The Red Crow and the Blue Butterfly

di lucifermorningstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A beat of wings ***
Capitolo 2: *** Lightning and Ice ***
Capitolo 3: *** Frammenti ***
Capitolo 4: *** Vortex Club ***
Capitolo 5: *** Una tempesta in arrivo ***



Capitolo 1
*** A beat of wings ***


Seattle. 5 Ottobre 2018. Ore 2:00 AM.


Faceva freddo ma non troppo. Era una temperatura sopportabile.

Migliaia di luci splendevano dalla cima del palazzo dove la ragazza si era arrampicata con maestria. I piedi poggiati sul bordo, ad osservare le strade. Lo sguardo che saliva fino a vedere le migliaia di palazzi e negozi. Piegò le ginocchia, sporgendosi con metà busto fuori dal bordo e ammirando il suo capolavoro.

Un enorme graffito riempiva tutta la facciata del palazzo, raffigurante un corvo dalle ali rosse, dall'aria feroce e sanguinaria. Sotto quest'ultimo, con il ventre perforato dagli artigli del rosso c'era un secondo corvo, piu piccolo e dal piumaggio blu, con un espressione di puro dolore. Il disegno appariva strano però. Non sembrava fatto con vernice normale, sembrava risplendesse. Vibrasse.

Il vento soffiò lievemente facendole ondeggiare il cappuccio nero come la pece. Inspirò. Espirò. Non era facile con la maschera che aveva addosso. Una stupenda maschera da corvo che le copriva il viso. Nascondeva la sua identità ma allo stesso tempo la soffocava un poco.

Un rumore alle sue spalle attirò la sua attenzione. Si voltò. La porta che conduceva al tetto fu aperta con una spallata, sfondata per essere pignoli. Sei poliziotti uscirono e si sparpagliarono sul tetto con l'arma in pugno. La circondarono subito. Si rimise dritta quando li vide avanzare, alzando un sopracciglio da sotto la maschera, non aspettandosi dei comuni poliziotti.

-Metti le mani ben in vista. Arrenditi senza oppore resistenza o saremo costretti ad aprire il fuoco- Minacciò uno dei poliziotti. Scese giu con un balzo. I poliziotti fecero un passo indietro. Erano spaventati. Sapevano chi era. Sapevano di cosa fosse capace. E la temevano. Non sapevano chi fosse realmente. Nessuno a Seattle conosceva l'identità del Corvo. La terrorista o il terrorista che si aggirava di notte. Li guardò. La stavano fissando. Fissavano quelle enormi pupille nere che aveva la maschera. Quel tocco inquietante che dava un nonsochè di artistico alla sua persona.

-Metti le mani ben in vista ho detto- Ordinò nuovamente il poliziotto. Il Corvo premette qualcosa da sotto la giacca scura e alzò le mani. In silenzio.

-Togliti la maschera-

A quella richiesta sorrise. Sorrise divertita da dietro la maschera. Scostò di poco il cappuccio, lasciando intravedere gli auricolari che aveva penzoloni al collo. Le prese e se le infilò nelle orecchie. La musica che veniva sparata dritta nei timpani. I Nirvana le entrarono in testa, occultando qualsiasi altra frase detta dai poliziotti.
https://www.youtube.com/watch?v=WqlplSmbuaI
Dondolò un poco il capo, seguendo il ritmo della musica. Infine il corvo parlò. Una sola parola. Metallica e profonda, occultata probabilmente della maschera.

-Balliamo- E si mosse. Era veloce. Molto veloce. Uno dei poliziotti le si era avvicinato e lei sfruttò la cosa. Lo afferrò per il polso. Rompendoglielo con una mossa e togliendo presa sulla pistola che aveva in pugno. Lo manovrò in modo da usarlo come scudo umano cosi che gli altri non potessero spararle. Un pugno al viso, in mezzo agli occhi. Stordito. Lo afferrò per la cintura e lo lanciò contro i due poliziotti alle sue spalle, buttandoli tutti e tre per terra.

Gli altri spararono all'unisono. Lei fece una capriola schivando i colpi con maestria. Rialzandosi di scatto e colpendo con un calcio al viso il poliziotto piu vicino. Dandogliene poi un secondo quando fu a terra, facendolo svenire. Fuori uno.

Un agente cercò di approffitare della sua distrazione per colpirla con il calcio della pistola alle spalle ma notò il movimento e si abbassò con il busto, girandosi e dando un pugno alla bocca dello stomaco dell'uomo. Questi si piegò in due e lei ne approffittò per dargli una gomitata sul collo. Cadde a terra, anche lui fuori gioco come il primo. Fuori due.

Uno sparo le strisciò sul fianco. I tre poliziotti che aveva buttato a terra si erano rialzati e si muovevano verso di lei. Cercando di afferrarla e colpirla. Uno di loro riuscì a colpirla alla gamba con un calcio e un altro la colpì al petto con un pugno. Il primo era per farle perdere equilibrio, il secondo era mirato a toglierle il respiro. Conosceva quelle mosse. E sapeva come contrastarli. Specie perchè erano vicini. Tentò di colpire con un pugno alla gola la donna poliziotto che le si era parata davanti ma il suo collega da dietro le afferrò le braccia, immobilizandola e impedendole di attaccare. La donna impugnò la pistola ma il Corvo la disarmò con un calcio.

Diede una testata a quello che le stava dietro. Afferrandogli la testa con le mani e con una mossa degna dei film di arti marziali lo sollevò, gettandolo davanti a lei. Sopra la sua collega. Fuori quattro. Si guardò attorno. 
Evitò un pugno al viso, scansandosi a sinistra. Le mani presero il braccio del poliziotto e con una mossa rapida glielo ruppe. Lo sentì urlare per il dolore. Sempre tenendolo per il braccio lo spinse per terra. Fuori cinque. Ne mancava solo uno. L'uomo era spaventato. Si vedeva chiaramente. Aveva la mano tremante e indietreggiava quando lei muoveva un passo verso di lui. Era tentato di spararle ma non lo faceva. Era giovane. Inesperto forse.

-Buh- Fece il Corvo. Il poliziotto fece un saltello all'indietro per lo spavento, buttando a terra la pistola e alzando le mani in segno di resa. Si mosse veloce, togliendo ogni distanza tra loro due. Il giovane poliziotto si beccò una testata sul naso. Cadde, tenendosi il naso sanguinante e rotto con entrambe le mani. Gemendo per il dolore e piagnucolando qualcosa sul volere la mamma. E fuori sei.

Oltrepassò il ragazzo, scansandolo come fosse spazzatura. Si guardò indietro. Sei poliziotti erano per terra. Doloranti e con qualche osso rotto. Ci era andata troppo leggera ma in fondo era meglio cosi. Era rimasta delusa. Si aspettava qualcosa di piu. Si tolse le cuffie dalle orecchie, spegnendo la musica. E solo allora lo sentì. Un rumore assai famigliare. Il rumore di un elicottero in avvicinamento. Anzi piu di uno. Si mise di nuovo sopra il bordo del tetto. Osservando i mezzi che stavano arrivando.

Due enormi elicotteri militari si avvicinavano a gran velocità nella sua direzione. In poco tempo giunsero proprio sopra di lei. Le luci erano puntate sulla sua figura, come dei riflettori ad uno spettacolo teatrale. Il vento delle pale che le agitava vorticosamente il cappuccio nero come (ironicamente) le ali di un corvo.
Non disse nulla. Dei minacciosi mitragliatori emergevano da sotto gli elicotteri, pronti a far fuoco. Sapeva che avrebbero fatto fuoco molto presto. La osservavano. La studiavano. Pensavano che si sarebbe arresa dinanzi a quello spiegamento di forze. Ma figuriamoci. Non aveva paura. Sentiva solo adrenalina. Qualcosa di cui non riusciva a fare a meno. Una vera e propria droga si potrebbe dire.

Alzò entrambi i medi nei confronti degli elicotteri e fece un passo in avanti nel vuoto. Il corpo precipitò a gran velocità verso il terreno. Il cappuccio che sventolava da una parte all'altra a causa del vento. Per un istante ebbe quasi paura di non farcela. Ma durò solo un istante. Come se fosse una gara di tuffi fece una capriola in aria, avvicinandosi con il corpo alla facciata del palazzo dove aveva appena lasciato il proprio disegno. Era un peccato rovinarlo ma doveva farlo purtroppo.

Una luce violastra la ricoprì. O meglio il suo intero corpo sembrò risplendere di luce viola. Il tempo rallentò e fu come camminare sull'acqua per lei. I piedi si poggiarono sui vetri dell'edificio e iniziò a correre. Da prima verso il basso. Continuando a scendere, per poi tornare indietro di scatto. Risalendo di corsa il palazzo, in direzione degli elicotteri. Un siluro di luce sembrava fosse diventata. Piccoli pezzi di vetro che al suo passaggio si rompevano e cadevano nel vuoto.

-Merda. Merda. Fanculo gli ordini. Spariamole. Spariamole adesso. Sta tornando, sta tornando- Urlò uno dei piloti in preda al panico. I mitragliatori si azionarono, sparandole addosso. Le pallottole la sfiorarono di pochissimo. Fu un miracolo se riuscì a schivarle tutte. Se i piloti fossero stati agenti veri, addestrati per situazioni simili e non da quattro soldi non si sarebbero allarmati cosi tanto per una come lei. E forse avrebbero avuto una chance. Ma non era stato cosi.

Corse a perdifiato. Corse risalendo tutta la facciata dell'edificio. Prendendo per bene lo slancio. Arrivata nel punto in cui si era buttata un attimo prima, mise un piede sul bordo e rivolgendosi con il busto in direzione degli elicotteri si diede una bella spinta. Buttandosi contro uno dei due elicotteri.

Il pilota doveva aver capito le sue intenzioni e aveva cercato di allontanarsi ma senza successo. Saltò e in quell'esatto momento smise di essere fatta di luce. Le mani afferrarono il mitragliatore, lì dove non poteva farle male. Penzolò per qualche istante mentre l'elicottero iniziava a muoversi freneticamente a rotazione, cercando di mandar via l'ospite indesiderato.

L'altro elicottero era impossibilitato a far fuoco a causa di tale movimento. Le girò la testa e le salì una certa nausea. Ma mantenne il controllo della situazione. Facendo forza sugli addominali si mise a testa in giu. Presa salda sul mitragliatore. Piedi contro il metallo. Spinse. Si sentì un rumore di metallo che si piegava. Era forte nonostante le apparenze. Parecchio forte. Usò tutta la sua forza e tirò via il mitragliatore. Staccandolo e squarciando parte del di sotto dell'elicottero. Quasi precipitò assieme al mitragliatore ma rapida si attaccò all'apertura, appena lasciata, con la mancina. Perdendo presa con i piedi e penzolando nuovamente nel vuoto.

Il pilota smise di far girare a vuoto l'elicottero. Facendolo volare poco poco piu in alto. Il secondo cosi aveva possibilità di sparare alla ricercata con piu precisione. Si preparò a sparare. Ma qualcosa illuminò la mano della ragazza. La luce viola di prima. Ma piu forte. Piu densa e scura. Comprese. Terrorizzato comprese cosa l'altra stava per fare. Dalla mano della ragazza mascherata partì un raggio viola. Il raggio colpì l'intera facciata del veicolo. L'uomo lanciò un urlo, buttandosi fuori dall'elicottero, giusto un attimo prima che questi esplodesse, atterrando sul tetto di un edificio.

L'esplosione provocò un onda d'urto che vista la vicinanza ebbe qualche ripercusione sull'elicottero dove la ragazza si trovava. Pezzi di metallo si erano conficcati ogni dove nel mezzo provocando chissà quali danni. L'uomo al comando perse il controllo dell'elicottero che iniziò a muoversi per conto proprio. Sorvolarono a gran velocità alcuni palazzi, sfiorandoli di qualche centimetro. In tutto quello lei aveva cercato di arrampicarsi. Una luce viola illuminò tutto il vetro, accecando il pilota per un istante. Una figura viola luminescente si palesò davanti a lui fino a riprendere i tratti del Corvo.

L' uomo estrasse la pistola. Impugnandola con una mano mentre con l'altra cercava ancora di far funzionare il veicolo. Sparò finchè tutto il caricatore non finì i colpi. Non era sicuro di essere riuscito a prenderla. Si muoveva troppo, agitandosi da una parte all'altra. Il vetro fu sfondato da un pugno. Si riparò con la mano che teneva la pistola e il Corvo lo afferrò. Tirandolo fuori dall'abitacolo e gettandolo via. Gridò spaventato mentre cadeva con la faccia sul tetto di un edificio. Stordito e disarmato si mise sul fianco. Osservando la figura della ragazza infilarsi dentro l'abitacolo.

Il Corvo non aveva la minima idea di come si pilotasse un aggeggio simile. A malapena usava la bicicletta figuriamoci pilotare un elicottero. Ma doveva farlo. Era stanco. Lievemente debilitato. Aveva esagerato. Troppa potenza nel colpo precedente. Afferrò la cloche con entrambe le mani. Muovendola cosi da spostarsi sopra l'edificio. Ma non rispondeva. L'elicottero aveva smesso di funzionare e non rispondeva piu ai comandi. Come se non bastasse il Corvo era ferito. Il pilota aveva sparato troppe volte. Impossibile evitarle tutte. Il fianco sinistro era stato colpito da due proiettili. Proiettili che erano ancora dentro al suo corpo e che facevano un male da morire.

Provò e riprovò. Nulla. Stava perdendo quota. L'elicottero scendeva in maniera assai pericolosa verso la strada. Non poteva permettere che cadesse. Non su persone innocenti. I soldati che le davano la caccia erano un conto. Persone comuni erano un tutt'altro paio di maniche.

-Fanculo. Fanculo.- Fu quello che disse a gran voce, sbattendo il pugno contro i comandi. Rompendo i circuiti in preda alla rabbia. Un idea le balenò nella mente. Folle ma fattibile. Stava per farlo davvero? Quello si che le avrebbe tolto ogni energia fu il suo pensiero. Non aveva tempo per riflettere. Il veicolo precipitava a velocità sempre maggiore. Ormai la strada era vicina. Non poteva permettersi di avere ripensamenti. Si alzò dal sedile. Buttandosi fuori dal vetro da lei rotto. Dandosi una spinta verso l'esterno.

Le persone che dovevano aver assistito alla scena dovevano essere rimaste sbalordite. Una figura che come un siluro si lanciava fuori da un elicottero che precipitava. Minacciando di schiacciarla una volta arrivati a terra. Ma ciò che doveva aver sbalordito tutti era quello che fece la figura una volta lanciatasi fuori. Le mani rivolte verso il veicolo si riempirono di luce. Luce viola che ricoprì rapida l'intero elicottero. Una luce che una volta ricoperto tutto il mezzo si gonfiò. E si gonfiò sempre piu fino ad esplodere e diventare una sorta di enorme bolla di luce.

Una bolla che, come quelle fatte di sapone, scivolò sul vento. Galleggiando e rallentando notevolmente il precipitare di ciò che aveva al suo interno. La figura era invece scomparsa nel nulla. La gente era troppo occupata a guardare come la bolla una volta vicino al terreno scoppiò, lasciando riversare il contenuto sull'asfalto per vedere dove fosse andata. Nessun ferito. Nessun morto. Solo qualche persona spaventata per lo spettacolo inatteso.

Il Corvo era volato via. Quasi letteralmente. Usato gran parte del suo potere per avvolgere l'elicottero e salvare decine di persone, aveva dovuto fare un ulteriore sforzo per non spappolarsi al suolo. Si era quindi lasciato immergere nella luce violastra e, come aveva fatto con l'edificio, atterrò sul terreno senza farsi alcunchè. Correndo per qualche metro prima di infilarsi in un vicolo. Lasciando tuttavia una scia del suo passaggio. La solita che lasciava quando correva in quel modo. Una scia lucente che anche dopo essere tornata normale rimaneva per qualche istante.

Traballante si tolse la maschera. Tossendo e piegandosi in due. I proiettili le facevano ancora male. E la testa le girava vorticosamente. Troppo potere. Potere che avrebbe potuto evitare di usare. Non erano agenti addestrati. Erano agenti semplici. Militari che volevano prenderla. Una stranezza che tuttavia evitò di rifletterci troppo. Ora soffriva. Sanguinava. Un ospedale? No. Non sarebbe stato adatto a una come lei.

Fece un bel respiro. Camminando a fatica. Stringendosi il fianco. La maschera scivolò dalle sue mani, cadendo per terra. Doveva tornare a casa. Lì sarebbe guarita da sola. Uno dei vantaggi di essere una Conduit era di non dover aspettare lunghi periodi per guarire da una singola ferita. Piu difficile era se quel qualcosa che ti aveva ferito restava dentro. Lì era una vera agonia. E lei la stava patendo tutta. Senza contare che era spossata per l'enorme spreco di energie.

-EHI- Urlò una voce dietro di lei. Si bloccò, tirandosi su il cappuccio e cercando la maschera nell'oscurità del vicolo.

-Sono un poliziotto. Non provare a muoverti chiaro?- Sparò un colpo proprio accanto al suo piede destro. Un colpo di avvertimento. Chiuse gli occhi e strinse i denti, imprecando mentalmente. Sentì i passi dell'uomo farsi piu vicini. Era debole per sopportare uno scontro fisico. Avrebbe perso nelle proprie condizioni. Ma non aveva molte alternative.

Percepì la canna della pistola contro la sua testa. Il poliziotto tirò giu il cappuccio al Corvo senza maschera. Rivelando una chioma azzurra dalle radici violastre. L'uomo fu sorpreso da quella chioma, emettendo anche un versetto sbigottito. Conosceva quella chioma. Eccome se la conosceva. Abbassò la pistola.

-Chloe?- Il Corvo si voltò di scatto, colpendo con un gancio destro la mandibola del poliziotto. Un attacco che l'uomo non si aspettava e che gli fece perdere la presa sulla pistola. Vide la sorpresa, lo sbigottimento sul viso dell'agente. Lo conosceva. Piu volte quell'uomo era andato nel dinner di sua madre, facendosi servire e trattare come un ospite in una reggia. Piu volte aveva fatto sorridere la madre con qualche complimento o con qualche mancia abbondante.

-Chloe........- Non finì la frase. Chloe gli andò addosso, spingendolo con una spallata, facendolo sbattere al muro con la schiena. L'uomo non reagì inizialmente, forse ancora troppo scosso. Quando però la ragazza fece per attaccarlo una seconda volta si diede una svegliata. Cercò di afferrarla, cingerle con entrambe le braccia l'intero busto e ci riuscì. La prese, stringendo e facendola urlare di dolore. Il fianco era il suo punto debole. Il punto in cui sentiva maggior dolore per via delle pallottole. L'agente la strinse con ancora piu forza.
Lei perse la testa. Lo morse ad un orecchio, quasi strappandoglielo con forza. L'uomo urlò ma non la mollò cosi lei gli diede una testata. Quel gesto ebbe effetto. L'uomo perse momentaneamente la presa sul suo busto, permettendogli di liberarsi.

Chloe barcollò un poco, le gambe tremolanti per il dolore e la fatica. Non riuscì a schivare il pugno che le arrivò dritto in viso. Rompendogli il naso. Non schivò il secondo, il terzo e al quarto fu sbattuta a terra. La schiena rivolta contro il sudicio pavimento del vicolo. Tenuta ferma sotto al peso dell'uomo mentre quest'ultimo le teneva stretto il collo con entrambe le mani. Lei colpì i polsi, graffiandoli. Cercò anche di morderlo ma non ebbe alcun risultato. Era troppo stanca e dolorante. Poi la vide: la pistola del poliziotto. Vicino a lei, a pochi centimetri di distanza. Si sporse, prendendola giusto in tempo, proprio quando aveva iniziato a sentir le forze venir meno. La impugnò e rapida sparò un colpo alla bocca dello stomaco di lui.

Lo sparo risuonò nell'aria. Riempendo il silenzio del vicolo. Aveva chiuso gli occhi quando aveva premuto il griletto per cui non aveva visto l'uomo che ferito tentava di rialzarsi in piedi. Finendo per cadere all'indietro. Lei era ancora a terra. Con il respiro affannato. C'era sangue. Il suo e quello dell'agente da lei sparato. L'uomo era agonizzante. Aveva colpito un punto non vitale, quasi sicuramente. Sarebbe sopravissuto. Si mise in piedi a fatica. Pulendosi il viso dal sangue che le era schizzato addosso con il dorso della mano. Lo guardò, soffriva ma non c'era pericolo. Non rischiava di morire.

Guardò la pistola che ancora teneva in mano. E guardò l'uomo. Gli venne una fitta al petto. Mosse qualche passo incerto. Trovando la maschera del Corvo a un passo dal corpo dell'agente. Lo vide che tentava di afferrare la radio sulla sua cintura. Lei fu piu veloce. Gliela prese, togliendogliela e buttandola in un cassonetto non molto lontano. Afferrò la maschera con la mano libera, tornando a guardare il poliziotto. Vide una luce nei suoi occhi. Aveva capito. Aveva capito cosa stava per fare. Scosse il capo, un che di implorante nello sguardo.

-Non......farlo.......Chloe. Ti prego.- Mormorò con quel poco di fiato che aveva in corpo. Lei lo guardò. Un ultima volta. Poi puntò la pistola alla testa.

-Mi dispiace.- Furono le sue parole mentre si metteva la maschera in viso, trasformando la voce femminile che la caratterizzava in quella metallica e profonda del Corvo -Ma non posso permettere che qualcuno sappia il mio segreto- Premette il grilletto. L'arma sparò, uccidendo l'uomo. Quel giorno fu il giorno in cui Chloe Price divenne un assassina.

 
 
Seattle. 5 Ottobre. Ore 5:30 AM.

Max Caufield sbattè gli occhi un paio di volte. Assonnata. Un rivolo di bava che le pendeva da un angolo della bocca. Se la pulì con il dorso della mano, cercando di darsi un contegno. Lanciò un occhiata al tassista che guardava la strada tranquillo.

-Nottata insonne?- Chiese l'uomo al volante, senza aspettarsi una risposta vera e propria da parte della ragazza.

-Lo è stata per molti sa? Incredibile come certe persone facciano quel che vogliono con i doni che Dio ha fatto loro.- Gli occhi azzurri della Caufield si spostarono verso il finestrino. Sbadigliando in modo vistoso. Ma la sua attenzione era tutta per le parole dell'uomo.

-Ah, questi bioterroristi, ne combinano ogni giorno una nuova. Le dirò, però, un mio parere, che rimanga tra noi. Il Corvo non mi sembra una cattiva persona, sembra solo un poco fuori controllo. Da qualcuno può essere definita malvagità, ma da qualcun'altro, anche eroismo-

L'uomo continuava a parlare da solo. Non sembrava gli importasse il fatto che lei non rispondesse. Lui parlava e lei ascoltava. Un tassista alquanto chiaccherone le era capitato. Max si sistemò la borsa a tracolla. Si passò la mano sul viso, cercando di darsi una svegliata e si abbottonò per bene la giacca. Sbuffò al dire di lui sull'eroismo. Non ci vedeva nulla di eroico nei bioterroristi.

