Avengers at Hogwarts

di Etali
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un inizio, circa - 1° parte ***
Capitolo 2: *** Un inizio, circa - 2° parte ***
Capitolo 3: *** Balli e pleniluni - 1° parte ***
Capitolo 4: *** Balli e pleniluni - 2° parte ***
Capitolo 5: *** L'ultimo ballo ***
Capitolo 6: *** Infermeria ***
Capitolo 7: *** Patronus ***



Capitolo 1
*** Un inizio, circa - 1° parte ***


Inizio secondo anno.

L’Hogwarts Express sfrecciava veloce sui binari nella campagna inglese. Steve osservava il paesaggio sfilare fuori dal finestrino, pregustando già nell’aria di quel piccolo scompartimento la sensazione di casa. Era particolarmente affezionato alla scuola, come la maggior parte degli studenti del resto, aveva un vero senso di attaccamento… da poter quasi essere definito patriottico. Fatto sta che niente lo rendeva più felice di tornare a Hogwarts; eccetto forse l’idea che quell’anno avrebbe potuto entrare nella squadra di Quidditch dei Grifondoro, e magari anche Peggy sarebbe entrata, e magari avrebbero vinto il campionato, e magari nell’euforia della vittoria Peggy gli sarebbe venuta in contro, e magari avrebbe avvicinato il viso al suo e…

Le sue fantasticherie furono interrotte da una cioccorana che per poco non gli finì in faccia in una disperata fuga verso la libertà. Bucky, seduto accanto a lui tese fulmineo il braccio e la riafferrò al volo prima che si schiantasse sul naso dell’amico.

-Terra a Rogers. Terra a Rogers, mi ricevi? – sventolò la mano davanti a gli occhi di Steve ficcandosi in bocca la cioccorana. – Ben tornato fra noi amico, sembravi su un altro pianeta.

-Qualche pensiero di troppo? – Chiese Peggy stravaccata sul sedile di fronte masticando uno zuccotto di zucca. La signora del carrello era passata qualche minuto prima e il nostro terzetto aveva pensato bene di svaligiarlo. Avrebbero potuto mantenerci un esercito con tutti quei dolci.

-Niente di che. – Rispose lui cercando di farsi sparire dalla testa l’immagine della ragazza che posava le labbra sorridenti alle sue. – Solo… è bello tornare.

Già assaporava le serate passate in sala comune a giocare a gobbiglie su uno dei comodi divani rossi vicino al camino, le passeggiate nel parco, le partite di Quidditch, le abbuffate in sala comune, le lezioni in comune con i Serpeverde. A differenza di lui e Peggy, entrambi con la cravatta rossa ben sistemata sulla camicia, Bucky ne aveva una verde e argento, e di conseguenza a questo dettaglio aveva anche una diversa sala comune nelle viscere del lago nero, un direttore della casa piuttosto severo, orari delle lezioni spesso differenti, un’attitudine particolare a farla franca in ogni situazione e un ego smisurato, ma a quello erano abituati.
Lui e Steve erano amici di infanzia, mentre avevano conosciuto Peggy precisamente un anno prima, su quello stesso treno, sempre in uno scompartimento invaso da bauli e dolci magici.
In quel momento arrivò loro alle orecchie un gran baccano di colpi e grida che si avvicinava lungo il corridoio.

-Rendimi la bacchetta!

-Altrimenti, fratello? Mi scagli una fattura che non sai lanciare con una bacchetta che non hai?

-Ho altri modi di farti male, credimi.

-Non è colpa mia se eri così preso a guardare quella graziosa nata babbana da non accorgerti che ti cadeva la bacchetta di tasca…

-Loki!

Sottolineati da quel nome ruggito due ragazzi comparvero alla loro vista, dall’altra parte del vetro dello scompartimento. Uno aveva il viso affilato, l’espressione sveglia e i capelli scuri, e teneva la bacchetta incriminata dietro la schiena, passandola da una mano all’altra nel gesticolare. Il secondo, più alto e massiccio, gli si faceva incontro con cipiglio minaccioso, ma a giudicare dalla poca preoccupazione nello sguardo del fuggitivo non doveva trattarsi di una situazione particolarmente nuova. Dovevano essere del primo anno, non avevano segni di alcuna casa sull’uniforme.

Neanche una manciata di secondi e il primo batté in ritirata per il corridoio del treno, trascinando anche l’altro fuori dal loro campo visivo.
I tre ragazzi dentro lo scompartimento si scambiarono uno sguardo.

-Sapete – commentò Bucky – mi aspetto un anno decisamente, meravigliosamente movimentato.


Angolo autrice:
Ciao (modo un po' scialbo per cominciare, ma la prima persona non è il mio forte)
Qualche informzione per capirci un po' di più nella ff: i personaggi sono in anni diversi, ad esempio Steve, Peggy e Bucky hanno un anno in più della maggior parte dei personaggi, Wanda o Peter P. uno meno. All'inizio del capitolo sarà scritto l'anno a cui sono i personaggi che vi compaiono. Infatti questa sarà una specie di raccolta di one shot collegate da un filo principale, ma perlopiù sparse sia per personaggi che per ordine temporale. Alcuni episodi portanno prendere più di un capitolo. Ultima cosa, saranno presenti anche personaggi degli altri film marvel che ancora non sono comparsi in avengers, come i guardiani della galassia o doctor strange.
Spero il capitolo vi sia piaciuto, grazie per aver letto fin qui.
Etalì

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Capitolo 2
*** Un inizio, circa - 2° parte ***


Inizio secondo anno

Lo smistamento aveva luogo nella sala grande. Alzando gli occhi si vedevano le migliaia di candele che illuminavano la stanza, sospese nel cielo stellato del soffitto. Seduto al lungo tavolo dei Grifondoro Steve rivolse l’attenzione al gruppetto del primo anno, che entravano in quel momento.
Si chiese se anche loro l’anno prima avevano quell’aria persa e un po’ spaurita. Poteva vederli tremare di paura (o forse fremere dall’eccitazione, chi lo sa? Magari un po’ e un po’.) Vagò con lo sguardo tra quelle facce nuove, come cercando di battere sul tempo il cappello parlante e individuare i suoi futuri compagni di casa.

I due fratelli del treno si guardavano sottecchi, l’uno tenendo ben stretta la mano in una tasca della veste, probabilmente stringeva la bacchetta recuperata, onde evitare altri inconvenienti.
Altri due, lui bassottino e biondo, lei con il naso all’insù e i capelli rossi, parlottavano fra loro a teste vicine. Tutti loro si guardavano intorno con circospezione e Steve ricordò delle voci che giravano fra i nuovi arrivati delle terribili prove da superare per essere smistati. Magari quei ragazzini si immaginavano di dover sconfiggere un titano o robe simili. Lui non lo aveva mai ammesso, ma anche se era stato terrorizzato al pari del gruppo che si trovava ora davanti, quasi ci era rimasto male scoprendo di dover semplicemente appoggiarsi un cappello sulla testa, senza dover affrontare nessuna grande prova del caso. Il vicepreside prese posto e srotolata una lunga pergamena macchiata di nomi iniziò a chiamare un ragazzo per volta. Un piccoletto in riccioli, occhiali e inciampi si calcò per primo in testa il cappello, che dopo qualche attimo lo assegnò a gran voce a Corvonero.
Il primo applauso lo seguì mentre prendeva posto al tavolo, mantenendo in tutta questa sequenza di operazioni un vivissimo interesse per la pavimentazione della sala.

