Omnia vincit Amor.

di Betta7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Contrasto. ***
Capitolo 3: *** Angolo di paradiso. ***
Capitolo 4: *** Portafortuna. ***
Capitolo 5: *** Ostacoli ***
Capitolo 6: *** Distrutto ***
Capitolo 7: *** Proposta indecente ***
Capitolo 8: *** Il matrimonio. ***
Capitolo 9: *** Tentazioni. ***
Capitolo 10: *** Profumo di fiori. ***
Capitolo 11: *** E adesso.... ***
Capitolo 12: *** Porte chiuse. ***
Capitolo 13: *** Una cosa sola. ***
Capitolo 14: *** Confessioni. ***
Capitolo 15: *** Capodanno tra le stelle. ***
Capitolo 16: *** Dimenticare. ***
Capitolo 17: *** Paura di perderti. ***
Capitolo 18: *** Dimmi se vuoi mollare. ***
Capitolo 19: *** Onda. ***
Capitolo 20: *** Non posso. ***
Capitolo 21: *** Casetta fuori dal mondo. ***
Capitolo 22: *** Piena. ***
Capitolo 23: *** Regali di Natale. ***
Capitolo 24: *** Toccare la luna. ***
Capitolo 25: *** L'amore vince tutto. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


.PROLOGO.

- FATO -
  •  Forza cieca e misteriosa che regola gli eventi degli uomini e dell'universo e alla quale neppure gli dèi possono sottrarsi.

" L'amore può condurci all'inferno o al paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo. È necessario accettarlo, perché esso è ciò che alimenta la nostra esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell'albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli. È necessario ricercare l'amore là dove si trova, anche se ciò potrebbe significare ore, giorni, settimane di delusione e di tristezza. Perché nel momento in cui partiamo in cerca dell'amore, anche l'amore muove per venirci incontro. E ci salva. "
Paulo Coelho


Non avete idea di quanto Io sia presente nelle vostre vite.
Siete come i burattini del mio teatro e Io non faccio altro che muovere i vostri fili, conducendovi dove desidero.
Non credete alle assurde bugie della gente che vi dice che siete voi a scegliere, che siete voi a prendere le decisioni. Non è così, ve lo assicuro.
Ho assistito come uno spettatore silenzioso alla loro storia per anni e, quando mi sono reso conto che da soli non avrebbero mai trovato la strada, non ho fatto altro che spingerli l'uno verso l'altro. Ho provato mille volte e ricongiungere i loro cuori, ma tutte le volte le loro parole hanno rovinato tutto.
Akito non riesce ad esprimere i suoi sentimenti e non fa altro che nascondersi, Sana d'altro canto non sa cosa prova.
Ho visto per anni Tsuyoshi e Aya sperare che Io li aiutassi. Mi hanno pregato chissà quante volte, mi hanno invocato... e a volte anche insultato.
Maledetto, dicevano. Ma dove sei quando servi?, dicevano.
E non sapevano nemmeno quanto Io fossi vicino, erano i loro amici ad allontanarmi.
Ma in fondo, non tutte le storie sono improvvise. Alcune nascono come le stagioni.
Sana e Akito sono da sempre in una perenne primavera. I fiori del loro amore continuano a sbocciare, ma loro sono come due passanti distratti che non si accorgono di ciò che gli accade intorno, che non vedono la bellezza di ciò che li circonda.
Prima o poi, però, la Primavera dovrà trasformarsi in Estate.
Sono stato l'ispirazione di tanti poeti, musicisti, attori. Sono stato invocato innumerevoli volte, e tutte le volte ho lasciato un pizzico di me a chi mi aveva chiesto aiuto.
Il mio fedele compagno è il sentimento che tutti sperano di incontrare prima o poi: l'Amore.
Insieme siamo stati la salvezza e la rovina dell'altro.
Ma niente, assolutamente niente, potrebbe cambiare il corso delle cose.
Un grande poeta una volta scrisse:
"L'amore è una forza della natura.
Tentare di opporsi ad essa, è vano.
Chiudere gli occhi di fronte ad essa è ipocrita. "

E, per voi, sarà tutto vano se non lascerete che la mia mano vi guidi.

Destino.







So benissimo che molti non saranno contenti di rivedere una mia storia, ma da qualche settimana io e la mia MERAVIGLIOSA Beta abbiamo ideato questa storia. Grazie a lei ho deciso di intraprendere questa nuova avventura e spero che sarete in tanti a seguirla perchè, come in University Life, ci sto mettendo il cuore.
Ringrazio anticipatamente chi leggerà e avrà voglia di recensire e prometto che, almeno stavolta, cercherò di rispondere a tutte le recensioni.
Un bacio,
Akura.

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Capitolo 2
*** Contrasto. ***


CAPITOLO UNO.
CONTRASTO.

Pov Akito.

Credevo davvero che fossimo cresciuti per cose come quelle, litigi infiniti che ci portavano a far pace in camera sua con un vaschetta di gelato e un film. Odiavo quando Sana mi costringeva a quelle sceneggiate, ma sapevo anche quanto lei le amasse, quindi spesso mi limitavo ad annuire e ad evitare qualsiasi discussione. Eravamo cresciuti, senza dubbio, ma eravamo rimasti in un certo senso gli stessi. Io, come sempre, non riuscivo ad esprimere i miei sentimenti, e questo comportava il più delle volte uno Tsuyoshi che non mi lasciava mai in pace e lei, d'altro canto, era sempre stata tarda nel capir le cose. Lo sapevano tutti, persino Fuka, che ormai si era rassegnata da tempo al fatto che non avrebbe potuto avermi, mentre lei continuava a far finta di non vederlo. Nei miei gesti riconosceva quelli che qualsiasi migliore amico farebbe. Si, anche Tsuyoshi era il mio migliore amico, ma di certo non mi svegliavo al mattino grondante di sudore dopo averlo sognato e, soprattutto, non provavo alcuna gelosia verso di lui. Con Sana invece era un continuo pugno nello stomaco, con tutti quegli attori che le giravano attorno e che io dovevo sopportare senza battere ciglio. Quante sere avevo passato ad ascoltare i suoi racconti e a cercare di trattenere il mio istinto di ucciderli tutti.
Tsuyoshi mi ripeteva ormai da anni di rivelarle i miei sentimenti, io avevo sempre sviato e rimandato, semplicemente perchè quel momento mi metteva un'ansia addosso che non riuscivo a spiegare neanche a me stesso. Se le avessi davvero detto ciò che provavo per lei da tutti quegli anni, mi avrebbe guardato con occhi diversi il che poteva essere sia un bene che un male. E io di rischiare ero terrorizzato, perchè se lei avesse chiuso il nostro rapporto l'avrei vista andare avanti senza di me, vivere la sua vita da star senza batter ciglio, mentre a me sarebbe mancato tutto.
Quindi, per anni, avevo tenuto la bocca chiusa, e il mio apparire sempre controllato e distaccato mi aveva aiutato a nascondere lo tsunami di emozioni che mi investiva quando la vedevo tutta in tiro il sabato sera, quando la guardavo ballare nei locali, quando passavamo le domeniche a studiare matematica e io mi perdevo il filo del discorso perchè lei cominciava a giocherellare mordicchiandosi le labbra. Ecco, quelle erano cose che mettevano a dura prova il mio autocontrollo e rovinavano la mia salute mentale.
Spesso mi soffermavo a guardarla, anche tra i banchi di scuola, quando i professori spiegavano qualcosa che le interessava poco, e le veniva sempre una piccola ruga sulla fronte. Oppure avevo notato che quando aveva una discussione con Fuka metteva il broncio a me solamente perchè sapeva benissimo che con lei non attaccava. E io mi divertivo a vederla col muso lungo, e mi divertivo soprattutto a vederlo sparire quando un raggio di sole le arrivava sul volto. Era magico, a volte mi capitava di guardarla anche mentre dormiva. Si muoveva raramente, contrariamente a quanto lo faceva da sveglia, e io mi soffermavo ad osservare il suo petto che si alzava e abbassava ritmicamente.
Adoravo quei momenti di tranquillità, mi facevano capire quanto le cose potessero essere diverse, se solo avessi trovato un po' di coraggio.
La ragazza S e il ragazzo A. Era così che i nostri compagni amavano definirci, era così che tutto il liceo amava definirci. Io non ci avevo mai veramente dato peso, non finchè mi ero reso conto che le cose stavano cambiando, e avevo cominciato a considerare quella definizione come qualcosa di più.
Ormai mancavano meno di due settimane alla fine del liceo e poi sarebbe iniziata la tanto temuta università. Temuta, si, perchè se avessi potuto avrei di gran lunga deciso di evitarla. Avevo ricevuto una proposta da un college americano ed ero ancora indeciso se accettare o meno. Se pensavo razionalmente, e lo facevo raramente, c'erano mille motivi a dirmi di prendere la mia valigia e partire senza guardarmi indietro, mentre non avevo trovato nessun motivo abbastanza valido da trattenermi in quella città.
Ma, se mettevo da parte la mia testa, e mi figuravo davanti Sana... allora lì le cose si complicavano sensibilmente. Mi ero sempre detto che tutto sarebbe cambiato, che Sana avrebbe aperto gli occhi, che i miei amici l'avrebbero smessa di cercare di metterci insieme perchè se qualcosa fosse accaduto sarebbe dovuto nascere da noi e da nessun altro. Ma Sana non faceva altro che partire e tornare, senza lasciare traccia di se' , senza dire ciao o dare una spiegazione, per noi era semplicemente normale vederla una volta al mese, se eravamo fortunati.
Per la maggior parte del tempo, mentre era dall'altra parte del mondo, io la odiavo. E la odiavo così tanto che la cosa mi sfiniva, mi svuotava, ma poi quando tornava e si precipitava a casa mia tutta sorridente e con un abbraccio pronto per me, dimenticavo di colpo tutti i motivi per cui l'avevo odiata e ricominciavo ad amarla, come avevo fatto negli ultimi diciotto anni.
Quindi, la mia vita al momento si trovava nella fascia dell'odio puro, perchè Sana era in viaggio e non sarebbe tornata prima del giorno dopo. L'avevo chiamata mille volte ma continuava a scattare quella maledetta segreteria in cui mi chiedeva di lasciarle un messaggio e mi diceva che mi avrebbe richiamato. Non lo faceva mai.
Poco dopo che mia sorella uscì di casa il mio telefono squillò e io, da bravo idiota, mi ci fiondai sopra per rispondere.
«Sana?». Mi venne spontaneo, lo ammetto, ma tre secondi dopo avrei voluto sotterrarmi.
«Cavolo, Akito. Credo che tu abbia dei seri problemi se anche al telefono rispondi così.»
«Ciao, Tsuyoshi. Hai chiamato per una ragione in particolare o solo per farti mandare a fanculo in diretta?».
Lo odiavo quando faceva allusioni o battutine stupide, nonostante sapessi che il suo unico scopo era spronarmi.
«Come siamo suscettibili, immagino che Sana non ti abbia ancora chiamato.»
Lo avrei ucciso, era ufficiale.
«No, non è tornata e non ha chiamato, ma questo non c'entra col mio umore, coglione.»
Ero poco credibile anche a me stesso, figuriamoci se la persona che mi conosceva meglio al mondo si sarebbe bevuto una cosa del genere.
«Va bene, Akito, è ovvio. Comunque ho chiamato per ricordarti che domani ci sono le prove del ballo, quindi dovresti portare tutto quello che ti avevo chiesto di comprare - e che spero per te tu abbia comprato - e aiutarmi a decorare la sala.»
«Ti porterò tutte quelle cose che si, ho comprato, ma scordati che io rimanga lì ad attaccare festoni e brillantini ovunque.»
«Okay, siamo in allarme nero. Ti lascio in pace, ci vediamo domani.»
Chiusi la telefonata senza nemmeno salutarlo, volevo bene a Tsuyoshi come se fosse stato mio fratello, ma c'erano volte che tutto il bene che gli volevo veniva sostituito da un profondo fastidio per la sua continua voglia di impicciarsi.
Dalle elementari continuavamo quell'assurdo gioco, da quando aveva scoperto i miei sentimenti per Sana aveva deciso categoricamente che non avrebbe avuto pace finchè non ci avesse visto mano nella mano a comportarci come facevano lui e Aya.
Notizia dell'ultima ora: anche se, e sottolineo se, fosse successo in un futuro molto lontano, non mi sarei mai messo a chiamare Sana con nomignoli strani del tipo pasticcino o tesorino, o biscottino, o chissà con quale altro vomitevole modo chiamava la sua ragazza.
Per me tutte quelle dimostrazioni d'affetto erano praticamente inutili e a volte guardare loro era come assistere ad un incontro di box dove il giocatore su cui hai scommesso sta miseramente perdendo: uno schifo.
Quindi, ammesso e non concesso che io e Sana avremmo trovato il modo di parlarci, non avrei smesso di chiamarla Kurata, anche solo per vederla arrabbiata continuamente.
Provai a richiamarla, ma tornai a sentire la sua voce registrata e tirai il telefono sul letto, in preda alla frustrazione.
Perchè faceva così? Perchè per ogni minima parola doveva fare una tragedia? Erano ormai tre giorni che si ostinava a non rispondermi al telefono, e solo perchè le avevo detto di mollare un po' il suo lavoro, o non avrebbe trovato un'università decente da frequentare. Era la verità, che le piacesse o no, e io le avevo parlato in quel modo solo perchè mi stava a cuore il suo futuro e nient'altro. Ma no, lei non la vedeva così e si era premurata di farmi chiamare da occhiali da sole per comunicarmi che non aveva più intenzione di andare al ballo con me.
Ma il ballo era tra due giorni e se non si fosse presentata, lasciandomi in pasto alla ragazza che me lo aveva chiesto prima che io lo chiedessi a lei, allora l'avrei uccisa e poi ero sicuro che non avrebbe trovato un altro accompagnatore così in fretta - complice anche la sua assenza dalla città, grazie al cielo - e che non avrebbe mai deciso di andare al ballo da sola.
Quelle erano tutte ragioni per mantenere la calma, per decidere che si, anche se era una pazza furiosa, non mi avrebbe mai piantato in asso, ma conoscendo Sana non sapevo cosa aspettarmi da lei. Sarebbe stata capace di venire al ballo con me e poi infilarmi un intero tubetto di panna nelle mutande.
Stavo diventando paranoico, in modo piuttosto maniacale, e forse Tsu aveva ragione a dirmi di darci un taglio.
Ma come avrei potuto farlo se ogni azione di Sana mi mandava fuori di testa?
Quella ragazza per me era un fottuto mistero e neanche se fossimo finiti con la fede al dito l'avrei mai capita!

*

Continuavo a guardare l'orologio, temevo che Sana fosse di parola e che non sarebbe venuta davvero al ballo con me, ma per ogni parte di me che si ostinava a urlarmi di scappare da quella situazione ce n'era un'altra, più forte, che mi imponeva di non dare di matto e andare avanti.
Indossai il maledetto smoking che Sana mi aveva fatto comprare, dopo un estenuante pomeriggio al centro commerciale in cui non mi aveva neanche voluto mostrare il suo vestito, perchè doveva essere una sorpresa. Non ci stavamo di certo sposando! Eppure Sana sembrava convinta al cento per cento, e io non avevo osato contraddirla in nessun modo, perchè sapevo a cosa andavo incontro.
Quando salii in macchina ero piuttosto nervoso, sistemai il fiore che le avevo preso sul sedile accanto al mio e misi in moto, assicurandomi che non cadesse o si schiacciasse.
Non aveva specificato quale fiore avesse preferito, ma io mi ero buttato su un bocciolo di rosa bianca, circondato da tre piccole rose rosse.  Si, non era molto originale probabilmente, ma era il modo in cui la vedevo.  Per me lei racchiudeva in sé la purezza totale, unita a quel pizzico di passione inconsapevole e, con un po' di coraggio e una buona dose di alcol, sarei riuscito a dirlo anche a lei.
Parcheggiai davanti casa sua, era la prova del nove, visto che aveva continuato ad ignorare ogni mia chiamata; ad aprirmi fu Sagami, e a me mancò il fiato per un attimo, temendo che mi avesse piantato in asso per qualcun altro o, ancora peggio, per una delle sue serate piumone e film.
«Oh, Hayama... sei tu.»
«Felice di vederti anche io, Rei. Sana è pronta?».
Il bastardo mi fece entrare ed esitò prima di rispondere alla mia domanda. Mi fece accomodare, mi offrii un bicchiere d'acqua - dopo avermi fatto un piccolo test sulla mia facoltà di guida, il che mi rese ancora più nervoso - e, dopo aver aspettato di sentire che il mio cuore stava andando in autocombustione, mi rispose.
«Scende subito.»
Affogati.
Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con le rose all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere.
Odiavo che lei avesse così tanto potere su di me, ma ce l'aveva e dovevo dargliene atto e accettare che fosse impossibile per me disinnamorarmi di lei.
Ci avevo provato miliardi di volte, cercando distrazione in altre ragazze, ma non c'era stato niente da fare, ogni volta mi ritrovavo a dover fare i conti con i sentimenti che provavo per Sana e con ogni emozione repressa.
Alzai lo sguardo e, quando i miei occhi incrociarono i suoi, mi sembrò di non sentire più la terra sotto di me.
«Sei...». Non mi lasciò neanche finire di parlare, mi prese la mano e mi condusse alla porta e io mi sentivo un completo idiota che, per giunta, cominciava pure a diventare balbuziente.
«Si, lo so, ma è l'unica cosa che sono riuscita a trovare, non mi piace neanche un granchè... il vestito che avevo comprato con te era molto meglio.»
Non era un granchè? E allora cosa avrei dovuto aspettarmi da un futuro non è un granchè?
«Non è il vestito del centro commerciale?».
«No, ho avuto un piccolo problemino con quello e non ho potuto indossarlo.»
Rimasi un po' deluso, ero sincero, ma quel vestito mi sembrava sicuramente all'altezza per competere con un abito che non avevo nemmeno mai visto.
Rei ci scattò una foto, contro la mia volontà e anche contro la sua, ma Sana insistè così tanto che avrebbe fatto di tutto pur di farla tacere, dopo di che uscimmo da casa sua e passammo tutto il viaggio in macchina in silenzio.
Lei aveva cercato di aprire qualche argomento, chiedendomi cosa ne pensasse Natsumi del mio smoking e sapevo che me lo chiedeva solo per sentirmi dire che mia sorella aveva approvato la sua scelta perchè da solo non avrei saputo come vestirmi, quindi non dissi nulla e la cosa si rivelò anche piuttosto imbarazzante.
Io le chiesi di Chicago, come era stato andare nella Windy City, e lei mi aveva raccontato un sacco di storie carine su quella città e su ciò che aveva fatto durante il periodo lontana da me... cioè, volevo dire, da Tokyo.
Non avrei mai creduto che stare con Sana sarebbe mai stato così strano o imbarazzante, eppure forse non era davvero il caso di parlarle dei miei sentimenti o la situazione sarebbe degenerata ancora più, ed era l'ultima cosa che volevo.

_____________________________________________

Pov Sana.

Stavo cominciando ad odiare il ballo, in ognuna delle sue forme. Il dj si ostinava a mettere musica che mi avrebbe fatto sanguinare le orecchie di lì a poco, l'unica consolazione - se di consolazione si poteva trattare - era che avevo Akito a sorreggermi.
I tacchi mi facevano malissimo e non facevo altro che lamentarmi, ma perchè diavolo avevano inventato degli strumenti di tortura sofisticati come la gogna, la frusta o la ruota se potevano benissimo fare indossare un paio di Laboutine e uccidere chiunque?
«Kurata si può sapere che diavolo ti prende? Sembri una scimmia impazzita!».
«Sei sempre così gentile con le tue migliori amiche?».
«Per fortuna ho solo te, sennò sai che fatica?!».
Le sue battute ormai mi lasciavano indifferente, erano anni che convivevo con le continue prese in giro di Akito Hayama, il bambino che avevo trasformato da bulletto a bravo ragazzo, e solo grazie ad una fotografia che ancora tenevo gelosamente custodita nel mio cassetto segreto.
«Sai che posso ancora ricattarti, quindi sarà meglio per te se chiudi il becco!».
«Si, ricattami...». Guardò in basso e si accorse che i miei piedi sembravano avere una crisi isterica, quindi capii tutto e si mise a ridere. «E' per le scarpe? Non capisco perchè voi donne vi autopuniate per la vostra condizione di esseri inferiori.»
Lo guardai con gli occhi storti. Esseri inferiori? O era ubriaco fradicio oppure voleva farmi innervosire, e io avrei optato sicuramente per la seconda perchè conoscevo lo sguardo di Akito e quello, senza ombra di dubbio, apparteneva all'Akito che voleva farmi uscire di testa.
«Non cadrò nel tuo giochetto, Hayama. Sono pacifista, stasera.»
Lui scoppiò in una fragorosa risata che non sapevo come interpretare visto che l'ultima volta che l'avevo sentito ridere in quel modo risaliva almeno a mesi prima e ci era voluta una mia caduta dalle scale e un mio polso slogato per riuscirci.
«Solo stasera, sei pacifista?». Aspettò un attimo prima di continuare. «Togliti le scarpe, Kurata.».
«No! Poi sembrerò Sanalo, l'ottavo nano, in confronto a te!»
«Ti ho detto togliti le scarpe, Kurata.».
Non volevo farlo, ma Hayama aveva una capacità assurda nel convincermi a fare qualcosa anche solo guardandomi negli occhi, quindi le tolsi e le gettai vicino alla console del dj, sperando che a nessuno servissero mille dollari di scarpe, altrimenti sarei tornata a casa scalza.
«Fatto, sei contento adesso?». Non parlò e, inaspettatamente, mi mise un braccio sulla vita e mi alzò, facendo poi poggiare i miei piedi scalzi e doloranti sulle sue scarpe nuove.
Era un gesto così dolce, così carino... così da Hayama.
«Meglio?».
Per un secondo mi sembrò che tutto quello che avevamo avuto per la nostra intera esistenza fosse stato un completo errore. Io e Akito non eravamo amici, non quel tipo di amici con dei benefici almeno, e non volevo nemmeno che lo diventassimo. Il nostro rapporto era più profondo, eravamo amici e allo stesso tempo ci comportavamo come una vecchia coppia sposata e la cosa non andava affatto bene.
Però, più lo guardavo, più mi perdevo in quella assurda luce nei suoi occhi, più mi convincevo che, se avessi perso il controllo una volta, una sola volta, non sarebbe contato come sbaglio madornale. Era solo un test, un modo di capire i miei sentimenti che in realtà erano un casino colossale.
Ciò che avvenne dopo non era difficile da intuire, mi fiondai sulle sue labbra e lo baciai, come per ringraziarlo sia del gesto così carino, sia del fatto che, nonostante lo avessi trattato malissimo negli ultimi tre giorni, lui fosse venuto ugualmente a prendermi portandomi quella meravigliosa rosa bianca che ora sfoggiavo al polso.
Fu un bacio strano, inizialmente credevo che mi sarebbe sembrato di baciare mio fratello o qualcosa del genere, ma Akito andava ben oltre qualsiasi mia fantasia incestuosa.
Era come andare sulle montagne russe, un momento prima eri su... e un momento dopo ti ritrovavi con il cuore che sente il senso del vuoto.
Ma non era il vuoto del mio cuore quello che sentivo, bensì quello delle sue labbra: Akito si era staccato.
Avrei voluto protestare, ma mi sembrò piuttosto ridicolo quindi dopo aver pregato di non trovarlo con la faccia contrariata quando avrei aperto gli occhi, mi feci coraggio.
No, non sempre le preghiere vengono ascoltate.
La sua espressione era molto contrariata.
«E questo che cosa significa?».
Cosa significava? Bè... un sacco di cose.
Ho dei sentimenti repressi per te dalla quarta elementare, quando facevi il maschio alpha con quel branco dei nostri amici e, anche allora, sebbene ti odiassi... dentro di me c'era qualcosa.
Qualcosa che, negli anni, si è trasformato in qualcos'altro, e poi in qualcos'altro ancora finchè non siamo arrivati qui, a questo enorme e apocalittico errore, perchè in realtà questo qualcos'altro io non so cosa sia.
No, quella versione della storia mi sembrava un po' troppo da Apocalypse Now, la fine del mondo non era ancora abbastanza vicina da permettermi di scappare da quel momento, quindi feci un bel respiro e parlai.
«Grazie?».
Hayama aggrottò la fronte, era molto, molto contrariato.
«E tu mi baci per ringraziarmi? E di cosa poi, di averti aiutato con le scarpe? Oh cavolo, Sana! Ma mi prendi in giro?».
Stava cominciando a dare in escandescenze e la cosa non andava affatto bene perchè nella mia testa i pensieri non erano abbastanza nitidi da poter aiutare un'altra persona a sbrogliare la matassa della propria.
«Tu mi hai baciata perchè - e cito testualmente - non ti dispiacevo. Adesso convivi un po' tu con il mistero, signor ti porto sui miei piedi!».
L'espressione di Akito si trasformò da contrariata a divertita, era evidente che le mie doti oratorie non erano il massimo, ma lui mi trovava divertente. Forse un po' psicopatica e con qualche problema di sdoppiamento della personalità, ma comunque divertente.
Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro.
E poi, quel bacio, aveva trasformato un po' tutto.
Adesso serviva solamente capirci qualcosa e io, in quello, ero proprio una frana, quindi dovevo riflettere e mettere insieme i pezzi della situazione.
Era ufficiale: un esaurimento nervoso/sentimentale era in atto e io, Sana Kurata, attrice internazionale di soli diciotto anni e mezzo ero stata investita in pieno dai sentimenti che provavo per Akito.
Una seconda cosa era ufficiale: non ne sarei uscita viva.






Ecco qua il primo capitolo vero e proprio.
Ho dovuto aggiornare adesso perchè purtroppo domani non avrò possibilità di farlo.
Ringrazio tutte e tre le persone che si sono soffermate a leggere il prologo, e chi si soffermerà a leggere l'intera storia, siete il motore di tutto!
Un bacino!
Akura.

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Capitolo 3
*** Angolo di paradiso. ***


CAPITOLO 2.
ANGOLO DI PARADISO.

Pov Sana.

Si dice che, quando si ha un problema, bisogna affrontarlo obiettivamente, prenderlo di petto, cercare di trovare le risposte, senza nascondersi dietro un dito. Ed io di risposte da darmi ne avevo molte, anche se la domanda era sempre e solo una: cosa provavo per Akito? Così, per passare il tempo sull'aereo che mi stava portando a Vancouver per il servizio fotografico di una nuova linea di intimo, avevo iniziato a pensare a come uscire dal casino in cui mi ero ritrovata.
Dovevo analizzare i fatti:
-Akito e io c'eravamo baciati.
Okay, forse quello era l'unico fatto in realtà, ma più ci pensavo più realizzavo che la situazione non era affatto complicata, bastava semplicemente ignorare l'accaduto.
Ci eravamo baciati ma, cosa più rilevante, era stato bellissimo.
Non dovevo pensarci, o sarei finita per impazzire del tutto. Non sapevo cosa fare, ero nella più totale e completa confusione.
I miei pensieri proseguirono fino all'arrivo sul set, dove realizzai che io e Akito ci eravamo scambiati i ruoli, adesso era lui a non rispondere alle mie chiamate anche se non sapevo il perchè.
Quando ti deciderai a rispondere ai miei messaggi, mi spiegherai cosa diavolo ti sta succedendo.
Invio.
Era il sesto messaggio che gli avevo mandato nel giro di tre ore ed era il sesto messaggio a cui non ricevevo risposta. Stavo cominciando a stufarmi di quella situazione e il fatto che io fossi lontana milioni di chilometri non aiutava di certo la mia causa.
Decisi di non pensarci, dovevo concentrarmi per il servizio fotografico, quindi indossai il primo costume che portarono nel mio camerino e mi diressi sul set delle foto, dove trovai Rei ad aspettarmi.
Non sarebbe stata l'unica giornata di scatti, avrei avuto tutta la settimana impegnata tra una foto e l'altra, e la cosa non mi piaceva affatto, visto che speravo di tornare a casa prima, almeno per la festa dell'Hanami.

*


La settimana trascorse veloce, il mio ritorno in Giappone fu piuttosto rapido e, per mia fortuna, stavolta Rei non cominciò a stressarmi con altre proposte di lavoro. Ero totalmente libera e non vedevo l'ora di parlare con Akito per riuscire a capire cosa gli fosse preso negli ultimi giorni  che lo avesse spinto ad ignorare ogni mia chiamata o sms. Se mi soffermavo ad analizzare l’ultima serata trascorsa ricordo che si era comportato in maniera quasi insolita.
Quando mi aveva sollevato per permettermi di ballare sui suoi piedi, mi aveva stretto a sé in maniera quasi possessiva, ed io mi ero sentita protetta. Prima di riaccompagnarmi a casa mi aveva portato a fare colazione e mentre mi prendeva in giro per il mio modo goffo di mangiare i cornetti, per cui finivo sempre per sporcarmi come una bambina, l’avevo visto improvvisamente incupirsi ed irrigidirsi quando gli avevo parlato del servizio e del fatto che a breve tutta la città sarebbe stata sommersa dai miei cartelloni.
Sapeva benissimo che sarei tornata quel giorno e sapeva anche che avrei voluto trascorrere il giorno dell'Hanami con lui, ma non mi aveva comunque risposto o fatto sapere nulla. Se il suo obiettivo era quello di confondermi, ci stava riuscendo benissimo. Se tutto questo suo evitarmi dipendeva solo dal bacio, sinceramente, non riuscivo a capirlo. In fondo quante volte lui mi aveva baciato a tradimento ed io, dopo averlo colpito con il mio fidato martello, non gli mettevo, certo, il broncio per settimane.
Non stavo facendo un gioco, non lo provocavo per vedere ciò che le mie azioni comportavano in lui,  la verità era solo una: avevo desiderato davvero di poggiare le mie labbra sulle sue e lo avevo fatto, era stata una cosa assolutamente spontanea, improvvisamente non ero più riuscita a controllarmi e poi il resto era accaduto da solo.
Ma mentre io mi ero sentita completamente schiava delle sua bocca e del suo sapore, sentendomi piacevolmente stordita, in lui questo contatto non aveva sortito lo stesso effetto, anzi sembrava che la cosa non lo avesse toccato minimamente. Anche se non lo davo a vedere, la cosa mi infastidiva parecchio perché, nonostante inizialmente si fosse innervosito, dopo mi aveva trattato come se niente fosse successo e invece io avrei voluto che si arrabbiasse con me, che fosse furioso, perché quello avrebbe dimostrato che lui ci teneva a me o, meglio, era l’unico modo che io conoscevo.
Eppure, anche se sapevo che non voleva parlarmi, non potevo lasciar stare, non potevo passare la festa dell'Hanami da sola, e di sicuro non avrei lasciato pensare ad Akito che mi ero arresa.
Dopo aver fatto una rapida doccia ed essermi vestita alla velocità della luce, mi ero fiondata fuori di casa e avevo cominciato a camminare verso casa di Hayama.
Se non aveva voglia di  parlarmi, e di vedermi, allora avrei mandato a fanculo la sua volontà e avrei messo come bisogno primario le mie necessità e l'unica cosa che volevo in quel momento era parlare con Akito e fargli capire che io non avevo intenzione di rinunciare a noi.
Conoscevo bene quel gioco, si può dire che l’avevo inventato io: scappare e nascondersi davanti ai problemi, per paura di affrontare una realtà che, magari, non era come io avrei voluto o immaginato.
Non ci misi molto, andavo ad un passo più veloce del solito, e mi ritrovai quasi subito a casa sua. Bussai, venne ad aprirmi Nat che mi abbracciò e mi fece i complimenti per il servizio fotografico, aveva visto le mie foto per tutta la città, poi mi portò nella stanza di Akito.
Quando aprii la porta non lo trovai solo e già la cosa non mi piacque affatto.
«Ah quindi sei vivo, pensavo di trovarti sul tuo letto in putrefazione.»
Lui mi guardò, ma non fece neanche in tempo a rispondere alla mia provocazione, che un suo amico si intromise.
«Adesso capisco perché rifiuti tutte le ragazze che vengono a seguire i tuoi allenamenti, vedo che hai un bocconcino molto appetibile tra le mani» e poi rivolgendosi a me, dopo avermi squadrata in maniera lasciva «Le tue foto mi hanno tenuto molto impegnato, in particolare quella in cui mangi il gelato. Quando ti sarai stufata di Akito, sappi che io conosco un modo molto più divertente per tenere impegnata la tua bocca…»
Non avevo ancora compreso il significato di quelle parole, che vidi Akito avventarglisi addosso e l’altro ragazzo, presente nella stanza che, dopo averli divisi a fatica, buttava letteralmente l’amico fuori dalla porta e si scusava con noi.
Sentii salire la rabbia dentro di me, per questo Akito non aveva mai voluto che andassi ai suoi allenamenti, aveva uno stuolo di ragazzine adoranti e si vergognava di farsi vedere con me. Ma se era davvero così perchè aveva picchiato il suo amico solo per difendermi?
Quando nella sua camera calò il silenzio mi sembrò di non riuscire nemmeno a parlargli da amica, come avevo sempre fatto, cercando di essere il più onesta possibile.
Forse questo dipendeva dal fatto che ormai la definizione di amici era ben lontana da noi e non riuscivo più a barcamenarmi in un rapporto che non sapevo nemmeno come chiamare.
Mi avvicinai al letto, sedendomi e aspettando che dicesse qualcosa, ma come sempre le parole non erano il suo forte quindi cominciai io.
«Posso capire il motivo per cui sei sparito per una settimana?».
Mi aspettavo di vedere almeno un minimo di espressione nel suo viso, invece niente, sembrava che si aspettasse una domanda del genere e che sapesse esattamente come rispondermi.
«Ho avuto da fare.»
«E con chi, con i deficienti che sono appena usciti?». Di solito non dicevo mai nulla dei suoi amici del karate, visto che per lui era così difficile integrarsi in un gruppo che non comprendesse persone taciturne quanto lui, ma mi sembrò assurdo che potesse passare del tempo con due persone così stupide e ineducate. Lui non era come loro ma, evidentemente, durante gli allenamenti cambiava e si accontentava di avere intorno a sé un sacco di ochette venute solo per ammirare i suoi pettorali.
Non mi aveva mai permesso, nemmeno una volta, di assistere ad un suo incontro e di fare il tifo per lui, ed ora era tutto chiaro, ma avrebbe almeno potuto dirmi la verità.
«Sono compagni di karate, tutto qui, e tra l'altro hanno smesso di essere considerati tali da me non appena hanno aperto bocca su di te.»
«Non devi litigare con nessuno per me. Hai già mille ragazze che ti adorano a quanto ho capito, almeno potevi essere sincero e dirmi che ti vergognavi che io venissi a vederti mentre delle oche ti saltano addosso.»
Sbuffò, sembrava molto innervosito dal mio discorso, e sicuramente non lo comprendeva a fondo perché, in realtà, neanche io ero certa di cosa significassero le mie parole.
«Non ci sono oche che mi saltano addosso. E non ti faccio venire agli incontri semplicemente perchè non voglio che qualcuno salti addosso a te e, di conseguenza, non voglio uccidere qualcuno.»
E tutta quella preoccupazione? A volte Akito diceva delle cose assolutamente criptiche e, secondo me, non si rendeva nemmeno conto di essere la persona più enigmatica dell'universo.
«E con questo che cosa vorresti dire? Perchè, chi è che ha fatto apprezzamenti su di me?».
Sbuffò ancora, esasperato. Se non voleva le mie domande bastava semplicemente dirlo e avrei smesso, ma continuava a tenere la testa bassa come se fosse in procinto di esplodere da un momento all'altro.
«Fino ad ora, nessuno, per fortuna loro. Ma quell'unica volta che ti infili in mezzo ai miei compagni di karate per poco qualcuno non ti bacia davanti a me, quindi grazie, ma preferisco che tu rimanga a casa quando io combatto.»
Era chiaro che non riuscisse a mettere a posto il casino che aveva in testa e, anche se non gliel'avrei mai detto, lo capivo benissimo. Eravamo nella stessa incertezza, indecisi se buttarci in un baratro ignoto o rimanere sulla terra che ci aveva cullati per tutta la vita.
Non era semplice uscirne, nè per me nè per lui, anche se quello più combattuto sembrava sicuramente Akito.
Continuava a tenere la testa tra le mani, esasperato dalle mie domande e da se' stesso.
«E questo cosa vorrebbe significare?»
«Sana, ti prego, non è ovvio che se tu venissi ad un mio incontro non mi concentrerei sul mio avversario ma su di te?!»
Rimasi in silenzio, un po' spaventata dalle sue parole, e un po' felice di sentirle, ma appoggiai il viso sulla sua spalla e mi lasciai cullare dal momento.

*

Era la festa dell'Hanami e il mio piano per scusarmi con Akito era appena iniziato. Mi ero svegliata di buon ora, avevo cucinato un sacco di cose salutari - ormai Akito era diventato un maniaco dell'alimentazione - e le avevo messe in un cestino, insieme a una tovaglia e a qualche cosa da bere.
Adesso mancava solamente il dolce che avrei dovuto portare a parte perchè il cestino era troppo piccolo per contenere tutto, sarebbe stata una faticaccia ma ne valeva sicuramente la pena.
Erano giorni che Akito era freddo e distante, peggio della settimana che avevamo passato lontani, perchè in quel caso non ero stata costretta a vedere le sue reazioni con i miei occhi.
Quando ci sentivamo per telefono, riusciva a troncare la conversazione in meno di cinque minuti e quando invece eravamo costretti a vederci non sembrava mai sereno di avermi accanto. Io d'altro canto non riuscivo quasi mai a decifrare il suo comportamento, potevo capire che fosse confuso, come d'altronde lo ero io, ma non potevo accettare che mi trattasse con sufficienza e disinteresse, perchè quello era l'Akito che avevo conosciuto anni addietro e non volevo vederlo riaffiorare per colpa mia.
Finii di sistemare tutto e mi diressi a casa sua, ero piuttosto nervosa ma cercai di calmarmi durante il tragitto pensando che, se avesse osato offendermi in qualche modo, avevo sempre il martelletto a portata di mano e avrei potuto sotterrarlo con un solo colpo.

*

Dopo non poche resistenze, Akito si vestì e venne con me al parco. I ciliegi già cominciavano a fiorire e pensai che non avrei mai visto uno spettacolo tanto bello quanto quello.
Avevo visitato decine di città, tutte meravigliose, ma nessuna poteva equiparare la bellezza e la magia che caratterizzava quel giorno.
Akito mi camminava a fianco, pensieroso, e scalciava le pietre che si ritrovava davanti senza dire una parola.
Ero stanca di vederlo ignorarmi, quindi la rabbia prese il sopravvento e sbottai, poggiando il cestino per terra ancora prima di arrivare al prato.
«Vuoi spiegarmi cosa diavolo hai? Mi eviti, mi sembra che tu sia molto arrabbiato con me ma non riesco a capire perchè! Cosa ho fatto per spingerti a comportarti così?! E non rispondere con i soliti monosillabi perchè non sono abbastanza!!»
Lo sguardo di Akito passò da infastidito, a divertito, a insicuro a di nuovo infastidito. Spostò il peso da un piede all'altro, segno che la conversazione non era di suo gradimento, e poi fece volare lo sguardo prima su di me e poi su una mia gigantografia che troneggiava appena fuori dal parco. Sperava che capissi ma, evidentemente, riponeva le sue speranze nella persona sbagliata, quindi gli chiesi ulteriori spiegazioni.
«Allora sei stupida, Sana» cominciò «Pensi che per me sia semplice pensare che tutti ti vedano mezza nuda?»
«Ma cosa ti importa? Io lo faccio per lavoro, non per piacere!»
«Non me ne frega niente, ok? Mi infastidisce, non posso farci nulla. Non sopporto che la mia migliore amica venga data in pasto agli squali.»
Avrei dovuto essere felice delle sue parole, avrei dovuto provare gioia nel sentire che era geloso di me, ma quelle tre parole avevano offuscato la mia mente.
La mia migliore amica.
Io ero la prima a non sapere cosa provavo nei suoi confronti, ma il fatto che lui potesse vedermi solo come la sua più cara amica mi aveva fatto improvvisamente rattristare.
«E se ti dicessi che ho portato un sacco di sushi, mi perdoneresti?» ammiccai, ridendo.
Akito sorrise a sua volta, buttando la testa all'indietro, probabilmente stanco anche lui di litigare.
«Potrei considerarlo.»
_______________________________________________

Pov Akito.

Erano almeno due ore che Sana mi parlava di come avrei dovuto adorarla perchè mi aveva preparato tutto quel sushi solo per farsi perdonare. Non aveva bisogno del sushi per farmi cedere, sarebbe bastata mezza parola e un sorriso messo al posto giusto e io sarei crollato con un castello di carta.
Odiavo che lei avesse quel potere su di me, riusciva a cambiare il mio umore con una parola e io non volevo dare a nessuno il modo di distruggermi così facilmente. Ma Sana possedeva quella chiave di me da molti anni ormai, e non riuscivo mai a riprendermela. C'erano stati periodi in cui mi ero imposto di non amarla, di dimenticarla, di allontanarla dalla mia vita trattandola come una semplice amica, ma ogni tentativo era miseramente fallito, perchè ogni volta che su un giornale veniva pubblicata una sua foto abbracciata a qualsiasi bamboccio di Hollywood mi veniva una morsa allo stomaco e la rabbia si impossessava di me.
Allora cominciavo a colpire oggetti, a prendermela con il mio maestro di karate e con i miei compagni e più di una volta ero stato sull'orlo dell'espulsione.
Sana guardava ammaliata il ciliegio sopra di noi e io, al contrario, guardavo ammaliato lei. I capelli le si muovevano col vento e lei cercava in tutti i modi di trattenerli, ma non ci riusciva mai e le veniva da ridere.
Se c'era una cosa che a Sana riusciva meglio di chiunque altro era proprio ridere, lo sapeva fare così bene che, a volte, riusciva a contagiare anche me.
Si avvicinò per fregarmi l'ultima tortina di riso che avevo nel piatto e tornò a sedersi, ridendo sotto i baffi.
«Allora, hai deciso se accettare la proposta di Berkeley? Già ti vedo, con la felpa al primo falò delle matricole!»
«No, non ho accettato, mi sono già immatricolato alla Todai, non mi andava di partire per poi scoprire che sei morta per la mia mancanza!»
Sana scoppiò a ridere e poi mi consegnò una lettera, senza busta.

Carissima signorina Kurata,
siamo lieti di annunciarle che è stata ammessa alla nostra università. Congratulazioni.
Le faremo avere il calendario delle lezioni e tutto quello che concerne il suo percorso di studi non appena si presenterà alla nostra segreteria ....

Era firmato Università imperiale di Tokyo, ovvero la Todai. Non potevo crederci, anche lei era stata ammessa lì...
Dire che fossi felice in quel momento probabilmente era riduttivo, niente poteva spiegare quanto fossi contento di quella notizia.
Mi buttai su Sana e ci rotolammo per due secondi sul prato, ridendo come mai avevamo fatto insieme.
«Ti piace la notizia, suppongo.»
«Non mi dispiace, si.»
«Bene, perchè ho un favore da chiederti.»
Eccolo, l'inghippo! Ero sicuro che ci fosse qualcosa dietro tutta quella felicità di andare nella stessa università.
«Non avevo dubbi, dimmi.»
«Ho deciso di andare a vivere da sola, e volevo trovare una casa abbastanza vicina all'università. Ne ho già viste un paio, ma non mi va di acquistarla senza avere un parere esterno. Mi accompagneresti a fare qualche giro per gli immobili?».
Il fatto che volesse includermi in una decisione così importante mi rendeva la persona più felice del mondo, ma d'altro canto non riuscivo neanche ad immaginarla a vivere da sola, avrebbe combinato un gran casino.

*

Passammo tutta la settimana successiva a girare per le case che l'agenzia ci indicava. L'agente immobiliare ce ne consigliava alcune, per la loro posizione silenziosa adatta ad una studentessa, e una in particolare mi colpì più delle altre.
Era un'abitazione abbastanza semplice ma allo stesso tempo particolare a causa della camera da letto mansardata, mi sembrava abbastanza vicina allo stile di Sana, che di certo non aveva vissuto in una casa modesta fino ad allora.
Le consigliai di prendere quella, discutendo anche per il prezzo e tutti restauri che necessitava, e alla fine anche lei si decise per la mia stessa scelta.
Il trasloco fu abbastanza veloce, Occhialidasole venne a darci una mano e la mia famiglia praticamente riusciva a vedermi un'ora al giorno, se era fortunata. A me non dispiaceva aiutare Sana, ma il più delle volte si trattava di fare il lavoro tutto da solo, perchè lei era costantemente indecisa su dove posizionare mobili ed oggetti.
Dovevo ammettere che il  risultato finale mi aveva fatto dimenticare tutta la fatica dei giorni passati, la casa risultava luminosa e, grazie al buongusto di Sana in fatto di arredamento, sembrava una di quelle ville che si vedono nelle riviste specializzate. La stanza che maggiormente mi aveva colpito era la camera da letto, era molto spaziosa con un enorme letto e con un bagno altrettanto grande. Ma la cosa che mi affascinava era una vasca posizionata poco distante dal letto e il camino, mi immaginavo con Sana a fare il bagno insieme, illuminati solo dalla luce del camino e poi… Il mio sogno si trasformava in incubo, quando immaginavo un altro uomo compiere con lei quei gesti, ero conscio che prima o poi sarebbe potuto accadere, ma non ero pronto a quell'eventualità.
Una vocina nella mia testa, che guarda caso era quella di Tsu, mi dava del deficiente ogni secondo, ricordandomi che la colpa di tutta quella situazione era solo e soltanto mia, perché non avevo avuto le palle di dirle che lei non era e non sarebbe stata mai solo una semplice amica per me. La voce di Sana mi distolse da questi pensieri, mi si parò davanti e mi diede una scatolina, la  aprii e quello che vidi mi lasciò senza parole. Sana mi aveva dato una copia delle chiavi, dicendomi che potevo andare lì ogni volta che volevo, anche quando lei era via per lavoro.
Quelle erano le chiavi del mio personale rifugio e, grato per quell'incredibile fiducia, la abbracciai godendomi l'odore di vaniglia che i suoi capelli emanavano.








Puntuale come ogni settimana ecco a voi il secondo capitolo della mia storia.
Non ho avuto il tempo di rispondere alle ultime tre recensioni che mi avete scritto, ma lo farò al più presto... intanto vi ringrazio dal più profondo del mio cuore!
Tutti i complimenti, tutte le belle parole... siete meravigliosi!
Adesso vi lascio, al prossimo aggiornamento!
Un bacio,
Akura.

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Capitolo 4
*** Portafortuna. ***


CAPITOLO 3.
PORTAFORTUNA.

Pov Akito.

In casa di Sana c'era una gran confusione, persone che entravano ed uscivano per ammirare il suo salotto. I tavoli erano pieni di cose da mangiare e avevo sentito persino qualcuno farle i complimenti per la sua cucina.
Anche quella, opera mia.
Gironzolavo nervosamente in mezzo a tutta quella gente, la mano sinistra nella tasca che stringeva forte la chiave che Sana mi aveva dato, e l'altra con il terzo bicchiere di vino. Stavo cominciando a sentirmi su di giri, ma non rischiavo sicuramente di sentirmi male perchè conoscevo bene i miei limiti ed ero ancora ben lontano dal superarli.
Vidi che la cucina era vuota e mi ci fiondai, in cerca di un po' di tranquillità, ma sapevo benissimo che non sarei mai stato così fortunato da rimanere solo per almeno cinque minuti, perchè Tsuyoshi si comportava come se stesse impazzendo per dirmi qualcosa.
Quando lo vidi entrare in cucina dietro di me sbuffai e versai altro vino nel mio bicchiere, forse avrei potuto attutire la pesante conversazione con il migliore amico di un uomo, l'alcol.
«Allora... carina la casa, no?».
«Molto. Se solo Sana avesse mosso un dito per renderla tale.»
Tsuyoshi rise e io, uscendo la mano dalla tasca, per sbaglio feci cadere la chiave. Mi maledissi mentalmente per la mia distrazione, mentre Tsu si abbassava a raccoglierla da terra.
«E questa cosa sarebbe?»
«La chiave di casa di Sana. E non cominciare con la solita predica, non sono dell'umore adatto!»
Tsuyoshi abbassò lo sguardo e fissò per un paio di secondi la chiave che aveva tra le mani, incerto su cosa dirmi e soprattutto come dirmelo.
«Io ho smesso di fare le prediche, Akito, ma questa chiave non è sicuramente fine a se stessa, sappilo.»
Odiavo quelle frasi criptiche, e lui lo sapeva benissimo. Lo faceva per incuriosirmi, per farmi sviluppare una serie di domande a cui non avrei mai trovato risposta, quindi mi induceva a trovarle nelle sue parole.
Se non fosse stato mio amico, probabilmente avrei dovuto pagarlo per tutte quelle sedute di psicoanalisi a domicilio che mi riservava. Lo incitai ad andare avanti.
«E' un segnale, Akito. Ti sta aprendo la porta non solo di casa sua.»
E quello cosa significava? Il mio primo pensiero, lo ammetto, non fu certo casto, ma immediatamente scacciai quell'immagine, non potevo lasciarmi distrarre dai miei pensieri... particolari su Sana.
«Alcune volte mi domando perché dopo tutti questi anni ancora perdo tempo ad ascoltare le tue frasi senza senso sul mio rapporto con Sana. Sempre questi giri di parole! Per una volta non potresti parlare in maniera diretta, senza che io sia costretto ad interpretare i tuoi deliri? Se hai qualcosa da dire, fallo senza girarci troppo intorno.»
Tsuyoshi prese a guardare per terra, destabilizzato dalle mie parole, ma in realtà l'unica cosa che volevo era che mi spiegasse e soprattutto che mi aiutasse, perchè da solo non potevo farcela, non con una situazione come quella tra le mani.
«E’ una vita che cerco di dirti come stanno le cose in maniera più o meno esplicita, ma tu non vuoi capire e soprattutto non riesci mai a parlare di Sana senza andare di matto.
Comunque la verità è sempre e solo una: lei è innamorata di te, ma sai che è tarda e non riesce a capire nemmeno se stessa. Quindi il mio consiglio è solo uno, prendi coraggio e fai la prima mossa, altrimenti ti ritroverai tra qualche anno senza Sana, semplicemente perché qualcuno che si fa meno pippe mentali di te e la porterà via.»
Abbassai lo sguardo anch'io, rigirandomi tra le mani la chiave dell'appartamento.
«Ci penserò su, magari questa chiave sarà il mio portafortuna.»


*

La gente cominciò lentamente ad andarsene, per ultimi Tsuyoshi e Aya insieme a Fuka e al suo ragazzo che mi aveva dato l'impressione di essere un mezzo psicopatico. Entrambi erano stati accettati da un'università poco lontana da Tokyo, e quindi non ci avrebbero fatto compagnia per i prossimi quattro anni. Poco male, almeno non avrei avuto Fuka a dare consigli a Sana per qualsiasi cosa, perchè non mi fidavo del suo giudizio, considerato anche l'elemento con cui stava attualmente.  
Anche se dovevo ammettere che il ragazzo di Fuka era la persona più normale del mondo se rapportato a quella sottospecie di troglodita che stava con mia sorella e che, da quando erano arrivati, non aveva fatto altro che bere e trovare ogni scusa possibile ed immaginabile per andare via, a fare… Dio solo sa cosa. Quel ragazzo non mi piaceva, si vedeva ad un miglio di distanza che voleva solo portarsela a letto. Avevo cercato di parlare con Nat, ma dopo l’ultima volta in cui avevamo seriamente litigato e non c’eravamo parlati per una settimana, avevo deciso di non intromettermi più.
Quando Sana chiuse la porta e si girò, mi vide ancora lì e sobbalzò. «Come mai non sei andato via anche tu?» domandò mentre raccoglieva bottiglie varie.
«Ti aiuto a mettere a posto, genia. C'è un casino qua dentro.»
In realtà non volevo andarmene per niente, erano gli ultimi momenti che avrei potuto passare con lei per almeno una settimana, perchè dovevo prepararmi per prendere l'abilitazione per diventare maestro e, con Sana nei paraggi, non avrei potuto di certo concentrarmi.
Sembrava che al buffet fossero passate delle cavallette, non era rimasto niente, neanche un piccolo pezzo della famosa torta crema  e cioccolato della signora Shimura. Io e Sana non eravamo riusciti a toccare cibo, ma la cosa che mi dispiaceva di più era non aver potuto brindare da solo con lei. Mentre ero ancora indaffarato a toglier bottiglie vuote di vino pregiato, sentii Sana che mi chiamava dalla cucina, quando entrai la trovai seduta sulla penisola con in mano un piatto con un’enorme fetta della nostra torta preferita e vicino due calici con dello champagne.
La guardai e mi avvicinai, sedendomi accanto a lei, e mi passò una forchetta.
Quando ormai la torta stava per finire, per evitare che mangiassi l’ultimo pezzetto, Sana si avventò sulla mia mano e morse le mie dita per rubarmelo e, sentendo la sua bocca sfiorarmi, dovetti fare affidamento su tutto il mio autocontrollo per non sdraiarla su quella penisola e dare vita a tutte le mie fantasie.
Mi allontanai da lei con la scusa di dover togliere le ultime cose dal tavolo. Lei mi seguì, si tolse le sue scarpe tacco dodici e si buttò sul divano.
Mi voltai a guardarla.
Il petto si alzava e abbassava piano, i capelli le ricadevano scompostamente sul viso e aveva le guance rossissime. Aveva ancora qualche traccia del trucco, un ombretto scuro che rendeva i suoi occhi ancora più magnetici e un rossetto rosso che, però, si era un po' consumato durante la serata.
Era bellissima.
Dopo essermi asciugato le mani la presi e sperai che non si svegliasse, la portai a letto e le rimboccai le coperte.
Ero indeciso se stendermi vicino a lei, temendo che la mattina dopo avrebbe dato di matto trovandomi nel suo letto, ma alla fine non riuscii comunque a separarmi da lei e, dopo essermi tolto la camicia, mi addormentai accanto a lei.


Pov Sana.

Mi svegliai di soprassalto durante la notte, e non rimasi meravigliata di trovare Akito che dormiva accanto a me, doveva essere esausto anche lui dopo tutto quel lavoro.
Notai solo in un secondo momento che non portava la camicia, prima di allora l'avevo visto solo al mare a petto nudo, quindi rimasi per un secondo a fissarlo. Era probabilmente ciò che la gente comune chiama perfezione.
Mi girai di spalle, per non guardarlo più, ma ottenni la reazione contraria: tutto il mio corpo voleva che mi avvicinassi a lui. Cercai di combattere quell'impulso ma non c'era niente da fare, era più forte di me, quindi mi girai e mi accoccolai sul suo petto, inspirando il suo profumo di colonia da uomo e... profumo di Akito.
La mattina dopo, quando mi svegliai, Akito dormiva ancora profondamente ed io mi soffermai a guardarlo alla flebile luce del giorno e mi ritrovai a pensare che mi sarebbe piaciuto poter usare Akito come cuscino. Decisi di scacciare quel pensiero e tentai di alzarmi il più piano possibile per non disturbare il suo sonno, ma il mio piano fallì miseramente, perché notai due occhi color ambra che mi stavano fissando. Restammo dei minuti a guardarci, poi Akito decise di rompere qual gioco di sguardi dicendomi che doveva andare a casa perché aveva bisogno di una doccia.
Un sorriso compiaciuto nacque sulle mie labbra, gli intimai di chiudere gli occhi e lo portai all’interno della cabina armadio. Quando gli diedi il permesso di guardare lui restò esterefatto, notando che avevo acquistato delle tute per quando sarebbe rimasto da me. Gli dissi che mentre io facevo la doccia poteva andare a comprare i cornetti. Quando rientrò io ero già in cucina a preparare il  cappuccino, abitudine presa durante un mio viaggio di lavoro in Italia, e una spremuta.
Mi sentivo un po' in uno di quei vecchi film americani, dove la ragazza indossa la camicia del fidanzato e gli prepara la colazione con pancakes e sciroppo.
Akito fece capolino in cucina circa dieci minuti dopo, con la tuta grigia che gli avevo comprato  e di cui, stranamente, avevo azzeccato misura e colore.
«Buon giorno, Hayama. Cappuccino?»
«Chi sei tu, e cosa ne hai fatto della mia amica?» rispose mangiando un pezzo di uovo che gli avevo messo davanti.
«Te l'avevo detto che non sono così male come cuoca».



*

Ormai era passata una settimana, Akito non si era più fatto sentire in vista dell'incontro importante a cui doveva sottoporsi. Ero così fiera di lui, così contenta che finalmente, dopo tanto tempo, fosse riuscito a portare termine un percorso che gli era costato fatica e moltissima dedizione.
Presi il telefono, mentre ero alle prese con casa mia che lentamente decideva di cadere a pezzi in assenza di Akito, e lo chiamai.
«T'avevo detto di non chiamarmi, Kurata.». Rispose così, e già la conversazione si rivelava più difficile del previsto.
«Come vanno gli allenamenti? Ti senti pronto?»
«Andrebbero meglio se non mi avessi disturbato in realtà, ma sono contento di sentirti. Come te la passi senza di me?»
Era proprio quello il punto a cui volevo arrivare.
«A proposito di questo.... non è che potrei venire a vederti domani? E' un incontro troppo importante e voglio esserci! Ti prego!».
Sfoderai tutte le mie doti da bambina capricciosa e, dopo non pochi tentennamenti, acconsentì a farmi andare in palestra ad assistere.
«Solo una cosa: indossa i jeans, non permetterti a venire con una gonna. Lì dentro è pieno di maschi che sarebbero pronti ad alzarla nel giro di dieci secondi.».
Dopo le paranoie per la mia sicurezza chiuse la chiamata, dicendomi che doveva allenarsi, e ci salutammo dandoci l'appuntamento per il giorno dopo.


Pov Akito.

Sana, ovviamente, non aveva seguito le mie direttive e si era presentata con un vestito, non troppo corto, ma mai una volta che facesse ciò che le dicevo.
Dovevo essere concentrato al cento per cento, invece ogni volta che schivavo un colpo, vedevo quelle benedette gambe nude sugli spalti e mi veniva il vuoto allo stomaco.
Avevo battuto tutti gli avversari che mi erano stati assegnati quel giorno e, stranamente, la presenza di Sana in un certo qual modo mi confortava.
Prima dell'inizio dell'esame era venuta nello spogliatoio, non curandosi nemmeno delle decine di uomini nudi che avrebbe potuto trovarci, mi aveva abbracciato e mi aveva detto «Stai tranquillo, sei bravissimo, e non uccidere nessuno solo perchè ci prova con me, so badare a me stessa.»
Facile a dirsi, difficile a farsi.
Il successivo candidato era Takeijo Shinatsu, quel deficiente che aveva fatto apprezzamenti su Sana e che era stato gentilmente cacciato via da casa mia.
Dopo l'inchino di tradizione, ci mettemmo in posizione e l'incontro iniziò.
«Vedo che anche oggi sei accompagnato dalla bella rossa, cos'è.. siete fidanzati?»
Cercavo di non ascoltarlo, ma le sue parole mi deconcentravano e capii immediatamente che era proprio quello il suo intento.
Avrebbe fallito.
Diedi un colpo ben assestato, ma non bastò a buttarlo a terra.
«E' davvero una ragazza... appetibile.». Disse quella parola come se avesse voluto davvero mangiare Sana e solo il pensiero mi disgustava profondamente.
«Penso che qualsiasi ragazzo la consideri una preda.»
Calmati, Akito...
«Io, di sicuro, si. Mi piacerebbe scoprire cosa c'è sotto quella gonna.»
Respira, Akito...
«Sono sicuro che si divertirebbe molto con me.»
Devi resistere, Akito...
«Ma almeno te la sei scopata?»
Era troppo.
Diedi un colpo più forte di quanto avessi potuto fare, l'arbitro comunque non si accorse della potenza del calcio e non mi penalizzò in alcun modo, ma il ragazzo di fronte a me cadde di colpo a terra e l'incontro fu decretato terminato.
Mi abbassai, abbastanza vicino da potergli parlare all'orecchio, e appoggiai una mano per terra per tenermi in equilibrio.
«Non me la scopo, e tu non provare neanche a pensare di avvicinarti a lei... non te lo consiglio se non vuoi ritrovarti paralizzato dalla testa ai piedi.»
Dettò ciò mi alzai, strinsi la mano all'arbitro e ai ragazzi della palestra e mi diressi verso il mio maestro, che mi avrebbe dato il mio atteso certificato di abilitazione.
Finalmente ce l'avevo fatta, e tutto grazie a Sana. Mi pentii di non averla fatta assistere ad altri combattimenti, ma forse era stato meglio non rischiare.
Tuttavia, quando corse ad abbracciarmi per congratularsi con me, il rimpianto fu ancora più forte.
«Sei il mio portafortuna, Kurata.» dissi mentre la stringevo ancora di più a me.
E lo era davvero, perchè la forza di vincere quegli incontri me l'aveva data lei e non avrei saputo come ringraziarla.
«Sei tu che sei stato grandioso, io ho solo pregato un po' i Kami per te!».
La feci girare per tutta la palestra, mentre tutti probabilmente pensavano fossimo una coppia.
Dovevo ammettere che, anche se tutto si era limitato ad un breve momento, quella sensazione non mi dispiaceva affatto.







Puntuale come al solito, ecco a voi il terzo capitolo.
Piccola comunicazione di servizio: il 12 agosto partirò per le vacanze, ma i capitoli saranno postati dalla mia Beta, Dalmata, quindi non preoccupatevi.
Tornerò il 29, per poi ricominciare a scrivere perchè con la stesura sono ferma al capitolo 9. Spero che continuerete ugualmente a seguirmi, vi lascio in buonissime mani!
Ps: controllerò ugualmente le recensioni e, se mi sarà possibile, risponderò a tutti...
Un bacio e buone vacanze a me e a chiunque parta in questi giorni!
Akura.

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Capitolo 5
*** Ostacoli ***


CAPITOLO 4.
OSTACOLI.


Pov Akito.

Ormai erano passati mesi dall'ultimo incontro con Sana, il tour per la promozione del suo ultimo film l'aveva tenuta sempre impegnata durante l'estate e avevamo avuto la possibilità di sentirci solo per telefono.
Come al solito, le telefonate erano per lo più brevi, ma piene di prese in giro e risate, ma non avrei mai osato dire che sopperivano alla sua assenza, perchè Sana mi mancava in modo indescrivibile, più di tutte le altre volte.
All’inizio avevo attribuito quella sensazione al bacio che ci eravamo scambiati la sera del ballo, ma poi riflettendoci bene avevo capito che questo senso di perdita derivava soprattutto dal fatto che mi mancava fisicamente. Se negli anni addietro sentire la sua voce riusciva a colmare la distanza, adesso avevo bisogno di avere un vero e proprio contatto, anche se in maniera accidentale. Quando la abbracciavo mentre guardavamo un film, quando le facevo il solletico e la vedevo ridere fino alle lacrime, quando le scostavo qualche ciocca dei suoi capelli davanti al viso, erano queste le cose che mi facevano sentire vivo. Era come se il mio corpo si nutrisse di quei gesti, che riuscivano a creare una sorta di alchimia tra noi.
In quel periodo il tempo per pensare non mi era di certo mancato, avevo ponderato più volte di recidere quel filo invisibile che mi teneva legato a Sana, perché ero arrivato alla conclusione che prima o poi l’avrei persa. Lei stava sbocciando in tutta la sua bellezza e stava diventando sempre più famosa e prima o poi sarebbe arrivato qualcuno che me l’avrebbe portata via. E a quel punto sarei rimasto solo a raccogliere i cocci e, onestamente, non sapevo se avrei trovato la forza di reagire.
Quelle paranoie mi avevano tolto buona parte del sonno e così avevo deciso di parlarne con Tsu.  Lui mi aveva guardato sconvolto, dicendomi che Sana non era come le altre star, e che se non volevo perderla dovevo rischiare. Decisi di essere completamente onesto con lui e gli confidai che il fatto di non essermi mai spinto oltre non era da imputare solo alla paura di un rifiuto, che avrebbe incrinato per sempre la nostra amicizia, ma soprattutto al fatto che, in un modo o nell'altro, avrei potuto anche rovinare le cose col mio brutto carattere. Io, d'altro canto, avevo preso ad insegnare ai bambini della palestra, affiancato sempre da un maestro più adulto che mi aiutava nel far apprendere anche ai più piccoli le tecniche basilari. Avevo preso un po' sottogamba la faccenda dell'insegnamento, avevo sempre pensato che spiegare a qualcuno una tecnica di movimento piuttosto che un colpo non irregolare fosse una passeggiata, perchè io ero in grado di farlo, ma mi ero accorto ben presto che gestire quindici bambini che vogliono darsele di santa ragione, non era un compito facile.
Tuttavia, tutto l'impegno che mettevo con i marmocchi, mi permetteva di pensare sempre meno alla lontananza di Sana e, anche se per qualche ora, il mio cervello riusciva a non darmi il tormento.
Mentre tornavo a casa, avevo involontariamente percorso la strada all'interno del parco, e mi ero ritrovato lì... sotto il nostro gazebo.
Avevo pensato mille volte che, se mai un giorno avessi dovuto chiedere a Sana di sposarmi, l'avrei fatto lì, nel luogo che aveva custodito l'inizio del nostro rapporto, che era stato testimone di tutti i nostri bei momenti.
Mi ero seduto a guardare i ciliegi che cominciavano a perdere la loro bellezza, in vista dell'autunno, quando mi squillò il telefono. Sapevo benissimo che era Sana, quindi risposi senza neanche guardare.
«Ciao, Kurata.»
«Ho una sorpresa per te.»
Sana era una continua sorpresa, quindi quando sfoderava quella carta io ero già pronto a qualsiasi cosa.
«Dimmi che non torni più, dimmi che non torni più!»scherzai io, per farla innervosire.
«Spiritoso! No, in realtà volevo dirti che... sono a casa tua.»
Il mio corpo si gelò in un istante, a casa mia c'era Nat... e la sua situazione non era di certo delle migliori.
Mia sorella aveva avuto un'estate d'inferno, niente a che vedere con la mia, perchè il suo ragazzo l'aveva lasciata. Quella non sarebbe stata una tragedia se lui non l'avesse abbandonata mentre dentro di lei cresceva un'altra creatura.
Io e mio padre l'avevamo scoperto pochi mesi prima, quando avevamo notato che Natsumi comprava magliette sempre più larghe, quindi un giorno scherzai sul fatto che sembrassero magliette premamam.
Quando mia sorella scoppiò a piangere davanti ai miei occhi, capii immediatamente che avevo colto nel segno e non pensai minimamente a come potesse stare lei, ma immediatamente nella mia testa cominciarono ad affollarsi immagini di quel bastardo del suo ragazzo massacrato dalle mie mani. C'erano volute ore prima che mi calmassi, e anni prima che io riuscissi ad abbracciare veramente mia sorella.
Aveva pianto così tanto... e io non riuscivo a capire come potesse un uomo scappare via davanti ad una cosa più grande di lui, come potesse rinunciare ad un figlio.
Dopo aver chiuso la telefonata, corsi a casa, sperando di limitare i danni da entrambe le parti.
Sana si sarebbe arrabbiata a morte perchè non gliene avevo parlato, ma ero sicuro che avrebbe capito le mie ragioni, perchè l'avevo fatto anche per proteggere lei.


______________________________________________
Pov Sana.

Chiusi la telefonata con Akito e suonai alla porta, contenta di rientrare in quella casa dopo così tanti mesi.
Casa sua ormai era diventata un po' come il mio eterno rifugio, quando a scuola qualcosa andava storto entravo sempre in camera di Akito e mi ritrovavo in pace con il mondo.
Sentii dei passi pesanti provenire dall'interno, scendere le scale e arrivare proprio davanti alla porta che, però, non si aprì subito.
Dopo qualche secondo, che mi parve un'eternità, finalmente Natsumi affacciò alla porta, con un'espressione sconvolta sul viso che, stranamente, era più paffuto del solito.
Sorrisi e, senza aspettare che mi invitasse, entrai in casa. La abbracciai immediatamente, anche se non aveva detto nulla ero sicura che fosse felice di vedermi, ma poi sfoderò uno dei suoi sorrisi più belli.
«Fatti guardare, Natsumi! Sei bellissima!»
«Dicono che la gravidanza renda radiose!»
Quella frase mi lasciò interdetta perchè, complice la mia eterna sbadataggine, non avevo affatto notato che Natsumi vantava un pancione che solo io potevo non aver visto e, improvvisamente, mi ritrovai con la mano tesa per accarezzarlo.
Ero senza parole.
«Ma... come... Akito... Natsumi cosa...?». Balbettavo, segno che il mio shock era forte, a me non mancavano mai le parole.
Natsumi mi sorrise, facendomi cenno di seguirla in cucina, e cominciò a spiegarmi.
«Sono incinta di sei mesi. Quando tu sei partita, mio padre e mio fratello ancora non ne sapevano nulla... poi ovviamente ha cominciato a notarsi e, al quinto mese, ho dovuto confessare.»
Ascoltavo assorta le sue parole, non riuscivo a crederci. Natsumi aveva due anni in più di me e Akito, come avrebbe potuto crescere un figlio se ancora la bambina era proprio lei?
L'avevo sempre immaginata mamma, nonostante i precedenti con il fratello, sapevo che Koharu gli aveva trasmesso il valore della famiglia e che lei stessa se ne sarebbe creata una prima o poi, ma non pensavo l'avrebbe fatto così presto.
Lei venne a sedersi accanto a me, e io continuavo a fissarla perchè i tratti di quella che ricordavo una ragazza come tante, si erano improvvisamente trasformati in quelli di una donna che non poteva più pensare solo a se' stessa, perchè condivideva il corpo con un altro essere.
«E il bambino è di... di quel ragazzo che hai portato alla mia festa?» chiesi, sperando che non fosse come invece avevo intuito non appena l'avevo ascoltata. Natsumi non aveva la faccia preoccupata di una mamma giovane, ma aveva la faccia distrutta di una mamma giovane e single.
«Si, di Konhiro, ma...».
Non riuscì nemmeno a terminare la frase che le lacrime le ruppero la voce. Anche a me si inondarono gli occhi e, per farle capire che poteva contare su di me, la abbracciai forte. Non sapevo dire molto in situazioni come quelle, ma a dare abbracci ero fenomenale, quindi cercai di trasmetterle tutto il mio affetto attraverso quello.
Quando, finalmente, smise di essere scossa dai singhiozzi, io le accarezzai la schiena e la invitai a spiegarmi, a parlarmi, ad appoggiarsi a me. Ero pronta a sostenere qualsiasi peso, per lei. Natsumi negli ultimi anni non era più solo la sorella del mio migliore amico, ma una mia cara amica a sua volta, ci vedevamo e sentivamo spesso, e avevo scoperto in lei una persona che mai avrei detto, quindi vederla in quello stato mi ferì profondamente perchè non era di certo la ragazza che si meritava una sofferenza del genere.
«Sfogati, Nat... ti conosco e so che c'è qualcosa che non va, oltre all'ovvio si intende.»
Si alzò dal divano e andò in camera sua, per poi tornare con in mano una cartelletta che mise subito nelle mie mani.
«Leggi e capirai.»
La aprii, ma non ne avevo alcun bisogno, conoscevo fin troppo bene quei documenti perchè mia madre me li aveva mostrati quando mi aveva rivelato la verità sulla mia nascita.
Erano i documenti per l'adozione.
Mi voltai verso Natsumi e non riuscivo a credere che potesse anche solo pensare di separarsi da suo figlio.
«Vuoi darlo in adozione...?»
Natsumi sembrava confusa, non sapeva davvero cosa fare e la sua confusione mi fece pensare a come poteva essersi sentita mia madre quando aveva scoperto di aspettare me.
Forse anche lei aveva sentito quel senso di impotenza, a maggior ragione perchè Keiko aveva solo quattordici anni quando scoprì di essere incinta.
«Sana io... non so cosa fare. Da una parte la sola idea di lasciarlo mi fa stare malissimo, ma dall'altra... cosa potrò mai offrire a questo bambino?».
Il suo discorso filava, razionalmente parlando non aveva tutti i torti, ma io non riuscivo comunque a concepirlo.
Io venivo da una storia simile e, anche se ero stata fortunata nel trovare la mia mamma, avevo sempre pensato a come sarebbe stata la mia vita se fossi cresciuta con la mia madre biologica.
«Il tuo amore, Nat. Mia madre ha deciso per me, mi ha allontanato... e io so che l'ha fatto per darmi la mia migliore possibilità, ma io avrei voluto che desse una possibilità a noi due. Non l'ha fatto, e io ho trovato una vera madre ad accudirmi, ma non sempre è così per tutti...»
Sperai di averla convinta, ma lei sembrava sempre ferma sulla sua scelta, quindi decisi di accantonare per un attimo l'argomento chiedendole se fosse maschio o femmina.
Era una bambina, e già mi sembrava di vederla: speravo che gli occhi li ereditasse dalla madre, Nat li aveva di quel castano che ti fa pensare alle montagne, alla calma e quiete che solo lì puoi trovare, e poi con i capelli tutti arruffati come suo zio.
Speravo che lei si rendesse conto dell'enorme sbaglio che stava facendo perchè, se si fosse pentita in seguito, sarebbe stato troppo tardi.

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Pov Akito.

Avevo cercato di fare meno rumore possibile entrando in casa, perchè volevo fare anch'io una piccola sorpresa a Sana portandole un enorme pacco di cioccolatini che avevo comprato strada facendo.
Quando avevo aperto piano la porta, avevo sentito Sana e Natsumi parlare in cucina quindi mi ero limitato ad avanzare nel corridoio in silenzio per cercare di ascoltare la loro discussione.
Improvvisamente calò il silenzio, e poi sentii Sana dire «Vuoi darlo in adozione?»
Per poco non mi sentii male. Mia sorella voleva prendere suo figlio, mio nipote, e portarlo in un orfanotrofio e aspettare che qualcuno gli desse l'amore che avrebbe dovuto dargli lei.
Non potevo accettarlo. Dovetti frenarmi in modo particolare per non entrare in cucina e urlarle in faccia che non poteva farlo e soprattutto che io non gliel'avrei lasciato fare. Non capii molto di ciò che si dissero dopo, aspettai che cambiassero argomento e feci qualche rumore per far sentire la mia presenza, entrando in cucina con in mano i cioccolatini che avevo comprato.
Non appena Sana mi vide sfoderò uno dei suoi sorrisi più belli e, dopo mesi, finalmente mi sentii completo.

*

Quando Sana aveva smesso di rimproverarmi perchè non le avevo detto nulla di Natsumi, cominciammo a parlare del suo tour e della mia esperienza da insegnante, cercando di non farci distrarre dalla vicenda di mia sorella.
Paradossalmente, però, entrambi cercavamo di riportare l'argomento a galla, per riuscire a chiarire i nostri pensieri. Visto che non ero riuscito a carpire tutto della loro discussione, ero ansioso di sapere cosa ne pensasse lei dell'idea di Natsumi di dare la bambina in adozione, perchè io non riuscivo neanche a pensare ad una cosa del genere.
Mentre stavamo mangiando il dolce, Sana si fece pensierosa. Sapevo che pensava a Natsumi, alla sua situazione, alla bambina che portava in grembo e a quale sarebbe stato il suo futuro se lei avesse preso quella decisione, ma non sapevo se parlarne o meno.
«A che pensi?» le chiesi evasivo, spostando un pezzo di cioccolato da una parte all'altra del piattino.
«Penso alla bambina. So che hai ascoltato la conversazione, ti si leggeva chiaro in faccia che eri sconvolto quando sei entrato.»
Mi conosceva fin troppo bene, eppure spesso non riusciva ancora a capire ciò che era ovvio agli occhi di tutti.
«Già..» risposi «Mi sembra assurdo che voglia lasciare sua figlia.»
«Non lo farà... deve solo sciogliere il gelo che ha dentro e rendersi conto che se ne pentirebbe fino alla fine dei suoi giorni.»
Improvvisamente, dopo quelle parole, mi resi conto che Sana non era più una bambina. Non fisicamente parlando, ovviamente. Era cresciuta molto negli ultimi tempi, non era più la ragazzina sbadata che non faceva altro che combinare casini uno dietro l'altro, e neppure quella che aveva una visione delle cose tanto ottimista da farsi odiare. Adesso era diventata una ragazza responsabile, capace di comprendere quando una situazione si fa difficile e quando può essere risolta e, se non è così, arrendersi.
La situazione di  Natsumi era entrambe le cose, tutto dipendeva da come lei avrebbe affrontato la maternità. Noi, anche se le stavamo accanto, non potevamo fare molto a parte consigliarla... la decisione era sua e di nessun altro.
Uscimmo dal ristorante e, mentre ci dirigevamo in macchina, la conversazione si spostò sull'argomento quanto sono stronzi gli uomini.
Partendo dal presupposto che non sempre sono gli uomini ad essere stronzi, ma le donne ad essere un libro chiuso, sigillato e anche nascosto, io avevo sempre pensato che dietro ad ogni comportamento si nascondesse qualcosa di più profondo. Io non ero cattivo, almeno avevo smesso di pensarlo, eppure venivo spesso accusato di essere un ragazzo stronzo e insensibile.
Non ero insensibile, ero semplicemente disinteressato.
«Per esempio, il ragazzo di tua sorella è stato così bastardo perchè, non solo l'ha lasciata, ma l'ha lasciata sapendo che era incinta. I maschi sono tutti così, ti usano per i loro scopi e poi ti buttano, come se fossi un fazzoletto usato.»
Il tragitto in macchina fu più o meno tutto su quei toni, Sana accusava Konhiro di essersi comportato da bastardo e che l'unico modo che aveva per riscattarsi era presentarsi in ospedale non appena la bambina fosse nata, ma non era sicura neanche in quel caso che sarebbe stato degno di essere perdonato. Io, da fratello, ovviamente lo avrei ammazzato di botte, ma cercavo di non pensarci perchè ormai erano due mesi circa che la mattina mi alzavo con l'idea di andare a casa sua e ucciderlo con le mie stesse mani, ma avevo fatto così tanti progressi nel contenere quell'impulso che cedere alla fine mi sembrava troppo facile.
Entrammo in casa sua e, dopo esserci tolti le scarpe, ci eravamo buttati sul divano, continuando a parlare del comportamento di Konhiro.
«Un uomo non si fa scrupoli a venire a letto con te e, il giorno dopo, trattarti come se non fosse successo niente. Per esempio, neanche tu te ne fai con tutte le ragazze che vengono a vederti combattere, immagino che la frase una botta e via per te sia più appropriato che per chiunque altro.»
Inizialmente pensai che scherzasse, ma poi mi resi conto dalla sua espressione che non stava affatto giocando, era serissima e continuava a guardarmi come se volesse trafiggermi con mille coltelli.
Ma neanche io ero tranquillo, mi stava accusando praticamente di essere un puttaniere e non era una cosa che potevo accettare. Non tanto per l'offesa in se', non mi importava particolarmente di quella, ma più che altro perchè non capivo come lei potesse dire quelle cose su di me quando lei stessa aveva atteggiamenti peggiori?
Chi, dei due, doveva vedere ogni settimana una foto scattate agli eventi di tutto il mondo, sempre con una persona diversa.
«Scusami, stai parlando di me o... di te? Sai, sei tu quella che ogni settimana è a una festa diversa con un accompagnatore differente. La settimana scorsa chi era, fammi pensare, Kamura o qualche altro attore da quattro soldi? Non riesco a tenerne il conto.»
Le parole uscirono dalla mia bocca come un fiume in piena, come quando una diga si rompe e tutta l'acqua che c'era al suo interno viene liberata.
«Ah parli di me? Ma se sei tu quello che ha stuoli di ragazzine che sarebbero pronte a fare carte false per ricevere anche un sorriso.»
«Ma, a differenza tua, io non glielo concedo. Io non so cosa fai tu, durante i tuoi fantomatici viaggi di lavoro, quindi non venire a fare la predica a me!»
Le mie parole dovettero scioccarla davvero perchè, improvvisamente, la vidi alzarsi e pararsi davanti a me.
«Ma cosa stai insinuando?! Che io la do a destra e a manca durante i miei viaggi o i party di lavoro?!»
Era arrabbiata, furiosa addirittura, e lo riconoscevo dal fatto che aveva cominciato a gesticolare più del solito. Ma ormai il danno era fatto, tanto valeva tirare fuori tutte le mie perplessità, prima che fosse troppo tardi.
«Parole tue, non mie.»
Detto ciò, raccolsi la mia giacca da terra, mi diressi alla porta e, dopo essermi infilato alla buona le scarpe, uscii sbattendo la porta.

_____________________________________________

Pov Sana.

La discussione con Akito era stata devastante, non ci era mai capitato di litigare così furiosamente, almeno non per argomenti veramente importanti.
Ci eravamo detti delle cose bruttissime, io lo avevo palesemente accusato di usare le ragazze e lui, d'altro canto, non si era risparmiato nel dirmi che, secondo lui, io avevo atteggiamenti poco opportuni quando ero lontana da casa.
Mi venne quasi da piangere, perchè ora che il nostro rapporto sembrava stare prendendo una piega più definita dovevamo per forza essere noi a complicare le cose.
Guardai fuori dalla finestra e mi accorsi che fuori pioveva a dirotto, la pioggia era fittissima e Akito quando era nervoso guidava in modo troppo spericolato, quindi immediatamente il cuore mi si strinse.
Lo chiamai centinaia di volte al cellulare, migliaia forse, ma non ricevetti nessuna risposta e cominciavo davvero a preoccuparmi.
Lo odiavo quando si comportava in quel modo, era totalmente irresponsabile e non pensava minimamente all'effetto che questo poteva avere sulle persone che gli stavano a fianco.
Se gli avessero chiesto di saltare da un dirupo lui, per spirito di trasgressione, l'avrebbe fatto e se c'era un lato del suo carattere che non potevo far altro che odiare, era proprio quello.
Avevo sempre sperato che, crescendo, il suo carattere si smussasse un po' ma Akito era così: o bianco o nero. Non c'erano vie di mezzo, non esisteva il grigio nella sua scala cromatica, era un continuo eccesso.
Avrei voluto che la stessa determinazione l'avesse messa nel nostro rapporto, per schiarire le mie idee e soprattutto perchè quella situazione di stallo faceva male a tutti e due e, anche se lui non lo diceva e non lo dava a vedere, non riusciva più a sopportarla.
La pioggia continuava incessante e la preoccupazione dentro di me aumentava a dismisura.
Mi girai di scatto quando sentii la serratura girare.
Akito entrò di scatto in casa mia e, non appena incrociò il mio sguardo, si fiondò su di me per abbracciarmi.
Sapevamo entrambi che quello equivaleva a delle scuse, quindi non ci fu bisogno di dire nulla, ma ci scostammo quasi subito per guardarci negli occhi.
Pensai che, finalmente, il momento fosse arrivato. Se Akito mi avesse baciato, e speravo davvero che lo facesse, avrei finalmente fatto chiarezza nella mia mente e, soprattutto, nel mio cuore.
Ma, ovviamente, il fato non era d'accordo con me e, improvvisamente, squillò il telefono.
La magia era finita.
Akito sbuffò e prese il cellulare, rispondendo alla chiamata.
Io mi scostai, mi veniva quasi da ridere per l'assurdità della situazione.
«Pronto? Si, sono io. Cosa? No... non è vero. Arrivo subito!»
Gli occhi di  Akito divennero vuoti e, anche se non sapevo ancora di cosa si trattasse, sentivo che il mio cuore diventava sempre più pesante.
Era successo qualcosa di grave. 

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Capitolo 6
*** Distrutto ***


CAPITOLO 5.
DISTRUTTO.

Pov Akito.

Nella mia mente avevo il vuoto. Guidavo, ma non riuscivo a guardare davvero la strada. Sentivo solo un gran vuoto al centro del petto.
Se qualche anno prima mi avessero detto che mi sarei sentito in quel modo per qualcosa successa a Natsumi, avrei riso e negato assolutamente. La odiavo.
Eppure, in quel momento, quando dall'ospedale mi avevano chiamato per dirmi che mia sorella aveva avuto un incidente, mi ero sentito completamente e inesorabilmente vuoto.
Mi voltai a guardare Sana, aveva lo sguardo perso davanti a se' e dall'occhio sinistro le scendeva una lacrima, piccolissima, forse impercettibile ma carica di dolore.
Misi la mano sul cambio, e Sana di scatto pioggiò la sua sulla mia.
Un gesto insignificante, in realtà, non poteva trasmettermi per osmosi alcuna fiducia o positività, eppure non potei fare a meno di trovarlo perfetto, perchè mi calmò.
Almeno fino all'arrivo in ospedale.
I medici ci stavano dicendo quanto la situazione fosse grave, non solo per Natsumi ma anche per la bambina.
«Mi dispiace, signor Hayama.» concluserò così, davanti a mio padre, come se dicessero quella frase milioni di volte.
I medici mi avevano sempre affascinato per quel motivo: riuscivano a staccarsi totalmente dalla loro anima, lasciando che, davanti a un parente, non ci fosse nè pena, nè rammarico... ne dispiacere.
Erano assenti, di pietra. Proprio come mi sentivo io in quel momento.
Sana accompagnò mio padre, anche lui in lacrime, a sedersi, mentre io rimasi esattamente dove il dottore era poco prima. Pensavo che, se non avessi mosso un muscolo, l'orologio sarebbe magicamente andato indietro e le cose sarebbero tornate esattamente come le avevo lasciate. Ma quelli erano pensieri di un ragazzino e io, purtroppo, non lo ero.
Quando realizzai che la situazione di mia sorella non sarebbe migliorata nemmeno se fossi diventato catatonico, mi sedetti anch'io accanto a mio padre, dandogli una pacca sulla spalla.
Sana, dall'altro lato, si teneva la testa tra le mani e non piangeva per non scoraggiare noi, ma anche lei sapeva riconoscere la mancanza di speranza.
Chiesi se era possibile entrare nella stanza di Natsumi ma i dottori ci consigliarono di andare a casa, perchè lì non c'era nulla che potessimo fare per lei. Mio padre non volle sentire ragioni, rimase lì, ma io dovevo portare Sana a casa, era esausta, e anche io avevo bisogno di riposarmi almeno per un'ora.
Guardai l'orologio. Le ore erano passate come se nulla fosse, erano già le sei del mattino, e solo allora mi resi conto della luce del sole che già entrava dalle finestre della sala d'aspetto.
Convinsi i dottori a farmi entrare, anche solo per un secondo, e dopo non poche resistenze cedettero.
Interpretai quel gesto come un favore, perchè neanche loro erano sicuri che Natsumi si sarebbe risvegliata.
Mi stavano dando la possibilità di dirle addio. Ma io non l'avrei fatto.
Quando varcai la soglia della sua stanza e vidi la ragazza che dormiva in quel letto d'ospedale, mi sembrò di non vedere affatto mia sorella. Il suo viso era pieno di lividi, le sanguinava ancora un graffio sulla fronte, e aveva la bocca gonfia. Il braccio destro era ingessato, quello sinistro completamente fasciato. Solo le gambe erano libere.
Le presi la mano e feci attenzione a non stringerla troppo, per paura di farle male.
«Vado a casa per un paio d'ore. Per quando sarò tornato, conto di vederti sveglia, Natsumi. Non permetterti a morire. Hai capito? Se muori, io ti odierò per sempre. Quindi non farlo. Non morire... ti prego, non morire.»
Trattenni le lacrime, ma fu più dura di quanto avessi mai immaginato. Dopo di che le diedi un bacio in fronte e uscii di corsa da quella stanza, presi Sana per mano, feci un cenno a mio padre e mi diressi fuori dall'ospedale.
Non appena misi piede in strada feci un gran respiro.
Se mia sorella fosse morta, se mia nipote fosse morta insieme a lei... avrei potuto distruggere un mondo in quel momento, ma la mia attenzione fu catturata da una cassetta postale, una di quelle rosse che si vedono nei film, e decisi che quello era il mio obiettivo. Corsi in quella direzione e, sotto gli occhi sconvolti di Sana, la presi a pugni fino a farmi sanguinare la mano.
Lei continuava ad urlare, ma io sentivo solo un rumore lontano, e l'unica cosa che avrei voluto era distruggere quell'oggetto come qualunque Dio ci fosse su di noi aveva appena fatto con la vita di mia sorella.

*

Non ricordo molto dal momento in cui Sana mi aveva fermato dal rompermi la mano contro la cassetta postale a quando ero entrato nella doccia di casa sua. L'acqua scorreva lentamente sul mio viso e rimetteva a posto la mia mente, anche se non poteva far nulla per la mia mano.
La guardai, ero un incosciente, ma per fortuna non avevo nessun osso rotto, in ospedale mi avevano messo una fasciatura e imbottito di antidolorifici.
Chiusi gli occhi per un attimo, e mi sentii come se il peso del mondo ricadesse sulle mie spalle.
I dottori avevano detto che Natsumi era in un momento in cui la medicina poteva fare ben poco. Potevano tenerla in vita, alimentarla, alimentare la bambina fino a portarla al parto, ma stava a lei, alla sua volontà, decidere se svegliarsi o no. Se combattere o no.
Natsumi non era mai stata una ragazza coraggiosa e, nell'ultimo periodo, era molto depressa per via di quel bastardo e della gravidanza inaspettata. Ero sicuro che, se avesse dovuto scegliere, nel limbo o in qualunque posto la sua anima si trovasse, se vivere o lasciarsi andare, avrebbe scelto la seconda.
Decisi di non pensarci, o almeno provare a farlo, e uscii dalla doccia. Sana era in cucina a prepararmi una camomilla. Avevo cercato di dirle che la camomilla mi faceva schifo, ma non aveva voluto sentire ragioni e mi aveva praticamente buttato in bagno prima che potessi dire nulla. Indossai i pantaloncini e la maglia che Sana mi aveva comprato per quando avrei dormito da lei, e scesi in cucina, sperando che vederla mi avrebbe calmato di nuovo, come quando mi aveva sfiorato in macchina.
Ormai ero diventato bravo nell'origliare quindi, quando sentii che stava parlando al telefono, aspettai ad entrare in cucina.
«Mamma... ciao. Si, sto bene. So che è molto presto, anzi scusa se ti ho svegliato ma...». La sua voce venne rotta dalle lacrime. «No, mamma io sto bene... è Natsumi, la sorella di Akito. Ha avuto un incidente, è in coma e non si sa... non si sa quando e se si risveglierà.».
Sentire quelle parole rese la cosa ancora più reale, e il piantlo di Sana la rese insopportabile.
«No, non c'è bisogno che tu venga. Passami Rei per favore, devo parlargli.».
Passarono diversi minuti prima che Occhialidasole rispondesse, probabilmente dormiva ancora vista l'ora.
«Ciao Rei. Si, volevo solo dirti di cancellare tutti i miei impegni da oggi fino a data da stabilirsi. No, non so se potrò partecipare all'incontro con Miyazaki, la situazione qui è critica e Akito ha bisogno di me. Vedrò cosa posso fare, tu intanto chiama il suo segretario e digli che ho avuto un problema familiare e che non assicuro la mia presenza per il film, chiedigli scusa da parte mia e digli che spero che avrà la pazienza di aspettare, perchè ci tengo a questo film.»
Un film? Sana non me ne aveva parlato, ma l'ultima cosa che volevo in quel momento era litigare a causa di un film. Appena sentii che aveva chiuso la chiamata, entrai in cucina. Lei abbozzò un sorriso e, un secondo dopo, era già accoccolata sul mio petto, abbracciandomi.
Per un attimo dimenticai tutta l'infernale nottata, e pensai solo alle braccia di Sana strette attorno alla mia schiena.
Mi sentii persino in colpa. Avevo desiderato tante volte un contato come quello e ottenerlo mentre mia sorella era probabilmente in fin di vita non era affatto giusto.
Senza dire nulla, come se avesse capito che non ero in vena di abbracci, Sana si staccò da me e mi offrì la mia camomilla. Feci una smorfia ma la presi ugualmente, per non offenderla.
«Come ti senti?» chiese, sedendosi sullo sgabello della cucina, accanto a me.
«Come se fossi stato investito insieme a Natsumi.»
«Non è divertente... io.. non potrei pensare a te...».
Ormai piangere era diventato normale per Sana e, anche stavolta, una lacrima le attraversò la guancia. Io l'asciugai e, in silenzio, la presi per mano e la condussi in camera.
Ci coricammo, abbracciati, e quando io mi accorsi che stava dormendo mi avvicinai al suo orecchio.
«Io non ti lascerò mai...» sussurrai, poi sprofondai in un sonno inquieto. 