-Insomma in questi dieci anni in cui lavoro in questo settore ne ho viste di cose eh. Sia da parte degli umani che da parte loro. Era da quando è stata emessa la legge anti-bioterrorista che non vedevo una roba come quella di ieri sera. Lo ha sentito vero? Il Corvo ha attaccato uno degli edifici della compagnia dei Prescott, marchiandola con il suo simbolo. E quello che ha fatto agli elicotteri? Mi ha fatto venire la pelle d'oca davvero. Immagini cosa potrebbero fare se non ci fosse l'Ordine. Uff.-

L'autista sterzò in maniera assai brusca, facendole sbattere la faccia contro il vetro. L'uomo si voltò a guardarla, il viso sporco di quel che restava di una ciambella dalla glassa rosa, controllando che fosse tutto apposto. Non tanto per la sua cliente quanto per il vetro con cui la ragazza aveva sbattuto la fronte. Una volta visto che era tutto in ordine tornò a guardare la strada.

-Cosa dicevo? Ah si. L'Ordine. Quei tipi sono mostruosi per la miseria. Andare in giro a combattere quei biotteroristi. Fa un po strano, dopotutto in parte lo sono anche loro. Ho sentito che il loro capo ha costruito una nuova prigione per i bioterroristi non molto lontano da Seattle. Presto tutti quelli che fanno parte del gruppo dei The Saviors potrebbe finire dentro. Ma dico io: E ai cittadini chi ci pensa? Alle persone comuni come me e lei. Tizi dai poteri sovraumani che si fanno a pezzi, dichiarandosi guerra mentre noi poveri mortali rischiamo di essere uccisi mentre uno dei due cerca di far fuori l'altro. Non c'è giustizia in questo mondo glielo dico io. Fosse per me andrei via da questa città, o ancora meglio dal pianeta ma mia moglie non vuole sentire ragioni. Ha appena iscritto mia figlia a un college privato. Ah...i figli...-

Da quel momento in poi Max smise di ascoltare l'uomo, lasciando che si perdesse nelle sue chiacchere. Per tutto il tragitto si mise al cellulare, guardando le notizie delle ultime ore, cercando la faccenda del Corvo. Trovò un articolo al riguardo e provò un certo disgusto nel leggerlo. L'articolo era stato scritto da una giornalista famosa che lei conosceva fin troppo bene: Victoria Chase. Nonostante ciò lesse comunque l'articolo, informandosi su come il Corvo avesse deturbato l'edificio dei Prescott e anche di come Victoria fosse sul tetto di un palazzo non molto distante e avesse ripreso tutto con una videocamera, oltre ad avere scattato diverse foto dello scontro con la polizia.

Nello stesso istante in cui finì di leggere l'articolo il taxi si fermò, avendola portata a destinazione. Pagò l'uomo per il servizio datole e si diresse sulla scena del crimine. I poliziotti avevano gia circondato la zona, transennandola e facendo in modo che nessuno potesse passare. Un piccolo gruppo di giornalisti si era fatto strada ma era rimasto bloccato dai ferrei poliziotti.

Ricevette un paio di cenni con il capo a mo di saluto. La conoscevano in molti. Non era una poliziotta, non era in nessun modo coinvolta con le forze dell'ordine, non professionalmente almeno. Ma il padre era stato un poliziotto di Seattle e tutti in centrale, bene o male, la conoscevano. Un agente di colore la notò. Un uomo possente e dall'aria intimidatoria, senza capelli o barba, con un qualcosa nel viso che lo faceva sembrare a una statua di marmo. Quando la vide si avvicinò di corsa verso di lei, uno sguardo truce e severo.

-Max. Cosa ci fai qui?- Le chiese l'uomo.

-Dai. Pensi davvero che non abbia saputo? E' stato commesso un omicidio. E proprio la stessa notte in cui il Corvo ha fatto il culo alla polizia. Dubito si tratti di una coincidenza non ti pare?-

L'uomo non rispose. Continuando a guardarla con quell'aria truce.

-Ascoltami bene. Smettila di ficcare il naso. E' la terza scena del crimine in cui ti trovo, mi rendi la vita un inferno.-

-Rispondi a qualche domanda e ti lascerò in pace-

Il poliziotto si guardò attorno, infastidito dalla presenza di Max sulla scena. Notò la sua espressione. L'espressione di una ragazza determinata. Di una ragazza che non si sarebbe mossa da lì senza delle risposte. Scosse il capo, sospirando.

-Tre domande. Non di piu.-

Non era quello che voleva ma era sempre meglio di tornare a casa a mani vuote dopotutto.

-E' stato un bioterrorista?- Disse a un tono di voce udibile praticamente da tutti coloro che la stessero ascoltando.

-Shhh.- Gli intimò lui, mettendosi a guardare i giornalisti che per fortuna non si erano accorti del loro scambio di battute. Tenuti ancora fermi dagli altri agenti che cercavano loro di impedire di scattare fotografie inopportune alla scena del crimine.

-Sei matta per caso? Cosa farai la prossima volta? Griderai un Vafanculo all'Ordine o ai The Saviors?-

Lei scrollò le spalle, in un gesto di scuse. Facendo un cenno del capo, invitandolo a rispondere alla sua domanda. L'uomo rimase in silenzio per qualche istante. Ancora con un che di paranoico nei movimenti e nello sguardo prima di risponderle.

-Non siamo sicuri. E' stato ucciso con la sua pistola. Potrebbe anche essere stata un aggressione isolata. Non ci sono solo Loro a combinare casino sai?-

Dunque la persona uccisa aveva un arma con se. Raymond le aveva fornito informazioni interessanti. Ignorò la domanda da lui posta per porre la successiva.

-Chi è la vittima?-

-Skip Turner. Era un agente della stradale. Pensiamo abbia fermato il teppista sbagliato. O qualche barbone alcolizzato. Il corpo è stato rinvenuto due ore fa ma riteniamo sia stato ucciso prima. Stiamo verificando dai video delle telecamere nelle vicinanze se emerge qualcosa- 

Max lo guardò incredula quando espresse le sue teorie. Davvero si aspettavano cose del genere? Rimase delusa. Se ci fosse stato suo padre avrebbe svolto il lavoro cento volte meglio di loro. A ripensarci su però non erano teorie azzardate. In fondo avevano ragione a dire che la criminalità non era ristretta solo ai bioterroristi. Forse era lei che era fissata troppo coi Conduit.

-Ultima domanda, che è piu un favore in realtà. Mi riesci a fornire tutto ciò che riesci a raccogliere sul caso e darmi il fascicolo?-

Ray la fissò con gli occhi spalancati, non credendo alle proprie orecchie.

-Ti sei bevuta il cervello? Non esiste. Non posso fornirti alcun informazione Max.-

L'uomo sembrava deciso nella sua decisione. Irremovibile. Ma era tutta scena. Lei lo sapeva. Lo conosceva bene quell'uomo. Sapeva che sotto quell'aria autoritaria c'era un cuore tenero. Glieo chiese un altra volta. L'uomo scosse il capo e fece per andarsene via e lasciarla sul posto. Ma lei lo richiamò.

-Ray. Fammi questo favore avanti. Te lo chiedo per favore.- 

Il tono che usò, implorante, fece breccia nell'animo del poliziotto che non riuscì a oppore resistenza. Raymond strinse i denti, alzando gli occhi al cielo e sospirando. Si voltò verso la ragazza dai capelli castani, con lo sguardo ormai rassegnato.

-Passa al bar di fronte alla centrale verso mezzogiorno. Vedrò di fare qualcosa.- 

Maxine esultò, tutta contenta. Ringraziando l'agente mentre andava via, salutandolo con un cenno della mano.

 
5 Ottobre. 6:15 AM.

L'uomo guardò la giovane andarsene via, tutta contenta e saltellante. Ancora non riusciva a credere di aver perso un altra volta contro di lei. Ci provava a dir di no a Max ma ogni singola volta doveva cedere. Uno dei poliziotti si avvicinò di corsa verso di lui. Richiamandolo con un tono affannato per la corsa. 

-Ray. Abbiamo trovato qualcosa. Vieni un po a vedere.- 

Venne portato nel locale di elettronica all'angolo della strada. Un monitor mostrava le registrazioni fatte. Venne trasmessa la scena della notte precedente, qualche ora prima del ritrovamento del cadavere. La telecamera era puntata sulla strada poco illuminata e si riusciva a vedere solo l'entrata del vicolo. Si intravedeva Skip che camminava sul marciapiede. Solo e tranquillo. Senza nessuno che lo seguisse o altro come avevano pensato inizialmente. Una scia luminosa percosse la strada, dirigendosi a gran velocità nel vicolo dove Skip era stato ritrovato deceduto. Si vedeva il poliziotto che, dopo un momento di smarrimento, estraeva la pistola d'ordinanza e si metteva a correre, seguendo la scia luminosa. Nient'altro. Non si riusciva a vedere nient'altro per tutto il resto della registrazione.

-Era.....il Corvo?- 

Mormorò Raymond incredulo. Quella scia era inconfondibile. Non c'erano altri Conduit, almeno per quanto ne sapesse, che potessero lasciare una simile scia luminosa. Eppure non ci credeva. Sapeva che il Corvo aveva ucciso delle persone si. Ma nessuno era un poliziotto o un civile. Erano sempre stati soldati dell'Ordine. Soldati addestrati e con l'ordine di uccidere ogni bioterrorista che infrangeva la legge, anche la piu piccola e insignificante. L'idea che il Corvo cambiasse all'improvviso modus operandi lo preoccupava. 

Alcuni Conduit avevano una morale, un codice. Alcuni non uccidevano nemmeno i soldati dell'Ordine, alcuni scappavano, limitandosi a rubare e nascondersi dalla polizia. Ma valeva anche il contrario. C'erano Conduit senza nessuna condotta, Conduit pericolosi e anarchici. Conduiti che assassinavano per il mero gusto di farlo perchè con i loro poteri si credevano degli Dei. Migliori di ogni essere umano mentre in realtà erano solo mostri sanguinari.  

Raymond Wells non era un uomo crudele. Non era quel tipo di uomo che disprezzava chi fosse diverso. Era nato in un quartiere razzista e sapeva cosa volesse dire essere odiati senza una ragione. Essere odiati solo perchè qualcuno ti ritiene differente. Quando erano spuntati i bioterroristi era stato uno dei pochi a non odiarli. C'erano anche altre persone che non li odiavano a prescindere. Sostenendoli addiritura. Ma la gente ha paura di chi è diverso e i conduit, o bioterroristi, non facevano eccezione. 
Le parole del suo collega lo fecero tornare in se. 

-Cosa?- Chiese confuso, non avendo capito cosa l'altro avesse detto. Troppo immerso nei propri ragionamenti.

-Ho detto se dobbiamo prendere le registrazioni.- Ripetè l'uomo, fissandolo. Lui sbottò, borbottando qualche parola e qualche ordine ai poliziotti che si precipitarono ad obbedire. Lui li lasciò, uscendo dal negozio preoccupato. Gli occhi puntarono l'entrata del vicolo, lì dove nella registrazione aveva visto la scia e subito dopo Skip. Era un dato di fatto. Non c'erano testimoni e avevano un solo indiziato. Indiziato che sarebbe stato divorato dalla follia giornalistica e fatto a pezzi. Doveva comunicare tutto all'Ordine e lavarsene le mani?

Ci rimuginò sopra per diversi istanti, dimenticandosi del resto del mondo. Lui era la legge. Lui era colui che doveva far rispettare le regole e punire coloro che le infrangevano. Doveva fare la cosa giusta anche se la riteneva una cosa sbagliata e ingiusta. Completamente ingiusta.
Prese il telefono dalla tasca dei pantaloni, pestando alcuni tasti con le sue dita tozze e componendo un numero di telefono ben preciso. Se lo portò all'orecchio sinistro e attese diversi secondi. Una voce dall'altro capo gli rispose e lui fu tentato di riattaccare. Non lo fece.

-Pronto? Sono l' agente Raymond Wells della sezione omicidi della polizia di Seattle. Devo segnalare all'Ordine un omicidio da parte di un Bioterrorista.-


 
Ore 11:00 AM

Dopo essere tornata a casa per una doccia veloce la ragazza si era messa dei vestiti puliti. Aveva chiuso quello che era sia il suo appartamento che il suo luogo di lavoro, osservando la sua insegna con un certo orgoglio. "Agenza Investigativa Caufield". Il nome era da cambiare ma per il momento le piaceva cosi.

Si diresse al bar di fronte alla centrale. Lì dove si radunavano tutti i poliziotti e dove aveva appuntamento con Raymond. La notizia della morte di Skip si era diffusa in fretta e alcuni erano lì a compiangerlo. Victoria Chase presto o tardi sarebbe spuntata a far domande ad ogni singolo agente, ci avrebbe scommesso la faccia. Sfruttando la faccenda per farsi pubblicità. Per lei era la prima volta che metteva piede in quel posto.

Era ancora assonnata ma c'era un che di allegro in quel posto. Non seppe capirlo con precisione ma l'aria di quel posto era speciale e le fece dimenticare ogni stanchezza. Il profumo di caffè, l'odore di marmellata e di ciambelle riempiva l'aria inebriandole i sensi. Si mise seduta ad un tavolo vicino la vetrata. Le poltrone sembravano comode seppur lievemente sporche in certi punti. Guardò fuori dalla vetrata, pensierosa. Le nuvole grigie sembravano promettere pioggia da un momento all'altro e lei non aveva l'ombrello.

Una cameriera le si avvicinò. Capelli biondi lunghi fino alle spalle, visibilmente in avanti con gli anni ma ancora bella da vedere. Un fiore non appassito del tutto con un radioso sorriso stampato sulle labbra.

-Ehi. Cos'è quella faccia malinconica? Una bella ragazza come te non dovrebbe essere triste su. Un po di allegria, coraggio.-

Il modo dolce in cui si rivolse a lei le fece scappare un sorrisetto. La donna ridacchiò soddisfatta.

-Ecco brava. E' quello il sorriso che voglio vedere quando qualcuno di nuovo entra qui dentro. Cosa ti porto? Dato che hai un bel sorriso per stavolta offre la casa. Cosi sorriderai anche di piu.-

-Sei molto gentile.....Joyce- Disse leggendo la targhetta appuntata sul petto della cameriera. La donna sorrise, affettuosa. Ordinò un piatto di waffles e una tazza di caffè. Joyce sparì, tornando qualche minuto dopo con la sua ordinazione. Gliela servì e lei si apprestò a mangiare. Dopo il primo boccone iniziò a mangiare con voracità. Era delizioso. Inforchettava e mangiava.

-Ehi ehi. Piano piano. Non scappano mica.- La raccomandò la cameriera, ricevendo un altro sorriso allegro da Max. Joyce ricambiò con gioia, allontanandosi per rimproverare due camionisti gia mezzi ubriachi che si erano messi a cantare, in modo assai stonato, lo yodel.

Non potè far a meno di ridere nel vedere la scena. I due camionisti che l'attimo prima erano tutti ballerini e canterini, e l'attimo dopo una Joyce infuriata, armata di strofinaccio li minacciava e riportava all'ordine tipo bambini dell'asilo.

Una scena decisamente comica. Seguì la cameriera con lo sguardo, vedendola che apriva la porta sul retro e svaniva dietro di essa. Finì i waffles, sorseggiando il suo caffè fumante. Si scottò la lingua per la fretta di berlo. E mentre dava aria con la mano al punto ustionato stracci di conversazione le giunsero all'orecchio. Proprio da dietro la porta in cui si era infilata Joyce. Una delle due voci era della cameriera mentre l'altra era quella di un uomo a lei sconosciuto.

-Non è tornata a casa stanotte? Sei sicuro?- Chiese Joyce.

-Ne sono certo. Ho atteso per ore. A mezzanotte sono andato a cercarla ovunque. L'ho chiamata decine di volte ma non ho mai avuto risposta. Dovresti tenerla piu a freno Joyce. E' un cane sciolto.-

-Non parlare in questo modo della mia bambina David. Ci sarà una spiegazione.- Rispose Joyce con un tono a metà tra il preoccupato e lo stizzito.

-La spiegazione Joyce è che le lasci troppo spazio. Ha perso suo padre da anni. E' tempo che vada avanti. So che è dura per lei ma questo non le d'ha una giustificazione. Ha bisogno di regole e di disciplina.-

-E cosa vuoi che faccia eh? Che la ammanetti al termosifone come hai fatto l'ultima volta?-

-Era......ho esagerato quella volta lo ammetto. Ma ammettilo anche tu Joyce che tua figlia non ha il minimo controllo. Chloe è stata licenziata dieci volte da dieci diversi lavori. Non una, non due. Dieci. Il motivo? Atti vandalici, furti, aggressioni ai clienti e una completa mancanza di rispetto. Io l'ho coperta per troppo tempo Joyce. Al prossimo guaio in cui si ficcherà io non potrò fare nulla. E' una fortuna se non stia gia in qualche prigione.-

Sentì la donna sospirare, triste. Per un istante ci fu del silenzio. Non sentendo parlare nessuno dei due per diversi secondi, finì per vergognarsi quando si accorse che stava origliando una conversazione privata. Non era una cosa da lei, eppure quando sentì la voce di Joyce aguzzò l'orecchio e continuò ad ascoltare.

-Cosa vuoi che facciamo?-

Di nuovo un lungo silenzio. Una lunga attesa. L'uomo che si chiamava David aprì bocca, rispondendo alla domanda.

-Proverò a cercarla ancora. Quando finisci il turno chiamala, magari ti risponde. O se dovesse venire da queste parti chiama me. Se la trovo ti chiamerò. E' ora di parlarle, di mettere le cose ben in chiaro. Una volta per tutte.-

Un uomo in divisa da poliziotto, con dei baffi da militare uscì da dietro la porta. L'uomo le diede un occhiata superficiale e indagatrice per poi continuare la sua strada. Fece qualche rapido passo e uscì dal locale. Cinque secondi dopo anche Joyce fece la sua apparizione. Gli occhi di lei incontrarono quelli di Max che distolse subito lo sguardo. La cameriera bionda si avvicinò a lei.

-Fammi indovinare. Hai sentito tutto?-

La domanda la colse alla sprovvista, facendola arrossire in maniera violenta. Quella fu la risposta che Joyce si aspettava.

-Come pensavo.- Non era arrabbiata con lei. Sembrava soltanto stanca la donna che lasciò andare un sospiro.

-Ti chiedo scusa. Non volevo che qualcuno sentisse i miei problemi. Io e mia figlia abbiamo dei diverbi. Spero che ciò che hai sentito non ti abbia in qualche modo infastidito.-

Quelle scuse erano l'ultima cosa che si aspettava da una situazione simile. Si affrettò subito a dirle qualcosa.

-Ma no, cosa dice? Sono io che dovrei scusarmi con lei. Non avrei dovuto ascoltare, non erano affari miei.-

La cameriera sorrise. Le prese il piatto vuoto, sbarazzando il tavolo.

-Te ne porto un altro piatto?- Chiese. Scosse il capo. E la donna andò via. La guardò. Una donna cosi gentile e premurosa aveva delle disgrazie sotto al proprio tetto. Si dispiacque un poco per quella cameriera. Non ebbe modo di pensarci troppo quando vide la figura famigliare di Raymond fare il suo ingresso, tetra e cupa come suo solito. 

L'espressione non gli fece presagire nulla di buono. L'uomo la notò, seduta al tavolo e si accinse a raggiungerla in tutta fretta. Si sedette, togliendosi il cappello e appoggiandolo sul tavolo. L'agente chiuse un attimo gli occhi, reclinando il capo all'indietro.

-Qualcosa mi dice che tu abbia brutte notizie- Sentenziò l'investigatrice. L'uomo ridacchiò amaro.

-Il tuo intuito è straordinario Caufield- Mormorò ironico. Tirò fuori una cartella, buttandogliela davanti. Max la aprì. C'erano alcuni fascicoli. Lesse di come era stato ucciso, a una prima occhiata del medico legale, dall'arma d'ordinanza con un colpo dritto alla testa. Presentava diversi segni di graffi sui polsi, segni di lotta sulla scena. Lesse che era stato ritrovato del sangue ma che non era analizzabile e nella pagina seguente lesse il perchè: era sangue di Conduit. Non analizzabile da normali strumenti per esseri umani. Lesse il rapporto secondo la quale si sospettava che l'assassino fosse il Corvo.

Mentre finiva quelle ultime righe sbattè un pugno sul tavolo. 

-Lo avevo detto io.- Disse a gran voce verso Raymond, a ricordargli la sua teoria sul fatto che fosse stato un Conduit. L'uomo si allarmò, guardando se qualcuno si era messo ad origliare o si era messo a guardarli. Quando si tranquillizzò aprì bocca.

-Caufield la devi smettere di reagire in questa maniera. Avevi ragione si. Vuoi appendere gli striscioni per caso?- Non aspettò una risposta, continuanando a parlare. 

-Ho contattato l'Ordine.- A quelle parole il sangue nelle vene di Max si congelò all'istante, facendola rabbrividire. Sbattè un paio di volte le palpebre e richiuse la bocca che le si era spalancata.

-Cosa hai fatto?-

-Ho dovuto Max. E' la legge. Se ne occuperanno loro adesso. Questo è quanto. L'indagine verrà presa nelle loro mani questo pomeriggio stesso. Ti porto queste uniche informazioni, non potrò piu aiutarti....mi spiace.-

La ragazza si mise le mani nei capelli. Sconvolta. 

-Come.....come cazzo ti è saltato in mente? Lo sai cosa succederà adesso? Hai.....hai la minima idea di che guerra rischiamo di avere per le strade? Di quanta gente rischierà di morire? Devo ricordarti cosa è successo con il Fulmine a Los Angeles?- Sibilò a bassa voce. Il tono rabbioso ma allo stesso tempo spaventato e preoccupato.

Raymond scosse il capo. Lo sguardo vacuo mentre ricordava la distruzione che era stata causata per la caccia a quel bioterrorista. Il Fulmine era stato un Conduit pacifico, semplice e che non aveva mai causato troppi problemi alle forze di polizia. Era stato. L'Ordine lo aveva classificato come una minaccia a causa dei suoi poteri potenzialmente dannosi per la società comune, capace di assorbire grosse fonti di energia elettrica e di sfruttarla per creare scariche elettriche. Era stato attaccato da un gran numero di soldati dell'Ordine e quando la caccia era iniziata il Fulmine aveva dato sfogo a tutte le sue energie per combattere e difendersi. Lo scontro era durato diversi giorni alla fine dei quali il Fulmine era stato soppresso. Il tutto era successo due anni prima e la città doveva ancora sopportare i grossi danni e le numerose morti che lo scontro aveva provocato alla città e ai suoi abitanti.
-Questa volta è diverso. Due anni fa non c'erano le prigioni per i Conduit, non si sapeva nulla su di loro. E sopratutto non c'era al comando Palmer. Con lei al comando i rischi per la città saranno minimi.-

Max si alzò di scatto. Prendendo il fascicolo e facendo per andarsene via ma l'agente la afferrò per un braccio. Fermandola e trattenendola sul posto. Si voltò a guardarlo. 

