. «Ne sai di cose per essere un fuorisede, eh?» lo prese in giro, seguendolo lungo la banchina. L’altro sgranocchiò altre mandorle, poi si giustificò: «Non vuol dire mica che non conosco la città!».
Si arrampicarono sugli scogli, entrambi abbastanza coordinati da non cadere, allontanandosi dalle luci e dalle altre coppiette e trovando, dopo un po’, un angolo dove sedersi. Il luogo era freddo, il rumore delle onde forte, e Nicola leggeva i graffiti nella penombra. Raf aveva smesso di sgranocchiare, il pacchetto riposto in tasca, e si era semidisteso sugli scogli. «Qua si vedono le stelle, l’avevi notato?» gli disse dopo un po’. Nicola alzò lo sguardo al cielo. «No…» «Allora non sei così Nico Occhi-Di-Falco». Il tono di Raf era ancora scherzoso, ma Nicola avevo ricominciato a sentire le farfalle nello stomaco e non riuscì a ridere. L’altro comprese, smettendo di parlare e poggiando il capo sulla spalla dell’altro. Restarono in silenzio per qualche minuto, poi le mani s’intrecciarono istintivamente, cercandosi a vicenda e stringendosi senza forza, carezzandosi. Nicola si voltò, cercando la sua nuca con la mano libera, e Raf lo baciò. L'imbarazzo passò presto, continuando a baciarsi e sfiorarsi nel buio, amoreggiando per diverso tempo ancora lì, semidistesi sugli scogli.

 
*
 
Anche se non aveva ancora parlato con Chiara, Cinzia gli aveva detto dell'invito al concerto. Alessandro non brillava d’intelligenza, ma di certo non era stupido: intuì che l’amica fosse venuta a conoscenza di quella relazione. Si sentiva in qualche modo turbato a quell’idea, ma era venerdì sera, era da solo a casa con Cinzia, Chiara aveva una cotta per un altro tizio, il suo ex ragazzo era ritornato da poco a farsi sentire, e cosa più importante di tutte Cinzia si stava slacciando il reggiseno, restando seduta sul letto con addosso solo un paio di mutandine. La mente gli andò in stand-by, e tutta la gelosia verso Chiara sparì in un momento.  Gli occhi neri scorrevano, affamati, sulla pelle chiara della ragazza. Il pube liscio, il ventre piatto, risalendo sui seni tondi e gonfi, tenuti in fuori con fierezza. Alessandro, già scalzo e a petto nudo, sbottonò rapidamente i jeans. Lei gli ammiccava suadente, mordicchiando la punta di un dito e passandolo sulle labbra scure e senza trucco. Le baciò il collo, i capelli, il petto. Le bagnò i seni, giocandovi con la bocca, toccandole il corpo con le mani. Lei poggiò la schiena al materasso, contorcendosi dal piacere, poi strinse il bacino di lui fra le proprie gambe, incoraggiandolo ad andare avanti.
Ad Alessandro servì meno di un minuto per sfilare i boxer e munirsi di protezione, e quando riprese a guardarla lei era già nuda. La osservò per un altro momento, desiderandola, poi le tornò sopra. Era bellissima come sempre, gli piaceva come sempre; il ricordo di Chiara era confinato in un angolo remoto della mente, impossibile da tirar fuori nel mezzo dell’atto sessuale, mentre Cinzia gemeva dal piacere e lui non poteva fermare il movimento del bacino. Nemmeno gli interessava quello ch’era al di fuori di quella stanza; non esistevano più i suoi complessi d’inferiorità, non esisteva più l’università, non esisteva più nulla se non la bella, dolce e timida Cinzia sotto di sé, con i suoi piercing alle orecchie e i capelli rossi a tinteggiare il cuscino. Solo che Cinzia era sempre meno timida, e Alessandro sentiva sempre meno il controllo di cui, insicuro, aveva bisogno. Finché la ragazza non gli afferrò un polso abbronzato, strappandolo dal sostegno del materasso; lui si piegò sull’altro braccio, senza fermare il movimento del corpo, e incrociò lo sguardo con quello di lei, lussurioso. Portò la mano maschile al proprio collo, e disse: «Stringi!». Alessandro non riusciva a ragionare in quella situazione, così provò a ritrarre la mano; lei gliela bloccò di nuovo, gemendo sotto la sua presa. «Stringimi, toglimi l’aria!» ordinò ancora. Lui strinse, spaventandosi nel vederla annaspare, ma non si ritrasse finché lei non scalciò. La lasciò andare, poi ricominciò secondo i suoi desideri. Non riusciva a capire, nell’euforia del momento, se quella novità lo eccitasse terribilmente o se lo spaventasse oltremodo; probabilmente entrambi, ipotizzò alla fine.

 
*
 
I suoi venerdì sera erano sempre perfetti, continuava a ripetersi. I suoi venerdì sera erano sempre stati perfetti: era abituato ad avere ciò che voleva, ad averlo da chi voleva, e spesso senza nemmeno chiedere. Nicola lo chiamava "manipolatore", ma lui preferiva definirsi affascinante, probabilmente irresistibile. Era di bell’aspetto, era intelligente, era istruito, e gli altri lo sapevano. Tutti lo sapevano: bastava guardarlo! Guardarlo così come stava facendo lui stesso, riflesso nello specchio dalla cornice dorata.
Eppure era annoiato, annoiato, terribilmente annoiato, e ogni giorno si sentiva più esasperato, più facilmente incline all’ira. Il rumore della saliva risucchiata dall’amante lo irritava, lo faceva impazzire, e l’idea di non sentirla più lo faceva impazzire comunque, impazzire dalla noia. Gli accarezzò i capelli con fare distratto, senza distogliere lo sguardo dal proprio riflesso, senza modulare il movimento dell’altro. Noia.
Eppure aveva tutto, tutto! E quel che non possedeva poteva averlo facilmente. Continuava a ricercare quel divertimento effimero, quel transitorio senso di infantile soddisfazione, che arrivava solo in piccole punte acute nello stomaco. Quando Alessandro lo invidiava. Quando Chiara lo desiderava. Quando Mirko glielo succhiava. Quando gli arrivavano i soldi dovuti, ovviamente, soldi di cui non sapeva cosa farsene e che usava solo per apparire di più, per farsi apprezzare di più, per stabilire ancora una volta quanto lui fosse migliore degli altri, superiore, irraggiungibile.
Eppure Nicola lo disprezzava. Quel pensiero gli ronzava continuamente in testa, gli pulsava nelle orecchie, davanti agli occhi, gli attutiva i gemiti di chiunque passasse nel suo letto, attenuava il colore delle banconote, offuscava anche il suo aspetto riflesso. Nicola lo disprezzava, lo giudicava un manipolatore, un narcisista fuori di testa, un sacco di cose diverse. E perché, poi?

Alessandro chinò il capo, distogliendo a fatica lo sguardo dallo specchio e portandolo verso terra, verso Mirko intento a dargli piacere –o almeno a provarci.

Per colpa di Mirko, era ovvio. Si era iscritto all’università, e la prima cosa che aveva fatto era stata entrare nel suo letto, farsi amare, adorare, apprezzare. E lui, lui che colpa poteva avere? Quella di essere bello, quella di volersi godere la vita? Godere la vita, quello che provava disperatamente a fare da sempre…

Afferrò i capelli dell’amante in malo modo, bloccandogli la testa e muovendo il bacino. Lo sentì muoversi scompostamente, soffocare in quella presa. Non se ne curò, tornando a osservarsi allo specchio.

Eppure si era preso cura di lui come di un uccellino ferito, non chiedendo nulla in cambio se non la sua adorazione. Lo aveva tirato fuori dalla sua situazione di merda, lo aveva protetto, gli aveva persino dato un lavoro, lavoro che aveva poi schernito. E poi, solo a causa di Mirko…

Spinse il ragazzo sul pavimento, ritornando nella sua bocca e continuando a muoversi, con le ginocchia ai lati del suo volto, ferendogli la gola senza riguardo.

…a causa di Mirko, aveva cominciato a disprezzarlo. Nicola, che senza lui sarebbe ancora rannicchiato nei cessi del liceo, gonfio di lividi, con i quaderni ammollo nell’acqua e gli occhi gonfi di lacrime. Lui l’aveva rimesso in sesto, lui l’aveva difeso e com’era stato ripagato? Con il disprezzo. Lui, amato da tutti se non da due persone al mondo…

Mirko continuava a emettere versi soffocati, stringendo gli occhi lucidi. Alessandro non sembrava aver intenzione di rallentare, di lasciargli il capo, o di preoccuparsi per le sue tonsille. Continuò a trarre dolorosamente aria dal naso, perdendo saliva dagli angoli della bocca.

…e mentre suo padre non meritava la sua preoccupazione, Nicola gli faceva montare in petto una rabbia incontenibile. Perché non riusciva a vedere quello che vedevano tutti gli altri? Perché?! C’era stato anche un periodo, un lungo periodo in cui gli era stato grato; si era premunito di compiacerlo, l’aveva seguito con sguardo adorante… E poi…

Il suo corpo agì come doveva, e fu presto strappato ai suoi pensieri. Mirko tossiva, sdraiato lateralmente sul pavimento, e sputava continuando a prendere aria. Alessandro lo fissò impassibile per qualche momento, poi si rialzò in piedi. Notò di aver sfilato, nella foga, boxer e pantaloni da una gamba: si sistemò dando le spalle al ragazzo, ancora tremante in terra, poi sparì in cucina. «Oh Mirko, dove tieni le piadine? C’ho una fame assurda» gli urlò. La voce roca dell’altro arrivò dopo qualche minuto, irritandolo nuovamente senza un motivo preciso. 

 
*
 
«Sono stato bene, stasera» mormorò a fior di labbra. «Sì?» sorrise l'altro, senza lasciar andare i lembi della sua giacca. Si sorrisero a vicenda, senza però smettere di ricercare l'uno le labbra dell'altro. «Sì» fu la conferma umida ricevuta dopo poco. Continuavano ad assaggiarsi, baciarsi, strofinare le bocche una contro l'altra, a tenere i corpi vicini, quasi uniti, desiderosi di passare attraverso quegli strati d'ingombranti vestiti. Nicola ogni tanto gettava uno sguardo intorno, e Raf gli sorrideva teneramente. Cercò il suo mento con una mano, costringendolo a tornare con lo sguardo su di lui. «Ehi. Ti dà così fastidio?» gli chiese con un sorriso dispiaciuto. Nicola tornò ad arrossire, distogliendo lo sguardo. «No, scusa, è che...» provò a giustificarsi, ammutolendosi. Raf gli baciò una guancia, poi di nuovo le labbra, e infine: «È stato il primo appuntamento più bello della mia vita». Nicola immaginò che stesse provando a consolarlo, ma come bugia non gli dispiacque. Sorrise, apprezzando lo sforzo. «Anche per me. Buonanotte» ricambiò. Si baciarono un'altra volta, poi Raf entrò nel portone e Nicola si allontanò nella notte, diretto alla fermata dell'autobus. Senza accorgersene cominciò a fischiettare il motivetto del violino udito meno di due ore prima, e la sua postura era più dritta del solito. Si sentiva stranamente leggero, felice, con le preoccupazioni lontane e un calore diffuso nel petto; si sentiva bene, rifletté su quanto fosse bello avere una cotta, un primo appuntamento, e qualcuno come Raf che ti bacia con le onde in sottofondo. Quasi come un sogno, un sogno troppo bello, forse, per uno come lui. Il cellulare vibrò e il ragazzo sorrise, estraendolo dalla tasca della giacca. Sullo schermo illuminato brillava la parola: "Mamma".

«Ciao ma', sto tornando! Devo prendere l'autobus» rispose allegramente. Rimase in ascolto, rallentando i passi e restando con un sorriso stampato in faccia. Gli angoli delle labbra si tesero verso l'alto, raggrinzendosi, e il sorriso sembrò congelarglisi sulla bocca. Il sapore di Raf si mescolava con il freddo della notte, le sopracciglia ebbero un movimento impercettibile verso l'interno, e finalmente il sorriso cominciò a vacillare. La bocca tornò piccola e chiusa, secca, senza vita; e il cuore, curato dal balsamo della passione giovanile, si ritrovò d'improvviso a pompare forsennatamente. Nicola provò a deglutire, non riuscendoci, e cominciò a balbettare. «Che vuol dire? Dove cazzo sei?». La voce era spezzata, acuta, irregolare. Gli occhi si muovevano freneticamente sulla strada. «Quanto...» gracchiò. Poggiò la schiena al muro, portando la mano libera al petto. Si sentiva morire, temendo che il cuore gli uscisse dal torace. «No che non torno... No che...! Ma', M-mamma passami Luca» continuò a balbettare. «Mamma ti prego... Mamma...» continuò. La chiamata venne interrotta, lui spostò lo sguardo sullo schermo e vi trovò solo uno sfondo scuro. Continuò a osservare l'orologio per qualche secondo: era un nuovo giorno da pochi minuti. Nicola ebbe un pensiero assurdo, il pensiero che si trattasse di ventiquattro ore di sofferenza, solo ventiquattro ore, iniziate a mezzanotte, e che gli sarebbe bastato aspettare il giorno successivo per stare meglio. «Mi serve un computer...» mormorò. Era scosso dai brividi, e le gambe si rifiutavano di reggerlo oltre. Si accasciò contro il muro, digitando freneticamente sul cellulare. «Mi serve un computer... Mi serve un computer...» continuò a mormorare, proseguendo in quel suo scrivere e leggere, scrivere e leggere. Emise un gemito involontario, ancora tremante, poi si rialzò con fatica. Avanzò di qualche passo, oscillando come ubriaco, poi trovò la forza di correre.
 

*

 

Non era molto sicuro di aver apprezzato quell'insolita pratica sessuale. Cinzia gli aveva chiesto se andava tutto bene e lui aveva risposto di sì, certo, ma la sicurezza svanì tornando in strada (rigorosamente col passaggio in auto dal padre: evitò di dirlo alla ragazza). Ritornato a casa, poi, i dubbi superavano di gran lunga il piacere provato durato l'amplesso, e una volta infilatosi a letto capì definitivamente di non averlo apprezzato proprio per niente. Continuava a guardarsi la mano destra, sentendola come aliena, e sentiva bruciare il palmo colpevole.

Continuava a rigirarsi tra le coperte, insonne. Era stato così facile invaghirsi di Cinzia, così timida e tranquilla. Gli era sembrato naturale assumere un ruolo stereotipato, quello virile di protezione verso di lei, e quel senso di virilità l'aveva aiutato a paragonarsi all'altro Alessandro, a non sentirsi una completa nullità. Si girò sull'altro fianco.

