L'Istari Rossa

di nini superga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** .0. ***
Capitolo 2: *** .I. ***
Capitolo 3: *** .II. ***
Capitolo 4: *** .III. ***
Capitolo 5: *** .IV. ***
Capitolo 6: *** .V. ***
Capitolo 7: *** .VI. ***
Capitolo 8: *** .VII. ***
Capitolo 9: *** .VIII. ***
Capitolo 10: *** .IX-parte 1. ***
Capitolo 11: *** .IX parte II. ***
Capitolo 12: *** .X. ***
Capitolo 13: *** .XI. ***
Capitolo 14: *** .XII. ***
Capitolo 15: *** .XIII. ***



Capitolo 1
*** .0. ***


.0.
 
         La biblioteca al secondo piano è sempre stata la mia preferita. In marmo nero striato di bianco, riflette perfettamente quello che penso che dia il sapere: ordine, pulizia, controllo. Sono allo scrittoio accanto al caminetto e leggo una pergamena finemente decorata, quando un refolo d’aria mi fa alzare il capo. Le tende della stanza si muovono pigre e, dalla finestra senza vetri, entra qualche fiocco di neve. Aggiustandomi il bavero di pelliccia del mantello, mi avvicino alla feritoia e guardo fuori: i giardini di Isengard si stanno imbiancando. Guardo la neve scendere, impalpabile, pensando che anche quando sono arrivata qui, ben sessant’anni fa, per diventare apprendista di Curunìr, meglio noto come Saruman il Bianco, nevicava. Ora che ci penso, è la prima nevicata che vedo in sessant’anni di permanenza nella torre di Orthanc. Incredibile che non ci abbia mai pensato.
         Ripongo il rotolo al suo posto e decido di fare una passeggiata per i giardini. Scendo le scale a chiocciola, lasciando che il fruscio delle mie vesti mi segua: in questo tempio del sapere, dove siamo solo in due a vivere in pianta stabile, il silenzio è l’unico rumore costante che io conosca. Arrivo nell’atrio e, con mia sorpresa, scopro che qualcun’altro ha avuto la mia stessa idea.
<< Maestro >>, lo saluto con una piccola riverenza, facendolo voltare. << Anche a voi è venuta voglia di passeggiare? >>
 Saruman è alto, gli arrivo a malapena alle spalle, e le due ciocche nere che gli profilano il viso lo fanno sembrare ancora più austero di quello che in realtà è. << Non capita tutti i giorni di vedere nevicare in queste lande >>, risponde a sua volta . << Gradirei molto la tua compagnia, Annael. >>
<< Ogni vostro desiderio è il mio, maestro. >>
 
         Camminiamo a braccetto per i viali del giardino, con i cappucci sulle teste e il fiato di entrambi che si condensa ad ogni boccata. Chiacchieriamo poco, restiamo per lo più in silenzio: le parole non ci sono mai servite per stare bene tra noi.
<< Se qualcuno dovesse vederci, sembreremmo un vecchio zio con la sua pupilla! >> Esclama Saruman con un risolino allegro, sedendosi su una panchina pulita, sotto un baldacchino in ferro finemente lavorato.
<< Non ci sarebbe niente di falso, in una simile visione, o sbaglio? >> Rispondo, sedendomi al suo fianco.
Mi sfilo i guanti e lascio che si materializzino fra le nostre mani due tazze di the nero fumante. Ne porgo una al maestro, che la accetta con un cenno di assenso.
<< A che punto sei coi tuoi studi? >> Mi chiede, dopo aver sorseggiato con attenzione la bevanda bollente.
Stringo maggiormente la presa sulla mia tazza, lasciando che il mio sguardo vaghi nella neve. << Sono ancora al punto di prima. >>
<< E cioè? >>
<< Un punto morto
, mio signore. >>
Saruman annuisce, sorseggiando dell’altro the. Ha stretto le labbra: so che è scontento.
<< Ho ricontrollato gli annali >>, dico a mia discolpa. <<  Per la terza volta. E adesso sto rileggendo le cronache dell’Anonimo di Gondor per la quinta. L’unica novità degna di nota è che, secondo il cronista, gli Orchetti che hanno attaccato Isildur ai Campi Iridati erano cento invece di cinquanta! >>
Curunìr sorride della mia frustrazione, poggiando la tazza ormai vuota nel piattino. << Figliola, non devi scoraggiarti ma perseverare. Sicuramente riuscirai a trovare delle informazioni, per quanto ben nascoste esse siano. Ricorda, il libri non… >>
<<  … Non mentono, sono le interpretazioni a farlo per loro. >>  Cito a memoria con un sorrisetto.
Il Bianco sorride a sua volta, facendo sparire la tazza in un volteggio elegante della mano.
<< In sessant’anni di conoscenza, mia giovane apprendista, non ho mai avuto motivo di lamentarmi di te >> , inizia con aria pensierosa.
<< Ti sei sempre applicata in ogni campo che ti chiedessi di approfondire, dalla scienza alle lingue, alle ricerche del regno minerale a quello magico, eccellendo sempre nei risultati. >>
<< Merito vostro, maestro… >> , sostengo, sorridendo compiaciuta e anche incuriosita: dove vuole andare a parare? Saruman non è un uomo che fa complimenti a sproposito. Lui annuisce, lo sguardo perso in chissà quali ragionamenti.
<< Anche nella ricerca dell’ Anello Sovrano, sei stata di grandissimo aiuto, anche se… >>

<< Anche se le mie ricerche non hanno portato ad alcun risultato. Lo so, è il mio cruccio. >> Sospiro, girandomi la tazza ormai fredda tra le mani. La neve cade così fitta adesso che vedere la Torre si è fatto difficile. << Maestro, vorrei fare di più per questa causa. Se l’unica soluzione è rileggere per l'ennesima volta le cronache e gli annali, così farò. Anche se… >> Mi alzo, mettendo una mano sotto i fiocchi. Analizzo con cura i cristalli che si sono depositati sulla lana del mantello: così simili, eppure così diversi gli uni dagli altri... proprio come gli scritti che continuo ad analizzare da sessant’anni a questa parte. Siamo sicuri che sia davvero quella la soluzione?
         << Non credo che sarà necessario che tu rilegga tutti quei vecchi testi ammuffiti! >> La terza voce ci fa voltare entrambi verso un angolo del giardino, sorpresi: un’ombra grigia a cavallo ci osserva da sotto un albero poco distante. La larga tesa del cappello è coperta di neve e la folta barba grigia è inghirlandata dalla brina, ma gli occhi grigi e le labbra sono raggianti di gioia.
         << Olorin! >> Esclamo, andandogli incontro con un sorriso. Corro sotto la neve senza nemmeno tirarmi su il cappuccio, tanto sono felice. << Che gioia vederti! Non hai preannunciato la tua visita! Come mai? Novità dal mondo esterno? >> Lo tempesto di domande, mentre gli reggo il bastone per facilitargli la discesa dallo stallone. Anche Saruman ci ha raggiunti sotto l’albero.
Olorin smonta con un’agilità innata, facendo un breve inchino al suo superiore.
Questi gli sorride. << Amico mio >>, lo saluta appoggiandogli una mano sulla spalla, << Non hai annunciato la tua visita, ma sei sempre il benvenuto nella mia dimora. Cosa ti conduce in queste lande, così lontane dal tuo amato Ovest?  >>

<< Mi ha portato al sud l’urgenza di andare a Minas Tirith >> , dice Gandalf , accarezzandomi poi una guancia. << Ma andare al sud senza passare di qua mi sembrava una scortesia. Inoltre, ho una proposta da fare. Ad entrambi. >> Rabbrividisce vistosamente, togliendosi il cappello e scuotendone le falde colme di neve. << Ma preferirei parlarvene al caldo di uno studio, vicino ad un caminetto e con un bicchiere di vino in mano, magari. Che ne dite? >>
 
         Una proposta da fare ad entrambi.
Cosa voleva dire Olorin con quelle parole? E da quando faceva delle proposte a me, l’apprendista Istari sotto il controllo di Saruman? Me lo continuo a chiedere, mentre sorseggio del vino speziato nella mia stanza. Sono sola: i due Istari hanno chiesto di avere un confronto privato per discutere alcune questioni importanti ed io, d’altro canto, non potevo fare altro che annuire graziosamente e ritirarmi. Ma la curiosità mi rode come un tarlo: stanno parlando di me? Del mio futuro? Della mia incapacità nel trovare risposte alle domande di Saruman e alle sue ricerche sempre uguali?
         Mi lascio cadere sul letto, sospirando. Guardo la tenda del baldacchino e conto di nuovo le stelle che vi sono dipinte, come faccio ogni volta che sono stata tesa in questi sessant’anni di permanenza nella torre. Ma quella che provo stavolta non è solo tensione … insofferenza, forse? E verso cosa? Non conosco niente che non siano Isengard e la sua biblioteca, o i suoi giardini. Conosco ogni angolo, anfratto, nascondiglio di questa fortezza. Conosco tutto, conosco troppo.
        Mi alzo di scatto e vado al mio scrittoio, apro il cassetto ed estraggo una vecchia pergamena che mi ha dato Saruman anni fa, quando ancora studiavo la disposizione di Arda. La apro e la porto sul letto, dove la stendo con attenzione: eccola, la Terra di Mezzo.
         Osservo le cose vicine: Fangorn, le Montagne Nebbiose… quelle le vedo anche dalla finestra della mia camera, più o meno posso immaginarmi come sono fatte. Poco più lontano c’è Rohan, coi suoi campi sterminati e i suoi cavalli..che aspetto avrà un mare d’erba? Più in là ancora c’è Rivendell, o Gran Burrone, dove vivono alcuni degli ultimi Primogeniti..che aspetto avrà dal vivo, un elfo? Sono belli come si dice nelle cronache? Ma il mio sguardo vaga ancora a sud, dove incontra il luogo che Olorin ha nominato poco prima. Sulla mappa è segnata come una piccola torre, resa sbiadita dal tempo, ai piedi dei monti, proprio davanti a Mordor: Minas Tirith, capitale del regno degli Uomini.
         Gli uomini…anche quelli, chissà come sono dal vivo? Nei libri sono descritti come passionali, alcuni di grande animo ma anche di grandi vizi, altri come deboli e stolti. Saruman non li ha mai apprezzati, non lo ha mai nascosto. Tempo fa, qualcuno tra i mortali veniva a chiedere consiglio, ma gli incontri avvenivano di rado ed erano capitati quando ero appena arrivata e la mia attenzione era catturata da altro. Poi, col tempo, si erano diradati fino a cessare del tutto. Sospiro, tracciando con un dito la rotta che mi porterebbe da Isengard alla città bianca: quanto ci vorrebbe a a cavallo? E a piedi? O a volo d’uccello?
         Forse sono stufa di leggere solamente cosa è accaduto nel mondo, concludo ripiegando la mappa e sedendomi davanti allo specchio. Mi guardo con attenzione: il mio aspetto è femminile, come il mio animo. So di essere l’unica fra gli Istari ad avere questa forma, ma i Valar non mi hanno dato spiegazioni in merito. Non so se sono bella o brutta, è un concetto di cui gli scritti parlano continuamente ma che ha bisogno di parametri per essere compreso: ho la carnagione pallida e liscia, i capelli lunghi e mori e gli occhi scuri. Il fisico è asciutto, ma sotto le ampie tuniche che Curunìr mi fa indossare non si vede nulla. Comunque, bella o brutta, assolvo al mio compito: essere un’apprendista Istari, emissario dei Valar nella Terra di Mezzo.
         Il bussare alla porta mi fa sobbalzare, facendomi alzare di scatto. In corridoio c’è  Olorin che mi sorride, gli occhi scintillanti di aspettativa. << Ci sono novità in vista, Annael! >> Esclama, invitandomi a seguirlo nello studio di Saruman.
Cammino al suo fianco, in silenzio e in attesa. Mentre mi sta per aprire la porta, il Grigio mi fa l’occhiolino con aria di intesa. Sorpresa, entro nello studio e resto in piedi come sempre, mentre Gandalf prende posto accanto a Saruman dietro la scrivania ingombra di tomi e carte.
Il mio maestro mi guarda a lungo, soppesandomi con lo sguardo prima di parlare.
<< Hai mai preso in considerazione l’idea di andare a vivere a Minas Tirith? >>
 
 
 
Dulcis in Fundo:
Da quanto tempo non scrivo più qualcosa a tema Signore degli Anelli? Da troppo.
Ogni tanto ho provato a riprendere in mano la mia vecchia serie “I Gioielli di Anna”, accorgendomi però di essere troppo cresciuta per continuare a sostenerla (quindi se vedrete qualche analogia non preoccupatevi, tutto sotto controllo!)
Nel frattempo, la mia vita si è riempita di affetto e realizzazione, dandomi una stabilità e una maturità che prima non avevo…spero che questa mia crescita si rifletta anche nella storia! Ho ricominciato a scrivere durante una brutta influenza, lasciando che la passione per Tolkien riprendesse il sopravvento e mi sommergesse come solo una volta faceva... stupenda, bellissima, travolgente passione!
 
Fatemi sapere cosa ne pensate della giovane Annael! A presto!

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Capitolo 2
*** .I. ***


.I.
 
        
 
         Il primo addio ha un gusto amaro e malinconico: abbandono la mia casa e l’unica persona con cui ho vissuto sin dall’inizio dei miei giorni. All’improvviso, queste mura mi parlano, mi sussurrano richieste e bisogni, mi dicono che ho ancora tanto da scoprire nella fredda Isengard, baluardo di conoscenza. Il primo addio ha anche un retrogusto dolce, che sa di libertà: finalmente qualcosa di nuovo, qualcosa che non sia scritto nelle pergamene e nei libri. Finalmente, qualcosa da vivere.
<< Ti mancherà Isengard? >> Mi chiede Olorin dopo una mezza giornata di marcia. Ci siamo fermati sulle rive di un torrente, facendo riposare i cavalli e permettendogli di bere. << Non saprei … dovrei? >>  Chiedo, facendo spallucce. La verità è che sono ancora frastornata dal cambiamento: l’altro ieri ero china su libri mangiati dalla polvere a leggere antiche cronache di battaglie, oggi mi trovo catapultata nel tempo presente, in viaggio verso la capitale di Gondor. Non credevo che i cambiamenti potessero essere così repentini.
Gandalf sospira, seduto su un masso, mentre si accende la pipa.
 << Ti mancherà sicuramente, vedrai. Ora è tutto troppo nuovo e fresco: non hai spazio nel tuo cuore per la malinconia. >>  Annuisco, godendo di ogni dettaglio del paesaggio attorno a me, quel famoso mare d’erba che avevo sempre desiderato vedere. Siamo partiti con la neve che si faceva alta e offuscava la vista, mentre adesso non ce n’è quasi più traccia, non nella pianura almeno. Il verde dell’erba è vivido e vibrante, lo sarebbe ancora di più col cielo terso e il sole estivo, ma il cielo resta di un bianco lattiginoso che promette freddo di notte e brina mattutina. Sulle montagne che costeggiamo, confine settentrionale del regno di Rohan, le cime si confondono con le nuvole.
         Mi avvolgo di più nella cappa foderata in pelliccia, stringendo con entrambe le mani il mio bastone. Una sensazione strana, questa: non avevo bisogno di avere un bastone, ad Isengard, ma Olorin ha insistito che ne avessi uno anch’io per questo viaggio.  << Sarà simbolo del tuo potere nel regno degli uomini >> , aveva detto facendo annuire Curunìr, << E sicuramente ti darà maggiore potere. >>
<< A te non manca mai? >> Chiedo, voltandomi verso Gandalf. << La tua casa, intendo. >>
Lo stregone prende tempo facendo dei cerchi di fumo concentrici. << Io non ho una casa, Annael, non come intendi tu. >> Spazia con la mano davanti a sé. << La Terra di Mezzo è la mia casa, ma se proprio devo pensare a un luogo che amo, ti direi la Contea. >>
<< Contea? >> L’ho vista sulla mappa, ma non mi sono mai chiesta cosa ci fosse di particolare.
<< E’ un luogo incantevole, abitato da gente adorabile: gli Hobbit! Forse, un giorno, ne conoscerai uno e avrai l’opportunità di bere un the con lui. >> Il sorriso gli si incrina, preoccupandomi. << E’ proprio per uno di questi che temo il peggio. Ed è anche per questo che ho bisogno di te e dei tuoi studi. >>
 << Ma io devo andare a Minas Tirith, non nella Contea… >>
<< Ma infatti, noi andiamo al sud, mia cara, non all’ovest. E i tuoi studi nella Contea sarebbero impossibili, soprattutto visto l’oggetto a cui fanno capo. >> Si alza e mi si avvicina, scrutandomi bene negli occhi. << C’è una cosa che non ho detto a nessuno, nemmeno a Saruman, ma che ho intenzione di dire a te. >> Mi oltrepassa, dandomi le spalle. << Credo di avere trovato l’Anello Sovrano. >>
Il vento fruscia più forte nell’erba, uno dei cavalli nitrisce innervosito. Mi devo sedere un attimo. << Perché non ne hai parlato con Saruman? >>
<< Non sono sicuro che sia una buona idea comunicargli questa novità, non quando sono ancora incerto. >> Gandalf si volta, avvicinandosi alla roccia su cui sono seduta. << Ed è qui, che entri in gioco tu, mia cara Annael. Ho bisogno delle tue doti di studiosa. >>
<< Per cosa, se sei quasi certo di averlo trovato? >>
<< Come hai appena detto, sono quasi certo, non ho la certezza assoluta. Ho bisogno di avere maggiori dettagli. >>
<< Dettagli? >>
<< Esattamente, cose che possono solo essere recuperate nella memoria antica. >> Si siede a sua volta, svuotando il fornelletto della pipa. << Dovrai aiutarmi a cercare il modo in cui si può riconoscere l’Unico, sono sicuro che ne esista uno. >>
<< E lo faremo assieme? >>
<< Certo, anche se temo avrò le mani impegnate altrove. >>
<< Parli per enigmi, esattamente come Curunìr! >> Sbotto, infastidita da tutto questo mistero. Io stavo così bene ad Isengard, fra i miei libri e le mie pergamene …
Gandalf ride, divertito, facendomi indispettire ancora di più.  << Dovrai farci l’abitudine, mia cara, ed imparare a leggere tra le righe di questa vita >>, dice facendosi di nuovo serio. << La verità è che ho bisogno di una mano esperta che svolga il compito di ricerca con me, se non addirittura al posto mio. Le notizie che mi sono giunte da Minas Tirith non sono per niente buone: il mio informatore mi dice che forze sinistre sono in moto per prendere la città e raderla al suolo prima che l’Ombra cresca, ma il livello di guardia è basso. Tocca a noi riportarlo al livello giusto. >>
<< L’Ombra di cui parli … intendi colui che abita a Mordor? >>
Olorin annuisce, il volto di marmo. << Sta crescendo, Annael. Giorno dopo giorno. Non è ancora pronto per sferrare un attacco diretto a Gondor, ma è abbastanza subdolo da incrinare le sue difese con il tradimento e l’astuzia che lo contraddistinguono. >> Si alza, porgendomi la mano. << Se il baluardo del mondo degli uomini cade, se le sue difese cedono … Nessuno si salverà. Nemmeno noi. >>
Mi alzo, reggendomi al bastone. La pietra che vi è incastonata sulla cima pulsa, da bianca si fa rosata e aranciata, tornando poi bianca. Dimostra appieno il mio stato d’ansia e apprensione. Cosa mi è venuto in mente di accettare di lasciare Isengard?!
Una mano mi stringe la spalla, facendomi sobbalzare. << E’ ancora tutto da decidere, i pezzi sulla scacchiera devono ancora essere disposti da entrambi gli schieramenti >>, dice per confortarmi. << Non abbatterti per le mie rivelazioni. Sei giovane, devi essere speranzosa sul futuro! >> Olorin monta a cavallo, invitandomi a fare altrettanto. << Vedrai, Minas Tirith ti piacerà! E’ una città antica, con molte storie da raccontare e tante cose da conoscere … Per esempio, hai mai sentito parlare della birra? >>
 