-Max- Gli disse senza voltarsi a guardarla. 

-Questa tua crociata che hai iniziato contro i Conduit non ti porterà a nulla di buono. Non puoi andare da sola e affrontarli uno per uno sperando di vincere.-

Lei rimase un attimo ferma. Inclinando il capo, gli occhi semichiusi quando sentì le parole dell'altro. Una in particolare.

-Conduit?-

Aveva usato la parola Conduit. Solo chi simpatizzava per loro li chiamava in quel modo. Max strinse i denti.

-CONDUIT?- Urlò a gran voce, tirando via con forza il braccio dalla mano di Raymond. Si voltarono tutti a guardarla, tutti si misero a guardare la ragazza che aveva urlato Conduit. Ma lei non ci diede peso, osservando l'uomo che considerava amico con uno sguardo pieno di rabbia. Una rabbia non rivolta interamente a lui.

-Dimmi che hai sbagliato a chiamarli. Dimmi che ti sei confuso Ray.- Gli fece, sperando che si giustificasse. Che dicesse qualsiasi cosa, ma l'uomo non rispose. Non disse nulla. Restando in un religioso silenzio. Disgustata Max se ne uscì dal locale di corsa. Aveva iniziato a piovere ma a lei non importava. 

Camminò veloce sotto la pioggia battente fino a casa sua. Infilò le chiavi nella serratura e aprì, entrando stanca e assonnata seppur fosse solo mezzogiorno. Aveva passato tutta la notte alzata a far ricerche. Chiuse la porta sbattendola con un calcio. Si sedette sul divano, il viso tra le mani e un dolore sordo nel petto. Una rabbia profonda che non riusciva a sfogare. Non lo faceva mai. Sfogarsi. Fare del male a qualcuno o a qualcosa. No. Non era da lei, non era da Max Caufield.

Le iridi azzurre si posarono sulla cornice che teneva poggiata sul tavolino. La prese con entrambe le mani. Dentro c'era una foto leggermente rovinata. In essa erano raffigurati lei e i suoi genitori, sorridenti e felici. Due anni prima, a Los Angeles. Strinse la foto al petto, mentre i ricordi la travolgevano come un fiume in piena. Un verso strozzato le uscì dalle labbra. Un singhiozzo. Le lacrime presero a scendere copiose sulle sue guance. Mise la testa sul cuscino del divano, scoppiando in un pianto silenzioso, un pianto che terminò solo quando la stanchezza prese il sopravvento e quando cadde tra le braccia di Morfeo, addormentandosi.
 
A tutti quelli che sono arrivati fino a qui: Congratulazioni. Mai mi sarei aspettato di scrivere il mio primo capitolo di una fanfiction cosi lungo e romanzato. Mi scuso se le descrizioni sono state vaghe o confuse. Non sono abituato a scrivere. Ho fatto quello che ho potuto. Se la storia vi è piaciuta vi invito a lasciare una piccola recensione ma anche se non vi è piaciuta cosi da poter sapere il vostro parere al riguardo. 

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Capitolo 2
*** Lightning and Ice ***


Il mondo si tinse di colori grigi mentre Max ricordava, affogando negli angoli remoti della sua mente. Era una giornata tranquilla quando successe, pioveva ma non c'era una vera e propria tempesta, solo qualche lampo e qualche fulmine che le facevano scappare un risolino.

Trovava i fulmini affascinanti Max, e anche suo padre li trovava molto belli. Sua madre era addormentata, con la testa appoggiata sul sedile e le braccia conserte. Suo padre era alla guida e canticchiava sottovoce, cercando di non svegliare la moglie.

Max era sul sedile posteriore, guardava fuori con curiosità, osservando il cielo pieno di nuvole grigie. Un fulmine squarciò il cielo, rombando e facendola sobbalzare lievemente per quanto era passato vicino. Si era spaventata ma ne era rimasta anche affascinata. Le piacevano quei fulmini.

-Papà, dove stiamo andando?- Domandò a un certo punto, l'uomo smise di canticchiare e sorrise, voltandosi di poco in sua direzione.

-Lo scoprirai presto. Abbia pazienza piccolina.-

-Lo sai vero che non ho piu dodici anni? Non chiamarmi piccolina.- Gonfiò le guance, mostrando al padre quanto fosse matura con quella sua espressione. Il genitore rise sonoramente nel vederla, tornando a prestare attenzione alla strada, limitandosi a lanciarle solo qualche occhiata con lo specchietto retrovisore.

-Lo so, lo so, sei diventata grande.- Il tono con cui lo disse non la convinse piu di tanto. Sapeva che il padre tendeva a considerarla una ragazzina nonostante la sua età, ma non ne faceva una colpa. Era un poliziotto e come ogni poliziotto vedeva crimini e pericoli per la sua famiglia praticamente ovunque.

Un altro fulmine, questa volta ancora piu vicino e forte si espanse nel cielo, stavolta non la affascinò, spaventandola e basta. Non era una di quelle ragazze che avevano paura dei temporali ma l'idea di essere colpita da un fulmine non gli piacque. Dallo specchietto retrovisore il genitore notò la sua espressione preoccupata e subito si accinse a rassicurarla.

-Non preoccuparti Maxine. Sono solo un paio di fulmini. Non è nulla di cui spaventarsi.-

La ragazza sbuffò nel sentirsi chiamare con il suo nome, non gradendolo particolarmente. Il nome Maxine le aveva dato sempre un certo fastidio per un qualche motivo, per questo molto spesso si presentava come Max. Non ebbe tempo di dire nulla dato che all'improvviso la macchina sterzò bruscamente, facendola ondeggiare. Appoggiò le mani sul sedile della madre, andando a guardare la strada. 

Un fulmine squarciò il cielo, un fulmine rosso come il sangue, rimbombando e svegliando la madre che sobbalzò, girando il capo da una parte all'altra come un animale spaventato. E un altro fulmine ancora piombò a gran velocità addosso, ma stavolta non rimase in cielo, cadde addosso a un veicolo che avevano sorpassato facendolo esplodere. Lei aveva urlato dallo spavento assieme a sua madre.

Il padre non capì cosa stava succedendo e perse il controllo dell'auto. Questa correva a una velocità maggiore, tutti nell'auto erano spaventati, sua madre continuava ad urlare al padre chiedendo cosa stesse succedendo e il padre urlava di non sapere nulla. Preso dallo spavento l'uomo perse di vista la strada e quando tornò a guardare, per cercare di evitare qualcuno o qualcosa, sterzò. Quello fu un grosso errore.

L'auto si ribaltò, finendo per rotolare su stessa un paio di volte. Max aprì gli occhi, stordita e dolorante, e scoprendo di essere a testa in giu. Si toccò la fronte sentendola umida a causa del sangue che stava fuoriuscendo da un piccolo taglio. Ritirò la mano di scatto quando una fitta di dolore la colse, facendole scappare un lamento. I suoi genitori non erano nell'auto, da quanto riuscì a vedere.

Lentamente andò si tolse la cintura, unica cosa che la teneva ancora a testa in giu, con il risultato di cadere sul tettuccio interno della macchina. Il cuore le batteva a mille, la paura la attanagliava in una morsa lo stomaco. 

-Mamma? Papà?- Chiamò mentre strisciava fuori dal veicolo distrutto. Fuori era un inferno in terra, una pioggia di fulmini si era abbattuta sui palazzi distruggendo alcune facciate, altre persone avevano avuto incidenti con l'auto, altre persone giacevano a terra piangendo davanti a ammassi neri e fumanti. Le ci volle qualche secondo per capire cosa fossero quegli ammassi neri, e quando lo capì, inalando l'odore di carne bruciata, rischiò di vomitare. 

Ma non lo fece. Doveva trovare sua madre e suo padre, girò attorno alla propria macchina alla ricerca dei genitori, sperando di trovarli vivi. La gola le sembrava secca e la gamba sinistra le faceva terribilmente male, costringendola a zoppicare.

-Mamma... papà...- Chiamò per la seconda volta, il tono di voce spezzato quasi stesse per mettersi a piangere. Qualcuno le prese una spalla di forza, lei si voltò subito sperando di vedere uno dei genitori ma si sbagliava.

Un uomo con un casco simile a quello della S.W.A.T le puntò addosso un fucile, facendola cadere a terra. L'uomo indossava una divisa nera e gialla con un enorme marchio al centro della corazza: il palmo di una mano al cui centro vi era lo Space Needle. 

Rimase sopra di lei, la canna del fucile puntata all'altezza della testa, senza parlare o dire nulla di nulla, rimanendo per un istante a guardarla prima di scavalcarla e continuare, mettendosi a correre. Lei restò con la schiena sull'asfalto, a metà tra lo steso e il seduto con la pioggia che le cadeva addosso inzuppandola. Il respiro era affannato per la paura e per quanto volesse non riuscì a mettersi in piedi. 

Degludì, gli occhi sbarrati e le mani che le tremavano, la gamba sinistra le pulsava in maniera insopportabile. Da dove era spuntata quella persona? Suoni di spari si udirono nella direzione dove l'uomo era sparito, persone che gridavano e correvano verso di lei, scappando come animali in fuga da un predatore. Si voltò, gomiti usati come appoggio per mettersi in ginocchio e provare ad alzarsi.

Una luce intensa la acceccò costringendola a chiudere gli occhi, si stese subito sulla pancia appoggiando il mento contro la strada mentre un calore intenso le passava sopra la testa. Riaprì piano gli occhi, notando come alle sue spalle, alcune persone che erano scappate giacevano a terra urlando con i vestiti bruciati. Si agitavano, rotolando per spegnere il fuoco.

-M-max- Chiamò una debolissima voce. Con le lacrime agli occhi si rianimò, mettendosi a urlare a gran voce, cercando di farsi sentire.

-Mamma? Mamma!- Urlò, alzandosi a fatica e zoppicando in direzione della voce che sembrava provenire a qualche passo di distanza dalla macchina, vicino a un cumulo di macerie. Si mosse piu rapidamente possibile, scavando con le mani e spostando cumuli. Le pietre appuntite le graffiarono le dita e i palmi, aprendo dei piccoli tagli ma non le importò.

Continuò e continuò a scavare finchè non trovò sua madre, ricoperta di polvere e mezza schiacciata da un enorme masso. Mise entrambe le mani sotto al masso, cercando di tirarlo via ma la gamba sinistra tornò a farle male. Pianse come una bambina, non arrendendosi.

-Mamma andrà tutto bene. Te lo prometto...te lo prometto. Ora ti tiro fuori ma mi serve il tuo aiuto. Devi aiutarmi a spingere- Ma la donna non sembrava totalmente cosciente di cosa stesse succedendo attorno a lei. Le ci volle qualche secondo per capire che la madre non la stava riconoscendo.

-Max- Ripeteva debolemente e in continuazione la donna, chiamandola ancora e ancora.

-Mamma...sono io...sono qui. Sono qui.- Le disse prendendole una mano, la donna socchiuse gli occhi smettendo di ripetere il nome della figlia. Il terrore prese il sopravvento. 

-No no no, resta sveglia, resta sveglia. Aiuto! Qualcuno mi aiuti!- Gridò, cercando di attirare l'attenzione di qualcuno. Sperando che qualcuno andasse ad aiutarla ma non venne nessuno. Si ritrovò lì da sola, stringendo in lacrime la mano della madre morente. Singhiozzò, sentendosi inutile e colpevole per non essere riuscita ad aiutarla.

-Aiuto. Aiuto- Continuava a ripetere sottovoce, singhiozzando.

Accarezzò i capelli della madre, passandole una mano sul viso per chiuderle gli occhi, come a far sembrare che fosse caduta in un sonno profondo. Si sentiva a pezzi, distrutta ma si costrinse a rialzarsi e cercare il padre. La minima speranza che lui fosse vivo sembrò darle la giusta spinta per non arrendersi ma in quel momento il mondo divenne distorto.

Cambiò. I ricordi orribili di quel giorno sfumarono, mischiandosi all'incubo formatosi con la sua immaginazione. Suo padre era ferito ma in piedi, lontano da lei e le veniva incontro.

Lei corse cercando di raggiungerlo ma cadde per terra e fu allora che lo vide. Qualcuno arrivò dal cielo, un uomo le cui gambe sembrarono apparire solo dopo essersi avvicinato al suolo. Atterrò a metà strada tra lei e suo padre, consentendogli di vederlo bene in faccia. 

Il viso sbarbato, con una cicatrice di una lama che tagliava in diagonale passando sopra al suo naso. Un occhio blu e un occhio marrone che fissavano i due, i denti marci esposti in un sorriso diabolico. Alzò le mani al cielo, aprendole in una posa quasi religiosa, mentre queste si riempirono di una scintillante e vibrante luce blu in una mano e rossa in un altra. Due fulmini partirono dalle sue mani verso il cielo, tagliandolo a metà.

Comprese troppo tardi cosa stava per succedere. Suo padre corse, quasi sperasse di raggiungerla ma non era abbastanza vicino. L'uomo abbassò le mani di scatto e i fulmini che aveva lanciato tornarono piu forti di prima in un torrente elettrico. Riversandosi, spaccando il terreno e travolgendo il padre che venne disintregrato.

E lei allora urlò. Urlò a gran voce e fu con quell'urlo che si risvegliò, urlando disperata anche dopo che il sogno era sparito, fino a quasi perdere la voce. Solo dopo aver sfogato quella disperazione si asciugò le lacrime che scendevano copiose dalle sue guance. La gamba sinistra le pulsò, come a prenderla in giro.

Il suono di un fulmine che squarciava il cielo la terrorizzò. Si strinse, portando le ginocchia al petto, seduta sul suo divano. L'occhio le cadde sull'orologio, notando con sommo dispiacere che aveva dormito solo un paio d'ore. E come al solito la "dormita" non le aveva dato alcun riposo oltre ad essere stata piena di incubi, come sempre. 

Dinanzi a lei, sul tavolino, c'era ancora il giornale che parlava di quel giorno. La foto del Fulmine impressa in prima pagina, un uomo giovane con la barba e senza alcuna cicatrice a tagliargli a metà il viso. Nessun dente marcio e nessun occhio di colore diverso. D'altra parte lei non lo aveva mai visto, non lo aveva mai incontrato. Ma aveva visto cosa aveva fatto, aveva visto quei fulmini che uccidevano il padre. E odiava quel ricordo. 

Si morse il labbro inferiore, tremando appena nel buio di quella stanza. Una parola uscì dalle sue labbra, senza un destinatario preciso, rivolta forse a una divinità o forse ancora ai genitori morti quel giorno. Una parola detta con un tono implorante, sussurrata nell'ombra del suo salotto.

-Aiuto-

 

Seattle. 5 Ottobre 2018. Ore 13:00 PM

David si era messo al volante, guidando per qualche isolato, girando in lungo e in largo per quasi mezza Seattle. Lo sguardo, sempre vigile, a cercare la figliastra, sperando di intravederla sotto qualche riparo dalla pioggia. Si era messo a piovere a dirotto e, anche se non lo dava a vedere, era davvero molto preoccupato per Chloe. 

Piu volte aveva cercato di richiamarla o di messaggiarle, senza ricevere alcuna risposta. Si era ritrovato a correre nei vicoli, con la giacca a far da scudo dalla pioggia, smuovendo dalla sporcizia e dal buio persone somiglianti alla ragazza, o persone che potevano aiutarlo nella sua ricerca. Niente di niente, non aveva trovato nulla. 

Aveva cercato nei posti dove era solita bazzicare Chloe ma non aveva trovato nemmeno il minimo indizio. Dopo essersi fermato a un distributore di benzina per fare il pieno, si ritrovò costretto a tornare verso casa, sperando in un possibile ritorno da parte della figliastra.

Controllò l'orologio sul polso, facendo ordine nei propri pensieri e ricordando i suoi spostamenti mentre guidava verso casa. Il suo turno era finito da un paio d'ore, si era cambiato d'abito e nell'esatto istante in cui aveva messo piede fuori dalla centrale era iniziato il diluvio universale. 

Aveva visitato diverse zone, specialmente nei quartieri malfamati, dove Chloe era solita prendere droga. O almeno ipotizzava ne facesse uso. Da quando aveva frugato nelle sue cose diversi mesi prima, la ragazza si era fatta attenta, chiudendo la stanza e rimanendoci, certe volte, per diverse ore. Era quasi certo facesse uso di stupefacenti, cosi l'aveva seguita per confermare i suoi sospetti ma incredibilmente la ragazza lo seminava. Girava un vicolo e spariva, facendo perdere le sue tracce nonostante fosse a piedi.

Fermò l'auto. Non era una volante della polizia ma una decapottabile blu vintage, un auto che trattava come un gioiello seppur fosse ormai vecchiotta e con qualche pezzo da cambiare. Aprì lo sportello, mettendosi la giacca sopra la testa mentre rapido andava a sollevare la porta del garage, cosi da poter parcheggiare la macchina. Una volta fatto tirò giu, chiudendo il garage. Era alquanto umido quel posto e odorava d'olio per motori, una fraganza che, chissà perchè, lui adorava. 

Per una disattenzione inciampò su un oggetto per terra, ristabilendo fortunatamente l'equilibrio appena in tempo. Lo sguardo si posò sull'oggetto in questione: delle pinze. Le afferrò, studiandole con attenzione, notando un particolare in un angolo, proprio in mezzo. Grattò con l'unghia, ritrovandosi dello sporco rossiccio sul dito. Ne rimase confuso, non capendo cosa fosse. Esaminò il terreno circostante ma non trovò alcunchè. Rimise le pinze al loro posto, chiudendole nella propria cassetta degli attrezzi.

Si guardò il dito, sporco ancora di quel rosso. Sembrava vernice ma in un angolo del suo cervello un pensiero fastidioso iniziò a pizzicarlo. Un piccolo sospetto che si faceva strada. Un rumore improvviso lo distolse dai suoi pensieri. Un rumore di passi che veniva dal salotto. Silenzioso andò a prendere la pistola che teneva nascosta nel cruscotto dell'auto, stringendola con la mano sinistra. 

Piano piano si avvicinò alla porta, girando la maniglia lentamente cosi da non produrre il minimo suono. Sempre con la stessa lentezza aprì uno spiraglio da cui spiò, cercando di vedere se ci fosse qualcuno. Non vide nessuno ma continuò a muoversi in maniera furtiva, uscendo dal suo nascondiglio e, arma in pugno, dirigendosi verso il salotto.

Spalle al muro, pistola contro il petto. Prese un bel respiro e si sporse lentamente cosi da vedere chi ci fosse ma senza volersi far vedere. Era buio, la luce era spenta e, a causa del cielo pieno di nuvole nere come la pece, poca luce filtrava nella stanza. Si riusciva a vedere ma la visibilità non era delle migliori. 

Una figura si mosse nell'ombra, le braccia tenute dinanzi a se, trasportando quello che sembrava un baule. Uscì dal suo nascondiglio, puntando la pistola contro la figura. Il tono di voce fu autoritario e minaccioso.

-NON TI MUOVERE O SPARO-

La figura sobbalzò, urlando spaventata, lasciando cadere per terra quello che teneva in mano. E non era un baule, una valigia o una cassa come aveva pensato. Era un cesto di plastica, di quelli che si usano per il bucato. La voce, poi, era famigliare, apparteneva a una ragazza giovane che lui conosceva molto bene. La ragazza in questione tremava come una foglia, tenendosi la testa tra le mani e tenendo gli occhi chiusi per lo spavento. Abbassò la pistola, riconoscendola.

-Kate.- Mormorò, infilandosi la pistola nel risvolto dei pantaloni militari dietro la schiena.

-S-s-si Sono i-io.- Balbettò la figlia dei Marsh, aprendo l'occhio destro con attenzione, temendo di essere sparata. Vedendo come la pistola era sparita dalle mani dell'uomo si tranquillizzò, rimanendo tremante ancora per qualche secondo. Non del tutto sicura di essere fuori pericolo.

-Cosa ci fai qui?- Chiese il poliziotto, il tono duro e severo. Lo sguardo inflessibile e glaciale di chi sembrerebbe star interrogando un prigioniero di guerra anzichè una semplice ragazza.

-La signora Joyce aveva steso il bucato stamattina e-e-e quando si è messo a piovere, i-io li ho presi cosi che non si bagnassero- Infilò debolmente una mano in tasca, mostrando e agitando un piccolo oggetto luccicante. Dovette aguzzare la vista per vedere che era una chiave. -La s-signora mi ha d-dato u-una chiave per emergenze simili- Mormorò con una vocina da bambina.

-Perchè non hai acceso la luce allora? Avrei potuto spararti- Il tono di voce di David non cambiò minimamente. Kate sobbalzò sul posto, aprendo bocca per rispondere anche a quella domanda.

-L-la luce non funziona... la pioggia ha fatto saltare la corrente...- Il poliziotto mosse qualche passo, avvicinandosi all'interruttore della luce. Premendolo piu e piu volte senza ricevere alcun risultato. Era vero, la corrente era andata via. Tornò a guardare Kate, con un occhiata ancora severa mentre quest'ultima raccoglieva e rimetteva nel cesto i vestiti che erano caduti all'impatto con il suolo.

-Ho-ho-ho provato ad aggiustare ma è partita una scintilla e mi sono s-s-spaventata- Ora la faccenda si faceva piu chiara nella mente di David. Kate era entrata, provando ad aggiustare con le pinze il generatore ma spaventata doveva aver fatto cadere l'attrezzo. Si avvicinò con passo pesante alla ragazza, le mani sui fianchi e il capo chino a osservarla inquisitorio. Il cesto era stato poggiato su una sedia e Kate sembrava essersi fatta minuscola come un topolino.

-Non azzardarti piu a fare niente di quello che hai fatto, in questa casa chiaro? Sarebbe potuto partire un incendio, ti saresti potuta ferire o peggio. Fuori da questa casa. ADESSO!- L'ultima parola uscì praticamente urlata. Un ordine che non accettava repliche e che fece scappare a gambe levate la povera Kate, in uno stato davvero pessimo.

Si passò la mano sul viso, tenendosela davanti agli occhi sentendo la porta di casa sbattuta. Dopo un lungo momento andò a guardare l'ingresso, la porta chiusa dopo che Kate era scappata via, un mucchio di lettere posato in un angolo e un mucchio di chiavi appese al muro. Si avvicinò alla porta, restandovici per qualche istante, a fissare il legno bianco perfettamente intagliato. Sospirò, scuotendo il capo e sentendosi in colpa per quanto aveva appena fatto.