Essere amico di Nicola era semplice, lui era così introverso e disinteressato ch'era impossibile avvertirlo come una minaccia. L'idea che lui potesse essere interessato a Chiara, o che Chiara potesse essere interessata a lui, non l'aveva mai nemmeno sfiorato; quando però era entrato in scena l'altro Alessandro le cose erano decisamente cambiate. Com'è che aveva detto Nicola? "Fa questo effetto a tutti", o qualcosa del genere. Nel senso ch'era invidiato da tutti, o che piaceva a tutti? Tornò a volgersi sul fianco sinistro.

Però... L'aveva decisamente visto baciarsi con un altro ragazzo. Anzi: proprio con Mirko, dopotutto aveva conosciuto anche lui, e l'aveva bollato subito come effemminato. Si stupì nel non aver mai considerato l'idea che Alessandro potesse essere gay, e se ne vergognò. Si chiese poi perché stesse pensando ad Alessandro, o a Mirko, o a Nicola, quando il problema era nato da Cinzia. Si voltò ancora una volta.

Già, Cinzia. L'amica di Chiara. Quella rumorosa, permalosa, fuori forma, che nonostante tutto continuava a spuntargli in mente come un fastidioso popup pubblicitario. Sospirò, non riuscendo a dormire, e raccolse lo smartphone. "Ehi, dormi?". Digitò il messaggio istantaneo, osservando la foto di Chiara in alto a sinistra, e lo inviò. Aspettò per qualche minuto, sperando che venisse letto, ma per quella notte non ebbe risposta.
 

*

 

L'ampia casa era fredda e vuota, esattamente come l'aveva lasciata. Accese la luce nell'ingresso, richiuse la porta dietro di sé e si diresse in camera sua, accendendo istintivamente la seconda luce. Tutto era maniacalmente ordinato, quasi asettico; un iMac ronzava in sottofondo, ma il ragazzo non lo degnò di uno sguardo. Lasciò piuttosto il casco sulla scrivania, sfilò la giacca di pelle, tolse le scarpe e sistemò il tutto nell'ampio guardaroba a muro. Erano movimenti che svolgeva in religioso silenzio, con sguardo vuoto ed espressione impassibile, sopportando la routine. Si stese sul suo letto a due piazze, l'unico nella stanza, indeciso sul da farsi; pensò di accendersi una sigaretta, ma l'irritazione lo teneva con gli occhi fissi sul soffitto. Non ebbe il tempo di rifletterci su, perché un suono improvviso attirò la sua attenzione. Si voltò verso l'esterno della propria camera, incuriosito, mentre il trillare del campanello continuava a riversarsi nella casa vuota. Si alzò con uno sbadiglio, attraversò il corridoio arrivando all'ingresso, senza fretta, e aprì la porta di casa senza aprire bocca. Poi accadde una cosa strana: il suo cuore, così desideroso di provare qualcosa, venne accontentato con un balzo di stupore. Rimase fermo, impalato sull'uscio, con una mano sulla maniglia, improvvisamente incapace di modulare l'espressione del viso. Provava vero stupore, stupore reale e non fittizio come quello che mostrava di solito. Questi pensieri venivano pigramente riprodotti in sottofondo, mentre l'attenzione principale era completamente assorbita dal suo improvviso visitatore. «Nico?» chiese, incredulo.

Affannava, e nonostante il freddo i capelli erano sudati, attaccati alla fronte e alle tempie. Gli abiti gli cadevano scompostamente addosso e la giacca era aperta su di una felpa; immaginò che avesse corso un bel po'. Gli occhi erano gonfi e rossi, quasi spiritati, e la faccia bagnata nonostante il cielo terso. Alessandro schiuse nuovamente le labbra, intenzionato a chiedere spiegazioni, ma non fece in tempo; l'altro gli si gettò contro, avvolgendolo con le braccia e nascondendo il viso nell'incavo del collo. Alessandro poteva sentirlo tremare contro il suo corpo, e l'alito caldo gli riscaldava la pelle. Rimase a fissare il pianerottolo buio, confuso e incapace di dire alcunché. «Ale... Ale, aiutami! T-Ti prego... aiutami!» cominciò a piangere Nicola. Aveva un tono lamentoso, spaventato, tremante. Fastidioso, pensò il padrone di casa, eppure spinse la porta perché si richiudesse da sola –e invece di respingerlo gli accarezzò il capo, come fatto con Mirko poco prima. Non disse nulla, lasciando che piangesse sul suo costoso pullover di cachemire, e aspettò che si calmasse. Quando lo sentì trarre respiri profondi provò, lentamente, a spostargli il viso e lo guardò negli occhi arrossati. «Cos'è successo?» domandò impassibile. Al ragazzo continuava a tremare il labbro inferiore, non riuscendo a parlare. Stringeva nella mano destra il tessuto delicato del pullover, ma Alessandro ignorò anche quello; si sforzò di restare concentrato. «Sei stravolto. Vieni, ti faccio una camomilla. Intanto raccontami» lo invitò, e prima che l'altro potesse dir nulla lo cinse con un braccio, stringendogli la spalla e conducendolo in cucina. Lo aiutò a sedersi al tavolo di mogano e vetro, lo osservò per qualche istante e poi andò al bancone, dandogli le spalle. Nicola non parlava, fissando il vuoto con occhi larghi e vuoti, e Alessandro si limitò a preparargli la camomilla promessa. Minuti dopo, quando la bevanda fu finalmente pronta, si diresse al tavolo senza fretta, liberando le mani sulla superficie. Si accomodò, Nicola a capotavola e lui accanto, per poterlo guardare in volto senza troppa distanza tra loro. Il ragazzo non spostò lo sguardo, e lui si ritrovò nuovamente irritato. «Bevi, che si fredda. Mi dici che succede?» lo spinse a parlare con tono caldo, tranquillo. Gli occhi di Nicola si mossero sulla tazza, che recuperò con mani inferme. «È... È Luca. Era di nuovo al... Di nuovo al pronto soccorso...» mormorò a bassa voce. Alessandro assottigliò lo sguardo, ma non disse nulla. «I-Il pediatra aveva detto anemia perché, sai, il ferro è basso, i globuli rossi pure ed è pallido, è sempre stanco, cose di questo tipo, però...» s'interruppe gradualmente. Avvicinò la tazza alle labbra, tremando tanto da far gocciolare acqua all'esterno della tazza. «Cos'ha?» domandò l'altro. Nicola ingoiò un sorso, ancora con lo sguardo perso nel vuoto. Riabbassò la tazza. «Però... C'erano d-delle chiazze, sai, dei li... Dei lividi, agli...» si indicò la faccia con un indice. «Agli occhi, e mia madre non voleva che pensassero che...». Si strinse nelle spalle. «Nico, che ha?» ripeté Alessandro, poggiando un gomito sul tavolo e tendendo il mento sul pugno chiuso, senza smettere di osservare l'altro. Nicola deglutì a fatica, rialzando e riabbassando la tazza. «E non m-mangiava, perché gli faceva male... Lo stomaco, ma... È normale, no?» finalmente gli rivolse uno sguardo, uno sguardo folle di dolore accompagnato da un sorrisetto nervoso, terrificato. Alessandro lo studiò con interesse, vedendolo tornare con lo sguardo alla camomilla. «E quindi... E quindi ha undici anni, e il pediatra ha... Ha pensato fosse anemico, e mia madre non ha... Non ha ribattuto, e così ora...» si ammutolì di nuovo. L'altro aprì la bocca, intenzionato a chiedergli se fosse morto, ma la richiuse. Non gli piaceva l'idea di ferirlo più di quanto non fosse già, e anche se non ne comprendeva il motivo, preferì restare in silenzio, ad ascoltare quelle frasi sconnesse e prive di senso. Nicola prese un altro sorso di camomilla, poi strinse gli occhi e coprì il volto con una mano, scoppiando di nuovo in lacrime. Alessandro distolse lo sguardo, poi udì il rumore dell'altra sedia. Quando tornò a guardare Nicola lo trovò già di fronte a sé, barcollante. Aprì nuovamente bocca per parlare, e ancora una volta lo stupore lo costrinse a richiuderla senza dir niente; il ragazzo cadde in ginocchio davanti a lui, portò le mani alle sue gambe e le strinse, infossando il capo nel tessuto dei jeans. «Ale, ti prego, ti imploro, aiutami. Ale, ti prego, Ale» continuò a singhiozzare senza sosta. Alessandro lo osservò senza riuscire a dire una singola parola, poi trasse aria: «Cosa ti serve?», domandò. La risposta era piuttosto ovvia, ma andava fatta. Nicola non gli lasciava le gambe, letteralmente prostrato ai suoi piedi. Voleva far leva sul suo ego. «Lo portano al San Raffaele. Voglio... Voglio che vada in Canada. Deve, deve, deve. Qui lo danno senza speranza. Senza speranza, capisci, senza... Senza...» continuò a singhiozzare con la voce rotta dal pianto. Alessandro batté le palpebre. «Quanto ti serve?» cambiò la sua domanda. Nicola abbassò ancor più il capo, poi mormorò col fiato corto una cifra a molti zeri. Calò il silenzio sulla stanza.

«Nico, sono... Sono un sacco di soldi. Non li ho» rispose semplicemente Alessandro. Il ragazzo alzò il capo, con gli occhi cocenti puntati in quelli dell'altro. Le guance erano inondate di lacrime, i capelli arruffati, le labbra tremanti; era tornato ad essere il Nico del secondo liceo, quello da cui era stato tanto facile farsi apprezzare. «Mi prendi in giro! I tuoi sono ricchi, cazzo! Ricchi!» esalò a fatica, poi emise un suono soffocato, spaziando con lo sguardo sull'ambiente alla ricerca di qualcosa, di un'idea, di un modo per convincerlo. «Ti scongiuro, lavorerò gratis finché non ti avrò ripagato di tutto. Ti prego, farò tutto quello che vuoi. Ti prego Ale, ti prego. Non lasciar morire mio fratello, ti imploro. Lascio l'università, mi trovo un doppio lavoro per ripagarti più in fretta. Non lasciarlo...» ripeté ancora, passando le mani sul volto in preda alla disperazione. Alessandro si alzò in piedi, spostando la sedia e accovacciandosi accanto all'altro, ritrovandosi alla sua stessa altezza. Poteva sentire l'odore della sua paura. «Vedrò di inventarmi qualcosa, okay?» gli promise con voce pacata, rassicurante. Abbozzò un sorriso; Nicola abbassò le mani, annuendo tra le lacrime. «Grazie. Grazie» sussurrò. Alessandro gli accarezzò il voltò bagnato, asciugandogli le lacrime con le dita, poi avvicinò le labbra a quelle schiuse dell'altro. Lo baciò, e Nicola socchiuse gli occhi doloranti. La testa gli pulsava da impazzire; lasciò che Alessandro mischiasse i loro sapori, poi si rialzò quando lui fece lo stesso. Teneva lo sguardo basso, sentendo quello dell'altro su di sé. «Non devi dormire a casa da solo. Poi i miei sono in Francia per la prossima settimana, quindi puoi restare da me mentre risolviamo questa situazione...» rifletté. Nicola si limitò ad annuire silenziosamente, poi Alessandro lo prese per mano. «Sei ghiacciato. Vieni, ti preparo un bagno caldo» si offrì, conducendolo come una marionetta verso l'uscita della cucina.
 

"Ti prego, farò tutto quello che vuoi". L'aveva detto, e poi lui aveva risposto: "Vedrò di inventarmi qualcosa, okay?". Continuava a ripeterselo in mente, disteso nel letto. Indossava i suoi boxer e una vecchia t-shirt di Alessandro, risalente ai tempi del liceo. C'erano stati giorni più felici in cui l'aveva indossata, giorni talmente lontani da appartenere quasi a un'altra vita. Giorni in cui era stato felice di avere il suo odore addosso; quella notte sentiva le labbra di Alessandro sul suo petto, la sua saliva, il suo calore e non riusciva a provare nulla di diverso da una profonda e dolorosa apatia. Lasciò che si beasse del suo corpo, lasciò che lo usasse, e nel mentre continuava a tornargli in mente quella serata perfetta con Raf, i baci sugli scogli, l'emozione provata nel sentire le loro mani sfiorarsi. Alessandro si accasciava stanco su di lui, svuotava i suoi bollori nel suo corpo, e lui non riusciva nemmeno a disgustarsene o a provare rimorso. Ripensava a Luca steso nel letto accanto a suo, a giocare a Pokémon o a chiedergli di riguardare, per l'ennesima volta, quel maledetto DVD di Ralph Spaccatutto; e a come si lamentava del dolore allo stomaco, o dell'ennesimo raffreddore stagionale. Ricordò con che fare innocente, fanciullesco continuasse a chiedergli di Alessandro, lo stesso Alessandro che si gettava pesantemente al suo fianco, ormai appagato e pronto a dormire. L'Alessandro che aveva coperto, col suo sapore, quello del ragazzo che aveva cominciato a occupare la sua mente durante le fredde sere novembrine; Alessandro, che fagocitava tutto ciò che trovava sul proprio cammino, infettandolo e trascinandolo in un abisso di dolore. L'unico a cui potesse chiedere aiuto, l'unico che poteva salvare suo fratello nonostante il suo completo disinteresse verso la vita umana. Lo sentì portargli una mano al volto, girarlo verso di lui, baciargli la bocca impassibile. «Non preoccuparti. Sistemerò tutto io. Ora dormi» gli disse con voce rassicurante, quella maledetta voce capace di smuovere l'inferno. Nicola gli si raggomitolò contro, pensò un'ultima volta a Raf, immaginò di presentarlo a suo fratello quando sarebbe stato bene, di portarlo a casa a cena, di giocare tutti insieme all'XBOX. Di giocare tutti insieme al Disney Infinity di Alessandro.

Ebbe un sonno agitato.

 



Note dell'Autore

Non odiatemi con troppa forza, vi prego. Propongo anche gli hashtag #PreyForLuca #TeamRaf #CinziaVattene, e aspetto le vostre recensioni. See ya <3

NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.

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Capitolo 13
*** 13. ***



13.