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Capitolo 7
*** Proposta indecente ***


CAPITOLO 6.
PROPOSTA INDECENTE.

Pov Sana.

Erano ormai tre settimane che Natsumi era costretta in un letto d'ospedale, e i medici ci davano sempre meno speranze sul suo risveglio.
Il signor Hayama e Akito erano distrutti, passavano tutte le giornate in ospedale e non la lasciavano sola nemmeno per un'ora. Io cercavo di fare il più possibile, preparavo loro da mangiare - anche se non promettevo mai nulla sul risultato - e cercavo di convincere entrambi ad andare a casa e riposarsi almeno per un paio d'ore, ma nessuno dei due mi prestava attenzione.
I medici ormai mi trattavano come se fossi stata una parente stretta e, se nè Akito nè suo padre erano presenti, non si preoccupavano di dire a me quello che stava succedendo.
L'ultima volta mi avevano schiettamente comunicato che la situazione di Natsumi si stava aggravando e che avrebbero voluto indurre il parto per evitare che la bambina subisse danni.
Io non ero molto d'accordo inizialmente, Akito neanche a parlarne, ma quando avevamo capito che era l'unico modo per salvare la bambina, avevamo accettato. Il signor Fuyuki fu più complicato da convincere, avevamo dovuto fare ricerche su ricerche per convincerlo che non c'erano rischi per la vita di Natsumi anche se non ne eravamo molto convinti neanche noi.
L'intervento era fissato per la settimana successiva, i dottori volevano attendere ancora per permettere alla bambina di svilupparsi meglio prima di farla nascere, e io speravo solamente che sarebbe andato tutto bene.
Mentre ero seduta nella sala d'aspetto notai che ero da sola, anche se Natsumi non era l'unica persona in terapia intensiva. Accanto a lei c'era un ragazzo, di tredici o quattordici anni, che i medici non facevano altro che rianimare in continuazione. Aveva perso tutta la sua famiglia in un incidente stradale, un po' come Natsumi, e io mi chiesi se fosse giusto combattere quando, al risveglio, si sarebbe ritrovato orfano.
La vita di Natsumi era appesa a un filo, così come quella di sua figlia, e anche lei al risveglio avrebbe potuto ritrovarsi cambiata. In compenso, però, lei aveva ancora una famiglia.
Alzai lo sguardo e un medico mi fece cenno di avvicinarmi, e dal suo sguardo la cosa non era sicuramente qualcosa di buono.
«Signorina Kurata, riferisco a lei visto che i signori Hayama non sono presenti...». Lo guardai, sperando che la notizia che stava per darmi non fosse peggio di ciò che mi aspettavo già. «La bambina, non appena nascerà, sarà immediatamente data in affidamento, viste le disposizioni della madre. Io sono stato contattato dal centro adozioni e, visto che la signorina Hayama aveva già incontrato una serie di coppie per la possibile adozione, bisognerà solo che i servizi sociali scelgano la famiglia adatta per una bambina così piccola e bisognosa di cure.»
«Natsumi si risveglierà e non sarà contenta di sapere che sua figlia è stata messa in un programma di adozioni, senza il suo consenso finale.»
«Non so che dirle, io posso solo riferirle ciò che mi è stato detto, in ogni caso il suo fidanzato e suo padre perderanno tutti i suoi diritti legali.»
Lo bloccai subito, chiarendo che tra me e Akito non c'era nulla, e che il signor Hayama non era sicuramente mio suocero.
«Non è importante la sua relazione in questo momento, l'importante è la bambina e dovete interessarvene voi, viste le condizioni della signorina Hayama.»
Ringraziai il dottore e lasciai l'ospedale, quando vidi che il signor Hayama era arrivato.
Non sapevo cosa fare, se Akito avesse saputo cosa stava succedendo avrebbe pensato di certo a qualcosa, e l'unica cosa che potevo fare io era contattare il mio avvocato.
Lo chiamai strada facendo, mentre andavo a casa di mia madre, avevo bisogno di lei e dei suoi consigli.
L'avvocato mi assicurò che avrebbe fermato il processo per l'adozione, almeno fino a quando Natsumi non si fosse svegliata.  
Quando arrivai a casa di mia madre mi sentii stranamente nervosa, erano giorni ormai che le nostre telefonate erano molto brevi e ci eravamo sentite solamente quando chiedeva notizie sullo stato di Natsumi. Non le avevo raccontato nulla, nè di Akito nè degli ultimi sviluppi tra di noi, prima dell'incidente, quindi sapevo già che avrei subito un interrogatorio non appena avrei varcato la soglia.
E così fu, non ebbi nemmeno il tempo di togliermi le scarpe che mia madre si fiondò su di me e mi accompagnò in salotto. La signora Shimura venne a portarci un tè e, dopo avermi dato un rapido bacio, ci lasciò sole chiudendosi la porta alle spalle.
«Come sta Natsumi?». Mia madre era stranamente calma quel giorno, non sapevo se interpretarlo in modo positivo o negativo. Comunque, le spiegai che la situazione era molto critica, le raccontai anche della bambina e da lì la vidi cambiare espressione.
«Mamma, cosa c'è? So capire quando muori dalla voglia di dirmi qualcosa.».
Mia madre rise sotto i baffi, e allora mi rilassai, pensando che fosse una delle sue stranezze.
«Stavo pensando...»
Già la cosa era un pericolo...
«.. mi hai detto che la bambina ha bisogno di un nucleo familiare stabile.»
Annuii, invitandola a continuare, ma sapevo già dove voleva andare a parare, ma non immaginavo di certo la pazzia del suo discorso.
«Tu e Akito siete molto affiatati. Non pensi che... magari... potreste... darle voi quel nucleo familiare stabile?».
Guardai mia madre, non capendo fino in fondo cosa volesse dire, mi accorsi che aveva detto l'ultima frase tutta d'un fiato e mi venne quasi da ridere.
Capendo di avermi lasciato interdetta continuò senza che io la invitassi a spiegarmi.
«Intendo dire che... potresti accalappiarlo una volta per tutte e farti mettere la fede al dito!!».
Lei scoppiò a ridere e io non riuscii nemmeno a pensare a quell'ipotesi, quindi non ce la facevo neppure a ridere.
Guardai mia madre come se fosse un alieno, e nel frattempo realizzai del tutto la sua proposta.

SPOSARMI CON AKITO?

Non potevo.
E c'erano miliardi di motivi per non farlo: litigavamo in continuazione, anche quando si trattava del gusto del gelato - io categoricamente vaniglia e lui categoricamente cioccolato - e non eravamo mai d'accordo su nulla... come potevamo portare avanti un matrimonio, anche se di facciata, con delle basi così disastrose?
E poi, parliamoci chiaro, lui non avrebbe mai acconsentito a sposarmi. Mi aveva sempre visto solo come un'amica e io d'altro canto non riuscivo a capire davvero quali erano i miei sentimenti. L'unica cosa che sapevo era che, ogni volta che l'avevo accanto e che lo sfioravo, il mio stomaco faceva le capriole, ma non ero sicura di poter definire una sensazione del genere.
Nel frattempo mia madre aveva cominciato un discorso su quanto quel matrimonio potesse essere vantaggioso per tutti: per la bambina in primis, che così non avrebbe rischiato di finire in una casa famiglia, ma anche per noi... avremmo potuto dare finalmente un nome al nostro legame.
Ma la cosa importante per me era chiedermi se ero pronta o meno a diventare una moglie e, soprattutto, un genitore.
Volevo pensare che Natsumi si sarebbe risvegliata, che avrebbe finalmente abbracciato la sua bambina, ma non ero più così ottimista come quando ero piccola e le mie speranze si affievolivano ogni giorno di più.
Tornai a casa mia, tranquilla perchè sapevo che in ospedale c'era il signor Fuyuki e mi addormentai profondamente mentre pensavo e ripensavo all'idea di mia madre.
Cosa avrei dovuto fare?
Forse sposarmi era davvero l'unica soluzione.

Pov Akito.

Casa mia era vuota senza Natsumi. Mi voltai a guardare la cucina e senza la sua risata, il suo pancione, e i mille manicaretti che mi preparava tutto mi sembrava così... vuoto.
Non sapevo più cosa pensare, il dottore mi aveva contattato per riferirmi ciò che sarebbe successo in merito alla bambina. Non potevo credere che mia nipote sarebbe finita nelle mani di due estranei e, soprattutto, non potevo accettare di non poter fare nulla.
Dovevo fare qualcosa, anche la più estrema.
Mentre mi stavo preparando per andare a letto, il campanello di casa mia suonò improvvisamente. Era mezzanotte passata, mio padre era in ospedale con mia sorella e nessuno dei miei amici mi aveva avvisato di un'ipotetica visita.
Scesi al piano di sotto e, quando aprii la porta, mi ritrovai davanti Sana.
«Cosa ci fai qui?». La invitai ad entrare e chiusi la porta, ma lei non parlava.
«Mi dici che ti è successo?» la incalzai, ma lei sembrava assente.
Dopo almeno due minuti buoni di silenzio finalmente si decise a spiegarmi.
«Oggi sono andata in ospedale, prima di tuo padre...».
Annuii, invitandola a continuare.
«E il dottore mi ha avvertito che, non appena faranno nascere la bambina, verrà introdotta in un programma di adozioni, visto che Natsumi aveva già preso contatti per queste pratiche. Ho chiamato il mio avvocato che mi ha assicurato che avrebbe fermato tutto il processo, ma mi ha anche detto che avremmo dovuto trovare una soluzione, altrimenti anche l'affidamento sarebbe stato difficile.»
Ascoltavo ciò che Sana mi stava dicendo e, anche se comprendevo ogni parola, mi sembrava assurdo anche solo pensare di dover lottare perchè mia nipote non fosse spedita tra le mani di due estranei. Nelle vene di quella bambina scorreva il mio sangue e, avvocati o meno, non avrei mai permesso che la portassero via.
«Poi, nel pomeriggio, sono stata da mia madre e, raccontandole della situazione di Natsumi e della bambina, lei mi ha consigliato una cosa.»
Notai che era in imbarazzo, quindi mi allontanai un po' da lei per evitare di metterla ancora più in difficoltà.
«Avanti Sana, parla!»
«Mi ha detto che, se vogliamo davvero avere una possibilità di tenere la bambina con noi, dobbiamo...»
Non riusciva a parlare, si toccava nervosamente i capelli e aveva le guance rosse. Non avevo mai visto Sana così in imbarazzo e la cosa mi turbava particolarmente, perchè la mia Sana era una ragazza spudorata e spontanea e non ero abituato alla sua versione timida.
«Dobbiamo...?» chiesi, sistemandomi meglio sul divano.
«Dobbiamo... O mio  Dio, ma che mi prende?!».
Cominciò a parlare tra se e se e io non riuscii a capire molto, solo parole indistinte che, messe insieme, non avevano alcun senso. Mi sembrava di impazzire nell'attesa ma volevo aspettare che si calmasse prima di chiederle ancora qualcosa.
Sana, ovviamente, non era della mia stessa opinione e continuò a sbraitare senza un apparente motivo quindi, quando capii che non avrebbe smesso se non l'avessi costretta a farlo, mi alzai e la presi per le braccia, scuotendola.
«Sana la vuoi smettere di blaterare e mi dici cosa diavolo ha proposto tua madre?!»
«Lei mi ha detto che dovremmo sposarci!».
Le parole le uscirono tutte d'un fiato, probabilmente neanche si era resa conto di ciò che stava dicendo ne di cosa significassero davvero quelle parole.
Rimasi interdetto per un po', non potevo credere che la signora Kurata potesse essere così fuori di testa.
Un matrimonio tra me e sua figlia?
Era una pazzia. Non solo perchè non eravamo adatti alla vita di coppia - tutte le relazioni che avevamo provato a portare avanti si erano sbriciolate tutte, una ad una - , ma soprattutto perchè la coppia Sana-Akito non funzionava affatto. Andavamo bene si e no come amici, anche se dovevo ammettere che avrei dato tutto pur di poter dormire nello stesso letto con lei, come marito e moglie.
Avevo fantasticato tante volte su un'ipotetica vita futura insieme a Sana, e ora che poteva concretizzarsi era l'ultima cosa che volevo.
Mia sorella era in coma, mia nipote rischiava di finire in adozione e io pensavo all'amore che provavo per quella ragazzina... mi aveva monopolizzato, quella era la verità. Ero un povero illuso, convinto di poterla cacciare dalla mia mente quando volevo ma ogni volta che ci provavo tutto mi si rivoltava contro.
Sana continuava a guardarmi come se aspettasse una risposta da me, come se mi avesse fatto una maledetta proposta di matrimonio e io potessi distruggere tutto.
Ma lei era d'accordo? Non capivo se la pensava come sua madre o se la considerasse un'idea folle.
E lo era, in realtà. Ma più ci pensavo, più mi sembrava l'unica soluzione possibile.
«E tu cosa ne pensi?» le chiesi, cercando di mascherare il mio nervosismo, dote ormai affinata negli anni.
«Non lo so, tu cosa ne pensi?».
Sorrisi, esasperato dalla bambina che c'era in lei, ma poi capii che con Sana non si poteva pretendere di capire i suoi sentimenti, quando lei stessa era la prima a non comprenderli.
«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda. Comunque... sarebbe solo per l'affidamento, no?».
Non sapevo come comportarmi, non sapevo se lei volesse farlo solo per aiutarmi a non perdere la bambina o se, dentro di lei, ci fosse una motivazione ben diversa.
Dovevo ammetterlo a me stesso, appena Sana aveva proposto la cosa il mio cuore mi aveva tradito cominciando a battere all'impazzata: avevo considerato la proposta, perchè mentire? Mi piaceva l'idea di un vincolo così grande che ci teneva legati e poter dire che Sana era mia moglie mi avrebbe riempito di gioia, ma mi rendevo anche conto che non potevo costringerla a fare qualcosa solo per aiutarmi.
Vidi nei suoi occhi una punta di fastidio, ma cercai di non dargli peso.
«Si, solo per l'affidamento. Prima di venire qui ho pensato ad altri mille modi per evitare la cosa ma anche l'avvocato mi ha detto che sarebbe stata un'ottima idea. Ma, ovviamente, prima dovevo parlarne con te.».
Tornai a sedermi dal divano, allontanandomi da lei per paura di fare qualche gesto di cui mi sarei pentito. Tutto il mio corpo mi urlava di prenderla, abbracciarla e poi baciarla, ma sapevo benissimo che non era una buona idea perchè avrei oltrepassato un confine ancora ben delineato tra noi.
«E ora che me ne hai parlato, pensi che accetterò o no?».
Non sapevo perchè, ma volevo stuzzicarla un po', prenderla in giro, ma non volevo nemmeno tirare troppo la corda perchè con Sana era semplice spezzarla.
Sentivo i suoi pensieri, anche se non diceva nulla, li percepivo dal suo sguardo. Era confusa, infastidita soprattutto, e non sapeva cosa dirmi ma, dopo poco, finalmente si decise a rispondermi.
«Se stai cercando di scherzare anche sul futuro di tua nipote, allora non ho tempo da perdere con te.»
Fece per andarsene ma la afferrai prontamente per la mano.
«Ferma... scusami, hai ragione. Non lo so... un matrimonio? Temo di rovinare tutto.»
Parlai sinceramente, ma mi resi anche conto di essermi esposto troppo, quando lei non mi permetteva mai di leggerla.
«Non c'è niente da rovinare, perchè continueremo ad essere amici come sempre, solo con le fedi al dito.»
Quella frase mi spiazzò e cercai di evitare che mi entrasse dentro ma era ormai troppo tardi.
Sana mi considerava un amico e niente più.
Con la consapevolezza che avrei avuto un matrimonio assolutamente finto, lasciai che Sana tornasse a casa sua mentre riflettevo sul nostro futuro, dicendole che ci avrei pensato.
Ci saremmo ritrovati improvvisamente in tre, e non sarebbe stato facile, ma non potevo permettere che la mia vita venisse rovinata.
E, anche se sapevo benissimo che avrei sofferto da pazzi,
la mattina dopo le mandai un semplice e breve messaggio.

Vada per il matrimonio...
Quindi posso cominciare a chiamarti Signora Hayama?

Il messaggio di risposta arrivò quasi subito.

Penso che manterrò il mio cognome, ti ringrazio...
Ne riparliamo in settimana, intanto chiamo il mio avvocato per i documenti.

Bene, sto per sposarmi... 

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Capitolo 8
*** Il matrimonio. ***


CAPITOLO 7.
Il MATRIMONIO.


Pov Akito.

Erano ore che stavo fermo, accanto a quella che sarebbe diventata presto mia moglie, con una giornalista invadente che mi riempiva di domande. Rei aveva avuto la brillante idea, per evitare la corsa allo scoop, di dare l'esclusiva ad un solo giornale che avrebbe pubblicato la notizia e ci avrebbe evitato la calca di giornalisti accampati sotto casa nostra.
Nostra... mi sembrava anche strano dirlo, come anche solo pensare ad un futuro insieme a lei. Era una cosa che avevo sempre immaginato, sperato addirittura, e vederlo accadere per una semplice finzione mi rendeva alquanto nervoso.
Sana mi diede una gomitata, perchè la giornalista aspettava una risposta alla sua domanda ma io non avevo proprio sentito.
«Scusi, può ripetere?» chiesi gentilmente, nascondendo una punta di fastidio nella mia voce.
«Si, dicevo... Siete stati amici per molto tempo, come mai questa proposta di matrimonio improvvisa?»
Riflettei bene prima di rispondere a quella domanda, ma poi inventai la solita cavolata dell'amore che era maturato negli anni. In realtà non era proprio una cavolata, io quelle cose le provavo davvero, ma non ero capace né di dirglielo né di dimostrarglielo.
L'intervista continuò, con altre domande e richieste piuttosto fastidiose, e quando la giornalista lasciò casa di Sana mi sentii finalmente sollevato e la prima a notarlo fu proprio lei.
«Pensavo che saresti scoppiato da un momento all'altro per quanto trattenevi il fiato!».
Si tolse i tacchi che aveva indossato per tutto il tempo e si buttò sul divano massaggiandosi i piedi. Mi sembrò di vivere una tipica scena da coppia sposata, ma scacciai immediatamente quell'immagine per non illudermi troppo.
Seguii il suo esempio e mi gettai anch'io sul divano, cercando di rilassarmi dopo una mattinata infernale, per capire come Sana vedeva il suo matrimonio.
La speranza che Natsumi si riprendesse mi stava abbandonando, ma cercavo di non pensarci assiduamente perché il confronto con la realtà mi avrebbe ucciso. I medici continuavano a dirci di non abbatterci, perché mia sorella era forte, era giovane e soprattutto stava per diventare madre e quello era sicuramente l’imput che poteva farla svegliare, almeno noi cercavamo di aggrapparci con tutte le forze a questa idea, pensando che il desiderio di stringere sua figlia tra le braccia l’avrebbe portata a lottare e a combattere. Purtroppo dovevo anche fare i conti con la triste realtà e non riuscivo a non pensare al fatto che avrei dovuto crescere mia nipote - sempre se l'affidamente fosse andato a buon fine - da solo, perchè ad un certo punto Sana si sarebbe stufata di badare a me e alla mia famiglia.
«Lo sai quanto odio queste cose, Kurata. Mi sento a disagio davanti alle telecamere.»
Presi a giocherellare con i suoi capelli, e cominciai ad arrotolarmeli ciocca per ciocca tra le dita. Era una cosa mi aveva sempre rilassato e Sana non si era mai opposta, quindi era diventato una specie di rito serale.
«Akito... pensi che questa cosa del matrimonio funzionerà? E se non dovessero darci l'affidamento della bambina?».
In realtà non avevo pensato molto a questo, dopo aver deciso che l'idea del matrimonio era l'unica soluzione possibile ero corso subito dall'assistente sociale e dall'avvocato a dichiarare che mia nipote aveva già una famiglia, e che io e la mia fidanzata eravamo gli unici a poter avere la custodia della bambina. Loro mi avevano risposto che avrebbero fatto il possibile ma, vista la carriera di Sana, sarebbe stato complicato convincere il giudice. Non le avevo detto nulla di quel piccolo dettaglio per non farla sentire in colpa, ma ero sicuro che il mio legame di sangue con la bambina avrebbe favorito l'affidamento.
«Spero che funzionerà... o avrò sposato una pazza per niente!» risposi sorridendo. Sana scoppiò a ridere insieme a me, mi tirò un cuscino sulla faccia e poi tornò ad appoggiarsi alla mia spalla.
«Chiederai ad Aya di farti da testimone?». Avevo pensato che l'avrebbe chiesto a Fuka, ma poi avevo anche riflettuto sul fatto che Aya per lei era un po' come Tsuyoshi per me, la sua confidente, e che non avrebbe mai scelto nessun altro in un giorno così importante.
Lei annuì e io la immaginai in abito bianco, percorrere la navata verso di me con quei capelli rossi e quel sorriso tutto sbarazzino di cui mi ero innamorato.
«Quindi dovrai andare con lei a prendere il vestito...».
Sana si voltò a guardarmi, togliendomi anche dalle mani i suoi capelli, e mi sembrò di aver detto chissà quale assurdità.
«Non ci sarà nessun abito, Akito. Avremo una cerimonia civile e basta, non credo sia il caso di fare un matrimonio in grande stile solo per qualcosa di burocratico.»
Ero abbastanza titubante, sapevo quanto Sana fosse romantica e quanto ci tenesse ad un matrimonio vero e proprio, quindi mi sembrava assurdo che volesse solo un'unione civile.
«Ma io pensavo che...» cominciai, ma Sana mi bloccò immediatamente.
«Niente ma, non voglio un matrimonio in pompa magna, non sono il tipo da abito bianco, lo sai...»
Cazzate! Avevamo passato pomeriggi interi al centro commerciale, in quel negozio di abiti da sposa, e lei non aveva fatto altro che ripetere quanto adorasse anche solo l'idea di indossarlo un giorno per l'uomo che amava.
Già... forse era solo quello il problema, forse non voleva l'abito bianco solo perchè non ero io quello per cui voleva metterlo. Non ero io l'uomo che lei amava.
Quel ricordo mi piombò addosso come acqua gelata e per un attimo mi sentii in colpa. Come potevo costringere Sana ad un matrimonio imposto, ad una relazione finta che non le avrebbe dato nulla di ciò che aveva sempre sognato?
Non ero così egoista, soprattutto perché tenevo così tanto a lei da non riuscire nemmeno a pensare di condannarla ad un legame del genere, anche se lo faceva per aiutarmi.
«Non devi... non devi farlo per forza, lo sai vero? Riuscirò ad ottenere la custodia della bambina anche senza questo matrimonio, Sana. Non voglio costringerti a fare nulla.»
Sana scosse la testa e sorrise.
«Non lo faccio per te, lo faccio per tua sorella e per tua nipote, quindi non sentirti in colpa. Ho smesso di credere al principe azzurro e al cavallo bianco, quindi non morirò senza il mio vestito da principessa e la mia chiesa addobbata. Stai tranquillo.»
Non le credevo, perché ne avevamo parlato per anni, non giorni Anni in cui Sana mi aveva chiesto di essere il suo testimone, di non ridere se fosse caduta mentre camminava verso l'altare. Pensava che me ne fossi scordato?
Le rivolsi uno sguardo preoccupato, cercando di captare anche il minimo segno di cedimento per appellarmi ad esso ed evitarle una delusione futura, ma lei non battè ciglio, e io repressi ogni senso di colpa per concentrarmi sul nuovo capitolo della mia vita: la mia vita da sposato.

*

«Allora, pensi che potrebbero piacerle?»
Indicai gli anelli che avevo davanti e Tsuyoshi mi guardò perplesso, scuotendo la testa.
«Spiegami, perchè devi prenderle delle fedi, se il matrimonio è una cosa puramente contrattuale?»
Camminai in direzione della successiva gioielleria, sperando che lì avrei trovato quello che cercavo. Tsuyoshi mi raggiunse sbuffando e insistendo per avere una risposta alla sua domanda.
«Lo faccio per ringraziarla, principalmente... mi sta sposando per un mio problema.» tagliai corto, ma Tsuyoshi non lasciò perdere.
«E lo fai solo per questo?».
Sbuffai, esasperato da tutte le domande che mi stava facendo da un'ora a questa parte, e non riuscivo più a sopportarlo, mi chiedevo perché ancora mi ostinavo a chiedergli consigli, forse perché era l'unico capace di capirmi davvero.
«Se vuoi sapere la verità... no, lo faccio anche per altri motivi ma non ho alcuna intenzione di discuterne con te.»
Continuammo a camminare tra le strade di Tokyo in silenzio, anche se era terribilmente invadente Tsuyoshi sapeva quando era il caso di tacere, finchè non passammo davanti ad una gioielleria che non avevo mai veramente notato.
Fu un cartello ad attirare la mia attenzione.
Mokume Gane.
Era una tecnica particolare con cui venivano realizzati gli anelli matrimoniali, con la quale ogni anello diventa unico, in quanto ricavati allo stesso modo in cui si ricavavano le spade dei samurai.
Era una cosa speciale, una cosa insolita, una cosa che solo Sana avrebbe avuto.
«Penso di aver trovato quello che cercavo.»
Entrai nel negozio e, dopo aver aspettato una giornata intera per la realizzazione e l'incisione delle fedi, tornai a casa contento della mia scelta.
Sana le avrebbe adorate.

_______________________________________________
Pov Sana.

Avevano già letto gli articoli che ci avrebbero uniti, Akito era accanto a me e sfoggiava un completo elegante color crema, che si intonava a meraviglia con i suoi occhi, e io avevo le mani sudate in modo spaventoso.
Ero nervosa, non per il momento in sè, ma per ciò che il matrimonio avrebbe comportato. Una convivenza forzata prima di tutto, e avremmo litigato giorno e notte, ne ero consapevole. Avremmo dovuto accudire una neonata perchè, per quanto sperassimo che la situazione di Natsumi migliorasse, sapevamo entrambi che non sarebbe stato così facile.
Non mi ero permessa nemmeno per un attimo di guardare Akito negli occhi, pensavo che sarei crollata proprio lì, davanti al giudice che ci stava per dichiarare marito e moglie, così guardai mia madre che mi sorrideva come una bambina, e allo stesso modo Tsuyoshi e Aya. Rei un po' meno, ma era comprensibile.
Mentre mi accompagnava al municipio mi aveva fatto chissà quante raccomandazioni e aveva cercato mille volte di convincermi a non farlo, perchè lui avrebbe trovato un'altra soluzione al problema di Akito, ma io gli avevo dato un bacio sulla guancia e gli avevo detto di stare tranquillo, perchè non sarebbe stato per sempre.
Ed eccomi, pronta per mettere la fede al dito, senza nemmeno sapere cosa significasse.
«Avete gli anelli?».
Io scossi la testa, ma Akito prontamente prese dalla tasca una scatola e la passò al giudice. Non avevo pensato minimamente all'importanza degli anelli, ne avevo chiesto ad Akito di occuparsene, l'aveva fatto da solo, questo mi provocò un sorriso.
Akito prese tra le mani l'anello destinato al mio anulare e, con delicatezza, me lo infilò. Il suo tocco mi fece rabbrividire, ma cercai di mantenere la calma.
Dopo aver fatto la stessa cosa con lui, alzai la mano e guardai il mio anello.
Era un anello particolare, d'oro e pieno di piccole venature simili a quelle del legno, e lo riconobbi immediatamente.
Era un Mokume Gane, uno di quegli anelli realizzati come le antiche spade. Mi mancò il fiato, aveva fatto quello per me?
Sorrisi d'impulso e, quando il giudice disse le fatidiche parole, saltai al collo di Akito, abbracciandolo.
Mi sembrò di essere in paradiso.
 

*

Il tragitto dal municipio a casa mia - o forse ormai avrei dovuto dire casa nostra - fu molto silenzioso. Ci tenevamo per mano, senza dire una parola, entrambi pensierosi. Non riuscivamo ancora a realizzare quello che avevamo fatto.
Ero la signora Hayama adesso, nonostante avessi mantenuto anche il mio cognome, e la cosa sarebbe rimasta ufficiale per sempre, anche se avessimo ottenuto il divorzio in futuro.
Non ero certa di volerci pensare, in fondo una parte di me sperava che non ce ne sarebbe stato bisogno, ma io volevo un matrimonio vero... un matrimonio d'amore.
E forse Akito Hayama era l'ultima persona in grado di darmi una cosa del genere.
Mi voltai a guardarlo, sulla sua fronte si era formata una piccola ruga che aveva solamente quando era preoccupato e d'istinto gli strinsi ancora di più la mano, avvicinandomi a lui per appoggiarmi sul suo petto.
Lui mi guardò stupito, anche se per noi ormai quei gesti erano normali la situazione aveva preso una piega diversa, e poi mi strinse a se, ricambiando l'abbraccio.
«Andrà tutto bene, vero?» chiesi cercando di nascondere il mio terrore.
Lui si spostò per un attimo per guardarmi negli occhi e, dopo avermi stampato un bacio sulla fronte, tornò al suo posto.
«Si, andrà tutto bene.»









Sono tornata!!
Scusate il mio ritardo, ma purtroppo ieri ho avuto un imprevisto e non ho potuto pubblicare il capitolo.
Ho letto tutte le recensioni e davvero, davvero, VI AMO FOLLEMENTE. Siete stati tutti dolcissimi e da ora in poi mi preoccuperò di rispondere a tutti.
Alla prossima settimana e grazie a tutti sempre, in particolare alla mia meravigliosa Beta che si è occupata degli aggiornamenti mentre io ero via.
Akura.

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Capitolo 9
*** Tentazioni. ***


CAPITOLO 8.
TENTAZIONI.
Pov Akito.

Non avevo mai pensato a come sarebbe stata la presenza costante di Sana nella mia vita. Si, la pensavo sempre e già il suo pensiero bastava a riempire le mie giornate, ma non ero abituato al suo esserci fisicamente.
In realtà non era molto diverso dall'immaginazione: Sana era solare, divertente, riusciva a scacciare la tristezza che ogni tanto mi assaliva e non avrei potuto desiderare niente di meglio.
Avevamo deciso entrambi di non fare alcuna luna di miele, non era il caso di partire mentre mia sorella era ancora in una situazione critica, e quindi non ci eravamo mossi da casa. Aspettavamo con ansia che la bambina nascesse, ormai avevamo consultato una lunga sfilza di avvocati e tutti ci avevano garantito che la custodia sarebbe senz'altro andata a noi, quindi ci eravamo un po' tranquillizzati a riguardo.
La nascita era programmata dopo poco meno di due giorni, e Sana aveva già riempito casa di body, pannolini e tutto ciò che le sarebbe servito per accogliere mia nipote.
Io la osservavo, mentre metteva a posto la cameretta della piccola, mentre comprava bavaglini e vestitini completamente rosa, e mi sembrava la cosa più bella che avessi mai visto. Sana sarebbe stata una brava mamma.
Avevamo passato la giornata a scegliere il passeggino e il seggiolino per l'auto ed eravamo entrambi distrutti, quindi avevamo ordinato cibo d'asporto e ci eravamo buttati sul divano a guardare la tv, parlando del nostro matrimonio.
«Ma dico... hai notato la faccia di mia madre mentre ci scambiavamo gli anelli? Sembrava che stesse toccando il cielo con un dito!».
Sorrisi, sapevo benissimo che la signora Kurata non le aveva proposto quell'unione solo per il bene di mia nipote, ma principalmente perchè non vedeva l'ora di vederci insieme.
«Si, ho visto. Ma più che altro ho notato lo sguardo di Occhialidasole, pensavo che gli sarebbe venuto un infarto!»
Sana scoppiò a ridere, ricordando la faccia del suo manager che sarebbe dovuta essere immortalata. Si stava avverando il suo peggior incubo e, contemporaneamente, il mio più grande sogno.
Passammo la serata tra chiacchere poco importanti e cibo spazzatura e, se il fantasma della situazione di Natsumi non fosse stato sempre lì in agguato a infastidirmi, avrei potuto anche definirmi l'uomo più felice della terra.
Costrinsi Sana a lasciarmi l'ultimo pezzo di sushi e lei mi lasciò da solo, dicendomi che aveva bisogno di una doccia.
Rimasi sul divano, gustandomi la quiete prima della tempesta. I giorni successivi sarebbero stati sicuramente distruttivi, oltre alla nascita della bambina avrei dovuto portare tutte le mie cose a casa di Sana e, nel frattempo, stare accanto a mio padre che stava lentamente crollando.
Quando aveva saputo che io e Sana ci saremmo sposati per ottenere l'affidamento della bambina, era scoppiato in lacrime. Non perchè non fosse d'accordo, anzi tutt'altro, ma perchè per lui quello presupponeva il fatto che Natsumi non si sarebbe mai risvegliata. Come potevo biasimarlo?
La situazione non era certo delle migliori ma, se c'era una cosa che Sana aveva insegnato alla mia famiglia, era di non perdere mai la speranza.
Mio padre aveva assistito al matrimonio con la testa bassa, sentendosi in colpa perchè era felice per me mentre mia sorella non poteva esserci, e ci aveva abbracciati non appena eravamo stati dichiarati marito e moglie. Ci aveva sussurrato un grazie strozzato dal pianto e poi se n'era tornato in ospedale, che ormai era la sua casa.
Mi alzai per mettere i piatti sporchi nella lavastoviglie e notai che ormai era piena. Cominciavo già a non sopportare delle cose di Sana: era disordinata, casinista, non faceva altro che lasciare vestiti in giro, ma non riuscivo comunque a pentirmi della mia scelta.
Lavai velocemente i piatti e mi avviai verso la camera da letto ma, mentre ero in corridoio, notai che Sana era appena uscita dal bagno in camera.
Non ero un guardone, avevo avuto mille occasioni di guardare Sana in desabillè e tutte le volte mi ero limitato ad abbassare lo sguardo per il troppo imbarazzo.
Ma, stavolta, non riuscii a farne a meno. Mi avvicinai alla porta e, scostandola leggermente, la vidi.
Sana era avvolta da un accappatoio troppo grande per lei che però le era scivolato lasciandole scoperta tutta la schiena.
Aveva i capelli raccolti nella mano destra ed essendo completamente fradici le gocciolavano sul corpo.
Le gocce le scendevano per tutta la schiena, come una mano che l'accarezzava lentamente, e io immaginai che fosse la mia.
Chiusi gli occhi pensando di toccarla, di sfiorare piano la curva della schiena, di premere le dita nell'incavo del suo collo...
Li riaprii immediatamente, reprimendo quelle sensazioni, e allontanandomi da lei. Se la nostra vita di coppia fosse continuata in quel modo probabilmente avrei dovuto farmi controllare da un bravo psichiatra.
Mi buttai sul letto, in preda alla frustrazione, e sbuffai. Come pretendevo di resistere ai miei sentimenti se la sua presenza ormai era una costante nella mia vita?
Non ne ero capace.
Non riuscivo nemmeno ad essere lucido se pensavo che Sana era nella stanza a fianco, nuda, dentro la vasca... figuriamoci se la mia mente sarebbe stata in grado di non tradirmi.
La porta del bagno, che dava sulla camera, si aprì e Sana arrivò in fretta e furia, lasciando una scia d'acqua dietro di lei.
«Il bagno è libero, puoi andare se vuoi.»
Alzai lo sguardo e l'accappatoio incriminato era ancora lì, davanti a me, e continuava a non coprirle la spalla.
Mi mancava l'aria.
«Si, vado subito.».
Mi fiondai in bagno e da acqua calda passai tutto il termostato ad acqua fredda, ghiacciata.
Dovevo scrollarmi di dosso tutta quella tensione che portava il nome di Sana Kurata.

_______________________________________

Pov Sana.

Avrei voluto dire che la doccia calda mi era servita a schiarirmi le idee, ad illuminarmi sui sentimenti che provavo per Akito e che, finalmente, avrei trovato una soluzione per il nostro rapporto incasinato.
Ma no, ovviamente, non era il mio caso. Avevo cercato di mettere ordine nella mia testa, analizzando passo dopo passo tutto ciò che era successo nell'ultimo periodo.
Se mi avessero detto un mese prima che mi sarei ritrovata con l'anello al dito in così poco tempo, avrei sicuramente preso per pazzo chiunque mi stesse dando la notizia.
Decidere di seguire il consiglio di mia madre era stato difficile, avevo praticamente preso la mia vita e l'avevo messa tra le mani di Akito, lasciando a lui il timone della nave.
Aprii la finestra e uscii in terrazza, ancora in accappatoio, pensavo che l'aria fresca mi avrebbe fatto bene, ma in realtà più pensavo più il mio cervello perdeva lucidità.
Non riuscivo comunque a rassicurarmi, forse avevo fatto uno sbaglio madornale a sposare Akito o forse sarei riuscita ad annullare il matrimonio non appena Natsumi si sarebbe svegliata e avrebbe ripreso la bambina con se.
Ma volevo davvero annullarlo? Non ne ero certa...
Non sapevo nemmeno se sarei riuscita a mantenere la facciata della ragazza che aveva fatto tutto solo per aiutare il suo migliore amico, perchè anche se la motivazione principale era stata quella, non era di certo l'unica.
Dovevo capire, dovevo riflettere, ma era difficile anche solo pensare di vivere una vita da amici con Akito sempre accanto.
Improvvisamente due braccia enormi si allungarono su di me e Akito mi avvolse in un abbraccio che avrei voluto fosse arrivato prima.
«Prenderai freddo, stupida...»
Riuscivo a percepire il suo petto nudo contro la mia schiena e mi sentii improvvisamente a casa.
Mai avevo provato quella sensazione, mai mi ero sentita così protetta come in quel momento.
Probabilmente non mi sarebbe mai più ricapitato, perchè nessuno mi avrebbe mai fatto sentire come Akito in quel momento e improvvisamente mi rattristai.
Il nostro matrimonio era una semplice unione di facciata, quindi avrei dovuto prendere con le pinze tutte le emozioni che stavo provando e che avrei provato in futuro.
Comunque non ascoltai il mio cervello, non ero brava ad essere razionale quindi non ci provavo più di tanto.
Mi strinsi ancora di più a lui, affondando il naso tra il suo collo e la spalla, inalando tutto il suo profumo. Sapeva di muschio e di limone, tutti e due messi insieme. Sapeva di dolcezza e determinazione. Sapeva di Akito.
«Faccio un bun odore almeno?» mi chiese, notando che non facevo altro che inspirare.
Annuii, sorridendo.
«Andiamo, o ti prenderai una polmonite.».
Mi prese per mano e, velocemente, rientrammo in casa.
Mi rannicchai vicino a lui, a letto.
Così, perchè mi andava.
Perchè mi faceva stare bene.
E poi ci rividi insieme, a ridere come due stupidi.
Cosa era cambiato? Cosa era successo?
Eravamo cambiati noi, era cambiato il nostro rapporto.
Era cambiato tutto.
Akito sarebbe stato sempre una delle cose piu belle che mi fossero mai capitate perchè la sua voce mi aveva rassicurato nei momenti di sconforto.
Era l'unica persona che non mi aveva mai lasciato.
Se solo avessi potuto dirglielo.


*

Erano venti minuti che mia madre continuava a chiamarmi al cellulare e che io le chiudevo la chiamata facendo scattare la segreteria.
Sapevo già cosa voleva dirmi e non avevo alcuna voglia di sentirla.
Akito mi guardò infastidito, gettandomi ancora una volta il giornale con la nostra foto in accappatoio in prima pagina.
Io non la trovavo una cosa così tragica, in fondo eravamo sposati, ma a lui sembrava importare molto.
«Ma cos'è che ti da così tanto fastidio? Se non volevi essere visto con me, non dovevi sposarmi!» sbottai improvvisamente.
«Ma non capisci proprio! Parlare con te è come parlare col muro, Kurata.».
Non smetteva mai di chiamarmi in quel modo e io lo odiavo, mi sembrava che volesse sempre allontanarmi.
«Adesso porto il tuo cognome, potresti anche smetterla di chiamarmi così.»
Detto ciò mi alzai e feci per andarmene ma Akito mi bloccò subito.
«Non mi infastidisce essere visto con te, stupida. Penso solamente che avrei voluto delle foto meno... sconcie, diciamo. E soprattutto hai letto l'articolo?». Prese il giornale e cominciò a leggere.

" Notte caliente per la nota attrice Sana Kurata, sorpresa in atteggiamenti intimi nel balcone della sua villa, insieme al neomarito. Sembra che i due stiano passsando una luna di miele all'insegna del sesso sfrenato. Voci attendibili ci confermano che i due hanno preferito restare a casa per evitare di essere sentiti durante i loro focosi amplessi!
Aaah che belli i primi mesi di matrimonio. Aspettiamo di vederli fra un po' di tempo, sembreranno ancora così innamorati? ".

Mi venne un brivido nel sentire la parola innamorati riferita a me e Akito, ma lo scacciai immediatamente e pensai a come controbattere.
«Ti fai dei problemi per nulla. Siamo sposati, è normale che i giornalisti ricamino sopra a queste cose, quindi smettila e non dare di matto perchè non sarà ne' la prima ne' l'ultima.»
Lui annuì, e io sperai che avesse davvero capito che, essendo mio marito, ed essendo io una celebrità, non potevamo scappare dai paparazzi.
Nel pomeriggio richiamai mia madre e, come immaginavo, era in preda ad un esaurimento per le foto pubblicate.
«Ero certa di averti dato un buon consiglio! Ma dimmi... com'è a letto?».
Scoppiai a ridere.
«Mamma, io e Akito siamo sposati per necessità. Non ho visto niente oltre al suo petto, quindi smettila di farti venire strane idee.»
La conversazione continuò tutta su quel frangente e, quando mi stufai di sentire quanto fossi stupida a non approfittare dei miei diritti di moglie, riattaccai promettendole di andarla a trovare presto con il mio maritino.
Quella storia continuava ad ingarbugliarsi in modo assurdo ma, nonostante ciò, non potevo non pensare a quanto fossi felice di essermi complicata la vita in quel modo.







Perdonate il ritardo, davvero, ma ho avuto un piccolo problema col mio pc (avevo combinato un casino con la tastiera e alcune lettere non ne volevano sapere di funzionare ahaha non chiedetemi niente, please) e quindi non ho potuto ne scrivere ne pubblicare.
Ecco a voi l'ottavo capitolo, finalmente, il dopo matrimonio.
Spero di vedere taaaaaante recensioni perchè, credetemi, IL BELLO DEVE ANCORA ARRIVARE.
Vi ringrazio sempre di cuore, per tutto il supporto che mi date... e specialmente la mia meravigliosa Beta che non si stanca mai di consigliarmi.
Buona recensione, perchè DOVETE lasciarmene una u.u
Bacionissimo,
Akura.

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Capitolo 10
*** Profumo di fiori. ***


CAPITOLO 9.
PROFUMO DI FIORI.


Pov Sana.

Aspettavamo ormai da un'ora buona fuori dalla sala parto. L'intervento di Natsumi era abbastanza semplice, un normalissimo cesareo, ma nelle sue condizioni tutto era sul filo del rasoio.
Akito era appoggiato al muro accanto a me, aveva lo sguardo perso e non riusciva nemmeno a parlare per l'agitazione. Mi avvicinai a lui e l'abbracciai, premendo le labbra sul suo collo, e cercando di fargli capire che c'ero, che anche se non potevo capire fino in fondo ciò che stava provando, poteva aggrapparsi a me.
Aspettammo ancora, stretti l'uno all'altro, con il signor Hayama seduto vicino a noi e le ore passarono lente.
Finalmente, dopo un'infinita attesa, un dottore venne da noi, dicendoci di seguirlo, perchè la bambina era stata messa in incubatrice.
Quando la vidi mi sembrò di vedere l'essere più bello al mondo.
Io, Akito e il signor Hayama rimanemmo interdetti a fissarla, cercando di trovare somiglianze che era ancora difficile intuire, e sembravamo incantati da quel corpicino circondato da tubicini che le permettevano di respirare.
Il dottore aspettò che smettessimo di guardarla per spiegarci la sua situazione medica.
«Essendo nata alla 32esima settimana la bambina ha bisogno di essere supportata durante la sua crescita. I polmoni non sono ancora sviluppati totalmente, quindi non potrà lasciare l'ospedale prima di due, tre mesi.»
Ascoltavamo attentamente le sue parole e, nonostante fossimo preoccupati, sapevamo che la bambina era forte e che, come sua madre, ce l'avrebbe fatta.
O almeno lo speravamo...
«Grazie dottore» esordì il signor Hayama «Penso che mia nipote sarà forte.»
«Lo penso anch'io, quindi state tranquilli. L'unica cosa che dovete fare è pregare per Natsumi. La medicina ormai non può fare più nulla.»
Annuimmo tutti e tre e il dottore strinse la mano ad Akito, congedandosi e lasciandoci soli.
«Ragazzi voi andate a casa, rimango io qui con Natsumi e la bambina.»
Io e Akito seguimmo il consiglio del signor Hayama e tornammo a casa, dove ci addormentammo quasi subito distrutti dalla giornata infinita.

*

Quella piccola mano mi stringeva forte, le mie dita sembravano enormi vicino alle sue ed era forse la sensazione più strana e bella che avessi mai provato.
Era come sentirsi vivi per la prima volta, come fare un tuffo dal trampolino più alto. Era spaventoso ed eccitante allo stesso tempo.
Non ero sua madre, speravo che non ci fosse bisogno di me in quel ruolo, ma comunque volevo creare un legame con lei.
Lei... improvvisamente ricordai che non le avevamo ancora dato un nome, nonostante fossero passati diversi giorni dalla sua nascita.
La guardai attentamente. Quella bambina doveva avere un nome degno della sua purezza.
Somigliava già così tanto a sua madre... era bellissima, un fiore delicato che non sarebbe stato strappato da nessuno, finchè ci saremmo stati io e Akito.
Uscii la mano dall'incubatrice e la annusai, era un odore che mi ricordava il giorno dell'Hanami che avevo trascorso insieme ad Akito.
Era profumo di fiori.

------------------------------------------------------------------------------------------

Pov Akito.

Correvo verso l'ospedale, Sana mi aveva chiamato dicendomi di sbrigarmi perchè aveva qualcosa di urgente da dirmi. Speravo si trattasse di mia sorella, pregavo - forse per la prima volta nella mia vita - che al mio arrivo l'avrei trovata sveglia e pronta ad abbracciare sua figlia.
Ma, ovviamente, il destino non era così benevolo nei miei confronti perchè, quando varcai la soglia della neonatologia, trovai Sana a fianco all'incubatrice di mia nipote con una serie di post-it tutti attaccati sul vetro.
«Ciao...» sussurrò quando mi vide e sfoderò uno dei suoi sorrisi che mi fece quasi dimenticare la corsa che mi aveva costretto a fare per arrivare lì.
Quasi.
«Che diavolo è successo per farmi arrivare qui così di fretta? Natsumi?».
Lei scosse la testa, sembrava sinceramente dispiaciuta per avermi dato false speranze.
«Okay... allora cosa volevi dirmi?».
Lei indicò l'incubatrice, mostrandomi tutti i post-it che gli aveva attaccato sopra.
Su ognuno di quelli c'era scritto un nome e, sotto, il suo rispettivo significato.

MASARU.
Vittoria.

SAKURA
Fiore di ciliegio.

MEGUMI
Benedizione.

KAORI
Il profumo dei fiori.

HOSHI
Stella.

Li lessi tutti guardando mia nipote, pensando a quale fosse il più adatto a descrivere la bellezza di quella creatura.
«Vorrei tanto che lo scegliessi tu.»
Quella frase mi uscì spontanea, quasi dettata da una voglia di appoggiarmi a Sana per quella decisione che non ero certo di saper prendere.
Sana mi guardò sgranando gli occhi e il castano delle sue iridi si scurì ancora più del solito per la sorpresa.
«No,  Akito... è tua nipote. Devi scegliere tu il nome.»
Scossi la testa, cercando di non sorridere e di essere il più serio possibile.
«E' nostra nipote. Fino a prova contraria sei mia moglie e abbiamo fatto tanto per proteggere questa bambina. Tu hai fatto tanto per lei, quindi voglio che sia tu a scegliere il nome.»
Improvvisamente me la ritrovai addosso, che mi stringeva in un abbraccio che mi dava a mala pena la possibilità di respirare e pensai di riuscire, finalmente, a parlarle, a dirle tutto ciò che pensavo.
«Prima, mentre ero qui da sola e le stringevo la manina, ho sentito un profumo meraviglioso... ed era lei. La mia mano aveva un bellissimo profumo di fiori. Io tifo per Kaori, quindi. Tu che ne pensi?».
A me piaceva molto, forse Natsumi avrebbe voluto darle il nome di nostra madre, ma Sana sembrava così entusiasta che neanche volendo sarei riuscito a dirle di no.
«E Kaori sia.»
Ci voltammo a guardare la bambina, continuava a muovere le manine e, quando Sana la toccò, improvvisamente si calmò.
Quello era il segno che mia nipote aveva trovato la sua seconda mamma e io, nel frattempo, avevo trovato l'amore della mia vita.

 
*

Ormai erano settimane che io e Sana facevamo la spola tra ospedale e casa, senza un attimo di tregua.
Le condizioni di mia sorella non accennavano né a migliorare e, per fortuna, neppure a peggiorare, mentre mia nipote cresceva giorno dopo giorno stupendoci sempre di più.
Sembrava cominciare a riconoscere sia me che Sana, quando le toccavamo le manine lei era sempre pronta a sgranare gli occhi e a guardarci come se fossimo stati la sua luce giornaliera.
Cercavamo di essere coraggiosi, di non farci prendere dal panico ma la speranza di uscire da quella situazione si faceva sempre meno vicina. Eravamo in trappola.
Stavamo entrando a casa quando il telefono di Sana squillo, lei sbuffò per un attimo passandomi il cellulare per farmi vedere chi era a chiamarla.
Rei.
Erano giorni che ci tartassava di telefonate, chiedendoci quando avevamo intenzione di mostrarci al pubblico. Sana, ovviamente, non aveva fatto altro che gridargli contro che, con la situazione che stavamo vivendo, non era il momento di pensare al pubblico o ai giornalisti.
Comunque rispose, cercando di essere il più cortese possibile.
«Ciao Rei... Si, la bambina sta meglio, anche se ha ancora bisogno dell'incubatrice. Si...»
Ascoltavo la conversazione e, nel frattempo, sistemavo la spesa negli scaffali facendo attenzione a non fare confusione perchè, per quanto Sana fosse profondamente disordinata, sulla spesa non transigeva: tutto doveva essere al suo posto.
«Va bene Rei... stasera usciamo, sei più tranquillo?».
Sana chiuse la chiamata e, tirando il telefono sul divano, sbuffò.
«Per quanto lo adori, certe volte immagino mille modi per ucciderlo in un secondo solo.»
Sorrisi, perchè sapevo che in realtà avrebbe voltato le spalle a chiunque per lui, lo considerava un padre.
«Cosa voleva?» chiesi avvicinandomi a lei.
«Stasera si esce.»
«Questo lo avevo intuito.» risposi sarcastico. «Ma il motivo?»
«Perchè dobbiamo farci vedere in pubblico. E' già passato un po' di tempo dalle nozze, Rei teme che i giornalisti, per avere qualche scoop, si appostino fuori casa, quindi vuole dargli quello che vogliono per zittirli una volta per tutte.»
Il ragionamento non faceva una piega, noi gli davamo ciò che volevamo avessero. Sagami non era stupido allora.
«Possiamo chiamare Aya e Tsuyoshi... se non ti va di uscire solo noi due.»
Speravo rispondesse di no, e per un attimo mi era sembrato che le mie speranze non fossero state vane, ma immediatamente i miei castelli di carta furono distrutti.
«Va bene. Chiamo io Aya, tu intanto fatti una doccia.»
La lasciai in cucina, col telefono tra le mani, mentre io mi diressi verso il bagno, pronto per la nostra uscita a quattro.

*

Stringere la mano di Sana era strano. Non era la prima volta che camminavamo mano nella mano, ma non lo avevamo mai fatto da marito e moglie.  
Aya e Tsuyoshi cercavano di rendere le cose il più normali possibili, ma non era facile confrontarsi con i propri migliori amici che si ritrovano sposati senza neppure avere il tempo di realizzarlo.
«Hai saputo di Jikishi e Nori?»
Le ragazze continuavano a spettegolare davanti a noi e io mi ritrovai a guardare Sana più del solito. Aveva indossato un vestito nero, semplice, e sopra un cappotto rosso fuoco che sembrava prolungare la fiamma dei suoi capelli, che avevano preso un colore più chiaro negli ultimi tempi.
Il suo sedere ondeggiava davanti ai miei occhi e io pensai di non riuscire a contenermi. Eravamo amici, ma eravamo anche marito e moglie, e io volevo di più.
Non mi bastava tornare a casa la sera e addormentarmi con il profumo dei suoi capelli accanto, non mi bastava sentire la sua voce subito dopo essermi svegliato. Il matrimonio di facciata non mi bastava più.
«Akito, devi dirglielo.»
Come al solito, Tsuyoshi non faceva altro che leggermi nel pensiero, captando ogni mio singolo dubbio e cercando in tutti i modi di aiutarmi a sbrogliare la matassa che lo componeva. Ma la mia era una matassa troppo confusa, si era annodata per anni e mai nessuno era riuscito a capirci qualcosa, neppure io.
«Devi spiegarle una volta e per tutte che non è solo tua nipote a tenervi legati.»
«Il punto è che quello è l'unico legame che lei vuole.»
Tsuyoshi mi guardò, alzando poi gli occhi al cielo.
«Tu o non capisci, o non vuoi capire. Sta aspettando che sia tu a fare la prima mossa, sai come sono le donne. Sana non fa eccezione, anche se è completamente svitata.»
Annuii, lasciando che i suoi pensieri continuassero a vagare insieme ai miei, anche se in realtà non sapevo nemmeno cosa avrei dovuto pensare.
La nostra situazione stava cominciando a diventare più complicata che mai e, non appena la bambina sarebbe stata dimessa dall'ospedale, saremmo stati circondati da pannolini e biberon e parlare sarebbe stato troppo difficile, più di quanto non lo fosse già.
Io e Tsuyoshi ci avvicinammo alle ragazze, lui prese per la mano Aya e io seguii il suo esempio.
Sana si voltò a guardarmi e mi sorrise, non era la prima volta che ci prendevamo per mano né che lo facevamo in pubblico, ma quella volta assunse un significato diverso e lo sapevamo entrambi.
«Ti sei calato proprio nella parte, eh?» chiese lei, continuando a sorridermi.
«Occhiali da sole voleva che fossimo affiatati, e io cerco di seguire le sue istruzioni.»
Improvvisamente, non saprei spiegare come, l'impulso di baciarla fu troppo forte. Non fu un bacio passionale, non volevo metterla in imbarazzo di fronte ai nostri amici e soprattutto di fronte a tutti i giornalisti che sapevo essere appostati chissà dove per spiare la prima uscita pubblica della coppia del momento, ma mi sembrò finalmente di aver ripreso a respirare dopo un lungo periodo in cui avevo trattenuto il fiato.
Mentre le nostre labbra erano ancora unite le spostai una ciocca di capelli e, ridendo, le feci fare un casquet veramente troppo teatrale.
«Hai proprio seguito alla lettera il suo consiglio.» disse senza fiato.
Io le sorrisi e le diedi un altro bacio, non ero nemmeno certo che fosse la cosa giusta, eppure non ero riuscito a controllarmi. Il suo profumo, la sua voce, le sue labbra rosse così vicine alle mie... Sana per me era un afrodisiaco e non riuscivo nemmeno a connettere il cervello con il resto del corpo quando lei mi stava accanto.
Quando la feci rialzare aveva i capelli tutti arruffati e la bocca rossa a causa del rossetto. Non riuscivo a smettere di guardarla, perchè se era bella dopo solo un bacio... come sarebbe stata dopo aver fatto l'amore?
Cercai di riprendere il controllo, anche se era troppo difficile, e mi accorsi che tutti attorno a noi ci stavano fissando, alcuni avevano persino dei cellulari tra le mani e ci stavano scattando delle fotografie.
Ricordai improvvisamente che non eravamo una coppia normale, che tutto ciò che facevamo era automaticamente mandato sotto i riflettori e quasi mi pentii del mio gesto troppo appariscente. Poi mi voltai a guardare il viso di Sana, sorrideva come una bambina di due anni, e il mio pentimento sparì all'istante.
Se lei era felice, cosa me ne importava del resto del mondo?

---------------------------------------------------------------------------

Pov Sana.

Aya e Tsuyoshi continuavano a ridere, lo fecero per quasi tutta la serata. Un gesto come quello non era sicuramente da Akito, ma non mi dispiaceva quella nuova versione dello scorbutico ragazzo che conoscevo.
Tsuyoshi e Akito si erano allontanati di nuovo, parlavano bisbigliando come due ragazzine delle medie, mentre io e Aya bevevamo un drink sedute al tavolo del ristorante.
«Tu e Akito avete preso bene questa storia del matrimonio...» esordì Aya, dandomi una piccola gomitata e facendomi quasi cadere il cocktail addosso.
Risi e annuii. «Era una finta, Aya. Akito non farebbe mai una cosa del genere. Ha visto che qui intorno era pieno di giornalisti e ha fatto quello che Rei ci aveva suggerito: farci notare. Sai come sono i giornali, avrebbero inventato che siamo in crisi e avremmo avuto paparazzi anche fuori casa. Non ha significato niente.»
Mentre dicevo quelle parole non avrei mai immaginato che, voltandomi, mi sarei ritrovata Akito alle spalle con un'espressione tutt'altro che serena come quella di pochi minuti prima.
«Si, Aya, ha ragione Kurata. Non ha significato niente.»
Si voltò e, dopo aver lasciato i soldi per il conto, riprese a camminare insieme a Tsuyoshi davanti a noi.
La nottata sarebbe stata una tragedia.
Ci sedemmo al tavolo per la cena, ma l’atmosfera si era ormai raffreddata, notai che Aya e Tsu avevano tra le mani un solo menù e lo guardavano insieme, così presi coraggio, mi avvicinai ad Akito che guardava il menù come se fosse l’unica cosa interessante in quella sala, e misi la mia mano sulla sua. All’inizio si irrigidì, ma poi alzò lo sguardo e mi fissò con i suoi occhi ed io mi sentii persa, allora mi avvicinai e gli sussurrai: «Mi dispiace se ho detto qualcosa che ti ha infastidito ma, ti prego, cerchiamo di non rovinare la serata.» e dopo aver lasciato un bacio nella porzione di pelle sotto il suo orecchio, tornai a guardare la lista delle varie portate.
La cena proseguì in un’atmosfera rilassata, ridendo, scherzando e ricordando vari aneddoti. Decidemmo di proseguire la serata a casa nostra, lontani dai paparazzi, io ero così emozionata di far vedere la stanza di Kaori ai nostri più cari amici.
Erano ormai le due, così decidi di preparare altro caffè e, magari, anche qualche cappuccino. Akito diceva che ero dipendente da quella bevanda e che usavo ogni scusa per prepararmelo a qualsiasi ora della giornata. Mentre mi dirigevo in cucina, Aya chiese ad Akito di aiutarla a portare  dentro il regalo per la piccola.
La situazione con Akito sembrava risolta, ma sapevo benissimo che era una semplice parvenza perchè, non appena Aya e Tsuyoshi ci avrebbero lasciati da soli, sarebbero iniziati i veri problemi.
In realtà, ciò che avevo detto, era ciò che pensavo che lui avrebbe detto. Era ciò che credevo lui pensasse.
Forse non era davvero così e forse, ogni tanto, avrei dovuto riflettere prima di dar aria alla bocca.
Alla mia età non avevo ancora imparato quella lezione...

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Pov Akito.

Io e Aya non eravamo propriamente quegli amici che si confidano i segreti, non avevamo di certo lo stesso rapporto che io avevo con Tsuyoshi o con la stessa Fuka, ma c'erano state volte, quando avevo creduto che tutto mi stesse per crollare addosso, che le parole di Aya mi avevano aiutato. Era saggia, una dote che non avevo mai riscontrato in nessuna ragazza della nostra età.
Vicino alla macchina Aya si fece seria e si appoggiò allo sportello.
«Non puoi pretendere che Sana capisca i tuoi sentimenti, Hayama. Tu non sei onesto e chiaro con lei fino in fondo.» Poi chiuse gli occhi e incrociò le braccia sul petto. Io annuii e aspettai che parlasse.
«Capisco il tuo essere restio a dire a Sana una verità che è palese a tutti da tempo, ma so anche che ognuno di noi ha i suoi tempi che non devono essere, in ogni caso, forzati. Non arrabbiarti con lei perchè non capisce, non ne ha colpa.»
Forse Aya aveva ragione, forse Sana non riusciva davvero a fare chiarezza tra i miei e i suoi comportamenti, ma davvero era così ingenua da non capire quello che provo per lei da sempre?
«Sana ti ama al di sopra di tutto e tutti, dovresti averlo capito quando ha rinunciato a vari lavori negli States, che le avrebbero fruttato milioni di dollari, per restare vicino e te! E tutto questo senza battere ciglio, senza preoccuparsi del danno che probabilmente questi rifiuti avrebbero causato alla sua immagine. Anche tu dovresti imparare a leggerla un po' di più.»
Detto ciò mi lasciò indietro, con in mano una scatola enorme da portare in casa e mille dubbi che non facevano altro che farmi scoppiare la testa.
Sana Kurata, sarai sempre un mistero per me!



Dovete perdonarmi, non ho potuto ne rispondere alle recensioni ne pubblicare per un bel po' di settimane ma.... l'università è cominciata e le cose da studiare mi stanno sommergendo!
Spero che non vi abbia annoiato leggere e spero che continuerete a farlo! Un bacio e vi adoro SEMPRE!
Akura.




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Capitolo 11
*** E adesso.... ***


CAPITOLO 10.
E ADESSO...


Pov Akito.

Ero al telefono con Tsuyoshi da ore, cercando di farmi consigliare su cosa regalare a Sana per il nostro secondo mese di matrimonio, ma come sempre nè io nè lui riuscivamo a deciderci.
«Tutto ti sembra banale, non pensi di esagerare adesso? Io avrei una vita, tanto per la cronaca."
Avrei voluto sbattergli in faccia tutte le volte in cui mi aveva chiamato parlandomi e riparlandomi del suo pasticcino, mentre l'unica cosa che volevo era mandarlo al diavolo, ma non potevo perchè era il mio migliore amico.
«Grazie dell'aiuto, Tsuyoshi. Veramente, sei un amico.»
Chiusi la chiamata, esasperato dalla situazione e da come le cose si stavano evolvendo tra me e Sana.
Erano passati due mesi, 13 settembre 2015 e, anche se non ero mai stato il tipo da regali, non potevo far passare inosservato quel momento che era stato importante per entrambi, nonostante tutte le difficoltà annesse.
In quel momento, probabilmente, avrei chiesto a mia sorella un consiglio e lei mi avrebbe risposto ridendo e prendendomi in giro. Mi mancavano quei lati di lei, mi mancava vederla la sera accarezzarsi il pancione che ormai non c'era più, e parlarmi di Sana come se sapesse già che il mio destino con Sana fosse segnato.
Lei ne era sicura, ne era sempre stata sicura, eppure io non sapevo mai come affrontare quelle parole.
Tu e Sana? Siete anime gemelle, Akito. Dovrete capirlo, prima o poi...
Le sue parole mi piombarono addosso come un pesante macigno. Volevo mia sorella. E non mi accontentavo più di stringerle la mano mentre non sapevo neppure se riusciva a sentirmi, volevo vederla sorridere, aprire gli occhi e chiedermi di sua figlia.
Kaori stava bene, sarebbe presto uscita dall'ospedale e la nostra vita sarebbe cambiata, ma non avevo paura.
Ero terrorizzato.
Sana negli ultimi tempi aveva ripreso in mano la sua vita, come ovvio che fosse, ed era stata impegnata, oltre che con mia nipote, con alcune conferenze stampa e qualche riunione con il regista del film che avrebbe girato di lì a breve, che speravo non la portasse troppo lontana da me.
Sapevo che prima o poi sarebbe successo, sapevo perfettamente che la nostra vita insieme era un continuo conto alla rovescia e speravo semplicemente che rallentasse o che, per qualche scherzo del destin»o, mi sarebbe stato concesso più tempo. Anche quella, ne ero consapevole, era una vana speranza.

Pov Sana.

Continuavo a guardare il telefono ogni due minuti, sperando che Akito mi chiamasse per chiedermi almeno se ero viva o morta. Approfittando del fatto che la bambina non era ancora a casa e che, in quel caso, avevo ancora del tempo libero, ero uscita di buon ora per andare a parlare con il registra del film che avrei girato dopo qualche mese.
Avevo posto come assoluta condizione il fatto che, in qualsiasi momento, avrei potuto prendermi una pausa perchè la mia famiglia aveva bisogno di me. Inizialmente il regista non era sembrata molto contento, aveva cercato di dissuadermi, ma era un punto su cui non discutevo.
«Pensi che il signor Miyazaki si sia offeso per le condizioni che ho messo avanti?".
Rei continuò a guardare la strada, annuì e poi strinse ancora di più il volante fino a farsi diventare le nocche bianche. Non aveva preso bene la mia decisione di sposarmi con Akito quindi ogni conseguenza che ciò comportava lo rendeva nervoso.
«Non è stata di certo la scelta più saggia, ma sono disperati. L'ultima attrice che gli era stata proposta gli ha dato buca, quella precedente non sapeva nemmeno recitare: ti daranno ogni beneficio che gli chiederai. Ma ti prego, Sana, non approfittartene. Non fare in modo di essere vista come la star snob che pensa solo a se stessa.»
La predica mi era bastata, ma lasciai che continuasse a parlare perchè non avrei retto una seconda predica su quanto io stessi trascurando il mio lavoro a causa di Hayama. Era triste sapere che l'uomo che mi aveva praticamente fatto da padre odiava l'unico uomo che sarei stata in grado di amare.
Quando arrivammo a casa mia aprii lo sportello, feci per scendere dalla macchina ma poi riflettei su Rei e su quanto si sforzasse per non farmi pesare ciò che realmente provava.
Mi voltai e gli posai un leggero bacio sulla guancia.
«Sta' tranquillo, non farò casini.»
Lui annuì, mi sorrise,  e io scesi dalla macchina, pronta per affrontare la serata con mio marito che, ovviamente, non mi considerava sua moglie abbastanza per farmi una telefonata.

*

Aprii la porta e, inizialmente, non capii ciò che avevo davanti. Mi tolsi le scarpe, le tirai all'angolo del salotto come ogni sera, poggiai la borsa accanto al divano ma, voltandomi, notai che il camino era acceso.
Era strano, solitamente Akito non lo accendeva mai perchè non gli andava di stare attento al fuoco, quindi mi accorsi che l'intera casa era al buio.
«Ciao, Kurata.»
La voce di Akito, per un secondo, mi penetrò attraverso le ossa. Alle mie spalle avvertivo la sua presenza, e speravo che prima o poi avrei smesso di sentirmi in quel modo quando lui mi stava vicino.
Mi voltai, quasi meravigliandomi del fatto che lui fosse molto più alto di me, e incrociai il suo sguardo.
Aveva in mano una bottiglia di vino e due bicchieri.
«Festeggiamo?» chiesi, meravigliata.
«Non esattamente. Vieni.»
Mi tolse il cappotto e lo poggiò sul divano, portandomi vicino al camino. Prima di quel momento non mi ero resa conto che il tavolino del salotto era apparecchiato e circondato di cuscini.
«Ho pensato che... visto che oggi avevi quell'importante riunione di lavoro, stasera potevamo rilassarci mangiando davanti al camino.»
Quello non era un gesto da Hayama, lo sentivo in ogni piccolo movimento che si stava sforzando solo per rendermi felice, per cercare di darmi ciò che avevo sempre cercato in una relazione. Ogni volta che, tra noi, si arrivava a quell'argomento io dicevo sempre di volere un uomo attento ai miei bisogni, mentre lui non mi rivelava mai le qualità della sua donna ideale. A volte avevo sperato che dicesse di volere una donna maldestra, disordinata, incasinatissima e sempre sorridente, volevo rivedermi in quella descrizione e, per un attimo, pensare davvero di contare qualcosa per lui.
Mi prese per mano e, accompagnandomi vicino al camino, mi mise una mano sulla schiena. Teneva fermo il palmo e il pollice si muoveva lentamente, accarezzandomi piano.
Forse quello era il contatto più intimo che avessimo mai avuto.
«E poi, tanto perchè tu te lo ricordi, oggi è il nostro mesiversario.»
Restai ferma, immobile, scioccata da quelle parole. Stavamo festeggiando il nostro secondo mese di matrimonio? Aveva organizzato tutta quella sorpresa semplicemente per dirmi che era felice di essersi sposato con me? Non potevo crederci. E io che avevo pensato per tutto il giorno che mi stesse ignorando.
«Non so che dire...» dissi infine, cercando di trovare le parole adatte, in mezzo a tutta la confusione che avevo in testa, per fargli capire che anche io ero contenta.
Anche se tutto era successo in fretta, anche se l'avevamo fatto solo per necessità, anche se non ci aspettavamo di certo di sposarci così giovani, anche se probabilmente avremmo dovuto affrontare migliaia di ostacoli, era l'unica cosa che avrei rifatto mille volte nella mia vita.
Nemmeno Akito parlò molto, si limitò ad allontanarsi per un attimo e a tornare con un mazzo di fiori tra le mani.
Quando lo presi e lo guardai bene, mi accorsi che niente di tutto ciò che aveva fatto era stato un caso.
Era un boquet di rose bianche e, al centro, c'era un'unica rosa rossa.
Mi veniva quasi da piangere, mi sentivo scoppiare il cuore dalla gioia.
«Okay, adesso... che ne dici di un po' di pasta?»
Scoppiai a ridere, aveva appena rovinato il momento più romantico della mia vita, ma non riuscivo comunque ad essere arrabbiata con lui.
Era Akito.

Pov Akito.

Il viso di Sana era tutto un sorriso. La sua bocca sorrideva, i suoi occhi sorridevano, tutto in lei era felicità pura e io non potevo non pensare che quella felicità fosse merito mio.
Avevo sprecato una giornata cercando un regalo che potesse essere adatto a lei senza rendermi conto che, l'unico regalo che Sana avrebbe voluto ricevere, era esattamente lì, ed ero io.
Lei voleva l'Akito premuroso, l'Akito attento e, anche se non potevo prometterle di essere sempre così, potevo sforzarmi di darglielo per almeno un paio d'ore.
«Quindi, dov'è il mio regalo?" disse lei continuando a sorridermi e dandomi una spinta con la spalla, facendomi quasi cadere all'indietro.
«Lo dirò sempre: tu eri un uomo alla nascita.»
Scoppiammo a ridere entrambi di gusto e Sana prese a fare la sua versione maschile, fingendo di avere i baffi.
«Sono seria comunque, voglio il mio regalo.»
Non riuscivo a decifrare la sua espressione, non capivo se scherzasse o se dicesse sul serio, quindi mi limitai a prendere di nuovo in mano il boquet di fiori e a darglielo, sperando che capisse quanto mi ero impegnato per organizzare quella serata.
«Pensavo saresti stato più originale sinceramente.»
Si alzò, la faccia contratta dalla delusione, e mi lasciò da solo andando in camera e sbattendo la porta alle sue spalle.
Rimasi interdetto, non pensavo potesse arrbbiarsi perchè non le avevo comprato un vero regalo, Sana non era mai stata il tipo da tenere alle cose materiali.
Per due anni consecutivi mi ero presentato con un misero pupazzo di neve e ora che eravamo adulti, ed entrambi consapevoli che non fossero quelle le cose importanti, lei si arrabbiava perchè non le avevo comprato un diamante o chissà cosa?
Non potevo accettarlo. Mi alzai da terra e, furioso, le corsi dietro aprendo la porta della nostra camera come se mi avesse fatto un torto.
Trovai  Sana seduta sul letto, con l'espressione di chi non riesce più a trattenersi.
Guardò l'orologio e, tranquillamente, come se non fosse appena successo nulla, mi sorrise.
«Ci hai messo esattamente ventisette secondi a reagire. Pensavo ti importasse un po' di più di me."
Scoppiò a ridere e per un secondo la rabbia si impossessò di me.
«Vaffanculo!». Feci per uscire ma la mano di  Sana mi bloccò improvvisamente, ma non era perchè voleva tranquillizzarmi: voleva colpirmi a tradimento.
Sapeva quanto odiassi il solletico quindi, tanto per farmi infuriare ancora di più, si aggrappò a me e cominciò a farmi il solletico sui fianchi, il mio punto debole.
Risi così forte che i vicini mi sentirono sicuramente, e insieme alle mie risate anche le mie urla da femminuccia. Cominciai a scappare, cercando disperatamente di togliermela di dosso, ma non funzionava, così mi buttai sul divano dove potevo ribaltare la situazione.
Così feci, finalmente riuscii a farla staccare e a bloccarle le mani. Le tenevo i polsi, fermi sopra la sua testa, e l'atmosfera si fece diversa.
Le risate cessarono. Tutto si trasformò in una realtà parallela, dove quei giochi non erano quelli di due amici, ma di un marito e di una moglie, reali e innamorati.
Le ciglia di Sana erano ipnotizzanti, sbattevano a pochi centimetri dalle mie, e mi sembrava di potermi immergere completamente in quel movimento impercettibile.
I suoi occhi... più li guardavo, più mi sembrava di non riuscire a tenere il controllo della situazione.
Non riuscivo a parlare, a respirare e, con tutto quel silenzio, potevo sentire chiaramente i nostri cuori battere.
Per lo meno sentivo il mio e, per poco, non stava uscendo fuori dal petto.
Per fortuna ci pensò lei a scacciare via quel silenzio, perchè io non avrei saputo come fare.
«E adesso?» sussurrò abbassando lo sguardo sulle mie labbra.
Sembrava volermi dire baciami, adesso.
«E adesso?» ripetei io, soffermandomi a guardare anche io le sue labbra. Volevo baciarla. Non lo facevo da così tanto.
«Adesso... io....». Muoveva le mani intorno alle mie, accarezzandomi lentamente le dita, e solo quel contatto mi stava facendo uscire di testa.
«Tu...» continuai. Mi piaceva quel gioco delle frasi lasciate a metà.
«Io...».
Tutto d'un tratto mi ritrovai le sue mani sulla nuca e la sua bocca sotto la mia.
Baciare Sana mi sembrò un'esperienza del tutto nuova, come se non fosse mai successo prima, come se tutte le volte che ci eravamo timidamente sfiorati prima di quel momento non fossero mai esistite, come se la conoscessi per la prima volta.
Improvvisamente la vidi, cosi, semplicemente e chiaramente come avrei dovuto vederla molto tempo prima. Teneva gli occhi chiusi, e le sue guance erano rosse, come se si vergognasse.
Non avevo mai pensato al fatto che, dopo tanto dolore, potesse esserci anche la felicità, mai avrei detto che il mio cuore sarebbe stato pronto per un amore del genere. Eppure, in quel momento, mentre la guardavo baciarmi e sfiorare il mio viso come se fosse stato la cosa più importante al mondo, la vidi.
E, ancora una volta, mi innamorai.

________________________________________________

Pov  Sana.

Passammo la serata in quel modo, ci baciammo finchè la bocca non ci fece male, finchè entrambi dicemmo di non poterne più. Lo dicevamo, ma mentivamo.
Era la seconda volta che baciavo Akito di mia sponte e, improvvisamente, mi resi conto che tutta la confusione che dicevo di avere, tutte le paranoie e i problemi... non erano stati altro che frutto della mia paura.
Io ero terrorizzata da lui, dal dolore che avrei potuto provare se solo avessi ammesso i miei sentimenti.
In quel momento, mentre lui sparecchiava e io ero ancora distesa sul divano nella stessa posizione in cui ero mentre ci stavamo baciando, lo vidi chiaramente.
I suoi occhi, la sua pelle, i suoi capelli chiari e il suo sorriso che custodiva gelosamente come il più prezioso dei tesori.
Io ero innamorata di Akito. Ma innamorata da sempre, e non avevo bisogno che mi dicessero che ero stata io cieca a non volerlo ammettere, perchè lo sapevo benissimo.
«Sana ma cos'hai?». Akito si avvicinò a me, posando il piatto che aveva in mano, e mi sfiorò il viso. «Stai piangendo.»
Non mi ero neanche resa conto di stare piangendo finchè il suo dito non mi toccò la guancia e mi accorsi che era bagnata.
«E' successo qualcosa? Se ti sei pentita, se non volevi...»
Lessi la preoccupazione nelle sue parole e mi venne ancora di più da piangere. Come poteva pensare che mi fossi pentita, quando baciarlo era stata la cosa più giusta che avessi mai fatto?
Scossi la testa e, immediatamente, rifugiai il viso nell'incavo del suo collo, cercando di sentire il suo odore.
«Sei strana forte, lo sai vero?» disse lui accarezzandomi i capelli lentamente.
Io risi e lo strinsi ancora più forte.
"Tu abbracciami.» conclusi infine.
E lui lo fece, senza battere ciglio o dare il minimo segno di instabilità. Mi cullò finchè non mi addormentai, avvolta tra le sue braccia e dal suo profumo.


Non so davvero come scusarmi per queste settimane di silenzio stampa, ma purtroppo l'università assorbe tutto il mio tempo.
Spero solo che non smetterete di seguirmi nonostante questo, spero che la mia storia vi appassioni, spero che nonostante la storia vada a rilento -così come University Life- non smetterete di leggermi. Voi siete la forza di tutto, e la mia forza è la scrittura, come sempre.
Vi voglio bene e grazie sempre di tutto, dei commenti positivi e di quelli negativi... GRAZIE!
Akura.


 

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Capitolo 12
*** Porte chiuse. ***


CAPITOLO 11.
PORTE CHIUSE.

Pov Akito.

«Avanti, Hayama, sbrigati!».
Sana non faceva altro che darmi ordini, continuamente.
Prendi i pannolini, prendi il biberon, prendi il passeggino, prendi questo, prendi quello.
«Akito, dai, per favore!!».
Corsi a darle il body della bambina e lei mi ringraziò sorridendomi. Ormai erano due giorni che non chiudevamo occhio, il mio cervello stava per abbandonarmi e così anche il mio corpo, mentre Sana sembrava non essere sfiorata da tutto ciò che ci stava succedendo. Praticamente eravamo diventati genitori di punto in bianco e ci eravamo ritrovati a cercare di mantenere i ritmi di una neonata anche se in realtà non sapevamo come fare, in più l'università non mi dava pace e sarei stato impegnato per il resto del mese con una relazione da preparare in vista dell'esame.
Era come se tutte le cose negative della mia vita si stessero unendo, creando un problema dopo l'altro a cui non riuscivo a trovare soluzione.
Sana si comportava con Kaori come una mamma premurosa e almeno su questo potevo stare tranquillo, anche se dovevo ammettere che addossarle tutte quelle responsabilità senza riuscire nemmeno a darle una mano mi faceva sentire parecchio in colpa.
Mi fermai a guardarla, stava chiudendo i bottoni automatici del body di Kaori e nel frattempo le parlava, sorridendole e facendola ridere a sua volta. Immaginare Sana in una situazione come quella mi era sempre sembrato un po' surreale, perchè avevo sempre allontanato l'idea che potesse avere figli con un uomo qualsiasi perchè mi faceva andare su tutte le furie, ma in quel momento immaginarla col pancione o con un bambino nostro mi sembrò la cosa più naturale del mondo.
«Perchè mi fissi così?».
Uscii dal mio stato di trance e adesso era Sana che guardava me con fare interrogativo.
«Nulla, te la cavi con i bambini.» minimizzai infine, cercando di non far trapelare tutte le emozioni che invece mi avevano attraversato fino ad un momento prima.
«Si, bè... ogni tanto nei periodi natalizi andavo all'orfanotrofio che ha accolto Naozumi, passavo molto tempo con quei bambini e alcuni ancora portavano il pannolino. Era uno dei miei momenti preferiti in assoluto, quando li andavo a trovare. Adesso non ci vado più tanto spesso.»
Non me l'aveva mai detto prima, probabilmente non l'aveva mai detto a nessuno e mi venne spontaneo sorriderle per avermi confidato una cosa così importante per lei.
Sana non faceva altro che posticipare e annullare i suoi impegni per me, per aiutare me... e io riuscivo a malapena a mostrarle la mia gratitudine.
«Tu, invece...» esordì lei, dandomi una gomitata «.. sei proprio una frana con i bambini! Ieri ho trovato Kaori con il pannolino al contrario!».
Scoppiò a ridere e il suono della sua risata mi giocava sempre brutti scherzi tanto che dovetti abbassare lo sguardo per evitare di commettere un errore che mi sarebbe costato caro.
Quella situazione doveva finire, dovevamo trovare una definizione. Non eravamo amici, ma nemmeno una coppia a tutti gli effetti se non per il contratto che il matrimonio rappresentava. Non eravamo nulla di spiegabile o comprensibile.
Eravamo noi, e non sapevo realmente quanto quel noi sarebbe stato positivo.  

*
Mi ero rammollito. Era ufficiale, avevo preso le mie palle e le avevo appese al chiodo.
Non ero mai stato un tipo da sorprese plateali ne avevo mai
organizzato nulla per nessuno, quindi pensare a qualcosa che potesse andar bene per Sana nella situazione in cui ci trovavamo non fu semplice, ma con la complicità della signora Kurata riuscii a raccapezzarmi nella confusione della nostra nuova esperienza da genitori.
Sana sembrava totalmente assorbita da mia nipote, non dormiva più, passava tutto il suo tempo a cambiare pannolini sporchi e anche se io volevo aiutarla lei mi cacciava dicendomi di pensare a studiare.
Odiavo doverle dare tutte quelle incombenze. Odiavo che lei potesse essere distrutta a causa mia.
Quindi, cercando un po' su internet, avevo trovato uno stupendo percorso benessere che avevo subito prenotato, cogliendo così l'occasione del nostro terzo mese di matrimonio e sapendo perfettamente che sarebbe stato un toccasana per lei quanto per me. Non me la sentivo di proporle una serata fuori, ero convinto che sarei incappato in un rifiuto legato alla bambina, Sana non l'avrebbe mai lasciata da sola per andare a divertirsi. Invece, se non l'avesse saputo affatto e se fosse stata tranquilla ad affidare la bambina a sua madre, avrebbe potuto godersi il relax che avevo progettato per noi.
Quando accompagnammo la bambina a casa Kurata Sana mi sembrò abbastanza titubante nel lasciarla a sua madre, ma speravo con tutto me stesso che non facess obbiezioni o il mio piano per la giornata sarebbe andato in fumo.
«Mi raccomando...» mi sussurrò Misako prima di chiudermi la porta alle spalle.
Sana mi guardò interrogativa, aggrottando leggermente le sopracciglia. «Che cosa intendeva?».
Alzai le spalle e tornai alla macchina, ridendo sotto i baffi.
«Dove mi stai portando?» chiese dopo aver messo la cintura di sicurezza.
«Lo vedrai.»

Pov Sana.

Akito continuava a guidare in silenzio, forse la cosa che detestavo di più al mondo.
Il silenzio per me era come un enorme buco nero, prende tutto ciò che ha intorno e lo risucchia inevitabilmente, senza scampo.  Ecco, in quel momento, mentre Akito si allontanava sempre di più dalla città e io giocherellavo con i capelli, mi assalì la paura che il nostro rapporto, prima o poi, sarebbe stato risucchiato dal silenzio, dalla noia, dalla non più voglia di stare insieme.
Non potevamo di certo vantarci di avere un bel rapporto: litigavamo in continuazione - spesso anche perchè lui metteva i calzini addirittura in ordine di colore mentre io ero disordinata e casinista - e non facevamo altro che urlarci contro per qualsiasi cosa. Eppure, nonostante tutto, avevo sempre creduto che proprio per quello il nostro legame fosse forte, perchè era reale.
«Dove andiamo?».
«Lo hai già chiesto diciassette volte, Kurata.» sbuffò lui, stringendo ancora di più il volante tra le mani.
«E per diciassette volte tu mi hai risposto non te lo dirò mai, sai formulare una frase diversa?»
Mi strinsi nelle spalle e misi i piedi sul cruscotto perchè sapevo quanto gli desse fastidio.
«Non te lo dirò mai. E togli i piedi da lì, rana.»
Gli lanciai uno sguardo di fuoco, sapeva quanto odiavo essere chiamata in quel modo, eppure ogni volta si ostinava a farlo per indispettirmi.
Se avessi avuto ancora quindici anni e le codine da bambolina sarei andata su tutte le furie e lo avrei colpito con il mio fidato martelletto, ma ero una donna ormai e da tale dovevo comportarmi.
Tolsi i piedi dal cruscotto, come mi aveva chiesto, e mi volta a guardare fuori dal finestrino, senza degnarlo minimamente di uno sguardo.
Una volta mia madre mi disse "Sana... l'indifferenza è la miglior arma per infastidire qualcuno." e aveva ragione, pienamente ragione.
Per tutto il tempo rimani nella stessa identica posizione e notai che lui sbuffava, si voltava a guardarmi e poi tornava a fissare la strada. Era nervoso, perchè non aveva il controllo di nulla in quel momento, e la cosa mi eccitava da morire.
Tanto era lo sforzo di mostrarmi indifferente e distaccata che non mi accorsi neppure che Akito si era fermato perchè eravamo arrivati a destinazione.
Scesi dall'auto e mi affiancai a lui, non capendo minimamente di cosa si trattasse. Eravamo davanti ad un grande casolare, sull'insegna vi era il nome di La casa del relax, e immediatamente dentro di me si materializzò l'idea di un negozio di materassi.
So che potrebbe sembrare stupido, ma era da me, e non avrei mai immaginato ciò che invece trovai all'interno.
Tutto era completamente bianco e splendente e pensai di non aver mai visto niente di così pulito in vita mia. Alzai lo sguardo e di fronte a noi troneggiava nuovamente il nome e, sotto, in un cartellone, tutti i trattamenti di cui si occupavano.
Ci avvicinammo al bancone della reception dove una signora bionda, dall'accento tedesco, strinse la mano ad Akito, confondendomi ancora di più.
«Salve, signor Hayama. Venite con noi, Lena e Crista vi stanno aspettando.»
Rimasi interdetta nel sentire quei nomi, e lo fui ancora di più quando la donna mi porse un accappatoio e mi disse di andare nello spogliatoio e togliermi i vestiti.
«Ma lei intende nuda... nuda?»
«Certo, signora Hayama. Nuda.» rispose lei, tranquillissima.
Sentirmi chiamare signora Hayama mi fece un certo effetto e sicuramente diventai rossa ma cercai di nascondere il mio imbarazzo.
Guardai Akito, gli feci un cenno imbarazzato e mi avviai verso lo spogliatoio, che la ragazza mi aveva indicato.
Non avevo avuto il coraggio di guardare davvero  Akito, perchè anche solo pensare che avesse organizzato quella cosa per me mi aveva riempito di gioia, mentre io ero stata capace solo di ignorarlo.
Quando ci ritrovammo entrambi distesi sui lettini e coperti solamente da due lenzuoli bianchi, il separè che divideva la stanza fu eliminato e, immediatamente, trovai i suoi occhi.
Le massaggiatrici si misero ai lati opposti così da permetterci di guardarci.
Gli sorrisi, non sapevo cosa dire, mi sembrava tutto così banale.
«Ti stai rilassando?» mi chiese lui, quando chiusi gli occhi mentre mi godevo il massaggio di Lena.
Annuii sorridendo. «E' tutto meraviglioso, grazie.»
«Oh donna, non ringraziarmi adesso. Il meglio deve ancora venire.» rispose lui, voltandosi dall'altra parte e lasciandomi con mille domande nella testa.
Il meglio deve ancora venire...
E cavolo, aveva ragione.
Quando il massaggio di coppia terminò ci accompagnarono in una camera al piano superiore. Akito aprì la porta e un enorme Jacuzzi invadeva tutto lo spazio all'interno.
Era meravigliosa, l'acqua all'interno era così calda che fumava e io non credevo si potesse essere così rilassati.
Quando entrammo e ci mettemmo comodi, mi sembrò che il mondo attorno a me fosse sparito, c'eravamo solo io, la vasca e forse Akito, ma lui era un elemento superfluo.
Volevo una Jacuzzi, deciso.
«Era questo il meglio, per tua informazione.» disse Akito, svegliandomi dal trance in cui ero caduta.
«Si, me ne sono accorta. Devi smetterla di organizzare queste cose, potrei abituarmi ad un massaggio settimanale e diventeremmo poveri a forza di percorsi benessere.»
Scoppiammo entrambi a ridere e il momento mi sembrò il più giusto per avvicinarmi a lui.
Non avevo alcuna intenzione particolare ma notai immediatamente quanto si fosse irrigidito anche solo vedendomi muovere.
Mi strinsi sotto il suo braccio destro, appoggiando una mano sulla sua pancia e una dietro la sua schiena.
«Posso dirti una cosa, senza che tu ti arrabbi?»
Lui annuii. «Ma non ti prometto nulla sulla mia rabbia.»
«Mi manca Kaori.»
Lui sorrise, quasi come se lo sapesse già. «E' in buone mani, sta tranquilla. E poi stasera andiamo a prenderla, non mi fido a lasciarla nella stessa casa con Occhiali da sole, potrebbe farle il lavaggio del cervello e convincerla ad odiarmi.»
Risi, sapendo che aveva pienamente ragione, e mi strinsi ancora di più a lui fino a che il calore dell'acqua e il calore del suo corpo non mi fecero addormentare.