Dietro di se c'erano le scale, unico modo per andare al piano di sopra. Inizialmente indeciso se andare da Kate a scusarsi, decise di andare a cercare di ripristinare la corrente. Si infilò un paio di guanti, solo per sicurezza, e vide di aggiustare come poteva il guasto. Ci vollero un paio di minuti, forse anche di meno. Non era nulla che non si potesse risolvere con un po di pazienza e di buona volontà.

Fatto ciò si tolse i guanti, gettandoli nel cestino dell'immondizia. Non notando come all'interno del cestino vi fosse una strana piuma blu scuro. Chiuse la porta dietro di se, accendendo finalmente la luce. Ora si riusciva a vedere e ora poteva salire le scale senza correre il rischio di cadere nel farlo. Si diresse al piano di sopra, andando a vedere se Chloe era in camera sua. Capitava non poche volte che quella ragazza era lì senza che nessuno se ne accorgesse.

Girò la maniglia ma non si aprì. Spinse, cercando di far forza ma i suoi sforzi erano vani. La porta era chiusa, cosi si mise a bussare un paio di volte. Se era chiusa dall'interno era probabile che Chloe fosse in casa. Non era certo dato che lei usciva dalla finestra a volte. Bussò ancora e ancora senza ricevere mai una risposta dall'altro lato.

Non si arrese, piegandosi cosi da spiare dal buco della serratura. Completamente nero. Probabilmente Chloe aveva messo un cappotto o un oggetto qualsiasi per coprire la serratura e impedirgli di vedere. La rabbia tornò a prendere il sopravvento su di lui, la stessa rabbia che aveva sfogato sulla povera Kate.

-CHLOE. SO CHE SEI QUI. APRI SUBITO LA PORTA.- Urlò a gran voce, stringendo i pugni e sbattendoli con forza contro la porta di legno, rischiando quasi di romperla. Si arrese infine. Rapida come era venuto quello scatto d'ira, cosi se ne era andato. Scese le scale, tornando in salotto. Guardò l'orologio, erano passate meno di ventiquattro ore dall'ultima volta in cui aveva sentito Chloe. Non poteva fare altro che attendere, sperando che tornasse. Se non lo avesse fatto avrebbe dichiarato la sua scomparsa, facendo appello ai suoi colleghi. Non era quello che desiderava fare dato che l'ultima cosa che voleva era mettere in ridicolo Chloe, Joyce o se stesso.

Aprì il frigorifero, prendendosi una birra e andando a sedersi sul divano. Accese la televisione e, telecomando in pugno, girovagò per i canali alla ricerca di qualsiasi cosa potesse distrarlo. Canali di sport, canali pieni di soap opere da quattro soldi, reality show. Ormai in televisione non si vedeva altro che programmi spazzatura. Sorseggiò la sua birra, scuotendo il capo a metà tra il rassegnato e il deluso.

Stava per premere il tasto OFF del telecomando quando apparì un enorme schermata, con un logo che lui conosceva bene. Si bloccò a mezz'aria con il telecomando puntato contro il televisore. Aspettando per vedere il programma di quella fastidiosa ragazza.

La ragazza dai capelli biondi a caschetto fece il suo ingresso nello studio televisivo. Portava una gonna nera lunga fino al ginocchio, con una camicia grigio scuro e dalla quale penzolava una collana di perle bianche lucenti. Un tocco di rossetto rosa pesca sulle labbra e, probabilmente, del semplice trucco per donne sulle guance e sugli occhi.

La ragazza camminò fino al centro dello studio, dove andò a sedersi, in una maniera esageratamente teatrale, dietro una scrivania. Un sorriso e un espressione gioviale rivolta alla telecamera che la stava inquadrando.

-Benritrovati cari telespettatori. Come ben sapete io sono Victoria Chase, la nuova conduttrice di questo programma. Vi ricordiamo che questa sera in prima serata avremo come ospiti i vari sostenitori dei gruppi pro e contro i bioterroristi con cui discuteremo dell'attacco del Corvo avvenuto ieri sera. Qui il video dell'attacco.- Si voltò indicando uno schermo dietro di lei, che tuttavia rimase completamente bianco. Ci fu un attimo di confusione sul viso della ragazza, spaesata si guardò attorno chiedendo con lo sguardo spiegazioni ai tecnici. Portò una mano all'orecchio, lì dove c'era nascosto un dispositivo con cui stavano comunicando qualcosa.

La giovane tornò a guardare nella telecamera. Degludì prendendo un bel respiro prima di aprire bocca.

-Interrompiamo i programmi e i servizi per informarvi di un comunicato da parte dell'Ordine.- Lo schermo divenne totalmente nero, un simbolo bianco comparve al centro. L'impronta di una mano umana, al suo interno vi era, confuso con lo sfondo nero, la sagoma dello Space Needle. Una voce in sottofondo, metallica ma riconducibile a un individuo di sesso femminile parlò.

-Salve cittadini di Seattle. Io sono Rose Palmer, capo dell'Ordine. Ci duole informarvi che tra di voi un assassino si nasconde. Il bioterrorista chiamato "Il Corvo" si è macchiato di un orribile crimine. Ha compiuto un omicidio, togliendo la vita a un onorevole poliziotto. Questo crimine non rimarrà impunito. E' nostro dovere catturare il Bioterrorista. Quest'oggi siamo qui per informarvi che non sarà piu permesso uscire dalla città fino a quando Il Corvo non sarà nostro. Questo messaggio è anche per te Bioterrorista. Se senti questo messaggio sappi che stiamo arrivando per te. Sappi che presto saremo qui. Consegnati e renderai le cose piu facili a te e a tutti noi. Rifiuta e ti pentirai di averlo fatto. Hai dodici ore di tempo da adesso in poi per consegnarti alla polizia, dopodichè verremo a cercarti-

La mano scomparve e cosi anche tutto il resto. Nessun programma era piu visibile, cambiò canale varie volte ma lo schermo restò nero. La birra era caduta, senza che se ne accorgesse, rovesciandosi sul pavimento. Imprecò quando se ne rese conto, e imprecò ancora piu forte quando vide che le anche le scarpe erano state bagnate dalla birra.

Si alzò in piedi, pulendo per terra, non volendo dover mettersi a discutere con Joyce quando questa sarebbe tornata dal lavoro. Quel comunicato lo aveva reso nervoso. Molto ma molto nervoso. Sapeva degli eventi di Los Angeles, sapeva cosa era successo nell'ultima "caccia" al Bioterrorista e sapeva quante persone erano morte solo per trovarne una soltanto. Guardò fuori dalla finestra, osservando la pioggia incessante che cadeva e un fulmine squarciare il cielo. Chiuse gli occhi, per un secondo scosso, voltando le spalle e andando a prendere il telefono, piu preoccupato di prima.

Una tempesta stava per abbattersi sulla città.

 

Seattle 5 Ottobre 2018. Ore 15:30 PM

 

Chloe era uscita di casa, proprio nel momento in cui David aveva fatto il suo ingresso, parcheggiando l'auto nel garage. Aveva atteso sopra al tetto, nascosta con addosso la sua giacca di pelle nera come la pece, o come le ali di un corvo. Non indossava la sua maschera, non la portava addosso. Solo quando David era sparito lei era scesa, correndo via sotto la pioggia battente.

Si trovava nella metropolitana, in attesa di un treno che l'avrebbe portata in una zona ben specifica dove avrebbe potuto discutere con una persona molto importante. Aveva ucciso un uomo eppure stava lì, gocciolante da capo a piedi ad aspettare un treno come tante altre persone attorno a lei. I capelli azzurri erano coperti in parte da un cappello, le cui poche ciocche che spuntavano da sotto quest'ultimo erano bagnate e facevano cadere delle goccie d'acqua di tanto in tanto.

Era in abito comuni ma attirava comunque qualche sguardo, al contrario del cappotto nero del Corvo che le permetteva di mimetizzarsi nelle ombre senza doversi mettere in mezzo alla gente. Per questo lo aveva scelto per le sue scorribande notturne. Da sotto la giacca di pelle si intravedeva il suo fisico gracilino, con addosso una maglietta bianca dove davanti era disegnato il teschio di un ariete. Il resto del suo abbigliamento erano un paio di jeans mentre ai piedi calzava un paio di stivali.

Non portava gioielli sfavillanti, dato che non facevano per lei. L'unico ornamento che portava era una collana composta da tre proiettili, un regalo che si era concessa assieme al suo coltello preferito. Coltello che non si portava in giro molto spesso, dato che preferiva non ricorrere all'uso di armi quando poteva usare i suoi poteri.

Chiuse gli occhi per un istante, lasciando che quel ricordo le entrasse nel cervello. Il ricordo di quando aveva sparato a un uomo, di quando aveva ucciso un uomo innocente, il ricordo di quando era diventata un assassina. Sentì un brivido lungo la schiena ma non seppe dire se fosse stato per quel pensiero o per il freddo dovuto all'essere tutta bagnata.

Un treno si fermò dinanzi a lei, aprendo le porte del vagone emettendo un suono fastidioso e lasciando quel quesito senza una risposta. La folla di gente in attesa assieme a lei ci si buttò dentro mentre quelli che erano all'interno del vagone scendevano, muovendosi freneticamente come se fossero dentro un gigantesco formicaio. Persone sconosciute che si gettavano addosso ad altri sconosciuti solo per prendere un piccolo posto in un piccolo vagone.

Entrò dentro al vagone, rimanendo in piedi con la faccia mezza schiacciata contro il vetro dal gran numero di presenti. Spinse e diede un paio di gomitate, riuscendo ad assumere una posa perlomeno dignitosa. Emise anche qualche ringhio rabbioso, allontanando da se possibili attenzioni indesiderate, cosa che era frequente in treni come quello.
Il rumore del treno in movimento era quasi occultato dal gran numero di chiacchere dentro a quel posto. Sentiva le persone discutere del comunicato dell'Ordine, un comunicato che lei aveva sentito dato che era stato emesso anche dai megafoni della metropolitana. Quel messaggio non sembrava minimamente preoccuparla, quasi non lo avesse preso realmente sul serio.

Il fianco non le faceva piu male, era guarita velocemente dato che i proiettili erano stati espulsi dal suo corpo prima di quanto si aspettasse. Stava diventando piu forte forse, non lo sapeva con certezza. Era difficile capire quanto i suoi poteri fossero potenti e quanto stessero cambiando. Imparava ogni giorno cose nuove sui suoi poteri.

Un uomo si girò bruscamente, colpendola con il gomito sul naso. Reclinò il capo all'indietro, dolorante e frastornata per la botta ricevuta, guardando rabbiosa l'uomo che l'aveva colpita e tenendosi con una mano il naso. Non si era rotto per fortuna.

-Stai attento idiota- Aveva detto a un tono di voce alto, attirando l'attenzione di mezzo vagone su di se. Si morse il labbro inferiore quando lo notò ma evitò di peggiore ulteriormente le cose, decidendo di fregarsene e guardando fuori dal vagone. Le porte si aprirono nuovamente e un ondata di andirivieni la spinse qua e là, facendole perdere l'equilibrio e facendola finire addosso a una ragazza che stava uscendo, finendo per buttarla a terra e atterrando su di lei.

-Ahia- Si era lamentata la ragazza quando era finita a terra. Il busto di Chloe sopra la sua faccia, coprendola e quasi soffocandola. Mise i palmi delle mani per terra, spingendo e alzandosi. La ragazza sotto di lei sgusciò come un anguilla, cercando di uscire ma la folla continuava ad andare e venire urtandole entrambe e finendo per non permettere a nessuna delle due di alzarsi completamente.

Restarono lì bloccate per un paio di secondi fino a quando non terminò quel caos e Chloe potè sollevarsi da terra, togliendosi da sopra l'altra. Rimessasi in piedi gli occhi andarono a vedere la ragazza che aveva steso.

-Tutto apposto?- Aveva domandato, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi. Lei l'aveva presa, venendo tirata su da Chloe che la rimise in piedi. Era una ragazza minuta, dai capelli castano scuro con un taglio che sembrava tenerla a metà tra il femminile e il maschile. Una maglietta nera con una scritta viola che diceva "Jane" accanto alla quale c'era il disegno di una cerva. Un cappotto color beige a coprirle le spalle e a ripararla dalla pioggia. Un che di malinconico negli occhi, due splendidi occhi blu.

Chloe le aveva dato un paio di colpetti sulle spalle, pulendola dallo sporco finitole addosso per la caduta. Non seppe nemmeno lei il perchè di tanta premura per una completa sconosciuta. La ragazza le sorrise e, accidenti, le si fermò il cuore per un istante come se quel semplice sorridere dell'altra avesse fermato il tempo. Si ritrovò senza parole, confusa e trovandosi, per la prima volta, senza saper cosa dire distolse lo sguardo. Notando per terra un biglietto, lo raccolse credendo fosse caduto dalle tasche dell'altra.

Non potè fare a meno di leggerlo prima di porgerglielo: "Maxine Caufield. Agenzia investigativa". Gli occhi si erano messi a luccicarle quando aveva letto quelle poche parole, un sorrisetto curioso le era nato sulle labbra.

-Un investigatrice privata? Figo.-

Chissà perchè nel sentire quelle parole notò una sorta di imbarazzo misto ad orgoglio sul viso dell'altra. Le restituì il biglietto e lei lo afferrò, sfiorandole la mano. Sentì qualcosa di strano quando avvertì quel contatto, uno strano brivido che le percosse la schiena. Non ricevendo risposta dalla ragazza non disse niente, rimanendo per un paio di secondi ad osservarla in silenzio.

-Mh. Bhe, buona giornata Maxine- La salutò infine dandole le spalle e facendosi per andarsene per la sua strada, quando ecco che la voce della ragazza la fermò.

-Max. Mai Maxine.- Le disse con quella vocina. Chloe si voltò, guardandola negli occhi e sorridendo.

-Chloe- Rispose facendole un occhiolino, prima di riprendere a camminare.

 

Seattle 5 Ottobre 2018 Ore 16:00 PM

Ray si passò un fazzoletto sulla fronte madida di sudore. Non solo perchè in quell'ufficio faceva terribilmente caldo ma anche perchè aveva passato un brutto quarto d'ora con il capo della polizia che lo aveva rimproverato per il suo modo di fare troppo avventato. I suoi superiori non avevano apprezzato la sua chiamata all'Ordine, non vedendo di buon occhio quel gruppo di persone.

Sopratutto il capo della polizia che definiva l'Ordine un "gruppo di scimmie senza cervello" e che riteneva lui uno scarto della società. Non poche volte il capo della polizia aveva cercato di cacciarlo e mandarlo sotto a un ponte. Il motivo? Il colore della sua pelle non gli andava a genio. Raymond sopportava in silenzio, le angherie dell'uomo, non avendo il coraggio di ribellarsi.

Si sedette sulla propria sedia dietro alla scrivania, appoggiando il gomito sul legno massiccio, scostando le numerose scartoffie accumulate. Non era stata una bella giornata per il povero poliziotto. Era stato lui, personalmente, a dare la tragica notizia ai famigliari di Skip, donando le proprie condoglianze e assicurando che sarebbe stata fatta giustizia al piu presto.

"Giustizia" Si ritrovò a pensare amaramente. Giustizia a quale prezzo? Con la morte di altre persone? L'incontro con Max aveva contribuito a rendere i suoi pensieri alquanto cupi. Aprì il cassetto della scrivania, frugando nello scomparto segreto da lui costruito. Sollevando il pannello che celava il doppio fondo, lì dove nascondeva una bottiglia di whisky assieme a dei bicchieri di vetro.

Prese un bicchiere, afferrando il collo della bottiglia e appoggiando il tutto sulla scrivania. Fissò il liquido alcolico agitarsi, in un movimento quasi ipnotico stuzzicandogli un lato di se che aveva sempre cercato di tenere a freno. Soffriva d'alcolismo da quando sua moglie aveva ottenuto il divorzio e ultimamente, da quando aveva scoperto che la moglie era in procinto di sposarsi con un altro, era anche peggiorato.

Non resistette nemmeno un minuto. Afferrò la bottiglia e si versò un bicchiere, bevendoselo tutto d'un fiato. Sentì l'alcol scendergli in gola e infiammarlo, facendogli scappare un sospiro. Se ne versò un altro ma questa volta non lo tracannò subito, tenendoselo in mano e cercando di resistere alla tentazione di ubriacarsi. Era ancora in servizio, rischiava guai grossi, ma non ci fu niente da fare.

Anche il secondo bicchiere venne mandato giu, assieme a molti altri, fino a svuotare tre quarti della magica bevanda. Intontito dall'alcool il bicchiere scivolò dalle sue mani, andando a spaccarsi in mille pezzi contro il suolo. Eppure non si curò nemmeno di quello, andando a bere direttamente dalla bottiglia. Quando finì la ripose nel doppio fondo, chiudendo il cassetto e alzandosi in piedi. O almeno provandoci.

Traballò un poco mentre andava a guardare fuori dalla finestra, un suono di gomme che strideva aveva attirato la sua attenzione. Sbirciò e vide un enorme furgone militare da cui scesero due gruppi di uomini armati fino ai denti che marciando entrarono in centrale. Senza attendere oltre uscì dal proprio ufficio andando a controllare la situazione.

-Che succede?- Chiese a uno dei suoi uomini che lo fissò preoccupato, notando il suo stato non propriamente lucido e alquanto alterato. Il poliziotto a cui aveva fatto quella domanda balbettò una risposta ma non riuscì a capire bene. Se per il fatto che fosse ubriaco o perchè il tono che aveva usato sembrava quello di un tiranno che sentenziava una pena di morte non gli era dato sapere.

Diede quindi le spalle all'uomo, cambiando subito idea e decidendo di andare a controllare di persona cosa stesse succedendo. I pensieri e il paesaggio attorno a lui che traballavano.

Scese le scale in fretta e furia, vedendo oltre il corrimano i due gruppi di persone all'entrata che come perfetti soldati addestrati o come comparse in uno spettacolo, si erano sistemati uno di fianco all'altro in due file, lasciando al centro uno spazio vuoto. Entrambi le file iniziavano ai lati della porta d'ingresso e terminavano ai piedi delle scale.

La porta si aprì e qualcuno fece il suo ingresso. Una persona vestita di rosso e nero, con un bel paio di corna che spuntavano dal cappuccio, avanzò in maniera elegante nel luogo. Non sembrava un soldato, anzi sembrava quasi la parodia di uno stregone, tanto strani erano i suoi abiti, eppure, non appena fece il suo ingresso, ogni singola persona nelle file sembrò irrigidirsi, alzando il capo in segno di rispetto.

Talmente era concentrato su quella figura misteriosa che appoggiò male il piede su uno scalino, finendo per cadere e rotolare, ritrovandosi letteralmente ai piedi della persona in questione. Si rimise subito in piedi, guardandosi attorno e notando come alcuni dei suoi colleghi lo stessero fissando, alcuni con disapprovazione mentre altri con derisione.

Ma non commentò a nessuna delle due occhiata, tornando a guardare il nuovo ospite che aveva iniziato a parlare rivolto proprio a lui.

-Immagino che lei sia Raymond Wells. Siamo qui per prendere i fascicoli del caso Turner e tutte le informazioni che avete sul Corvo-

-Chi diavolo sei tu?- Borbottò Ray, riuscendo a vedere meglio solo ora chi fosse. Non era un uomo ma una ragazza e, accidenti, non una ragazza qualsiasi. Degludì, spalancando gli occhi e chinando subito il capo in segno di scuse. La ragazza si abbassò il cappuccio, rivelando una chioma folta e dorata, facendo dondolare con quel gesto un orecchino con una piuma blu che le pendeva dall'orecchio sinistro. 

-Sono qui per prendere i fascicoli del caso Turner e tutte le informazioni che avete sul Corvo- Ripetè autoritaria, con gli occhi fissi sul poliziotto che si limitò ad annuire.

-Ve li porterò subito- Assicurò. La ragazza richiamò due soldati, ordinando loro di farsi accompagnare dall'uomo mentre dava ordine agli altri soldati lungo le file altri ordini. Il poliziotto voltò le spalle alla ragazza, scortando i due uomini a prendere ciò di cui avevano bisogno.

Il capo della polizia scese le scale con un espressione agitata e la fronte sudata. Senza aver bisogno di voltarsi riuscì distintamente a sentire le sue parole, pronunciate con un tono cosi umile e da lurido leccapiedi che gli venne da vomitare.

-Siamo profondamente onorati di averla qui signorina Palmer, siamo desolati di non aver reso questa topaia adatta a una persona del suo rango......- Ma l'uomo non potè continuare a parlare dato che la ragazza lo interruppe con un semplice gesto della mano, silenziandolo come un cagnolino addestrato.

-La smetta di fare il leccaculo. Sono qui per conto di mia madre e per fare il lavoro che voi non siete riusciti a fare. Non tollero che un uomo viscido come lei cerchi di tenermi buona con qualche parolina idiota.-

Il capo della polizia era diventato rosso di rabbia e di imbarazzo ma non aveva avuto il coraggio di ribattere. Limitandosi a rispondere con delle scuse banalissime.

-Liberi il suo ufficio, faccia silenzio e si faccia da parte. Questo posto non è piu suo.- A quelle parole l'uomo divenne ancora piu rosso.

-Cosa ha detto?-

-Mi ha sentito: Sparisca. Ora.- 

La ragazza fece qualche passo, andando per salire le scale, dando le spalle all'ex capo della polizia. Quest'ultimo colto da un raptus le urlò dietro un sonoro e rabbioso:

-Puttana!- Un errore a dir poco imperdonabile. Uno dei soldati lasciò la fila, colpendo con il calcio del fucile il mento dell'uomo. Questi indietreggiò, tenendosi la mascella con una mano, piegandosi in due quasi avesse paura che i denti stessero per cadergli. Altri due soldati lo afferrarono per le spalle, pronti a trascinarlo fuori con la forza. 

La ragazza alzò una mano, fermandoli dal continuare quello che stavano facendo. Tornò indietro, avvicinandosi all'ex capo della polizia e facendo cenno di lasciarlo. Cosi come lo avevano preso, cosi lo lasciarono tornando ai loro posti, ordinati come scolari. La ragazza inclinò il capo, fissando l'uomo con uno sguardo pieno di disgusto.

Schioccò le dita e l'uomo si mise ad urlare di dolore. Ogni singolo poliziotto si voltò, osservando la scena, qualcuno pensò di impugnare la pistola ma colto dal panico la riabbassò l'attimo dopo. Non osando fare nulla per aiutare quel tiranno che avevano avuto come capo.

L'uomo si teneva la gamba destra con entrambe le mani, cercando di liberarla dal massiccio ammasso di ghiaccio che l'aveva ricoperta. La ragazza ondeggiò la mano come se fosse la bacchetta di un compositore musicale, facendo crescere il ghiaccio e facendolo espandere dalla gamba destra fino a metà busto. Ricoprendo anche l'altra gamba e bloccando il corpo dell'uomo in una morsa glaciale. 