Da lì fu un susseguirsi di nomi, facce e espressioni incomparabili; i due fratelli vennero smistati rispettivamente il primo in Serpeverde e il secondo in Grifondoro, cosa che suscitò in entrambi un moto d’orgoglio. La ragazza dai capelli rossi, all’apparenza per niente intimorita da quel cappello pieno di pieghe e magia ebbe un lampo di esitazione quando la parola “Serpeverde” echeggiò nella sala, lanciando uno sguardo furtivo all’amico, seduto al tavolo dei Tassorosso, prima di raggiungere i suoi compagni di casa.

Per poco un ragazzo non si guadagnò il titolo di testurbante, facendo scervellare il cappello per ben quattro minuti e mezzo di attesa costellata di brusii in tutta la sala grande. Finalmente, dopo averlo esaminato a dovere il cappello parlante decise di smistare Tony Stark in Corvonero. Avrebbe ricevuto di tanto in tanto negli anni successivi qualche accidente da altri componenti di quella casa, per quella sua scelta, forse anche troppo affrettata. Poco dopo si arrivò finalmente in fondo alla lista, con un ragazzino di nome Visione dall’espressione impassibile e i movimenti meccanici, che venne immediatamente assegnato anche lui a Corvonero.

A quel punto, se doveva dire la verità, Steve non ci vedeva più dalla fame e fu ben felice quando in un applauso finì il discorso del preside e sui grandi tavoli iniziarono a comparire pietanze di tutti i tipi, deliziose come sempre.
 
 
 
 
Bruce era sempre stato un bambino ordinato, come se sapere che ogni cosa era meticolosamente al suo posto avrebbe potuto aiutare il caos eterno che aveva dentro testa, sepolto sotto i riccioli.

Stava sistemando la sua roba nel dormitorio, così come Visione, di posto accanto a lui. Tony invece appena entrato si era buttato sul primo letto che gli era capitato a tiro, reclamandolo come suo. Stava ancora molleggiava sul materasso, dando l’impressione di non avere la minima intenzione di disfare i bagagli.
Un altro ragazzo di nome Stephen, alto e dall’aria tranquilla, completava la camera. Bruce fece scorrere lo sguardo sui suoi compagni di stanza da dietro le lenti.
 
“Loro sono i ragazzi con cui passerò i prossimi sette anni.” Pensò. Poi il suo cervello aggiunse in una dolorosa postilla: “E a cui dovrò mentire per i prossimi sette anni.”
 
Un improvviso senso di disagio gli attanagliò la bocca dello stomaco, sapendo dell’inconsapevole pericolo in cui gli altri rischiavano di trovarsi. Tentò di relegare quei pensieri in un angolino del suo cervello e si infilò sotto le coperte. Gli piacevano quei ragazzi, aveva già iniziato a farci amicizia e non avrebbe rovinato tutto. Lo ripeté a se stesso qualche altra volta, per convincersi un po’ di più, e posò gli occhiali sul comodino, provando a prendere sonno, mentre una falce di luna fuori dalle finestre della torre rischiarava il cielo.
 
 
 
 
 
“Ovviamente”. Pensò Nat, non senza un piccolo moto di amarezza. Serpeverde. Come avrebbe potuto aspettarsi altrimenti. Era sempre stato dato per scontato che quella sarebbe stata la sua casa. Da chi non era ben chiaro. I suoi genitori, l’educatrice, tutti. Alla fine anche lei. Non aveva mai pensato quali affinità potesse avere con altre case, dubbi del genere non erano ben visti fra le mura delle sue stanze, scoraggiati all’istante dallo sguardo severo dell’educatrice. Veniva da una famiglia antica, purosangue e mai stanca di ribadirlo, tradizionalista, come le veniva insegnato in casa; fondamentalista, si diceva nella comunità magica dei dintorni.
 
 Avevano iniziato a insegnarle ogni nozione possibile da quando era stata in grado di tenere in mano una penna d’oca. Sarebbe diventata una strega potente oltre l’immaginabile, la migliore nella migliore delle case, una degna Romanoff.
 
Però, mentre scendeva dallo sgabello per avviarsi a passo sicuro – sempre ostentare un andatura decisa – verso il suo tavolo, incrociò lo sguardo un di Clint, circondato da gli altri Tassorosso e sentì come un pizzicotto nella cassa toracica alla vista della distanza fra loro che sembrava aumentare di miglia e miglia a ogni passo. Per un attimo gli passò per la mente l’immagine di se stessa seduta accanto al suo unico amico, la cravatta dello stesso colore, qualunque esso fosse. Quel pensiero le si dissolse tristemente davanti come in un evanesco. Con i piedi che nascosti dalla divisa sembravano di piombo raggiunse la panca e si sedette accanto a uno studente del secondo anno.
Dopo di lei si aggiunse ai Serpeverde un ragazzino moro e magro e Nat riuscì a cogliere il commento di quello accanto, presentatosi come Bucky:
 
-Com’è possibile che quelli dall’aura inquietante da pipistrello e i capelli unti sono sempre da noi?
 
A completare il tavolo si chiamava Gamora. Il suo nome pronunciato dal vicepreside suscitò un diffuso brusio fra gli studenti. Veniva da una famiglia di noti ex mangiamorte e probabilmente non pochi in quella sala potevano ricollegare al suo cognome un parente caduto durante la seconda guerra oscura. Il grido del cappello parlante non stupì nessuno. “Un’altra Serpeverde per nascita” venne in mente a Nat gurdandola sedersi rigida accanto a lei, senza concedere neppure uno sguardo ai bisbigli che la seguivano.
 

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Capitolo 3
*** Balli e pleniluni - 1° parte ***


Terzo/quarto anno

Non l’aveva invitata. Peter non ci voleva credere. Insomma… lui aveva accennato alla cosa, certo, più di una volta. Ma come veniva fuori l’argomento del ballo del ceppo lei liquidava la cosa con qualche commento sul fatto che non ballava, che non ne vedeva l’utilità e che non era questo gran ché muoversi abbarbicati a qualcun altro pesticciandogli i piedi. Non molto incoraggiante.
Anche gli altri non erano stati d’aiuto. Drax col solito tatto aveva scosso il capo affermando che c’erano due tipi di persone: chi ballava e chi non ballava, e lei era una che non ballava, doveva rassegnarsi. Per quanto riguardava Mantis, leggilimens quale era non c’era stato neppure il bisogno (a dirla tutta neanche tanto il desiderio) di parlarne. Gli si era avvicinata dicendo di percepire le sue paure e con fare rassicurante gli aveva detto che effettivamente non erano infondate, ma di non preoccuparsi. Certo, sarebbe stato probabile ricevere un immediato schiantesimo come risposta (conoscendo Gamora…) e finire accoppati in infermeria per una giornata, ma poteva benissimo provare a chiederglielo. Rocket aveva semplicemente liquidato la cosa rotolandosi a terra dalle risate.

- Ah, ma dicevi sul serio? – Aveva chiesto a Peter dopo almeno mezzo minuto che si sganasciava, vedendolo restare serio, e piuttosto sconfortato.Persino l’ultimo del gruppo era stato abbastanza esplicito.

