One-shot || Marvel

di mengo1904
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tony Stark ***
Capitolo 2: *** Loki ***
Capitolo 3: *** Bucky Barnes ***
Capitolo 4: *** Steve Rogers ***
Capitolo 5: *** Peter Parker [1° Parte] ***
Capitolo 6: *** Stucky ***
Capitolo 7: *** Pietro Maximoff ***
Capitolo 8: *** Peter Parker [2° Parte] ***
Capitolo 9: *** Erik Lehnsherr [1° Parte] ***
Capitolo 10: *** Stony ***
Capitolo 11: *** Anniversario • Chris Evans ***
Capitolo 12: *** When you are sick • Tony Stark ***



Capitolo 1
*** Tony Stark ***


Mi guardavo attorno e vedevo solo ricchi e spocchiosi uomini in smoking di marca che parlavano allegramente con altre persone uguali a loro, in piedi con un sorriso soddisfatto sul volto ed un bicchiere di spumante schifosamente costoso in mano, al loro fianco una donna tanto bella quanto falsa.
Vicky si sentiva a disagio in mezzo a quella gente tanto diversa da lei, si chiedeva se fossero nati fortunati con il patrimonio dei loro genitori come eredità o se avessero fatto successo da soli, guadagnandosi tutto quel lusso. 

Provava ad immaginarseli in un appartamento, piccolo e monotono in un quartiere di una città sconosciuta da qualche parte nel mondo, forse proprio come  iniziò lei, che tutt'ora cercava di farsi strada in quel mondo di lusso.
Se ne stava seduta sull'ultimo sgabello del bar decisa a non attirare troppo l'attenzione, ordinava cocktail leggeri per berli lentamente nella speranza di far passare il tempo. Era arrivata verso le 10 di sera e doveva stare lì minimo fino alle 2 di notte. Ogni tanto qualche uomo le si avvicinava cercando di rendersi interessante e far vedere le sue lodi, lei però li mandava via tutti,  divertita da come si assomigliassero gli uni con gli altri.
Era stata costretta dal suo capo ad andare a quella festa di ricconi a New York, aveva insistito per averla come accompagnatrice. Vicky non era contenta dei modi di quest'ultimo ma cercava comunque di accettarli. Era sicura che lui subito dopo esser entrati nell'edificio l'avrebbe persa di vista. Infatti così fu.
Il continuo parlare del suo accompagnatore durante il viaggio in limousine l'aveva stancata già prima di far iniziare la serata, anche per questo, seduta al bar, non aveva voglia di avere attorno altri uomini come lui.

Vicky guardava l'oliva nel suo bicchiere ormai vuoto, con lo stecchino la punzecchiava con sguardo perso, annoiata da tutta quella situazione.
Fu risvegliata dal  vociare di persone poco più lontane da lei, erano sedute su divanetti di pelle ed avevano stappato l'ennesima bottiglia di spumante che un uomo stava già distribuendo nei bicchieri ridendo allegramente, sicuramente lui di spumante ne aveva già bevuto abbastanza.
Lei non ci fece troppo caso, guardò per qualche attimo nella loro direzione e proprio mentre girava gli occhi verso il barman, decisa ad ordinare qualcosa di più forte, vide una sagoma andare nella sua direzione.
Un attimo dopo il suo capo Tony Stark era seduto vicino a lei, ordinò un bicchiere di whisky e si girò a guardarla. 

-Perchè non provi a fare un po' di conversazione con qualcuno una volta ogni tanto?-.

Lei rispose pacata -Perchè non ho voglia di conversare con nessuno.-.

Tony prese un sorso del suo whisky -Nemmeno con il tuo capo?-.

-Soprattutto con il mio capo-.

Tony si portò una mano al cuore facendo un verso di dolore e fingendo di essersi offeso.

-E perchè mai?- le chiese.

-Perchè è stato lui a portarmi a questa festa con la promessa di fammi divertire, ma io non mi sto divertendo.- 

Ora lo guardava anche lei. Era arrabbiata, forse delusa e questo Tony lo sapeva. Lei però non riusciva proprio a capire cosa passasse per la mente di lui.

-Okay, messaggio recepito.- posò il suo bicchiere non ancora finito sul bancone e si alzò dallo sgabello. Si sistemò la giacca che aveva addosso, e proprio quando Vicky pensò che se ne sarebbe andato di nuovo lui la prese sotto braccio costringendola a scendere anche lei dallo sgabello. 

-Dai bambina, ti riporto a casa.-.

Lei lo guardò male per il soprannome che le aveva dato ma non fece commenti. Lo vide comporre velocemente qualcosa al suo cellulare per poi rimetterlo in tasca e continuare a camminare.
Cercava di mantenere il suo passo agile attraverso la massa di persone, lui era diretto all'uscita dove già alla guida li aspettava Happy, la sua guardia del corpo.
Appena usciti una montagna di flash sorprese Vicky che impreparata si ritrovò a stringere il braccio del su capo, lui la guardò di sfuggita e continuò a camminare verso la stessa macchina che li aveva portati lì.
Senza fiatare entrarono nella vettura che partì nella direzione della Stark Tower. 

Quella notte lei avrebbe dormito lì, in un appartamento che il signor Stark aveva fatto costruire appositamente per lei, dopo aver scoperto che abitava in un quartiere lontano rispetto alla Stark Tower. Quest'ultima però non era d'accordo con il suo capo di dormire nel suo ambiente di lavoro, ma dopo essersi accorta degli orari che faceva dovette accettare quest'idea di avere un appartamento oltre casa sua che le agevolasse il lavoro.
Il mattino dopo infatti, il suo capo doveva prendere un volo per Mosca, dove lo avrebbero aspettato interviste, ministri e mansioni che non riusciva a ricordarsi, ma per quello c'era Vicky.

Happy lasciò scendere i due passeggeri all'entrata della torre per poi fare il giro e portare la macchina nel garage personale del signor Stark.
Vicky e Tony entrarono nell'edificio dirigendosi all'ascensore. I due non si rivolgevano parola. Lei guardava insistentemente i numeri dei piani su monitor, assorta nei suoi pensieri che venivano turbati dall'uomo accanto a lei. Era sempre stato così, fin dal colloquio da segretaria, avvenuto ormai da anni. Fortunatamente lui non era più così freddo e distaccato come quando lo aveva conosciuto, nell'arco degli anni infatti di era addolcito abituandosi alla sua presenza, ma tutt'ora non riusciva a dare dimostrazione delle sue emozioni.
Quella sera però si sentiva in pericolo, quel suo essere schivo e noncurante delle cose stava facendo allontanare una persona a cui nonostante tutto voleva bene. 
Non voleva far finire la serata in tal modo per poi star sveglio tutta la notte a rimuginare sopra ai suoi sbagli,  non poteva vedere Vicky scendere da quell'ascensore ancora arrabbiata con lui. Ma come trovare il coraggio di parlare?

Poi le porte si aprirono, Vicky era arrivata al suo piano e doveva scendere, e solo lì Tony sembrò accorgersene.
-Aspetta.- disse solo.

Lei si girò e lo guardò, il suo viso era impassibile ma nei suoi occhi si poteva leggere una nota di speranza, e fu quella che diede forza a Tony.
Non ci pensò molto, continuava a fissarla negli occhi scuri e quasi senza rendersene conto le si avvicinò per poi premere con forza le labbra su quelle morbide di lei.
Era un bacio insistente e caldo, dolce e passionale. Lei ne era rimasta piacevolmente sorpresa e lui ne era fiero. Finalmente era riuscito a dimostrare cosa provasse veramente per lei. 
Lei però, con un po' di volontà si staccò dalle sue labbra per poi agganciarsi al suo sguardo.
Aveva una mano dietro la nuca di lui -Ora devo andare- la ripose lungo il fianco, dove era prima che si spostasse quasi senza la sua volontà. Si girò e fece qualche passo ma venne subito bloccata da lui.

-Temo di non poterti lasciar andare.- le porse la mano -D'altronde ti ho promesso che ti saresti divertita stasera.-.


Quella notte i due dormirono insieme, senza rabbia, imbarazzo o malizia, solo con un vuoto nel cuore di entrambi che finalmente veniva colmato.


The end
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Ciao a tutti! Io sono Giada e questo è il primo immagina di questa opera. Spero che vi sia piaciuta la storia e che sia stata piacevole come lettura. Sarei contenta di sapere la vostra opinione o suggerimenti per un prossimo capitolo. 
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Loki ***


Mavis camminava per le enormi sale d'orate del castello di Asgard, ammirava come esso risplendeva anche all'interno, illuminato dai raggi del sole che penetravano dalle vetrate.

Annoiata dai minuti che pian piano si stavano accumulando da quando era lì, aspettava la sua amica Sif, che ancora non si era presentata all'appuntamento che le due si erano date.

La guerriera era quasi sempre in battaglia, combatteva le guerre di Asgard accompagnata dai Tre Guerrieri e dai principi Thor e Loki in persona, ma quando riusciva ad avere qualche giorno di pace, le piaceva passare il tempo con la sua amica Mavis.

Quest'ultima si era diretta al castello quella mattina, luogo dove si incontravano solitamente, ma dopo essersi accorta che l'amica non arrivava aveva iniziato a camminare senza meta.

Partì dall'immenso giardino del palazzo, camminava nel piccolo sentiero tra l'erba mentre cercava di riconoscere i tipi di fiori che vedeva. Era un gioco che faceva spesso da piccola, quando sua madre la portava a palazzo. Quest'ultima aveva sempre avuto un ottimo rapporto con la regina, come ottime amiche si vedevano giornalmente e quando entrambe divennero madri era un'abitudine portare i figli con loro. La piccola Mavis e i due principi strinsero anche loro un bellissimo rapporto, ma un giorno di tanti anni dopo tutto cambiò. Mavis venne a sapere un segreto che non doveva essere svelato, il re allarmato dovette far cancellare la memoria a quella che era ancora una bambina, per far mantenere la pace e la sicurezza nel suo regno.

I principi non videro più Mavis e lei perse ogni loro ricordo. Le uniche cose che ricordava della sua infanzia erano le passeggiate per il parco con solo la regina e sua madre, fino alla triste morte di quest'ultima.

Una cosa positiva però ci fu. La conoscenza si Sif la fece rallegrare, per una volta nella vita aveva trovato qualcuno che le voleva bene, almeno da quel che si ricordava.

A distanza di numerosi anni Mavis non parlava con i due principi, a volte li vedeva per il palazzo, ma non si soffermava nemmeno a guardarli e tornava sui suoi passi. Loro a differenza sua però, che ancora si ricordavano le bellissime giornate passate insieme avevano l'enorme tentazione di parlarle e rivivere quei giorni di serenità, purtroppo si ricordavano anche molto bene le dure parole di loro padre che gli vietava di avvicinarsi alla ragazza.

Sif a volte li nominava nei racconti delle battaglie che combattevano insieme. Quest'ultima non la smetteva di elogiare il principe biondo, Mavis aveva ormai capito da tempo che la guerriera avesse una cotta per il Dio del tuono, nonostante tutte le volte smentisse.

Una volta attraversato il giardino attraversò i lunghi corridoi del castello, i suoi passi accheggiavano tra di essi, costanti e leggeri.

Svoltò di nuovo cambiando corridoio e ritrovandosi in quello principale, che collegava l'entrata alla sala del trono. Risalì verso di essa e si fermò poco prima delle enormi porte interamente decorate. Non poteva entrare nella sala del trono, così decise di girare e tornare sui suoi passi ma poco prima di farlo le porte si aprirono mostrando il principe Loki nelle sue vesti reali. 
Guardava verso il basso, non faceva trasparire nessuna emozione. I capelli corvini erano tirati indietro, non troppo lunghi e perfettamente lisci.

Il corridoio era largo, con delle armature asgardiane riposte su entrambe i lati. Mavis camminava sulla sinistra poco più lontana da esse, così da non camminare al centro del corroio. Farlo la faceva sentire troppo esposta, nonostante sapesse che era da sola. Per questo quando sentì le porte aprirsi il suo istinto fu quello di avvicinarsi maggiormente al muro, così da non dare troppo nell'occhio.

Tutto ciò fu in un certo senso efficace, il principe Loki non la notò subito. Pensò di esser entrato in un corridoio vuoto ma appena fece il primo passo pronto a dirigersi verso la sue stanze, il suo sguardo fu catturato da una figura minuta poco più lontano da lui. 
La riconobbe subito. A differenza di lei Loki si ricordava della ragazza, ed anche a differenza del fratello sapeva il motivo per cui non poteva stare con lei.