Passiamo quattro giorni e quattro notti in sella, con poche soste per riposare. Dovrei essere fisicamente a pezzi, un mortale lo sarebbe, ma io sto bene … anzi: quando riesco a dimenticare le rivelazioni di Gandalf su cosa ci aspetta a Gondor, riesco quasi  a godermi il viaggio. L’aria in viso si fa man mano più calda mentre cavalchiamo a verso sud, mentre le nubi bianche cariche di neve e il gelo si allontanano alle nostre spalle, lasciando il cielo limpido, presagio di primavera imminente. Mi piace cavalcare, non smonterei mai, soprattutto quando nelle brevi pause in cui andiamo al trotto Gandalf mi racconta di più sulla città dei Re: dei suoi sette livelli, dei sette cancelli non allineati, della torre di Ecthelion che all’alba brilla come una lancia di perle e d’argento, della Cittadella scavata nella montagna che assomiglia alla chiglia di una nave.
<< Se giungessimo all’alba, grideresti di stupore! >> Esclama, puntando poi il naso al cielo. << Ma temo che giungeremo a mattino inoltrato, manca davvero poco ormai. Comunque, la vista della città dai campi del Pelennor vale la pena di vivere, te lo assicuro. >>
<< Vedremo. >>
<< Tuttavia, noi prima di Minas Tirith visiteremo Osgiliath, avamposto di Gondor. Li, troveremo qualcuno ad attenderci per ragguagliarci sulle ultime novità. >>
Scuoto il capo, divertita. << Hai ancora dell’altro da rivelarmi, o posso finalmente stare tranquilla? >> Ridiamo assieme, ed è un suono che mi piace: stempera l’ansia del viaggio. << E chi è questo qualcuno, si può sapere ? >>
<< E’ un’amica di vecchia data, una guaritrice delle case di guarigione che presta servizio presso l’ospedale da campo dell’avamposto. Si chiama Colinde. E’ lei, il mio informatore. >>
Una donna, dunque. Sono sempre stata circondata da uomini, e le cronache non parlano certo delle donne con la stessa frequenza con cui parlano delle battaglie. Quindi, sono curiosa di conoscerne altre, per lo più per vedere la differenza fra me e loro. << Che tipo di donna è? >>
<< Colinde? >> Gandalf sorride, divertito. << Del tipo che tutti vorrebbero avere come amica e mai come nemica. Sa essere tremenda! >>
<< Le sembri affezionato. >>
<< Oh, lo sono! E presto avrai motivo per apprezzarla a tua volta. >>
Vorrebbe dire altro, ma si interrompe. Siamo davanti ad una piccola cresta, che ci nasconde la vista. Gandalf sprona il suo cavallo, invitandomi a fare altrettanto. La raggiungiamo in pochi passi, godendo della posizione sopraelevata e della vista mozzafiato.
Ed è così che vedo Minas Tirith, capitale del regno di Gondor, Città dei Re, per la prima volta.
 
Come previsto da Gandalf, siamo circa a metà mattina. E’ la cosa più maestosa e imponente che abbia mai visto. Vale davvero la pena essere qui, ora, ed il mio fardello sembra alleggerirsi un poco. Il mio occhio vaga, indeciso su dove posarsi, finché non si posa su Osgiliath.
<< Cosa sono quelle tende attorno alla città? >> Chiedo, perplessa, guardando Olorin in viso. Per la prima volta da quando abbiamo iniziato questo viaggio, lo vedo veramente preoccupato.
 Il suo viso è insieme stupito e arrabbiato, ma quando parla mi sembra di sentire un’eco di spavento. << Quelli sono i lupi travestiti da agnelli. >>
 
 
Dulcis in fundo:
 
Un po’ di delucidazioni sulla storia: nel libro, gli studi e i vari viaggi di Gandalf per la ricerca dell’Anello durano circa nove anni, mentre nel film sembra passare pochissimo tempo (magia della celluloide!), mentre Osghiliath sembra essere in mano nemica ed essere riconquistata poco prima che Boromir parta alla volta di Gran Burrone… questa storia si svolge poco prima che tutto abbia inizio, con l’eccezione che Osghiliath è già in mano a Gondor…. Ma cos’è quell’accampamento? E i lupi travestiti da agnello?
Nota sul clima: immagino che Gondor sia più calda delle lande di Isengard…mah, mi piaceva questa suggestione!
Nota sul viaggio: Il viaggio dura circa quattro giorni, un giorno in più rispetto a quello di Gandalf e Pipino nel film … Ma Isengard è più lontana di Edoras!
Nota sui nomi: Colinde non è un nome di mia invenzione, ma in Quenya significa balia, nutrice … mi sembra abbastanza appropriato per questa signora…scoprirete perché!
Nota sui personaggi: che dire, Annael soffre d’ansia! E Gandalf non è sicuramente uno che tranquillizza! Nei prossimi capitoli la trama si dipana… spero di spare cosa ne pensiate anche voi!
A presto :)
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** .II. ***


.II.
 
      Il campo è più grande di quello che sembra, una volta che ci siamo avvicinati.  
Le tende sono in tela grezza, di un bianco scolorito; hanno grandi spirali nei colori della terra dipinte sui fianchi e sui lembi di stoffa che fungono da porte; sono disposte alla rinfusa ai lati della strada che percorriamo, che punta dritta sulla mole decadente di Osgiliath. Quelli che sembrano essere soldati si scostano dalla via principale che attraversa il campo, continuando ad osservarci dagli interni delle tende e dalle viuzze laterali ad esse.
Loro osservano me tanto quanto io osservo loro, è più forte di me. Questi uomini hanno la pelle scura e i capelli folti e ricci, le labbra pronunciate e gli occhi così bianchi da sembrare incandescenti. Vestono cotte di maglia scure e giustacuori in cuoio tinto di rosso, mentre alcuni sono vestiti di giallo e arancio. Sono senza elmi, e sembrano rilassati: alcuni cucinano, altri giocano a dadi, ma sembrano come in attesa di qualcosa … forse di noi?
Gandalf procede dritto, senza piegare il capo o abbassare la guardia. Percepisco la sua tensione da come il cappello è rigido sulla sua testa.
     Nel silenzio completo rotto solo dagli zoccoli dei nostri cavalli, attraversiamo il campo e il muro di sguardi, finché non ce lo lasciamo alle spalle. Le tende sono a ridosso della città, solo un piccola striscia di terra è stata lasciata libera. Due guardie presidiano l’accesso a un grande arco in pietra bianca, ormai corroso dal tempo. Sono entrambe vestite con l’armatura completa, e portano tutte e due una lunga picca e uno scudo. Entrambe chinano il capo in un rispettoso cenno di saluto, che Gandalf ricambia a sua volta.
<< Salute a voi. Cerco i Capitani di Gondor. Sapete dove posso incontrarli? >>
Una guardia alza il capo, in modo che io possa studiarla meglio: lunghi capelli neri esco dall’elmo, mentre il viso è coperto di barba scura. Per quel poco che vedo, la carnagione è chiara come la mia. << Il sire Faramir è partito questa mattina alla volta della città, mentre sire Boromir è ancora qui. >>
<< Ma ho sentito che deve rientrare anche lui in città a momenti >>, si intromette l’altra guardia. Parla non guardando Gandalf, ma guardando me: quest’uomo ha il viso glabro, il naso storto e capelli biondo che gli scendono sulla fronte da sotto l’elmo. Lo guardo a mia volta, incuriosita, salutandoli con un cenno del capo proprio come ha fatto Olorin.
      Dopo l’arco, ci si apre la via principale dell’avamposto di Gondor: una via enorme, con grandi palazzi diroccati in marmo bianco allineati su di essa. La via, in parte lastricata, formicola di attività febbrile: ci sono soldati dappertutto! Sono vestiti alcuni come le guardie della porta, mentre altri hanno farsetti in cuoio, lunghi archi e mantelli verdi. Questi hanno il capo scoperto e, come si accorgono della presenza di Gandalf, gli vanno incontro.
<< Mithrandir! >> Lo chiamano, un nome che non avevo mai udito dargli, << Quali consigli porti? Mithrandir! Porti aiuto con te? Ne abbiamo bisogno! >>
Gandalf smonta, cercando una parola buona per ogni persona che gli si avvicina. Smonto a mia volta, accorgendomi di essere alta circa come gli uomini attorno a me. Nessuno mi rivolge la parola, ma sento lo sguardo di molti frugarmi dappertutto.
<< Mia signora >>, mi chiama qualcuno, facendomi sobbalzare. E’ un soldato giovane, poco più di un ragazzo. Ha le guance imberbi tinte di rosso, cosa che gli fa risaltare gli occhi chiari. Fatica a guardarmi in viso, mentre gli altri attorno a lui sogghignano. << Da-Date a me le redini, mi occuperò del vostro cavallo. >>
Io annuisco, vedendo che anche Gandalf lascia le sue redini al giovane.
<< Trattali bene! >> Esclama, accarezzando i fianchi di entrambe le bestie, << Hanno affrontato un lungo viaggio, meritano tutti gli onori! >> Il ragazzo fa un rigido inchino, gli occhi piantati a terra, mentre Gandalf mi accenna di seguirlo. Fendiamo la folla, puntando su quello che sembra essere l’unico palazzo integro della via. Oltrepassiamo il grande portone aperto, entrando in una grande corte circondata da un porticato dalle volte a botte. Persone ci passano accanto, soprattutto donne dal capo coperto e con grembiuli candidi sui vestiti scuri.  Hanno tutte in mano qualcosa e sembrano ben sapere qual è il loro compito. Chiunque ci incontra ci rivolge un cenno del capo, alcuni anche un sorriso. Frammenti di affreschi spiccano sui muri, narrando di una vita ben diversa da quella che adesso vive tra queste mura. Attraversiamo il portico in grandi falcate per raggiungere uno scalone in marmo nero che conduce ai piani superiori. Arriviamo in un vestibolo austero e spoglio che continua in un corridoio aperto sulla corte, ingombro di letti vuoti. Un gruppo di persone è all’altro capo del corridoio, sembrano discutere animatamente. Ci avviciniamo, finché una donna si volta e ci riconosce.
     << Mi chiedevo quando saresti giunto! >> sbotta quando siamo a  portata d’orecchio, una profonda ruga che le solca la fronte. Mi lancia appena un’occhiata interrogativa, scrutandomi dall’alto in basso, prima di accennarci a seguirla in una stanza che si apre sul corridoio.
Quando chiude la porta alle nostre spalle, fa un respiro profondo, fissando Gandalf.
<< Immagino avrai una scusa pronta per il tuo ritardo! >> Esclama, andando verso uno dei cinque letti vuoti nella stanza. << Perché si da il caso che ti abbia scritto più di due settimane fa! Si può sapere dove eri finito? >>
Fisso Olorin allibita: non avevo mai sentito nessuno rivolgersi a lui in quella maniera!
Ma Gandalf ridacchia, andando a sedersi accanto alla donna. << Uno stregone non è mai in ritardo, o in anticipo. Arriva esattamente quando intende arrivare! >>
Il volto duro di Colinde cerca di restare impassibile, per poi sciogliersi in un sorriso. E’ una donna in là con gli anni, ha il corpo appesantito e i capelli grigi raccolti in una crocchia severa, ma il viso dimostra spirito e forza.
<< Sono partito appena ricevuto il tuo messaggio >>, inizia Olorin con aria seria, << Ma la Terra di Mezzo è grande, e non potevo venire senza accompagnamento. Non credo che resterò qui a lungo. >>
La donna annuisce, stringendosi le mani in grembo e fissandomi. << Comprendo. Io sono Colinde  >>, si presenta, per poi sospirare. << Ma adesso non è tempo di convenevoli. Come vedi, dalla mia lettera la situazione è notevolmente cambiata. >>
Lo stregone annuisce. << Parlavi di un’ambasciata di queste genti dell’Est, i Kurai, ma non credevo di trovare un piccolo esercito accampato nel Pelennor, a due passi da Minas Tirith! >>
<< Loro sono arrivati circa cinque giorni fa, ma l’ambasciata è giunta all’alba, circa tre settimane fa. C’è stato un attacco nell’Ithilien, una quindicina di soldati che scortavano una carrozza blindata. Sono morti tutti, tranne un fante e la donna che viaggiava nella carrozza. >> Colinde fa una smorfia, alzandosi e andando ad appoggiarsi alla finestra senza vetri della stanza. << Morwiniel, si chiama … l’ho curata io, quella serpe, proprio in questa stanza. Si è presentata come un ambasciatrice di questo popolo, di questi Kurai, offrendo il suo aiuto a Gondor con una avanguardia di cinquecento soldati pronti a seguire Boromir anche nella morte, se necessario! >> Fa un gesto di stizza con le mani. << Sire Denethor si è mostarto subito entusiasta, acconsentendo all’alleanza e ordinando che l’esercito kuraiano si insediasse fuori da Osgiliath. >>
Gandalf si accarezza la barba, pensieroso. << E i Capitani? Che cosa ne pensano di questa faccenda i figli del Sovrintendente? >>
<< Non gli piace per niente. Hanno cercato di dissuadere il Sovrintendete ma, tu lo sai bene, Denethor non è noto per il suo carattere mansueto. >>
Gandalf conferma con un’alzata di spalle. e uno sbuffo scontento.
<< Questa situazione non piace a nessuno, nemmeno a me >>, sostiene lo stregone, per poi fissarmi. << Tu cosa ne pensi, Annael? >>
Mi irrigidisco, improvvisamente interpellata in una situazione di cui capisco poco.
<< Anche a me non sembra una bella situazione >>, affermo con cautela, << Anche perché di questo popolo non ho mai sentito parlare, in nessuno degli annali o nelle cronache di Isengard. >>
Colinde annuisce convinta. << Hai mosso la stessa obiezione di sire Faramir, fanciulla. Anche lui, come te, non ha trovato alcuna traccia di questo popolo nelle antiche carte, sostenendo che questo popolo in verità è un altro. >>
<< Haradrim? Sudroni? >> Chiedo, incalzante e preoccupata, << Ma la loro carnagione non è così scura… >>
<< Molte sono le magie dell’Oscurità, Annael >>, sostiene Gandalf, << Credi che l’Oscuro non sia capace di annebbiarci la vista con un’illusione? >>
<< Allora tu sicuramente saprai riconoscerla, Olorin >>, ribadisco.
Ma Gandalf scuote il capo, pensieroso. << A che scopo svelare adesso l’incanto? Cinquecento Kurai, o Sudroni,  o Haradrim, sono comunque troppi perché la guarnigione di Osgiliath riesca a resistere senza subire la perdita di quasi tutti i suoi uomini. >>
<< Sarebbe un bagno di sangue >>, bisbiglia Colinde passandosi una mano sul viso, << E quei bastardi avrebbero ottenuto il loro scopo: indebolirci. >>
Olorin annuisce, pensieroso. << Questa situazione è la più critica che abbia dovuto affrontare da molto, moltissimo tempo. >>
 