Questi urlava e si dimenava ma non c'era niente da fare. La ragazza schioccò la lingua contro il palato, muovendo un passo verso l'uomo con un che di divertito negli occhi.

-Sai cosa sta succedendo? Il ghiaccio ti sta letteralmente divorando. Se ti lascio in questo stato per qualche minuto di troppo, le tue gambe smetteranno di funzionare del tutto. Chiedimi perdono. Dì la parola magica e forse ti libererò.

Uno sguardo implorante venne alla ragazza, le mani congiunte a mo di preghiera, chiedendo umilmente di essere liberato. 

-La prego, la prego mi perdoni. Non volevo. Non accadrà piu glielo giuro.-  La ragazza sorrise, soddisfatta. Alzò di nuovo il palmo della mano in direzione del corpo dell'uomo, aprendolo e piegando le dita verso l'interno.

Il capo della polizia sorrise, sospirando di sollievo mentre il ghiaccio andava lentamente a ritirarsi, togliendosi dal suo busto e scendendo lungo le sue gambe. La ragazza si fermò, tenendo la mano ferma e mezza chiusa come se stesse stringendo qualcosa, alzandola di scatto verso l'alto.

Il ghiaccio sembrò animarsi, ritorando subito e crescendo come un edera, arrampicandosi sull'intero corpo dell'uomo fino al collo, ricoprendo tutti gli arti e tutto il busto. L'unica parte del corpo che rimase libera era la testa. L'uomo sbarrò gli occhi, cercando di urlare per il dolore ma il ghiaccio sembrava aver congelato i suoi polmoni. 

-Avevi detto che.....che....che mi liberavi.- Balbettò tremolante l'uomo con quel poco di respiro che aveva ancora in corpo. La ragazza scrollò le spalle, sorridente.

-Ho detto che forse ti liberavo. E....nah. Uno viscido come te non la merita la libertà.- L'armatura di ghiaccio ricoprì l'intero cranio dell'uomo, trasformandolo in una statua di ghiaccio vera e propria. Colpì con l'indice quello che prima era il naso dell'uomo, ridacchiando prima di tornare seria.

Rivolgendosi all'intera stazione di polizia che aveva osservato la scena in silenzio, a metà tra il terrorizzato e lo shockato.

-Signori miei, ascoltatemi prego. so che siete sconvolti da quando è appena accaduto. Quest'uomo che aveva osato mancarmi di rispetto era stato sospettato di corruzione e di traffico di esseri umani. Di bambini innocenti usati come schiavi all'estero ma non c'erano mai state prove nei suoi confronti. Potete non credermi e uscire da quella porta, siete liberi di farlo. Oppure potete dimenticare quanto successo qui, e contribuire affinchè la corruzione di questa città venga estirpata una volta per tutte. Insieme.- Silenzio. Un paio di poliziotti uscirono da quella porta, mentre tutti gli altri presenti restarono, senza osar muovere un muscolo. Piu per la paura che per il discorso fatto dalla ragazza.

-Io sono Rachel Amber. Da questo momento in poi, la vostra vita sarà nelle mie mani-

 

 

 

Allora, inizio con il dirvi che è stato un capitolo molto ma molto duro da scrivere. Inizialmente ero indeciso se iniziare con una scena con Chloe disperata per quanto avvenuto ma dato che avevo idee molto contrastanti tra loro ho deciso di mettere da parte la faccenda e concentrarmi su qualche altro personaggio. Eh si, ho voluto inserire anche Rachel Amber in questo capitolo. L'aspettativa era causare qualche sobbalzo nel lettore o una sorta di sorpresa ma, dato che non sono per nulla sicuro di esserci riuscito, facciamo finta di nulla. Ovviamente l'OOC non è stato messo a caso. Come qualcuno avrà notato Rachel non è proprio proprio uguale a quello di Before the Storm. Anche perchè l'ho sempre ritenuto un personaggio complicato, cosi come lo sono Chloe e Max e dato che temevo di non saper gestirli, non volendo fare casini ecco qui, inserisco l'OOC e sono salvo. Potrei stare ore a parlare ma vorrei evitare di rendere questo piccolo angolo dell'autore piu grande del necessario. Detto questo ci si vede al prossimo capitolo.

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Capitolo 3
*** Frammenti ***


Era seduta su quello che sembrava la sedia di un dentista, quella con lo schienale reclinato che ti costringe a fissare una lampada accecante. Aveva paura ma non lo mostrava, mantenendo una maschera di inespressività. Era collegata a due macchine attraverso dei fili connessi ai suoi polsi. Una mostrava il suo battito cardiaco, l'altra non sapeva a cosa servisse, talmente era strana e immobile. Sentiva qualcuno parlare in sottofondo ma non riusciva a capire cosa si dicessero. Gli occhi azzurri vagavano sulla stanza, ricercando una via d'uscita o magari un volto amico. Qualsiasi cosa pur di non stare lì da sola, circondata dal buio più totale con soltanto una tenue luce puntata sul suo viso. 

Passi risuonarono in lontananza, una porta si aprì e qualcuno si avvicinò. Lei riuscì a vedere soltanto una figura contorta, un ombra che si avvicinava a lei e il cuore iniziò a battere più forte nel suo petto. La misteriosa figura venne lentamente illuminata dalla luce della lampada, mostrandosi come un uomo abbastanza giovane con un filo di barba a sporcare la mascella. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, un paio di pantaloni scuri e un paio di occhiali da lettura poggiati sul naso. Le sorrideva amichevole e stava per dirle qualcosa quando lei lo interruppe.

-Dove è mio padre?- Chiedeva la bambina e il sorriso dell'uomo traballò per un istante. Si allontanò per ritornare qualche secondo dopo con qualcosa tra le mani, una scatolina chiusa che appoggiò su un macchinario.

-Tuo padre è stato trattenuto ma sta arrivando- Le disse l'uomo.

-Voglio vedere mio padre- L'uomo rimase sorpreso dal vedere come quella richiesta non era detta con un tono spaventato o lamentoso come avrebbe fatto qualsiasi altro bambino. Il battito cardiaco segnava come la bambina era in agitazione ma scrutando il suo viso non riusciva a vedere niente che lo mostrasse. Ne rimase decisamente colpito, tanto che ritornò a sorridere divertito.

-Non preoccuparti. Se risponderai ad alcune mie domande in maniera sincera ti porterò io stesso da lui- La bambina sembrò incerta, mostrando una sorta di diffidenza nei confronti dello sconosciuto. Alla fine decise di annuire, accettando quella sorta di accordo ma mostrandosi ancora sospettosa.

-Mi hanno detto che sei brava a scuola. Una bambina modello, forse la migliore studentessa della tua classe. Hai ottimi voti, scometto che i tuoi genitori sono molto contenti di questo.- Le disse l'uomo con una sorta di dolcezza nella voce. La bambina presa in contropiede si limitò a sorridere, un pochino imbarazzata.

-Però...è vero che hai fatto male a un tuo compagno?- Il sorrisino sulle labbra della piccola sparì subito e distolse lo sguardo, osservando l'oscurità. L'uomo restò in silenzio cosi come lo rimase lei, finchè a un certo punto non sopportando quel silenzio la bambina disse una sola parola.

-Si- 

-Posso chiederti cosa è successo?- La bambina non lo guardava e dalla macchina si vedeva che il battito le era aumentato per l'agitazione.

-Forse ti ha preso in giro?- La maschera di inespessività della bambina si ruppe, mostrando piccoli segni. Vide rabbia e paura sul suo viso, la vide stringere i pugni e mordersi il labbro. Ci aveva preso a quanto pare.

-Ti sei arrabbiata con lui?- Nessuna risposta verbale ma non serviva. Ora che aveva smesso di nascondere le emozioni riusciva a leggerla come un libro aperto, ci rimase quasi male con quanta facilità aveva fatto breccia.

-Cosa ti ha detto? Per farti arrabbiare?- Questo voleva saperlo. Voleva sentirglielo dire a voce, incuriosito da cosa potesse scatenare quella cosi calma bambina bionda. Ci vollero altri secondi silenziosi prima di ricevere una risposta.

-Ha detto delle brutte cose- Rivelò la bambina, interrompendosi prima di tornare a guardarlo in faccia. L'espressione tornata di nuovo inespressiva, priva esternamente di una qualsiasi emozione. Di nuovo quella maschera. 

-Ora posso vedere mio padre?- Il tono duro con cui aveva parlato sembrava un ordine, una domanda che non accettava risposte negative. L'uomo sorrise, riprendendo la scatola chiusa di prima e aprendola.

-Si. Ti accompagnerò da tuo padre ma prima devo farti un prelievo di sangue- Tirò fuori dalla scatola una siringa e la bambina trattenne il fiato, mostrandosi contrariata a sottoporsi a qualcosa del genere.

-Tranquilla, è soltanto per un controllo. Tuo padre ha detto che andava bene- Di nuovo la bambina era indecisa, e non molto contenta di ciò, ma alla fine decise di accettare. Prima finiva quel tormento, meglio era. L'ago le entrò nel braccio eppure lei rimase zitta, non emettendo nemmeno un mugolio di dolore. Nemmeno la vista del sangue sembrò infastidirla in qualche modo.

-Ora posso andare?- Domandò all'uomo che aveva iniziato a provvedere a liberarla dai fili che la tenevano collegata ai macchinari. L'uomo ridacchiò, annuendo con un cenno del capo. Altri due uomini vestiti di bianco entrarono nella stanza che si illuminò all'improvviso, costringendola a chiudere gli occhi, infastidita dopo essere stata cosi tanto tempo al buio.

-Questi uomini ti accompagneranno all'uscita dove tuo padre ti sta aspettando- Le assicurò l'uomo, salutandola mentre se ne andava, uscendo dalla stanza. Un piccolo sospiro di sollievo uscì dalle sue labbra quando la bambina se ne fu andata da lì. Chiamò un uomo in camice, porgendo la siringa e ordinandogli di andare a fare le dovute analisi. Guardò l'orologio appeso al muro, controllando l'ora e sorridendo soddisfatto del suo operato. Prese una sedia e si sedette, continuando a guardare l'orologio come se ipnotizzato.

Una donna entrò, richiamando la sua attenzione. Capelli castano scuro a caschetto, vestita in maniera elegante con quella sua giacca viola scuro e una borsetta a fiori tenuta sotto braccio.

-Come è andata?- Le chiese la donna con il tono di voce preoccupato. Si poteva vedere benissimo che la donna era molto tesa, quasi come la risposta a quella domanda potesse dipendere la vita e la morte.

-Non posso dare un responso subito ma a breve dovrebbero arrivare le analisi e saprò risponderti- Alla donna non piacque quella risposta tanto che avanzò verso di lui con uno sguardo inquisitorio.

-Non prenderti gioco di me Jefferson. Non ti sono mai servite le analisi per cose del genere. Dillo e basta invece di torturarmi- L'uomo si sistemò gli occhiali da lettura scivolati sulla punta del naso, alzando il capo per guardare dritto negli occhi la donna. Si passò la lingua sulle labbra, inumidendosele appena prima di dare il responso affermativo al quesito che tanto la tormentava.

 

Si era ritrovata sollevata quando aveva visto suo padre fuori da quel posto, ad aspettarla. Aveva sorriso e si era messa correre nella sua direzione, abbracciandolo forte con la faccia premuta contro lo stomaco altrui. Suo padre le aveva accarezzato la testolina bionda, abbracciandola a sua volta. La bambina alzò lo sguardo, guardando suo padre con un bel sorriso.

-Mi compri un gelato?- Aveva chiesto, suscitando una risata da parte dell'uomo che davanti a quegli occhioni si era dovuto arrendere senza reagire. Aveva preso la figlia per mano e uscirono insieme da quel posto. Ogni preoccupazione era svanita nell'aria non appena aveva visto il padre, non appena era riuscita a riabbracciarlo. Ma sopratutto non appena lasciarono quel luogo che lei non capiva cosa fosse. Sembrava un ospedale, cosi bianco e di un odore strano ma era enorme e alto diversi piani. La gente si era messa a fissarla e a mormorare sotto voce quando era entrata, senza contare che un uomo le aveva detto di seguirla e andare con lui. Non ci sarebbe andata se non fosse che suo padre glielo aveva ordinato.

Non aveva mai visto il padre comportarsi in maniera talmente dura con lei come in quell'istante. Lo aveva visto con un espressione diversa dal solito, come quella che faceva quando riceveva dei documenti dagli uomini in armatura. O quando la madre diceva al marito di dover parlare con lui di faccende importanti, senza la presenza della figlia.

In quel momento però non ci pensò più di tanto. Il padre le prese un cono gelato al mirtillo e alla fragola, i suoi gusti preferiti, da un ambulante all'ingresso di un parco. Teneva il padre per mano mentre con l'altra si mangiava tutta contenta il suo dolce tesoro. Talmente contenta e presa da ciò che aveva davanti non si accorse minimamente di come il padre la stava fissando con quell'emozione negli occhi. Si sporcò tutta la faccia di blu e rosso, tanto che sembrava che il gelato se lo fosse buttato addosso.

Il padre la fermò, prendendo dalla tasca il proprio cellulare e inginocchiandosi per fare una foto con la figlia, dicendole di sorridere. Lei invece decise di fare una faccia diversa, storcendo gli occhi e tirando fuori la lingua in un espressione stupida. L'uomo rise, scattando la foto e mostrandogliela.

-Guarda qui, abbiamo un piccolo mostro di gelato in questa foto- Le disse il padre ridendo, facendo gonfiare alla bimba le guance fintamente offesa dalle parole dell'uomo prima di scoppiare anche lei in una risata. In un secondo la bambina si gettò addosso al padre, braccia al collo e faccia sporca che andava a strusciarsi contro la guancia di lui, sporcandolo tutto di gelato.

Risero assieme, sotto lo sguardo divertito e attonito di alcuni passanti, prima di pulirsi dalle tracce di gelato. Di nuovo per mano ripresero a camminare per strada,  senza una precisa meta, semplicemente camminando tranquilli.

-Papà?- Richiamò la bambina tutto d'un tratto.

-Si?- Rispose l'uomo guardandola.

-Perchè siamo andati in quel posto?- L'espressione dal viso del padre cambiò, tornando con quell'emozione che lei non riusciva a definire. Lo vide balbettare prima di prendere un bel respiro e parlarle.

-E' complicato piccola mia- Era stata la risposta. La bambina abbassò lo sguardo, fissandosi le scarpette bianche.

-Ho fatto qualcosa di sbagliato?- Il tono innocente con cui aveva detto quelle parole fece stringere il cuore al genitore che subito si fermò, abbassandosi per guardarla negli occhi e per prenderle le spalle. Un sorriso dolce e rassicurante venne rivolto alla figlia.

-No, piccola mia. Non hai fatto assolutamente niente di sbagliato.- Incerto su come continuare le accarezzò i lunghi capelli biondi con fare paterno.

-Vedi. A volte...- Si interruppe, scuotendo il capo e tornando a sorriderle. -Lascia stare. Ne parleremo meglio in un altro momento. Ora...godiamoci il pomeriggio senza la mamma che ci controlla. Va bene?- Le fece un occhiolino e il sorriso tornò sulle labbra della bambina che annuì. Ma qualcosa in quel momento cambiò. 

Un ragazzo dal viso mezzo coperto da una bandana uscì da un vicolo, un berretto con un teschio sul capo, vestito con una t-shirt blu e un paio di pantaloni vecchi e strappati. Da dietro la schiena tirò fuori una pistola, puntandola alla testa del padre che gli dava le spalle. La canna della pistola premuta contro la sua nuca. 

-Svuota le tasche- Ordinò il ragazzo. Il padre si bloccò, guardando la figlia che si era messa tremare visibilmente.

-Per favore. Non farmi del male, ti darò tutto ciò che vuoi.- Supplicò il padre, fissando la figlia dritta negli occhi.

-Obbedisci!- Sibilò, facendo sobbalzare dallo spavento la bambina che spostava lo sguardo prima sul padre poi sul rapinatore. Era terrorizzata e non riusciva a nasconderlo, non davanti a suo padre. Non quando erano in un pericolo vero e proprio. Il padre lentamente si mise le mani nelle tasche, buttando a terra tutto ciò che aveva. Cellulare, portafoglio, banconote, centesimi, tutto. Quella strada era deserta, non passava nessuno in quel momento e si vedeva come il ragazzo sembrava preoccupato.

Doveva sbrigarsi a rapinare l'uomo prima che qualcuno potesse sopraggiungere e assistere alla scena. Il rapinatore valutò quanto l'uomo aveva svuotato sul marciapiede e premette la canna della pistola con forza.

-Non è abbastanza. Non può essere tutto qui- Diede una pestata per terra per la rabbia, spingendo nuovamente la canna contro la nuca del padre.

-Tu vuoi fottermi eh? Pensi che sia un fottuto idiota senza palle. Adesso ammazzo te e la bambina se non mi dai tutto quello che hai.- Il tono di voce rabbioso, più alto delle frasi precedenti. La bambina assistì alla scena come in un film alla moviola, il padre si voltò di scatto colpendo con il polso la pistola. Partì un colpo che la sfiorò di pochi centimetri, la canna della pistola fu sollevata in aria. Vide il padre e il ragazzo lottare per la pistola, lei bloccata dalla paura. Congelata sul posto non sapeva cosa fare, non aveva idea di come agire. 

Un secondo colpo partì in aria. Il padre stava per avere la meglio quando la pistola venne abbassata e partì un terzo colpo. La scena si congelò, fermandosi come se il tempo stesso avesse smesso di funzionare. Vide entrambi gli uomini fermarsi e sentì un gorgoglio. E infine vide l'orribile scena: suo padre indietreggiò, portandosi le mani al ventre prima di cadere sulla schiena. Davanti a lei, steso a guardarla.

Il genitore alzò la mano in direzione del suo viso, ma al viso della figlia non arrivò mai. Gli occhi si spensero e la mano cadde per terra, il sangue che scivolava sul terreno, sporcandolo di rosso. Lei rimase ferma a fissare la scena, a fissare il corpo senza vita di suo padre, a fissare il sangue che lentamente scivolò sulle proprie scarpe bianche mentre dalle sue guancie iniziarono a scivolare lacrime.

-No...non...doveva andare cosi.- Mormorò il ragazzo facendo cadere la pistola per terra. Le mani al viso, abbassandosi la bandana e avvicinandosi spaventato al corpo senza vita.

-No, no no no. Cazzo.- Urlò, afferrando le banconote non sporche di sangue e infilandosele in tasca. Fece per girarsi e andarsene ma si rese conto di non riuscire a farlo. Non lo sentì subito, non avvertì cosa era successo alla sua gamba.

Il ragazzo abbassò lo sguardo, iniziando a urlare per il dolore quando sentì la gamba bruciare costringendolo a buttarsi a terra. Fissò con orrore la propria gamba, una coltre di ghiaccio la ricopriva fino al ginocchio impedendogli di muoversi. La bambina lo fissava, con le lacrime che le rigavano le guance. L'ultima cosa che ricordò fu quell'urlo. Un urlo agghiacciante di disperazione, dopodichè smise di sentire qualsiasi cosa. 

La bambina non ricordò bene come era avvenuto, come aveva fatto. Aveva sentito solo qualcosa sbloccarsi dentro di lei, qualcosa che si spezzava e che premeva per uscire. Ricordò che si era messa a urlare, aveva urlato con una tale disperazione che una tempesta si era alzata e scatenata contro l'aggressore, contro l'assassino di suo padre. Una coltre di ghiaccio ricoprì interamente il corpo di lui che si frantumò come il vetro di una finestra colpito da un sasso. Pezzi di ghiaccio con fatezze umane si sparsero sul marciapiede.

Solo dopo ciò, solo quando rimase soltanto lei e il cadavere di suo padre, soltanto dopo aver urlato cosi forte che Rachel smise di pensare. Perse il contatto con la realtà e lasciò che la gravità fece il suo corso, cadendo a faccia in su accanto al corpo del genitore. L'ultimo ricordo era il cielo pieno di nuvole grigie, e di come non appena era caduta per terra, avesse iniziato a piovere.

 

Seattle 5 Ottobre 2018 Ore 17:30 PM

 

Una brutta giornata. Ecco cos'era per Chloe quel giorno, dove il fato sembrava essersi messo contro di lei. Doveva incontrare quella dannata persona ma quest'ultima non si era presentata all'appuntamento. Diede un calcio a una lattina, sbalzandola contro una macchina. Forse era lei che era arrivata in anticipo? O magari era successo qualcosa? Non lo sapeva ma era parecchio che stava lì sotto la pioggia.

Sapeva soltanto che si erano dati appuntamento davanti a un negozio di elettronica, pieno di vecchi computer e televisori messi in esposizione in vetrina. Il suo contatto sembrava molto ossessionato dalla tecnologia e da quel posto. L'insegna era vecchia e qualche lettera era stata buttata giù da qualche teppista. La lettere dicevano "F Society" cosa che, a ben pensarci, era anche alquanto divertente.

Si stava annoiando, era irritata dalla pioggia che aveva ripreso a scivolarle addosso senza pietà e imprecò, dando un pugno a una macchina. Il piede tamburellò sul marciapiede, mostrando la sua impazienza e sollevando schizzi d'acqua in quanto le scarpe erano diventate delle vere e proprie spugne. Dopo diversi secondi lanciò una nuova imprecazione.

-Vafanculo- Sbottò facendo per andarsene quando un televisore si accese all'improvviso, attirando la sua attenzione. La schermata era quasi psichedelica, cambiando colori in continuazione cosi come cambiava canale. Chloe si avvicinò alla vetrina del negozio, quel posto era chiuso da chissà quanto tempo e gli era stata tolta la corrente. Come faceva a funzionare quel televisore?

-Ma che cazzo?- Un altro televisore si accese come il precedente. La cosa si ripetè con altri tre televisori e soltanto dopo aver fatto un passo indietro e aver osservato meglio il quadro generale che lo vide: un messaggio. Ognuno dei televisori aveva una lettera impressa sullo schermo, quasi impercettibile ad un occhio poco attento. Le lettere messe insieme formavano la parola "Entra". 

Non c'è bisogno di dire come la cosa la confuse ma ricordandosi con "chi" aveva a che fare si limitò a scuotere il capo, poggiando la mano sulla porta e spingendola. Era aperta e Chloe riuscì facilmente ad entrare in quel posto. Il pavimento era pieno di polvere, pieno di scatoloni chiusi e con ragnatele praticamente ovunque. Sembrava che nessuno ci mettesse piede da anni, talmente tanto puzzava di chiuso. Tossì un paio di volte, rischiando di starnutire a causa della polvere mentre ad ogni passo lasciava una scia d'acqua per via della pioggia che l'aveva inzuppata. 