Il principe non era mai stata una persona molto socievole, semplicemente non si trovava bene con nessuno di loro. Ma con Mavis, con lei aveva sempre avuto un rapporto fantastico. Avrebbe dato qualunque cosa per riavere la sua amica. Ma non poteva fare niente.
D'improvviso un ondata di ricordi gli tornarono in mente. Quel giorno, quel maledetto giorno in cui fece l'errore più grande della sua vita. 
In tutti quegli anni non aveva fatto altro che ripetersi che forse se non gli avesse rivelato quel segreto, avrebbe ancora la sua amica al suo fianco.

Loki non riusciva a guardarla, il senso di colpa lo lacerava dentro. Il cuore iniziò a battergli nel petto all'impazzata, così tanto che ebbe paura lei lo sentisse.

La vide esitare, non sapeva come comportarsi con il principe. La sua bocca si socchiuse per parlare ma le uscì solo un sussurro. 
A Loki sembrò di vedere tutto a rilento; i loro occhi che si incrociavano, il suo cuore che iniziava a battere irrefrenabilmente, ma quando le labbra morbide di lei si sprirono fu come se il battito gli si fosse fermato.

Tenendo ancora gli occhi fissi su di lei deglutì, d'impovviso fu come se il lungo corridoio si accorciasse insieme alla loro distanza, ma fu solo un attimo. 
Sbattè le palpebre distogliendo lo sguardo e senza dire niente si incamminò nuovamente verso le sue stanze.

Anche Mavis non disse niente, lo guardò andare via e solo quando svoltò langolo si ricordò di Sif ed anche se un po' frastornata si decise di tornare sui suoi passi e vedere se la sua amica era finalmente arrivata.

Cinque mesi dopo

Mavis si trovava all'entrata dell'imponente palazzo. Aveva appena attraversato le porte e si stava dirigendo verso la stanza che quella sera avrebbe ospitato l'ennesima festa di quel mese. 
Camminava a passo lento, guardando dritta davanti a se. Poteva sentire della musica e il vociare di uomini che avevano iniziato a bere già da un pezzo. 
Aveva un nodo allo stomaco, cosa normale per lei. D'altronde non era abituata alle feste, le persone la mettevano in soggezione, e nonostante Sif ogni volta le promettesse che sarebbe stata con lei, ogni persona che incontravano si fermava a fare i complimenti alla guerriera per l'ennesima battaglia vinta, e tutto ciò faceva sentire Mavis ancora più sola e estranea a tutto ciò. 
Ogni tanto però, per far felice la sua amica, acconsentiva comunque ad andare ad una di quelle feste, forse ancora sperava che una fra tutte sarebbe andata a buon fine.

Smise di camminare quando si trovò davanti alla sua destinazione, le porte erano chiuse ma si potevano sentire,  ancora più forti di prima, le risate degli ospiti. La ragazza si chiese il perchè di quella particolare allegria e subito dopo le tornò in mente l'ultimo racconto della sua amica riguardo alla battaglia su
Jotunheim, dove lei e i suoi compagni dovettero combattere contro l'esercito di Laufey, il re dei giganti di ghiaccio. Quando Sif tornò ad Asgard, a Mavis sembrò turbata, quella battaglia era stata più dura delle altre, e fu per questo che i Tre Guerrieri vollero festeggiare più in grande quella sera, contenti di non aver perso la vita in battaglia.

Mavis riuscì a guardare un'ultima volta il suo riflesso sulle porte lucide, poi quest'ultime vennero aperte da due guardie per farla entrare.

La ragazza si mise subito alla ricerca di Sif e poco dopo il principe Thor catturò la sua attenzione, se c'era una persona più rumorosa nella stanza quella era lui, parlava, anzi urlava, con degli uomini ubriachi, dandosi pacche sulle spalle ridendo senza controllo. Poco più in là, seduti ad un tavolo stracolmo di cibo e bevande si trovavano gli altri componenti della squadra. Sif e i Tre Guerrieri scherzavano tra di loro, il principe Loki, elegante come sempre nella sua armatra, stava seduto vicino a loro assorto nei suoi pensieri senza partecipare molto al discorso dei quattro compagni.

Non volendo disturbare nessuno e soprattutto non volendosi sentire di troppo Mavis decise di non andare da loro, sarebbe solo stato imbarazzante per lei.

Così iniziò a camminare per la stanza  facendosi largo tra una persona e l'altra e riuscendo infine a trovare un piccolo spazio non troppo affollato dove non sarebbe stata disturbata da nessuno.

Nonostante la festa non fosse iniziata da molto alcune persone avevano già bevuto più del dovuto, la sala era diventata piena di voci urlanti, chiassose e assordanti; un continuo parlare sempre più forte che sembrava rimbombare nella testa di Mavis.

Quando non ce la fece più a sopportare tutto quel chiasso si mise alla ricerca di un'uscita che portasse al giardino, sperando che l'aria fresca della notte le facesse riposare la mente.
Poco dopo guardava le stelle sopra di lei, affacciata ad un balcone riusciva a vedere quasi tutto il giardino in fiore.

Era da sola con il suo silenzio, la mani piccole poggiate sul freddo marmo davanti a lei. Chiuse gli occhi e si lasciò andare per qualche istante alla pace di quel momento. Poi un respiro quasi soffocato alle sue spalle la fece sussultare.

Quando si girò si stupì di vedere l'armatura verde e argento del principe di Asgard. 
Loki stava in piedi, vicino allo stipite della porta. Si era accorto della ragazza solo quando uscì dalla sala, vedendola andare verso in giardino non potè fare a meno di seguirla, e quasi senza accorgersene erano arrivati fuori dal palazzo.

L'espressione spaventata di lei lo colpì come uno schiaffo in pieno volto, sbattè le palpebre e si rese conto che se qualcuno lo avesse visto in quel momento suo padre lo sarebbe venuto a sapere. Spalancò gli occhi e sciolse le braccia che teneva incrociate davanti a sè. Doveva andarsene, rientrare alla festa.
Ma non poteva lasciarsela scappare un'altra volta.

In un attimo le si avvicino e la prese per mano. Con un nodo in gola cercò di dirle di seguirlo e la strascinò con sè, quasi come dovessero scappare.

Mavis era stordita, proprio come l'ultima volta, mesi prima, quando lui però non le rivolse nemmeno la parola. 
Sentiva la mano stretta in quella di lui, le loro mani non erano calde ma Mavis le sentiva bruciare per quel semplice contatto.
Loki aveva un passo veloce a cui lei faticava a stare dietro. Si guardava intorno spaventato da qualcosa che la ragazza non riusciva a capire.

Loki le aveva fatto scendere le scale che conducevano al giardino per poi attraversarlo, sperando che a quella tarda ora, nascosto tra alberi e cespugli,  nessuno lo avrebbe visto.

Smise di camminare solo quando era certo che anche dalla terrazza in cui erano prima nessuno li potesse vedere.
Quando ne fu sicuro volse il suo sguardo alla ragazza davanti a se. Le guance le si erano arrossate per il freddo, i capelli lunghi le ricadevano sulle spalle in onde scomposte, i suoi occhi guardavano cosa avesse attorno per poi finire in quelli di Loki, a cui mancò un battito per la bellezza della ragazza che aveva davanti.

Lui guardò le loro mani, forse accorgendosi solo in quel momento che erano intrecciate. Le sciolse ma le posò subito sulle braccia della ragazza.
-Ora tu devi fidarti di me.- Iniziò lui. -Sto per raccontarti una parte del tuo passato molto importante-.
Mavis lo guardò negli occhi, non sapeva perché il principe si comportasse così, non riusciva a capire cosa lo turbasse e soprattutto non riusciva a trovare una risposta al perchè lei era lì. 
Sarebbe scappata volentieri a casa, avrebbe voluto dormire e dimenticare l'assurda serata, ma qualcosa la spinse a rimanere lì, c'era qualcosa in Loki che la attraeva come una calamita.

Il dio face qualce passo e si sedette sopra ad una panchina di pietra lì vicina portando la ragazza con se.

-Tanti anni fa, quando eravamo ancora bambini noi giocavamo qui, proprio in questo parco, so che tu non ricordi e pensi che ti sto mentendo ma per una volta non è così.- Fece una pausa per vedere se Mavis avesse una reazione di qualche tipo, ma questa non avenne. -In tutti questi anni mi sono detto che sono stato un idiota, non dovevo parlarti di una cosa più grande di me, ma non lo sapevo ancora. Mavis non sapevo cosa veramente significava! Fidati di me non lo feci con cattiveria! Avrei fatto tutto per impedire la sorte che mio padre ebbe scelto per te ma non riuscii a fermarlo.  Fu colpa mia. Fu solo colpa mia e tu ora non ricordi niente.-.

Mavis cercava di dare un senso alle parole del principe ma lo sguardo  cristallino di lui che quasi veniva spezzato da un enorme senso di angoscia la turbava. 
Lui aveva spostato entrambe le mani su quelle di Mavis, e le teneva come per avere un supporto. 

-Mavis ora ho imparato a controllarmi. So chi sono e posso farti ricordare tutto, posso farti ricordare di me, di noi! Ma devi fidarti. Per davore Mavis, credimi! Ho bisogno che tu ricordi.-

La voce di Loki era spezzata, si era alzata di volume e trasmetteva tutta la tristezza e la disperazione che aveva provato negli ultimi anni.

-Mi fido di te.- Disse piano Mavis, ma abbastanza forte da farlo sentire a Loki. -Non so perchè, ma sento che posso fidarmi.-.

Lui la guardò negli occhi e fece scivolare una mano dietro al collo di lei ed iniziò a fare ciò in cui si esercitava da anni: trovare i ricordi delle persone.

Andò indietro, indietro di anni. Prima di tutto il dolore ed il senso di solitudine che aveva accompagnato i due per tutto il resto dei loro giorni. Cercò se stesso nella mente di lei ritrovandosi in attimi fuggenti della sua vita e sorrise realizzando che anche lei non le era mai stata veramente lontana.

Poi trovò quel giorno, ed anche se provava paura, paura di essere giudicato, glielo mostrò.

Mavis fu travolta dai ricordi e come in un sogno si trovò davanti Loki da bambino. 
I due erano sotto un albero, sempre nel solito giardino. Si ricordò che c'era andata con sua madre che in quel momento si trovava poco più distante insieme alla regina. 
Loki la guardava, i lisci capelli corvini sempre pettinati all'indietro, gli occhi luminosi che la guardavano, pieni di gioia, pieni di spenzieratezza e di curiosità.

-Devo farti vedere una cosa che ho scoperto,- disse lui. -ma devi promettermi che non lo dirai a nessuno.-.

-Te lo prometto Loki.- aveva detto lei.

Lui chiuse gli occhi, per concentrarsi e provando a replicare ciò che aveva fatto la sera prima. 
Poco dopo la bambina davanti a lei iniziò ad accorgersi del cambiamento: la pelle di Loki stava diventando pian piano blu notte. Le sue mani cambiarono, il viso pure e quando anche lui se ne accorse aprì gli occhi che erano ormai diventati rossi.

Mavis rimase a bocca aperta, stupita e affascinata da tutto ciò.
Voleva chiedergli come avesse fatto ma prima mosse la mano verso il suo viso, quasi per controllare che fosse vero per poi tirarla indietro subito dopo con un urlo.

La pelle di Loki era fredda come il ghiaccio, talmente fredda da bruciarle la pelle. 
La madre accorse subito, seguita dalla regina. 
Loki stava tornando pian piano come prima mentre la guardava ad occhi spalancati non capendo bene cosa fosse successo. Lei invece si guardava la mano, tenendola con l'altra e faceno versi di dolore.
Il ragazzo iniziò a scusarsi non appena la vide iniziare a piangere. Iniziò a sentire un peso al cuore e ciò che avrebbe voluto fare era abbracciare la sua amica, stringerla tra le braccia e farsi perdonare per ciò che le era successo, ma non lo fece, ormai terrorizzato dall'idea di poterle crearle altro dolore.

La madre di Mavis la prese in braccio per portarla a far medicare preoccupata per lei. La regina non riusciva a capire cosa fosse successo, guardava suo figlio, in ginocchio con le mani conserte, che in segreto, nella sua mente, pensava solo ad una cosa: "sono diventato un mostro".

Il ricordo finì e Mavis capì che quelle che le erano sembrate ore in verità erano stati solo pochi secondi, e che Loki la stava guardando, le loro mani ancora intrecciate e una dietro al collo di lei.
Mavis lo guardò negli occhi e solo in quel momento si rese veramente conto di chi aveva davanti.