       Nella stanza cala un silenzio teso.
Dall’esterno giungono rumori di vita: passi cadenzati di stivali, un martello che batte su un’incudine, chiacchiericcio. Mi avvicino alla finestra della stanza e guardo giù: siamo affacciati sulla strada principale, un brulicare di vita, quando da lontano si sente rumore di cavalli sul selciato. Arriva da Osgiliath un manipolo di uomini in armature argentate, salutati da tutti con acclamazioni di gioia. Si fermano proprio sotto il palazzo, permettendomi di osservarli. Indossano tutti elmi elaborati e mantelli neri ricamati di bianco, tranne uno: è possente rispetto agli altri, e sembra avere l’armatura più ricca e raffinata. Porta a tracolla un grande corno dalla fattura squisita, in cui soffia con quanto fiato ha in corpo. Il suono è limpido, forte, e gli uomini lo acclamano con gioia e vigore. Gondor! Gondor! Urlano con le armi sguainate in pugno. L’uomo si guarda attorno, sorridente, incitando i suoi uomini allo stesso grido, Gondor! Gondor! Alza il viso, scrutando la facciata del palazzo, e incrocia anche il mio sguardo. Sembra che si fermi un attimo su di me, una sconosciuta alla finestra, stupito. Il suo cavallo scalpita e si impenna, facendogli distogliere lo sguardo. Lo doma senza difficoltà e poi cerca di nuovo alla finestra. Sorride ancora … sorride a me?
Intimidita, mi nascondo nell’oscurità della stanza, sentendomi scottare il viso da una fiamma invisibile. Chi è quell’uomo?
<< Ecco Boromir che va in città >>, dice Colinde, avvicinandosi  a sua volta alla finestra a salutarlo. Da fuori risuona ancora una volta il richiamo del corno e poi il rumore sordo degli zoccoli sul selciato. La donna si sporge, guardando i cavalieri andarsene, per poi riservarmi un’occhiata divertita. << Il figlio maggiore del Sovrintendente fa quell’effetto a tutte le donne di Gondor, fanciulla, credi a me che l’ho allevato come se fosse mio figlio. >> Mi osserva con maggiore attenzione. << Abbiamo parlato solo di Gondor senza tenerti in considerazione, mia cara… Annael, giusto? >> Lancia un’occhiata a Gandalf, che conferma il mio nome.
<< Sei qui per aiutarci, vero? >>
Gandalf mi osserva, incuriosito su quale sarà la mia risposta.
Sarebbe più cauto aspettare ad esprimere pareri, ma l’istinto prevale una volta tanto. << Certo >>, affermo con sicurezza, << Vi aiuterò con entrambe le mani, se non le avrò impegnate altrove. >>
Colinde ride di gusto, dandomi una inaspettata pacca sulla spalla. << Allora benvenuta a Gondor, ragazza mia! >>
 
     Nel primo pomeriggio lasciamo Osgiliath, galoppiamo alla volta di Minas Tirith.
Colinde ci ha informato sul clima che si respira per le sue vie: la paura serpeggia profonda nelle ombre dei vicoli, non detta, solo sussurrata; sia gli uomini che gli animali sono di cattivo umore; danno colpa al tempo, ma quello che li innervosisce sono le cinquecento anime accampate fra loro e il loro avamposto. E come dargli torto? Mi chiedo io, mentre osservo a naso in su la mole imponente della Città degli Uomini.
<< Non fare una parola riguardo quello che Colinde ci ha detto >>, mi ammonisce Gandalf quando passiamo il portale della città ed entriamo in una grande piazza circondata da palazzi a più piani, << Il Sovrintendente non deve sapere che noi sappiamo. >> Annuisco, seguendolo al passo mentre ci inerpichiamo per le vie della città.  Le case sono scavate nella pietra con maestria e perizia, spesso il piano terra è adibito a bottega e capita di vedere un falegname o un maniscalco all’opera. Nelle piazze che attraversiamo c’è sempre un pozzo o una fontana, dove le donne lavano i panni o mercanteggiano. Diverse persone riconoscono Gandalf e gli fanno cenni di saluto, augurandogli una buona giornata. Stuoli di bambini ci rincorrono, strappandomi un sorriso in tutta quell’ansia: non ne avevo mai visti dal vivo e li trovo bellissimi!
Continuiamo a cavalcare in tondo, salendo sempre di più, finché non arriviamo al cancello della Cittadella. Guardie dagli elmi alati, con sfavillanti armature, presidiano il cancello di accesso, consentendoci comunque di passare. Arriviamo quindi alla parte alta della città e i miei occhi si sgranano di meraviglia: siamo su una terrazza in pietra, con un giardino diviso in quattro spicchi perfetti da quattro sentieri bianchi. Al centro, in un cerchio perfetto di pietre, un albero bianco svetta i suoi rami al cielo, ma non ha gemme o fiori da mostrare.
<< L’albero di Isildur! >> Esclamo, mentre smontiamo e lascia i cavalli ad uno stalliere prontamente accorso.
<< L’albero del Re >>, conferma Olorin, avviandosi per il viale centrale. E qui c’è l’altra meraviglia: oltre l’albero, proprio sul fianco della montagna, vi è un palazzo dalla geometria perfetta, la cui facciata è fatta di archi e lesene perfettamente distribuiti. Un grande portale di bronzo spicca nel candore del marmo, sormontato da un rosone dai vetri finemente istoriati.
<< Parlerò io col Sovrintendente >>, bisbiglia Olorin prima che una guardia ci faccia entrare, << Tu resta in ascolto. >>
Annuisco con un nodo allo stomaco.
     Quando entriamo, noto che la sala è tanto grande quanto spoglia: in marmo bianco con colonne nere, ha grandi finestre laterali che consentono alla luce di entrare e di rischiarare l’ambiente, facendo sembrare ancora più scure le statue di re che si trovano fra una colonna e l’altra. Seguo il fascio di luce proiettato dal rosone, e vedo che si poggia su un alto trono che è, con mio stupore, vuoto.
<< E alla fine giungi qui, Mithrandir. >> Una voce d’uomo mi fa abbassare lo sguardo, sorprendendomi. Di qualche gradino più in basso rispetto al trono principale, ve n’è un altro, disadorno e nero. Seduto su di esso vi è un uomo di una certa età, ma non vecchio, con capelli grigi e folti e un’aria austera. Alla sua sinistra ci sono due giovani uomini: devono essere i suoi figli, dato che riconosco quello che Colinde ha chiamato Boromir, vestito ancora come l’ho visto partire da Osgiliath stamattina. Alla destra, invece, vi è una donna di straordinaria bellezza.
<< Giungo qui perché mi hanno mandato a chiamare, sire Denethor >>, risponde Gandalf con freddezza quando arriva a pochi passi dal trono, << E trovo che la situazione non sia delle migliori. >>
      La donna emette un risolino cristallino, portando l’attenzione su di sé. Ha la carnagione olivastra, e lunghi capelli le scendono fin sotto i fianchi. Porta un abito scarlatto dalla scollatura a cuore, che fa risaltare il seno formoso. Ha occhi scuri e attenti, mentre la bocca carnosa si atteggia a un sorriso di scherno nei confronti di Gandalf.
<< La situazione non è delle migliori per i nemici d Gondor >>, corregge con voce morbida, << O credi che io e i miei uomini abbiamo qualcosa da nascondere? >>
La pietra del bastone di Gandalf brilla debolmente mentre lo stregone si toglie il cappello.
<< Non credo che ci abbiano presentati, mia signora >>, dice con aria glaciale. Sento che la tensione aumenta, facendomi venire la pelle d’oca. So chi è quella donna, lo sappiamo entrambi.
E’ il Sovrintendete a prendere la parola, sorprendendoci.
<< Costei è Morwiniel >>, dice prendendole una mano affusolata fra le sue e baciandola, << Ed è la mia più fidata consigliera ed amica in questa ora buia. >>
 
D.I.F.
Un paio di noticine sul chappi.
I Kurai: sono una new entry della Terra di Mezzo, venendo dal sud me li sono immaginata scuri. Un po’ banale e scontato, direte voi, ma ho trovato una coincidenza significativa: kurai, che io credevo fosse un neologismo inventato da me, in verità è una parola giapponese che significa oscurità, straniero … direi che tutti i conti tornano allora! Voi che dite?
Denethor: si, ok, Denethor non è mai piaciuto a nessuno, quindi se impazzisce prima del tempo fa solo un favore alla società civile … ma come mai ha preso queste decisioni così strane? Sicuri sia tutta farina del suo sacco? E questa misteriosa Morwiniel… chi diavolo è? E da quando Denethor si lascia irretire da una donna?? Forse dovrei marcare i personaggi come OCC…
Boromir: ebbene, eccolo *____* finalmente! In questa storia mi piacerebbe renderlo amante delle donne, consapevole del suo fascino … lo eserciterà anche sulla giovane Annael? Dall’occhiata che si sono scambiati sembra priori di si!
Faramir: avrà un ruolo importante anche lui, non preoccupatevi!
A prestissimo! E recensite!

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Capitolo 4
*** .III. ***


.III.
 
 
         L’affermazione di Denethor resta cristallizzata nell’aria: il fatto che l’ambasciatrice dei Kurai sia diventata in meno di un mese un’intima del Sovrintendente non ci era stato riferito da Colinde.
Ho stretto così tanto la presa sul bastone da farmi male. Rilascio andare l’aria dai polmoni, piano piano, riprendendo a respirare. Immagino che anche Gandalf si senta così spiazzato, nonostante la sua lungimiranza, e capisco che è turbato dal lungo silenzio che è venuto a crearsi, silenzio che dovrebbe essere interrotto da lui.
Morwiniel sorride, sprezzante e altera, mentre tiene una mano sulla spalla di Denethor, come a rivendicare una proprietà.
I figli del Sovrintendente sono immobili come statue, ma dalle mascelle contratte e dalle mani serrate attorno alle else delle spade direi che non sono propriamente a loro agio.
La voce di Denethor fende finalmente la tensione nell’aria, melliflua.
<< Tornando a noi, Mithrandir, credo che anche tu mi debba delle spiegazioni >>, sostiene, << Cosa sei andato a fare ad Osgiliath? Quali affari ti conducono nel mio avamposto prima ancora che nella mia città? >>
Gandalf si schiarisce la voce prima di parlare. << Dai campi del Pelennor si direbbe che Gondor è sotto assedio e Osgiliath caduta in mano nemica >> inizia, scegliendo con accuratezza le parole, << Tuttavia ho avuto una smentita: i nemici sono amici, anche se si tratta dell’avanguardia di un esercito sconosciuto che vive a ridosso della città, pronto quasi a riversarsi al suo interno. >>
<< Il Nemico! >> Esclama Morwiniel sprezzante, scendendo di uno scalino la pedana che innalza il trono del Sovrintendente, << Sarebbe già entrato nell’avamposto e sarebbe addirittura alle porte di Minas Tirith, se non fosse per i miei uomini! >> Si avvicina a Gandalf, guardandolo dall’alto in basso. << Immagino che anche tu, stregone, non abbia mai sentito parlare del regno Kurai. E dire che voi Istari avete la fama di saggi e studiosi. >>  La donna si volta in un frusciare di vesti, accennando col mento ad uno dei figli di Denethor. << Nemmeno Faramir è riuscito a scovare niente riguardo noi, nemmeno una noticina nella più remota, sdrucita, ammuffita pergamena della biblioteca di Gondor, dove ama tanto rintanarsi nei momenti liberi. >>
<< Saggio è colui che sa di non sapere, mia signora >>, ribadisce Olorin con aria serafica, << E io non sono sicuramente il più saggio tra i saggi. Tu hai mai sentito parlare di questo popolo, Annael? >>
     Sento la tensione stringermi lo stomaco, lasciandomi un attimo senza fiato. Tutti gli occhi sono puntati su di me: Morwiniel ha le sopracciglia alzate in un’espressione di evidente sconcerto, Denethor di interesse, i capitani sono incuriositi.
Prendo fiato e coraggio.
<< Nemmeno io ho mai letto nulla su questo popolo, i Kurai, e la biblioteca di Orthanc è molto vasta e fornita >>, dico con la voce più ferma che mi riesce, guardando tutti e nessuno, << Ma Mithrandir ha ragione: saggio è colui che sa di non sapere e molte cose del mondo devono essere ancora scoperte, non tutto giace scritto nelle pergamene delle biblioteche. >>
Traggo un profondo respiro, ispirata.
<< Saremo noi a tramandare queste nuove conoscenze ai posteri, sommandole ai saperi dei saggi del passato. E mi farebbe piacere sapere qualcosa di più sul vostro popolo, mia signora. >> Aggiungo l’ultima frase con un piccolo inchino in direzione della donna.
Il viso di Morwiniel ha cambiato espressione: da altero e adirato, ora è indecifrabile. Solo le sopracciglia arcuate dalla sorpresa lasciano trapelare un’emozione.
 << Ne sarei lieta >>,  risponde solo, tornando al suo posto sulla pedana. Mi osserva di sottecchi, adesso, sospettosa.
Non so se aver attirato la sua attenzione sia stata una buona mossa.
Denethor si alza a sua volta in piedi, scendendo e avvicinandosi con aria interessata. Ora che è a pochi passi da me, noto la somiglianza con i figli: grande saggezza è nei suoi occhi, ma le rughe che segnano il suo volto sono di preoccupazione e stanchezza data da lunghe notti insonni. È anziano, ma il suo fisico sembra essere ancora possente sotto le pesanti vesti broccate.
<< Le tue parole sono le più sagge che sento tra queste mura da molto tempo, fanciulla! >> Esclama, guardandomi dall’alto in basso con interesse. << Ma il fatto che tu accompagni Mithrandir lascia intuire tu non sia una comune fanciulla … dimmi chi sei, dunque. >>
 << Sono Annael, mio signore >>, dico con la voce leggermente troppo alta, << Sono un’apprendista Istari. >>
<< Una strega, dunque! >> Denethor sembra visibilmente stupito, per poi rivolgersi a Gandalf. << Non sapevo che accoglieste anche fanciulle nel vostro ordine, Mithrandir. >>
<< Infatti non ne abbiamo. Ella ci è stata mandata nel momento del bisogno, ed è unica nel suo genere. >> Sospira, appoggiandosi al bastone. << Grandi prove ci aspettano, tempi bui ci vengono incontro, e avremo bisogno di tutta la nostra forza e astuzia per sopportare questa marea. >>
Lo sguardo di Denethor si fa duro e tagliente. << Cosa vuoi dire con queste parole, stregone? >>
<< Che non sono venuto qui per chiacchiere inutili, per esempio! >> ribadisce Mithrandir, saccente, per poi tornare a un tono di voce conciliante. << In verità, sono venuto qui per chiedere un favore alla casata dei Sovrintendenti, un favore che potrebbe fare la differenza su chi vincerà questa guerra, alla resa dei conti. >>
Denethor annuisce, tornando sul suo trono. << Di che favore si tratta? >>
Ecco, il momento più delicato.
<< Vorrei che ad Annael venisse dato il permesso di accedere alla biblioteca di Gondor. Qui, più che a Isengard, è custodito il sapere riguardo le molteplici forme assunte dal Nemico >> spiega, pacato e autorevole.
<< Crediamo >>, conclude con enfasi, << Che con uno studio approfondito, sia possibile trovare una falla che ci permetta di colpirlo e ferirlo a morte senza spargere inutilmente sangue. >>
Denethor annuisce in silenzio, portando le mani giunte davanti alla bocca.
<< Perché dovrei accordarti questo favore? >> Chiede dopo un momento infinito.
Il mio stomaco si stringe, teso: perché non dovrebbe? Che torto gli ho fatto?
Vedo i suoi figli, quello chiamato Faramir in particolare, mostrare segni di insofferenza. Sospira in silenzio, guadandomi come per scusarsi.
<< Oh, non devi accordarlo a me >>, ribadisce Olorin, << Io parlo per il mio superiore in grado, Saruman il Bianco, capo del Bianco Consiglio, voce dei Valar nella Terra di Mezzo. È a lui che dovrai rispondere, se Annael verrà rimandata indietro. >>
Le sopracciglia di Denethor scattano verso l’alto, attente. << E da quando Saruman il Bianco si occupa delle faccende di noi, miseri uomini del Sud? >> Abbaia, sprezzante, << Da anni mando le mie ambasciate da lui in cerca di consigli, e da anni esse tornano senza risposte! Egli sarà pure la voce dei Valar, ma è pur sempre uno stregone: di voi e dei vostri sortilegi non c’è da fidarsi. >>
<< Non sono d’accordo! >> Esclamo, sorpresa io stessa dalla mia voce.
Si fa di nuovo il silenzio, mentre la mia voce riecheggia tra i pavimenti di marmo.
<< Avrete un minimo di rispetto per chi, come me, cerca di risolvere questa guerra senza l'uso della spada >>, proseguo cercando di tornare ad avere un tono più conciliante, << Inoltre se, come dite, da anni inviate ambasciate a Curunir, forse un po’ bramate il consiglio di questi stregoni che tanto disprezzate! >> Sbuffo, alzando il mento. << In ogni caso, anche io so dare consigli e potrei mettermi al vostro servizio, pur di accedere alla biblioteca. >>
Gandalf mugola al mio fianco e mi lancia uno sguardo in tralice, ma non mi volto: il mio obiettivo è la biblioteca e devo fare qualsiasi cosa pur di entrarci. Il cuore mi batte in petto come non ha mai fatto in tutta la mia vita: sto davvero disobbedendo a Olorin?
<< Una strega al mio servizio, dunque. >> Denethor si appoggia allo schienale, le mani giunte davanti alle labbra sottili tese in un sorriso sorpreso. << Credo che potrei essere il primo, tra i Sovrintendenti di Gondor, ad annoverare un simile consigliere. Boromir, figlio mio, tu cosa ne pensi? >>
Il figlio maggiore del Sovrintendente si fa avanti nella sua ricca armatura. I nostri occhi si incontrano di nuovo, e restano gli uni negli altri a lungo. Ha occhi grigi come le nebbie d’autunno, nebbie da cui non riesco a uscire facilmente.
<< Credo che avere una strega dalla nostra parte sia una mossa vincente, padre >>, afferma con voce profonda e posata. Non mi leva gli occhi di dosso, per poi sorridermi. << Se per averla dalla nostra parte dovrete concederle l’accesso alla biblioteca, sia pure. >>
Gandalf si schiarisce la gola, scontento della piega inaspettata che ha preso la situazione. << Miei signori, dimenticate ciò che Annael ha appena detto: è solo un’apprendista, e la sua esperienza del mondo è molto limitata. >>
<< La sua esperienza inizia ora, Mithrandir, presso la casa dei Sovrintendenti >>, ribadisce Denethor con tono fermo, facendo scivolare lo sguardo dall’uno all’altra, << Sempre che vogliate l’accesso alla mia biblioteca, ovviamente >>, aggiunge con aria indifferente.
Mithrandir stringe il bastone con forza, indispettito.
<< E sia >>, si costringe a dire a denti stretti, << Annael resterà presso di voi, come consigliera e studiosa. >>
 
