THE ROAD NOT TAKEN

di piccina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CASA RABB ***
Capitolo 2: *** Quartier Generale del JAG ***
Capitolo 3: *** IRAN - Teheran ***
Capitolo 4: *** Iran - Bagdad ***
Capitolo 5: *** CASA? ***
Capitolo 6: *** LA DURA REALTA' ***
Capitolo 7: *** MIRAMAR ***
Capitolo 8: *** JAG O NON JAG? ***
Capitolo 9: *** FINO ALLA FINE ***



Capitolo 1
*** CASA RABB ***


La chiave nella toppa, la porta che si apre e si chiude. Cappello e ventiquattrore lanciati sul divano. Era tornato a casa.
Musica di sottofondo, una voce femminile che canticchia e profumo di soffritto.
H: “Non ci posso credere? Mia moglie che cucina!” Ridacchiò Harm, abbracciandola alle spalle. “A cosa devo tanto onore?”
M: “Che cretino... vatti a spogliare, va’!” Disse girandosi e tirandogli una spintarella per scostarlo.
Harm non mollò la presa e iniziò a baciarla sul collo mentre faceva scivolare la mano
sotto la maglietta.
Senza lasciarla, ma iniziando a sfilarsi la giacca della divisa, disse: “obbedisco Colonnello, mi sto spogliando... non è che le andrebbe di tenermi compagnia? Pare brutto io tutto nudo e lei vestita, non trova?”
Mac scoppiò in una sonora risata. 
Era due anni che si erano sposati, poco più che vivevano insieme e non ricordava un solo giorno senza risa. Risate a crepapelle o accennate, per sdrammatizzare una situazione difficile, ma sempre presenti.
Prima, quando fantasticava su un suo eventuale rapporto con Harm, non avrebbe mai
creduto che se le avessero chiesto di descrivere con 4 aggettivi la sua vita con lui, uno
di questi sarebbe stato: DIVERTENTE.  
Ebbene si, vivere con Harm era divertente. Appassionante, faticoso, stimolante e divertente.
Una sorpresa quest’aspetto privato di Harm.
E lei che era convinta di conoscerlo come le sue tasche!
M: “Harm, se non mi lasci si brucerà tutto e ti toccherà mangiare cinese anche stasera”.
H: “mmhhh, ormai mi sono abituato a mangiare cinese...”  mentre continuava nelle sue attività.
Mac si era finalmente girata e stava cedendo alle avance del marito, quando improvvisamente si riscosse: “no, dai stai fermo.  Per una volta tanto che mi decido a cucinarti una cenetta.  Mi sei mancato in questi giorni e volevo farti una sorpresa, ma sei arrivato prima del previsto. Inaffidabile anche sui ritardi!” Lo prese in giro.
H: “Ok, ok vado a cambiarmi in camera, mentre finisci di preparare. Faccio in un attimo e poi apparecchio” le diede un ultimo bacio, una pacca sul sedere e uscì dalla cucina. Passando davanti alla sala da pranzo notò che la tavola era già apparecchiata, con candele e una bottiglia di vino bianco, che piace a lui, in fresco.
Decisamente le era mancato.
Era stato facile abituarsi a lei.
Non poteva credere di aver tentennato tutti quegli anni, di aver negato il suo sentimento per paura di perderla, di perdere anche la sua amicizia, se la cosa non avesse funzionato.
Adesso invece si guardava intorno, la casa pervasa dalla sua presenza, lei che gli riempie le stanze e la vita.
E sembra che ci sia sempre stata.
Mac cucinava poco, ma quando ci si metteva otteneva grandi risultati.
Quel  giorno  aveva  preso  il pomeriggio di permesso per dedicarsi in tutta calma alla preparazione di manicaretti per Harm, che rientrava da 3 giorni di test di volo sulla Seahawk.
Lei sperava sempre che rinunciasse a questi test periodici, ma li detestava meno di un tempo... infondo era anche merito loro se adesso era la signora Rabb.
I test di volo lo avevano tenuto lontano dalle prove del suo matrimonio con Mic.
Il suo folle volo in mezzo alla tempesta, per arrivare in tempo alla cerimonia, aveva rischiato di finire in tragedia e invece era stato l’inizio della loro vita insieme.
Lei aveva capito che non poteva sposare un altro quando solo l’idea di perdere Harm la faceva morire e lui, dopo aver rischiato di non rivederla mai più, non aveva più permesso a niente e a nessuno di separarli.
Dopo tre mesi un matrimonio si era effettivamente celebrato. Il loro.
***
Gli spaghetti cocevano, il pesce era nel forno. Mac si cacciò sotto la doccia per darsi una sciacquata, o almeno così aveva detto ad Harm, ma quando, dopo pochi minuti, si ripresentò in sala era stupenda con i capelli sciolti e ancora un pochino umidi, un abito blu notte che segnava morbidamente le sue curve, la scollatura profonda e le spalline sottili.
Harm si fece vicino, con una luce negli occhi che non lasciava molti dubbi sulle sue
intenzioni e sull’effetto che la mise della moglie aveva suscitato.
Non sapeva che il gioco era solo incominciato.
M: “Stai bravo maritino, che adesso bisogna cenare” gli disse con una voce birichina, sgusciando fuori dal suo abbraccio.
Harm capì che sua moglie voleva giocare e la assecondò. Da perfetto cavaliere scostò la sedia dal tavolo e la fece accomodare. Nel sedersi Mac accavallò con studiata maestria le gambe che si scoprirono da uno spacco vertiginoso.
Harm non poteva credere ai suoi occhi.
Era proprio vero che con Mac non ci si annoiava mai.
Di solito la sua tenuta da casa era T-shirt con pantaloni della tuta e movenze degne di un vero marine.
Quella sera sembrava una Matahari d’altri tempi. Lenta, flessuosa e seducente.
Allungò una mano a sfiorare la gamba di Mac.
“Con calma marinaio. Ogni cosa a suo tempo. Adesso ho fame” disse scostandola dolcemente.
H: “Mac, questa volta hai veramente superato te stessa” disse Harm dopo la seconda porzione di trofiette con gamberi e zucchine.
M: “E non hai ancora assaggiato l’orata con patate e carciofi” rispose con voce languida.
H: “Stai seduta, ci penso io” e alzandosi trovò il modo di sfiorare con due dita le spalle di Mac, quasi una carezza per caso.
A Mac venne la pelle d’oca, mentre lui pensava: “non penserai di giocare solo tu, mia cara.”
M: “Quasi quasi ne mangerei un altro po’,” si avvicinò alla teglia, posata di fronte ad Harm e si piegò per  prendere una porzione. Si trattenne una frazione più del dovuto, giusto in tempo perché gli occhi del marito si posassero insistenti sulla scollatura che generosa si offriva al suo sguardo.
A quel punto Harm decretò che un gioco è bello quando dura poco, la fece alzare invitandola a ballare. Li nella loro sala, al suono romantico del pianoforte che usciva dall’ hi-fi.
Abbracciati stretti.
La sua bocca a mordicchiare il lobo.
Poi la lingua scese morbida giù nell’incavo del collo e si spostò ancora più in basso nella linea che separa i due seni, le spalline dell’abito scivolarono via, il seno si offrì pieno allo sguardo e alle labbra.
Le mani di Sarah piano si scostarono dal suo collo, scesero verso i pantaloni e si insinuarono a sfilare la maglietta. Con un gesto il torace fu libero, le sue mani lo esplorarono e lo accarezzarono, la sua lingua disegnò i contorni definiti dei pettorali. Di nuovo le mani scesero giù fino ai bottoni del jeans, li slacciarono e Mac poté dare sollievo all’urgenza del marito.
Harm sfilò dolcemente gli slip della compagna e l’accarezzò, fino a quando si perse in lei facendo vibrare il suo corpo.
Sarah aveva sempre detestato l’autocontrollo di Harm, ma da quando era diventato il
suo amante non poteva che apprezzare la sua capacità di pensare prima a lei.
Il dessert fu consumato a letto, dove nel frattempo si erano spostati.
H: “Buona questa macedonia con gelato”
M: “Frutta esotica, dicono sia afrodisiaca, ma non ne abbiamo avuto bisogno” sorrise Mac facendosi più stretta. “Adesso sarà meglio dormire, domani mattina presto sono stata convocata dall’Ammiraglio insieme a Webb”
H: “Di cosa si tratta?”
M: “Non ne ho idea”
H: “Se c’è di mezzo Webb non mi piace neanche un po’.”
M: ”E’ geloso, Capitano?”
H:  “Un tempo, forse. Ora no. Ora sei mia, Colonnello!” rispose, girandosi su di lei e iniziando a farle il solletico.

 

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Capitolo 2
*** Quartier Generale del JAG ***


Amm: “Colonnello, Webb, accomodatevi. Signor Webb, se vuole può incominciare”
Webb (W): ” La situazione in Iraq si sta facendo sempre più difficile, il paese è ormai sull’orlo di una guerra civile, se già non lo è quella che si sta combattendo.
E' pesantissimo il bilancio degli scontri tra sciiti e sunniti che stanno insanguinando l'Iraq dopo l'attentato alla moschea di Samarra. Almeno 130 persone sono state uccise e più di 60 moschee sono state date alle fiamme. Ottanta cadaveri sono stati trovati in diverse zone di Bagdad e dei sobborghi, altri sono stati scoperti in uno stesso luogo a Naharwane, a sud est della capitale.
Intanto con una mossa inaspettata il giovane imam radicale sciita Moqtada al-Sadr ha dato ordine agli uomini della sua milizia personale, di proteggere le moschee degli avversari sunniti. Sul fronte politico le violenze hanno portato la componente sunnita a sospendere le trattative per la formazione del nuovo governo.
In  questo  quadro  l'Iran  sta  reclutato una rete di fedeli fra gli estremisti sciiti in Iraq
addestrati nell'uso di armi perforanti contro le forze statunitensi invece che contro i rivali sunniti, secondo quanto riferiscono funzionari al lavoro per i servizi segreti. Secondo gli ufficiali, la squadra speciale Quds, che fa parte delle guardie rivoluzionarie iraniane, sarebbe riuscita a penetrare in alcune organizzazioni irachene, come l'Armata Mehdi, per reclutare militanti e addestrarli nell'uso di armi speciali in grado di perforare le corazze dei mezzi blindati.
Questo tipo di armi, fino ad oggi, hanno causato la morte di 170 soldati Usa, secondo i dati del Pentagono. L'obiettivo non sembra essere quello di rafforzare i partner politici dell'Iran in Iraq, ma di causare problemi alle truppe americane.
Dobbiamo in qualche modo fermare questa carneficina. I nostri contatti in loco hanno identificato il capo dell’organizzazione in un uomo d’affari libanese: Mohamed Sirk, residente in Iran. Mancano le prove per poter procedere contro Sirk tramite i canali ufficiali. E’ nostro compito trovarle.
Sarò un uomo d’affari francese con forti interessi in medio oriente che cerca un partner locale in Iran. Per rendere migliore la copertura viaggerò in compagnia di mia moglie di origini iraniane. La scelta è caduta sul Colonnello MacKenzie per la sua
conoscenza del farsi e degli usi locali, nonché per il suo addestramento specifico.”
Amm: ”Bene. Colonnello, si tratta di una missione pericolosa. Non è obbligata a
partecipare a missioni per conto della CIA per cui ci pensi e mi faccia sapere la sua decisione”
W: “Sarah, decidi velocemente. Non c’è tempo da perdere” disse Webb, con una confidenza di tempi passati.
Si era rassegnato.
Volendole bene, era contento di vederla felice insieme ad Harm, ma ogni volta che si incontravano, non poteva impedirsi di provare una punta di rimpianto per quello che avrebbe potuto essere fra di loro e non era stato.
M: “Ci penserò, ne parlerò anche con il Comandante Rabb e domani vi farò sapere la mia decisione”.
Amm: “Bene. Se è tutto potete andare. Buona giornata Signori”
M: “Agli ordini, Signore. Ciao Clay, ti farò sapere quanto prima”
W: “Ciao Sarah. Salutami Rabb”
H: “Allora?” chiese Harm vedendo Mac che stava entrando nel suo ufficio.
Mac gli espose la situazione.
H: “Cosa pensi di fare?”
M: “Serve proprio una persona con le mie caratteristiche. Clay ed io ci conosciamo bene e riusciremmo a imbastire una copertura credibile... credo che dovrei accettare.
Tu cosa ne dici?”
H: “Penso che preferirei saperti qui nell’ufficio a fianco, penso che alla sera preferirei di gran lunga averti a casa con me, piuttosto che chissà dove con Webb, penso che non chiuderò occhio sapendoti in medio oriente, fra bombe, kamikaze e sommosse... penso anche che ho sposato un marine degli stati uniti, una donna che ha deciso di servire il suo paese anche se è pericoloso, penso che non sarò io a fermarti anche se ho paura a lasciarti andare, penso che ti aspetterò non vedendo l’ora di riabbracciarti, al tuo ritorno”  
La strinse  e  le  sussurrò  all’orecchio: “lo  so  che tu e Clay vi conoscete bene... non c’è bisogno che me lo ricordi” lo disse sorridendo, ma intanto l’aveva detto.
Mac abbracciò il marito e gli disse solo: “grazie. Sapevo che avresti capito. Oggi ti ho già detto quanto ti amo Harmon Rabb Jr.?” E si voltò, per tornare a lavorare. Era quasi sulla soglia quando, girandosi, aggiunse:  “Clay l’ho conosciuto bene e non l’ho sposato... conoscevo meglio te e nonostante questo ti ho sposato” e ridendo chiuse la porta dietro di sé.
In fondo le faceva piacere quando Harm si mostrava un po’ geloso, ma soprattutto si divertiva a farglielo “pesare.”
Due giorni dopo i coniugi  Webb partirono.
La notte prima della partenza aveva avuto un incubo, non ricordava bene il sogno, ma
perfettamente la sensazione che gli era rimasta dentro: quella missione sarebbe stata la  fine  per  lui e per  Mac. Ne parlò alla moglie che cercò di tranquillizzarlo: “dai
Harm, era solo  un  sogno. Ce la caveremo  in fretta in Iran. Nulla potrà mai farmi
smettere  di  amarti. E  poi  non  sono  io  la  sensitiva  del  gruppo e tu lo scettico
razionalista?”
Harm rimase a casa, ad aspettare notizie e il ritorno di sua moglie.
Appena preso posto sull’aereo che li avrebbe condotti a destinazione, Webb porse a Mac una scatoletta con dentro due fedi.
M: “Non mi posso tenere la mia?”
W: “Sarebbe meglio di no, se dovessi perderla il nome inciso dentro e la data non sarebbero coerenti con la storia inventata come copertura. Ricordati che ci siamo conosciuti al college in Inghilterra e da allora non ci siamo mai lasciati. Dai Mac, è solo per sicurezza, anche Rabb capirebbe...”
A malincuore Mac sfilò la fede, che non aveva mai tolto dal giorno del matrimonio, e
infilò quella che le porgeva Clay.