- Io sono Groot. – Aveva constatato dal suo vaso. E questa perla di saggezza era stata il colpo di grazia per il povero Tassorosso.

Insomma, a forza di rimandare e tentennare, complici imbarazzo e anche un po’ di fifa, era la sera di Natale e Peter se ne stava in piedi nella sala grande, addobbata per il ballo, senza aver invitato Gamora o chicche sia. Perciò rimaneva lì impalato, indeciso sul da farsi. Intanto un’orda di studenti tutti agghindati a festa invadeva la sala grande, mentre iniziava la musica. Sorelle Stravagarie, figurarsi. Mai un po’ di musica a modo nel mondo magico. Peter l’aveva già appurato dal suo primo anno: brava gente i maghi, ma gusto musicale zero. Dal secondo anno la prima cosa che aveva messo nel baule era stata una cassetta babbana col suo paio di cuffie. Aveva dovuto lavorarci sopra una mezza giornata per trovare un incantesimo per non far impazzire quella, seppure antiquata, tecnologia babbana appena varcata la porta della scuola, ma ne era valsa la pena. Affrontare Hogwarts con David Browie e i Jackson 5 per colonna sonora. Niente male.
Si guardò in giro distogliendo l’attenzione dalla musica. Individuò Drax e Mantis chiacchierare seduti in un angolo, ben lungi anche solo dall’idea di avvicinarsi alla pista da ballo. Vide Peggy Carter vagare per la sala senza una meta precisa, mentre Wanda evidentemente era riuscita in qualche modo a farsi invitare da Visione, che decisamente impacciato stava ballando con lei in mezzo alla gente. Non doveva essere molto pratico, ma la ragazza, a giudicare dal sorriso che si ritrovava sul viso, non sembrava intenzionata a farci minimamente caso. Thor, battitore di Grifondoro e un po’ più pratico di donne rispetto all’amico Corvonero, era in un angolo intento in una pomiciata pazzesca con Jane Foster, cosa prevista all’unanimità da oltre due mesi.
Della Serpeverde che cercava nemmeno l’ombra, ovviamente. Sicuramente era barricata nella sua sala comune, ad esercitarsi con qualche incantesimo decisamente violento, probabilmente in compagnia di Natasha, anche lei non si vedeva da nessuna parte. In quel momento una bella ragazza in un vestito dorato gli si avvicinò con aria eloquente, domandandogli se ballava. Dopo un attimo di esitazione Peter prese la mano della ragazza e la condusse in mezzo alle coppie. Se Gamora preferiva la compagnia della piovra gigante alla sua, facesse pure.
 

 
Non molto tempo prima, alcuni piani sopra, aveva principio una colossale catastrofe. L’inizio del tutto si annunciò col suono di vetri che andavano in frantumi sul pavimento dei dormitori maschili di Corvonero. Sentendo quel rumore Bruce credette di poter avvertire ogni singola goccia di sangue che aveva in corpo gelarsi nelle vene. Un pensiero folgorante gli attraversò il cervello: quella era l’ultima boccetta. Doveva bastare per ancora qualche settimana e il professore non ne aveva di certo preparata altra, era una pozione decisamente lunga da fare. Mentre le prime ondate di panico iniziavano a attanagliargli lo stomaco, cercò di riflettere lucidamente, ma scaglioni di situazioni di non ritorno continuavano a proiettarsi nella sua mente. Era senza più una goccia di pozione antilupo, e neanche due ore dopo la luna sarebbe stata piena.
Doveva assolutamente pensare a qualcosa. Tentò di analizzare la situazione decisamente critica. Aveva ancora un po’ di tempo prima di trasformarsi, ma neanche lontanamente sufficiente perché il professore col suo intruglio miracoloso potesse aiutarlo. Erano tutti al ballo del ceppo, ma lasciare un lupo mannaro a piede libro per la scuola non era neanche d prendere in considerazione. Doveva allontanarsi immediatamente, o trovare il modo per contenere quello che avrebbe potuto fare. Ma come? Non ce l’avrebbe mai fatta da solo, e se si fosse saputo qualcosa… sarebbe stato espulso. Per non parlare se avesse fatto male a qualcuno. Questo pensiero riuscì a riscuoterlo come una scossa. Uscì velocemente dalla sala comune e si incamminò a passo svelto lungo un corridoio, senza sapere bene neanche lui dove stava andando. Doveva impedirlo. Il come non era ancora ben definito, ma doveva trovare un modo. Realizzò di avere un assoluto, immediato bisogno d’aiuto. Qualcuno che potesse tirare fuori dal nulla un colpo di genio per tirarlo fuori da quella situazione, che avesse i nervi abbastanza saldi da non entrare nel panico come stava effettivamente facendo lui in quel momento, e che avesse sufficienti tendenze suicide da aiutarlo. L’immagine di un viso si stagliò nitidamente nei pensieri di Bruce: Tony.
Era stato il solito idiota a non pensarci prima. Tra l’altro questo qualche mese prima gli aveva accennato di stare lavorando a un piano in caso di emergenze. Il ragazzo sperò con tutto il cuore che avesse concluso qualcosa. Ora c’era un altro problema: Tony era già sceso di sotto, nella sala grande gremita di ragazzi, e infilarsi in un luogo affollato era l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare un lupo mannaro sul punto di trasformarsi. In sala comune c’era ancora solo Stephen, aveva detto di aver avuto un qualche problema con il mantello da indossare quella sera (non era voluto scendere nei particolari). In ogni caso avrebbe potuto mandare lui in missione a cercare l’amico, ma conoscendo la testardaggine di Tony ci sarebbe voluto un miracolo per farlo smuovere dal ballo senza urlare per mezza sala grande “al lupo mannaro!” cosa che Bruce avrebbe preferito evitare.
In quel momento uno spiraglio di salvezza gli si parò davanti, sotto forma di un ragazzo alto, biondo e dall’andatura risoluta persino in abito da cerimonia.

-Va tutto bene? – gli chiese avvicinandosi.

Bruce tirò un sospiro di sollievo. Steve Rogers, capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro (ruolo talmente calzante che l’appellativo capitano gli rimaneva spesso addosso anche fuori dal campo) era un anno avanti a loro; già dalla presenza rassicurante, era anche una delle poche persone a sapere del suo “altro” con le zanne e forse l’unica persona che aveva la piena possibilità di riuscita nel recuperare Tony Stark.Bruce lo trascinò in un angolo del corridoio gli riassunse il casino colossale in cui si trovava, vedendolo impallidire gradualmente via via che parlava.

-Credi che Stark abbia un piano? – Chiese solo, alla fine del resoconto.

- Abbastanza. – Fu l’unica risposta incerta che il Corvonero riuscì a dare.

- Abbastanza. – Steve sembrò soppesare la parola a scopo di definirne l’affidabilità. Bruce ebbe per un momento il timore che la giudicasse troppo leggera, una possibilità troppo piccola per rischiare, e se la squagliasse a tutta velocità lasciandolo a vedersela con l’altro. – Va bene. Dovremo farcelo bastare. Guarda se ti viene in mente un posto dove puoi rinchiuderti e resta calmo, recupero Stark e ci vediamo qui fra cinque minuti.