Un televisore si accese in un angolo, mostrando una freccia puntata verso il basso. Si mosse nella direzione del televisore acceso, notando di aver messo il piede sopra una sorta di botola. Con il piede tolse della sporcizia e un cumulo di vecchi giornali trovando la maniglia della botola. Fece un passo indietro, sollevando la botola e ritrovandosi ad osservare una sorta di tunnel collegato con una scala.

-Ma dove accidenti mi stai mandando?- Borbottò mentre iniziava a scendere giù. La scala era vecchia e arruginita, cigolò sotto al suo peso ma sembrò reggere. Dopo aver sceso la scala si ritrovò in quella che sembrava una stanza/bunker. In ogni dove erano raggruppati televisori, schermi per i computer uno sopra l'altro e non appena mosse il primo passo delle luci si accesero all'unisono illuminando completamente la stanza. Non era enorme, probabilmente senza tutti quegli aggeggi sarebbe stata più spaziosa. Sembrava un labirinto fatto di cavi e aggeggi elettronici.

Uno schermo si accese a un passo da lei. Lo schermo, inizialmente bianco, cambiò mostrando una maschera nero brillante da topo che si muoveva da un lato all'altro, muovendo il naso a punta in ogni angolo dello schermo. Chloe si avvicinò, la mano destra infilata nella tasca dei pantaloni.

-Ancora con queste paranoie W?- Si lamentò Chloe, bussando sullo schermo con la mancina. Dopo quel gesto lo schermo vibrò per un istante prima di spegnersi. Un secondo televisore, non molto lontano da quello precedente, si accese con la stessa immagine di prima.

-Colpa tua- Rispose una voce maschile. Chloe si voltò verso l'altro televisore, camminando verso di esso.

-Te la fai sotto per l'Ordine?- Chiese la ragazza

-Solo un pazzo non lo farebbe. Hai idea di cosa mi faranno se mi trovano?- Chloe decise di interrompere la cosa prima che degenerasse

-Non sono qui per discutere di questo. Tempo fa mi hai offerto la possibilità di cambiare identità e andarmene da Seattle. Allora non era una buona opzione ma adesso vorrei accettarla-

-Col cazzo- Quella risposta la stupì, non aspettandosi minimamente una risposta negativa.

-Come sarebbe?- Fece lei togliendosi il cappello che portava sopra la testa e gettandolo per terra con noncuranza.

-Ma capisci in che guai mi hai messo?-

-Piantala, non cercano te. Cercano me e quando capiranno che me ne sarò andata da questa città se ne andranno anche loro- La persona con la maschera di topo si mise a ridere. Una risata amara prima di spegnere il televisore e accenderne un altro, sempre non molto lontano dal precedente cosi da poter essere seguito.

-Pensi sul serio che stanno cercando te e basta? Hai perso i neuroni sotto la pioggia per caso? Sei solo il pretesto giusto per mettere a ferro e fuoco la città. Si sta organizzando una caccia alle streghe. I Saviors, ogni conduit nascosto e chiunque possa essere una minaccia per loro saranno presi e buttati in un buco di cella- Si percepiva un profondo astio nelle sue parole ma anche una certa paura. 

-Ora verranno per me. Lo so, lo so, verranno per me- Si lamentò, piagnucolando come un bambino spaventato dal mostro sotto al letto. Chloe afferrò il televisore con entrambe le braccia, sollevando e avvicinando il volto allo schermo.

-Smettila!- Urlò la ragazza facendolo smettere di parlare e catturando la sua attenzione. 

-Stammi a sentire W. Nessuno verrà a prenderti. Aiutami a scappare da questa città e io aiuterò te a non farti prendere- La maschera di topo agitò la testa in segno di diniego.

-Non posso farlo. Hanno bloccato tutte le uscite, siamo in trappola.- L'amico sembrava troppo spaventato per poter ragionare in maniera lucida. Ci doveva pensare lei a dargli una svegliata, o quantomeno a farsi dare qualcosa che potesse tornarle utile.

-W, senti. Tu sai praticamente quasi tutto sui conduit qui a Seattle. Pensi che qualcuno di loro potrebbe aggirare le difese e farmi uscire?- L'altro sembrò rifletterci su per qualche istante.

-Non lo so...forse.- Chloe non era molto soddisfatta di quel "forse"

-Devi dirmi un nome- Il televisore si spense, cambiando per l'ennesima volta. Iniziava a stancarsi di quel continuo apparire e scomparire da una parte all'altra della stanza. La maschera di topo rimase in silenzio per qualche istante dopodichè parlò.

-C'è una conduit che potrebbe darti una mano ma non so il nome. Posso dirti dove puoi trovarla e che aspetto ha ma niente di pi.-

-Mi basta- Se quello era tutto ciò che poteva ottenere se lo sarebbe fatto piacere.

-E' una ragazza, veste spesso in maniera sportiva e porta quasi sempre addosso un cappellino bianco con una palla di fuoco sulla sinistra. Capelli castano scuro corti, ha una collana a forma di drago-

-Uh- La descrizione non le pareva molto utile. Le sembrava alquanto scarna, senza contare che la tipa in questione poteva anche non indossare gli abiti da lui descritti.

-Frequenta sempre lo stesso locale, puoi trovarla lì praticamente ogni sera....almeno credo. E' il suo luogo di ritrovo preferito da quanto ne so. Ecco- E cosi dicendo fece sparire la propria faccia da topo e fece apparire sullo schermo una mappa di Seattle, con sopra indicato il luogo dove avrebbe trovato il locale.

-Come hai detto che si chiama il posto?- Chiese la ragazza osservando la mappa per imprimersela a fuoco nella memoria.

-Vortex Club-

 

Seattle 5 Ottobre 2018 17:00 PM

Dopo lo "scontro" con la ragazza dai capelli blu, Max si era diretta sul suo luogo di ritrovo perfetto per le informazioni: un bar. Non un bar qualsiasi sia chiaro, in quel posticino se ci si metteva al tavolo giusto si potevano origliare le conversazioni di praticamente tutti. E lei, che ci aveva modestamente passato gran parte dei suoi giorni, sapeva dove trovare quel tavolo. Vi ci sedette, ordinando una tazza di cioccolata calda alla cameriera. Le sue orecchie captarono presto una conversazione interessante provenire da un gruppetto di persone non molto lontano dalla sua postazione.

-Come hai detto che si chiama quella bioterrorista?- Sentì dire da un uomo con un papillion nero.

-Di chi parli?- Domandò la donna a cui l'uomo si era rivolto, guardandolo interrogativo.

-Lo sai. Quella tipa di New York, quella completamente psicopatica- Non ricevendo alcuna risposta ma soltanto un espressione confusa dai suoi compagni, l'uomo con il papillion continuò a parlare, dando altri dettagli.

-Ma si dai, me ne hai parlato l'altro giorno. Di quella che era stata quasi presa ma che era riuscita a far perdere le proprie tracce-

-Ah si, ora mi ricordo. Si chiama la Schiaccianoci. Il motivo di questo titolo è dovuto al fatto che ami....- La donna non riuscì a finire la frase che alcuni in quel gruppetto iniziarono a lamentarsi, dando segno di protesta, non volendo sentire cose del genere mentre mangiavano. La donna alzò le mani in segno di scuse, tornando a rivolgersi all'uomo.

-Perchè tiri fuori l'argomento?-

-Ho sentito dire che si trovi qui a Seattle. E indovinate chi hanno deciso di mandare a romperci le palle? La figlia del boss- Si levarono alcuni mormorii. Rachel Amber era molto popolare, quasi una leggenda nel mondo dei conduit e di chi dava loro la caccia. Era la figlia adottiva di Rose Palmer, da quanto si sapeva era nata da una scappatella del marito della donna con una sconosciuta. Nessuno sapeva la vera identità della madre di Rachel e mille ipotesi erano state fatte. Alcuni pensavano fosse una spogliarellista, altri credevano fosse la moglie di un riccone di wall street, altri ancora un esponente della mafia russa eccettera eccettera.

Le malelingue sul conto della madre non erano state le uniche cose per cui la bambina era rimasta sotto i riflettori. Avevano continuato a parlare di lei quando, a un certo punto della sua vita, la bambina aveva mostrato di possedere dei poteri e di come li avesse usati per aggredire (o meglio uccidere) un essere umano. Era una conduit, una bioterrorista e anche se, inizialmente, qualcuno aveva votato affinchè venisse processata come un conduit adulto, la madre Rose risolse presto la questione. Come la risolse non era ben chiaro. Si sapeva solo che dopo la morte del padre di Rachel, Rose era diventata l'unica persona a cui la figlia poteva fare affidamento. La guidò, la fece addestrare e ne fece un soldato. Una cacciatrice di bioterroristi.

-Ho visto alla tv che hanno dato un ultimatum al Corvo. Se non si consegna volontariamente inizierà il caos- Mormorò la donna sorseggiando la propria birra.

-Come se a quel tipo freghi qualcosa dei loro ultimatum. Siamo fottuti ve lo dico io.- Gli altri di quel gruppo si mostrarono concordi a quell'affermazione. Nessuno si aspettava che il Corvo si sarebbe consegnato alle forze di polizia. Tutti erano pronti al peggio, rassegnati a non poter fare niente di niente in merito. Max non era della stessa opinione. Max era convinta che dovevano reagire, fare qualcosa per ribellarsi a quei sorprusi ma più si guardava attorno e più vedeva gente che si limitava a crogiolarsi nella propria disperazione.

Sorseggiò la propria cioccolata mentre dalla sua tasca risuonò la colonna sonora della morte nera. Ridacchiò, tirando fuori il proprio cellulare e rispondendo alla chiamata senza vedere chi la stesse chiamando.

-Pronto?-

-Ehi musona- La voce dall'altro capo del telefono la fece sorridere. Una vecchia conoscenza che non incontrava da tempo.

-Buongiorno anche a te. A cosa devo il piacere di questa telefonata?-

-Ho bisogno di te per un lavoro mega importante- Il tono divertito dalla ragazza le fece dubitare della serietà della sua richiesta.

-Cosa ti serve?-

-Mi serve che mi fai da spalla per stasera- Per poco non sputò la cioccolata che stava sorseggiando, gorgogliando e pulendosi la bocca con un tovagliolo prima di rispondere all'amica.

-Assolutamente no. Ho da fare.- Era stata la sua risposta

-Dai che ti fa bene staccare dal lavoro ogni tanto. E poi Mickey è malato e a me serve un faccino da cucciolo. Per favooore- Implorò la ragazza, mugulando come un cucciolo che voleva altro latte. Max alzò gli occhi al cielo, mordendosi il labbro inferiore e sospirando prima di cedere a quella supplica.

-Solo per stasera?-

-Sapevo di poter contare su di te. Fatti bella per la grande serata mi raccomando che se ho fortuna magari rimorchi pure te- Le guance le diventarono rosso fuoco e iniziò a balbettare parole senza senso, suscitando l'ilarità dell'altra.

-Ti passo a prendere io- Disse la ragazza prima di salutarla e chiudere la chiamata, non attendendo ulteriori risposte da Max. L'investigatrice sospirò per la seconda volta, finendo la propria cioccolata calda e lasciando la mancia alla cameriera. Incamminandosi verso casa, correndo sotto la pioggia per prepararsi. Cosa che non sarebbe stata facile dato che il suo armadio non comprendeva molti vestiti. La giornata non le aveva dato molti frutti per sua sfortuna. Presa la metropolitana si ritrovò a casa propria in poco tempo, infilò le chiavi nella toppa e aprì la porta di casa. Preparandosi per la "grande serata"

 

Angolo dell'autore:

Rieccomi qui ragazzi e ragazze. Intanto voglio chiedere umilmente scusa per l'enorme ritardo che ci ho messo per pubbicare questo capitolo. E' stato un periodo molto intenso, oltre ad avere un black out creativo. Spero che ciò non si ripeta o al massimo di avvisare se dovesse succedere qualche improvviso ritardo nella pubblicazione. 

Detto questo passiamo al capitolo. Ero indeciso su come iniziare e alla fine ho optato per un enorme flashback nella vita di Rachel. Prometto che nel prossimo capitolo mi concentrerò maggiormente su Chloe e Max (che in questo capitolo sono state sui riflettori meno di quanto avrei voluto). Scommetto che qualcuno avrà gia ipotizzato chi sarà la persona che Chloe deve incontrare al Vortex Club, o magari no. 

Il prossimo capitolo si chiamerà "Vortex Club" e se tutto va bene dovrebbe uscire prima di Luglio.

Ringraziamenti:

Vorrei ringraziare Edoardo811 per le sue ottime recensioni che mi permettono lentamente di migliorare il mio stile di scrittura. Se sto migliorando nello scrivere e se scrivo ancora questa ff è anche per merito suo. 

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Capitolo 4
*** Vortex Club ***


Seattle 5 Ottobre 2018 Ore 20:30

-Una domanda- Iniziò la ragazza al volante dopo qualche istante che il passeggero entrò in macchina, allacciandosi la cintura e sistemandosi sul sedile.
-Cosa del "fatti bella" non hai capito?- Il tono di voce era alquanto divertito mentre lo diceva. Max si imbarazzò, guardandosi per un istante i vestiti prima di protestare dicendo di non star tanto male. Il suo abbigliamento non era cambiato chissà quanto. Si era semplicemente tolta la maglietta con la cerva e messa una nera con una farfalla bianca, sostituendo la giacca con una felpa grigia con cappuccio. Di certo non era un abbigliamento da serata elegante ma per uscire andava bene. Almeno secondo lei. Non ci andava molto spesso nei locali, per non dire che non ci andava mai. Non era il tipo di luoghi che frequentava, tutto qui. Restarono in silenzio, o almeno lei restò in silenzio.

Steph continuava a parlare delle sue tattiche da rimorchio con le ragazze che avrebbero incontrato al locale e di come avrebbe aiutato Max a trovarsi uno spasimante per la serata. Risultato? Talmente tanto imbarazzo che aveva pensato di aprire lo sportello e buttarsi dall'auto in corsa. Fortunatamente il suo buonsenso la fermò dal compiere tale gesto, anche se per tutto il tragitto l'idea le balenò in testa una decina di volte. Arrivarono infine al posto, un locale grande con un insegna al neon verde fluorescente che diceva a chiare lettere "Vortex Club"

-Siamo arrivate a destinazione. Si va a far conquiste- Esclamò tutta contenta Steph, dando un colpetto al pupazzetto con la testa ciondolante di Darth Vader sul cruscotto. La ragazza tolse la sicura, sbloccando gli sportelli e facendo segno a Max di scendere.

-Tu scendi pure e vai avanti. Io parcheggio e ti raggiungo al bar- Promise lei, tirando su il cappellino con la palla infuocata disegnata sul lato. Max non aveva la minima intenzione di dare ascolto all'amica. Andare da sola in un locale? Era impazzita per caso? Il sorrisetto di Steph non faceva presagire niente di buono.

-Oh andiamo fifona. Lavori come Sherlock Holmes, che vuoi che sarà mai un locale?- Le disse, dandole una spinta (letteralmente) per farla scendere dalla macchina. L'investigatrice si ritrovò costretta a uscire dal veicolo, impossibilitata ad entrare dato che Steph la chiuse subito fuori. Abbassò leggermente il finestrino, sporgendosi per darle un biglietto. Era completamente bianco con un cerchio nero al centro.

-Cosa ci dovrei fare?- Le chiese rigirandoselo tra le dita, non capendo o forse troppo nervosa per capire. Sentì Steph sospirare e mettersi una mano sulla fronte, scuotendo il capo alla sua domanda.

-Devi mostrarlo al buttafuori genio. Altrimenti non ti fa entrare, puoi anche saltare la fila con quello. E tranquilla, ho il mio.- Detto ciò tirò su il finestrino e andò a parcheggiare senza attendere alcuna risposta da parte dell'amica. Max osservò l'altra andarsene, lasciandola lì da sola. Alzò il capo al cielo, ammirando le poche stelle visibili in cielo. Aveva smesso di piovere, per fortuna, ma alcune nuvole restavano minacciose a fissare gli abitanti di Seattle.

Titubante si decise ad avvicinarsi all'entrata. Come detto da Steph non seguì la fila, saltandola e sentendo numerosi insulti venirle rivolti da chi attendeva da chissà quanto. In cima alla fila c'era un uomo grosso quanto un armadio che, per quanto faceva freddo, indossava solo una cannottiera nera. Visibilmente muscoloso, aveva le braccia, completamente tatuate da simboli maori, incrociate al petto. La squadrò, fissandola con uno sguardo truce. Prese un bel respiro e mostrò il lasciapassare. Lui lo studiò per un paio di secondi prima il lasciapassare, poi di nuovo lei. Infine scoppiò a ridere, una risata fragorosa, probabilmente dovuta al fatto che Max sembrava un topolino spaventato, mentre andava a togliere il nastro rosso che impediva l'entrata.

-Entra pure- Le disse con voce tonante, tornando a prestare attenzione ai presenti nella fila che iniziarono a protestare davanti a quel favoritismo. Prima che la faccenda diventasse una rissa, l'investigatrice optò per varcare velocemente la soglia e lasciarsi tutto alle spalle. Una scelta saggia visto che dopo un paio di secondi sentì urlare il buttafuori insulti in una lingua sconosciuta. 

L'interno era pieno di gente. Una sala da ballo ampia dove molte persone stavano, per l'appunto, ballando seguendo la musica del deejay sparata a tutto volume dalle casse degli amplificatori. Ai lati del locale c'erano delle zone con dei divanetti in pelle, zone dove si poteva conversare, bere o fare altro. Vide un bancone e vi si avvicinò, facendosi strada tra la calca. Arrivata alla sua meta, dopo aver dato spintoni per poter raggiungere il bancone, vi ci si buttò sopra come se fosse una naufraga alla ricerca di un salvagente.

-Cosa ti porto?- Domandò il barista, la voce poco chiara a causa della musica, rivolgendole un occhiata e dopo aver notato la sua titubanza decise di lasciarla momentaneamente perdere in favore di altri clienti. Max prese un bel respiro e quando il barista tornò a darle attenzione parlò, cercando di alzare il tono di voce per farsi sentire sopra la musica.

-Hai un succo di frutta?- Chiese ricevendo un occhiata stranita e divertita dall'uomo dietro al bancone. Scosse il capo guardandola con un che di derisorio nello sguardo, quasi incredulo di aver ricevuto una richiesta del genere.

-Dammi un bicchiere d'acqua allora- Il barista alzò gli occhi al cielo, scosse lievemente il capo e le servì la sua acqua. Se quello era l'inizio della sua serata poteva star certa che avrebbe collezionato altre pessime figure e occhiate al cielo. Non era adatta a quel posto, era fin troppo evidente. Prese il bicchiere di vetro tra le mani, sospirando mentre lo sorseggiava con la stessa attenzione con cui si potrebbe bere un superalcolico.

Sentì le occhiate di qualcuno addosso, e non erano occhiate piacevoli. Sentirsi osservata aumentò ulteriormente il suo disagio, sperò di trovare presto Steph ma l'amica sembrava metterci un eternità ad arrivare. Senza contare che non aveva molte persone con cui conversare. Il motivo? Oltre alla musica non aveva molta compagnia. Alla sua destra un uomo sulla cinquantina urlava a squarciagola ubriaco, probabilmente pensando di cantare mentre alla sua sinistra un ragazzo e una ragazza pomiciavano cosi intensamente da non rendersi conto che ogni tanto andavano a sbatterle contro. 

Ad un certo punto non riuscì più a trattenersi. Lasciò il bancone, scostandosi e facendosi strada a gomitate. Nel farlo qualcuno le rovesciò addosso un intero calice pieno di un liquido non definito, probabilmente alcolico, inzuppandola tutta la felpa e la maglietta. Si mise alla ricerca di un posto tranquillo, un posto doveva poteva stare sola con i propri pensieri senza che nessuno la guardasse troppo. Vide i bagni ma rabbrividì (e arrossì violentemente) al pensiero di cosa potevano farci alcune coppie. Dopotutto, più o meno, sapeva come funzionava nei locali di quel tipo.

Si acquattò contro la parete, camminandoci contro fino a trovare una maniglia. Non era un bagno da quanto poco vedeva, mise la mano sulla maniglia e spalancò la porta, chiudendosela alle spalle. Sospirò, finalmente sola. Le orecchie le facevano male, la musica era troppo forte per i suoi gusti e pensò che se ci fosse rimasta avrebbe perso l'udito.

Era buio, non si vedeva molto ma doveva essere finita in una sorta di "dietro le quinte". C'era una scala che portava a un piano inferiore e ad uno superiore. Decise di salirla, andando su, sempre più fino a trovarsi davanti a una porta di metallo. Era pesante e fredda ma preferì di gran lunga entrarvi dentro che tornare indietro. Spinse e si ritrovò sul tetto del locale. 

-Ma che?- Perchè quella porta non era chiusa? Chiunque sarebbe potuto entrare da lì con della buona volontà e tanta agilità. Non distava molto dagli altri tetti e chiunque avrebbe potuto aggirare l'attenzione della sicurezza ed entrare dentro gratis. Scosse il capo, cercando di distrarre la mente da quei pensieri e stringendosi nel sentire il freddo attanagliarla a causa dei vestiti bagnati. Faceva l'investigatrice da troppo e ormai la sua mente vedeva enigmi ovunque. 

Rimase in silenzio, la musica che si riusciva a sentire anche da lì, alzando gli occhi al cielo per guardare le stelle.

Seattle 5 Ottobre 2018 Ore 20:25 PM

Chloe era rimasta indecisa dopo l'incontro con W. Indecisa se andare a casa, correndo il rischio di incontrare David ma rassicurare sua madre oppure di andare direttamente al luogo indicatole dal suo "amico". Alla fine, dopo una lunga riflessione (ma mica tanto) aveva deciso per la seconda. Fin da subito aveva notato come la fila per entrare nel locale richiedeva tempo, tempo che lei non poteva perdere in simili sciocchezze. Saltata la fila senza troppi complimenti, era stata fermata da una manata del buttafuori.

-Non si entra- Aveva stabilito con voce tonante. Chloe aveva stretto i pugni, se avesse voluto poteva stenderlo ed entrare ma non sarebbe stato furbo. Avrebbe attirato attenzioni indesiderate e lei non voleva perdere tempo. Si era quindi allontanata, alzando i medi in direzione del buttafuori che si era limitato a sorriderle beffardo.

Doveva usare l'ingegno, cosa che non mancava a una come lei. Si allontanò quanto bastava per studiare la zona circostante, trovando un accesso su un tetto vicino al locale. Salì la scala antincendio del palazzo, arrampicandosi in vari punti strategici e, grazie alla sua straordinaria agilità, riuscì ad atterrare sopra al Vortex Club. Aveva tanto desiderato sporgersi e urlare un grosso "Fottetevi stronzi" a quelli che stavano sotto ma si era trattenuta. A fatica ma si era trattenuta.