-Loki...-

D'improvviso le sue braccia si erano strette attorno a lui e il viso che pian piano si bagnava di lacrime era nell'incavo del suo collo.
Senti una mano posarsi sulla sua schiena coperta dal tessuto leggero del vestito, un brivido le attraversò il corpo, poi sentì che entrambe le braccia di lui le avevano circontato la vita per stringerla più vicina a sè.

Lui chiuse gli occhi riuscendo finalmente ad assaporare dopo anni il profumo della persona che amava. 
Le baciò la testa sapendo che lei non avrebbe voluto farsi vedere piangere, così le mise una mano sulla guancia per poi farle alzare il viso contro il suo.

-Mi dispiace.-. Le disse guardandola negli occhi.

Mavis chiuse gli occhi, le scappò un sorriso malinconico. Mosse il viso da una parte all'altra come cenno di dissenso.
Loki, il suo Loki, non doveva sentirsi colpevole.

-Ti amo Loki.- disse solo.

-Anche io ti amo.-

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Capitolo 3
*** Bucky Barnes ***


Solo una piccola premessa: ho scritto questo capitolo di notte tarda e non ci stavo più con la testa per colpa del sonno. Spero quindi che abbiate pietà di me e degli errori di ortografia che potrebbe contenere questo capitolo, anche se riletto.

Elyse si risvegliò in un luogo buio, freddo e umido. Non sapeva dove si trovava o che giorno fosse, ormai aveva perso il conto da quando era finita là dentro, insieme a persone che non conosceva.

Sapeva che era rinchiusa in una cella dentro una base nemica, l'avevano catturata anni prima, durante una sua missione fallita. In un certo senso quegli sconosciuti le avevano salvato la vita ma lei non riusciva ad essergli riconoscente. Dopo tutto quel dolore, dopo tutto il sangue che le avevano fatto versare, non aveva più voce per le troppe urla che ogni giorno, senza sosta, le strappavano via dallo stomaco.

In quella solitudine, in quel silenzio, le sembrò di impazzire. La mente le faceva brutti scherzi ultimamente, sarà perché le torture erano aumentate o forse solo perché era rinchiusa da troppo tempo.

Elyse si mise seduta sul freddo cemento sporco, lo sguardo nel vuoto ed i capelli ormai lunghi a solleticarle il viso. Le braccia strette al petto e le gambe piegate su sé stesse, entrambe piene di lividi, di vecchi e probabilmente di nuovi a giudicare dal dolore che sentiva.

Rimase ferma, immobile, per svariati minuti, forse ore.

Anche la sua mente era silenziosa, ormai svuotata dopo tutte le agonie che aveva passato.

Pazza, era così che poteva essere definita.

La sua mente era ormai un involucro vuoto che quelle persone, le stesse che ogni giorno la uccidevano lentamente, riempivano di tutto ciò che voleva quando voleva. Era un automa che veniva programmato ogni volta per poi essere resettato, come un giocattolo di pezza.

Ormai non riusciva più a sentire alcuna emozione, finendo addirittura a credere di non averle mai provate.

Sentì una porta sbattere e un filo di luce spuntare all'improvviso.

Lei si mise subito in piedi, incurante del dolore che sentiva. Continuò a guardare dritto davanti a sé accorgendosi che coloro che aveva davanti erano due agenti ed il colonnello di quella base. Elyse lì guardò impassibile, in attesa di ordini.

Prima di una spiegazione però, i due agenti le lanciarono a terra i vestiti che solitamente indossava per le missioni.

Subito dopo il colonnello parlò, iniziando a spiegare chi avrebbe dovuto assassinare questa volta.

-New York, questa sera. Andrai con la squadra beta ma ti accompagneranno solo sul posto e ti aspetteranno fin quando avrai finito, almeno che tu non rimanga uccisa, ovviamente.- spiegò il colonnello –Il soggetto in questione è il soldato Buchanan Barnes, o meglio il Soldato d'Inverno.-.

Elyse rabbrividì a quel nome, non si ricordava niente di lui o di chi veramente era, ma in passato i due avevano combattuto, o meglio ucciso, insieme.

Il colonnello spiegò in poche parole del tradimento del soldato e di come fosse sparito ormai da tempo, riuscendo a rintracciarlo solo dopo mesi.

Il piano era di riportarlo alla base dell'Hydra vivo, ma conoscendo l'abilità del soldato si erano accontentati anche di lui morto. L'importante era eliminare la minaccia, in un modo o nell'altro.

Quando smise di parlare, i tre uomini se ne andarono, Elyse si vestì in fretta ed in modo meccanico uscì dalla cella per poi essere scortata da due uomini fino alla pista di atterraggio, dopo la attendeva la squadra beta.

Solo quando l'aereo decollò la ragazza si accorse che fosse pieno pomeriggio, nonostante il sole fosse coperto dalle gelide nuvole.

Dopo qualche ora la squadra fu a destinazione. Elyse si gettò con il paracadute vedendo poi il velivolo allontanarsi verso il punto di ritrovo prestabilito.

L'agente atterrò sul tetto di un palazzo, davanti a lei l'edificio dove il suo obbiettivo risiedeva.

Era in un quartiere non molto illuminato di Brooklyn. Ormai si era fatto buio e nessuno si aggirava per quelle strade malfamate. Probabilmente il soldato si era nascosto lì per non avere molti problemi, essendo ricercato da qualsiasi organizzazione antiterroristica e non.

La ragazza prese la rincorsa e saltò sulle scale antincendio dell'altro edificio. Iniziò a scenderle con passo felpato, non volendosi far sentire da nessuno.

Quando arrivò al piano giusto la ragazza rallentò per poi sbirciare dalla finestra che dava su quello che sembrava il salotto.

L'appartamento sembrava abbandonato, un divano logoro giaceva solitario al centro della stanza, l'apertura nel muro non dotata di porta si affacciava sulla cucina poco attrezzata. Poco più in là, attraverso un'altra apertura sul muro si scorgeva una piccola stanza, completamente vuota e con le finestre sprangate.

In quel buio accecante Elyse venne catturata da un luccichio dovuto alla luce della luna che entrava dalla finestra, che risplendeva su qualcosa che le sembrò un insolito braccio di metallo che sbucava da dietro al bracciolo del divano.

La ragazza decise di entrare in azione, alzò la finestra quel tanto che le bastava per sgattaiolare dentro all'appartamento. Afferrò il coltello perfettamente affilato che riponeva nello stivale e si avvicinò pian piano al suo obbiettivo.

Quando fu più vicina girò intorno al divano e riuscì finalmente a vedere il suo corpo disteso su di esso.

Alzò la mano che impugnava l'arma, pronta a colpire in un punto che lo avrebbe destabilizzato per molto tempo senza però ucciderlo, ma venne fermata a metà strada da un braccio molto più potente del suo.

Il soldato in verità non dormiva da notti, terrorizzato dagli incubi che lo venivano a trovare ogni qual volta che prendeva sonno.

Aveva sentito dei passi leggeri sulle scale e aveva finto di dormire consapevole ormai che lo avevano trovato. Così decise di prepararsi all'eventuale scontro che avrebbe tenuto con il suo sicario. Ma quando aprì gli occhi, dopo quegli istanti di falsa dormiveglia, si ritrovò due iridi azzurre, ancora più splendenti al chiarore della luna.

Fino a poco prima era convinto che avrebbe affrontato chiunque gli si fosse messo davanti, ma non lei, non avrebbe mai potuto.

La riconobbe subito, il corpo minuto ma forte, i capelli scuri e gli occhi lucidi ormai spenti, come i suoi.

Si ricordava di lei, di quando le guardie la risbattevano in quel buco buio, proprio accanto al suo. Sentiva le sue grida, e vedeva le sue lacrime. A volte  facevano partecipare l'uno alle torture dell'altro, quasi come un sommato supplizio.

Ricordava di tutte quelle volte in cui l'aveva vista uccidere senza pietà, immaginandosi come lei potesse vederlo ora, come un assassino che ha tratito tutti, anche lei.

Sciocchezze pensò il soldato Nemmeno si ricorderà di me.

Vide l'altro braccio di lei scattare verso il suo viso, bloccò anche quello ed in un colpo di fulmine la stese sul divano per poi bloccarle le braccia con il suo di metallo. Sapeva come i prigionieri venivano trattati dall'Hydra ed era così consapevole di essere molto più forte di lei, sia per la corporatura che per la malnutrizione e le violenze di cui soffriva.

-Non ti farò del male.- chiarì il soldato.

La ragazza di dimenava sotto si lui, sperando nella riuscita della sua missione, anche se l'avrebbe lasciata andare, l'Hydra l'avrebbe di sicuro uccisa, o peggio torturata ancora.

-Elyse ascoltami! Ascoltami!- portò una mano sulla sua guancia costringendola a guardarlo.

Lei alzò gli occhi verso quelli azzurri di lui, riconoscendoli per un attimo, ora più tranquilli di una volta, quando li vedeva solo vacui e pieni di dolore.

D'un tratto trasalì -Buck...- sussurrò incredula.

Lui alleggerì la presa ai polsi -Sono qui.- le avvolse la vita con un braccio – Sono qui.-.

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Capitolo 4
*** Steve Rogers ***


Nadia finì di fare lo scontrino alle ragazze di fronte a lei, poi le due la salutarono uscendo dalla caffetteria.
La ragazza si guardò intorno, era mattina inoltrata ed il posto dove lavorava ospitava già diversi clienti. Molti prendevano cose da asporto per poi correre a lavoro, altri invece si accomodavano nei tavolini liberi ordinando la propria colazione, leggendo poi un libro o mettendosi a scribacchiare qualcosa sul proprio computer portatile.
Nadia aveva da poco intrapreso quel lavoro ma già le piaceva l’aria che c’era nella caffetteria ogni mattina.
La ragazza impugnò blocco e penna e si diresse verso i tavolini pronta a prendere le ordinazioni dei clienti.
In quel momento entrarono nella caffetteria due uomini ed una donna, vennero accolti da una collega di Nadia che le aveva precedentemente dato il cambio alla cassa, poi i tre si sedettero ad un tavolo più appartato.
Sam Wilson, Steve Rogers e Natasha Romanoff avevano deciso quella mattina di portare il capitano a fare un giro, sotto consiglio di quest’ultima, nella speranza di farlo distrarre dalle missioni che avrebbe dovuto compiere e cercando di metterlo a proprio agio con il mondo moderno.
Il destino volle che proprio Nadia andasse al loro tavolo per le ordinazioni, ed anche se il suo sguardo era coperto per metà dalla visiera del suo cappello, Steve non poté non notare la bellezza della ragazza, rimanendone piacevolmente colpito.
Quella che per lui doveva essere solo una semplice cameriera se ne andò poco dopo con le ordinazioni ed il capitano si sorprese deluso quando non fu lei a tornare con un vassoio in un amano ed un altro sorriso sul volto.
 
Da quel giorno Steve prese gusto ad andare in quella caffetteria, anche quando i suoi amici non lo accompagnavano.
Si sedeva sempre al solito tavolo in disparte, un giornale in mano ed il caffè lungo nell’altra.
In verità Steve non leggeva molto quel pezzo di carta, i suoi occhi si trovavano sempre a cercare quella cameriera del primo giorno.
Natasha si era ormai accorta della nuova abitudine dell’amico e a differenza sua si era anche resa conto della cotta che si era preso. Cercava quindi di convincerlo, di spronarlo a presentarsi, a farsi avanti in qualche modo ma il capitano non ne voleva assolutamente sapere.
 
Anche quella mattina Steve dopo una lunga corsa, si diresse alla solita caffetteria.
Non riusciva a non pensare al discorso della sera precedente tra e lui e la Romanoff. Non era certo il primo ma quella sera sembrava davvero che lei avesse perso le staffe.
“Non puoi stare una vita intrappolato nel tuo passato, Steve.” Gli aveva detto “Devi andare avanti, hai ancora molto da fare ed io non posso vederti giorno dopo giorno come se tu ti trovassi ancora senza sensi intrappolato in una lastra di ghiaccio.”
 
Si accomodò al solito tavolo dopo aver preso il suo caffè lungo, poi aprì il giornale senza riuscire a leggerlo veramente, quella volta immerso nei suoi pensieri, tanto da non accorgersi che proprio accanto a lui, qualcuno si era avvicinato.
 