 
<< Bel pasticcio che hai combinato! >>
Olorin non è arrabbiato: è furioso.
Siamo nelle scuderie della Cittadella, lontano da orecchie indiscrete. La discussione con il Sovrintendente si è protratta a lungo, il pomeriggio è inoltrato ormai. Bassi raggi di un caldo arancione filtrano dalle aperture per arieggiare l’ambiente. Io fisso la polvere che danza nella luce, cercando di non pensare al senso di colpa che mi opprime sempre di più: non ho mai ricevuto una ramanzina come questa in sessant’anni di vita!
<< E dire che ti avevo anche detto di tacere, mannaggia a te! >> Esclama Olorin, che va avanti e indietro nella terra battuta, gesticolando come mai l’avevo visto fare. Effettivamente, non l’avevo mai visto così.
I cavalli nei loro box seguono il suo percorso, incuriositi.
<< Ma abbiamo ottenuto quello che volevamo, no? >> Pigolo, << Riuscirò ad accedere alla biblioteca come previsto, giusto? >> Cerco di placarlo, gettando in verità altro combustibile sul fuoco.
<< Previsto? Previsto? Era forse previsto che ti mettessi al servizio del Sovrintendete, Annael? Che diventassi sua consigliera nel momento del bisogno? >> Sibila, incalzante. << Quell’uomo è furbo, figliola, e ha fatto di tutto per metterti in scacco … e tu ci sei cascata con tutte le scarpe! >> Sbotta, con gli occhi che lanciano fiamme.
Scintille partono dalla sommità del suo bastone e, quando se ne accorge, Gandalf fa un profondo sospiro. Si passa una mano sul viso stanco, per poi venire a sedersi accanto a me. << E’ solo che sono preoccupato per te. Non mi piace l’idea di lasciarti qui, da sola, in questa tana di vipere. Tra quella donna e il Sovrintendente non so chi è peggio … >>
Annuisco, stringendogli il braccio per confortarlo.<< Terrò d’occhio pure lei. >>
<< Come no >>, borbotta Gandalf sconsolato. << E’ pericolosa, Annael, più di quello che pensavamo quando Colinde ci ha raccontato di lei. L’ho guardata negli occhi e c’è oscurità nella sua anima … >>
<< Un motivo in più per restare qui >> replico, alzandomi in piedi per guardarlo meglio. << Una volta, in una cronaca, un saggio diceva: tieniti stretti gli amici ma ancora più stretti i nemici. Credo che questo detto faccia al caso mio, non trovi? Il Nemico è alle porte, e qualcosa che crediamo molto vicino se non simile a lui vive addirittura sotto il mio stesso tetto! Quale modo migliore per controllarlo che viverci assieme? vedrai, non ti deluderò. >>
Gandalf soppesa le mie parole, per poi sorridermi con aria malinconica. Improvvisamente, sembra molto più vecchio e stanco. << Avevo dimenticato come la giovinezza faccia sembrare ogni cosa facile e di rapida comprensione, ma ammiro la tua intraprendenza e il tuo coraggio. Te la caverai sicuramente. >>
Lo spero, penso io, mentre lo guardo montare a cavallo.
<< Avvisami in caso di movimenti strani. E non fare mosse azzardate, per quanto sia già un azzardo la tua presenza qui >>, dice dall’alto della sella, calcandosi bene in testa il capello a punta. << Non fare parola con nessuno, ripeto nessuno, di quello che vai cercando nella biblioteca di Gondor. Se trovi qualcosa, avvisami attraverso il vento. Io verrò, figliola, con tutta la fretta di questo mondo. >>
<< Sarà fatto >>, affermo, dandogli il bastone.
Gandalf mi ringrazia con un cenno, per poi annuire e sorridermi un’ultima volta.
<< Salute e addio, figliola. Che i Valar veglino sul tuo cammino, illuminando la tua via nei momenti più oscuri. >>
<< Che i Valar facciano altrettanto con te, anche se credo che tu non abbia bisogno di ulteriore protezione. Salute e addio, Olorin, al nostro prossimo incontro! >>
Gandalf sprona il cavallo, che esce al trotto dalle scuderie sollevando polvere nella luce morente.
Per la prima volta, in vita mia, sono completamente sola.
 
         Mi dirigo di nuovo a palazzo, passeggiando prima sul bordo della terrazza della Cittadella. Mi soffermo sul ciglio dello strapiombo, volgendo lo sguardo ad est. Vedo l’accampamento dei Kurai, Osgiliath, Mordor con le sue nubi minacciose. Un piccolo puntino veloce attira il mio sguardo: si muove verso Ovest, fendendo i campi del Pelennor infuocati dal tramonto. Intanto, nella città sottostante si accendono le prime luci e profumi di cibi sconosciuti si spandono nell'aria, trasportati dal vento. Sono sola, penso, con un senso di vertigine che è croce e delizia: la doppia faccia della mia ansia. Sono sola, ed è una sensazione bellissima.
<< Mia signora Annael! >>
Mi volto, sentendomi chiamare. In controluce, Boromir di Gondor si avvicina.
È ancora in armatura e cigola mentre cammina verso di me. << Mi avevano riferito che eravate alle scuderie per salutare Mithrandir. >> Dice, affiancandomi sulla terrazza.
Gli indico col dito un punto nei campi del Pelennor, ormai in ombra.
<< Olorin è già lontano, mio signore. >>
Boromir annuisce, restando poi in silenzio. << E’ la prima volta che restate da sola lontano da casa? >>
<< Si, ed è una sensazione stranamente meravigliosa. >>
Boromir sorride ancora, appoggiandosi al parapetto con le mani guantate. << Anche io ho provato la stessa sensazione, quando sono andato in ambasciata a Rohan. L’ebbrezza della novità. >> Un vento leggero gli muove i capelli sulle spalle, attorcigliandoli. Sono chiari e si muovono sinuosi. Alcuni gli restano incastrati tra la barba corta che orna il viso dal nobile aspetto.
Boromir mi coglie mentre lo sto ancora guardando.
Distolgo lo sguardo immediatamente, imbarazzata. << Si, io … è davvero la mia prima volta, in tutto. >> Balbetto, senza sapere perché ho detto una cosa tanto futile. Non oso guardarlo di nuovo, ma lo sento ridacchiare. << Dunque sarà la prima volta che avrete un invito a cena, suppongo. >>
Mi giro di scatto, sorpresa. << E dove? >>
<< Stasera, con il Sovrintendete. >>
<< Da soli? >> Il mio tono lo fa divertire, probabilmente gli sembro allarmata.
 << Non vi lasceremo da sola con mio padre: ci saremo anche io e mio fratello >>, afferma, spensierato. << Così avremo modo di conoscerci meglio, mia signora. >>
Annuisco, guardandolo negli occhi. << Si, lo spero. >>
 
 
 
D.I.F.
Orbene, mi ci sono voluti la bellezza di 10 giorni per concludere questo travaglio: tanto rapidi mi sono venuti i primi capitoli, tanta fatica ho fatto nella creazione di questo discorso (ci si è messo pure il lavoro e la famiglia, ma vabbe: l’importante è aver concluso!) Il capitolo è stato un vero delirio, fatto di dubbi su come far parlare un Sovrintendente e come rendere odiosa Morwiniel…ma lei è già odiosa di suo!
E dunque la piccola Annael è rimasta a Gondor da sola … ma resterà sola poi tanto a lungo? Non sembra anche a voi che il Capitano di Gondor sia particolarmente interessato a questa fanciulla? E che questa fanciulla non sappia bene come difendersi da questi occhi grigi? La trama si infittisce, l’ordito si ingarbuglia … a breve (spero) avremo novità! Per ora il chappi più difficile è andato!
 
A presto tesorini! E recensite!
Salute e addio!

 

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Capitolo 5
*** .IV. ***


.IV.

 
 
         Il mio alloggio è nell’ala riservata agli ospiti.
Per raggiungerlo, Boromir mi fa rientrare nella sala del trono ormai in ombra e vuota, camminando però nella navata laterale di destra. Verso il fondo, si apre una porta in legno di quercia. Attraversatala, ci ritroviamo in una ampia corte rettangolare, circondata in tutto il suo perimetro da un porticato con volte a vela. Ogni campata è sorretta da graziose colonne nere, sormontate da un capitello scolpito a guisa di albero bianco e, tra una base e l’altra, c’è una panchina in pietra. Nella corte regna già l’ombra, e diversi servi si affrettano ad accendere fiaccole lungo tutto il percorso.
 << Odil! >> Chiama Boromir sporgendosi dal colonnato, facendo rallentare tutti i servi nel cortile. Una ragazza cede la sua fiaccola ad un’altra serva e si avvicina con fare serio e interrogativo. E’ giovane, coi capelli raccolti sotto un velo che ne cela persino l’attaccatura, e porta una veste nera con un grembiule bianco allacciato in vita.
 << Comandi, mio signore >>, dice sommessamente inchinandosi, osservandomi però di sottecchi.
<< Voglio che conduci la nostra ospite all’appartamento che ho fatto approntare per lei. Da oggi in poi, sarai la sua cameriera personale. >>
<< Ma a me non serve una cameriera! >> Esclamo, colta alla sprovvista. Che novità era questa?? Odil mi guarda apertamente ora, gli occhi chiari sgranati dalla sorpresa.
<< Non fraintendermi, ma io me la sono sempre cavata da sola fino ad ora, non ho bisogno che qualcuno si prenda cura di me … >> Le spiego, temendo di averla ferita.
Lo sguardo di Odil guizza tra me e Boromir, disorientata.
<< Ma per me è un onore servire voi, mia signora! >> Esclama, evidentemente a disagio, << Servire la casa dei Sovrintendenti era il lavoro di mia madre, e di mia nonna ancora prima di lei, quindi per me sarebbe un disonore non adempiere a un comando del mio signore. >>
<< Accettate, mia signora >>, suggerisce Boromir con un sorriso ironico, << O non avrete pace per il vostro soggiorno a Gondor. Odil è una brava ragazza, sono certo non vi farà mancare niente. >>
Sospiro, facendo spallucce. << E sia, allora. >>
Gli occhi di Odil si illuminano e l’attività nel cortile, interrotta dal nostro discorso, sembra riprendere. << Sarò la cosa migliore che vi sia capitata a Gondor, mia signora Annael! >> Dice la giovane, facendo piccoli inchini e sorridendo. In queste vesti, sembra molto giovane, una ragazzina. Mi trovo a sorridere, contagiata dal suo entusiasmo.
<< Va bene, va bene, ora però conduci la tua nuova padrona ai suoi appartamenti. >> Con mia sorpresa, Boromir mi prende una mano e la bacia. Una scarica elettrica si propaga per tutto il mio corpo quando la sua barba sfiora appena la pelle delicata, facendomi annaspare. Ma che mi sta succedendo?!
<< Non vedo l’ora di rivedervi a cena >>, mi sussurra, tenendomi la mano qualche attimo più del dovuto, << Sono contento che siate rimasta qui. >>
Poi mi lascia andare, fa un inchino profondo e mi da le spalle, sparendo di nuovo nella sala del trono.
Io resto lì, ferma, a fissare il vuoto dove un attimo prima c’era lui.
<< Mia signora? >> Mi richiama Odil, facendomi riportare l’attenzione su di lei. I suoi occhi non guardano me, ma la pietra alla sommità del mio bastone, che brilla leggermente nell’oscurità del cortile. Mi schiarisco la gola, imbarazzata, accennando alla mia nuova compagna di mostrarmi la via.
Sperando che l’oscurità mi porti consiglio, ci addentriamo nella reggia in silenzio.
 
         Odil si ferma in un corridoio che termina con una bifora priva di vetri che da su un altro cortile del palazzo, un piccolo giardino con alberi da frutto e un pozzo. La mia stanza è proprio lì e Odil mi spalanca la porta in legno scuro.
La camera è piccola, dominata dal grande letto a baldacchino che sta alla sinistra della porta. Dall’altra parte del letto, sotto una finestra decorata con vetri colorati, vi è  uno scrittoio in noce con tutto l’occorrente per scrivere. Entro nella stanza, vedendo che ai piedi del letto c’è un piccolo giaciglio ben fatto. Una cassapanca è addossata alla parete di destra, su di essa ci sono una brocca e un catino. In fondo alla stanza, davanti a un caminetto in marmo, ci sono una coppia di sedie intarsiate e un tavolino basso con un vaso colmo di fiori.
<< Spero che la stanza sia di vostro gradimento, mia signora. >> Chiede Odil, chiudendosi la porta alle spalle.
Mi volto verso di lei, sorridendo. << Mai avuta stanza più bella, grazie. Ma ti devo chiedere un favore. >>
La ragazza si inchina, compita.<< Comandi, mia signora. >>
<< Niente signora per me, chiamami solo Annael. >>
La sorpresa si dipinge negli occhi della ragazza, che sta per iniziare a ribattere.
Le prendo una mano, stringendola un poco.
<< Se vuoi servirmi devi stare alle mie regole, Odil. Mi chiamerai solo Annael, è chiaro? >>
La ragazza si trova in imbarazzo, ma annuisce. << Si, mia … Annael. >>
La lascio andare, annuendo a mia volta. Mi guardo ancora attorno, sedendomi poi su una delle sedie davanti al caminetto. Invito Odil a sedersi davanti a me, e la ragazza si avvicina con aria imbarazzata.
<< Dunque, raccontami un po’ >>, inizio, << Quali sarebbero i tuoi compiti nei miei confronti? >>
Odil si stringe nelle spalle, insicura. << Beh, immagino che dovrei occuparmi di tutto ciò che vi riguarda. >>
<< Per esempio? >>
Odil si imbarazza sempre di più. << Veramente, nemmeno io so di cosa ha bisogno una signora come voi … >>
Mi metto a ridere, divertita. << Iniziamo bene, direi! >> Mi guardo attorno, cercando qualcosa da chiederle. << Quel giaciglio ai piedi del letto, per esempio: è il tuo? >>
<< Si. Ogni buona dama di compagnia deve dormire assieme alla propria signora. E’ la regola. >>
<< E non hai nessuno che ti aspetta a casa? >>
Odil si torce le mani, non sapendo bene cosa dirmi. << Ecco, io… >> inizia, a voce bassa e indecisa.
<< Senza paura, Odil, parla in libertà >>, la rincuoro, invitandola a proseguire.
Odil annuisce e fa un profondo respiro. << Mia madre mi aspetta a casa, sig- Annael. Sapete, prima di me era lei a portare a casa la pagnotta… >>
Dopo questa affermazione, Odil non si ferma più: mi racconta di sua madre, una serva di palazzo come tante altre, con un marito anche lui di servizio a corte e una famiglia umile ma felice; di come suo fratello minore sia paggio del principe Boromir e di come l’altro, il maggiore, sia invece morto in una sortita degli orchi, cinque mesi prima; di come sua madre si sia ammalata dopo questo evento, costringendola ad abbandonare il lavoro di cuoca per restare a casa e passare il suo posto a Odil.
<< E questo è quanto >>, conclude la ragazza con gli occhi lucidi ma la voce più sicura, << Questa è la mia vita fino al vostro arrivo. >>
Annuisco, facendola alzare in piedi. Le prendo le mani e le indico il suo letto.
<< Prima di tutto, non voglio assolutamente che tu resti a dormire qui, Odil. Domattina, disferai questo giaciglio. >>
<< Ma… >>
<< Niente ma, fanciulla. Farai quello che ti dico. Non ti voglio qui, sapendo che hai una madre malata da accudire a casa, hai capito? Anzi, voglio che lo disfi adesso. >>
Odil si trova costretta a scuotere il capo. << Ma il principe Boromir ha detto… >>
<< Se il principe Boromir avrà qualcosa da dire >>, la interrompo, << Dovrà vedersela con me, va bene? >>
Le lascio andare le mani e vado alla cassapanca.
Verso dell’acqua nel catino per poi rimboccarmi le maniche e fissarla con un sorriso.
<< D’altro canto, sei al mio servizio adesso, giusto? >>
 