 
La camera del ragazzo era pulita, ordinata, arieggiata. Le cose erano al proprio posto, le coperte ben stese, e un morbido tappeto blu giaceva sulle mattonelle candide. «Accomodati pure» lo invitò all’interno con un sorriso, timidezza appena accennata sulle labbra. Nico si strusciò le mani sudate sulla stoffa dei jeans, poi fece qualche passo all’interno; l’altro richiuse delicatamente la porta. Dalla cucina arrivava rumore di stoviglie, un televisore acceso, voci femminili intente a ridere tra loro. Lo sguardo dell’ospite spaziò sui mobili bianchi, si soffermarono sul notebook, poi ripresero a vagare per la stanza. Notò una chitarra acustica posta in un angolo. «Ah, suoni?» chiese per fare conversazione. Le braccia erano conserte come a difendersi dal freddo; indossava un maglione più grande di qualche taglia, evidentemente non suo, gli occhi erano cerchiati di nero e le labbra erano gonfie e con tagli ripetuti da morsi. Raf si chiese cosa fosse accaduto in soli due giorni, ma non espresse ad alta voce la sua curiosità. «Sì, non sono molto bravo ma… Aspetta, ti faccio sentire qualcosa. Siediti!» lo invitò con allegria, aggirandolo e recuperando la chitarra. Nicola si accomodò sul bordo del letto, restando a guardare: Raf alzò delicatamente lo strumento, si diresse alla sedia girevole della scrivania e si voltò verso l’amico. Sfiorò le corde, provò un paio di accordi per assicurarsi del suono e si schiarì la voce, rialzando lo sguardo sull'altro in attesa. «Non conosco molte canzoni rock, e in inglese faccio abbastanza schifo… Ti piace l’indie italiano?» domandò. Nico tentennò per un momento, poi annuì. Raf gli sorrise. «Bene! Allora…». Cominciò a strimpellare, e Nico si stupì nel sentirlo cantare. Non sembrava così sicuro di sé -lui non l’avrebbe mai fatto. Si stupì nuovamente nel riconoscerne il testo. «E quello che voglio è vivermi meglio… Di così» intonava Raf con voce tranquilla, rilassata, a suo agio. Nicola abbozzò un sorriso, continuando a osservarlo. Un lieve calore gli riscaldò il petto; forse era il pensiero di quelle attenzioni a farlo sentire bene. Si concentrò sul testo, sulla figura di Raf, le sue mani delicate sulle corde, la vibrazione dell’aria intorno allo strumento… Poi la canzone terminò, e lui ne iniziò un’altra dello stesso cantautore. Era più lenta, più triste, con un testo più serio, e Nicola cominciò a tremare alla seconda strofa.
Aveva chiamato Raf per distrarsi, almeno per provarci. Distrarsi da Alessandro, da Luca, da sua madre, da suo padre, dall’università, da tutto quanto. Voleva solo tornare a sentire quel calore diffuso in tutto il corpo, le farfalle nello stomaco e la sensazione di leggerezza come se potesse volare. Sentirla solo per un altro giorno, solo per un altro momento. Ma…
«E tu, adagiata su un angolo del cielo a guardare questo mondo che si affanna, che si illude e si inganna…»
Era doloroso ricordare com’era la vita prima di ritrovarsi in tre. Un meno uno improvviso, come una manciata di capelli strappati via da un bullo, doloroso come un pugno nello stomaco che ti tronca l’aria nei polmoni. Il momento prima prendi in giro tuo fratello, lo accompagni al parco giochi perché sì, perché sei un bravo fratello maggiore dopotutto; parli delle altalene e degli scivoli e gli dici che no, quando tu eri piccolo non c’erano gli hoverboard e che dovevate fare gli sfigati col monopattino. Lui ride, il cellulare squilla, tu rispondi e lo fissi, quel fratellino piccolo e innocente e ancora non pronto alla vita. Tu stesso non sei pronto alla vita, tu stesso non sai cosa voglia dire sentir tua madre piangere, tu stesso vorresti gettarti in terra e piangere e soffocare e raggomitolarti e dimenticarti del mondo. Però devi restare impassibile, devi portare tuo fratello al parco comunque perché c’è l’ambulanza, e stanno arrivando i parenti, e tuo fratello non può vedere niente perché tu hai quasi diciassette anni e a stento riesci a capire cosa significhi “aneurisma”. Che roba è morire a quarant’anni? Ma che vuol dire che non c’era niente da fare? Che cosa, cosa, cosa?
«Ci sei tu, la mia unica Luna tra milioni di stelle, a tener su la vita con un paio di bretelle…»
E per un periodo aveva pensato di dire a Luca che il papà era lassù in cielo a guardarlo e a prendersi cura di lui, ma non ne aveva avuto il coraggio. Come dici a un bambino di nove anni che suo padre non tornerà mai più a casa perché gli è scoppiata una vena nel cervello? Lui stesso aveva avuto incubi per settimane, e aveva continuato a piangere e a sentire il suo odore dappertutto. Quindi erano iniziate le bugie, che papà aveva trovato lavoro da un’altra parte, che papà era in viaggio, che papà sarebbe tornato presto… Presto… Presto…
«Nico?»
E intanto erano passati due anni, due anni in cui aveva provato a prendersi cura di suo fratello sempre più ammalato senza nessun motivo apparente. Sicuramente è stanchezza, poi: sicuramente sente la mancanza del padre, e ancora: sicuramente richiede attenzioni, si sente abbandonato, non si reputa abbastanza considerato. Ma se quei pochi amici che aveva venivano a casa solo per giocare col suo fratellino, e non per stare con lui! Allora il problema è il ferro, è il ferro, dategli gli integratori. E il mal di pancia? E il peso che continua a scendere? Non è solo pigrizia, continuava a ripetere. Non è triste, insisteva con sua madre. E alle ennesime analisi del sangue: è anemico, seguite questa cura inutile finché volete. E invece? E invece non era anemico. Non era anemico e rischiava di fare la fine di suo padre, e poi cosa avrebbe detto a se stesso? Che Luca…
«Oh, Nico?»
…era andato in viaggio con papà? Che erano insieme su di una stella fra milioni di stelle, a guardarlo e a proteggerlo in quella vita di merda che si ritrovava? A che scopo aveva continuato a sopportare quello schifo, a passare i soldi a sua madre senza nemmeno che lei sapesse del suo operato? A che scopo aveva venduto armi e account rubati e carte di credito clonate, rischiando il carcere o anche peggio? Perché avevano continuato a vivere in quell’orribile quartiere ricco e fatto per i ricchi, se il giardiniere del condominio era crepato di aneurisma cerebrale? Perché sua madre continuava a fare un doppio lavoro invece di fare i bagagli e andare via da quel luogo pieno di ricordi dolorosi? Dopo cos'è che l’aspettava, sua madre impiccata in bagno? Cos’altro, cos’altro? Dopo essersi venduto ad Alessandro, dopo aver stracciato la sua dignità ancora una volta? E se Luca… E se sua madre… E se…
«Oh, Nico!!! Mi senti?!»
Trasalì, rialzando lo sguardo. Raf gli poggiava una mano sulla spalla e lo fissava negli occhi stando vicino, vicinissimo al suo volto; così vicino da sentire l’odore del suo alito, di caffè bevuto da poco. Si sforzò di sorridergli, ma tremava ancora. Si accontentò di annuire. «No, che hai? Sei pallidissimo» si preoccupò ancora, accovacciandosi davanti a lui; lo guardava stando lievemente più in basso, con gli avambracci poggiati sulle ginocchia ossute di Nicola. In qualche modo gli aveva preso le mani, e le stringeva con forza nelle sue. Lo fissava con apprensione. «Sei ghiacciato. Non ti senti bene? Scusa, credevo che Brunori ti piacesse…» si giustificò. L’altro si affrettò a scuotere la testa. «No, no, non è colpa tua…» biascicò.
Brunori, che ironia. Alessandro l’avrebbe accompagnato nel canto, ridendo con quella sua risata finta e modulata.
«Mi dici cosa c’è che non va? Sono due giorni che mi ignori. A essere sincero temevo avessi cambiato idea su di me» insisté Raf. Nicola scosse di nuovo il capo. «No… Scusa. Ho solo bisogno di… Di te, ora» mormorò in risposta.

Raf lo abbracciò. Si sedette accanto a lui, la chitarra abbandonata a terra, e lo strinse a sé. Nicola lo lasciò fare, si lasciò accarezzare i capelli e la schiena coperta dal maglione prugna, mischiando l’odore di Alessandro a quello di Raf. L’altro ragazzo notò quel profumo estraneo, di maschio che non conosceva, ma non s’ingelosì. Non s’irritò. Non pensò a null’altro che non fosse: “Dio, fa’ che non pianga”. Nico non pianse, ma non si riprese. Il ragazzo che l’abbracciava, gentile, gli chiese se volesse stendersi; lui annuì, sfilarono entrambi le scarpe e si ritrovarono sul letto morbido, accogliente, e in qualche modo il piumone li ricoprì poco dopo, vestiti e noncuranti della vita al di fuori della camera. Nicola era silenzioso, col viso contro la spalla di Raf; e Raf si limitava ad abbracciarlo, senza forzarlo a parlare. Poi Nicola parlò, schiuse le labbra secche e disse: «Mio fratello sta morendo». Così, senza inflessione nella voce, senza piangere, senza urlare. “Mio fratello sta morendo”, risuonò nella mente dell’altro, e non seppe cosa rispondere. Lo strinse più forte, aspettando che piangesse, ma lui non pianse. Rimasero in quel modo per un sacco di tempo, finché Raf non pensò che si fosse addormentato. «Scusa per la canzone. Sono un ritardato» mormorò a occhi chiusi. Ma lo sentì sorridere nella sua felpa, tra le sue braccia, e gli baciò i capelli.

 

*

 

«Cosa ne pensi del fatto di Nico?» «…mh?»
Altre due interminabili ore buca. Erano seduti al tavolino di un bar piuttosto rumoroso, con un televisore acceso e un sacco di vita all’interno, tutti studenti affamati. Entrambi avevano il loro smartphone davanti, e mentre Alessandro scorreva pigramente sullo schermo Chiara lo fissava preoccupata. «Cosa “mh”, Ale. Non hai letto il suo post?» continuò. «Ah, no. Era troppo lung… Ahi! Ma che fai?!» sbottò rialzando lo sguardo. Chiara gli aveva detto uno schiaffo sulla nuca, attirando la sua attenzione; aveva intenzione di innervosirsi, ma la trovò con le lacrime agli occhi. La sua espressione mutò rapidamente. «Che? Che c’è? Perché stai piangendo?» chiese con stupore. «Sei proprio un cretino insensibile. Leggilo subito!» gli ordinò inviperita. Alessandro entrò sul loro social in comune, cercando il nome dell’amico e leggendo rapidamente quanto scritto. S’incupì mentre proseguiva nella lettura. «Oh… Oh, cazzo. Non lo sapevo. Come facevo a saperlo?» biascicò imbarazzato. «Lo avresti saputo se lo avessi letto, idiota!» esclamò Chiara, ancora offesa. Alessandro non rialzò lo sguardo dallo schermo, ancora intento nella lettura. «Che diamine è un neuroblastoma? Cioè, non sembra ‘na bella cosa, però…» chiese il ragazzo a mezza voce. L’altra si mosse sulla sedia, a disagio. «L’ho cercato su internet. È tipo un… Tumore al sistema nervoso. Dei bambini» specificò, scossa da un brivido. Alessandro rialzò lo sguardo su di lei, il volto a metà fra lo stupito e il dispiaciuto. «Che schifo. Non sapevo neanche avesse un fratello!» esclamò. Chiara alzò gli occhi al cielo. «Ti rendi conto di essere inopportuno?» chiese con fare saccente. L’amico sospirò, tornando con gli occhi allo smartphone. «Qui ci sono un sacco di cose tecniche che mica capisco, eh. Cioè, ho capito che ha bisogno di un trapianto e che questi sono un casino di soldi» notò. Alzò il cellulare dal tavolino, voltandolo in direzione dell’altra. «Ma proprio tanti» sottolineò, mostrandole la cifra -come se lei non l’avesse già vista. «Sì, l’ho vista» precisò infatti. «Ho anche fatto una donazione, anche se è una goccia nel mare…» sospirò dopo un attimo. Muoveva i piedi sotto al tavolo, ritmicamente, a disagio. Alessandro si grattò la barba. «Mh-mh… Io c’ho dieci euro sulla carta. Che se ne fa di dieci euro?» «Beh, è meglio di niente, no?» «Sì, hai ragione, ma ha bisogno di un aiuto ben più grosso del nostro. Accidenti, la vedo proprio difficil… Ahia! E questo per che cos’era?!» «Sei un insensibile! Stai zitto!» «Ma è vero, Chi- Ahia!!! La vuoi smettere?!» «Smettila tu!». Battibeccavano come bambini delle elementari.

«Ti piace Cinzia?» chiese Chiara all’improvviso. Era tornata seria, e ad Alessandro mancò il fiato per un momento; arrossì violentemente. «Che te ne frega?» domandò bruscamente. Chiara arrossì a sua volta, in modo lieve. «Come che mi frega! È una mia amica. Se hai intenzione di trattarla male…» «Oh, ma sta’ zitta. Pensa ad Alessandro, tu!» «Cooosa?! Ma come… Come…». Chiara boccheggiò, abbassando la voce. Ad Alessandro, quello presente, venne un’idea cattiva. Di più: maligna. Napoletana: con la cazzimma. Tornò con lo sguardo sul cellulare, con nonchalance. «Tanto è gay». Silenzio tra loro, qualcuno che ordinava due caffè in lontananza, uno in tazza grande.

«…cosa?» riuscì finalmente a chiedere Chiara. Lo fissava con occhi grandi, ampi, resi ancora più definiti dal trucco leggero. «Ah, sì. Non te l’ho detto, l’ho visto baciarsi con quel tipo dell’altra volta, Mirko. Il rosso» precisò, come se potessero esserci incomprensioni. Chiara tornò in silenzio, poi: «Ah». Alessandro la spiò con la coda dell’occhio. Si sentì pervadere dalla soddisfazione, anche se un lieve senso di colpa provava a far capolino dal retro della sua mente. Lo scacciò. «Non che m’interessi» bofonchiò Chiara, grattandosi distrattamente il capo. Alessandro allargò un sorrisetto involontario. «Ma sì, figurati, dicevo tanto per dire» mentì compiaciuto.

 

*

 

«Mh, astuto». Controllava il cellulare in attesa dell’inizio della lezione, e lesse con attenzione il lungo post. Lui sapeva cosa guardare, cosa cercare, come leggere tra le righe. Nicola non era stupido, sapeva di non poter raccogliere tutti quei soldi in internet; ma sapeva anche di dover giustificare, con sua madre e con l’ospedale, quella cifra assurda piovuta dal cielo -che né Nicola, né sua madre, potevano ovviamente permettersi. Le donazioni online erano una cosa meravigliosa, e anche se suo padre era uno stronzo, almeno la sua povera, tenera mamma avrebbe acconsentito a quella buona azione nei confronti di un vecchio amico.
Alessandro non credeva nel destino, non di solito, ma quella coincidenza era stata troppo favorevole per non ringraziare di riflesso il Fato o chi per lui. Proprio quando cominciava a temere di non poter più trovare una buona occasione, ecco che la buona occasione gli pioveva addosso: Nicola di nuovo da lui. Nico, Nico in lacrime. Nico fra le sue braccia. Nico nel suo letto. Nico che lo ringrazia, che gli è riconoscente. Che gli è sottomesso come tutti gli altri. Di nuovo di sua proprietà, così come doveva essere.