*
Mi svegliai quando ormai l'ora nella Jacuzzi stava per terminare e Akito era già in bagno a vestirsi.
Non avevo idea che potesse essere così romantico o, se non romantico, così premuroso. Mi sembrava che fosse irreale, come se non riconoscessi più l'Akito che avevo conosciuto. Da quando portava la fede al dito era cambiato, sicuramente in meglio, ma non era più la persona che avevo frequentato per tutta la mia vita.
Hayama uscì dal bagno ancora a petto nudo, probabilmente perchè convinto che dormissi ancora, e appena si accorse di essersi sbagliato si affrettò a mettere la maglia.
«Andiamo?».
Annuii e, con non poco imbarazzo, uscii anch'io dalla vasca sapendo perfettamente che lui mi stava fissando da testa a piedi. Corsi in bagno e in cinque minuti ero di nuovo fuori, pronta per tornare a casa.
In macchina nessuno dei due era riuscito a dire una parola, probabilmente entrambi provavamo le stesse cose e non riuscivamo a dircele.
Io ero spaventata, perchè sapevo che quello poteva essere l'inizio di tutto e, contemporaneamente, la sua fine.
Quando arrivammo davanti casa di mia madre sentii il cuore più leggero, riavere tra le braccia la piccola Kaori era come un toccasana per me, era come riprendere il controllo dopo una giornata in cui non ero riuscita ad avere il controllo di nulla, nemmeno di me stessa.
Mia madre mi disse che la bambina aveva mangiato e che dormiva profondamente, quindi la avvolsi nella sua coperta e la portai in macchina.
«Sta bene?» mi chiese Akito mettendo in moto. Io annuii e cominciai a coccolare la piccola mentre lui continuava a guardarmi, sorridendo.
«Che c'è?» chiesi poi, ridendo anch'io.
«Niente, sembri una mamma che si è rincretinita dopo la gravidanza.»
Scoppiammo a ridere entrambi e mi sembrò che la tensione accumulata da tutto il giorno fosse improvvisamente svanita, come se quelle risate potessero cancellare cinque ore di pensieri continui.

*

Misi la bambina nella sua culla, accendendo il control baby e portando il secondo apparecchio in salotto con me.
«Ho ordinato la pizza, per te va bene?».
«Si, il solito?» chiesi, sapendo già la risposta.
«Ovviamente.»
Mi buttai sul divano, sperando di potermi godere un po' di tranquillità prima della nottata in cui sapevo già che la bambina si sarebbe svegliata ogni tre ore per mangiare.
Akito fece lo stesso, dopo aver sistemato la spesa, e parlammo un po' della giornata appena trascorsa. Prendemmo in giro la massaggiatrice che aveva fatto degli apprezzamenti molto spinti nei confronti di Akito, e del ragazzo della reception che voleva aiutarmi a trovare i bagni e magari accompagnarmici anche dentro.
La pizza arrivò poco dopo, Akito si alzò e, dopo aver pagato, mandò via il fattorino che, vedendomi, aveva voluto un autografo.
«Sei una specie di fenomeno da baraccone, dovrebbero chiuderti in una gabbia.» scherzò lui. Io scoppiai a ridere, immaginandomi davvero dentro una gabbia, circondata da tutti i miei fans. Che orrore!
«Tu saresti nella gabbia accanto alla mia, signor fenomeno da baraccone!».
Mangiammo tranquilli davanti alla tv, ogni tanto ci davamo qualche spintarella e ridevamo come due scemi per le battute squallide del presentatore tv.
Mi sembrava una semplice serata tra marito e moglie, ed ero felice che almeno per un po' Kaori fosse beata nel suo sonno, così almeno io e Akito avremmo potuto goderci un po' di tranquillità, l'unica cosa che in quei giorni ci era mancata.
Lo guardai e sorrisi, rendendomi conto del fatto che dovevo approfittare di quei momenti insieme, perchè non appena le cose si fossero sistemate probabilmente il nostro matrimonio sarebbe stato cancellato da due firme su un atto di divorzio.
Mentre ero presa dai miei pensieri il telefono squillò ma Akito mi precedette, alzandosi prima di me.
Quando si allontanò abbastanza da non vedermi mi sporsi verso il cartone della pizza e presi l'ultimo pezzo, sapendo perfettamente che si sarebbe infuriato.



Pov Akito.

Presi il telefono sbuffando e capendo immediatamente chi c'era dall'altra parte del telefono.
«Akito, sono contento di sentirti.». Mi schiarii la voce e cercai di sembrare il più tranquillo possibile.
«Naozumi, come va?». In realtà non mi interessava molto se fosse vivo o morto, ma dovevo conservare una parvenza di gentilezza per non far arrabbiare Sana, Naozumi era pur sempre un suo caro amico, anche se a me non andava a genio.
«Bene, grazie. Ho chiamato per sapere come stava la sposina!». Pronunciò l'ultima parola con un tono di sorpresa, o sconcerto, non avrei saputo distinguerle perchè era troppo bravo a recitare, e mi sembrò che volesse sottolinearla di proposito, per farmi sentire in colpa.
«La sposina sta bene, in questo momento è sotto la doccia quindi non può venire al telefono.». Stavolta mi sentii davvero in colpa per avergli mentito e non avergli quindi permesso di parlare con Sana, ma la serata stava andando troppo bene per rovinarla con le parole di Kamura. Da quando Sana aveva annunciato il nostro fidanzamento e, successivamente, il nostro matrimonio Naozumi si era sempre comportato come un semplice amico ma io non potevo fare a meno di notare sempre qualche battuta pungente o qualche telefonata di troppo.
Probabilmente ero solo io a vederlo e sapevo perfettamente che, se lo avessi detto a Sana, sarebbe stato sicuramente oggetto di litigio.
«Va bene, allora richiamerò. Ciao Akito e salutami Sana.».
«Ciao Naozumi.». Chiusi la chiamata e buttai il telefono sul tavolo, tornando in salotto.
«Non ci credo.».
Sana scoppiò a ridere quando la trovai con l'ultimo pezzo di pizza in mano e la bocca piena. «Hai mangiato l'ultimo pezzo della mia metà?».
Cercai di rimanere il più serio possibile, per farle pensare realmente che fossi arrabbiato. Mi avvicinai lentamente e lei si alzò da terra, mettendosi dietro al divano per allontanarsi da me.
«Hayama, no.»
Feci un salto e l'afferrai per la maglietta, scoprendole la pancia. Sana si divincolò velocemente e scappò verso il corridoio, spostando le sedie per ostacolarmi.
Il suono della sua risata si propagò per tutta la casa e mi sembrò di essere in paradiso.
Sana si voltò e capii di essere in trappola, proprio davanti alla porta della nostra camera, e si portò le mani alla faccia per coprire le troppe risate.
«Sei fregata, signora!» gridai io. Ma, proprio mentre mi buttavo su di lei per farle il solletico, sentii come un vuoto, esattamente al centro del petto.
In un gesto repentino le tolsi le mano dal viso e lei capii che il gioco era finito, aveva i capelli tutti arruffati e la maglia stropicciata per le volte che l'avevo afferrata e poi lasciata.
I suoi occhi facevano trasparire il suo stupore, ma c'era qualcos'altro, qualcosa che non riuscivo a decifrare ma che non mi avrebbe fermato.
«Sana...» sospirai proprio ad un centimetro dalla sua bocca. Credevo che il cuore mi sarebbe scoppiato da un momento all'altro.
«Mhm?» sussurrò lei, tenendo gli occhi chiusi.
«Credi che... possiamo...?». Non sapevo cosa fare, se fosse giusto ciò che volevo o se avrei dovuto semplicemente lasciarmi andare agli eventi.
«Akito, sta' zitto!»
In un attimo la situazione si capovolse, mi ritrovai le sua mani sulla nuca e le nostre bocche una sull'altra.
Abbassai lo sguardo su di lei, colto del tutto alla sprovvista da quel gesto. Mi chianai e la baciai piano, con dolcezza, come se da quello dipendesse la mia stessa vita e più il bacio continuava più avrei voluto urlare dalla gioia.
Schiuse la bocca, io la baciai ancora più a fondo e, mentre avrei voluto mettere le mie mani ovunque, mi limitai a metterle ai lati della sua testa come a intrappolarla ancora di più.
Sana invece non faceva altro che provocarmi e stuzzicarmi, le sua mani correvano dai miei capelli alla mia schiena, su e giù, con un ritmo estenuante che mi stava facendo impazzire.
Io la volevo, era inutile prenderci in giro e girare attorno ad una verità che tutti conoscevano, ma non volevo farmi trasportare da un sentimento a senso unico quindi mi scostai leggermente. Sana, però, sembrò ancora più determinata e, rendendomi conto che non sarei riuscito a resistere a lungo, la sollevai da terra facendole ancorare le gambe alla mia vita e tenendola premuta contro la porta.
Baciai ogni porzione di pelle che riuscivo a toccare e non mi sembrava mai abbastanza.  Scesi verso il collo e lentamente le accarezzai la schiena, scostando facilmente la maglia che indossava.
La sua pelle era calda, tanto calda che avrebbe potuto scottarmi, e non sapevo come trattenermi ne' se ne sarei stato in grado.
Feci un profondo respiro e, sperando che non mi arrivasse uno schiaffo, alzai la maglia facendole capire che volevo toglierla. Non se lo fece dire due volte, la prese per le estremità e se la sfilò, rimanendo con un buffo reggiseno verde. Non era preparata a quel momento, sicuramente, e la cosa mi fece sorridere.
La mia espressione però tornò seria quando mi accorsi che Sana stava tirando i lembi della mia camicia, nel tentativo di sfilarmela. Non aspettai un secondo, la aiutai a togliermela direttamente dal colletto, senza preoccuparmi dei bottoni.
Presi ad armeggiare con i gancetti del reggiseno, ma quei cosi erano talmente complicati...
C'ero quasi, e probabilmente avrei avuto ciò che desideravo da tutta una vita: Sana. Per me, con me... nel mio letto e tra le mie braccia.
Quando ero riuscito a staccare l'ultimo gancetto il pianto di Kaori mi riportò sulla terra e avrei voluto che la terra si aprisse e mi inghiottisse in quel preciso momento.
Sana aprì improvvisamente gli occhi e purtroppo dovetti farlo anch'io. Feci un respiro profondo ma non riuscivo a lasciarla andare.
«Akito...» disse lei rimanendo sempre vicina alla mia bocca. «La bambina...».
Non volevo lasciarla, non volevo perdere quell'occasione, non volevo che le cose tornassero ad essere come il giorno prima perchè in quel momento tutto era cambiato. Io, i miei sentimenti, le aspettative che mi ero creato nei confronti del nostro rapporto.
«Smetterà...» dissi tutto d'un fiato. Continuammo a baciarci, piano, lentamente, consapevoli che l'atmosfera ormai si era rotta, tant'è vero che un secondo dopo la lasciai, lasciando che andasse dalla bambina.
Rimasi per un secondo bloccato davanti alla porta, sbuffando come un bambino a cui viene tolto il suo giocattolo preferito.
Io e Sana non avremmo mai avuto un momento tutto nostro, non con quella situazione per le mani e non con i nostri sentimenti che non avevano una vera e propria definizione.
Era tutto un enorme casino.

*

Sana tornò in camera non appena Kaori smise di piangere, mi accorsi immediatamente che era in imbarazzo e capivo perfettamente il motivo. Non riuscivamo mai ad esprimerci, nel bene e nel male, e le cose sembravano sempre in bilico.
Si avvicinò al letto e io mi irrigidii, in attesa di scoprire se avrebbe sorriso o se si fosse fatta prendere dal panico.
Non fece nessuna delle due. «Quindi...» mormorò, sedendosi vicino a me.
«Quindi... dormiamo?». Farle pressione nel prendere una decisione in quel momento sarebbe stato stupido, e avrei rischiato di perderla per la mia troppa voglia di chiarezza. Sana non era mai brava in questo.
Lei annuì, sorridendomi e quasi ringraziandomi perchè avevo capito. Non avevo bisogno d'altro.
Sana appoggiò la guancia sul mio petto, mi coprì il braccio con i suoi capelli. Le diedi l'ennesimo bacio sulla fronte e poi ci addormentammo abbracciati, come una vecchia coppia sposata.
Avrei voluto bloccare quel momento, rimanere per sempre in quella posizione per far si che le circostante, la nostra situazione, non riuscissero a portarci via quel briciolo di verità che c'era nel nostro rapporto. Sapevamo entrambi che c'era qualcosa di forte tra noi, ma dovevamo trovare il modo di dircelo senza complicare ulteriormente le nostre vite.
Non sarebbe stato facile sicuramente ma, almeno per me, ne valeva la pena.

Pov Sana.

Mi svegliai di soprassalto, consapevole del fatto che Akito non fosse accanto a me. Ne ebbi la conferma quando allungai la mano sul suo posto e lo trovai vuoto.
Guardai l'orologio.
Le 10:13. Mi alzai e andai a controllare Kaori che, chissà come, dormiva ancora profondamente.
La piccola cresceva a vista d'occhio, ogni giorno di più vedevo in lei Natsumi e mi sembrava così crudele che quella bambina non potesse essere circondata dall'affetto della sua vera madre. Le accarezzai il viso, la sua pelle era così morbida, e poi le controllai il pannolino. Aveva bisogno di essere cambiata, ma era raro che dormisse così tanto per quasi una notte intera, quindi decisi di aspettare ancora un po'.
Andai in cucina, ripensando agli eventi della sera precedente. Mi sentii per un attimo sopraffatta, non ci eravamo mai spinti così oltre, mai eravamo riusciti davvero a dimenticarci del resto del mondo come avevamo fatto la sera prima e, quando ci eravamo riusciti, tutto era stato rovinato dal pianto della bambina.
Non riuscivo nemmeno a capire a cosa ci avrebbe portato quel momento. Dall'esterno poteva anche sembrare la cosa più semplice del mondo, in fondo eravamo sposati, ma noi venivamo da anni di rancori e gelosie e silenzi che ci avevano lentamente portato ad allontanarci.
Preparai il caffè, mentre cercavo di ricordare dove avevo buttato il mio cellulare per chiamare Akito. Molto probabilmente era andato a fare la solita corsa, ma non durava mai così a lungo.
Il cucchiaino mi cadde dalle mani quando la porta di casa sbattè come se stesse passando un uragano.
Mi voltai e sulla soglia della cucina c'era Akito, col fiatone, e con in mano un pacco di una pasticceria, e dall'odore sicuramente erano cornetti.
«Buongiorno... avresti potuto avvertire che uscivi, mi stavo preoccupando.» lo rimproverai tornando a fare il caffè.
Si avvicinò al bancone e tirò il pacchetto proprio alla mia sinistra, lasciandomi di stucco. Ma che diavolo gli prendeva?
«Come tu mi hai avvertito del fatto che dovrai girare una scena spinta nel prossimo film?»
Rimasi di sasso.
«Ma dove l'hai sentito?». Conoscevo già le sue opinioni riguardo a quelle scene, sapevo perfettamente che non gli piaceva dovermi vedere in certi atteggiamenti, eppure prima di quel momento non mi aveva mai fatto nessun vero problema e temevo che scoppiasse tutto in una volta, ora che poteva permetterselo, essendo mio marito.
«Casualmente, o forse dovrei dire fortunatamente, mentre ero in pasticceria ho sentito un'intervista del tuo prezioso regista. Ha addirittura riso, quel cretino, mentre diceva che avremmo avuto una Sana Kurata molto hot!»
Mimò le ultime parole con il gesto delle virgolette e dovetti trattenermi per non scoppiargli a ridere in faccia. Non credevo che potesse essere così geloso.
«Ma si tratta di lavoro! Sai benissimo che il mio essere attrice prescinde dalla mia vita privata!».
Lui si scostò e andò verso il divano, passandosi le mani sul viso, come se stesse per impazzire.
«Lavoro o meno, sai benissimo quanto mi da fastidio, ancor di più adesso che siamo sposati. No perchè, te lo ricordi che siamo sposati, vero?»
Mi stava attaccando con una cattiveria inaudita e io non riuscivo davvero a capire il motivo perchè la facesse tanto lunga per una cosa che sapeva benissimo non avere a che fare con noi.
Sbottai. «Siamo sposati per necessità Akito, tu questo te lo ricordi?!».
Nello stesso momento in cui quelle parole uscirono dalla mia bocca avrei voluto rimangiarmele. Avrei voluto premere rewind e dire qualcosa di completamente diverso.
Non lo pensavo. Il nostro non era più un matrimonio di circostanza, non lo era più da molto tempo.
«No... aspetta, io non vol...».
«No, ho capito. Il nostro è un matrimonio di necessità, hai ragione.». I suoi occhi sembravano essersi spenti da un momento all'altro, temevo che quelle fossero le parole che avrebbero sancito la nostra fine.
«Sai che non volevo dire questo!» urlai, in preda al panico.
«Volevi dire esattamente questo.».
Uscì dalla cucina e, un secondo dopo, aveva messo un paio di vestiti in un borsone.
«Dove stai andando?» chiesi.
«Via, così tu sarai libera di girare tutte le scene hot che vuoi.». Si diresse verso la porta, dandomi le spalle.
«Akito aspet..». Non feci in tempo a finire la frase che la porta si chiuse davanti a me.
Il mio matrimonio era finito ancor prima di iniziare.










So perfettamente che questa storia non viene aggiornata da ottobre, quindi da ben quattro mesi, ma ho avuto moltissimi impegni universitari e non ho potuto davvero mettermi a scrivere. Adesso che le acque si stanno calmando ho deciso di aggiornare e tornare a scrivere, grazie sempre al grandissimo appoggio della mia Beta, Dalmata, che nonostante l'abbia fatta aspettare per mesi una mia mail non mi ha mandata a quel paese quando mi sono fatta risentire.
Ringrazio infinitamente le persone che hanno recensito l'ultimo capitolo e spero di vedervi numerosi ora che sono tornata ad essere attiva.
Grazie grazie grazie.
Al prossimo aggiornamento,
Akura.

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Capitolo 13
*** Una cosa sola. ***


CAPITOLO 12.
UNA COSA SOLA.


Pov Akito.

Mi resi conto di essere arrivato a casa solamente quando svoltai l'angolo e mi ritrovai di fronte la villetta in cui ormai abitavo da ben quattro mesi. Era una settimana che non mi avvicinavo a quel luogo, ero passato dal divano di Tsuyoshi, a quello di Fuka, a quello di Gomi, e mi sembrava un'eternità che non dormivo nel mio letto.
Mi mancava. Mi mancava Sana, mi mancava mia nipote. Mi mancava la mia vita.
Parcheggiai al solito posto, sapendo perfettamente che Sana sarebbe stata in casa con Kaori, ma aspettai prima di scendere dall'auto.
Buttai la testa all'indietro sbuffando, ero esausto mentalmente. Non sapevo come riuscire a scusarmi, non sapevo nemmeno se sarei stato in grado di guardarla in faccia senza crollare. Chiusi gli occhi cercando di raccogliere tutta la forza che avevo e ripensando alle parole di Tsuyoshi.

Tsuyoshi non mi ascoltava, non riusciva minimamente a rendersi conto della gravità della situazione.
Io ero disperato.
«Senti, Tsu... la cosa è andata in questo modo, io mi sono incazzato, lei si è incazzata e la discussione è degenerata. Io avrò esagerato, ma di certo lei ha superato ogni limite.»
Ripensai per un attimo alle parole che Sana mi aveva urlato contro. Non immaginavo di poter soffrire tanto, almeno speravo che dopo il nostro matrimonio le cose sarebbero state diverse.
Mi sbagliavo di grosso evidentemente.
«Akito, ascoltami, spero che sia l'ultima volta che dovrò ripetertelo. Sana non vuole più un matrimonio di facciata. Lei ti ama, e ogni minima discussione degenera perchè non riuscite a sopportare l'idea che l'altro si allontani.
Cosa hai pensato quando hai sentito quell'intervista?".
Cercai di visualizzare l'esatto momento in cui, mentre prendevo i suoi cornetti preferiti, avevo sentito quelle parole. Il regista si rigirava tra le mani la sceneggiatura di quei momenti, stuzzicando la giornalista che aveva offerto un milione di dollari per leggere quei dialoghi.
Anche io li avrei offerti.
«Ho pensato che la storia si ripeteva. Che lei avrebbe scelto un qualsiasi attore piuttosto che me.»
Tsuyoshi annuì e posò la tazza di caffè che aveva appena finito di bere.
«Ma sentiti! E' questo il problema, Akito. Tu sei profondamente insicuro nei suoi confronti e la gelosia ti sta divorando. Dovresti semplicemente chiarire il concetto che, anche se siete sposati solamente sulla carta, tu la vuoi. E' questo il punto: dovete dirvi ciò che provate, altrimenti sarà tutto inutile. Non chiarirete mai.»


Le parole del mio migliore amico mi risuonavano nella mente, come un monito per la discussione che di lì a breve avrei avuto con Sana. Dovevo essere sincero, dovevo riuscire ad esprimere i miei sentimenti, anche se quello avrebbe significato espormi totalmente.
Il problema era che per me, espormi, non era proprio la cosa più semplice del mondo, specialmente con lei. L'avevo fatto tante, troppe volte e ognuna di esse mi aveva lasciato deluso, perchè Sana non era mai riuscita ad arrivare a ciò che volevo dirle. Era l'unica a non capire quanto io tenessi a lei e, probabilmente, io ero l'unico a non vedere i suoi sentimenti per me.
Feci un respiro profondo e scesi dall'auto, chiudendo la portiera. Cercai le chiavi nelle tasche dei jeans e, dopo aver alzato gli occhi al cielo chiedendo un po' d'aiuto, aprii la porta, sperando di trovare Sana ben disposta a chiarire la situazione.

Quando entrai in casa la porta fece un po' di rumore e quello mi ricordò tutte le volte che Sana mi aveva chiesto, anche prima delle nozze, di dargli una controllata. Avrei dovuto farlo.
«Aya.. sei tu?».
Aya aveva le chiavi di casa nostra? Quella era una novità per me.
«No...» sussurrai. La vidi arrivare all'ingresso a piedi nudi con addosso una mia maglietta che le stava piuttosto larga, probabilmente aveva dormito tutto il pomeriggio e quando Sana si svegliava non era mai di buon umore, cosa che mi avrebbe causato non pochi problemi.
«Ah.. sei tu.».
La sua espressione era un misto di stupore, disgusto, rabbia e, anche se avrebbe voluto nasconderlo, felicità. I suoi occhi la tradivano, come sempre, e io ero l'unico in grado di riuscire davvero a vedere i segreti che rivelavano.
Quella dote mi sarebbe tornata utile se solo fossi stato in grado di capire anche cosa le passava davvero per la mente quando litigavamo. Non ero mai pronto con Sana, non sapevo mai come rispondere o controbattere, perchè mi faceva perdere le staffe e allo stesso tempo mi elettrizzava. Mi innervosiva, eppure in un modo o nell'altro sapeva anche come tranquillizzarmi. Era la mia contraddizione quotidiana.
Rimase per qualche secondo ferma, proprio davanti a me, prima di tornare in cucina da Kaori che sentivo lamentarsi.
Le andai dietro, vedendo ondeggiare quel meraviglioso lato B proprio davanti ai miei occhi, e sperai di essere in grado di controllarmi, anche se la vedevo difficile.
Quando vidi mia nipote la mia giornata era già di gran lunga migliorata, almeno lei sembrava felice di vedermi perchè mi sorrideva tutta contenta ed era completamente coperta di latte che emanava un odore disgustoso. Le diedi un bacio e mi allontanai quasi immediatamente.
Avevo lasciato mia nipote e mia moglie sole per un'intera settimana solo perchè un'intervista mi aveva fatto incazzare. Ma che razza di marito e, probabilmente, padre sarei potuto essere? Uno di quelli che alla prima difficoltà scappa, senza guardarsi indietro. Uno di quelli che, al primo litigio, al primo problema, chiama l'avvocato e chiede i moduli per il divorzio.
No, non volevo essere quel tipo di marito, non volevo quello per me e per Sana.
«Come è andata quest'ultima settimana?»
Sana continuava a dar da mangiare a Kaori, non mi guardava nemmeno e in realtà aveva ragione, perchè potevo anche essere arrabbiato a morte, non dovevo andarmene così su due piedi. Non dovevo lasciarle da sole.
Fece una smorfia, infastidita dalla domanda e da me.
«Wow.» si limitò a dire, per poi alzarsi, prendere un fazzoletto, pulire la bambina e stenderla sul tavolo per cambiarle il pannolino.
«Sana, ti prego.»
Continuò a non guardarmi, come se la mia presenza fosse irrilevante. Alzò le spalle, mi guardò dritto negli occhi con uno sguardo che avrebbe potuto trapassarmi da parte a parte, e tornò ad occuparsi di mia nipote.
«Sana.» incalzai. Avevo bisogno di chiarire, avevo bisogno anche di sentirmi dire che ero uno stronzo, l'avrei meritato, ma il silenzio mi spiazzava perché non era mai stato contemplato in nessuna nostra discussione e non sapevo come gestirlo.
«Hayama, ho tra le mani tua nipote. Non posso discutere con te mentre cerco di prendermi cura di lei quindi, gentilmente, aspetta e dopo avrai l'Apocalisse a cui ti eri preparato.»
Le parole uscirono dalla sua bocca come se stesse leggendo la lista della spesa, fredda e schematica. Recitava, riuscivo a vederlo da miglia di distanza, eppure annuii e lasciai che finisse di cambiare il pannolino a Kaori e che la mettesse nella culla. Aspettai che la facesse addormentare e che chiudesse la porta alle sue spalle, tornando immediatamente in cucina da me.
«Sei fuori da questa casa da una settimana, non pensi che meritiamo più di un come è andata?!». Continuava ad essere calma, metodica in tutto ciò che diceva e faceva, e quella Sana era diversa da quella che conoscevo io. La mia Sana era irascibile e impulsiva, non si tratteneva né tantomeno parlava civilmente come stava disperatamente cercando di fare la ragazza seduta di fronte a me.
Comunque risposi. «Hai ragione, mi dispiace.»
Sorrise. «Ti dispiace? Bè allora, se ti dispiace...» ironizzò, buttandosi indietro sulla sedia.
Mi alzai e la raggiunsi, mettendomi accanto a lei.
«Cosa vuoi che ti dica?».
Okay, quella non era certo la battuta migliore da utilizzare in un momento del genere, ma davvero non riuscivo a capire come portare avanti la discussione senza finire con un rene venduto al miglior offerente.
Anche Sana si alzò, evidentemente infastidita dalla mia frase infelice e cominciò a camminare avanti e indietro davanti al piano cottura.
Quando non ne potei più di vederla fare sempre lo stesso tragitto la bloccai, richiamando la sua attenzione.
«Sana, adesso basta, parla e dimmi ciò che pensi.»
Sapevo perfettamente che quello avrebbe sancito il mio suicidio, eppure non mi importava: volevo solamente che quella discussione si concludesse, per tornare al momento in cui avevamo messo pausa, mentre io dormivo vicino a lei respirando l'odore di vaniglia che emanavano i suoi capelli.
«Cosa penso? Vuoi veramente sapere cosa penso? Credimi, non vorresti!» urlò contro di me, e finalmente riconobbi la Sana che conoscevo. «Sei stato via una settimana, un'intera fottuta settimana e tutto quello che sai dire è come è andata! Hai lasciato tua moglie e tua nipote da sole! E se ci fosse successo qualcosa? Se, mentre tu eri via, Kaori avesse avuto la febbre? Se io fossi stata male e non avessi potuto badare a lei? Eh? Ci hai pensato a questo?! Ma no che non ci hai pensato, tu hai passato una settimana da sogno, circondato da chissà quante sgualdrine pronte ad esaudire ogni tuo desiderio. Sette giorni senza responsabilità e pensieri, in cui l'unico problema è stato decidere quale ragazza doveva scaldarti il letto. Bè, sai che ti dico? Tornatene da quella che te l'avrà data questa settimana, almeno io non dovrò guardarti in faccia!»
Rimasi scioccato dalle sue parole e le analizzai tutte in un secondo solo.
Non avevo riflettuto sul fatto che potesse accadergli qualcosa o sul fatto che avrebbero potuto avere bisogno di me.
Io me n'ero andato, lasciandomi tutto alle spalle, solo perché ero arrabbiato con Sana.
Solo dopo mi resi conto di ciò che aveva detto alla fine. Pensava che l'avessi tradita. Mi venne da sorridere, per poco non le scoppiai a ridere in faccia.
«Hai anche la faccia tosta di ridere? Sei andato in escandescenza quando i giornalisti ci hanno sorpresi sul balcone, ma non hai pensato minimamente allo scandalo se ti avessero sorpreso con altre ragazze.»
Mi oltrepassò e andò in camera di Kaori, chiudendosi la porta alle spalle.

Pov Sana.

Il divano in camera di Kaori non era di certo il luogo più comodo dove dormire, ma ormai era diventato il mio letto da più di una settimana. Non dormivo con Akito da quando aveva lasciato casa nostra, e quando era tornato la situazione non era di certo migliorata. Ci vedevamo solamente a cena e, nonostante cercassi sempre di non preparare nulla per lui, ogni volta che cucinavo mi ritrovavo a fare quantità enormi quindi poi lasciavo il piatto sul tavolo sapendo perfettamente che avrebbe mangiato. Mi illudevo di non farlo per lui, dicevo a me stessa che ogni volta era sempre uno sbaglio, ma anche se non eravamo in ottimi rapporti non riuscivo a smettere di preoccuparmi per lui.
Non avevamo più parlato dopo la discussione epocale di qualche settimana prima, o almeno non eravamo più tornati sull'argomento. Akito però sembrava spento, triste, non giocava nemmeno più molto con Kaori che stava sempre con me o con mia madre.
Il signor Hayama era sempre in ospedale, e non eravamo riusciti a portarlo fuori di lì nemmeno con la scusa del primo Natale di Kaori. Niente lo smuoveva, niente gli faceva vedere le cose in modo diverso: tutto ciò che riusciva a gestire era la mancanza di sua figlia e non potevo biasimarlo per questo.
Guardai Kaori dormire e pensai che se avessi perso quella bambina mi sarei sentita allo stesso modo.
Andai in cucina, dove trovai la tazza sporca della colazione di Akito, la lavai e poi guardai il calendario.
23 dicembre. Mancavano poche ore alla vigilia di Natale e al giorno di metà compleanno ed era il primo Natale che io e Akito trascorrevamo così, lontani e arrabbiati. Durante gli infiniti anni in cui pensavamo che l'amicizia fosse l'unica cosa a legarci, avevamo sempre avuto l'abitudine di mettere da parte tutto quando arrivava questo giorno.
Stavolta sarebbe stato più complicato, non avevamo più sedici anni e l'amicizia era forse l'ultima cosa che ci teneva insieme.
Presi un vasetto di yogurt e mi buttai sul divano, incurante del fatto che la casa fosse un disastro e che avrei dovuto cominciare davvero a darmi una mossa per pulire quel casino, ma i miei pensieri mi portavano sempre da un'altra parte.
Cosa avrei dovuto fare con Akito? Cercare di chiarire? E per cosa? Probabilmente durante quella maledetta settimana aveva avuto a che fare con un'altra donna e io come avrei potuto perdonare una cosa come quella? Non potevo. Non volevo.
Il telefono cominciò a vibrare sotto di me, lo presi e risposi senza neppure guardare chi mi chiamava.
«Tesoro, sono io, la mamma.»
 Mia madre mi chiamava spesso ultimamente, troppo spesso, forse era riuscita a scoprire cosa non andava tra me e Hayama.
«Hei mamma, dimmi tutto ma sbrigati perchè ho da fare.»
«Oh, che figlia amorevole! Volevo solo dirti che domani avevo pensato che tu, Hayama e Kaori potevate venire da me, è la vigilia di Natale e non mi va che siate a casa da soli. Puoi dirlo anche al signor Hayama, anche se non penso che accetterà.»
«Il signor Hayama non credo verrà, per quanto riguarda noi... credo possa andare bene, non avevamo alcun impegno. Ci saranno anche Rei e Asako?»
«Si, ovviamente. Probabilmente saremo solo noi, quindi prepara Akito a dover affrontare Rei in qualsiasi momento.»
Scoppiai a ridere, immaginando il mio manager interrogare Akito puntandogli una torcia negli occhi.
«Ridi ridi, che domani sera ridiamo noi!»
Salutai mia madre e tornai da Kaori. Akito era in palestra, sarebbe tornato da lì a poco e, anche se ero ancora furiosa con lui, comunque mi preoccupavo sempre quando ritardava.
Sentii girare la chiave nella serratura quando ormai stavo finendo di preparare la cena e, inconsapevolmente, mi ritrovai a sistemarmi i capelli. Mi odiavo quando, anche se ero arrabbiata, comunque cercavo di piacergli e di essere bella ai suoi occhi, nonostante sapessi benissimo che non serviva a niente.
«Ciao Sana..» Venne a salutarmi e io mi voltai e gli sorrisi, perché in ogni caso non avrebbe cambiato le conseguenze delle nostre discussioni. Ci eravamo urlati contro troppe cose e troppe cattiverie per pensare solamente di chiarire tutto con un semplice cenno.
Andò a baciare Kaori che nel frattempo dormiva nella cesta vicina alla televisione spenta che sembrava aumentare il silenzio tra noi due.
Mentre eravamo a tavola l'atmosfera sembrava gelida, nessuno parlava o provava anche solo ad iniziare una conversazione. Dall'esterno poteva anche sembrare una normalissima cena di coppia. Comunque io dovevo dirgli dell'invito di mia madre quindi presi un bel respiro e raccolsi tutto il mio coraggio, provando a non tradire nessuna emozione.
«Mia madre ci ha invitati a pranzare da lei domani, sai... è la vigilia di Natale...»
Alzai lo sguardo e lo abbassai immediatamente, passandogli l'insalata che avevo tra le mani.
«E' il giorno di metà compleanno.» continuò lui. Sorrise e, per un secondo, dimenticai la mia rabbia e ricambiai il sorriso. Poi tornai seria.
«Si, bè... vorrebbe che Kaori passasse il suo primo Natale in famiglia. E piacerebbe molto anche a me.»
Lui annuì e incrociò i miei occhi, prepotenti e pieni di disappunto, come sempre. «Mia madre ha esteso l'invito anche a tuo padre, ovviamente.»
«Lo avevo immaginato, ma non credo che mio padre sarà in vena di feste natalizie.»
«Allora potremmo passare da lui nel pomeriggio, e magari poi facciamo un salto in ospedale.»
L'espressione del suo volto si rabbuiò improvvisamente, come se parlare di Natsumi lo turbasse più del solito.
«Va bene, vedremo cosa dirà mio padre.»
Io gli sorrisi, sperando di infondergli un po' di serenità perché, anche se ero ancora furiosa, sapevo riconoscere un brutto momento di Akito e, sicuramente, quello era il periodo più difficile di tutta la sua vita.
Io non potevo di certo dire diversamente: ero quasi certa che mio marito - tale solo sulla carta - mi avesse tradita per l'intera settimana e facevo da mamma ad una bambina meravigliosa ma che comunque non era mia figlia.
Era proprio il caso di dire che la mia vita era tutt'altro che perfetta.



Pov Akito.

Mi svegliai di soprassalto, io e gli incubi ormai eravamo diventati intimi amici, e poi il divano era freddo e troppo solitario. Mi mancava dormire con Sana, il suo respiro regolare che mi cullava prima di crollare nel sonno.
Guardai il cellulare, erano appena passate le sei, quindi mi alzai e preparai il caffè, poi aprii la finestra e lo spettacolo che mi si presentò davanti mi lasciò a bocca aperta. La neve aveva ricoperto tutto il giardino, la cuccia del cane che Sana non aveva mai preso era totalmente bianca e anche la mia macchina quasi non si distingueva sotto tutta quella coltre candida.
Per la prima volta dopo tanti anni la neve mi dava una sensazione di mancanza, forse perché dopo tempo era la prima volta che non la condividevo con Sana.
In realtà non doveva per forza essere così, lei doveva solo fidarsi di me e invece si limitava a vedere ciò che lei desiderava, senza curarsi della verità. Non potevo di certo dire di essere migliore di lei, avevo dato di matto per un'intervista e l'avevo lasciata da sola per un'intera settimana, non mi ero preoccupato nemmeno per un secondo di cosa avrebbe potuto pensare.
Avrei voluto rimediare ma Sana continuava a scivolarmi dalle mani, come se parlare con me fosse l'ultimo dei suoi pensieri. Temevo molto la sua reazione ad una mia possibile richiesta di chiarimento, ma non potevo lasciare le cose al loro destino. Presi la mia tazza di caffè e uscii in veranda, il freddo mi penetrò nelle ossa ma cercai di non pensarci, dovevo trovare un modo per farmi perdonare e la questione era piuttosto complicata.
In tutti questi anni eravamo riusciti, con una precisione quasi maniacale, a non parlare dei nostri sentimenti, forse per paura che affrontando quel discorso, avremmo cambiato il nostro rapporto. Ma ora, a distanza di tempo, era proprio quello che desideravo, volevo amicizia, complicità, ma al di sopra di tutto volevo vedere nello sguardo di Sana un amore totale ed incondizionato, che mi desse la certezza che mai nessun'altro avrebbe potuto prendere il mio posto nel suo cuore.
Il destino ci aveva dato la possibilità di iniziare a costruire qualcosa insieme, e se si era rovinato la colpa era solo ed esclusivamente della mia impulsività. D'altronde come potevo biasimare il comportamento di Sana, io avevo dato di matto per una semplice intervista, lei aveva avuto un atteggiamento molto più maturo del mio, perché nonostante fosse certa che avessi trascorso la settimana in compagnia di altre donne, mi aveva permesso di tornare a casa e di restare. Anche se vedere ogni giorno nel suo sguardo delusione e indifferenza erano certo la punizione peggiore.
Senza neanche rendermene conto i ricordi della nostra prima festa di metà compleanno riaffiorarono in me fino ad arrivare al momento di quel bacio fugace, dato con un leggero sfiorarsi di labbra. Quello era stato il momento preciso in cui mi ero sentito perso, perché avevo capito che Sana mi era entrata dentro. Preso da questi pensieri non mi ero quasi reso conto che le mie mani, come dotate di un'autonomia propria, avevano fatto un piccolo pupazzo di neve.
Per anni avevo pensato a quello come un nostro piccolo simbolo, come il nostro gazebo lo avevo sempre considerato speciale. C'era qualcosa in loro che rappresentava perfettamente la mia storia con Sana e rivederli mi faceva sempre uno strano effetto.
Quando baciai Sana quella sera, sotto la neve, il mio cervello era in totale confusione, eppure nel momento stesso in cui me la ritrovai davanti tutto mi fu chiaro: Sana era speciale, era la ragazza più speciale che avrei mai potuto incontrare e non potevo lasciare che le cose andassero da sole. In realtà poi successe esattamente questo, troppe cose si sono messe tra di noi, troppi problemi, momenti di rabbia, troppe parole non dette... e nonostante tutto ci eravamo ritrovati con la fede al dito, se pure in circostanze non esattamente convenzionali.
Guardai per un attimo il pupazzo di neve, forse era il peggiore che avessi mai fatto, ma doveva pur significare qualcosa, Sana doveva capire, costi quel che costi.
Mi voltai per rientrare in casa ma rimasi bloccato quando vidi Sana appoggiata al portico della villa che mi fissava, con in mano la tazza di caffè che avevo lasciato sulla panca. Indossava una vestaglia blu, e sotto potevo intravedere il pigiama azzurro che io odiavo profondamente. L'aveva fatto di proposito, metterlo sapendo che non le avrei detto nulla a causa del nostro litigio, era una mossa ben piazzata.
Accennai un sorriso e lei si avvicinò, affondando i piedi nella neve. Era così bella, anche senza un filo di trucco e quel pigiama orrendo. Era perfetta in mezzo a tutto quel bianco.
«Le vecchie abitudini sono dure a morire, eh?» mi disse incrociando le braccia sul petto. Annuii, mettendomi le mani in tasca.
«L'ho fatto per te, come sempre.»
«Come sempre.» Ripeté lei, abbassando lo sguardo e poi tornando a guardarmi negli occhi. «Kaori si è svegliata, dovremmo prepararci...»
Capii immediatamente che voleva sviare il discorso quindi non le feci pressioni, avevo sbagliato e dovevo assumermi le conseguenze delle mie azioni, quindi mi avviai verso la porta di casa.
Quando mi girai verso di lei notai Sana che aveva lo sguardo perso nei ricordi e due dita poggiate sulle labbra... forse non tutto era ancora perduto.


*
Dopo aver fatto colazione con la cioccolata calda decidemmo di portare Kaori al centro commerciale per la foto di rito con Babbo Natale. La bambina era ancora molto piccola, però ci tenevo che avesse qualche ricordo del suo primo Natale, anche se mancava sua madre. I medici ormai si erano rassegnati all'idea che Nat non si svegliasse più, erano passati mesi da quando avevano ricevuto un qualsiasi tipo di risposta alle loro stimolazioni, quindi clinicamente probabilmente la ritenevano già morta. Non potevo crederci, e soprattutto non potevo pensarci il giorno della vigilia di Natale, avrei rovinato la festa a tutti. Pensai a mio padre, a quanto potesse sentirsi solo senza di lei e pensai a quanto mi sentivo solo io.
Nella mia vita molte cose non erano andate come avrei voluto, ma avrei preferito che la mia vita cadesse a pezzi piuttosto che vedere mia sorella ridotta ad un letto d'ospedale, senza avere la minima possibilità di vedere sua figlia crescere, la figlia per cui aveva lottato, che magari aveva pensato di abbandonare ma che sapevamo entrambi non avrebbe mai lasciato andare.
Guardavo Kaori sorridere in braccio a quell'uomo tutto vestito di rosso e pensavo a Natsumi e a quanto sarebbe stata felice di vedere sua figlia così, innocente e ingenua, mentre la sua vita si incentrava tutta tra le braccia di sua madre.
Sana faceva un ottimo lavoro con mia nipote, non potevo rimproverarle niente, ma avrei voluto che il nostro rapporto fosse nato in circostanze diverse e che mia nipote avesse potuto vivere con la sua vera madre.
Dopo aver seguito Sana che girava come una trottola da un negozio all'altro senza dare il minimo segno di cedimento o di stanchezza, tornammo a casa per prepararci per la cena.
Mentre lei si vestiva avevo tutto il tempo per mettere in atto il mio piano. Avevo approfittato di una finta scappatella al bagno per comprare un peluche a forma di pupazzo di neve, speravo che quel gesto le potesse far capire che non aveva nulla di cui preoccuparsi e soprattutto che io ero lì per lei, che non avevo alcuna intenzione di andarmene - o per lo meno non l'avrei più fatto - e che la amavo, la amavo davvero.
Non avevo mai detto ad alta voce quella due parole, spesso Tsuyoshi tentava di farmelo ammettere, provando e riprovando a non farmi innervosire, ma puntualmente qualcosa mi faceva uscire di testa e tutto mi sembrava inutile. Parlare, esprimermi, cercare di spiegare qualcosa per cui non valeva la pena esporsi davvero.
Corsi a prendere il peluche, lo misi sul letto in modo che lo vedesse non appena fosse uscita dal bagno. Il cuore mi martellava nel petto e non riuscivo quasi a respirare perché quello era il momento della verità, era un dentro o fuori, era la vera prova del nove.
«Hayama!» urlò dalla nostra stanza. «Kaori è pron...»
Si zittì improvvisamente e io capii subito che aveva visto il pupazzetto, speravo solamente che le piacesse e che mi perdonasse.

Pov Sana.

Mi pietrificai all'istante quando mi accorsi del peluche che era appoggiato sul letto, un piccolo pupazzo di neve totalmente diverso da quelli che Hayama aveva fatto per me, che invece erano sempre pieni di difetti. Sorrisi, pensando che in fondo non mi era mai importato veramente del loro aspetto, di quanti occhi avessero e se fosse bella la loro carota usata come naso. L'unica cosa che mi importava era che Hayama me li aveva regalati, che li aveva fatti per me e, per un secondo, fu esattamente la stessa sensazione che provai vedendo quel pupazzo.
Mi avvicinai e lo presi tra le mani. C'era un bigliettino, scritto a mano, in perfetto stile Hayama.

Scusarsi non significa sempre che tu hai sbagliato e l'altro ha ragione.
Significa semplicemente che tieni più a quella relazione del tuo orgoglio.

(Fabio Volo)

Avevo letto tanti libri di quello scrittore italiano, e lui aveva catturato esattamente una delle frasi che mi aveva sempre colpito. Io non credevo all'orgoglio, è irrilevante se ami davvero qualcuno... e anche Hayama era arrivato alla mia stessa conclusione. Ma una settimana di lontananza era comunque grave e anche se volevo disperatamente lasciarmi tutto alle spalle il pensiero che per tutto quel tempo lui aveva fatto ciò che voleva con chissà chi mi torturava.
Sentii bussare alla porta mezza aperta e io avevo ancora la lampo del vestito abbassata. Lui si fermò a metà strada, incerto se entrare o meno.
«Vieni...» gli dissi voltandomi verso di lui. «Aiutami con la zip»
Sapevo benissimo che ciò che stavo facendo non lo lasciava indifferente, ma non riuscivo davvero ad alzare quella cerniera e se dovevamo parlare dovevo essere completamente vestita e padrona di me, altrimenti non sapevo fino a che punto sarei stata in grado di trattenermi.
Akito era vestito di tutto punto, con un pantalone nero e la camicia bianca, non portava la cravatta perché sapeva che non mi piaceva, quindi si era comprato un papillon rosso e una pochette dello stesso colore. Era perfetto.
Ci mise un po' per alzare la zip, soffermandosi a sfiorare lentamente la mia pelle e a me vennero i brividi. Come era possibile che solo un semplice tocco potesse farmi quell'effetto?
Mi voltai non appena sentii che aveva finito e mi ritrovai i suoi occhi ad un centimetro di distanza. Avrei voluto abbracciarlo, dimenticarmi di quanto ero stata male nel sentirmi dire tutte quelle cattiverie, ma il mio cervello mi urlava di non farlo, di non lasciarmi andare di nuovo perché sarebbe stato l'ennesimo errore.
Distolsi lo sguardo, e presi la mia borsa appoggiata sulla sedia proprio dietro di lui. Sentivo i suoi occhi seguirmi, lentamente, come una danza, e non riuscivo a sentirmi a mio agio.
«Grazie... per il regalo. Anche io tengo molto al nostro rapporto, adesso l'unica cosa che mi serve è un po' di tempo per digerire quello che è successo.»
Sapeva perfettamente a cosa alludevo, ma il suo sguardo si riempì di sorpresa, come se non capisse di cosa stessi parlando.
«Kurata non è....»
«Non importa, mi passerà.» lo interruppi immediatamente, senza lasciargli il tempo di ribattere uscii dalla stanza e andai a prendere Kaori.
Anche durante il breve tragitto in macchina Akito tentò di spiegarmi, ma lo fermai tutte le volte perché non volevo rovinarmi la serata, mia madre non meritava che io arrivassi col muso lungo, anche se in ogni caso non ero in vena di festeggiamenti.
Quando arrivammo salutai mia madre e tutti gli ospiti che non mi aspettavo di trovare lì, credevo sarebbe stata una cena intima in famiglia, ma a quanto pareva la mitica signora Kurata non si smentiva mai.

*
Tornammo a casa abbastanza presto, Kaori aveva fatto un po' di capricci per mangiare e quindi avevamo deciso di non fare tardi. Durante il tragitto la bambina si addormentò, lasciandoci nel silenzio più assoluto. Nessuno dei due osava dire qualcosa, ci limitavamo io a fissare la strada davanti a noi e lui a voltarsi per guardarmi ogni tanto. Quando arrivammo a casa Akito si offrì di preparare Kaori per la notte e metterla a letto, mentre io andai dritta verso la nostra camera per togliermi quel vestito scomodissimo.
Ero esausta e non riuscivo a tenere gli occhi aperti.
Quando mi tolsi l'abito mi guardai per un attimo allo specchio. Non sapevo perché, forse una piccola speranza, ma avevo indossato un completino intimo rosso. Tutta fatica sprecata, alla fine.

Pov Akito.


La serata passò piuttosto velocemente, il tragitto per arrivare a casa fu rapido e silenzioso perchè nè io nè Sana riuscivamo a dire nulla, mentre io avrei avuto miliardi di cose di cui parlare. Avrei voluto scusarmi, ancora, farle capire davvero che ero pentito per ciò che era accaduto ma riuscivo solamente a voltarmi ogni tanto a guardarla mentre lei non distoglieva lo sguardo dalla strada.
Kaori si era addormentata in macchina e quando arrivammo a casa la preparai per la notte mentre Sana si fiondò nella nostra camera. Non ebbi nemmeno il tempo di portare la bambina nella sua stanza che, passando per il corridoio, la porta semichiusa mi mostrò probabilmente l'ottava meraviglia del mondo: Sana che si guardava allo specchio mentre indossava solamente un completino intimo rosso fuoco, con le bordature bianche. Era un sogno, nessun cartellone pubblicitario le avrebbe mai reso giustizia, e i miei occhi probabilmente erano accecati da quella visione, e non riuscivo a distinguere più cosa fosse reale e cosa no.
La immaginavo nuda, nel nostro letto, pronta ad accogliermi tra le sue braccia, tra quelle lenzuola che volevo disperatamente mettere sottosopra insieme a lei.
Bussai piano, per evitare che capisse che ero già dietro la porta ed entrai appena lei mi disse che potevo farlo.
Si era coperta con un cardigan azzurro, che comunque non lasciava molto all'immaginazione, e chiesi perdono mentalmente per tutti i pensieri poco casti che stavano attraversando la mia mente.
«Bella serata, eh?» esordì lei, vedendomi in evidente difficoltà.
Annuii, appoggiandomi alla porta che richiusi dietro di me.
«Ascolta...»
Cercai di mettere insieme tutti i miei pensieri, dandogli un ordine che comunque non prometteva nulla di buono, provando a guardarla negli occhi senza crollare davanti a lei come un bambino.
«Non.. non c'è bisogno che dici nulla.» mi interruppe lei. Io mi zittii immediatamente, tentando di decifrare le sue espressioni. «Non voglio nemmeno sapere cosa hai fatto in quella settimana, se ti è piaciuto quello che hai fatto, con chi l'hai fatto, non mi interessa. Voglio solo che questo matrimonio, se così può chiamarsi, funzioni. Non per me o per te, ma per tua nipote, per la bambina che abbiamo deciso di tirare sù, con la consapevolezza che sarebbe stato difficile, ma non così. Non devi essere fedele a me, non te lo chiederei, ma sii fedele a tua nipote, perché questo lo abbiamo messo in piedi per lei e non voglio che tu rovini tutto solo perché il fatto che io faccia un film ti fa uscire di testa.»»
Non distolsi gli occhi da suoi nemmeno per un istante perché ogni singola parola mi feriva profondamente e soprattutto perché mi infastidiva che lei potesse pensare che andavo a scopare a destra e a manca con la prima che capitava.
Non era così, perché fino a quel momento, ogni volta che ero stato con qualcuno nella mia mente c'era sempre stata lei. Con Fuka, ogni giorno, era come una lenta tortura perché la loro somiglianza era impressionante e a volte non riuscivo a distinguere fino a dove pensavo a lei e fino a dove invece Sana si impadroniva di me. Mi ero sentito in colpa per anni per quello, quando guardavo le ragazze e non trovavo in loro ciò che volevo, semplicemente perché non erano lei. Non lo sarebbero mai state.
«Perché sei così fermamente convinta che appena uscito da quella dannata porta io sia andato a farmi qualcuno, così, per vendetta?! Parli come se non mi conoscessi!»
Mi resi conto solo dopo che avevo alzato il tono della voce e che lei si era tirata indietro sul letto, come se fosse spaventata da me. Non volevo metterle paura, volevo che capisse e lei non mi dava la possibilità di spiegarmi, mai.
«E tu perchè sei così fermamente convinto che il fatto che io faccia un film in cui potrebbero esserci scene spinte significhi che non me ne frega nulla di questo matrimonio? Come se fosse un vero matrimonio, poi!»
Le sue parole mi pugnalarono, lentamente e con forza, ma mi formarono un buco al centro del petto così grande che non riuscivo quasi a respirare. Se non credeva in quel rapporto, platonico per quanto potesse essere, non doveva far altro che chiedere il divorzio e lasciarmi, con la schiera di avvocati costosi che aveva alle spalle non le sarebbe di certo riuscito difficile.
«Non ho mai detto questo, non ho detto che non credi in questo matrimonio, non ho detto che il lavoro che fai determina la persona che sei! Ho semplicemente detto che avrei preferito staccarmi un braccio piuttosto che vederti fare certe cose con un attore da quattro soldi!»
La discussione stava degenerando, non riuscivamo più a tornare ad un tono di voce normale e con le urla stavamo rischiando di svegliare Kaori e passare la nottata in bianco.
«Non osare fare questo a me!»
Si alzò in piedi sul letto e lasciò andare il cardigan che le scoprì nuovamente tutto il corpo, lasciando in bella mostra quel completino intimo che avevo ammirato poco prima. «Non dire che non vuoi che io faccia quel film perché sei geloso, o perché c'è un maledetto pezzo di carta in cui si dichiara che siamo marito e moglie, perché fondamentalmente noi non siamo nulla!»
Scandì le ultime parole come per ferirmi ancora di più, e anche se non lo davo a vedere c'era riuscita perfettamente.
Poi scoppiò in una fragorosa risata. «E poi perché dovresti essere geloso? Non sono di tua proprietà né sono tua in altri sensi, non hai nessun diritto su di me!»
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, non risposi più di me stesso e mi fiondai sul letto, bloccandola sotto di me. Si dimenò per qualche secondo e poi capì che non c'era verso di mettersi contro di me e risparmiò le forze.
«Non avrò diritti su di te, è vero...» Mi posò uno schiaffo sul viso così forte che quasi riuscì a farmi spostare da sopra di lei. Quasi. Le trattenni le mani ai lati della testa, sperando che la smettesse di comportarsi come una bambina e che iniziasse ad ascoltarmi.
«Ripeto: non avrò diritti su di te, è vero, ma siamo sposati, che ti piaccia o no, e so che questo non giustifica il fatto che io sia geloso di te, ma lo sono e non posso farci niente.
Non ho nemmeno pensato di andare con qualcuna in quella settimana, tutt'altro, il pensiero di averti lasciata da sola mi ossessionava e non sono andato via perché ero arrabbiato o perché non mi importasse di te, l'ho fatto semplicemente perché anche solo immaginare di vederti toccare o... baciare qualcuno, mi dà la nausea. Non ti ho tradita, perché non potrei sopportare di farti così male, quindi smettila di ripeterlo. Ora, puoi continuare a comportarti da bambina e mandare all'aria questo rapporto, oppure puoi cominciare a darmi un po' di fiducia, come quella che io cerco di dare a te.»
Rimase in silenzio, immobile sotto di me, e sperai che per una volta le mie parole non l'avessero lasciata indifferente o sarebbe stata la fine del nostro matrimonio e della nostra amicizia, anche se ormai definirla tare era un eufemismo.


Pov Sana.

Rimasi interdetta mentre Akito mi parlava con quegli occhi di ghiaccio. Sembrava essere tornato per un secondo a parecchi anni fa, quando era ancora la paura il sentimento che mi legava a lui. Non avevo temuto che potesse farmi del male, quello non era nemmeno contemplabile e lo sapevo bene, ma il suo sguardo era impalpabile, non riuscivo davvero a capire cosa volesse dirmi. Che ci teneva a me, quello era certo, ma poi? Cosa mi nascondeva?
Non potevo biasimarlo comunque, anche io non ero di certo la persona più chiara del mondo quando si trattava di mettere a nudo i miei sentimenti.
Non sapevo cosa rispondergli, di certo non volevo buttare via anni di un rapporto che nel bene o nel male mi aveva sempre riempito l'esistenza. Il fatto che fossimo sposati non cambiava nulla, non potevo allontanarmi da Akito in ogni caso.
«Non voglio perderti...» sussurrai. Me lo ritrovai improvvisamente addosso, con il viso nascosto nell'incavo del mio collo.
«Non potresti nemmeno se volessi. Non credo che sopravviveresti un giorno senza di me a guardarti le spalle.»
Avrei voluto che mi guardasse più delle spalle, ma non dissi nulla, mi limitai a star zitta e ad assimilare le ultime rivelazioni della serata.
«Adesso puoi lasciarmi le mani o hai in mente di tenermi bloccata ancora per un po'?»
Lui si alzò e mi guardò negli occhi, magnetico come sempre, e i suoi divennero liquidi mentre pensava a cosa fare. Sapevo che non voleva lasciarmi andare, non parlò, semplicemente fece per alzarsi ma, non appena le mie mani furono libere, lo attirai a me e lo abbracciai, e il suo corpo aderì perfettamente sul mio, come se fossero stati creati per stare in quella posizione.
Ci addormentammo in quel modo, sfiniti dalla settimana appena trascorsa che ci aveva visti troppo lontani e dalla discussione che era degenerata in pochi secondi. Forse eravamo troppo coinvolti, forse semplicemente non riuscivamo a fare a meno l'uno dell'altro per cui ogni cosa sembrava l'apocalisse, ma la cosa che sapevo e di cui ero certa era che quel filo che ci univa non si sarebbe mai spezzato, nemmeno se uno dei due avesse provato a distruggerlo. Saremmo sempre riusciti a trovare la nostra strada verso l'altro, perché non c'era verso: eravamo una cosa sola.



La storia sta prendendo una piega che forse nessuno si aspettava. Dal primo capitolo nessuno, nemmeno io, si aspettava che Sana e Akito sarebbero finiti con la fede al dito e, ancor meno, ad essere gelosi l'uno dell'altro.
In questi giorni riflettevo su ciò che ci rende davvero felici e come il destino possa cambiare le nostre vite irrimediabilmente. La loro è stata cambiata da una bambina, la mia spero che un giorno sarà cambiata da un editore che pubblichi qualcosa di mio.
Queste storie sono un'ottima palestra per quando quel giorno, spero, arriverà.
Lo so che non ve ne frega niente, ma volevo condividere con voi questo piccolo pensiero, perchè siete stati i miei primi lettori. C'è chi mi segue da quando ho pubblicato qui Holiday, la mia prima vera ispirazione, e che è rimasto con me quando ho pubblicato University Life, sperando che la solita trama della ragazza al college non annoiasse, e che adesso mi sta accompagnando in questo terzo - e spero non ultimo - viaggio. 
Spero che un giorno, riuscirete a vedere il mio nome su qualche copertina e ricordarvi che ero io, la pazza che ha fatto diventare Sana e Akito genitori in un colpo solo ahahah :)
Bene... nel frattempo, se vi va di seguirmi in qualsiasi modo, vi voglio segnalare la mia pagina fb, appena aperta, che spero vi piacerà.

 
https://www.facebook.com/Battiti-di-me-182128238817285/

Vi bacio tutti, in particolare Dalmata, la mia stupenda beta, e grazie sempre... <3
Al prossimo aggiornamento,
Akura.






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Capitolo 14
*** Confessioni. ***


CAPITOLO 13.
Confessioni.
Pov Akito.
Ci eravamo addormentati come due bambini, sfiniti dalle mille incomprensioni che avevamo affrontato in quegli ultimi giorni ma, avendo lasciato la finestra della camera aperta, il freddo mi aveva infastidito e mi ero svegliato di colpo. Mi alzai per chiuderla bene e ne approfittai per mettere Sana sotto le coperte, perchè aveva la pelle d'oca e non volevo rischiare che si ammalasse, anche se avrei di gran lunga preferito continuare ad ammirare il suo corpo da quella prospettiva. Addormentarmi dopo fu ancora più difficile, l'improvvisa vicinanza di Sana mi aveva scombussolato totalmente e non riuscivo a pensare lucidamente quando l'avevo a così poca distanza. Mi rendevo conto di essere patetico, la maggior parte dei ragazzi della mia età aveva già il futuro programmato, una ragazza fissa da almeno un paio d'anni, mentre io mi ero ritrovato ad avere sempre storie di poco conto, tutte volte a dimenticare quella ragazzina smorfiosa che mi aveva catturato alle elementari. Quale pazzo rimane innamorato della stessa ragazza per così tanto tempo? Un masochista, sicuramente, ma il problema era che non riuscivo a staccarmi da lei. Sin da piccolo avevo sperimentato che l'influenza di Sana era sempre stata positiva per me, lei mi spronava, mi costringeva a mettere in discussione me stesso e i miei rapporti, ma anche quando il nostro legame si limitava ad una semplice amicizia io non riuscivo a non pensare a lei in altri termini. Era come una droga, da anni ormai mi ritrovavo a soffrire quando non potevo averne la mia dose giornaliera e in quel momento mi venne da sorridere pensando che invece nell'ultimo periodo sarei potuto andare in overdose. Sana era sempre con me, tranne quando si occupava di Kaori, e la sua costante presenza si era rivelata distruttiva per la mia salute mentale il più delle volte. Nonostante quello, però, mentre la guardavo dormire scordavo improvvisamente tutti i motivi per cui mi faceva uscire di testa e mi ritrovavo a chiedermi perchè ancora fossimo a quel punto di stallo. Eravamo sposati, solo sulla carta purtroppo, ma comunque il nostro rapporto non poteva essere considerato una semplice affinità creata negli anni. Mi rendevo conto di farle un certo effetto, perchè ogni volta che ci sfioravamo la vedevo irrigidirsi, sentivo i suoi muscoli tendersi fino allo sfinimento e il suo cuore battere all'impazzata. Sapevo che c'era qualcosa tra noi e il fatto che lei non volesse ammetterlo mi feriva, perchè significava che decideva volontariamente di precludersi una storia con me, incasinata per quanto potesse essere, ma comunque un vero rapporto.
Perchè si comportava in quel modo? Cosa la spaventava? Forse il fatto che io potessi tradirla, ma non capivo nemmeno da dove arrivasse quella ferma convinzione. Credeva forse che fossi una specie di dipendente dal sesso e che non sapessi controllarmi? Per poco non scoppiai a ridere, l'unica che non capiva che ero innamorato di Sana da tutta la mia vita era proprio Sana. Tsuyoshi mi aveva avvertito che non sarebbe stato facile farle capire i miei sentimenti e soprattutto farle accettare i suoi, ma non pensavo che sarebbe stato così difficile.
Mi voltai improvvisamente quando notai che Sana si muoveva nel sonno e che, facendolo, si era accovacciata vicino a me, poggiando il viso sul mio petto. Avrei voluto addormentarmi e svegliarmi in quella posizione per il resto della mia esistenza, ma sapevo già che non era così semplice e che non bastava desiderare qualcosa perchè accadesse, quindi abbandonai le mie speranze e cercai di godermi il momento. Le sue guance erano calde, la sua bocca quasi toccava la mia pelle e io mi sentivo marchiato a fuoco, come se quel semplice contatto potesse portarmi all'autocombustione. Mosse la testa e la sua chioma rossa fu illuminata da un raggio di luna che entrava dalla finestra e mi sembrò di vedere la pura poesia che dormiva affianco a me. Le accarezzai i capelli, sapendo che quell'istante non sarebbe durato a lungo e che avrei dovuto imprimermi nella memoria quel momento. I desideri spesso non si avverano, e continuando in quel modo io e Sana eravamo destinati a prendere i nostri e gettarli nel primo cassonetto dei rifiuti. Dovevamo trovare un po' di coraggio, qualcosa che spingesse entrambi al limite per poter comprendere veramente che ciò che volevamo era proprio davanti ai nostri occhi. Ma lei era per eccellenza la donna che scappa di fronte ai sentimenti e io non ero di certo la persona più espansiva dell'universo quindi, alle quattro e ventidue del mattino, mi chiesi: saremmo mai usciti da quel circolo vizioso?

Pov Sana.
Mi svegliai di soprassalto quando mi accorsi che il mio cuscino era fatto di pelle e tanti muscoli. Avevo la faccia praticamente affondata nel petto di Akito e il mio viso si alzava ed abbassava regolarmente insieme al suo torace. La cosa di per se' non sarebbe stata particolarmente imbarazzante, avevamo dormito così tante volte insieme che avevo perso il conto delle volte in cui mi ero svegliata in quella posizione, ma stavolta era diverso perchè ero praticamente nuda, coperta solamente da quel completino striminzito che avevo indossato la sera prima. Il cardigan era scivolato, o forse lo avevo tolto per il caldo, non ne avevo idea, ma l'unica cosa che mi separava da Akito era un reggiseno di pizzo e un minuscolo strato di tessuto al posto delle mutandine. Mi vennero le vampate, chissà se si era svegliato e mi aveva visto conciata in quel modo, e chissà quante battutine aveva escogitato per prendermi in giro per il mio seno assolutamente inesistente.
Ma cosa mi era saltato in mente? Perchè mi ero messa quel completino, per piacere a chi? Io e Akito non avevamo quel tipo di relazione e lui non aveva mai manifestato il volere di averla quindi la situazione era ancora più imbarazzante.
Cercai di muovermi piano, allontanandomi da lui, ma mi sentii stringere di colpo ancora più vicina. Era sveglio. E io ero nuda.
Lo vidi voltarsi, rendersi conto di ciò che stava accadendo e subito abbassare lo sguardo e fermarsi a guardare il mio seno. Avrebbe fatto una battuta crudele tra 3...2...1...
«Credo che sia la cosa più bella che io abbia mai visto.»
Rimasi interdetta, pietrificata accanto a lui, scioccata dalle sue parole e dall'effetto che mi fecero. Sentivo caldo, troppo caldo. Nonostante fuori ci fossero due gradi al massimo, se qualcuno mi avesse toccato anche per sbaglio si sarebbe ustionato.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata, e come se mi leggesse nel pensiero la sua mano arrivò sul mio mento perchè ci guardassimo ancora. Quando i suoi occhi incrociarono di nuovo i miei intravidi in loro un'intensità e una tenerezza che non avevo mai notato.
Avvicinarmi a lui era pericoloso, più di quanto avessi mai pensato, perchè adesso avevo qualcosa da perdere. Stavo per perdere me stessa, la mia indipendenza e soprattutto il mio cuore, perchè Akito sarebbe stato capace di prenderlo tra le mani e distruggerlo in un secondo.
Mi scostai come se non sopportassi la sua presenza, e vidi la sua mascella contrarsi come se fosse furioso o peggio, disperato.
«Dobbiamo andare in ospedale.»
Lui mi guardò come se avesse ricordato di colpo la situazione che avevamo attorno. Sbuffò silenziosamente mentre recuperavo il cardigan da sotto le lenzuola e mi coprivo alla meglio. Sembrò non apprezzare particolarmente quel gesto, lo sentivo rimuginare dall'altro lato del letto e mi venne da ridere, perchè non lo avevo mai visto così infastidito. Mi alzai e andai verso la camera di Kaori per prepararla, la trovai sveglia nella culla, intenta a fissare il carillon che le avevo comprato. Mi meravigliai del fatto che era la prima notte che non mi svegliava piangendo e quindi era la prima notte che dormivo sei ore di fila. Probabilmente Akito si era svegliato e aveva dato da mangiare alla piccola oppure non mi spiegavo come potesse essere accaduto. Ormai dormire per me era diventato un privilegio, mi capitava spesso di addormentarmi mentre guardavo la tv durante il pomeriggio e Akito, quando tornava da lavoro, mi trovava in uno stato pietoso sul divano. Ero stanca, e mi sforzavo di non pensare che quell'esperienza avrebbe potuto ripetersi con un bambino mio. Un bambino mio e di Hayama.
La mia mente viaggiò per un attimo, mentre prendevo Kaori in braccio e la portavo in bagno per lavarla, e mi immaginai col pancione, e Akito che l'accarezzava. Pensare a un figlio era veramente surreale, oltretutto impossibile, visto che non riuscivamo a trovare un punto di incontro.
Dopo aver vestito Kaori di tutto punto, mi preparai in fretta per andare in ospedale. Indossai una semplice gonna bordeaux e una maglia con le maniche in pizzo, mi truccai poco e andai alla ricerca delle scarpe. Uno stivaletto basso sarebbe andato bene, anche perchè non avevamo molti progetti per quel giorno, a parte andare a trovare Natsumi e il signor Hayama.
Uscii dalla camera mentre Akito si stava abbottonando i polsini della camicia, col petto ancora totalmente scoperto. Pensai che la mia vita non sarebbe potuta essere più complicata, perchè ogni volta che tentavo di tracciare un confine, lui puntualmente si faceva trovare nudo da qualche parte o faceva qualcosa per cui andavo fuori di testa e la cosa non andava bene.
Gli sorrisi spontaneamente e lui fece lo stesso, poi prese Kaori e io la coprii per bene, altrimenti per la fortuna che avevamo si sarebbe beccata una bella febbre.
Akito mi aprì la portiera, aspettando che mi accomodassi in macchina, e per tutto il tragitto tra di noi le cose sembravano tornate alla normalità. Ridevamo, ci prendevamo in giro, e sperai che quella serenità potesse durare per sempre, perchè fino a quel momento non avevo mai pensato che il nostro rapporto potesse funzionare, nonostante tutto l'impegno che ci mettevamo.
Invece, quando lui si voltò a guardarmi, a sorridermi, pensai davvero che le cose si sarebbero sistemate.

Pov Akito.

Arrivammo presto in ospedale, il giorno di Natale tutti erano in famiglia a festeggiare e di certo noi eravamo gli unici a girare per la città, con quel peso sul cuore.
Ormai era passato troppo tempo, e Natsumi aveva inizialmene risposto bene agli stimoli, ma poi aveva smesso e noi non sapevamo cosa pensare. Non volevamo arrenderci, ma la speranza ci abbandonava giorno per giorno, come una fiamma che lentamente si spegne.
Il dottore di Natsumi premeva sul fatto di trasferirla in una struttura che sarebbe stata più adatta a lei e alle sue esigenze, discorso che detto in parole povere si traduceva nel portare mia sorella in un istituto per casi di coma irriversibile. Sapevo che in situazioni come quelle ormai c'era poco da sperare, poco da pregare: Natsumi era morta e, anche se noi non riuscivamo ad accettarlo, prima o poi avremmo dovuto fare i conti con quella realtà. Pensai all'eventualità di doverlo dire a mio padre, a come si sarebbe sentito e a come avrebbe reagito. Il dolore straziante di perdere un figlio, così, per colpa di qualcuno che non le ha dato un briciolo del suo amore e a cui lei ha dato tutto, pur non meritandoselo.
La rabbia cominciò a montare dentro di me, ma cercai di domarla perchè avevo in braccio Kaori e lei, come sua madre, dipendeva totalmente da me. Cosa avrei potuto fare per crescere quella bambina? Non sapevo se sarei stato in grado di essere padre, anche se ci avevo disperatamente provato negli ultimi due mesi.
Aiutai Sana a mettersi il camice, mentre la mia mente vagava tra i ricordi di tutto il tempo che avevo passato ad odiare mia sorella, e avevo sprecato così tanto tempo. Non l'avevo aiutata, quando aveva saputo di aspettare Kaori, ero così furioso con l'energumeno che l'aveva messa incinta e poi se l'era data a gambe che non avevo pensato a come potesse sentirsi mia sorella.
«Vado io, porto Kaori con me, voglio presentargliela.» disse Sana prendendo la bambina in braccio.
Era la prima volta che portavamo Kaori da sua madre, prima non lo avevamo fatto perchè non ci sembrava il caso di far entrare una bambina così piccola in un ospedale, ma viste le condizioni di Natsumi avevamo pensato che era una cosa che dovevamo fare, per entrambe.
Lasciai che Sana entrasse con mia nipote, e solo allora mi permisi di crollare per un solo istante. Mi accovacciai sulla sedia, in sala d'aspetto, e guardando i pazienti che, come Natsumi, se ne stavano immobili in un maledetto letto, mi venne da piangere. Per la prima volta, in vita mia, le mie emozioni presero davvero il sopravvento, e non riuscii a trattenermi. Piangevo per mia sorella, per la pena che aveva dovuto sopportare, perchè non avrebbe mai conosciuto sua figlia e per Kaori che, a modo suo, aveva riportato un briciolo di normalità nelle nostre vite, anche in quella di mio padre che sembrava colare a picco lentamente.
Quando esaurii tutte le mie lacrime, mi alzai in piedi e mi avvicinai alla stanza di Natsumi per vedere se Sana voleva darmi il cambio e farmi entrare al posto suo. La sentii parlare con mia sorella, come quando si chiudevano nella sua stanza e si raccontavano le ultime novità, prima che Natsumi rimanesse incinta.
«Sai, amica, tua figlia è così dolce! Vorrei che tu potessi guardarla, che potessi renderti conto di quanto ti assomiglia.»
Sana fece una pausa, asciugandosi una lacrima che le stava scendendo per la guancia, e io cercai le somiglianze a cui lei alludeva. Non lo avevo mai fatto di proposito, sapevo che se le avessi trovate non sarei più riuscito a guardare Kaori senza crollare, e io non potevo crollare, perchè Sana e Kaori dipendevano da me, perchè la mia famiglia aveva bisogno di me.
«Vorrei che tu vedessi come ci siamo ridotti io e Akito, con la fede al dito! Quante volte ne abbiamo parlato? Quante volte mi hai detto che io e tuo fratello eravamo anime gemelle?»
Ogni tanto, dovevo ammetterlo, le spiavo, quindi non mi parve strano continuare con quella tradizione. Non lo facevo perchè mi interessavano i loro discorsi da donne ma perchè, come aveva detto Sana, spesso le avevo sorprese a parlare di me. Natsumi glielo ripeteva in continuazione, di darmi una possibilità, di lasciare che gli eventi facessero il loro corso, ma Sana era così testarda e non le dava mai ragione, nemmeno per un istante.
«Non te l'ho mai detto, ma credo che tu abbia ragione.»
Mi bloccai all'istante, cercando di non farmi vedere e di ascoltare meglio quelle parole.
«Credo... credo che questo matrimonio non sia stato solo frutto di ciò che è successo, credo che ci sia qualcosa tra di noi, qualcosa di forte. Ma, vedi, io sono terrorizzata. Ho così tanta paura che mi consuma.»
Sapevo che Sana non era esattamente la persona più coraggiosa del mondo quando si trattava di sentimenti, specialmente quando includevano me, ma non credevo che fosse terrorizzata. Da cosa, poi? Da me? Cosa avrei potuto farle?
«Temo che lui possa paragonarmi con qualche sua storia passata e, diciamocelo, io non sono nemmeno in competizione! Le ragazze che ha avuto mi eclissano, in tutto. Loro sapevano come trattare un uomo, come affascinarlo, io è già tanto se capisco come comportarmi con tuo fratello e, comunque, la maggior parte delle volte sbaglio ugualmente.»
Vidi Kaori muoversi, Sana la sistemò meglio tra le sue braccia esili e tornò a guardare il letto dove mia sorella dormiva.
«Temo che lui possa preferire una ragazza più... più esperta, ecco. E io non ho voglia di combattere contro la gelosia che mi divora ogni volta che qualcuna di loro lo segue durante gli allenamenti e, molto probabilmente, nel suo letto. Non voglio dovermi preoccupare di cosa starà facendo, o di chi si starà facendo. Temo che lui possa distruggermi.»
Quelle parole mi lasciarono senza fiato, per un secondo scordai persino che giorno era e dove ci trovavamo, perchè ero furioso. Come poteva anche solo pensare che, dopo che le avevo messo la fede al dito, le avrei fatto così male, andando con qualcun'altra? Certe volte mi sembrava che lei non mi conoscesse affatto, che per tutta la mia vita fossi stato davanti ad una persona che non mi aveva mai visto per ciò che ero: innamorato di lei!
Mentre Sana era ancora dentro con mia sorella cercai di calmarmi, assimilando per bene ciò che intendeva e arrivando alla conclusione che, in fondo, non potevo darle tutti i torti. Solo io sapevo che ero innamorato di lei dai tempi delle elementari, a lei non lo avevo mai detto - anche se avevo provato in tutti i modi a farglielo capire! - e quindi era lecito che, vedendo tutte quelle ragazze che urlavano come galline negli spalti e che qualcuna di loro finiva addirittura a casa mia, si fosse fatta un'idea sbagliata.
Se solo avesse saputo che in tutti gli occhi che avevo incrociato cercavo sempre quelle iridi nocciola che mi lasciavano sveglio la notte. Se solo avesse saputo che avevo sempre e solo desiderato lei. Era l'unica che aveva popolato le mie fantasie, di cui alcune volte mi vergognavo, perchè la Sana presente nei miei sogni, alcune volte era decisamente hot. M i ero fatto la fama di ragazzo difficile da conquistare, ma la cosa che mi lasciava perplessso, era come alcune ragazze potessero avere così poca autostima di sé, più le trattavo male e le scacciavo e più loro mi seguivano. Alcune volte le avevo trovate anche negli spogliatoi. Per i miei compagni di karate ero una specie di idolo, erano convinti che se respingessi ragazze tanto insistenti, era perchè ne avessi altre più calde, pronte a gettersi tra le mie braccia. Mi faceva ribollire il sangue che lei non lo capisse e dovevo assolutamente rimediare. Non sapevo come, ma lo avrei fatto.
Non mi accorsi nemmeno che Sana era uscita dalla stanza di Natsumi fin quando non mi passò una mano davanti alla faccia per riportarmi sulla terra.
«Hei, dormiglione, vai a salutare tua sorella!».
Le diedi una spintarella, presi Kaori e la misi nella carrozzina, e poi mi infilai il camice.
Entrai in quella stanza con la morte nel cuore, perchè sapevo che non avrei sentito la voce di mia sorella, ma solo il rumore del monitor che segnava che il suo cuore batteva ancora, in un corpo ormai inutile.
«Hei, Nat.». Presi una sedia e mi accomodai vicino a lei, prendendole la mano. «Non hai proprio intenzione di svegliarti, eh? Se è perchè sai che poi non dormirai più per via di tua figlia penso che tu sia la persona più furba al mondo.»
Sorrisi, non perchè tutto quello mi sembrava divertente, ma per l'idiozia delle mie parole.
«Io e Sana ci stiamo ammazzando di lavoro al posto tuo, quella mocciosa non fa altro che piangere e sporcare... però è così carina. Assomiglia tutta a te.» Dalla gola mi uscì un verso gutturale, quasi un sospiro strozzato, perchè mi sembrava di soffocare dentro quelle quattro mura.
«Senti, Nat. Se è la vendetta quella che vuoi, fai come se fosse già accaduto: gliela farò pagare. Ma se stai solo cercando di farmi un dispetto per farmi stare ancora con Sana, sappi che abbiamo superato quel punto già da un po'.
Non è semplice per me, e a giudicare da quello che ti ha detto poco fa non lo è neanche per lei, ma ti giuro che ce la sto mettendo tutta per essere felice. Felice con lei.
Ma non sarò mai completamente felice se tu non mi prenderai in giro per come mi comporto con Sana, o se non mi preparerai più i muffin al cioccolato... o se non mi costringerai più a pulire la cucina dopo che l'hai distrutta per provare una delle tue ricette nuove. Quindi, ti prego, apri gli occhi e vieni a conoscere tua figlia.»
Le guardai la mano, sperando di vedere quell'impercettibile movimento che di solito si vede nei film quando qualcuno si sta risvegliando dal coma, ma più la guardavo più mi rendevo conto che non sarebbe accaduto nulla del genere.
Mi alzai di scatto, convinto che fosse arrivato il momento di accettare la realtà e trasferirla davvero in un posto che l'avrebbe accolta nel migliore dei modi, e mi diressi verso la porta.
Uscii velocemente, togliendomi il camice di dosso con la stessa delicatezza di un elefante in una cristalleria, e guardai  Sana sperando che non mi facesse nessuna domanda.
«Cos'hai?». Le mie speranze erano sempre vane.
Afferrai il manico della carrozina di Kaori. «Niente, andiamo via da qui.» dissi con decisione.
E non mi voltai indietro.

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Le mie braccia non mi rispondevano, non erano più le mie braccia, e i miei occhi, nemmeno loro mi aiutavano più. Vedevo il buio, come una finestra perennemente chiusa, e sentivo che anche la mia testa mi stava abbandonando.
Avevo sempre pensato a come potessero sentirsi le persone in coma, se capissero e sentissero ciò che gli accadeva intorno, e finalmente avevo ricevuto la mia risposta, peccato che non sarei stata in grado di raccontarlo a nessuno.
In realtà non sapevo se avevo davvero voglia di aprire gli occhi, di tornare a quel mondo che in pochi mesi mi aveva distrutta. Forse avevo scelto io di trovarmi in quel letto d'ospedale, inerme e con i miei cari a piangere per me.
Mio padre non faceva altro, lo sentivo, persino durante la notte, mentre sussurrava il mio nome e mi pregava di svegliarmi.
Avrei voluto dirgli che non dipendeva da me, che non ero io a decidere se aprire gli occhi o no, era il mio corpo... e quello ormai era come un giocattolo rotto.
Sentii il calore di una mano, era così familiare, non era la prima volta che la sfioravo ma non sentivo nessuna voce. La persona che mi stava accanto mi stringeva forte, ma non parlava. Poi si schiarì la voce e cominciò.
La riconobbi immediatamente, anche se sembrava sconvolta dalle lacrime. Dio, non volevo che piangesse per me...
«Amica!». Era così che iniziavano tutte le nostre conversazioni, non sapevo perchè, forse per rimarcare il fatto che ormai non ero più solo la sorella del suo migliore amico, ma anch'io ero una sua amica.
«Mi dispiace che debba succedere così, ma oggi ti ho portato una persona davvero speciale.»
Per un attimo avevo sperato che fosse Konhiro, che fosse venuto da me a sistemare quello che aveva distrutto, che avesse trovato il coraggio di chiedermi scusa.
Quando una mano piccola, calda, mi sfiorò le dita il mio cuore improvvisamente mi sembrò pietrificarsi.
Era una sensazione che non sapevo spiegare, che mi bruciava dallo stomaco fino al cuore, e che arrivava proprio in quel punto, dove quella minuscola manina mi stava sfiorando.
Sapevo a chi apparteneva, sapevo cosa era successo due mesi prima, ma avevo cercato di negarlo a me stessa perchè soffermarmi su quel momento sarebbe stato troppo penoso.
La voce di Sana mi riportò lì, dove stavo conoscendo il prolungamento di me stessa, mia figlia.
«Lei è Kaori, Nat. E' tua figlia, la bambina che hai portato dentro per mesi. Non pensi valga la pena, almeno per lei, aprire gli occhi e darvi una possibilità?»
La sentivo parlare, la ascoltavo, ma tutto il mio corpo si tendeva alla disperata ricerca di quel contatto, di quella sensazione che mi aveva invaso poco prima. La bambina si lamentava. Kaori... mi piaceva quel nome, Sana e mio fratello avevano proprio scelto bene.
Quella bambina era una parte di me, che se ne andava in giro in braccio a quella che ormai era mia cognata.
Avrei voluto urlare,  farle capire che ero lì, che la sentivo... ma il mio corpo mi tradiva.
Per tutto il tempo in cui Sana fu nella mia stanza, e la mano di Kaori sfiorava delicatamente la mia, non ascoltai nulla di ciò che mi stava raccontando. Avevo capito che era preoccupata per il rapporto che aveva con mio fratello, ma io avevo cose più importanti a cui pensare: dovevo aprire gli occhi e riprendermi mia figlia.
E magari lasciare che quei due risolvessero i loro problemi.




E' passato un po' di tempo. Mesi, credo. E sono terribilmente dispiaciuta per questa assenza così prolungata.
L'università prende tutto il mio tempo, non riesco nemmeno a respirare, figuriamoci mettermi a scrivere o pubblicare.
Quando trovo un momento di calma mi metto al pc e faccio entrambe le cose. Allooooora... come vedete abbiamo sentito finalmente la voce di Natsumi, che adesso è determinata ad aprire gli occhi.
Sana, d'altro canto, è terrorizzata di lasciarsi andare con Akito, che teme la respinga per la sua inesperienza (come sempre, aggiungerei) anche se in realtà non è solo questo che la turba.
Vedrete, in seguito.
Comunque... voglio ringraziarvi uno ad uno per l'appoggio costante che mi date, con le recensioni, i messaggi che mi chiedono di aggiornare e tutto il resto.
E soprattutto, come sempre, ringrazio la mia stupenda Beta, Dalmata, che non fa altro che sopportare i miei sbalzi d'umore e la mia mancanza di ispirazione (come adesso).
Un bacio a tutti e al prossimo aggiornamento.
Akura.

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Capitolo 15
*** Capodanno tra le stelle. ***



CAPITOLO 14.
Capodanno tra le stelle.

Pov Sana.

«Si Rei, ho capito, ma se devo lavorare anche per Capodanno sappi che voglio almeno tre settimane di assoluta libertà!».
Tentavo di negoziare con Rei i miei impegni di lavoro ma, come sempre, non stavo ottenendo il risultato sperato.
«Lo sai che non dipende da me, Sana, purtroppo dopo il matrimonio sei diventata richiestissima ovunque. Non posso rifiutare ospitate come questa, è un programma troppo importante.»
Annuii, anche se lui non poteva vedermi, e cercai di rassegnarmi al fatto che il mio lavoro mi avrebbe sempre portato via del tempo e che non potevo farci nulla.
«Va bene allora, fammi sapere l'organizzazione così cerco di gestire il mio tempo anche a casa.»
Mi salutò quasi subito, dicendomi che voleva contattare il regista del film per cercare di mettere in ordine i miei impegni. Ero preoccupata per la reazione che avrebbe avuto Akito sapendo che non avrei passato capodanno insieme a lui e a Kaori e soprattutto che di lì a breve sarebbero iniziate le riprese del film per cui avevamo litigato tanto. Non sapevo nemmeno se le riprese mi avrebbero portata lontana dalla città, per cui lo avrei dovuto lasciare da solo con Kaori e la cosa mi preoccupava particolarmente. Non che non mi fidassi di lui, al contrario, ma temevo molto cosa sarebbe potuto accadere in mia assenza.
Andai a preparare il caffè, sperando che Akito si svegliasse il più presto possibile, perchè stare da sola con i miei pensieri non mi faceva bene e soprattutto perchè dovevo avvisarlo che non potevamo passare insieme il Capodanno.
Rigirai la tazza tra le mani, aspettando che il caffè fosse pronto, e pensai al modo migliore di dirglielo senza scatenare la terza guerra mondiale, ma con Akito mai nulla era davvero sicuro, perchè le sue reazioni erano imprevedibili. Decisi comunque di non pensarci, lo conoscevo abbastanza da sapere che tanto avrebbe trovato ugualmente un pretesto per litigare.
Accesi la radio e preparai la colazione, se dovevamo urlarci contro tanto valeva addolcirlo un po' con le cose che sapevo gli avrebbero fatto leccare i baffi. Presi un vassoio e misi la sua tazza di latte con i cereali, la sua arancia sbucciata e il cappuccino per cui discutevamo sempre: io volevo sempre troppa schiuma mentre lui la detestava e allora puntualmente mi prendeva in giro perchè non riuscivo a berlo senza sporcarmi.
Il vassoio mi tremava leggermente tra le mani, perchè la discussione sarebbe stata epocale, lo sapevo già.
Poggiai il vassoio sul letto e poi cercai di svegliarlo. Una cosa che non ero mai riuscita a capire era la capacità di Akito di essere sveglio e attivo non appena apriva gli occhi, mentre per me ci volevano almeno una o due ore prima di essere veramente connessa col mondo esterno.
«Buongiorno...» sussurrai, porgendogli il vassoio. La sua espressione fu impagabile, per la prima volta nella mia vita lo avevo visto arrossire e la cosa mi sembrò troppo tenera per non fargliela notare. «Non emozionarti, mi sono solo svegliata presto, Hayama.»
«Ci vuole ben altro per emozionarmi, Kurata!». Eccolo, quello era l'Akito che conoscevo e che sapevo controllare, troppo diverso da quel ragazzo romantico che mi aveva riempito di complimenti la mattina prima.
«Cosa devi dirmi, Sana?». Mandò giù un sorso di cappuccino e sorrise, sicuramente pensando che lo avevo preparato con poca schiuma come piaceva a lui. Dovevo sembrargli disperata.
«Cosa ti fa pensare che debba dirti qualcosa?». Abbassai lo sguardo, consapevole del fatto che con Akito era difficile tenere i miei segreti, segreti, e che riusciva a leggermi negli occhi. Lo detestavo per quello.
Indicò il vassoio davanti a lui, continuando a bere il cappuccino. «Mi hai preparato la colazione, me l'hai portata a letto e mi hai addirittura fatto il cappuccino con poca schiuma. Devi per forza dirmi qualcosa, per cui sai che potrei arrabbiarmi, quindi avanti... parla!».
Continuava a guardarmi di sottecchi, con la tazza fumante tra le mani, e io non riuscivo a dire nulla, i miei pensieri si affollavano uno sull'altro, senza darmi modo di connettere il cervello con la bocca.
«Respira Sana, e dimmi quello che devi, per favore.»
Chiusi gli occhi, presi tutta l'aria che avevo in corpo e la buttai fuori per farmi coraggio. «Per Capodanno... sai, dopo il matrimonio sono diventata molto richiesta... e Rei mi ha appena detto che...»
«Non passerai capodanno con me, giusto?» mi interruppe lui, posando la tazza vuota sul vassoio.
Annuii, aspettando le urla che sarebbero seguite sicuramente a quelle parole.
«Va bene, Sana... è il tuo lavoro.»
Aprii gli occhi di scatto, sconcertata dalla sua risposta e dal fatto che il suo tono di voce fosse sempre lo stesso, pacato e tranquillo. Non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie. Akito era ancora a letto, con le gambe distese, a petto nudo - dettaglio che poco prima avevo ignorato ma che in quel momento mi saltò subito all'occhio - e con in mano la sua tazza di latte e cereali, come ogni mattina.
Era assurdo.
Mi avvicinai e gli toccai la fronte. «Sei sicuro di non avere la febbre?». Scoppiammo a ridere, e lui mi tolse bruscamente la mano.
«Sto benissimo, non è che devo sempre sbraitare come un cretino. Ogni tanto cerco di controllarmi anch'io, che ti credi.». Incrociò le mani dietro la testa e gli addominali si contrassero sotto la sua pelle. Mi bloccai a guardarlo, lo ammetto, e lo vidi fare un risolino, tanto per mettermi ancora più in imbarazzo.
«Devo chiamare la mia stylist!» affermai alzandomi dal letto, e alle mie spalle Akito sbuffò. Risi di gusto, come non facevo ormai da molto tempo, e tornai in cucina per prepararmi un cappuccino con tanta, tantissima schiuma.