Bruce annuì sollevato e si stupì dei suoi dubbi. In fondo quello era Steve, quando mai si sarebbe tirato indietro davanti a una cosa talmente impossibile?
 
 

Tony Stark non era esattamente una persona abituata a passare inosservata. Diciamo che era stato più volte e da più fonti definito “il peggior egocentrico che avesse mai messo piede a Hogwarts”. Quando quest’appellativo aveva raggiunto le orecchie del diretto interessato, questo ci aveva riflettuto una frazione di secondo e aveva poi decretato che era una delle definizioni più precise che gli avessero mai dato.
Quando era entrato nella sala grande l’attenzione che aveva attirato era stata perfettamente conforme alle sue aspettative, cosa che, unendo i due fattori “avere ragione” e “essere fantastico” l’aveva sufficientemente soddisfatto.
Si muoveva disinvolto fra quella massa di studenti in fermento peggio di una pozione polisucco fumante, chi chiacchierava cercando di sovrastare la musica, chi ballava nel centro della sala e chi semplicemente avrebbe desiderato sapersi – e potersi smaterialezzare più di ogni altra cosa al mondo.
L’atteggiamento disinvolto del ragazzo celava però un pizzico di angoscia. Le finestre avrebbero presto lasciato filtrare all’interno del castello la luce della luna piena di quella sera, e Bruce era di sopra, solo con l’altro, spaventato e rintontito dall’antilupo. Aveva scoperto il segreto dell’amico l’anno prima, ma Bruce non aveva mai voluto saperne di lasciarlo rimanere mentre era sedato dall’antilupo, evidentemente temeva di poterlo attaccare. Così lui si chiudeva nello stanzino vicino alla torre e ricompariva la mattina dopo con un pallore spettrale e un viso da far spavento. Gli aveva promesso che avrebbe trovato una soluzione (tecnicamente a Bruce aveva appena accennato di stare cercando un rimedio, ma la considerava comunque una promessa, anche se fatta a se stesso) e ci stava lavorando. Aveva sentito parlare dei mille segreti di Hogwarst, e li stava setacciando uno ad uno in cerca di qualcosa che facesse al caso loro.  Aveva trovato una botola nell’ala est del corridoio del terzo piano, ma un groviglio di tranello del diavolo che sembrava aver preso possesso del posto da chissà quanti anni lo aveva scoraggiato dall’esplorare oltre. Si era addentrato nei peggio passaggi segreti, sbucando nei posti più improbabili, dalla classe di divinazione, il bagno del secondo piano, l’aula professori e uno stanzino polveroso vicino alle cucine dove aveva rischiato di far prendere un attacco di cuore a un elfo domestico. Niente di niente. Nell’ultima settimana era arrivato a iniziare le ricerche per la Camera dei Segreti, come ultima spiaggia.
A distrarlo da quei pensieri fu la vista, percepita idilliaca, della figura minuta di Pepper Pots che compariva d’un tratto sullo sfondo variopinto degli studenti. La ragazza aveva abbandonato la solita formalità che le conferiva sempre la divisa e chiacchierava sorridente con un’amica. Pepper con le sue lentiggini e i modi tranquilli era probabilmente la prima a cui Tony si sarebbe rivolto per un consiglio su qualunque cosa, e una delle ultime a cui avrebbe immaginato di chiedere di ballare. Gli ci volle un momento per realizzare che in suoi piedi, rispondendo a un qualche impulso lanciato da una parte piuttosto intraprendente del suo cervello, non lo stavano portando a cercare qualcosa da bere, in effetti sentiva la gola secca e un discreto caldo al viso, bensì stavano andando inconfutabilmente da lei.

 
 
Steve entrò a tutta velocità in sala grande. Con una rapida occhiata passò in rassegna le centinaia di facce che lo circondavano, in cerca di quella (un po’ da schiaffi) di Tony. “Sarà più difficile del previsto.” Fu il suo primo pensiero quando finalmente riuscì a individuarlo: abbracciato, sulla pista da ballo, a una Tassorosso del suo anno e con un’espressione alquanto persa. Cercò, zigzagando tra la gente e pestando anche qualche strascico nella fretta, di avvicinarsi il più possibile. Solo che quelli continuavano a volteggiare, dannazione. Trovato finalmente un punto dove poteva essere visto cercò a cenni di farsi notare da Tony, con risultati che dire scarsi era dire poco. Dopo due minuti buoni di continui tentativi di richiamare l’attenzione dell’amico, questo finalmente ampliò il proprio campo visivo sul mondo esterno abbastanza da riuscire a vedere da sopra la spalla di Pepper il povero Grifondoro che si sbracciava nella sua direzione. Gli rivolse un’espressione interrogativa. “Vieni qui.” Mimò Steve con tutta la persuasione che è possibile usare mimando. Tentativo vano. Tony scosse deciso la testa con uno sguardo che diceva di rimando: “Ma sei scemo?” “Ora.” Steve tornò all’assalto passando al labiale. Per tutta risposta Stark stava per liquidarlo definitivamente voltandosi in una giravolta. “È per Banner.” Ultimo tentativo in extremis. Tony sbiancò. Per un secondo fece saettare lo sguardo fra Steve, il viso di Pepper (che adesso lo guardava perplessa) e il cielo fuori di finestra, dove stava per spuntare la luna. Poi sbuffò e mentre già si allontanava balbettava una qualche scusa alla ragazza, piantata in asso a per cause di forza maggiore.

- Spero per te che sia qualcosa di gravità catastrofica.L’espressione di angoscia sul viso di Steve confermò alla perfezione quella speranza.

- Bruce non ha più antilupo. – Disse conciso dirigendosi verso l’uscita.

- Non importava prendermi alla lettera sulla cosa della “gravità catastrofica”, sai? – Sarcasmo e agitazione confinavano strettamente nella frase. Aumentò il passo per stare dietro alle ampie falcate del capitano.

- Ha detto che hai un piano d’emergenza per momenti come questi.Tony impallidì. Passò velocemente in rassegna tutte le possibilità che aveva tentato in quelle settimane, nella disperata speranza che qualcosa potesse rivelarsi improvvisamente utile. Vuoto completo. Fantastico, avrebbe dovuto improvvisare.

- Ci stavo lavorando, ma l’emergenza è arrivata con troppo anticipo. Dovremo inventarci qualcosa di estemporaneo.

- Tra pochissimo ci sarà un lupo mannaro fuori controllo a scuola e l’idea geniale che doveva tirarci fuori da questa situazione è inventiamo lì per lì?

- Sì Rogers, non mi sembrava tu fossi anche duro d’orecchie. Su, sbrighiamoci. 
 



- No.

- Gamora…

- Non intendo farlo.

- Andiamo, perché tante storie?

- Sta a te muovere. – fu l’unica risposta.