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Capitolo 3
*** IRAN - Teheran ***


Ins: “Signore e signora Webb, ben arrivati. Avete fatto buon viaggio? Riot vi accompagnerà alla  vostra suite, spero che troverete il soggiorno piacevole. Io e tutto il personale dell’ Ambassador  siamo a disposizione per rendere la permanenza qui di vostro gradimento”
M: “Però, niente male questa suite ”
W: “Tesoro, lo sai che per te solo il meglio” e l’abbracciò davanti agli occhi di Riot.
La commedia era cominciata.
M: “Dove mi porti questa sera a cena?”
W: “Mi hanno parlato di un locale esclusivo, frequentato dalla migliore borghesia locale. Che ne dici di provarlo? Credo si chiami Luiban”
Riot: “Liban, Signore. Se  permette  un commento, ottima  scelta. Le conviene prenotare, questa sera una parte del locale è riservata per una cena organizzata dal Signor Sirk, uno degli uomini più in vista del paese.”
Disse il cameriere, mentre Webb gli porgeva un generosa mancia.
W: “Grazie ragazzo, credo che il mio segretario abbia già provveduto. Anzi cara,
siamo stati invitati proprio alla cena di cui parlava Riot.”
M: “Sei sempre il solito Clay, fai finta di farmi scegliere e invece hai già organizzato tutto. Praticamente una cena di lavoro!” Cinguettò lei. La parte della ricca moglie, un po’ annoiata, le veniva benissimo.
Prima di recarsi alla cena Mac si appartò per chiamare Harm: “siamo arrivati. Tutto bene. Fra poco andremo alla cena organizzata da Sirk, speriamo di riuscire a scoprire qualcosa. Quali sono i contatti attraverso i quali si procura le armi anti-carro. Ti chiamo domani, se posso. Ti amo, Harm. Stai tranquillo...”
H:  “Sarah! Grazie di avermi chiamato, stavo per iniziare a preoccuparmi. Quando si tratta di te, mi riesce difficile essere prima un ufficiale che tuo marito... quasi imbarazzante. Ti amo tesoro, stai attenta. Buona fortuna.”
Durante la cena Mac e Clay si mostrarono tanto brillanti e seducenti da attirare l’attenzione del loro ospite. Da quella sera iniziarono a frequentarsi regolarmente. Clay e  Sirk parlavano di lavoro, Mac e Shira, la signora Sirk, di futilità da donne
privilegiate e trascurate.
I  giorni  passavano  e  non riuscivano a scoprire nulla riguardo all’organizzazione
terroristica che alla Cia erano sicuri facesse capo a Sirk.
Clay incominciava a essere stufo di dormire sul divano. Cavallerescamente aveva ceduto a Mac l’uso del letto  e la sua schiena incominciava a risentire delle notti trascorse in questo modo. Comodo, da albergo a 5 stelle, ma pur sempre divano!
A Mac la lontananza di Harm pesava ogni giorno di più... per fortuna le toccava recitare la parte della moglie con Clay con il quale, una volta superato il dolore per gli inganni nei quali era vissuta durante la loro storia, era tornata in buoni rapporti. L’affetto e la considerazione che li aveva uniti erano state le basi per una rinnovata amicizia.
Molto meglio recitare la parte di moglie con una persona che stimi e a cui vuoi bene,
con la quale hai confidenza che con uno sconosciuto agente della CIA.
Quanto le mancava il suo vero marito, però!
Harm, ad ogni telefonata, si faceva sempre più impaziente...
H: “Non è che alla CIA hanno preso un granchio? Questo Sirk è solo un riccone libanese e i compari di Clay piuttosto che ammettere di aver sbagliato vi terranno a marcire in Iran fino alla fine dei vostri giorni?”
M: “Ogni tanto incomincio a pensarlo anch’io... comunque abbiamo ricevuto l’ordine di rimanere ancora 5 giorni. Se non scopriremo nulla siamo autorizzati a rientrare.”
H: “Sia lodato il cielo ... Allora ti aspetto domenica a casa! Fammi sapere a che ora atterrerete che ti vengo a prendere. Mi manchi cosi tanto Mac”
M: “Speriamo.... Ti farò sapere. Mi manchi tanto anche tu, tesoro mio. Non vedo l’ora di essere di nuovo a casa nostra, con te. Ti amo. Adesso vado a dormire, salutami tutti in ufficio.”
Fu l’ultima telefonata con sua moglie.
Avrebbe parlato altre volte con Mac. Non più con sua moglie.
Non poteva saperlo. Non ancora.
Quel pomeriggio Mac era stata invitata per un the a casa Sirk e mentre si aggirava al
secondo piano della villa alla ricerca di un bagno, le capitò di sentire un pezzo di telefonata del segretario di Sirk: “Questa notte è stato arrestato Otob Hanon, appartenente ad una organizzazione operante a Nassiriyah. Era il nostro contatto. Questo ci obbliga a cambiare i piani. Partirò domani stesso per organizzare. Non chiamare più, può essere pericoloso. Mi farò vivo io”.
Mac simulò un malessere e tornò in albergo, dove nel frattempo aveva dato appuntamento a Webb.
M: “Finalmente una traccia. Non possiamo perdere di vista il segretario di Sirk.”
W: “Un nostro uomo è già alle sue calcagna. Prepariamoci, si stanno dirigendo all’aeroporto. Si va a Bagdad”
Mentre erano in volo, Clay raccontò le poche informazioni che aveva ottenuto su Otob Hanon:”  nella sua abitazione perquisita dopo l’arresto sono stati rinvenuti armi, importanti documenti e fotografie che provano come l'indiziato abbia militato tra le file del partito Ba'th, organizzazione politica facente capo a Saddam Hussein, ed avesse anche contatti con altri ricercati. E’ stato consegnato in custodia alle autorità locali, ma conto di riuscire a ottenere l’autorizzazione per un interrogatorio.”

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Capitolo 4
*** Iran - Bagdad ***


Atterrati si diressero direttamente al carcere, l’autorizzazione all’interrogatorio era arrivata. Come prevedibile ne ricavarono poco, solo una vaga traccia che li portò allo stadio di Nassiriyah il giorno dopo, mentre il contingente italiano stava procedendo al pagamento degli stipendi agli ex militari iracheni.
La traccia era labile, ma per una volta la fortuna fu dalla loro e seguendo un sospettato, un cugino di Otob Hanon, riuscirono a bloccare la transazione per l’acquisto delle armi anticarro, destinate ai terroristi, fra il segretario di Sirk e un ex tenente Russo, accompagnato proprio dal pedinato.
Il traffico fu stroncato e il coinvolgimento di Sirk provato. La missione poteva dirsi conclusa con successo.
Mac stava per telefonare ad Harm per dirgli che l’indomani sera sarebbero rientrati,
quando un ex-sergente iracheno cadde tra la folla privo di sensi.  Mac intervenne immediatamente prestando un primo e decisivo soccorso e rianimando l'ex militare. L’attardarsi all’interno dello stadio, per quel gesto di generosità, fu fatale. Il boato dell’esplosione fu violentissimo. Webb e Mac furono scaraventati lontano una cinquantina di metri dall’onda d’urto e il Colonnello fu travolta da un’asse di legno le cui schegge fecero scempio.
Quando Webb si risvegliò ci mise un po’ a rendersi conto di essere presso un campo di Emergency, l’esplosione lo aveva graziato: a parte qualche contusione, un braccio fratturato e qualche ferita non troppo profonda, se l’era cavata. Era confuso, ma riuscì a riordinare le idee e chiedere notizie di Mac. Non fu facile ottenerle, nel trambusto seguito all’attentato, alcuni feriti erano stati ricoverati presso Emergency, altri all’ospedale da campo della base italiana, altri ancora presso il campo della croce rossa internazionale.
L’elenco delle vittime, poi non era ancora completo.
Furono ore di angoscia e di sgomento, non riuscì neppure a mettersi in contatto con il Jag per informare l’Ammiraglio e il Capitano Rabb.
Quando ormai stava per perdere le speranze di ritrovare Mac viva, un tenente medico italiano lo informò che un colonnello dei marine, che corrispondeva alla descrizione, si trovava ricoverato alla base italiana.
Era Mac. Era viva, ma versava in condizioni gravissime.
Era già stata sottoposta a un intervento d’urgenza, le schegge di legno della trave l’avevano massacrata. Una in particolare si era conficcata con violenza nella testa dando origine a un’emorragia che i medici stavano tentando di arginare. In quel momento era nuovamente sotto i ferri.
Clay ottenne di essere trasportato alla base italiana, dove finalmente, con un telefono satellitare riuscì a mettersi in contatto con gli Stati Uniti.
 
Quartier Generale del JAG
 
Amm: “Coats, mi chiami il Capitano Rabb, per favore.” Aveva appena messo giù il ricevitore dopo aver ricevuto la notizia dell’attentato allo stadio e delle condizioni del Colonnello MacKenzie.
H: “Mi ha fatto chiamare, Signore?” appena entrato aveva notato il viso teso dell’Ammiraglio.
Amm: “Capitano, ho appena parlato con Webb. C’è stato un attentato allo stadio di
Nasiriyah,  il Colonnello MacKenzie è rimasta gravemente ferita nell’esplosione. Al momento è sotto i ferri presso l’ospedale della base Italiana. Appena sarà possibile trasportarla verrà rimpatriata.”
Il Capitano Rabb sbiancò in volto. Il cuore smise di battere per un lunghissimo momento.
H : “Ammiraglio, chiedo il permesso di partire immediatamente per  Nassiriyah”
Amm: “Permesso accordato, Capitano. Andrà tutto bene, vedrà. Il Colonnello è una donna forte, ce la farà.”
Partì immediatamente.

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Capitolo 5
*** CASA? ***


Ospedale da campo italiano
 
Quando arrivò, al capezzale di Mac c’era Clay. Pallido come uno spettro, con il viso ancora tumefatto e il braccio al collo, che trascinava su è giù per la stanza l’asta della flebo.
W: “Non si è ancora risvegliata... tecnicamente l’intervento è riuscito, ma non possono sciogliere la prognosi. Oohh Harm” e iniziò a piangere. “Non l’ho protetta, non sono stato capace di difenderla... perdonami. Non avrei dovuto coinvolgerla”
H: “Non è colpa tua Clay... nessuno avrebbe potuto far niente. Ha scelto lei, autonomamente, di partecipare alla missione. Darei la mia vita per la sua e non sai quanto vorrei che ci fosse un colpevole da accusare. Il kamikaze  è morto nell’esplosione... e tu non c’entri... Clay, non sei tu il colpevole.”
Prese la mano di sua moglie, le lacrime iniziarono a rigare, silenziose, le sue guance. “Sarah, mi senti? Amore, resisti. Non mi lasciare, Sarah. Non mi lasciare, ti supplico tesoro mio. Abbiamo ancora troppe cose da sognare, da dirci, da fare....”.
Passò la notte al capezzale di sua moglie.
Le ore passavano e Mac non si svegliava. Non era un buon segno.
Quando d’un tratto, la mano, che Harm teneva incessantemente nella sua, si mosse. Alzò il viso e vide che gli occhi di Mac si stavano aprendo. Chiamò immediatamente un medico e mentre l’aspettavano, Mac mormorò:”Harm, cosa ci fai qui?”
H: “E dove altro dovrei essere? Oh Sarah, Sarah... Oh mio Dio grazie. Shhh, non ti
affaticare”
M: “Dov’è Clay? Dov’è mio marito? Sta bene?” ... poi le forze le vennero meno.
Harm pensò di non aver sentito bene, o che fosse frutto dello stato confusionale in cui Mac, senza dubbio versava... era troppo felice. Sarah si era svegliata. Ce l’aveva fatta.
Venne mandato fuori dalla stanza, mentre il medico e l’infermiera verificavano le condizioni di Mac.
Ufficiale Medico (UME):  “Capitano Rabb, sua moglie sta reagendo bene alle cure, l’ematoma cerebrale si sta riassorbendo, ma non è stato possibile rimuovere una piccola frazione di scheggia conficcatasi fra il lobo centrale e il lobo temporale. Sarebbe stato troppo rischioso, troppo alta la probabilità di causare danni permanenti. Al momento sembra che questo  stia creando nel Colonnello una confusione temporale e una amnesia, così detta a “leopardo”. Ricorda i volti, le persone, sa chi è, ma ha dei vuoti di memoria per quanto riguarda gli ultimi quattro, cinque anni di vita. E’ come se la sua esistenza si fosse fermata a 5 anni fa, anche le relazioni con le persone si sono cristallizzate a quelle che erano all’epoca.
Capitano Rabb, non so dove trovare le parole giuste per dirlo: sua moglie pensa che
lei sia il suo miglior amico e il Signor Webb suo marito. A dire il vero questa cosa l’ha stupita, si ricordava solo di avere una relazione con lui, ma la fede che ha al dito l’ha convinta che si siano sposati e che adesso non lo ricorda bene solo a seguito dello shock riportato. Inoltre ha un indefinito ricordo di vita matrimoniale con il signor Webb, una specie di vacanza... un albergo, forse la luna di miele ...”
Era chiaro, Mac ricordava vagamente i giorni passati in albergo in Iran con Clay e
nella sua mente confusa, li riconduceva alla luna di miele...
Fu questo il pensiero che attraversò, doloroso, la mente di Harm.
H: “ Si tratta di una situazione temporanea?” chiese, quasi con disperazione. “Come devo comportarmi in questo momento, fino a quando non le tornerà la memoria? Perchè le tornerà, vero?”
UME: “Non possiamo essere certi che si tratti di una situazione transitoria. Circa il 90% dei casi, recupera completamente i ricordi in un arco di tempo che va dai 3 mesi all’anno e mezzo. Non posso nasconderle però che il 10% non recupera più la memoria perduta nell’incidente. Nel caso di sua moglie, poi la situazione è ulteriormente complicata dalla presenza della scheggia. Turbamenti profondi, o scossoni emotivi troppo forti, potrebbero indurre uno spostamento del corpo estraneo con conseguenze non prevedibili, ma che potrebbero essere molto pesanti, dalla perdita della parola a menomazioni ancora più gravi. Tutto questo ci impedisce di consigliare a sua moglie le normali terapie per il recupero della memoria, che di solito hanno un forte impatto emotivo e una grande componente di stress. Anzi, in questo caso si preferisce consigliare di assecondare il paziente e di cercare di introdurre a piccoli, piccolissimi passi, elementi del passato dimenticato.”
H:  “Oh mio Dio...” in poco meno di tre giorni era passato dalla disperazione più cupa, quando la vita di Mac sembrava appesa a un filo, alla gioia più folle, quando aveva aperto gli occhi ed era stata dichiarata fuori pericolo.
Adesso non sapeva come sentirsi.
Mac era salva. Era viva, ma non si ricordava più del loro amore, della loro casa, dei loro progetti, degli ultimi due anni di vita in comune.
Lui era solo il caro, vecchio Harm. Il suo migliore amico.
Mac si riprese fisicamente piuttosto in fretta e dopo due settimana poterono rientrare a Washington.
 