*

Pov  Akito.

«Che ne dici di questo? Non è troppo vistoso per una semplice ospitata?».
Sana uscì dalla camera da letto con indosso uno degli abiti che la stylist le aveva dato, erano ormai le otto e mezza e fra poco meno di un'ora sarebbe dovuta essere agli studi per partecipare al programma a cui era stata invitata. Era un abito nero, lungo fino al ginocchio, con lo scollo quadrato e le spalline di pizzo. Proprio sotto al seno aveva altri due strati di velo che lasciavano quasi scoperte le costole. La stoffa le fasciava il corpo perfettamente, come se fosse una seconda pelle. Il respiro mi si mozzò nel petto e pensai che forse avrei potuto riportarla in camera e toglierglielo con le mie mani.
«Allora? Sei sordo?».
La sua voce mi destò dai miei pensieri, spostai lo sguardo dai suoi fianchi stretti al seno che sembrava più abbondante dentro quel vestito, per poi incrociare i suoi occhi. Adesso potevo tornare ad essere lucido, dovevo solo smettere di guardarla.
«E' perfetto.». Lei mi sorrise e fece una giravolta, tornando subito in camera da letto per prendere le scarpe e rimettere il vestito nella fodera con cui l'avrebbe portato agli studi.
«Allora» cominciò «Il latte di Kaori è in frigo, non devi far altro che riscaldarlo e darglielo. Se si sveglia durante la notte, basta cullarla un po' e se proprio non vuole dormire mettila a pancia sotto e accarezzale la schiena, dovrebbe funzionare. Per il resto..».
La interruppi, cercando di riacquistare un po' la mia dignità di uomo. Sarei stato in grado di far addormentare una bambina di due mesi. O almeno lo speravo.
«Sana, calmati. So badare a me stesso.»
Si infilò le scarpe da ginnastica e poi rivolse di nuovo lo sguardo a me. «Non è di te che mi preoccupo, ma di Kaori. Te la caverai?».
Annuii, soffocando una risata per il suo spiccato sarcasmo.
«Tranquilla, al tuo ritorno non troverai la casa che va a fuoco o Kaori col pannolino al contrario. Ce la posso fare.»
Sana prese il cappotto e lo indossò spostando i capelli che aveva leggermente arricciato.
Non volevo che passasse capodanno lontana da me, ma per non litigare ero disposto anche a scendere a compromessi. La accompagnai alla porta trascinandola per le spalle, sperando che col tempo avrebbe smesso di farsi tutte quelle paranoie e che avrebbe imparato a fidarsi di me.
«Okay, penso di averti dato tutte le raccomandazioni del caso, adesso vado visto che sono già in ritardo.»
Avrei voluto dirle che non era affatto in ritardo, ma in quel caso non se ne sarebbe mai andata e avrebbe continuato ad ordinarmi la qualsiasi, quindi annuii e la spinsi fuori dalla porta. Lei si voltò, mi fece un sorriso. Nei suoi occhi si leggeva un velo di tristezza.
«A mezzanotte non potremo farci gli auguri, quindi... buon anno...». Si avvicinò per abbracciarmi e io colsi l'occasione per farle capire che quell'anno sarebbe stato diverso.
La strinsi a me più forte che potevo, affondando il viso nell'incavo del suo collo. Sapeva di cannella e frutti di bosco, sapeva di Sana, un profumo che non riuscivo veramente a definire fino in fondo.
«Buon anno, ragazzina egoista.». Quando lei si voltò per baciarmi sulla guancia, spostai il viso e ci ritrovammo bocca su bocca. Non approfondii il bacio, volevo solo che capisse.
«Adesso vattene, ci vediamo più tardi.»
La sua espressione passò dall'esterefatta ad un sentimento che non ero riuscito a decifrare fino in fondo.
Speravo solamente che non appena il conto alla rovescia le avesse invaso la testa, la mia immagine le invadesse il cuore, perchè volevo che quell'anno fosse il nostro anno.  


*

Mi ero quasi imposto di non guardare il programma in cui Sana sarebbe stata ospite, per non pensare a quanto fosse difficile aspettare prima di attuare i miei piani.
Nonostante questo, però, in tv non davano nulla di interessante quindi, facendo zapping, mi ritrovai sul canale della trasmissione a cui avrebbe partecipato.
Capii che la presentatrice le stava facendo alcune domande su di me, su di noi, perchè di sfondo c'era una nostra foto con la carrozzina di Kaori. Sarebbe stato alquanto imbarazzante per lei, ma era brava ad eludere le domande indiscrete.
«Quindi, Sana, abbiamo capito che il tuo matrimonio va a gonfie vele... ma abbiamo saputo anche che avete avuto qualche problema negli ultimi tempi, vuoi dirci qualcosa? Qualche piccola scaramuccia tra neosposi?».
Come diavolo avevano fatto a sapere che avevamo litigato? Non smettevo mai di stupirmi delle doti dei giornalisti.
Sana si sistemò meglio sulla sedia e portò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Sembrava calma, rilassata, come io non sarei mai riuscito ad essere.
«Bè... le liti ci sono sempre, penso che nessuna coppia sia immune da questo, però io e Akito ci conosciamo da sempre, sappiamo come smussare i lati del nostro carattere  e poi abbiamo una bambina a cui badare, quindi siamo, in un certo senso, obbligati ad andare d'accordo. Teniamo l'uno all'altra, è questo quello che conta.»
Le sue parole erano perfette, non troppo vaghe e non troppo precise, davano informazioni vere ma non veramente dettagliate, e la presentatrice sorrise capendo che stava cercando di sviare il discorso.
«A proposito di questa bambina, come vi sentite ad essere diventati genitori così presto? Non avreste preferito vivere un po' senza la preoccupazione di un figlio?».
Cominciai ad irrigidirmi, ma avendo in braccio Kaori tentai di calmarmi. Non capivo perchè dovessero mettere in mezzo mia nipote.
Sana, nel frattempo, aveva accavallato le gambe e il tacco dodici che portava le fece tendere i muscoli delle gambe.
«Kaori è stato il motore di tutto, probabilmente senza di lei non avremmo preso la decisione di sposarci così giovani. Io e Akito stiamo insieme ormai da anni, ma siamo piccoli e forse avremmo aspettato ancora un po'. In compenso però siamo felici, davvero felici, quindi no... non cambierei la mia vita.»
Le sue parole sembravano vere, guardandola negli occhi non mi sembrava che mentisse, e volevo crederle con tutto me stesso, ma sapevo anche in un certo senso doveva dire quelle cose, altrimenti i giornalisti non ci avrebbero dato tregua.
La sua mancanza si fece quasi insopportabile. Dopo aver messo Kaori nella culla, cominciai a camminare avanti e indietro davanti alla tv, e riflettei su ciò che stavo per fare. Avevo preparato tutto per filo e per segno, il fatto che lei fosse agli studi televisivi non mi preoccupava affatto, ma ero terrorizzato dalla reazione che avrebbe avuto.
Erano quasi le undici ormai, dovevo muovermi se volevo che l'idea che avevo in mente si realizzasse. L'avevo pensato per giorni, Tsuyoshi mi aveva detto che ero un folle, che nessun uomo avrebbe mai pensato ad una cosa del genere, ma a me non importava.
Sana ed io avremmo avuto il nostro capodanno insieme.

*

Guidai in fretta verso casa della signora Kurata, dove c'era già mio padre, e lasciai a loro Kaori, sapendo che fosse in buone mani.
Guardai l'orologio ed ero abbastanza in ritardo, erano già le undici e dieci, e sperai che Sana non avrebbe fatto tante storie quando l'avrei trascinata fuori.
Arrivai agli studi e salutai una delle guardie alla porta, che ormai mi conosceva da anni, visto che era capitato spesso di andare lì con Sana. Mi avviai verso lo studio 3, dove si stava svolgendo la trasmissione, e molti dei collaboratori mi salutarono calorosamente riconoscendomi come l'amico di Sana prima, e adesso suo marito.
Quando arrivai dietro le telecamere e incrociai lo sguardo di Sana, la vidi raggelarsi per un istante e poi il suo viso si aprì in un sorriso che non avevo mai visto prima.
La presentatrice intercettò lo sguardo di Sana e lo seguì fino ad arrivare a me, e allora mi intrufolai in mezzo a loro e finii, per la prima volta, davanti ad una telecamera.
«C'è un fuori programma, scusate...». La presentatrice inneggiò il pubblico in studio ad applaudire per accompagnare la mia entrata.
Io mi avvicinai a Sana e le sorrisi.
Cosa ci fai qui? mi chiese col labiale, ma io non le risposi.
«Abbiamo qui il signor Akito Hayama, il marito della nostra ospite Sana Kurata. Akito, dicci, cosa ci fai qui?»
Mi voltai verso Yuuko, la presentatrice, e le rivolsi uno dei miei rari sorrisi. «Visto che avete pensato bene di privarmi della presenza di mia moglie per l'ultimo dell'anno, io sono venuto qui a riprendermela. Marito e moglie non dovrebbero mai essere separati a Capodanno.» spiegai, tendendo la mano a Sana per farla alzare.
Il pubblico applaudì di scatto, e la presentatrice si mise a ridere ammiccando anche un po'.
«Wow, ma dove sei stato per tutti questi anni? Avrei voluto incontrarti io...».
«Ti ringrazio» risposi "Ma ora se non ti dispiace, se non vi dispiace, vorrei portare via mia moglie da qui.»
Lei mi fece segno che potevo fare ciò che volevo e, mentre io e Sana uscivamo dallo studio insieme, la sentii dire che probabilmente i suoi produttori l'avrebbero uccisa ma che non poteva resistere ad una cosa così romantica come una fuga del genere. Risi sotto i baffi sperando che, se tutte le donne che avevano visto quella scena erano rimaste colpite, anche Sana doveva esserlo stata. Se non fosse stato così, non avrei più saputo come farle capire che ero innamorato perso di lei.

Pov Sana.

Akito non diceva una parola, continuava a sorridere di sottecchi ma non mi aveva guardata nemmeno per un secondo.
«Mi dici dove stiamo andando?».
Vidi la sua mascella contrarsi ma continuò ad ignorarmi come aveva fatto nei precedenti dieci minuti. Stavo cominciando ad innervosirmi.
«Se non mi dici dove andiamo mi butto dalla macchina in corsa.» scherzai.
«Ma non ce la fai a goderti semplicemente il momento? Sta zitta, una volta tanto, e lascia fare a me.».
Le sue parole mi zittirono e, dopo avergli fatto una linguaccia, mi voltai a guardare fuori dal finestrino per capire dove ci trovavamo e provare a dedurre il posto in cui stavamo andando.
Non conoscevo quella zona di Tokyo, la mia speranza fu vana, per cui decisi di godermi il momento, come aveva detto Akito e alle conseguenze c'avrei pensato quando si fossero presentate.
Capimmo che era passata la mezzanotte e che quindi eravamo già nel nuovo anno, solo quando i fuochi d'artificio illuminarono il cielo sopra di noi.
Alzammo gli occhi e poi tornammo a guardarci.
«Mi hai fatto perdere il countdown, hai visto?».
Fece un risolino e socchiuse gli occhi, mentre i muscoli
delle braccia si tendevano quando lui girava il volante.
«Ne varrà la pena, te lo assicuro.»
Presi a guardare i giochi di colore che erano su di noi, quindi aprii il finestrino e l'aria della sera mi colpì dritto in faccia, facendomi venire i brividi.
Dopo poco mi resi conto che Akito aveva rallentato e che stava entrando in una strada che invece ricordavo vagamente. C'eravamo stati due volte al liceo in visita scolastica, ed ero sempre rimasta affascinata da quel posto.
Davanti a me si ergeva un edificio altissimo, che sembrava sovrastare tutti gli altri attorno a lui: il planetario di Tokyo.
Non capivo cosa ci facevamo lì, la struttura era ovviamente chiusa a quell'ora, e Akito continuava a non dirmi nulla. Venne ad aprirmi la portiera e solo in quel momento mi resi conto di com'era vestito. Portava un pantalone nero con delle scarpe eleganti, una camicia azzurra che sembrava essere stata cucita addosso a lui e, nonostante il freddo, teneva la giacca tra le mani.
«Come mai così elegante?». Gli sorrisi e mi avvicinai per sistemargli il colletto e, ad essere sincera, non solo. Avrei voluto baciarlo, volevo smetterla di fare tutti quei giochetti inutili e mettere un punto fermo alla nostra relazione.
«Non volevo sfigurare.».
Quell'Akito mi spiazzava, non sapevo come gestirlo o come affrontarlo, però non mi dispiaceva, anzi, lo trovavo intrigante e dolce allo stesso tempo.
Mi prese la mano e mi condusse all'entrata del planetario che, con mio grande stupore, era aperto e anche piuttosto affollato.
Akito si fermò a parlare con la guardia giurata fuori dall'edificio e lui ci fece entrare senza bisogno di fare la fila insieme al resto delle persone che ci guardava con aria infastidita e al contempo sognante, probabilmente per come eravamo vestiti. Alcune ragazzine mi riconobbero e io le salutai mentre camminavo dietro Akito in silenzio, rivolgendogli un sorriso.
Mano nella mano seguivamo una donna che ci portava in giro per la struttura, anche lei in assoluto silenzio.
Mi avvicinai ad Akito, sperando che stavolta mi avrebbe dato una risposta concreta.
«Cosa ci facciamo qui, una lezione di astronomia?».
Lo vidi sorridere e poi tornare serio in un istante, schiarendosi la voce.
«No, ora vedrai. Ma ti prego, sta zitta.»
Entrammo in una sala grandissima, con una finestra a vetro davanti a noi e una sopra di noi, che faceva si che si vedesse il cielo. Alla mia destra c'era una piccola scala a chiocciola che portava ad una sala sotterranea identica a quella in cui ci trovavamo noi.
Al centro della sala un enorme telescopio, accanto un tavolo apparecchiato e una scatola perfettamente impacchettata.
Il mio cuore perse un battito, non riuscivo nemmeno a parlare, le ginocchia mi tremavano e se Akito non fosse stato lì a tenermi la mano probabilmente sarei svenuta.
«Ma cosa hai fatto?» chiesi, stringendogli ancoa di più la mano. «E' tutta opera tua?».
Akito si voltò e, dopo aver salutato la donna che ci aveva accompagnato, mi rivolse uno dei suoi rari sorrisi.
«Ti sembra così strano?
». Tornò subito serio, e speravo che il suo umore non cambiasse, perchè le cose stavano andando così bene. Akito non era solito fare gesti così plateali, ma era così dolce quando si impegnava e il nostro rapporto poteva solo giovarne.
«Sono senza parole.». Ed era vero, non riuscivo a dire nulla, non riuscivo a ringraziarlo, non riuscivo ad abbracciarlo, non riuscivo a muovermi.
«Non fa niente, per una volta ne ho io qualcuna...»
Mi portò vicino al telescopio e si mise dietro di me, circondandomi con le braccia e invitandomi a guardare al suo interno.
«La vedi?». Mi accarezzava piano la schiena, ma non con fare malizioso, era come se volesse rassicurarmi, come se cercasse di creare un contatto. Annuii, capendo che si stava riferendo alla stella su cui era puntato il telescopio.
«E' tua.» Sgranai gli occhi e provai a voltarmi, ma lui me lo impedì facendo sì che gli dessi di nuovo le spalle.
«Che vuol dire?».
Sospirò, e sentii il suo fiato proprio vicino al mio orecchio. Mi accorsi che si era allontanato ma non mi voltai per non rovinare il momento e soprattutto perchè il mio corpo mi stava tradendo, non ero capace di muovere un muscolo.
Tornò dietro di me e srotolò un foglio davanti ai miei occhi, sentivo che era nervoso perchè il suo respiro era irregolare e le braccia non erano perfettamente salde. Avrei voluto voltarmi e abbracciarlo, fargli capire che non mi importava delle sorprese, delle belle parole, tutto quello che volevo era lui, con le sua paranoie e le sue imperfezioni. Io volevo lui.
Lessi lentamente ogni parola e dovetti trattenermi per non scoppiare a piangere.
«Mi hai comprato una stella.» dissi infine, quasi senza fiato.
Lo sentii sorridere e poi indicarmi il nome della stella, al centro del foglio.

Claddagh.

Prima ancora che potessi chiedere, lui cominciò a spiegarmi il significato.
«E' un po' strano, lo so... ma non ho trovato nient'altro che potesse rappresentarci così bene. Il claddagh è un simbolo irlandese.» Mi mostrò il disegno sul foglio. Erano due mani che tenevano stretto un cuore, sormontato da una corona.
Era bellissimo.
«Le due mani simboleggiano l'amicizia, la corona invece la lealtà.». Sapevo cosa simboleggiava il cuore, ma avevo paura di chiederglielo ed evidentemente lui aveva paura di dirmelo, perchè si era ammutolito di colpo.
Capii che non l'avrebbe fatto, quindi azzardai, ormai non avevo più nulla da perdere. O forse avevo tutto da perdere.
«E... e il cuore?».
In un secondo la sua bocca fu sulla mia. La sua mano sinistra mi circondò la nuca per avvicinarmi ancora di più a lui. Non riuscivo a muovermi. Non riuscivo a pensare. L'unica cosa che sapevo era che volevo lui. Sempre e solo lui.
Le sue labbra mi sembravano come una specie di oasi, mi aggrappai a loro come se fossero l'unica cosa importante al mondo. Venni travolta da una miriade di sensazioni che non riuscivo a spiegare, che mi sembrarono tutte nuove, come se non lo avessi mai baciato prima.
Ogni bacio, prima di quello, sembrò scomparire, forse perchè era il primo in cui avevo la piena consapevolezza di essere innamorata di lui.
Io amavo quel ragazzo. Lo amavo da sempre, da quando i suoi e i miei problemi ci avevano uniti, tanti anni prima, e ci avevano permesso di capirci. Lo amavo da quando aveva piazzato quel coltello al lato della mia testa, quando lui desiderava morire e io desideravo salvarlo. Lo avevo amato anche quando mi aveva lasciato perchè stare con Fuka era più semplice e io ero scappata a New York.
Lo avevo sempre amato.
Cingendomi la vita con le braccia mi sollevò da terra, e io intrecciai le mani tra i suoi capelli.
Era la cosa più bella che avessi mai provato e allo stesso tempo era una tortura, perchè lo volevo con tutta me stessa.
Quando le nostre labbra si staccarono, avevamo il fiato corto e le labbra rosse, lui era sporco di rossetto e a me venne da ridere.
«Adesso so cosa simboleggia il cuore.» mi limitai a dire.
Lui accennò un sorriso. Amavo l'Akito sorridente, e in quel periodo, nonostante tutto quello che stavamo passando, lui sorrideva un sacco.
«No. Non lo sai.». Lo guardai negli occhi, cercando di decifrare il suo sguardo, ma Akito aveva gli occhi di ghiaccio, non lasciava mai trasparire nulla.

Pov Akito.

Ero pronto, dovevo dirglielo, dovevo espormi e lasciare che le mie paure se ne andassero a fanculo, così avrei potuto liberarmi da quel peso che tenevo con me da troppi anni. Ormai anche i muri sapevano che ero innamorato di lei, che per lei avrei fatto qualsiasi cosa e sarei diventato qualsiasi cosa, quindi l'unica cosa da fare era trovare tutto il coraggio ed esprimere tutto quello a parole.
La mia bocca era secca come il deserto, il bacio non mi aveva aiutato di certo, perchè ero troppo nervoso e inquieto per mettere ordine tra i miei pensieri. La stringevo, lei mi tirava dolcemente i capelli, e quello mi sembrava il momento perfetto.
«No. Non lo sai.».
Vidi il suo sguardo cambiare, mi scrutava, cercava di leggermi, e io temevo che qualcuno potesse farlo davvero. Se si trattava di Sana, però, non ero certo che la cosa potesse darmi fastidio. Lei mi conosceva, sapeva com'ero, mi aveva visto cambiare e crescere, e diventare l'uomo che ero.
«Non lo sai, perchè non te l'ho mai detto. Il cuore simboleggia l'amore, Kurata.»
«Akito...»
«No. Lasciami parlare.». Chiusi gli occhi per un attimo, sospirai e poi ripresi. «Tu mi conosci, non sono esattamente la persona più romantica del mondo e non sono bravo con le parole ma... se c'è una cosa di cui so tutto è proprio... è proprio l'amore. Soprattutto l'amore per te.
Stasera ti ho portato qui perchè tutto quello che volevo dirti, che volevo farti capire è che... che io non ho mai voluto nessun'altra, che non ho mai guardato nessun'altra, che io... »
Dillo, maledizione, dillo!
Non riuscivo a pronunciare quelle due parole, non riuscivo a mettermi così a nudo, nemmeno con lei. Lottavo contro me stesso, perchè non ero capace di amare qualcuno e dimostrarglielo, e soprattutto non riuscivo a dimostrarlo a lei.
Come se mi leggesse nel pensiero, si avventò sulle mie labbra e io credetti di morire in quell'istante, perchè quel bacio voleva dire tutto per me. Lei mi capiva. Lei mi sosteneva, anche se non ero capace di dire ciò che provavo. Lei c'era ugualmente.
«Non importa.» sussurrò a pochi millimetri dalla mia bocca. «So che è difficile per te, ma se quello che stai pensando è che mi perderai, allora smettila. Non succederà. Non mi perderai mai... e non devi credere nemmeno per un secondo che...»
«Ti amo.»
Fu un secondo, un attimo, e l'avevo detto. Lei mi guardava con espressione esterefatta e io stesso ero sorpreso per esserci riuscito. Era stato spontaneo, come respirare, come se avessi aspettato tutta la vita per dire due parole che alla fine erano la cosa più semplice del mondo.
Non sapevo come avevo vissuto prima di quel momento, come avevo fatto a tenermi tutto dentro senza esplodere.
Io la amavo. La avevo sempre amata. E l'avrei amata sempre.
«Buon anno, ragazzina egoista.»
Ormai era una tradizione.
«Buon anno anche a te, Hayama.»

*

«Quella è la Costellazione di Andromeda, Sana. Ma ne sai qualcosa di astronomia?».
Eravamo sdraiati sul puff che, giuro, non avrei mai più utilizzato in vita mia perchè mi stava distruggendo la schiena, e Sana continuava a ridere come una bambina mentre io la prendevo in giro.
«Ho frequentato qualche lezione al liceo, ma non ho mai finito il corso perchè dovevo girare una fiction.»
Mi rabbuiai all'istante, parlare del suo lavoro mi faceva sempre quell'effetto, non sapevo perchè. Temevo di perderla probabilmente, anche se Sana si preoccupava sempre di farmi capire che non sarebbe stato quello ad allontanarci. Lo speravo davvero, perchè ora che era davvero mia, non riuscivo nemmeno ad immaginare che potesse allontanarsi da me.
«Non capisco come facciano a vedere le forme in un mucchio di stelle messe accanto.»
Sana si alzò e si appoggiò sul gomito, per guardarmi negli occhi. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso e io rimasi a fissarle finchè non parlò.
«Insomma... io vedo solo tante stelle.»
La guardai e sorrisi, sembrava davvero confusa su quell'argomento e la sua ingenuità mi faceva tenerezza.
«Di Andromeda si dice che sia stata Atena a collocare la sua immagine tra le stelle, infatti è posizionata vicino alla madre, Cassiopea, che non le ha di certo reso la vita facile.»
Sana mi guardò incuriosita, e si appoggiò al mio petto per ascoltarmi meglio. «Come sai tutte queste cose?»
«Io ho finito di frequentare le lezioni che tu hai lasciato.»
Scoppiammo a ridere entrambi, consapevoli di quanto eravamo diversi. Sana aveva smesso di interessarsi alla scuola quando il suo lavoro le aveva preso tutto il tempo libero, studiava quando poteva e quando non ci riusciva i professori la scusavano più facilmente di tutti gli altri.
Parlammo molto, Sana rise in continuazione, e per un po' sembrava essersi dimenticata di quanto il nostro rapporto potesse essere diventato complicato nel momento in cui i nostri sentimenti erano venuti a galla.
Vedevo quegli occhi così belli, di un nocciola intenso e caldo, cambiare espressione ad ogni battuta e avrei voluto sapere se anche i miei fossero gli stessi, se anche i miei sorridessero come i suoi.
Bussarono alla porta mentre stavamo decidendo se quella che stavamo osservando fosse la Corona Boreale o meno, e la stessa donna che ci aveva accompagnato entrò nella sala.
Diede un colpo di tosse per farsi notare e noi ci voltammo a guardarla.
«Mi scusi, signor Hayama, il tempo di prenotazione è passato da un po'...». Guardai l'orologio e, merda, aveva ragione! Avevo sforato di oltre un'ora, perchè non era venuta prima ad avvertirmi?
«Si, certo, ce ne andiamo subito. Mi scusi tanto.»
Quando ci lasciò di nuovo soli scoppiammo a ridere, era come tornare ai tempi del liceo, quando i professori ti sgridavano per essere arrivato in ritardo e tu non riuscivi a non ridere.
Uscimmo dal planetario mano nella mano, e in quel gesto io capii che qualsiasi cosa fosse successa, avremmo trovato il modo di andare avanti.
O almeno lo speravo.

Pov  Sana.

Come assoluta appassionata di Grey's Anatomy, non avevo mai capito cosa ci fosse di così speciale negli ascensori. Ogni volta che vedevo scene al suo interno, sapevo che ci sarebbe stato un bacio, una confessione strappalacrime, o una meravigliosa proposta di matrimonio che chiunque avrebbe accettato di colpo, e mi chiedevo sempre il motivo per il quale tutti i medici che entrassero lì dentro diventassero improvvisamente pieni di testosterone ed estrogeni, come se non facessero sesso da mesi.
Bè... non lo avevo capito, fino a quel momento.
Io e Akito eravamo entrati in ascensore in silenzio, consapevoli che uno spazio così piccolo avrebbe aumentato l'imbarazzo che si era già creato, e non riuscivamo a non guardarci e a non sorridere. Sembravamo due imbecilli in realtà, ma io ero contenta di sembrarlo se la mia ricompensa era un ragazzo alto, biondo e ben piazzato.
Lo guardai veramente per un secondo, mentre i miei pensieri viaggiavano senza controllo su ciò che sarebbe dovuto accadere di lì a poco.
Mi aveva detto che mi amava. Io non avevo risposto. Non perchè non provassi ciò che provava lui, ma perchè non sapevo se credere davvero alle sue parole.
Mi fidavo di lui, al cento per cento, ma c'era una minuscola parte di me che mi urlava di non farlo perchè Akito aveva avuto esperienze - molte esperienze, tra cui una con la mia migliore amica - e poteva sicuramente avere un termine di paragone e decidere se io ci sapevo fare o meno.
Non ci sapevo fare, ovviamente, ne ero consapevole anch'io, non avendo mai avuto un vero ragazzo. Divertente, ero passata dal non avere un ragazzo all'avere un marito. Era da pazzi.
Eppure quel piccolo livello di pazzia non mi dispiaceva e, per quanto una parte del mio cervello continuasse ad ossessionarmi con le mie paranoie, l'altra parte mi diceva Buttati, andrà bene!
«Quindi...» sussurrò lui. Finchè non aveva parlato non avevo sentito l'elettricità che si era formata tra di noi, ma quando sentii la sua voce il mio corpo sembrò muoversi da solo. Mi avvicinai a lui, che sembrò capire le mie intenzioni e sorrise, e mi passò il pollice sulle labbra. Sussultai, credevo che non avrei più avuto quella reazione, invece mi sembrava sempre peggio. Credevo che mi sarebbe venuto un infarto.
La mia borsetta cadde per terra quando mi ritrovai al muro schiacciata da Akito e dalle sue labbra e mi accorsi che improvvisamente l'ascensore si era fermato. Mi voltai per un secondo e vidi la mano di Akito sul bottone di blocco. Mi venne quasi da ridere, ma non riuscivo a pensare a nient'altro che a quella bocca perfetta sulla mia, qualcosa dentro di me si stava finalmente liberando ed era come sentire migliaia di aghi in tutto il corpo. Era come volare, come la sensazione che si prova quando senti il vuoto e non sai se avere paura o essere eccitato.
Io ero sicuramente nella seconda posizione.
Gli cinsi la vita con le gambe e il collo con le braccia, e le sue invece mi tenevano per i fianchi spingendomi contro il muro. Le sue labbra mi scivolarono verso il mento, poi sul collo e una scia di calore si espanse per tutto il mio corpo. Non sapevo interpretare quelle sensazioni, non le avevo mai provate, ma non ero stupida e non ero una bambina: sapevo cosa mi stava succedendo ed era la cosa più bella che mi fosse mai capitata. La sua bocca premette contro il punto sensibile dietro al mio orecchio ed emisi un gemito che inizialmente non credevo fosse uscito dalla mia bocca.
Gli infilai le mani sotto la camicia che, nel frattempo, avevo uscito dai pantaloni. La sua pelle era calda, bollente e le mie mani correvano sui muscoli della sua schiena, tesi per lo sforzo di tenermi in braccio.
Ansimai, non riuscivo a respirare, l'aria era troppo densa tra di noi e i miei polmoni erano alla disperata ricerca di aria ma non avevano successo. Lui mi prosciugava.
Le sue mani corsero verso le spalline del mio vestito, abbassandole, e mi baciò vicino alla clavicola. Quel gesto mi provocò un brivido per tutta la schiena, e lui se ne accorse.
«Spero che non sia per il freddo...». Io sorrisi, lui ricambiò il sorriso, e poi mi chiuse la bocca con la sua prima che io potessi ribattere.
Si abbassò per baciarmi anche il seno e io sentivo che stavo per perdere il controllo, che avrei potuto fare l'amore con lui lì, in quel mledetto ascensore. Ricordai improvvisamente che eravamo ancora in ascensore e che, sicuramente, dovevano esserci delle telecamere. Aprii gli occhi e guardai in alto e avevo proprio ragione.
«A... Akito, ci sono le telecamere...» dissi tutto d'un fiato, cercando di nascondere i miei gemiti.
In tre secondi ero di nuovo sulle mie gambe, che non erano proprio il piano più sicuro visto che non riuscivo a reggermi in piedi, e mi stavo sistemando il vestito.
«Ne riparliamo appena arriviamo a casa.». Sembrava così sicuro di se, mentre io mi sentivo confusa all'inverosimile.
Dopo essersi assicurato che fossi presentabile, mi prese per mano e schiacciò di nuovo il bottone di blocco, facendo ripartire l'ascensore che, dopo pochi secondi, si aprì al piano terra dove una decina di persone stavano aspettando. Mi venne da ridere, ma lo seguii in silenzio fino all'uscita. L'aria mi pizzicò il viso, ma dovevo calmarmi, altrimenti gli sarei saltata addosso non appena avessimo varcato la soglia di casa. Forse era proprio quello di cui avevamo bisogno.
Il viaggio in macchina fu una tortura, non riuscivamo a smettere di toccarci, di guardarci, di sorridere, e ad ogni semaforo le nostre labbra sembravano attirarsi come calamite.
Parcheggiammo la macchina proprio davanti casa, e di nuovo ci baciammo come se fossimo a corto di ossigeno e fossimo l'unica scorta d'aria che c'era nei paraggi.
Non so come entrammo in casa, io non me ne resi conto, mi accorsi solo di essere al centro del nostro salotto e un secondo dopo sul divano, cercando di capire se i nostri corpi avessero fatto tutto da soli o se qualcuno ci avesse insegnato a volerci in quel modo.
Lo volevo disperatamente, e non riuscivo a capire perchè non lo avessi realizzato prima. Come avevo fatto per tutti gli anni precedenti - e negli ultimi mesi soprattutto - a dormire al suo fianco, ad appoggiare la testa sul suo petto e a non vedere quanto fosse bello, quanto fossi innamorata di lui? Non lo capivo. A dire al vero non riuscivo a capire niente in quel momento. L'unica cosa che riuscivo a focalizzare era la pressione del corpo di Akito che indugiava sul mio, e lo vedevo quanto si stava trattenendo. Ma io non volevo che si trattenesse.
O forse si? Forse non volevo davvero andare a letto con lui, o meglio lo volevo ma non potevo, perchè se l'avessi fatto avrebbe potuto davvero capire se ero ciò che volevo o no.
Fino a quel momento era stato facile - un tormento, ma facile - perchè non sapevamo cosa c'era dall'altra parte del nostro rapporto, e la nostra immaginazione era sicuramente migliore della realtà.
La mia no, a dirla tutta, ma la sua sicuramente. Chissà quanto si aspettava da me, chissà cosa pensava di me...
Quando vidi che si stava per sfilare la camicia dalla testa il mio cuore sobbalzò e pensai che mi stesse per uscire fuori dal petto.
Volevo buttarmi a letto e lasciargli fare tutto ciò che voleva, e mentre lo stavo pensando lui mi sollevò dal divano e mi portò in camera da letto. Volevo essere sua, libera da tutte le mie paure per una volta, semplicemente una ragazza di diciotto anni che fa l'amore col suo ragazzo, in realtà mio marito.
Cominciò a togliermi il vestito, abbassando la cerniera e sfilandomelo dal seno in giù. Le mie e le sue mani correvano, era come se avessero fretta, come se avessero aspettato per troppo tempo qualcosa che ora non riuscivano più a lasciare andare.
Quando me lo tolse del tutto, la sua mano destra si poggiò sulla mia nuca e l'altra arrivò al gancetto del mio reggiseno.
«Posso?». Respirava a mala pena, anche lui come me aveva il fiato corto, e quando mi vide annuire una scintilla attraversò i suoi occhi. Lentamente mi tolse anche quello e io rimasi nuda dalla vita in su, mentre lui mi guardava e sospirava, come se non riuscisse a credere che stava succedendo davvero.
Lui era sopra di me, teneva il suo peso con un braccio appoggiato al lato della mia testa, e l'altra mano viaggiava sul mio corpo. Si fermò sul seno e mi accarezzò lentamente, e in quel momento capii che avrei potuto fare qualsiasi cosa per lui e per provare sempre quelle sensazioni. Lo volevo. Lo volevo così tanto che mi faceva male, proprio al centro dello stomaco.
Provai a spogliarlo anch'io, sbottonandogli i pantaloni e mettendo la mano sui boxer. Emise un gemito e capii che era d'apprezzamento, quindi mi venne da sorridere.
E se non gli fosse piaciuto? E se avessi fatto qualcosa di sbagliato, mettendomi in imbarazzo, come sempre? Stavo per morire, ne ero certa. Non riuscivo a non pensare a quello che avevamo passato insieme e a quanto avremmo potuto perdere se le cose fossero andate male. Ci scambiammo le posizioni e io finii a cavalcioni su di lui, ero esposta e avevo i capelli arruffati, eppure non mi sentivo in imbarazzo, era solo che il mio cervello non accennava a lasciarmi in pace. Lo baciai di nuovo, ma capivo di essere lontana con la mente.
Lui sbuffò, probabilmente perchè si rese conto che mi ero improvvisamente raggelata, nel vero senso della parola.
«Sento i tuoi pensieri, Sana. Fanno quasi rumore. Cosa c'è?»
Avrei dovuto dirglielo, perchè Akito era principalmente il mio migliore amico e sapevo di potermi fidare di lui, ma sapevo anche quanto fosse bravo a farmi sentire a disagio quando voleva e temevo che lo facesse e che io avrei rovinato tutto. Riprendemmo le posizioni di prima, e come se non resistesse, mi posò un bacio sulle labbra.
«Io.. io...». Il momento era rovinato, me ne rendevo conto, e lui si spostò da sopra di me e si mise a sedere senza mai staccare il contatto visivo. I suoi occhi mi avrebbero ucciso.
«Io non mi sento pronta per... per questo.» Passai la mano tra lo spazio che ci separava.
«Non ti senti pronta per avere una relazione con me, o non ti senti pronta a venire a letto con me? No perchè, se si tratta della prima, non so più cosa fare, Sana.».
Volevo che non mi avesse costretto a dirlo.
«Non mi sento pronta al.. al sesso. Al sesso, con te. Al sesso in generale. O mio Dio, ne stiamo davvero parlando?».
L'imbarazzo ormai regnava sovrano. Non sapevo come uscire da quella situazione.
«Non voglio essere paragonata a nessuna. Nessuna, hai capito? Voglio che siamo io, tu, e nessun altro. Non voglio nessun fantasma tra di noi.».
Vidi la sua espressione cambiare e passare dalla curiosità alla furia, avevo appena rovinato la cosa più importante della mia vita con due parole messe in fila. Mi odiavo.
«Aspetta... pensi che io potrei mai paragonarti a un'altra? Quante ragazze pensi che abbia avuto, per la precisione?Perchè credi che tra me e Fuka sia finita?».
Non mi interessava di lui e Fuka, non volevo parlare di loro perchè la cosa mi torturava. Non volevo pensarlo con nessuna, anche se sapevo che aveva un passato, un passato in cui io non ero mai stata presente.
Rimasi in silenzio, non sapevo cosa rispondere, ma azzardai ugualmente. Dovevamo fare quella discussione, altrimenti non saremmo mai andati avanti.
«Io mi ricordo... Hanako, Maya, Namie... ah e poi Tomoe!» Mi stavo sforzando di ricordare i nomi di tutte le ragazze con cui lo avevo visto, ma la mia memoria non mi stava aiutando.
Lui sorrise, divertito, e io immaginai mille modi per togliergli quell'espressione soddisfatta dalla faccia.
«Sana...» cominciò tra le risate. «La tua fantasia è qualcosa che mi stupisce sempre.»
Le sue parole mi confondevano, che diavolo significava che avevo una grande immaginazione?
Si mise dritto sulla schiena e mi fissò come se avessi appena detto che gli asini volavano.
«Io e tutte le ragazze che hai elencato... non c'è mai stato niente. Mai. Non sono mai riuscito ad andare oltre, perchè appena si avvicinavano a me io pensavo a te. Le altre non sono te. Non lo saranno mai.»
Rimasi interdetta di fronte a quelle parole.
Non sono mai riuscito ad andare oltre...
Quella frase mi rimbombava in testa, come un eco continuo di ciò che avevo sempre ignorato.
Per anni. Akito lo aveva fatto per anni. Aveva evitato le ragazze, anche davanti ai miei occhi, e io non lo avevo mai visto. In realtà non lo avevo mai voluto vedere.
Davanti a me passarono in un secondo tutti gli episodi in cui Akito era stato antipatico e scontroso con le ragazze che gli chiedevano di uscire. Spesso lo avevo anche rimproverato, perchè diventava anche fastidioso ad un certo punto.
Era stato facile per me costruire il personaggio di quello che aveva usato le ragazze, era stato facile avere paura di lui quando in realtà avevo solo paura di me stessa. Avevo paura dei miei sentimenti.
«Sei tu quella che ho sempre voluto, Sana, devi mettertelo in testa, perchè se tu stessa non te ne rendi conto il nostro rapporto si distruggerà senza essere neppure iniziato. Non è mai successo con nessuna perchè non provavo niente, perchè da quando mi hai abbracciato sotto quel gazebo non ho fatto altro che pensare a te, che volere te, che amare te!»
Mi accorsi che stavo piangendo solo quando la sua mano mi sfiorò la guancia, spingendo via la lacrima che la stava attraversando. Avrei voluto essere la sua prima ragazza, non potevo negarlo, e la consapevolezza che avesse aspettato perchè voleva solo me mi fece sentire come se stessi volando. Era come dire: non mi interessa sapere cosa si prova con le altre, sono stato fedele a te anche quando non ero tenuto a farlo. Era meraviglioso.
«Mi dispiace... non avrei voluto reagire in quel modo. E' che... tutto questo mi rende nervosa.»
Lui sorrise, si avvicinò per baciarmi e mi accorsi che le mie labbra erano salate e le sue sembravano velluto.
«Non fa niente... devi fidarti di me se vuoi che questo rapporto funzioni. Io posso aspettare, voglio aspettare. Facciamo un passo alla volta.»
Quelle sei parole dette dalla sua bocca mi sembravano poesia e sperai che la mia vita potesse essere sempre in quel modo. Perfetta.
Ma, nella nostra situazione, la perfezione era la cosa più lontana che potessimo avere.




E' passato un po' di tempo, mesi, e mi scuso per questa assenza prolungata. L'università mi assorbe completamente, ho dato l'ultimo esame il 7 luglio e adesso, nonostante debba preparare un'altra materia per settembre, sono più libera per poter continuare a scrivere.
Vi ringrazio per le recensioni e per le email che mi sono arrivate, piene di complimenti e di richieste affinchè continuassi. Siete fantastici!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non rimarrete delusi.
Un bacio grandissimo e ci vediamo al prossimo aggiornamento :*
Akura.





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Capitolo 16
*** Dimenticare. ***


CAPITOLO 15.

DIMENTICARE.

Pov Sana.
Sentivo il telefono squillare dalla cucina ma alzarmi era l'ultima cosa che desideravo fare. In realtà, in cima alla mia lista dei desideri, c'era baciare le labbra di Akito che mi stavano a una distanza fin troppo ridotta. Ero sveglia già da un po', lo avevo fissato per qualche minuto e tutto quello a cui riuscivo a pensare era impossessarmi di quella bocca troppo perfetta per essere vera.
Quando avevo cominciato a pensare a lui in quei termini? A notare quei dettagli che prima non notavo affatto?
Mi sembrava di non averlo mai guardato veramente prima di quel momento, come se mi fossi costretta ad evitarlo per non ritrovarmi nella posizione di confusione in cui invece gli eventi mi avevano catapultato.
Ad ogni modo, se non mi alzavo dal letto, si sarebbe svegliato e mi avrebbe scoperto a guardarlo in quel modo insistente e, con mia grande consapevolezza, anche piuttosto imbarazzante.
Mi divincolai dal suo abbraccio e cercai di fare meno rumore possibile, dirigendomi in cucina.
Presi il cellulare appena in tempo, era un numero che non conoscevo. "Pronto?"
La voce dall'altro lato del telefono mi sembrò familiare, ma non capii veramente finchè non si presentò.
"Finalmente sento la sua voce, la famosa Sana Kurata! So che è molto strano ricevere una telefonata dal regista direttamente, sono il signor Miyazaki.".
Scattai, mettendomi in una posizione più composta, come se potesse vedermi. "Oh, signor Miyazaki, non mi aspettavo una sua telefonata. Sono davvero onorata di poter lavorare con lei, anche se in queste settimane non ho mostrato molto interesse, ma non so se ha saputo la piega che ha preso la mia vita e io...".
"La smetta, per favore. So cosa le è successo, e mi dispiace molto per sua cognata, ma avrei bisogno di vederla personalmente il prima possibile perchè, anche se è stata scelta praticamente a scatola chiusa, vorrei capire se lei è veramente adatta a questo ruolo. Avrà ormai letto il copione, sa che tipo di scene sono presenti all'interno del film, quindi voglio testare la chimica col suo partner e farmi un'idea di come renderla un sex symbol grazie a questo personaggio.".
Ascoltai le sue parole con attenzione, sapevo per quale tipo di film mi avevano scritturato ma sapevo anche che il cinema è spesso portato ad esagerare qualcosa che in realtà non è così grave come sembra. Eppure quelle frasi mi preoccuparono, lui voleva creare un personaggio più sexy di quanto già non fosse quello che avevo letto nel copione e rendere me un sex symbol. Non sapevo se ridere o mettermi a piangere.
"Allora? Cosa ne pensa?" incalzò subito dopo e io mi ridestai dai miei pensieri. Strinsi la mano in un pugno e lo sbattei leggermente sul piano cottura. Ero nervosa.
"Si, mi scusi.. per me non è assolutamente un problema, anzi non vedevo l'ora di cominciare a familiarizzare con chi mi affiancherà. Voglio che questo film sia memorabile."
"E' un desiderio comune allora. Quando potremo organizzare un incontro?".
Riflettei per un attimo che non dovevo essere io a dirgli quando e dove potevamo vederci, ma Rei, e che se gli avessi tolto anche il piacere del suo lavoro mi avrebbe uccisa.
"La farò contattare dal mio manager, credo sia la miglior cosa."
"Perfetto allora, aspetto che il suo agente si faccia vivo. Non vedo l'ora di lavorare con lei, Sana."
La conversazione terminò, ma i miei pensieri avevano appena cominciato a farsi strada dentro di me. Girare il film era un grosso rischio per me e per la mia relazione con Akito che era praticamente appena iniziata. Inoltre, poteva essere un grosso danno per la mia immagine. Di solito, i bambini prodigio rimangono - agli occhi dei fans - sempre dei ragazzini estremamente talentuosi e non riescono mai ad uscire dall'idea che siano puri e soprattutto non si accetta il fatto che siano cresciuti. Nel mio caso, un minimo errore poteva essermi fatale, perchè qualsiasi casa cinematografica avrebbe potuto sbarrarmi le porte e togliermi ogni possibilità di lavoro. Certo, sarebbe potuto succedere anche se avessi rifiutato un ruolo così importante come quello che mi era stato offerto da Miyazaki e che Rei aveva accettato quasi senza consultarmi.
Avevo letto il copione, e Miyazaki aveva ragione, c'erano delle scene abbastanza spinte e prima di ritrovarmi sposata con Akito non ci avevo trovato nulla di così sconcertante, ma adesso che il mio legame con lui era più che un rapporto di convenienza le cose erano sicuramente cambiate. Cosa dovevo fare?
Tornai in camera da letto e mi appoggiai alla porta, guardando Akito dormire. La sua schiena si alzava e abbassava lentamente, aveva un braccio lungo il fianco e l'altro sotto il cuscino. I muscoli della schiena erano rilassati, ma la posizione in cui dormiva li metteva in risalto perfettamente.
Mi sentivo in trappola, schiacciata dalla consapevolezza che quel film avrebbe potuto distruggere la vita che mi ero costruita con fatica. Quel barlume di stabilità che avevo aspettato si era finalmente fatto vedere, ma la mia vita non sembrava capace di lasciarmi un attimo tranquilla.
Amavo il mio lavoro, ma Akito lo odiava. Era felice di vedermi felice, di questo ne ero certa, ma quando la mia felicità ledeva la sua sanità mentale - e vedermi praticamente nuda con un altro, sapevo che lo avrebbe fatto - allora forse non era più così tranquillo.
Allora ne valeva la pena? Non potevo vivere senza lavorare, questo era ovvio, ma non potevo nemmeno chiedere ad Akito di sopportare qualcosa che lo faceva stare male.
Ma io potevo sopportare di lasciare il mio lavoro per lui? Amavo più lui o il mio lavoro?
Lo guardai muoversi sul letto. Come facevo a scegliere? Non volevo farlo. Non potevo separarmi da nessuna delle due cose e sarei stata distrutta nel farlo.
Akito mi aveva detto che mi amava. Io no. Non riuscivo a dirlo, non riuscivo nemmeno a pensarlo. Sapevo che lui se n'era accorto e mi rendevo conto anche che non voleva forzarmi per lasciarmi libera di scegliere, ma non potevo approfittarmi di tanta premura.
La mia questione lavorativa non aiutava sicuramente in quella situazione, perchè se Akito mi avesse lasciato perchè non riusciva a gestire i miei ruoli al cinema, avrei perso non solo la persona che amavo, ma anche il mio migliore amico e forse era quella la cosa che più mi spaventava. Sarei stata in grado di sopportare la mancanza di Akito ora che avevo avuto un assaggio di ciò che sarebbe potuto essere il nostro rapporto?
Come avrebbe reagito sapendo che sarei finita a baciare un altro? Si era ormai abituato al mio rapporto lavorativo con Naozumi, ma adesso avrei dovuto recitare con qualcun altro, che lui non conosceva e che non sapeva come gestire.
Mi sentivo in preda all'esasperazione. Riuscivo solo a figurarmi la sua faccia quando gli avrei detto che mi aveva chiamato il regista e che voleva vedermi. Avrebbe dato di matto.
Mi passai le mani sulla fronte, mi sarebbero venute le rughe a forza di preoccuparmi in quel modo.
"Buon giorno, Kurata.". Le braccia di Akito mi circondarono mentre io ero ancora presa dai miei pensieri. "Buon giorno Hayama.". Mi fece voltare e in un secondo ci ritrovammo occhi negli occhi, e lui mi posò un bacio leggero sulle labbra. Il mio corpo si accese come un fuoco e avrei voluto saltargli addosso, ma mi trattenni perchè non potevo permettermi quell'avventatezza.
Mi divincolai dal suo abbraccio, fingendo un sorriso, e andai verso il frigo per prendere il latte.
Lui si appoggiò alla cucina e mi guardò insistentemente mentre prendevo il bicchiere e me ne versavo un po'.
"Dobbiamo andare da Natsumi oggi, te lo ricordi?". Lui annuì e cominciò a tamburellare le dita sul marmo.
"Si, e dopo passiamo a prendere Kaori da tua madre.".
Finii di bere il mio latte e misi il bicchiere nel lavandino. "Perfetto allora, vado a vestirmi.".
Non ero pronta ad affrontare il discorso, non sapevo come dirglielo nè se volevo veramente dirglielo, perchè le conseguenze sarebbero state disastrose e lo sapevo fin troppo bene. Quando gli avevo detto di capodanno non aveva battuto ciglio, ma sapevo che non era stato felice di non passarlo con me tanto che poi si era inventato tutta la faccenda del planetario.
Lo amavo così tanto. Aveva fatto tutte quelle cose per me e io adesso lo stavo per deludere.
Quando arrivai in camera da letto sentii i suoi passi dietro i miei, sapevo che non sarei riuscita ad evitare l'argomento, quindi tanto valeva smetterla di farlo e provare ad aprire la questione senza far scatenare l'inferno.
Mi voltai verso di lui che era appoggiato alla porta esattamente nella stessa posizione in cui ero io poco prima, mentre lo guardavo dormire.
"Mi ha chiamato il regista del film. Vuole vedermi.".
Lui chiuse gli occhi, forse per calmarsi, e poi incrociò le braccia sul petto.
"Quindi? Qual è il problema?".
Inspirai.
"Vuole capire se sono la persona adatta a questo ruolo un po'...". Non riuscivo a trovare la parola adatta per non farlo impazzire. ".. particolare.".
Non era proprio quello che intendevo, ma sarebbe andato bene lo stesso.
"Particolare in che senso? C'è qualcos'altro che non so, oltre quello che ho scoperto dalla famosa intervista?".
C'erano un sacco di cose che non sapeva, che non gli avevo detto proprio per evitare discussioni inutili, come il fatto che Rei mi aveva consegnato il copione e la sceneggiatura dell'intero film per farmi un'idea del mio personaggio, o anche che erano settimane che cercavo di costruire quel personaggio e che mi riusciva anche piuttosto bene. Non sapeva tante cose, e mi pentii immediatamente di avergliele nascoste.
"Il mio personaggio è... molto, molto spinto. Si tratta di una ragazza che viene costretta a prostituirsi, e ci sono un sacco di scene che presuppongono una certa componente fisica. Molto, fisica."
Sapevo cosa stava pensando, sapevo cosa stava immaginando soprattutto.
"Fisica nel senso che dovrai fare scene in cui vai a letto con qualcuno?".
Mi rabbuiai, perchè era proprio quello che succedeva, ed era ovvio dal momento che il tema principale del film era la prostituzione. Sarei stata praticamente nuda per la maggior parte del tempo.
Annuii, non dissi una parola.
"Non posso gestire una cosa del genere. Cazzo, no che non posso!".
Mi fissò negli occhi con una tale intensità che dovetti spostare lo sguardo, mi sentivo piccola di fronte alla sua rabbia perchè sapevo che in fondo aveva ragione e che non potevo chiedergli un tale sforzo. O forse si?
Diceva di amarmi, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, e allora perchè non poteva accettare che io amassi il mio lavoro e che non ci volessi rinunciare?
Cominciò a spostarsi per la camera, raccattando i vestiti che c'erano per terra, nel frattempo sbuffava e teneva i pugni stretti. Temevo che potesse mettersi a distruggere tutto da un momento all'altro, solo per sfogare la sua frustrazione.
"Se mi ami, imparerai a gestirla.".
I suoi occhi presero una sfumatura che non avevo mai visto, sembrava accecato dalla rabbia, dalla disperazione. Era triste. Era triste a causa mia.
Sapevo cosa stava per succedere.
"Sai che ti dico? Non porterò avanti questa conversazione. Il discorso è chiuso. Fai come meglio credi, non mi importa. Me ne vado in ospedale."
Rimasi impietrita. Lui prese tutti i suoi vestiti, scelse una maglietta e un paio di jeans, si vestì e in un minuto era furi dalla porta.
Sperai che stavolta non passasse una settimana prima di rivederlo.


Pov Akito.

"Non voglio illudervi, ovviamente, ma c'è stato un leggero margine di miglioramento. Natsumi ha aperto gli occhi, ma è un riflesso assolutamente momentaneo. In questa fase non si può notare nessun tipo di attività cognitiva, però credo che siamo sulla buona strada. Siamo alla fase due, spero tanto che in un paio di giorni ci ritroveremo nella fase tre in cui ci sono tentativi di reazione con l'esterno. Spesso i pazienti si fermano alla fase due, ma sono fiducioso su Natsumi. Vediamo come va nei prossimi giorni."
Strinsi la mano al medico di mia sorella e lo vidi allontanarsi per il corridoio.
Mi sentivo una merda. Anzi, forse anche peggio. Mia sorella stava lentamente migliorando e io ero felicissimo di sentire quelle notizie, ma allo stesso tempo temevo molto il momento in cui si sarebbe svegliata. Non che non lo volessi, era ovvio che lo volevo più di ogni altra cosa al mondo, Nat mi mancava e non sopportavo più la mia vita senza di lei, ma quando si sarebbe svegliata avrebbe preso con se Kaori, l'unico vero motivo per cui io e Sana avevamo la fede al dito.
Mi sentii improvvisamente svuotato. Non era servito a niente, tutto quello che avevo fatto per lei, le mie paranoie, i miei mille complessi, erano stati inutili.
Sana avrebbe comunque sempre preferito il suo lavoro a me, ormai l'avevo capito, e la dimostrazione stava nel fatto che mi aveva nascosto il fatto di aver già visionato il copione. Dovevo leggerlo anch'io. Dovevo capire. Ma solo l'idea di poter immaginare quelle scene mi faceva venire il voltastomaco.
Lei mi distruggeva ogni volta. Ogni giorno della mia vita era una fottuta tortura, cercando di mettere ordine nei casini che Sana creava. Lei mi faceva del male, ma io la perdonavo ogni volta, passavo oltre a tutto ciò che di brutto mi faceva provare, e lei non si rendeva conto di quanto potesse ferirmi.
Quando Kaori sarebbe tornata da sua madre, lei cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe lasciato, chiesto il divorzio? E io cos'avrei fatto a quel punto? Avrei distrutto la mia vita a furia di distruggermi per lei. Non potevo continuare in quel modo.
Anche stavolta ero scappato, invece di affrontare la situazione come fa un uomo, ma non ero riuscito più a guardarla dopo che mi aveva detto quella frase.
Se mi ami, imparerai a gestirla.
Parlava come se fosse un maledetto dettaglio, come se quella situazione non fosse chissà che, come se io non la amassi abbastanza da sopportarla.
Cos'altro dovevo fare per farle capire che la amavo davvero? Era proprio perchè la amavo che non riuscivo a tralasciare la cosa.
"Problemi in paradiso?".
Aprii gli occhi e mi ritrovai davanti Occhiali da sole, con in mano un mazzo di fiori.
"Cosa ci fai qui?". Si tolse gli occhiali e accennò un sorriso. Sembrava più giovane quando non li portava.
"Sono venuto a trovare un amico che ha avuto un piccolo intervento, poi mi sono ricordato che qui c'era anche tua sorella, e allora... eccomi qui."
Annuii, gli ero grato, per quanto non lo dessi a vedere. E, anche se a volte non lo sopportavo, sapevo che tutto ciò che faceva lo faceva pensando al bene di Sana. Era la cosa più vicina a un padre che lei avesse mai avuto.
"Tu e Sana avete litigato?". Ma come diavolo faceva a capirlo sempre?
"Mi ha chiamato il regista, voleva fissare un appuntamento per provare con Sana. Poi sono andato a casa vostra e dalla sua faccia ho dedotto tutto. Lei non mi ha raccontato nulla, se è questo che stai pensando."
Non mi interessava sapere se lei aveva spiattellato tutto al suo manager.
"Non importa. Tu come reagiresti se tua moglie dovesse fare un film in cui è nuda il 99% del tempo?".
Lui sorrise e mise gli occhiali sulla testa. "Akito, io sono sposato con Asako Kurumi, te lo ricordi? Anche lei è un'attrice. Le ho visto fare decine di film in cui c'erano scene spinte, ma so che quella è la finzione."
"Ma non vai fuori di testa? Io impazzisco solo a pensarci!".
Si appoggiò al muro accanto a me, mettendo le mani in tasca. Sembrava preoccupato.
"Ho passato i primi anni di matrimonio con Asako a litigare in continuazione, fino a quando non abbiamo capito entrambi che era inutile. Io ero e sono comunque geloso, ma è il suo lavoro. Ti capisco al cento per cento, ma se togliessimo loro il lavoro che amano, sarebbero infelici per sempre."
Forse aveva ragione, sapevo quanto Sana amasse ciò che faceva e il pensiero di toglierle ciò che la faceva sentire viva mi intristiva. Era come se qualcuno mi avesse tolto il karate: sarei impazzito, avrei perso il controllo di tutto, e di certo avrei trovato ogni modo possibile per rinfacciarlo a lei.
Non volevo che andasse così. Non volevo che mi odiasse perchè le avevo tolto la sua passione. Non volevo ritrovarmi tra qualche anno a discutere perchè lei non ce la faceva più a sopportare quella situazione. Non potevo permetterlo.
"Forse hai ragione."
Mi lasciò lì, entrando nella camera di mia sorella e lasciando i fiori sul comodino, e quando uscì mi saluto per poi andarsene.
Pensai a lungo alle parole che mi aveva detto, al fatto che lui si era trovato nella mia posizione e che dopo un po' aveva realizzato che non poteva privare Asako del suo lavoro. E io dovevo fare lo stesso con Sana.
Dovevo solo capire come accettare che mia moglie sarebbe finita tra le mani di qualcun altro, proprio sotto ai miei occhi.
Ma sarei mai riuscito a stare tranquillo?



*

Non ero ancora andato a prendere Kaori, preferivo che rimanesse dalla signora Kurata visto che io e Sana non riuscivamo ad avere una conversazione e non volevo dovermi preoccupare anche della bambina mentre discutevamo. Perchè avremmo discusso, ne ero certo, ma ormai ero abituato a quella situazione, non eravamo in grado di passare un bel momento e non rovinarlo un attimo dopo. Forse era il nostro destino: trovare la serenità e poi buttarla nel cesso in un secondo e mezzo.
Ma io ero stanco. Stanco di sperare che le cose si sarebbero sistemate, anche quando sapevo che non c'era nulla da fare. La parola arrendersi non faceva parte del mio vocabolario, eppure per un secondo, quando entrai in casa e non la trovai, pensai che sarebbe stato il caso di mollare tutto e andare via. Lasciare quella casa, dimenticarmi di lei e del nostro rapporto.
Ma se non me l'ero tolta dalla mente per tutto il tempo in cui eravamo stati solo amici, come avrei potuto farlo quando sapevo cosa provavamo l'uno per l'altra?
Cazzo. Era un maledetto casino!
E poi dov'era andata? Non aveva appuntamenti quel giorno, e Occhiali da sole non mi aveva avvisato di nessun impegno mentre eravamo insieme in ospedale. Che fosse da Aya?
Chiamai Tsuyoshi ma, dopo avermi fatto triliardi di domande sul perchè la cercavo e sul perchè non sapessi dov'era, mi disse che Aya non ne sapeva nulla ma che avrebbero potuto chiamarla e vedere se riuscivano a rintracciarla.
Dove poteva essere? Se non era da Aya, magari era andata da Matsui, oppure da sua madre. Chiamare Fuka non era una buona idea però, mi avrebbe di certo urlato dietro che la dovevo smettere di far soffrire la sua amica, quando non sapeva proprio niente di quello che era successo tra noi.
Dio... se il nostro rapporto era così complicato quando ancora eravamo in una fase di stallo, figuriamoci se mai fossimo andati oltre. Non potevo nemmeno pensarci che già mi scoppiava la testa.
Dovevo distrarmi. Andai in camera a prendere il sacco da box per appenderlo all'angolo del salotto e cominciare a scaricare quella tensione che mi stava divorando.
Misi le bende tra le dita, avvolgendole lentamente e respirando per provare a calmarmi. Quando ormai le mie mani erano completamente fasciate, strinsi i pugni per controllare che fossero abbastanza strette.
Guardai il sacco da box. Immaginai miliardi di facce, ma non riuscii a focalizzarne una in particolare, e mi infastidii perchè non riuscivo a scaricarmi del tutto.
Assestai un calcio sul fondo e pugni a serie di quattro finchè le mani non mi bruciarono.
Ero un fascio di nervi. Non riuscivo a pensare, a concentrarmi, e quello che stavo facendo era inutile se non avevo un obiettivo. Chi volevo distruggere? Cos'era, tra tutte, la cosa che odiavo di più?
Improvvisamente un'immagine si fece strada nella mia testa, e per un'istante mi sentii anche a disagio.
Ero io.
Davanti ai miei occhi c'era la mia faccia, c'era l'Akito che faceva del male a Sana, l'Akito geloso che non smetteva mai di creare problemi, l'Akito insicuro che per anni non aveva fatto altro che lasciarsi sfuggire le mille occasioni in cui arrivare al cuore di Sana, l'Akito che tratta male tutti, anche il suo migliore amico.
Non lo sopportavo più. Lo odiavo.
E sapevo che anche Sana lo odiava.
Forse non eravamo giusti, forse eravamo solo due anime gemelle che non possono stare insieme, come tante altre al mondo.
Ma se la questione dell'anima gemella fosse stata una grande cazzata? Come la mettiamo?
Il cervello mi stava scoppiando. Pugno dopo pugno le cose si facevano sempre più chiare, la mia mente allontanava la nebbia e lasciava spazio alla razionalità.
Se non volevo perdere Sana dovevo darmi una regolata. E l'avrei fatto.

Pov Sana.

Non avevo idea di che cosa stesse parlando Rei, sentivo la sua voce ma non ero attenta e non capivo assolutamente una parola. Borbottava qualcosa che riguardava il modo di comportarmi con il regista e soprattutto con l'attore che mi avrebbe affiancato, di cui ancora non sapevo l'identità. Speravo che fosse bravo, perchè le scene erano già particolari, e se avessi dovuto girarle con qualche incompetente sarebbe stato solo peggio.
Lo zittii con un gesto della mano, e per la prima volta in vita mia riuscii nel mio intento, perchè non disse più una parola finchè non arrivammo davanti all'ufficio del regista. Aveva deciso di incontrarmi alla sua agenzia in centro, era un lussuoso palazzo che indubbiamente gli era costato parecchio, ma era un regista abbastanza famoso e richiesto, quindi era anche piuttosto ovvio.
Quando bussammo alla porta strinsi la mano a Rei, come sempre, ormai era un rito che avevamo da un paio di anni, da quando mi avevano praticamente chiuso tutte le porte dopo essermi rifiutata di dire una battuta, ai tempi delle medie. Quando avevo ricominciato a lavorare ero così nervosa che Rei mi aveva stretto la mano per tranquillizzarmi e io mi ero sentita al sicuro. Con lui mi sentivo sempre protetta, in fondo era come un padre per me.
"Ma buongiorno, Sana, finalmente la conosco!".
La voce del regista mi riportò alla realtà e, dopo aver lasciato la mano di Rei, strinsi la sua con forza, perchè una volta Akito mi aveva detto che le persone si definiscono dalla loro stretta di mano. Era una cavolata, lo sapevo anch'io, ma mi piaceva pensare che mi avrebbe vista in maniera diversa se mi fossi mostrata forte e decisa.
"E' un piacere incontrarla, signor Miyazaki." mi limitai a dire io, per poi accomodarmi nella sedia di pelle davanti alla sua scrivania. Rei si mise proprio accanto a me.
Lui era un uomo sulla quarantina, brizzolato, ma la scrivania lo copriva quasi tutto quindi non lo vidi dal busto in giù. Comunque, nelle foto che si potevano trovare su internet, non era mai fuori forma. Era un bell'uomo, ma aveva una lunga cicatrice sul sopracciglio sinistro che lo rendeva un po' minaccioso a vedersi.
Mi guardai attorno e l'ufficio era esattamente come tutte le altre stanze: pareti di legno scuro, lucidissimo, e gli scaffali dietro la sua testa erano pieni di riconoscimenti e premi. Mi venne da sorridere, ero elettrizzata di lavorare con una persona così famosa e soprattutto ero fiera di essere stata scelta da lui, che poteva sicuramente insegnarmi tanto. Inoltre, il fatto che avesse voluto incontrarmi con così poco preavviso mi dava modo di pensare che anche lui fosse contento di lavorare con me.
"Anche per me, Sana. Non ti dispiace se ti chiamo Sana, vero? Tu puoi chiamarmi Hiroji, odio tutte quelle problematiche che alcuni registi si pongono. Non è che perchè ti dirigo, significa che non possiamo essere amici.".
Già mi piaceva, e aveva ragione. Mi era capitato spesso di lavorare con certi registi che mantenevano le distanze e si preoccupavano solo di far bene il loro lavoro. Era una cosa stressante, e a volte anche frustrante, perchè non ricevevo mai uno sguardo di comprensione quando ne avrei avuto bisogno, visto che ero una ragazzina. Quindi, gli sorrisi e annuii. "Certo che può chiamarmi Sana, signor Miyazaki."
"Hiroji, per favore."
Non me n'ero neanche accorta, ma poi annuii di nuovo. "Hiroji." mi corressi.
"Perfetto, ora che abbiamo fatto le dovute presentazioni, voglio sperare che tu abbia letto bene il copione e che abbia cercato di entrare nel personaggio. Non sarà un film facile, psicologicamente e fisicamente, ma io sono certo che tu possa farcela."
"Si, ho letto il copione e il personaggio di Miya mi affascina molto. Il fatto che inganni Mark, che lo voglia uccidere, perchè crede che la sua famiglia sia morta per causa sua... è sfiancante, per tutto il copione. Vorrei che capisse prima che lui non c'entra nulla. E' un personaggio pieno di rancore."
Lui mi guardò con stupore, come se non si aspettasse che riuscissi a fare un'analisi del genere del mio personaggio ma la prima cosa che mi avevano insegnato alla scuola di arte drammatica era che se non trovi qualcosa che ti accomuna al tuo personaggio, non riuscirai mai a portarlo alla vita al meglio. Avevano ragione, io e Miya avevamo in comune la paura. Per tutta la sua vita lei aveva creduto che i suoi genitori e il suo fratellino fossero stati uccisi da un facoltoso americano che era stato il mandante della loro morte per via di una testimonianza scomoda. Fin dall'adolescenza si era documentata, lo aveva cercato, e all'età di 22 anni lo aveva trovato: Mark Reynolds, un uomo che probabilmente sarebbe anche stato capace di farlo, ma che non aveva alcuna colpa. Capirlo per lei sarebbe stato difficile, accettare che l'assassino che per anni aveva cercato era un semplice ragazzo che aveva ereditato tutto ciò che aveva e, purtroppo, anche il nome dal nonno paterno, il vero mandante dell'omicidio.
"E' molto interessante la tua visione delle cose. Io non l'avrei definita proprio piena di rancore, piuttosto piena di odio, che è un po' diverso. E' l'odio ciò che l'ha mossa per la sua intera vita e..."
"E quando perderà anche quello non avrà più nulla." terminai la frase per lui.
Il suo sguardo ripagò ogni litigata con Akito per quel film, perchè in fin dei conti io amavo il mio lavoro e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo, perchè era ciò che faceva di me ciò che ero. Se da bambina non avessi trovato sfogo nella recitazione, se non fossi stata una principessa rapita da un drago, se non avessi accompagnato Dante in Paradiso, se non avessi detto
Rinuncia al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te, prendi me stessa, non avrei mai superato tanti dei drammi della mia vita. Era il teatro che mi aveva salvata da me stessa e non avrei potuto buttare tutto all'aria perchè Akito non riusciva a sopportare che io baciassi qualcun altro. Io non gli avrei mai chiesto di abbandonare il karate.
"Sei davvero impressionante, devo dirtelo. E' raro che un attrice così giovane abbia una così grande dote interpretativa."
Sorrisi e vidi Rei che rideva insieme a me, soddisfatto della buona impressione che avevo fatto su Miyazaki.
"La ringrazio... cioè, volevo dire ti ringrazio. Ho la tendenza a immedesimarmi un po' troppo in realtà."
Si alzò dalla scrivania e venne a mettersi in mezzo a me e Rei, incrociò le braccia e i muscoli si tesero sotto la camicia. Sembrava meno alto da dietro alla scrivania, invece da quella prospettiva sembrava almeno più di un metro e ottanta.
"Sai, Sana... quando entri dentro un personaggio non è mai troppo. E' sempre troppo poco."
Probabilmente aveva ragione, ma io non volevo farmi coinvolgere troppo dal personaggio che avrei interpretato di lì a poco, perchè aveva troppe emozioni negative, troppi sentimenti contrastanti e a me già bastavano i miei, di sentimenti contrastanti.
Annuii e lui tornò a sedersi alla scrivania, porgendomi una scheda dell'attore che mi avrebbe affiancato. La presi e cominciai a leggere.
"Si chiama Shuzo Goro, ha la tua età ed è poco conosciuto rispetto a te. Ha preso parte però a molte opere teatrali, ad alcune di loro ho anche assistito e devo dire che ha un gran talento."
Cominciai a scorrere tra i nomi delle rappresentazioni per vedere se ne avevamo qualcuna in comune. Era stato Mercuzio in Romeo e Giulietta, e aveva avuto anche molti ruoli minori in spettacoli in cui anche io avevo preso parte.
"Sono sicura che lavoreremo al meglio."
Miyazaki mi sorrise, alzandosi di nuovo dalla poltrona.
"Allora andiamo a provare questa chimica."
Avevo il cuore che mi stava per scoppiare, speravo solo che fosse veramente professionale, non volevo nessun problema nè all'interno del set nè fuori, con Akito.
Chissà cosa stava facendo, mentre camminavo per i corridoi di quel palazzo pensavo solamente a come avrei fatto a nascondere l'entusiasmo per quel film alla persona che avrebbe dovuto sostenermi più di tutte.
Scacciai quei pensieri dalla mente quando, aperta una porta, mi ritrovai in una stanza dove ci stava aspettando il mio coprotagonista. Sospirai, cercando di calmarmi, e gli strinsi la mano sorridendogli.
Che tragedia che quel lavoro mi piacesse così tanto!

*


La posizione in cui mi trovavo era alquanto scomoda. Shuzo mi teneva per i fianchi un po' troppo forte, le sue unghia mi stavano affondando nella pelle, e vedevo che il mio telefono continuava a lampeggiare tra le mani di Rei. Sapevo che era Akito e la consapevolezza che mi stesse cercando mentre io ero tra le braccia di un altro uomo mi infastidiva più di quanto desiderassi.
Comunque, dovevo entrare velocemente nella testa di Miya, sentire quello che lei sentiva e provare quello che lei provava. Sentirmi una prostituta non era facile, tantomeno lo era sentirmi una psicopatica serial killer che cerca vendetta, ma dovevo riuscirci se volevo fare una buona impressione non solo per la mia capacità d'interpretazione della storia.
Dovevo concentrarmi.
Cosa pensa una prostituta? Una prostituta che vuole uccidere. Shuzo continuava a stringermi i fianchi, mi stava facendo davvero male. "Cosa pensi di fare, Miya? Pensi che uccidermi sia la soluzione?". La sua voce era roca, quasi strozzata, e sentivo il suo alito a pochi centimetri da me. Alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi e non mi piacque quello che vidi. C'era uno strano misto di perversione e concentrazione nei suoi occhi, che mi prosciugò dentro. Sembrava di essere soffocata da quello sguardo.
Provammo altre scene, una dopo l'altra, e in ognuna di quelle la sua mano stringeva sempre di più.
"Non vedo l'ora di girare la scena in albergo!".
Eravamo in un momento di pausa, Miyazaki aveva ricevuto una telefonata e non voleva che provassimo senza la sua supervisione, quindi ne approfittai per staccarmi da quelle mani. Volevo andare da Rei, ma lui mi teneva lì a conversare, mentre io volevo scappare da quella situazione. Sapevo benissimo a quale scena si riferiva e io rabbrividivo al solo pensiero. Avremmo dovuto fare sesso in una camera d'hotel, tra lenzuola di seta nera e champagne, e la scena era piuttosto esplicita e con battute davvero spinte.
Miyazaki entrò di nuovo nella stanza, seguito da Rei che non mi ero accorta fosse uscito.
"Ok, ragazzi, proviamo la scena in albergo, vi va? Voglio vedere come ve la cavate con una delle scene più difficili del copione."
Mi veniva da vomitare.
Non potendo usufruire di un letto ci posizionammo sul divano e, quando guardai Rei negli occhi, notai il suo imbarazzo. Una ragazza della troupe che era entrata nella camera da poco mi porse un lenzuolo, quindi la ringraziai e mi sdraiai accanto a Shuzo.
Chiusi gli occhi per concentrarmi. Per essere Miya.
Quando li riaprii, ero lei. Sentivo tutto il suo odio. Tutto il suo rancore. Sentivo anche tutto l'amore che provava per Mark e che tentava disperatamente di nascondere. Sentivo il suo desiderio.
"Continueremo a vederci come due amanti, in questa strana relazione clandestina?". Mi avvicinai all'orecchio di Shuzo e respirai così vicino a lui che quasi pensai che i nostri respiri si fossero uniti.
Fingevo di amarlo, in quel momento. Dovevo conoscerlo. Dovevo sapere tutto di lui, per distruggerlo. Dovevo arrivare alla sua famiglia.
Shuzo cominciò a toccarmi. Era strano, ma inizialmente non spiacevole, semplicemente non provavo niente. Mi accarezzò la coscia, facendo un lento movimento con le dita, poi prese a sfiorarmi le labbra con le dita.
"Vorresti diventare più di un'amante, Miya?". Quelle parole nella sua bocca suonavano disgustose, non sapevo perchè, e inizialmente diedi la colpa alla sua inesperienza.
"Si dice fidanzata. Amplia il tuo vocabolario, signor Reynolds.". Cercai di far vedere la mia finta sincerità, e ci riuscii a pieno, perchè mi infastidivo da sola, quindi era un buon segno.
Improvvisamente mi baciò. Inevitabilmente comparai i suoi baci con quelli di Akito, e non c'è nessun paragone. Quelli di Akito erano sensuali, appassionati, dolci... erano veri. I suoi mi sembravano forzati, e lo erano, e soprattutto mi facevano venire il voltastomaco. Allungai una mano tra le sue gambe, come da copione, ma non lo toccai. Feci finta di massaggiarlo, mossi la mano lentamente, ma non lo sfiorai nemmeno per un secondo.
Sentivo gli occhi di Miyazaki addosso, quelli di Rei un po' meno perchè sapevo che vedermi in quelle vesti lo infastidiva sempre un po'.
"Sei intraprendente, Miya. Mi piace."
Gli sorrisi, un sorriso sghembo che doveva essere sensuale, ma forse non ero riuscita a pieno a renderlo tale. Dovevo concentrarmi.
"La vita mi ha reso intraprendente."
Lui mi sorrise di rimando, il suo invece era un sorriso che sembrava sincero, ma dietro c'era un po' di malinconia. E sempre quel tratto di perversione che non mi faceva stare tranquilla. Il copione prevedeva che mi spogliassi in quel momento, ma avevamo concordato che per la prova avremmo evitato.
Quando mi accorsi di ciò che stava facendo, era troppo tardi. Con una velocità per cui non mi resi conto di nulla, infilò la mano in mezzo alle mie gambe e, invece di fare come me, cominciò a toccarmi davvero e, mentre mi guardava con gli occhi infuocati, fece pressione per far entrare un dito dentro di me. Una scossa di dolore mi attraversò da capo a piedi. Non avevo mai provato niente del genere.
Mi allontanai immediatamente.
"Ma cosa stai facendo?" urlai. Rei si avvicinò immediatamente, per capire se stavo bene. Scesi subito da sopra di lui e mi sistemai la gonna.
Mi veniva da vomitare. Dovevo andarmene. Dovevo uscire da quella maledetta stanza. Dovevo andarmene da quel maledetto edificio. Dovevo dimenticare quel film, quel ragazzo che mi era sembrato tanto educato a primo sguardo e quel regista che, invece, mi aveva compresa come mai nessun altro.
Dovevo prendere aria.
Feci l'unica cosa che sapevo fare: scappare. Non mi resi nemmeno conto che avevo le scarpe in mano e che tra l'asfalto e i miei piedi non c'era alcuna barriera.
La confusione di Tokyo mi invase le orecchie. Il caos mi catturò l'anima e pensai che mi sarebbe scoppiata la testa da un momento all'altro.
Mi sentivo spaesata, avevo perso l'orientamento, non riuscivo a ritrovare la strada di casa ed ero senza soldi e senza cellulare. Avevo solo un paio di scarpe e il mio nome.
Sana Kurata.
A volte mi sembrava che quel nome fosse una maledizione, che avrebbe condotto alla mia fine in poco tempo. Da piccola credevo che avrei potuto usarlo per fare praticamente qualsiasi cosa, ma poi mi ero resa conto che non valeva nulla, che non potevo vivere solo col mio nome e soprattutto che non mi avrebbe dato la felicità solo perchè era mio. Nessuno mi avrebbe voluto veramente bene solo perchè mi chiamavo Sana Kurata.
Camminavo. I piedi mi facevano male. Non sapevo nemmeno perchè non mi rimettevo le scarpe, le persone cominciavano a guardarmi come se fossi pazza. Alcuni mi avevano riconosciuta, ma non mi ero fermata a parlare con nessuno di loro. Non riuscivo nemmeno a parlare.
Nessuno mi aveva mai toccata. Ci avevo appena pensato. Nessuno, nemmeno Akito, nemmeno mio marito. E in quel momento si era distrutta anche quella prima esperienza che avrei potuto avere con lui.
Il ricordo del dolore che avevo provato mi invase improvvisamente la testa. Non pensavo si provasse un dolore del genere, sapevo che non era piacevole all'inizio, ma addirittura quella fitta così... non sapevo nemmeno che parola avrei dovuto usare. Come era stato, oltre che doloroso?
Mi sentivo così umiliata. Avevo rovinato tutto, solo per una stupida ambizione! Cosa avrebbe pensato Akito? Si sarebbe arrabbiato? Dovevo dirglielo?
Ero confusa. Mi sentivo stordita, come se il mio cervello stesse galleggiando.
Come potevo spiegare ad Akito che quel ragazzo mi aveva toccata, mentre con lui ci eravamo imposti di andare con i piedi di piombo? Quando Akito mi avesse toccato, avrei provato la stessa sensazione? Avrei ricordato immediatamente quel dolore e lo avrei allontanato?
Non volevo pensare ad Akito. Non volevo pensare e basta.
I miei passi mi condussero nell'unico luogo in cui mi sentivo davvero me stessa, a mio agio, in pace. Davanti a me il mio, il
nostro, gazebo mi aspettava in silenzio.
Faceva freddo, i piedi mi si stavano congelando, ma l'intorpidimento non mi spaventava più, volevo sentire proprio quello.
Fissai le gocce d'acqua che cadevano prima lentamente e poi sempre più forti. La pioggia faceva un rumore rilassante, una melodia che serviva al mio cervello per tornare alla normalità.
Mi rendevo conto di non aver subito una vera e propria violenza, ma faceva male lo stesso, era disgustoso lo stesso. Quel contatto... quelle dita. Il mio stomaco mi stava dando il tormento.
Quando capii di non riuscire più a trattenermi mi spostai verso l'aiuola e buttai fuori tutto quello che potevo.
Era ufficialmente il peggior provino della mia vita.


Pov Akito.

Avrei dovuto accompagnare Sana a quel cazzo di provino. Erano cinque ore che non rispondeva al telefono, Rei non sapeva dove fosse finita dopo che era scappata dall'audizione senza un apparente motivo e il mio cervello cominciava a farmi brutti scherzi.
L'avevo già cercata per mezza città: a casa di sua madre, a casa di mio padre, nel cortile della nostra scuola elementare dove ogni tanto ci rifugiavamo, al gazebo addirittura. Niente. Di Sana neanche l'ombra, e quella sensazione di impotenza mi stava divorando. Non potevo trovarla. Non potevo fare niente per lei, se non aspettare che tornasse a casa.
Capivo perchè a volte le persone mi temevano, in quei momenti - quando Sana non riusciva a far altro che farmi impazzire - la mia mente produceva pensieri che spaventavano anche me.
In quell'istante immaginai come potesse sentirsi chi brucia una casa. Ero così furioso che avrei voluto dare fuoco a quel maledetto posto!
Rigiravo il cellulare tra le mani, aspettando che mi chiamasse o che si facesse viva in qualche modo. Non ce la facevo più, la sensazione di oppressione al centro del petto mi stava torturando.
Credetti di sognare quando una sagoma completamente zuppa si presentò davanti a me.
Sana era un fantasma. Non sembrava lei. Non poteva essere lei, perchè la mia Sana non avrebbe mai avuto quell'espressione.
Le corsi incontro allargando le braccia e stringendola al petto. Me ne fregavo della discussione, dei nostri problemi, del fatto che forse eravamo la peggior cosa l'uno per l'altro, sapere che stava bene mi sembrava la cosa più importante in quel momento.
"Dove sei stata Sana?! Cazzo, ti ho cercata ovunque!".
Tirò su col naso, dovevo sapere cosa diavolo era successo a quel provino perchè se aveva pianto significava che c'era davvero qualcosa di serio.
Le portai indietro i capelli completamente fradici e le sfiorai la guancia. Con mio grande stupore lei non si ritrasse, ma non mi guardò negli occhi nemmeno quando la costrinsi ad alzare il viso verso di me.
"In giro. Ho fatto una passeggiata nella zona del parco."
Non aprì gli occhi, forse perchè sapeva che non appena avrebbe incrociato il mio sguardo avrei capito qualcosa che, a suo parere, non dovevo capire.
"Che cosa è successo Kurata? Parla, non dirmi che non è successo nulla perchè è ovvio che non è così!".
La mia voce salì di tono e lei si coprì le orecchie con le mani. Quel gesto mi spiazzò, non voleva sentire la mia voce e le mie domande.
"Akito ti prego, non ne voglio parlare. Domani."
Si accovacciò di nuovo sul mio petto, stringendosi a me come mai l'avevo vista fare nella sua vita. Non l'avevo mai vista così fragile, così piccola, così vulnerabile.
Non era la mia Sana quella.
La sollevai da terra lentamente, il suo viso si sistemò nell'incavo del mio collo e mi sembrò di non poter sopportare la vista della mia Sana così distrutta.
A letto si appoggiò sul mio petto, tenendo gli occhi chiusi e respirando affannosamente. Quella sua inquietudine mi innervosiva, volevo aiutarla, tranquillizzarla, ma non potevo fare niente se lei non voleva.
Non puoi aiutare chi non vuole essere aiutato.

*


Non sapevo se l'avevo sognato o se era successo per davvero: Sana che mi supplicava di lasciar perdere, di non chiedere, di farla dormire e basta. Mi rigirai nel letto e non la trovai, ma il solco sul materasso mi fece capire che non si era alzata da molto. Guardai l'ora nel telefono ed era abbastanza presto, ci eravamo addormentati tardi la sera prima. Sana non riusciva a prendere sonno, tremava, anche se le avevo tolto quei vestiti zuppi e asciugato un po' i capelli, ma non riusciva a fermarsi.
L'avevo abbracciata ma il tremore non si era arrestato finchè non si era addormentata. Mi tornò in mente il suo gesto di coprirsi le orecchie, rabbrividii solo a pensarci. Era stata la cosa più brutta che avesse mai fatto contro di me.
Ma c'era stato qualcosa a scatenarla, quella reazione, quindi dovevo scoprire cosa era successo. Dopo che si era addormentata avevo chiamato Rei per informarlo che era tornata a casa, e lui mi disse che l'aveva avvertito prima di me, dicendogli anche che non voleva più partecipare al film.
Non ero falso, sentire quella notizia mi rese felice, più felice di quanto avrebbe dovuto, ma non potevo non ammettere che quel film mi avrebbe fatto impazzire.
Mi alzai dal letto, cercandola in casa, ma di lei nessuna traccia. Che fosse uscita di nuovo?
Dovevo andare a prendere Kaori. Ormai erano giorni che era a casa della signora Kurata, però lasciarla lì mi era sembrata la soluzione migliore vista la situazione precaria con Sana.
Ma lei dov'era?
Prima di aprire la porta della camera della bambina la sentii parlare, singhiozzare nel frattempo, e mi trattenni dall'entrare di colpo per pretendere una spiegazione.
"Non voglio. Non ho intenzione di lavorare ancora con quel lurido...". Le lacrime le bloccarono la voce e io strinsi i pugni tanto che le nocche mi diventarono bianche.
"Rei tu non hai visto cosa ha fatto, quindi non dirmi di pensarci, non voglio fare questo film. Non mi interessa se perderò tutti quei soldi, non me ne frega niente nemmeno della carriera. Non lavorerò con quelle persone!".
Rei stava sicuramente insistendo, perchè la sentivo sbuffare e battere nervosamente i piedi sul pavimento. Riusciva sempre a farla star male, con quel lavoro del cazzo.
"Non credo che tu voglia sapere cosa è successo, ti basta sapere che si è avvicinato troppo, ti basta sapere che non voglio avere più nulla a che fare con lui, con tutti loro."
Avevo capito. Ma non volevo crederci.
Spalancai la porta nello stesso istante in cui Sana chiuse il telefono. Mi sembrava di stare per scoppiare, l'adrenalina che sentivo dentro e la voglia che avevo di distruggere qualcosa mi stavano divorando. Ero a pezzi.
Cosa le avevano fatto? Chi?
"Devi dirmi cosa cazzo è successo Sana!! Devi dirmelo, o giuro su Dio che distruggo questa casa!".
La voglia che avevo di radere al suolo tutto, persino me stesso, mi fece paura. Lo sguardo di Sana mi fece altrettanta paura, perchè le lacrime le rigavano il viso ancora e ancora, come un fiume in piena che non accennava a fermarsi.
Volevo avvicinarmi a lei e asciugare quelle lacrime, ma se l'avessi toccata per un solo istante avrei perso la capacità di intendere e di volere, quindi dovevo starle lontana. Dovevo essere padrone di me.
Vedendo che continuava a non rispondermi la incalzai. "Devi dirmelo. Adesso." ripetei, passandomi una mano tra i capelli e portandoli indietro.
Sana si spostò all'indietro, come se avesse pensato ciò che avevo pensato anche io, come se non volesse toccarmi, e un po' mi sentii ferito. Ero un incoerente.
"Non parteciperò al film. Non voglio, e Rei mi assilla perchè vuole che lo faccia, ma io non lo farò. E non devi chiedermi il perchè, visto che non te lo dirò."
Rimasi lì a fissarla, mentre con gli occhi bassi e il fiato corto mi diceva attraverso le righe che non si fidava abbastanza di me da rivelarmi cosa le era capitato.
La rabbia montò dentro di me come un fuoco incontrollabile, sentivo la mia pelle ardere. Avrei potuto uccidere qualcuno in quel momento ma, non appena stavo aprendo bocca per dirle qualcosa di sicuramente offensivo, il mio cervello si illuminò.
Lei voleva proteggermi. Non voleva che sapessi perchè, se fosse successo, avrei potuto commettere una pazzia e lei lo sapeva. Mi conosceva abbastanza bene da sapere che non avrei dovuto scoprire davvero cosa era successo, o mi sarei rovinato. Ma non m'importava.
La sentii sospirare, come se aspettasse una mia brutta risposta, ma io non volevo farla stare male, non volevo più farla soffrire.
Ero un egoista, me ne resi conto solo in quel momento. Lei aveva sempre fatto tutto per me, per tutta la sua vita, e io non l'avevo mai ringraziata.
Lei mi aveva ridato la mia famiglia, mi aveva supportato nella mia passione, mi aveva sposato, addirittura, per far si che mia nipote non finisse in adozione, e adesso non mi diceva qualcosa che le era successo perchè avrei potuto soffrirne. Ma quando avrebbe cominciato a pensare a se stessa?
Dovevo pensare io a lei. Dovevo proteggerla, e lei doveva smetterla di sacrificarsi per me.
"Vieni qui". Allargai le braccia e non dissi nient'altro. Non ero bravo con le parole, potevo confortarla nell'unico modo che conoscevo: standole vicino, in silenzio.
Si avvicinò timidamente a me e si strinse sul mio petto come la sera prima, cingendomi la schiena con le braccia. La circondai con le braccia e lei si perse in mezzo a me, avrei voluto non riconoscere più le mie e le sue mani, perchè eravamo ormai troppo l'uno parte dell'altro.
Dovevo dedicarmi completamente a lei, farle capire che non era da sola. Le accarezzai i capelli e le loro sfumature rosse mi ipnotizzarono, quindi continuai per non so quanto tempo.
Sarebbero stati giorni difficili, Sana doveva riprendersi e tornare ad essere se stessa, altrimenti non sapevo come avremmo potuto sopravvivere ad un periodo di stallo così lungo. Il nostro rapporto era già in equilibrio precario, e lei lo era altrettanto. E io non volevo perdere ciò che avevamo ma, soprattutto, in quel momento volevo che lei stesse bene perchè mi sarei distrutto se lei non fosse tornata quella che era.
La amavo troppo per vederla in quello stato, singhiozzare come una bambina per qualcuno che l'aveva messa in difficoltà. Chiunque fosse stato, sarebbe stato meglio per lui che io non arrivassi mai al suo nome, o si sarebbe trovato chiuso in una bara e coperto di terra in meno di cinque minuti.