La ragazza stava ben attenta a non distogliere lo sguardo dalla scacchiera magica. Un discreto coinvolgimento da parte sua, considerato che di solito, quando Natasha riusciva a strappargli una partita, non riusciva a mantenersi concentrata sul gioco per più di quattro mosse. Ma in effetti anche quella sera, nonostante sembrava stesse scrutando gli scacchi alla ricerca di qualche strategia, aveva già perso una decina di pezzi e aveva ormai lasciato ogni minima volontà di vincere, andando avanti praticamente per inerzia.
Intorno a loro la sala comune era deserta, eccetto uno o due quadri che le guardavano annoiati dai loro angoli. Erano sedute davanti al camino, ai due lati di una scacchiera magica, ormai piuttosto sguarnita di pezzi bianchi; Nat con le gambe accavallate e il viso appoggiato morbidamente alla mano, Gamora con le mani sui braccioli e la schiena che affondava nel morbido velluto scuro della poltrona. Quella discussione andava avanti da qualche minuto, sempre si possa definire discussione una raffica di attacchi all’insegna della malizia da parte di Natasha, mirati a scalfire l’espressione impassibile della compagna, che a sua volta rispondeva al fuoco opponendo una serie di “no” atoni e silenzi.

- Non credevo fosse da te curarsi tanto di una cosa del genere. O stai diventando frivola…. Oppure quel tasso deve piacerti proprio tanto.Una contrazione appena accennata della mascella e il recupero immediato dell’autocontrollo, Nat aveva colpito nel segno.

- Non so di cosa stai parlando. E poi al momento la frivola mi sembri te, che insisti a voler continuare a parlare di uno stupido ballo, come se fosse d’importanza vitale.

- Non fare la finta tonta, guarda che non serve essere Mantis per capirlo.Nessuna risposta e un pedone nero che cadeva e si trascinava verso il lato del campo.

- Okay senti, ho la vaghissima sensazione che a te piaccia quel tizio strano che ogni tanto inizia a ballare per i corridoi (con questo non intendo certo giudicare i tuoi gusti, eh). Poi non è che tu elargisca tante confessioni in ambito amoroso, ma diciamo che mi fido del mio istinto. – Natasha era partita in quarta, puntando gli occhi verdi sul viso dell’amica. - Ora, capisco che per te è una questione di orgoglio e che non vuoi mai muovere per prima eccetera, ma quel poveretto non ha vita facile: sei sempre così distaccata, ci credo che poi non ha il coraggio di invitarti. Gli tiri certe occhiatacce che è un miracolo non sia già fuggito a gambe levate.

Dopo questo discorso concitato Gamora aveva finalmente staccato gli occhi scuri dal gioco e sembrava aver abbassato la guardia. Scrutava Natasha da sopra i pezzi con una sfumatura di incertezza nello sguardo. Come altro avrebbe potuto comportarsi? Spesso parlavano, lei lo stracciava a Quidditch, non gli aveva neanche mai scagliato contro nessuna fattura (nulla di doloroso, almeno). Piano piano aveva iniziato a fidarsi di lui, lo considerava un amico.

- So che non è facile aprirsi, okay? Lo so molto bene. Ti ricordi come ero al primo anno? Però se tieni a lui, prova.

Natasha aveva ricominciato a parlare, diventando più seria. Certo che lei si ricordava. All’inizio non poteva sopportarla, le ricordava troppo se stessa. Entrambe solitarie, sospettose, competitive e circondate da brutte voci sulla propria famiglia. Iniziando col tempo a conoscersi avevano scoperto che le accomunava anche la caparbietà, una discreta dose di coraggio e comprensione reciproca, il disprezzo per le proprie radici e anche, un pochino, per le regole.
Quell’inizio era stato l’aprirsi di un mondo per Gamora: essere soli in due è un ottimo punto di partenza per non esserlo più.

- In che senso?

- Nel senso che adesso tu ti alzi, esci da qui e vai in sala grande. Su, muoviti. – Disse Nat scattando in piedi.

- Ma se…

- No, niente ma, andiamo. E comunque – aggiunse con un sorriso compiaciuto, spostando la torre di due – è scacco matto.

Le due ragazze uscirono silenziosamente dalla sala comune e percorsero i corridoi deserti, o quasi: non molto lontano dalla sala comune sentirono un rumore di passi affrettati e le voci inconfondibili di Steve Rogers e Tony Stark che discutevano a mezza voce. Nat si fermò un momento e rimase in ascolto. Aveva sentito nei bisbigli la parola “antilupo”. Un fulmineo collegarsi di idee poco rassicuranti la fece fermare a metà di un passo. L’immagine di un viso sempre nascosto sotto riccioli e riservatezza le era balenata in mente. Fece cenno a Gamora di avviarsi nella sala grande, da cui si sentiva già arrivare la musica, e poi si diresse dalla parte opposta, sulla scia dei due ragazzi.
 
 

- Dammi il tempo di pensare, intanto arriviamo da Bruce. – disse Tony imprecando a mezza voce.

In quel momento vide nientedimeno che Natasha Romanof, in tutto il suo naturale charme, spuntare dal nulla alla svolta di un corridoio e puntare dritta verso di loro.
“Cazzo.” Pensò. “Perché proprio lei?”
La ragazza si affiancò a loro con decisione e chiese senza preamboli:

- Che succede?

- Niente Nat, non ti preoccupare. – Steve cercò di prendere in mano la situazione, sostituendo agli occhi sgranati di chi è stato colto con le mani nel sacco un sorriso rassicurante.

- Certo, come no. Dicevate qualcosa sull’antilupo?

- Ah quello… no sai, Steve diceva che dopo le vacanze a pozioni probabilmente impareranno a preparare l’antilupo e…

- Non dire idiozie Stark, da quando l’antilupo è nel programma del quarto anno?Si fermò nel mezzo al corridoio, costringendoli a guardarla in faccia.

- Basta. Ditemi cosa è successo a Bruce, adesso.

Entrambi la guardarono attoniti. A sapere di Banner erano solo loro due, Thor, il professor Fury e Stephen e Visione per pratici motivi di convivenza. Come era possibile che lei sapesse un segreto del genere?

- Lui ti ha detto…?

- Lo so e basta. – disse sbrigativa. - Posso aiutarvi se mi dite quale è il problema.

“Voglio aiutarvi.” Le era rimasto impigliato fra le labbra.
Steve fece una rapita valutazione della situazione e si decise a vuotare il sacco, incurante delle occhiate di fuoco che Tony gli stava lanciando, nel disperato tentativo di fargli arrivare il messaggio: “No no no, non farlo, non farlo!”

- Ho capito – annuì Nat, rimettendosi in movimento. – Andiamo.

Tony ebbe l’impulso di schiaffarsi una mano sulla fronte. Ci mancava solo quella. Natasha Romanoff che li aiutava a contenere l’altro. Bruce sarebbe andato fuori di testa. Tra tutte le persone a Hogwarts dovevano incappare proprio in quella per cui lui aveva una cotta tremenda?
Sarebbe entrato nel panico al pensiero di farle del male, e probabilmente se c’era qualcosa peggio di un lupo mannaro era un lupo mannaro nel panico.

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Capitolo 4
*** Balli e pleniluni - 2° parte ***


Terzo/quarto anno

Quando spuntarono dalle scale Tony potette giurare di vedere il colorito di Bruce mutare in tre diverse sfumature di verdastro, ognuna esprimeva un pensiero correlato. Prima: “Sia ringraziato Merlino, c’è Tony.” Seconda: “Quella è Natasha. Perché Natasha è qui?” Terza: “Tony Stark tra poco non risponderò delle mie azioni, e non sarà per colpa della luna piena quando ti salterò al collo se a lei…”

- Che ci fai qui?

- Ti aiuto a non ammazzare qualcuno. Quanto tempo abbiamo ancora?