Washington
 
Il consulto medico alla quale la sottoposero, confermò la diagnosi dei medici italiani, anche il professore Schmidt  suggerì di evitare gli stress emotivi e di assecondare Mac in quelle che erano le sue convinzioni sulla sua vita e i suoi rapporti affettivi.
Consigliò di farle frequentare assiduamente il Capitano, di farle visitare la loro casa,
magari invitandola a cena, ma di non forzarla.... sperando che, in questo modo, il ricordo della sua vita com’era prima dell’incidente, riaffiorasse.
Mac andò quindi a vivere con Clay, con quello che credeva essere suo marito.
Ad Harm sembrò di essere sprofondato in un incubo.
Iniziò uno strano menage a trois. Clay si dimostrò di una correttezza esemplare.
Era gentile e premuroso con Mac, ma senza travalicare i limiti e cercava ogni occasione per farle frequentare Harm anche fuori dall’ufficio.
A Mac non poteva che fare piacere, quante volte aveva desiderato che ci fossero così buoni rapporti fra suo marito e il suo migliore amico.
Mac tornò in ufficio e l’Ammiraglio, che era a conoscenza di tutto, fece in modo di farli lavorare insieme il più possibile.
Mac era in una forma strepitosa, stava bene e diceva in giro che non aveva mai lavorato così bene con Harm. Anzi che i suoi rapporti con lui non erano mai andati meglio, niente più tensioni e rivalità. Indubbiamente la missione e il suo infortunio avevano modificato, in meglio, la situazione. Il  loro  rapporto  se  ne  era giovato, era
un’amicizia più matura.
Sentirle dire queste cose era per Harm una staffilata al cuore, ma portava pazienza, aspettava e sperava.
E così avanti, con giornate passate a lavorare sui casi, pranzi insieme e serate di lavoro in quella che adesso era, per Mac, la casa di Harm ed era stata la loro.
M: “Clay, Harm ed io siamo indietro con un caso e ci toccherà lavorare dopo cena. Però  pensavo di invitarlo qua da noi, così non ti lascio solo anche stasera... sarebbe la terza questa settimana” gli disse abbracciandolo e dandogli un bacio sulla guancia.
Che tormento per Clay, fingere la vita che avrebbe voluto avere.
Ma era una vita “in prestito”, non era la loro... non era la sua.
Lei era sposata con Harm, non con lui, presto o tardi se lo sarebbe ricordato.
Lui doveva aiutarla e aiutarli.
Lei non lo avrebbe mai perdonato, diversamente... e neanche lui se lo sarebbe perdonato.
W: “No Sarah, non ti preoccupare, vai a casa di Harm, che senza me fra i piedi lavorerete sicuramente meglio.”
M: ” Se non ti dispiace. In effetti li da soli ci concentriamo meglio e diventiamo più
produttivi. Ce la caveremo in fretta. Cercherò di non tornare troppo tardi” lo salutò con lieve bacio sulle labbra.
Questo non poteva impedirglielo. Come può un marito, senza suscitare sospetti e paure nella propria moglie? Invocando un certo pudore, l’aveva però convinta a evitare queste effusioni in presenza di Harm.
I due uomini che più l’amavano stavano vivendo un incubo, se pur per ragioni diametralmente opposte.
Riaffiorare di ricordi, neppure a parlarne...
Quanto avrebbero potuto resistere così? I mesi passavano, ne erano ormai trascorsi sei dal loro rientro a Washington.
Ogni  tanto  Harm  cadeva  preda  della disperazione, ma forte del suo amore per Sarah e del supporto degli amici, stringeva i denti, si faceva coraggio  e affrontava un
nuovo giorno.
Con lei, ma senza sua moglie.
La gestione delle notti stava diventando sempre più difficile per Clay, Sarah si faceva ogni sera più intraprendente. Il suo negarsi, adducendo a scusa la convalescenza di Mac, diventava sempre meno sostenibile.
La pelle leggermente abbronzata, l’ombra delle cicatrici stava sparendo, la camicia da notte di seta color avorio, con una profonda, provocante, scollatura sulla schiena la rendeva ancora più sexy.
Mac sollevò le coperte con studiata lentezza e con seducente maestria scivolò sotto le lenzuola...
A Clay  il  cuore  cominciò  a  battere  all’impazzata e quasi non riuscì nascondere
l’eccitazione, sotto il pigiama...
M: “Vieni a letto?” con voce allusiva...
W:” “Non ho sonno” mentì, “penso che andrò in sala a guardare un po’ di tele, così non ti disturbo” ....
Con la voce strozzata, quasi rotta dal pianto: “Clay, cosa c’è? Cos’ho che non va? Perchè non mi vuoi più? Le cicatrici? Lo so, non sono più quella di prima...” e iniziò sommessamente a piangere.
Non poteva lasciarla così. Le andò vicino, si sdraiò e l’abbraccio.
Piano nell’orecchio:  “Non fare così Sarah, non piangere... sei bellissima, sei la donna più desiderabile che un uomo possa sperare di avere al suo fianco e nel suo letto.” Le accarezzava piano i capelli e le baciava le guance umide di lacrime.
M: “Per qualsiasi uomo, ma non per te. Non per mio marito”
W: “Ma cosa dici, non lo pensare neanche! E’ solo che i medici hanno detto di evitare le emozioni forti... è ancora troppo presto...”
M: “Sono passati sette mesi Clay e io sto bene. Mi sento bene. Rivoglio la mia vita. Tutta la mia vita con mio marito. Ti voglio amare e voglio essere amata da te, di nuovo...” si sciolse dall’abbraccio, si girò su di lui e con la lingua iniziò a disegnargli il contorno delle labbra.
Il bacio si fece più esigente e la sua bocca si schiuse per lei.
La mano scivolò verso l’inguine di Clay che non poté più mentire...
M: ...ma allora ti faccio ancora un qualche effetto...” gli sussurrò nell’orecchio
mente iniziava ad accarezzarlo sempre più intensamente...
W: “Ooh Sarah, amore mio” si girò, la baciò con passione, le sfilò la camicia da notte. E fu perduto.
Mentre, appagati, aspettavano che il ritmo del loro cuore tornasse normale, le accarezzava un braccio e pensava: “Ho tradito Harm. L’ho tradito con mia moglie”.
Non sapeva se ridere o se piangere.
Era felice o disperato?
Da quella notte, i rapporti fra Mac e Clay, cambiarono sensibilmente, sempre più intimi, quotidiani, spontanei. Sempre meno un matrimonio per finta. Cuore e azioni si stavano allineando, anche per Clay.
La ragione gli diceva che stava sbagliando, che non era giusto, ma non riusciva a fare
diversamente.

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Capitolo 6
*** LA DURA REALTA' ***


Lui amava Sarah e lei amava lui. Di questo era certo.
Fino a quando, però?
Fino a quando la sua memoria ritrovata non l’avesse restituita ad Harm. Il più amato. Più di qualsiasi altro.
Più di lui. Anche di questo era certo.
Seduti sul divano, con gli incartamenti sulle ginocchia.
Harm e Mac, come milioni di volte.
Il braccio di Harm sulla spalliera del divano, Mac che si lascia cadere:” E’ inutile, non se ne viene a capo...”
Harm che chiude il braccio avvolgendola in un abbraccio.
In silenzio si gira, si china su di lei e le sfiora le labbra con un bacio.
Da troppo tempo desiderava farlo, da troppo tempo desiderava abbracciare e baciare sua moglie.
Tutti i giorni, ogni volta che la vedeva... da otto lunghi mesi.
M:  “No Harm, cosa stai facendo?” disse Mac, con voce dolce, ma decisa, mentre si scostava, alzandosi.
Harm rimase immobile a guardarla infilarsi il cappotto. Non sapeva cosa dire e cosa fare.
Aveva solo voglia di piangere. Piangere fino a sfinirsi, fino a morire, fino a non sentire più nulla. Non sentire più questo dolore sordo che gli lacerava il cuore e l’anima.
M: “Siamo stanchi e sotto stress. Stiamo lavorando troppo. E’ stata una sciocchezza, la debolezza di un momento, dettata dalla confidenza e dall’affetto. Facciamo finta che non sia successo niente. Non parliamone più. Buona notte Harm, ci vediamo domani in ufficio.”
Chiuse la porta e se ne andò. A casa. Da Clay.
Un tornado di marine entrò negli uffici della CIA.
Segretaria (Seg):  “Signora, dove va? Non può entrare, il signor Webb è impegnato in una conference call”
Se  ne  infischiò ed entrò nell’ufficio. Clay, stupefatto e anche un po’ preoccupato
dall’improvvisata di Mac, chiuse velocemente la comunicazione, mentre lei gli saltava al collo.
Seg: ”Signor Webb, mi scusi. Non sono riuscita a fermarla.” disse la segretaria
dall’interfono.
M: “E’ un miracolo, Clay! Un miracolo!” urlò
W: “Cosa stai dicendo? Cosa succede?” le disse ridendo e mettendola a sedere sulle ginocchia.
M: “SONO INCINTA, Clay! Era praticamente impossibile, mi ero rassegnata, non ci pensavo neanche più.....  e invece. Invece  c’è, il  cuoricino  batte, arrivo  adesso dalla
dottoressa, non ci sono dubbi, aspettiamo un bambino!”. Lo baciò.
La sollevò per aria e la baciò.
Uscirono dall’ufficio tenendosi per mano.
W: “Sam, esco e per oggi non rientro. Ci vediamo domani” disse alla segretaria. Dovevano festeggiare.
Mac dormiva, con un sorriso beato sul viso. Lui non riusciva a prendere sonno.
Passata l’euforia della notizia e della gioia contagiosa di Sarah, adesso, nel silenzio della notte, stava facendo i conti con la realtà.
Doveva dirlo a Rabb. Non sapeva come.
Era in ufficio, non si decideva. Alla fine tirò su il telefono e compose il numero.
H: “Rabb”
W:  “Ciao Harm, sono Clay. Hai impegni per pranzo? Vorrei vederti.”
H: “Cosa succede? Sarah non sta bene?”
W: “Tranquillo, sta bene. Sono io che devo parlarti, allora puoi?”
H: “Dovevo mangiare con lei, ma vedo di liberarmi. Dove?”
W: “Ti va un hot dog al parco? Preferisco stare all’aria aperta e godermi il sole.”
H: “Ok, va bene alle 13.00 dalla baracchetta degli hot dog” rispose, pensando che essere misterioso era una deformazione professionale, per Clay.
Lo stava aspettando seduto sulla panchina e mentalmente ripeteva il discorso che si era preparato.
Fatica sprecata.
Quando lo vide, senza neanche salutarlo, brutalmente gli uscì: “Sarah aspetta un bambino”.
H: “Brutto bastardo! Ci sei andato a letto!” Disse, mentre gli sferrava un pugno in
pieno volto.  “Ti sei approfittato di lei, della situazione, di me. Lei è MIA moglie, non la tua. MIA hai capito? MIA....” urlò.
Poi si lasciò cadere sulla panchina.
Webb si sedette a fianco, tamponandosi il sangue che usciva dal naso.
W:  “Hai ragione Harm, sono stato con Sarah, ma hai torto quando pensi che mi sia approfittato della situazione. Io amo quella donna, ma nonostante questo ho cercato di evitarlo. Non è facile vivere con lei, come un marito, e respingerne sempre le avance.”
H: “Stai zitto, non ti credo. Non può essere stata Sarah a venirti a cercare... non può essere stata lei. Sei un bastardo, lei è confusa e tu invece di aiutarla ... maledetto!”
W: “Capisco la tua rabbia e mi dispiace. Non ho cercato questo bambino. Sarah mi aveva detto che non poteva avere figli, per questo non abbiamo usato nessuna precauzione.
Però è arrivato, Sarah è felice.... e anche io lo sono.
Perdonami, perdonaci... quando potrai”
Quel giorno Harm non rientrò in ufficio.
Nei giorni che seguirono Harm dovette sopportare prove durissime, fra queste una radiosa Mac che gli comunicava la notizia della sua gravidanza. Finse bene.
Ricacciò il dolore infondo al cuore e fu felice per la sua migliore amica cui si stava realizzando un sogno.
Harm non rivolse più la parola a Webb e Mac non riuscì ad ottenere una spiegazione, su questa improvvisa rottura, né da Harm né da Clay.
I mesi passavano e Mac portava a spasso per l’ufficio la sua pancia, sempre più evidente, con orgoglio e gioia.
Un giorno, passando vicino all’ufficio di Mac, Harm la sentì che parlava mentre si accarezzava la pancia.
M: ”Urca che calcio! Non ti piace questa posizione della mamma? Sono stata troppo
seduta? Mi devo alzare un pochino? Mi sa che sei proprio come tuo papà, anche lui non sta mai fermo. Spero proprio che diventerai un timido, generoso, dolce gentiluomo come lui, quando sarai grande.”
C’era amore in quelle parole. Non solo per il figlio.
Il dolore fu lancinante. Fortissimo, lo rese quasi folle, ma di una lucida follia.
Mac non era semplicemente felice di aspettare un bambino. Era felice di aspettare un
bambino da Clay.
E’ finita Rabb. E’ veramente finita. Lasciala andare e ricomincia a vivere.
H: “Webb, ho bisogno di parlati. Vengo da te in ufficio, non voglio che Sarah ci
veda.”
W: “Ti aspetto”
H: “Qui ci sono le carte per il divorzio, le ho già firmate. Adesso devi trovare il modo di farle firmare a Mac, senza farle capire cosa sono. Non avrai problemi, voi della CIA siete maestri in questo genere di operazioni.
Su questo conto corrente c’è la metà del valore della casa che comprammo quando ci sposammo. Potrete usarla per l’università del bambino. L’ho messa in vendita. Non mi se”
Cosa ti ha fatto prendere queste decisioni, Harm? Cosa è cambiato?”
H: “Lei ti ama Clay, è felice con te e di aspettare tuo figlio. Questa è la sua vita ormai.
Adesso l’ho capito, finalmente. La memoria non le tornerà ed è un bene, visto come stanno le cose adesso.
Del nostro amore, della nostra vita, non rimane niente.
Solo il ricordo che ne ho io e il mio amore per lei. Quello ci sarà sempre.
Non posso costringere voi e me a vivere con questo fantasma. La lascio libera, Clay.
Vi lascio liberi. Proverò a ricominciare. Lontano, qui non mi è possibile. Abbi cura di
lei” e fece per andarsene.
W:  “Grazie Harm. Sei una brava persona. Non so se saprò mai amarla quanto stai facendo tu adesso. Buona fortuna” gli disse commosso.
H: “A Sarah dirò che ho nostalgia del volo e che per questo ho accettato di andare a fare il responsabile degli istruttori alla scuola di volo di Miramar. Buona fortuna
***
Così la salutò. Ci scriveremo, vi verrò a trovare ... abbi cura di te.
M: “Innaffierò le tue piante.”
H: “Non ho piante, Mac...”
M: “Mi mancherai, marinaio. Una lacrima le inumidì gli occhi. Ti aspetto per il battesimo del bambino, quando sarà nato. Così potrai vedere la nuova casa. Ne abbiamo comprata una più grande. E’ un periodo di grandi cambiamenti, il bambino, tu che te ne vai, Clay che lascia la CIA.”
H: “Webb lascia la CIA?”
W: “Si adesso che nasce il bambino non vuole più dover rischiare la vita. Lavorerà per la casa Bianca, compiti diplomatici e non è detto che non si butti in politica... la
sua è una famiglia molto in vista.
E’ stata una scelta difficile. Clay ama il suo lavoro e la CIA. Gli sono grata di questa sua rinuncia per noi” disse Mac, posandosi una mano sul ventre.
Harm ebbe la certezza di aver fatto la scelta giusta.
L’abbracciò forte. Così forte e intensamente che Sarah sentì un tremito percorrerla tutta.
Mentalmente le disse addio. Disse addio a sua moglie.
 