 
    Odil mi aiuta a sistemare le mie poche cose.
E’ in silenzio, ora, ma è notevolmente più serena. Credo sia contenta di essere al mio servizio, almeno per ora.
<< Mi hai detto che tuo fratello minore è al servizio del principe Boromir >>, inizio in maniera indifferente, << Mi sai dire che tipo è il principe? >>
Odil inarca un sopracciglio, continuando a disfare il suo piccolo letto.
 << Ho visto come vi guarda, mia… >> Scuote la testa, interrompendosi da sola, << Vi guarda come fa con tutte le donne di Minas Tirith. >>
<< E cioè? >>
Odil mi guarda in faccia ora. << Come un bocconcino nel piatto, ecco come. >>
La metafora mi fa arrossire, facendo ridacchiare Odil.
<< Il Capitano della Torre Bianca ha tutto ciò che una donna può desiderare: è forte, bello e coraggioso >> inizia la ragazza, piegando le coperte. << E’ venerato dai suoi uomini, che farebbero qualsiasi cosa per lui in battaglia. E’ il primo a lanciarsi nella mischia e l’ultimo ad abbandonare il campo. E’ stato lui, a dire a nostra madre che mio fratello era morto … >> I suoi gesti si fanno più lenti, ma è solo un attimo. << Comunque, è ben conscio del suo fascino. >>
<< In che senso? >>
Odil fa una breve risata, un trillo nella stanza chiusa. << Beh, voci dicono che sia stato con tutte le locandiere della città, e vi assicuro che non sono poche, ma che non abbia intenzione di prendere moglie fino alla fine della Guerra. >>
Mi trovo costretta a sorridere a mia volta. << Allora, potrebbe non sposarsi mai, il vostro Capitano. >>
<< Esattamente quello che si vocifera! Ma non ascolta nessuno, nemmeno suo padre, e prosegue con la sua vita fatta di sangue e amoreggiamenti senza futuro … >>
Un bel tipo, mi dico, sciacquandomi il viso.
Proprio in quel momento, suona la campana della cena.
 
 
     Odil ha insistito per intrecciarmi i capelli, infilando alla base della treccia una rosa dal vaso della camera.
Percorriamo a ritroso il corridoio del palazzo, fino alla corte e alla porta in quercia. Odil mi fa strada nella sala del trono buia, conducendomi ad un’altra porta di quercia, parallela all’altra nella navata di fronte. Con un cenno, apre il battente e mi invita ad entrare: un fascio di luce mi investe, mentre varco la soglia di una sontuosa sala decorata in argento e marmo nero. Una tavolata è posta al centro, con cinque posti apparecchiati con così tanti piatti e bicchieri che non so da dove iniziare. Ci sono vassoi con ogni tipo di frutta e verdura, anche mai vista, e caraffe di vino in argento cesellate da mastri orafi.
<< Benvenuta! >> Una voce mi fa alzare lo sguardo dalla tavola al camino, enorme, che giace in fondo alla sala. Là, c’è Faramir appoggiato alla mensola in marmo, che mi fa cenno di avvicinarmi.
Sono stata così incantata da suo fratello da non aver ben guardato e considerato questo giovane uomo, taciturno ma espressivo. Faramir ha cambiato l’abito: smesse le vesti di guerriero, indossa tunica e pantaloni neri.
Mi sorride, porgendomi un piatto con all’interno degli acini d’uva.
<< Volete favorire, mia signora? Questa viene dai nostri vigneti sul mare, a Dol Amroth. >>
Ne prendo uno, lasciandomelo sciogliere in bocca. << E’ squisito! >>
<< E assaggerete il vino, quello è anche meglio! >> Faramir appoggia il piatto sulla mensola del camino, scrutandomi ancora. << Niente che proviene dalle benedette lande di Dol Amroth ha mai raggiunto la vostra casa? >>
<< Isengard? >> Quanto mi sembra lontana, la mia casa … << Non credo che Saruman abbia mai avuto niente dai reami del Sud. Non è un uomo che si concede molti piaceri. >>
<< Tranne quello della vostra compagnia, è chiaro >> ribadisce lui, sornione. Noto che mi osserva meglio, ora. << Mia signora, raccontatemi di Isengard: com’è vivere nella più grande fortezza della Terra di Mezzo? >>
Mi stringo nelle spalle, senza sapere bene cosa rispondere. << E’… sicuro? >>
Faramir scoppia a ridere, divertito. << Beh, questo potevo immaginarmelo! No, quello che intendo io è riferito alla quantità di sapere presente in un solo luogo. >>
<< Vi riferite alle biblioteche, suppongo. >>
<< Esattamente, e a tutto quello che il vostro maestro deve avervi insegnato con lunghe chiacchierate …  >> Si sporge in avanti, fissandomi negli occhi. << Come è, condividere il tetto con un simile saggio? >> Distolgo lo sguardo, sentendomi avvampare: perché questi principi hanno questo effetto su di me? Non ho mai provato niente di simile in vita mia! Veramente non hai mai provato niente in vita tua, mi sussurra una vocina nella testa.
<< Saruman è sicuramente l’uomo più erudito della Terra di Mezzo, questo è lampante >>, constato, fissando con attenzione il fregio del caminetto, << E vivere sotto lo stesso tetto con lui è una benedizione. Mi ha insegnato tutto quello che c’è da sapere sulla Terra di Mezzo e su quali siano i miei compiti qui. Quella che mi manca, ora, è l’esperienza sul campo. >>
<< E non c’è campo migliore di Gondor per fare esperienza, mia signora! >>
La voce di Denethor fa girare entrambi verso l’entrata della sala. << Solo in questo benedetto paese si può fare esperienza sia della guerra che della pace, e del meglio o del peggio che esse possono dare. >>
Il Sovrintendente veste ancora di nero, ma le sue vesti sono impreziosite da gioielli in oro bianco. Sembra meno ingobbito rispetto al pomeriggio, e risplende della luce che emana la donna al suo fianco.
Morwiniel è incantevole, lo capisco persino io: il corpo è fasciato da un abito color vinaccia, talmente scollato da mostrare quasi interamente i seni, coperti da un velo nero; i capelli sono sciolti sulle spalle, distesi in onde voluttuose su tutto il corpo; porta pesanti monili d’argento al collo e alle orecchie, e noto che mi lancia occhiate di evidente disprezzo.
<< Oltre alla guerra e alla pace, aggiungerei che a Gondor si può imparare anche un po’ di buon gusto e di buona educazione >>, sostiene la donna avvicinandosi. << Mia cara, non avete portato nemmeno un cambio d’abito per l’occasione? >>
Quindi, penso, è qui che vuole andare a parare!
Ridacchio, pensando a quanto sia stupido un simile commento. << Mia signora, io sono una studiosa, e vi assicuro che a Isengard ci sono ben poche occasioni mondane in cui sfoggiare abiti così. >> Le lancio lo sguardo più eloquente che mi riesce, per poi sorriderle. << Ma dato che la mia esperienza inizia adesso, credo che mi munirò presto di un abito decoroso per ogni occasione. >>
<< Allora domattina manderò Odil al mercato, a prendere le stoffe più preziose per voi. >> La voce calda di Boromir squilla nella camera, concentrando l’attenzione su di lui, che è appena entrato. Smessa l’armatura, veste di nero come il fratello. Ha ancora i capelli umidi, e il suo profumo di pulito mi solletica le narici.
<< Preziose non mi servono, basta che siano di buona fattura e pratiche >>, ribadisco con un sorriso impacciato.
Boromir si avvicina al gruppo, inchinandosi davanti al padre che annuisce e ci invita a sederci a tavola.
Denethor si siede a capotavola e mi viene indicato di sedermi alla sua sinistra, un posto d’onore, mentre alla sua destra con mia sorpresa siede Morwiniel. Boromir intercetta il mio sguardo stupito, facendomi capire quanto non gli piaccia quella situazione: quel posto appartiene a lui, e a lui soltanto.
Faramir è dello stesso avviso e tamburella nervosamente le dita sul tavolo, interrompendo il silenzio che è venuto a crearsi nella sala.
Mentre un servo versa del vino, Morwiniel inizia a parlare. << Se ho ben capito, mia signora Annael, voi venite da Isengard. Dico bene? >>
Annuisco, sorseggiando il nettare di uva.
<< L’eco della saggezza che proviene da questo luogo è giunto fino al mio popolo, dove una leggenda narra che proprio a Isengard vi sia una fonte del sapere a cui tutti possono attingere come acqua. E’ vero? >>
<< Credo che la fonte sia una metafora per indicare il mio maestro, Saruman il Bianco, ma credetemi: apprendere il Sapere non è alla portata di tutti. Ci vogliono anni di dedizione, diventa quasi una missione che pochi riescono a iniziare, per non parlare di concludere: non si può mai smettere di studiare. >>
<< Quindi, voi vi sentite un’eletta, immagino. Al di sopra di tutti noi. >> Afferma la donna, mentre ci viene servita della carne arrosto.
<< No, sono solo di una razza diversa da voi, tutto qua, nata per studiare e portare consiglio. >>
<< Una razza diversa, ma comunque molto simile a noi >> ribadisce Boromir, guardandomi bene in faccia, << Se vi guardo adesso, vedo il bel viso di una qualsiasi fanciulla della mia città, non quello di qualcosa di diverso da me. >>
Peccato che questa fanciulla abbia sessant’anni, penso tra me e me, assaggiando la carne.
 << Non è tanto la forma, ma il contenuto ad essere diverso >>, conclude Faramir con aria filosofica, per poi farmi l’occhiolino. << Non ho forse ragione? >>
<< Non avrei saputo esprimere meglio il concetto, mio signore. >>
 
Cala di nuovo il silenzio, interrotto solo dal tintinnio delle posate.
<< Vi piace la vostra stanza? >> Chiede Morwiniel cambiando argomento.
<< Mai avuta una più bella. >>
<< Immagino apprezziate la vicinanza alla biblioteca, dato che siete una studiosa. >>
Inarco un sopracciglio, stupita da quell’enfasi. << Ovviamente l’apprezzo, certo. >>
<< Ed esattamente, cosa cercate nelle pieghe del tempo di Gondor? >>
Attenzione, mi dico, pondera bene le risposte.
Sospiro, affranta. << Devo essere sincera, con voi tutti. Io non so esattamente cosa cercare. >>
Denethor alza un sopracciglio, stupito. << Quindi, tu sei venuta fin qui da Isengard per muoverti alla cieca nella mia biblioteca? >>
<< Non esattamente… >> Mi stringo nelle spalle, sorseggiando altro vino, << Ho una traccia da seguire. Flebile, fredda, insicura, ma pur sempre una traccia. >>
Morwiniel si sporge in avanti, fissandomi con occhi magnetici. << E di più non si può sapere? >> Sembra quasi che con quegli occhi voglia ipnotizzarmi.
Scuoto la testa, reggendo il suo sguardo. << Meglio non parlare di qualcosa che non so nemmeno se esiste. >>
Mi sporgo a mia volta, passando il dito sul filo del calice.
<< Cambiando argomento, mia signora: parlatemi un po’ della vostra gente. >>
Morwiniel sbatte le palpebre, evidentemente confusa. << La mia gente? >>
<< Certo, i Kurai. Oggi mi avete detto che con letizia mi avreste dato informazioni sul vostro popolo e credevo che questo momento di convivio potrebbe essere perfetto, per iniziare. Non credete? >>
 
     Cala di nuovo il silenzio in sala, mentre i servi sparecchiano per poi portare il dolce, quella che sembra una deliziosa crostata al limone.
Prima ancora di prendere la forchetta in mano, Denethor si alza in piedi con aria ispirata.
<< Mie signore, figli miei >>, inizia con aria seria, prendendo il calice per lo stelo. << Da molto tempo la mia mensa non sentiva voci femminili, e le mie orecchie si sono beate del suono delle vostre voci nonostante la gravità degli argomenti trattati. Nonostante la tempesta incomba, nonostante la paura sia tanta, voi donne riuscite sempre a portare la luce nelle vite degli uomini. >>
Si rivolge a Morwiniel, invitandola ad alzarsi in piedi.
 << E tu, mia signora, sei colei che per la prima volta dopo lungo tempo ha rischiarato le tenebre della mia anima, portando un nuovo sole e facendo sbocciare il seme della speranza in me. >> 
Le prende la mano, sorridendole con calore. Anche lei sorride, felice, e stringe la presa con sicurezza. << Troppo a lungo ho aspettato questo momento, ma la felicità è tornata anche per me, e porta il tuo nome, Morwiniel. >>
Sento l’aria caricarsi di tensione, mentre Denethor ci guarda tutti e tre con occhi raggianti. << Io prenderò in sposa Morwiniel del regno Kurai, per sancire l’alleanza fra i nostri due popoli. >>
 
Faramir si alza di scatto, facendo cadere la sedia indietro per la foga.
Non si volta nemmeno quando suo padre lo richiama, ed esce dalla stanza a passo sostenuto e sbattendo la porta.
Io sono impietrita, mentre guardo il calice che si è rovesciato sulla tovaglia, con il vino rosso che impregna la tovaglia bianca come sangue.
<< Faramir! Torna subito qui! >> Urla Denethor, mentre la porta di quercia sbatte contro lo stipite.
Denethor sbatte il pugno sulla tavola, infuriato.
<< Vado a parlarci io >>, mormora Morwiniel, iniziando ad andare verso la porta.
Un altro rumore mi fa trasalire, trovandomi impreparata: è Boromir, che ha conficcato il coltello da carne nel tavolo di legno. Un gesto barbaro, ma efficace per attirare l’attenzione.
<< Non andrai da nessuna parte, finché non avrò delle spiegazioni da entrambi. >>
Lo osservo, spaventata: pallido, ha la mascella contratta e gli occhi infuocati.
Fissa suo padre, alzandosi lentamente in piedi. << Da quando vi è venuto in mente di risposarvi, padre? >>
Denethor lo squadra, senza farsi impressionare. << Da quando tu hai deciso di non farlo, mi sembra chiaro. >>
<< Non vi è alcun motivo per sposarsi, mio signore, lo sapete … >> Estrae il coltello dalla tavola, inferocito, << … Ma avrei gradito comunque saperlo per tempo, non ora, non così! >>
<< Temi forse di essere soppiantato nel cuore di tuo padre? >> Domanda Morwiniel a brucia pelo, << O è per la tua successione in caso di un erede? >>
Una vena pulsa sulla tempia di Boromir. Vedo che vorrebbe lanciarsi su quella donna e farla a pezzi, ma abbandona il coltello sul tavolo e, compostamente, si avvia all’uscita della stanza.
<< Dove credi di andare? Non abbiamo ancora finito! >> Gli urla contro suo padre.
<< Credi che io abbia bisogno della tua benedizione per fare ciò che è giusto fare? Se tu non prenderai le tue responsabilità, sarò io a prendermi questo fardello e a sancire un’alleanza con questo popolo tanto forte quanto fedele! >> Boromir è fermo in mezzo alla stanza, lo ascolta a testa alta e in silenzio. <tu dovresti essere a capo, non io! Ma tu niente, continui ad essere sordo a questi richiami! >> Lo guarda con aria sprezzante, ora, quasi di commiserazione. << Credevo di aver di fronte un uomo vero, in grado di compiere scelte anche difficili e amare per il bene del proprio popolo. Invece ho davanti un ragazzo viziato, che vuole fare solo quello che gli piace e nient’altro. >>
Sospira con aria teatrale, per poi tornare a sedersi e impugnare la forchetta.
<< Stare troppo con tuo fratello ti ha rammollito. >>
Conclude così, iniziando a mangiare il dolce, mentre Boromir abbandona la sala.
Dopo questa affermazione, mi alzo e decido di andarmene anche io: le mie orecchie hanno ascoltato a sufficienza.
 