Un collega di corso lo salutò, strappandolo ai suoi pensieri, e lui ripose rapidamente l’iPhone. Salutò con la solita energia, diede le necessarie pacche sulle spalle, scherzò con chi doveva, flirtò con una collega fermatasi per lui, occupò il posto che gli avevano tenuto con gioia, si accomodò, relegò Nicola a un angolino della sua mente. Nicola che lo aspettava a casa sua. Lo aspettava di sicuro. Dove altro poteva essere, altrimenti?

 



Note dell'Autore

Questo racconto vira pericolosamente verso il drammatico + rating rosso. Spero di non dover cambiare nessuna impostazione, nel caso assicuratevi di seguire la storia (o quantomeno di recensirla, mandarmi un messaggio per dirmi che la leggete, 'nsomma qualcosa) per essere avvisati in caso di novità.

NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.

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Capitolo 14
*** 14. ***



14.

 

Aveva smesso di rispondere alle chiamate, ai messaggi, ai tag sui social. Chiara era particolarmente preoccupata, e continuava a scrivergli almeno due o tre volte al giorno. Gli inviava gli appunti, le foto delle slide, le registrazioni che non scaricava nemmeno: lui visualizzava e non rispondeva, lasciava squillare il cellulare e le chiedeva mentalmente scusa.
Non era ancora tornato a casa. Aveva detto a sua madre di essersi fermato da Alessandro –ed era vero. Incrociava di rado i genitori dell'altro: spesso erano fuori città, e quando si trovavano a Napoli erano sempre a lavoro, in giro, a far cose. La madre si era preoccupata di chiedergli come stesse suo fratello, lui aveva ringraziato per il prestito e la conversazione era terminata lì. Erano trascorsi solo dieci giorni, ma l'ansia e la paura diluivano ogni istante in un'eternità. L'unica persona che sentiva al telefono era sua madre, la quale lo informava, tra le lacrime ogni volta, di non avere novità. Esclusa così la famiglia, gli amici e gli incontri occasionali, non restava che lui.
La tranquillità di Alessandro lo irritava e agitava come un maltempo interiore. Rideva, si muoveva per la casa fischiettando, poggiava la testa sul cuscino col desiderio di dormire –e dormiva, anche, senza pensieri o preoccupazioni. Lo invidiava e lo odiava per quella sua impermeabilità al dolore; l'unica volta in cui gli aveva chiesto della salute di Luca era stata parlando al telefono con sua madre, per aggiornarla sulla situazione. Subito dopo l'aveva sentito commentare il meteo, relegando lo stato di suo fratello a un argomento di conversazione qualsiasi. Quando ci pensava si rigirava tra le coperte, infossando il volto nel cuscino e scoppiando in lacrime; e se Alessandro era presente nell'appartamento, di solito, gli si avvicinava per consolarlo. Lo abbracciava, lo stringeva, gli parlava con dolcezza, gli accarezzava i capelli e il viso bagnato; ma tutto quello che avvertiva Nicola era un senso di vuoto indescrivibile, una recita studiata, con il preciso intento di far breccia nelle sue difese; e lui, già provato dal dolore, cedeva agli abbracci abbracciandolo a sua volta, ripetendo fra sé quanto profondamente lo odiasse.


 

Era un pomeriggio monotono, dal cielo coperto e le finestre chiuse ad attutire i rumori. Controllava i social svogliatamente, incapace di fare altro, e una fotografia catturò la sua attenzione: Chiara e un ragazzo abbracciati, seduti su di un muretto del lungomare. Fissò le due figure per qualche attimo, cercando di carpire qualche informazione in più dallo scatto; i due non sembravano in atteggiamento romantico, ma era una foto diversa da quelle che la ragazza scattava abitualmente con lui o con Alessandro. Forse lo aveva respinto? Non che Chiara fosse di chissà quale straordinaria bellezza, ma lui era eccessivamente brutto per lei. Pensò, malinconico, a quanti gossip stava perdendo in quei giorni. Chiara ne aveva sicuramente parlato con Alessandro, e normalmente lo avrebbe detto a entrambi, ma...
Il corso dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto da una riflessione agrodolce. Chiara che usciva con un altro? Digitò nella barra di ricerca il nome di Alessandro, aprì il suo profilo e controllò l'ultimo post pubblicato. Come immaginato, era di poco successivo la pubblicazione della foto da parte di Chiara. Aveva condiviso una canzone dei Sonata Arctica. Didascalia: "You touch me in many, many ways, but I'm shy, can't you see?" Una ragazza, tale Cinzia, aveva commentato con un cuoricino. Nicola ghignò, ruotando sul fianco destro. «Che sfacelo» mormorò tra sé, poi tornò sul profilo di Chiara per controllare meglio la foto. Era presente un tag, il quale lo portò al profilo di un ragazzo. «Giovanni, lavora presso "fotografo"... Che hipster del cazzo, dai. Fa le foto alla sua reflex, ma si può?» mormorava tra sé. «Povero Ale» sospirò ancora, chiudendo l'applicazione e lasciando il cellulare sul comodino dell'altro Alessandro, il proprietario di casa. Lo smartphone vibrò, lui si voltò a guardarlo e allungò una mano per recuperarlo.

L'unica persona alla quale rispondeva era Raf. Si era rifiutato di vederlo dopo quella imbarazzante visita a casa sua, e se possibile evitava di parlargli al telefono; ma ai messaggi rispondeva, ed erano l'unica cosa, in quei giorni, a farlo stare bene. Gli aveva scritto un semplice: "Hey, come stai?", e Nicola sentì il cuore stringerglisi disperatamente. Non poteva dirgli quasi nulla della situazione in cui si era cacciato, così era costretto a mentirgli. Rispose al messaggio, portando avanti la conversazione per qualche minuto, poi adocchiò l'orologio. "Scusa Raf, devo scappare. Ci sentiamo domani, ti scrivo io, ok?". Aspettò la risposta dell'altro, cancellò la loro conversazione e ripose il cellulare sul comodino, alzandosi di scatto dal letto.
Alessandro non gli permetteva di toccare il suo computer, ovviamente, ma gliene aveva portato uno da formattare e usare finché si sarebbe trovato a casa sua. Non aveva fatto domande sulla provenienza del portatile, limitandosi a fare quanto richiesto per poter riprendere il suo lavoro. Non impazziva all'idea di restare lì: aveva provato a tornare nel suo appartamento, ma la sola idea di sentire l'odore di Luca, di rivedere i suoi oggetti nella loro camera condivisa, lo faceva impazzire; e Alessandro non aveva problemi con la sua presenza, tutt'altro, così si era ritrovato a usare un nuovo computer. Continuava a odiare quello che stava facendo, ma lo faceva e lo faceva in silenzio.
Gli ci volle qualche minuto per stabilire una connessione sicura. Rispose alle email, approvò le vendite via web, trasferì delle comunicazioni, aggiornò gli store online. Dopo circa un'ora il grosso del lavoro era terminato; rimase per un po' a fissare la lista di stupefacenti in vendita, riflettendo sulla semplicità con la quale avrebbe potuto arricchirsi. Il flebile ronzio del portatile si confondeva a un lontano abbaiare, proveniente dalla strada. Sarebbe stato così facile...

Il cellulare vibrò di nuovo, lui ruotò sulla sedia ed emise un verso di sorpresa. «Già finito?» gli chiese Alessandro. Era seduto sul letto, sfilava le scarpe senza guardarlo, con gli occhi rivolti verso lo smartphone sul comodino. «Sì. Non ti ho sentito entrare...» «Ti cerca Chiara. Ma perché non la chiami?» lo interruppe l'altro. Nicola lo seguì con lo sguardo mentre si stendeva sul letto con uno sbadiglio, sfilando gli occhiali con una mano e lasciandoli, ancora aperti, sul suo cellulare. Il braccio destro era piegato dietro la nuca, nella solita posa che Nicola così bene conosceva. Lo vide socchiudere gli occhi, piegare un ginocchio fasciato dai jeans chiari, un piede scricchiolare nel calzino scuro. Rimasero in silenzio per qualche momento, poi Alessandro sorrise. «Perché non vieni un po' qui?» gli chiese con voce pacata. Non era una vera domanda, così come quello non era un vero sorriso. Nicola si alzò come un automa, in silenzio, camminando scalzo e avvicinandosi al letto. Poggiò un ginocchio sul materasso morbido, poi l'altro, infine si stese al suo fianco. Sentiva freddo nel pigiama leggero, e le maniche lunghe gli solleticavano i polsi ossuti. Avrebbe voluto afferrare lo smartphone, rispondere a Chiara, telefonarle. Dirle: «Oh Chiara, Giovanni fa schifo, non so chi sia Cinzia ma Ale ha una cotta per te, devo presentarti un ragazzo, si chiama Raf e lo trovo fantastico, usciamo a prendere un caffè o qualcosa del genere?». Ripeté in mente quelle parole, programmando una serata che sapeva non avrebbe realizzato. Invece lasciò che Alessandro gli avvolgesse le spalle con un braccio, avvicinandolo a sé, e che lo baciasse sulle labbra. Ricambiò. «Allora, che ti ha scritto la tua amica?» gli mormorò ancora. Nicola si strinse nelle spalle, ruotò, pigiò un pulsante sullo smartphone per illuminare lo schermo e lesse ad alta voce. «Ti va se domani sera mangiamo una pizza insieme?». La voce gli uscì roca, insicura, e Alessandro ridacchiò. «Sì dai, io non sono invitato?» scherzò poi, continuando a fissare il ragazzo. Nicola lasciò che lo schermo si oscurasse nuovamente, e il braccio muscoloso attorno al suo petto lo tirò all'indietro, riportandolo disteso. «Ho avuto una giornata stressante» gli comunicò l'altro. Gli occhi nocciola di Nicola rimasero fermi sul volto di Alessandro. La pelle chiara, curata, contornata dalla barba ben tenuta; il naso dritto, gli occhi chiusi, le labbra stirate in un mezzo sorriso. «Perché mi fissi?» mormorò, rialzando una palpebra per controllarlo. Nicola distolse lo sguardo. «Non ti stavo fissando...» «Ma guardalo, fa il timido. Vie' qua» lo tirò a sé ancora una volta, puntellandosi sul materasso con un gomito, il busto volto verso di lui. Gli alzò lentamente la maglia, scoprendo la pelle un centimetro alla volta; una sottile striscia di peli scuri collegava il pube all'ombelico, e Alessandro la seguì con un indice, risalendo fino al petto. Artigliò la maglia con il dito e l'alzò, aspettando che Nicola la sfilasse dal capo; il ragazzo lasciò che il tessuto gli si attorcigliasse sulla nuca, poi infastidito sfilò le maniche. Si ritrovò a petto nudo, con il capo infossato nelle spalle, e una forte sensazione di disagio ad avvolgerlo. Alessandro si chinò su di lui, sfiorando con le labbra un livido sul fianco sinistro. «Scusa, ti ho lasciato un segno...» soffiò in un bacio. Nicola fu scosso da un brivido di dolore e si mosse lentamente, per allontanare il volto dell'altro dal livido giallastro. «Non importa» bofonchiò. Non era il primo segno che Alessandro gli lasciava sulla pelle, sapeva che non sarebbe stato l'ultimo, ed era sicuro che quelle scuse fossero finte, proprio come le banconote che vendevano nel web. Tutta quella situazione era una messinscena; avrebbe voluto urlare la sua frustrazione, ma restò fermo mentre Alessandro sbottonava la camicia, la gettava sul pavimento accanto alla sua maglia, passava un polpastrello tra la sua pelle e l'elastico dei boxer. Fissava un punto indefinito nella stanza, lasciando che i pantaloni venissero tirati via, lasciando che i boxer incontrassero la stessa sorte, e si lasciò baciare ancora una volta la pelle. Alessandro gli mordeva il collo, stringeva con forza i suoi avambracci, gli graffiava le gambe. Si chiese come potesse avere due amanti allo stesso tempo; vedeva Mirko quasi ogni giorno, e quando tornava a casa ricercava sempre la sua compagnia. Sembrava instancabile, insaziabile di quelle attenzioni. Durante il tempo in cui erano stati separati, gli sembrava essere diventato ancora più violento. Una volta Nicola lo aveva trovato eccitante, forse perfino appagante; ma in momenti come quello –momenti in cui si aggrappava, annaspando, al pensiero di Luca in salute e felice– provava solo una forte nausea.

Ripiegato com'era tra le lenzuola, il volto seminascosto sotto il cuscino, gli sembrava di poter scomparire. Alessandro si muoveva con forza nel suo corpo, ansimando e modulando i movimenti. Di tanto in tanto cercava il suo riflesso, adocchiando lo specchio a parete, e gonfiava il proprio ego nel guardare i propri muscoli definiti, i pettorali tirati, i bicipiti abbronzati. Cercava i capelli di Nicola, li stringeva, gli spingeva il capo nel materasso, sospirandogli nell'orecchio, e lo colpiva, gli colpiva i fianchi, la schiena segnata da lividi, gli stringeva il collo con un avambraccio fino a farlo diventare cianotico, fino a farlo tossire. Lo feriva a sangue, poi gli chiedeva di guardarlo, di ammirarlo in quella dimostrazione di conquista, di sopraffazione, di amore unilaterale –Alessandro verso se stesso. Nicola stringeva i denti, distoglieva lo sguardo e sopportava il dolore. Si chiese se tutti i ragazzi fossero come Alessandro, poi si rispose negativamente. Ripensò a Raf, poi arrossì imbarazzato, temendo forse di poter essere visto in quel momento dal ragazzo, o che Alessandro potesse scrutargli nella mente. Invece Alessandro lo rivoltò senza gentilezza, gli afferrò le guance, gliele strinse fino a fargli male e gli cercò la lingua con la propria. Era routine, un programma al quale Nicola aveva scelto spontaneamente di sottostare; e anche se il suo corpo riusciva a trovarvi un lato positivo, lui continuava a sentirsi morto dentro.