Trovò una porta di metallo. Pensò di doverla sfondare a calci ma si accorse che non era necessario dato che non era bloccata. Non vi ci pensò più di tanto, preferendo ringraziare la dea bendata per quella botta di fortuna e approffitarne. Entrò nel Vortex Club senza che nessuno si accorgesse di nulla. Andò a chiedere in giro se avevano visto una ragazza con la descrizione fornitagli da W ma, i pochi che non la schifavano e non la ignoravano, non trovò niente. Osservò la gente andare e venire ma nessuno corrispondeva nemmeno per sbaglio. Lanciò diverse imprecazioni e si trovò a rifiutare le avances di un paio di idioti che avevano deciso di portarla a ballare a qualsiasi costo.

-Dai dolcezza- La invitava un tipo con un piercing al labbro. Se in un altro momento avrebbe riso in faccia al tipo, in quel momento l'istinto era di prenderlo a calci. Per chissà quale miracolo mantenne il proprio autocontrollo almeno fino a quando questi non allungò le mani, tastandole il posteriore. A quel punto ogni pensiero andò a farsi benedire. Afferrò le spalle del ragazzo e diede una poderosa ginocchiata nei testicoli.

Il tipo guaì come un cagnolino a cui avevano pestato la coda, portando le mani ai gioielli di famiglia e accasciandosi al suolo dolorante, venendo soccorso dagli amici che avevano assistito alla scena e se la ridevano divertiti. Chloe scavalcò il tipo che aveva appena steso e avendo perso la pazienza ritornò sul tetto. Le informazioni erano sbagliate, W si era sbagliato o semplicemente l'aveva presa in giro. Era furiosa, aveva perso tempo prezioso. Aveva l'impulso di chiamare a casa e sentire sua madre ma sapeva che avrebbe risposto David, e l'ultima cosa di cui aveva bisogno era sentire la voce del Coglionello. Arrivata davanti alla porta di metallo la spalancò con un calcio e una volta uscita urlò a denti stretti un sonoro:

-Cazzo!- 

Solo dopo si accorse che non era da sola su quel tetto. Non si sarebbe preoccupata di ciò ma quando gli occhi incontrarono quelli dell'altra si ammutolì. Era la ragazza del treno, quella a cui era finita addosso e che faceva l'investigatrice privata, seduta su un aggeggio di metallo di forma rettangolare. Come si chiamava la giovane? 

-Chloe?- Salutò l'investigatrice con un tono poco convinto del nome. Si rese conto che l'investigatrice la stava fissando con imbarazzo e timore. Dopotutto se qualcuno spalanca una porta a calci e si mette a urlare con rabbia non si può fare molto.

-Si, si è il mio nome- Si limitò a dire. Silenzio imbarazzante, non riuscì a pensare ad una frase logica da dire e ci stava pensando. 

-Tu sei...Max giusto? Max Caufield- Si ricordò solo in quell'istante il nome dell'altra, letto di sfuggita sul suo biglietto da visita. L'altra annuì con un cenno del capo, accennando un sorriso.

-Cosa ci fai qui da sola?- Le domandò, accennando un paio di passi per avvicinarsi a lei. La mano destra infilata nella tasca dei pantaloni. La giovane scrollò le spalle, alzando lo sguardo al cielo.

-Volevo guardare le stelle- Chloe la guardò stranita ma anche incuriosita, sentendo un nonsochè di speciale nell'altra.

-E poi non riuscivo a stare di sotto. La musica era troppo forte, la gente mi schiacciava e...-

Si portò la maglietta nera al naso, facendo un espressione alquanto disgustata nel sentire un odore forte provenire dal tessuto.

-Mi hanno inzuppato tutti i vestiti e puzzo come se mi avessero gettato nell'alcool etilico- Rivelò, abbassando il capo dopo quel piccolo sfogo, osservandosi con improvviso interesse le scarpe di ginnastica. Senza domandare o chiedere il permesso Chloe prese posto al fianco dell'altra, sorridendo divertita alle sue dichiarazioni. L'altra non protestò, accettando la vicinanza senza dire niente. Altri secondi di puro silenzio prima di tornare a parlare.

-Non ti spiace vero se ti faccio compagnia per un po'?- Nessuna risposta per cui prese quel silenzio come un assenso alla sua richiesta.

-Price- L'investigatrice la guardò interrogativa

-E' il mio cognome, Chloe Price. Io so il tuo quindi...- La frase rimase senza una continuazione. Le parole morirono prima di trovare forma e si ritrovò ad ammutolirsi.

-Non mi sembri il tipo da venire a questo tipo di locale...- Iniziò Chloe, sperando che Max continuasse da sola senza dover andare a domandarle direttamente ma l'investigatrice rimase in silenzio. Chloe la guardò e la vide tremolare. Tremava cercando di non farsi notare, stringendosi tra le braccia per non sentire il freddo dovuto ai vestiti bagnati. Senza nemmeno pensarci Chloe si tolse la giacca di pelle, mettendogliela sulle spalle. A quel gesto inaspettato l'investigatrice si ritirò, dubbiosa.

-Ehi, non morde mica- Le rifilò l'altra ridacchiando. Max sembrava ancora titubante ma alla fine accettò quel dono, avvolgendosi in esso. Era di qualche taglia più grande, non che ci voleva tanto visto quanto era minuta Max ma ciò era un bene. L'investigatrice riuscì a coprirsi e a mantenersi al caldo. La giacca odorava d'erba e di birra, odori non molto graditi al suo naso, ma tutto sommato la aiutava a non sentire il freddo quindi non si lamentò.

-Grazie- Le disse, sorridendole grata per quel gesto di gentilezza inatteso. Chloe si limitò a ricambiare il sorriso, mettendosi anche lei ad osservare le poche stelle assieme all'altra. Restarono in un religioso silenzio per un tempo non ben definito. Tempo dove ognuna guardava l'altra, rifilando occhiate quando erano sicure di non essere viste. Max guardava i capelli blu di Chloe, ammirandoli mentre Chloe cercava di guardare i suoi occhi azzurri come il mare. Alla fine la blu sbuffò, portando le mani dietro alla testa e mettendo in mostra il proprio tatuaggio.

-E' inutile, qui le stelle non si vedono con tutte queste dannate nuvole- Borbottò, accorgendosi solo dopo che Max si era messa a guardarle il braccio tatuato.

-Mh? Che c'è?- Le domandò.

-Niente, guardavo il tuo tatuaggio. E' molto bello- Chloe si guardò il braccio come se vedesse quel disegno marchiarle la pelle per la prima volta. Scrollò le spalle, sorridendo.

-Alcuni dettagli li ho fatti quando ero bambina. Alcuni infatti derivano dalle mie passioni. Questo ad esempio...- E andò a toccarsi con l'indice il teschio dorato, avvolto da spirali di rovi verdi.

-Mi ricorda la passione che avevo da piccola per i pirati. O meglio la passione che avevo ed ho ancora- Rivelò, sorprendendosi di come stava rivelando certi particolari a una persona che in fondo aveva incontrato solo un paio di volte e che non conosceva per davvero. Si stupì di come si sentiva a proprio agio con l'investigatrice. Forse era perchè sembrava cosi fragile, cosi...buona ma non stupida.

-Curioso, anche io da piccola avevo una passione per i pirati. Ci giocavo spesso ma quasi mai trovavo qualcuno che giocasse assieme a me.....ma tu non senti freddo? Ti ammelerai così- Interruppe il suo discorso quando notò che senza la giacca era Chloe ad essere rimasta scoperta. L'altra scosse il capo, tranquillizzandola.

-Nah, sono una tipa tosta io. Non mi ammalo facilmente- Affermò con un tono sicuro di se e sfacciato. Nonostante quelle parole Max si tolse dalle spalle la giacca, o almeno da una spalla. Si spostò con il fondoschiena, appoggiando il fianco contro quello dell'altra e gettò la giacca attorno alla spalla opposta di Chloe. Un gesto inatteso che la prese alla sprovvista.

-Non c'era bisogno....- Disse ma Max la interruppe nuovamente.

-La giacca è tua. E' ingiusto che la indossi io no?- Chiese retorica.

Chloe la guardò negli occhi, fissandola per poi farle una sempliccissima domanda con un sorriso a piegarle le labbra.

-Ci stai provando con me per caso?- Una domanda talmente semplice che Max si ritrovò a trasformarsi improvvisamente in un semaforo.

-Cosa? No, no, no. Stava...stavo...io stavo solo...- Vedendola balbettare e annegare nelle sue stesse parole, l'altra si ritrovò a ridere. Max si morse il labbro inferiore, storcendo il naso ancora imbarazzata da quella domanda. Chloe le diede un colpetto con il dito indice sulla punta del naso, continuando a ridacchiare.

-Scherzavo, tranquilla- Le disse con un occhiolino mentre Max gonfiava le guance come una bambina che aveva appena subito un dispetto. Se qualcuno le avesse viste non avrebbe mai pensato che si erano appena conosciute.

-Sei una tipa strana Chloe- Borbottò l'investigatrice privata.

-Già, me lo dicono spesso- 
Seattle 5 Ottobre 2018 Ore 20:45 PM

Steph parcheggiò la propria automobile dopo un lungo vagare alla ricerca di un posto libero. Alla fine lo aveva trovato ma si era allontanata troppo, ci avrebbe messo parecchio ad arrivare. Certo a piedi ci avrebbe messo un eternità ma se invece non avesse usato i piedi...

No. Non poteva farlo, non doveva correre rischi, non in un periodo del genere. Si mise a camminare, aumentando il passo e mantenendo una velocità contenuta. Nella mano destra stringeva le chiavi dell'auto, giocando e facendole tintinnare continuamente tra loro. Faceva freddo ma lei sopportava abbastanza bene le basse temperature. Il cellulare le vibrò nella tasca e si fermò per tirarlo fuori.

Da Mickey a Steph

"Domani mattina potresti portarmi quella cosa che ti ho chiesto?"

Da Steph a Mickey

"Se non sarò in dolce compagnia lo farò volentieri"

Sorrise, riprendendo a camminare ma mantenendo il cellulare nella mano sinistra, dando un occhiata allo schermo di tanto in tanto. In breve tempo arrivò una risposta da parte del suo migliore amico: una fila enorme di un emoticon imbarazzata che arrossiva e subito dopo una seconda fila di un emoticon che le mostrava il pollice in su. Schiacciò i pulsanti della tastiera dello schermo, digitando un messaggio in risposta.

Da Steph a Mickey

"Chiudi per bene le finestre. Ultimamente fa freddo"


Finito di digitare quella risposta si rimise il cellulare in tasca, facendo un bel respiro e creando una nuvola di respiro ghiacciato a causa del freddo. Era praticamente arrivata quando qualcosa le atterrò sulla testa cadendo poi per terra, destandola completamente dai suoi pensieri. Sbattè le palpebre confusa e disorientata, toccandosi la testa infastidita. Era stato un insetto? Una cacca di uccello? Niente di tutto questo. Abbassò lo sguardo, cercando per terra la causa di quella piccola botta. Ai propri piedi trovò una sigaretta mezza consumata e ancora accesa.

Alzò lo sguardo. Niente e nessuno. Magari era stato solo quache idiota sui tetti? Qualcuno atterrò dietro di lei, sentì chiaramente la presenza di qualcuno alle proprie spalle. L'istinto prese il sopravvento. Ruotò il busto di scatto, andando a tentare di colpire con un pugno preventivo la persona dietro di lei. Il suo pugno venne afferrato e bloccato al volo. I suoi occhi incrociarono lo sguardo di quel qualcuno e si rilassò.

Mano rilasciata e riportata lungo il fianco. Steph sbuffò, storcendo il naso non gradendo quella visita inopportuna. Il cellulare le vibrò in tasca ma stavolta lo lasciò lì dove si trovava, fissando con intensità chi aveva davanti.

-Ti sembra il momento di fare visite? Ho un impegno e un amica che mi sta aspettando- Borbottò la giovane. Nessuna risposta, silenzio. Veniva guardata e basta, senza ricevere alcuna risposta alle proprie parole.

-Hai perso la lingua per caso?- Senza ricevere nuovamente una risposta decise di lasciar perdere quella faccenda.

-Ah, fanculo. Non ho tempo da perdere con te- E voltò le spalle, facendo per incamminarsi quando la figura dietro di lei la colpì. Un colpo duro sulla schiena che le provocò un forte dolore, facendola urlare per la sorpresa ma anche per la sofferenza. Un altro colpo, stavolta un calcio al ginocchio che aveva come obiettivo quello di far perdere l'equilibrio.

Caddde, mani sul marciapiede lurido. Provò a voltarsi ma le arrivò un altro colpo, stavolta in mezzo alle scapole, e subito un altro ancora questa volta sulla nuca. Dolore, bruciante e orribile. 

-Ma che...stai...facendo?- Balbettò, le mani che si incendiavano, ricoprendosi di fiamme scarlatte. Inutile, un gesto totalmente inutile. Con la stessa facilità con cui si erano accese, le fiamme iniziarono lentamente a dissiparsi nel momento in cui il freddo metallo le attanagliò la gola, stringendo con forza. Le mani di Steph strinsero la catena, cercando di sciogliere il metallo, ma più questo premeva contro la carne e più le fiamme diventavano deboli fino a spegnersi del tutto. Quando le fiamme si spensero completamente, anche Steph si spense. L'aggressore strinse la catena attorno al suo collo anche dopo che Steph aveva smesso di muoversi. Il metallo scivolò via dalla carne, lasciando andare il corpo di Steph che si accasciò al suolo, ormai privo di qualsiasi segno di vita.

La figura la colpì con la punta dello stivale, assicurandosi della sua morte prima di piegarsi sulle ginocchia e frugare nelle tasche. Prese il portafogli contenente solo qualche banconota spiegazzata e la carta di credito, continuando a rovistare e a prendere tutto ciò che la ragazza aveva con sè. Le chiavi tintinnarono tra loro quando le afferrò, studiandole con calma prima di prendere anche quelle. Non le lasciò niente, nemmeno il portachiavi di D&D o il pupazetto di un emoticon giallo limone. La derubò di qualsiasi oggetto poteva avere addosso, dando un occhiata in giro mentre faceva quella perquisizione. Nessuno aveva assistito alla scena, nessuna telecamera aveva ripreso la sua morte avendo scelto un punto strategico per tale motivo. Fortuna l'avrebbe chiamata qualcuno, professionalità qualcun altro. Prese anche la mezza sigaretta fatta cadere sulla testa di Steph, gettandola dentro a un bidone della spazzatura. Infine si allontanò.

Guardò per l'ultima volta il cadavere della sua vittima, agitando il braccio per far aggrovigliare la catena attorno ad esso. Il secondo dopo quella misteriosa figura assassina era sparita, letteralmente, in una nuvola di fumo grigio.
 
Angolo dell'autore:

E finisce così il quarto capitolo "Vortex Club". Non mi aspettavo di finirlo così presto sinceramente. Pensavo ci sarebbe voluto di più ma fortunatamente in questo periodo ho una sorta di ispirazione divina. C'è stata molta poca azione in questo capitolo ma, a dire il vero, in origine non doveva esserci nemmeno quel poco di azione. La scena con Steph mi è venuta così all'improvviso, mentre scrivevo e così ho deciso di inserirla dopo la scena di Chloe e Max. Mi sarebbe piaciuto tenerla come personaggio per un altro capitolo ma, dato che ci sono parecchie cose da fare, era meglio accorciare i tempi (anche se di poco)

Finalmente le nostre due, tanto amate, protagoniste si sono incontrate. Il motivo per cui non ho messo una fine al loro incontro è perchè mi piaceva troppo lasciarle lì a guardare le (pochissime) stelle nel cielo di Seattle. Questa scena è stata quella che ho scritto per prima, dato che l'avevo in testa da tempo. Potrei aver fatto una leggera confusione con gli orari nella fretta e a questo proposito sto pensando di toglierli, lasciando solo la data in cui si svolge il momento. Che dite?

Ci si vede al prossimo capitolo (che non ha ancora un titolo) che se tutto va bene potrebbe uscire anche questo prima di Luglio.

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Capitolo 5
*** Una tempesta in arrivo ***


Seattle 5 Ottobre 2018

Stare in compagnia di Chloe era strano. Non strano perchè l'altra faceva qualcosa di strano ma perchè anche se si erano appena conosciute le sembrava di conoscerla da una vita. Era simpatica e aveva una sorta di fascino che non sapeva spiegarsi. Forse era quella chioma azzurra o il suo modo di fare cosi diverso dal suo ad attrarla. Non sapeva stabilirlo e la cosa la faceva impazzire. Era abituata a scoprire le cose, capire le proprie emozioni e capire le persone con uno solo sguardo, studiando i dettagli su di loro come un critico poteva fare con un quadro. Ma non ci riusciva con Chloe per una qualche ragione.

Magari era anche per questo che aveva deciso di fermarsi a parlare con la ragazza. Forse perchè dopo essere passata in un incubo fatto locale, lei era stata in grado di farla sorridere con il suo modo di fare gentile, anche se Max era solo una sconosciuta per lei. O forse dietro c'era un altro motivo. Era difficile da spiegare ma si sentiva fin troppo a proprio agio con Chloe, qualcosa le punzecchiava la testa ma non capiva cosa e questo le impediva di concentrarsi a dovere. Chiaccheravano amichevolmente e, ad una prima occhiata, anche Chloe sembrava essere a suo agio con lei. Aveva deciso di farla parlare ancora, di scucirle qualcosa per capire il segreto del fascino di Chloe.

Si erano raccontate a vicenda qualche episodio sulla propria vita senza andare troppo nel dettaglio ma imparando a conoscersi. Stavano facendo amicizia in pratica. Chloe rivelò che il suo patrigno era un poliziotto, o come diceva lei: uno stronzo che voleva comandarla a bacchetta. Scoprì anche di come sua madre lavorava come cameriera e di come secondo lei era la donna più buona del mondo.

Max le rivelò di come aveva lavorato come fotografa freelance per un giornale, qualche tempo prima di iniziare la sua attività d'investigatrice privata. Le rivelò le passioni e più parlavano, più si accorgeva di una cosa. Se su alcuni aspetti erano completamente in sintonia, in altri erano tutt'altro che simili. A Chloe piaceva bere birra e alcolici, fumare erba, attirare l'attenzione con quei magnifici capelli blu e il suo modo di vestire stile "cattiva ragazza" mentre Max non fumava, non beveva e preferiva restare nell'ombra. Avevano caratteri diversi eppure stavano bene insieme. L'investigatrice le disse che era in compagnia di una sua amica quella sera, descrivendogliela per vedere se l'altra poteva averla incontrata, anche per puro caso. Quando sentì la descrizione Chloe fece una faccia strana, scuotendo il capo in maniera vistosa. Chloe iniziò a farle un paio di domande riguardo la sua amica, per curiosità pensava Max.

-Come si chiama questa tua amica?-

-Steph. E' un tipo particolare e penso che la incontrassi saresti il suo tipo....o lei il tuo- L'aveva buttata lì, giusto per raccogliere altri indizi su di lei. La ragazza dai capelli blu sorrise prima di ridacchiare sotto i baffi con un che di mesto e scuotere il capo in segno di diniego.

-Nah, sono una ragazza particolare io e ho gusti particolari. E poi l'ultima relazione che ho avuto con una ragazza è finita da schifo quindi...- Scrollò le spalle e, seppur Max era curiosa di sapere di più su Chloe, optò per sorvolare sull'argomento.

Raccontò di come Steph era una ragazza lesbica, buttata fuori di casa a calci dai genitori omofobi ma di come nonostante questo era felicissima perchè sostenuta dai propri amici. Avevano un bel rapporto loro due anche se non erano amiche molto strette. Le raccontò di come si erano conosciute per caso quando, un giorno mentre stava facendo foto in giro una ragazza dai capelli neri era venuta con uno sguardo furibondo a toglierle la fotocamera dalle mani. La tipa in questione era la fidanzata di Steph, gelosa come una iena, che credeva stesse fotografando Steph. Quest'ultima era subito arrivata a sbollentare la situazione, restituendole la fotocamera e dopo aver cacciato la sua ragazza in malomodo le aveva chiesto scusa per quanto accaduto. Da lì era stato tutto in discesa, scoprendo di avere delle amicizie in comune avevano iniziato a fare qualche uscita, ed erano diventate grandi amiche. Chissà come sarebbe finita la serata se non avessero sentito le sirene della polizia.

Chloe si era innervosita quando le sentì, mostrandosi tesa come la corda di un violino. L'investigatrice lo notò, guardandola una seconda volta e stava per chiederle qualcosa al riguardo quando altre sirene arrivarono. Non ci avrebbe fatto nemmeno caso, dato il quartiere dove si trovavano, ma il numero di sirene sopraggiunte nelle vicinanze era decisamente elevato.

-Ma che succede?-

 

Seattle 5 Ottobre 2018 

 

"La vita di un poliziotto fa schifo" Era questo che si stava ripetendo mentalmente da quando erano arrivati sulla scena.

Un sospiro profondo. Le mani andarono alle tempie, andando a massaggiarle in senso orario. La testa sembrava sul punto di esplodere e lo stomaco sembrava essere pronto a far risalire la cena del mese scorso. Lanciò un'imprecazione sottovoce, maledendo quel suo collega e i suoi dannati intrugli per smaltire rapidamente la sbornia. Certo, non poteva dare tutta la colpa a quello che si era bevuto prima e dopo essersi ubriacato per giustificare il suo stato d'animo. La morte di un collega, la visita di Rachel Amber e ora il corpo senza vita di una ragazza.

Raymond Wells non ne poteva davvero più. Aveva pensato mille volte di lasciare la polizia, andarsene in pensione e trovarsi una casa fuori Seattle ma ogni volta si era ritrovato più convinto di prima a restare, nonostante gli orrori che passavano dinanzi ai suoi occhi. Era con tristezza che guardava il cadavere della giovane, una persona il cui volto era ben noto a Wells per svariati motivi.

Il primo tra tutti era perchè lui stesso aveva arrestato la ragazza diversi anni prima per piccoli furti, reati di poco conto e una volta per atti osceni in luogo pubblico, oltre alle numerose multe. Il secondo era perchè Max era sua amica e di conseguenza lui la conosceva. Un paio di volte era capitato in loro compagnia, e un paio di volte Steph si era mostrata gentile nei suoi confronti tanto da guadagnarsi la sua simpatia nonostante il poliziotto non chiudesse mai un occhio sulle multe per eccesso di velocità.

Scosse il capo, tirando il lenzuolo per coprirle il viso. Mormorò qualcosa sottovoce e poi si rialzò, muovendo i primi passi verso i suoi colleghi. Erano tutti molto agitati, non per l'omicidio ma per quanto era avvenuto poche ore prima. Il capo della polizia frantumato per mano di Rachel Amber, le accuse fatte vere o non vere che sembravano sputare su ogni singolo poliziotto al servizio di quell'uomo e poi di come aveva invaso il loro posto di lavoro, facendone la propria "dimora". Stavano per iniziare dei bei casini, lo sapeva fin troppo bene.