- Di… di cosa stai parlando?

- Ok, mi sa non molto. Meglio non sprecarlo cercando di convincermi che non sei un lupo mannaro. Che facciamo?

Questo scambio bastò a lasciare Bruce attonito, a ristagnare nel colore che andava perdendosi sulle sue guance. Sembrava sul punto di vomitare. Il capitano riprese in mano la situazione, cercando di intervenire prima che l’amico rischiasse di dare di stomaco o di, che so, trasformarsi in un peluche troppo cresciuto (e con le zanne).

- Giusto. Stark, quest’idea?

Come avrebbe potuto spiegare a quell’ammasso di testosterone e integrità morale che non è che bastasse inserire la monetina e - ding! – scappava fuori la genialata per salvare il culo (pardon, deretano, sia mai usare certe volgarità con il capitano) a tutti.
Ma effettivamente in quel momento serviva. Ok, le strade erano due: impedire la trasformazione, ma senza antilupo era impossibile; oppure fare in modo che l’altro non potesse fare male a nessuno. Ma come? Come? Contenerlo era impossibile per qualunque aula. Sedarlo non avrebbe funzionato. Serviva un posto dove non avesse avuto nessuno da ferire, e dove nessuno potesse vederlo, un posto lontano…

- Ci sono! – saltò su all’improvviso. Gli era balenata in testa la soluzione. – Dobbiamo trovare il modo di portarlo nella foresta proibita.

Le reazioni dei presenti scatenate da quella frase costituirono una delle più esileranti scene mai viste dalla tromba delle scale della torre di Corvonero. Steve Rogers che iniziava a sbraitare in modo scomposto che oltre a essere vietato, insensato e pericoloso era a dir poco infattibile pensare di riuscire a raggiungere la foresta proibita, Tony che di rimando gli si avventava corto suggerendogli un posto da dove avrebbe potuto cavarsi lui una buona idea invece di pretendere che l’altro se ne uscisse con un lampo di genio per poi criticare e Bruce che con fare decisivo si appoggiava al davanzale e vomitava tutto ciò che aveva in corpo fuori di finestra.

- Basta! – Nat riuscì non si sa come a richiamare l’attenzione dei due contenenti (e del vomitante) – So io come raggiungere la foresta proibita.


 
Gamora prese un respiro profondo e varcò la porta della sala grande. Si sentva un po’ a disagio senza abito da cerimonia, ma la vista che gli si parò davanti le strappò un verso di stupore. Sapeva che avevano addobbato la stanza per il ballo, ma non si aspettava qualcosa di così straordinario. Ghirlande rilucenti di brina drappeggiavano le pareti e le stelle sulla volta del soffitto sfavillavano come diamanti, musica e chiacchiericcio si mischiavano, una miriade di figure abbracciate volteggiava alla luce delle candele e… un momento, fermi un attimo. Vicino al centro della sala, in mezzo alle altre coppie, vide Peter intento a ballare con una biondina dal sorriso smagliante. Rimase per un attimo immobile a fissarli, poi impassibile si voltò e corse verso l’uscita.
 
 
Quando Peter vide con la coda dell’occhio una ragazza in jeans, felpa e shatush viola lasciare la sala a tutta velocità, capì di aver fatto la cazzata del secolo. Quasi gli dispiacque piantare in asso all’improvviso quella ragazza… come si chiamava… oh, al diavolo.
Riuscì a raggiungere Gamora poco fuori dal portone e si rese conto nel momento in cui lei si girò e incrociò il suo sguardo, che non sapeva assolutamente cosa dirle. “Non ho avuto il coraggio di invitarti e mi sono messo a ballare con un’altra, poi quando ti ho vista me ne sono pentito a morte e ti sono corso dietro; però per Morgana, Merlino e Circe, potresti essere un po’ più collaborativa anche te!”

- Ti va di ballare? – Si sentì uscire invece di bocca. E non riuscì quasi a credere che lei avesse detto di sì. 


Quando si sentì cingere dalle sue braccia, Gamora pensò che quel cenno d’assenso fosse stata una delle migliori cose fatte nell’ultimo trimestre. Credeva sarebbero tornati dentro, invece Peter tirò fuori da una tasca un piccolo walkman e le mise le cuffie, da cui proveniva un brano di musica babbana.

- In confronto a questo la musica magica impallidisce. – Si giustificò lui azzardando un sorriso.

- Se racconti a qualcuno di questa cosa sarò costretta a ucciderti. – Gli disse Gamora, prima di sistemarsi le cuffie e assecondare i movimenti del ragazzo, stringendosi a lui. 



Mentre camminava per la scuola in coda al gruppo, Tony cercò di ricostruire la successione di eventi e processi mentali che lo aveva portato fino a quel punto. Sgattaiolare fuori da Hogwarts la sera del ballo del ceppo, in compagnia di una rossa dalla fattura facile, il capitano, un quasi lupo mannaro in procinto di trasformarsi e due scope. Avesse almeno avuto la sua scopa, ma no:

- Io sulla tua firebolt modificata non ci monto. – Aveva esordito Steve non appena Tony aveva accennato ad andare a prendere la sua scopa. - E poi sono più agile di te a volare.

E con questo aveva chiuso la questione. Da parte sua Nat non aveva neppure preso in considerazione l’idea di non prendere la propria scopa. Volare dietro chicchessia, lei. Ma figuriamoci. Così Tony si stava ritrovando a scandagliare la serata per individuare il punto preciso in cui avrebbe dovuto capire la piega funesta che prendevano gli eventi e correre ai ripari.
Era ancora immerso in questa accurata quanto infruttuosa analisi, quando un rumore di passi pesanti arrivò echeggiando fino a loro, seguiti da una coppia di voci che parlavano fra loro, immediatamente identificabili e di conseguenza immediatamente temute. Non ci volle più di qualche secondo perché tutti e quattro si rendessero conto che bisognava filarsela. Steve lanciò un’occhiata dintorno, poi con un verso di frustrazione aprì i vetri della finestra e montò in sella alla scopa, seguito a ruota dalla ragazza. Era un’idea folle, ma con le ombre del professor Fury e della professoressa Hill che si avvicinavano sempre di più lungo il muro, Tony si sentiva incredibilmente aperto verso le nuove esperienze. Un momento dopo stava volando – anche se la parola “precipitando” avrebbe reso meglio l’idea della situazione – giù dalla finestra del sesto piano, avvinghiato alla schiena di Steve e cercando di non urlare, con il lago nero in lontananza e le cime degli alberi che si facevano sempre più vicine.

- Steve! – chiamò Natasha. – Da che parte andiamo?

La voce arrivava attutita dal vento notturno. Volava a poca distanza da loro, e, a differenza di quanto il ragazzo immaginava, non sembrava affatto infastidita dalle braccia di Bruce strette intorno ai suoi fianchi. E tanti saluti al proposito di non far provare all’amico emozioni forti che potessero fargli perdere un po’ del controllo su se stesso.Anche se effettivamente, realizzò Tony in quell’istante, anche il suo corpo era fastidiosamente incollato alla schiena di Steve, cosa decisamente non volontaria. Maledicendo la forza di gravità tentò di indietreggiare un po’ sul manico di scopa e staccarsi per quanto possibile da Steve, che in quel momento scrutava il buio alla ricerca di un buon posto dove depositare Bruce.