Quegli incontri animaleschi spesso gli toglievano ogni energia, e col calare della notte, nell'oscurità della camera, riuscì ad addormentarsi nell'abbraccio caldo dell'altro ragazzo. Alessandro rimase a fissarlo per un po', carezzandogli distrattamente i capelli. Nicola respirava pesantemente, in modo appena irregolare; non si erano neanche rivestiti, e Alessandro si era limitato a tirare le coperte sui loro corpi sudati. Provò a spostare l'amante, probabilmente per dirigersi in cucina per uno spuntino, quando la sua attenzione venne attirata da una breve vibrazione. Portò lo sguardo al comodino, e un sorrisetto gli si allargò sulle labbra. Raggiunse il cellulare con la mano libera, stendendosi accanto a Nicola e leggendo la scritta appena arrivata. Fissò lo schermo per qualche momento, poi spostò gli occhi verso la figura addormentata accanto a sé. Sfilò lentamente il braccio occupato, incastrato fra la nuca dell'altro e il materasso, e scese dal letto. Recuperò i boxer, ancora con lo smartphone stretto nella mancina, li infilò e uscì dalla camera, incamminandosi verso il salotto. L'anteprima del messaggio aveva attirato la sua attenzione e Alessandro dubitava di non riuscire a entrare nel cellulare, nonostante un pin necessario e le abilità informatiche di Nicola. Conoscendo il proprietario dello smartphone, decise di non tentare la sorte per più di tre volte: scartò istintivamente il suo anno di nascita, e digitò solo il giorno seguito dal mese. "Due tentativi rimasti", spuntò sullo schermo. «Fanculo» digrignò il ragazzo, poi provò l'anno di nascita di Luca. "Un tentativo rimasto". Alessandro sbuffò. «Quand'è il compleanno di quel...» borbottò fra sé, gli occhi rivolti al pavimento in cerca di un numero perso nella memoria. Si era gettato pesantemente su di un divano, e il tessuto di pelle creava attrito con la propria, distraendolo. Gli ci vollero più di cinque minuti per ricordare il giorno esatto; lo digitò, facendolo seguire dal mese di nascita, e lo smartphone mostrò la lista di applicazioni installate. «Prevedibile» mormorò soddisfatto, poi aprì l'app di messaggistica e lesse il nuovo messaggio. "Scusa Nico, lo so che hai detto che mi avresti riscritto tu ma voglio chiedertelo il prima possibile... Ti va se domani sera ci vediamo? Magari mangiamo qualcosa da me? Non voglio che resti solo di sabato sera con tutto quello che è successo. Mi manchi". Seguivano non uno, non due, ma ben tre cuori rossi; Alessandro notò anche l'assenza di messaggi precedenti, o di quel numero nel registro chiamate. Eliminò il messaggio, bloccò lo schermo e tornò silenziosamente in camera, per riporre lo smartphone sul comodino e recuperare il proprio. Tornò in salotto, col cellulare fermo accanto all'orecchio.
«We, Ivan, puoi parlare?» domandò con la sua solita voce calma. Si grattò un orecchio, specchiandosi distrattamente nell'ingresso; era praticamente nudo, ma non sentiva freddo. «Bene. Ho una cosa per te. Puoi risolverla entro il finesettimana? ...sì, sì, solito indirizzo, ci mancherebbe. No, niente... Sì, te lo faccio avere entro un'ora. Il tempo che recupero... Eh no, non mi può aiutare!» scoppiò in una risata divertita, ancora fermo allo specchio. «Sì, è personale... Macché, non c'è bisogno. Certo, un'ora. Ti ricontatto io, ciao». Restò a fissare lo schermo per qualche istante, poi sbuffò. «Che rottura di coglioni» concluse, poggiando il cellulare sull'ingresso e dirigendosi, affamato, verso la cucina.

 



Note dell'Autore

Finalmente ho aggiornato! Non sparisco, giuro.

NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.

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Capitolo 15
*** 15. ***



15.

 

La prima lezione del lunedì mattina era sopportabile solo grazie alla presenza dei suoi amici. Da quando Nicola aveva smesso di frequentare i corsi, Alessandro era tutto ciò che le restava in quelle lunghe e noiose ore buca giornaliere. Il ragazzo era sempre stato molto allegro, estroverso e pronto a farla ridere, almeno quand’erano da soli; ma da qualche tempo, notò Chiara, quel rapporto fra loro due si stava lentamente raffreddando. Non riusciva a capire di chi fosse la colpa, e anche se si sforzava di rafforzare la loro amicizia, ogni volta c’era qualcosa di nuovo che la irritava al punto da farla allontanare. Il modo in cui teneva la penna, quello in cui le scuoteva il braccio per attirare la sua attenzione, in alcuni momenti perfino la sua voce le risultava intollerabile. Non riusciva a non provare una forte vergogna per quella sensazione di fastidio, ma più si sforzava di coglierne la ragione e più quella le sfuggiva.

Quella mattina si rilassavano in attesa della lezione successiva, seduti in cortile a chiacchierare. «Credo di aver finito il catalogo di Netflix» le comunicò Alessandro. Chiara seguì il suo sguardo, concentrato sullo schermo dello smartphone. «Oh, questo qui l’hai visto?» gli domandò a voce alta, portando un’unghia rosicchiata al display e aprendo una delle locandine virtuali. «Sì, ma non era niente di che. Uff, mi sa che dovrò aspettare la nuova stagione di Stranger Things» borbottò fra sé. La ragazza piegò le labbra in una smorfia. «A me non è piaciuto. Troppo macabro» si giustificò rapidamente. L’espressione di Alessandro era di puro disgusto. «Tu non meriti un abbonamento a Netflix!» esclamò. Chiara scoppiò a ridere. «Ma dai, non è che perché…» «Tu non lo meriti!» «Ale, dai però…» «Verrai risucchiata nel Sottosopra!» «Ma la pianti?» «Eretica!» «Oh, aspe’» lo interruppe, improvvisamente seria. Recuperò il cellulare da una tasca della giacca. «Oi! Tutto okay?!» si agitò al telefono. Alessandro la fissò incuriosito, riponendo il proprio smartphone. «Cosa? Sì. Aspetta, c’è un aereo, non sento nulla…» approfittò della rumorosa pausa per coprire il microfono con una mano. «È Nico!» scandì silenziosamente all’altro amico; quello alzò le sopracciglia, avvicinando un orecchio al retro del cellulare di Chiara, per origliare la conversazione. «Okay, dimmi» riprese lei. Ascoltarono in silenzio per un po’. «Sì, sì, ma certo… Aspetta, segno il nome» continuò a parlare, gesticolando intanto verso Alessandro. Lui le tese il proprio cellulare, lei aprì il loro social in comune e digitò qualcosa nella barra di ricerca. «Foto? …okay, trovato. Sì, ti faccio sapere. Sicuro che stai bene? Vuoi che passo… Okay, okay. Ti scrivo più tardi. Ciao…» terminò la telefonata con un vago turbamento nella voce, e quando riabbassò lo smartphone rimase a fissare per un po’ lo schermo statico, intenta in qualche riflessione. «Allora? Che ha detto?» incalzò Alessandro, recuperando il proprio cellulare e guardando il profilo social sullo schermo. «E questo chi è?» continuò. «Ah, ma niente. Un amico di Nico, pare l’abbia bloccato o qualcosa del genere e si è preoccupato. Mi ha chiesto di vedere se lo becco a lezione» spiegò a bassa voce, poi scrutò gli altri presenti in cortile; non le sembrò di riconoscere il ragazzo in foto. Alessandro ghignò. «Beh, qual è il problema? Ora lo aggiungo e glielo chiedo direttamente. Problema risolto» concluse. «Ecco qui, richiesta inviata. Nico ti ha detto altro? Come sta?» s’interessò nel frattempo. Chiara scosse la testa. «No, non mi ha detto niente. Sembrava di fretta, tra l’altro. A te sta rispondendo?» «No, credo stia ignorando un po’ tutti. Dai ma non prendertela, lo sai che è fatto così…» «Sì, sì, figurati. Novità dal tipo?» chiese adocchiando lo schermo. Alessandro scosse la testa, riaprendo l’applicazione e cercando nuovamente il nome del ragazzo. «Ma che ca… Non lo trovo più!» esclamò stupito. Chiara rise. «Ti ha bloccato? Davvero? Devi fare proprio un’ottima impressione!» commentò divertita. «No dai, mi ha bloccato per davvero? E perché? Ma chi lo conosce?!» ribatté lui indignato. Ripose il cellulare, irritato. Chiara gli pizzicò una guancia, chiudendola fra le nocche di indice e medio. «Quanto sei carino quando ti arrabbi!» notò. Alessandro arrossì, distogliendo lo sguardo. «Ah–ha. Simpatica» borbottò. Un rapido silenzio imbarazzato scese fra i due. La ragazza provò a rimediare, recuperando l’ultimo argomento di conversazione, ma prima di poter formulare una parola di senso compiuto fu interrotta da qualcun altro. «Ale!» esclamò una voce femminile; un momento dopo Cinzia invase il loro campo visivo, sedendosi sulle ginocchia del ragazzo e scoccandogli un bacio sulle labbra. Chiara portò lo sguardo al pavimento. «Ciao Chia’!» «Ehi, ciao…» «Ale, ti va se andiamo da me? Dai» provò a convincerlo con voce lamentosa. Il ragazzo la fissò per un po’. «Beh… Perché no. Chiara, ti spiace passarmi gli appunti?» si rivolse all’amica, e si stupì di trovarla con le gote arrossate, livida di rabbia. «Guarda che non prendo appunti per darli in giro!» scandì irritata. Alessandro, perplesso, provò a spiegarsi. «Lo so, ma tanto devi passarli comunque a Nico, no?» chiese retoricamente. Cinzia improvvisò una risatina, alimentando il nervosismo dell’altra. «Non c’entra niente! Non passerai mai l’esame se non segui!» sbottò alzando la voce. Alessandro provò a ribattere, ma l’altra ragazza s’intromise con l’intento di sdrammatizzare. «Chiara!» attirò la sua attenzione ridendo nuovamente. «Non fare così, sembri Hermione di Harry Potter!» la prese bonariamente in giro. Chiara scattò in piedi, con il volto paonazzo e lo zaino in una mano. «Guarda che Hermione e Ron alla fine si mettono insieme!» quasi le urlò in faccia, allontanandosi a grandi passi. Cinzia rimase a fissare il punto dove, fino a un attimo prima, era seduta la sua amica. Entrambi allibiti, impiegarono un po’ per riprendere la conversazione. «Ma che voleva dire?» domandò ad Alessandro, il quale si strinse nelle spalle. La ragazza appariva alquanto turbata, e lui si affrettò a distrarla. «Allora, andiamo da te oppure vuoi restare seduta qui? Guarda che pesi… Ahia!» esclamò, colpito alla spalla da un pugno di Cinzia. «Non ti permettere più di dire che peso!» rispose lei. Gli scoccò un altro bacio sulle labbra, poi si alzò e aspettò che lui facesse lo stesso. S’incamminarono mano nella mano, diretti in strada, con le dita intrecciate.
 
 Chiara entrò nell’ascensore con largo anticipo, trovandolo vuoto. Aspettò che le porte automatiche si richiudessero e si appoggiò a una parete, sospirando e portando gli occhi a una mano; si accorse di tremare lievemente. Lo specchio le restituì il riflesso di una ragazza triste, agitata, con le gote ancora purpuree sotto il trucco leggero. Avvertiva sentimenti contrastanti verso Cinzia; erano amiche, certo, ma… Fu difficile ammettere di provare un forte senso d’inferiorità nei suoi confronti. Cinzia era sempre stata quella carina ed estroversa; sempre a dieta, con belle forme e un look appariscente, non le era difficile metterla in ombra. Chiara non si era mai apprezzata molto, e anche se detestava i capelli ricci e vaporosi, il naso grosso e i chili di troppo, non aveva mai trovato la forza di Cinzia per migliorarsi. Per provarci, almeno; e non era mai neanche stata una sua priorità. Specchiandosi di sbieco, nell’ascensore, quasi come vergognandosene, non capiva infatti il perché di quegli insoliti pensieri. Perché, poi, aveva risposto in modo così stupido a quella battuta su di lei? Era talmente arrabbiata!
Le porte dell’ascensore si aprirono, Chiara entrò nel corridoio affollato e rimase ferma, indecisa sul da farsi. Controllò l’orario, e giudicandosi in anticipo s’incamminò alla sua sinistra, diretta alle sedie, pensando a come occupare il suo tempo. Non riusciva a smettere di pensare ad Alessandro e Cinzia, e più ci pensava più la sua agitazione aumentava. Avrebbe potuto chiamare Gio, ma l’idea di sentirlo non la entusiasmava…
«Oh, scusami!» esclamò preoccupata. Sovrappensiero com’era, era andata a sbattere dritta contro un ragazzo. Era fermo a chiacchierare con i suoi amici, quindi si limitò a borbottarle un “tranquilla” a mezza voce. Chiara lo scrutò rapidamente, e sentendosi a disagio si affrettò, riprendendo a camminare. Non era intenzionata a origliare, ma una frase le arrivò alle orecchie e la indusse a voltarsi, tornando a osservare il gruppetto fermo nel corridoio. Si grattò il mento, riflettendoci su, poi tornò sui suoi passi. Batté delicatamente su un braccio del ragazzo colpito poco prima, provando ad attirare la sua attenzione. I ragazzi attorno a lui si voltarono a guardarla; erano pressappoco una mezza dozzina, e Chiara si sentì rimpicciolire. «Scusa, sei… Sei Raf, giusto?» domandò con voce sottile e titubante. L’altro la squadrò. «Ci conosciamo?» ribatté l’altro. Era molto brusco e Chiara si pentì subito di essere tornata indietro. «Posso… Posso parlarti un secondo?» balbettò con lo sguardo basso. Raf la osservò per qualche altro momento, poi fece un cenno agli amici e si allontanò di qualche passo, seguito dalla ragazza. Infilò le mani nelle tasche, continuando a fissarla come se avesse fatto qualcosa di deplorevole. «Sì, scusami, non volevo… non volevo disturbarti. Sono… Sono un’amica di Nico e lui si chiedeva se andasse tutto bene» mormorò con voce tremante. Aveva già dimenticato tutto il malumore causato da Cinzia, sentendosi terribilmente fuori posto. Raf fece un passo indietro, scuotendo una mano tra loro due. «Non voglio più sentirlo, chiaro? Digli di smetterla di cercarmi!» ringhiò in risposta. Chiara sembrò rimpicciolire ulteriormente. «Sì, sì –chiaro. Scusami, io non… Quindi devo dirgli che stai bene? Cos’hai fatto a…?» azzardò, distogliendo nuovamente lo sguardo. Il ragazzo non sembrava essere particolarmente in forma; chiuso com’era nel giubbotto, l’unica parte visibile era il viso, coperto da diversi ematomi e punti chirurgici su di un sopracciglio e il labbro inferiore. Nonostante la curiosità, comprese di aver formulato la domanda più inopportuna che potesse venirle in mente. Il ragazzo le si avvicinò, inducendola a indietreggiare come in un valzer d’inquietudine. «Sono caduto dallo scooter, ma non vedo come questi possano essere cazzi tuoi o di Nicola. Se mi cerca di nuovo, giuro che cambio numero. Levati dalle palle» sibilò tra i denti, ostile, prima di allontanarsi e tornare dai suoi amici. Chiara rimase dritta sulla mattonella, con le gambe flaccide e lo stomaco ingarbugliato. Quella giornata era da dimenticare al più presto, continuò a ripetersi in mente. Cambiò idea sulla sua destinazione, e con un rapido dietrofront si diresse verso l’aula, dove estrasse il cellulare con l’intento di scrivere a Nicola. “Ho beccato quel ragazzo in corridoio. Dice che non devi cercarlo più o cambia numero di cell, e che sta bene anche se è caduto dallo scooter, ma non voleva che te lo dicessi, solo che può andare a cagare e te lo dico lo stesso. Non posso sapere cosa sta succedendo, eh?” inviò e rimase in attesa. Il messaggio venne contrassegnato come spedito, poi come ricevuto e infine visualizzato. Nicola cominciò a digitare qualcosa, poi s’interruppe, poi riprese e s’interruppe nuovamente. Alla fine Chiara ebbe una risposta: «Grazie». Sospirò. «Ma perché stamattina mi sono alzata dal letto?» si lagnò sottovoce. L’aula era ancora occupata dalla lezione precedente, e in attesa di poter entrare si avvicinò a un muro, dove scivolò verso il basso per sedersi sul pavimento impolverato. Armeggiò brevemente con gli auricolari, intenzionata a ingannare il tempo con un po’ di musica, quando lo smartphone richiamò la sua attenzione, illuminandosi e vibrando. Chiara fece roteare gli occhi verso il soffitto, annoiata, poi rifiutò la telefonata in arrivo. Invece inviò un messaggio: “Scusa Gio, sono a lezione. Ti scrivo più tardi” tagliò corto. Ricordò a se stessa che quella giornata, prima o poi, sarebbe finita, e si convinse a resistere un altro po’. L’aula si liberò dopo pochi minuti, permettendole di occupare la mente concentrandosi su di una lingua straniera. Non sentì nessuno dei suoi amici per il resto della giornata.