 
Form: MacKenzie@jag.com
To: Rabb@miramarbase.com
Oggetto: Come stai?
 
Ciao Harm,
come stai? Come ti trovi?
Qui manchi a tutti. A me di più. Il nuovo collega non vale un’unghia di te.
Per fortuna fra 15 giorni entrerò in congedo per maternità. La pancia è sempre più grossa, sembro una palla gigante. In questo contesto (MOGLIE BALENA) quel matto di Clay, ha organizzato una cerimonia di riconferma dei voti matrimoniali. Sarà l’imminente paternità che lo rende così sentimentale? Dice che ci siamo sposati di fretta, quasi come cospiratori e che invece adesso vuole una vera cerimonia, con amici, parenti e foto che potremo mostrare al bambino quando sarà grande. Così sto provando abiti che mi fanno sembrare una meringa fuori misura... A me sembra una follia, ma lui è così contento che non ho potuto dirgli di no. Quando mi hai detto che ti avevano trasferito non ne sapevo ancora nulla. Avrei fatto in modo di anticipare perchè ci fossi anche tu. Mi spiace sapere che non potrai partecipare, ma d’altra parte non puoi chiedere un congedo pochi giorni dopo l’arrivo alla nuova destinazione.
Questo è quanto da Washington. Fatti vivo e raccontami qualcosa della tua nuova
vita.
Un bacio grande
Mac
 
PS: L’Ammiraglio mi ha fatto capire che puoi tornare al Jag quando vuoi... sa mai?!
 
Harm, da quella e-mail, capì che il divorzio era stato firmato e che quella che Mac credeva una cerimonia simbolica, sarebbe stato un vero matrimonio. Il suo, con Clay.
La signora Rabb non c’era più. Stava arrivando la Signora Webb.
Era giusto, anche per il bambino.
Risponderò domani, pensò. Spense il pc e andò a letto sperando di riuscire a dormire.
 
Form: Rabb@miramarbase.com
To: MacKenzie@jag.com 
Oggetto: Come stai?
 
Ciao Mac,
sto bene. Mi sto ambientando.
Non mi sembra vero di essere circondato da aerei dalla mattina alla sera. Una meraviglia.
Sto conoscendo i membri del mio staff e mi sembrano tutti piuttosto validi. Non sono ancora andato in aula, ma ho visto i ragazzi ... mi ricordano tanto me quando ero un giovane pilota.
Anche a me manca il Jag e mi manchi tu.
Mi raccomando non strapazzarti troppo.
Sono sicuro che non sei gigante come dici e sicuramente sei sempre bellissima.
Bella e romantica l’idea di Webb. Goditi quella giornata così speciale.
A presto
Harm
 
Un mese e mezzo dopo nacque il bambino: George Adam Webb.
Harm ricevette la notizia direttamente da Clay che, dopo una profonda indecisione, si era risolto a chiamarlo. Sapeva che lui non avrebbe mai telefonato, ma che, conoscendo la data presunta del parto, probabilmente era in pensiero per la salute di Sarah.
Fu una telefonata breve. Di servizio, di cui Harm gli fu grato. Straziato, ma grato.
H: “Congratulazioni Webb. Saluta Sarah, dille che non posso proprio venire in questo momento. Non mi concedono permessi, dalle un bacio da parte mia. Ciao Clay.”
Qualche giorno dopo chiamò Mac e si congratulò di persona. Poi non si fece più vivo.
Mac ci rimase male, non capiva, gli scrisse qualche e-mail stupita e addolorata. Provò a chiamarlo.
Lui  non  rispose, non  poteva …... il suo  cuore  meritava  un po’  di  misericordia. Non poteva riprendersi se continuava ad avere notizie e contatti con lei. 
Forse un giorno le avrebbe spiegato e le avrebbe chiesto scusa.
Il giorno che fosse stato in grado di guardarla senza morire dentro. Senza desiderarla disperatamente.
La vita continuava.
Mac era tutta presa dalle cure per George, era stanca, ma al settimo cielo.
Clay si stava rivelando un padre tenero e affettuoso, un marito presente e premuroso
oltre le sue più rosee aspettative. Le fatiche delle nottate turbolente venivano ripartite equamente e Clay cercava, compatibilmente con il nuovo lavoro, di tornare a casa abbastanza presto la sera per stare con loro e darle un po’ di respiro.
Harriett si prodigava in lungo e in largo, dispensando a piene mani la sua esperienza
di plurimamma.
Sarah era felice.
L’ombra per lo strano comportamento di Harm era presente, ma sfuocata sullo sfondo...
Harm si era buttato anima e corpo nel nuovo lavoro, ma per non perdere l’abitudine si occupava anche delle consulenze legali della base. In fondo al cuore non aveva smesso di sperare di tornare, prima o poi, a fare l’avvocato.
La nuova vita, comunque gli piaceva. Era bello avere a che fare con i ragazzi, era bello poter trasmettere la propria esperienza a giovani piloti. Attraverso di loro si riprendeva un po’ delle gioie che un destino beffardo si era divertito a fargli provare e poi portargli via: prima il volo e la sua carriera di pilota, poi Sarah.
Piano piano stava tornando l’uomo di un tempo. Una mattina, svegliandosi, si scoprì felice di notare che la pioggia del giorno prima aveva lasciato il posto a un meraviglioso sole primaverile. Quanti mesi erano che non notava neppure che tempo facesse? Almeno un anno, da quando era arrivato a Miramar.
Insieme alla sua rinnovata attenzione per gli aspetti meteorologici, migliorò anche il suo umore e la sua capacità di intrattenere rapporti umani, che non fossero quelli di lavoro. Colleghi e sottoposti impararono, piuttosto stupiti, a conoscere un nuovo Harm. L’uomo e non solo l’impeccabile ufficiale.
Era simpatico. Di nuovo.
Strinse delle amicizie e ricominciò ad avere una vita sociale.

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Capitolo 7
*** MIRAMAR ***


Base aerea di Miramar
 
Era alla base da quasi due anni e decisamente stava bene.
Non pensava quasi più a Sarah, alla loro vita passata. Ogni tanto si domandava ancora come stesse e cosa stesse facendo, ma scacciarne il pensiero era ogni giorno più veloce e meno doloroso.
Nonostante questo, era solo e si che le occasioni non gli erano mancate.
Come un uomo così bello, aitante e affascinante fosse sempre solo e non gli si conoscessero storie era un mistero per la maggior parte della popolazione femminile della base.
Anche questo stava per finire.
H: ”Buongiorno Dott.ssa Jons. Spero abbia fatto buon viaggio”
Jennifer (J): “Ottimo, Capitano. Può chiamarmi Jennifer, meglio ancora Jen. Non mi piacciono i formalismi, da quando lavoro con i militari li sopporto ancora meno e visto che dovremo lavorare gomito a gomito...” Scoppiò a ridere. “Mi scusi, Capitano. L’ho fatto di nuovo. Ho esagerato con le parole e l’irruenza. Il tatto poi non è il  mio forte. E’ un mio difetto, sarà il sangue irlandese che ho nelle vene” al ché Harm, ridendo pure lui, rispose: “non si preoccupi Dott.ssa Jons, o meglio Jen. Il tu
va benissimo: Harmon,per gli amici Harm” e le porse la mano.
Bella stretta. Sicura, sincera, decisa. Pensarono entrambi.
La Dott.ssa Jons era un ingegnere aerospaziale. Un esperto, riconosciuto a livello internazionale. Collaborava con il Pentagono allo sviluppo di un nuovo velivolo da ricognizione. Il prototipo veniva testato alla base di Miramar, lo pilotava il Comandante Rabb. Nei mesi seguenti sarebbe stata la sua ombra.
Un’ombra alta, snella, con una cascata di riccioli rossi a incorniciare la carnagione candida e punteggiata di efelidi. Il viso delicato, da madonna botticelliana. Decisamente una gran bella donna.
Completamente diversa da Mac, fisicamente e caratterialmente.
Forse fu proprio questo che attrasse Harm.
Dopo più di due anni, provò interesse per una donna. Per una donna che non fosse Mac.
Seguirono mesi di test serrati e di serate passate a chiacchierare del più e del meno,
della loro vita e dei loro desideri. Harm ricominciò a parlare di se, anche se non degli ultimi anni, del suo matrimonio e della sua fine. Jen era veramente simpatica, un vulcano di idee e di sorprese.
Un po’ pazzerella, ma divertente. Una donna intelligente.
Finirono  per  passare  assieme  quasi  tutto il tempo libero e visto che lavoravano
insieme, non ne trascorrevano molto separati.
H: “Il rollio mi pare ancora un po’ troppo forte in fase di atterraggio, per un velivolo che deve risultare praticamente invisibile e facile da pilotare come una bicicletta, almeno a detta degli ingegneri che l’hanno progettato...” disse ironico.
Jen: “Fammi scaricare i dati dal pc di bordo e poi ne parliamo”
H: “Scarica, scarica pure tutti i dati che vuoi, ma qui si tratta di sensibilità alla cloche”
Jen: “Ah già, la famosa sensibilità da pilota. Molto scientifico. Davvero molto” lo prese in giro.
H: “Senti scienziato, hai impegni per stasera? Ci vieni a cena con me?”
 
Casa Webb
 
M: “Clay ci pensi tu a prendere George al nido questa sera? Ho una riunione, con
l’Ammiraglio e due o tre capoccioni del ministero, che inizia alle 16.00. Temo proprio di non fare in tempo”
W: “Cercherò di farcela. Tutt’al più chiederò a mia madre di passare”
M: “Bravo, così ci manderà la cameriera...”
W: “Dai Sarah, non essere acida. Lo sai che è fatta così, lo ammetto è un po’snobettina, ma gli vuole bene. A modo suo, ma adora George”
M: “Menomale che il modo di voler bene, tu devi averlo preso da tuo padre..”
W: “Mi arrendo. Non posso competere con un avvocato. Marine, per giunta!” le disse sorridente, mentre finiva di farsi il nodo alla cravatta.
Lei si avvicinò e come ogni mattina, gli diede l’ultima sistemata.
M: “Ecco, così va bene. Sei bellissimo.”
W: “Molte grazie, Signora Webb, anche lei non è niente male” le disse baciandola.
W: “Dai   George  salta  in  macchina, che  è  tardi. Mamma  e  papà  faranno  tardi al
lavoro”
George (G): “Aivo papà. Apetta, mi sono dimenticato Pimpi a casa”
W: “Dai, fa niente, all’asilo ci sono un sacco di altri giochi”
G: “Noooooo, volo Pimpi. Dai papà, ti pego”
W: Ok, proviamo a citofonare e vedere se la mamma è ancora in casa e ce lo porta giù”
Per fortuna la mamma non era ancora sull’ascensore e sentì il suono del citofono. Mamma, papà, George e Pimpi partirono alla volta di ufficio e nido. Una famiglia.
 