- Suggerimenti Tony?

- Distante dalla scuola e dal parco… e per l’amor del cielo teniamoci lontani dal territorio dei centauri.

- Che ne dite dell’altra sponda del lago nero? – azzardò Bruce.

- Potrebbe andare. – rispose il capitano. - Sicuro di non aver problemi con acqua o sirene?

- Direi che un minimo di raziocinio a scopi di sopravvivenza ce l’ha anche l’altro. Non dovremmo avere niente di cui preoccuparci.

- Bene allora.

Sfrecciavano appena sopra le punte degli abeti, incrociavano il volo di pipistrelli, gufi, o creature magiche non ben identificate. Con una picchiata improvvisa scesero a pelo dell’acqua, sorvolando il lago nero alla luce della luna piena; era uno spettacolo incredibile.
Arrivati sulla sponda del lago più lontana dal castello scesero a terra. Bruce scese dalla scopa barcollando. Sembrava improvvisamente prosciugato di ogni energia. Tony alzò automaticamente gli occhi alla luna, che saliva sempre di più sullo sfondo del cielo notturno. Dovevano aver fatto appena in tempo. L’amico a stento si reggeva in piedi; con un gemito si accasciò contro un albero, serrando la mano sul braccio di Natasha.

- Andate via. Ci siamo. – rantolò, fissando la ragazza con occhi colmi di terrore. – Presto, andatevene!

Nat ricambiò lo sguardo con intensità ed un’espressione decisa le si dipinse sul volto.

- No. – disse semplicemente. Poi si girò verso Tony e Steve. – Tornate al castello, io rimango qui.

- Non se ne parla, Nat. – Si oppose Bruce con una nuova energia dettata dalla disperazione. – Tu non hai mai visto l’altro. Non lo so controllare, potrei ucciderti…

- No invece, ascoltami. Monterò sulla scopa e resterò in aria finché non sarai tornato te stesso. Non riuscirai a farmi alcun male.

Detto questo ricambiò la stretta sulla sua mano e raggiunse gli altri due.

- Andate pure. Lo riporto io al castello. – Poi si rivolse di nuovo a Bruce. – Sono qui sopra, okay? Non ti lascio solo.

Il ragazzo annuì, sempre più debole. – Grazie… grazie ragazzi.

- Sei sicura? – Le sussurrò Steve, mentre loro prendevano le scope e Tony si avvicinava un momento a Bruce. – Possiamo rimanere anche noi.

- Tranquillo capitano, vai. – Rispose Natasha, per poi aggiungere con un sorriso velato di malizia. – E poi a Peggy dovrai almeno un ballo.



Poco dopo il lago nero restituiva il riflesso di due sagome che si levavano in volo alla luce pallida della luna piena. La mattina, alle prime luci dell’alba, due figure sottili e scarmigliate, l’una sorreggendo l’altra, si dirigevano verso il castello.
Probabilmente quella notte i più scettici riguardo la famosa diceria sull’aggirarsi di lupi mannari nella foresta proibita, dovettero avere qualche dubbio fugace: il rumore del vento che soffiava fra i tetti e le guglie, ricordava stranamente un ululato.

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Capitolo 5
*** L'ultimo ballo ***


Quarto anno

La sala grande aveva iniziato a svuotarsi. Le ultime coppie di studenti si attardavano per la sala, giusto per potersi gustare ancora un po’ quell’atmosfera più magica del solito.
Peggy sedeva da sola vicino una delle grandi finestre, avvolta in un morbido vestito rosso. Quando aveva varcato la soglia, qualche ora prima, il suo sguardo aveva frugato tutta la sala, nella speranza di individuare la figura ben piazzata di un particolare Grifondoro. Non si era stupita di non trovarlo già lì ad aspettarla: Steve non era mai puntuale.

Aveva vagato per tutta la stanza, illudendosi di girarsi e scorgere finalmente il suo viso in mezzo a quella miriade di facce. Aveva assistito in diretta a qualche conquista di Bucky, constatato tutt’occhi che quelli al centro della pista erano effettivamente, incredibile ma vero, il professor Fury e la professoressa Hill, e si era ritrovata a rifiutare senza neanche accorgersene qualche invito a ballare. E ora la serata era finita, testimone la luna ben alta in cielo a specchiarsi sul lago nero, e lei era seduta da sola a un tavolo ostinandosi ad aspettare uno stupido Grifondoro con manie di onnipotenza che non sarebbe arrivato. Accidenti a lei che aveva voluto aspettare “quello giusto”, ci aveva guadagnato molto.

Sbuffò ingoiando il grumo di emozioni che le gravava sulla gola e si costrinse ad alzarsi. Steve non si era presentato, dato oggettivo, e lei sarebbe sopravvissuta alla cosa. Si era compianta anche troppo.
Aveva quasi raggiunto l’uscita, quando una voce la bloccò di colpo.

- Ho fatto tardi. Mi dispiace.

Peggy si girò lentamente, senza sapere bene se schiantarlo in un colpo di bacchetta o optare direttamente per una maledizione senza perdono. Ma con quell’espressione in faccia era praticamente impossibile pensare di stenderlo a colpi di incantesimi. La guardava a capo chino, con un mezzo sorriso e l’abito tutto spiegazzato. Le si avvicinò di un passo, tendendole la mano con fare interrogativo.

- Cosa fai? – Chiese Peggy divertita, porgendogli comunque la sua.

- Mi sembra di doverti ancora un ballo. – Spiegò Steve semplicemente mentre l’attirava a se.



Angolo autrice:
come immaginabile, questa è collegata direttamente a "Balli e plenilunei", doveva essere inizialmente inglobata nei due capitoli, ma già sono venuti mastodontici, quindi eccola qui, sola soletta: visto che nell'attesa di avengers endgame non posso fare a meno di farmi prendere un po' di magone per i film precedenti, e non ho mai superato del tutto il ballo che Steve deve ancora a Peggy.
Quattrop_etali_acuorehoportatoperte

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Capitolo 6
*** Infermeria ***


Sesto anno.

Le tende bianche lasciavano filtrare dalle finestre dell’infermeria una luce opaca, schermando i raggi diretti del sole che in quegli ultimi giorni di aprile sembrava voler dare il meglio di sé.

Peggy se ne stava seduta sul bordo del letto, ingrinzendo appena le rigide lenzuola candide. Perché tutto doveva essere chiaro in quella stanza? Chiare le tende, chiare le lenzuola, chiaro il pavimento, il soffitto, chiari(pallidi) i visi dei pochi pazienti, chiare le uniformi dell’infermiera, chiari ora più che mai i sentimenti che provava per quel ragazzo adagiato sul letto dove era seduta. Anche i capelli di lui non mancavano di essere chiari.
Percorse con lo sguardo le ciocche corte che gli solleticavano la fronte, le palpebre abbassate, il livido violaceo sullo zigomo, il naso dritto, le labbra appena socchiuse in un respiro, la curva della mascella fino a contare i tranquilli alzarsi e abbassarsi del suo petto.