 



Note dell'Autore

Non immaginate che spasso ricevere le vostre opinioni: non ce ne sono due che la pensano allo stesso modo, sui personaggi del racconto. Continuate a scrivermi (o recensite!), mi fa sempre piacere!

NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.

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Capitolo 16
*** 16. ***


 

 

16.

 

Nico l'aveva completamente dimenticato. Quel martedì mattina, ancora a casa di Alessandro, si era semplicemente svegliato con un tripudio di brevi vibrazioni sul cellulare. Era solo nell'appartamento, così non si preoccupò di tenere bassa la voce nel lanciare una serie di imprecazioni poco carine; recuperò lo smartphone muovendo una mano a tentoni, ancora assonnato. Con lo schermo a pochi centimetri dagli occhi arrossati finalmente alzò le palpebre, e una rapida lettura lo indusse a un lungo brontolio di fastidio; era stato inserito in una chat di gruppo intitolata “The Do a Napoli!!!”. La scritta era seguita da qualche emoticon a tema musicale, e i messaggi si susseguivano troppo rapidamente perché potesse aver voglia di leggerli tutti. Controllò i membri del gruppo senza smettere l'espressione angosciata che aveva in volto: Chiara, la mente dietro la creazione della chat; Alessandro, che a quanto pare aveva cambiato la foto profilo con una di coppia (Nicola pensò di starsi perdendo davvero troppe cose); e infine due numeri che il ragazzo non aveva in rubrica. Uno immaginò essere Gio, l'altra tale Cinzia. Con un lungo sospiro finalmente si decise a rispondere alla quantità abnorme di messaggi accumulatisi nel giro di poche ore. Esordì con una emoticon, poi digitò: “Scusami Chiara ma credo che non verrò. L'avevo completamente dimenticato, non ho comprato nemmeno il biglietto e a essere sincero non vedo il senso di venire a mantenere la candela...”. Forse era stato un po' troppo cattivo con quell'ultima frase, ma la sua unica intenzione al momento era quella di evitare l'evento sociale, non di preservare i sentimenti dei suoi amici. Uno dei due numeri sconosciuti mandò una risata per iscritto, Ale sottolineò a Chiara come le avesse predetto quella reazione da parte di Nicola, mentre Chiara digitò per un po', cancellò il suo messaggio, ci riprovò e poi chiuse l'applicazione senza rispondere. Nicola ritenne concluso il discorso, poggiò nuovamente il cellulare sul comodino e si alzò con un gemito di dolore. Non era più abituato a quelle sadiche attenzioni di Alessandro, né avrebbe voluto averne di nuove; ripetendo mentalmente il debito che aveva da saldare si diresse in bagno, svolgendo con calma la sua routine quotidiana. Si costringeva a non telefonare a sua madre per non darle fastidio, ma aveva sempre la suoneria al massimo per essere sicuro di risponderle ogni volta che lei lo cercava –in media una o due volte al giorno. Raf era completamente sparito e lui non riusciva a capirne il motivo, ma per quanto gli piacesse la sua compagnia non era quella la sua priorità, così evitava quanto possibile di pensarci. Tra il non pensare a questo e il non pensare a quello, finiva sempre vittima dei suoi pensieri peggiori: e così trascorse anche quegli interminabili minuti, tra il bagno e la cucina dove raccattò un paio di biscotti con cui tamponare la fame. Tornato in camera si sedette sul letto, rimandando ancora di qualche momento il lavoro, e sbirciò lo smartphone illuminato. Un pezzo di biscotto gli andò di traverso, costringendolo a dei vigorosi colpi di tosse e qualche graffio in gola.

“Aleee! Mi sono dimenticata di invitarti perché credevo l'avrebbe fatto Nico, vengono i The Do in concerto a Napoli lunedì prossimo, lo so che è con poco preavviso ma vieni con noi?” recitava il messaggio di Chiara al centro dello schermo. Subito sopra capeggiava un avviso: “Alessandro B. è stato aggiunto alla chat”, e subito sotto: “Ciao Chia'! Certo, fammi solo trovare i biglietti per me e anche per lui mi sa, che conoscendolo non l'ha ancora fatto”. Il messaggio di Alessandro era seguito dall'emoticon di un occhiolino, e a Nico nel vederlo venne voglia di vomitare. Provò a scrivere un qualcosa, qualsiasi cosa potesse cavarlo d'impiccio, ma si rese conto di non poterlo fare. Così mandò una faccina sorridente e si limitò a posare nuovamente il cellulare, tornando a rannicchiarsi sotto le coperte per un po'; i pensieri negativi non lo lasciavano libero di riflettere, inducendolo a sedersi con uno sbuffo.
 

*

 

Non è che avesse poi così tanto da fare, durante le ore buca tra una lezione e l'altra; tutto quel che aveva da gestire era controllabile dal suo cellulare, e raramente aveva impegni così imprevisti da costringerlo a un perentino cambio di programma. Complice la vicinanza dell'appartamento del suo amante, Ale ricercava spesso la sua compagnia quando non aveva altri impegni. Il lavoro di Raf richiedeva la sua presenza solo in orario serale, così i due potevano vedersi quasi ogni giorno. Nico conosceva molto bene il suo ex ragazzo, e su di una cosa in particolare aveva decisamente visto giusto: Ale era dipendente dal sesso. Perennemente alla ricerca di emozioni forti che non riusciva a trovare altrimenti, rifuggendo la droga per mere questioni di etica personale e non apprezzando, al contrario di molti suoi coetanei, le tipiche sbronze universitarie, alla perdita di controllo preferiva averne anche più di quanto non ne avesse di solito: controllo fisico, possesso animalesco, delle carni altrui. Mirko si prestava bene a questo suo gioco di potere, desideroso di semplice contatto fisico, di soldi facili e poco altro. Non era un tipo intellettuale e ad Ale era piaciuto proprio per questo. L'aveva conosciuto durante uno dei suoi primi giorni all'università: Mirko si era subito dimostrato molto disponibile e Ale l'aveva assecondato, ben disposto verso qualcuno bramoso solo di adorarlo –e di ricevere qualche favore economico di ritorno, di tanto in tanto. Quando Mirko aveva lasciato gli studi, appena un semestre dopo, i loro incontri non si erano fermati e lui era diventato sempre più violento, sempre più possessivo, soprattutto dopo che Nico aveva scoperto quel suo rapporto “secondario”, come lui stesso aveva amato definirlo con il suo ormai ex ragazzo. Il tradimento aveva portato a una rottura irreparabile e Nico si era volatilizzato dopo il termine delle superiori, evitando le sue chiamate, i posti che frequentava prima, tutti i suoi amici che erano, ovviamente, amici di entrambi. Ale ne era stato annoiato più per una questione economica che per altro: aveva dovuto spiegare a chi di dovere perché quel ruolo si era ritrovato improvvisamente scoperto, ed era dovuto ricorrere ai ripari in attesa di trovare una soluzione definitiva. Era stato un po' drastico, nel segnalarlo su siti poco amichevoli come detentore e venditore di materiale pedopornografico, ma era bastato a spaventarlo quel tanto che bastava a farlo ricontattare telefonicamente. Ale otteneva sempre quello che voleva, e Nico non era mai stato esentato dai suoi giochetti.

«Oh, sono giù, sto citofonando da mezz'ora» notò parlando al cellulare. La serratura del portone scattò con un ronzio e Alessandro lo aprì con una spinta della mano libera, riponendo nel frattanto il cellulare in una tasca della giacca. Fece scivolare dal polso destro il casco del motorino, risalendo le scale con fare svogliato. Arrivato al secondo piano il rosso gli aprì la porta, con un'espressione di scuse e solo un asciugamano in vita. «Davvero, mi dispiace, ero in doccia! Non sapevo a che ora saresti arrivato» tornò a giustificarsi facendogli spazio per passare. Ale richiuse la porta dietro di sé, poggiando al contempo il casco sulla consolle all'ingresso. Sospirò. «Non importa, almeno hai risposto al cellulare» lasciò cadere l'argomento. «Sarei passato dopo le sedici, ma dopo vado in palestra. Non hai da fare, mh?» domandò sfilando la giacca. Vedendolo di buonumore, Mirko sorrise. «No, sai che ho sempre tempo per te» rispose lascivo. Ale sapeva che Mirko sapeva cos'è che volesse da lui. Lo sapeva sempre, e glielo riconosceva: sapeva vendersi bene. Uno lasciò cadere in terra l'asciugamano e l'altro cercò con le mani il suo fondoschiena, portandolo a sé. Mirko strinse gli avambracci dietro la nuca del suo amante, alzando le gambe dal suolo e avvolgendo il bacino che si stagliava contro il suo. Sorridente, il fulvo lo baciò con passione. Era molto magro, molto leggero e Ale lo trasportò con facilità verso la camera da letto; ormai abituato da tempo all'ambiente in cui si muoveva, non aveva nemmeno bisogno di guardarsi intorno. Gettò il corpo dell'altro sul materasso, guardandolo ridere e spogliandosi anche lui, imitando le nudità di Mirko.


Non era il desiderio sessuale in senso stretto che ricercava. Non trovava Mirko particolarmente avvenente (anche se gli riconosceva un certo fascino), né avrebbe avuto difficoltà a trovarne altrove. Non era nemmeno abituato a donarsene da solo, di piacere, tanto poco era il suo interesse nel piacere carnale. La vera sensazione di vita gliela dava quella possessione che sapeva di non potersi procurare in altro modo: il bollore delle carni, i morsi, i lividi, il cagionare dolore all'altro e non vedersene fare una colpa, anzi. La sottomissione volontaria del suo partner era quello che lo inebriava davvero. Non era mai stato così stupido dall'essere violento con chi non apprezzava quel tipo di attenzioni, e anche se la tentazione era sempre stata tanta, aveva preferito smorzare i bulli alle superiori piuttosto che unirsi a loro. La sua scelta l'aveva ripagato, in passato, dell'adorazione di Nico: si era guadagnato in questo modo il suo giocattolo personale, qualcuno disposto a farsi ferire da lui piuttosto che da tutti gli altri. Con Mirko non era molto diverso, e al ragazzo bastava qualche regalino costoso per dimenticare qualunque pratica sadomasochistica potesse imporgli Ale.
 

Il capo riccioluto del ragazzo era gettato all'indietro, intento a godersi le urla scomposte di Mirko, quando l'iPhone sulla scrivania cominciò a vibrare. Ale non se ne curò, restando immerso nel corpo dell'altro, finché il cellulare non cadde dalla scrivania. «Cazzo!» esclamò irritato. Mollò la presa sul polso dell'amante, già violaceo, e si allontanò dal letto. Era madido di sudore e il suo odore acre lo irritava, così come quell'improvvisa irritazione. Alzò il cellulare dal pavimento e inforcò gli occhiali con la mano libera, anche quelli pericolosamente in bilico sull'orlo del mobile. «Chi è?» si lagnò Mirko. Ale interruppe la chiamata, abbandonando nuovamente il dispositivo sulla scrivania, e ignorò la domanda dell'altro. Si limitò a tornare a letto, dove trovò il ragazzo intento a massaggiarsi un ematoma sul braccio vecchio di qualche giorno. Si chinò a baciarlo con delicatezza, poi gli tirò i capelli all'indietro e prese a succhiargli un punto casuale sul collo. Mirko gemette di piacere.

 

*

 

La chiamata venne rifiutata; non che si aspettasse diversamente, in effetti. Nico pensò di aver fatto una cosa stupida e pensò di cambiare destinatario della chiamata, ma ci ripensò. Controllò l'orario, spaziò sovrappensiero con lo sguardo sulla camera, poi scese rapidamente dal letto e cominciò a vestirsi in tutta fretta. Si limitò a digitare un rapido messaggino rivolto a Chiara, poi abbandonò lo smartphone sul letto per un po'.
 

Non fu facile trovare una coincidenza con i mezzi pubblici, ma arrivò all'università solo pochi minuti dopo l'inizio della lezione. Il professore non era ancora in aula; Nico entrò con lo sguardo incollato allo schermo, intento a leggere le indicazioni via chat, e trovò entrambi i suoi amici in una fila a metà dell'aula, seduti esternamente. Nel vederlo Chiara saltò in piedi. «Nico! Oddio, come stai? Come sta tuo fratello? Non ci vediamo da una vita...» notò con apprensione. Nico le sorrise in modo sbrigativo. «Si va avanti. Grazie per avermi tenuto il posto, anzi, grazie per gli appunti e tutto il resto. Sei una vera amica» le disse a bassa voce. Chiara allargò le braccia per farsi stringere e lui esaudì il suo desiderio, seppure vagamente a disagio. Quando si sciolsero da quell'abbraccio improvvisato Alessandro si tese nella sua direzione, tendendogli una mano alzata a mezz'aria. Nico la batté, poi poggiò il pugno chiuso contro quello dell'altro in segno di saluto. «Ciao fra'. Coraggio, vedi che si sistema tutto» provò a consolarlo l'amico. Nico annuì con un sospiro, poi si sedette accanto a Chiara e si chinò di fianco per estrarre il quaderno dello zaino –o almeno questo era quel che diede a vedere. Lo sguardo vene spostato freneticamente su tutti i presenti nell'aula, abbastanza da richiedergli qualche minuto di tempo. Tirò fuori il quaderno, lo poggiò sul banco e approfittò della nuova posizione per controllare l'altro lato dell'aula, alla ricerca di un viso familiare. Quando lo notò si chiese come avesse fatto a non vederlo prima: le medicazioni non erano ancora scomparse dal suo viso, e Nico ebbe il terribile presentimento di non essere totalmente estraneo a quell'incidente. Raf era seduto qualche fila dietro di lui, e chiacchierava con dei ragazzi che lui non conosceva. Nico ritenne una buona idea aspettare la fine della lezione per avvicinarlo.
 