 
Mi ritrovo da sola per i corridoi del palazzo.
Odil non c’è, l’ho congedata prima di cena, e Boromir si è volatilizzato nell’oscurità. Non che bramassi la sua compagnia, non dopo averlo visto così furente: le affermazioni di suo padre sono state pesanti per me, figuriamoci per lui! La situazione ha preso una piega dannatamente inaspettata, con questa storia del matrimonio… cosa ne penserebbe Olorin? Che cosa farebbe?
Sospiro, svoltando a memoria nei corridoi silenziosi, preoccupata e perplessa.
Qual è il mio ruolo in questa faccenda? Come devo comportarmi?
Per l’ennesima volta, rimpiango di non essere rimasto a Isengard, tra i miei monotoni libri, a studiare. Almeno, il passato non cambia.
Scuoto la testa, guardandomi attorno: questa non è la via per la mia camera!
Ci manca anche che mi perdo, mi dico sconfortata, ritornando sui miei passi.
All’improvviso, sento delle voci flebili. Seguo il suono, magari a loro posso chiedere come si raggiunge l’ala degli ospiti, e mi avvio per un altro corridoio, seguendo curve e angoli.
Con mia sorpresa, in fondo ad un corridoio che termina in un porticato, vedo il frutteto col pozzo ammirato dalla mia camera. Non ci sono fiaccole, ma la luna è quasi piena e illumina il cortile così bene da permettermi di distinguere due figure, sedute sul bordo del pozzo.
Mi sto per fare avanti, quando una delle due figura sbotta a mezza voce e mi blocca.
<< E’ una puttana, te lo dico io. >>
Una risata divertita arriva dalla penombra.
<< A chiamarla così, Boromir, offendi tutte le nobildonne di professione. >>
<< Maledizione, Faramir! Non cominciare anche tu! Lo sai cosa intendo! >>
Mi ritiro nell’ombra, sorpresa: non immaginavo di trovarli qui! Ormai ho capito dove mi trovo, non ho più bisogno di chiedere informazioni, ma cosa direbbero se mi facessi avanti adesso?
Faramir sospira, alzandosi in piedi. << Una meretrice è capace di derubarti aprendo le gambe. Morwiniel non è tanto diversa: aprendo le gambe, ci sta derubando di nostro padre. >>
<< E del nostro regno. >> Boromir si alza a sua volta, girandosi proprio nella mia direzione, il bel viso preoccupato. << Non mi piace questa situazione, non mi è mai piaciuta dall’inizio. Questi fanti venuti dall’Est cingono Osgiliath come in assedio, pronti a spiccare il balzo per prenderne possesso. >>
<< Questo l’ha detto anche Mithrandir, oggi. Sembrava molto in ansia per questa faccenda. >>
<< Se fosse stato davvero preoccupato si sarebbe fermato, ecco cosa ne penso io! >> Sbotta Boromir, di malumore. << E forse lui avrebbe saputo portare a più miti consigli nostro padre … e poi, perché mai mi dovrei sposare, dico io? E perché lui si dovrebbe risposare? >>
Rumore di pacca sulle spalle e una risatina senza allegria. << Devi portare avanti la schiatta, fratellone: solo il meglio del meglio, per la stirpe dei Sovrintendenti! E se non lo farai tu, ci penserà lui a mandare avanti la stirpe. >>
<< Si, creando un meticcio con una meretrice, infangando il nostro casato! >> Boromir sbuffa, prendendosi la testa fra le mani. << Non so davvero come muovermi, mi sento intrappolato tra l’amore che provo per nostro padre e la voglia di ucciderlo con le mie mani per questa decisione! >>
<< Risparmia l’istinto omicida per Morwiniel, piuttosto >>, commenta Faramir a mezza voce, serio. << E tieni pronti i tuoi uomini. Domani pomeriggio parto per l’Ithilien, dove avviserò i miei secondi di stare in guardia: nessuno può più dormire sonni tranquilli a Gondor, non finché questi Kurai sono sulla nostra terra. Con quella strega a palazzo, la tua presenza qui è più che necessaria. >>
Finalmente, fanno silenzio, e il vento fruscia nel frutteto. Mi sento così in colpa per avere origliato, ma c’è anche un piacere segreto, una curiosità intensa che mi brucia. Queste passioni, questi sentimenti, sono così umani … non ho mai provato niente di simile in tutta la mia vita.
<< E a proposito di streghe! >> Esclama Faramir ad un tratto, cambiando tono e argomento. << Cosa ne dici della nostra nuova consigliera? >>
Lo stomaco mi si stringe, improvvisamente teso: parlano di me!
Boromir ridacchia, sedendosi di nuovo accanto a suo fratello. << Sembra interessante, con quell’aria da saputella, ma ha troppa fede nella sua conoscenza e nei libri, secondo me. >>
<< Però ti diverti a farla arrossire, vedo! >>
<< Come posso non notare una bella ragazza? Sarebbe come chiedere al sole di non sorgere al mattino! >> Assesta uno scappellotto al fratello, alzandosi e stiracchiandosi rumorosamente. << E’ una ragazza come tante, solo che questa sa leggere e scrivere, mentre le mie locandiere sanno solo fare di conto. >>
Faramir si alza a sua volta, ridacchiando. << Solo quello, sanno fare? Ah, se lo sapesse la bionda della terza cerchia che la pensi così … chissà quanti conti avete fatto assieme, voi due! >>
Boromir assesta un pugno al braccio del fratello, mentre iniziano ad andarsene.
Grazie ai Valar, non vengono dalla mia parte, troppo scioccata anche solo per nascondermi.

Una ragazza come tante.
Quando sono sicura di essere sola, mi avvio verso la mia camera.
Una ragazza come tante, solo che questa sa leggere e scrivere.
Non so nemmeno io se mettermi a ridere o a piangere, per questa descrizione così spietata e riduttiva.
Dunque, è così che mi vede.
Ha detto che sono una bella ragazza, certo, ma che sono come tante…
<< Perché mi importa così tanto del suo giudizio? >> mormoro, chiudendomi la porta alle spalle.
Appoggio il bastone sulla cassapanca, sedendomi poi sul letto, inebetita.
Perché mi brucia così tanto questo commento?
Perché?
Mi addormento chiedendomelo.
 
 
 
 
 
DIF:
Ma Dol Amroth può essere paragonata alla Franciacorta bresciana? Speriamo di si, dai, mi piglio la licenza poetica!
Ciao a tutte, sono tornata! Questo chappi è luuuuuunghissimo, chissà se riuscirete ad arrivare alla fine! Mi ci è voluto un mese per scriverlo, ma alla fine ce l’ho fatta!yuppi!
Spero ci siano abbastanza colpi di scena da far capire il motivo di tanta lungaggine e da soddisfare i vostri palati raffinati, miei cari lettori…
A breve (?) un nuovo chappi!

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Capitolo 6
*** .V. ***


.V.
 
 
         Odil bussa alla porta nel momento in cui io la sto aprendo per uscire.
<< Buongiorno >>, mi saluta con un leggero inchino, accennando al vassoio che ha tra le mani. << Mi stavate forse aspettando? Vi ho portato la colazione. >>
La ringrazio con un cenno, facendomi da parte per farla entrare.
La ragazza si dirige allo scrittoio, dove appoggia il vassoio con delicatezza.
<< Spero abbiate fame >>, commenta Odil scoperchiando il piatto nel vassoio e mettendo in mostra della focaccia calda e quella che sembra essere marmellata. La fragranza del pane riempie la stanza, facendomi venire l’acquolina in bocca.
<< In verità, io non faccio mai colazione >>, rivelo ad Odil sedendomi davanti al piatto e annusando l’aroma, << Ma ad Isengard non c’erano colazioni simili! Sembra squisita! >>
Odil ride di gusto, versandomi una tazza di the bollente. Consumo la colazione in silenzio, assaporando ogni boccone e godendo del contrasto tra la marmellata dolce e la focaccia leggermente salata. Anche il the è buono, e ne bevo due tazze.
Quando Odil sparecchia, sul vassoio noto degli scampoli di tessuto.
<< E questi? >> Chiedo, sapendo già cosa risponderà la giovane.
<< Sono vostri >>, risponde Odil, avvicinandosi per mostrarmeli. Sono cinque pezzi di stoffa di vari colori e fattura, grandi quanto una mano. Odil accarezza con particolare cura una pezza verde bosco dai ricami dorati.
 << Il principe Boromir si è affidato a me per prendere al mercato queste stoffe, per i vostri abiti ha detto. >>
Li dispongo sul tavolo e li osservo: una pezza è rossa con piccoli fiorellini ricamati nello stesso colore; l’altra è nera e ha stelle d’argento piccole come un polpastrello ricamate nel raso; una è blu con impunture dorate; un’altra è proprio color oro, senza ricami; e poi c’è la pezza di Odil, verde bosco, con piccole ghiande ricamate.
Questa è quella che mi piace di più e la stringo tra le mani, sfregandola piano.
E’ una ragazza come tante, solo che questa sa leggere e scrivere.
Appoggio il pezzo di stoffa sul tavolo e mi allontano verso il catino sulla cassapanca.
<< Non vi piace niente? >> Chiede Odil, il tono vagamente perplesso.
Mi sciacquo il viso prima di risponderle con un’alzata di spalle.
Vorrei essere indifferente a tutto questo, vorrei dimenticare quello che ho sentito ieri sera, ma quei pezzi di stoffa mi fanno venire in mente il sorriso di Boromir mentre diceva che si, ci avrebbe pensato lui, a farmi avere le stoffe più belle di Gondor. 
E poi, quelle parole mi suonano di nuovo nelle orecchie: E’ una ragazza come tante.
Guardo Odil, che si passa gli scampoli tra le mani con aria sconsolata e sorrido: tra tutti, lei è quella che non ha nessuna colpa.
<< Lasciali sul tavolo, Odil, li guarderò con più attenzione stasera >>, le dico,
<< Così domani mattina saprai che stoffa comprare. >>
Odil annuisce, soddisfatta, lisciando gli scampoli sullo scrittoio con cura.
<< E’ stato mio fratello ad avvisarmi della richiesta del principe >>, mi racconta concitata, << Isildil me l’ha detto a colazione, dicendomi che avevo credito illimitato per andare e scegliere ciò che più mi piaceva per la mia signora dai migliori mercanti della città. >>
<< A te quale piace di più? >> Le chiedo, incuriosita.
Odil tentenna, per poi prendere in mano la stoffa verde e sorridermi.
Annuisco, per poi prendere il bastone.
<< Vado in biblioteca >>, annuncio, << Se hai bisogno di me, sono là. >>
<< E il pranzo? >>
<< Portalo là. Che sia leggero. Disturbami solo se necessario, per favore. >>
Odil si inchina, compita. << Sarà fatto! >>
La ragazza inizia a spalancare le finestre e scopre il letto per fargli prendere aria.
Prima di uscire, mi avvicino di soppiatto allo scrittoio e prendo lo scampolo di stoffa verde.
 
     I corridoi sono vuoti, soprattutto questi dell’ala degli ospiti.
Con la luce tutto mi risulta più facile e ripercorro lo stesso tragitto che ho fatto ieri sera perdendomi.
Passo anche dal giardino in cui ho origliato la conversazione dei capitani di Gondor. Entro attraverso una delle arcate, andando a sedermi proprio dove erano seduti loro: sul pozzo, che è chiuso da una grata, sotto gli alberi da frutto.
Resto lì un attimo, alzando lo sguardo alla mia camera da letto con la finestre spalancata.
Sento Odil cantare una canzone triste.
Mi vergogno di aver origliato, e un po’ me ne pento: se non fossi stata lì, non avrei mai saputo cosa pensano di me.
Scuoto la testa, cercando di riprendermi: che importanza ha il loro giudizio? Soprattutto, il giudizio di Boromir? Come mai continua a pesarmi?
Devo levarmelo dalla testa, penso, continuando a sfregare lo scampolo di stoffa tra i polpastrelli.
Ripenso anche alla serata di ieri, a come è andata a finire, alla tragedia che sembra essere dietro l’angolo. Anche i principi sento lo stesso odore … alzandomi, penso a quanto sarebbe confortante avere Olorin qui con me.
Lui saprebbe cosa fare, mi dico avviandomi verso la biblioteca, cercando ci capire come andrà a finire questa storia del matrimonio. Certo, la storia insegna che il matrimonio è il mezzo principe per contrarre alleanze, ma c’è sicuramente dell’atro sotto … sospiro, dicendomi che vorrei conoscere meglio Denethor per capire se quel lato feroce e autoritario del suo carattere è normale o solo passeggero.
D’altro canto, i suoi figli hanno parlato di un cambiamento repentino da quando quella strega di Morwiniel è entrata  a far parte delle loro vite. Hanno anche parlato di guerra, e di come non si fidino dei Kurai …
Venti di guerra aleggiano su Gondor, penso trovandomi davanti alla porta della biblioteca, e io ci sono giusto in mezzo.
 
         Apro il pesante battente di quercia ed entro in un ambiente completamente diverso da quello di Isengard. In uno stanzone di pietre freddo come l’inverno sono accatastate scansie in legno alte quasi fino al soffitto, gremite di pergamene arrotolate, lasciate a prendere polvere e umidità senza alcuna protezione. Con un verso di disappunto, mi addentro fra di esse, notando che alcune sono così fragili da rischiare la rottura quando le tocco, mentre altre sono macchiate di umidità e praticamente illeggibili. Mi lascio prendere dallo sconforto, notando quanto questo dono della saggezza sia lasciato alla mercé degli elementi.
<< Avete la stessa espressione che ho io ogni volta che entro qui. >>
La voce di Faramir mi arriva da dietro una scansia, facendomi sobbalzare dallo spavento.
Mi giro e lo vedo, tra un rotolo e l’altro: seduto ad un tavolo, ha diverso pergamene srotolate davanti a sé.
Faccio il giro e mi avvicino, lanciando ancora occhiate agli scaffali malconci.
<< Immagino che ad Isengard il sapere non sia abbandonato a se stesso come qui >>, commenta il principe sorridendo e invitandomi con un cenno cortese a sedere allo stesso tavolo.
Lui si alza e sposta altrove il vassoio, ormai vuoto, della colazione e si risiede.
<< Da che ora siete qui? >> Domando, incuriosita.
<< Oh, da molto presto >>, risponde lui, << Ma questi sono gli unici ritagli di tempo che riesco a passare qui, quindi prendo quello che riesco a prendere. >> 
Continua a sorridermi, questo giovanotto, mettendomi in imbarazzo.
<< E voi siete venuta per iniziare le vostre ricerche? >> Si informa con delicatezza.
<< Esattamente, anche se non so bene da dove iniziare. >>
<< Forse desiderate che me ne vada? >>
<< No, al contrario. >> Perché ho detto al contrario?
Faramir si rilassa sullo schienale, continuando a guardarmi in silenzio.
Io mi alzo e vado agli scaffali, cercando di prendere una direzione d’avvio.
<< Non avete alcuna domanda da farmi, mia signora? >> Chiede il principe dopo un attimo di silenzio.
Mi blocco, girandomi lentamente verso di lui. << In merito a ieri sera? >>
Faramir annuisce, alzandosi a sua volta. << Vorrei scusarmi con voi, per il pessimo comportamento di cui mi sono macchiato a cena, ieri >>, mormora, << Ma non ho saputo trattenermi. >>
<< Nemmeno voi sapevate niente del matrimonio, immagino. >>
Lui schiocca la lingua, un evidente segno di disappunto. << Niente di niente. >>
<< E non approvate. >>
<< Assolutamente no. >>
<< Perché no? >>
<< Ditemi, voi cosa ne pensate di Morwiniel? >> Chiede, cambiando argomento.
Mi stringo nelle spalle, sapendo già quello che gli piacerebbe sentirsi dire.
<< Sembra essere una donna decisamente … intraprendente. >>
L’aggettivo fa ridere il principe di Gondor di una risata ironica. << Questo aggettivo è troppo gentile per essere usato con una come lei >>, sostiene grattandosi con noncuranza il mento, << quella donna è una approfittatrice della peggior specie. >>
<< Ma come ha fatto ad arrivare fino a qui? >>
<< Oh, ha iniziato quando mio padre è andato a farle visita all’accampamento di Osgiliath, dove Colinde l’ha curata dalle sue ferite. Da allora, potrei dire che ha stregato il Sovrintendente, ma credo che offenderei una strega come voi a parlare in questi termini. >> Si fa serio, serissimo. << Nel giro di poco tempo, ce la siamo trovati letteralmente in casa e, se prima era una semplice ospite, adesso impartisce ordini alla servitù e segue mio padre come un’ombra malefica, per non parlare del fatto che potrebbe diventare la mia matrigna. >>
L’accento che Faramir pone sull’ultima parola mi fa rabbrividire: quello è odio.
<< Nessuna offesa, solo non capisco se dietro l’interesse di vostro padre ci sia solo la possibilità di creare un’alleanza o qualche influenza esterna. >>
<< Influenza esterna? >> Faramir si fa più attento.
<< Beh, avete accennato alla stregoneria. >>
<< Ma davvero si possono stregare le persone? >> Sembra molto perplesso in merito.
Annuisco con aria convinta. << Pochi possono, il resto sono ciarlatani. >>
<< Ma è possibile scoprire se qualcuno è stregato? Voi ci riuscireste? >>
<< Si, ma … >> Vorrei dirgli che non so bene come si possa svelare una stregoneria, ma cerco di non deluderlo. << E’ complicato, e richiederà molto sforzo. E non è nemmeno detto che sia questo il nostro caso! >> Concludo incrociando le braccia al petto.
Faramir sospira, camminando avanti e indietro sul posto con aria pensierosa.
<< Io oggi pomeriggio parto >>, dice tornando a guardarmi dopo attimi di silenzio, << Ma mio fratello resta qui. >>
Con due falcate, Faramir si avvicina e mi fissa con occhi grigi e penetranti.
<< Dovete aiutarci a risolvere questo problema, mia signora. >>
Faccio un passo indietro, mantenendo comunque gli occhi nei suoi.
<< Le vostre ricerche sono importanti, lo capisco e lo immagino >>, insiste lui avvicinandosi ancora, pedante, << Ma il Nemico è qui, sotto il mio tetto, vicino alle persone che più amo. Macchinazioni sono in atto e sono certo che tutto porta il marchio di quella femmina. Quindi, vi prego, ti prego … aiutaci. >>
Faramir è così vicino che riesco a specchiarmi nei suoi occhi.
Sto cercando di prendere fiato per dirgli che si, cercherò di aiutarli, quando un grido squarcia l’aria del palazzo.
<< Oh Valar… >> mormoro, avviandomi verso la porta della biblioteca. Usciti sul corridoio, vedo che tanti servi hanno la nostra stessa espressione sul volto: incomprensione, sgomento, paura.
<< Sembrava provenire dalla corte principale >>, sostiene un servo a cui Faramir ha chiesto informazioni, quando altre urla di panico ci fanno scattare in avanti.
Faramir mi supera, facendomi strada tra la gente del palazzo che si accalca nei corridoi per arrivare alla fonte del terrore.
Arriviamo nella corte che c’è una piccola folla accalcata attorno a qualcosa che giace per terra. In molti sono pallidi, pallidissimi nelle livree nere, e si scostano  sobbalzando al passaggio mio e di Faramir.
<< Oh Valar … >> gemo di nuovo, riempiendomi gli occhi di orrore.
C’è un uomo morto a terra, ha la gola squarciata e l’addome aperto dallo sterno fino all’inguine.
Con le viscere così esposte, sembra che qualcosa l’abbia divorato da dentro.
Negli occhi vitrei, il cadavere ha ancora un’espressione di indicibile terrore.
Il massacro deve essere successo da pochissimo, tant’è che la macchia di umori sotto la schiena del cadavere si sta ancora espandendo sul selciato.
Il suo sangue è così vivido e rosso da sembrare vernice fresca e ne resto ipnotizzata mentre ricolma le pieghe del pavimento.
Un altro grido ci riscuote, assieme al rumore di porcellane infrante, facendoci voltare tutti verso il porticato: una cameriera ha lasciato cadere la brocca che reggeva, portandosi le mani al viso, nascondendosi allo sguardo del grande Occhio dipinto di fresco sul portone della sala del trono.
Secchi di acqua gelida mi percorrono la schiena, mentre la pelle si accappona così tanto da farmi male: cosa ci fa il simbolo di Sauron nel cuore più intimo del regno di Gondor?  Chi è stato e come ha fatto ad arrivare fin lì, uccidendo un uomo in pieno giorno nel fulcro del palazzo?
<< Che tutti riprendano i loro servizi. >>
Mi volto verso Faramir, che non ha abbandonato mai il mio fianco. Pallido ed evidentemente sconvolto, cerca di mostrarsi il più calmo e autorevole possibile.
<< Qualcuno vada a chiamare mio padre e mio fratello, devono essere avvisati di questo crimine. Qualcuno vada alle case di guarigione e avvisi un cerusico di venire a prelevare il cadavere, non possiamo lasciarlo qui. >> Man mano che Faramir parla, la sua voce si face più chiara e forte, e gruppetti di persone si avviano ai loro compiti con inchini tremolanti. << Che qualcuno pulisca questo macello e faccia sparire quell’orrore dalla porta. E che qualcuno avvisi la famiglia di questo poveretto. >>
Faramir cerca di piegarsi sull’uomo ed è allora che mi accorgo di avergli afferrato il polso e di non averlo più lasciato andare. Sorpreso, l’uomo mi guarda e cerca di farmi un sorriso tutt’altro che rassicurante.
 << Una ragione in più per indagare, non credete? >>
Lo lascio andare, piegandomi a mia volta sui poveri resti. Le prime mosche iniziano a ronzare nell’aria, ingozzandosi del sangue fresco. Le scaccio con un colpo di bastone sul selciato, spaventandole.
<< Come può essere che il Nemico sia penetrato fino a qui? >> Mormoro, sfiorando il polso del cadavere.
Come un lampo improvviso, davanti agli occhi aperti mi appare l’Occhio di fuoco, colui che non dorme mai e mai trova riposo: mi fissa nel buio, come se stesse aspettando la mia venuta. 
Sento il mio corpo irrigidirsi e Faramir mi sostiene, evitando che cada a terra.
<< Mia signora! >> Esclama, aiutandomi ad alzarmi in piedi. Ha l'espressione preoccupata e, nei suoi occhi, vedo specchiato il mio sconvolgimento.
<< Si, mio signore Faramir, questa è davvero una ragione in più per indagare. >>
 