Nadia era incuriosita da Steve, tutte le mattine lo vedeva entrare nella caffetteria, per poi sistemarsi al solito tavolo, ordinando sempre la stessa bevanda.
Quando fu il suo turno di sistemare i tavoli appena liberati, decise di farsi avanti.
Per l’appunto il tavolo vicino a lui era appena stato liberato da una coppia e Nadia si avvicinò per pulirlo.
 
Steve abbassò il giornale e si passò una mano sul viso, non riusciva proprio a concentrarsi.
Allungò una mano verso il suo caffè per poi prenderne un sorso che però gli andò di traverso appena si rese conto che la ragazza era così vicina a lui.
Nadia lo vide iniziare a tossire così si avvicinò di più – Sta bene? Vuole un bicchiere d’acqua? –. Cercò di sembrare preoccupata ma in cuor suo sapeva che moriva dalla voglia di attaccare bottone con lui.
 
Dopo essersi ripreso dalla sorpresa, Steve si girò verso di lei, vergognandosi per la figura appena fatta.
-Io… ehm, no. - disse subito, sembrando anche freddo e distaccato, per fortuna lui se ne accorse e cercò di rimediare subito –Ma grazie, in ogni caso -. Gli sembrò di star blaterando stupidaggini ma a Nadia quel suo comportamento la fece sorridere.
-Beh, chiamami se ti serve qualcosa…-
-Steve-.
-Steve- ripeté lei ancora più felice per aver scoperto finalmente il suo nome.
-Ma certo…-
-Nadia- gli rispose.
I due si guardarono ancora per qualche istante continuando a sorridere anche quando lei tornò dietro al bancone, allontanandosi da lui.
 
La mattina seguente Steve rientrò nella caffetteria e subito venne accolto dalla voce di Nadia.
Con il passare dei giorni i due parlarono sempre di più, scoprendo ogni volta qualcosa in più sull’altro, e quando il turno di Nadia finiva i due tornavano a casa non vedendo l’ora di rivedersi il giorno dopo.
Poi una mattina Steve riuscì (meravigliandosi di sé stesso) a chiederle di uscire, proposta che venne piacevolmente accettata da Nadia.

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Capitolo 5
*** Peter Parker [1° Parte] ***


Peter punzecchiava con la forchetta il cibo nel suo piatto. La sua mente era piena di pensieri contrastanti. Dopo l'abbandono di Liz le sue giornate scolastiche non erano più le stesse. Vagava da un'aula all'altra come fosse un automa.

Quel giorno, come molti altri, Peter affrontava la sua solita routine quotidiana, che consisteva nell'alzarsi dal suo letto, andare a scuola e una volta tornato a casa finire i compiti e poi addormentarsi appena toccato il materasso, ormai non avendo nemmeno più energie per Spiderman.

Quel giorno però qualcosa cambiò.

Dopo l'ennesimo sbuffo Peter si decise ad alzare lo sguardo. Ned era seduto davanti a lui intento a parlare animatamente con Peter, che però nemmeno lo ascoltava. Quello che però catturò la sua attenzione fu un movimento all'entrata della mensa.

Un gruppo di ragazze aveva appena fatto il suo ingresso. Alcune di loro le riconobbe subito, avevano delle lezioni in comune ma nonostante questo non avevano mai parlato; ma c'era una tra di esse che non conosceva.

Si sporse verso il suo amico interrompendo la sua spiegazione infinita sul perché Star Wars fosse meglio di Star Trek. Quando gli fu abbastanza vicino da non farsi sentire da persone indesiderate gli sussurro << Chi è? >> indicando discretamente il gruppo di ragazze.

<> rispose confuso << La ragazza nuova, Sally. O forse era Sarah? No, aspetta... cavolo! Sono sicuro che iniziava con la s! >>. Ned continuò a blaterare con se stesso, Peter invece teneva gli occhi fissi sul gruppo di ragazze che ora girava tra i tavoli, cercandone uno libero.

Solo dopo essergli passato davanti agli occhi Peter sembrò riprendersi, accorgendosi che tutti i pensieri che prima gli affollavano la mente erano spariti

Solo dopo essergli passato davanti agli occhi Peter sembrò riprendersi, accorgendosi che tutti i pensieri che prima gli affollavano la mente erano spariti.

Qualche giorno dopo Peter scoprì grazie a Michelle (perché Ned era proprio negato con i nomi) che la ragazza nuova si chiamava Sadie.

Pensandoci, era meglio che non lo venisse a sapere, visto che poi il suo nome fu l'unica cosa che gli risuonò in testa per i giorni successivi, soprattutto quando la sera, dopo cena, si stendeva sul suo letto e non riusciva ad addormentarsi.

Trascorsero mesi e Peter non aveva il coraggio di farsi avanti con la ragazza, a volte la guardava da lontano, quando non c'era invece pensava a lei tanto da non prestare attenzione a ciò che aveva attorno.

Un giorno Peter a Ned si trovavano nella palestra della scuola, quest'ultimo cercava di avere una conversazione con l'amico, senza risultati. Peter come al solito era impegnato a guardare con occhi sognanti la ragazza che ormai da tempo era al centro dei suoi pensieri.

Nonostante l'assenza di conversazione anche lei si era accorta del ragazzo, ed anche lei a volte ed involontariamente gli aveva rivolto lo sguardo.

In quel momento, non molto lontana ragazzo, si rese conto del suo sguardo su di lei, che imbarazzata si era voltata verso le amiche.

Cercò di non pensarci concentrandosi sul dialogo del gruppetto senza però riuscirci.

Alcuni ragazzi iniziarono a lanciarsi la palla nell'attesa dell'inizio della lezione.

Sadie era talmente distratta dai suoi pensieri da non accorgersi della palla che le si avvicinò a tutta velocità. La ragazza sentì solo uno spostamento d'aria dietro di lei, le amiche che aveva di fronte trattennero il fiato sussultando.

Peter stava ancora fissando la ragazza quando si rese conte della palla che l'avrebbe colpita, se non fosse stato per i suoi sensi di ragno non sarebbe mai riuscito a fermarla.

Sadie si girò trovando quel misterioso ragazzo che ancora non conosceva. Aveva la palla in mano ma dal suo sguardo sembrava che non sapesse nemmeno come ci fosse finita.

I due si guardarono per secondi infiniti senza sapere cosa dirsi.

Peter si sentì annegare nei suoi occhi, non li aveva mai visti da così vicino e non si immaginava fossero così belli.

Sentì una presenza avvicinarsi a lui, Ned gli era corso accanto e aveva iniziato a scuoterlo per una spalla cercando di evitargli la figura da pesce lesso. Quando però che l'amico non reagiva decise di spostarlo di peso.

Anche Sadie d'altro canto non sapeva come reagire, riuscì a parlare solo quando lo vide farsi più distante, <>.

Ed anche se lui si era allontanato lo vide sorridere ancora un po' imbambolato.

Lei si rimproverò mentalmente, le sembrò di aver urlato quel ringraziamento azzardato ed ora si sentiva lo sguardo di tutti addosso. Le guance le divennero rosse dall'imbarazzo e si decise a distogliere lo guardo dal ragazzo che veniva ancora trascinato fuori dalla palestra.

Quando Peter uscì si girò verso l'amico con aria sognate, si mise una mano nei capelli tirandoli leggermente, ancora incredulo.

Peter e Sadie si rividero dopo svariate settimane. Quest'ultima non era stata molto bene ed era rimasta a casa per potersi riprendere dall'influenza.

Pochi giorni dopo aver riacquistato le forze si era decisa ad andare ad una piccola festa vicino casa sua, fu lì che lo incontrò di nuovo.

La ragazza cercava di farsi spazio tra la mischia si adolescenti, sforzandosi di restare al passo con la sua amica, in quello stesso instante anche Peter cercava con lo sguardo Ned, sparito qualche minuto prima.

Sadie gli andò accidentalmente addosso rendendosi conto subito dopo di chi aveva davanti.

Provò a biascicare uno scusa ma nel mentre sentì la sua mano scivolare da quella dell'amica. Rendendosi conto del danno cercò di individuarla tra la folla, fallendo miseramente.

Peter capì subito che qualcosa non andava << Stai bene? >>.

Sadie alzò lo sguardo verso di lui <> disse un po' titubante.

<>.

Peter era estremamente in imbarazzo per quella situazione a lui così insolita, non sapeva cosa dirle ed era sicuro che le sue guance stavano prendendo pian pano un colorito roseo. Per sua fortuna fu la ragazza a rimediare al silenzio che si era creato.

<>.

L'unico posto meno affollato era in cucina, vicino al frigorifero, che ogni tanto veniva aperto per permettere ai liceali più grandi di prendere qualche birra.

Pian piano i due riuscirono a superare l'imbarazzo ed iniziare a conoscersi meglio. Peter fece molte domande a Sadie sulla scuola, del suo trasferimento e sulla sua vecchia casa; scoprendo cose che nemmeno Michelle sapeva.

La ragazza scoprì invece che il misterioso ragazzo che aveva sempre gli occhi puntati su di lei si chiamava Peter ed era una persona molto intelligente, timida ed adorabile, almeno secondo lei.

Solo a fine serata Sadie si accorse di aver avuto gli occhi a cuoricino per tutto il tempo.

Peter invece non riusciva a smettere si ascoltarla, di conoscerla, guardandola come imbambolato.

Il tempo passò veloce e quasi non si accorsero che si era fatto tardi per entrambi, solo quando Peter ricevette la chiamata di sua zia si decise suo malgrado a dover andarsene.

Sadie lo seguì fino alla porta di quella casa che nemmeno conosceva, poi lo salutò depositandogli un bacio delicato sulla guancia. Peter le sorrise sornione, come se avesse appena ricevuto il più bel regalo di Natale di sempre.

Poi si diresse verso la macchina che riconobbe come quella di sua zia, Ned già accomodato sui sedili posteriori.

Appena salì si mise a fissare la strada, sua zia che lo bombardava di domande su chi fosse quella ragazza che poco prima gli era affianco, ma Peter non rispondeva, continuava a guardare la notte buia davanti a sé, con la guancia che ancora gli bruciava.

Continua...

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Capitolo 6
*** Stucky ***


Steve si girò nuovamente tra le coperte di quello scomodo letto. Era tarda notte e lui non riusciva a prendere sonno. Una miriade di pensieri facevano rumore in quella stanza così silenziosa.

L'ambiente che lo ospitava era molto piccolo, costituito solo dalla stanza da letto ed il bagno, piuttosto pulito per essere la camera di un motel.  

Il pensiero della giornata a venire faceva rimanere sveglio il capitano. Sapeva da giorni a cosa stava andando in contro e pur sapendo che quella scelta era giusta non riusciva a non pensare che c'era qualcosa di sbagliato. Sentiva un vuoto nel petto, come se qualcosa gli mancasse.

Puntò il suo sguardo alla finestra, attraverso di essa poteva vedere il buio di quella notte e nonostante fosse chiusa percepiva il freddo che si celava fuori. La stanza era buia se non fosse stato per dei fasci di luce provenienti da fuori.
Mentre Steve cercava ancora di prendere sonno gli vennero in mente gli avvenimenti di pochi giorni prima: la caduta dello S.H.I.E.LD, gli Accordi di Sokovia, quando si recò a Bucarest per proteggere Bucky, il suo Bucky.

I suoi pensieri si focalizzarono sul suo amico e all'improvviso Steve ebbe un colpo al cuore. Pensare al giorno dopo lo faceva star male, lo doveva salutare senza sapere quando si sarebbero potuti rivedere.

Bucky era nella stanza accanto alla sua, Steve lo immaginò dormire dall'altra parte del muro, forse nella stessa posizione che aveva lui in quel momento. 

I minuti passavano veloci, quasi come per fare un dispetto al capitano. Poi però Steve prese la sua decisione: voleva passare l'ultima notte con Bucky, prima del suo sonno criogenico.

Il capitano si alzò dal suo letto che emise un lieve cigolio, a piedi nudi raggiunse la porta della sua camera per andare poi a bussare a quella di Bucky.

Quest'ultimo era sveglio, anche lui incapace di dormire, se ne stava immobile in posizione fetale aspettando l'arrivo dell'alba, consapevole di cosa lo avrebbe atteso.

Quando sentì il continuo bussare alla porta ci volle un po' per realizzare chi potesse essere. Sapeva che il suo amico era nella stanza accanto e che era sveglio, aveva sentito il leggero sbattere continuo del letto ad ogni suo movimento e questo non aveva fatto altro che rassicurare Bucky, cosciente di non essere da solo quella volta.
I suoi passi verso la porta erano insicuri, come se avesse paura di essersi immaginato la presenza dell'amico, ma quando l'aprì ritrovandoselo davanti non potè non essergliene grato.