*

Nei giorni successivi non andai a lavoro, nè all'università, quasi non misi piede fuori casa anche perchè i giornalisti erano appostati ovunque e non facevano altro che rompere i coglioni con le loro domande.
Odiavo quell'aspetto della popolarità, odiavo essere il marito di una star, essere seguito e disturbato in ogni mio spostamento. Ma, se la star in questione era Sana, la mia migliore amica da sempre e l'unica donna che avrei mai amato, allora ne valeva la pena. Le corse per arrivare in auto, i piccoli travestimenti, lo scappare non appena un flash attirava la mia attenzione. Ne valeva la pena.
L'avevo coccolata e protetta in ogni modo possibile, rispondevo al suo telefono per evitare che Rei la torturasse più del dovuto, e soprattutto non le avevo più chiesto di spiegarmi cosa fosse successo.
Non pensavo che me l'avrebbe detto, ma ormai non mi importava più, l'unica cosa che mi interessava era che lei stesse bene, che tornasse a sorridere e ad arrabbiarsi con me, come al solito.
Andai in camera da letto, dove la trovai addormentata.
Si teneva le ginocchia vicino al petto, perchè in un film una volta avevano detto che quella posizione aiutava a calmare i nervi. Era dolce quando si soffermava su quelle piccole cose, come se avessero potuto davvero essere importanti. Mi avvicinai e mi sdraiai accanto a lei, ma non la toccai. Non volevo svegliarla, era ancora troppo presto, io mi ero alzato semplicemente perchè non riuscivo a dormire.
Guardarla dormire mi era sempre piaciuto, anche quando dormivo a casa sua nel weekend mi soffermavo ad osservarla quando lei non se ne accorgeva.
Ogni tanto mi piaceva anche giocherellare con i suoi capelli, ma lo facevo quando volevo disturbarla e in quel momento non mi andava di svegliarla, sarebbe stata di malumore tutto il giorno.
"No. Per favore no. Smettila!". Scattai a sedere immediatamente, pensavo si fosse svegliata, invece quando la guardai vidi che teneva ancora gli occhi chiusi e che aveva un'espressione corrucciata sul volto.
"Non mi toccare, ti prego." Continuava a lamentarsi nel sonno e io sentii un vuoto allo stomaco che mi fece venire la nausea. Qualcuno, a quel maledetto provino, le aveva messo le mani addosso e io non potevo sopportare una cosa del genere. Non volevo che provasse un dolore come quello, non volevo che si sentisse sporca come tutte le ragazze a cui accade una cosa come quella.
Se avessi scoperto chi era stato, lo avrei ucciso con le mie mani. Immaginai di prendergli la testa e sbatterla a terra fino a che non avrei sentito il rumore delle ossa che si sbriciolano, fino a che il sangue non mi avesse imbrattato le mani e i vestiti.
Ma che diavolo mi stava succedendo? Quando mai avevo pensato in quei termini? Stavo impazzendo.
"NO! NO! LASCIAMI!!". Le sue urla mi stavano straziando l'anima, quindi mi fiondai a cavalcioni su di lei e le bloccai le mani sopra la testa.
"Sana! Sana svegliati! Svegliati, ti prego!" urlai anch'io, cercando di coprire le sue grida.
I suoi occhi si spalancarono e incrociarono immediatamente i miei, era terrorizzata e allo stesso tempo sollevata di vedere me dall'altra parte e sicuramente non l'oggetto della sua paura.
Con un gesto fulmineo mi attirò a se'.
"Sana cosa..."
"Sto bene, non dire nulla. Solo... abbracciami."
Anche se sapevo che non stava bene, che dietro quell'abbraccio c'era molto di più, che il dolore che stava provando era irrealizzabile a parole, non me lo feci ripetere due volte e la strinsi più forte che potevo.
Avrei voluto prendermi tutta quella sofferenza, ma non potevo, potevo solamente darle tutto il mio sostegno, tutto il mio amore. Ero consapevole che non sarebbe servito a niente, ma era l'unico modo per non sentirmi inutile di fronte alla sua tristezza.



Pov Sana.

Quell'incubo era stato orrendo, ma ormai erano giorni che i brutti sogni mi tormentavano appena chiudevo gli occhi. Ero stanca, non dormivo bene da troppo tempo, e ogni volta che sentivo quelle mani sfiorarmi la pelle mi veniva voglia di urlare. Avevo temuto che anche il tocco di Akito mi avrebbe fatto provare quelle cose, invece era tutto il contrario: ogni volta che lui si avvicinava a me e la sua pelle arrivava alla mia, mi sembrava sempre come ritornare a respirare, mentre prima ero in apnea.
Era come riprendere fiato.
Per questo, quando mi aveva svegliato, lo avevo pregato di abbracciarmi, di stringermi, perchè mi sentivo bene solo quando lui mi era vicino.
"Dai Akito, fammi entrare!". Scoppiai a ridere, tamburellando le dita sulla porta della camera da letto, dove lui si era chiuso da un'ora come minimo. Mi aveva tassativamente vietato di disturbarlo, ma la mia indole di inguaribile rompiscatole aveva preso il sopravvento ed era da almeno un quarto d'ora che lo pregavo di farmi entrare.
"Smettila e vattene, entrerai quando lo dirò io!".
Non c'era nulla da fare, non mi avrebbe fatto entrare nemmeno se mi fossi fatta venire una crisi di nervi. Però provare non costava nulla...
No! Ero una cretina, non sapevo godermi le sorprese.
Akito era stato così dolce con me negli ultimi giorni, e io mi ero resa conto di amarlo ancora di più di quanto avrei mai immaginato.
Cominciai a camminare avanti e indietro per il corridoio, sperando che si decidesse ad aprire quella porta perchè la mia curiosità mi stava dando il tormento.
Doveva smetterla di preoccuparsi per me, non volevo che condividesse con me le cose che stavo provando, volevo solo che mi abbracciasse quando ne avevo bisogno e che stesse in silenzio con me.
Non volevo che mi capisse. Non volevo che mi consolasse. Volevo solo che ci fosse.


*

Le mani di Akito mi tenevano chiusi gli occhi. Lui mi camminava dietro e mi guidava verso la camera da letto da cui, finalmente, era uscito pochi minuti prima.
Mi aveva fatta aspettare un'altra ora e poi si era presentato da me, con la maglietta sporca di qualche strana salsa, chiedendomi di chiudere gli occhi e di seguirlo.
Lo avevo fatto senza protestare, anche se volevo rimproverarlo per quella macchia che c'avrei messo una vita a togliere, ma mi trattenni perchè ero troppo curiosa di sapere cosa aveva combinato lì dentro per tutto il pomeriggio.
Era uno stupido se pensava che una sorpresa mi avrebbe stupita. Era lui che continuava a stupirmi: il modo in cui era cambiato, in cui aveva scelto di migliorare per me e per Kaori e, sicuramente, per sua sorella. Mi venne quasi da piangere ma scacciai indietro le lacrime, volevo godermi il momento e non era proprio quello adatto per fare la piagnucolona.
"Ok, ci siamo. Adesso puoi aprire gli occhi.".
Ci bloccammo in mezzo alla stanza, o almeno così mi sembrava e, quando Akito tolse le mani dalla mia faccia, aprii gli occhi e trovai il camino acceso davanti a me e il tavolino vicino apparecchiato di tutto punto.
Era dolcissimo. Era la persona migliore che potessi avere accanto in quel momento, e lo avevo respinto così tante volte, lo avevo allontanato senza motivo.
Mi voltai e gli cinsi il collo con le braccia. Lui mi sollevò da terra e ci trovammo faccia a faccia, troppo vicini per allontanarci e troppo lontani per toccarci veramente.
Era una tortura il nostro rapporto. Eravamo costantemente preoccupati di non far degenerare la cosa, e più ci preoccupavamo più le cose andavano male.
Io mi ero soffermata così tanto su quel maledetto film che non avevo notato quanto potesse farlo soffrire, o quanto potesse far soffrire me. Ero stata accecata dalla voglia di migliorarmi, di portare avanti la mia carriera, e non mi ero neanche accorta di quanto mi rendesse già molto felice la mia vita con Akito.
"Grazie... davvero, grazie. Non so che dire."
Mi sfiorò la guancia con il pollice, accarezzandola dolcemente e io mi sentii improvvisamente avvampare.
Speravo che non smettesse mai di farmi quell'effetto.
Akito mi sorrise e io vidi le porte del paradiso.
"
Grazie va benissimo, non preoccuparti."
Rimanemmo abbracciati ancora per un po', fino a che non mi fece scendere perchè la cena si stava raffreddando.
"Non ho passato tre ore a cucinare per poi dover buttare tutto.".
Gli feci una linguaccia. "Quindi preferisci i cavoletti di Bruxelles a me?". Ne afferrai uno e lo morsi, scoppiando a ridere e dimenticandomi per un istante che dovevo dirgli cosa era successo se volevo che le cose tra noi funzionassero.
Ma come facevo a dirglielo?
Conoscevo Akito e non era di certo la persona più semplice con cui parlare e, soprattutto, di qualcosa che riguardava me e che, quindi, avrebbe acceso la sua gelosia.
Tremavo al solo pensiero, ma dovevo farlo.

*

La cena era squisita, cosa che non mi aspettavo, visto che Akito non cucinava mai e, quando cucinava, c'era sempre qualcosa che si bruciava e andava a finire nella pattumiera.
"Lo confesso: ho chiamato Aya per farmi aiutare!" disse come leggendomi nel pensiero. Scoppiai a ridere, immaginandolo alle prese con i fornelli e Aya, che non era di certo semplice da accontentare, tutti in una volta.
"Non fa nulla...". Mi alzai e feci il giro del tavolino per ritrovarmi davanti a lui che aprì le gambe e mi fece sdraiare in mezzo.
Quando mi abbracciò non era più il calore del camino a ristorarmi, la sensazione delle sue braccia attorno a me era qualcosa di... paradisiaco.
Akito fece scivolare lentamente le sue mani verso i miei fianchi e pensai che stesse per baciarmi. Non sapevo se sarei stata in grado di reggere una situazione così intima dopo quello che era successo.
Spiazzandomi del tutto cominciò a farmi il solletico e io a ridere e urlare come una squilibrata.
"Akito, smettila!!" continuavo ad urlare, ma lui non accennava a fermarsi. Ero terrorizzata. Se avesse visto quello che cercavo disperatamente di nascondergli. Avrebbe dato di matto.
Ridevo, ma la mia risata era finta, perchè ero troppo preoccupata a non far salire il maglione e a non lasciare scoperti i fianchi.
Come se mi avesse letto nel pensiero cominciò a solleticarmi proprio sulla pancia e sui fianchi e feci una smorfia di dolore in mezzo a tutte le risate. Lui non sembrò accorgersene, per fortuna.
Ma non sarei stata sempre così fortunata, perchè un secondo dopo il maglione si alzò del tutto e mi lasciò scoperti i lividi.
Vidi lo sguardo di Akito cambiare immediatamente. Leggevo la furia nei suoi occhi e il mio mondo andò in pezzi in un istante.
"Cosa diavolo sono questi?".
Rimasi in silenzio, non sapevo davvero cosa rispondere. Mi ero accorta di averli solo il giorno prima e avevo ringraziato il cielo che lui non li avesse visti di sfuggita mentre mi vestivo. Ma non potevo di certo sperare di scamparla così facilmente, nella mia vita non ci poteva essere nulla di semplice.
Sbuffai automaticamente, adesso non mi sarebbe più mancato il suo broncio, perchè l'avrei visto per il resto della mia vita.
"Non sono nulla." minimizzai mettendomi a sedere e abbassando il maglione per coprirmi.
"Devi dirmi cosa sono, Sana."
Volevo andarmene, volevo scappare. Feci per alzarmi ma lui me lo impedì afferrandomi per le spalle e tenendomi ferma.
"Solo... ascoltami! Non voglio saperlo per forza, non voglio costringerti. Voglio solo che tu sappia che, quando si tratta di te, voglio tutto. Non voglio solo le cose belle o le cose felici, voglio anche il marcio. E sono sicuro che questa sarà una cosa molto marcia, ma voglio saperla, perchè voglio aiutarti. Perchè tengo a te. Perchè ti amo. E questo non cambia, qualsiasi cosa sia accaduta."
Quella improvvisa dichiarazione mi strinse il cuore come mai mi era capitato. Era la seconda volta che mi diceva che mi amava, avrei dovuto ormai esserci abituata - o almeno tentare di abituarmici - eppure quando lo sentii dire quelle due parole il mio cuore mi aveva giocato un brutto tiro.
Scoppiai a piangere e strinsi ancora di più il suo braccio, cercando il coraggio che mi serviva per raccontargli cosa era successo. Sapevo che non era niente di veramente grave, ma per me lo era, per me era stata la mia prima esperienza intima e mi era stata rovinata. Mi ero sentita così umiliata... ma dovevo provare a parlare, dovevo almeno tentare di dirglielo perchè mi sarei sentita meglio.
Ma lui si sarebbe sentito peggio.
Comunque cominciai, cercando di controllare le lacrime. 


Pov Akito. 


Sana si asciugò la lacrima che le era scesa sulla guancia sinistra e si tirò i capelli indietro. Cercava di trattenere le lacrime, ma io lo notavo e non volevo che lo facesse, volevo che si lasciasse andare, che si sfogasse con me.
Quando cominciò a parlare chiusi gli occhi, sperando e pregando per un solo istante che avesse esagerato la sua reazione, che non fosse ciò che avevo immaginato per tutti quei giorni.
"Quando sono andata a fare il provino il regista è stato molto carino con me, mi ha fatto un sacco di complimenti lavorativamente parlando e io pensavo di aver trovato il film della mia carriera, che mi avrebbe cambiato la vita. "
Si fermò e prese un grosso respiro, io ritornai ad abbracciarla e lei a guardare il fuoco che scoppiettava davanti a noi.
"Abbiamo fatto l'analisi del mio personaggio insieme, lui è rimasto molto colpito da me e dalle mie capacità, ma poi mi ha presentato il mio cooprotagonista.".
Strinsi i pugni, perchè sapevo dove voleva andare a parare. Mi soffermai a guardare le mie vene del braccio, per trovare qualcosa su cui concentrarmi mentre aspettavo l'inevitabile.
"Dovevamo provare una scena un po'... spinta e, approfittando del fatto che eravamo coperti da un maledetto lenzuolo, lui..." Si fermò e si portò una mano al viso, coprendosi gli occhi. Non potevo essere più furioso, ma continuai a trattenermi. Era come se dentro avessi una molla, una gigantesca molla, che stava per scattare. Da un momento all'altro mi sarei ritrovato a distruggere qualcosa, e neanche Sana sarebbe riuscita a fermarmi.
"Continua, Sana." le ordinai. Capii di aver avuto un tono troppo autoritario. "Per favore." dissi infine.
Fece come le avevo detto. "Lui mi ha..."
Non riusciva proprio a dirlo quindi, anche se significava darmi una pugnalata dritta al cuore, lo feci io per lei. Volevo risparmiarle qualsiasi dolore. "Lui ti ha toccata."
Al sentire quelle parole Sana andò in pezzi, in minuscoli pezzi che non ero capace di rimettere insieme. Volevo farlo, con tutto me stesso, ma non potevo: lei era l'unica in grado di rialzarsi e dire addio allo schifo che aveva dentro.
In compenso, lo schifo che avevo dentro io, non se ne sarebbe mai andato. Non lo dissi a Sana, non battei ciglio, la abbracciai e basta, ma avrei trovato quel maledetto bastardo e l'avrei ucciso.
Tra le lacrime la vidi girarsi, guardarmi come se mi stesse supplicando, ma supplicarmi di cosa?
"Ti prego, perdonami..." disse mentre i singhiozzi la scuotevano. "Mi dispiace così tanto!".
Inorridii capendo cosa mi stava dicendo, pensava davvero che fosse colpa sua? E che per quello non l'avrei più voluta?
Io non ero arrabbiato con lei, non lo sarei mai stato, ma non ero capace di gestire una cosa come quella. Mi sembrava di sprofondare sempre più lentamente in un abisso in cui Sana mi chiedeva aiuto. Un aiuto che io non sapevo darle.
"Ma di cosa stai parlando?! Pensi che io ce l'abbia con te? E per cosa poi, perchè un coglione, che morirà a breve, ti ha messo le mani addosso? Tu sei matta, Kurata! Non c'è niente, assolutamente niente, che possa farmi cambiare idea su di te o che possa cambiare i miei sentimenti! Ficcatelo in testa!!".
Mi resi conto di stare urlando e mi schiarii la voce, cercando di tornare al mio tono normale ma probabilmente dovevo sembrare veramente esasperato, perchè Sana mi guardò come se avesse sentito chissà quale cosa sconvolgente. Era una stupida se anche solo pensava di allontanarsi da me per quello.
Senza neanche che me ne accorgessi lei si gettò su di me e appoggiò le sue labbra sul mio collo, poi le schiuse indugiando un po' sul bacio. Ero sorpreso e spaventato da cosa significasse quel bacio, perchè con Sana tutto poteva esere imprevedibile. Pensavo che il mondo mi sarebbe crollato addosso da un momento all'altro.
"Che cosa stai facendo? Hai capito quello che ti ho detto?".
Non volevo che mi distraesse per sviare il discorso, la conoscevo fin troppo bene.
Abbassai lo sguardo, colto totalmente alla sprovvista, e nel suo sguardo vidi distruzione ma soprattutto decisione e fermezza. Sapeva cosa stava facendo e quello mi terrorizzava perchè io invece non ne avevo idea.
Sana mi attirò di più a sè e più si avvicinava più io mi sentivo morire. Mi baciò freneticamente, e con la lingua tentò di schiudere le mie labbra. Volevo allontanarla, volevo che smettesse e che non smettesse mai.
Mi guardò con aria ancora più decisa, il mio autocontrollo stava già cominciando a vacillare. "Fammi dimenticare quella sensazione. Fammi dimenticare. Ti prego."
Sapeva come portarmi oltre il limite, se non potevo dire nulla per farla stare bene avrei potuto fare qualcosa per farle dimenticare quelle mani, almeno finchè non le avrei sbriciolate con le mie.
La baciai piano, con delicatezza, lei mi infilò le mani tra i capelli e io sentii vacillare sempre di più il mio autocontrollo. Cominciai a baciarla con più passione, facendola mettere a cavalcioni su di me, provando a darle ciò che mi aveva chiesto.
Con un gesto che mi spiazzò, si tolse la maglietta e il mio cuore si fermò per un secondo perchè, anche se l'avevo vista tantissime volte in reggiseno quella volta era come se lei mi stesse dando tutta la fiducia del mondo. Tutta per me, tra le mie dita.
Le mie mani scivolarono dai suoi fianchi al suo seno, una tortura silenziosa e lenta che mi stava distruggendo.
"Fammi dimenticare..." sussurrò di nuovo, e quelle parole segnarono la mia disfatta. Non volevo che lei soffrisse, volevo farle dimenticare anche il suo nome.
Cominciai a posarle una serie di baci lungo la mandibola e poi dietro l'orecchio, avevo imparato che quello era un punto in cui era particolarmente sensibile.
Quando riuscii a riprendere, almeno in parte, il controllo di me stesso mi avvicinai piano alle sue mutandine, ma ero terrorizzato di farla stare male o che mi allontanasse.
Spostai l'orlo della sua biancheria e, improvvisamente, mi resi conto che Sana aveva cominciato a tremare e che si era irrigidita in un istante. Spostai subito la mano.
Capii immediatamente cosa era successo durante quella cazzo di prova. Volevo ucciderlo. Gli avrei spaccato la testa sull'asfalto prima ancora che potesse dire una parola.
"Sana..". Le lacrime cominciarono a rigarle il viso e di scatto l'abbracciai, sperando che si calmasse, o avrei dato di matto. Ma in quel momento non si trattava di me, ne della mia gelosia, o del fatto che sarei andato in prigione per omicidio. Si trattava di Sana e del fatto che era distrutta e si stava lentamente sbriciolando davanti ai miei occhi.
"Ti prego... ti prego, non dire niente.". Stava per spostarsi, me ne accorgevo dal fatto che faceva pressione sul mio petto per farmi alzare. Lo feci, ma con uno scatto la afferrai per i fianchi e la feci sedere nella stessa posizione in cui eravamo prima che il solletico mi rivelasse tutto quello che lei tentava di nascondermi.
Presi la coperta che avevo messo vicino a noi e la avvolsi tra le mie braccia, coprendoci entrambi.
Rimanemmo in quella posizione per molto tempo, io la cullavo e non dicevo una parola, perchè temevo che mi respingesse ed era l'ultima cosa che volevo.
La sentivo lentamente rilassarsi, dopo aver pianto probabilmente tutte le lacrime che aveva in corpo, e speravo che mi parlasse.
Volevo solo aiutarla.
Improvvisamente, quando meno me l'aspettavo, la vidi alzarsi e andare verso la porta.
"Dove vai?" chiesi terrorizzato che mi lasciasse lì, da solo, dopo che avevo tentato di reprimere la mia peggiore reazione per farla stare meglio. Avevo fatto qualcosa che non andava? Eppure non sembrava turbata mentre la stavo abbracciando.
"Spengo la luce." disse infine, e io feci un respiro di sollievo. Risi di me stesso, ormai ero completamente dipendente da quella ragazza e se mesi prima mi avessero detto che sarei stato spaventato all'idea di rimanere da solo non ci avrei mai creduto.
Sana tornò da me, ma stavolta si sdraiò su di me costringendomi a sdraiarmi a mia volta sul pavimento.
"Non so come ringraziarti per questa serata. E' stato tutto perfetto, a parte la mia piccola crisi di nervi. Tu sei stato perfetto."
Al buio era tutto più suggestivo, riuscivo a vedere le nostre ombre che si muovevano sul muro. Le avvolsi i fianchi con le mani, facendo attenzione a non premere troppo per non farle male.
"Mi dispiace se...". Sana mi mise un dito sulla bocca, zittendomi. Volevo disperatamente baciarla... ma lei era così lontana da me. O almeno io la percepivo così.
"Adesso sta' zitto. Devo dirti una cosa e se ti metti a parlare non riuscirò a farlo.".
Mimai il gesto di chiudermi la bocca a chiave e la invitai a proseguire. Il fatto che fosse coricata sopra di me e che il suo seno premesse sul mio metto non mi aiutava a concentrarmi ma feci del mio meglio.
"Io ti amo, Akito Hayama."
In quel momento catturò tutta la mia attenzione. Lei sorrise, vedendo la mia espressione stupita.
"Lo so che non te l'ho mai detto e che tu invece hai continuato a ripetermelo da Capodanno ma... ero terrorizzata dall'idea che potesse finire da un momento all'altro. Non siamo mai stati bravi a capire i sentimenti l'uno dell'altro, tanto meno a dimostrarli, quindi avevo paura. Ma ora... ora so che ti amo con tutta me stessa e che non può finire. Non potremmo lasciarci nemmeno se lo volessimo."
Aveva ragione, non avrei potuto lasciarla nemmeno se tutto il mio corpo mi avesse urlato di farlo. La amavo troppo e sentire dalla sua bocca che anche lei amava me, dopo tutti quegli anni passati ad aspettare, a guardarla di sottecchi, a nutrirmi di un sorriso e un abbraccio ogni tanto, mi rendeva la persona più felice del mondo. Mi rendeva vivo, come non mi ero mai sentito.
"Pensavo che non l'avresti mai detto.". Chiusi gli occhi, beandomi della sensazione che l'amare e l'essere corrisposti dava. Era la cosa più bella che avessi mai provato, era l'unica motivazione per cui sopportavo tutta la merda che comportava il suo lavoro e la sua popolarità. Il fatto che la ragazza che era con me in quel momento non era Sana Kurata, l'attrice di fama internazione, ma Sana: la bambina che avevo conosciuto alle elementari e che si stava trasformando in una splendida giovane donna. La bambina di cui mi ero innamorato perchè mi aveva tirato fuori dal baratro e mi aveva trascinato con forza per tutto il percorso della mia vita. La bambina che era diventata mia moglie.
Mi veniva quasi da piangere.
Sana mi strinse a sè, posandomi un leggero bacio sul collo.
"Meglio tardi che mai, no?".
Annuii vigorosamente e poi l'abbracciai, sperando che quel momento non finisse mai.
Lei, invece, era di tutt'altro avviso. Prese a baciarmi piano il collo, lasciando una scia che scendeva verso il mio petto.
"Sana no... non voglio vederti piangere di nuovo."
Lei mi sorrise e scosse la testa, e quell'immagine era forse la cosa più eccitante che avevo mai visto nella vita.
"Non te lo chiederò un'altra volta: fammi dimenticare.". Non riuscii ad oppormi, perchè anche se sapevo che era sbagliato, che lei non era pronta, io la volevo più di quanto avessi mai voluto qualsiasi cosa o persona nella mia vita. Ero egoista, si, ma la amavo... e mi sentivo strappare le viscere dall'interno ogni volta che mi allontanavo da lei.
Invertii le posizioni e la feci mettere sotto, per poi spingermi ancora di più in mezzo alle sue gambe. Era meraviglioso essere così vicino a lei.
Portai le mani dietro la sua schiena e indugiai per un secondo sui gancetti del reggiseno, come per chiederle il permesso. Lei mi sorrise e io lo tolsi, ritrovandomi con il suo seno nudo davanti agli occhi. Pensai che sarei morto da un momento all'altro.
La sentii mugolare sotto i miei baci e le mie mani, e cercai di imprimermi quel suono nella testa, per non scordarlo mai.
Scesi per baciarle il collo, e lei chiuse gli occhi. Vederla in quello stato mi faceva impazzire.
Le mani di Sana arrivarono fino all'orlo dei miei jeans, da cui si intravedevano i boxer, e io abbassai lo sguardo sorpreso. Con un gesto repentino la infilò dentro e il contatto con la sua mano fredda mi fece sussultare.
Mentre mi toccava, mentre la sua mano andava su e giù dentro i miei boxer la mia forza di volontà venne spezzata del tutto. Entrai in un mondo che non avevo mai veramente conosciuto, Sana mi faceva sentire come mai mi ero sentito nella mia vita.
Volevo ricambiare il piacere che mi stava dando, ma sentivo le braccia molli e il cervello che mi scoppiava, riuscivo solamente a baciarla. Il calore delle sue labbra e della sua lingua attorno alla mia mi faceva eccitare ancora di più. Avrei mai potuto amarla più di così?
Scesi un'altra volta verso le sue mutandine, sperando che stavolta non mi avrebbe fermato.
Vedendo il dubbio nei miei occhi Sana circondò la mia mano con la sua e la portò sotto la stoffa dell mutandine.
Quel gesto mi spiazzò, ma lei mi aveva ripetuto in continuazione che voleva dimenticare, che non voleva più ricordare quella sensazione. Lei voleva che fossi io il primo e io lo volevo più di chiunque altro. Mi sembrava di impazzire mentre la accarezzavo piano e sentivo i suoi gemiti.
"Akito..."
La curva perfetta della sua bocca mentre pronunciava il mio nome mi fece irriggidire ancora di più. Stavo per sentirmi male.
"Che c'è? Ti ho.. ti ho fatto male?". Avevo paura di farla soffrire, che avrebbe provato disgusto per il mio tocco, che non avrei mai potuto farle dimenticare la sensazione di essere toccata da qualcun altro. Decisi di non pensare a cosa le era successo o avrei finito per rovinare il momento.
Era calda, umida, e pensare che fino a qualche mese prima eravamo così lontani che non immaginavamo nemmeno che saremmo finiti l'uno con le mani dentro le mutande dell'altro era davveo surreale. Quell'immagine mi fece sorridere, ma aspettavo ancora che lei rispondesse, perchè non sapevo se continuare o fermarmi e lasciarla andare.
"No... posso... continua!" disse infine. Con l'altra mano cominciai a sfiorarle il seno prima piano e poi con più forza, e la sentivo gemere sotto il mio tocco.
Quello, e le mani di Sana che non smettevano di torturarmi, bastarono a portarmi oltre il limite. I boxer divennero fradici e avrei potuto giurare di aver visto Sana sorridere, soddisfatta del suo lavoro. Risi a mia volta e mi godetti il momento. Non mi ero mai sentito così, il fatto che fosse stata lei a procurarmi quella sensazione era più che sufficente per amplificare il piacere.
Continuai a toccarla lentamente, volevo che la sua tortura durasse di più, volevo che si imprimesse nel cervello l'emozione del fatto che fossero state le mie mani a farla stare così bene.
Continuava a stringere i pugni, cercando qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa da stringere. Si mordeva le labbra per contenere il piacere e io mi avvicinai e feci altrettanto, perchè volevo rivendicare tutto di lei. La sua bocca, il suo seno, la sua schiena, le sue mani che sapevano fare magie, il suo essere più intimo.
Era mia.
Saperlo mi faceva sentire l'uomo più fortunato della terra.
Affondai le dita nella pelle morbida dei suoi fianchi, e con l'altra mano affondai ancora di più in lei, cercando di portarla nel luogo meraviglioso dove ero stato io pochi minuti prima.
Mi resi conto che stava accadendo quando sentii le sue gambe irriggidirsi. Aumentai il ritmo, prima lento e poi furioso e, quando la sentii pronunciare di nuovo il mio nome con quella voce spezzata, capii che era fatta.
Teneva gli occhi chiusi e continuava a mordersi il labbro, e io volevo solo possederla. Volevo che lei fosse mia, veramente, senza più barriere tra di noi.
Ma era ancora presto e, dopo aver aspettato per oltre otto anni, quello che avevamo appena fatto mi sarebbe bastato per un po'.
Mi sarebbe bastato davvero? Ora che avevo avuto un assaggio di cosa poteva darmi il rapporto con Sana, forse non mi sarei più accontentato di niente.
Dopo qualche minuto la bellissima ragazza che avevo tra le mani riprese a respirare in modo normale e i suoi occhi color nocciola mi fissarono per qualche istante.
"Credo che dovresti dire qualcosa..." sussurrai io, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Volevo sentirmelo dire, anche se sapevo che era sbagliato costringerla, anche se mi rendevo conto che forse la nostra prima esperienza intima sarebbe dovuta andare diversamente, ma per me nessuna fantasia sarebbe mai stata migliore della realtà.
Quando avevo sentito la sua pelle morbida tra le dita... avrei potuto ricominciare all'istante. Ma aspettavo ancora che lei parlasse, che mi dicesse che andava tutto bene, perchè temevo che sarebbe crollata tra le mie mani e non volevo vedere la ragazza che amavo sbriciolarsi davanti a me.

Infine parlò. "Grazie per avermi fatto dimenticare."
Era tutto ciò che volevo sentirmi dire. La strinsi fortissimo e presi un cuscino dal divano per appoggiarci la testa, poi la feci appoggiare sul mio petto. Aveva i capelli tutti scompigliati e negli occhi una scintilla che non aveva mai avuto, eppure non credevo di averla mai vista più bella di così.
La mia Sana... distrutta, spezzata, fatta a pezzi. E io li avevo rimessi insieme.
La guardai per un ultimo istante prima di sentirla crollare nel sonno. Volevo solo che fosse felice. Con me, con nessun altro.
Sana poteva salvarmi dall'abisso in cui mi ero sempre trovato, o buttarmici dentro con tutta la sua forza. Ma, se il suo piano era cadere nell'abisso con me, non mi sarei di certo lamentato.

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Capitolo 17
*** Paura di perderti. ***


CAPITOLO 16.
PAURA DI PERDERTI.


Pov Sana.

Mi sembrava di fluttuare in un mare profondo e azzurro. Non volevo aprire gli occhi, non volevo muovermi, non volevo fare nulla, volevo solo rimanere a crogiolarmi nella mia felicità. Ero così contenta. Non avevo mai immaginato che la felicità, l'appagamento, facessero quell'effetto.
Non mi mossi per non svegliare Akito. Sentivo ancora il suo respiro regolare, potevo percepire il movimento del suo petto che si alzava e abbassava. Volevo svegliarmi in quel modo tutte le mattine, preferibilmente evitando la parentesi sul pavimento del salotto, con l'uomo della mia vita accanto e il cuore che stava per scoppiarmi. Quando aprii gli occhi, invece, mi ritrovai Akito ad un centimetro di distanza che mi fissava insistentemente.
"Buon giorno anche a te!" esordii io, stampandogli un veloce bacio sulle labbra. Lui non ricambiò e già la cosa mi preoccupava. Si era pentito?
"Stai bene?". Non mi toccava nemmeno per sbaglio e capii che era perchè voleva il mio permesso. Ancora, dopo quello che avevamo fatto, dopo tutto quello che ci eravamo detti, temeva ancora che io potessi spaventarmi o, peggio, che quei gesti pieni di amore potessero riportarmi alla memoria altre mani.
Se non lo avessi già fatto, lo avrei sposato!
Gli sorrisi e lui continuò a guardarmi con fare incerto.
"Sto bene, Akito. Smettila di preoccuparti per me.". Il tono della mia voce era autoritario, ma comunque avevo tentato di essere il più dolce possibile: non volevo che si sentisse ferito.
"Bene." cominciò, baciandomi teneramente. "Perchè voglio il bis prima che ci alziamo!".
Scoppiammo a ridere, ero colpita dalla sua improvvisa audacia, e lo abbracciai mettendomi a cavalcioni su di lui.
"Mi aspettavo un po' più di resistenza da te." ammiccai. Volevo essere sensuale per lui, volevo che lui mi vedesse bella e attraente, ed era una sensazione che non avevo mai sperimentato prima.
Ci guardammo per qualche secondo, volevo solamente baciarlo e perdermi in lui, per dimenticare i casini e i drammi infiniti della mia vita. Mi avvicinai lentamente, continuando a guardarlo negli occhi, e lui poggiò le labbra sulla mia fronte. Amavo quel gesto, amavo quando cercava di infondermi tutto il suo appoggio, perchè lo rendeva diverso dal solito Akito.
Le sue labbra erano calde e umide e mi facevano pensare al nostro primo bacio ogni volta che le sfioravo. Allora sapevano di limone, erano un po' aspre, ma realizzai che non ero riuscita a staccarmi, e non per la sorpresa, come avevo sempre detto. Anche in quel momento erano state una calamita per me.
"Sana...". Quando lo sentii pronunciare il mio nome gli circondai il collo con le braccia e lui, di tutta risposta, mi afferrò per i fianchi e si mise sopra di me imprigionandomi immediatamente contro il materasso. Sentivo il calore del suo corpo attraverso la biancheria e l'aria cominciava a diventare pesante e densa.
Lo baciai furiosamente, le nostre lingue danzavano insieme e mi sembrava di morire, che il cuore mi sarebbe scoppiato dentro il petto. Lui non parlava, si limitava a tenere gli occhi fissi su di m mentre mi accarezzava il collo. Era lento, lo faceva di proposito a farmi impazzire, ma avrei ricambiato con la stessa moneta. Volevo che mi marchiasse, che lasciasse i segni di quel momento, perchè volevo essere sua, stavolta completamente. Avvolsi le dita in mezzo ai suoi capelli biondi e li tirai piano, il suo gemito mi disse che gli piaceva. Stare con Akito era catartico, mi portava fuori dalla mia dimensione di attrice e mi trasformava nella semplice ragazza di diciannove anni che ero.
"Ma come ho fatto per tutta la mia vita?" sussurrò lui, prima di slacciare il reggiseno, far scivolare le spalline per poi togliermelo e perderlo tra le lenzuola. Mi imbarazzava sempre essere nuda davanti a lui e mi sentivo le guance in fiamme, oltre che tutto il resto.
"Non devi vergognarti."
Mi guardò dritto negli occhi, sciogliendo ogni mio dubbio con il potere del suo sguardo. Volevo fare l'amore con lui, non potevo più aspettare e me ne fregavo della voglia di andarci piano e con i piedi di pombo.Volevo lui. E niente mi avrebbe impedito di andare fino in fondo.
Pensarlo era sicuramente più semplice che dirlo, ma lo desideravo più di quanto fosse umanamente possibile, non pensavo nemmeno che si potesse desiderare qualcuno così tanto.
Lui non si fermò, mi baciava con foga e a me mancava il respiro.
La mattinata passò tranquilla, tra baci e carezze, e per quei momenti mi sembrò che la vita avesse smesso di passarmi palle sbagliate.
Ovviamente, non sarebbe mai successo.
*
Guardai fuori dalla finestra e poi tornai in salotto, a crogiolarmi nella mia infelice condizione di attrice braccata dai giornalisti. Non accennavano a schiodarsi da fuori casa mia, era un continuo schiamazzo perchè litigavano per chi mi avrebbe intervistata per primo o per chi avrebbe scattato la prima foto.
Io li rispettavo, il loro era un lavoro come un altro e il giorno in cui avessero smesso di occuparsi della mia vita la mia carriera sarebbe finita, ma c'era un limite a tutto. Loro mi torturavano, non facevano altro che seguirmi e disturbarmi e io non ce la facevo più. Era come vivere con la continua consapevolezza che non ci fosse nulla di solo mio, perchè loro se ne appropriavano e, il più delle volte, lo distruggevano.
"Kurata?". Ma l'avrebbe smessa mai di chiamarmi in quel modo?
Lo vidi arrivare in salotto a piedi scalzi e a petto nudo. Da sotto l'elastico del pigiama si intravedevano i boxer. Mi si seccò la gola in un secondo.
"Sono ancora lì, eh?". Mi voltai a guardarli un'altra volta: qualcuno lo conoscevo anche.
"Si, non fanno altro che gridare! A volte vorrei mandarli al diavolo senza preoccuparmi dei loro giudizi."
Sospirai, esasperata da quella situazione. Akito si avvicinò a me e mi afferrò per i fianchi, intrecciando le mani dietro la mia schiena.
"Se vuoi, esco e li ammazzo di botte." scherzò. In realtà non era male come idea.
"Sono qui solo perchè ho abbandonato il film. Vorrano sapere i motivi."
Akito abbassò lo sguardo e mi accarezzò le punte dei capelli che gli toccavano le mani dietro le mie spalle.
"Pensi di fare qualche dichiarazione su quello che è successo?"
Gli occhi di Akito mi supplicavano, ma non sapevo come interpretare quella domanda. Voleva che lo facessi? Ma così tutti avrebbero saputo...
"Non lo so..." ammisi. "Non credo di volerlo. I giornalisti non mi lascerebbero più in pace."
Lui annuì, sapendo che avevo ragione. Mi abbracciò forte. Ero spaventata all'idea di programmare un'intera vita con Akito Hayama, la persona più complicata che avessi mai conosciuto.
Ce l'avremmo fatta?
Non volevo divorziare, in realtà non lo avevo mai voluto, nemmeno quando il nostro matrimonio era una finzione.
Il telefono di Akito squillò improvvisamente, lui lo prese dalla tasca senza smettere di abbracciarmi.
"E' l'università." disse aggrottando le sopracciglia.
"Rispondi, io vado a preparare il pranzo."
Schiacciò il pulsante verde e, prima di rispondere, si voltò a guardarmi con una faccia disgustata. "Non tagliarti Sana, ti prego."
Gli feci una linguaccia e mi diressi verso la cucina, vedendolo chiudersi in camera da letto per rispondere alla chiamata.

Pov Akito.

Risposi immediatamente dopo essere uscito dal salotto e aver lasciato Sana alla preparazione del pranzo, sperando di non ritrovarla con la pasta tra i capelli.
"Pronto?". Chiusi la porta della camera da letto, andando a sedermi sul puff che Sana aveva comprato contro la mia volontà.
"Signor Akito Hayama?". Era una donna, con una voce fastidiosamente squillante. "Sono la signorina Zenjishi, la chiamo dall'università."
"Si, mi dica.". Erano giorni che non mi presentavo a lezione, probabilmente voleva chiedermi il motivo, visto che c'era stato un seminario a cui avrei dovuto partecipare.
"L'ho chiamata perchè volevo informarla che lei, insieme ad altri cinque componenti del corso di Archeologia del Paleolitico di diverse università, è stato scelto per partecipare ad uno stage di un mese ad Osaka in cui avrà la possibilità di lavorare in un laboratorio di datazione reperti. Il professor Siroki ci ha pregato di dirle che è una possibilità da non sottovalutare."
Sospirai, sedendomi sul letto. Ci mancava solo quello! Sapevo che, se non avesi accettato, Siroki avrebbe anche potuto bocciarmi anche se avessi fatto un esame impeccabile. Ma, se avessi partecipato, Sana e Kaori sarebbero rimaste da sole per un mese intero, proprio nel momento in cui il mio rapporto con Sana stava migliorando.
"E devo confermare adesso?" chiesi, pensando che avrei voluto pensarci prima di dare la mia disponibilità.
"No, ma entro domani, per favore. Il laboratorio e il museo che vi seguiranno in questo progetto vogliono avere il numero preciso degli studenti partecipanti."
Annuii, un giorno sarebbe stato abbastanza per decidere e soprattutto per dirlo a Sana.
"Va bene, allora domani do la conferma, la ringrazio."
La segretaria mi salutò e chiusi la chiamata; buttai il telefono sul letto, non sapevo come comportarmi, se accettare o no.
Cazzo. Era una possibilità troppo vantaggiosa per lasciarmela sfuggire, ma non ero sicuro di voler lasciare Sana per tutto quel tempo. Però lei l'avrebbe fatto per il film, se non si fosse presentata quella complicazione che ero ancora indeciso se risolvere con un omicidio o con una denuncia, quindi perchè avrei dovuto rinunciarci?
"Akito?". Sana bussò alla porta, aprendola piano. "E' successo qualcosa?"
Scossi la testa. "No, mi hanno chiamato perchè sono stato scelto per uno stage in un laboratorio in collaborazione con un museo."
"Ma è una cosa meravigliosa!". Si gettò su di me, baciandomi e sorridendomi così tanto che pensai le si sarebbe rotta la mascella.
"Ad Osaka." puntualizzai. Il suo sguardo cambiò subito. "Per un mese." terminai, assestandole il colpo di grazia.
"Ah...". Abbassò gli occhi, fissandomi le labbra. Ma perchè faceva sempre così? Avrei perso la lucidità necessaria per affrontare quel discorso.
"Bè..." cominciò, per poi darmi un leggero bacio. "Mi mancherai tanto."
Non credevo che sarebbe stato così facile.
"Non devo andarci per forza."
"Si che devi. Il discorso del seguire le proprie passioni non vale solo per me."
Mi sorrise e io mi rilassai immediatamente, le cinsi la vita con le braccia stringendola ancora di più a me.
"Grazie." mi limitai a dire.
Ero eccitato, sarebbe stata un'esperienza incredibile, avrei esaminato un sacco di fossili che altrimenti non avrei avuto molte possibilità di vedere, se non dopo la laurea.
Ma lasciare Sana proprio in quel momento mi sembrava la cosa meno giusta da fare. Decisi comunque di non dargli troppo peso, o avrei passato un mese pieno di paranoie e dovevo concentrarmi sul mio lavoro perchè, se Sana aveva già un futuro e una carriera dall'età di quattro anni io, al contrario, avevo capito ciò che mi appassionava davvero poco prima di fare domanda all'università. Dovevo costruire la mia indipendenza.
Le sorrisi e le baciai il naso, sapevo quanto lo piacesse, e poi decidemmo di vestirci per andare a prendere Kaori.
Ma, quando ci alzammo dal letto, anche a Sana squillò il telefono.
Quanto volevo trasferirmi in un'isola deserta!

Pov Sana.

Guardai lo schermo del cellulare che lampeggiava sul comodino. Era Rei, ma non sapevo se rispondere o lasciarlo squillare a vuoto.
Akito mi passò il telefono, capendo la mia indecisione. "Rispondi." mi ordinò.
Pigiai il tasto verde e, senza neanche lasciarmi il tempo di parlare, Rei mi urlò di accendere la televisione.
"Perchè, che succede?". Andai verso la cucina, seguita da Akito.
"Tu fallo e basta."
Accesi la tv, come mi aveva chiesto, e rimasi sbigottita alla vista di Miyazaki che indiceva una conferenza stampa. Era su tutti i canali.
"La signora Kurata ha avuto le sue ragioni per decidere di abbandonare il mio progetto, ma senza di lei non ci sarà alcun film, quindi annuncio pubblicamente che voglio mettere da parte per un po' questa pellicola e attendere che Sana Kurata torni sui suoi passi, perchè è un attrice di talento e muoio dalla voglia di lavorare con lei."
Le sue parole mi investirono come un treno, era stato così dolce durante il nostro colloquio e mi dispiaceva deluderlo, visto che si era mostrato così disponibile nei miei confronti.
"E adesso viene la parte migliore." sentii dire a Rei dal telefono. Stava sogghignando.
"Ci dica, signor Miyazaki, è un caso che Shuzo Goro sia stato licenziato proprio subito dopo l'abbandono di Sana Kurata?"
Il sangue mi si gelò nelle vene. L'aveva licenziato.
"Si, è un puro caso. Io e il signor Goro abbiamo avuto una piccola divergenza d'opinione su come gestire il personaggio che avrebbe interpretato, quindi abbiamo preferito interrompere il nostro rapporto professionale. Adesso, nell'attesa della decisione, spero positiva, della signora Kurata, stiamo cercando qualcuno di più vicino alle mie esigenze, per così dire. Ma lo ribadisco: non vedrete mai questo film senza Sana Kurata, e io sono disposto ad aspettare tutto il tempo che lei vorrà. Ho tante altre sceneggiature già pronte per essere mandate alla casa cinematografica, attendere non sarà un problema."
Mi veniva da piangere. Aveva licenziato Goro per me, anche se aveva dissimulato la cosa. Ci teneva davvero che fossi la sua protagonista e la cosa mi faceva commuovere.
"Hai sentito? Lui vuole te! Sana dimmi che posso chiamare per dare la conferma della tua partecipazione!".
La voce di Rei era lontana, poi mi accorsi che era perchè il telefono era tra le mani di Akito che, subito, se lo portò all'orecchio.
"Sagami, ti richiama.". Chiuse la telefonata e spense la televisione davanti ai miei occhi.
"Cosa pensi?" gli chiesi, speranzosa che non mi attaccasse.
Lui si strizzò gli occhi con le mani e poi mi guardò.
"Penso che impazzirò nel vederti recitare in quel ruolo, ma il discorso di seguire le proprie passioni non vale solo per me.". Ripetè volutamente le mie parole di poco prima.
Non credevo di poterlo amare di più. "Devi accettare, Sana. Ho letto il copione, è una storia troppo profonda per finire tra le mani di qualche attricetta frivola. Sei tu Miya. E poi l'hai sentito il tizio qui... senza di te non ci sarà nessun film."
Mi rivolse un sorriso meraviglioso, cercando di infondermi tutta la fiducia che mi stava dando e io volevo solamente renderlo fiero di me. L'unico modo che avevo per farlo era partecipare a quel film e dimostrare a tutti che Sana Kurata era cresciuta non solo fisicamente ma anche e. soprattutto, artisticamente ed era pronta a dimostrarlo a tutti quelli che dicevano il contrario.

*
Ero stata contattata da una famosa azienda di lingeriè per essere il volto della loro nuova campagna, e avevo accettato approfittando dell'onda delle dichiarazioni di Miyazaki per trovare più ingaggi possibili. Erano giorni ormai che le mie giornate erano occupate tra le foto e preparativi della partenza di Akito che, anche se non lo davo a vedere, mi preoccupava abbastanza. La sua lontananza mi sembrava già insopportabile e non riuscivo nemmeno a pensare come sarebbe stato non vederlo per un mese intero.
"Mi raccomando Kurata, vai da Natsumi almeno una volta a settimana e porta con te Kaori. Assicurati che mio padre mangi, chiamalo ogni giorno se necessario e non incendiare casa, ti prego."
Akito continuava a darmi raccomandazioni da più di mezz'ora, e io continuavo ad ignorarlo. Mi aveva già riempito la testa con mille cose che avrei sicuramente dimenticato non appena lui avesse varcato la soglia e lasciato casa nostra.
Ci abbracciammo ancora, poi lui si staccò leggermente e mi stampò un bacio sulle labbra. Leggero, delicato, perchè sapevamo che, se avessimo cominciato a baciarci per davvero, non saremmo stati in grado di fermarci.
"Adesso vado." disse senza staccarsi.
"Vai."
Si avventò su di me con forza, chiudendo la porta alle mie spalle e baciandomi con foga, insinuandosi nella mia bocca come se gli fosse mancato l'ossigeno e io fossi stata l'unica in grado di dargliene un po'. Ricambiai il bacio, stringendomi a lui con tutta la forza che avevo in corpo tanto da conficcargli le unghie nel collo.
Mi accarezzò i capelli e mentre ci baciavamo sospirò ancora, come se si stesse trattenendo, e io avrei voluto chiudere a chiave la porta e non lasciarlo mai andare via.
Non potevo, quindi provai con tutta me stessa ad allontanarmi. Lui opponeva resistenza e a me venne da ridere, poi capì che facevo sul serio.
"Ho capito, va bene, me ne vado."
Aprii di nuovo la porta e lui prese la sua valigia, nel frattempo lanciata da qualche parte nell'ingresso, e finalmente uscì da casa. Lo guardai con gli occhi che mi si stavano riempiendo di lacrime. Mi sentivo ridicola, in fondo stava andando via per poco più di un mese, ma dopo tutto quello che avevamo affrontato stare senza di lui mi sembrava una tortura.
"Ci vediamo, Kurata.".
Salì sul taxi e andò via, lasciandomi solo con quello sguardo. Sarebbe stato quello sguardo a darmi la spinta per concentrarmi sul mio lavoro, perchè se Akito aveva finalmente trovato il suo punto di svolta, il mio era rappresentato da quel film e avrei dato tutta me stessa perchè fosse l'esperienza più stimolante della mia carriera.

Pov Akito.

Dopo due settimane lontano da Tokyo mi sentivo allo stesso tempo spensierato e preoccupato. Lo stage al laboratorio mi piaceva ogni giorno di più, i professori che se ne occupavano avevano solo belle parole per me e avevo capito che era proprio quello che volevo fare nella mia vita. D'altra parte però, la campagna pubblicitaria che Sana aveva appena terminato, mi stava creando non pochi problemi. Osaka era tapezzata dalle sue fotografie in lingerie, tutti potevano vedere mia moglie mezza nuda, e io non potevo far altro che calare la testa e tacere, perchè era il suo lavoro e non potevo interferire. In realtà, era proprio quello che volevo. Ogni giorno i miei compagni non facevano altro che fare apprezzamenti su di lei, li sentivo commentare il suo culo o le sue tette e cercavo di contenermi più che potevo, ma era difficile. Nessuno di loro sapeva che io e Sana eravamo sposati, avevano sentito del suo matrimonio ma, fondamentalmente, non avevano mai visto una mia immagine da nessuna parte.
Josuke e Hiroto entrarono nella mia stanza stringendo una bottiglia di vino tra le mani. Erano gli unici due che riuscivo a tollerare.
"Hayama, ma non ti rompi mai di fare l'imbronciato? Divertiti con noi ogni tanto!" disse Hiroto, accomodandosi sulla poltrona che avevo in camera. Josuke invece prese posto sul letto, accanto a me.
Gli lanciai un cuscino addosso e loro scoppiarono a ridere.
"Non avete di meglio da fare che rompere i coglioni a me?"
"Bè... effettivamente potremmo uscire e divertirci, ma non sia mai che lasciamo il signor Hayama a deprimersi da solo."
Fulminai con lo sguardo Josuke e lui smise subito di parlare.
"Ok, ok. La smetto. Ma tu dovresti scioglierti un po', divertiti! E' appena arrivato un pullman di modelle russe, noi pensiamo di buttarci. Tu che fai, ti unisci?"
Scossi la testa, e Hiroto si alzò dalla poltrona. "Non posso." risposi a denti stretti.
I ragazzi scoppiarono a ridere, ma io non avevo affatto voglia di ridere, volevo solo fare le valigie e tornare a casa. Sana mi mancava, e non riuscivo a pensare ad altro. In più, i commenti dei miei compagni mi stavano facendo impazzire.
Me la scoperei volentieri.
Chissà che tette.
Una troietta così... non la farei uscire dalla camera da letto per giorni.

E io non potevo dire niente. Non smettevano di parlare nemmeno per un attimo. Ryozo era il peggiore, non faceva altro che torturarmi perchè, anche se non capiva il motivo, si era accorto che le sue parole facevano scattare la mia rabbia. Il mio telefono squillò, mi fiondai a prenderlo dalla scrivania, e vidi che era Sana a chiamare.
Onestamente ero indeciso se risponderle o meno, non ero arrabbiato con lei ma mi infastidiva troppo il fatto che il suo lavoro mi mettesse in difficoltà. Comunque, dopo qualche squillo di troppo, pigiai il pulsante verde e portai il telefono all'orecchio.
"Pronto?" dissi, sperando di riuscire a nascondere il mio nervosismo.
"Ciao, straniero! Come sta andando la serata?"
La voce squillante di Sana mi colpì dritto al cuore, lei era tranquilla e serena, mentre io continuavo a crearmi problemi per qualcosa che dovevo solo imparare ad accettare.
Aprii la porta della mia stanza e andai nel corridoio, appoggiandomi al muro. "Abbastanza bene, e la tua?".
Non mi rispose subito e, nel frattempo, sentii un tonfo. "Sana, ma cosa stai combinando?".
Lei scoppiò a ridere, contagiandomi. "Scusami, Aki, sono appena tornata a casa e stavo cercando di togliermi le scarpe."
"E sei caduta, ovviamente." finii la frase per lei, sentendo la sua risata piena. Quanto mi mancava vederla ridere...
Non pensavo che tre settimane potessero sembrare così infinite quando ti manca qualcuno che ami.
"Sei strano, Hayama. Cosa è successo?".
Ammutolii all'istante, non riuscivo a dire nulla, perchè non capivo come potesse essere possibile che riuscisse a capire il mio stato d'animo anche a chilometri di distanza.
Comunque negai. "Nulla, perchè?".
La discussione si fece seria, e io sapevo già che sarebbe finita con un litigio.
"Nulla? Lo sento da qui che c'è qualcosa che non va."
"Giuro, Kurata, non è successo nulla."
Non sapevo cosa dirle, perchè in realtà non era davvero successo nulla, eppure non ero in grado di mettere da parte i miei pensieri.
"E' per le foto?". Rimasi in silenzio, ma lei aveva già capito tutto. "Avevi detto che ci avresti provato..." sussurrò Sana, e sentivo tutta la sua delusione.
"No... Senti Sana, non sono io che scelgo le persone con cui passare questo periodo, e mi sono ritrovato con gente che non fa altro che rompermi con dei commenti su di te e il fatto che la città sia tapezzata di cartelloni con le tue foto, mezza nuda, non aiuta di certo la situazione.". Buttai fuori tutto d'un fiato, senza pesare le parole e me ne pentii immediatamente. Dovevo smetterla di farla sentire in colpa per il suo lavoro!
"Che genere di commenti?".
Sbuffai, tirando indietro la testa sul muro. "Non ha importanza, Sana. Non voglio litigare o farti sentire in colpa, voglio solo che questo stage finisca e tornare a casa." conclusi infine, cercando di essere convincente.
Lei rimase il silenzio.
"Akito, che genere di commenti?" chiese di nuovo. Non potevo nasconderglielo nemmeno volendo, perchè avrebbe minato l'inizio del nostro rapporto.
"Commenti molto pesanti, Sana. Qui tutti sognano di entrare nelle tue mutande, lo capisci? Per me è estenuante!".
"Cerca di non ascoltarli allora!" urlò lei, agitandosi. Non volevo litigare, ma lei mi costringeva.
"E come dovrei fare esattamente? Tappandomi le orecchie? Devo lavorarci ogni dannato giorno con questi imbecilli! E anche se ti avevo promesso di provarci, non credo di esserci riuscito, ok?".
Sana non disse nulla, la mia sfuriata doveva averla colpita e soprattutto ferita, perchè non capitava spesso che lei restasse senza parole.
Mi sentivo un verme, per averla trattata in quel modo quando lei non si meritava affatto il mio atteggiamento rancoroso.
"No.. Sana, scusa..." sospirai.
"No, Akito, hai ragione. Non ci sei riuscito affatto."
Mi chiuse il telefono in faccia e io rimasi lì, appoggiato al muro, aspettando il momento in cui la mia vita sarebbe tornata alla normalità.


Pov Sana.

Ero esasperata. Stanca. Non riuscivo nemmeno a pensare lucidamente. Akito era arrabbiato con me, con me che non facevo altro che sacrificarmi per lui!
Lo avevo sposato, dannazione!
Mentre la mia vita sentimentale andava in pezzi, a Kaori venne la felice idea di mettersi a piangere, quindi mi fiondai nella sua camera e la presi in braccio, cercando di calmarla.
Le diedi il ciuccio e lei sembrò smettere, quindi andai a sedermi sul divano, mentre la cullavo dolcemente.
"Cosa devo fare con tuo zio, piccolina?".
Lei mi guardò con quegli occhioni ambrati, quasi uguali a quelli di Akito. Quasi, perchè i suoi erano leggermente più scuri mentre quelli dello zio molto più tendenti al color miele.
Sbuffai. Aspettavo una chiamata da Rei che, ovviamente, non si decideva ad arrivare. L'azienda che mi aveva ingaggiato per la campagna pubblicitaria di intimo mi aveva proposto un secondo servizio fotografico non appena avessero preparato la collezione primaverile, fra un mese o due, quindi Rei doveva confermarmi o meno la loro richiesta.
Arrivai alla conclusione che il mio lavoro sarebbe stato sempre un problema tra me e Akito, un enorme macigno che rischiava di caderci addosso e di schiacciare il nostro rapporto. Non potevo rinunciare ai miei sogni, nemmeno per l'amore che provavo per lui, e mi sembrava quasi di essere egoista. Ma, cosa c'era di male nell'avere degli obiettivi? Lui ne aveva tanti, e anch'io dovevo sentirmi appagata.
Perchè non lo capiva? Cos'era che lo rendeva così insicuro?
Forse pensava che non lo amassi abbastanza. Ma io lo amavo, e tanto, e non sopportavo che lui pensasse il contrario. Non era stato forse a causa del troppo amore che avevo deciso di sposarlo e di fare da madre a sua nipote e, non era per lo stesso motivo, che non avevo pensato neanche per un attimo a chiedergli di rinunciare a questa opportunità ad Osaka, nonostante sapessi che sarei restata sola a gestire una bambina di pochi mesi? Quando si ama la felicità della persona che ti sta vicino ha la priorità, possibile che Akito non capiva che il mio lavoro era parte di me e che avevo voglia di dimostrare che i ruoli che mi venivano assegnati esulavano dal mio aspetto fisico, perchè dietro c'erano stati sacrifici, rinunce e tanto studio.
Kaori si era quasi addormentata, le sfiorai la guancia paffuta e sentii la sua pelle liscia contro le mie dita.
"Oh, tesoro... cosa posso fare? Devo andare da lui?".
Quando le feci quella domanda, anche se stava dormendo, Kaori emise un suono che la mia mente interpretò come un si.
Non dovevo perdere tempo.

*

Ci avevo impiegato letteralmente una vita ad arrivare ad Osaka, avevo dovuto lasciare Kaori a casa di mia madre e poi recuperare il necessario per passare almeno tre giorni fuori casa.

Mi sentivo nervosa in modo quasi imbarazzante, non sapevo se ad Akito avrebbe fatto piacere vedermi o se si sarebbe arrabbiato perchè non lo avevo avvertito.
Rei mi aveva fatto milioni di storie perchè voleva accompagnarmi, ma in macchina ci avrei impigegato il doppio del tempo e in più avrei dovuto sentire le sue ramanzine indesiderate. Arrivata alla stazione di Tocho Mae, cercai l'uscita più vicina e provai a trovare un taxi, che si accostò davanti a me pochi minuti dopo.
"Mido-Suji, blocco 15, per favore."
Il taxista mi sorrise e avviò il tassametro. Non era tardi, le settedi sera passate, e l'indirizzo dell'hotel di Akito era abbastanza distante dalla stazione. Quello mi diede il tempo di riflettere un po' sul da farsi, su come presentarmi davanti a lui e come spiegargli il motivo della mia visita.
La città di sera era stupenda, ci ero stata tante volte ma sempre per lavoro quindi non mi ero mai soffermata a guardare la sua bellezza.
Quando arrivammo a destinazione pagai la corsa e salutai il tassista, ritrovandomi davanti l'imponente edificio. Ero terrorizzata, ma dovevo farmi coraggio, perchè dovevo assolutamente salvare il nostro matrimonio.
Entrai in albergo e andai verso la reception, mentre una signora seduta su una poltroncina mi fissava, come se si stesse chiedendo se ero veramente io o se mi stava scambiando per qualcun'altra.
"Buona sera signorina." dissi alla ragazza annoiata che, non appena mi vide, sfoderò il suo miglior sorriso.
"Ma... ma tu sei...?" urlò, battendo le mani come una ragazzina.
"Ti prego, ti prego! Non urlare, non voglio che qualche giornalista arrivi qui a rovinarmi la serata.".
Kiki, così diceva il suo cartellino, si zittì immediatamente ma continuò a sorridermi. "Certo, tutto quello che vuoi! Cosa posso fare per te? Posso darti del tu, vero?"
Era dolce, quindi ricambiai il sorriso e parlai a bassa voce, cercando di non farmi sentire dal gruppo di ragazzi che stavano nella hall e che continuavano a fissarmi.
Forse erano quelli i compagni di Akito.
"Quei ragazzi sono i partecipanti al progetto di archeologia?".
Lei annuì, guardandoli, poi aggrottò le sopracciglia. "Si, ma credo ne manchi uno: un biondino davvero niente male." sussurrò Kiki. Mi venne istintavamente da ridere.
"Hai bisogno di qualcos'altro?" mi chiese Kiki, mentre io fissavo quei ragazzi che a poco a poco si andavano avvicinando.
"No, va bene così per adesso..." dissi allontanandomi per sedermi al bar adiacente alla reception.
Mentre sorseggiavo il mio drink vidi il gruppo di ragazzi avvicinarsi al bar, ordinare e poi sedersi intorno ad un tavolo. Li osservai per un po' e notai che oltre ad Akito mancava qualche altro componente del gruppo. Mi feci coraggio e decisi di avvicinarmi con finta noncuranza. Gli passai vicino, studiando ogni mio movimento, ordinai un altro analcolico e mi sedetti allo sgabello, accavallando le gambe, lasciate un po' scoperte dal vestito. Alcuni di loro mi guardarono in modo lascivo e quando mi riconobbero gli apprezzamenti pesanti si sprecarono, credendo di non essere sentiti. Adesso capivo Akito, doveva assere difficile per lui controllare la rabbia e fare l'indifferente, sentendo quei commenti piccanti su di me. Uno di loro si avvicinò a me e mi disse che lui ed i suoi amici avrebbero avuto piacere se avessi accettato di sedermi con loro. Era incredibile l'effetto che la notorietà avesse sulle persone, portandole a distorcere la realtà: per loro ero una ragazza da copertina, un oggetto delle loro più intime fantasie, non mi avrebbero mai visto come Sana Kurata, una semplice ragazza, ma solo come l'immagine di un cartellone pubblicitario o di uno spot. Cominciarono a riempirmi di domande e io gli raccontai che quel viaggio fuori porta non era previsto, ma avevo deciso di rimandare vari impegni lavorativi per fare una sorpresa a mio marito, perché erano, ormai, tre settimane che eravamo lontani. Uno di loro si fece coraggio e mi domandò cosa ci avesse spinti a sposarci così giovani. Uno dei ragazzzi che non aveva smesso di farmi i raggi x da quando ero arrivata, non perse occasione per fare una battuta offensiva, affermando che era più che evidente il motivo per cui mio marito avesse voluto sposarmi, accompagnando queste affermazioni, con gesti molto eloquenti. Lo fulminai con lo sguardo e gli dissi che era questo il motivo per cui si sarebbe dovuto accontentare di una semplice immagine, mentre mio marito avrebbe avuto la versione in carne ed ossa. Mentre gli altri ragazzi si scusavano per il comportamento inopportuno del loro amico, sentii il rumore delle porte dell'ascensore che si aprivano e, da quelle uscì un Akito con la faccia imbronciata e annoiata. Quando i nostri occhi si incrociarono il cuore cominciò a martellarmi nel petto e, immediatamente, mi alzai per corrergli incontro. Mi strinse forte, mi sollevò da terra e mi baciò. Quando si accorse che il mio vestito, nella foga del momento, si era alzato, mi mise a terra e riprendemmo coscienza che non eravamo soli, diversi occhi ci fissavano. Akito mi presentò e decidemmo di restare a cenare con loro, nonostante cercasse ogni scusa per potermi sfiorare, per realizzare che ero lì, finalmente, in carne e ossa. A fine serata l'atmosfera era ormai rilassata e, quando Akito mi strinse la mano, capii che era arrivato il momento di ritirarci in camera, finalmente.
In ascensore, quando ci ritrovammo da soli, mi voltai di colpo, incrociando i suoi occhi dopo ben tre settimane di tortura. Gli gettai le braccia al collo, baciandolo con foga.
Mi aggrappai a lui con tutta la forza che avevo, e me ne fregavo se la gonna mi lasciava praticamente quasi nuda, me ne fregavo che i giornalisti avrebbero assediato l'albergo entro un'ora al massimo, volevo solo stringermi ad Akito senza preoccuparmi dei miei o dei suoi problemi. Eravamo solo io e Akito, il resto del mondo non mi importava.
"Ma che cosa ci fai qui?" mi chiese lui, scostandosi leggermente tanto da potermi guardare negli occhi.
"Sono venuta per un certo biondino di cui la receptionist è segretamente innamorata." bisbigliai, a pochi centimetri dalla sua bocca.
Pochi minuti dopo eravamo in camera sua. A giudicare da come mi aveva accolta doveva essere felice di vedermi, ma forse era solo l'euforia del momento e mi avrebbe scagliato addosso tutta la sua ira non appena avesse realizzato che ero lì per farmi perdonare.
Perdonare cosa, poi? Non lo sapevo.
Si avvicinò mentre io mi distendevo sul suo letto, piccolissimo rispetto a quello di casa nostra, e mi stiracchiavo cercando di sciogliere i nodi alla schiena dovuti al viaggio stancante.
Me lo ritrovai improvvisamente addosso, troneggiava su di me in tutta la sua bellezza, e io mi sentivo così spaventata da ciò che avrebbe potuto dire. Non eravamo ancora in grado di definire a pieno la nostra storia, insomma ci amavamo, ma non eravamo di certo bravi ad essere marito e moglie.
Non ancora, almeno.
"Quindi... ti sei fatta quattro ore di treno solo per venire a trovarmi?". Si sporse verso di me e mi diede un bacio a fior di labbra. Io annuii, sorridendo mentre le nostre bocche si sfioravano.
"Mi mancavi." sussurrai tra un bacio e l'altro. "Pensi che i tuoi compagni la smetteranno di darti fastidio adesso?".
Akito sbuffò, poggiandosi su un fianco accanto a me. "Spero di si. O dovrò ucciderli, visto che adesso non sei più una semplice fotografia da osservare."
Gli sorrisi, avvicinandomi a lui. "Esattamente, quanto ti sono mancata?"
Con un gesto repentino mi afferrò e mi portò su di lui, colmando la distanza che ci separava baciandomi.
Volevo che quella notte fosse speciale, finalmente la notte che avevamo aspettato per anni, mentre il nostro rapporto cresceva e si evolveva senza che noi ci accorgessimo dell'amore che ci aveva sempre tenuto legati. Eravamo dei bambini, inesperti e ingenui, che avevano affrontato sin troppe tragedie nella loro vita per rendersi conto di quanto l'altro fosse importante.
Lo amavo così tanto... ma dovevo essere sincera con lui.
"Mi hanno ingaggiato per un altro servizio fotografico mentre eri via." Il suo sguardo cambiò, ma non sembrava arrabbiato, semplicemente mi ascoltava attentamente. "Sarà per la collezione primaverile." terminai.
Akito annuì, accarezzandomi piano i capelli e spostandoli dietro le orecchie. "Va bene così, Sana. Avevi ragione tu."
Rimasi ferma per un secondo sentendo quelle parole. Mi stava dando ragione? Ma si sentiva bene?
"Sei sempre stata comprensiva con me. Mi hai aiutato con Kaori, quando non eri tenuta a farlo. Mi hai sposato. Non voglio rischiare di perderti per una sciocchezza come questa. Non siamo più i ragazzini di un tempo, adesso siamo adulti, dobbiamo smetterla di scappare."
Lo ascoltai attentamente, analizzando ogni singola parola, e una lacrima mi scese involontariamente.
Lo abbracciai così forte che credetti di averlo soffocato, ma volevo solamente essere sua. Sua per davvero.
"Facciamo l'amore." dissi tutto d'un fiato, senza accorgermi davvero delle parole che avevo appena pronunciato.
"Ma.. Sana...". Lo zittii immediatamente.
Era il momento giusto. Lui era la persona giusta. L'unica persona che volevo al mio fianco, che volevo ricordare per sempre.
"Ti prego." sussurrai infine.
Akito sembrava indeciso su cosa fare, se darmi ascolto o aspettare ancora un po', perchè probabilmente credeva lo dicessi solamente per la felicità che provavo in quel momento.
Decisi di prendere l'iniziativa, mettendomi a cavalcioni su di lui. "Ti prego." ripetei, baciandolo.
Akito sembrò convincersi, e prese ad accarezzarmi lentamente sui fianchi, dove la maglia si alzava leggermente. Annuii, in risposta alla sua domanda taciuta, e lui mi sfilò la maglia dalla testa. Io smisi di baciarlo il tempo necessario per fare lo stesso, ritrovandomi davanti quel corpo che per così tanto tempo avevo avuto davanti senza vederlo per davvero.
"Non voglio che sia stasera." disse con un gemito. La delusione si impadronì di me, avevo fatto tutto quel viaggio per stare con lui, e mi respingeva?
"Voglio che sia tutto perfetto. Voglio andare prima a cena, vederti indossare un bel vestito...". Si avvicinò per baciarmi, e io gli sorrisi, cercando di accettare il suo discorso. "Voglio avere l'onore di togliertelo e di passare tutta la notte con te."
Gli saltai addosso e lo abbracciai, stringendolo a me più forte che potevo. Era l'unica cosa vera e pulita che avevo sempre avuto e volevo anch'io che fosse tutto perfetto, quindi annuii.
"Va bene, Akito..." sussurrai tra le sue braccia.
"Adesso dormiamo, sarai stanca.".
Si preoccupava per me in ogni modo possibile e io mi chiedevo se avessi mai potuto trovare qualcuno che tenesse a me in quel modo, che si interessasse alle piccolezze. Lo guardai adorante, lui si accorse dell'insistenza del mio sguardo e si voltò, sfoderando un'espressione interrogativa.
"Che c'è?".
Sorrisi, scuotendo la testa. "Ti amo. Tutto qua." ammisi infine.
Akito sorrise, sdraiandosi accanto a me e abbracciandomi. "Buonanotte Kurata."
Ci addormentammo in quella posizione, cullati dalla consapevolezza che la sera successiva ci saremmo appartenuti per davvero.


Pov Akito.

Guardavo il petto di Sana alzarsi e abbassarsi ritmicamente, mentre lei era ancora nel mondo dei sogni e io mi ero svegliato ore prima. Mi capitava spesso di guardarla dormire, e ogni volta mi stupiva sempre di più.
Fece un gemito, spostandosi e tirando le lenzuola per coprirsi meglio. La bocca rossa era leggermente aperta, e il labbro inferiore era gonfio e lucido per via dei baci che ci eravamo scambiati per tutta la notte.
Fuori c'era un po' di trambusto, ma inizialmente pensai che fosse dovuto all'arrivo di un nuovo gruppo di turisti. Quando mi alzai e andai alla finestra mi accorsi che i turisti non c'entravano niente e che l'ingresso dell'albergo era assediato dai giornalisti.
"Non ci credo..." dissi tra me e me, portandomi una mano tra i capelli, confuso dalla situazione e dalla ricerca di un modo per risolvere quel problema. Era un casino.
Mentre camminavo avanti e indietro davanti al letto in cui Sana ancora dormiva beatamente, bussarono alla porta. Andai ad aprire e mi ritrovai davanti Josuke, ancora mezzo addormentato ma con la rabbia dipinta in volto.
"Fuori è pieno di giornalisti, Hayama.".
"Zitto." lo bloccai, indicando Sana a letto. "Sta ancora dormendo, usciamo."
In corridoio mi spiegò che era tutta opera di Ryozo, aveva chiamato i giornalisti e se n'era pure vantato, il bastardo.
"Non so nemmeno se qualcuno lo ha aiutato, so solo che dopo aver fatto una telefonata quegli avvoltoi si sono presentati qui sotto." disse con un'espressione corruciata in volto. Annuii, consapevole che bastava un niente per attirare l'attenzione della stampa, soprattutto quando si parlava di Sana.
"Lo sapevo che quel bastardo avrebbe fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote."
Sbuffai. "Fammi un favore: vai a parlare col direttore, digli che ho bisogno di un'uscita d'emergenza sicura e di una macchina a quell'uscita. Fra poco scendo io e organizzo tutto."
Josuke annuì e corse verso l'ascensore, lasciandomi solo a organizzare i miei pensieri. Rientrai in camera e, non appena aprii la porta, trovai Sana già vestita e con la borsa pronta tra le mani.
"Già sveglia?"
"Ho sentito voci e confusione, ho aperto la finestra e, come per magia, l'incubo della mia vita si è materializzato di nuovo." disse sorridendo, ma con una punta di fastidio nella voce.
"Mi vesto e ce ne andiamo."
Corsi in bagno, presi le prime cose che trovai nei cassetti e, dopo aver preso un po' di soldi dalla cassaforte dell'albergo io e Sana uscimmo dalla camera.
Il direttore ci riservò un'uscita di sicurezza che usammo per aggirare i giornalisti, e in pochi minuti ci ritrovammo in macchina.
"Dove andiamo?" chiese Sana sorridendo, eccitata dalla giornata che avremmo passato insieme.
"E' una sorpresa." risposi, ricambiando il sorriso.
Avevo in mente qualcosa che Sana non avrebbe dimenticato tanto presto.

*

Sana continuava a chiedermi dove la stessi portando, mentre camminava bendata, guidata solo dalle mie mani.
"Fai le sorprese in grande stile tu, eh?". Camminava inciampando ogni tanto, quindi facevo ben attenzione a dove le facevo mettere i piedi, per evitare di vederla rovinare a terra. Era molto elegante, anche se i suoi capelli erano tutti arruffati, ma in ogni caso non riusciva a nascondere la sua bellezza. Non avrebbe potuto nemmeno se ci avesse provato.
"Vieni avanti. Ancora. Ancora." continuai a guidarla fino a che non ci ritrovammo davanti al cancelletto d'entrata.
Avevo preparato tutto. Negli ultimi mesi ci ero venuto spesso, per sistemare le pareti, ridipingere e arredare tutta la casa. Ne avevo parlato con mio padre dopo l'arrivo di Kaori a casa, e lui mi aveva aiutato a non far capire nulla a Sana.
"Akito, ora basta." disse fermandosi davanti alla porta di casa. "Dimmi dove siamo.".
La trascinai più avanti e poi aprii la porta. "Siamo in un posto molto speciale." risposi io, entrando e accendendo la luce.
Sana continuava a muoversi in modo scordinato, mi venne da sorridere nel guardarla. Era nervosa e si vedeva.
Le ripresi la mano, avvicinandola alla porta.
"C'è un gradino qui.". Lei alzò subito il piede e per poco non cadeva, quindi l'afferrai e i nostri corpi scivolarono l'uno sull'altro. Le posai un leggero bacio sulle labbra, lei mi sorrise e il fatto che non potessi guardarla negli occhi era confortante, almeno non avrebbe potuto vedere la tensione che sentivo addosso in quel momento.
"Vieni, andiamo." le sussurrai a un millimetro dalla bocca, poi le presi la mano e la trascinai per tutta la casa, fermandomi in salotto. L'avevo preparato in ogni dettaglio, ogni mobile, ogni quadro, ogni singolo oggetto che c'era in quella casa era stato scelto con cura e pensando sempre e solo a lei.
"Sbaglio o sento il rumore del mare?" squittì Sana, eccitata perchè adorava andare in spiaggia, ed era proprio per quel motivo che quando mio padre mi aveva detto della casa a Sandanbeki, mi ero subito prodigato per rimetterla in sesto.
Ormai la mia vita era un susseguirsi di scelte fatte in funzione di Sana.
La feci mettere davanti alla finestra, lasciandola lì per un paio di minuti mentre mi guardavo attorno per controllare che tutto fosse perfetto. Poi tornai dietro di lei e, lentamente, le tolsi la benda.

Pov Sana.

Lo spettacolo che mi si mostrò davanti era mozzafiato. Il mare si scontrava piano con la sabbia, il rumore delle onde era ipnotico, e io pensai di essere in paradiso.
Akito era dietro di me, mi cingeva la vita tenendo ancora tra le mani la benda, sentivo il suo respiro alle mie spalle, che mi sfiorava il collo. Il mio corpo sembrava recepire anche il minimo movimento del suo, e mi stupii di non averlo mai notato prima. Le mie terminazioni nervose lo cercavano, lo sentivano, lo percepivano più di qualsiasi altra cosa.
"E' stupendo.." sussurrai voltandomi verso di lui e incrociando i suoi occhi ambrati. La luce del sole colpiva le sue iridi e creava sfumature che andavano dal nocciola al dorato, un meraviglioso gioco di colori che rimasi incantata a guardare.
"Sapevo che ti sarebbe piaciuto." si limitò a dire lui, stringendomi ancora di più a lui. Avrei voluto che quel momento non finisse mai, che potessimo dimenticare le nostre vite e i nostri problemi per rimanere in quella casa per sempre.
Mi avvicinai a lui, baciandolo prima lentamente e poi con tutta la passione che avevo in corpo. La sua bocca si posò leggera sulla mia, la sua lingua tracciò piano i contorni delle mie labbra fino a farle schiudere come se volesse convincermi. Avrei mai potuto resistergli, in ogni caso?
Mi sembrava impossibile.
Ogni istante che passavo con Akito era una secchiata d'acqua gelida, sapevo di amarlo con tutta me stessa ma non sapevo quanto quell'amore potesse distruggermi.
Le sue mani scesero sui miei fianchi, facendomi venire la pelle d'oca in ogni parte del corpo. Gli gettai le braccia al collo e lascia che la me più intima prendesse il sopravvento: volevo essere sua e lo volevo in quel momento.
Ma Akito non era della stessa opinione, e lo sapevo, voleva che fosse tutto perfetto, per me, perchè mi amava. E io non volevo togliergli quella soddisfazione.
Mi staccai lentamente, sorridendogli mentre gli passavo la mano tra i capelli già arruffati. Ricordai che voleva cenare insieme, passare una bella serata, e io volevo solo avere la possibilità di stare con lui più tempo possibile, prima di tornare alle nostre vite.
"Allora... questa cena?" dissi quasi senza fiato. Akito accennò un sorriso e si staccò velocemente da me, andando verso il corridoio. Non mi aveva ancora mostrato la casa quindi non sapevo dove stesse andando.
Quando tornò aveva indosso un grembiule da cuoco e sembrava davvero convinto di mettersi ai fornelli.
Non aveva avuto il tempo di andare prima alla casa e cominciare a preparare, ma cercai di sgomberare la mente per essere totalmente concentrata su di lui e sulla nostra serata.
Mi accompagnò in camera, al centro c'era un enorme letto matrimoniale. L'arredamento era molto rustico, l'avevo notato anche in soggiorno, e mi piaceva tutto di quella casa. Forse perchè era un po' il nostro rifugio.
"Questa è la camera da letto. Puoi posare tutto qui e raggiungermi in cucina quando sarà tutto pronto."
Mi voltai per rivolgergli uno sguardo di sconcerto.
"Stai scherzando, spero." dissi mentre mi liberavo della borsa e della giacca. "Non lascerò che la nostra cena sia nelle tue mani."
Akito sbuffò e si diresse verso la cucina, sapendo perfettamente che lo avrei seguito di lì a poco.
Mi accomodai sul letto per un attimo, cercando di mettere a posto i pensieri che affollavano la mia mente. Poggiai una mano sul mio petto, ascoltando i battiti del mio cuore che minacciava di strappare la pelle e uscire fuori.
Tutto sarebbe cambiato, io sarei cambiata. Però volevo cambiare, ero pronta. Volevo appartenere a qualcuno, e quel qualcuno era Akito e sarebbe stato sempre e solo lui, di questo ne ero certa. Decisi di cambiarmi, non ero abbastanza comoda con i jeans quindi presi un vestito in jersey dalla borsa e lo indossai, togliendomi le scarpe e rimanendo a piedi nudi.
Andai verso la porta e la aprii, trovandomi in corridoio. Feci un respiro profondo e mi incamminai verso la cucina, riconoscendola dalla luce accesa, mentre il cuore mi sobbalzava nel petto per farmi capire che, finalmente, ero felice.

*

Quando Akito mi vide i suoi occhi si illuminarono, mi fissò da testa a piedi e poi mi indicò la scodella piena di pezzetti di polpo che aveva tra le mani. L'avevo visto sorridere di più nelle ultime due ore che in tutta la nostra vita e il fatto che fosse a causa mia mi faceva sentire meravigliosamente bene. Quando riuscii a distogliere lo sguardo dal suo, notai che si era cambiato anche lui, indossando un paio di jeans strappati e una maglia bianca a maniche corte e che aveva lasciato i capelli ribelli, proprio come piacevano a me. Gli sorrisi e lui mi disse di avvicinarmi se volevamo mangiare in tempo.

"Takoyaki, eh?." commentai vedendo tutti gli ingredienti. Aveva pensato ad ogni dettaglio, ma ancora non mi aveva spiegato come avesse fatto ad affittare quella casa in così poco tempo.
Quando si sporse per prendere la farina e le nostre braccia si sfiorarono, glielo chiesi.
"No, in realtà è dei miei nonni. Sono... sono venuto ogni settimana per controllare i lavori di ristrutturazione."
Ricordai immediatamente che, ogni week-end, Akito mi lasciava a casa per qualche ora con la scusa di andare da Tsuyoshi.
"E tu hai fatto tutto questo, per me?" gli chiesi, senza neanche accorgermi quanto potesse suonare patetica quella domanda. Akito non rispose, si limitò ad annuire e a continuare a mescolare la farina con il brodo e l'acqua.
"Accendi la piastra." mi ordinò, e io feci come mi aveva detto.
Preparammo la cena in poco tempo, ridendo come due imbecilli per ogni pezzo di polpo che ci cadeva dalle mani per il troppo olio, o per la farina che mi era finita, ovviamente, sul naso.
Sorrisi pensando che quel ragazzo avrebbe fatto di tutto per me e che non avrei mai potuto ripagarlo per tutto l'amore che mi donava ogni giorno.
La serata passò velocemente, ridemmo tanto, così tanto che non immaginavo fosse possibile, e più stavo con lui più mi rendevo conto che tutte le riserve di cui mi ero fatta scudo negli anni erano state solo una scusa, che non avevo mai voluto vedere i miei sentimenti perchè ero terrorizzata da loro, proprio come ero terrorizzata in quel momento da ciò che sarebbe successo. Le conseguenze emotive sarebbero state devastanti se qualcosa fosse andato storto.
Ma cosa poteva andare storto quando l'amore che provavamo l'uno per l'altro era più forte di qualsiasi cosa?
Scacciai ogni pensiero, mi alzai dalla sedia e andai verso di lui, aggirando il tavolo. Sentii la temperatura e l'atmosfera cambiare, diventare più densa, e le mie guance andare in fiamme.
"Anche io ho una sorpresa per te." dissi tutto d'un fiato, cercando di non far trasparire il nervosismo nella voce.
Akito mi rivolse uno sguardo interrogativo, ma capendo che non era più il momento di scherzare, poggiò il tovagliolo lentamente sul tavolo, senza staccare gli occhi dai miei. "Abbiamo discusso tanto per la campagna pubblicitaria, per le foto in tutta la città e per la lingeriè che, in realtà, non abbiamo riflettuto abbastanza sul punto cruciale."
Akito annuì, rimanendo seduto e con lo sguardo in alto per raggiungere i miei occhi. Mi sentivo in imbarazzo e profondamente vulnerabile, ma dovevo reagire e superare le mie paure.
Portai le mani verso l'incavo delle spalle, toccando le spalline del vestito. Le abbassai velocemente, per non dare al mio cervello il tempo di sintetizzare la pazzia che stavo facendo. Quando il silenzio invase la stanza già silenziosa, gli occhi di Akito cambiarono immediatamente e, quando feci cadere il vestito ai miei piedi, in una pozzanghera di stoffa, smise di respirare.
"E quale sarebbe il punto cruciale, Sana?" chiese quando riprese finalmente a gonfiare il petto d'ossigeno.
"Che il mondo intero può solo guardarmi su un cartellone pubblicitario o su una rivista indossare questa biancheria, mentre tu..." esitai, non sapendo come dirglielo.
"Io?" mi incalzò, alzandosi finalmente dalla sedia.
"Tu puoi avere tutto.". Presi la sua mano e la poggiai sulla mia spalla nuda. Chiusi gli occhi nel sentire il suo tocco leggero sulla pelle e sospirai non appena la sua mano raggiunse la curva del mio seno.
Quando aprii gli occhi e incrociai lo sguardo di Akito, tutto il desiderio, tutta l'attesa, tutto l'amore che provavo per lui salì a galla ricoprendo ogni cellula del mio corpo. Gli circondai la vita con le gambe e con le braccia il suo collo, lo baciai come se la mia vita dipendesse da quello e lui fece lo stesso. Il contatto della mia pelle con i suoi vestiti mi diede i brividi e, quando sentii tutto quello che c'era sulla tavola cadere rovinosamente a terra, aprii gli occhi all'improvviso. Mi ritrovai sdraiata sul tavolo con Akito che troneggiava su di me, mentre cercavo di togliergli la camicia. Lui mi aiutò a sbarazzarmi della barriera di stoffa che ci separava.
Le nostre mani viaggiavano le une sul corpo dell'altro, mi sembrava di essere in paradiso, ma mi sbagliavo. Il paradiso arrivò quando Akito mise le braccia sotto le mie ginocchia e, senza smettere di baciarmi, mi portò in camera da letto, chiudendo la porta alle sue spalle.
Mi adagiò a letto e, prima di tornare sopra di me, si tolse i pantaloni rimanendo in boxer davanti ai miei occhi. Di solito si dice che il corpo nudo di un uomo non sarà mai bello quanto quello di una donna. In quel momento pensai che chi aveva detto quell'assurdità non aveva mai visto il corpo di Akito. Era perfetto. Le spalle larghe e la vita stretta rendevano la sua figura armoniosa e indiscutibilmente bellissima.
Akito si accorse che lo stavo fissando, ma non disse nulla. Si avvicinò lentamente, io cercai di non fare movimenti bruschi, ma dentro di me il desiderio di toccarlo si fece sempre più pressante, più insistente, costringendomi a mordermi il labbro per evitare di fare mosse avventate. Non volevo in alcun modo rovinare le cose.
Lo sguardo di Akito mi rese impossibile respirare, mi resi conto di stare trattentendo il fiato solo quando le nostre bocche si toccarono e fui costretta ad aprirla per accogliere la sua lingua, che spingeva sempre di più dentro di me togliendomi ogni possibilità di scelta. Ero sua, lo ero sempre stata e in quel momento lo ero ancora di più.
La sua figura mi sovrastava totalmente e presi ad accarezzarlo piano su tutta la schiena, mentre lui si chinava su di me, lasciandomi una scia di leggeri baci partendo dalla bocca fino all'ombellico. Faceva su e giù, mentre io continuavo a passare le dita su tutta la superficie che riuscivo a percorrere con esse. Mi sentivo una dea, adorata e venerata dal meraviglioso uomo che era sopra di me, che sarebbe stato pronto a dare la sua vita per la mia.
"Vorrei avere mille bocche per poter baciare ogni millimetro della tua pelle." sussurrò Akito. Lo guardai dritto negli occhi, non immaginavo nemmeno che potesse dire parole così belle, eppure lo fece e io non riuscii ad emettere un suono, mi limitai a colmare la distanza tra di noi, che mi sembrava infinita.
Le mani di Akito viaggiarono dai miei capelli, in cui si infilarono per qualche secondo, stringendomi i lati della testa, costringendomi a reggere ancora il suo sguardo, fino ad arrivare alla mia schiena, sfiorando il gancetto del reggiseno. La lingeriè che avevo indossato era abbastanza semplice, nera e di pizzo, mi calzava alla perfezione ed era elegante e sexy al punto giusto.
Il rumore dei due gancetti che venivano staccati fu l'unica cosa che si sentii in camera da letto, misti ai nostri respiri ansimanti e ai nostri cuori che battevano all'unisono. Quando mi liberai del reggiseno, la mano di Akito prese a sfiorarmi lentamente, senza urgenza, mentre la mia mente si sgomberava di ogni pensiero, per concentrarmi solo sulla sensazione delle sue dita che giocavano, stringevano, sfioravano i miei capezzoli. Avrei voluto dire qualcosa, buttare fuori tutto il desiderio che provavo dentro attraverso le parole, ma non riuscivo nemmeno ad emettere un suono che potesse almeno avvicinarsi ad una parola di senso compiuto.
Le mie mani erano libere, andavano su e giù per la schiena e per il petto di Akito, finchè non mi fermai, sentendo il rigonfiamento dentro i suoi boxer. Non avevo mai riflettuto veramente su come fosse l'intimità prima del momento in cui l'avevo provata con Akito. Cominciai lentamente a dimenticare come fosse la vita prima di lui e, in quel momento, capii che non era vita quella che non contemplava il biondino che mi aveva sconvolto l'esistenza.
Con un'improvvisa scarica di coraggio abbassai lentamente i boxer di Akito che, accorgendosene, accennò un sorriso e mi aiutò a toglierli del tutto. Poi fu il mio turno e ci ritrovammo entrambi totalmente nudi.
Mi sembrava che la nostra pelle stesse andando a fuoco, e non riuscii a trattenermi dall'emettere qualche gemito.
Feci scorrere la mano ancora più giù, sfiorando prima pelle del suo bacino e poi stringendo la sua erezione nella mia mano. Mi sentivo potente, in grado di poterlo rendere pazzo, furioso, eccitato e felice grazie a quel potere.
Cominciai a toccarlo piano, mentre lo baciavo, reclamando tutto di lui, anche le cose che odiavo. Aumentai il ritmo quando sentii che i suoi gemiti diventavano sempre più forti. Quel suono era come un promemoria di quanto fosse stupendo e intimo l'appartenersi.
Mi allontanai per un secondo per riprendere fiato, ritrovandomi a guardare Akito. Mi resi conto che, probabilmente, non l'avevo mai visto davvero: i suoi occhi luccicavano in un modo che non avevo mai visto prima, il mio riflesso si perdeva tra quelle iridi ambrate così come io avrei voluto perdermi in lui.
Le mani di Akito tornarono sul mio seno, continuando a torturarmi senza pietà, mentre io cercavo di concentrarmi per non mettermi a urlare. Era difficile con lui che mi toccava in quel modo.
Si spostò più in basso, allontanandosi per un secondo da me per poi concentrarsi solamente sui miei capezzoli, come se fossero due oggetti da adorare. Cominciò a mordere, poi a succhiare, poi a soffiare e io pensai che mi sarei sgretolata in quell'istante se non l'avesse smessa immediatamente. Come se mi avesse letto nel pensiero prese a scendere, lasciando un sentiero di saliva lungo tutta la mia pancia, per poi risalire e scendere ancora fermandosi sempre più giù, solo per il gusto di farmi impazzire.
Quando scese del tutto, e mi ritrovai con la sua testa in mezzo alle mie gambe, persi totalmente il controllo. Non volevo che lo facesse, ma quando la sua lingua mi sfiorò lentamente pensai di stare per svenire. Strinsi i lati del lenzuolo con una mano, cercando di aggrapparmi da qualche parte per non cadere dal precipizio verso cui Akito mi stava spingendo. Con l'altra, invece, tiravo i capelli di Akito, che sembrava non accorgersene affatto. Quando avevo già un piede nel vuoto, Akito si allontanò da me e mi sentii improvvisamente furiosa, ma realizzai immediatamente che stava cercando di preparare la strada per ciò che sarebbe successo di lì a poco e in quel contatto sentii un amore immenso sgorgarmi da dentro.
"Aki..." sussurrai tra i gemiti, mentre anche lui sembrava sull'orlo del precipizio grazie a me.
La mia mente tornò ad essere invasa da domande, ma non parlai perchè non ne sarei stata capace nemmeno volendo.
Akito se ne accorse. Non volevo sembrare una bambina ai suoi occhi non volevo che pensasse che non lo desiderassi tanto quanto lui. Anche se era sbagliato, anche se stavo urlando con tutta me stessa alla mia testa di smetterla di avere paura, mi ritrovai a provare terrore. Inizialmente pensai che fosse normale, che ogni donna in quel momento provasse gli stessi miei dubbi, ma poi la realtà di ciò che provavo mi colpì in pieno. Non c'era l'ansia per quello che stava per succedere con Akito, del dolore, di perdere la verginità e poi pentirmene. Ero paralizzata dalla paura di perdere lui. Akito era tutto per me, rappresentava praticamente ogni passo importante della mia vita, compresa la scoperta di una me che non avevo mai conosciuto, e se lo avessi perso mi sarei distrutta con un alito di vento. Akito mi prese la testa tra le mani e mi obbligò a guardarlo, ancora, come se non volesse che io scappassi, nemmeno con la mente.
"Non..." sussurrò, ma io lo zittii.
"Non ho paura di te. O di questo." puntualizzai, mentre Akito ansimava. "Ho solo paura di perderti." dissi sull'orlo delle lacrime.
"Io sono qui, sono tuo e lo sarò sempre. Non ho mai amato nessuno, se non te. Non ho mai voluto nessuno, se non te. Vorrei solo che tu potessi vederti con i miei occhi. Vedresti la più stupenda e la più meravigliosa donna che esista. Non potrei essere di nessun altro se non della ragazzina con i codini che mi ha catturato alle elementari, ero tuo già allora. Ti amo da sempre..."
Mi resi conto solo quando smise di parlare che ero scoppiata in lacrime, che avevo affondato le unghia nella sua pelle. Sentii la necessità di aggrapparmi a lui come mai prima di allora, e di non lasciare andare quel sentimento che mi stava scoppiando nel petto.
Quando, lentamente, si fece strada dentro di me non riuscii a dire nulla, o a muovermi, perchè mi sentii piena, d'amore e di felicità, perchè lui era tutto per me e anche se stavo provando dolore in quel momento non m'importava.
Avevamo represso per anni i nostri sentimenti che sentirli tutti in quell'istante mi sembrò così destabilizzante che non riuscii a controllarmi e presi a spingere i fianchi verso di lui. Il bruciore cominciò piano ad affievolirsi, e il desiderio invece cresceva sempre più velocemente mentre Akito si spingeva sempre più in fondo dentro di me.
I suoi occhi ambrati catturarono i miei, e rimenemmo fermi per un secondo guardandoci.
"Ti amo." sussurrai piano, in un alito di parole che sentivo nel mio cuore come mai avevo sentito nient'altro. Sentivo Akito. Lo sentivo dappertutto. Nella pancia, nel petto, nelle braccia, nelle mani, negli occhi. Lo sentivo in ogni istante e volevo sentirlo per il resto della mia vita.
Akito mi baciò il naso mentre con la mano mi accarezzava adagio, con tenerezza e allo stesso tempo con una passione che non avevo mai sperimentato addosso.
Era perfetto.
Ci muovevamo insieme, io tenevo gli occhi chiusi perchè anche se avessi voluto aprirli non ci sarei riuscita. Sentii il mondo sbriciolarsi sotto di me, mentre Akito spingeva dentro e fuori, mentre i nostri respiri catturavano il silenzio della camera da letto.
"Ti amo." ripetè con lentezza Akito.
Non sapevo a cosa quell'amore mi avrebbe portato. Alla distruzione. Al pentimento. Alla felicità.
Non ero sicura di niente, nemmeno di me stessa. Ma di una cosa ero sicura: avrei amato Akito per ogni giorno della mia vita, anche se quello avesse significato strapparmi il cuore dal petto.
Quando mi resi conto che stavo per lasciarmi andare totalmente, quando mi accorsi che non ce la facevo più, il primo impulso fu quello di allontanarmi, perchè non sopportavo quella sensazione che mi dava dolore e infinito piacere allo stesso tempo. Mentre i nostri respiri si univano l'uno all'altro, sentii il mio e il suo piacere venire a galla, ogni muscolo del mio corpo smise di appartenermi. Diventò di Akito.
Io divenni una parte di Akito e Akito divenne, finalmente, una parte di me.