Miramar
 
J: “Niente male questo posticino, Capitano. Cosa succede, l’anno promossa e le hanno dato un aumento?”
H: “Molto spiritosa. Veramente. Grande soddisfazione con te, portarti in un bel posto e non nei soliti pub che ami tanto. Maschiaccio come sei!” le disse, indeciso se rabbuiarsi o mettersi a ridere.
Maschiaccio. Si, Harm aveva ragione. Jen aveva proprio l’indole da maschiaccio in
un fisico sensuale e morbido, molto femminile. Un mix irresistibile, almeno per lui.
J: “Dai, scherzavo. E’ proprio un bel locale, elegante, ma non troppo formale. Mi piace.”
H: “Speriamo che anche la cucina sia all’altezza. Me l’ha consigliato Rove”
J: “Il Tenete mandrillone e ruba cuori? Capitano Rabb non avrà mica intenzione di sedurmi?”
H: “Perché no? Potrebbe anche essere. Le spiacerebbe, signora?” le disse ammiccante, mentre allungava il braccio sul tavolo a prenderle la mano.
J: “In tutta onestà ... direi... direi di NO! Era l’ora Harm, stavo quasi per decidermi a saltarti addosso io!” così dicendo si era alzata e gli si era fatta vicina.
Gli girò la sedia, si sedette cavalcioni sulle sue gambe e lo baciò.
Quando si dice non perdere tempo!
Quando si staccarono e Harm si fu ripreso dallo stupore, le disse: “A sapere che era così facile, ti avrei portato al pub. Mica me l’hanno dato l’aumento!”
Così iniziò la loro storia. Ridendo.
 
Casa Webb
 
W: “Malpensante che non sei altra” le disse tirandole una pacca sul sedere. “E’ andata mia mamma a prenderlo al nido, non la cameriera. Poi lo ha anche portato al parco” aggiunse sorridendo.
M: “Stupefacente, veramente stupefacente! Chiedo venia, è vero mi sono sbagliata. Sono stata proprio una nuora da barzelletta” rispose divertita.
W: “Bah a dire il vero sono rimasto senza parole anch’io quando mi ha chiamato dicendomi che erano al parco a rincorrere i piccioni e a distribuire briciole. Come
avrà fatto mia madre con i tacchi?”
M: “Sarà che George è così tenero e poco “rompi balle” che sta conquistando pure lei”
W: “E’ vero Mac. E’ incredibile, come dissi quando aveva pochi mesi, è meglio che
non averlo. Sono felice Sarah, vi adoro.”
M: “Anche io. Ti amo, Clay”
W: “Che dici, spegniamo la luce e proviamo a dormire? Sono stanco morto”
Poco dopo, nel silenzio, Mac si fece vicina:”Stai già dormendo?”
W: “No, cosa c’è?”
M: ”Pensavo che George ha 2 anni e mezzo ormai ... non sarebbe bello dargli un fratellino o una sorellina?”
Clay accese la bajour: ”Dici sul serio? Sarebbe un casino, l’organizzazione famigliare, già complicata, penso tracollerebbe, ma mi piacerebbe, eccome se mi piacerebbe. Ma tu te la senti? Per quanto mi sforzi, alla fine il grosso del peso quotidiano è sulle tue spalle...”
M: “In effetti, a pensarci a mente fredda è una vera pazzia. Proprio ora che George sta diventando grandicello e la vita un po’ più tranquilla, ma lo vorrei. Lo vorrei tanto un altro figlio con te.”
W: “Bene Sarah, domani fissa un appuntamento dal Prof. Schmidt, anticipa la visita
di controllo e se lui ci da il via libera, ci mettiamo all’opera di buona lena...  anzi, a pensarci bene, potremmo iniziare a fare qualche prova” e si girò su di lei.
M:  “Ma  non  eri  stanco?...” poi  la   bocca   del  marito   sulle  labbra, le   impedì  di
continuare.
 
Miramar
 
J: “A voi ufficiali non potrebbero dare in dotazione un letto matrimoniale? Con la tua stazza qui non ci si muove”
H: “Mi pare che ci siamo mossi parecchio e bene, negli ultimi tempi...” ribatté sornione “però hai ragione, sono tre anni che sono a Miramar e non mi sono mai preoccupato di cercami un appartamento fuori dalla base. L’alloggio d’ordinanza mi bastava, la branda anche. E’ che non avevo visite notturne così ingombranti”
J: “Non starai mica insinuando che sono grassa, malefico pilota?”
Non rispose e iniziò a farle il solletico. Ricominciarono a danzare in quel piccolo letto singolo.
 
Washington
 
Prof. Schmidt:” Signora Webb, gli esami sono apposto. Il frammento di scheggia non si è più mosso negli ultimi due anni. Direi che la situazione ormai si è stabilizzata e che non ci sono particolari rischi per una nuova gravidanza, non più che in qualsiasi altra circostanza.
La aspetto fra un anno per il controllo. Auguri!”
Allora è fatta! Si dissero, guardandosi negli occhi, mentre, usciti dallo studio medico, aspettavano l’ascensore. Con fare teatrale, Mac estrasse dalla borsa la confezione di pillole contraccettive e la gettò nel cestino della spazzatura.
W: “Sei sicura che sia una buona idea interromperle così?”
M: “Non proprio la soluzione consigliata dai medici, ma tranquillo non è letale...”
scherzò.
Tornarono entrambi ai rispettivi uffici.
 
Miramar
 
Carino, non troppo lontano dalla base, con un piccolo, grazioso giardinetto.
H: “Lo prendo. Quando posso passare a ritirare le chiavi?”
 
Due giorni dopo
 
H: “Dai Jen, muoviti” la prese per mano e la trascinò all’interno. Entrata in sala, cucina, bagno e una spaziosa camera in cui troneggiava un bel lettone matrimoniale. “Ti basta?” le chiese.
Le bastò.
Da quella sera iniziarono, praticamente, a vivere insieme. La cosa funzionava e bene.
Solo ogni tanto Harm mentalmente si assentava, si incupiva un poco.
Jen non ne capiva il motivo, Harm minimizzava e cambiava discorso quando lei cercava di parlarne.
Di fatto succedeva quando all’improvviso, a tradimento, un piccolo gesto quotidiano di Jennifer lo precipitava indietro, in un doloroso dejavù della sua convivenza con Mac.
Non gliene aveva mai parlato. Non era pronto.
Da quando si era trasferito non ne aveva parlato più. Con nessuno.

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Capitolo 8
*** JAG O NON JAG? ***


Casa Webb
 
Lo aveva aspettato. Era in ritardo già di 10 giorni, ma Clay era a Parigi, per lavoro.
Sabato mattina presto. Il bambino si era fermato a dormire dalla nonna.
M: “Dai Clay, svegliati! Forza, alzati”
W: “Gesù Mac, abbi pietà. Non mi sono ancora ripreso dal fuso orario. Ieri mattina ero ancora in Francia.”
M: “Non ce la faccio più, mi scappa la pipì” e mentre lo diceva ridacchiò. Chi avesse sentito questo dialogo li avrebbe presi per matti.
W: “Di fronte al richiamo imperioso della natura, non posso oppormi” disse alzandosi e prendendola sotto braccio.
Passarono i successivi 3 minuti in bagno, a fissare ipnotizzati la finestrella di un’asticella bianca.
Due righe. Blu. Nitide, definite.
Un altro piccolo Webb era in viaggio.
 
Miramar
 
Il  progetto  procedeva  bene. La  prima  fase  di sperimentazione sul campo era quasi
finita.
Sarebbe seguito un nuovo periodo di progettazione per le modifiche necessarie emerse.
Jennifer sarebbe ripartita, di li a poco, per Washington.
Lo sapevano entrambi. Nessuno dei due ne parlava.
Vivevano sostanzialmente insieme da mesi, stavano bene, ma non avevano mai seriamente parlato di convivenza.
Harm era gentile, affettuoso, appassionato. Avrebbe giurato che l’amasse, ma non si concedeva del tutto.
Una parte di lui le era negata, forse quella che gli impediva di fare progetti.
Lei non voleva forzarlo. Mai indurre un uomo ad assumersi impegni per i quali non è pronto, aveva già fatto quest’ errore nel passato e non ne era venuto nulla di buono.
Si chiedeva, però, cosa ne sarebbe stato di loro, con la sua partenza.
Si chiuse nel suo ufficio, abbassò le tendine. Diede ordine di non disturbarlo. Per nessun motivo.
La mano appoggiata sulla cornetta da minuti, immobile.
Si alzò, rifece per la ventesima volta il giro dell’ufficio.
“Al diavolo” disse, si sedette e senza darsi il tempo di pensare, compose il numero.
M: “MacKenzie”
H: “.....Ciao Sarah”
M: “Harm?! Sei tu, Harm?”
H: “Sono io...”
M: “Incredibile, sei ancora vivo allora?”
Il minimo che potesse aspettarsi.
H: “Volevo solo sapere come stai?”
M: “Potrei essere morta da anni... diamine Harm, sparisci per tre anni e poi mi chiami come se niente fosse per sapere come sto? ” La sentirono urlare in tutto il Bullpen.
H: “Hai ragione. Hai tutte le ragioni del mondo per avercela con me, lo capisco se non vuoi più sentirmi.
Non ho avuto scelta, Sarah. Un giorno forse saprò e potrò spiegarti, ma ti prego di
credermi, non ho potuto che agire così. Mi sei mancata...”
C’era dolore composto nelle parole di Harm. Chissà cosa era successo nella vita del suo amico.
Qualcosa di grave che, per la prima volta, non aveva potuto affrontare e condividere con lei.
Non era mai riuscita a restare adirata a lungo con lui. Questo non era cambiato.
M:  “Ti credo” disse piano e dolcemente. “Come stai?”
Parlarono a lungo. Qualcosa si sciolse dentro Harm.
Quando mise giù la cornetta, sapeva cosa doveva fare.
 
Washington
 
Erano appena rientrati dall’ecografia. Una femmina.
Mac stava preparando la cena. George stava guardando un cartone animato in sala.
Si fece dietro alla moglie e le accarezzò piano il ventre, ormai prominente.
Girò il viso: “Tutto bene, Clay?”
W: “Benissimo, stavo pensando quanto sei bella e quanto sono fortunato”
Non stava pensando proprio quello, ma non poteva dirglielo.
Stava pensando ad Harm. Con gratitudine.
Quando erano rimasti incinti di George, era felice, ma infondo al cuore sentiva come se stesse rubando quel figlio e quella vita a Rabb. La dolorosa e generosa decisione di Harm, di andarsene, di farsi da parte gli aveva regalato prima sua moglie e adesso la gioia di questa piccola creatura, che stava crescendo dentro Mac, desiderata e cercata, questa volta consapevolmente, senza togliere niente a nessuno.
“Grazie Rabb”, disse a mezza voce, senza farsi sentire e si mise ad apparecchiare
 
Miramar
 
Quando Jennifer rientrò a casa lo trovò seduto sul divano, in penombra.
 H: “Ti stavo aspettando. Vieni qui” con la mano batté sul cuscino vicino a lui. Lei si
sedette.
“Ti devo parlare...” disse, mentre l’abbracciava.
Le raccontò tutto. Di quella donna tanto amata e persa.
Le raccontò di quella che era stata sua moglie e che adesso era la mamma felice di figli avuti da un altro.
Di quella donna che non si ricordava più di averlo amato e di esserne stata amata.
Le parlò di Mac.
Jennifer lo ascoltò senza interromperlo, poi lo strinse forte.
Quella notte fu amore dolce. Senza ombre.
Tre giorni dopo Jennifer partì per tornare a Washington.
Rimasero intesi che, dopo due settimane, Harm l’avrebbe raggiunta per il week-end.
Non glielo disse, ma prese il volo del giovedì sera.
Aveva qualcosa da fare a Washington, prima di andare da lei.
 