Steve si guardava i piedi nudi, non aveva nemmeno avuto tempo di mettersi le scarpe, quando la porta davanti a lui si aprì poté finalmente vedere il soldato con i capelli arruffati, la maglietta leggermente sgualcita ed i suoi occhi azzurri che lo fissavano.

<< Sei ancora sveglio >> notò Bucky.

Steve fece un sorriso complice << Non riuscivo a prendere sonno. >>.

L'amico gli sorrise a sua volta e si spostò di lato, invitandolo ad entrare.

Steve si sedette sul letto e venne subito raggiunto dall'amico che si stese accanto a lui, i due si guardarono negli occhi, in silenzio, senza dire niente, anche Steve si stese su quel letto. Senza smettere di fissare Bucky gli si sdraiò accanto, più vicino di prima, steso di lato così da poter vedere il profilo scolpito dell'amico. 
Il soldato sentì le sue guance scaldarsi, rendendosi conto del poco spazio che li divideva. 
Cercava di tenere gli occhi puntati sul soffitto ma sentiva quelli di Steve su di sé, che nel silenzio continuava ad ammirarlo.

Con il passare dei minuti i due non si mossero di un centimetro, entrambi presi dai propri pensieri.

Steve avrebbe voluto stringerlo a sé, dormire abbracciato a lui, fargli capire che ci teneva e che probabilmente i mesi a venire sarebbero stati molto duri da superare con la sua assenza. 
Nonostante Bucky fosse stato privato dai suoi ricordi e dalle sue emozioni ciò che Steve gli faceva provare anche solo con uno sguardo era qualcosa che ogni volta lo appagava fin nel profondo.
Avrebbe voluto baciarlo, lì su due piedi, lasciarlo senza fiato, sbatterlo sul letto e passare con lui l'ultima notte prima di essere congelato di nuovo.
Se Steve avesse potuto leggergli nella mente gli sarebbe saltato addosso all'istante, ma si accontentò di far scivolare il braccio intorno alla sua vita per tirarlo più vicino a sé.

Dopo un leggero tentennamento il soldato rilassò i muscoli del suo corpo, si girò verso Steve trovandosi le sue labbra rosee proprio dinanzi a se. Il suo viso era rilassato, gli occhi chiusi. Bucky sentiva i muscoli del suo braccio che lo stringevano più vicino ed un brivido gli percorse tutto il corpo. Declutì rumorosamente e dovette prendere un profondo respiro cercando di trattenersi del farlo suo su quel maledetto letto.

Cercò di regolarizzare il battito accelerato del suo cuore e di placare ciò che involontariamente gli era cresciuto nei pantaloni. 
Chiuse gli occhi ormai non pensando più al giorno dopo e si addormentò fra le braccia della persona che più bramava. 

Il mattino dopo i due si svegliarono presto, consapevoli di cosa li attendeva. 
Una volta prese le loro cose lasciarono il motel dirigendosi poco lontano, dove un velivolo già li attendeva. 
Il re T'Challa aveva offerto il suo aiuto ai due che sotto suo ordine vennero scortati in Wakanda, lì il sergente Barnes sarebbe stato congelato nell'attesa di trovare una cura per la sua mente violata.

I due quel giorno non si parlarono, non per rabbia, non per imbarazzo, ma semplicemente perchè non avevano nulla da dirsi, comunicavano con gli occhi e l'unica cosa che dicevano era: mi mancherai.

Un mese dopo

Steve non si era ancora abituato all'assenza di Bucky. Voleva andare da lui,  stargli vicino, fargli sapere che lui c'era, ma la vita da fuggitivo non era così facile. Era andato via dal Wakanda ed era tornato dai suoi compagni di squadra, o almeno quelli che gli rimanevano.
Non faceva più parte degli Avengers ed era addirittura ricercato, ma non poteva ignorare i problemi del mondo e dar meno alle sue responsabilità.
Così cercava di aiutare come poteva, con ancora qualche amico di cui fidarsi al suo fianco.

3 mesi dopo

Nonostante fossero passati mesi Steve non riusciva a non pensare all'amico rinchiuso nel suo sonno.
Con il passare dei giorni si era reso conto di quanto gli mancasse, di come non potesse far a meno di lui. 
A volte in sogno incontrava i suoi occhi azzurri, non quelli che aveva le ultime volte che lo aveva visto, ma quelli prima del soldato d'inverno; quando i due scherzavano innocenti tra le strade di Brooklyn, prima della guerra, quando già si amavano in segreto.

5 mesi dopo

Bucky era tutto ciò che aveva sempre desiderato ma non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo. 
Si dava del codardo, dell'idiota. 
Avrebbe dovuto baciarlo quella sera al motel, avrebbe dovuto confessarlgli ciò che provava, invece si era lasciato sfuggire la sua occasione. 
Ma non avrebbe commesso lo stesso errore di nuovo.

7 mesi dopo

Steve si lanciava a capofitto nelle missioni, molte volte non rifletteva su ciò che faceva, voleva solo tenere occupata la mente e il corpo. 
Sentiva un vuoto nel petto sempre più grande giorno dopo giorno. 
Ogni sera si trovava in un luogo diverso, in un paese diverso. Stremato si buttava sul letto che lo avrebbe ospitato per una notte trovandolo sempre troppo freddo e troppo vuoto, ogni giorno di più. 
Parlava poco, anche con i suoi compagni, non sapendo nemmeno cosa poter dire, l'unica persona con cui voleva parlare non c'era.

Tanti mesi dopo

Una mattina Natasha bussò alla porta del capitano molto presto, dovevano andare in missione ma c'era una questione più urgente da portare a termine.
La ragazza aveva ricevuto una chiamata dal Wakanda che la informava che Shuri, sorella di T'Challa, era riuscita a trovare una cura per il soldato e che di lì a breve sarebbe stato scongelato.
L'agente si era subito diretta verso la camera dell'amico per dargli la notizia.

Anche quella mattina Steve si era svegliato molto presto a causa dei suoi sogni, non riuscendo a riaddormentarsi si era alzato dal letto e aveva cercato di tenersi occupato con una doccia, in attesa dell'inizio della nuova missione. 
Aveva appena finito di vestirsi quando sentì bussare alla porta. 
L'orologio segnava le 6 e 34 e nessuno si svegliava mai così presto, tranne il capitano. 
Andò ad aprire la porta con i capelli ancora gocciolanti, Natasha era agitata, euforica per la notizia.

Quando la ragazza lo vide sapeva che bastavano poche parole << Si è svegliato >> disse << Ci aspettano tra un'ora >>.

Steve perse un battito, vide l'agente andar di tutta fretta verso le camere degli amici, iniziando a bussare ed a chiamare a gran voce il gruppo.

Non poteva credere a ciò che aveva sentito. 
Chiuse la porta dietro di lui e di fretta prese le sue cose, tamponò i capelli bagnati con un asciugamano e pochi minuti dopo era fuori dalla porta aspettando i compagni di squadra che arrivarono poco dopo, e come era già successo tempo addietro un velivolo li scortò in Wakanda.

Per tutta la durata del viaggio Steve aveva i muscoli tesi, lo sguardo fisso davanti a sé e senza rendersene conto passava il suo peso da un piede all'altro, non riuscendo a stare fermo per nemmeno qualche secondo.
Si chiedeva come potesse stare Bucky, se si era già svegliato, se ricordava ogni cosa del suo passato e per quanto volesse nasconderlo, Steve si chiese se avesse pensato a lui.

Arrivati a destinazione c'erano T'Challa e sua sorella Shuri ad attenderli. Il capitano salutò educatamente entrambi cercando di non dar a vedere l'impazienza che aveva nell'incontrare il soldato. 
Come a leggerli nel pensiero il re fece un cenno alla sorella, che capendo al volo il significato di quel gesto invitò il capitano a seguirla. 
Lui le camminò a fianco, in silenzio cercava di regolarizzare il battito del suo cuore che batteva così forte che si preoccupò potesse sentirlo. 
Arrivarono in quella che sembrava una piccola radura, Steve vide dei bambini poco lontano che giocavano. 
Shuri gli indico una piccola capanna davanti a loro << Dovrebbe svegliarsi a momenti. >> disse la ragazza << Buona fortuna >> e con un piccolo sorrisetto in volto si allontanò, come se avesse già capito cosa passasse per la mente del capitano.

In un batter d'occhio si ritrovò da solo, guardava la capanna davanti a se in attesa del coraggio che gli serviva per entrare. 
Era da mesi che aspettava quel momento ed ora che finalmente la tortura sembrava finita, lui non riusciva a rendersene conto. 
Era felice che quella ragazzina fosse riuscita a trovare una cura ed era felice che lui ora era tornato lo stesso Bucky di tanti anni prima. Ma allora perché aveva paura?

Si ritrovò a pensare alla notte prima del giorno del congelamento. L'immagine di lui che gli apriva la porta con la maglietta stropicciata, il volto stremato e gli occhi di un magnifico azzurro ormai spento. 
Rivide il suo corpo tonico steso sul letto, il volto verso l'alto a fissare il soffitto. Ricordò il calore che emanava il suo corpo, i muscoli che si erano contratti quando gli aveva avvolto il braccio intorno alla vita. 
Erano immagini che spesso gli erano tornate in mente in quei mesi e che in quel momento gli diedero la forza di entrare in quella piccola capanna.

Bucky era steso su delle coperte, aveva addosso delle strane vesti blu e rosse che lasciavano scoperto il braccio, i capelli erano ancora più lunghi di come già lì avesse tempo prima, gli occhi erano chiusi e lui ancora dormiva.
Steve gli si sedette accanto, continuando a  guardare il suo viso completamente rilassato, come non lo vedeva da anni. 
Passarono minuti, forse ore, questo a Steve non importava, poi il soldato iniziò piano a svegliarsi.

Quando Bucky aprì gli occhi vide subito il tettuccio di paglia della capanna, stranito da quella situazione iniziò a muoversi ed a guardarsi intorno, notando un palio di occhi azzurri che riconobbe subito. 
<< Steve >> disse << sei qui.>>. 
La sua voce era rauca per colpa del lungo tempo di silenzio, ma a Steve questo piacque ancor di più e si dovette trattenere dall'azzerare le distanze tra i due. 
Il soldato si mise seduto, ora era lui che non riusciva a staccare gli occhi di dosso dall'uomo. 
Si accorse subito che era cambiato: i capelli i erano allungati e lui si era fatto crescere la barba, questo perché Steve in quei mesi si era trascurato più del solito ma Bucky si scoprì compiaciuto da questa cosa e come se se lo fosse tenuto dentro per tutti quei mesi glie lo disse <>. Sorrise provocante guardandolo da capo a piedi, soffermandosi poi sulle sue labbra.

Steve ricambiò il sorriso avvicinandosi di più a lui << Grazie >> poi gli prese il viso coperto dalla barba avvicinandosi pian piano a lui. Bucky si godeva ogni attimo di quel magico momento: guardava impaziente i suoi occhi, poi le sue labbra; sentiva il suo calore, il suo respiro sempre più vicino, fino a mischiarsi con il suo. Poi Steve catturò finalmente quelle labbra con le sue, dichiarandosi dopo tanto tempo con un dolce ma passionale bacio.

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Capitolo 7
*** Pietro Maximoff ***


Pov. Pietro

Il primo giorno in cui la vidi eravamo in Norvegia. Io portavo una scomoda tuta nera e degli scarponcini che si erano bagnati tutti, sentivo quella dannata neve fino alle ossa. Stavo tremando per il freddo e non riuscivo a ragionare lucidamente. Purtroppo le missioni con gli Avengers comprendevano anche questo: andare in luoghi sperduti a cercare persone e cose non esistenti.

Ovviamente questo genere di cose capitavano solo a me, si perché in quell'esatto momento Tony e Natasha se la stavano spassando in India con una ridicola missione, mentre a me toccavano quelle dannate montagne gelate.

Anche mia sorella e Clint non sembravano molto contenti di quella missione ma avevano accettato già da tempo il loro destino.

Comunque, torniamo al punto: la prima volta che l'ho vista, beh non è stato un incontro molto romantico, lei ha tentato di uccidermi tirandomi contro una porta di metallo, riuscii ad evitarla per un pelo ma non riuscii ad non essere attratto da quella ragazza assassina con gli occhi iniettati di sangue, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che rifilarmi insulti mentre schivavo ogni cosa mi lanciasse addosso.

Fortunatamente Clint la stese con una freccia elettrificata, dopodiché la portammo alla base dello S.H.I.E.L.D..