 
DIF:
buona sera fanciulle del mio cuore!
Come state? Tutto bene?
Perdonerete la cortezza del capitolo, ma a farci stare tutto in uno diventava un poema!
Iniziano i primi movimenti strani in quel di Minas Tirith, e proprio quando la nostra giovane Istari stava iniziando le sue ricerche: depistaggio ? colpi di scena?
Capitolo introspettivo, sto cercando di dare spessore di carattere alla nostra Annael e anche al nostro Faramir che, da parte sua avrà una buona parte nella storia… e lui, quant’è gnocco da uno a dieci? Undici?
 
Spero che il chappi vi sia piaciuto, l’altro è già in corso di svolgimento!
A presto sentirci   ^_^

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Capitolo 7
*** .VI. ***


.VI.
 
 
      << Passami la pinza >>.
La voce del cerusico mi riscuote, facendomi distogliere lo sguardo dal volto del cadavere che abbiamo davanti.
Con un movimento rigido, faccio quello che mi è stato chiesto.
Il cerusico mi soppesa con gli occhi, afferrando la pinza con delicatezza.
<< Nessuno ti obbliga a restare >>, dice con aria burbera, << E i ferri li posso prendere dal vassoio anche da solo, mia signora. >>
<< Siete gentile, ma qualcosa mi dice che questo è il mio posto >> ribadisco in un sussurro, tornando a guardare il volto del cadavere. Quanto è passato da quando questo poveretto è morto? La sua famiglia avrà avuto la notizia?
<< E perché mai dovresti rimanere qui? Tanto, questo qui mica si sveglia! >> Il cerusico appoggia le mani sporche di sangue sul tavolaccio dell’autopsia, sospirando.
<< E, se dovesse svegliarsi, avrebbe sicuramente qualcosa da raccontare. >>
     Siamo alle case di guarigione, dove il corpo è stato portato su ordine di Faramir.
Un gruppo di guardie della Cittadella ha scortato il cadavere, ma non ha impedito che la notizia si propagasse per la città: un uomo è morto nel palazzo del Sovrintendente, e il suo sangue è stato usato per dipingere un grande Occhio sulla porta della sala del trono. Sospiro, cercando di scacciare dalla mente la visione avuta appena sfiorato il cadavere: il grande Occhio, quello vero, che mi fissava in eterna attesa.
<< Quindi continuate a sostenere che sia morto a causa di un qualche animale? >>
Il cerusico si stringe nelle spalle, evidentemente perplesso, e si schiarsice la gola.
<< Se questa morte fosse avvenuta durante una battuta di caccia si, direi che un grosso cinghiale potrebbe aver fatto un simile disastro. Tuttavia, non ci troviamo in Ithilien. >>
Sospira, sciacquandosi le mani nel catino, << E i cinghiali non hanno ancora imparato a dipingere sui muri. >>
L’uomo mi guarda con insistenza, aspettandosi che io dica qualcosa.
E’ un uomo maturo, questo, alto e secco e dai movimenti nervosi, con lunghi capelli neri legati sulla schiena in un codino molle e il naso adunco.
<< Lo so cosa pensate >> inizio, mentre lui prende ago e filo. << Credete che sia opera sua, vero? >>
<< Perché, voi no? >> Sbotta, iniziando a ricucire dall’addome.
Schiocco la lingua, nervosa. << Certo che si. Ma la domanda è come ha fatto il Nemico ad arrivare fino a qui? >>
<< Piuttosto: siamo sicuri che sia arrivato e non che sia sempre stato qui? >>
La prospettiva mi fa aggrottare le sopraciglia, perplessa. << Ma se è sempre stato qui… perché non ha colpito prima? Cosa stava aspettando? >>
Il cerusico va avanti a cucire, lembo per lembo, con perizia da sarto.
<< Forse attendeva un segnale, o forse non era pronto >> mormora dopo parecchio tempo, quando compie l’ultima saldatura al livello della clavicola. Accarezza con cura i capelli del cadavere, e vedo la sua espressione mutare e farsi più triste. << Peccato che a farne le spese sia stato questo poveraccio. Non si meritava una simile fine. >>
Annuisco a mia volta, prendendo una pezza umida dal catino. Vorrei pulire questo corpo, credo che pulirlo sia un atto doveroso, ma appena lo sfioro nella testa esplode ancora lui: l’Occhio di Sauron.
Traballo e vado a sbattere contro il carrellino, facendo cadere con grande chiasso il vassoio dei ferri.
Il cerusico mi agguanta e mi fa sedere per terra, mentre tremo come una foglia. Non dice una parola e mi guarda con occhio clinico.
<< Questo cadavere porta su di sé il segno delle forze oscure >> sussurro mentre cerco di riprendermi, << Lo percepisco ogni volta che lo sfioro ed è terribile.>>
<< Un motivo in più perché tu te ne vada, mia signora >> ribadisce il cerusico facendomi alzare. Mi stringe la mano con forza e mi sostiene con l’altra. << Siete stata d’aiuto nell’autopsia, non è sicuramente da poco. E ormai quest’uomo non ha più nulla da dirci. >>
Ci avviamo alla porta, ma io continuo a guardare il cadavere. << Cosa ne farete del corpo? >>
<< Attendiamo che i familiari vengano a reclamarlo o, in caso che quest’uomo sia solo, gli daremo noi una tomba. >>
L’uomo bussa alla porta e una guardia in armatura completa ci apre.
<< Andate, mia signora, e che le nostre strade si incrocino in momenti migliori >>, mormora l’uomo con un lieve inchino, mentre io lancio ancora sguardi al corpo alle sue spalle: che cosa non mi torna?
<< Che una stella brilli sul nostro incontro >>, ricambio io, << E che ci dia la possibilità di conoscerci meglio. Ho molto da imparare da uno come voi. >>
Il cerusico mi fa il primo, vero sorriso della giornata.
 
      Ritorno a palazzo che è già mezzogiorno.
Le strade sono quasi deserte, il rumore del mio bastone sul selciato è l’unico degno di nota. Il sole è velato dalle nuvole e il fatto che sia allo zenith azzera le ombre delle cose attorno a me, dando alla città un aspetto onirico e surreale.
Nella mia testa risuona al ritmo del passo la conversazione avuta col cerusico.
Se il Nemico non è arrivato ma è sempre stato qui, perché non ha colpito prima?
Aspettava un segno, ha detto l’uomo.
Un segno … che cosa è successo di importante in questi giorni a Gondor?
Devo chiederlo ai principi o ad Odil, penso mordicchiandomi l’unghia del pollice. Se ci sono stati cambiamenti significativi, loro lo sapranno di certo.
Arrivo alla Cittadella e percorro i giardini su cui si affaccia il palazzo del Sovrintendente, aggirando il decrepito Albero Bianco e passando oltre. Noto che ci sono più guardie rispetto a ieri, ma nessuna mi impedisce di entrare nella sala del trono. Lì, trovo i principi assieme a Denethor.
Di Morwiniel, nessuna traccia.
<< Quali nuove dalla casa di guarigione? >> Chiede Denethor mentre mi avvicino a loro. Sono la sua consigliera, dopo tutto, ha il diritto di farmi delle domande dirette.
<< Il cerusico sostiene che l'assassino sia una grossa belva, come un cinghiale >> riferisco, scuotendo da subito la testa con aria contrariata, << Ma sostiene anche che i cinghiali non abbiano ancora imparato a dipingere sui muri. >>
<< Dove il buon senso langue, l’ironia è un’ancora di salvezza >> ribadisce Denethor con un bisbiglio, passandosi una mano sul viso. Ha gli occhi cerchiati di scuro e una profonda ruga gli spezza la fronte. Punta gli occhi nei miei, la bocca ridotta ad una piega dura. << Voi che cosa ne pensate, mia signora? >>
<< Che sicuramente non è opera di un cinghiale. >>
<< Lo sappiamo tutti di chi è opera >> Sbotta Boromir, incontenibile, << Ma come ha fatto ad arrivare fino a qui? >>
Alzo un sopracciglio ma non lo guardo in viso mentre parlo.
<< Sicuri che sia arrivato e non ci sia sempre stato? >>
Stavolta è Faramir a intervenire. << Che cosa intendi dire? >>
<< Che forse il Nemico è sempre stato qui e attendeva il momento giusto per attaccare. >>
<< Il momento giusto … e perché stamattina era il momento giusto? Perché non ieri? O domani? >> Boromir serra la mano sull’elsa della spada. << Che cosa vorrebbe dirci con questo gesto? >>
<< Non lo so >> ammetto semplicemente, << Forse aspettava qualcosa, come un segnale. >>
<< Oppure >>, aggiunge Faramir, << Aspettava qualcuno. >>
La frase cade come un sasso nell’acqua, creando onde via via più grandi nel silenzio che ci gela.
<< L’arrivo dei Kurai non è sicuramente passato inosservato presso il regno di Mordor >> sostiene Denethor, << E anche il passaggio di Mithrandir è stato notato. Proprio come la vostra permanenza qui, mia signora. >>
<< E il Nemico aspettava me per scatenare la sua ira? >> 
<< No >> ammette Boromir, incatenando i miei occhi ai suoi. << Attendeva voi per colpire il cuore di Gondor e farci capire che, nonostante un’Istari sia dalla nostra parte, lui può arrivare ovunque e fare qualsiasi cosa. >>
<< Niente e nessuno è più al sicuro >> rincara Faramir, serissimo, lasciando che un pesante silenzio cada nella sala.
 
         Ritorno, per l’ennesima volta, alla prima riga del paragrafo.
Sospiro, mettendo da parte la pergamena e sfregandomi gli occhi con aria stanca.
Da che ora sto cercando di concentrarmi su queste maledette carte?
Alzo lo sguardo e vedo che la luce fuori si è spenta in sfumature rosate. E’ già il tramonto? Eppure, questa giornata mi è sembrata infinita.
Niente e nessuno è più al sicuro, così ha detto Faramir.
E tutto per colpa mia.
Se fossi rimasta ad Isengard, forse quell’uomo sarebbe ancora vivo?
Forse si, forse no.
Fatto sta che, ora, dovrei concentrarmi e non ci riesco. Il mio scopo primario è essere qui, tra queste mura, alla ricerca dell’Anello sovrano perso tra le righe del tempo, mentre io sto facendo tutto il contrario, come risolvere un omicidio, già al primo giorno di lavoro.
Dopo aver accompagnato Faramir alle scuderie e averlo salutato, Boromir mi ha riaccompagnato alla biblioteca, ragguagliandomi su quanto scoperto dagli interrogatori alla servitù.
<< Nessuno ha visto niente, proprio in quell’istante tutti erano altrove >> spiega a denti stretti, camminando al mio fianco per i corridoi del palazzo. Veste farsetto e cotta di maglia, e a tracolla porta il corno di Gondor. Ha la mascella contratta e la mano serrata stretta sull’elsa della spada. << Sembra un caso, ma ovviamente non lo è. >>
<< Il caso è senza padre >> filosofeggio, continuando a pensare alla visione dell’Occhio. << Questo omicidio è chiaramente un messaggio rivolto a Gondor ma, credo, soprattutto a me. >>
<< A voi? >>
Annuisco, rivelando a Boromir quanto ho visto una volta sfiorato il cadavere.
Lo vedo impallidire ma, nonostante tutto, la rabbia gli brucia negli occhi.
<< Maledetto … Crede di poter fare il bello e il cattivo tempo in casa nostra, ma si sbaglia! >> Mi lancia un’occhiata preoccupata << Voi come state, mia signora? >>
<< Sono confusa  >> ammetto, << Perché dietro questo omicidio c’è dell’altro ma non riesco a capire cosa. >>
Boromir sospira, fermandosi assieme a me davanti alla porta della biblioteca. Osserva il battente di quercia, per poi appoggiarvi sopra una mano. << Faramir ha sempre amato questo luogo più di me. Spero comunque che voi riusciate a trovare le risposte alle vostre ricerche. >>
<< Se le troverò, avremo una freccia in più al nostro arco >>, sostengo facendogli un debole sorriso. Anche lui mi sorride a sua volta, aprendo la porta e lasciandomi entrare.
<< Se avrò degli aggiornamenti verrò a riferirveli, Annael. >>
Il mio nome sulla sua bocca mi fa venire i brividi.
Mi sono già dimenticata che per lui sono solo una ragazza che sa leggere?
Quando il battente si chiude, sento finalmente il mio cuore rallentare.
Ripenso a tutto questo strofinando la pezza di stoffa verde che tengo nella tasca della veste. Queste emozioni mi lasciano senza fiato e con la testa confusa, quando invece dovrei essere calma e placida come un lago per far fruttare al meglio le mie doti di studiosa. Con un sospiro pesante, mi risiedo alla scrivania e guardo le carte davanti a me. Resoconti, diari, corrispondenza: molte cose sono conservate in queste pergamene, vergate da inchiostro antico, e quello che cerco è lì, fra le righe. Pronto per essere scovato.
Un presentimento mi fa alzare lo sguardo alla porta e, dopo un attimo, il battente si spalanca e Boromir entra a grandi passi, come un turbine.
Ha un espressione così sconvolta che mi alzo in piedi ancora prima che me lo chieda e lo precedo nei corridoi del palazzo.
 