Era piuttosto malconcio, il capitano. Durante l’ultima partita di quidditch quella mattina, l’attesissima Grifondoro - Serpeverde, decisiva per la coppa, quell’idiota aveva pensato bene di uscirsene con una delle sue parate straordinarie, salvando la pluffa. Solo che, ops, quando si era degnato di realizzare che in quel balzo decisivo per la partita la sua scopa era rimasta qualche metro più indietro a quel punto stava già precipitando verso il terreno. Quando Peggy, dall’altra parte del campo lo aveva visto cadere le si era fermato il cuore nel petto. Non aveva neanche fatto in tempo a lanciarglisi dietro con la sua stellasfreccia, che pur essendo un nuovo modello come velocità lasciava un po’ a desiderare, che fortunatamente qualcuno aveva lanciato un incantesimo per se non arrestare, per lo meno rallentare la caduta. Se l’era cavata con qualche costola rotta, una clavicola mezza andata e una collezione di lividi da gemere dolorante a ogni minimo movimento per almeno due settimane.

A soli due letti di distanza nell’infermeria quasi vuota si sentiva il pesante russare dell’immancabile Bucky, a cui neanche l’ossofast per il braccio rotto da un bolide (Thor era stata una rivelazione come battitore fin dal suo secondo anno, ma qualche volta si faceva prendere un po’ la mano) riusciva a impedirgli di farsi sentire anche dormendo.

Steve riemerse lentamente da un oceano turbinante di sogni e mal di testa. Ancora prima di aprire gli occhi avvertì la presenza di qualcuno seduto a bordo del letto. “Peggy.” Pensò con la mente ancora appannata. Come sempre, seduta sul suo letto nell’infermeria, dopo la solita routine da partita; e solo pulsare doloroso che si stava diffondendo per tutta la faccia gli impedì di sorridere. Aprì gli occhi e incrociò il suo sguardo. I begli occhi castani sembravano per metà sollevati, per metà intenzionati a incenerirlo sul posto e non pensarci più.

- Perché, in nome di Godric, devi sempre riuscire a sfracellarti mezzo facendo l’eroe? – mormorò lei.

-Mi crederesti se ti dicessi che non lo faccio apposta? – cercò di puntellarsi sui cuscini, con scarsi risultati e un verso di dolore.

-Sta fermo. – Lo bloccò lei avvicinandosi per portare i visi alla stessa altezza. – Mi hai fatto preoccupare davvero stavolta. Era un bel volo. Se non ti avessero ripreso con quell’incantesimo…

Parlava velocemente, con un tremito di rabbia nella voce. Erano davvero vicini, così vicini che anche con tutte quelle fratture in corpo Steve avrebbe potuto alzare la testa e…

- Perché non riesci a fare a meno di correre sempre rischi? Non so cosa farei se ti succedesse qualcosa. – Le era uscito di bocca con un tale impeto che non aveva neanche pensato a frenarsi.E probabilmente fu un bene non aver frenato quella verità, perché dette a Steve il coraggio necessario, prima che lei potesse aggiungere altro, di baciarla.
Quel contatto fece dimenticare a Peggy ogni preoccupazione o proposito di incenerimento, Steve era lì, acciaccato come sempre, ma era con lei.
Si staccarono solo quando sentirono un colpo di tosse piuttosto insistente richiamare la loro attenzione.

- Wow ragazzi.Bucky li fissava sorione dal suo letto. Si resero conto solo a quel punto che da un po’ non si sentiva più russare. - Sempre saputo che sarebbe successo, ma non avrei mai pensato di assistervi in diretta. – Disse con tono disinvolto, sistemandosi sui cuscini. – Comunque Rogers, la prossima volta che ci sarò io al tuo capezzale non aspettarti baci.

E dopo questo una cuscinata in piena faccia riuscì a metterlo a tacere. Peggy, come cacciatore, aveva un’ottima mira.

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Capitolo 7
*** Patronus ***


Quinto anno.

T’Challa si rigirò la bacchetta in pugno, cercando di concentrarsi. Tutta la classe di Difesa contro le Arti Oscure era più o meno nella sua stessa situazione: piedi ben puntati a terra, assurde smorfie di concentrazione a deformare il viso (la faccia di Thor in particolar modo era esilarante) e nulla di più che un fioco bagliore a uscire dalle punte delle bacchette. Almeno avrebbero preso una T ai G.U.F.O. tutti insieme appassionatamente, confortante.

Improvvisamente una serie di mormorii d’ammirazione crebbero da un angolo dell’aula. Seguendo con lo sguardo i sussurri a mezza voce, T’Challa vide la figura di un falco librarsi per la stanza, compiere un mezzo giro intorno a Sam Wilson e poi dissolversi nell’aria. Sam guardò la propria bacchetta, ancora incredulo, mentre riceveva qualche pacca sulla spalla a mo’ di complimenti e gli venivano assegnati dieci punti per i Grifondoro.

T’Challa squadrò la propria bacchetta, sperando quasi gli suggerisse lei stessa qualcosa per far funzionare quell’incantesimo. Aspettava quella lezione da quando, l’anno prima, passando nel corridoio, si era imbattuto in un lupo bianco fatto di luce, che, sgattaiolato fuori dalla porta accostata dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, se ne andava a zonzo con fare indifferente. Il ragazzo aveva strabuzzato gli occhi, rimanendo a fissarlo incantato per infiniti attimi, fino a che Bucky Barnes non si era affacciato ammiccante alla soglia dell’aula, e con un colpo di bacchetta aveva fatto dissolvere il suo patronus.

In quel momento dalla bacchetta di Loki, poco distante da lui, si sprigionò un bagliore sempre più definito, fino a formare le spire di uno splendido serpente, che andò ad attorcigliarsi nell’aria rischiarando l’espressione compiaciuta del Serpeverde. Thor lanciò uno sguardo di traverso al fratello, con un mezzo ghigno. Se a suo fratello era toccato un animale così elegante, il suo patronus sarebbe di sicuro stato qualcosa di spettacolare. Non si immaginava che una quarantina di minuti più tardi il suo amor proprio avrebbe subito un duro colpo. (“Una capra?! Seriamente? Non è possibile.” “Andiamo fratello… a me sembra ti somigli anche…” “Taci, Loki.”)

T’Challa distolse lo sgurado dal serpente che scompariva pian piano, frugando nella sua testa alla ricerca di qualche ricordo abbastanza felice per fare al caso suo. Ne aveva vissuti di bei momenti, ma nessuno aveva abbastanza potenza per trattenere neanche il più decrepito dei dissennatori.
Finché nella sua mente, non comparve l’immagine di un viso familiare, visto attraverso occhi infantili, di una voce calda e pacata, che parlava di meraviglie, di mani ruvide e di un sorriso gentile. Con il volto di suo padre che lo guardava da dietro le palpebre, T’Challa si ritrovò a sussurrare.

- Expecto patronus.

Dalla sua bacchetta si diramarono filamenti luminosi, che nella penombra dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure si intrecciarono fra loro, fino a formare davanti al ragazzo la figura di una maestosa pantera.



Angolo autrice
Qualche chiarimento: per il patronus di T'Challa, Falcon e Bucky non credo servano molte spiegazioni, per quanto invece riguarda Thor e Loki mi sono rifatta alla mitologia norrena, infatti fra i vari(tanti) simboli di Loki c'è il serpente che si morde la coda e Thor aveva un carro giudato da due capre magiche (de gustibus non disputandum est)
Etalì
 

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