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Capitolo 9
*** FINO ALLA FINE ***


Washington
 
Dopo più di tre anni, le porte dell’ascensore si aprirono davanti a lui sugli uffici del JAG.
Fra gli sguardi stupefatti dei suoi amici e colleghi di un tempo, passò veloce, salutando con un cenno... ci sarebbe stato tempo dopo e si diresse verso l’ufficio di Mac.
M: “Ciao Marinaio, sei arrivato puntuale, per una volta”
Si abbracciarono. Felici di rivedersi.
Harm la guardò, nella sua pinguedine da maternità ormai avanzata e non sentì dolore.
Non più. Solo tenerezza e affetto.
M: “Vai Harm, l’Ammiraglio ti aspetta. Buona fortuna”
Poco dopo.
H: ”E’ fatta, Mac! Fra un mese sarò di nuovo dei vostri. Torno al Jag”
M: “Lo sapevo che l’Ammiraglio ti avrebbe aiutato. Vedi di ritornare in palla e di
scrollarti via la ruggine, che quando rientrerò dalla maternità voglio tornare a fare coppia con te. In questi anni sono diventata ancora più brava!”
H: “Modesta come sempre, Colonnello eh? Tranquilla che mi sono tenuto allenato... Il migliore sarò di nuovo io” scherzarono. “Adesso devo andare, mi aspetta un incontro più importante di quello con l’Ammiraglio” salutò una Mac incuriosita e prese la porta.
Appena uscito dall’edificio chiamò Jennifer: “Ciao Jen, sono riuscito a prendere il volo prima. Sono già a Washington. Ti passo a prendere in ufficio?”
J: “Wow, è proprio vero che non resisti lontano da me” lo provocò. “Fra mezz’ora avrò finito, giusto il tempo che ti serve per arrivare. Ti aspetto. Sono contenta. Mi sei mancato Harm”
H: “Anche tu. Adesso ti lascio, sto scendendo in metropolitana e cadrà la linea”
Appena lo vide gli corse incontro e lui la prese al volo. Gli era mancata veramente!
J: “Dove andiamo? Cosa ti va di fare nella tua vecchia città?”
H: “Dove vuoi, basta che sia un posto tranquillo, dove possa abbracciarti in santa
pace”
J: “Quand’è così, conosco il posto che fa per te. Andiamo!”
H: “Dove?”
J: “A casa mia” gli disse ridendo, mentre lo trascinava verso la macchina.
Nel tragitto si fermarono a prendere una pizza d’asporto.
La mangiarono fredda. Molto fredda.
H: “Jen, se ti dicessi che torno a vivere qui?”
J: “Che razza di burla ti stai inventando, Rabb?”
H: “Non sto scherzando. Ho chiesto di essere reintegrato al JAG. Dal mese prossimo ritornerò a fare l’avvocato”
J: “E’ per lei?” facendosi scura in volto.
H: “No. E’ per te, Jennifer”
Poi continuò, ormai un fiume senza argini: “mi chiedevo se devo cercarmi una casa
piccolina, da scapolo o sia meglio una un po’ più grande che vada bene almeno per
due?”
J: “Harm, mi stai chiedendo di venire a vivere con te?”
H: “No. Ti sto chiedendo di sposarmi, amore mio” quasi non ci credeva neppure lui.
L’aveva detto ed era vero. Amava quella rossa irlandese, un po’ folle e voleva sposarla.
Lei rimase senza fiato, non se lo sarebbe mai aspettato. Non adesso.
J: “Oh mio Dio. E poi sarei io quella pazza e imprevedibile? Comunque Si. Ti sposo, eccome se ti sposo” e iniziò a tempestarlo di baci.
Poi facendo delle strane voci, improvvisò: “Ti presento Harm, il mio fidanzato. Suona bene.
Ti presento Harm, mio marito. Raccogli la lingua e asciuga le bave, che è mio. Suona ancora meglio”.
Rise e l’abbracciò forte.
Di nuovo innamorato e corrisposto. Era guarito.
Una volta a letto, Jen gli disse: “Harm, ti amo anch’io. Con tutte queste emozioni, forse non te l’ho detto”
H: “L’avevo immaginato, Jen” rispose ridendo e stringendola a sè.
Si sposarono in maggio.
Quando passarono sotto il tradizionale arco di spade, lo sguardo d’amore che Harm rivolse a Jennifer fu immortalato in una foto che faceva ora, bella mostra, in salotto.
Fra gli invitati c’erano anche Clay e Mac, con i due figli, George e Rose di pochi mesi.
La ritrovata serenità aveva permesso ad Harm di perdonare Clay per quello che un tempo aveva considerato oltraggio e ignobile furto.
Quando Mac tornò al lavoro ricominciarono a fare coppia fissa.
I primi tempi, la cosa rendeva tesa e inquieta Jennifer, ma il dolce, sereno e consapevole comportamento di Harm, ebbe la meglio sui suoi fantasmi.
Decisamente era lei la sua donna, il suo amore. Sua moglie.
I pezzi della sua vita si erano ricomposti, in un nuovo mosaico, come non avrebbe mai immaginato qualche anno prima.
Era bello tornare a casa da Jennifer, amarla, ridere, litigare, fare progetti e sogni.
Era bello avere di nuovo l’amicizia di Mac. Come un tempo, come prima del loro amore.
Come prima che un’esplosione travolgesse le loro vite.
Gli sarebbe piaciuto frequentare Mac anche fuori dall’ufficio, ma non credeva giusto imporlo a sua moglie.
Mac, dal canto suo, avvertiva una certa diffidenza da parte di Jennifer, mai avrebbe potuto immaginare che fosse paura e gelosia.
Non se lo spiegava, ma questo la frenava nel coinvolgere i Rabb nella vita della sua famiglia.
Pensava spesso che fosse un peccato, ma non stava a lei giudicare la moglie di Harm che, d’altra parte, lo rendeva felice e appagato. Era evidente.
Tanto bastava perché, in fondo, Jennifer le andasse a genio.
Fu Jennifer che stupì Harm, un giorno: “e se sabato sera invitassimo a cena i Webb?”
H: “Ne sarei felice, Jen. Sai perchè? Perchè vuol dire che mia moglie non ha più paura. Non avrebbe mai dovuto averne” lo sguardo di amore che le rivolse la commosse. Non aveva più paura.
Fu la prima di molte altre cene.
Jennifer,  conoscendo  meglio Mac,  capì  perché  Harm ne fosse  stato così follemente innamorato e poi così dolorosamente devastato.
Comprese anche come, adesso, potesse esserle amico. Non fu più gelosa della confidenza e del legame che c’era fra loro.
Divennero amiche.
Fu Mac, quella che le stette più vicina quando, i primi mesi di vita, Ashley sofferente
per le coliche, non li fece chiudere occhio 24 ore su 24.
Harm, almeno di giorno, poteva andare a riposarsi in ufficio, come diceva lui. Scherzando, ma non troppo.
C’erano state giornate, in cui era così stravolta che le sembrò quasi di poter capire quelle madri che, in un raptus di follia, mettono i figli in lavatrice.
In uno di quei momenti, era una domenica mattina, arrivò come un fulmine Mac.
Si erano sentite al telefono e aveva riconosciuto la voce di una mamma sull’orlo di una crisi di nervi.
Disse ad Harm di vestirsi e di scendere che sotto c’era Clay con i bambini che lo aspettavano. Dovevano sparire almeno fino all’ora di cena.
Prese in mano la situazione. Da vero Colonnello dei marine.
M: “Adesso la allatti, poi ti fai una doccia veloce e fili a letto. Ad Ashley ci penso io. Per le prossime 4 ore fai finta che non ci sia, che non esista.”
J: “Ma no, come faccio ... e se non si calma?...”
M: “Vorrà dire che piangerà un po’ con la zia Sarah ... mentre la mamma si riposa e dorme, che ne ha BISOGNO. Dai Jen, dammi retta. Ad Ashley non serve a niente una mamma isterica che non si regge più in piedi, fidati. Parlo per esperienza.”
Mentre Jennifer era sotto la doccia, preparò la bambina e uscirono.
M: “Dormi, che Ashley ed io andiamo a comprare il pranzo”
Neanche due minuti dopo Jennifer stava già dormendo, praticamente svenuta.
Al loro rientro pranzarono velocemente. Allattò la piccola e andò di nuovo a dormire.
Quando alla sera Harm tornò a casa, trovò un’altra Jennifer. Sembrava di nuovo un essere umano.
Non fu l’unico blitz di quel tipo fino a quando la situazione non si normalizzò.
Ancora adesso, che Ashley aveva quasi tre anni, Jennifer non poteva smettere di esserle infinitamente grata per quelle ore di sonno regalate.  
 
JAG
 
Era colpevole. Loro lo sapevano, ma non avevano potuto provarlo.
L’aveva istigata lui al suicidio e adesso usciva dall’aula da uomo libero.
H: “Che schifo Mac. Con un marito al Congresso, non so proprio come tu possa continuare a fare questo dannato lavoro. In questo momento, se potessi, mollerei
tutto”
M: “Eh si bravo, così mi toccherebbe fare la moglie del senatore a tempo pieno. Già mi pesa dover fare public relation part-time. Per fortuna Clay, che mi conosce, mi chiede solo lo stretto indispensabile. Dai Harm, coraggio. Non è il primo colpevole che vediamo assolto. Ce l’abbiamo messa tutta, ma le accuse di plagio sono quasi impossibili da dimostrare. Me ne vado a casa, anche se è presto. Sono stanca e questo processo ci ha impegnato così tanto che ho un po’ trascurato i bambini; anche il marito, se è per quello, ma lui è maggiorenne e vaccinato, sopporta meglio. Faresti bene a fare come me.”
H: “Hai ragione. Adesso chiamo Jen, le dico che passo io a prendere Ashley e poi porto a cena fuori le mie donne. Ci vediamo domani, salutami Clay e i nanetti”
Mentre stava mettendo in moto l’auto ebbe di nuovo quella strana sensazione di sperdimento. Era qualche giorno che le succedeva. “Sarà meglio che vada a farmi vedere” pensò.
La scheggia non le aveva mai dato problemi in tutti quegli anni e a parte i controlli annuali, tendeva a dimenticarsene.
Non poteva saperlo, ma improvvisa e inopportuna, la memoria stava tornando.
Non potevano essere sogni ad occhi aperti. Non era quello che desiderava. Assolutamente no.
Allora cos’erano queste immagini di lei e Harm, in situazioni che definire compromettenti era un eufemismo, che le venivano in mente, così a tradimento, da qualche giorno?
Immagini così vivide e nitide, da sembrare quasi ricordi, più che sogni.
Le stava dando di volta il cervello?
Poi, così come erano arrivate, queste strane visioni sparirono e Mac non ci pensò più.
Sarà stato lo stress, si disse.
Qualche mese dopo era in ufficio e fu travolta da un’emozione, furiosa e devastante.
La memoria era tornata.
Tutta. Completamente. Meravigliosamente tremenda.
Iniziò a sudare, tremare e piangere, incapace di muoversi e parlare.
Fu così che la trovò Harm, che la cercava per proporle un caffè.
H: “Mac, cos’hai? Cosa succede?”
Lei singhiozzava e respirava a fatica, bianca come un cencio.
H: “Mac, Mac!” La prese per un braccio e la scrollò. Questo l’aiutò a riprendersi un pochino.
M: “Tu... Io... noi. Mio Dio Harm...!?!” Balbettò e ricominciò a singhiozzare.
Harm non capiva. La prese sotto braccio: “è meglio se usciamo a prendere un po’ di aria” le disse, accompagnandola, preoccupato, verso l’uscita.
Si sedettero su una panchina in giardino. Finalmente le parole di Mac divennero più comprensibili.
M: “Io e te Harm, io e te siamo... eravamo sposati? Mio Dio sto impazzendo... eppure mi sembra vero, mi ricordo la chiesa, l’Ammiraglio che mi accompagna e c’eri tu ad aspettarmi all’altare. Casa nostra, il tuo ordine maniacale, i miei fossili.... aiuto, aiutami Harm, sto impazzendo.” Le mancò di nuovo il fiato.
Harm capì.
Il momento che anni prima aveva invano, ardentemente aspettato, era arrivato.
Adesso, quando non serviva più a nessuno. Adesso che rischiava di essere una catastrofe nella loro vita, nella vita di quelli che amavano e dai quali erano amati.
Mancò il fiato pure a lui.
Si riprese, la strinse a se:  “non stai impazzendo Sarah.... è tutto vero, ma stai calma”. Le raccontò tutto.
Piansero insieme, abbracciati.
Piansero la vita che non avevano avuto, piansero per il dolore che Harm aveva sopportato. Piansero un amore volato via con le schegge di una bomba.
Senza che se ne rendessero conto, le loro labbra si fecero vicine. Si baciarono. Con quel bacio diedero addio, definitivamente, a quello che era stato il loro amore.
Nessuno dei due mise in dubbio il nuovo legame, le rispettive famiglie, la loro vita com’era adesso.
Non rientrarono in ufficio.
Passarono il pomeriggio insieme e quando furono sufficientemente calmi, tornarono a casa.
 
Ognuno a casa sua
 
Una serata normale, i figli appena messi a letto. Sarah sembrava un po’ imbambolata.
W: “Stai bene Sarah? Tutto ok?”
M: “Perchè?”
W: “Mi sembri stanca, anzi stravolta” le disse sfiorandole, dolce, il viso.
Lo prese per mano: “andiamo un attimo in sala?”.
Clay la seguì con aria interrogativa.
Sua moglie era strana quella sera.
Gli si sedette in braccio, come faceva spesso quando era un po’ in crisi.... appoggiò la testa sulla spalla del marito e sospirò, quasi a farsi coraggio e a trovare le parole per incominciare.
M: “Stamattina  in  ufficio  mi  è  successa una cosa. Bella e tremenda nello stesso
tempo. E’ per quello che sono un po’ strana stasera. Mi ha scombussolata.”
W: “Cosa ti è successo, Mac? Mi stai facendo preoccupare...”
M: “Tranquillo, sto bene. Solo che questa mattina, mentre ero in ufficio, mi sono tornati alla mente dei ricordi...”  lo sguardo di Clay si fece serio, i muscoli del viso si contrassero. Incominciava a sospettare, un brivido di paura lo attraversò. La sua vita stava per andare in frantumi?
Prima che lei continuasse, la anticipò:  “Di te e di Harm? Della vostra vita? Di quando eravate sposati?”
In un sussurro: “si...”
W: “Lui lo sa?”.
Di nuovo un si.
Il volto si irrigidì in una maschera di dolore.
Si controllò e abbracciandola forte le disse: “Lo sapevo. Lo sapevo che prima o poi
sarebbe successo. I primi  mesi  dopo  l’incidente  speravo, per te, che la  memoria
ritornasse, ma il tempo passava, tu stavi bene così, ci amavamo ed era arrivato George... ho iniziato a pregare che non ti ricordassi mai più di quale era la tua vita prima. Gli anni passavano e mi sono illuso..., ma in fondo al cuore ho sempre temuto che questo giorno sarebbe arrivato.” Si guardarono lungamente negli occhi. Lei non si scioglieva dall’abbraccio.
Poi Clay riprese: “Non ti preoccupare Sarah, faremo quello che vorrai tu. Ti aiuterò. Cerchiamo solo di non far soffrire troppo i bambini.”
Dava per scontato che se ne sarebbe andata... e le stava dicendo che l’avrebbe aiutata.
Un’ondata di amore, di tenerezza, di gratitudine si impadronì di lei, per quell’uomo.
Per suo marito.
M: “Di cosa parli, Clay? Cosa stai dicendo?” Lo accarezzò lieve poi si alzò e lo invitò a seguirla.
Piano aprì la porta della camera dove stavano dormendo i bambini.
M: “Li vedi? Voi siete la mia vita. Questo è il mio posto. Con loro e con te. Non vorrei essere da nessuna altra parte e con nessun altro. Hai capito? Hai capito, amore mio?”
W: “Sarah, Sarah, Sarah....” l’abbracciò come un disperato, come un naufrago.
Come chi vede finire un brutto sogno. Definitivamente.
Il loro matrimonio ne uscì rafforzato, se mai ce ne fosse stato bisogno.
 