Due interminabili ore dopo, mentre gli altri recuperavano le proprie cose, Nico scattò come una molla e raccolse da terra lo zaino già ben chiuso. «Mi avvio all'uscita» anticipò la domanda di Chiara, spostandosi verso la porta e piantonandola all'esterno. I presenti uscivano come una fiumana umana, rendendogli quasi difficoltoso riconoscere i volti familiari; ebbe però fortuna e Raf varcò l'uscio passandogli accanto, permettendogli di fermarlo per un braccio. «Raf, per favore, aspetta» si affrettò con voce spezzata; non sapeva cosa dirgli, aveva trascorso la lezione pensando e ripensando al discorso da fargli e invece aveva dimenticato tutto. Gli occhi del ragazzo si spostarono con sorpresa sulla sua figura, e le labbra si schiusero con stupore. «Ti avevo detto di...» «Per favore, solo un momento, ho davvero bisogno di parlarti. Ti prego» chiese con più insistenza. Aveva gli occhi lucidi e probabilmente Raf non provava ancora indifferenza per lui, perché si congedò con qualche parola dagli amici e lo seguì lungo un altro corridoio. Si fermarono nei pressi di un armadietto, e immersi nel silenzio si specchiarono l'uno negli occhi dell'altro. Nessuno dei due sembrava particolarmente felice di essere lì, ma nessuno dei due sembrava nemmeno desideroso di andarsene. Gli occhi verdi di Raf scrutavano in quelli scuri dell'altro, alla ricerca di un qualcosa che spiegasse gli avvenimenti di quegli ultimi giorni; ma non vi trovò altro se non un sincero e diffuso dolore. «Allora?» si spazientì. Nico sospirò a disagio, continuando a vagare con lo sguardo sull'ambiente per ancora una manciata di secondi; tornò quindi sul quel viso troppo lontano per i suoi gusti, e prese aria alla ricerca di una giustificazione plausibile. Non ne trovò una, così optò per un discorso fatto di piccoli passi. «Raf, senti... Non sei caduto dallo scooter, okay? E mi stai evitando come la morte. È colpa mia?» chiese. Poi, di getto, prima che l'altro potesse rispondere: «Ti giuro che ti spiego tutto, però non odiarmi, ti prego, spiegami. Sono sempre io» mormorò sul finale, ancora a voce bassa. Raf deglutì, squadrandolo per un momento. Sembrava essere ancora più magro del solito, e si ritrovò a chiedersi se avesse più mangiato dall'ultima volta che si erano visti. «Mi hanno pestato, va bene? E mi hanno detto di starti lontano o la prossima volta mi fanno un buco nello stomaco. Che te ne pare?» chiese sardonico; provò a sembrare forte e sicuro di sé, ma non riuscì a trattenersi dal gettare uno sguardo lungo il corridoio. Nico sentì il cuore cascargli nei calzini.

«Senti, Raf, io... Non so come spiegartelo. Volevo solo tenerti fuori da tutta questa storia di merda perché... Sì, insomma, perché mi piaci davvero» mormorò guardandosi le sneakers scure. Sentiva lo sguardo dell'altro su di sé, e sospirò senza sapere come continuare. «È il mio ex, non mi lascia in pace dalle superiori. Non posso denunciarlo perché...» si agitò a disagio, non sicuro di quanto potesse condividere. «Diciamo che gli devo un favore. Ma ci sto lavorando» si affrettò a spiegare scoccandogli un'occhiata, come a verificare la sua reazione. Un altro sospiro gli sfuggì dalle labbra morsicate. «Per questo ti avevo chiesto di non scrivermi. Immagino tu mi abbia chiamato, o mi abbia mandato un messaggio, lui l'ha visto e...» terminò lasciando cadere la frase. Si strinse nelle spalle. Non sapeva cos'altro dire, quindi abbozzò un sorrisetto intristito. «Se non vuoi più sentirmi lo capisco, ma avevo bisogno di spiegarti che non è colpa mia e che tu mi...» continuò a mezza voce, ma venne interrotto bruscamente. Raf lo attiro a sé tirandolo per un braccio, poi portò la mancina alla guancia dell'altro e gli baciò con cautela le labbra, senza sforzare le sue ancora ferite. Nico rimase immobile, stupito e un po' insicuro di come reagire. Si staccarono dopo un momento da quel bacio abbozzato, e Raf provò a sorridergli con cautela. Voleva solo dirgli che capiva, che non era sicuro di fare la cosa più giusta ma che non voleva lasciarlo solo in quella montagna di problemi, che avrebbe fatto del suo meglio per stargli accanto; ma Nico probabilmente lo capì da solo, perché finalmente gli occhi gli si bagnarono, e poi le guance, e poi fu la giacca dell'altro a bagnarsi, in un abbraccio confortante per entrambi.   



 



Note dell'Autore

Giuro che non sono morto, sono solo stati mesi piuttosto impegnativi. Rieccoci qui, però, proprio dov'eravamo rimasti (o meglio: dov'erano rimasti loro). Recensioni, messaggi, piccioni viaggiatori sempre ben graditi. Enjoy!
Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.

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Capitolo 17
*** 17. ***


 

 

17.

 

Lunedì mattina, prima lezione del giorno; dieci minuti prima dell'inizio si era già formata una discreta folla all'esterno dell'aula. I tre amici si tenevano un po' in disparte, non particolarmente interessati alle prime file; Ale sembrava più stanco del solito, con un paio di occhiaie violacee pendant con quelle di Nico, il quale era intento a fissarsi le sneakers nere. Solo Chiara era loquace come suo solito, un po' collante del gruppo e un po' distrazione naturale per i due ragazzi. «Tutti pronti per stasera?» chiese con un sorriso radioso, guardando un po' uno e un po' l'altro, come a incoraggiare una loro risposta. Nico si strinse nelle spalle, Alessandro annuì un po' sovrappensiero. «Sì, sì, certo. Chia', ti serve un passaggio?» si propose. Lei scosse la testa. «No, Gio' ha l'auto quindi...» «...ah, capisco...» borbottò Ale, distogliendo imbarazzato lo sguardo e portandolo sull'amico. Sembrò rifletterci su per un momento. «Ah, Nico, e tu come vieni invece?» domandò a voce appena più alta. Nico gli gettò un'occhiata distratta, tornando ad abbassare lo sguardo dopo un momento. «Uh, io... Io vengo con Alessandro, veniamo in moto...» mormorò senza il minimo accenno di convinzione. Ale e Chiara si scambiarono un'occhiata, pietosa ma non confusa: attribuirono istintivamente il suo comportamento alle condizioni di Luca, riguardo le quali Nico non proferiva parola. Fu di nuovo Chiara la prima a riallacciare il discorso. «Sono così emozionata! È da una vita che volevo sentire live i The Do. Sono stata solo a un concerto in vita mia...» «Davvero?» si incuriosì Alessandro. Chiara annuì. «Sì, sono andata ad ascoltare L'Orso qualche anno fa con delle amiche... E tu?» chiese di rimando. Alessandro ci pensò su per qualche momento, poi si grattò una guancia con fare imbarazzato. «A dire il vero finora sono stato solo a qualche dj set...» «...dj set?» «Sì, sai, di "Gigidag"...». Chiara lo fissò in silenzio per qualche momento, finché Alessandro alzò una mano in sua direzione, come a incoraggiarla a parlare. «...» «...cosa, Chia'?» «...e tu, Nico?» l'amica lo snobbò totalmente e Ale sbuffò con forza, per farsi udire. Nico portò una mano al viso, massaggiandosi distrattamente le palpebre. «Io... Sì, sono andato a un po' di concerti» ammise con voce stanca. «Oh, tipo?» gli chiese ancora. Lui sospirò. «Tipo, non so, ITDO... Ministri... Lo Stato Sociale» concluse facendo spallucce. Infilò le mani nelle tasche dei jeans, finalmente ricambiando lo sguardo degli amici; Chiara sembrava stupita e Alessandro, per qualche motivo, perfino divertito. «A proposito, ma lo sai che non te l'ho mai chiesto? Che musica ascolti di solito?» gli chiese l'altro ragazzo. Nico scoprì i denti inferiori in un'espressione colpevole. «Domanda difficile, devo davvero rispondere?». I due ridacchiarono. «Punk rock, pop rock, indie rock... Principalmente rock» concluse. Sembrava essersi distratto dai suoi pensieri: Ale sorrise nel vedere l'amico più tranquillo e incline al dialogo. «Credevo preferissi roba alla, non so, Tiziano Ferro...» lo prese in giro. «Dio, no!» esclamò Nico ridendo con lui. Chiara diede un pugno scherzoso sul braccio di Ale. «Ma questo lo devi dire ad Ale, mica a Nico!» rise anche lei. I due ragazzi si fermarono a guardarla, interdetti. «Che c'entra Ale?» chiese il suo omonimo, non afferrando il collegamento. «Ma sì, non stavi scherzando sul fatto di...?» mormorò Chiara con sguardo interrogativo. Nico si accigliò, Ale rimase a fissarla confuso. «...nnnno?» rispose prolungando la consonante, indeciso sulla risposta corretta da dare. Chiara si irritò. «Dai, il fatto di Mirko! Tiziano Ferro è gay, no?» sbottò colpendogli di nuovo il braccio. Ale arrossì improvvisamente, scoccando un'occhiata a Nico. Chiara seguì il suo sguardo e si rese conto di aver rivelato, incautamente, un pettegolezzo dal quale Nico era stato tenuto all'oscuro. Non solo: un pettegolezzo riguardante un suo caro amico. Chiara distolse lo sguardo, imbarazzata dal fallo. «Uhm, sì, non te l'ho detto perché... Non stavi venendo e...» Ale provò a spiegarsi in modo maldestro, riportando al centro della conversazione un periodo poco piacevole per il suo interlocutore. Nico si rabbuiò maggiormente, ma non fece in tempo a rispondere perché una mano gli calò su una spalla. Trasalì, voltandosi e trovando un paio di luminosi occhi verdi davanti a sé. «Nico! Al volo: stasera sei libero?» domandò con tono forte e allegro il nuovo arrivato; gli ci volle più di un momento per rendersi conto dell'umore generale, spaziando con lo sguardo sui volti imbarazzati degli altri, senza però capire. «Ciao Raf, scusami, stasera ho già un impegno» rispose il ragazzo. Sembrava dirlo a malincuore, e lo sguardo che gli rivolse era di sincero dispiacere. Raf strinse le labbra in una smorfia. «Oh, peccato... Ehi, tu non sei quella ragazza del corridoio?» si rivolse d'improvviso a Chiara. Interpellata si affrettò ad annuire, ancora con il volto rosso dall'imbarazzo. «Scusami, mi sono comportato da vero stronzo. Sono Raf» si presentò tendendole la mano. Chiara la strinse, mormorando il proprio nome con voce un po' strozzata. Nel sentire quel nome ad Ale sovvenne qualcosa, e rivolse un'occhiata all'amica per riceverne conferma. Lei annuì in maniera appena percettibile, e quando Raf rivolse la propria stretta sicura all'ultimo del gruppo, Alessandro non poté esimersi dallo squadrarlo per più di un momento, stringendogli al contempo la mano. «Alessandro, piacere. Per stasera abbiamo sequestrato Nico, lo trasciniamo a un concerto» ghignò in risposta. Raf alzò le sopracciglia, stupito, tornando a guardare il suo amico. «Oh! Andate a vedere i The Do?» chiese. Chiara tornò a sorridere allegramente, felice che l'orientamento dell'altro Alessandro fosse argomento già dimenticato. «Sì! Li conosci?» s'intromise. Raf ridacchiò. «Certo che sì, magari mi aggrego» propose, quasi per scherzo, cercando lo sguardo di Nico e bloccandosi subito dopo. Il ragazzo lo fissava con gli occhi spalancati, scuotendo appena la testa, in un muto invito a ritirare quanto appena detto. «Dai, grande, vieni anche tu!» incalzò Chiara; ad Alessandro non sfuggì lo sguardo fra Raf e l'amico, osservandoli perplesso e vagamente accigliato. L'amica non si accorse di niente e Raf portò lo sguardo su di lei con un rinnovato e affabile sorriso, anche se nei suoi occhi si poteva percepire, prestando la dovuta attenzione, una preoccupazione difficilmente spiegabile. «Eh davvero, verrei, ma ho già preso altri impegni e —cioè, Nico doveva unirsi a una serata, quindi non posso proprio disdire tutto. Ma sarà la prossima volta, eh!» sciorinò per giustificarsi. Chiara provò a rispondergli ma venne interrotta per la seconda volta; Nico afferrò bruscamente Raf per un braccio e lo strattonò, con sguardo di allerta. Si fissarono per qualche secondo, comunicando solo con gli occhi, poi Raf tornò a voltarsi verso gli altri due. «Giusto, faccio tardi così... È stato un piacere ragazzi, alla prossima!» si congedò rapidamente, defilandosi nella folla. Ale e Chiara rimasero attoniti, e quando lei provò a prendere la parola Nico la interruppe ancora. «Ok, richiesta veloce e non fate domande: per favore non parlate di Raf quando c'è Alessandro, ok? Non vanno d'accordo. Dico sul serio. Neanche per sbaglio. Ok?» mormorò con sguardo serio, spostandolo sul volto di entrambi, alternatamente, per assicurarsi della loro comprensione. Annuirono entrambi. Chiara tentò ancora una volta di parlare, ma nel sentire una voce alle sue spalle trasalì lanciando un urletto. Ale non riuscì a trattenere una risata, che provò a soffocare sotto lo sguardo severo di lei. Nico abbassò lo sguardo sulle scarpe, a disagio, tornando a ignorarli. «Good morning. Tutti pronti per il concerto?» si introdusse affabilmente Alessandro. Era ben vestito, ben profumato e con la barba curata come sempre, notò il suo omonimo. Raddrizzò gli occhiali, tendenti verso il basso, e portò gli occhi chiari a fissarsi su Chiara; come sempre, notò ancora una volta l'altro. Fu la ragazza a rispondergli. «Certo! Io vengo con un mio amico» sfarfallò con le ciglia truccate. «Ale viene con la sua ragazza e... Nico viene con te, no?» si premurò di chiedergli. «Scusa, ma tu e Gio non state insieme?» sottlineò malignamente l'amico con un'evidente vena di gelosia. Alessandro, divertito, portò le mani in tasca a godersi la scenetta. «Non ho mai detto che siamo tornati insieme!» gorgogliò Chiara. Ale le rispose a tono e cominciarono a battibeccare. Nico intanto aveva sollevato lo sguardo, portandolo su quello del suo Alessandro. L'altro gli ammiccò, inducendolo a tornare a fissare il suolo. L'apertura delle porte dell'aula, con la conseguente possibilità di entrare, gli giunse come un favore divino. Si incamminò per primo verso l'interno, lasciandosi inglobare dalla folla, seguito dall'amico infastidito e per ultima da Chiara, attardatasi per salutare Alessandro –diretto chissà dove, alle prese con le sue prime due ore buca della giornata.
 