Nonostante non avessimo trovato i documenti che Fury voleva, mi sembrò abbastanza contento del ritrovamento della ragazza, cosa piuttosto strana visto che quell'uomo non mostra mai accenni di felicità.

Non mi era permesso parlarci ma questo non mi fermò dal vederla. Principalmente però i nostri incontri avvenivano durante i suoi interrogatori, io ero dall'altra parte dello specchio a vetro così ero ben protetto quando dava di matto.

L'unica cosa che sapevamo di lei era che si chiamava Karen, poi però scoprimmo che era solo un nome in codice datogli dall'Hydra.

Fury stava impazzendo ed era diventato super suscettibile a qualsiasi provocazione.

Da quel che i dottori e gli psichiatri dissero parve avesse una sorta di disturbo mentale portato da un lavaggio del cervello, tipo quello al tipo amico di capitan ghiacciolo, quello con il braccio che sbrilluccica. In sintesi aveva qualche problemino tra Karen e la sua vera identità, oh e ovviamente il tutto era condito con quel problemino della telecinesi; sfortunatamente le due cose la portavano ad essere un'arma micidiale, soprattutto nelle mani dell'Hydra.

Passavano giorni e lo S.H.I.E.L.D. stava esaurendo la sua scorta di sedie per gli interrogatori, poi Tony se ne uscì con un siero che non le avrebbe permesso di usare i suoi poteri per qualche ora dall'iniezione, da quel giorno sembrò avessero dato un sedativo ad un orso.

Gli interrogatori si fecero più tranquilli e nonostante la ragazza avesse un aspetto orribile aveva finalmente smesso di far volare le sedie. Ci mise però ancora qualche settimana per cedere alle continue richieste dello S.H.I.E.L.D., poi iniziò a confessare ciò che riusciva a ricordare: come era finita in Norvegia, che fine avevano fatto i documenti dell'Hydra, l'origine dei suoi poteri e ciò che ricordava della sua vecchia vita, ovvero quasi niente.
Tentando di trovare una soluzione Fury decise di farla controllare giornalmente da Tony e Bruce e ciò significava Stark Tower.
Per pura casualità in quel periodo io passavo molto tempo alla torre finendo con il vederla spesso.
A volte girava per i corridoi senza una meta precisa, altre volte se ne stava chiusa nella sua stanza, non tralasciamo le sue tentare fughe da sonnambula di notte, fortunatamente Jarvis aveva occhi in tutto l'edificio.
Ci dava molti problemi ma infondo le ero grato, almeno qualcuno portava un po' di movimento in quel posto
Molte volte, se non sempre, partecipavo alle sue sedute con Banner, me ne stavo nella stanza accanto a guardare attraverso il vetro, ancora non capisco perchè non mi volesse far entrare nel laboratorio... In ogni caso, nonostante potessero durare anche tutta la mattina trovavo tutto molto singolare ed interessante; tipo beh come camminava, come i capelli le svolazzavano quando si muoveva, quando alzava gli occhi al cielo stanca di sentire Bruce blaterare, era tutto davvero affascinante.
A volte la riaccompagnavo in stanza e malgrado lei facesse la sostenuta e mi mandasse più volte a quel paese sono sicuro gli piacesse.
Non conversavamo molto, di solito parlavo solo io ma probabilmente lei è una di quelle persone brave ad ascoltare.
A pensarci forse gli stavo troppo vicino, Wanda aveva pure una ridicola ipotesi nella quale io avevo una terribile cotta per lei, assurdo.
Poi un giorno spuntò fuori un certo tipo, T'Challa mi pare, che si divertiva a fare da mascotte di una certa Wakanda. Ci presentò la sua sorella genio (non potete immaginare la faccia di Tony, è stata impagabile) e dopo una lunga chiacchierata con Stark, il capitano e Fury se ne andarono via con la ragazza, dicendo di poter trovare una cura. Io non gli credetti, quel tipo non mi ispirava molta fiducia, nonostante ciò qualche mese dopo si scoprì il nome della ragazza, che venisse dalle parti dell'Oregon e che prima dell'Hydra fosse solo una ragazzina rimasta orfana, ovviamente fu solo fortuna.
Dopo solo qualche giorno da quese scoperte la vedemmo tornare alla Stark Tower, mi sembrò di aver avuto un allucinazione, non era certo come prima: i capelli erano meno arruffati, non aveva più le borse sotto gli occhi, la carnagione era meno cadaverica e soprattutto sembrava non volesse più uccidere nessuno, il tutto senza il sedativo per elefanti di Stark.
Essendo guarita dal lavaggio mentale iniziò ad allenarsi con noi Avengers, soprattutto con Wanda ed io non potevo certo lasciarla sola con mia sorella, così stavo lì con loro e qui arriva la parte divertente... per lei. Si perché si dovette allenare un paio di volte anche con me e la piccola sadica si divertiva a farmi inciampare su corde, pesi e lanciarmi sacchi da box contro, la cosa positiva era che mentre cercava di darmi filo da torcere rideva di gusto e quando lo faceva veniva giù il mondo.

Un giorno, durante il nostro allenamento, non potevo non prenderla in giro per il suo pessimo effetto a sorpresa, credo di aver esagerato un tantino e di tutta risposta mi buttò a terra all'improvviso. Rimasi un po' stordito, ancora non so' spiegarmi se fosse stato per la lieve botta alla testa o perchè in quel momento la avevo sopra di me.
In ogni caso era compiaciuta, quel diavoletto, io un po' meno.
Cercai di placare la sua soddisfazione ma codesta non sembrava scemare, così feci una cosa che sorprese anche me: la baciai.
Per qualche secondo le tolsi quell'aria vittoriosa sul volto, lasciandola interdetta, poi credo si rese conto che c'erano davvero altre labbra sopra le sue e si staccò per poi andarsene senza dire niente, ma ormai ero io quello compiaciuto.

Non avevamo allenamenti nei giorni successivi e la ragazza non si fece vedere in giro, così dopo una settimana senza di lei andai io in camera sua.
Probabilmente non si aspettava fossi io alla porta perchè sembrò abbastanza sorpresa, nonostante ciò mi fece entrare. Credo volesse dirmi qualcosa di importante ma non le diedi il tempo di parlare che l'avevo già baciata.
Da quel giorno ebbi una magnifica ragazza al mio fianco, dopo svariati allenamenti e colloqui con Fury iniziò a far ufficialmente parte degli Avengers così che (a detta sua) potesse guardarmi le spalle.

Fine

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Capitolo 8
*** Peter Parker [2° Parte] ***


《Hey Peter!》

Il ragazzo si fermò nel bel mezzo del corridoio riconoscendo la voce che lo chiamava.

Si guardò intorno e fra la massa di persone riuscì a trovare i due occhi che lo stavano cercando.

Sadie era accanto al suo armadietto, aveva appena sistemato i libri al suo interno, prelevando invece quelli per la lezione successiva.

Lui la raggiunse sorridente e quando lei ebbe finito di prendere l'occorrente, i due si diressero verso l'aula di matematica.

I due nelle ultime settimane avevano trascorso molto tempo in compagnia l'uno dell'altro, ritrovandosi vicini per ogni lezione. Ormai Sadie aveva anche preso l'abitudine di pranzare insieme a lui, Ned e Michelle, una loro amica dall'umorismo tediato.

I due arrivarono in classe con svariati minuti di anticipo e la ragazza ne approfittò per chiarirsi un dubbio che da giorni la tormentava.

《Come procede la tua ricerca per il ballo? Già trovato la ragazza giusta?》.

Questa domanda fu del tutto inaspettata per Peter, l'argomento era molto delicato per lui, in più aveva già Ned che lo tormentava sull'argomento.

Era ovvio che il ragazzo avrebbe voluto invitare Sadie ma non ne aveva il coraggio, non poteva certo sapere che la ragazza sperava in un suo invito.

《Beh sì, ma non ne sono sicuro...》
《Non sei sicuro?》
《Che lei accetti. Temo che non voglia venire con me.》
Sadie ora aveva un peso sul petto, come un macigno che le impediva di respirare.
Vuole invitare un'altra. Lo sapevo.
Si maledisse mentalmente per aver avuto speranza, d'improvviso si era fatta taciturna, senza la voglia di continuare il discorso, non avrebbe voluto aver mai fatto quella domanda.

Il ragazzo al suo fianco invece sperava con tutto se stesso di poter sviare il discorso fino a quando non si sarebbe sentito pronto per la fatidica proposta.

Il professore entrò in aula salutando freddolosamente la classe ed iniziando a spiegare la lezione di quel giorno; i due non parlarono per tutta l'ora, lei abbattuta e lui logorato dalla sua timidezza.

I giorni passarono senza più tirar fuori l'argomento, solo la sera del ballo Peter sembrò d'improvviso risestarsi.
Tutti i giorni passati era stato euforico al solo pensiero, ma ora che era lì davanti allo specchio, già vestito ed addobbato, si rese conto che la ragazza che voleva al suo fianco non c'era.
Sua zia lo ammirava poco distante e su rese subito conto del cambio d'umore del nipote.

《Cosa ti preoccupa?》 gli chiese 《È per quella ragazza?》

May lo guardava attraverso lo specchio, preoccupata per lui. 
Nonostante avesse cercato di informarsi sulla misteriosa ragazza, Peter non l'aveva mai descritta come più di una semplice amica, ma sua zia non era certo stupida, si era accorta già da tempo che il nipote provava sentimenti più forti di quelli per una semplice amica.
Aveva tentato di convincerlo ad invitarla al ballo della scuola ma lui subito si tirava indietro. 
Così May decise su due piedi che doveva intervenire per aiutarlo, sapendo che già si stava prendendo delle sue scelte.

《Peter, ascolta...》 gli si avvicinò per poi prenderlo per le spalle 《 se vuoi fare qualcosa, falla. Non lasciarti fermare da nulla, la paura di sbagliare sarà sempre con te e l'unica cosa che devi fare è tentare di ingnorla e prenderti con la forza ciò che veramente vuoi.》.

Peter era rimasto interdetto da quello scatto repentino di sua zia, ma ascoltò con cura le sue parole constatando che come sempre May aveva ragione.
Lui la guardò negli occhi ed ignorando per peso sul petto parlò.
《Okay, partiamo subito. Dobbiamo andare a prendere una persona.》.

Sadie era ancora a casa sua, sua madre ancora le scattava foto ripetutamente, emozionata per lei. Suo padre la guardava dalla soia della sua cameretta, orgoglioso di lei.
La ragazza d'altro canto, non era così eccitata all'idea di quel ballo scolastico, fosse stato per lei non sarebbe andata, ma Michelle l'aveva costretta con continue suppliche del tipo "Ti prego non lasciarmi da sola con quei due idioti", così non ebbe altra scelta.

Era già pronta e stava ammirando il vestito color Tyffany allo specchio quando sentì suonare il campanello.
Non gli diede molto peso ed infilò le ultimo cose nella pochette. Pochi secondi dopo sentì sua madre chiamarla e pensando fosse l'ora di andare prese le sue cose avviandosi al piano di sotto.
Quello che trovò non fù però ciò che credeva.

Peter se ne stava sulla soglia di casa sua, appena il ragazzo la vide iniziò ad aprire ed a chiudere la bocca come un pesce fuor d'acqua. 
Durante il breve tragitto in macchina aveva formulato un breve discorso per speghiarle il motivo della sua improvvisa comporsa, ma in quel momento la sua mente gli impediva di formulare una frase con un minimo senso logico.

Sadie dal canto suo era confusa, guardava i suoi genitori in cerca di aiuto mentre sentiva un briciolo di speranza farsi di nuovo largo in lei. 
《Questo ragazzo dice di essere qui per te 》 le disse sua madre.

Peter sembrò riprendersi a quelle parole.
《 Si, io, io volevo venire al ballo con te.》le disse 《Cioè, No! Volevo, volevo che tu venissi al ballo con me!》.
Il ragazzo si fece rosso in viso, imbarazzato da quella situazione e dalla figura che aveva appena fatto.

La ragazza annuì ingogliando  quel nodo che le era venuto alla gola. 
I suoi genitori si guardarono per un attimo spaesati, d'altronde si sentivano in dovere di dare il loro consenso. La donna guardò sua marito che di tutta risposta gli fece un alzata di spalle.
《Bene. Allora andate!》disse ai due giovani rassegnata.

Peter si lasciò sfuggire un  lasciando andare tutta l'aria che stava trattenendo nei polmoni, sentendosi subito dopo più leggero.
La ragazza si fece più avanti ed i due si incamminarono verso la macchina che li aspettava.