Qualche giorno dopo
 
M: “Ciao Jennifer, come stai?”
J: Abbastanza bene, un po’ turbata forse ...”
M: “So che Harm ti ha detto tutto... pensavo... ti va se ci vediamo per un caffè, senza figli e mariti e ne parliamo?”
J: “Solito posto?...”
Quelle due donne, quelle due amiche, unite da uno strano destino, si parlarono apertamente.
Davanti a un tazza di caffè, si confidarono le rispettive paure, imbarazzi, gelosie...
J: “Mi fa effetto, Mac... mi imbarazza sapere che ti ricordi. Che ricordi di essere stata sposata con Harm. Mi ingelosisce che ti ricordi di averlo amato. Mi fa paura, una paura tremenda, che ti ricordi quanto lui ti ha amata... e mi sento in colpa a provare questi sentimenti. Mi sento in colpa con lui e con te, per questo.”
M: “Anche a me imbarazza. Non riesco più a guardare lui e voi nello stesso modo... Anche io mi sento in colpa a non riuscirci. Penso però che sia normale e invitabile, vista la situazione. Penso che sia solo necessario darci il tempo di abituarci. Io amo Clay, con tutto il cuore e senza riserve e Harm ama te.  
Hai detto bene, mi ricordo di averlo amato  e tanto, ma è appunto solo un ricordo.
Gli voglio bene, voglio bene a te e ad Ashley. Vi voglio bene, Jen. Spero che questa non sia la fine... o quella dannata bomba ci avrà ferito di nuovo. Tutti, questa volta.”
J: “Hai ragione, Sarah... anche Harm mi ha detto le stesse cose. Dobbiamo provarci e
ci riusciremo, anche io vi voglio bene. A tutti e 4 voi Webb, piccoli e grandi.” disse,
mentre le stringeva una mano.
Non fu facile, ma ci riuscirono. Rimasero amici.
Anzi, passati i primi momenti, le due donne si divertivano a mettere in imbarazzo Harm, notoriamente riservato, scambiandosi battute e opinioni su di lui, in veste di marito, in sua presenza.
J: “Mac, ma anche quando viveva con te era così noioso con ‘sta mania dell’ordine?”
M: “assolutamente si, salvo poi mollare sempre 24 ore e cappello sul divano quando arrivava a casa...”
J: “E’ vero, è vero ... non è mica cambiato, sai!”
H: “La smettete voi due? Clay, di qualcosa a tua moglie ....!” Mentre andava ad abbracciare la sua di moglie, baciandola per impedirle di continuare a parlare “stai un po’ zitta va, ingegnere!”
Finirono con l’imbastire una sorta di “comune” fuori tempo.
Vacanze insieme e figli che crescevano come fratelli.
L’ascesa politica di Clay non conosceva soste e anche Harm era stato promosso a Capitano di Vascello, tutto lasciava intendere che sarebbe stato lui il nuovo Jag prima o poi. Per far carriera, si sa, nell’esercito bisogna muoversi e cambiare incarico. Harm fu trasferito. Londra. Jennifer e Ashley lo seguirono di li a poco.
Fu dura, ma furono anche occasioni per visitare l’Europa, spesso anche i Webb si univano durante le ferie.
Così passarono altri 2 anni.
Le elezioni di Medio termine si stavano avvicinando e Clay era impegnato più che mai. A casa transitava, più che altro, per cambiare la valigia e ripartire. Stava attraversando in lungo e in largo lo stato, teneva anche 4 comizi al giorno e in città differenti.
Mac si impegnava poco nelle fatiche pre-elettorali e presenziava a fianco del marito il minimo indispensabile, questo era un patto che avevano tacitamente siglato anni prima, ma in cambio, in questi momenti non si lamentava delle sue assenze. Faceva parte del patto anche quello.
Era lui che non ce la faceva più, aveva nostalgia di Mac e dei suoi figli. Al diavolo le elezioni, aveva detto al suo staff, lasciandoli sbigottiti, quando aveva comunicato di
disdire gli impegni per i successivi due giorni.
Era appena saltato sull’ennesimo aereo, ma questa volta destinazione Washington e si sarebbe fermato, almeno un po’!
Sorrideva, mentre immaginava la faccia di Mac quando avrebbe suonato alla porta. Era una sorpresa.
Non arrivò mai a suonare quel campanello. Un pirata lo investì, uccidendolo sul colpo, mentre attraversava la strada. Voleva fare a sua moglie una sorpresa con tutti i crismi e presentarsi con un mazzo di fiori.
Stava tornando dal fioraio. Molto british, molto Webb...
Mentre trasportavano Clay all’ospedale, per certificarne il decesso, a Mac non restò che raccogliere i fiori calpestati e offesi. L’ultimo regalo di suo marito.
Quell’uomo che tanto l’aveva amata, che aveva rinunciato al suo lavoro di spia per lei e per i bambini, per evitare di correre rischi inutili, se n’era andato così, banalmente, a  causa  di  un  balordo  assassino  al  volante  che  non  si  era neanche fermato a
soccorrerlo.
Mac temeva  di  non  riuscire  a  sopravvivere al dolore, ma doveva farlo, lo doveva a
Clay e ai loro figli.
Fece il prefisso internazionale, chiamò Londra e pianse tante lacrime quante non pensava di averne.
Poi iniziò a organizzare la cerimonia funebre. Efficiente e composta, come ci si aspetta dalla moglie di un personaggio pubblico e da un marine, ma il cuore era spezzato.
Harm e Jennifer le stettero molto vicino.
Jen e Ashley si fermarono qualche settimana ancora, quando Harm rientrò a Londra.
Per poco, per fortuna, in capo a sei mesi rientrarono tutti a Washington, dove Harm era stato richiamato in qualità di vice Jag.
Quelli che seguirono furono anni difficili per Mac, specialmente adesso che George stava entrando nell’adolescenza e la mancanza del padre si faceva sentire ancora di più.
Menomale che Harm era, in parte, riuscito a proporsi come figura maschile di riferimento e l’aiutava molto in questo momento di ribellione e sofferenza del figlio.
Da quando era rimasta vedova i rapporti con la famiglia di Harm si erano fatti, se possibile, ancora più stretti.
Mac spesso pensava che non sarebbe riuscita  a superare il dolore e a crescere da sola Rose e George senza l’aiuto, l’appoggio e l’affetto di Jennifer e Harm, anche gli altri amici, Bud ed Harriett si erano fatti in quattro per loro, ma i Rabb erano diventati una nuova, allargata famiglia, per lei e i suoi figli. Zio, zia e cugini, così come lei era la zia Sarah per Ashley.
Mac non era una vedova inconsolabile, usciva, incontrava amici e coltivava interessi, ma non aveva avuto più nessuno, benché Harm e Jennifer cercassero di spronarla, infondo era ancora abbastanza giovane per rifarsi una vita. Lei rispondeva che stava bene così, con i suoi figli, il suo lavoro e il ricordo di Clay. Adesso che il dolore si era, con il tempo, fatto più tenue, i ricordi della loro vita insieme erano diventati una dolce, struggente compagnia. 
M: “E  poi   cosa   voglio, ho  due  bravi  ragazzi, amici  come  voi, nessun   problema
economico, un bel lavoro… ho avuto un matrimonio d’amore, anzi due...” diceva sorridendo, “più di quanto abbia la maggior parte della gente. Va bene così, non mi va proprio di ricominciare” e chiudeva il discorso.
 