 

*

 
Per qualche motivo, Nico si sentiva in apprensione. Non era la prima volta che stringeva a sé il busto di Ale, protetto e nascosto dalla giacca nera di pelle; né era la prima volta che schiacciava i capelli nel secondo casco dell'altro; era la prima volta, però, che si chiedeva chi altri lo avesse calzato, e per la prima volta si sentiva nauseato, perfino, all'idea di salire in moto con lui. Avvolto nel suo parka, chiuso nel suo solito mutismo, lasciò che Ale mettesse in moto prima di poggiare il capo sulla sua nuca. Socchiuse gli occhi, provando a ignorare i movimenti del mezzo sulla strada e sperando nel maggior numero di semafori verdi. C'era di buono che Ale odiava chiacchierare per strada, limitandosi a guidare –seppure in modo un po' troppo spericolato, per i gusti di una persona tranquilla. A metà strada il cellulare di Nico cominciò a vibrargli nella tasca della giacca, ma restò inascoltato.
 
«Allora, dove sono?» domandò Chiara dondolandosi sulle punte. «Boh. Non risponde ma venivano in moto, quindi probabilmente sono per strada» immaginò Ale, riponendo lo smartphone. La mancina era impegnata tra le mani di Cinzia, adornate da unghie lunghe e laccate di nero, in tinta con l'abbigliamento alternativo quanto provocante della ragazza. Chiara sbuffò. «Vabbè, ci mettiamo in fila comunque, dai. Poi quando vengono ci raggiungono» decise per tutti, allontanandosi dal gruppetto e raggiungendo la coda fuori dal locale. Gio, in qualche modo già sudato, si affrettò a raggiungerla. Cinzia ne approfittò per cinguettare all'orecchio del suo ragazzo: «Sì, era così brutto pure alle superiori». Ale le rivolse uno sguardo interrogativo. «Gio, no? È sempre stato così. Potrebbe almeno fare un po' di palestra... Povera Chiara» sospirò per poi voltarsi a guardare l'altra coppia, distante solo qualche metro. Ale si ritrovò irritato. «Non stanno insieme, sono solo amici» le fece notare. Cinzia sorrise maliziosa. «Sì, come no» lo prese in giro, poi si aggrappò alla nuca del ragazzo per tirarlo verso di sé. Fra le bocche dei due si tenne, per un po', un colloquio molto intimo; Gio neanche badava a loro, preso com'era da Chiara e dai tentativi, finora falliti, di attrarre la sua attenzione per più di due minuti di fila. Lo sguardo della ragazza era fisso sulle figure avvinghiate dei suoi amici, occupati in un bacio privo di respiro, e quella vista le faceva ribollire il sangue. Cinzia era sempre stata più intraprendente, più smaliziata, più furba di lei. Era lei quella attraente, quella che piaceva ai ragazzi, quella che sapeva piacere e sapeva di piacere. Chiara aveva sperato che, entrando all'università, sarebbe riuscita a smettere di vivere all'ombra della sua storica amica delle superiori; invece non solo se l'era ritrovata nel suo stesso gruppo di amicizie, ma ancora una volta era lei al centro dell'attenzione. Cinzia al centro dell'universo, tutti che le gravitavano intorno e lei...
«Nico!» esclamò quando il ragazzo entrò nel suo campo visivo. Spalle curve, mani nelle tasche, sorrisetto appena accennato sulle labbra: tutto nella norma, considerati i pensieri che dovevano occuparlo costantemente. Chiara si dispiacque per lui prima di spostare gli occhi sull'altro ragazzo, intento a ravvivarsi i ricci castani con una mano. Ale le sorrideva in un modo che oscurò, anzi scacciò totalmente Gio dai suoi pensieri. «Allora, tutti pronti per il concerto?» chiese avvicinandosi a loro due, con Nico fermatosi a qualche passo di distanza per controllare il cellulare. Alessandro squadrò Gio per qualche momento, poi quello allungò una mano per presentarsi. «Gio, l'amico di Chiara» pronunciò con un filo di presunzione ben udibile nella sua voce. Nico alzò lo sguardo sul suo amante, riconoscendone sul volto il compiacimento nell'avvertita inferiorità altrui. Provò pena per Gio. «Alessandro, un altro amico di Chiara. A quanto pare ne ha molti» rispose di rimando stringendogli la mano sudaticcia, un po' più forte del necessario. Quando sentì la mano grassoccia cedere nella sua gli ammiccò con sguardo complice, poi si voltò per sorridere a Chiara. La ragazza non era ancora immune al suo fascino e ricambiò con gioia, scatenando la gelosia dell'altro; Gio arrossì più di quanto non fosse naturalmente chiazzato di rosso, e spostò con veemenza lo sguardo su Nico tendendogli la mano destra. «Gio!» si introdusse bruscamente, senza nemmeno l'ombra di un sorriso in volto. Nico gli fece un cenno del capo. «Nicola» rispose brevemente lui, poi tornò a badare ai fatti propri lasciando il fotografo con la mano tesa e un cipiglio di fastidio dipinto in volto. La sua umiliazione fu ignorata da tutti, e quando la fila cominciò a muoversi fu lui il primo a incamminarsi. «Ehi, piccioncini! Non vi aspettiamo mica, sa!» urlò Ale al suo omonimo e relativa ragazza, ridacchiando con Chiara. Nico si limitò a seguirli come chiudifila del gruppo, dopo un laconico saluto mormorato in direzione della coppia.
 
«È un sacco che volevo vedere Olivia, è così carina!». Chiara provava a interagire con gli altri, ma Cinzia era troppo impegnata a tubare con Ale e l'altro Ale, quello di suo interesse, sembrava essere intento a discutere di qualcosa con Nico. Restava Gio, che non le toglieva gli occhi di dosso in modo irritante. «Vero, ma tu sei più carina» rispose prevedibilmente il giovane, inducendola a un sospiro e un roteare d'occhi che terminò sulla sua amica, intenta a lamentarsi. «Non capisco perché all'ingresso facciano sempre buttare l'acqua! Ale, mi offri una birra?» chiese al suo ragazzo in uno sfarfallio di ciglia truccate. «Uh, certo» acconsentì lui, poi si voltò verso Chiara. «Ci rivediamo, uhm, qui?» chiese, trovando un'espressione ostile sul volto dell'altra. La osservò confuso per un attimo. «Che c'è?» «Niente. Sì, sì, ci ritroviamo qui» confermò lei, voltandosi verso il palco ancora vuoto e ignorandolo di botto. «Ma che le prende?» chiese Ale a Cinzia, e quella si limitò a trascinarlo via con una risata. L'altro Alessandro era ancora a qualche passo di distanza dagli altri, a conversare con Nico.
«Non capisco perché tu mi abbia trascinato a questo stupido concerto, tutto qui!» «Dovrai pur distrarti, no? È da tanto che non esci a divertirti...» «Beh, scusami se non ne ho voglia, con Luca ammalato». Discutevano, più che conversare, con un tono di voce forzatamente basso. Nico sembrava essere quello più preoccupato al riguardo, e occhieggiava di tanto in tanto in direzione degli amici, per essere sicuro che loro non udissero. «Senti, non era necessario, ok? Ora potrei essere a casa a lavorare, e invece–» «Dammi il cellulare» lo interruppe Ale, serafico. «...cosa?» balbettò lui. Stringeva lo smartphone nella mano destra, tenuta contro la tasca posteriore dei jeans. «Non era questo quello che avevamo deciso» continuò, incerto. Ale alzò un sopracciglio, fissando il ragazzo con un gelido sorrisetto sul volto. «No, tu hai detto che avresti fatto tutto quello che volevo. O sbaglio?» rispose con tono interrogativo, buttandola giù con una domanda retorica. Nico non sapeva cosa rispondere, pallido e a disagio. «Non intendevo questo. Non puoi controllare il mio cellulare, Ale, cazzo!» «E perché no?» «Perché...»
Le persone intorno a loro cominciarono a farsi sentire, urlando e lanciando fischi di approvazione alla band salita sul palco. Il gruppo di apertura era andato via da pochi minuti, e Chiara non mancò di urlare loro: «Eccoli! Dai!». Le luci cominciavano a muoversi, caleidoscopiche e con colori in contrasto, dando loro scarsa visibilità. Nico notò il braccio di Gio intorno alla vita dell'amica, e l'assenza nei paraggi dell'altra coppia. Tornò a preoccuparsi di Ale, ma quando spostò nuovamente lo sguardo su di lui lo trovò concentrato sullo spettacolo. Ne approfittò per riporre rapidamente il cellulare in tasca, ancora con le mani tremanti e sudate. Ale lo cercò con una mano, afferrandolo per un braccio e trascinandolo accanto a sé, usandogli molta poca premura. Complice l’assordante musica elettronica, i fasci di luce blu e rossi, le persone che gli si stringevano contro e il terribile caldo che Nico cominciava ad avvertire, l’ansia gli premeva in petto più di quanto avrebbe voluto.
 
«Get out of the way, you’re not in the hunt hunt...»
La cantante, ovviamente, cantava. I fan seguivano la sua voce, seguivano le note elettroniche della canzone, seguivano il muoversi dei loro corpi e si muovevano, cantavano di conseguenza. Ale invece era algido, immobile nello stringere il braccio di Nico nella sua mano destra, abbronzata e resa forte dallo sport, liscia di chi non ha mai ha mai conosciuto un lavoro manuale. Nico, d’altro canto, non avrebbe potuto godersi lo spettacolo nemmeno se avesse avuto: i suoi occhi scuri erano spalancati, fissi sul volto di Ale che non sembrava volergli dare altre attenzioni, oltre a quella spasmodica nella sua carne. La canzone terminò, lasciando le loro posizioni ed espressioni immutate. Nico continuava a fissare quel volto squadrato, irsuto e attraente, dagli occhi chiari e resi più grandi dalle lenti a contatto. I ricci erano confusi nell’oscurità, resi quasi irriconoscibili, al contrario delle labbra strette che quasi risaltavano, nella luce bluastra che permeava il locale.  Mentre la star della serata consigliava, intonata e affascinante, di tenere le labbra chiuse, Ale finalmente le aprì. «Quanto mi fai stupido, Nico?».
«Now just do as I say, keep your sweat cold, don’t betray...»
Nico rimase in silenzio. Sapeva che quella era una strada senza uscita, e disperatamente sperava di poter fare retromarcia. «Non... Non capisco» riuscì solo a balbettare ancora. Capiva, invece, capiva benissimo. Quando Ale si voltò, ricambiando il suo sguardo, Nico s'inquietò nel vedere quanto terribilmente serio –e incazzato– fosse. Cedette. «...ti prego, non fargli del male» si limitò a chiedergli, distogliendo lo sguardo. La mano dell’altro continuava a scavare nella carne del suo braccio. Parlavano in modo strano, sussurrando ad alta voce, urlando ma con tono dismesso; se la musica si fosse interrotta all’improvviso, come in una scena d’azione al cinema, si sarebbero vergognati di aver sforzato così tanto la gola per una simile conversazione. «Smettila di vederlo» ribatté lui. Nico non rispose, poi lentamente annuì.
 
 
Quando il concerto finì, nessuno aveva particolarmente voglia di attardarsi. Nico e Chiara si ritrovarono all’uscita con i rispettivi accompagnatori; nel parcheggio trovarono Cinzia e Ale, la prima raggiante, il secondo un po’ imbarazzato. «Ehiii!» li salutò la prima. Senza soffermarsi su qualcuno, volgendo lo sguardo al suolo, l’altro le fece eco: «Bel concerto, eh?». Non sembrava troppo convinto, ma Nico era troppo scosso per notarlo e Chiara non aveva particolare voglia di indagare; sembrava di malumore. L’altro Ale colse l’occasione per punzecchiare il suo omonimo. «Certo, il concerto. Te lo sei goduto, eh?» ridacchiò. Le orecchie del più giovane si infiammarono nell’aria fredda, ma prima che potesse arrivare una risposta si sentì il suono di un clacson poco distante, che indusse la coppia a voltarsi. «Oh, è mio padre» notò Ale, tornando a guardare gli altri. Strinse le labbra. «Beh, grazie a tutti per la serata! Ci vediamo all’uni» si congedò senza prolungare i saluti. «Ciao Chiara! Ciao ragazzi!» si affrettò anche la rossa, trotterellando dietro il suo partner. Fra i quattro rimasti calò il silenzio. Nico era ancora troppo immerso nei suoi pensieri per badare al mondo esterno, ma Alessandro registrò, come un rumore di sottofondo, l’evidente gelosia di Chiara. Gelosia evidente
per tutti, pensò tra sé, meno che per il diretto interessato. «Bene, che ne dite se...» «Oh, noi andiamo» disse Ale all’improvviso, come se gli fosse nata un’urgenza in quel preciso momento e non, com’era accaduto realmente, per stroncare sul nascere qualunque proposta di Gio. Il fotografo, evidentemente infastidito, non seppe come rispondere; Chiara intervenne sorridendo, seppure ancora irritata. «Anche noi mi sa, sto morendo di sonno e poi domani abbiamo lezione... Nico, domani segui?» domandò all’amico, il quale annuì con aria assente senza dire una parola. Chiara si accigliò lievemente, ma lasciò perdere con un sospiro. «’kay, a domani allora! Ciao Ale» salutò anche l’altro, stranamente in modo poco caloroso. I quattro si separarono, e mentre la noiosa voce di Gio spariva in lontananza, fra Nico e Ale cadde un silenzio glaciale.


 


 

NdA: Persone e avvenimenti sono solo frutto della mia immaginazione.

 

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