Pov Akito.

Mi appoggiai allo stipite della porta a braccia conserte, la guardai dormire per circa un'ora. Non mosse un muscolo, i capelli le ricadevano leggeri sul cuscino e, nonostante avessimo sudato, non ne portava la minima traccia addosso. Nella stanza c'era un odore acre, odore di sudore e d'amore, l'amore che io e Sana avevamo taciuto per troppo tempo.
Non ero in grado di definire esattamente la sensazione che avevo provato quando ero entrato dentro di lei, quando catturai finalmente l'attimo perfetto della mia vita. Era quello.

Non ho paura di te. O di questo. Ho solo paura di perderti.

Le parole di Sana mi rimbombavano nella testa. Come poteva temere di perdermi se l'unica cosa che desideravo era passare il resto della mia vita con lei?
Eppure conoscevo la sensazione che provava, la conoscevo fin troppo bene. L'avevo provata per anni, sentendomi sempre meno, sempre non abbastanza, per lei e per la sua vita.
Mi ero sempre chiesto perchè Sana avesse scelto me, tra mille, perchè da bambini avesse avuto l'impulso di salvarmi dal mio baratro per poi rispedirmici ogni volta che qualcosa tra noi andava storta. Mi ero sempre fatto un sacco di domande, domande a cui prima di quella notte non avevo mai trovato risposte.
Quando mi ero ritrovato lì, senza difese, senza barriere, senza alcuna aspettativa, le trovai tutte.
Io e Sana eravamo due parti di puzzle che combaciavano perfettamente, con i nostri difetti, con le nostre parti da smussare e da modificare, ma comunque compatibili.
"Che fai lì?".
La voce di Sana si propagò per tutta la stanza, fuori era ancora buio pesto, ma la flebile luce della luna illuminava un po' la sua figura. Aveva i capelli scompigliati, le labbra gonfie, era piena di segni sul corpo eppure era sempre stupenda.
"Ti guardo."
Lei sorrise, alzandosi dal letto preoccupandosi di avvolgersi nel lenzuolo, come se non avessi già visto ciò che era importante.
"Vieni a letto Aki..." sussurrò con fare sensuale.
"E' una proposta indecente?" chiesi ammiccando anch'io. Non sentivo nulla in quel momento se non l'amore immenso che provavo per lei.
"Può darsi..."
Si voltò e lasciò scivolare il lenzuolo alle sue spalle, prima di sdraiarsi a letto con gli occhi fissi su di me. Aspettava.
Aspettava me.
Voleva me.
Arrancai a fatica verso il letto, verso la donna che amavo, in preda alle mille sensazioni diverse che lei mi provocava.
Quando mi ritrovai sopra di lei, mi tenni in equilibrio con i gomiti, cercando di non schiacciarla con il mio peso.
"Ma.. ti senti bene?" le chiesi, perchè pensavo che fosse ancora indolenzita.
"Non potrei stare meglio." rispose, tappandomi la bocca con la sua.
Quando, dopo pochi minuti, fui di nuovo dentro di lei mi resi conto che avevo aspettato quel momento per tutta la vita ma che, prima, non lo avevo assaporato come avrei dovuto. Ero preoccupato, preoccupato per lei e per il dolore che avrebbe potuto sentire. In quel momento, però, anche se sapevo bene che il dolore non era stato spazzato via, sapevo che Sana era mia, che non poteva essere di nessun altro e che solo io avrei avuto quel ruolo nella sua vita. Sempre.
Cominciai a muovermi prima piano e poi con un'energia sempre più frenetica. Guardai Sana, teneva gli occhi chiusi e si mordeva il labbro superiore cercando di controllarsi, ma evidentemente non ci riuscì perchè poco dopo cominciò a mugolare.
Se la prima volta era stata meravigliosa, quella mi sembrò catartica. Io e Sana eravamo uniti in un legame che nessuno avrebbe potuto eguagliare e che nemmeno se avessimo deciso di farlo saremmo riusciti a distruggere.
Ogni più piccola particella di Sana era in sintonia con ognuna delle mie.
Mi ero sentito sbagliato moltissime volte nella mia vita. Sbagliato per la mia famiglia. Sbagliato per i miei amici. Sbagliato per la società. Sbagliato per lei.
Ma, in quell'istante, mentre io e Sana ci muovevamo all'unisono e respiravamo insieme, capii che ero sempre stato io il mio unico limite, perchè Sana era lì, mi amava esattamente come la amavo io e non c'erano parole per descrivere il senso di completezza che sentii quando, finalmente, ci buttammo insieme nel tunnel di piacere che ci stava aspettando.
Eravamo la ragazza S e il ragazzo A.
Avremmo mai potuto rinunciare a tutto quell'amore?




Perdonatemi per questa mia assenza prolungata, causa studio e università. ma non mi sono dimenticata di chi mi segue assiduamente e di chi mi manda i messaggu privati chiedendomi di continuare. Grazie, veramente.
Il prossimo capitolo è solamente da correggere, quindi non dovrete attendere molto, intanto spero che questo vi sia piaciuto e che vi siate goduti il momento speciale di Sana e Akito.
Grazie davvero e vi voglio bene!
Akura.









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Capitolo 18
*** Dimmi se vuoi mollare. ***


CAPITOLO 17.

DIMMI SE VUOI MOLLARE.
Pov Sana.

"E' andato tutto bene a Osaka?".
Mia madre e le sue domande allusorie.
La guardai mentre la signora Shimura mi serviva una tazza di tè, il suo sguardo era lo specchio della sua curiosità. "Quando la smetterai di chiedere con lo stratagemma dei sottointesi?".
"Avanti figliola, raccontami qualche particolare piccante!".
Scoppiai a ridere, rischiando di rovesciare tutto il tè sul pavimento. "Cosa vuoi sapere esattamente, mamma?"
"Avete fatto sesso?". Per poco non mi strozzai, ripensare ai momenti passati con Akito mi fece arrossire, tanto che mia madre capì immediatamente che la risposta alla sua domanda era ovvia.
"O mio Dio, tesoro!!" urlò alzandosi dal divano e venendosi a sedere accanto a me. "Finalmente siete passati alla base successiva, temevo che vi ritrovaste a quarant'anni vergini per non sprecare il vostro magico momento!".
Rimasi sconvolta nel sentire quelle parole: non solo mia madre era felice che io e Akito avessimo fatto sesso - e sapevo che sarebbe stato così visto che mi aveva spinto lei a mettere la fede al dito - ma soprattutto stavo parlando di sesso con mia madre! Era inquietante.
Mi alzai, prendendo la mia giacca dopo aver posato la tazza sul tavolino, e diedi un bacio a mia madre.
"Devo andare mamma, è stato un piacere fare questa chiaccherata a cuore aperto."
"Ma... io pensavo che mi avresti raccontato i dettagli!" protestò lei, alzandosi a sua volta.
"In un'altra vita, mamma.".
Detto ciò presi l'ovetto di Kaori, che nel frattempo si era addormentata grazie alla ninna nanna della signora Shimura e mi diressi verso la porta. Misi la bambina in macchina e feci strada per tornare a casa, perchè finalmente era arrivato il giorno del ritorno di Akito.
Avevo preparato tutto, la nostra giornata sarebbe stata assolutamente dedicata all'ozio e anche a qualcos'altro, ovviamente. Non vedevo l'ora di sentire quel campanello suonare, quindi per distrarmi dal contare i minuti, mi misi sul divano con Kaori e la cullai per un po', mentre lei continuava a dormire.
Ero così stanca... Le riprese del film stavano per cominciare e avevo passato la precedente settimana a riprendere le fila del mio personaggio. Miyazaki mi aveva contattata giorni prima, dicendomi che aveva scelto il nome del coprotagonista e che stavolta era affidabile. Mi vennero i brividi quando ripensai all'episodio delle prove e, per tentare di scacciare il disgusto, mi misi a cercare qualche informazione su chi mi avrebbe affiancato.
Kengo Yamamura era un attore di teatro molto famoso, avevo sentito parlare spesso di lui ma non avevo mai visto un suo spettacolo, e quella sarebbe stata la sua prima esperienza dietro una macchina da presa. Fantastico, avrei dovuto lavorare con un dilettante del cinema, ma sapevo che era abbastanza bravo e di lui non si trovavano che commenti positivi. Ad ogni modo ero convinta che quel film sarebbe stato un successo e che se Miyazaki mi aveva scelta tra tante attrici qualcosa doveva pur voler dire.
Guardai Kaori, cresceva a vista d'occhio e somigliava sempre di più a sua madre. I capelli le erano cresciuti un po', e avevano cominciato a prendere la sfumatura del castano di Natsumi. Akito sarebbe arrivato il giorno dopo e già sentivo il cuore in gola al solo pensiero.
Mi addormentai subito dopo, mentre accarezzavo la testa di Kaori, con il viso di Akito stampato davanti.
Pensavo di riposarmi, ma il giorno dopo capii che non avrei mai trovato un attimo per rilassarmi: la mia vita era un casino.


*
Arrivai in ospedale non appena il dottore mi chiamò per dirmi che c'erano dei documenti da compilare, per la sistemazione di Natsumi in un'altra stanza del reparto. Non capivo perchè dovevano spostarla, ma comunque non feci storie e salii in macchina. Dovetti portare Kaori con me, mia madre era impegnata nell'ultima stesura del suo nuovo romanzo e non voleva essere disturbata, e il signor Hayama non riusciva a badare a se stesso, figuriamoci ad una bambina di pochi mesi. Mandai Rei a prendere Akito alla stazione, dicendogli di portarlo a casa, ma sapevo perfettamente che sarebbe venuto in ospedale non appena il mio manager lo avrebbe lasciato davanti alla porta. Quando arrivai davanti alla nuova stanza di Natsumi un'infermiera si avvicinò a me porgendomi una serie di carte, dopo averle lette per bene, le firmai - perchè Rei mi aveva insegnato che nulla va firmato senza averlo prima letto - e glieli restituii con un sorriso. Guardavo la mia amica dall'esterno della sua camera, attraverso il vetro della porta. Era piena di fili, ma le era stato tolto il tubo di respirazione perchè nelle quarantotto ore aveva cominciato a respirare da sola, senza l'aiuto dei macchinari. Era un buon segno, mi disse il dottore, ma ricordai che aveva già detto una cosa del genere, quindi non mi munii di speranze che poi sarebbero state distrutte.
Spinsi la carrozzina di Kaori dentro la stanza della sua mamma e la misi in un angolo, accertandomi che avesse il ciuccio e che fosse ben coperta, prima di avvicinarmi al letto di Natsumi.
Era dimagrita tantissimo, l'alimentazione attraverso le sondine l'aveva stremata in tutto e per tutto, e aveva perso anche il colorito roseo che di solito le invidiavo per il mio un po' troppo chiaro. Le sfiorai i capelli, erano crespi e rovinati, a forza di stare schiacciati contro un cuscino. Le erano venute le piaghe, ma i dottori l'avevano curata e le facevano cambiare posizione più spesso di prima. Mi sembrava di guardare una persona diversa, non la Natsumi che conoscevo da tutta la vita. Non più la Natsumi che avevo rimproverato per il modo in cui trattava Akito o la Natsumi che mi aveva assillato per un mio autografo quando eravamo bambine, ma semplicemente una sagoma, un corpo, costretto in un letto d'ospedale.
Se mi avessero detto che non c'era più possibilità che si risvegliasse non sapevo come avrei reagito. Non sapevo come avrebbe reagito Akito. Probabilmente avrebbe perso la voglia di vivere, ma non volevo nemmeno pensarci.
Cominciai a parlarle, le raccontai tutto quello che era successo negli ultimi tempi, le spiegai dei problemi con Akito per il film, le dissi che avevamo anche smesso di litigare tanto spesso e immaginai la sua faccia se avesse potuto muoversi. Sarebbe scoppiata a ridere e mi avrebbe guardato con quegli occhi sarcastici che proprio non riusciva a trattenere. Mi venne da ridere, era bello parlarle ed immaginare che mi sentisse sul serio, magari era anche un po' stupido ma non riuscivo a non pensare che forse, da qualche parte, la sua anima mi stesse ascoltando.
Rimasi lì un po', non saprei nemmeno dire quanto, la guardai per la maggior parte del tempo, le strinsi la mano e la pregai di sbrigarsi a tornare che sua figlia mi stava facendo ammattire.
Quasi a farlo apposta Kaori si mise a piangere, quindi mi allontanai dal letto e la presi in braccio, tornando vicino a Natsumi. Nel sedermi sul materasso, la mano di Kaori e quella di Natsumi si toccarono e mi ritrovai piegata su di lei perchè Kaori la stringeva e non voleva staccarsi.
Non mi tolsi subito, volevo lasciare a madre e figlia quel piccolo momento di intimità, forse sarebbe stato l'unico che avrebbero mai avuto, poi mi spostai e il contatto si interruppe.
Presi la mano di Natsumi e la strinsi forte alla mia, cercando di inviarle tutta la mia linfa vitale attraverso quel tocco.
Inizialmente non compresi. Pensai di averlo immaginato. Rimasi immobile per un istante che mi parve un'eternità. Poi lo fece di nuovo.
Natsumi mi stava stringendo la mano.
Quando realizzai che stava succedendo davvero e che dovevo muovermi e chiamare qualcuno, lasciai la sua mano e corsi fuori dalla stanza, prendendo il primo medico che mi capitò a tiro.
"Si è mossa! Mi ha stretto la mano!!" urlai, spostandomi i capelli dal viso.
Il dottore osservò l'encefalogramma di Natsumi, rimase in silenzio e poi chiamò qualcun'altro con il cercapersone. Un paio di specializzandi entrarono nella camera, cominciarono ad analizzare l'encefalogramma, ad auscultarla, a usare parole incomprensibili e troppo tecniche che non capivo per niente.
"Signora si calmi, è stato solo un riflesso incondizionato probabilmente."
"Ma lei mi ha stretto la mano, non ha solo mosso un dito, mi stringeva!" urlai insistendo. Non poteva essere solo un riflesso. Perchè se fosse stato così significava che il mio cuore sarebbe ricaduto nella rassegnazione, e io non volevo perdere la speranza.
Continuai ad insistere, ad urlare, a cercare di far capire ai medici che non stavo sognando e che non me l'ero inventato per la disperazione. Lei si era mossa.
Uno specializzando mi guardò esterrefatto, poi si avvicinò a me e tentò di calmarmi, ma non ero sconvolta o arrabbiata e nemmeno pazza, quindi dovevano fare qualcosa.
Mi rivolsi di nuovo al medico. "La prego. La prego, dottore. Controlli un'altra volta."
Lui annuì, facendomi capire che mi avrebbe accontentata solamente perchè glielo stavo chiedendo in quel modo e non perchè lui nutriva una speranza, nè umana nè scientifica, sulle condizioni di Natsumi.
Uscì dalla stanza dopo avermi posato una mano sulla spalla, seguito da quattro o cinque specializzandi.
Rimasi lì un altro po', non volevo lasciarla da sola anche se Kaori aveva fatto un po' di capricci quando l'avevo rimessa nella cesta.
Facevo su e giù per tutta la stanza, aspettando che i medici tornassero e mi dessero qualche notizia in più, ma niente. Per la successiva ora non ci fu traccia nè dei dottori e tantomeno di Akito.
Chiamai Rei, ma non rispondeva nessuno, quindi ci rinunciai alla terza telefonata. Ero impotente. E non mi piaceva affatto quella sensazione.
Uscii un attimo dalla stanza, mia madre era corsa subito dopo che l'avevo chiamata sconvolta dal fatto che Natsumi si fosse mossa, quindi le diedi Kaori chiedendole di farla addormentare.
Mi tolsi quel maledetto camice e lo gettai nel cestino, esasperata dal fatto che non mi avessero creduta e che Natsumi non si decidesse a dare la prova della verità: lei si stava svegliando e io lo sapevo. Lo sentivo.
Mi appoggiai al muro, buttando la testa all'indietro e sbuffando. Era tutto inutile, e da sola mi sentivo peggio.
"Kurata?". La sua voce fu come la risposta a tutte le mie preghiere, come se l'universo mi avesse letto nella mente e lui fosse arrivato per salvarmi dai miei brutti pensieri.
Mi fiondai su di lui, mentre la tensione accumulata nelle ultime ore sembrava diradarsi lentamente verso le mie braccia che lo stringevano. Mi veniva da piangere, ma trattenni le lacrime, sperando che lui riuscisse a risolvere le cose.
Dopo qualche minuti ci staccammo e finalmente rividi i suoi occhi ambrati. Erano il mio personale toccasana.
"Che succede Sana?"
Ero indecisa se raccontarglielo o meno, avrei probabilmente alimentato senza alcun fondamento le sue speranze, ma avevo bisogno che qualcuno mi capisse, che credesse a ciò che stavo dicendo. Mentre Rei e mia madre giocavano con Kaori, che proprio non voleva saperne di dormire, mi allontanai un po' con Akito, senza mai lasciare la sua mano.
Mi guardava come se stesse aspettando una sentenza di morte, quindi affrettai il passo e quando fui abbastanza lontana da occhi indiscreti cominciai a parlare.
Gli raccontai tutto, senza tralasciare nemmeno un dettaglio. La sua espressione era incredula, ma da qualche parte scorsi anche un pizzico di felicità nel sentire che c'era la possibilità che sua sorella, in coma da quasi tre mesi, si svegliasse.
"Ma ne sei certa?" chiese portandosi le mani sulla testa.
"Ne sono sicura, Akito. Lei mi ha stretto la mano, devi credermi. Ho passato più di mezz'ora a cercare di convincere i medici ma nessuno di loro vuole decidersi a mettere da parte il loro scetticismo e darmi ascolto! Tu non hai idea... lei era così.. così forte! Devi credermi Akito.. perchè..."
"Ti credo, Kurata. Certo che ti credo." mi zittì lui, mettendomi un dito sulla bocca. Quel contatto, anche se non era affatto il momento, sembrò accendere tutto il mio corpo. Cercai di scacciare quella sensazione e mi avvicinai, poggiando il viso sul suo petto. Ero distrutta.
"Andiamo, Sana. Cerchiamo di capire cosa sta succedendo."
Mi prese la mano e mi riportò davanti alla camera di Natsumi. Rei era seduto accanto a mia madre che cullava Kaori che, mentre io e Akito parlavamo, si era addormentata. Sapevo che non era un sonno destinato a durare molto, infatti non appena Akito si chinò a darle un bacio sulla fronte i suoi occhioni si spalancarono nuovamente.
"Vieni qui." Akito la prese dalle braccia di mia madre e se la portò al petto. Un giorno sarebbe stato un grande papà.
"Entro un attimo con Kaori, va bene?"
Annuii e gli sorrisi, accomodandomi accanto a Rei e poggiando la testa sulla sua spalla.
"Sei stanca?"
La voce di Rei era pesante, esattamente come la mia, e sapevo che anche lui aveva il suo bel da fare mentre io mi occupavo della mia famiglia. Lo avevo lasciato da solo a sistemare miliardi di cose prima delle riprese del film e non avevo assolutamente considerato quanto lavoro gli stavo addossando senza preoccuparmi minimamente.
"E tu?"
Non rimasi sveglia abbastanza per sentire la risposta, mi addormentai sulla spalla del mio manager mentre lui mi accarezzava la testa, proprio come quando ero bambina.


Pov Akito.


Quando Sana mi aveva raccontato cosa aveva visto, cosa Natsumi aveva fatto, il mio cuore aveva perso un battito. Mi era sembrato che, improvvisamente, la mia vita sarebbe potuta tornare alla normalità o, anzi, che potesse migliorare visto il matrimonio con l'amore della mia vita.
Ma in quel momento, mentre mi trovavo accanto a mia sorella, distesa da quasi tre mesi su quel maledetto letto d'ospedale, mi sembrò che niente potesse andare meglio. Che niente potesse più andare in alcun modo, perchè io non esistevo più.
Afferrai una sedia e mi sedetti, stando bene attento a non far piangere Kaori, per poi prendere la mano di Natsumi.
Sana aveva ragione: era dimagrita tantissimo e non sembrava più mia sorella. Era solo un corpo, buttato su un letto, e la cosa che mi dava più fastidio era che non potevo fare niente per aiutarla.
"Nat..." sussurrai cercando di trattenere le lacrime. "Se vuoi vivere... se vuoi davvero vivere, muoviti ad alzarti da questo cazzo di letto. Ma se tu..." Mi fermai, spaventato dai miei stessi pensieri, perchè non volevo pensare quello che in realtà avevo nella testa, era sbagliato e soprattutto mio padre non sarebbe mai stato d'accordo. "Ma se tu non vuoi... puoi andare, solo.. dammi un segno che vuoi mollare e io farò sì che questo finisca. Ti prego... ti prego dimmi se vuoi mollare."
Le lacrime mi rigavano il volto ormai, e non ero nemmeno certo che fosse la cosa giusta, ma dovevo dirlo. Dovevo dire ad alta voce che forse era lei a non voler lottare. Era un'opzione che non avevo mai contemplato veramente, eppure era lì, ed era possibile.
"Non ci pe... non ci penso nemm... nemmeno."
Ebbi la sensazione di essere in una specie di trans, non capii nulla di quello che accadde subito dopo. Vidi solo gli occhi di Natsumi aprirsi lentamente, sentii la sua mano stringere la mia e poi una decina di dottori che entrarono in camera e mi dissero qualcosa come
si allontani, dobbiamo visitarla.
Non capii nulla. Solo che Sana mi si era gettata al collo, con le lacrime agli occhi, non sapevo nemmeno dov'era Kaori, se era ancora in braccio a me o se qualche infermiera me l'aveva tolta dalle mani prima che mi venisse una sincope. Il mio cervello non era collegato al resto del corpo. Sentivo solo il cuore scoppiarmi e, dopo mesi, finalmente riprendere a battere.
Amavo Sana, quando finalmente avevo capito che anche lei mi amava avevo provato una sensazione come quella, ma mia sorella, il sangue del mio sangue, aveva appena riaperto gli occhi mentre io le stavo dando il permesso di andarsene, di lasciarsi andare, e quello non poteva essere paragonato a niente.
Ero nato un'altra volta in quel preciso istante e avrei usato la mia vita al meglio che potevo.
"Si è svegliata..." fu l'unica cosa che dissi per la successiva ora, finchè non mi fecero rientrare in stanza.
La signora Kurata e Rei nel frattempo erano andati via portandosi Kaori, quindi alla fine l'infermiera acconsentì a farci entrare insieme.
Vedere Natsumi respirare da sola, dormire ma sapere che non era un sonno distruttore, mi riempì il cuore di gioia.
"Si è svegliata..." ripetei guardando Sana, con tutto il trucco colato e i capelli arruffati. Lei mi sorrise e annuì, stringendomi la mano.
Era tutto quello di cui avevo bisogno.



*
Le settimane successive furono frenetiche. Io e Sana non avevamo un attimo per noi, negli ultimi cinque giorni ci eravamo visti si e no quindici minuti di seguito.
Natsumi stava meglio, la sua riabilitazione era sfiancante e a volte dolorosa, ma lei era forte e grazie all'amore che aveva ritrovato in sua figlia riusciva ad avere un motivo per lottare, nonostante tutto. Kaori abitava ancora con noi, ma quella sera l'avrei portata da mio padre perché io e Sana avevamo bisogno di passare un po' di tempo insieme, senza dover scappare al primo pianto di mia nipote.
Presi il telefono, composi il numero di Sana e aspettai che rispondesse, mentre cercavo di capire se nella sua lista della spesa ci fosse scritto pannolini o pacchettini. Pacchettini di che poi? Attaccai quando scattò la segreteria, non mi avrebbe risposto di lì a breve quindi tanto valeva lasciar perdere, e mi avviai verso il reparto delle cose per bambini. Comunque i pannolini ci sarebbero serviti. Dovevo portare la spesa a casa e passare da mio padre perchè da quando mia sorella era uscita dal coma non avevo avuto molta possibilità di parlargli. Quando ero uscito dalla palestra mi ero persino illuso che la giornata fosse finita e invece no. Uscii dal supermercato e andai prima da mio padre, chiacchierammo e poi guardammo un po' di televisione insieme e quando uscii dalla mia vecchia casa erano già le sette.
Sana continuava a non rispondere al telefono, evidentemente era impegnata con Rei per le riprese del film che stavano per iniziare quindi decisi di non chiamare più.
Mi diressi verso casa, sperando di non trovarla impegnata con qualche telefonata importante né tanto meno tra i fornelli, più che per la mia salute che per altro.
Parcheggiai velocemente nel vialetto e corsi dentro casa, ansioso di passare un po' di tempo con Sana, ma quando entrai trovai il mio salotto pieno di scartoffie e lei che cercava di imparare una battuta.
Non mi notò, quindi la colsi alle spalle. Saltò dalla paura e mi piazzò un colpo proprio sul petto, mentre io non facevo altro che ridere. “Ma crescerai prima o poi?” disse Sana sorridendo tra le mie braccia. Il sole entrava dalla finestra finendo con arrivare sui suoi capelli che presero così le sfumature di un meraviglioso tramonto.
“Non lo so, può essere.” risposi mentre mi fiondavo sulle sue labbra per baciarla. Quando mi staccai la guardai a lungo in quei suoi occhi profondi, e poi senza parlare la presi per mano e la condussi verso la nostra camera da letto, dove per la prima volta l'avevo vista nuda, spiandola attraverso la porta socchiusa. Quella volta sentii di volerla e non poterla avere, ma in quel momento sapevo di poterla avere ed era forse la sensazione più bella che avessi mai provato.
Sana mi seguì senza dire nulla, sorridendo, consapevole di ciò che stavo pensando. Aprii la porta della camera e non la chiusi alle nostre spalle, mentre sentivo il suo respiro farsi più pesante. Mi avvicinai piano al suo corpo esile e mi soffermai a guardare l'incavo del suo collo delicato, abbassandole la spallina del top.
“Hai intenzioni serie, eh?” disse lei, mentre la sua bocca si incurvava in un sorriso. Ricambiai, annuendo in silenzio, mentre mi voltavo per aprire l'acqua calda nella vasca che avevamo accanto al letto. Avrei dovuto ringraziare chi aveva preso quella meravigliosa decisione di mettere la vasca lì. Gli avrei decisamente fatto una statua.
Sana mi mise le braccia intorno al collo, stringendomi a sé, e poi saltò mettendomi le gambe intorno alla vita.
La baciai con tutta la forza che avevo in corpo. Avevamo passato più di un mese separati, lo stress dopo il risveglio di Natsumi ci aveva portato al limite e ritrovarmi così, insieme a lei, con l'unico di pensiero di baciarla e amarla mi rendeva la persona più felice dell'universo.
Eravamo così giovani, eppure ci eravamo fatti carico di una responsabilità più grande di noi, ed eravamo stati bravi.
Il vapore dell'acqua invase la stanza in poco tempo, mentre ci spogliavamo reciprocamente ed entravamo nella vasca bollente. Avevo visto Sana nuda molte volte, ma ogni volta mi sembrava una rivelazione. Il colore della sua pelle, le morbide curve del suo seno piccolo, le fossette più in alto del suo fondoschiena e i suoi meravigliosi nei.
Quando ci sistemammo nella vasca da bagno, abbastanza grande da accogliere entrambi, la strinsi a me più forte che potevo.
“Questa vasca è sempre stata il mio sogno proibito, lo sai?” le dissi io, poggiando la mano sulla sua pancia. La sua pelle era liscia, e la sentivo tremare al passaggio delle mie dita. Amavo farle quell'effetto, mi dava un potere che adoravo avere e che mi rendeva l'uomo più orgoglioso del mondo.
“Vorrei che ogni giorno fosse così...” sospirò Sana.
“Anche io.” conclusi, prima di farle voltare il viso e baciarla con tutto me stesso.
Quando la sfiorai con più forza il suo corpo sussultò e dentro di me tutto si accese. La feci voltare e Sana si mise a cavalcioni su di me.
“Non è un sogno vero?” dissi spostandole i capelli dietro le spalle. “Noi siamo sposati sul serio, mia sorella è sveglia e… è tutto perfetto.”
Non avevo ancora realizzato quanto quelle parole fossero vere. Avevo trascorso gli ultimi giorni nella paura più assoluta che fosse tutto un meraviglioso sogno da cui mi sarei svegliato di lì a breve. La vita mi avrebbe dato il solito schiaffo in faccia e l'universo sarebbe tornato al suo posto.
“Fa quasi paura dirlo ad alta voce.”.
“E allora non diciamolo.” la zittii, baciandola, mentre la sollevavo dai fianchi ed entravo piano in lei. Il suo corpo si inarcò, e mi gettai a baciarle il collo, dove le goccioline scendevano piano verso il suo seno.
Persi la cognizione del tempo mentre sentivo Sana gemere attorno a me, la mia mente abbandonò il mio corpo e mi ritrovai a guardarmi dall'esterno, come se le mie azioni non fossero davvero le mie.
Avevo paura di quella vita così perfetta e, mentre mi beavo della sensazione di avere Sana, finalmente, tutta per me, non potevo far tacere quella parte di me che, comunque, non comprendeva come fosse possibile che io avessi trovato così tanta felicità in così poco tempo.

Pov Sana.

Il suono di quel maledetto telefono si propagò per tutta la camera da letto e il mio primo impulso fu quello di prenderlo e buttarlo fuori dalla finestra. Non avevo voglia di svegliarmi, di lasciare andare la spensieratezza della sera prima e soprattutto non volevo assolutamente che Akito si svegliasse. Lo avevo guardato dormire per un po', prima di crollare anch'io, e mi ero ritrovata più innamorata che mai.
Ammiravo ogni suo movimento, ascoltavo ogni suo respiro e mi sembrava che fosse il suono più bello del mondo.
Uscii il braccio dal tepore del piumone e afferrai il telefono. Era Rei. Sapevo già cosa mi avrebbe detto e, guardando l'orario, mi fiondai fuori dal letto per correre in bagno a fare la doccia. Akito mugugnò qualcosa, ma non si svegliò, quindi ebbi il tempo di lavarmi e vestirmi mentre lui era ancora nel mondo dei sogni.
Rei continuava a chiamarmi, all'ennesima telefonata uscii dalla camera da letto e risposi.
“Ma perché diavolo mi attacchi il telefono in faccia?”
“Buongiorno anche a te, Rei.” dissi ridendo. Ero troppo felice per farmi rovinare quel momento da lui e dalla sua ansia per il mio lavoro.
“Sto passando da te per andare a fare lo shooting di lingerie. Pensi di essere pronta diciamo… adesso?”
“Non dimentico mai i miei impegni Rei, lo sai. Ti aspetto.”
Chiusi la chiamata e mi diressi di nuovo verso la camera da letto. Anche se avevamo chiarito quella parte della nostra relazione sapevo che comunque ad Akito non andava giù che io facessi quel tipo di fotografie.
Ero felice che Natsumi si fosse svegliata, avevo passato così tanto tempo sperando di vederla sorridermi di nuovo e poterle raccontare tutte le novità della mia vita, ma da quando avevo capito che avrebbe ripreso Kaori con lei il mio cuore era caduto in preda allo sconforto. Akito mi amava, e di questo ero certa, ma mi avrebbe amata allo stesso modo se non avessimo dovuto sposarci? Sarebbe stato così anche se non ci fosse stato qualcosa a costringerci? Non sapevo rispondere a quella domanda, ma non volevo nemmeno una risposta. Forse avrei dovuto lasciarlo libero, avrei dovuto lasciargli vivere la sua vita senza alcuna intromissione da parte mia. Il mio lavoro lo rendeva nervoso, e quando avrei cominciato a girare il film sarebbe stato peggio. Avrei dovuto combattere contro le sue insicurezze, mentre io ne avevo già abbastanza di mie.
Cercai di mandare giù quel groppo mentre mi accorsi che si stava svegliando. “Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi?”
Le sue spalle grandi si alzavano e abbassavano ad ogni respiro, i suoi muscoli sembravano flettersi fino allo sfinimento mentre faceva quel movimento impercettibile.
“Sarebbe un'idea fantastica.” dissi avvicinandomi. “Ma purtroppo Rei sta venendo a prendermi per il servizio fotografico.”
Akito aggrottò le sopracciglia, allungando la mano verso di me per spingermi sul letto. “Allora ti lascio andare, questa volta.”
Mi baciò la mano e poi mi abbassai per baciarlo sulle labbra.
Dovetti staccarmi un momento dopo perché Rei suonava al campanello. Corsi verso la porta e dopo aver preso borsa e giacca uscii dalla porta, sentendo Akito che dalla camera urlava “Ciao Sana!”.
Era come se mi avesse fatto la più bella dichiarazione d'amore della storia. Ero proprio una mogliettina innamorata!






Eccomi qui, di nuovo per voi...
Finalmente Natsumi si è svegliata, ma le cose non sono ancora completamente sistemate. Ci sono ancora tanti imprevisti da affrontare. Spero che continuerete a seguirmi, nonostante tutto. 
Vi ringrazio infinitamente perchè mi seguite non solo su efp, ma anche su instagram (dove mi sono arrivati dei messaggi meravigliosi, che mi hanno veramente riempito il cuore), sulla mia pagina facebook (per chi volesse e non ne è a conoscenza, ecco qui il link
 (     https://www.facebook.com/inchiostronellevene/     ) e su wattpad, dove pubblico in contemporanea con efp.

Vi ringrazio davvero, perchè siete meravigliosi :)
Spero di vedere tante tante tantissime recensioni!
Un bacio
Akura.

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Capitolo 19
*** Onda. ***


CAPITOLO 18.
ONDA.

Pov Sana.

 Stavo da circa un quarto d'ora nella stessa posizione perché il fotografo continuava a dirmi di star ferma, sentivo i muscoli delle gambe intorpidirsi lentamente ma non ci feci caso, cercando di pensare ad altro. Ad Akito, per esempio, e a quanto la nostra vita si stesse trasformando nel più assurdo dei disastri.
Non riuscivamo a passare insieme nemmeno dieci minuti di fila, e a volte non eravamo nemmeno in grado di incastrare i nostri impegni quindi finivamo per non vederci per giorni. Era uno strazio. Da quando avevo cominciato a collaborare con il marchio di lingerie avevo dovuto spesso uscire dalla città e Akito nel frattempo era tornato all'università e ad insegnare in palestra. La nostra era una vita troppo frenetica. In più c'era da pensare alla riabilitazione di Natsumi e a Kaori, che mi mancava terribilmente.
Cambiai posa, mi costrinsi a sorridere anche se in realtà mi ero appena resa conto che la bambina mi mancava più di quanto avessi potuto immaginare. Per quattro mesi l'avevo accudita, coccolata, l'avevo cullata quando stava male di notte, l'avevo nutrita, era stata esattamente il prolungamento di me stessa e adesso che era tornata da sua madre – cosa di cui ero veramente felice – mi sentivo un vuoto nel cuore. In compenso c'era Akito, e ciò che provavo per lui bastava a riempire quel vuoto. Magari avremmo potuto avere noi una bambina tutta nostra.
Mi bloccai per un attimo. Ma cosa diavolo mi veniva in mente? Un figlio? Io e Akito? Sarebbe stata una pazzia, un'assoluta e totale follia. Non eravamo pronti, eravamo due ragazzini che si erano sposati per necessità. E adesso che quella necessità non ci sarebbe stata più cosa ne sarebbe stato del nostro matrimonio? Era una domanda che mi torturava da giorni, da quando Natsumi aveva ripreso Kaori con se in realtà, e non facevo altro che pensarci. Lui avrebbe potuto chiedere la separazione, avrebbe potuto decidere di allontanarsi da me. Non sapevo cosa avrei fatto in quel caso. Forse mi sarei distrutta lentamente. Forse mi sarei buttata così tanto sul lavoro da avere un esaurimento nervoso.
Entrambe le opzioni facevano decisamente schifo.
Cercai di spostare i pensieri da un'altra parte, mentre il fotografo mi faceva cenno di mettermi supina e poggiarmi sul cuscino alle mie spalle. Eseguii gli ordini e dopo qualche scatto il fotografo si fermò, finalmente.
“Facciamo una pausa ragazzi, grazie Sana. Cambiati e ci rimettiamo a lavoro tra quindici minuti.”
Scattai in piedi e la mia assistente mi passò l'accappatoio. “Grazie Miya.” dissi sorridendole. Era una ragazza molto carina, ed ero sicura avesse una cotta per Shoici, il ragazzo che si occupava delle luci. Si scambiavano occhiate in continuazione, mentre lui sistemava le luci e lei si preoccupava che il mio naso non fosse lucido. Mi veniva quasi da ridere guardandoli, perché si creavano tutti quei problemi nel dirsi i loro sentimenti?
Da che pulpito, pensai. Io e Akito ci avevamo messo anni, secoli direi, a parlare a cuore aperto l'uno con l'altro, e c'era voluto un matrimonio e mille problemi prima di farlo.
Non ero certa che il nostro matrimonio avesse delle basi salde e propriamente sane, ma era comunque un matrimonio d'amore e quello doveva bastare ad entrambi per stare insieme.
Dopo aver ripreso il servizio fotografico e averlo finito circa un'ora dopo, l'unica cosa che volevo era tornare a casa da Akito. Prima, quando tornavo a casa e la trovavo vuota, non provavo nessun senso di solitudine: mi piaceva il silenzio e mi piaceva non dover dipendere dagli orari di nessuno. Ora, forse perché con Akito tutto mi sembrava nuovo e completamente magico, tornare a casa e trovarlo ad aspettarmi era una delle cose più belle della mia giornata.
Quando arrivai a casa lo trovai in cucina, sul divano, con il computer sulle gambe e tutte le luci spente.
“Ma hai idea di quanto tu sia inquietante in questo momento?”. Mi avvicinai, gli diedi un bacio e mi diressi ad accendere la luce per preparare la cena.
“E tu hai idea di quanto tu stia diventando una moglie petulante e fastidiosa?”. Akito mi sfoderò uno dei suoi rarissimi sorrisi e si alzò dal divano, mettendosi dietro di me per abbracciarmi.
Poggiai la testa sulle sue spalle, inspirando il suo profumo, mentre avevo le mani sotto il getto dell'acqua.
“Sei sicura di avere fame? Perchè io avrei un'altra idea di sazietà.”
Il mio respiro si fece più cadenzato, il cuore cominciò a martellarmi nel petto. Mi voltai e, senza farmelo ripetere due volte, gli saltai addosso cingendogli la vita con le gambe.
“Bene, vedo che sei d'accordo con me.” e senza dire nulla mi portò in camera da letto.


*

Dovevo aspettare.
Nella scatola diceva di aspettare tre minuti. Avrei resistito tre minuti? No, probabilmente no. Ma dovevo.
Sarei morta nei successivi tre minuti, lo sapevo.
Ero seduta dentro la vasca, completamente vestita e tra le mani avevo il mio primo test di gravidanza. Non sapevo cosa fare. Se strapparmi tutti i capelli. Se mettermi a urlare. Se riempire la vasca e annegare lentamente. Nei successivi tre minuti avrei contemplato i mille modi in cui avrei potuto suicidarmi.
Quanto tempo era passato? Un minuto? Dieci secondi? Mi sentivo in una bolla. Akito sarebbe tornato tra un'ora circa, e io non avevo idea di come dargli la notizia, se fosse stato come sospettavo.
Guardai il cellulare, mancava un minuto. Pensavo che sarei impazzita nel frattempo.
Cosa avrei detto a mia madre? Diamine, mia madre avrebbe fatto i salti di gioia e io mi preoccupavo di lei. Rei si sarebbe fatto venire un infarto. Il signor Hayama e Natsumi sarebbero andati in shock. Le mie amiche mi sarebbero saltate addosso.
Immaginavo la reazione di tutti, tutti meno che Akito, l'unica persona di cui mi importasse davvero. L'unica persona che avrebbe potuto distruggermi con uno sguardo.
Nello stesso momento in cui la porta di casa si aprì, il cellulare cominciò a suonare, avvertendomi che il verdetto era arrivato.
Alzai la mano, guardai lo stick e andai in iperventilazione.
Due lineette. Due.
E il mondo, per come l'avevo sempre conosciuto, andò in pezzi.

*

Akito mi chiamava dalla cucina, ma io non riuscivo a muovermi. Cercavo di dare dei comandi al mio corpo, ma le mie gambe non rispondevano ai comandi. Avevo il cervello completamente sconnesso dal corpo.
Sentivo i passi di Akito avvicinarsi alla nostra camera e urlavo a me stessa di muovermi, di fare qualcosa, ma non ne ero in grado.
“Sana?”. Akito abbassò lo sguardo e, quando mi vide, si piegò sulle ginocchia vicino a me. “Che succede? Cos'hai?”.
Mi voltai a guardarlo, aveva gli occhi pieni di paura, la stessa paura che avevo io. Quando si accorse del test di gravidanza il suo sguardo cambiò, ma io non riuscivo a dirgli niente. La mia bocca non si muoveva. Mi sentivo impotente con il mio stesso corpo.
“Sana? Sana, guardami.” Mi prese il viso tra le mani e lo spostò in modo che i nostri occhi si incontrassero. Abbassai lo sguardo. Non ero in grado di reggerlo in quel momento.
“E' quello che penso?”. Non feci altro che annuire. Avevo provato a dire qualcosa, ma dalla mia bocca era uscito solo un balbettio confuso.
“Posso vederlo?” disse porgendomi la mano per prendere il test. Glielo diedi.
Misi la testa sulle ginocchia. Stava per venirmi un attacco di panico.
“Ci sono due linee.” disse Akito. Le sue parole mi sembrarono una sentenza definitiva. “Cosa significa?” sospirò. “Ti prego Sana, non sono per niente pratico con queste cose.”
Non riuscivo a parlare, continuavo a dondolare avanti e indietro dentro la vasca da bagno come una pazza squilibrata. Aspettavo solamente il momento in cui mi avrebbe urlato contro e detto che era una pazzia, che non era possibile, che era stato attento, che non potevamo avere un figlio. Non in quel momento.
“Sana, ti prego. Ti prego. Ho bisogno di sentirlo da te.”
Non potevo lasciarlo nel dubbio, anche se sarebbe bastato leggere la scatola.
Alzai la testa, fissai un punto indefinito davanti a me e poi lo dissi.
“Significa che sono incinta.”
Nella camera calò il silenzio. Potevo sentire il rumore dell'orologio in cucina. Akito se ne stava seduto sul letto, accanto a me, senza dire una parola.
Ero certa che avrebbe reagito così.

*
Pov Akito.

Non sapevo se la mia anima era uscita dal mio corpo per poi rientrarci con prepotenza, avevo sentito solamente un grosso pugno al centro del petto, come se qualcuno mi stesse seduto addosso. Era una sensazione strana. Non l'avrei mai più riprovata nella mia vita. Non come in quel momento.
Sana sembrava in trance, non aveva alcuna reazione. Si limitava a guardare davanti a se, senza dire nulla. Sembrava quasi non respirasse nemmeno.
“Lo so che non è quello che vuoi.” esordì improvvisamente. Speravo scherzasse.
“E' la cosa che voglio di più al mondo.” fu la prima cosa che mi venne in mente. Ma era la verità. Volevo quel bambino. Volevo una famiglia. La volevo con Sana.
Lei si voltò finalmente a guardarmi, le lacrime le scendevano lente sulle guance. “Davvero sei felice?” mi chiese singhiozzando.
“Mai stato più felice di così in vita mia, te lo giuro.”
“Io penso che sarà troppo complicato. Siamo sposati da pochissimo, non sappiamo nemmeno com'è la vita di coppia. Come possiamo essere genitori?”
Sana mi stava mostrando le sue incertezze, e io sapevo che erano solamente dovute alla paura di non essere all'altezza, alla paura che io non lo volessi, alla paura di non riuscire a conciliare le due cose: il nostro matrimonio e il ruolo di genitori. Ma era davvero così? Non avevamo dato abbastanza prove del nostro amore? Perchè lei ne metteva altre sulle via?
“Chi se ne frega del come, Kurata! Lo siamo già! Siamo genitori! Dentro di te c'è qualcosa di mio, di tuo. Chi se ne importa di come faremo. Siamo io e te, il resto non conta.”
Mi alzai velocemente dal letto e la costrinsi a spostarsi, per mettermi nella vasca insieme a lei. La abbracciai, stringendola fortissimo.
Sentii che chiudeva gli occhi, poggiando la testa sulla mia spalla.
“Ce la faremo Sana. Ce la facciamo sempre.”
Le baciai la testa e rimanemmo lì per un po', finché entrambi non ci ritrovammo a toccare la sua pancia. Il mio cuore e il suo cuore battevano lì dentro, non c'era niente di più bello.

*

Dopo aver saputo della sua gravidanza, io e Sana non avevamo fatto altro che comprare tutine e pigiamini al bambino. Sana si ostinava a dire che sarebbe stata femmina, voleva una bambola da vestire e a cui insegnare a truccarsi in futuro. Io non volevo azzardare nessuna ipotesi, a me bastava che esistesse, che fosse reale e soprattutto sano, il resto non aveva molta importanza. Guardavo Sana fare progetti sulla camera del bambino, la vedevo emozionarsi con me, ma non potevo fare a meno di notare anche la sua enorme e comprensibile paura. Anche io avevo paura, avevo paura di fallire come marito e come padre, di non supportare lei o di non saper fare il genitore, ma lei era più nella fase dell'incredulità ancora. Si, era felice, o almeno così' sembrava, ma non mi mostrava quella felicità, era sempre contenuta e poco espansiva, comportamenti che non erano da lei. Avevo attribuito quell'atteggiamento allo shock, alle paure naturali che vengono a qualsiasi donna nello scoprire di essere in dolce attesa, ed ero andato avanti. Avevo continuato a sognare in grande, ad immaginare altri figli, altre risate, altre voci per casa, e il solo pensarci mi faceva sentire pieno di gioia. Non avevamo detto ancora niente a nessuno della nostra famiglia e nemmeno ai nostri amici. Era difficile spiegare che dopo pochi mesi di matrimonio – per giunta non esattamente il matrimonio perfetto – che aspettavamo un bambino. Non era facile nemmeno realizzarlo tra di noi, figuriamoci dirlo a qualcun'altro.
I miei pensieri si affollavano mentre aspettavo Sana fuori dagli studi televisivi, Rei non poteva passare a prenderla quindi le avevo imposto di non prendere il taxi e aspettarmi.
Era uscita correndo, mentre io la guardavo dalla macchina muoversi dentro quel vestito a fiori che, ovviamente le calzava a pennello. La pancia era già un po' cresciuta, ma lei si ostinava a portare abiti larghi per evitare che qualcuno se ne accorgesse. Sana entrò in macchina e si mise la cintura, poi si voltò e mi diede un bacio a fior di labbra.
“Aspetti da tanto?”. Scossi la testa, anche se l'avessi aspettata per ore non gliel'avrei mai detto.
Mentre mettevo in moto ricordai che dovevo parlare a Sana del torneo di karate della settimana successiva. Era già da un paio di giorni che ne ero a conoscenza, ma con le cose da comprare per il bambino e tutte le cose che ci avevano preso avevo dimenticato di dirglielo.
“La settimana prossima mancherò un paio di giorni, Kurata.” dissi mentre svoltavo a destra. “Ho un torneo di karate con i ragazzi e devo accompagnarli necessariamente io perché Asuke è impegnato con le gare cittadine.”
Sana annuì ma non disse nulla, non era facile lasciarla in un momento del genere ma non potevo farne a meno.
Arrivati a casa preparammo la cena, mangiammo in salotto ed andammo a letto presto. Eravamo distrutti, lei perché aveva lavorato tutto il giorno allo studio televisivo e io perché stare dietro a venticinque bambini non è esattamente una cosa semplice.
E tra qualche mese la nostra vita sarebbe stata ancora più complicata.

Mi addormentai sul suo pancino che stava già cominciando a crescere, essendo alle porte del quinto mese, pensando che al mio ritorno forse l'avrei trovato ancora più cresciuto e che, finalmente, avremmo potuto spiegare quell'improvviso aumento di peso. Forse, finalmente, saremmo stati felici.
Pov Sana.
Akito era partito presto quella mattina, io non ero riuscita ad alzarmi e Rei mi tartassava di telefonate da almeno mezz'ora. Non avevo voglia di rispondergli, non avevo voglia di alzarmi, ero stanca ancor prima di iniziare la giornata.
Mi alzai dal letto un'ora dopo, mandai un messaggio a Rei dicendo che sarei andata agli studi nel pomeriggio per registrare la pubblicità dello shampo che mi avevano commissionato la settimana prima. Dovevo chiamare il ginecologo per l'ecografia mensile, la mia vita sarebbe cambiata in poco tempo, avrei dovuto spiegarlo a tutti e quella era forse la parte che non ero in grado di gestire. Non l'avevo ancora detto a nessuno, nonostante la mia pancia fosse già cresciuta, non si notava abbastanza quindi avevo preferito aspettare. Usavo vestiti larghi, nascondevo le forme sotto camicie e pantaloni che camuffassero il mio stato. Ero anche stata abbastanza fortunata: mia madre era stata impegnata con le ultime modifiche al nuovo romanzo, perciò non ci eravamo viste spesso. Rei era così distratto dalla sua relazione con Asako e dal fatto che lei era impegnata con alcune riprese e lui andava a trovarla tutte le volte che poteva. Non avevamo avuto modo di vederci con i ragazzi, un po' per gli impegni di Akito, un po' perché cercavo di declinare ogni invito per non doverglielo dire. Non perché non volessi dirlo alla mia famiglia o ai miei amici, in realtà credo temessi che quel sogno sarebbe finito da un momento all'altro e mi sarei svegliata senza rendermi conto che avevo perso la cosa più importante della mia vita. In più, c'era la questione lavoro, la questione giornalisti, la questione paparazzi.
Ci avrebbero seguito ovunque solo per catturare una mia immagine col pancione, anche se era già uscito qualche articolo che commentava il mio improvviso cambio di look. Avevo una paura matta di soffrire come una dannata durante il parto. Non sapevo come le due cose fossero collegate, ma in quel momento niente nel mio cervello poteva trovare un posto ben preciso: era tutto un enorme casino.
Mi preparai velocemente, presi la borsa che Akito mi aveva raccomandato di non riempire come quella di Mary Poppins e andai verso la porta.
Non avrei saputo interpretare che tipo di dolore fosse. Una fitta, fortissima, al basso ventre. Inizialmente pensai fosse una cosa passeggera, era normale per una donna in gravidanza avere qualche dolorino ogni tanto. Abbassai lo sguardo e mi portai una mano sulla pancia, pregando che finisse presto.
Quando vidi il sangue che scendeva dai miei pantaloni capii che non era affatto un dolorino da gravidanza.
Un'altra fitta mi scosse improvvisamente e pensai di non riuscire a sopportarla. Strinsi i pugni e, facendolo, mi accorsi di avere tra le mani il cellulare. L'ultima chiamata era quella di Rei, perciò premetti sul suo nome e pregai che rispondesse in fretta perché sentivo le forze abbandonarmi velocemente.
“Sana, ma si può sapere che fine hai fatto? Sei una sconsiderata!”
Per una volta non poteva semplicemente stare zitto?
“Rei… Rei, ti prego. Vieni...”
Non feci in tempo a finire la frase che sentii gli occhi pesanti e la voce di Rei mi sembrò solo un suono lontano, ovattato.
I miei occhi si chiusero un attimo dopo. L'ultimo pensiero che passò nella mia testa fu Akito. Dovevamo dirlo agli altri in un altro modo, non così.
Perchè non l'ho fatto prima?


*

 
Sentivo la voce di qualcuno attorno a me, ma non ero in grado di riconoscere di chi fosse. Non mi era familiare, eppure sembrava così accogliente, calda. Mi sentivo al sicuro.
Ci volle un attimo per realizzare dov'ero e cosa era successo, un secondo dopo aprii gli occhi e guardai quello che avevo intorno.
Mia madre, Rei, un uomo in camice bianco. Ero in ospedale, ciò significava che mi avevano trovata in tempo e che era tutto a posto.
“Mamma?”
Mia madre fu subito vicina a me, aveva i capelli scompigliati e sembrava fosse uscita con i primi vestiti che aveva trovato. Mi veniva da ridere guardandola ma, quando ci provai, sentii un dolore acuto in tutto il corpo.
Allora no, non andava tutto bene.
“Sana sei un'incosciente! Ma perché non ci hai detto che eri incinta? Perchè non ce l'hai detto?” continuava a ripetere mia madre come un disco rotto.
Chiusi gli occhi aspettando che smettesse per risponderle. Poi mi resi conto delle parole che aveva usato.
“Hai detto eri. Hai parlato al passato. Perchè
ero incinta?”
Lo sguardo di mia madre mi perforò l'anima, pensai che non l'avevo mai vista così triste.
“Sana… tu hai...”
Non riusciva a dire niente, ma io sapevo già cosa aveva da dirmi.
Il medico che era ai piedi del mio letto si avvicinò, fece un cenno a mia madre facendole capire che ci avrebbe pensato lui a spiegarmi tutto.
Non aveva bisogno di spiegarmi nulla. Sapevo già tutto.
“Signora Hayama, mi ascolti...”
Cercai di tornare lucida, nonostante la mia testa non fosse più lì già da qualche minuto.
“Lei, purtroppo, ha subito un aborto spontaneo. Abbiamo avuto modo di vedere che lei soffre di una patologia che si chiama incompetenza cervicale. La sua cervice è poco tonica, debole, e non riesce a rimanere chiusa per tutto il termine di una gravidanza. Ciò significa che è molto improbabile che lei possa portare a compimento una gravidanza. Il suo ginecologo avrebbe dovuto avvertirla nel momento in cui avrà fatto l'ecografia transvaginale.”
Tutto quello che aveva detto mi rimbombava nella testa e la cosa che più continuava a ripetersi all'infinito era “… è molto improbabile che lei possa portare a compimento una gravidanza.”
Non avrei potuto avere figli. Akito ne sarebbe stato distrutto. E io?
“Andatevene.”
“Signora, per favore, lei deve capire che questo non prescinde il fatto che si possano trovare altri modi...”
“Ho detto andatevene.”
Il dottore mi guardò impallidendo, mia madre non riusciva a non piangere. Rei non lo guardai nemmeno, la sua faccia era la dimostrazione della sofferenza.
Si voltarono tutti verso la porta.
Mi toccai la pancia. Il mio bambino non c'era più.
“Aspettate!” li fermai, prima che uscissero dalla camera. “Era maschio?”
Il dottore scosse la testa. “No, una femmina.”
E poi uscirono, lasciandomi sola in quell'asettica stanza d'ospedale.

*


Dovevo essermi addormentata perché non ricordavo quando mia madre fosse rientrata e ora se ne stava seduta accanto al mio letto, fissandomi.
“Mamma, ti prego. Voglio stare da sola.” sussurrai, provando a voltarmi ma senza risultati. Mi faceva male tutto.
“Tesoro… penso che tu debba chiamare Akito. Dirglielo. Non penso che sia il caso che rimanga fuori città con te in queste condizioni. Lui potrà aiutarti.”
Dirlo ad Akito. Mi sembrava la cosa più sbagliata e difficile da fare. Come potevo dirgli che avevo appena messo fine a tutti i suoi sogni in un attimo?
Forse era stata colpa mia, forse non ero stata abbastanza attenta, mi ero stancata troppo. Cosa avrei potuto dirgli? Era colpa mia se la nostra bambina non c'era più. Ricordai immediatamente che fosse una femmina.
Avevamo pensato al nome Nami. Significava onda, lo avevamo scelto perché quella notizia ci aveva travolto come accade con le onde, che si infrangono sugli scogli e non ti avvertono mai del loro arrivo, semplicemente non fai in tempo e ti ritrovi sommerso. Lei era stata un po' questo, un po' qualcosa che ci aveva sommerso. Sommerso di timori, preoccupazioni, pensieri. Sommerso di gioie.
E ora non c'era più. E io non potevo dirlo ad Akito.
Mi avrebbe odiato. Non avrei mai potuto condannarlo a una vita con me, se non potevo dargli ciò che aveva sempre voluto.
Una notte Akito mi raccontò che, quando era un ragazzino, immaginava sempre di avere una famiglia tutta sua, spesso con me, ma comunque una famiglia felice, con tanti bambini, nonostante temesse che la donna che amava potesse avere lo stesso destino di sua madre.
Sua madre era morta dandogli la vita, si era sacrificata per lui, pur senza volerlo. Akito era cresciuto, soffrendo si, ma era pur sempre riuscito ad essere felice in un modo o nell'altro. Io invece ero stata costretta a sopravvivere alla mia bambina, e cosa ci potrebbe essere di così doloroso? Non immaginavo niente di peggio. Non ero stata in grado nemmeno di dargli un figlio. Non potevo condannarlo a una vita del genere.
Se gli avessi detto che avevo perso la bambina naturalmente non mi avrebbe mai lasciato, mi sarebbe stato accanto senza esitazioni, lo conoscevo. Akito mi amava. Anche io amavo lui, e proprio perché lo amavo con tutta me stessa non potevo sacrificarlo.
“Dammi il telefono mamma.”.
Mia madre mi fissò, senza capire cosa volessi fare, poi me lo passò e tornò a sedersi. “Vorrei parlargli da sola, se non ti dispiace.”
Mia madre annuì, si alzò ed uscì dalla stanza.
Composi il numero di Akito, sapendo che quello che stavo per dirgli avrebbe decretato la fine della nostra relazione, del nostro matrimonio, delle nostre vite.



Pov Akito.
Ciao Kurata. Che c'è, ti manco di già? Non sono passate nemmeno otto ore da quando ci siamo salutati stamattina!” risposi scherzando alla sua chiamata. Mi aspettavo mi concedesse almeno una risata, ma la voce di Sana dall'altra parte era veramente gelida.
“Devo parlarti.”
Mi bastò mezzo secondo per rendermi conto che non era in vena di scherzare o di fare conversazione. Mi allontanai velocemente dalla palestra, le urla dei ragazzi non mi permettevano di sentire bene.
“Dimmi, Sana. Che succede?”
“Ci dobbiamo lasciare.”
Le sue parole mi fecero sorridere. Era uno scherzo, ovviamente. Non poteva essere altro che uno scherzo.
“Sii seria, Kurata. Non mi piacciono questi scherzi idioti.” dissi con una punta di sorriso sulle labbra.
“Ho abortito.”
Le sue parole mi attraversarono il petto prima di arrivare al cervello, prima che potessi veramente comprenderle. Era impossibile.
“Che significa che hai abortito? Ti è successo qualcosa? Stai bene?”
Il panico che sentivo nella mia voce non l'avevo mai e poi mai sperimentato prima. Mi sembrava che tutto il mio mondo fosse definitivamente crollato.
“Stamattina mi sono sentita male. Pensavo fossero dolori normali della gravidanza, ma poi ho cominciato a perdere sangue. Ho abortito naturalmente. Era una bambina.”
Aveva abortito. La mia bambina era morta.
“Sana… ma tu stai bene? Dimmi che stai bene. Ti prego. ”
“No, Akito. Non sto bene. Dobbiamo separarci.”
La sua voce era strozzata, sentivo il suo dolore. Sentivo il suo cuore spezzarsi ad ogni parola che mi diceva. Perchè continuava a ripetermi che dovevamo lasciarci?
“Sana ma perché? Io ti amo, tu mi ami! Avremo altri bambini, non è colpa tua. Torno a casa stasera. ”
Sentivo i suoi singhiozzi dall'altro capo del telefono.
“Non rendere tutto più brutto di quanto non sia. Ti prego. Non sono la persona che tu pensi io sia. Non posso avere altri figli. Non voglio altri figli. Devo partire per il tour promozionale del film tra qualche settimane. Ho avuto un'offerta da Victoria Secret. Non voglio altri figli.”
Non riuscivo a credere a quello che stava dicendo. Non potevo credere che mi stesse lasciando.
“Non è una cosa di cui voglio discutere per telefono. Torno stasera, non prendere decisioni affrettate e non azzardarti a scegliere per me. Io so cosa voglio, voglio stare con te.”
“Ma io non voglio altri figli. Non voglio stare con te.”
Chiusi la telefonata e solo in quel momento mi resi conto che le mie gambe non mi reggevano più e che ero seduto per terra, fuori dalla palestra, attorno a mille voci, mille urla di gioia, mentre il mio cuore sanguinava.
Urlai così forte che mi mancò l'aria.
Mentre tutti mi chiedevano se avessi bisogno d'aiuto l'unica cosa che volevo era sprofondare. Sprofondare senza dover affrontare il dolore della morte della mia bambina senza addossarla a Sana. Come avrei potuto?
*
Aprii la porta di casa lentamente, cercando di ritardare il confronto che, in un modo o nell'altro, avrei dovuto avere con Sana. Non sapevo cosa dirle. Le ore in macchina mi avevano svuotato. La mia testa era vuota di pensieri, di domande, era solo piena di confusione.
Il mio cuore era pieno di dolore.
Mi avviai verso la cucina, ma non la trovai. Lei non c'era.
Quando entrai in camera da letto, però, la trovai stesa. Doveva essere molto debole, sapevo cosa accadeva quando dovevano indurre il parto. Non doveva essere stato semplice.
“Ciao...” sussurrò senza l'accenno di un sorriso. Mi avvicinai a lei, le diedi un bacio sulla fronte ma lei rimase immobile.
“Cosa è successo?” chiesi, cercando di dimenticare le parole che mi aveva detto al telefono quel pomeriggio.
“Penso che tu lo abbia già capito. Non appena mi riprenderò partirò per il tour promozionale, e poi dovrò affrontare la campagna di...”
“Non mi importa di tutto questo!” urlai, interrompendola. “Voglio sapere perché vuoi lasciarmi! Voglio sapere perché stai prendendo questa assurda decisione senza consultarmi!”
Sana cercò di mettersi più dritta sul letto ma un'espressione di dolore le arrivò sul volto, perciò l'aiutai a sedersi meglio alzandola di peso.
“Quindi?” incalzai.
“Forse non è nel nostro destino avere un figlio adesso. Forse siamo ancora troppo giovani. Forse non siamo adatti. Se ho perso questa bambina ci sarà un motivo: l'universo non vuole che noi due diventiamo genitori!” urlò, facendomi rabbrividire.
Ma cosa stava dicendo? Da quando credeva al destino? Da quando affidava le sue scelte nelle mani di un fato che non esisteva?
Ma chi era quella ragazza?
“Sana, ma cosa diavolo stai dicendo? Ma ti rendi delle assurdità che mi stai buttando addosso?”
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di sfogarmi su quelli invece che spaccare tutto quello che mi ritrovavo tra le mani.
“Senti, Akito.” cominciò, trattenendo le lacrime. “Mi dispiace se ti sto facendo del male, mi dispiace se non posso darti quello che vuoi, ma io non voglio avere altri figli. Non voglio dover mettere da parte la mia carriera per un bambino. L'ho già sperimentato con Kaori, ecco perché ero così spaventata quando abbiamo scoperto della gravidanza. Io non lo volevo questo figlio.”
Forse qualcuno mi stava facendo una specie di scherzo, perché quella non poteva essere Sana. Non poteva essere la bambina, la ragazza, la donna che avevo amato per tutta la mia vita.
“E' impossibile, Sana. Eravamo così felici. Cosa è cambiato?” le chiesi, sperando che a parlare fosse lo shock e non il suo cuore.
“Questo aborto è stata la miglior cosa che mi sia successa.”
Quella frase mi uccise. Uccise me, il mio amore per lei, i vent'anni di profondo sentimento che avevamo condiviso, il matrimonio improvvisato che avevamo avuto, la mia stima per lei, il mio affetto.
Fece nascere in me solamente l'odio.
“Mi fai schifo.”
Detto ciò afferrai la valigia che avevo lasciato davanti alla porta della camera, attraversai il corridoio e, nonostante la sentissi piangere così forte da potermi spezzare il cuore, non tornai indietro.
Sana era morta quel giorno per me, così come era morta mia figlia.

Mi dispiace se a qualcuno avevo detto che ci sarebbero stati solo lieti fine, sono stata presa dal mio lato dark e ne è uscito fuori questo.
Volevo semplicemente dirvi grazie perchè continuate a sostenermi nonostante i miei infiniti ritardi. Purtroppo, E SOTTOLINEO PURTROPPO, sto preparando gli esami per la sessione estiva e non ho avuto molto tempo per scrivere. Tutto questo è stato scritto stasera e stasera stessa lo sto pubblicando, grazie alla tempestiva azione della mia meravigliosa Beta.
Spero che commenterete, che non mi odierete, che mi vorrete ancora bene dopo questo capitolo. Io vi voglio sempre bene ! :*
Aspettando taaaaante recensioni,
Akura.

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Capitolo 20
*** Non posso. ***


Capitolo 19.
NON POSSO.


Pov Akito.

Versai altra tequila nel mio bicchiere. Guardai il liquido scendere lentamente dalla bottiglia e riversarsi, altrettanto lentamente, nel bicchiere di cristallo che avevo tra le mani.
Non bevevo tequila, di solito. Preferivo cose come il whisky o la grappa, ma era stata la prima cosa che Tsuyoshi era riuscito a procurarmi.
La stanza d'albergo in cui alloggiavo era bellissima, dormivo in un letto a baldacchino, come lo avevo sempre desiderato da bambino, le cameriere ripulivano la stanza ogni mattina, mentre io scendevo al bar, e la sera mi portavano la cena in camera, come se fossi un super ospite.
Cosa si può fare con i soldi… cosa si fa per i soldi.
Tante cose. Persino distruggere la vita di qualcun altro, come quella ragazza aveva distrutto la mia.
Non riuscivo nemmeno più a nominarla. Il solo pensare a lei mi provocava conati di vomito, e non era solo la tequila ad aiutare il tutto. Ogni volta che davanti ai miei occhi arrivava l'immagine di lei, falsamente distrutta per quello che ci era capitato, che mi era capitato, provavo un senso di disgusto che mai avevo sperimentato nella vita.
Stare con lei mi aveva portato a provare emozioni che mai mi sarei sognato di vivere: la gioia, pura, quella che ti parte dal cuore e arriva alla più piccola particella del tuo corpo; la paura, di poterla perdere e di poter distruggere il nostro rapporto; la rabbia, per non essere riuscito a preservare i nostri sentimenti puri come sono sempre stati; infine l'odio, che non avrei mai pensato di indirizzare alla ragazzina che avevo amato dalla quinta elementare, ma che in quel momento mi stava distruggendo da dentro. Sentivo il mio corpo bruciare a causa dell'odio che lei mi aveva costretto a provare.
Fino a una settimana prima ero un papà. O, almeno, stavo quasi per diventarlo. Oggi non sono niente.
Né un marito, ne un papà, ne un uomo. Non sono nessuno.
Mi ci erano voluti due giorni per realizzare esattamente cosa fosse successo. Mi ci erano voluti due giorni per capire che la mia bambina era morta e che quella ragazza non aveva alcuna intenzione di affrontare il lutto con me, suo marito, ma dietro a qualche macchina fotografica mentre si muove dentro a quei maledetti costumi da bagno che tutti vogliono vederle addosso.
Non aveva voluto più stare con me. Un figlio avrebbe potuto rovinarle la carriera. Non aveva mai voluto quella bambina. Lei l'aveva uccisa. E io l'avevo lasciata fare, credendo veramente che avrebbe potuto amare qualcun altro oltre a se stessa. Come avevo potuto essere così stupido? Come avevo potuto cadere nel tranello ancora e ancora per oltre dieci anni?
Eppure mi reputavo una persona abbastanza intelligente. Non un genio, ovviamente, ma nella media. E non ero riuscito a capire nulla.
Ero ormai al sesto o ottavo bicchiere, non ero riuscito più a contarli dal quarto almeno, e non ero in grado di alzarmi dal divano e arrivare al bagno.
Ci provai ugualmente. Nel tragitto pensai a quanto dovessi sembrare patetico in quel momento, a quanto dolore questa vita aveva riservato per una persona sola, a mia figlia e a quanto sarebbe stata bella e felice se solo avesse avuto la possibilità di nascere e, per la prima volta dopo una settimana, permisi a me stesso di crollare. Caddi sul pavimento, non reggendomi più in piedi, non per il troppo bere – che comunque aveva dato il suo contributo – ma perché la mia anima si era appena definitivamente distrutta. Non mi importava più di vivere o morire. L'unica cosa che mi importava era che tutto quel dolore andasse via perché, per quanto mi riguardava, ne avevo avuto abbastanza anche per la prossima vita.

*

Qualcuno stava bussando, ma avrebbe potuto bussare per il resto della sua vita, non era nemmeno contemplabile l'idea che io riuscissi a reggermi in piedi.
Cercai di mettere forza sulle braccia e tirarmi su dal pavimento della mia magnifica stanza al quarantaduesimo piano di un hotel di cui non ricordavo nemmeno il nome, per arrivare a quella dannatissima porta che non faceva altro che martellare dentro la mia testa. Misi un piede dietro l'altro e, con fatica, arrivai alla porta. Non l'avessi mai fatto. “Akito, devi vestirti, uscire da questa stanza e smetterla di comportarti così.”
Mia sorella mise piede in camera prima ancora che potessi fermarla, la sua riabilitazione ormai aveva fatto miracoli ed era tornata a rincorrermi come faceva un tempo. Non sapevo se considerarla una cosa positiva o una maledizione in quel momento.
Chiusi la porta alle sue spalle, tornando a prendere il bicchiere completamente vuoto dal pavimento per versarci altra tequila. Più tequila avrebbe sistemato tutto.
“Va via, Nat. Non voglio vedere nessuno.”
Natsumi si piazzò davanti a me, mi rubò il bicchiere dalle mani e si scolò l'intero contenuto proprio di fronte ai miei occhi, senza battere ciglio. “Ti ho appena detto di vestirti. Usciamo.”
Mi trascinò fuori da quella stanza in meno di mezz'ora. Non sapevo dove stavamo andando, ma sapere che c'era mia sorella con me rendeva le cose molto più semplici.
Almeno per un po'.

Pov Sana.


Tentavo di non mettermi ad urlare di fronte a Rei che, minuziosamente, cercava di spiegarmi il programma della giornata.
Erano ormai tre giorni che eravamo a Nagoya e quello stesso giorno avrei preso un aereo che mi avrebbe portato a Fukuoka. La mia vita era diventata un continuo andare su e giù per il paese per la promozione di questo film.
Non facevo altro che sorridere e fingere che quello che avevo vissuto negli ultimi giorni non fosse stato un inferno. Nessuno sapeva. Avevamo fatto in modo di non far trapelare nessuna notizia ne della mia gravidanza e del mio aborto.
Ancora mi sembrava strano dire quella parola. Aborto. Era una parola semplice, una cosa che accada a migliaia di donne. Ma tutte loro vivevano il dramma che stavo vivendo io? Quella sensazione di sentirsi strappare il cuore dal petto ad ogni respiro. Quella voglia di chiudersi in una camera e non uscirne mai più. Non sapevo come affrontare quel vuoto. La mancanza di Akito non aiutava di certo. Almeno a lui era rimasto l'odio.
A me cosa era rimasto?
Niente. Non avevo più mia figlia. Non avevo più l'amore della mia vita. Non avevo più nulla.
Guardavo fuori dal finestrino, cercavo di trovare una nota positiva in tutto quel grigio di cui la mia vita si era colorata. “Sana?”.
Non ero in grado di trovarla. Non c'era. Strinsi la borsetta tra le mani, cercando un modo per distrarmi.
“Sana?”
Non esisteva un modo per distrarmi. Come potevo distrarmi dalla mia vita che andava in pezzi?
Sentivo che sarei potuta crollare da un momento all'altro, mandare tutto all'aria, scappare da quella città e tornare da Akito. Ma non potevo. Non che non lo volessi, era forse la cosa che più desideravo al mondo, ma condannarlo ad una vita di rinunce, solo per colpa mia, non era giusto.
“Sana?”
Improvvisamente mi ridestai dai miei pensieri, troppi in quei giorni, e diedi ascolto a Rei che tentava di spiegarmi il programma dei prossimi giorni.
Non avevo molta voglia di sentire tutte quelle banalità, ma lo feci comunque perché non volevo deludere anche la mia famiglia come avevo deluso Akito. Non volevo più deludere nessuno.
Saremmo partiti il giorno dopo per Morioka e poi, da lì, avremmo preso un volo per New York dove sarebbe iniziato il tour mondiale per la promozione del film.
Ero così stanca. Desideravo così tanto tornare a casa mia e allo stesso tempo era l'ultima cosa che volevo al mondo. Mi sembrava di essere spezzata in due, in ogni senso e circostanza, perché non ero capace di vivere una menzogna, non sapevo come conciliare l'enorme vuoto che provavo al centro del cuore con quella vita sorridente e felice che dovevo vivere. Dovevo resistere, in ogni caso. Era il mio lavoro l'unica cosa che mi separava dall'impazzire e non potevo perdere anche quello.
“Sei sicura di voler continuare con il tour? Possiamo tornare a casa anche oggi se vuoi, e mandare all'aria tutto, se non stai bene.”
Le parole di Rei risuonarono nella mia testa come un eco. Avrei potuto lasciare tutto e, per la prima volta nella mia vita d'attrice, era lui stesso a dirmelo, lui a consigliarmi di non tirare troppo la corda perché avrebbe potuto spezzarsi.
Ma lasciare tutto avrebbe significato tornare a casa e affrontare Akito. Natsumi mi aveva detto che non stava più a casa nostra, che aveva preso una camera d'albergo due giorni dopo la mia partenza e non era più uscito da lì. Mi aveva raccontato che aveva distrutto tutto, come fa sempre quando è furioso. La sua macchina, tutte le cose che avevamo comprato per la bambina, i giocattoli, i pupazzi. Aveva raschiato via a forza un ricordo troppo doloroso.
Non volevo essere lì mentre Akito si autodistruggeva per causa mia.
“No, Rei, va tutto bene. Non preoccuparti per me.”
“Mi preoccupo, invece. Non spingere troppo, bambina, non voglio vederti crollare all'improvviso. Potresti prenderti una vacanza, lontano dai riflettori...”
“Non ho bisogno di una vacanza. Ho bisogno di lavorare, di non pensare e di andare avanti con la mia vita.”
Rei non rispose, si limitò a continuare a guidare e anche io rimasi in silenzio per tutto il tempo restante fino al nostro arrivo in albergo.

*

Mi trascinai in camera mia, chiedendo a Rei di chiamarmi solo per cose urgenti, presi il mio cellulare e mi sdraiai a letto.
Non dovevo farlo, eppure ne sentivo il bisogno. Afferrai il telefono dell'albergo e composi il suo numero.
Volevo disperatamente sentire la sua voce.
Il telefono squillò almeno cinque, sei volte, ma non rispose. Non riattaccai, quel suono mi rilassava perché era comunque un contatto con lui.
Quando ormai mi stavo rassegnando la sua voce riempì la mia testa. “Pronto?”
Cercai di parlare, ma dalla mia bocca non uscì nemmeno un suono. E forse fu meglio così.
“Pronto?” ripeté Akito.
Continuai a stare in silenzio, ad ascoltarlo respirare, poi attaccai.
Rimasi immobile, apatica, incapace di dire una parola o di provare qualsiasi tipo di emozione, perché non ero più in grado di entrare in contatto con quella profonda parte di me che amava Akito. Sapevo che mi avrebbe fatto male, che sarei sprofondata nuovamente in quel baratro da cui avevo solo fatto finta di uscire, ma non era facile lasciare indietro quella Sana felice e soprattutto quell'Akito felice.
Nel buio della mia stanza d'albergo, a chilometri di distanza da Akito e da quella vita che mi ero lasciata alle spalle, non era facile respirare. Il peso che costantemente sentivo sul petto si fece più grande, mi schiacciò con forza e non resistetti più.
Scoppiai in lacrime e, cercando di non urlare per il dolore, presi il cuscino e me lo portai alla faccia.
Era finita, io e Akito avevamo perso tutto, e io non volevo più vivere in quel modo.
Non volevo più vivere affatto.

Pov Akito.
 
Io e Natsumi passeggiavamo da almeno un'ora, in silenzio, nel parco che si trovava vicino al mio albergo. Non avevamo bisogno di parlare, io non volevo essere consolato o sentire le solite parole di circostanza perché non sarebbero servite a farmi ritrovare la serenità. Cosa poteva dirmi per farmi sentire meglio? Che la ragazza che era stata al mio fianco da praticamente tutta la mia vita non voleva farmi del male e che il suo aborto era stato un caso frutto della sfortuna? Che non era giusto distruggermi in quel modo? Che dovevo tornare a vivere? Cosa poteva dirmi?
La risposta era impossibile da trovare perché non c'era niente che potesse cambiare la realtà dei fatti.
Quella ragazza mi aveva rovinato la vita e io ero stato così stupido da lasciarglielo fare.
"L'hai sentita?"
Scossi la testa. "Credo sia troppo impegnata con la promozione del film anche solo per discutere i termini del divorzio."
Mia sorella si bloccò improvvisamente, lanciandomi un'occhiata stupita. "Aspetta un secondo! Divorzio? Siamo già così nella merda?"
Natsumi non era solita parlare in quel modo, per questo fui veramente sorpreso di sentire quelle parole uscire dalla sua bocca ma, effettivamente, l'occasione richiedeva un po' di drammaticità e quelle espressioni erano abbastanza coerenti.
"Si, Nat. Non accetterò mai e poi mai che lei abbia scelto la sua carriera invece che la nostra famiglia, invece che sua figlia. Non dopo averla persa. Non così."
Le parole mi uscirono così velocemente che non riuscii a contenerle. Prima era difficile parlare con Natsumi, invece in quel momento mi sembrò la cosa più naturale del mondo.
"Akito... vieni qui." Disse guidandomi verso una panchina vicino a noi. Dopo esserci seduti, riprese a parlare. "Come puoi pensare che Sana abbia scelto la sua carriera invece che la bambina?"
"Lei mi ha detto questo, non vuole avere altri figli perché teme ripercussioni sulla sua vita artistica. Io non posso obbligarla, ma permettimi almeno di odiarla." Sospirai, sfinito da quel discorso e da quel dolore.
"Con la bocca si possono dire tante cose, A
ki. Ma gli occhi non mentono. Anche se Sana è un'attrice, non posso credere che tu non abbia visto un briciolo di sofferenza nei suoi occhi."
Ripensai a quella sera, lei a letto che mi dice di non aver mai voluto quella gravidanza. Io che urlo. Lei che rimane impassibile.
Era un'assurdità.
"Akito, Sana non ha esitato a lasciare la sua carriera, l'università, la sua vita per prendersi cura di Kaori, mia figlia, trattandola come se fosse sua. Era pronta a diventare sua madre se io non mi fossi svegliata mai più. Come puoi pensare anche solo lontanamente che abbia causato lei stessa l'aborto o, peggio, che non volesse altri figli solo per il suo lavoro?
Lei è una delle mie più care amiche, ti è stata accanto, ti ha sposato, per Dio! Non puoi credere veramente a cosa ti ha detto!"
Rimasi immobile, ascoltando mia sorella che mi urlava contro, e magari aveva ragione, ma lei non c'era quella sera.
Non aveva visto Sana scacciarmi, trattarmi come l'ultima persona sulla faccia della terra che potesse amare, scegliere qualcos'altro a me e a sua figlia, non aveva visto quanto dolore avevo provato e non aveva sentito il mio cuore spezzarsi proprio in quell'istante.
"Non lo so, Nat. Non posso dire che tu abbia completamente torto, ma non hai idea dello sguardo che aveva mentre mi diceva che non voleva più stare con me."
Mia sorella si alzò, portandosi le mani alla testa come se stesse impazzendo. "Ma ci deve essere qualcosa sotto, Akito! Non è possibile, mi rifiuto di crederlo!"
"Basta Natsumi, basta. Lei ha preso la sua scelta, io la mia. Non so se c'è qualcosa sotto, non mi interessa nemmeno saperlo, se non ha voluto condividerla con me e se non ha cercato di superarla con me evidentemente non mi amava come diceva. Quindi, ti prego, smettila di difenderla, di ripetermi continuamente le stesse cose. Io sono stanco, sono distrutto, e non voglio sapere più nulla di lei."
Mi alzai da quella panchina e cominciai a correre, lasciandomi alle spalle le urla di mia sorella che mi chiedeva di fermarmi, i rumori di una città che avrei volentieri abbandonato in quell'istante, le occhiate della gente che non sapeva nulla, non conosceva la mia storia o ciò che provavo. Mi lasciai alle spalle quel momento, quella sofferenza, quel desiderio di lasciarmi andare che non mi lasciava in pace nemmeno per un attimo e corsi. Corsi più forte che potevo, spezzandomi il fiato, rischiando di farmi male perché non lo facevo da molto tempo, sudando come mai prima di quel momento e fregandomene della pioggia che aveva cominciato a bagnarmi il viso.
L'universo continuò a prendersi gioco di me, perché mi ritrovai senza nemmeno sapere come, al gazebo. Sotto quel piccolo tetto, che mi aveva fatto da casa durante molte cene passate da solo, immaginando una grande tavola e la mia famiglia attorno ad essa, finché lei non mi aveva fatto vedere che poteva esserci di più di un gazebo, che potevo avere di più, sentii che le forze mi venivano meno. Urlai con tutta la forza che avevo in corpo, urlai per liberarmi da quel dolore dilaniante, perché non sapevo più come si parlava senza gridare, perché era l'unico modo che trovavo per non impazzire, anche se forse non avevo fatto un buon lavoro.
Improvvisamente il mio telefono squillò, risposi senza nemmeno guardare il mittente.
"Pronto?". Ascoltando la mia voce sentii immediatamente che sembravo davvero sconvolto.
Dall'altro lato non parlò nessuno, solo qualche respiro ogni tanto, ma avevo memorizzato anche quello di lei. Il suono del suo respiro.
"Pronto?" Ripetei, sperando che parlasse, che mi chiedesse di poter tornare, che mi pregasse di perdonarla perché avrei fatto qualsiasi cosa se lei me l'avesse chiesto, che mi dicesse anche solo una parola... sarebbe stata sufficiente.
Ma lei non disse nulla. Allora anche io rimasi in silenzio, per almeno due minuti ascoltammo l'uno il respiro dell'altro finché lei non attaccò.
Avrei potuto dire e fare qualsiasi cosa, avrei potuto arrabbiarmi, distruggere tutto quello che mi capitava a tiro, urlarle che la odiavo, ma la verità era che se Sana fosse stata con me in quel momento non avrei saputo far altro che abbracciarla.
Non ragionavo quando si trattava di lei, e a volte quel sentimento mi era sembrata una condanna, altre volte una benedizione.
In quel momento mi sembrò la cosa più pericolosa che potessi tenere dentro me, perché non solo mi aveva tolto tutto, ma mi aveva anche privato di me stesso.
Cosa poteva esserci di peggio?


Cinque mesi dopo.

Pov Sana.

Tornare a casa era stata una tortura, ma necessaria. Non potevo trattenermi ancora all'estero, come il mio lavoro mi aveva condotta oltreoceano così mi aveva prepotentemente riportato in patria, facendo tornare con me i ricordi.
Non mi ero permessa spesso di pensarci, dopo la telefonata in piena notte che gli avevo fatto non ero più riuscita a sentire la sua voce. Avevo ascoltato tantissimi suoi messaggi in segreteria, piangendo fino ad addormentarmi, poi avevo smesso. Non perché non lo amassi più o non sentissi più la sua mancanza, ma perché mi stavo consumando fisicamente. Avevo smesso di mangiare, ero dimagrita così tanto che i giornali avevano cominciato a parlare di me come anoressica, facendo congetture sul fatto che non si vedesse più nessuna foto mia e di Akito. Era stato difficile. Lo era ancora, ma non potevo più permettermi di vivere in quel modo. Non sarebbe stato giusto per nessuno, per Rei e per mia madre soprattutto, che contavano su di me, che mi amavano nonostante tutto e che non meritavano di guardarmi mentre mi lasciavo morire. Perciò avevo raccolto tutta la forza che mi era rimasta, poca ma comunque presente, e mi ero rialzata. Con fatica, grandissima fatica, avevo scelto di vivere, anche se avesse significato vivere in un modo totalmente diverso da come mi sarei aspettata e da come avrei voluto.
Erano passati pochi giorni da quando ero tornata a casa, ritrovarmi di nuovo in camera mia, soprattutto da sola, non era stato semplice e vedere ciò che Akito aveva lasciato dietro di se era stato anche peggio. La stanza della bambina era stata completamente distrutta, con una mazza presumo, e per terra c'erano anche delle piccole tracce di sangue, quindi doveva essersi ferito.
Avevo buttato tutto, stando attenta a non tralasciare nulla, per non dover tornare lì e immaginare di nuovo quei momenti. La sua parte d'armadio era vuota, e la sua parte di letto troppo fredda. Sul comodino c'era il libro che gli avevo regalato per la festa del papà. Non perché fosse chissà quanto importante, ma vederlo in libreria mi aveva fatto pensare ad un modo scherzoso per festeggiare per la prima volta quella ricorrenza.
Avevamo riso tanto quel giorno, pensando che l'anno dopo avremmo festeggiato con un bambino che scorrazzava per casa.
Non era andata così.
In attesa che le ragazze di servizio dessero una pulita, uscii di casa e mi diressi al supermercato visto che le uniche cose che avevo in frigo erano yogurt andato a male e due bottiglie d'acqua, nessuna delle due piena. Camminavo tra gli scaffali in cerca della salsa di soia perché quella sera avevo intenzione di cucinare tonno scottato e di condirlo con un po' di salsa. Non avevo la cuoca personale, purtroppo, e per la maggior parte delle volte era Akito a cucinare, quindi dovevo arrangiarmi in qualche modo.
Andavo avanti e indietro per il reparto sughi pronti e condimenti finché non mi resi conto di esserci passata davanti per lo meno tre volte. Mi alzai sulle punte per raggiungere lo scaffale ma, nello stesso momento in cui la stavo per afferrare, una mano più grande della mia fece lo stesso.
Quando abbassai lo sguardo per sorridere di quel gesto maldestro da parte di entrambi, ciò che vidi mi lasciò senza respiro.
"Sei tornata." Fu tutto quello che riuscì a dirmi.
Akito era di fronte a me, stringevamo entrambi quella bottiglia di salsa, le nostre dita si sfioravano appena eppure sentii in quel contatto un'urgenza che mi era mancata in quei cinque mesi.
Riuscii solo ad annuire. Poi deglutii e cominciai a parlare. "Da cinque giorni." Risposi senza distogliere lo sguardo dal suo.
Anche lui era più magro, si era tagliato i capelli e i suoi occhi sembravano di porcellana, come se ci si potesse vedere attraverso. Aveva sofferto, ne ero certa, così come avevo sofferto io. Forse non era giusto condannarci a quella tortura, ma a lui prima o poi sarebbe passata, avrebbe trovato una donna in grado di dargli una famiglia e di renderlo felice. Lei gli avrebbe dato ciò che io non potevo più dargli.
"Come stai?" Gli chiesi, di riflesso alle miliardi di volte in cui quella frase significava ancora qualcosa.
Akito fece una smorfia, lasciò nelle mie mani la bottiglia e fece un passo indietro. "Benissimo, non si vede? A proposito, ora che la grande star ha fatto ritorno a casa potremmo discutere della questione divorzio? Mi servirebbe il numero del tuo avvocato così da farlo contattare dal mio, se non ti dispiace."
Rimasi di stucco nel sentire quelle parole, ma alla fine non dovevo sorprendermi così tanto. Akito mi odiava, io lo avevo portato a provare quel sentimento ed era naturale che volesse lasciarmi anche legalmente il più presto possibile. Infondo erano cinque mesi che eravamo lontani, non una settimana, quindi immaginai fosse la cosa più sensata da fare. Gli avrei restituito la sua vita.
"Non... non ho ancora richiesto l'inizio delle pratiche, ma ti farò contattare." Dissi cercando di non piangere.
"Wow, e io che pensavo che fossi già pronta per firmare le carte. Va bene, Kurata. Stammi bene."
Detto ciò si voltò e trascinò il carrello e la sua energia negativa lontano da me.
Rimasi ferma per almeno qualche secondo, incapace di muovermi, con quella bottiglia tra le mani e il gelo nel cuore.
Ero stata io a costringerlo a quello, io avevo voluto che mi odiasse, che smettesse di amarmi.
Ma allora perché la parola divorzio mi stava facendo mancare la terra sotto ai piedi?