May aveva assistito a tutta la scena, guardando orgogliosa suo nipote e rendendosi conto di quanto stesse crescendo, quando i due salirono sulla vettura, tutti e tre avevano un sorriso sornione sul volto.

Pochi minuti dopo erano arrivati al ballo, salutando la donna al volante si diressero all'entrata. 
I due inizialmente in imbarazzo iniziarono a sciogliersi con la musica alza della festa e come già era successo in passato riuscirono a rompere il ghiaccio tra di loro, passando una serata tra i loro racconti.

La palestra della scuola era stata addobbata alla perfezione per quell' evento ed in un batter d'occhio si riempì di giovani ragazzi e ragazze. Dopo qualche ora fra quella folla Sadie iniziò a sentirsi oppressa da tutte quelle persone e propose a Peter di uscire per qualche minuto.

Si sedettero su una panchina davanti al campo di allenamento della scuola. Peter continuava a guardare la ragazza accanto a lui, fin da quando l'aveva vista scendere le scale di casa sua l'aveva trovata bellissima, senza però  avere il coraggio di dirglielo. Poi però gli vennero in mente le parole di sua zia ed in quell'esatto momento Sadie alzò lo sguardo su di lui.

Peter la guardò negli occhi lucidi e proprio quando sentì il proprio coraggio svanire avvicinò la mano alla guancia della ragazza per poi portarla a se è depositare un dolce bacio sulle labbra. Poi si staccarono, entrambi sorpresi da quel gesto inaspettato.
《Io... scusa, volevo invitarti da molto tempo ma non ne avevo il coraggio. È che tu mi piaci molto, Sadie. Tutte le volte che ti vedo mi metti in difficoltà, ho sempre paura di fare la figura dell'idiota.》 balbettò lui.

A Sadie tutto ciò scaldò il cuore: la voce bassa e calda di Peter, i suoi occhi lucidi mentre le parlava, si accorse di amare ogni cosa in lui.

《Oh Peter...》. Si fondò fra le sue braccia che subito le si avvolserò attorno in un caldo abbraccio 《Anche tu mi piaci Peter, davvero tanto.》.

Quella sera i due rientrarono nell'auto di May mano nella mano, cosa che non sfuggì agli occhi della donna.

Il giorno dopo, appena Peter vide la ragazza le diede un lieve bacio a stampo per poi esordire con entusiasmo: 《Ho una proposta da farti!》
La ragazza lo guardò divertita, stringendo la sua mano 《Allora chiedi, Peter》.
《Vuoi essere l mia ragazza?》.
Sadie lo guardò negli occhi leggermente spalancati e di tutta risposta si sporse  per baciarlo.

《Ma certo!》.

Fine

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Capitolo 9
*** Erik Lehnsherr [1° Parte] ***


Era una soleggiata giornata primaverile, Margo camminava verso casa dopo una tranquilla mattinata passata a leggere al parco. Mancava solo qualche minuto per arrivare a casa sua quando due uomini le vennero incontro. Uno era piuttosto gentile mentre l'altro era più freddo ma Margo si accorse che cercava in ogni modo di sciogliersi.

Charles ed Erik la invitarono a seguirli in una scuola per giovani mutanti promettendole un soggiorno piacevole insieme a persone come lei, dove non si sarebbe sentita diversa o di troppo. Come avessero scoperto della sua mutazione non lo sapeva ma quei due le davano fiducia così si decise ad accettare l'offerta, incuriosita da tutto ciò.

Quando arrivò all'enorme edificio gli vennero date più informazioni da alcuni ragazzi che già da tempo risiedevano lì. Le svelarono i loro poteri ma soprattutto gli rivelarono il loro passato e di come erano arrivati lì. 

Le raccontarono di come erano recentemente entrati in un programma della CIA chiamato Divisione X  e di come però fallì quando un certo Sebastian Shaw fece irruzione nella base dell'organizzazione, uccidendo un loro caro compagno e convincendo la cara Angel ad unirsi a lui.

Dopo questo avvenimento era stato deciso di spostarsi in un luogo più sicuro: una vecchia residenza di Charles. Da quel giorno i giovani vennero addestrati a controllare le proprie capacità così da potersi difendere dall'imminente minaccia.

Ora che anche Margo faceva parte della squadra anche lei riuscì a far evolvere la sua mutazioni scoprendo cose di lei che nemmeno sospettava. Charles ed Erik erano fieri di lei e di come era riuscita a realizzarsi, ma poi arrivò il giorno della dura verità.

Shaw riuscì a dare inizio alla crisi dei missili di Cuba, un confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica. La squadra riuscì ad impedire l'imminente catastrofe nucleare per poi schiantarsi malamente al suolo con il loro Jet.

Erik decise così di avere un confronto faccia a faccia con Shaw ma qualcosa andò storto. Si fece controllare dalla rabbia e dalla voglia di vendetta, voleva giustizia contro chi gli aveva rovinato la vita, e con spietata crudeltà uccise l'uomo con una singola moneta.

Margo si trovava ancora nel jet insieme ad alcuni suoi compagni, cercava di capire cosa stava succedendo dentro a quel sottomarino ed il significato delle parole di supplica che Charles cercava di comunicare ad Erik.

Continuava a sentire le parole disperate dell'amico che d'improvviso, come in un film dell'orrore, vennero susseguite da un breve silenzio spezzato poi da un lungo grido di dolore.

Margo si avvicinò a Charles, il cuore che le batteva, il fiato corto e la mente che ormai non riusciva più a controllare.

Erik cosa hai fatto?

Quando uscirono da sotto le macerie del velivolo videro il corpo inerme di Shaw volteggiare in aria, un rivolo di sangue sul volto, sorretto solo dal potere di Erik.

-Oggi finiscono le nostre battaglie!- disse. -Togliete i paraocchi fratelli e sorelle! Il vero nemico è laggiù.-

Tutti lo fissarono increduli, Charles voltò lo sguardo verso il mare dove decine e decine di navi da battaglia prima nemiche si stavano alleando puntando le loro armi verso un unico obbiettivo: i mutanti.

Pochi secondi dopo il rumore di spari si diffuse nell'aria e centinaia di missili coprirono il cielo. Il terrore fu padrone sul viso di ognuno su quell'inerme spiaggia, tranne che su quella di una persona: Erik, che con una semplice alzata di mano fece fermare i missili proprio sopra le loro teste. Margo fece uscire dalla sua bocca un respiro di sollievo che gli si bloccò il gola quando vide che le armi stavano ora fluttuando verso la direzione da cui erano arrivati.

-Erik lo hai tu: siamo uomini migliori. Questo è il momento di dimostrarlo.- cercò di farlo ragionare Charles. -Ci sono centinaia di uomini su quelle navi, uomini onesti, innocenti, buoni! Stanno solo eseguendo ordini!-

Erik strinse i denti -Sono stato già vittima di uomini che eseguivano ordini, non lo sarò mai più.- e con un colpo deciso fece ripartire i missili verso i soldati che inermi realizzavano il loro destino.

-Erik fermati- gridò disperato l'amico per poi lasciarglisi addosso nella speranza di evitare quella strage.

Molti missili caddero esplodendo ma riuscì a riprendere il controllo su di essi dando un forte pugno a Charles, che stordito rimase a terra. 

Erik continuò quella rotta mortale per gli uomini, poi Margo, con il cuore pieno di dolore e le lacrime agli occhi, decise di intervenire.

Tanti rami, rimasugli del Jet e perfino dell'acqua salata partirono in direzione dell'uomo che accorgendosi della minaccia in tempo riuscì a coprirsi con una spessa lastra di acciaio.

La guardò con occhi pieni di pietà - Mi dispiace- e d'improvviso la ragazza di trovo stesa a terra circondata dai residui metallici del velivolo, rimanendo bloccata da essi.

Cercò di liberarsi non riuscendoci subito per un lieve colpo alla testa che le faceva girare la testa. Per suo fortuna l'agente Moira MacTaggert iniziò a scaricare una serie di proiettili verso di lui. Erik, arrabbiato e affranto per la rivolta di quelli che una volta erano i suoi amici, deviò i colpi ma fu uno sbaglio fatale a dare fine a quella lotta. Un secondo dopo Charles Xavier era accasciato dolorante sulla sabbia, Erik gli corse incontro ed estraendo la pallottola dalla sua schiena fece cadere ogni missile rimasto in cielo.

Gli uomini esultarono, molti applaudivano e tiravano sospiri di sollievo. Ma non molto lontano la battaglia non era ancora finita. 

-Metterci l'uno contro l'altro, è questo che vogliono. Ho provato ad avvertirti Charles. Io ti voglio al mio fianco, siamo fratelli tu ed io, tutti noi insieme, per difenderci l'un l'altro! Vogliamo la stessa cosa.- 

L'amico lo guardò negli occhi sospirando - No. Mi dispiace, non è vero-.

Erik, colpito nel profondo da quelle parole si spostò da lui puntando il suo sguardo sugli altri mutanti che in silenzio avevano assistito alla scena. Margo si precipitò da Charles, si inginocchiò accanto a lui tentando di reprimere le lacrime.

-Questa società non ci accetterà mai, formiamone una noi. Gli umani hanno giocato la loro partita, prepariamoci a giocare la nostra. Chi è con me?- disse e subito dopo i tre vecchi scagnozzi di Shaw gli si misero di fianco.

Soddisfatto di se stesso Erik si voltò verso Margo, incrociando il suo sguardo distrutto che subito mutò e divenne più duro. Guardò un ultima volta quello che una volta era stato una delle persone più importanti per lei, poi si girò verso ciò che le era rimasto: Charles.

Erik abbassò lo sguardo, deluso da quel rifiuto, ma subito si ricompose guardò il teleporta di fianco a lui che subito capì, così i quattro sparirono d'improvviso.

Margo, che ancora guardava Charles, si sentì circondare dai suoi amici mutanti che tentavano di far rimettere in piedi il professore.

La ragazza era ancora in stato confusionale, tentava di essere d'aiuto ma non riusciva a pensare lucidamente, poi però venne riportata alla realtà con una cruda verità.

-È-è strano... non- non mi sento più le gambe. Non mi sento più le gambe...-

Continua...

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Capitolo 10
*** Stony ***


Posò il suo bicchiere vuoto di nuovo sul tavolo da laboratorio. Continuava a guardare i fogli sparsi su di esso con aria assente. Era così da quando uscì da quella maledetta stanza da letto.

-Che cazzo! - Si alzò dalla sedia girevole e preso da un improvviso attacco d'ira buttò a terra tutto ciò che era sul tavolo, persino il bicchiere che appena toccò il suolo si frantumo in mille pezzi.

Fece una smorfia a quella visione che tanto gli ricordava il suo stato d'animo. Frantumato, in mille pezzi e disteso in un posto freddo.

Tony lo sai che... io ho un ragazzo 

Quella frase... quelle parole. Continuavano a risuonargli in testa come un orribile canzone

Guardò ancora i fogli caduti rovinosamente a terra ed i pezzi di vetro fra di essi -Whisky. Voglio del Whisky.-

Si diresse spedito verso la sua dispensa. Lo fece con così tanta urgenza che nemmeno si rese conto di aver calpestato i vetri a piedi nudi. Voleva da bere, voleva qualcosa che non lo facesse pensare. Qualcosa che facesse zittire quella canzone in testa che ormai era diventata un coro, un coro di mille persone che non facevano altro che ricordargli quanto grande fosse la cazzata che aveva fatto

Camminò fino al bancone dove tutti i suoi alcolici erano ordinatamente disposti, per poi prendere in mano la bottiglia di Whisky più pregiata che avesse, o almeno da quel che si ricordava. Non si scomodò nemmeno a prendere un altro bicchiere, la aprì e si attaccò direttamente a quella.

Dopo un lungo sorso si guardò intorno un po' stordito. Era solo, non c'era nessuno con lui.

Che novità... Pensò ironicamente quando mai non lo sono stato?

A passi lenti e stanchi si avvicinò all'enorme vetrata, più si avvicinava più il senso di vuoto sotto i suoi piedi si amplificava e la sensazione di cadere si faceva largo dentro di lui.

Si sedette malamente a terra, la schiena poggiata al muro e la testa ancora girata verso quella buia immensità sotto di lui.

Prese un altro sorso dalla bottiglia e proprio quando chiuse gli occhi per gustarsi di più il sapore di quell'amara bevanda, ebbe un flashback di quella notte, di quel bacio che, seppur non lo avesse ammesso, aveva atteso con ansia e ci aveva sperato come un bambino.