Camminò con passio ciondolante, raggiungendo due uomini che stavano rassicurando una donna dai capelli lunghi grigi e vestita con abiti logori. Una pelosa coperta grigia le era stata posata sulle spalle, sia per coprirla dal freddo notturno sia per lo shock appena subito.

-Signora...?- Chiamò Raymond attirando su di se lo sguardo della donna. Occhi stanchi di una poveretta che ne aveva passate tante e che ora doveva affrontare anche una cosa del genere.

-Sono Raymond Wells, della omicidi. Mi può raccontare cosa è successo?- La donna diede un cenno di assenso con il capo, aprendo la bocca e mostrando come essa era sprovvista di alcuni denti e di come alcuni di essi erano marci.

-Stavo tornando a casa o meglio al vicolo che chiamo casa. Ad un certo punto ho visto il corpo di quella povera ragazza disteso sul marciapiede. Ho pensato stesse dormendo o che fosse svenuta per l'alcool o per la droga. Qui c'è un locale e capitano spesso certe cose sa? Più di una volta mi sono ritrovata maltrattata da alcuni di loro. Comunque non appena mi sono avvicinata per vedere in che stato fosse ho provato a darle qualche colpo, per svegliarla e insomma aiutarla ad andare via. Non è bene per le ragazze starsene da sole di notte. Sopratutto in uno stato di incoscienza. Purtroppo alla fine ho compreso di come non respirasse e sono subito corsa a chiamare aiuto. Questo è quanto- La voce della donna era roca, strideva come le unghie di una mano contro la lavagna e aveva un tono basso ma a un volume di voce comprensibile. Raymond ascoltò tutto senza interromperla mai.

-Ha visto qualcuno di sospetto aggirarsi nelle vicinanze? O qualcosa di strano particolarmente rivelante?- Comuni domande di rito a cui la donna rispose in maniera negativa. Nessuno era nelle vicinanze, niente di strano era successo e alla fine i poliziotti si ritrovavano con un pugno di mosche in mano.

-E' stata molto utile. Grazie della sua collaborazione- Detto questo si allontanò, socchiudendo gli occhi per un istante. Evitando di guardare il corpo celato dal lenzuolo bianco. Era strano, dopo tanti anni doveva averci fatto l'abitudine ai cadaveri, al fatto che non poteva "salvare" tutti. Si doveva essere arreso all'evidenza di come una parte del mondo era marcia e che certe cose accadevano e basta. Invece no, non ci si abituava mai a vedere una persona morta. Al massimo si imparava a nascondere quanto tale vista poteva sconvolgere, questo si. E si cercava di fare del proprio meglio affinchè certe cose non si ripetessero, evitando che qualcuno potesse soffrire ancora.

-Ray, cosa succede?- Quella voce bastò a fargli sgranare gli occhi e a pietrificarlo sul posto. Degludì, prendendo un bel respiro e voltandosi lentamente verso Max che lo fissava con un occhiata interrogativa. Accanto a lei una ragazza dalla chioma blu, ignorata bellamente dal poliziotto concentrato solo sul viso dell'investigatrice. La sua confusione, le domande nascoste dietro un paio di iridi color oceano.

"La vita di un poliziotto fa proprio schifo"

 

Seattle 6 Ottobre 2018 

 

-Arrenditi!- Urlò una voce minacciosa, avanzando in direzione di una figura maschile dal volto semi coperto da un cappuccio, illuminato parzialmente dalla luce lunare. Un colpo d'energia viola lo colpì alla schiena, facendolo gemere di dolore e fermando la sua fuga. Il bersaglio era caduto a terra, una perfetta occasione per attaccare e finirlo.

-Mai- Questa la risposta, accompagnata subito da un colpo simile a quello ricevuto ma verde acido. L'uomo con il cappuccio aveva una pessima mira dato che il suo aggressore riuscì facilmente a scansare l'attacco. Subito si rimise in piedi per fronteggiarlo, appena in tempo per parare un calcio e contrattaccare con un pugno, a sua volta parato. Lo scontro continuò così per un tempo indefinito, con attacchi sempre seguiti da una parata e un contrattacco. Sempre cosi, corpo a corpo. Fino a quando la stanchezza non iniziò a pesare sui due.

Il primo a pagarne le conseguenze era l'uomo incappucciato che, per la troppa stanchezza, non riuscì a schivare un pugno alla mascella. Si ritrovò letteralmente a volare, sbalzato via, e a impattare la schiena contro un muro di mattoni. Provò a muoversi ma il suo avversario era veloce e afferrò i suoi polsi, costringendolo a stare compattato contro il muro.

-Questa lotta è inutile. Smettila di lottare, sai che sarò io a uscirne vincitore- Sibilò ma l'uomo incappucciato non sembrava volersi arrendere. Spinse, cercando di liberarsi.

-Questo è ancora tutto da vedere- Riuscì a liberarsi quanto bastava per dare una ginocchiata allo stomaco, un colpo fatto per indebolire l'avversario e fargli perdere presa sulle sue mani. Scivolò rapido dietro l'altro, prendendolo e lanciandolo contro il muro che si infranse, tale era la potenza del colpo. Entrambi si ritrovarono dentro al salone di una casa disabitata visto che nessuno era accorso in quel trambusto.

Le mani dell'uomo incappucciato iniziarono a brillare di un intenso verde cosi come quelle del suo avversario si illuminarono di viola. Restarono fermi, uno dinanzi all'altro a guardarsi come la scena di un film western, come due cowboy pronti a spararsi allo scoccare di mezzogiorno.

-Vuoi davvero finirla in questo modo?- Domandò il suo aggressore

-Vorrei ci fosse un altra strada. Ma tu non mi lascerai in pace e non lascerai in pace le persone a cui voglio bene. Non ho scelta. Devo distruggerti prima che tu distrugga me- Le luci di entrambi gli uomini si fecero più intense, più forti.

-Cosi sia allora- Urlò l'altro. Nello stesso istante i flussi si andarono a scontrare. Verde contro viola, due energie completamente diverse ma di un intensità potente come bombe atomiche che si scontravano. La terra tremò sotto dimostrazione di tale potere, e le due onde si mescolarono tra loro, gonfiandosi in un nucleo sempre maggiore. Infine giunse l'esplosione.

Qualcosa che scaraventò entrambi in direzioni opposte, infrangendo completamente la casa e riducendo in cenere ogni ostacolo sul proprio cammino. L'uomo incappucciato aprì gli occhi, tossendo e rimettendosi in piedi dolorante. Raggiunse in breve tempo l'altro uomo, guardando come questi era a terra, sconfitto e inerme.

-Alla fine la giustizia trionfa sem...- La sua frase non trovò fine perchè la porta della stanza si aprì. Il bambino si voltò, lasciando i due giocattoli sul tavolo e rimettendosi composto. Sistemando veloce le cose che aveva buttato e capovolto per fare il suo mitico scontro tra eroi e cattivi. Le mani si misero sulle ginocchia e la bocca si chiuse di scatto come una molla mentre la ragazza entrava e si avvicinava a lui.

-Ciao- Lo salutò lei. Era una ragazza dai capelli biondi, vestita in un modo strano che gli ricordò molto l'abito di uno stregone o di un giullare. Ne aveva visti alcuni nei film medievali e cavallereschi, oltre al fatto che due anni prima vi andava matto per certe cose. Ora preferiva i supereroi, come si poteva notare dal mantello rosso sulla sua schiena e dalla sua maschera di cartone appoggiata sul naso.

Non rispose subito al saluto della ragazza, osservandola sospettoso e titubante prima di accennare a una sorta di "salve". La ragazza sorrideva, un sorriso gentile e rassicurante. Il suo abito era dotato di un cappuccio ma lei lo aveva calato, e portava anche una maschera solo che era stata tolta e messa attorno al collo come un paio di occhiali da aviatore. Il bambino si sistemò la maschera di cartone blu che copriva soltanto gli occhi, lasciando scoperti naso e bocca, come a non voler essere riconosciuto. La sconosciuta lo guardò per un istante.

-Sei un supereroe?- Domandò, indicando il lenzuolo rosso fiammante avvolto attorno al collo di lui, con uno stemma disegnato con la vernice spray gialla e due lettere rosse: C ed S.

Il bambino annuì, continuando a restare in silenzio, probabilmente a disagio nel stare con una persona a lui sconosciuta ma nascondendo il disagio incredibilmente bene. Forse perchè ormai era abituato ad essere visitato cosi tante volte. Non diceva nulla, continuando a tirarsi giù le maniche in un gesto ossessivo. Un gesto che non le sfuggì ma di cui non disse niente.

-Ti chiami Chris giusto?-

-Si, è la mia identità segreta. In realtà sono Captain Spirit- Dirlo sembrò farlo sorridere seppur di poco. La ragazza ricambiò il sorriso, fissandolo in maniera dolce e intenerita

-Io mi chiamo Rachel e non temere, la tua identità segreta è al sicuro con me- Si presentò a sua volta, facendo quella sorta di promessa prima di andarsi a sedere accanto a lui. Restarono in silenzio per diversi istanti e nel mentre Rachel iniziò ad osservare i vari fogli pieni di disegni disposti sul tavolo. Erano tutti fantasiosi e molto colorati, alcuni mostravano "Capitan Spirit" in imprese eroiche, salvando persone precipitate dai palazzi o spegnendo incendi o ancora fermando auto piene di criminali. Altri disegni ancora mostravano mostri che venivano sconfitti da vari supereroi, altri ancora semplici paesaggi spaziali. Lo stile di disegno era quello che si poteva aspettare da un qualsiasi bambino di dieci anni, molto confuso e per nulla perfetto ma bello da vedere. Si fermò dal continuare, volendo chiedere a Chris una cosa.

-Senti Chris. Sai cosa è un conduit?- Il bambino la fissò confuso, scuotendo il capo.

-Ok e invece un bioterrorista?- A quella parola il bambino si illuminò, conoscendo la risposta.

-Oh si. Sono persone cattive con i poteri che fanno del male. Sono supercattivi- A quella risposta Rachel si limitò a sorridere divertito, sorvolando sull'argomento, memorizzando la risposta del bambino. Tornò sui disegni.

Rachel ne afferrò uno che attirò la sua attenzione, osservando il bambino per studiare la reazione prima di tirarlo fuori da sotto gli altri fogli e guardarlo per bene. Era un disegno normale all'apparenza, niente di speciale se non un comune disegno. Ma era diverso dagli altri perchè non c'erano fantasie, non c'erano eroi o cattivi. Non c'erano animali umanoidi o alieni spaziali. C'era solo un bambino vestito di nero che piangeva, davanti a una tomba, sotto la pioggia.

-Questo sei tu?-

Il bambino era diventato muto, silenzioso e sembrava guardare il vuoto. Agitò il capo in segno di diniego, restando nuovamente in un religioso silenzio. Rachel alzò la testa, direzionando lo sguardo verso la telecamera nascosta in un angolo della stanza. Respirò lentamente, riflettendo prima di tornare a guardare il bambino e i suoi disegni. Ne prese qualcuno, iniziando a fare domande su di loro. Sembrò distrarlo, il bambino iniziò a parlare dei supereroi immaginari creati dalla sua mente fantasiosa cosi come dei cattivi, sempre sconfitti dai buoni.

-Captain Spirit è fortissimo. Sconfigge sempre tutti.- Rivelò Chris con un piccolo sorriso, tornando serio quando uno dei suoi disegni venne preso da Rachel.

-E questa chi è?- La figura era di una donna ma non aveva un viso definito, disegnato in modo sfocato e reso irriconoscibile. Era vestita in un modo che Rachel definì troppo maturo per l'immaginazione di Chirs. Era parzialmente svestita attorno al busto e alle gambe, con abiti stretti di colore verde e tacchi a spillo parecchio alti. Sicuramente stonava molto con il resto delle supercattive che aveva visto e si domandò come mai non lo aveva notato prima. Il bambino tornò a disagio.

-Lei è la Donna Serpente. Non è una supereroina ne una supercattiva. Aiuta Captain Spirit, certe volte e altre volte lo fa finire nei guai. E' una donna al servizio del Caos-

-Bhe, il nome non mi sembra tanto buono. Sembra il nome di una supercattiva no?- Il bambino alzò le spalle, non sapendo cosa rispondere e distogliendo lo sguardo da quello di Rachel.

-Puoi parlarmi della Donna Serpente? Mi incuriosisce- Chiese Rachel, ancora con il disegno in mano. Chris non sembrava molto contento di volerne parlare e le mani sembravano avvinghiate contro il tessuto delle maniche della propria felpa, ma provò comunque a farlo.

-Lei è....strana. Ogni tanto d'ha informazioni a Captain Spirit sui cattivi che vogliono prenderlo mentre altre volte lo porta dai cattivi e lo fa imprigionare. Le piacciono le mele e sembra arrabbiarsi se gliele si toglie. Dice di odiare gli uomini perchè malvagi e pericolosi ma vuole bene a Captain Spirit che è un suo amico. Anche se certe volte fa cose che gli amici non fanno- Raccontò il bambino, agitando i piedi e dondolandosi sulla sedia.

-Che tipo di cose?-

-Fa promesse senza mantenerle, chiede a Captain Spirit di fare cose e a volte anche di infrangere la legge dicendogli di rubare. Captain Spirit non ruba, non è una cosa da eroi. E poi...- Si fermò, non aggiungendo altro.

-Si arrabbia mai? La Donna Serpente si arrabbia mai con Captain Spirit?- Il disagio diventò evidente sull'espressione del bambino e Rachel di scatto afferrò il polso del bambino, bloccandolo per tirare su la manica. Sul braccio c'erano dei vistosi lividi, procurati dalla stretta di una mano attorno alla carne. Chris si divincolò, liberandosi e alzandosi in piedi per allontanarsi.

-E' stata lei a fare quelli?-

-No...non è stata colpa sua. Captain Spirit l'ha solo fatta arrabbiare, non è stata colpa sua- Piagnucolò Chris tirandosi giù la manica e andando a rintanarsi nell'angolo. Accucciandosi come un cucciolo ferito e nascondendosi con il proprio mantello. Rachel si alzò, provando a rassicurarlo ma Chris si mise a urlare.

-Vattene! Tu sei cattiva. Cattiva, sei cattiva!- Una scossa improvvisa fermò i suoi passi. Il lampadario sopra la testa di Rachel si era messo a dondolare, tintinnando e alcuni fogli erano caduti per terra. Lo sguardo andò verso il lampadario che smise di muoversi dopo un paio di istanti. Dopo aver lanciato un ultima occhiata a Chris, ancora rintanato e nascosto, guardò la telecamera e mostrandosi indecisa sul da farsi.

-Ho capito. Scusami Chris.- Uscì e si chiuse la porta alle spalle. Uscita dal luogo dove aveva fatto mettere Chris chiamò un paio dei suoi soldati, ordinando loro di duplicare la guardia sul bambino. Aprì la portiera del veicolo corazzato, infilandovisi dentro e ordinando all'uomo al volante di portarla alla stazione di polizia, lì dove aveva fatto instaurare la sua base temporanea.

Aprì un fascicolo riguardante Chris. Un bambino modello, nessun problema a scuola o di comportamento. La famiglia era l'unica nota scricchiolante per il bambino. Orfano prima di madre all'età di cinque anni per un incidente d'auto, si era trasferito a Seattle qualche mese dopo. Una vita quasi felice fino a quando il padre, vittima dell'alcolismo e delle droghe, non era stato cosi egoista da abbandonarlo due anni dopo. Tutt'ora non si sapeva nulla dell'uomo e di che fine avesse fatto. Chiuse il fascicolo per mettersi a leggere quello sul Corvo.

Un sorriso piegò le sue labbra, un sorriso divertito e intrigato da quanto scritto su di lui. La mano si portò all'orecchio, spostandosi una ciocca di capelli e facendo dondolare il proprio orecchino. Con il dito indice sfiorò la foto del Corvo, immersa talmente tanto nei propri pensieri che solo quando il suo uomo frenò improvvisamente, si "risvegliò". Buttò il fascicolo, riponendolo da dove lo aveva preso. Guardò l'ora, scoprendo con fastidio di come mancavano ancora un paio d'ore all'inizio della caccia. Sospriò e aprì la portiera, uscendo.

 

Seattle 9 Ottobre 2018 

 

Max aprì gli occhi. Era inutile provare a dormire, non ci riusciva per quanto ostinatamente ci provasse. Era distrutta per quanto era successo qualche sera prima. Wells le aveva detto di tornare a casa e, come un automa, lei aveva obbedito senza replicare. Non si era messa a piangere o urlare, non si era messa a fare niente come se non provasse niente. L'unica cosa che sentiva era che doveva scoprire il responsabile. Chi aveva fatto del male a Steph? Ma sopratutto perchè? Perchè uccidere lei che di problemi non ne aveva mai avuti? Una ragazza qualsiasi. Una ragazza lesbica qualsiasi. Forse era stato qualche mostro omofobo? No, non era possibile. Aveva valutato l'opzione ed era fin troppo scarsa. Se cosi fosse stato non l'avrebbero uccisa in un modo del genere. Era stata strangolata ed era un procedimento che richiedeva tempo e forza. Era una teoria troppo debole e l'aveva presto scartata. 

Si alzò dal letto, passandosi la mano sul viso. Andò in bagno, spruzzandosi dell'acqua gelida e cercando di evitare di notare le occhiaie attorno agli occhi. La testa le doleva, era stanca morta ma non dormiva. Non riusciva a farlo, forse si sarebbe dovuta prendere qualche pillola per lo stress. Scosse il capo, non volendo prendere in considerazione tale possibilità.

Pensava e ripensava a tutto. Al più piccolo gesto di Steph, ad ogni sua parola o qualcosa che poteva averla messa in allarme la sera precedente ma niente. Steph era tranquilla quella sera, era eccitata e piena d'energia come ogni volta che doveva uscire per una serata di rimorchio. Per lei era stata una mattinata lunga e insonne, come poteva dormire in fondo? Se ne andò in salotto, sedendosi sul divano e aprendo i vari documenti che Wells le aveva fornito. Le parole che avevano accompagnato la consegna erano state "Non farti più vedere alla stazione di polizia o con dei poliziotti. O rischierai grosso"

Più che una frase da amico o un consiglio le era parsa una minaccia. Il perchè lo aveva compreso solo poche ore dopo quando veicoli corazzati avevano cominciato a circolare per le strade. Uomini armati e in divisa dell'Ordine avevano iniziato a piazzare basi in tutta la città, le stavano costruendo piano piano. I lavori procedevano anche velocemente a dire il vero. Nelle metropolitane e all'uscite della città erano stati messi dei posti di blocco con delle tecnologie per rilevare i conduit nelle persone che uscivano o entravano in città.

La stazione di polizia era stata completamente trasformata in una base dell'Ordine. Non riusciva nemmeno a riconoscerla ormai, sembrava essere diventata una fortezza. Ogni due ore passavano anche degli elicotteri, sorvolando e studiando la zona. Sapeva che c'erano state diverse perquisizioni, le scuole erano state chiuse e cosi anche molti negozi. Non per volere dell'Ordine, semplicemente perchè la gente era terrorizzata dall'uscire di casa e rischiare di ritrovarsi in mezzo a una guerra.

Aprì il fascicolo di Steph. Nulla di nuovo dalle ultime ottocento volte che lo aveva letto. Morte per strangolamento, segni di bruciature sul colletto del vestito ma nessun segno di ustione sulla pelle. Tasche svuotate e un cadavere in una zona malfamata, conclusione della polizia: furto finito male. 

"Furto un cavolo" Pensò Max dando un pugno contro il tavolino. Nessun testimone, nessun video di sorveglianza. Cosa doveva fare quando non c'era nulla su cui lavorare? Il telefono squillò, segnalando l'arrivo di un messaggio. L'ennessimo messaggio di Mickey, ormai lo sapeva anche senza guardare. Fin da quando era stato scoperto l'omicidio l'amico di Steph si era sempre fatto sentire, domandando se lei avesse scoperto niente. E lei non rispondeva mai.

La suoneria del telefono rieccheggiò per diversi minuti, era una chiamata diretta ma lei la ignorava. Ci provò almeno, anche chiudendo ma senza risultato, fino a quando la sua pazienza e i suoi timpani si arresero. Afferrò il cellulare e accettò la chiamata.

-Finalmente cazzo!- Non sentiva la voce di Mickey da parecchio ma era sicura che quella non fosse la sua voce.

-Chi parla?- Domandò alzandosi in piedi. In sottofondo percepì un suono che attirò la sua attenzione. O meglio molti suoni: vetri che si rompevano, colpi di qualcosa di non ben definito contro il metallo e sterzate brusche di un auto.

-Non c'è tempo per queste stronzate. Mickey ha bisogno di aiuto e subito. Vai a casa di Steph, trova un piccolo pacchetto blu e portalo alla Blackwell Accademy entro la prossima ora-

-Cosa? Alla Blackwell? Ma che succede? Chi diavolo sei? Che ha Mickey? Cosa è questo rumore?- Domande uscite tutte d'un fiato. Si stava preoccupando e non poco.

-Porca puttana, fallo e basta.....merda!- Urlò la persona dall'altra parte, dopodichè sentì un rumore di qualcosa che si spaccava. Rumori sovrapposti uno sopra l'altro, confusi tra loro e impossibili da definire con chiarezza. Una seconda voce rispose al cellulare, era quella di Mickey ma era trementamente debole.

-Max...ti prego- La chiamata si chiuse. Era ancora frastornata, stonata dalla chiamata e dal tono cosi supplichevole del suo amico. Veloce cercò nel proprio cappotto le chiavi di riserva della casa di Steph, volendo accertarsi di averle ancora. Si, le aveva.

Non sapeva cosa stava succedendo, non sapeva in che guaio si era cacciato, non sapeva chi era quella persona al telefono ma se Mickey era in pericolo lei doveva fare di tutto per aiutarlo. Afferrà rapidamente le chiavi, prese un cappotto e uscì fuori infilandoselo mentre correva. Fermò un taxi, fortunatamente alcuni erano temerari erano ancora in giro e senza indugio dichiarò la propria destinazione all'uomo.

Cosa stava succedendo?

 

Angolo dell'autore

E bentornati con questo nuovo capitolo (che doveva uscire una settimana fa sorry). Capitolo terminato con molte domande e poche risposte. Immagino che tutti voi avrete capito chi è il piccolo Chris. Dopo l'uscita del nuovo gioco dei creatori di LIS e dopo averlo giocato mi sono subito deciso a inserirlo in questa ff, donandogli un piccolo posticino d'onore. Il piccolo Chris ritornerà nei prossimi capitoli. Ci sono parecchie domande e alcune di queste verranno svelate nel prossimo capitolo (che purtroppo non ha ancora un titolo. Le difficoltà vere....)

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