Pov Akito.

Uscii dal supermercato con un senso di soffocamento che non avevo mai provato. Mi sentivo come in quei film in cui le pareti di una stanza sembrano avvicinarsi fino a schiacciarti, solo che io non venivo distrutto dalle mura bensì da quella donna. Era lei che mi uccideva, che rideva di me mentre cercavo una boccata di aria pulita in un luogo completamente chiuso. Aveva un aspetto diverso, meno curato ed era molto più magra. Le avevo guardato il collo e, nonostante fossero visibili anche prima, le ossa delle clavicole erano come degli spigoli sotto la sua pelle.
Mi aveva chiesto come stavo. Che sfacciata. Stavo male, ma mi ero buttato a capofitto sul mio lavoro, sulle lezioni e sulle gare, che vincevo una dopo l'altra, e avevo tentato disperatamente di non pensare a lei.
Era difficile comunque, ma adesso che era tornata sarebbe stato anche peggio. In più a breve avremmo dovuto partecipare al matrimonio di Tsuyoshi e Aya e, sicuramente, lei sarebbe stata la testimone, il che significava che me la sarei ritrovata sempre accanto. Non sapevo se sarei stato in grado di affrontare una giornata del genere, guardarla sorridere, magari accanto al suo accompagnatore – anche se non pensavo che avrebbe avuto la faccia tosta di presentarsi con qualcuno – e forse anche ballare con qualcuno, non curandosi minimamente di chi la guarda alle sue spalle. Avrei voluto poter evitare quella tortura, ma era il matrimonio del mio migliore amico e non potevo mancare, non per lei.
Avevo lasciato l'albergo e mi ero trasferito di nuovo a casa di mio padre, ma era una sistemazione temporanea. Comunque ero felice di poter passare più tempo con mia nipote, che era diventata una bambina veramente dispettosa – mi domando da chi abbia potuto prendere quella caratteristica, se non per osmosi da Sana – e soprattutto con mio padre che era uscito molto provato dalla storia di Natsumi ed era diventato ansioso e paranoico. Cercavo di rasserenarlo ogni volta che potevo, ma non era facile per me mettere a posto il casino che era diventata la mia vita e occuparmi di lui contemporaneamente. Per fortuna c'era Natsumi a darmi una mano e, praticamente come non avevamo mai fatto, ci sostenevamo a vicenda. Era bello avere Natsumi, mi dava la sensazione di poter affrontare qualsiasi cosa, anche se non era esattamente così.
Non mi sentivo in grado di fronteggiare niente in quel preciso istante, eppure era arrivata al momento. Tornai a casa il più velocemente possibile e, senza dire niente, salii le scale e mi chiusi in camera mia. Mi sentii di nuovo quel bambino di dodici anni che non riusciva a sopportare l'idea che Sana recitasse con quel damerino di Kamura.
“Cos'è successo?”. Natsumi entrò in camera mia e chiuse la porta alle sue spalle. Benissimo, adesso ero diventato la sua amichetta del cuore e avrei dovuto raccontarle tutti i miei segreti.
“Non ne voglio parlare, Nat. Ti prego, lasciami in pace.”
“So che Sana è tornata.” disse lei, mentre faceva le giravolte nella sedia della scrivania.
“Bene, allora mi risparmi la fatica. Ora vattene Natsumi, voglio rimanere da solo.”
Mia sorella non se lo fece dire una terza volta, si alzò dalla sedia e uscì dalla camera.
Dieci secondi dopo ero fuori anche io, con la tuta e le cuffie nelle orecchie, perché non volevo sentire nulla, né i rumori della città né quelli del mio cervello. C'era troppa confusione dentro di me, troppo affollamento di pensieri, di ansie e paure che non riuscivo a debellare.
Dovevo correre. Correre verso di lei, anche se lei non era più la ragazza che avevo amato per tutta la mia vita. Era solo il riflesso di lei, una sagoma vuota che aveva cancellato tutto ciò che di bello avevamo vissuto.
Lei non era più la mia Sana.
Era solo Sana Kurata.



Pov Sana.
 

Camminavo per le strade della mia città come se mi fossi trovata in un luogo sconosciuto. Tutto mi era familiare, ma non mi sentivo più a casa. Avrei saputo descrivere ogni particolare, ma solo con la mente, non ero più in grado di vederlo con il cuore.
Durante i mesi in tour avevo sviluppato quella strana abitudine – strana per me, visto che ero sempre stata una pigra cronica – di fare una passeggiata la sera. Mi rilassava vedere le città nel loro momento di calma, mi faceva sentire ancora padrona di qualcosa. Ormai non lo ero più di nulla, nemmeno di me stessa. Sarebbe stato facile essere di nuovo felice: avrei potuto dire ad Akito che avevo inventato tutto, che lo avevo fatto per non farlo soffrire ma sarebbe stato il gesto più egoista da fare. Non era la vita che lui volevo, accanto a qualcuno che lo avrebbe privato di una parte fondamentale del matrimonio.
Chi ero io per fargli questo?
L'unico modo per rendere Akito felice era tenerlo lontano da me, e lo avrei fatto.
Quell'opzione sarebbe stata alquanto difficile se avessimo continuato ad incontrarci ovunque. “Due volte in un giorno, sono proprio una donna fortunata.” dissi quando lo vidi correre al mio fianco. Non potevo stare con lui, ma se volevamo sopravvivere indenni al matrimonio di Aya e Tsuyoshi avremmo dovuto almeno non urlarci contro ad ogni conversazione. Poi avremmo potuto anche non vederci più, ma lo dovevo ad Aya. Era la mia migliore amica e non potevo rovinarle il giorno più importante della sua vita.
Akito mi rivolse uno sguardo quasi disgustato, poi si tolse una cuffietta dall'orecchio. “Non immagini quanto sia fortunato io.”
“Aspetta.” Stava per andarsene quando lo fermai, trattenendolo per un braccio. “Ti prego, resta. Non… devo dirti una cosa.”
Si piazzò davanti a me con le braccia incrociate, fingendo di ascoltarmi.
“Non voglio che tra di noi ci sia… questo.” indicai lo spazio, troppo grande, che ci separava.
“E cosa vorresti che ci fosse? Io non voglio sapere nulla di te. E ora se non ti dispiace...”. Fece per andarsene, ma lo bloccai di nuovo. Le lacrime lottavano per uscire, tentai invano di trattenerle. “Non avrei mai voluto tutto questo. Lo sai, vero?”
Akito abbassò lo sguardo, sciolse le braccia, si avvicinò a me. Il cuore mi scoppiava. “Non l'ho scelto io. Ora è il momento di pagarne le conseguenze.”
Detto ciò si rimise le cuffie e tornò alla sua corsa. In poco più di due minuti aveva trovato il coraggio di distruggermi di nuovo.
Ma in fondo non potevo pretendere diversamente.



Pov Akito.
 

Frugavo da giorni nel mio armadio alla ricerca di un mio vecchio kimono, ma i risultati erano piuttosto scarsi.
Kiroji, un bambino a cui insegnavo in palestra, non aveva la possibilità di comprarne uno nuovo, visto che il suo si era strappato durante un incontro, e avevo pensato di regalargli il mio che, anche se non era nuovissimo, poteva ancora andar bene fino alla fine delle competizioni.
Avevo cercato ovunque e, puntualmente, cercavo di scacciare quella vocina che mi diceva che potesse essere a casa sua. Non volevo chiamarla per poter controllare ne volevo trovarla lì quando ci sarei andato, quindi verso le dieci uscii da casa mia per andare da lei, per controllare se fosse in casa o no. Avevo ancora una copia delle chiavi di casa, quindi non avevo bisogno che ci fosse lei, ma la paura di incontrarla era come un mostro che mi stava col fiato sul collo costantemente. Temevo di combinare qualche casino con lei attorno e la mia testa non era in grado di interiorizzare altri problemi.
Fuori la sua macchina non c'era, quindi via libera. Parcheggiai e presi le chiavi dalla tasca, per poi entrare in casa.
Entrarci di nuovo mi fece mancare il fiato. Era tutto buio e non mi preoccupai di accendere le luci, visto che dovevo rimanerci per poco più di cinque minuti. Guardai alla mia sinistra e la camera della bambina era proprio lì, a fissarmi, completamente vuota se non per qualche scatola qui e lì. Percorsi il corridoio e mi diressi verso la stanza da letto per prendere ciò che mi serviva. Nella fretta avevo lasciato molte cose lì, me ne resi conto solo quando, aprendo l'armadio, trovai una serie di mie magliette e anche un paio di scarpe. Cominciai a frugare tra la mia roba, ma del kimono neanche l'ombra. Dove cavolo l'avevo messo?
Mi voltai per cercare un borsone dove mettere le cose che avevo trovato e, improvvisamente, sentii un fortissimo dolore al naso e, portandomi le mani al viso, caddi a terra.
“Ho chiamato la polizia, se non te ne vai subito ti spacco la testa!”. Sana continuava ad urlare, dimenando il mattarello che aveva tra le mani. Mi aveva colpito così forte che il sangue cominciò ad uscirmi dal naso, e non riuscivo a fermarlo.
“Sono...” Tentai di parlare, ma il sangue mi era finito in bocca e per poco non vomitai. “Sono io, Sana… fer… ferma!” riuscii a dire infine, alzandomi in piedi e afferrandole il polso, cercando di fermarla.
Lei corse ad accendere la luce, mi guardò stupita e poi mi colpì un'altra volta sulla testa, meno violentemente stavolta. “Cosa diavolo ti è venuto in mente? Volevi farmi venire un infarto? Pensavo che fossi un ladro o peggio!”. Mi colpì di nuovo, e mi sembrò per un attimo di essere tornato alle elementari, quando usciva dalla tasca quel martelletto solo per darmelo in testa.
“Sana, io mi starei dissanguando qui.” dissi andando verso il bagno. Solo allora si rese conto che ero tutto imbrattato di sangue e che non riuscivo neanche a parlare. Gettò il mattarello per terra e mi seguì. “Scusami! Cavolo, ti ho colpito proprio forte. Scusa, Aki.” disse, forse senza pensarci, senza dargli peso o forse per la forza dell'abitudine. Eppure sentirmi chiamare in quel modo da lei, dopo tanto tempo che non le sentivo più pronunciare il mio nome era stato strano. Mi fermai per un attimo, guardandola dritta negli occhi, poi continuai a lavarmi il viso.
“Stai fermo, Akito. Prendo qualcosa per fermare il sangue.”
Si allontanò un attimo e poi mi passò un po' di carta igienica arrotolata e, per un attimo, smettemmo di essere marito e moglie in rotta e tornammo quei due bambini di tanto tempo prima. Scoppiammo a ridere insieme nel momento in cui mi mise quella carta su per il naso. Era surreale, era forse la cosa più inopportuna che sarebbe potuta capitarci, eppure il destino ormai sceglieva per noi.
Mi fece sedere sul water, intimandomi di nuovo di stare fermo. Volevo andarmene. Non ero pronto a starle così vicino.
“Che ci fai qui?”. Le sue domande arrivarono prima ancora che pensassi ad un motivo valido da darle. Lei sciacquò un asciugamano e poi cominciò a passarmelo sul viso per togliere le macchie di sangue. “Non… non devi farlo.” Cercai di toglierglielo dalle mani, ma lei mi bloccò.
“Voglio farlo.”
Gli sguardi che ci scambiammo erano inequivocabili. Avrei voluto così tanto baciarla… e sapevo che lo voleva anche lei, ma nessuno dei due si mosse di un millimetro.
“Quindi… perché sei entrato in casa nost...” si bloccò immediatamente prima di dire di più. “Perché sei qui, Akito?” concluse infine, tagliando corto.
“Ho lasciato delle cose qui che mi servivano.”
“E non potevi semplicemente chiedermele?”. Lo chiese come se vederci fosse la cosa più normale del mondo, come se non ci fossimo distrutti a vicenda prima di quel preciso momento.
“Non ho visto l'auto fuori e ho pensato che sarebbe stato meglio per noi evitare qualsiasi contatto.”
La guardavo dal basso scrutare ogni singolo angolo del mio viso, come se non lo conoscesse abbastanza, come una drogata in astinenza dall'eroina. Tutto in lei mi faceva capire che mi amava. E allora perché aveva distrutto la mia vita?
“Ho dovuto prestare l'auto a Rei, la sua aveva un problema al cambio. Avresti dovuto chiamarmi, potevo farti trovare tutte le tue cose da Tsuyoshi se proprio non volevi vedermi.” disse con la voce calma. Quella voce calma che mi stava facendo uscire di testa da cinque mesi, la stessa con cui mi aveva cacciato dalla sua vita.
“Puoi biasimarmi per questo?”. Non volevo chiederglielo davvero, le parole erano semplicemente uscite dalla mia bocca senza il mio consenso.
Sana scosse la testa e non disse più nulla. Rimanemmo in silenzio per un po', finché lei non mi ripulì la faccia da tutto il sangue. Quando mi disse che aveva finito restai lì, a guardarla mentre lei non si allontanava. Erano cinque mesi che non sentivo il suo profumo. Cinque mesi che la sua immagine mi tormentava come il peggiore dei miei incubi.
“C'erano giorni in cui avrei voluto ucciderti...” dissi tutto d'un fiato, aspettandomi la sua solita reazione esasperata. Invece non disse nulla per un po'.
“Forse avrebbe fatto meno male di tutto questo.”
Non riuscivamo a staccarci l'uno dall'altro, e non perché eravamo masochisti – o forse io lo ero almeno un po' - ma perché tra di noi c'era sempre stato quel tacito accordo.
Se vuoi che io non dica nulla, non dirò nulla. Ma lascia che io sia qui per te.
E avevamo mantenuto quell'accordo per tutti quegli anni. Finché lei non l'aveva tradito, tradendo me e i nostri sentimenti.
Improvvisamente l'atmosfera cambiò e Sana si allontanò da me, facendomi uscire da quello stato di trance in cui mi aveva portato.
“Dovresti andare, Akito. Ti farò sapere quando non sono in casa così potrai venire a prendere le tue cose.”
Mi alzai, senza toglierle gli occhi di dosso. Mi sentivo sporco a volerla ancora. Ma l'avevo amata per tutta la mia vita, come potevo pretendere che il mio cuore perdesse la memoria così, da un momento all'altro?
Mi sarei fatto uccidere per lei.
“Si… vado.” dissi, dirigendomi verso la porta d'ingresso.
Da una parte avevo paura che uscendo da lì non l'avrei più rivista, che si sarebbe smaterializzata davanti ai miei occhi, dall'altra speravo di non vederla mai più, perché la sua presenza mi dilaniava.
Mi sentivo come se un coltello si spingesse sempre più a fondo dentro al mio petto.
Potevo sopportare tutto quello, ancora?
Uscii da quella casa, che era diventata quella perché aveva smesso di essere anche mia, e quando la porta si chiuse sentii che anche dentro me si stava chiudendo qualcosa.
Non ero certo di cosa fosse esattamente, ma ero più che sicuro che quel qualcosa non mi avrebbe più permesso di amare qualcuno ed essere distrutto. Non l'avrei più permesso a nessuno.



Pov Sana.
 
Cercai di non piangere. Cercai di non correre da lui nel momento stesso in cui ebbe oltrepassato quella porta. Non potevo. Ero riuscita a resistere per cinque mesi, potevo sopportare qualche altra settimana.
Potevo davvero sopportarlo? Potevo impormi quella tortura? Potevo davvero imporla ad entrambi?
Avevo scelto io per entrambi, questo poteva davvero essere giusto? Forse no, ma io cercavo solamente di proteggerlo.
Ma era davvero quello il modo giusto?
*
La sera dopo Fuka si era presentata a casa mia con un paio di birre, usando la scusa del troppo tempo passato separate. Sapevo che voleva solamente controllare come stavo, che si preoccupava per me e per la mia salute mentale, avendo lei assistito a tantissimi miei crolli causati da Akito, ed era carino da parte sua.
“Quindi, fammi capire: tu gli hai detto che non volevi bambini per preservare la tua carriera?”
Annuii, aprendo la seconda birra. Non avevo voglia di raccontarle la verità. Non perché non mi fidassi di lei, ma parlarne avrebbe significato ricordare quegli orribili momenti e, visto che non c'era alcuna possibilità per me e Akito era inutile farmi del male e farmi compatire dalle mie amiche. Bastava ciò che le stavo raccontando per capire ciò che provava Akito, anche se non del tutto.
“Sei stata proprio una stronza.”
Sorrisi d'impulso, pensando alla sua totale mancanza di tatto nei miei confronti.
“E' la cosa migliore, Fuka. Non posso renderlo felice, quindi perché fingere e distruggerlo più avanti? Non eravamo giusti l'uno per l'altra.”
Feci spallucce e mandai giù un sorso di birra piuttosto lungo.
“Ma chi diavolo sei tu?” urlò Fuka, alzandosi dal divano. “Non ci posso credere che tu sei Sana Kurata, la ragazza che io conosco, quella che è mia amica! Senti, io ho rinunciato ad Akito per te, perché poteste essere felici insieme. Non puoi farmi questo!”.
Era la prima volta che mi diceva una cosa del genere, che mi rinfacciava quello che era successo ormai dieci anni prima.
Non distolsi lo sguardo. “C'è solo una cosa che non potrei mai fare in vita mia: fare del male ad Akito.”
Fuka mi rivolse uno sguardo sconfitto e non nominò più Akito per tutta la serata.
Mancavano due giorni al matrimonio di Aya ed ero stata una pessima testimone, una pessima amica. Ero pessima e basta.
Non mi meravigliava che Akito non mi volesse più, ero la persona più incasinata della terra.
Nonostante quello lui mi aveva amata.
E io avevo distrutto tutto.

Pov Akito.


“Akito!”.
La voce di Natsumi era un suono lontano e ovattato, che diventava sempre più forte man mano che lei si avvicinava alla mia camera. Quando entrò sentii un tonfo, mi voltai e la trovai con la mia bottiglia di vodka tra le mani.
“Di nuovo?” disse indicando la bottiglia. Mi limitai a voltarmi dall'altro lato, non avevo voglia di affrontare quella discussione. Ero ancora troppo provato dall'incontro con Sana. Stavo tornando ad essere vulnerabile da quando l'avevo rivista e la cosa non mi piaceva affatto. Volevo smettere di essere il suo burattino, ma la verità era che da quando l'avevo conosciuta non avevo fatto altro che aspettare come un cagnolino che mi degnasse di un briciolo di attenzione e, quando finalmente l'aveva fatto, il prezzo dell'attesa aveva smesso di essere così caro e io mi ero auto convinto che potesse bastare per tutti gli anni che avevo passato a cercare un suo sguardo. Mi ero ripetuto mille volte che il fatto di essere sposati, di aver costruito quella strana coppia fosse abbastanza, che avrebbe compensato tutto il resto. Realizzai che non era così non appena mi lasciò.
“Ho bisogno dell'Akito lucido, ti prego.”. Mia sorella proprio non voleva lasciarmi in pace. Sentivo Kaori piangere al piano di sotto ma a lei sembrava non importare.
“Tsuyoshi è in cucina, vuole vederti. Dice che rifiuti le sue chiamate da un paio di giorni, è preoccupato.”
Fantastico, ci mancava solamente Tsu.
“Digli che scendo subito.”
Natsumi uscì dalla mia camera portando con se la bottiglia di vodka, ovviamente, intimandomi di sbrigarmi.
Presi la maglia dal pavimento e la infilai alla meglio, per poi scendere le scale e trovarmi Tsuyoshi davanti, con una faccia alquanto preoccupata.
“Ti sei svegliato con la luna storta?” chiesi mentre mi dirigevo in cucina per fare colazione. Lui mi seguì a ruota.
“Io domani mi sposo, Akito. E tu, in quanto testimone, dovresti impedire che mi venga un attacco di panico o che ne so, portarmi in giro a fare qualche pazzia con delle spogliarelliste scadenti oppure pagarmi una cena, si credo che la cena sia l'opzione migliore perché le spogliarelliste potrebbero essere un po' eccessive e io non voglio che...”
Mi fiondai su di lui e lo bloccai per le spalle. “Tsuyoshi smettila. Niente spogliarelliste, ma ti prego smettila di parlare.” Lo costrinsi a sedersi a tavola, gli piazzai una tazza di cereali davanti e gli versai un po' di latte.
“Adesso mangia. Così avrai la bocca impegnata.”
Tsuyoshi obbedì senza fare storie, e rimanemmo per un po' in silenzio, mentre Natsumi cambiava la bambina e le faceva il bagnetto.
“Ti senti meglio?” chiesi quando finimmo di mangiare.
“Si, diciamo di si, grazie.”
“Scusa se sono stato un pessimo amico. Tu ci sei sempre per me e io sono stato veramente poco presente.”
Tsuyoshi mi tolse la tazza dalle mani e la portò sul piano cottura, scuotendo la testa. “Sei mio fratello, Akito. Non posso chiederti di aiutarmi quando non riesci ad aiutare nemmeno te stesso.”
Annuii. Tra di noi non c'era bisogno di parlare più del dovuto, eravamo fratelli, come aveva detto lui, e io sapevo di poter contare sempre su di lui, anche se spesso io non avevo fatto lo stesso.
Passammo la giornata così, tra chiacchiere di circostanza e ricordi d'infanzia.
Non riuscivo a realizzare il fatto che il mio migliore amico si stesse per sposare. Il matrimonio è un casino, ma lui non avrebbe avuto la mia stessa sorte. Aya non era una pazza squilibrata come Sana, e amava Tsu. Si amavano da sempre.
Avrebbero avuto una vita lunga e felice, esattamente il contrario della mia.



Pov Sana.
 

Aya non faceva altro che toccarsi i capelli, e io non facevo altro che intimarle di stare ferma, perché aveva le mani sudate e avrebbe rovinato tutta l'acconciatura.
Che stress i matrimoni. Erano una vera e propria tortura, chissà perché tutti li designavano come il giorno più bello della tua vita se poi l'unica cosa bella è il momento in cui torni a casa dopo una giornata piena di sorrisi finti?
“Fuka, ti prego, fagli una ramanzina delle tue sennò finirà per impazzire.”
Mentre Aya indossava l'abito, Fuka cominciò a parlare, così mi presi una pausa da tutta quella ansia mista a felicità e mi spostai nella stanza accanto.
Casa di Tsuyoshi e di Aya era molto carina, e ogni suo angolo era pieno dell'amore che li contraddistingueva. Ricordai che Aya mi aveva parlato a lungo del colore della cucina – se prenderla rossa o grigia – e Tsuyoshi continuava a ripetere al telefono che tanto lei alla fine ne avrebbe scelta una terza, perché era l'eterna indecisa.
Tornai in camera da letto, Fuka stava ancora parlando ma Aya non l'ascoltava e se solo lei se ne fosse accorta avrebbe ricominciato da capo. Sul comodino di Tsuyoshi c'era una loro foto durante la vacanza in Italia. Lui l'abbracciava da dietro e la baciava sulla guancia. Aya aveva un'espressione così felice, gli occhi chiusi e la testa rivolta verso l'alto.
“Sei proprio fortunata...” dissi a bassa voce, pensando che nessuno mi sentisse. Invece Fuka smise di parlare e Aya si voltò verso di me.
“Lo so...” sussurrò Aya. “Mi dispiace Sana. Se tutto questo per te è troppo difficile, io… puoi andare.”
Mi avvicinai a lei e l'abbracciai. “Io sto bene, Aya. Tu sei la mia migliore amica. Oggi è il tuo giorno.”
La guardai per un attimo e notai che una lacrima le stava scendendo giù per la guancia. “Non piangere per me, io voglio solo starti vicina. E poi così si rovina tutto il trucco, quindi smettila subito!” le ordinai, sorridendo.
Entrambe scoppiammo a ridere e Fuka alle mie spalle si unì all'abbraccio.
Erano le mie amiche più care. Mi erano state accanto per tutta la mia vita, come potevo abbandonarle solo perché la mia vita era diventata un casino?


*
Aya mi passò il suo bouquet quando arrivò davanti a Tsuyoshi. In realtà dovetti toglierglielo dalle mani perché lei era troppo impegnata a guardarlo. Avevano scelto il rito occidentale ma avevano deciso comunque di mantenere qualche tradizione, infatti l'officiante passò sulle testa dei due sposi un ramoscello di camelia, che poi venne passato ai loro genitori.
Era il simbolo dell'unione delle due famiglie, come due alberi che scelgono di crescere uno accanto all'altro, unendo le loro radici e i loro rami, su in alto.
Avevo scelto volontariamente di non guardare Akito per tutto il tempo, anche se sapevo benissimo di doverlo fare prima o poi.
Ogni cosa durante quella cerimonia mi ricordava lui, il nostro matrimonio, basato su una finzione, e su dei sentimenti che non riuscivamo veramente ad esternare.
Eravamo stati così stupidi.
“Con questo anello io ti sposo...” Tsuyoshi le mise l'anello al dito. “E prometto di esserti sempre fedele, nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita, finché morte non ci separi.”
Mentre Aya faceva lo stesso abbassai lo sguardo verso la mia mano, inconsciamente non avevo notato di portare ancora la fede, quello stesso anello che io non mi aspettavo. Una lacrima mi scivolò sulla guancia, volevo disperatamente guardarlo, ma la paura mi bloccava.
Avevo paura che mi avrebbe odiato, molto di più di quanto non lo facesse già. Avevo paura di perdere il controllo, che mi sarei fiondata su di lui e lo avrei supplicato di perdonarmi. Avevo paura di trovare nel suo sguardo qualcosa che mi avrebbe detto che sarebbe andato avanti. Io non ci sarei mai riuscita.
Alla fine, comunque, cedetti. Lo guardai. Lui stava facendo esattamente la stessa cosa che stavo facendo io. Non ci avevo fatto caso tutte le volte che lo avevo incontrato prima di quel momento: anche lui portava ancora la fede. Se la rigirava tra le dita nervosamente, mentre Aya recitava le sue promesse.
I nostri sguardi si incrociarono e fu allora che, senza nemmeno rendermene conto, cominciai a piangere. Trattenni i singhiozzi, ma non mi preoccupai di nasconderlo. Chiunque avrebbe pensato che mi fossi emozionata per il matrimonio. Dentro di me tutto stava andando in pezzi. Ma nessuno se ne accorgeva, eccetto Akito.



Pov Akito.

Non aveva alcun diritto di piangere, non dopo quello che mi aveva fatto. Non poteva guardarmi, guardare la mia fede, la sua fede, e piangere in quel modo. Non poteva farmi sentire colpevole della sua sofferenza. Non era giusto.
Il banchetto cominciò subito dopo, ovunque c'era gente brilla, tutti si divertivano e c'era chi si divertiva anche troppo – tipo Gomi, che Hisae non faceva altro che inseguire per tutta la sala – e chi invece, come mia sorella, non faceva altro che starsene seduta con Kaori a rimuginare sulla sua condizione da single. Ma di che si lamentava poi? Kaori, non appena aveva visto Sana, si era dimenata per essere presa in braccio da quella che era stata la sua mamma per mesi. Vedere Sana con la bambina mi faceva uno strano effetto. Sentirla parlare con mia sorella di quanto Kaori fosse cresciuta mi faceva sentire preso in giro. Lei amava quella bambina, glielo si leggeva negli occhi, eppure non era riuscita ad amare mia figlia. Sua figlia.
Mentre sorseggiavo un drink al bar Tsuyoshi si avvicinò a me. “Non mi sembra che tu ti stia divertendo.”
Annuii, buttando giù altro alcol. “Mi divertirei di più se non dovessi sopportare la sua presenza qui.”.
“L'ho vista piangere durante la cerimonia. Non che mi sia soffermato a guardarla, Aya prendeva tutta la mia attenzione, ma diciamo che non è passata inosservata.”
“E' una brava attrice, è il suo lavoro piangere a comando. A questo punto penso che tutti i suoi sentimenti siano una finzione.”
Tsuyoshi non fece in tempo a rispondermi che sentii qualcuno sbattere violentemente i piedi per terra.
Mi voltai e Sana stava andando verso il bagno, con le lacrime agli occhi. Ci risiamo.
“Vai da lei. Scusati.” mi ordinò Tsuyoshi. “Se Aya scopre che la sua migliore amica sta piangendo al suo matrimonio per colpa tua, se la prenderà con me e diventerà vedova prima del tempo.”
Sbuffai e seguii Sana. Non avevo voglia di parlarle, ma non potevo far litigare agli sposi nel primo giorno di matrimonio, nemmeno io ero così crudele.
Quando aprii la porta del bagno la trovai che si guardava allo specchio cercando di sistemarsi il trucco.
Chiusi la porta a chiave, così che non potesse scappare prima di averle detto ciò che dovevo. “Non c'è bisogno di farne un dramma, Kurata. Non ho detto nulla che tu non sappia già.”
Non smise nemmeno per un attimo di guardarsi allo specchio, cercò di ignorarmi, ma mi avvicinai lentamente a lei. Quando lo capì, cominciò ad arretrare.
“No… infatti hai ragione. Almeno così non devo fingere di amarti.” disse senza alcuna emozione negli occhi.
Quella frase mi fece ribollire il sangue nelle vene, non perché non lo pensassi anch'io, ma perché sentirlo da lei era una tortura. Tutto davanti a me diventò nero. La presi per le braccia e la strattonai, trattenendola contro il muro.
“Perché mi fai questo? Perché provi piacere nel torturarmi? Cosa ti ho fatto?” urlai, senza più contenermi, senza pensare che fuori dalla porta c'erano tutti i nostri amici, che avrebbero potuto sentirci. Non mi importava più di nulla.
Sana scoppiò in lacrime, ma non la lasciai. Rimasi lì, nella stessa posizione, la guardai singhiozzare finché non riuscì a parlare. “Tu non lo sai!” urlò anche lei. “Tu non sai che tutto questo fa più male a me che a te! Tu credi che io goda nel farti soffrire? Credi che io abbia davvero finto? Come puoi anche solo pensarlo? Io ti ho amato! Ti amo tutt'ora! Ma non posso darti quello che vuoi! Non posso e non potrò mai!”.
Scivolò contro il muro e la lasciai fare. Si passò la mano tra i capelli, continuando a piangere. Io rimasi in piedi, perché sapevo che se l'avessi guardata dritto negli occhi l'avrei consolata. E lei non lo meritava. Anche se continuava a ripetermi che mi amava, che anche lei soffriva… io avevo passato le pene dell'inferno.
“L'unica cosa che avresti dovuto capire non ti è ancora entrata nella testa.” dissi con la voce di un automa.
“E cioè?”
“Che era te che volevo. Che sarebbe bastato dirmelo, parlare con me, con tuo marito, piuttosto che distruggermi la vita così! Ma tu sei un'egoista! E io sono solo uno stupido, un pazzo, a pensare di amarti ancora!”.
Sana si alzò da terra e si avvicinò velocemente a me. “Allora smetti di amarmi! Smetti di amarmi e sarà tutto più facile!” urlò, dandomi dei pugni sul petto con una forza che non aveva mai avuto.
“Non posso!” dissi tutto d'un fiato. Le bloccai i polsi, ci ritrovammo faccia a faccia, vicini come non lo eravamo da troppo tempo. Non avrei voluto dargli altre sicurezze, ma le parole erano uscite senza filtri, e non ero riuscito a trattenermi. Con lei mi capitava troppo spesso.
Ci guardammo per un attimo in silenzio, nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo e, quando stavo quasi per decidere di andarmene e lasciarla lì, l'unica cosa che la mia testa mi ordinò di fare fu baciarla.
Mi sembrò come la prima volta. Per tutto il tempo in cui le nostre bocche si toccarono, si leccarono, si esplorarono, pensai che tutto quello che era successo fosse stato una finzione, un incubo, e che quel bacio potesse cancellare tutto il dolore. La portai di forza verso i lavandini e, afferrandola per la vita, la feci sedere sul piano di marmo.
La baciai con tutta la foga e l'urgenza delle notti in cui mi svegliavo da solo nel mio letto e l'unica cosa che desideravo era essere dentro di lei. Abbassai la mano in cerca del suo seno, strizzato dentro a quel vestito verde che per tutta la sera avevo immaginato di strapparle di dosso.
“Ti voglio.”
Cercai di assimilare le parole che mi aveva detto. Lei mi voleva e solo io sapevo quanto anche io la desideravo, ma ero davvero pronto ad amarla come prima?
Mi aveva spezzato in un modo che non pensavo nemmeno possibile, e adesso io cedevo solo perché ero maledettamente innamorato di lei?
Le sue mani arrivarono alla mia camicia e cominciarono a sbottonarla. Fu quando le sue mani toccarono la mia pelle che capii.
“Io non posso.” fu tutto quello che le dissi. Mi allontanai da lei e, abbottonandomi la camicia in fretta e furia, uscii dal bagno.
Tsuyoshi mi guardò correre fuori e non cercò di fermarmi. Proprio per questo era il mio migliore amico.
Uscii in giardino e ritornai dentro solo quando mi calmai. La amavo, la amavo profondamente, ma sarei stato maledetto se mi fossi fatto prendere in giro un'altra volta.


Dopo un sacco di tempo ecco qui il 19° capitolo, appena finito. Mi dispiace non aggiornare più velocemente, ma purtroppo non trovo sempre il tempo/l'ispirazione per continuare.
In ogni caso volevo ringraziarvi per le recensioni che mi avete lasciato. Mi dispiace avervi fatto arrabbiare con questa svolta un po'tragica, ma nella vita non sempre tutto è rose e fiori e quindi devo cercare di essere il più veritiera possibile.
Spero che vi piaccia, che mi lascerete tante recensioni a cui cercherò di rispondere.
Grazie grazie grazie.
Akura.
Per gli amici, come voi, Roberta.

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Capitolo 21
*** Casetta fuori dal mondo. ***


CAPITOLO 20.
CASETTA FUORI DAL MONDO.


Pov Sana.



Uscii dal bagno poco dopo, mi ero sistemata il trucco e avevo messo a posto il vestito. Mi guardai allo specchio: all'esterno tutto sembrava uguale, esattamente com'era prima che io varcassi quella porta, ma dentro ero in tempesta. Tutto mi sembrava assurdo, in mano a un destino che si divertiva a giocare con me.
Tornai al mio posto, sperando che nessuno notasse la tempistica della nostra uscita dal bagno; non avrei sopportato le battute o le insistenti allusioni degli altri ospiti sulla mia vita privata, resa già abbastanza pubblica dal mondo che mi circondava.
Mi accorsi che anche Akito era tornato al suo tavolo, strategicamente lontano dal mio, e solamente quando lo vidi alzarsi, prendere in mano una forchetta e avvicinarla al bicchiere, mi misi in piedi anch'io.
Il suo sguardo mi bloccò sul posto, poi il suo viso si rilassò e tornò a sedersi, capendo che avrei fatto io il brindisi al posto suo. Se non potevo renderlo felice potevo almeno salvarlo da quel discorso che sapevo sarebbe stato una tortura per lui.
“Sarò breve.” Iniziai. “Conosco Tsuyoshi e Aya da... praticamente tutta la mia vita. Devo dire che ho anche un po’ contribuito a formare questa coppia e per questo voglio prendermi il merito come personale Cupido.” Guardai la mia migliore amica che mi rivolse uno sguardo di complicità, sorridendomi.
“Scherzi a parte... scegliere la persona con cui decidiamo di passare il resto della nostra vita è una delle cose che più influenzerà il nostro futuro.”
Trovai gli occhi di Akito e mi concentrai su di lui, fissandolo insistentemente e profondamente, perché sapesse che non mi riferivo ad Aya e Tsu.
“Possiamo scegliere male, e rendere la nostra vita un inferno. Distruggerci fisicamente e psicologicamente a causa di questa scelta per poi rinascere quando decidiamo di abbandonare per sempre quel rapporto che può solo causarci dolore. Oppure possiamo scegliere bene, con cura, come se da quell’unica scelta ne dipendesse la nostra esistenza, e in realtà è così e lo sappiamo bene, e cercare la nostra anima gemella. Quella persona che ti completa, ti tiene stretta a se ma allo stesso tempo ti rende libera. Quella persona che sarà la tua compagna di vita.
A volte le scelte vengono date per scontate, ma non è così difficile prendere delle brutte decisioni. E io lo so bene...” . Mi bloccai per prendere fiato e spostai lo sguardo verso la sala, in silenzio e sconvolta dalle mie parole.
“Ciò che sto cercando di dire è che... che non è importante prendere delle giuste o sbagliate decisioni. L’unica cosa importante è trovare la persona che, anche se ne prenderai delle pessime, sarà sempre lì per te.
E io sono certa che sia Aya che Tsuyoshi saranno in grado di fare tutto questo, perché l’amore vero si riconosce a prima vista e il loro, credetemi, lo è.”
Alzai il calice verso gli sposi. “Ad Aya e Tsuyoshi.”
“Ad Aya e Tsuyoshi!” Ripeterono tutti dopo di me.
Rivolsi nuovamente lo sguardo verso
Akito. Se uno sguardo avesse potuto uccidermi, il suo lo avrebbe fatto sicuramente.
Volevo solo che capisse. Che mi comprendesse. E che mi lasciasse andare per sempre...
per il suo bene.

Pov Akito.
 

“Akito ma si puó sapere cosa cavolo stai cercando?”
Natsumi non si era ancora decisa a lasciarmi in pace, mi assillava tutti i giorni tutto il giorno dal matrimonio di Aya e Tsuyoshi, perché temeva che avrei avuto un crollo nervoso e avrei cominciato a distruggere casa da un momento all’altro.
In realtà la tentazione quella sera era stata tanta, sia durante che dopo la festa, ma mi ero contenuto principalmente perché non avrei potuto rovinare la serata a Tsu.
“Sto cercando la maledetta relazione sul progetto che ho fatto ad Osaka ma, ovviamente, l’avrò lasciata da Sana. Di nuovo.”
Mi sembrava di vivere un incubo che si ripeteva ancora e ancora, senza possibilità di scampo. Era un circolo vizioso, un cane che si mordeva la coda e quel morso lo sentivo tutto al centro del petto, mi stava dilaniando dall'interno e non riuscivo più a tenere tutto lì, sepolto da mille dolori, problemi, attimi che mi avevano spezzato.
Sarebbe stato facile ripetere lo stesso errore della volta scorsa, andare da Sana e ritrovarci di nuovo faccia a faccia. Ma non volevo. Non ero in grado di sopportare un altro confronto con lei, non dopo quello che era successo al matrimonio.
“Sei costretto ad andare a chiederglielo, lo sai vero?”. Natsumi non era d'aiuto.
“Lo so, Nat. Grazie dell'ovvietà.”
Uscii dalla camera di fretta e furia, presi le chiavi della macchina e lasciai Natsumi in casa con la bambina. Mi serviva quella relazione entro la fine della settimana o il mio professore avrebbe potuto anche non farmi superare il corso.
Arrivai davanti casa di Sana cinque minuti dopo, notai che la macchina non c'era esattamente come l'altra volta ma era molto probabile che il destino si beffasse di me, ancora.
Suonai il campanello più volte, aspettando che lei venisse ad aprirmi ma al quinto tentativo capii che non era in casa. Misi le mani in tasca e tiri fuori le chiavi di casa che ancora conservavo e che la volta prima Sana non aveva voluto indietro. Menomale, almeno avrei potuto evitare l'ennesimo confronto.
La casa era immacolata, come se lì non ci vivesse nessuno, come se Sana fosse solo un fantasma dentro casa. Sapevo come ci si sentiva nell'essere solo un'ombra, a non avere niente.
Il letto era disfatto, e per un secondo davanti ai miei occhi passò l'immagine di quella che era ancora mia moglie tra le braccia di un altro uomo. Ogni pensiero del genere fatto prima che diventasse mia era nulla a confronto. Prima potevo solo immaginare quanto fosse morbida la sua pelle, o i suoi gemiti mentre faceva l'amore, il suo modo delicato di muoversi, o la sua bellezza anche con i capelli scompigliati. Adesso tutto questo era una verità nella mia testa, era concreto, e immaginare che facesse tutto quello con qualcuno che non ero io mi faceva mancare la terra da sotto i piedi.
Svuotai tutti i cassetti della stanza, ma ero sicuro che non fosse lì. Non ricordavo dove l'avevo messo, forse nel mobile del salotto. Percorsi tutto il corridoio e continuai a cercare, premurandomi di lasciare tutto per come l'avevo trovato.
Cercai nei cassetti per almeno dieci minuti finché non trovai la relazione in mezzo a dei fogli pieni di frasi scritte da Sana, che avevo portato con me ad Osaka.
Le lessi tutte, una per una, e per ognuna mi scese una lacrima. Come avevamo potuto lasciare che quel sentimento appassisse così? Non eravamo stati capaci di proteggere il nostro rapporto, forse in parte era anche colpa mia. L'avevo lasciata da sola in un momento importante e delicato come la gravidanza. Forse non ero stato abbastanza attento.
Stavo quasi per distruggere tutti quei messaggi d'amore quando squillò il telefono. D'istinto mi alzai per andare a rispondere, quando arrivai davanti al cordless ricordai che quella non era più casa mia, e soprattutto che io non avrei dovuto essere lì in quel momento.
Presi le mie cose per andarmene ma scattò la segreteria e un po' per la voce di Sana che si propagò nella stanza, un po' per la curiosità di sapere chi stesse chiamando, rimasi lì ad ascoltare.
“Salve signora Hayama.”
Sentire Sana essere chiamata in quel modo mi fece sorridere. Odiava che il suo cognome venisse sminuito solo perché si era sposata.
“Sono la segretaria del dottor Saito. Mi dispiace disturbarla ma ho visto che ha saltato l'appuntamento di controllo e la invito caldamente a fissarne uno nuovo. Inoltre volevo dirle che il nostro studio offre gratuitamente un supporto psicologico per tutte quelle donne che, come lei, hanno subito un aborto, ed è esattamente con la stessa dottoressa con cui ha avuto un colloquio durante la prima visita. Comprendo che la sua situazione sia molto dolorosa e complicata, ma proprio per questo vorrei che accettasse la proposta.” La donna si schiarì la voce. “Richiami signora Hayama. Non è sola nel suo dolore, mi creda. A presto.”
Il messaggio vocale terminò e non appena calò il silenzio la mia testa fu invasa da mille domande.
Perché Sana avrebbe dovuto aver bisogno di un supporto psicologico? Lei stessa mi aveva detto apertamente che era contenta di aver abortito.
Tutte le tessere del puzzle che avevo minuziosamente costruito per odiarla si stavano lentamente distaccando. Non mi era mai stata completamente chiara quella situazione e ora le parole di quella donna mi avevano ulteriormente riempito di dubbi. Che Sana mi avesse mentito? O forse ero solo io che cercavo di giustificarla perché ero ancora innamorato di lei.
Camminai avanti e indietro per quel salotto per ore, attendendo che Sana tornasse a casa. Non potevo andarmene senza avere una spiegazione. Magari era tutto nella mia testa. Magari le sarebbe servito per affrontare le conseguenze fisiche dell'aborto e nostro figlio era solamente l'effetto collaterale del problema. Magari la mia testa stava cominciando a giocarmi brutti scherzi. Magari stavo impazzendo.
“E tu che cavolo ci fai qui?”
La voce di Sana mi colpì alle spalle come un pugno, mi voltai e lei era lì, completamente fradicia a causa del temporale di cui mi accorsi solo in quel momento. Sana buttò delle buste della spesa ai suoi piedi e cominciò a strizzarsi i capelli, aspettando una mia risposta. Ma anche la mia lingua sembrava restia a collaborare.
“Quindi? Akito ti senti bene?” mi incalzò lei, facendo un passo verso di me.
Piazzai le mani in avanti, intimandole di fermarsi, e lei lo fece.
Provai di nuovo a parlare. “Sono...”
Mi leccai le labbra cercando di riattivare la salivazione. “Sono venuto a prendere una cosa che avevo dimenticato...”
“Ancora?” mi interruppe. “Ti avevo detto di chiamarmi se...”
“Sta zitta Sana!” urlai, facendo si che smettesse di parlare. Scattai verso la segreteria e rimasi immobile lì. “Quando stavo per andarmene ha squillato il telefono e, non so perché, sono rimasto ad ascoltare il messaggio.”
“Nessuno ti dava il diritto!” gridò Sana, perciò cercai di sovrastarla con la voce.
“Era la segretaria del tuo dottore! Prima ha insistito perché tu tornassi per un controllo e poi… no, aspetta! Voglio fartelo sentire perché vorrei farti capire come mai sono rimasto così sorpreso!”
Schiacciai il pulsante play e riascoltai il messaggio insieme a lei. Sana non disse nulla per tutto il tempo. Si limitò ad abbassare lo sguardo e ascoltare in silenzio. La guardai attentamente, forse per la prima volta da quando ci eravamo lasciati: aveva le occhiaie e il viso scavato ed era inutile dire quanto fosse dimagrita.
Non sembrava affatto in salute.
Quando il messaggio finì smisi di fissarla e staccai la segreteria.
“Ora, Sana, vuoi spiegarmi perché questa donna sembra così maledettamente preoccupata per te? Perché dovresti avere bisogno di un aiuto psicologico se proprio tu hai gioito quando nostro figlio è morto!”
Sana cominciò a piangere ma cercava in tutti i modi di trattenersi.
“Spiegamelo!” urlai. “Perchè io proprio non ci arrivo!”
“Smettila! Smettila Akito!” urlò di rimando lei. “Vattene!”
Si avventò su di me e tentò di spingermi verso la porta, con scarso successo.
“Non me ne vado Kurata! Stavolta non puoi cacciarmi! Voglio sapere la verità!” dissi bloccandole i polsi all'altezza del viso.
“Non c'è nessuna verità!” disse strattonando le braccia in modo che la lasciassi. Fece un passo indietro.
“Forse la segretaria avrà pensato di farlo per poi vendere la storia ai giornali.”
“Oh! Andiamo Sana! Se avesse voluto guadagnare su questo scoop lo avrebbe già fatto!”
“Cosa vuoi che ti dica Akito? Cosa vuoi sentire? Dimmelo così possiamo farla finita!”
La guardai negli occhi e in un attimo capii che stava recitando. Come avevo fatto a non rendermene conto prima? Ero stato così cieco. “Voglio che tu mi dica la verità!”
“Non c'è niente da dire! Posso ancora confermarti di non volere figli...”
“Non ci credo!”
“… di aver odiato l'idea di aspettare un bambino.”
La voce di Sana si ruppe improvvisamente e una lacrima le scese sulla guancia sinistra.
“Non ci credo!” urlai.
“… e di essermi sentita sollevata quando ho scoperto di aver abortito!”
“Non ci credo!” ripetei urlando disperato per la terza volta.
Feci un lungo passo avanti e, non riuscendo più a trattenermi mi avventai sulle sue labbra come se fossero state la mia unica fonte di ossigeno. Le baciai le lacrime e in quel momento non mi importò più di nulla. Avevo solo bisogno di sentirla vicina. Avevo solo bisogno di respirare insieme a lei. Avevo bisogno di lei.
Sana non si allontanò, anzi mi saltò al collo cingendomi la vita con le gambe. Mentre continuavo a baciarla la spinsi contro il muro così da poterla spogliare nel frattempo. Il contatto con la sua pelle nuda mi diede alla testa e, mentre lei armeggiava con la mia cintura io le tolsi il reggiseno, lanciandolo chissà dove in salotto. Mi allontanai dal muro e mi fiondai sul divano. Non potevo più aspettare, dovevo entrare dentro di lei o il cuore avrebbe potuto scoppiarmi nel petto.
Non aspettai nemmeno di essermi liberato del tutto dei boxer: la penetrai con un affondo deciso e in quel preciso istante immaginai la solitudine di una vita senza di lei.
Sana capovolse le posizioni e vederla sopra di me, ondeggiante, con i capelli spettinati per i continui strattoni e gli occhi chiusi per il piacere, per poco non mi fece perdere il controllo.
Le toccai il seno con urgenza e Sana aumentò il ritmo dei movimenti.
“Ti prego, guardami.” dissi ansimando.
Sana aprì gli occhi immediatamente e lì capii davvero: forse la sua testa le imponeva di non dirmi nulla, ma quelle pietre nocciola urlavano tutt'altro.
“A… Aki!”
Sana si morse il labbro inferiore per trattenere i gemiti e di nuovo chiuse forte gli occhi. Mi alzai per baciarla, la morsi e succhiai le sue labbra ancora e ancora finché non diventarono rosse e gonfie.
Avrei dovuto essere pazzo per non innamorarmi di Sana.
I nostri occhi si unirono a fissare in basso, in quel punto di congiunzione che ci teneva legati e sembravamo ipnotizzati da quel movimento.
Emisi un gemito e poi distolsi lo sguardo, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Sana affondò le unghie nelle mie spalle e non appena la sfiorai leggermente sentii che il suo corpo tremava.
Era così bello guardarla che anche la mia eccitazione crebbe improvvisamente sempre di più ed entrambi crollammo, vinti da quel piacere che solo l'un l'altro sapevamo darci.



*

Un fastidioso raggio di sole mi svegliò improvvisamente e mi ci vollero almeno dieci secondi per rendermi conto di dove fossi e cosa fosse successo. Sana dormiva ancora appoggiata sul mio petto, una ciocca di capelli le copriva l'occhio sinistro perciò la spostai per guardarla meglio.
Sembrava così tranquilla, così in pace. Respirava così lentamente che per un attimo mi sembrò di non sentirne più il fiato.
Le accarezzai piano la schiena nuda per qualche minuto prima che anche lei si svegliasse. Strizzò gli occhi per cercare di abituarsi alla luce e poi prese fiato alzandosi leggermente.
“Buongiorno...” dissi avvicinandomi per baciarla.
Sana scostò il viso in modo che le mie labbra toccassero la sua guancia.
“Buongiorno.” ripetè lei, alzandosi del tutto e cercando con lo sguardo i suoi vestiti.
Raccolse la biancheria e la infilò.
“Dovresti andare.”
“Non farlo, Sana.” dissi, bloccandola prima che si mettesse in piedi. “Parlami. Perché non vuoi fidarti di me?”
“Ci risiamo, eh? Senti Akito… tutto questo è stato un errore. Non avremmo dovuto, stiamo divorziando. Soffriremmo di più.”
Afferrai i miei boxer e, dopo averli infilati, balzai in piedi davanti a lei.
“Perchè vuoi divorziare? E non dirmi che non mi ami più perchè chiaramente non è così! Perché stai male? Non puoi continuare a cacciarmi via come se io non ti conoscessi! Perché dovresti vedere una psicologa se la tua vita è perfetta così com'è? Io non me ne andrò finché non avrai risposto a tutte queste domande!”
Sana cominciò di nuovo a singhiozzare. “Akito, vattene finché sei in tempo!”. Si alzò dal divano improvvisamente e prese a passarsi le mani tra i capelli, come impazzita. “Tu non vuoi rimanere bloccato con me per sempre!”
Ero esasperato. “Smettila di decidere per me! Non è una tua scelta! E' la mia! Quindi ora dimmi la verità o giuro su Dio che non metteremo mai più piede fuori da questa casa!” urlai tutto d'un fiato, sperando che la finisse una buona volta di trattarmi come un bambino.
Il corpo di Sana crollò improvvisamente mentre veniva scosso dalle lacrime.
Mi gettai per terra accanto a lei.
“Io non posso più avere figli.”
Stavo quasi per urlare che lo sapevo già ma lei continuò a parlare.
“E non intendo emotivamente o psicologicamente. Il mio corpo non è in grado di portare a termine una gravidanza.” Prese fiato e poi continuò. “Volevo dirtelo… ma poi ho ripensato a quando mi hai raccontato tutte le tue fantasie sulla famiglia che avresti voluto e io… io non potevo farti questo. Sapevo che saresti rimasto con me in qualsiasi caso, quindi ho inventato tutte quelle bugie sul non voler più figli per la carriera. Pensavo che sarebbe stato più facile per te odiarmi invece che rimanere con me ed essere costretto ad un matrimonio senza senso.”
La bloccai non appena quelle parole assurde uscirono dalla sua bocca.
“Senza senso? Sana ma io non ho bisogno di un figlio per trovare un senso a questo matrimonio. Io ti amo!”
“E non dovresti, Akito! Ci sono migliaia di ragazze al mondo che possono renderti felice, che possono darti la famiglia che hai sempre desiderato.”
Le presi il viso tra le mani e asciugai le sue lacrime.
“Tu sei la mia famiglia, Kurata. Come hai fatto anche solo a pensare che io sarei potuto andare avanti con la mia vita senza di te?”
Sana fece un respiro profondo e abbassò lo sguardo. Odiavo che si vergognasse di se, odiavo che non riuscisse a percepire quanto la amavo e quanto poco mi importava di tutto quello che mi aveva appena detto.
“Ti rovinerai la vita, Akito.” sussurrò lei.
“L'unico modo in cui potrei rovinarmi la vita è perderti.”
Mi ritrovai a piangere anch'io senza rendermene conto, non che non mi dispiacesse rinunciare al progetto di una famiglia numerosa, ma avrei perso molto di più se avessi lasciato andare l'amore della mia vita.
Piangemmo abbracciati per un tempo che mi sembrò infinito, forse non era da me ma l'unica cosa che mi importava in quel momento era averla di nuovo con me.
Il resto era solo un dettaglio.



Pov Sana.


Raccontare tutto ad Akito era stata la cosa più difficile che avessi mai fatto. Mi guardava implorandomi di non lasciarlo all'uscuro, di non farlo soffrire ancora e non ce l'avevo fatta. Se aveva continuato a lottare per me, per la nostra storia, doveva pur significare qualcosa. E quel qualcosa era che io e Akito non eravamo in grado di stare lontani.
Non sapevo se la cosa fosse positiva o negativa, se il nostro amore ci avrebbe distrutto più di quanto non avesse già fatto ma ero certa che non ci sarebbe stato luogo o tempo in cui io e Akito avremmo smesso di amarci.
Sarebbe stato facile per lui odiarmi, mettermi in un remoto cassetto della sua mente ed etichettarmi come la donna che gli aveva fatto perdere fiducia nell’amore, eppure aveva fatto l’unica cosa che io, stupidamente, non ero riuscita a fare: lottare.
Dopo avergli detto la verità avevamo passato un paio di giorni chiusi in casa. Un po’ per recuperare il tempo perduto, un po’ perché l’idea di mettere piedi fuori, nella nuova realtà che si era creata attorno alle nostre vite, un po’ ci spaventava. Io, almeno, ero terrorizzata. Era come se mi fossi abituata al pensiero che la felicità non avrebbe più bussato alla mia porta che il solo immaginare di dovermi di nuovo immaginate come una donna sposata a tutti gli effetti mi aveva messo un po’ d’ansia.
Akito era andato a casa sua per prendere un po’ della sua roba, non avevamo ancora discusso sul ritornare a vivere sotto lo stesso tetto ma sapevo che lui aspettava solo una mia parola. Volevo davvero tornare alla normalità, ma temevo che una volta compiuto quel passo la nostra vita potesse risentirne. E se ad Akito fosse piaciuta di più la versione della sua vita senza di me? Mettendo da parte il dolore per la mia perdita, forse lui era stato felice senza di me e raccontandogli tutto lo avevo semplicemente costretto a tornare con me.
“Kurata sento i tuoi pensieri da qui.”
La sua voce mi piombó addosso, pensavo avrebbe impiegato più tempo ad andare e tornare.
Gli feci un sorriso quando passó accanto a me per andare verso la cucina. “Devi smetterla di pensare e ripensare. Non so dove trovi tutte queste energie.” Sorride sornione. “Io le mie le spreco tutte in camera da letto.” Concluse.
“Vorrei ricordarti, caro Akito...” mi alzai dal divano e mi avvicinai a lui, imprigionandolo davanti al bancone come avrebbe fatto lui a parti inverse. “.. che io sono una donna. E si sa che, a differenza di voi uomini, noi sappiamo fare più cose contemporaneamente.”
Akito sorrise e mi prese le mani portandosele sul petto. Il cuore gli batteva forte e sapevo che avrebbe potuto strapparselo per darlo a me. Si voltò di scatto e mi baciò.
Assaporai le sue labbra che sapevano di menta e subito dopo la sua pelle ruvida, per l'accenno di barba che portava da poco, e calda come se stesse andando in auto-combustione, mentre mi facevo strada verso il suo orecchio.
Lo desideravo da morire. Volevo sentirlo di nuovo, come prima, prima di tutto quel dramma, prima che il nostro rapporto avesse preso la strada verso il capolinea.
Volevo tornare ad essere il centro del suo mondo proprio come lui era sempre stato il mio.
Mentre approfondivamo il nostro contatto mi sembrò di essere tornata a casa dopo un lungo viaggio.
Akito mi pese per la vita, io allacciai le gambe ai suoi fianchi e mi portò verso il tavolo della cucina, spostò con una mano tutto quello che c'era sopra (non avevo idea di cose fosse rovinosamente caduto per terra) e da quel momento tutto diventò amore.
Ci spogliammo senza neanche rendercene conto e i nostri vestiti si ritrovarono sul pavimento insieme a tutto il resto.
Lo guardai intensamente, era bello da rischiare di morire mentre mi attirava a se' con fare sensuale, passandomi una mano sulla schiena.
“Tu mi vuoi morto.” sussurrò prima di avventarsi nuovamente sulla mia bocca in un bacio disperato. Sorrisi mentre inalavo il suo profumo con tutta la forza che avevo in corpo.
“Io ti voglio e basta.” dissi mentre lui entrava dentro di me e il suo respiro diventava sempre più corto.
Era così bello e immenso quello che provavo ogni volta che Akito e io facevamo l'amore.
Lui baciav le mie labbra insieme alle mie paure e proprio per quello lo amavo così profondamente che quasi mi faceva male.
E sapevo che era lo stesso per lui.


*


Parlammo con le nostre famiglie e i nostri amici qualche giorno dopo e, ovviamente, furono molto felici di vederci di nuovo sereni.
Avevamo organizzato una cena con tutti, Kaori non faceva altro che rincorrere Akito mentre lui cercava di intavolare una discussione normale con Gomi e Tsuyoshi. Fuka avrebbe dovuto invitare anche Takaishi ma il loro oscillante rapporto le aveva messo qualche dubbio e non potevo darle torto viste le ultime novità che mi aveva raccontato mentre mettevo i piatti nella lavastoviglie.
Noi ragazze ce ne stavamo in cucina mentre io sistemavo ad ascoltare le storie di Fuka e nessuna, nemmeno Aya, mi aveva chiesto nulla della vera motivazione per cui io e Akito ci eravamo lasciati. Sapevo che Natsumi ne era a conoscenza perché lo stesso Akito gliel'aveva raccontato e lei continuaca a guardarmi come per incitarmi a parlarne. Mentre loro discutevamo improvvisamente mi fermai e lo dissi.
“Ho perso un bambino.”
Il silenzio calò di colpo e le mie amiche mi rivolsero uno sguardo sconvolto.
Aya fu la prima a parlare. “In… in che senso, scusa?”
Abbassai lo sguardo e continuai a pulire una macchia che non voleva andare via da una maledetta padella. Fuka mi tolse tutto dalle mani bruscamente. “Adesso tu ti siedi e ci racconti che diavolo è successo.”
Feci come mi aveva ordinato e presi posto mentre anche loro si sedevano di fronte a me, come la giuria di un tribunale.
“In realtà era una bambina.” proseguii. Fuka si passò una mano tra i capelli, sconvolta.
“Adesso capisco tutto il discorso del non volere figli...” sussurrò Fuka.
“Già...” sospirai guardando i loro volti sorpresi. Natsumi mi sorrise per incoraggiarmi a continuare.
“Mi dispiace non avervelo detto prima, ma affrontare la cosa senza Akito era stato già abbastanza difficile… non volevo mettervi nella posizione di dovermi aiutare.”
“Non potevi fare errore più grande.”
Guardai Aya che mi rivolse lo sguardo più triste che avessi mai visto e poi versò qualche lacrime. Gli raccontai il resto e loro rimasero ad ascoltarmi con tranquillità. Fuka e Aya non batterono ciglio da quel momento in poi, Aya invece mi sembrava quella più provata. Quando gli avevo detto tutto ci guardammo a lungo. Le mie amiche mi erano state accanto per tutta la mia vita e io le avevo tenute all'oscuro della parte forse più importante di essa.
“Mi dispiace ragazze. So che avrei dovuto dirvelo… non ho giustificazioni.”
Mi abbracciarono tutte, Aya per ultima.
Mentre mi abbracciava pianse, forse per la mia bambina, forse perché le dispiaceva non essermi stata vicina quando ne avevo avuto bisogno, come ero certa che avrebbe fatto.



Pov Akito.

Sana stava finendo di sistemare la cucina quindi salutai di nuovo mia sorella e Kaori dalla finestra e andai da lei per darle una mano. Dopo mesi mi era sembrato di essere tornato alla normalità: la cena era andata bene e raccontare ai miei amici la verità era stato piuttosto semplice nonché liberatorio.
Entrai in cucina e trovai Sana che metteva a posto i piatti nella credenza perciò glieli presi dalle mani ed evitai che si alzasse sulle punte per qualcosa che a me non costava nessuna fatica.
Aveva uno sguardo triste, preoccupato… non era quello il modo in cui avrebbe dovuto sentirsi dopo quella cena.
“C'è qualcosa che non va?”. Mi avvicinai di nuovo a lei che nel frattempo era alle prese con gli avanzi da mettere in frigo.
Non rispose inizialmente perciò insistei. “Dovrai dirmelo o stanotte dormirai sul divano.” la provocai. Mi sorrise debolmente.
“Sai che questa frase è una prerogativa femminile?”
Mi posizionai alle sue spalle e la passai le mani sulla schiena, sentendola rabbrividire. “Non resisteresti una notte intera senza di me.”
“Presuntuoso.”. Mi fece una linguaccia e tornò ad occuparsi di ciò che stava facendo, pensando che avrei evitato l'argomento.
“Aspetto una risposta. Cosa è successo, Kurata?”
Sana mi guardò con aria sconfitta e poi cominciò a parlare.
“Credo che Aya non abbia preso bene il fatto che non le ho detto di… della bambina.”
Annuii, comprendendo le ragioni di Aya meglio di chiunque altro. Si era sentita tradita, sicuramente esclusa dalla vita della sua migliore amica, come se non meritasse di sapere.
“Puoi biasimarla? E' la tua migliore amica e tu sei sparita per cinque mesi.”
“Sento del risentimento nelle tue parole, o sbaglio?” disse Sana sorridendo. Ricambiai il sorriso e poi la tirai verso di me, abbracciandola.
“Quello che cerco di dire è che… devi darle del tempo. Avrebbe voluto aiutarti e tu non gliel'hai permesso. Le passerà… ma devi darle tempo. Fuka non ha battuto ciglio perché lei è una tosta, Aya è molto più sensibile, è normale che non si senta a suo agio in quella situazione.”
Sana annuì e io la strinsi più forte.
Mi dispiaceva per Aya, non meritava di essere tenuta all'oscuro ma mi dispiaceva anche per Sana che voleva solo creare il minimo disagio nella vita di tutti, persino nella mia.
Fingeva di essere invincibile, una supereroina… e in realtà era ancora la ragazzina spaventata dai cambiamenti che avevo ospitato a casa mia quando i giornalisti si erano rivelati fin troppo insistenti.
Quando capii che si era calmata sciolsi l'abbraccio e le impedii di tornare a lavoro.
“Andiamo a letto, Kurata.”
Quella notte dormii come non dormivo da cinque mesi.
Infinitamente sereno.



Pov Sana.

Io e Akito eravamo tornati alla normalità ma lui non era ancora tornato a vivere a casa mia (o meglio, casa nostra) e il fatto che non si fosse ancora trasferito ero certa dipendesse da me. Non che volesse una formale richiesta ma probabilmente temeva che io non volessi tornare alle vecchie abitudini così presto. In realtà era l'unica cosa che volevo. Perciò, per convincerlo a smetterla di avere paura, avevo organizzato una piccola sorpresa per lui, visto che era sempre lui quello ad inseguire me.
Non aveva fatto altro durante tutta la nostra vita: mentre io scappavo dall'amore e dalle responsabilità lui era alle mie spalle, aspettando il momento giusto per allungare la mano per prendere la mia e accompagnarmi nel mio cammino.
Akito era sempre stato una sorta di aiutante silenzioso, e io volevo fargli capire come ci si sente ad essere finalmente protagonisti della propria vita.
Lui aveva sacrificato tutto per la mia felicità e il mio unico obiettivo era portarlo alla consapevolezza che non avrebbe dovuto ma che gli ero immensamente grata per aver avuto pazienza e avermi compresa.
Gli avevo chiesto di passare a prendermi a casa di mia madre e di portare tutto l'occorrente per passare la notte fuori. Fine.
Akito aveva borbottato per un po' ma alla fine si era deciso a lasciarmi guidare.
“Dove stiamo andando?” chiedeva in continuazione guardando nervosamente fuori dal finestrino.
“Sei quasi più petulante di me, Hayama.” lo canzonai.
“Devo incontrare Naozumi fuori città e, ovviamente, volevo che venissi con me.”
Non era nei miei piani mentirgli inizialmente, ma poi l'idea di vederlo soffrire un po' mi aveva allettato troppo per lasciarmi sfuggire quell'occasione.
“Naozumi? E mi stai portando a vedere la persona che odio di più al mondo e non mi dai neanche la possibilità di investirlo
accidentalmente con l'auto? Sei davvero crudele.”
Scoppiai a ridere e quasi immediatamente il suono della risata di Akito si unì alla mia.
“E' proprio per questo che ti ho chiesto di farmi guidare. Non vorrei ritrovarmi in una puntata di CSI.”
“Non è proprio il mio genere, direi più Saw l'Enigmista.”
Passammo tutta la mezz'ora successiva così, ridendo su quali torture lui avrebbe inflitto al povero Naozumi, per una volta inconsapevole vittima in quella situazione, e su come avrebbe affrontato l'orda di giornalisti e la probabile pena di morte che nel nostro paese, purtroppo, era ancora in vigore.
Cercammo di sdrammatizzare anche su quello ma anche solo l'idea di immaginare uno scenario del genere mi rese triste per un po'.
Akito se ne accorse e mi accarezzò il viso dolcemente. “Ei… stai tranquilla: farmi giustiziare non è tra i miei progetti futuri.”
“Meglio, altrimenti ti ammazzo io, Hayama.”
Dopo quel piccolo momento di celato romanticismo non percorremmo ancora molta strada prima di arrivare.
Volevo che tutto fosse perfetto.
“Devi incontrare Naozumi in mezzo al bosco? Certo che voi attori siete stravaganti.”
Spensi la macchina quando eravamo quasi al posto, così da fare quattro passi.
“Si, bè… credo che Naozumi non ci raggiungerà per questa volta.” Akito mi rivolse un sorriso misto tra sorpreso e felice.
“Scendi, da qui proseguiamo a piedi.”
“Ai suoi ordini.”
Fece come gli avevo chiesto e ci incamminammo mano nella mano.
“Non stai cercando di uccidermi e farmi a pezzi nel bosco, vero?”
Gli sorrisi e lasciai che i fatti dessero risposta alle sue domande.


Pov Akito.

Dietro Sana c'era una rampa di legno con due lanterne per ogni lato che illuminavano il passaggio verso una casa che sembrava – anzi, lo era – letteralmente sospesa tra gli alberi.
“Benvenuto alla nostra casetta fuori dal mondo.”
Sana se ne stava lì, in piedi tra le due lanterne, probabilmente pensando di essere una normale donna che fa una sorpresa al suo uomo.
Non lo era.
La guardai sorridere mentre chiamava quel posto
la nostra casetta fuori dal mondo e non si rendeva conto che era la cosa più straordinaria che qualcuno avesse mai fatto per me.
“Io non… non so cosa dire.” balbettai avvicinandomi a lei.
“Non importa.” Mi prese le mani e le strinse forte. “So che forse ti sembrerà strano, di solito sei tu quello che compra una stella in mio onore, che ristruttura case solo per rendere la mia prima volta memorabile. Di solito sei tu a fare le grandi dichiarazioni d'amore… ma oggi no.
Oggi voglio essere io a dire qualcosa a te.
Per anni non ho fatto altro che scappare da te. Non perché non provassi per te ciò che sapevo tu provavi pr me – in effetti credo di amarti praticamente da sempre – ma perché avevo paura, e questa paura si è triplicata negli ultimi mesi. Temevo che tu non potessi amarmi così, con queste limitazioni o...”
Sbuffai e la fermai. “Smettila di dire...”
“Ti prego.” mi interruppe. “Lasciami finire.”
Annuii e la lascia continuare.
“Temevo che fosse colpa mia, che forse perdere la nostra bambina fosse stata una punizione divina per aver rifiutato per tanto tempo i miei sentimenti per te. Ho pensato a tanti, infiniti motivi per cui tutto questo è dovuto succedere proprio a noi. Poi sai cosa ho realizzato? Che non era colpa di nessuno.
Non mia o ancor meno tua, ma ho capito anche che uno di noi due aveva un grande merito e che quel qualcuno non ero io.”
Prese fiato e una lacrima le scese sulla guancia; prontamente gliel'asciugai e le diedi una carezza. Lei mantenne la mia mano sulla sua guancia e poi continuò.
“Grazie per avermi fatto capire che non devo colpevolizzarmi. Grazie per avermi messo al di sopra di tutti i tuoi sogni di una grande famiglia. Grazie per non aver perso la speranza, per aver lottato. Sei stato provvidenziale per me da bambina, oggi sei l'unica cosa che mi da motivo di respirare ancora.
Questo...” indicò con gli occhi la casa e poi tornò a guardarmi. “Questo è solo un centesimo di quello che tu hai fatto per me in tutto questo tempo. E' solo un luogo nostro dove possiamo venire o non venire… comunque sarà qui ad aspettarci. Un po' come me e te. Spero che saremo sempre il rifugio l'uno dell'altro. Spero che tu sarai sempre la mia casetta fuori dal mondo, perché ti giuro che io sarò sempre la tua.”
Forse avrei dovuto dire qualcosa, invece mi limitai a baciarla con tutta la forza che avevo, a stringerlaa me come se potessero rubarmela.
Non potevo rispondere a delle parole come quelle, erano troppo anche per me.
Quando il bacio finì rimanemmo fronte contro fronte per qualche minuto.
“Sana...”. Lei aprì gli occhi immediatamente. “Vorrei poter dire qualcosa di sensato in questo momento ma… la verità è che non potrei mai dire nulla che si avvicini neanche lontanamente a quello che hai detto tu. Forse la cosa più appropriata è anche la più semplice. Io ti amo, Sana Kurata. E voglio passare il resto della mia vita con te.”
Dire che fu una notte stupenda sarebbe stato superfluo.
Fu la notte più bella da quando stavamo insieme e non per il posto meraviglioso ma perché sapevamo che la nostra storia non poteva essere più scalfita da nulla, neppure dalle nostre più intime paure.








Eccomi qui... finalmente Sana e Akito hanno chiarito e le cose sembrano andare meglio. Finalmente Sana ha capito che anche Akito ha bisogno di attenzioni.
Vorrei precisare però che la storia non è ancora finita quindi non cantate vittoria. Come sempre vorrei ringraziarvi per i tantissimi complimenti che mi fate sempre, perchè mi supportate e sopportate, soprattutto quando si parla di attesa.
Grazie sempre!
Il prossimo capitolo è ancora tutto da scrivere, perciò mi sa che dovrete aspettare un po'... appena lo finirò lo posterò immediatamente.
Un bacio,
Roberta.

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Capitolo 22
*** Piena. ***


CAPITOLO 21.
PIENA.

Pov Sana.

Io e Akito stavamo aspettando la limousine che ci avrebbe portato alla prima del mio film.
Revenge.
Pensavo che sarebbe stato difficile convincerlo ad accompagnarmi, invece Akito era stato comprensivo e non aveva aperto bocca. Aveva capito che la sua presenza era fondamentale, da una parte per far capire che lui supportava la mia carriera artistica e dall'altra perché io avevo bisogno di lui.
“Hai preso tutto?” chiese Akito mentre mi porgeva la giacca. Annuii, mentre mi stringevo nervosa le mani. Nella mia testa fluttuavano già le pagine di giornale che mi davano il titolo di peggiore attrice dell'anno. Mi ero impegnata così tanto per quel lavoro che immaginare di vedere i miei sforzi vanificati mi torturava.
“Stai tranquilla, Kurata. Non hai motivo di essere nervosa, se non lo sono io.” sdrammatizzò Akito, che sapevo essere forse più in ansia di me.
Mi avvicinai e Akito mi circondò con le braccia. “Sei una grande attrice, Sana. Lo sai tu e lo sa il resto del mondo.”
Le sue parole mi confortarono e sapere di avere il suo appoggio mi faceva sentire la donna più fortunata del mondo.
Quando la limousine arrivò sciogliemmo l'abbraccio ed uscimmo di casa, dirigendoci al teatro dove sarebbe stato trasmesso il film.

*

Non appena arrivammo, i giornalisti ci assalirono con migliaia di domande, alcune più scomode di altre, ma tutte plausibili. La maggior parte riguardavano il periodo di lontananza che io e Akito avevamo sperimentato e a tutte avevo risposto che il passato non era importante, che stavo cercando di vivere il presente. Ovviamente i giornalisti non erano ancora contenti e, oltre alle urla per una foto, continuarono a farmi domande personali e non.
“Come ti sei sentita nell'affrontare un personaggio così spregiudicato come quello di Miya?”
Sorrisi, finalmente una domanda sul mio film e non sulla mia vita privata.
“E' stata una sfida interessante. Miya e io abbiamo davvero poco in comune, ma ho cercato di entrare dentro di lei in modo da sentire il suo odio, la sua rabbia. L'aiuto del signor Miyazaki è stato fondamentale, perché senza di lui il mio personaggio non sarebbe venuto alla luce così bene. Lavorare con lui è stato stimolante, spero di rifarlo al più presto.”
Le guardie del corpo cercavano di spingermi verso l'entrata ma volevo rispondere a qualche altra domanda ora che i giornalisti si stavano concentrando sulla mia recitazione.
Akito se ne stava in silenzio, stringendomi la mano quando mi vedeva in difficoltà, finché un giornalista si rivolse proprio a lui.
“Signor Hayama, ma lei non è geloso nel vedere sua moglie essere così vicina a un altro uomo?”.
Akito si rabbuiò per un attimo ma poi si avvicinò al microfono del giornalista e rispose. “Certo che sono geloso, amo mia moglie, e penso che una sana gelosia sia alla base di un buon rapporto. Ma non amerei Sana così tanto se non le permettessi di vivere il suo lavoro a pieno, anche perché so quanto lei abbia sacrificato per arrivare fin qui. Sarei egoista e in realtà non innamorato se la influenzassi nella cosa che la fa sentire viva.”
Tutti i giornalisti vicini a noi rimasero in silenzio ad ascoltare quella risposta, le donne avevano un'aria sognante che potevo comprendere benissimo. Ero fortunata ad averlo e il fatto che fosse lì mi faceva sentire la donna più potente del mondo, perciò risposi alle successive domande con sicurezza e fermezza, due qualità che prima di quel momento non mi erano mai appartenute.
Vidi Miyazaki tra la folla sul red carpet e mi avvicinai a lui, lasciando per un attimo la mano di Akito, e lo abbracciai.
Per mesi era stato più che un regista per me, un amico, un confidente, e la mia consacrazione come attrice vera e propria forse la dovevo solamente a lui. Aveva deciso di mettermi al primo posto su tutti, persino sul suo film quando avevo scelto di non parteciparvi più. Avevamo avuto una chimica durante tutte le riprese che non avevo mai avuto con nessun altro regista e sapevo che per lui era lo stesso. Rispondemmo a qualche domanda insieme, lui mi fece più complimenti di quanto fossi stata capace di contare e prima ancora che me ne accorgessi mi aveva definita
la sua musa. Ero così lusingata che non sapevo come rispondere ad una frase del genere, perciò mi limitai ad abbracciarlo nuovamente e a ringraziarlo a bassa voce.
Quando non ero più riuscita a tenere a bada i bodyguards eravamo stati costretta ad entrare e a lasciare i giornalisti all'esterno. Ce ne sarebbero stati altri all'interno, ovviamente, ma quelli che occupavano le prime file del red carpet erano sempre quelli più feroci.
Akito mi rivolse uno sguardo dolcissimo, sapevo quanto odiava quelle situazioni ma era lì per me e quella era forse la dichiarazione d'amore più grande che avrebbe mai potuto farmi.
Prima della visione del film ci fu un breve rinfresco, ma ne io ne Akito mangiammo nulla, forse per il troppo nervosismo.
Quando ci accomodammo nella sala della proiezione mi ritrovai seduta tra Miyazaki e Akito. Li presentai, visto che prima di quel momento non avevo potuto a causa della troppa calca.
Akito sembrava addirittura felice di conoscerlo, cosa che mi lasciò interdetta perché mi sarei aspettata un ordine perentorio di non lavorarci mai più visti gli abbracci sul red carpet e il nostro approccio piuttosto fisico.
Invece finalmente forse stava mostrando la sua parte migliore, quella che per amore avrebbe messo da parte qualsiasi cosa, persino la gelosia.
“Nervosa?” chiese Akito prendendomi la mano. Annuii, non riuscivo a parlare, avevo la bocca secca e le labbra mi si attaccavano l'una all'altra come se stessi masticando della carta.
Hayama mi prese la mano e la strinse forte nella sua e io mi beai di quel contatto, cercando di canalizzare tutte le mie paure in quel punto di unione.
“Andrà tutto bene.” si limitò a dirmi Akito. Non sapevo come ma, grazie a quelle parole, mi tranquillizzai. Aveva anche capacità miracolose scaccia ansia, avrebbero dovuto renderlo tascabile.
Cercai una posizione comoda su quella poltroncina, accavallai le gambe e sistemai la giacca. Avevo deciso di indossare un vestito a ruota stile anni '50 di colore rosa molto chiaro, con delle decoltè abbinate e un po' di punti luce nella borsa. Tutto sommato avevo un look abbastanza elegante senza strafare.
Rimanemmo in attesa che tutti prendessero posto, avevo visto non pochi volti noti e mi ero stupita di non vedere Naozumi. Mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato.
Le luci si spensero all'improvviso e gli ultimi ritardatari fecero un po' di confusione nel sedersi frettolosamente prima che il film iniziasse. Mi tremavano le gambe, fortunatamente ero seduta altrimenti mi sarei ritrovata lunga per terra in meno di un minuto.
“Inizia.”. Akito mi rivolse un sorriso smagliante, poi la mia immagine arrivò sul gigantesco schermo.
Era arrivato il mio momento.



Pov Akito.
 

Il film era stato bellissimo. Una storia che mai mi sarei aspettato Sana riuscisse a portare alla vita. Non perché non fosse brava, o perché dubitavo delle sue capacità, ma perché il personaggio di Miya era così complesso, così profondo e così pieno di odio che vederlo addosso a lei pensavo sarebbe stato stranissimo.
Invece no. Sana era riuscita a diventare davvero Miya e immaginai che gli fosse costato non poco disagio.
Le scene più spinte non erano però affatto volgari. Il sesso era visto come un momento totalmente separato dalla storia stessa. Miya e Mark sembravano sinceramente innamorati in quei pochi momenti di serenità e si notava come quelle sequenze fossero state affrontate con professionalità e riguardo, soprattutto nei confronti di Sana.
In poche parole, lo avevo adorato. E la stampa era stata entusiasta. Da giorni non si leggevano che recensioni positive a riguardo, elogiando soprattutto la bravura di Sana in quanto attrice che era passato dal genere leggero delle soap a quel film che di leggero non aveva neppure la colonna sonora.
Ero così fiero di lei, così orgoglioso che avesse portato avanti i suoi sogni nonostante anche la mia inutile insistenza. Quanto ero stato stupido, non riuscivo a credere di averle potuto chiedere di lasciare andare un così grande talento solo per compiacere me.
Nell'ultimo anno io e Sana eravamo maturati così tanto che l'Akito di un anno prima mi sembrava solamente un lontano ricordo, qualcuno che ero stato e che non volevo più essere perché gli avevo permesso di mettersi in mezzo al mio sentimento che, in quel momento della mia vita, mi sembrava la cosa più importante del mondo.
Sana era dovuta andare con Rei a rilasciare un'intervista per Cosmopolitan che l'aveva citata come la bambina prodigio che si era trasformata in un'attrice a tutti gli effetti.
Sana era raggiante, felice come non l'avevo mai vista prima di quel momento e sapere che a quella felicità stavo contribuendo anche io mi faceva sentire immensamente soddisfatto.
Sapevo che lei temeva il mio giudizio o una mia reazione perciò avevo cercato in tutti i modi di essere di supporto e aiutarla a comprendere che non doveva avere paura. Avevo smesso di comportarmi come un pazzo, perché sapevo che lei mi amava e non avevo più motivi per dubitare.
Certo, dovevo ammettere che vederla così vicina a Miyazaki mi aveva un po' infastidito, ma non perché avessi una qualche paura, ma solamente perché c'era sempre una parte di me che la voleva tenere sotto una campana di vetro. La cosa positiva era che riuscivo a controllarmi in maniera egregia e la cosa era abbastanza impercettibile agli occhi esterni.
L'unica cosa che mi dispiaceva era che dall'uscita del film io e Sana non avevamo avuto un momento per noi. Tra interviste, ospitate, giornalisti che si appartavano fuori casa e ci toglievano i pochi momenti di intimità che ci ritagliavamo, passare anche solo un'ora insieme era utopia.
Io ne avevo approfittato per tornare in palestra ogni tanto e con grande piacere notavo che i bambini erano sempre felici di vedermi e fare lezione con me.
Ero andato a consegnare la relazione al professor Siroki che però mi aveva avvisato che avrei ricevuto un punto in meno per il ritardo. Avrei voluto rispondergli che nel frattempo avevo ripreso in mano la mia vita ma non volevo inimicarmi nessuno, soprattutto quando mi mancava così poco per raggiungere i miei obiettivi.
Non lo avevo detto subito a Sana, ma ero stato contattato dalla sede di Tokyo del museo dove avevo fatto il tirocinio grazie al professor Siroki e mi avevano offerto un posto come assistente con la possibilità di seguire gli archeologi durante gli scavi.
Era un'opportunità grandiosa e accettare avrebbe significato avere un lavoro sicuro non appena conclusi gli studi. Si, avevo la palestra e il lavoro di insegnante non mi dispiaceva, ma se potevo ampliare i miei orizzonti perché non farlo?
Avevo chiesto qualche giorno per pensarci e giorni dopo lo avevo detto a Sana che, ovviamente, fu molto felice per me.
Mentre aspettavo che tornasse dalla sua intervista, cercavo di sistemare i miei documenti in vista dell'inizio del lavoro la settimana successiva. Avevo tutto, mi mancava solamente il contratto da firmare e sarebbe stato tutto pronto.
Sana spalancò la porta d'ingresso con il suo solito fare delicato. “Akito! Aiutami, per favore!”
Corsi verso la porta e la trovai sommersa da buste e fiori.
“Hai svaligiato un negozio?”
“Spiritoso!” disse chiudendosi la porta alle spalle con un calcio mentre le toglievo dalle mani quanti più sacchetti possibili. “Sono abiti che Cosmopolitan mi ha regalato per l'intervista.”
“E io che pensavo che la tua parte d'armadio non potesse contenere più nulla.”
Sana si tolse i tacchi e li lanciò. “Potrei sempre prendere anche la tua parte, attento.”
Sapevo che non era una semplice minaccia e che probabilmente lo avrebbe fatto davvero perciò lasciai perdere perchè era come combattere col vento, non avrei vinto perché tanto lei non si sarebbe mai fermata.
Mentre l'aiutavo a mettere a posto quei vestiti gli occhi mi caddero sulla sua fede. Mi venne in mente quasi subito che probabilmente Sana non aveva mai visto l'incisione.
Il giorno del matrimonio eravamo così nervosi e così presi da altro che non avevamo veramente assaporato quel momento. Probabilmente mi assentai con la testa per un attimo perché Sana venne a scuotermi. “Stai bene? A che stai pensando?”
“Sto pensando che voglio sposarti.” dissi tutto d'un fiato.
“Akito, ma noi siamo già sposati. Hai la febbre, tesoro?”
“Certo che me lo ricordo. Intendevo che vorrei un matrimonio vero e proprio, tu in abito bianco, io che ti aspetto all'altare preoccupato per il tuo ritardo...”
L'attirai verso di me costringendola a lasciare un pacchetto cadere per terra, e la guardai dritta negli occhi. “Cose così...”
“Cose così, eh? Bè, se vuoi sposarmi dovrai fare tutto come si deve, proposta e tutto il resto...”
Non me lo feci ripetere due volte, mi misi immediatamente in ginocchio e le presi le mani.
“Non intendevo adesso!” urlò Sana visibilmente eccitata.
“Sssh… fammi fare le cose come si deve.”
Feci un respiro profondo e continuai. “Sana Kurata, come dice l'incisione nelle nostre fedi tu sei stata la mia prima, sarai la mia ultima, per sempre il mio tutto. Vuoi sposarmi… di nuovo?”
Sana annuì tra le lacrime e poi si gettò tra le mie braccia. “Lo prendo come un si.” sussurrai accarezzandole i capelli.
Forse era la proposta di matrimonio meno convenzionale dell'intera storia ma era stata ugualmente speciale perché noi non avevamo bisogno di effetti speciali per amarci.
Bastavano le nostre anime in precisa sintonia a creare i fuochi d'artificio.



Pov Sana.

Indossare l'abito da sposa fu la prima cosa che quel giorno mi fece piangere.
Mentre guardavo allo specchio la mia figura abbracciata da strati e strati di tulle, con mia madre e le mie amiche alle mie spalle, pensavo che non sarei stata in grado di affrontare la giornata. Mi sentivo in paradiso, la principessa che stava per sposare il suo principe azzurro. Un sogno diventato realtà.
Guardai la mia mano senza e fede e mi sembrò vuota. Akito avrebbe voluto comprare un nuovo anello ma io lo avevo convinto a non farlo, perché era quello l'anello che ci legava. Quando Akito mi aveva fatto la proposta avevo scoperto dell'incisione all'interno che non avevo mai notato non avendo mai tolto l'anello.


My first, my last, forever my everything.

La cosa che più mi emozionava era che lo aveva fatto scrivere prima ancora che il nostro rapporto subisse la grande svolta.
Akito mi amava da tutta la vita e io ero stata così cieca. Non avevo voluto vedere qualcosa di così cristallino.
“Sei bellissima, Sana.”
Le parole di Aya mi ridestarono dai miei pensieri. Le sorrisi con le lacrime agli occhi. “Dammi un pizzicotto, magari è tutto un sogno.”
Lo fece e, fortunatamente, non mi svegliai.
“E' tutto reale, figliola. Avrai il privilegio di sposare un Adone come Akito per ben due volte, non ti sembra di esagerare un po'? Gente come Fuka non ci è riuscita nemmeno una volta!”
Guardai mia madre malissimo mentre la stessa Fuka rideva a crepapelle. “Sana non te la prendere! Tua madre ha solo detto la verità, sono una frana con gli uomini.”
Le mie damigelle scoppiarono a ridere. Eravamo un gruppo di pazze scatenate, forse l'unica che si salvava da quella definizione era Natsumi che però stava cominciando ad essere contagiata.
Mi voltai verso di loro e, quando le risate cessarono, le ringraziai una per una. Aya per la sua pazienza e il suo supporto, Fuka per il suo spirito e i suoi consigli, Natsumi per i suoi silenzi che a volte mi avevano aiutato più di mille parole.
Quando arrivò il turno di mia madre mi avvicinai a lei e le presi le mani. “Grazie mamma. Anche se non mi hai partorito mi hai ugualmente dato la vita. Non lo dimenticherò mai.”
L'abbracciai immediatamente e rimanemmo abbracciate finchè non arrivò il momento di attraversare la tanto temuta navata.