Il Fato
 
Qualche anno dopo, stroncata da un tumore fulminante, Jennifer se ne andò in tre mesi, a soli 43 anni.
Harm rimase solo. Per la seconda volta. Questa volta non c’era solo lui a cui pensare, c’era anche una bambina che aveva perso la mamma, da un momento all’altro.
Fu il turno di Mac.
Gli stette vicino, asciugò le sue lacrime e poi lo aiutò a organizzarsi fra lavoro e Ashley.
Diventarono interscambiabili.
Nonostante questo Harm non riusciva a conciliare, la sua carriera, gli impegni sempre più gravosi in ufficio e la cura della figlia.
H: “Non posso andare avanti così Mac, sono sempre in dietro su tutto, sul lavoro e con Ashley. Quando non puoi pensarci tu, la vado a prendere sempre più tardi, sono più i sabato che passo a lavorare di quelli che trascorro con lei… e poi la spesa, la casa … non so come farei senza di te, ma non posso comunque andare vanti così, non posso trascurare la mia bambina in questo modo. Credo di dovermi rassegnare, devo tirare i remi in barca sul lavoro, farmi da parte. Chiederò una nuova  assegnazione, a un compito amministrativo, con poche responsabilità che mi permetta di fare orari certi.”
M: “Ma così butterai al vento tutto quello che hai fatto fino ad adesso! Pensi che ad  
Ashley farà bene, avere un papà frustrato e insoddisfatto? Ashley crescerà, andrà al college e tu avrai rinunciato quello per cui hai  faticato tutta la vita…”
H: “Lo so Mac, ma non vedo alternative. Già le manca la mamma… tu sei stata bravissima, con George e Rose quando sei rimasta sola, ma anche tu hai rinunciato, in parte, alla carriera per loro. Credo che adesso sia io a dover fare questa rinuncia. Per Ashley.”
M: “Harm, lo sai che io ho sempre messo i figli davanti al resto, ma per me si tratta di una situazione diversa, anche prima che morisse Clay io avevo scelto di frenare sul lavoro, per dedicarmi maggiormente ai bambini. Non ho accettato più trasferimenti e infatti sono rimasta Colonnello. Tu hai girato mezza Europa, con Jennifer e Ashley e adesso che stai per concretizzare pensi di mollare?”
H: “Certo Mac che dicendo così giri il coltello nella piaga… cosa diamine posso fare, non vedo altra scelta, se non sacrificare mia figlia e questo non lo farò” con voce un po’ alterata.
M:  “Io avrei una mezza idea che forse potrebbe aiutarti a conciliare lavoro e cura di Ashley”
H: “Ovvero?”
M: “Magari mi prenderai per matta, ma… la villa  dove  viviamo  noi è enorme, ci
sarebbe un’ala a vostra disposizione. Ti scaricheresti delle incombenze domestiche, Ashley sarebbe sempre con qualcuno che le vuole bene anche quando tu non ci sei: io, i ragazzi e Carol, la tata di quando George e Rosie erano piccoli, e che mi ha aiutato tanto quando è morto Clay. Per i ragazzi è quasi una seconda mamma e sai quanto anche Ashley le sia affezionata. Noi due potremmo darci una mano molto meglio che continuando a rimbalzare da una casa all’altra con figli recuperati qua e la. Lo sai la casa è enorme, potrai continuare ad avere tutta la tua intimità e indipendenza... che ne dici? A me sembra una buona idea.”
H. “Parli sul serio Mac? Mi sembra una follia, ma …”
M: “Dai Harm, proviamoci… sei sempre in tempo a cambiare idea”
H:  “Mac, sei un tesoro. Come farei senza di te?” le disse abbracciandola e dandole un bacio sulla guancia.
M: “E’ un si?”
H:  “Ne parlo con Ashley e ti dico, ma direi di si… proviamoci. Grazie Mac, grazie veramente.”
Ashley fu d’accordo, lei e Harm si trasferirono a villa Webb.
Mac aveva avuto ragione, la qualità della vita migliorò per tutti, anche e soprattutto
per Ashley che ritrovò, il calore di una famiglia e in Sarah l’appoggio quotidiano e affettuoso di una figura femminile. Harm era più sereno e rilassato, quando arrivava a casa e si dedicava a lei e senza più sensi di colpa. Il rapporto padre figlia ritrovò l’equilibrio che si era rotto con la morte di Jennifer.
I ragazzi, già molto uniti, con la convivenza cementarono un rapporto che non si sarebbe più interrotto, neanche da adulti. Ashley molti anni dopo, diventata scrittrice, in un suo romanzo autobiografico, avrebbe scritto di suo fratello e di sua sorella, George e Rose e delle sue due mamme.
Harm e Ashley disponevano di un appartamento autonomo, ma collegato al resto
della casa.
Quello strano menage funzionava ed erano sempre più le sere che cenavano tutti insieme; subito dopo i ragazzi si dileguavano, Rose e Ashley in camera dell’una o dell’altra a fare e dirsi chissà cosa e George a giocare ai videogiochi o a tenere occupato il telefono in interminabili telefonate con la fidanzatina di turno.
Harm e Mac, rimanevano da soli, a sparecchiare e poi si buttavano sul divano, un po’ di tv, due chiacchiere, a volte lavoravano a qualche caso.
Quando Harm faceva tardi in ufficio, capitava spesso che Mac lo aspettasse per cenare, o almeno per fargli compagnia.
Una routine rassicuramene e molto famigliare.
Poi improvvisamente Harm incominciò a ricevere telefonate alle quali rispondeva appartandosi.
Non aveva mai fatto così.
Iniziò a fermarsi a cena fuori, qualche volta, anche quando a Mac non risultava che avesse impegni di lavoro. La cosa si ripeteva ormai da qualche settimana, in maniera ricorrente.
Mac non chiedeva nulla, infondo non erano affari suoi, forse aveva incontrato una donna, ed era anche giusto che provasse a rifarsi una vita. Allora perché, perché le
dava così fastidio?
“Sarai mica gelosa, Sarah?” Si disse fra sè e sè, dandosi della scema.
Per il resto Harm era, come sempre, gentile e affettuoso con lei e i ragazzi e molto partecipe alla vita famigliare, se la loro si poteva chiamare così…
M: “Harm, ti hanno cercato dalla scuola di Ashley. Hanno spostato l’orario di consegna delle pagelle dalle 18 di martedì, alle 19 di mercoledì prossimo” gli disse Mac affacciandosi nel suo ufficio.
H: “Porca vacca. Quel giorno ho un appuntamento che non so se riesco a spostare… e poi Mac, menomale che mi viene in mente, mercoledì sera mi fermerò a cena fuori”
M: “Se non riesci a spostare l’appuntamento, immagino. Comunque  non ti preoccupare, se mi firmi la delega passo io a ritirare la pagella. Mi sembra che quest’impegno sia di fondamentale importanza per te” rispose un po’ acida, anche se
non avrebbe voluto.
Harm non colse o finse bene e si limitò a dirle: “Beh, Mac se dici così e puoi andare tu a scuola, ne approfitto e non provo neanche a spostare l’appuntamento”
M: “Perfetto!” con voce stizzita, si girò sui tacchi e se ne andò.
Questa volta Harm notò il tono, ma pensò che Mac fosse solo un po’ nervosa. “Stasera a cena, proverò a parlarle per vedere se c’è qualcosa che non va” e si rimise al lavoro.
Non era nervosa, era gelosa e non l’ammetteva neanche con se stessa. Solo a pensarlo le sembrava di tradire Clay, la sua memoria e il loro amore.
A cena Mac negò che ci fosse qualcosa che le dava fastidio e il discorso finì li.
Mentre erano seduti sul divano, Mac fu percorsa da un brivido di freddo.
H: “Hai freddo Mac?”
M: ”Si ho un po’ freddo, ma non ho voglia di alzarmi a cercare un plaid … sono stanca e pigra questa sera. Aspetterò la pubblicità”
H: “Se mi dici dove cercare ci vado io.”
M: “Grazie, ma non mi ricordo dove l’ho riposto l’estate scorsa … i primi freddi mi colgono sempre impreparata. Comunque non ho tanto freddo”
H: “Le mani sono gelate” disse Harm prendendole fra le sue “finirà che ti prendi un
raffreddore. Almeno vieni qui che ti scaldo” le disse aprendo le braccia poi tirandola a sé. “Meglio?”
Sarah fu turbata da quel gesto e dal calore di Harm che l’avvolgeva … così turbata che non si accorse dello sguardo di Harm e delle sue labbra che passarono lievi e in un soffio, sui suoi capelli.
Non cercò il plaid durante la pubblicità e lui non glielo ricordò.
La mente vagava, a tanti, tanti anni prima. I loro anni.
Prima dell’Iraq, prima dei figli, prima di Clay e Jennifer, amati e partiti per un viaggio che non conosce ritorni, e poi di nuovo il profumo dei capelli di Mac... mai dimenticato.
H: “Hai sempre avuto un buon odore Mac...” in un sussurro appena accennato.
M: “Eh?” la voce di Harm la riscosse da pensieri molto simili a quelli che stava facendo lui, ma lei non poteva immaginarlo.
H: “Niente... il film è finito, andiamo a letto?”
A malavoglia si staccarono. Harm si diresse verso la camera di Rose.
H: “Ash, io vado a dormire. Se vuoi, fermati ancora un quarto d’ora e poi vieni che è tardi. Lo sapete che poi tu e Rose alla mattina non riuscite ad alzarvi, dormiglione come siete” così dicendo le baciò entrambe e augurò buona notte.
Mac quella notte faticò a prendere sonno.
Anche Harm.
Qualche mese dopo, finita la cena, mentre si stavano concedendo un goccio di porto.
H: “Mac, prima che mi dimentichi, questo fine settimana non ci sarò.”
M: “Porti Ash da qualche parte? Andate dai tuoi?”
H: “No, Ash rimane a casa. Ho già chiamato Carol così non pesa su di te. Tornerò domenica nel pomeriggio”
Mac fu colta da raptus e sbottò.
M: “Ma bravo e dove te ne vai di bello?” Ironica “lavori tutta la settimana come un matto e poi il week end molli Ash per andare a spassartela chissà dove e con chi. Già, ma  il  prode  Capitano  di  Vascello deve riposarsi, dalle dure fatiche. Complimenti!”
sSizzita e arrabbiata. “Immagino che tu vada con quella delle telefonate!” Aggiunse.
L’espressione di Harm, stupita e interdetta, fu indimenticabile.
Che a Mac fosse andato di volta il cervello? Che razza di reazione era? Non andava mai via il week end da solo, era la prima volta.
H: “Mac, sei fuori? Cosa stai dicendo?”
M: “Niente, niente. Vai dove vuoi e con chi vuoi, non sono fatti miei. Mi dispiace solo per Ashley” le gote rosse e gli occhi lucidi, contraddicevano vigorosamente le sue affermazioni. Si vergognò.
Mentre si stava alzando per andarsene e togliere entrambi da una situazione diventata imbarazzante e insostenibile, sentì la mano di Harm sul braccio.
Una presa forte. Decisa. La bloccò. La guardò negli occhi, come non aveva più fatto
da una sera di secoli prima, dalla vigilia di una certa missione.
H: “Adesso ti calmi, ti siedi e mi ascolti. Capito?” Un tono che non ammetteva repliche.
Quasi soggiogata, obbedì.
H: “Quella delle telefonate, come dici tu è un uomo, con i baffi, neanche troppo piacente ed è il mio psicologo! Il Week end romantico che ti sei immaginata è una due giorni di terapia di gruppo. Credi sia una buona idea portarci Ashley? Quando non torno a cena è perché sono turbato dalla seduta e preferisco stare un po’ solo a riordinare le idee, prima di rientrare. E’ una colpa?”
Mac rimase senza parole, a disagio come non mai.
Fu Harm a rompere il silenzio e con voce dolce le chiese: “ti va di sapere perché sono entrato in terapia?”
M: “Certo, se ti fa piacere, ma Harm non sei tenuto a dirmelo. Ti chiedo scusa. Mi sono comportata malissimo. Perdonami” e abbassò gli occhi.
H: “Vieni sediamoci. Ne vuoi ancora un goccio?” le chiese, mentre si versava ancora un po’ di porto. Poi iniziò a spiegarle. “Gli ultimi 3 anni, da quando è morta Jennifer, sono stati durissimi e nessuno lo sa meglio di te. Forse avrei fatto meglio a entrare in terapia allora invece, come al solito, mi sono chiuso e ho cercato di risolvere i miei problemi da solo... è stata dura, ma in qualche modo ne sono uscito. L’idea di trasferirci qui è stata miracolosa per Ash e me. Non ti sarò mai grato a sufficienza. Insomma mi sembrava che la mia vita stesse ricominciando a scorrere su binari giusti. Mi sbagliavo. E’ successa una cosa inaspettata: mi sono innamorato Mac. Di nuovo e non credevo potesse più succedermi.”
Quelle parole furono per Mac un pugno alla bocca dello stomaco, ma cercò di non darlo a vedere.
M: “Cosa c’è di così tremendo nell’esserti innamorato che ti ha spinto a cercare aiuto? Non sei corrisposto Harm?” Le spiaceva per lui o se lo augurava?
H: ”Non so se sono corrisposto, ma non è questo il punto, o meglio non il principale.... mi sono rivolto al dottore perché da un po’ di mesi mi sentivo male, provavo un’agitazione e un senso di inadeguatezza indeterminato, ma che non mi abbandonava mai. Non ne riuscivo a capirne il motivo. Ci sono voluti mesi di terapia per farmi comprendere che stavo così perché ero innamorato e questo mi faceva, mi fa, sentire terribilmente in colpa. In colpa con tutti, con Jennifer, con Ash, con te ...”
M: “In colpa nei miei confronti?”
H: “Si, Mac perché è di te che mi sono innamorato.”
Lo disse così, come a comunicare una condizione ineluttabile, poi continuò “hai sempre detto chiaramente che dopo Clay non hai intenzioni di riprovaci con nessuno. Mi sento come se avessi approfittato di te, della situazione, della tua offerta ad ospitarci a casa tua... in qualche modo poi mi sembra di tradire Jennifer e l’amore che abbiamo vissuto. Ho paura che Ash, se se ne accorgesse, non me lo perdonerebbe. Però ti amo Sarah, non posso impedirmelo. Ho quasi 50 anni e mi turba il tuo profumo, mi incanto a guardarti sparecchiare, mentre sgridi o parli con i tuoi figli, mi viene da dire i nostri figli. 50 anni e come un ragazzino mi sono innamorato. Della mia prima moglie. “Tutto in un fiato, senza guardarla, quindi non si accorse che gli si
era fatta vicina.
Seguì l’istinto. Non la ragione, ma il cuore.
Harm si sentì sfiorare la labbra, poi vide solo il luccichio degli occhi di Mac fissi nei
suoi…
M: “Sono felice Harm e ho una paura tremenda” in un soffio “vieni andiamo in camera mia, qui ci sono troppi figli in giro” gli disse sorridendo.
Parlarono a lungo.
Si raccontarono paure, timori, sensi di colpa, si raccontarono l’amore che, piano senza che se ne accorgessero, era rinato in entrambi.
Quando finalmente si amarono i loro corpi si riconobbero come se non fossero passati quasi 20 anni.
Iniziarono a vivere da amanti clandestini.
Non sapevano se, quando e come dirlo ai figli.
Andarono avanti così circa due anni e forse non si sarebbero mai decisi, ma…
Una sera trovarono tavola apparecchiata e la cena pronta.
Tutti e 3 i ragazzi a casa, George era perfino rientrato prima dal college.
Quasi in coro dissero: “dobbiamo preoccuparci? Cos’è successo?”
G&R&H:  “Niente. Solo farvi una sorpresa e passare una serata tutti insieme come ai
vecchi tempi. Ci siamo anche cimentati ai fornelli. Non fate quella faccia, cambiatevi che è quasi pronto” ridacchiarono.
La cena fu simpatica, i ragazzi avevano fatto un grande lavoro, sembravano di ottimo umore e avevano un’aria birichina.
Harm e Mac erano stupiti e divertiti, si aspettavano di veder uscire il coniglio dal cilindro da un momento all’altro.
Invece di un coniglio trovarono una domanda.
Stampata sulla torta che le tre pesti portarono in tavola, a fine cena:
 
Perché non vi  sposate?
 
Rimasero basiti.
George, Ashley e Rose scoppiarono a ridere, nel vedere l’espressione di Harm e Mac.
R: “Mamma, Harm forse credevate che non ci fossimo accorti che il vostro rapporto negli ultimi anni è cambiato? Improvvisamente la mamma si era rimessa a cantare e a cucinare torte… Harm sembrava ringiovanito e poi tutte quelle cene di lavoro e week end in missione, suvvia non siamo più bambini.” disse, fra le risatine trattenute degli altri due. “Abbiamo aspettato che vi decideste a parlarcene, ma niente. E’ un po’ che ne discutiamo fra di  noi. L’altra sera Ash ed io siamo andati a trovare George al campus e siamo giunti alla conclusione che vi foste attorcigliati su voi stessi, che non vi sareste mai decisi a uscire alla luce del sole. Ci sembrava un peccato, così…”
G:  “E poi a una certa età la vita degli amanti clandestini potrebbe diventare troppo faticosa, eravamo in pensiero per voi” intervenne, impertinente, George.
A quel punto scoppiarono tutti e 5 in una calorosa, liberatoria risata.
H: “Mac, praticamente abbiamo fatto la figura dei fessacchiotti…”
M: “Già disse Mac” ridendo e stringendosi a lui
H: “Quindi a voi non da fastidio?”
G&R: “Ma che fastidio. Noi siamo contenti. Harm, dopo che è morto papà, sei stato tu a farci da padre. C’eri tu nei momenti difficili, nelle delusioni e nella gioia. Ti vogliamo bene e sappiamo che ne vuoi a noi e alla mamma”
A: “Per me è lo stesso. Mac sei stata la mia nuova mamma, senza mai prevaricare il ricordo di mia madre. Quando io e papà siamo rimasti soli ero poco più di una bambina, non so come avrei fatto senza di te. Come potrei non essere contenta per voi due?”
R: “L’idea di sposarvi era una provocazione. Sono fatti vostri decidere come vivere. Ci premeva solo che poteste manifestare liberamente il vostro legame. Temiamo che sia per causa nostra che abbiate tenuto il sentimento segreto. Speriamo di non essere stati invadenti.”
M&H: “Ma che invadenti? Siete dei grandi, meravigliosi figli, che noi abbiamo  sottovalutato, pensandovi ancora piccoli e da difendere.”
H: “Quanto alla provocazione, Colonnello che ne dice di raccoglierla? Mi farebbe l’onore di diventare mia moglie?”
M: “Parli sul serio Harm?”
H: “Mai stato più serio in vita mia. Ti va di risposare questo attempato giovanotto?”
Due settimane dopo, in una piccola cappella, alla presenza dei figli e di pochi amici,
si sposarono.
Dopo la cerimonia, durante il rinfresco Sarah chiese la parola e con voce commossa dedicò ad Harm questa poesia:
 
Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
and be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could

Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear,
Though as for the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I--
I took the one less traveled by,
and that has made all the difference. (1)
Poi aggiunse.
M: “Se abbiamo questi meravigliosi figli, se guardandomi indietro vedo una vita a volte difficile e dolorosa, ma sempre piena e ricca di amore, se siamo qui oggi è perché, in un giorno lontano, tu Harm avesti il coraggio di prendere la strada meno trafficata. Di li tutta la differenza è venuta. Grazie amore mio”.
 
(1)  LA STRADA NON PRESA:
Divergevano due strade in un bosco
Ingiallito, e spiacente di non poterle fare
Entrambe essendo un solo, a lungo mi fermai
Una di esse finché potevo scrutando
Là dove in mezzo agli arbusti svoltava.
 
Poi, presi l’altra, che era buona ugualmente
E aveva forse i titoli migliori
Perché era erbosa e poco segnata sembrava;
Benché, in fondo, il passare della gente
Le avesse davvero segnate più o meno lo stesso,
 
Perché nessuna in quella mattina mostrava
Sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo.
Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno !
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
Dubitavo se mai sarei tornato.
 
Questa storia racconterò con un sospiro
Chissà dove tra molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco, e io…..
Io presi la meno battuta,
E di qui tutta la differenza è venuta.

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