Un bambino... un bambino stupido. Chi mai vorrebbe un bambino stupido?

-Arg! NESSUNO!-

Prese la bottiglia per il collo e tenendola ben salda la lanciò con tutta la rabbia che aveva in corpo contro la parete opposta che subito si macchiò e fece schizzare i frammenti di vetro ovunque.

-Nessuno...- Poggiò la testa al muro e chiuse gli occhi. Così, in quella stanza vuota e silenziosa, una calda lacrima gli solcò il viso e mai nella sua vita si sentì più incapace ed indifeso come in quel momento. Teneva gli occhi chiusi e l'unica cosa che vedeva era lui, e desiderò una persona accanto a se proprio in quel momento, una che gli dicesse che poteva andare avanti, che poteva farcela e che non era solo. Ma in cuor suo Tony sapeva che non sarebbe riuscito ad andare avanti e che si, era solo.
 

Passarono minuti, forse ore, ed il miliardario era ancora nella stessa identica posizione, non ne voleva sapere di muoversi, di reagire. Non voleva fare nulla che lo facesse sentire vivo, volendo solo fondersi contro quel muro che lo sosteneva.

Se ne stava lì, a fissare il vuoto, la mente persa ed il corpo intorpidito. Poi, d'un tratto, la voce robotica di Jarvis si fece largo nell'enorme stanza silenziosa. 

-Signore, ha una visita - disse solo.

Il miliardario si alzò dal piccolo angolo che quel giorno lo aveva accolto. -Non voglio vedere nessuno Jarvis.- disse pacatamente, per poi dirigersi di  nuovo al bancone e lasciarci sopra la bottiglia ormai mezza vuota.

-Insiste Signore. Dice che non se ne andrà finché non le avrà parlato.-

Il genio si mise le mani fra i capelli, tirandoli leggermente. L'idea di dover affrontare un discorso con qualcuno lo esasperava dal principio, ma in quella giornata ormai così buia e solitaria, quella visita poteva essere la sua distrazione o la sua rovina. 

-Va bene, Jarvis. Fallo entrare. -.

Un paio di minuti dopo dei passi si fecero sempre più vicini, passi pesanti ma delicati che subito il miliardario riuscì a distinguere.

-Tony...-

L'uomo si girò e pur già sapendo chi si era presentato a casa sua, non riuscì a trattenere un'espressione sorpresa.

-Tu non dovresti essere qui Steve...- rispose con voce flebile, quasi un sussurro.

Il capitano iniziò a fare qualche passo avanti -Sono tornato indietro per te -. Anche la sua voce era bassa, leggermente più roca.

-No, no Steve tu non puoi. Non puoi...-

-Non riesco a non pensarti Tony-  

-Io-io non posso lasciartelo fare Steve- 

A quelle parole il soldato sì fermò suoi propri passi -Perchè?- 

Solo in quel momento il miliardario riuscì a guardarlo negli occhi, e a quella vista qualche lacrima iniziò a cadere.

-Non è ciò che vuoi. Tu hai-hai già chi ti ama ed io non posso stare con te - Non riuscì più a sostenere il suo sguardo e girandosi tentò di asciugarsi le lacrime salate. -Ora va via, per favore...-

Il soldato, ancora fermo in piedi dinanzi a lui, venne colpito da una stretta al cuore, un nodo gli si formò in gola a quella vista così straziante. 

Deglutì e con qualche passo si trovò ad un soffio dal milionario. - Ma è quello che voglio...- disse accarezzandogli una guancia. -È quello che voglio Tony- 

Il genio alzò lo sguardo su di lui, ora con un bagliore di speranza negli occhi scuri, e mentre le mani tremanti raggiungevano il suo volto, il soldato si sporse più avanti andando a sfiorare le labbra morbide dell'amante. 

Nonostante la gioia che provava in quel momento, delle lacrime continuavano a solcare il volto di Tony e subito vennero asciugate dalle mani del biondo.

-Non piangere, va tutto bene. - 

Ora il miliardario aveva rivolto lo sguardo verso il basso, timoroso che qualcuno potesse vedere il suo volto bagnato. -Io non voglio... - un singhiozzo uscì dalle sue labbra -non voglio che tu te ne penta-.

Il capitano, colpito da quelle parole provò dolore a vedere la persona che più amava in un momento di pura vulnerabilità. Gli occhi gli diventarono lucidi ma cercò di farsi forza per la persona che ora più che mai aveva bisogno di lui. 

-Non succederà - disse portando una mano fra i suoi capelli scuri - te lo prometto.-

E come per sigillare quel giuramento, i due si strinsero in un abbraccio caldo e desiderato da tempo;  uno di quelli grandi ma che ti fanno sentire piccolo e al sicuro.

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Capitolo 11
*** Anniversario • Chris Evans ***


《Chris! Amore, sono a casa!》 dissi entrando in casa  e subito un fin troppo felice Dodger mi corse contro abbagliando.

Mi tolsi il coprispalle leggero che portavo e appoggiai la borsa sul mobile all'entrata, per poi chinarmi ed accarezzare il cane.
Alzando lo sguardo mi resi conto che Chris non si era ancora fatto vedere, forse non mi aveva sentita entrare.

Mi rimisi dritta ed iniziai a camminare per casa in cerca del mio ragazzo.

《Chris?》 dissi più forte 《dove sei?》.

Le finestre erano aperte, alcune luci erano accese quindi era ovvio che lui fosse già in casa.
Dodger mi seguiva attento per la casa, quasi in attesa si qualcosa. 
Girai tutte le stanze ma non riuscii a trovarlo, mi accorsi però di alcune padelle sporche in cucina e risi al solo pensiero di Chris che tentava di cucinare. Passai dal salotto e mi soffermai davanti alla vetrata che deva sul giardino che, pian piano, veniva illuminato dalla luce color arancio del tramonto. Così mi accorsi che poco più lontano il piccolo tavolino rotondo era stato posizionato sotto al gazebo, decorato a sua volta.
Lì, la mia mente capì.

Mi ha fatto una sorpresa. realizzai Si è ricordato del nostro anniversario.

Sorrisi al solo pensiero e a quella vista così romantica ed inaspettata.
Uscii fuori in giardino, avvicinandomi al gazebo.
Chris aveva attaccato delle lucine a quest'ultimo, apparecchiato il tavolino per due con una rosa rossa accanto ad un piatto ed una candela al centro.

Avvicinandomi, il mio sorriso non potè non crescere ancora di più alla vista delle due sedie vicine, invece che separate dal tavolo. Quando fui più vicina accarezzai delicatamente la rosa, commossa dalla sorpresa.

《Ti piace?》 sentii alla mie spalle.

Mi voltai immediatamente verso quella voce così familiare.

《È bellissimo, Chris. Sul serio, tutto questo è-è... stupendo!》 dissi quasi con le lacrime agli occhi.

Lui mi sorrise sornione avvicinandosi.
《Bene signorina,》 mi presa la mano nella sua 《le va di cenare con me, questa sera?》.

Risi a quel suo modo di fare ironico. 
《Con molto piacere.》

Il suo sorriso si allargò ancora di più e mettendomi una mano sul fianco mi fece accomodare al tavolo, per poi sedersi vicino a me.

《Te ne sei ricordato.》 gli dissi guardandolo, sapendo che lui avrebbe capito a cosa mi riferivo.

《Beh... siamo sempre separati dai chilometri di distanza, quando posso voglio starti più vicino possibile, senza niente fra di noi.》

Fissai i suoi occhi chiari e quasi mi commossi a quelle parole, ricordandomi la prima volta che lui dovette andare lontano da casa per girare un film, mi tornò in mente quanto fu duro averlo così distante per così tanto tempo.

《Oh!》sembrò ricordarsi qualcosa 《Dammi un momento mademoiselle.》 detto ciò si alzò e si diresse di nuovo dentro casa, tornando poco dopo con un vassoio in una mano ed una bottiglia nell'altra.

《Dunque, sai benissimo che non sono capace a cucinare. Nonostante ciò ho deciso di tentare comunque.》 appoggiò il vassoio sul tavolo e stappò la bottiglia di vino 《Poi siccome ciò che avevo cucinato non era molto... ehm, commestibile. Ho ordinato la cena e me la son fatta portare.》ammise storcendo la bocca colpevole, ed io risi per la sua buffa espressione.

《Oh andiamo, amore!alcune cose le cucini bene!》 versò il vino nei bicchieri.

《Oh sì! I miei panini sono fenomenali!》.

Ridemmo di gusto a quella piccola verità, poi Chris si sedette di nuovo a tavola ed iniziammo a mangiare la nostra cena.
Pian piano il cielo si fece scuro a tra risate e baci ci spostammo sul dindolò a guardare le stelle. Lui teneva un braccio attorno alla mia vita, io avevo la testa poggiata sulla sua spalla e le gambe accavallate sulle sue.
Del silenzio si fece spazio fra si noi, non era sgradevole o imbarazzante, solo non c'era bisogno di parlare.
Sentii il braccio di Chris stringenti più forte, poco dopo, guardando ancora il cielo illuminato dalle stelle, parlò

《Ti amo davvero tanto.》 disse più a se stesso.

Alzai lo sguardo verso di lui sorridendo involontariamente.

《Ti amo tanto anch'io, Chris Evans.》

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Capitolo 12
*** When you are sick • Tony Stark ***


Butto l'ennesimo fazzoletto nel cestino lì vicino per poi raggomitolarmi di nuovo tra le coperte che mi avvolgono.

Socchiudo gli occhi e cerco di godermi il tepore sotto tutti quegli strati. La costosa televisione di fronte a me parla ancora ma non riesco proprio a capire quello che dice.

Sono stesa su quel divano da tutto il giorno, la gola mi brucia, i miei occhi sono rossi e gonfi e la febbre sta salendo sempre di più. Ho brividi che mi percorrono il corpo e l'arrivo della notte non può che peggiorare la situazione.

Sono sfinita a tal punto da non accorgermi di essermi addormentata su quel divano di pelle, a risvegliarmi è il rumore della porta che viene aperta, accompagnata dall'arrivo di una persona. Proprio quest'ultima mi spinge ad alzare lo sguardo.

-Scusa piccola, non volevo svegliarti- mi sussurra il mio ragazzo.

-Non fa niente, ti stavo aspettando, Tony. Beh, prima di addormentarmi ti aspettavo...-

Mi passo una mano sul viso stanco e appena riapro gli occhi mi rendo conto che si è avvicinato e che si è seduto accanto a me sul divano. Mi viene più vicino e mi da un bacio sulla fronte calda.

-Mi dispiace non essere rimasto con te in questi giorni. Ho avuto molto lavoro da sbrigare e sembrava non finire più! Poi sapendo che tu fossi qui e che non stavi bene, i-io...-

-Tony, - lo interrompo - va tutto bene.- dico accarezzandogli una guancia -Ora sei qui.-

Lui alza gli occhi verso i miei e mi sorride. Riesco a vedere la sua sincerità in essi. Ha le occhiaie e posso leggere la stanchezza sul suo volto.

-Amore?- gli chiedo.

-Sì?-

-Mi abbracci?-

Dalle sue labbra scappa un sorriso sornione ed un attimo dopo le sue braccia mi accolgono più vicina a lui e per la prima volta in quella giornata i brividi cessano e posso lasciar andare un sospiro soddisfatto.

-Come mi scaldi tu non mi scaldano nemmeno cinque coperte, amore. - biascico vicino al suo collo e lui subito inizia a ridere di gusto.

-Oh beh, fortunatamente starti così vicino non mi fa che piacere!-

Non riesco a vederlo bene in volto, sia per la stanchezza che per la vicinanza con il suo collo, ma capisco che il suo sorriso è ormai diventato malizioso.

Mi sposto di poco, quel tanto per poterlo vedere meglio senza staccarmi dall'abbraccio, gli do una leggera pacca sul braccio come rimprovero ma questo fa solo scatenare un'altra sua risata.

-Sai, sei più dolce quando sei malata.-

-Pf, non ti ci abituare troppo Stark.-

Faccio una leggera risata che però viene quasi subito interrotta da uno sbadiglio.

Tony mi guarda e sorride apprensivo.

-Forza piccola, meglio andare a letto.-

Mi da un altro dolce bacio sulla fronte e poi mi prende in braccio per poi andare in camera ed adagiarmi sul letto. Dopo essersi spogliato mi raggiunge sotto le coperte per poi abbracciarmi di nuovo. Solo qualche minuto dopo entrambi, sfiniti da quella giornata, ci addormentiamo stanchi ma felici, l'uno nelle braccia dell'altro.

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