*

Rei mi stringeva forte il braccio mentre ci dirigevamo verso l'ingresso della sala. Nessuno avrebbe potuto accompagnarmi all'altare se non l'uomo che mi aveva fatto da padre, che mi aveva insegnato più di chiunque altro.
Guardandolo di sottecchi mi accorsi che piangeva, perciò gli sfiorai la guancia asciugandogli le lacrime.
“Ti voglio bene, Rei. Nel mio cuore sarai sempre tu mio padre, voglio che tu lo sappia.”
Le mie parole lo fecero piangere ancora di più.
“E tu sei mia figlia, Sana. Lo sarai sempre.”
Gli sorrisi e, quasi automaticamente, alzai lo sguardo verso Akito.
Una volta lessi da qualche parte che le donne che percorrono la navata sono meravigliose ma la vera magia è nello sguardo dello sposo che le attende all'altare.
Guardando Akito capii quanto quelle parole fossero vere, mi guardava come se stesse avendo un'apparizione divina, come se fossi un angelo. Seguiva i miei passi in modo completo, come se stesse cercando di memorizzare ogni cosa della mia immagine in quell'istante.
Una lacrima mi scivolò sulla guancia e, quando arrivai davanti a lui, sorrisi quasi senza accorgermene.
Rei mi alzò il velo e mi diede il consueto bacio sulla fronte e poi poggiò la mia mano su quella di Akito.
I due si scambiarono uno sguardo d'intesa e poi Rei tornò a sedersi dietro di me.
La cerimonia proseguì tranquilla, nessun intoppo, nessun problema era venuto fuori, nonostante temessi che qualcosa sarebbe andato storto.
“E adesso il momento più importante. Davanti a voi troverete un foglio, prendetelo e recitate le promesse.”
L'officiante ci lasciò il microfono e io lo presi per prima, dovevo dire qualcosa.
“Prima delle promesse, avrei qualcosa da dire.”
Akito mi fissò con sguardo interrogativo, perché sicuramente lui non aveva preparato niente e temeva lo costringessi ad improvvisare una dichiarazione d'amore. Avvicinai il microfono alla bocca e continuai. “Noi non siamo esattamente la tipica coppia innamorata...”
La folla alle mie spalle scoppiò in una fragorosa risata. Era così ovvio?
“Vedo che i nostri amici sono tutti d'accordo...” commentai sorridendo, per poi continuare. “Ma c'è una cosa che voglio dire. Non so come sia stato possibile che tutte le problematiche che ci caratterizzano si siano unite per creare un sentimento come questo. Non so come ne quando sei passato da essere il bambino che a scuola mi faceva i dispetti all'uomo che voglio accanto per tutta la mia vita. Non lo so… so però che ne abbiamo superate di cose, soprattutto nell'ultimo anno, e mi dispiace di averti reso la vita un gigantesco inferno, ma sono certa che niente potrà cambiare il nostro sentimento. Potremo stare lontani anni, ma saremo sempre legati. Sempre un'unica cosa.”
Lo guardai negli occhi per tutto il tempo, vedendo l'emozione dietro il suo sguardo lucido, notando che le mani gli tremavano, che era forse la prima volta nella sua vita in cui non aveva il controllo di niente. E Akito odiava perdere il controllo.
“Adesso possiamo andare con le promesse.”
Recitammo le nostre promesse, poi i nostri amici passarono di mano in mano il ramoscello di camelia per sancire, finalmente, quel sentimento che per anni avevamo tenuto nascosto e che poi si era rivelato improvvisamente e ci aveva colpiti come un fulmine a ciel sereno.
Guardai Akito nel momento in cui mise di nuovo l'anello al mio dito. Il suo sguardo era pieno. Pieno di amore, pieno di fiducia, di attesa, di soddisfazione.
Era finalmente lo sguardo che avevo sempre voluto vedere sul suo volto. Era tutto perfetto e, per buona parte, lo era grazie a lui.



Pov Akito.

 Non avevo idea di cosa si facesse a un matrimonio o, per lo meno, non sapevo cosa fare al mio matrimonio. Avevo assistito a decine di cerimonie e di ricevimenti in cui gli sposi sembravano delle trottole, giravano di tavolo in tavolo chiedendo in continuazione agli invitati se tutto era di loro gradimento. Cosa avrebbero potuto rispondere?
Io e Sana avevamo organizzato tutto in fretta e furia, eppure l'evento stava riuscendo abbastanza bene, grazie anche al prezioso aiuto che Aya e Fuka stavano dando a Sana.
Mentre ero seduto al nostro tavolo d'onore, la cercai con lo sguardo tra la folla. Aveva indossato un vestito meraviglioso che, quando l'avevo vista percorrere la navata, stava quasi per causarmi un infarto.
Quando eravamo ragazzini e, per sbaglio, si toccava l'argomento matrimonio, Sana diceva sempre che desiderava un abito principesco, di tulle, con una gonna che avrebbe dovuto essere il doppio di lei. Sorrisi guardandola, aveva assolutamente esaudito quel desiderio. Il vestito era molto ampio nella gonna, ma il corpetto le fasciava perfettamente la vita e il seno, rendendola terribilmente sexy e facendomi desiderare di mandare tutti al diavolo e partire in quell'istante per la luna di miele.
Sana sorrideva a tutti, i capelli le ricadevano morbidi sulla spalla sinistra e riflettevano le luci dell'enorme lampadario che troneggiava nella sala. Il movimento del vestito la faceva sembrare leggera, quasi eterea mentre volteggiava facendo conversazione con gli invitati.
Afferrai il mio bicchiere di spumante e feci per alzarmi, quando accanto a me venne a sedersi Fuka. Le rivolsi un mezzo sorriso e lei fece lo stesso.
“Bè… sei anni fa avrei dato un braccio per essere seduta a questo tavolo con te.” disse sorridendo.
“Sei anni fa avresti perso un braccio inutilmente, Fuka. Non sono mai stato degno di te.”
Pensavo davvero quello che le stavo dicendo. Non che Sana valesse meno di lei, quello era fuori questione, ma Fuka aveva sopportato tante delle mie stranezze, e soprattutto aveva accettato di essere l'eterna seconda nel mio cuore perché bastava che Sana mi rivolgesse uno sguardo che io dimenticavo totalmente sia Fuka che il nostro rapporto.
Lei annuì. “Hai ragione. Sei degno di lei, però.” disse indicando con lo sguardo quella che ormai era mia moglie da circa quattro ore.
“No. Non sono degno nemmeno di Sana. Ma non m'importa, sono un egoista.”
“Rendila felice. Non mi sono messa da parte tanti anni fa per vederti rovinare tutto.”
Avvicinai il mio bicchiere al suo e li feci tintinnare brindando a quel perentorio ordine che mi aveva appena dato.
“La amo troppo per farla soffrire.”
Fuka si alzò e si diresse verso Sana. Sapevo che dentro di lei, probabilmente, avrebbe sempre provato qualcosa per me. Anche io, in un certo senso, non riuscivo a dimenticarla. Fuka era stata, per un po', l'unica a lenire la mancanza di Sana, l'unica che aveva cercato di risollevarmi dal mio abisso dopo che Sana era scappata a girare quel maledetto film, l'unica che non mi aveva mai giudicato per i miei sentimenti. Per quello non avrei mai potuto dimenticarla. Perché se non avessi amato profodamente e incondizionatamente Sana, quasi sicuramente mi sarei innamorato di Fuka e saremmo stati anche una coppia abbastanza affiatata.
La ammiravo profondamente, perché nonostante i suoi sentimenti contrastanti non si era mai lasciata sopraffare e aveva continuato non solo a coltivare l'amicizia con Sana, ma soprattutto non mi aveva mai portato rancore.
“Pensatore!”. La voce di Sana mi ridestò dai miei pensieri ingarbugliati quasi quanto il nodo del mio papillon a cui, ovviamente, aveva pensato Tsuyoshi.
“Ei...” mi limitai a dire, buttando giù un altro sorso di spumante.
“A che pensi?”
“Al fatto che Fuka mi ha appena minacciato di morte se faccio qualcosa di sbagliato.” risposi sorridendo.
“Ricordami di ringraziarla.”
Improvvisamente in sottofondo partì la canzone che avevamo ascoltato una sera in cui ci eravamo improvvisati ballerini nel salotto di casa nostra mentre eravamo totalmente ubriachi.
Era una canzone che, da sobrio, non avrei mai ascoltato ma che a Sana era piaciuta tanto.
High, di James Blunt.
Le presi la mano e la portai verso la pista. “Balla con me, moglie.”
Misi più enfasi sull'ultima parola, guardando il sorriso che si formava sul suo viso mentre la pronunciavo.
Thought I was born to endless night, until you shine.” sussurrai una frase della canzone al suo orecchio, pensando ogni singola parola.
Era vero. Pensavo che avrei vissuto davvero una vita tra le tenebre, finché Sana non era arrivata a brillare per me.
La strinsi a me più che potevo, poi ballammo per qualche minuto.
Mi sembrarono i minuti più belli che avevo passato da quando tutta la giornata era iniziata. Ed era solo grazie a lei.


Pov Sana.

“Akito e Sana, vi prego, create drammi dalle scuole elementari. Non avete fatto altro per tutta la vita. Adesso che vi siete sposati spero per voi che sappiate tenere questa tendenza ben nascosta perché sennò devo dirvelo… Che palle!”
Scoppiammo tutti a ridere dopo le parole di Gomi che, messe nero su bianco, andarono insieme alle altre sull'albero della vita che era stato montato all'esterno della sala dove avevamo deciso di tenere il ricevimento. Tutti i nostri amici avevano scritto dei biglietti d'auguri da appendere all'albero. Era il turno di Aya.
“Non voglio dilungarmi troppo, voglio solo dire che non ho mai visto due persone amarsi così intensamente come voi, a volte fino a distruggervi, ma sempre d'amore si tratta. Voi vi siete trovati, e auguro a chi ancora non ha trovato la sua anima gemella come noi, di trovarsi allo stesso modo (magari con meno drammi). Vi voglio bene ragazzi.”
La parola dramma era praticamente comune a tutti i biglietti. I successivi messaggi furono molto carini, sia quello di Tsuyoshi che quello di mia madre si concentrarono a pregarci di conservare la prossima crisi per i sette anni di matrimonio, dove l'avrebbero accettata perché era una regola.
Quando Natsumi salì sul palco mi tremarono le ginocchia. Mi aveva detto di non aver avuto il tempo di scrivere nulla, perciò non ero preparata. Aveva in braccio Kaori che si dimenava, sorridendo a me e ad Akito, e nella mano sinistra teneva un bigliettino. Mi rivolse un sorriso pieno e poi cominciò a leggere.
Innamorarsi è raro, ma non difficile.
La vera impresa è conservare quel sogno d’amore anche dopo la sua trasformazione in realtà. Perché se incontrarsi resta una magia, è non perdersi la vera favola.”
Prese il bigliettino e lo mise accanto agli altri che avevano appeso i nostri amici. Poi si avvicinò di nuovo al microfono.
“Ho letto questa frase il giorno che sono stata dimessa dall'ospedale, su un giornale che mio fratello mi aveva portato. Quel giorno mi era sembrata stupida, inadatta a me vista la mia situazione che penso conosciate tutti. Oggi però, guardando voi due e ripensando a quella frase, credo che quel giorno mi sia arrivato un segnale.
Voi avete avuto la grande fortuna di trovarvi da bambini, ma anche la grande sfortuna di non essere capaci di capire subito il vostro enorme sentimento. Il vostro incontro è stato una magia, è vero, ma è stato il vostro non perdervi col passare degli anni che oggi vi rende unici e che vi ha permesso di essere seduti qui, con quelle fedi al dito, come marito e moglie.
L'ultima cosa che voglio dirvi è grazie. Non solo perché avete lottato per mia figlia anche quando io non ve lo avevo chiesto, ma soprattutto perché avete lottato per me, e mi avete aiutato a non perdermi quando forse incosciamente era l'unica cosa che volevo.
Non saprei come dire a parole quanto io vi sia immensamente grata per tutto questo. A mio fratello, che ha trovato finalmente la sua luce e alla mia più cara amica, Sana, che lo ha sopportato e supportato sempre. Agli sposi.”
Alzò il calice e poi corse verso di noi. Con le lacrime agli occhi la abbracciai e poi presi in braccio Kaori, di cui sentivo la mancanza in modo spropositato, e lasciai che Natsumi abbracciasse Akito. Anni fa nessuno avrebbe detto che sarebbero diventati così indispensabili l'uno per l'altro, ma io lo avevo sempre immaginato. Forse per questo avevo lottato così strenuamente per riunire la loro famiglia, perché in loro c'era qualcosa, una profonda sofferenza, che li avvicinava e allo stesso tempo li allontanava terribilmente. Natsumi mi abbracciò di nuovo e mi ringraziò in un sussurro.
“Sono felice che tu non abbia mollato. Non saremmo mai arrivati qui se tu non ci fossi stata.” le dissi stringendola.
Natsumi non rispose, si limitò ad abbracciarmi più forte, poi tornò a sedersi al suo posto.
I miei amici volevano proprio farmi piangere!
Non avevo ancora finito di formulare quel pensiero che
arrivò il turno di Rei.
Lì si che avrei pianto a dirotto.
Salì sul palchetto e prese il biglietto in mano, rileggendolo velocemente. Poi fissò il suo sguardo sul mio.
“Fino a qualche mese fa pensavo che Akito fosse la cosa peggiore che ti potesse succedere.” Tutti scoppiarono a ridere, ma io sapevo che lo pensava sul serio. “Ma quando ho visto che non ha fatto altro che starti accanto, in ogni circostanza, anche adesso che le cose sono più complicate di prima. Adesso so. So che lui forse è la cosa migliore che ti sia mai capitata. Akito ti sfida, ti sorprende, ti aiuta a metterti in discussione. E, anche se tu sei sempre stata una bambina capace di autogiudizio, quello che ti accade con lui è diverso. Diventi un'altra persona, una persona che mi piace di più. Per questo, Akito, ti ringrazio. E lascio nelle tue mani la persona più importante della mia vita, la persona che mi ha salvato la vita. E ti avverto: se vedrò che non rendi felice la mia bambina, verrò a cercarti ovunque e ti farò pentire di essere nato. Auguri agli sposi!”
Rei alzò il calice in alto e io non aspettai nemmeno che scendesse dal palco, corsi verso di lui e lo abbracciai.
“Grazie Rei. Grazie perché mi proteggi… anche quando non ne ho bisogno.”
Rei mi posò un leggero bacio sulla fronte, lasciando tutti a bocca aperta. “So che non hai più bisogno, ma lasciamelo credere ancora per un po'.”

Ballai con lui, rimanemmo abbracciati per almeno cinque minuti. Amavo Rei come un padre, e lo avrei sempre ringraziato per aver colmato quel vuoto.
Mentre ballavo con lui mi guardai intorno.
Vidi il viso di Aya, Tsuyoshi, Gomi, Hisae, Fuka, Asako, Natsumi, la piccola Kaori che agitava le mani per salutarmi, mia madre, il signor Hayama e poi lì, con lo sguardo sognante, il mio Akito.
La mia vita era così piena che quasi mi faceva paura.
Ma era la paura più bella che avessi mai provato.




So di essere in ritardissimo, e mi scuso di questo, ma questo capitolo è stato molto molto difficile da scrivere. Non perchè succeda chissà cosa, alla fine è un momento abbastanza stabile, e proprio per questo mi ha creato non pochi problemi.
Comunque, spero che vi piaccia ugualmente e che lascerete tante tante recensioni. (Lo esigo come regalo di Natale u.u)
Grazie comunque a tutte voi perchè mi sostenete sempre. Spero che ci sarete anche in futuro, ho in serbo per voi qualcosa di nuovo :)
Intanto leggetemi e recensitemi, ditemi pure che mi odiate ma basta che mi dite cosa ne pensate.
Vi bacio tutte. Una per una.
Roberta.

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Capitolo 23
*** Regali di Natale. ***


CAPITOLO 22.
REGALI DI NATALE.
Pov Akito.

Guardai Sana uscire dal camerino del negozietto in cui ci trovavamo, e vedere il suo sguardo felice riempì anche me di una felicità che ormai, da quando lei era nella mia vita, non potevo più definire insolita come facevo prima.
Sana mi aveva dato la sicurezza di una vita appagante, accanto alla persona che amavo, ed era l'unica cosa che mi importava.
“Allora? Cosa ne dici?” disse accarezzando l'abito rosa che indossava.
“Dico che ti sta benissimo, come gli ultimi sedici vestiti che hai provato.”
Sana mi sorrise, in fondo lo sapeva anche lei che tutto quel tempo passato ad entrare ed uscire da quel camerino era solo un modo per farmi impazzire. Ci divertivamo a stuzzicarci, e la cosa mi andava più che bene, lo avevamo sempre fatto.
“Siamo tornati un po' stressati dal viaggio di nozze o è una mia impressione?”. La guardai di sfuggita, ripensando al meraviglioso viaggio in Italia che Rei ci aveva organizzato con cura, e forse si, un po' stressato lo ero, ma non per via del ritorno dal viaggio.
“Ti prego non ricordarmi che siamo a casa, mi viene voglia di fare le valigie e partire di nuovo.” Mi alzai in fretta per avvicinarmi a lei, abbracciandola in mezzo al negozio.
“Prendiamo questo, o mia moglie mi farà impazzire.” dissi velocemente alla commessa che attendeva una risposta per l'abito, poi tornai a guardare Sana.
“Andiamo a casa, ho proprio un'idea di come farti impazzire davvero.” Sana mi rivolse uno sguardo ammiccante e per tutto il tragitto verso casa le sue parole risuonarono nella mia mente, come una promessa che mi sarei impegnato a farle mantenere.
Quella era la nostra vita da due mesi, dopo il matrimonio Sana aveva disdetto tutti i suoi impegni per il nostro viaggio e, non appena eravamo tornati, avevamo ripreso il controllo delle nostre vite. Lei era tornata a lavoro e io avevo fatto lo stesso, cominciando a lavorare per il museo che mi aveva ingaggiato. Ero ormai in procinto di presentare la tesi di laurea e in quel preciso momento la mia vita poteva essere definita perfetta.
Fu ancora più perfetta quando, arrivati a casa, Sana non mi diede neanche il tempo di dire una parola che si fiondò sulle mie labbra e mi trascinò in camera da letto. Cosa avrei potuto desiderare di meglio?


Pov Sana.

Il mio ginecologo mi aveva riempito di telefonate quella settimana e, prevedibilmente, non avevo risposto a nessuna di esse. Akito non sapeva nulla, altrimenti mi avrebbe costretto a richiamarlo e quella era proprio l'ultima cosa che desideravo. Tornare con Akito era stato il massimo, mi sentivo finalmente felice, ma una parte di me era ancora devastata da quella sedntenza che i medici mi avevano buttato sulle spalle. Non ero propriamente sterile, il concepimento poteva ancora avvenire, ma la mia patologia mi avrebbe condannata a subire aborti per il resto della mia vita, e una volta era stata sufficiente a distruggermi, non osavo immaginare cosa avrei potuto provare andando avanti.
Il medico mi avrebbe sicuramente introdotta in qualche progetto di sperimentazione ma davvero valeva la pena torturarmi mentalmente e fisicamente per qualcosa che alla fine non sarebbe successo ugualmente?
Per questo non ne avevo parlato con Akito, per evitargli il nutrimento di una speranza assolutamente inutile.
Ero andata a trovare mia madre che mi aveva aperto la porta ancora in pigiama alle tre di pomeriggio.
“Mamma… come mai non sei ancora vestita?” chiesi entrando e togliendomi le scarpe.
“Oggi mi sento un'anziana Bridget Jones, voglio rimanere in pigiama e cantare a squarciagola mangiando gelato.”
La guardai sconvolta e la rincorsi per il corridoio, toccandole la fronte.
“Ma ti senti bene? Sei stata rapita dagli alieni e sono davanti ad un tuo replicante?”
Mia madre scoppiò a ridere e mi spiegò che aveva solo bisogno di riposo perché erano settimane che andava a letto tardi per la consegna imminente del nuovo libro. Parlammo un po' della pubblicazione, mi raccontò di quanto fosse emozionata per quei personaggi tutti nuovi.
“I due protagonisti sono ispirati a te e Akito.”
Il tè mi andò di traverso. “Cosa? Mamma dimmi che non hai raccontato la storia mia e di Akito, ti prego.”
“Ma cosa dici, tesoro? Ho detto che sono ispirati, non che il libro parla di voi.”
Non c'era da fidarsi di mia madre quando si trattava di un suo libro, perciò presi le sue parole con le pinze, perché sapevo che mi avrebbe riservato qualche sorpresina.
Cercai di estorcerle qualche informazione in più, ma mia madre era una tomba e io non avevo più tempo da dedicarle perché Rei mi era venuto a prendere per andare all'orfanotrofio che mi aveva fatto conoscere Naozumi.
Era quasi Natale e sentivo il bisogno di canalizzare il mio amore verso qualcuno che non fosse Akito. Chi meglio di quei bambini che non avevano nessuno al mondo?
Salutai mia madre e corsi verso la macchina di Rei mentre fuori diluviava.
“Hai preso i giocattoli che ti avevo chiesto?”
Rei annuì e indicò i sedili posteriori, stracolmi di pacchetti di ogni genere.
“Sei sicura di volerci andare?”
“Devi smetterla di preoccuparti per me, Rei. Sto bene, dovrò vedere qualche bambino prima o poi, non pensi? Il mondo non smette di girare per me.”
Dissi quelle parole più per convincere me che lui, e il resto del tragitto lo passai in silenzio. La mia mente aveva pianificato attentamente quella giornata, sarei andata lì, avrei giocato un po' con i bambini, gli avrei dato i miei regali e sarei tornata a casa felice di aver passato la giornata con loro.
Magari avrebbero cantato qualche canzoncina di Natale, o avremmo potuto giocare a nascondino, comunque sarei tornata a casa serena e senza pesi sul cuore.
Quando arrivai davanti al cancello che conoscevo fin troppo bene il respiro mi mancò per un attimo. Un paio di bambini mi guardavano dalle finestre, non potendo uscire ad accogliermi a causa della pioggia, con i sorrisi a trentadue denti ciascuno, o qualcuno in meno sicuramente, ma a loro non importava. Le occasioni per sorridere dovevano essere colte al volo per loro.
Entrai con i pacchetti in mano, con l'aiuto di Rei li avevo portati dentro, e i bambini mi saltarono addosso non appena capirono che erano regali per loro.
“Sana!” urlarono tutti in coro. Il mio cuore si riempì di gioia, una gioia che non provavo da tanto tempo, diversa da quella che provavo stando con Akito.
La signora Yatsuma arrivò giusto in tempo, prima che mi soffocassero d'abbracci. “Bambini, piano! O Sana non verrà più a trovarci.”
Alzai lo sguardo verso quella signora paffuta che Naozumi mi aveva presentato anni prima. “Ma no, signora Yatsuma, mi fa piacere che siano così affettuosi.” ribattei sorridendole e avvicinandomi per abbracciarla. Lei ricambiò e poi mi tolse dalle mani l'ultimo pacchetto. “Questo veramente era per lei.”
I suoi occhi dolci mi guardarono sgomenta, sorridendomi. “Sei davvero una ragazza d'oro, piccola Sana.”
La lasciai aprire il suo regalo in pace e mi chinai di nuovo all'altezza dei bambini. “Allora, tutti questi regali sono per voi...”
“Ma sono tantissimi!” mi risposero un paio d'occhi scuri, con delle ciglia foltissime che gli invidiavo assolutamente. Quel bambino si avvicinò, scansando tutti gli altri, poteva avere si e no tre anni.
“Ma sono tutti, proprio tutti per noi?” domandò di nuovo.
Annuii, sorridendogli. “Tutti, proprio tutti.” ripetei le sue esatte parole per accentuare la cosa.
La sua bocca si spalancò in una smorfia di stupore che comprendevo benissimo. Forse, a parte me e Naozumi, nessuno andava lì a portargli dei regali.
Cominciai a distribuirli con attenzione, cercando di accontentare tutti. Avevo portato anche vestiti, sia maschili che femminili, e avevo lasciato alla signora Yatsuma piena libertà di cambiarli nel caso le misure fossero state sbagliate o non incontrassero i gusti dei bambini.
Quando tutti ebbero ricevuto il loro regalo, cominciai a giocare con loro, cercando di coinvolgerli tutti, chiamandoli ad avvicinarsi quando si allontanavano, sorridendogli e stringendogli le manine quando mi accorgevo che erano solo troppo timidi per parlare con qualcuno che non conoscevano.
Alla fine tutti erano venuti a giocare. Tutti tranne due bambini che non avevano fatto altro che starsene in fondo alla sala dove eravamo riuniti e avevano a mala pena accettato i regali.
Erano un maschio e una femmina, di una bellezza che mi faceva venire le lacrime agli occhi. Tutti quei bambini erano belli, ma quei due… i loro sguardi mi facevano tremare i polsi.
Mi alzai da terra, lasciando gli altri bambini a giocare tra di loro, e mi avvicinai a quei due che non facevano altro che fissarmi mentre avanzavo verso di loro.
Sgranarono gli occhi non appena mi abbassai per stare alla loro altezza.
“Ciao..” sussurrai. Mi sembrava potessero fuggire da un momento all'altro per cui cercai di essere il più delicata possibile.
Non risposero, si limitarono a scambiarsi uno sguardo e poi a fissare per terra, come se si vergognassero.
“Come vi chiamate?” chiesi sfoderando il mio miglior sorriso.
Provai a sfiorare la manina della bambina, ma lei si ritrasse bruscamente e da quel gesto capii che non le piaceva essere toccata.
Chissà cosa aveva passato e chissà perché l'unico contatto che non la infastidiva era quello del bambino a fianco a lei.
“Lei si chiama Akane. Io invece sono Kanata.”
Rivolsi immediatamente l'attenzione a lui, che la teneva stretta. “E lei è la tua fidanzatina?”
Mi rivolse uno sguardo per lo più schifato.
“Bleah! Ma cosa dici? E' mia sorella!”
Li guardai bene ed effettivamente notai una certa somiglianza.
Volevo sapere di più su di loro. Sapere perché Akane non amava il contatto, perché Kanata non le lasciava mai la mano. Volevo sapere. I bambini si allontanarono da me e io rimasi a guardare il punto in cui erano un secondo prima.
La mia curiosità fu subito colmata.
“Sono gemelli.”. La signora Yatsuma si avvicinò a me con le braccia incrociate. “Hanno cinque anni. Sono arrivati qui quando ne avevano tre.” Mi alzai e la seguii mentre camminava.
“Sono così carini, e sembrano anche molto uniti.”
“Devono esserlo: sono rimasti soli al mondo. I genitori sono finiti in prigione per possesso e spaccio di droga e per maltrattamenti.”
L'ultima parola spiegò tutto. “Su Akane immagino.”
“Anche su Kanata… ma lui non ha sviluppato quest'avversione al contatto. Inizialmente Akane non voleva neppure essere pettinata, o lavata… adesso va meglio, ma non ama i contatti bruschi. E' molto diffidente.”
Annuii, cercando di immaginare la vita di quei due piccoli esserini che in pochissimo tempo avevano conosciuto una quantità di dolore che a quell'età non avrebbero nemmeno dovuto immaginare.
“Avete trovato qualche famiglia disposta ad adottarli?”
La signora Yatsuma scosse la testa. “Molti vengono, li vedono e rimangono estasiati. Quando poi scoprono che Akane non parla e che ha questo problema sull'essere toccata, si tirano tutti indietro.”
Non riuscivo a concepire l'idea che qualcuno di così innocente potesse soffrire così tanto.
Dopo aver giocato ancora con tutti i bambini e aver tentato di includere anche Akane e Kanata, li lasciai a fare merenda e me ne andai.
Avevo bisogno di pensare, di schiarirmi le idee.
Forse quella idea di passare la giornata in orfanotrofio non era stata un granchè.


Pov Akito.

Sana non era ancora tornata dalla sua giornata in orfanotrofio e io ne avevo approfittato per fare zapping e rilassarmi un po'. Avevo passato una settimana infernale, dopo il ritorno dal viaggio di nozze, con il lavoro al museo e la gestione della palestra. Mi era impossibile fare tutto da solo e mi sembrava che la mia vita fosse diventata frenetica a livelli esasperanti, i miei unici momenti di tranquillità arrivavano alla sera quando mi ritrovavo a letto a fianco a Sana.
Presi il telefono e mi accorsi che Sana mi aveva mandato un messaggio dicendomi che stava per tornare.
Il mio umore fece un balzo in su. Non la vedevo dalla sera prima e mi sembrava un'eternità, per cui quando sentii la porta di casa aprirsi mi fiondai all'ingresso, ma Sana non era felice quanto me.
“Ciao amore.” mi schioccò un bacio all'angolo della bocca, salutandomi distrattamente. Si diresse in cucina togliendosi la giacca e io la seguii.
“Come è andata all'orfanotrofio?”
Mi piazzai davanti a lei e la costrinsi a fermarsi, mentre si agitava davanti al piano cottura fingendo di iniziare a cucinare.
“Cosa è successo?”
Il suo sguardo era sconfitto, come se avesse passato una giornata d'inferno e non volesse dirmelo.
“Ma nulla Akito, i bambini erano un po' irrequieti.” mi liquidò lei.
Pensava fossi stupido?
“Sana...” le tolsi la pentola dalle mani e la obbligai a fermarsi di nuovo. “Ti conosco come le mie tasche, pensi sia davvero così facile prendermi in giro?”
Sana sbuffò, sconfitta dalla mia insistenza. Finalmente poteva comprendere come mi sentivo io ogni volta che lei mi costringeva ad esprimere i miei sentimenti.
Si spostò verso il tavolo e mi fece cenno di sedermi, obbedii e cercai di capire dai suoi occhi cosa la turbasse. Ma Sana era diventata brava a nascondersi, persino da me a volte.
“Sono rimasta… scioccata dalla crudeltà della vita oggi.”
Era distante e immersa in ciò che stava provando, così immersa che io non riuscivo ad afferrarla.
Le accarezzai una guancia e lei poggiò la mano sulla mia, accennando un sorriso. “Oggi guardando tutti quei bambini ho pensato che la vita fosse profondamente ingiusta. Perché il destino da un figlio a chi non lo desidera e lo toglie per sempre a chi lo ha desiderato con tutta l'anima?”
La guardai e per poco non mi scesero le lacrime, sentivo il suo dolore, lo sentivo proprio al centro del petto ma non potevo capire fino in fondo cosa provasse. Ero sempre stato convinto che quel tipo di dolore fosse incomprensibile per noi uomini, e quella sera Sana aveva confermato la mia idea. Io soffrivo con lei, ma non come lei. Sapere che stava soffrendo in quel modo ed essere consapevole di essere impotente mi distruggeva.
“Sana… riusciremo ad avere un figlio nostro. Anche se dovesse volerci tutta la nostra forza.”
Lei scosse la testa, visibilmente contrariata.
“No, Aki. Non voglio alimentare speranze, non voglio soffrire per poi rimanere comunque a mani vuote.”
“Ma...” tentai di controbattere.
“I medici sono stati molto chiari: è altamente improbabile, per non dire impossibile, che io possa portare a termine una gravidanza.”
Sana si alzò di scatto e fece per allontanarsi, ma io la bloccai immediatamente.
“Non permetterò a tutto questo di allontanarci un'altra volta.” Poggiai la fronte sulla sua, provando a tranquillizzarla, provando a farle capire che non era sola, che se fosse caduta avrebbe potuto appoggiarsi a me.
“Non ho alcuna intenzione di allontanarmi da te, Akito. Solo… ho bisogno di aiutare quei bambini. Io voglio un bambino e loro… loro hanno bisogno di una madre.”
Non ero sicuro di aver capito bene. Sana mi stava proponendo di adottare un bambino?
“C'erano questi due gemelli oggi… che nessuno vuole adottare.”
La bloccai subito. “Frena, Sana, frena! Adottare un bambino, potremmo anche considerlo… ma adottarne due? Abbiamo appena ripreso in mano il nostro rapporto.”
Sana sembrò rinsavire per un secondo, mi sembrò che il suo sguardo tornasse razionale ma poi si allontanò da me e uscì dalla cucina.

*
Restammo in silenzio per tutta la sera, lei ferma sul suo desiderio e io fermo sui miei dubbi. Il fatto era che, avendo sperimentato così tante incertezze nel nostro matrimonio, non riuscivo a pensare di dare stabilità a qualcuno che, di base, aveva bisogno solo di quella. Come potevamo io e Sana, che non riuscivamo a passare dieci minuti senza litigare, pensare di occuparci di due creature, per di più problematiche?
Erano quelli i miei dubbi, e Sana si stava comportando da egoista.
Mentre cenavamo cercai in tutti i modi di costringerla a parlarmi, ma lei continuava ad ignorarmi. Mi passava accanto senza considerarmi e sentivo che quella discussione sarebbe durata all'infinito se non avessi fatto qualcosa.
Per cui, non appena la vidi dirigersi verso la camera da letto, la seguii e, prontamente, chiusi la porta a chiave.
“Akito, fammi uscire!” urlò Sana cercando di togliermi la chiave dalle mani.
“No! Ascoltami...” La spinsi indietro, verso il letto, e lei non oppose resistenza. “Non è l'idea dell'adozione in generale che non mi piace. Io voglio un bambino, e non mi fa paura l'idea di adottarne, anche se devo ammettere che desidero con tutto me stesso avere un bambino nostro, che abbia i tuoi occhi, il tuo sorriso, ma… non pensi che sia troppo presto, dopo tutto quello che è successo? E poi… due bambini. Insomma, Sana… sii ragionevole.”
“Ma se solo tu li conoscessi!” urlò lei esasperata. “Sono due bambini adorabili e hanno tanto bisogno d'amore! E io avevo tanto, tantissimo amore da dare a nostra figlia… e so che anche tu, nonostante lo nascondi, hai sofferto come me all'idea di non avere figli.”
Le parole di Sana mi calmarono. Non che la pensassi diversamente, ma non riuscivo a litifare con lei quando sapevo che soffriva.
Andai a sedermi accanto a lei, in silenzio.
“Cosa gli è successo?” chiesi, sinceramente interessato a sapere di più.
“I loro genitori sono in prigione: spaccio di droga e maltrattamenti su entrambi i bambini. Kanata protegge sua sorella come se fosse perennemente in pericolo. E lei… dovresti vederla! Akane non sa com'è ricevere un briciolo d'amore, Akito. Ha paura del mondo che la circonda. Ha così tanto bisogno di… di tutto. Hanno bisogno di due genitori.”
Quando Sana si fermò la violenza di quella storia mi investì come un treno. Come era possibile fare così male al sangue del tuo sangue?
Sana mi prese la mano e se la portò alla bocca, baciandola.
“Io lo so che è una cosa grande, enorme, con cui fare i conti. Ma io non ti sto chiedendo di dire di si ad occhi chiusi. Solo… incontrali. Incontrali e… se non sentirai ciò che ho sentito io… almeno ci avremo provato.”
Cosa potevo rispondere di fronte a quella richiesta?
Come potevo dirle no e distruggere tutte le sue speranze?
Se avessi detto no, mi avrebbe odiato.
Se avessi detto si e poi non fossi stato convinto una volta incontrati i bambini, mi avrebbe odiato. Forse silenziosamente, ma cosa importava?
Avevo tutto da perdere in qualsiasi caso ed ero spaventato a morte. Per cui, pur non amando quei tipi di discorsi, decisi che forse sarebbe stato meglio parlare apertamente.
“Mi prometti che, qualsiasi sia la mia decisione, le cose tra di noi rimarranno le stesse?”
Sana mi guardò come se quella domanda fosse assolutamente superflua. “Non potrebbe mai cambiare.”
La baciai e ci abbracciammo.
Parlammo tanto quella notte. Delle nostre paure e dei nostri desideri.
E poi ci addormentammo.
Non sapevo ancora che il giorno dopo la mia vita sarebbe stata prepotentemente sconvolta.



Mi scuso tantissimo per il mio immenso ritardo, ma tra le feste, gli esami, e problemi vari non ho avuto assolutamente tempo da dedicare alla stroria.
Spero che mi perdoniate anche per la lunghezza abbastanza ridotta di questo nuovo capitolo, ma mi farò perdonare con il prossimo :)
Aspetto le vostre recensioni, vi amo tutti!
Roberta.

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Capitolo 24
*** Toccare la luna. ***


CAPITOLO 23.
TOCCARE LA LUNA.


Pov Sana.

Dire che ero terrorizzata sarebbe stato riduttivo: ero nel panico più assoluto. Rei ci stava portando all'orfanotrofio, nonostante avesse più volte tentato di dissuadermi dall'idea di forzare Akito verso qualcosa che era un mio desiderio e mio soltanto.
Mi voltai a guardare l'espressione del biondino al mio fianco: fissava fuori dal finestrino con aria pensierosa e avrei dato qualsiasi cosa per sapere cosa gli stava passando per la testa. Akito invece era di tutt'altro avviso, aveva passato tutta la mattina in religioso silenzio e non mi aveva resa partecipe di nessuno dei suoi pensieri, stando ben attento a non sfiorarmi nemmeno per sbaglio.
Non volevo che il nostro rapporto mutasse ma ero ben consapevole che, usciti da quel posto, inevitabilmente qualcosa sarebbe cambiato. In bene, in male, quello ancora non potevo saperlo. Però ero stanca di sentire Akito così lontano, per cui mi avvicinai a lui, accovacciandomi sul suo petto, cercando sollievo da tutte quelle pesanti incertezze.
“Scusa… sono solo pensieroso.” sussurrò Akito stringendomi forte. Quello già servì a farmi sentire un po' meglio.
“Lo so… ma stai tranquillo, andrà tutto bene.” cercai di tranquillizzarlo come meglio potevo.
“Che ironia, dovrei essere io a dirti tutte queste cose, a cercare di calmarti… e invece eccoti qua, uno scricciolo a sostenere un uomo grande e grosso.”
Non l'avevo mai vista sotto quel punto di vista, Akito mi sembrava la persona più forte del pianeta e a volte dimenticavo quanto potessi essergli d'appoggio, anche se come diceva lui ero uno
scricciolo.
“Vorrà dire che da domani sarò io quella che comanda in famiglia.” lo canzonai, posandogli poi un leggero bacio all'angolo della bocca.
“Hai sempre avuto tu il comando, Kurata.” rise Akito, per poi baciarmi teneramente la fronte.
Guardai in basso e tirai con la mano libera l'orlo della t-shirt che avevo indossato. Ero così nervosa ma dovevo rimanere con i piedi per terra sia per me che per Akito.
Inspirai ed espirai profondamente, cercando di regolarizzare il battito del mio cuore.
“Siamo arrivati.”. La voce di Rei mi ridestò dai miei tentativi di calmarmi e mi riportò alla realtà.
Guardai l'edificio: oltre quella porta poteva esserci la mia occasione di essere madre o la distruzione di ogni mio desiderio.
Akito serrò lo sguardo e mi strinse forte, aprendo poi la portiera dell'auto e porgendomi poi la mano per aiutarmi a scendere vista la mia impareggiabile capacità di cadere ovunque.
Rei rimase in auto ma prima che uscissi dalla macchina mi trattenne. “Sana stai attenta. E' la decisione più importante che abbiate mai preso. Siate saggi, e prudenti.”
Annuii senza dire una parola, poi strinsi la mano di Akito e, dopo essere scesa, chiusi la portiera alle mie spalle.
Io e Akito rimanemmo in silenzio per qualche minuto prima che trovassi il coraggio di dire qualcosa.
“Sei pronto?” gli chiesi, profondamente spaventata da una sua risposta negativa.
“Sono nato pronto.” scherzò lui e io lo conoscevo abbastanza bene da sapere che ciò accadeva solo quando stava per andare in escandescenze.
Ci incamminammo verso l'entrata e, in un attimo, la signora Yatsuma venne ad aprirci con il solito sorriso sulle labbra.
“Sana, ma che bella sorpresa! Non pensavo saresti tornata così presto. E con tuo marito soprattutto.”
Akito le strinse la mano e io l'abbracciai, mentre un gruppo enorme di bambini arrivò correndo dal giardino esterno della struttura.
“Sana!” urlarono tutti, con i più bei sorrisi che avessi mai visto. Sorrisi che mi facevano morire l'anima all'idea che nessuno di loro fosse amato e voluto da nessuno.
Tantissime piccole braccia si attaccarono alle mie gambe e non potei trattenere una risata.
Mi piegai sulle ginocchia per poterli guardare negli occhi. Cercavo con lo sguardo Akane e Kanata ma non riuscivo a vederli, magari si stavano nascondendo come al solito.
“Oggi voglio presentarvi una persona molto speciale per me.”
Tirai il pantalone di Akito per farlo abbassare.
“Lui è mio marito.” dissi voltandomi a guardarlo. Quanto lo amavo… “Si chiama Akito ed è un vero musone.”
I bambini scoppiarono in una fragorosa risata. “Quindi cosa ne dite di farlo sorridere un po'? Io ci provo tutti i giorni ma sembra che la sua faccia sia incollata.”
Feci finta di muovere senza successo la bocca di Akito e lui stette al gioco per non deludere tutti quegli occhi speranzosi.
“Secondo voi ce la faremo?”
“Si!” urlarono tutti in coro, pronti a quella nuova sfida.
Quando mi alzai di nuovo in piedi e i bambini cominciarono a concentrarsi su Akito, li vidi.
Come la prima volta, mano nella mano.
Come la prima volta, in disparte di tutti.
Mi allontanai dal gruppo e incontrai immediatamente gli occhi protettivi di Kanata che mi accolse con un enorme sorriso. Fu tentato di lasciare la mano della sorellina ma poi rimase fermo. “Ciao!” squittì sorridendo. “Sei tornata!”
“Certo che sono tornata!”
Akane rimase in silenzio, lentamente tentai di avvicinarmi, ma il suo sguardo non si spostò dalla mia camicetta.
La frustrazione crebbe dentro di me come se quella sua reazione fosse colpa mia, nonostante sapessi che non era così.
“Ciao Akane… sai che sei proprio bella con questo vestitino a fiori?”. Lei si toccò nervosamente la gonna del vestito, come se la stessi guardando un po' troppo.
“Le è piaciuto subito, ha detto che si sentiva una principessa.” intervenne Kanata, tutto contento che sua sorella avesse finalmenrte apprezzato qualcosa che non provenisse da lui.
“Ma lei
è una principessa.” sussurrai io, immaginandola in una cameretta tutta sua, circondata da miliardi di abitini come quello che indossava.
Improvvisamente Akane si avvicinò al fratello, per bisbigliargli qualcosa all'orecchio. Parlava con una voce così flebile che, anche a quella ridottissima distanza, feci fatica a sentirla.
Nel frattempo dietro di me la signora Yatsuma e un'altra volontaria intrattenevano gli altri bambini per permettere ad Akito di avvicinarsi a me.
Lo sentii alle mie spalle, mentre in silenzio osservava tutta la scena, e finalmente un attimo dopo Kanata parlò.
“Akane mi ha detto che, se vuoi, può prestarti il suo vestito e così diventi una principessa anche tu.” riferì lui, facendo una smorfia disgustata, forse dalla voglia di sua sorella di essere una principessa.
Improvvisamente Akito fu accanto a me, in ginocchio, proprio davanti ad Akane che, come con tutti, lo fissava impaurita.
“Ciao Akane...” sussurrò lui, ma lei non rispose.
Sapevo di aver avuto il massimo quel giorno da lei, per cui tornai a rivolgermi a Kanata.
“E tu? Cosa vorresti diventare da grande?”
Lui mi guardò pensieroso, sbattendo quegli occhioni grandi, con quelle ciglia che quasi facevano vento.
“Mhm… il papà!”
Quella risposta mi lasciò esterrefatta: non avevo mai sentito nessun bambino dire una cosa del genere.
“E cosa fa un papà?”
Kanata ci riflettè prima di darmi una risposta. Akito ci ascoltava in silenzio, mentre rivolgeva delle occhiate furtive ad Akane che invece non gli staccava gli occhi di dosso.
“Un papà ti legge le favole, ehm… ti prepara la merenda, ti lascia l'ultimo boccone di sushi…”
Sorrisi insistintivamente e anche Akito fece lo stesso. Chissà chi mi ricordava!
“Ogni tanto la signora Yatstuma prepara il sushi ma...” Kanata si guardò attorno circospetto. “Non è per niente brava!”
Scoppiai a ridere cercando di non soffermarmi sulla parte triste di ciò che mi stava dicendo. Anche se, a differenza di Akane, non aveva
danni visibili, anche lui aveva disperato bisogno di amore.
“Posso abbracciarti piccolino?” gli chiesi trattenendo le lacrime, ma lui indicò la sua mano stretta in quella della sorella, come a giustificarsi di non potermi abbracciare bene e quel gesto mi intenerì ancora di più. Gli circondai la piccola vita con il mio braccio e poi gli stampai un fragoroso bacio sulla guancia, pregando nel mio cuore che Akito prendesse la decisione giusta.

Pov Akito.

Per i primi dieci minuti il mio unico desiderio era stato girare i tacchi e fuggire. Non perché fossi spaventato – terrorizzato sarebbe stato il termine più adatto – ma semplicemente perché temevo di poter turbare quei bambini più di quanto non lo fossero già. Ero terrorizzato all'idea che potessero crearsi delle speranze che avrei potuto non colmare.
Invece, quando poi i bambini avevano preso a stuzzicarmi sulla storiella che Sana aveva raccontato loro, mi ero sentito più a mio agio. Avevamo giocato per un po' tutti insieme, anche se Sana si era allontanata quasi subito.
L'avevo persa di vista per qualche minuto, poi notai che era in fondo al grande salone in cui ci trovavamo. Non l'avevo più vista perché i bambni mi avevano circondato e non avevo più prestato attenzione a niente che non fossero le loro domande.
Erano così tanti… e tutti così fottutamente meravigliosi.
“Akito puoi raggiungere Sana per adesso, i bambini staranno un po' con Maki che li aiuterà a preparare la merenda.” mi disse la signora Yatsuma. Vidi una ragazza avvicinarsi ai piccoli e, nonostante le loro lamentele, li convinsi che ci saremmo visti dopo qualche minuto, e mi allontanai per andare da Sana.
La trovai intenta a parlare con due bambini e capii immediatamente che si trattava di
loro.
Kanata e Akane.
Lui le stringeva la mano. Rimasi un attimo fermo, interdetto, non sapendo se avvicinarmi o meno. Li osservai molto: Kanata sembrava un bimbo spigliato, impegnato con la mente alla conversazione con Sana ma con il cuore in quel contatto impossibile da recidere, tra quelle mani strette per proteggere l'unica cosa preziosa.
“Akane mi ha detto che, se vuoi, può prestarti il suo vestito e così diventi una principessa anche tu.”
Pensavo che Akane non parlasse, eppure era riuscita a dirlo al fratellino per farlo arrivare a Sana. Era un grande passo avanti. Inspirai profondamente e, dopo un po', con tutto il coraggio che avevo in corpo, mi avvicinai a quella bambina, chinandomi davanti a lei.
“Ciao Akane.” dissi piano. Lei non rispose ma non tenne lo sguardo basso: lo alzò, fissandomi e studiandomi probabilmente perché aveva sempre dovuto essere attenta ai comportamenti dei suoi maledetti genitori.
Rimanemmo in silenzio per un po', semplicemente guardandoci, mentre cercavo di carpire le parole di Kanata che avevo sentito che amava il sushi e che da grande voleva essere un papà. Quella risposta mi fece sussultare il cuore.
Io e Akane continuavamo a guardarci, occhi negli occhi come mai mi era capitato prima con un bambino. Akane aveva gli occhi castani, con intorno delle minuscole pagliuzze dorate e marroni che, ad uno sguardo meno attento, sarebbero potute passare inosservate.
Non diceva nulla, non si muoveva, rimaneva incollata sul suo posto e io non sapevo cosa dire o cosa fare per scaldarle il cuore. Non era facile.
Poi, improvvisamente, fu lei a muoversi, avvicinandosi a me per toccare il ciondolo a forma di dinosauro che portavo al collo. Sentii Sana, a fianco a me, zittirsi di colpo, e la signora Yatsuma fissare la scena incredula. Anche Kanata era molto sorpreso.
“Ti piacciono i dinosauri?” le chiesi, portando le mani verso il gancetto della collana per toglierla, facendo molta attenzione a non toccarla, perché sapevo quanto la infastidisse.
Anche a quella domanda lei non rispose, ma non appena le porsi la collana, nonostante qualche tentennamento, la prese, stringendola forte in un minuscolo pugnetto.
“La vuoi tenere tu per me?”
Dissi quelle parole convinto che non avrei mai ricevuto una sua risposta, era stato già straordinario il fatto che avesse accettato il mio regalo, ma Akane fece qualcosa di meglio che parlare.
Lasciò di scatto la mano di suo fratello e, nel giro di un istante, mi abbracciò.
Ero incredulo. Non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile che avesse trovato il coraggio di abbattere tutti i muri, o quasi, e per di più con me.
Un rivolo di calore straripò dentro di me. Ero stato
scelto con un piccolissimo gesto, che per lei significava tutto, e quello non poteva essere un caso.
Ricambiai prontamente l'abbraccio, mentre attorno a me tutto si fermò. Sentivo Sana singhiozzare ma non la stavo veramente ascoltando e la signora Yatsuma si era portata una mano alla bocca forse per non urlare dalla gioia.
Ero degno di tanta fiducia? Non ne ero sicuro… ma ero già rapito. Da lei, da Kanata, dal modo in cui Sana li guardava e anche e soprattutto dal modo in cui
io li guardavo.
Akane si spostò lentamente e, quando la guardai di nuovo in quelle iridi fuori dal comune, non ebbi dubbi.
Io li amavo già.
Dove dovevo firmare per portarli via da quel posto?

*

Doverli lasciare lì mi fece andare via con l'amaro in bocca ma, dopo aver parlato con la signora Yatsuma, avevamo concordato che avrebbe contattattato nei giorni successivi l'assistente sociale per fissare un incontro con noi e una serie di visite psicologiche sia per i bambini che per noi.
Nel caso in cui tutto fosse andato per il verso giusto, avremmo potuto iniziare con l'affidamente e, solamente dopo, se i bambini fossero stati felici, avremmo potuto stilare le carte dell'adozione.
Io e Sana avevamo cominciato a documentarci sul perché, ancora oggi, ci fossero così tanti bambini nelle maledette case d'accoglienza. La risposta? Il nostro paese del cavolo aveva la percentuale più elevata di adozioni di adulti, accolti solo per garantire l'avanzamento della stirpe e più velocemente possibile. Si preferiva lasciare quei bambini senza famiglia piuttosto che alzare il culo e battersi in prima persona.
Noi avevamo deciso che era ora che quell'assurdità finisse: avevamo tentato, grazie alla fama d'attrice di Sana, di mettere insieme un buon numero di partecipanti per iniziare un movimento, con l'intenzione di trasformarlo in seguito in una vera e propria associazione.
Nel giro di una settimana il movimento
HelpKids aveva raggiunto i personaggi più famosi dello stato e la loro solidarietà era stata massiccia.
Ormai la nostra vita passava nell'attesa della fatidica chiamata, ma era già passato un mese e non avevamo avuto alcuna notizia. Dopo le sedute con la psicologa eravamo stati dichiarati idonei all'adozione, per cui serviva solamente l'ok del giudice per arrivare almeno all'affidamento.
Sana era entusiasta e dovevo ammettere che lo ero anche io, anche se dopo la prima visita all'orfanotrofio non era stato tutto rose e fiori per me.

"Come fai a non vedere cosa ti ha messo tra le mani Akane? Si è fidata di te! E tu ancora pensi che possano esserci dubbi?"
Erano giorni che litigavamo ormai,
Il motivo era sempre lo stesso e io stavo cominciando a stancarmi.
“Sana io lo so, ne sono ben consapevole... ma è troppo difficile. Non siamo pronti!”
Lei mi guardò con espressione indecifrabile, forse cercando di trattenersi. Io facevo altrettanto, perché se avessi detto davvero quello che pensavo, forse la donna che più amavo al mondo mi avrebbe odiato per sempre.
Quello che avevo sentito per Akane era vero, quello che sentivo per Kanata lo era altrettanto, mi aveva raccontato tante di quelle cose che mi era sembrato un piccolo esemplare di Sana al maschile. Ma non potevo far loro da padre quando io ancora mi sentivo profondamente figlio.
“Perché con Kaori sarebbe stato diverso? Per lei saremmo stati pronti?”
Sana urlò ancora, mettendosi a muso duro davanti a me. E non potevo risponderle perché aveva ragione. Aveva fottutamente ragione.
“Ma cosa vuoi che ti dica? Cosa vuoi che faccia? Che ti dia il mio consenso anche se non me la sento? È questo che vuoi? Io sono tuo marito! E le decisioni vanno prese insieme!” Sbottai, sinceramente sfinito dal suo incalzare su di me.
“Voglio che tu mi dica perché hai tutti questi dubbi quando, non appena siamo usciti da lì, eri sicuro al cento per cento di volerli qui con noi. Perché, Akito? Spiegami!”
Le sue parole mi colpirono come una folata di vento freddo.
"Cosa posso rispondere? Che non so come fare il padre? Che con Kaori sarebbe stato diverso perché era solo una neonata, che non sarebbe rimasta delusa da me? Che loro possono amarmi e io posso distruggerli? Cosa vuoi che ti dica Sana? Non sei l’unica ad avere delle paure, qui. Non sei l’unica a desiderare un figlio. Ma in una situazione come questa sei certa di poter dare un futuro migliore a quei due bambini?”
Sana rimase spiazzata dalla mia risposta, si portò una mano alla bocca perché forse non aveva considerato che anch’io potessi provare certi sentimenti. Akito Hayama l’insensibile. Ma lei mi conosceva e sapeva perfettamente che non ero così.
Si avvicinò a me lentamente, quasi non me ne accorsi perché stavo massaggiandomi le tempie con gli occhi socchiusi. Era davanti a me, con le labbra leggermente umide dalle piccole lacrime che le avevano rigato il volto e che ultimamente vedevo troppo spesso sulle sue guance, e gli occhi piantati sui miei come due calamite.
Mi porto le braccia al collo e mi baciò teneramente il mento, alzandosi in punta di piedi.
“Tu sarai un ottimo padre, Akito. Ti prenderai cura dei tuoi figli, li amerai, li proteggerai, saprai insegnargli ciò che tu hai imparato da solo per tutta la tua infanzia. Tu sarai un ottimo padre.” Ripetè e, quando lo disse per la milionesima volta, mi convinsi anch’io che forse poteva essere vero.
“E tu un’ottima madre.”


*
 
Sana era distesa sul divano con in mano il copione della serie in cui era stata chiamata a fare un provino: volevano lei, a tutti i costi. L'onda del film che aveva girato la stava facendo diventare una delle attrici più richieste in Giappone.
Eppure, nonostante fossimo abbastanza benestanti, ogni volta che io aprivo il frigo non c'era mai nulla da mangiare dentro.
Sbuffai. "E' mai possibile che ogni volta che io ho fame, in questa casa non ci sia mai nulla?" chiesi prendendomi una bottiglia d'acqua. Grande cena, effettivamente.
Sana non mi dava ascolto, presa com'era a leggere la trama di quella serie. Mi piazzai davanti a lei e le sventolai le mani davanti alla faccia. "Terra chiama Sana!"
"Mhm? Cosa?" chiese come se stesse arrivando davvero da un altro pianeta.
"Il frigo è vuoto." dissi sarcastico.
"Ho appena ordinato la pizza."
Tornai al frigo e lo riaprii, cercando di trovare la minima briciola di cibo che potesse riempire il mio stomaco nell'attesa. Presi un involucro, mi sembrava formaggio.
"Quel formaggio è vecchio, Akito."
Sbuffai ancora, ma come era possibile?
"Ma io ho fame da morire!" dissi stizzito.
Sana mi rivolse un sorriso intenerito dalla mia reazione infantile e toccò il posto sul divano accanto a lei, invitandomi a raggiungerla.
"Vieni, aspetta la pizza come un bravo bambino." disse portandosi una penna in bocca.
"Potrei avere un'idea su come passare il tempo, sai Kurata?".
Le mie speranze maliziose furono subito bloccate dal suo ordine perentorio di non sfiorarla, perchè quelle battute doveva impararle entro il giorno successivo e non potevo distrarla. Poteva infliggermi tortura peggiore?
Sedendomi, mi limitai ad abbracciarla, facendole poggiare la schiena sul mio petto, e a guardarla leggere per un po'. Mi vennero in mente miliardi di cose, nel caso l'affidamento non fosse andato a buon fine. Quella sarebbe stata la nostra vita per sempre, noi due insieme, da soli.
Avremmo potuto resistere?
I miei sentimenti mi urlavano che era ovvio, che ci amavamo così tanto da poter superare anche quello, ma lei la pensava allo stesso modo?
Rimanemmo in silenzio per un po', poi però non riuscii più a trattenermi.
"Ce la caveremo... anche se saremo solo noi due."
Sana alzò il viso e mi sorrise. "Ti amo."
Le posai un bacio leggero sulla guancia, sorridendo, e tornai a guardare davanti a me.
Il suono del campanello ci spostò dai nostri pensieri. "Pizza!" squittì Sana, correndo verso la porta e afferrando la borsa per pagare il fattorino.
"Non cominciare a mangiarla senza di me!" la ammonii, alzandomi dal divano e cominciando a liberare l'isola della cucina.
Quando mi accorsi che Sana non tornava mi voltai indietro, pensando che forse stava progettando qualche scherzo idiota, ma di lei nessuna traccia.
"Sana?" urlai, mentre mi avviavo verso il corridoio.
"Akito! Akito corri!".
Mi preoccupai all'istante, e corsi verso la porta.
La trovai spalancata, Sana era in piedi, immobile, e fuori c'erano i bambini con la signora Yatsuma.
"Akito! Quelli non sono i nostri bambini?" sussurrò Sana, probabilmente in shock.
Quando la affiancai e vidi le espressioni di Kanata e Akane rimasi estasiato. Sembravano sereni, non spaventati, non in ansia, semplicemente sereni e pronti ad una nuova avventura.
Kanata mi corse incontro, e Akane entrò immediatamente in casa, senza esitazioni. La signora Yatsuma ci guardava estasiata.
"Ho chiesto all'assistente sociale se potevo portarveli io. I bambini erano felici."
Sana scoppiò a piangere e io mi avvicinai ad Akane. Nonostante la sua solita diffidenza sentivo che il legame che si era creato tra di noi era forte, perciò mi avvicinai a lei e la sfiorai piano, aspettando che fosse lei a buttarsi tra le mie braccia accanto a suo fratello. Immediatamente afferrai Sana e la unii a quell'abbraccio.
Era il momento più emozionante della mia vita.
E sapevo che era tutto merito di Sana, lei mi aveva convinto, lei mi aveva portato ad aprire il mio cuore a quella cosa meravigliosa che era l'adozione.
Non potevamo ancora cantare vittoria, ma il nostro avvocato ci aveva detto che vista l'esperienza perfetta avuta con Kaori, il giudice sarebbe stato abbastanza facile da convincere.
E quella speranza, quella meravigliosa speranza che cresceva dentro di me, bastò a riempirmi completamente.
Ed ero felice, dopo tanto tempo, finalmente profondamente felice.


Pov Sana.

Le settimane passarono in fretta. Dopo aver ricevuto i documenti che ci avrebbero portato all'adozione definitiva, aspettavamo solamente che gli psicologi del tribunale venissero a fare una nuova ispezione in casa nostra e, successivamente, la seduta con i bambini e l'udienza finale.
Le cose erano molto migliorate da quando la signora Yatsuma li aveva portati a casa quel pomeriggio.
Kanata aveva continuato ad essere il bambino spigliato e chiacchierone che era sempre stato e Akane aveva cominciato a dire qualche parola, anche se era sempre più a suo agio quando Akito era presente. Forse si sentiva protetta, avvertiva sicuramente la sua voglia di tenerla al sicuro. Nonostante mi dispiacesse non aver instaurato lo stesso rapporto con lei, sapevo che era solo questione di tempo, e che anche i nostri cuori sarebbero entrati in sintonia.
Il fatto che avesse già cominciato a parlare mi dava già tantissima forza per costruire quel rapporto. Immaginavo già di vederli crescere, di sentirli chiamarmi
mamma, anche se nessuno dei due aveva pronunciato la fatidica parola.
E non mi aspettavo che lo facessero, era ancora troppo presto per loro.
Avevamo iniziato le pratiche per l'iscrizione a scuola, ma non potevamo terminarle finchè non ci fosse stata la certezza, nel frattempo i bambini stavano in casa con me e passavamo tantissimo tempo insieme, tra giochi e piccoli aneddoti che mi facevano stringere il cuore. Anche Akito si era preso qualche giorno al museo, e aveva chiesto a Tsuyoshi di occuparsi dell'organizzazione della palestra per un po'. I nostri amici erano entusiasti della notizia, ma ancora non avevamo portato i bambini a conoscerli, pensavamo fosse uno stress temporaneamente evitabile. Non per i ragazzi, perchè non vedevano l'ora di incontrarli, ma non volevamo forzare le cose.
"Il pranzo è pronto!" dissi ai bambini che stavano disegnando nella loro camera.
Akane corse in cucina con in mano un foglio che mi porse non appena si piazzò davanti a me.
"E' per me?" chiesi, prendendolo. Lei annuì.
Era un disegno meraviglioso, un disegno che mi riempì il cuore perchè forse il legame che tanto
invidiavo ad Akito stava finalmente mettendo le sue radici anche tra di noi.
Aveva disegnato me, Akito, Kanata e lei, tutti mano nella mano, con in sfondo casa nostra. Accanto a me era disegnato un piccolissimo cuore. Eravamo tutti vestiti di blu, o comunque tutti su toni molto freddi, e lei si era rappresentata molto piccola. Dai meandri della mia memoria, quando avevo iniziato a frequentare l'università – che avrei ripreso da casa non appena le cose con i bambini si fossero sistemate – avevo frequentato un corso di psicologia infantile e una delle prima cose che ci avevano insegnato era che quando i bambini si autodisegnavano in dimensioni ridotte stava a significare che sentivano il bisogno di sentirsi protetti.
Mi piegai sulle ginocchia – mai parlare a un bambino dall'alto verso il basso – e le feci un sorriso, aprendo le mie braccia, sperando che decidesse finalmente di abbracciarmi.
Il suo sguardo era insicuro, ma si avvicinò a me e anche se non mi gettò le braccia al collo come aveva fatto con Akito, si lasciò abbracciare.
Avevamo fatto così tanti passi avanti in così poco tempo. "Ti voglio bene, piccolina." sussurrai al suo orecchio e sentii che il suo viso si allargava in un sorriso.
Ci staccammo quasi subito, perchè Akito e Kanata fecero la loro entrata in cucina. Akito si avvicinò a me e mi diede un bacio sulla fronte. "Hai visto? Vuole bene anche a te. Le serve solo più tempo."
Annuii, dividendo il pranzo per tutti e quattro, e quasi piansi per l'emozione.
Fino a due mesi prima ero convinta che non avrei mai avuto la famiglia che tanto desideravo e invece avevo avuto molto di più.

*

Nonostante il periodo di affidamento dovesse durare almeno sei mesi, venimmo chiamati prima grazie all'insistenza dell'avvocato che ci aveva seguito per l'affidamento di Kaori. Quella mattina dovevamo presentarci in tribunale a presenziare all'udienza per la totale adozione dei bambini.
La mia ansia cresceva enormemente. Come potevo essere sicura che un estraneo avrebbe visto la connessione che avevamo creato con i due gemellini?
Akito venne vicino a me, mentre aspettavamo fuori che iniziasse l'udienza.
I bambini tenevano le sue mani ed erano vestiti perfettamente, perchè sapevo quanto anche l'aspetto contasse in quelle cose. Anche Akito aveva abbandonato i suoi soliti jeans e aveva indossato un completo blu senza cravatta. Dovevano semplicemente guardare Akane e Kanata e pensare a com'erano prima dei quattro mesi trascorsi con noi.
Erano felici? Potevo metterci la mano sul fuoco, e anche loro.
"Stai tranquilla, Sana. Andrà tutto bene." mi rassicurò Akito, ma la mia ansia non poteva essere calmata da semplici parole. Sarei stata tranquilla solo nel momento in cui fossimo usciti da lì con i
nostri figli.
Annuii comunque, per non far preoccupare ulteriormente Akito, che sapevo essere già molto teso, nonostante tentasse di nasconderlo. "Signori Hayama, potete accomodarvi.". Una signora paffuta sulla cinquantina venne a chiamarci e fu come quando nei film utilizzano lo slow motion. Ogni mio passo mi sembrò pesante sul pavimento.
Quando arrivammo davanti al giudice il cuore mi si fermò nel petto. Non sapevo più come comportarmi, nonostante il nostro avvocato ci avesse istruito perfettamente su cosa fare e cosa non fare.
"Cominciamo." esordì la donna piazzata davanti a noi su un piano rialzato. "Signora Sana Kurata in Hayama e signor Akito Hayama. Vi dispiace alzare la mano destra dichiarando che la vostra testimonianza sarà la verità e nient'altro che la verità?"
Facemmo come ci disse la giudice che annuì subito dopo. "Desiderate adottare questi bambini legalmente come vostri figli?"
"Si, assolutamente." rispondemmo in coro io e Akito.
"Potrei parlare con i bambini?"
Facemmo avanzare Akane e Kanata, che rimasero in silenzio.
"Ho sentito che volete molto bene a questi due signori, non è vero?"
Entrambi annuirono, e Akane addirittura prese la mano di Akito stringendola forte. La giudice, probabilmente informata dell'iniziale problema di Akane, rimase molto sorpresa nel vedere quel gesto.
"Molto bene. E vi trovate bene in casa loro? Giocate abbastanza?"
Kanata fece una faccia un po' strana e poi cominciò a parlare, e io sperai che non dicesse qualcosa facilmente fraintendibile perchè avrebbe potuto far cadere il castello di carte che stavamo costruendo.
"Ogni tanto la mamma ci sgrida perchè le facciamo troppo solletico, però a me fa ridere quando lei fa quei rumorini strani mentre glielo facciamo. Quindi io e Akane le facciamo gli scherzetti e ci nascondiamo. E lei ci casca sempre!"
Pensai che il cuore mi fosse uscito fuori dal petto. Mi aveva chiamato mamma.
"Non è vero, Akane? La mamma non è troppo buffa quando ride?"
Akane sorrise. "Anche papà." fu tutto ciò che disse lei. Ma io e Akito eravamo completamente sopraffatti dalle migliaia di emozioni che stavamo vivendo.
Una lacrima mi rigò il viso e cercai di trattenermi senza successo.
"Prima volta, eh?" disse la donna che mi guardava con aria intenerita, capendo immediatamente per cosa ero scoppiata a piangere.
Annuii, sorridendo.
"Voi avete fatto il lavoro più arduo: avete scelto di amare. E io, d'altro canto, ho il piacere di metterlo su legge. Congratulazioni."
Io e Akito ci guardammo increduli, con il cuore che ci scoppiava.
"Grazie! Grazie mille!" furono le uniche cose che riuscimmo a dire.
Poi fu tutto un turbinio di emozioni. Akane e Kanata che correvano ad abbracciarci, noi che piangevamo, l'uscita dal tribunale, l'intera giornata a festeggiare insieme.
Era esattamente tutto quello che avevo sempre desiderato ed era successo così, senza avere certezze fino alla fine, ma l'amore che ci avevano regalato Akane e Kanata in quel pochissimo tempo mi aveva aiutato a capire ciò che mia madre aveva sempre provato per me.
Era qualcosa di viscerale, nonostante la mancanza del vincolo di sangue.
Erano i miei figli. I nostri figli.
Akito arrivò dietro di me ad abbracciarmi, prendendomi alla sprovvista, mentre guardavamo i bambini correre per tutta la spiaggia con i loro aquiloni in mano.
"Sei felice?" mi chiese. E non c'era domanda più
banale di quella.
"Come mai prima d'ora." sussurrai, mettendo la testa nell'incavo del suo collo, mentre il tramonto ci abbracciava con i suoi meravigliosi colori.
"Così felice da toccare il cielo con un dito?" mi chiese stuzzicandomi.
"Molto di più. Così felice da toccare la luna."






Intanto vi ringrazio infinitamente per le recensioni che ho ricevuto, mi avete riempita di complimenti, siete stati carinissimi, davvero.
Purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista) questo è il penultimo capitolo della storia, per cui il prossimo capitolo sarà l'ultimo e segnerà la fine della storia.
Spero che mi riempirete di opinioni, perchè è l'unica cosa che mi interessa!
Recensite, fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi amo,
Roberta.

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Capitolo 25
*** L'amore vince tutto. ***


CAPITOLO 24.
L'AMORE VINCE TUTTO
EPILOGO.



1.1

Le avevo tentate tutte.
Avevo rovesciato il contenuto della mia borsa per terra, frugato in ogni tasca del giaccone, avevo guardato ovunque, ma delle mie maledettissime chiavi di casa neanche l'ombra.
Cosa potevo fare? Rimanere fuori e congelarmi era un'opzione, avrebbero trovato il mio corpo il giorno dopo, totalmente ricoperto di neve e, visto che ero abbastanza in salute, sarei anche riuscita a donare i miei organi. Quella mi sembrava una scelta allettante rispetto alla seconda opzione: suonare il campanello alle 4.30 del mattino, quando avrei dovuto essere a casa almeno tre ore prima. Ma insomma, la mia amica Reika aveva festeggiato il suo compleanno e, chiacchera dopo chiacchera, eravamo finiti a fare tardi.
Bè, la festa era finita quando ancora il mio coprifuoco non era stato sforato, solo che dopo avevo incontrato Shinichi e avevo perso la cognizione del tempo dentro quegli occhi. Si, ero cotta di lui, ma non potevo giustificarmi così con i miei genitori, mi avrebbero messa in punizione a vita.
Nel silenzio assoluto del momento, inizialmente non mi accorsi nemmeno che il mio telefono aveva preso a squillare.
Lo afferrai dalla tasca, curiosa su chi potesse chiamarmi in una situazione così assurda, mi trovai con il cuore in gola vedendo che era mio padre. Tentennai prima di decidere di rispondere.
"Pronto?" dissi terrorizzata. Mi avrebbe uccisa, ne ero certa.
"Cosa ci fai seduta sul gradino della porta come una barbona?"
Sempre la sua solita delicatezza.
"Ho dimenticato le chiavi, potresti aprirmi per favore, che fuori si gela?"
Papà rimase in silenzio per un attimo. "Si, potrei, ma non so se lo farò visto che il tuo coprifuoco scadeva ore fa, signorina!"
Ecco, perfetto, cominciai già a pensare al mio ultimo desiderio prima del patibolo.
"Ma siccome sono un uomo magnanimo, adesso scendo ad aprirti."
Sorrisi instintaneamente, sentendo i suoi passi pesanti per le scale prima che la porta si aprisse.
Mio padre era scuro in fiso, furioso sicuramente, ma lui era uno bravo a trattenere le emozioni. In un certo senso lo avevo ereditato da lui. Si piazzò davanti a me a braccia conserte.
"Bene, buonanotte!" cercai di fuggire io.
"Ferma dove sei." tuonò lui e quindi dovetti bloccarmi. "Per questa volta lascerò correre questa enorme infrazione."
Un sorriso mi spuntò sul viso prima ancora che finisse di parlare. "Ma solo per questa volta." precisò.
Annuii in silenzio e feci per andare in camera mia.
"A tua madre non diremo niente, intesi? Altrimenti poi chi la sente!"
Mi aveva praticamente salvato la vita, risparmiandomi ore di rimproveri, per cui tornai indietro e mi gettai tra le sue braccia.
"Grazie papino, sei il migliore del mondo!" dissi prima di schioccargli un sonoro bacio sulla guancia.
"Si si, adesso vai a letto, prima che ci ripenso!" mi canzonò sorridendo.
Feci come mi aveva detto e dopo qualche minuto sentii che anche lui era andato a letto.
Dopo aver fantasticato per almeno mezz'ora sulla frase che Shinichi mi aveva detto, ovvero ciao, tutto ok?, mi addormentai pensando che sì, ci saremmo sposati entro un anno.
 

*

"A che ora sei tornata ieri sera?"
Mia madre mi guardava come se sapesse già che avevo qualcosa da nascondere, ma cercai ugualmente di dissimulare la cosa perchè altrimenti mi avrebbe scoperto e sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale.
"All'una, perchè?" dissi mordicchiando un biscotto.
"Mi è sembrato di sentirti rientrare più tardi."
Mio padre sbucò alle mie spalle, dandomi un bacio sulla guancia. "Buongiorno, mostriciattolo."
Ormai avevo perso le speranze, quel nomignolo non mi avrebbe mai lasciato in pace, per cui avevo smesso persino di arrabbiarmi.
Si avvicinò alla mamma e le stampò un bacio un po' troppo lungo sulle labbra. Sorrisero insieme prima di rimanere per qualche secondo occhi negli occhi e guardarsi come io avrei voluto che Shinichi guardasse me.
"Siete così carini." sussurrai più per me stessa che per dirlo a loro.
Mia madre fece una faccia sconvolta e, staccandosi da papà, venne a toccarmi la fronte. "Ti senti bene? Dov'è finita la sedicenne che dice che schifo ogni volta che io e tuo padre ci prendiamo per mano?"
"Lasciala stare, la notte le avrà portato consiglio..." mi provocò papà. Ci guardammo complici, come era sempre stato dal primo momento, e sorridemmo all'unisono.
Papà prese mamma e le fece fare una giravolta, portandola con la tesa all'indietro a mo' di casquet, e baciandole il collo.
Ok, adesso dovevano fermarsi. "Adesso basta però, non esagerate."
"Sbrigati mostriciattolo, che ti porto a scuola. E sveglia quel dormiglione di tuo fratello!"
Mi bloccai in corridoio davanti alla camera del secondo mostriciattolo, come ci chiamava papà, e mi scappò da ridere pensando al ricordo della prima volta che ci aveva chiamato in quel modo.






"Papino! Questo è il nostro regalo!"
Io e Kanata ci avvicinammo a papà tutti sporchi di torta ai lati della bocca, in difficoltà per il peso del pacco, per cui zioTsuyoshi si mise dietro di noi per aiutarci.
"Cosa mi avete portato, mostriciattoli?" scherzò papà prendendo il pacco dalle nostre mani. Nessuno sapeva cosa gli avevamo comprato, perchè avevamo pregato zia Fuka di accompagnarci perchè doveva essere una sorpresa anche per mamma. Avevamo risparmiato la nostra paghetta per un mese e alla fine eravamo tornati a casa con quel pacco gigante.
Fuka guardava mamma sorridendo sorniona, mentre papà strappava la carta regalo e, quando lo aprì del tutto, tutti rimasero in silenzio per un attimo.
Avevamo fatto fare un album con tutte le nostre fotografie, tutte quelle che avevamo scattato in vacanza quell'estate, le foto buffe a mamma mentre dormiva, i selfie al tramonto davanti al mare. C'erano tutte. Papà sorrise alla vista della foto della copertina.
Era la prima foto che avevamo scattato appena usciti dal tribunale, mamma con le lacrime agli occhi e papà sorridente.
Tutti rimasero in silenzio, aspettando la reazione di papà. "E' bellissimo..." sussurrò quasi senza fiato, e ci afferrò entrambi, abbracciandoci.
Aya ci guardava commossi, e anche mamma non riusciva a trattenere le lacrime. Avevo una famiglia bellissima, conquistata e sudatissima, ma comunque meravigliosa e non avrei chiesto niente di meglio.
Forse solo che durasse per sempre.



1.2

Guardai mio padre e il suo sguardo fiero mentre salivo sul palco per fare il mio discorso alla cerimonia di diploma in quanto studente migliore del mio anno.
Inspirai ed espirai, sistemandomi il nodo della cravatta perché papà non aveva detto altro. Rivolsi lo sguardo verso mia madre, stretta in quel vestito rosso scuro che faceva tono su tono con i suoi capelli, e ovviamente la trovai in lacrime.
Mia sorella era tra tutti gli altri studenti, nella stessa tunica che io indossavo, sperando che il mio discorso finisse in fretta e che la cerimonia iniziasse per accaparrarsi la sua pergamena e fuggire il più lontano possibile. Era divertente pensare a quanto eravamo diversi: io che temevo la fine del liceo come un momento di svolta a cui non mi sentivo affatto pronto, e lei che non vedeva l'ora di dire addio a quel luogo perché era stanca di sentire parlare sempre e solo di studio. Cosa si dice dei gemelli? Che sentono i pensieri l'uno dell'altro?
Non avevano tutti i torti, in quel momento la mia ansia era triplicata da quella di Akane e la cosa non era affatto positiva.
“Signore e signori, il signor Kanata Hayama.” mi presentò il preside.
Era il mio momento, il mio attesissimo momento. Avevo scritto quel discorso con tutta la serenità del mondo, convinto di riuscire ad esporlo senza dare di matto, ma evidentemente mi sbagliavo.
Non appena mi ritrovai davanti al microfono, il fiato mi morì in gola. Tossii, poi cercai di raccogliere tutto il mio coraggio ed iniziare.
“Grazie, preside Ikeda. Inizio col salutare tutti i presenti e ringraziarli per la loro presenza davvero imponente a questa cerimonia che segnerà la fine di un percorso che ci porterà, finalmente, a contatto con la vita vera.”
Tutti avevano gli occhi fissi su di me, i miei mi guardavano orgogliosi, e quello mi diede la giusta carica per continuare.
“Una vita che pone davanti a noi gli ostacoli che tutti hanno dovuto, prima o poi, affrontare. Ognuno di noi ha le proprie ispirazioni, c'è chi prende il coraggio da un idolo, da qualcuno che ammira così tanto da volerlo imitare ed emulare nel migliore dei modi.
Anch'io lo faccio e i miei idoli sono due, due pilastri che tengono le mie fondamente salde e stabili, senza i quali non riuscirei a stare in piedi. L'uomo che mi ha insegnato tutto, mio padre, Akito Hayama, e la donna che mi ha amato ancora prima che mi amassi io, mia madre, Sana Kurata. Loro non mi avranno dato il loro sangue, ma mi hanno dato il loro nome, a me come al mio terzo pilastro, mia sorella Akane. Mi hanno cresciuto, mi hanno educato, e mi hanno dato la possibilità di diventare ciò che volevo, qualsiasi cosa essa fosse. I miei genitori mi hanno guidato negli ultimi incredibili tredici anni, e non saprei come ringraziarli per ciò che hanno fatto per me e per Akane. Ecco, forse non si sono mai accorti che sia io che mia sorella vorremmo assomigliare solo a due persone al mondo, e sono loro.
Ecco cosa intendo, modelli piccoli, magari non particolarmente clamorosi, ma importanti per ognuno di noi. Ora che il liceo giunge al termine vorrei che tutti trovassero i loro modelli e che lottassero per questo, per un obiettivo. Buona vita a tutti.”
Terminai il discorso e alzai lo sguardo verso i miei genitori. Mia madre era disperata ma sorridente e mio padre non faceva altro che applaudire.
“Sono fiera di te.” mi sussurrò mia madre in modo che lo capissi leggendole il labiale.
Poi trovai lo sguardo di Akane, anche lei commossa, e sapevo quanto si sarebbe arrabbiata perché l'avevo inclusa nel discorso, eppure non mi importava.
Avevo dato la prima vera soddsfazione ai miei meravigliosi genitori, cosa potevo chiedere di me
glio?





1.3

Ma sei sicura che questa sia la scelta giusta?”
Mamma mi guardò per più di un minuto in silenzio, fissando ogni angolo del mio corpo fasciato da quell'abito bianco che tanto avevo aspettato di indossare.
“Akane, tesoro, pensi che ti direi mai di si se l'abito non fosse perfetto? Guardati, sembri una principessa.” sussurrò lei alzandosi in piedi e mettendosi alle mie spalle. La guardavo dallo specchio, con gli occhi lucidi perché finalmente sua figlia si stava sposando.
Annuii, aveva ragione. Mi sentivo una principessa.
Il mio vestito da sposa si allargava sui fianchi come un abito d'altri tempi, sulla vita c'era un decoro di minuscoli cristalli che riflettevano la luce in modo magico, e il corpetto mi lasciava totalmente scoperte le spalle e le braccia, in uno scollo a V molto profondo.
“E' l'abito giusto?” si intromise la commessa.
Entrambe scoppiammo in lacrime e annuimmo insieme, abbracciandoci.
“Perfetto, allora ti lascio godertelo un po' con la tua mamma, torno fra poco.” disse la ragazza, uscendo dalla stanza e lasciandomi sola con mia madre.
“Mamma, pensi che piacerà a Shinichi?”
Ebbene si, alla fine ero riuscita a far cadere Shinichi ai miei piedi e dopo ben quattro anni era arrivata la fatidica proposta. A mio padre era quasi venuto un infarto, ma alla fine aveva accettato di buon grado perché il mio futuro marito – faceva strano persino a me chiamarlo in quel modo – era davvero un bravo ragazzo.
“Sarai stupenda, tesoro mio.” sussurrò mia madre, offrendomi la flute di champagne che la commessa ci aveva portato per festeggiare la scelta. “Ma adesso devo darti una cosa.”
Mi voltai di colpo, mia madre teneva tra le mani una scatola blu, di quelle in cui si mettono i gioielli.
“Mamma, non dovevi...” dissi cercando di dissuaderla dal continuare a farmi regali. Da quando aveva saputo che mi sposavo aveva cominciato a riempirmi di pacchi e pacchettini.
“Sssh… tesoro, non l'ho comprato.”
Lo aprii quando si piazzò davanti a me e mi mostrò cosa c'era al suo interno, facendomi rimanere di sasso.
Era la collana che aveva indossato il giorno del suo matrimonio. Gliel'avevo vista al collo c
osì tante volte, e l'avevo sognata tantissime volte guardando le fotografie di quel giorno.
Quando i miei mi avevano raccontato come e perché avevano deciso di sposarsi ero rimasta sconvolta, eppure non mi aspettavo nulla di meno imprevedibile da parte loro.
“E' il mio piccolo regalo per quel giorno importante, voglio che la indossi tu. Voglio che tu abbia un pezzo di me anche quando ti lascerò andare alla tua nuova vita.”
Mi gettai tra le braccia della mia mamma in lacrime, svuotando tutta l'ansia di quel periodo e tutto l'amore viscerale che provavo per lei.
“Grazie mamma. Anche se non mi hai partorito, mi hai ugualmente dato la vita. Non lo dimenticherò mai.”
“Tesoro...” mi accarezzò i capelli. “Sei stata la mia più grande conquista, voglio che tu lo sappia.”
Dopo quel momento emozionante, ci ritrovammo a fare le stupide davanti allo specchio. Io, ancora con indosso l'abito bianco, e lei che, all'età di quarant'anni, faceva invidia persino a me, nel suo tubino color crema e quei tacchi vertiginosi che io non sarei mai riuscita a portare.
Era bellissima, e io ero fiera di essere sua figlia.




1.4

Aspettavo fuori dalla sala parto perché Nami non aveva voluto che io entrassi, ma l'ansia mi stava letteralmente divorando le viscere.
Io, i miei genitori e i miei suoceri – chiamare così zio Tsuyoshi e zia Aya era abbastanza strano, ma di fatto era quella la nostra parentela – aspettavamo fuori mentre mia sorella Akane era dentro con lei. Odiavo che avesse scelto di avere al suo fianco lei e non me, ma comprendevo che in un momento così delicato bisognava solo assecondarla e non andarle contro, anche perché avrei rischiato davvero grosso. Nami aveva un carattere che era totalmente opposto a quello dei suoi genitori. Loro erano calmi, posati, persone pacifiche con cui si poteva affrontare qualsiasi tipo di discorso. Nami no.
Nami sarebbe stata capace di uccidermi se l'avessi contraddetta in quella situazione per cui, per evitare di far star male lei e soprattutto il mio bambino, avevo preferito lasciar correre e godermi il momento.
Quando le porte si aprirono e vidi un'infermiera uscire con in braccio mio figlio, mi sembrò che il mondo mi fosse crollato sotto i piedi e fosse stato lentamente ricostruito.
Lo presi in braccio cercando con tutto me stesso di non fargli male, proprio come mi aveva insegnato la mamma quando era nata la mia nipotina Tomoe, la figlia di Akane.
“Sono padre...” sussurrai stringendolo a me e vedendo come tutta la mia famiglia fosse commossa, mi avvicinai a loro per mostrargli il loro nipote.
“E' stupendo.” disse Aya, quasi in lacrime. “Posso vedere mia figlia?” chiese poi all'infermiera che attendeva di riprendere il bambino per portarlo alla nursery, come di prassi.
“Papà, guarda… sono padre.”.
Quelle erano le uniche parole che riuscivo a dire e mio padre mi piazzò una pacca sulla spalla, con meno forza rispetto a come avrebbe fatto se non avessi avuto tra le braccia il bambino, e mi sorrise. “Si, sei padre figliolo… e sarai un ottimo padre.”
Su quello non avevo alcun dubbio. Non perché fossi sicuro di me stesso o perché sapevo già come affrontare quella cosa molto più grande di me, ma semplicemente perché l'esempio che lui mi aveva dato lo avrei portato avanti anche nella vita di mio figlio.
“Avete già deciso come chiamarlo?” mi chiese zio Tsuyoshi mentre cercava di farsi stringere il dito dal bambino.
Annuii. Io e Nami ne avevamo parlato a lungo e alla fine ci eravamo trovati d'accordo quasi subito.
“Si. Si chiamerà Akito Hayama.”.
Tsuyoshi alzò lo sguardo verso di me e poi verso il suo migliore amico, mio padre, annuendo. “Avete fatto proprio una bella scelta.” si limitò a dire.
Lo sguardo che mio padre mi riservò, mi ripagò di quei pochi anni della mia vita in cui mi ero sentito non voluto, non amato, abbandonato dal mondo e da coloro che avrebbero dovuto proteggermi.
Avevo trovato le mie fondamenta, e da quelle avevo costruito una vita che amavo, che mi rendeva felice.
“Ti voglio bene figliolo.” mi sussurrò mio padre non appena riportai il bambino tra le braccia dell'infermiera. Mi abbracciò forte.
“Grazie papà.” gli risposi io. E in quel grazie quanto amore c'era racchiuso… che non sarei riuscito ad esprimerlo con parole appropriate.


1.5
Omnia Vincit Amor.

Quei pazzi dei miei genitori si erano fatti un tatuaggio. Alla veneranda età di cinquant'anni, avevano deciso di farsi un tatuaggio come se fossero stati due ragazzini.
Erano pazzi.
“Mamma, ma pensate che sia divertente? Avete una certa età. Dovreste pur dare la parvenza di essere persone serie ogni tanto.”
Mia madre mi riservò uno sguardo stralunato, come se stesse parlando con la pazza del villaggio. “Tesoro, non siamo ancora nella tomba. Siamo ancora giovani noi, che ti credi?”
Papà annuii, mentre ballava dietro alla mamma come un adolescente. “Piuttosto, non hai intenzione di sloggiare? Io e tua madre avremmo da fare, mostriciattolo.” disse ammiccando e afferrandola con forza.
“Akito! Ma cosa dici? Non dargli ascolto Akane, sai com'è fatto tuo padre.” lo rimproverò la mamma, dandogli un buffetto sul braccio che le circondava la vita.
Sorrisi instintivamente della scenetta che avevano messo su, sperando di arrivare alla loro età con lo stesso amore nel cuore per me e per Shinichi.
Non avevo idea di come facessero, di come riuscissero ancora a sbaciucchiarsi come al primo giorno di matrimonio. Me lo ero chiesta spesso, eppure non ero mai riuscita a darmi una risposta, per cui mi feci coraggio e lo domandai.
Fu mio padre a rispondermi.
“Sai, Akane, non c'è un modo, o un segreto per amarsi. Basta amarsi… io e tua madre abbiamo passato anni a negare i nostri sentimenti, come se fossero un problema, come se potessero distruggerci. E a volte lo hanno fatto, ci hanno distrutto, ma poi ci siamo uniti e ci siamo leccati le ferite e siamo guariti. Poi gli anni sono passati, siete arrivati tu e Kanata… e le cose poi sono andate da sole. Ed eccoci qui, a sopportarci dopo tutto questo tempo.
Il trucco è questo: amare anche i difetti dell'altra persona, accettarsi, smussare i lati del tuo e del suo carattere, avere sempre in mente e nel cuore che la base di tutto è l'amore.
E il rispetto. Non c'è amore senza rispetto e stima. Questo è tutto ciò che devi sapere, per il resto, mostriciattolo… non saprei cosa dire.
Sarei ancora un giocattolo rotto se non fosse stato per tua madre.”
Li guardai ancora scambiarsi qualche bacio, mio padre infilò la mano tra i capelli ormai corti della mamma e l'avvicinò a lui, baciandole la fronte.
Nella mia vita avevo conosciuto tantissime forme d'amore, ma quella… l'amore che c'era tra Akito Hayama e Sana Kurata era ineguagliabile e sarebbe stato così per sempre, perché l'amore vince tutto.







L'amore vince tutto.
Ho voluto intitolare così questa storia e questo ultimo capitolo in particolare perchè questa frase ha accompagnato gran parte della mia vita da quando l'ho letta per la prima volta, forse in terzo liceo. In realtà l'idea non è stata mia, ho avuto una grandissima collaborazione da parte della mia meravigliosa Beta.
Ed è proprio a lei che va il ringraziamento più grande, per avermi spronata, convinta di cose di cui non ero proprio certa, e per aver accettato anche le cose che non convincevano lei, sempre a favore della mia creatività e delle mie idee.
Non avrei saputo scrivere nulla senza di lei.
Un altro viaggio giunge al termine, anche questa storia è nata per caso, e ogni giorno che passa la amo sempre di più, forse anche solo perchè è mia. Poi, vado a leggere che è una tra le più popolari, insieme ad University Life, che tantissime persone l'hanno posta tra i preferiti, seguiti, ricordati... e allora mi fate davvero commuovere.
Vorrei potervi ringraziare uno per uno, per le recensioni meravigliose, per le parole piene d'amore che mi avete riservato: se ho aggiornato e ho portato questa storia alla fine è stato soprattutto grazie a voi.
Grazie... grazie a tutti. Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore.
Vi aspetto nella sezione recensioni, se siete stati fino ad ora lettori silenziosi, per favore... lasciatemi un commento, non perchè io voglia essere riempita di complimenti, ma semplicemente perchè voglio sapere cosa ne pensate.
Se l'epilogo vi è piaciuto, sono felice... al contrario, perdonatemi, ma ciò che il cuore mi detta finisce nero su bianco e c'è poca possibilità di cambiarlo.
In particolare, mi sta venendo in mente in questo momento, vorrei ringraziare tutte le ragazze che mi hanno scritto che ho avuto la capacità di parlare di argomenti come l'aborto e l'adozione con molta delicatezza. Io ho solo 22 anni, non ho idea di cosa si provi a perdere un figlio, e spero di non provarlo mai, ma ho cercato di ricercare nelle esperienze di persone che ho conosciuto, di tutto ciò che so a riguardo, per provare almeno un minimo a parlarne senza risultare inopportuna o presuntuosa. Se qualcuno ha percepito questo, per favore ditemelo, cercherò di usare le vostre critiche per migliorarmi.
Non vorrei mai chiudere questo commento finale, non voglio lasciare questa storia che mi ha dato così tante emozioni sin dall'inizio, ma come tutte le cose belle ha un inizio e deve avere anche una fine, purtroppo.
Per cui, vi ringrazio ancora, vi ringrazio sempre.
Scrivetemi, scrivetemi più che potete. Io sono qui per ascoltarvi.
Alla prossima storia, vi assicuro che non mancherò molto.
Roberta.

Ps: se vi va, se fino ad ora avete apprezzato ciò che ho scritto, controllate il mio profilo nelle prossime settimane, verrà pubblicata una storia originale. Questo non presuppone che Sana e Akito verranno messi da parte.
Vi aspetto.

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