         << Mi hanno detto che ha iniziato a mostrare i primi segni di vita questo pomeriggio >> racconta Boromir mentre ci muoviamo per la città in direzione delle case di guarigione. << Ha iniziato muovendo appena le dita e poi si è messo a sedere sul tavolo dell’autopsia. >>
<< Ma questo è impossibile! >> Esclamo, cercando di stare al suo passo.
<< Quell’uomo era palesemente morto! Il cerusico l’ha dovuto ricucire e non ha mosso un muscolo mentre l’ago gli trapassava le carni! >>
<< Vi dico solo quello che mi hanno riportato >>, sostiene Boromir con aria di scusa, << Io non ho ancora visto niente e sono scettico quanto voi. >>
Una risurrezione, penso io con aria stupita, di questo non avevo mai sentito parlare.
I guaritori ci accolgono sulla soglia delle case di guarigione, preoccupati e tremanti, confusi da quello che sta succedendo.
<< Mio principe, cosa accade? >>
<< Capitano, che cosa ci dite? >>
<< Cosa dobbiamo fare? >>
Fendiamo la folla senza dire una parola, tranne Boromir che impone a tutte le guardie di formare un cordone attorno all’uscita della casa di guarigione.
<< Nessuno deve entrare o uscire da qui, adesso, senza la mia autorizzazione. >>
Camminiamo a passo spedito verso l’obitorio, i corridoi sono tanto silenziosi quanto spettrali, avvolti dalla penombra del tramonto.
<< Avete mai letto nulla in merito a questi fatti? >> Mi chiede Boromir per spezzare il silenzio pesante, << Di morti che tornano alla vita, intendo. >>
<< Niente di niente >>, mi tocca ammettere con amarezza, << Ma sono sicura che non ci sia niente di buono in tutto questo. >>
<< La pensiamo allo stesso modo, allora >> conclude lui, mentre la guardia di stanza davanti alla sala delle autopsie ci viene incontro, pallida come la morte.
<< Mio s-s-signore >> balbetta, palesemente terrorizzato.
Boromir gli posa una mano rincuorante sulla spalla. << Riposo, soldato. Dove sono i tuoi compagni? >>
Un urlo che ha poco di umano viene dalla sala, facendoci trasalire.
La guardia si mette a piangere di paura. << S-s-sono li d-dentro, sire! >>
Boromir lo scosta, avvicinandosi alla porta mentre un altro urlo fende l’aria.
La guardia mi guarda con il moccio al naso, piangendo a dirotto.
<< Gliel’avevo detto di non entrare… >> mormora tra le lacrime, << Ma Aldemir si era messo a urlare che l’aveva mo-morso, e anche Luthen, e allo-ora Ridemar è entrato chiudendosi la porta alle spalle e io, i-i-io… >>
Impietosita, lo faccio appoggiare al muro e gli sfioro la fronte, schiarendogli in un qualche modo le idee e infondendogli una tranquillità che nemmeno io provo.
<< Ora resterai qui. Se succedesse qualcosa, non aprire questa porta, chiaro? >> Gli ordino, mentre Boromir mi osserva con aria stupita.  << La apriremo noi dall’interno. >>
La guardia tira su col naso e annuisce.
<< Mi dispiace ta-ta-tanto… >> tartaglia, mentre mi avvicino a Boromir.
<< Dobbiamo entrare >> affermo, sentendo il sangue defluirmi dal viso.
Boromir annuisce, impallidendo a sua volta.
<< Cosa ci aspetta in quella stanza? >> chiede, sguainando la spada.
<< La morte >> sibilo, mentre Boromir spalanca la porta con un colpo deciso.
 
        
         La morte è lì per davvero.
La luce crepuscolare getta ombre lunghe negli angoli della sala, rendendo impossibile distinguere le varie ombre.
Batto il bastone e dalla mia pietra si irradia una luce chiara e pura, mentre con il piede tocco qualcosa di molle e umido.
I resti di quello che una volta era un uomo giacciono a terra, scomposti, proprio accanto al mio piede. Un braccio è lì, una gamba è sopra al tavolo, e le viscere … quelle sono come festoni rossi sul pavimento di coccio. E noi le stiamo pestando.
<< Cosa diavolo… >>
La frase di Boromir è interrotta da un verso gutturale alle nostre spalle.
Qualcosa ci viene incontro ma Boromir lo intercetta, scagliandolo a terra in una cacofonia di strilli e lamiera.
La luce cruda della pietra illumina un soldato in armatura completa, che a terra si contorce e schiocca le mascelle, in preda a quelle che sembrano convulsioni.
Dalla penombra emergono altre due figure alle spalle di Boromir. Preannunciano il loro arrivo con sonori schiocchi di denti e versi che hanno poco di umano.
Boromir mi si para davanti, la spada in pugno e alta nella difesa, mortalmente pallido alla luce artificiale. << Cosa diavolo sono questi? >> Sussurra Boromir, ma non lo sento.
Io… io sono impietrita: davanti a me, con la sutura ben visibile che parte dal pube alla clavicola, si erge il morto di stamattina. Ha gli occhi vitrei e vuoti, eppure li tiene puntati dritti su di me. Gli altri due devono essere i compagni della guardia alla porta, ma anche loro hanno qualcosa di decisamente sbagliato: la guancia di quello che ha attaccato il principe è inesistente, strappata da quello che sembra un morso, mentre l’altro ha il collo aperto in corrispondenza della carotide, ma il sangue non cola…
<< Annael. >>
La voce di Boromir mi riporta alla realtà.
<< Cosa sono questi abomini? >>
Scuoto la testa, accorgendomi di tremare come una foglia.
Prima che possa rispondergli, tutti e tre si lanciano su di noi come se comandati a distanza con urla animalesche e la fauci aperte, pronti a morderci.
Boromir si lancia contro di loro con un urlo di sfida, infilzando il cadavere nudo, quando dentro di me accade qualcosa che non è mai capitato: qualcosa si sblocca, la luce sul mio bastone si espande, facendosi più luminosa e così intensa da costringermi a chiudere gli occhi e urlare con quanto fiato ho in corpo.
 
         Quando riapro gli occhi sono ancora qui, all’obitorio delle case di guarigione.
Il bastone mi è caduto di mano e giace davanti a me, con la pietra che ancora pulsa lievemente. Inspiro forte, pentendomene subito: l’odore di carne bruciata scatena un conato di vomito che mi fa vibrare come una corda.
Mi giro sul fianco e vomito quel poco che ho nello stomaco, quando sento una mano stringermi la spalla e sorreggermi.
Boromir mi fissa con occhi grandi e sconvolti, le labbra pallide di paura.
Vorrebbe dirmi qualcosa, ma non sa bene cosa, e il suo sguardo va ai tre morti carbonizzati che giacciono davanti a noi.
<< Per tutti i Valar >>, sussurra l’uomo, restando al mio fianco, << Che cosa hai fatto? >>
Qualcuno apre la porta e lascia che una decina di guardie in armatura completa entri, le spade sguainate contro ogni evenienza.
Con gli occhi lucidi di sollievo, vedo che anche a loro da fastidio l’odore della carne bruciata.
<< Vi ho difeso >> mormoro con le lacrime che mi rigano le guance.
<< D’altro canto, non sono una ragazza qualunque. >>
 
 
D.I.F.
OK. OK. OK…
Siete pronte? Avete letto bene? Morti che resuscitano e mordono, trasformando gli altri in non morti…vi ricorda qualcosa? Sicure?
Ogni riferimento è puramente casuale, ma di zombie (ho detto zombie?) a Minas Tirith non se n’erano mai visti! Ahahah, spero di essere la prima
Che ne dite di questo chappi che ha seguito a bomba l’altro? Non stavo più nella pelle di scriverlo e pubblicarlo per il vostro plauso!
Dai, fatemi sapere cosa ne pensate… e stay tuned!
Nini.

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Capitolo 8
*** .VII. ***


.VII.

 

 
         La notte porta ancora segno degli strascichi dell’inverno, me ne accorgo mentre attraversiamo le strade di Minas Tirith alla volta della Cittadella: il fiato si condensa in nuvolette biancastre, le mani sono fredde e continuo a rabbrividire come se avessi la febbre. Ma forse il freddo che percepisco è solo interiore, forse il terrore vissuto solo qualche ora prima non è del tutto passato.
Il bastone si incastra in una fessura del selciato, incespico malamente e sarei col naso per terra, se non fosse per Boromir che prontamente mi agguanta per un braccio.
<< Tutto bene? >> chiede, reggendomi anche se non corro più il rischio di cadere.
Annuisco appena, svincolandomi dalla sua presa e ricominciando a camminare senza intercettare il suo sguardo.
No, non va tutto bene, vorrei dirgli, ma tanto questo lo sai anche tu.
Che senso ha rimarcare un fatto tanto evidente?
Nella notte, i nostri passi e il ticchettare del bastone sono i soli rumori che si sentono.
 
         Il palazzo è presidiato da ronde di guardie armate che salutano Boromir battendo i tacchi e mettendosi sull’attenti, figure di ombra nella notte. Anche la Sala è presidiata da guardie, sull’attenti nelle campate in ombra, mentre Denethor siede sul suo trono, dritto come una spada sguainata.
Davanti a lui, qualcuno è rattrappito su una sedia.
Un tuffo al cuore mi fa accelerare il passo, distanziando Boromir. Senza prestare attenzione a Denethor, mi inginocchio davanti alla guardia che ha assistito a tutto: fissa il vuoto e ondeggia leggermente, il viso con evidenti tracce di lacrime, gli occhi sbarrati.
Una vampata di rabbia mi investe il viso, facendomi arrossire di sdegno.
<<  Cosa ci fa lui qui? >> 
Denethor mi guarda con aria indecifrabile, la bocca ridotta a una linea dura.
<< Quest’uomo è sconvolto, cosa pretendete che riesca a raccontarvi di stasera? >> sbotto, la voce alterata, per poi aggiungere un << Mio signore >> senza troppa convinzione.
<< Padre, questa guardia non ha visto niente. Ha solo sentito i suoi compagni chiedere aiuto. Noi piuttosto … >> Boromir avanza di un passo e inizia a raccontare.
 
    Mentre Boromir racconta, mi sembra che la temperatura della sala stia scendendo in picchiata.
Fa così freddo che non riesco più a trattenere i brividi.
La guardia è ancora con noi e ascolta il resoconto del suo Capitano, lanciando ogni tanto qualche gemito di terrore.
Le ultime parole di Boromir aleggiano nel silenzio più totale.
Denethor ha ascoltato suo figlio a capo chino, la mano ad ombreggiare la fronte. Quando lo rialza, vedo che la sua espressione si è fatta ancora più dura e acuta.
<< La lama di Sauron si è insinuata nel cuore di Gondor >> mormora, a mezza voce, per poi alzare gli occhi su di me.
<< Mia signora, sai dirmi altro riguardo questa magia? >>
Mi stringo nelle spalle.
<< No, tranne che non è mai stata descritta in nessuno degli annali da me studiati o custoditi ad Isengard. >>
<< Ma credete che possa ripetersi un simile episodio? >>
Un brivido mi squassa le ossa, chiudendomi la bocca dello stomaco.
<< Io credo di si. >>
La guardia geme forte, tappandosi le orecchie e rattrappendosi ancora di più su se stessa.
Gli lancio uno sguardo, preoccupata: vorrei solo che si ritirasse.
<< Da cosa lo deduci? >> Il Sovrintendente è lapidario.
<< Dal fatto che può colpirci quando vuole, per esempio, e che l’effetto di un attacco simile può essere catastrofico. >> Faccio un passo avanti, cercando di non farmi sentire dalla guardia alle mie spalle. << Questa maledizione si può trasferire da una persona all’altra con un morso. Non ho visto bene, non ho analizzato, ma credo che funzioni così. >> Mi faccio ancora più vicina, la voce ridotta a un sussurro. << Stavolta eravamo lì, casualmente il corpo era sotto sorveglianza, ma pensate bene: se questo evento dovesse ripetersi in una qualsiasi casa di Minas Tirith? O in uno dei villaggi qui attorno? Quanto tempo ci impiegherebbe questa piaga a dilagare? >>
Boromir annuisce, la bocca piegata in una smorfia amara.
Denethor rimane a lungo silenzioso, fissando il marmo del pavimento con insistenza.
Alla fine, fa un profondo respiro e si alza, avvicinandosi alla guardia.
Gli mette una mano sul capo, accarezzandogli la testa con dolcezza.
<< Va, figlio di Gondor. Hai adempiuto ai tuoi doveri. Parlerò ai tuoi superiori affinché ti vengano concessi giorni di riposo, perché sei logorato dalla paura e dalla fatica. >> A un cenno del Sovrintendente, due guardie escono dalla penombra e sostengono il giovanotto, tremante come una fiamma nel vento, mentre se ne va.
Denethor aspetta che sia uscito, prima di trarre un profondo respiro.
<< Quanti sanno cosa è accaduto alle Case di Guarigione, Boromir? >>
<< I guaritori, padre, forse qualche guardia. >>
<< Deve essere mantenuto il riserbo su questa faccenda >> ordina il Sovrintendente, sedendosi nuovamente, << Perché nessuno deve sapere delle congetture fatte qui, stasera, in merito agli eventi della giornata. >>
<< Congetture? >> chiedo, perplessa. << Questi sono fatti, mio signore, e i vostri cittadini vanno informati, per il loro bene! >>
<< Informarli scatenerebbe solo il panico >> mi liquida Denethor, con un cenno distratto della mano.
<< Affatto, potrebbe salvargli la vita! >> Insisto, aggrappandomi al bastone. << Se essi non sanno delle conseguenze di un attacco, come potranno prendere le dovute contromisure per difendersi? >>
Denethor mi osserva con attenzione, gli occhi penetranti come spilli che sondano l’anima. << Mi suggerite dunque di rendere pubblico il fatto che un uomo morto in circostanze misteriose sia tornato in vita nell’arco di qualche ora, abbia trasmesso una non so ben definita maledizione a due guardie, per poi attentare alla vita di mio figlio e della mia consigliera? Ma lo sentite questo discorso? Suona assurdo e strambo già in partenza. >>
<< Strambo o meno, padre, è la realtà >> ribadisce Boromir, << E vi assicuro che non avevano niente di strambo quegli esseri che hanno cercato di ucciderci. >>
Denethor annuisce, giungendo poi le mani. << Voglio sapere di più su questa maledizione. Chiederò consiglio anche a Morwiniel. Per ora, non voglio che la notizia venga resa nota. >>
Boromir trae un profondo respiro, come per calmarsi.
<< Padre, io non sono d’accordo. >>
<< Non importa che tu lo sia, Boromir. Quello che conta è che tu obbedisca ai miei ordini. >>
Padre e figlio si fissano per un lungo, interminabile momento, finché Boromir abbassa lo sguardo.
Imbarazzata, mi schiarisco la gola.
<< Farò del mio meglio per scoprire di più su questa maledizione. >>
Denethor annuisce, per poi congedarci.
Mi sto già voltando, quando Boromir fa una domanda all’apparenza indifferente.
<< Dov’è Morwiniel, padre? >>
Denethor stavolta si alza in piedi e fronteggia il figlio maggiore, che lo supera di circa una spanna. << Ha degli obblighi presso la sua gente, ed è dovuta tornare all’accampamento di Osgiliath per risolvere delle controversie. Improvvisamente, ti importa di lei? >>
<< Semplicemente, oggi la sua figura non ha ancora allietato la mia vista >> sibila il principe, ironico.
Denethor si fa ancora più sotto a Boromir, quasi sfiorandolo << So cosa stai insinuando e bada bene a cosa ti dico ora: non azzardarti a fare congetture simili sulla mia futura sposa. >> Facendo un passo di lato, Denethor si volta e se ne va nell’ombra, comunicandoci così che l’udienza è finita.
 
     E’ notte fonda quando, dopo ore passate a rigirarmi nel letto, mi decido ad uscire dalla mia camera.
Lo faccio silenziosamente, evitando di svegliare Odil che dorme come un sasso ai piedi del letto. La ragazza è stata tutto il pomeriggio e la sera in mia attesa, aspettandomi premurosamente nella mia camera. Peccato che, con il buio e i fatti della giornata, proprio non me la sia sentita di mandarla a casa da sola. E così, ora, questa fanciulla giace qui, russando leggermente. Il rumore del suo respiro dovrebbe calmarmi, invece non fa altro che tenermi sveglia- o è la folla di pensieri nella mia testa che fa troppo chiasso?
Un refolo d’aria attraversa il corridoio silenzioso, facendomi rabbrividire.
Senza sapere bene dove andare, dirigo i piedi nudi alla biblioteca e vi entro con un cigolio della porta che non riesco ad evitare. Nell’ambiente freddo e asciutto, faccio un cenno al camino e la fiamma divampa, allegra e bianca. Il calore mi scioglie in un attimo, e protendo le mani ad esso con un sospiro di sollievo. Un altro cenno e una delle sedie più vicine si fa avanti, silenziosa, lasciando che mi sieda e poggi le braccia sui braccioli scoloriti dal tempo. Un ultimo cenno, e compare tra le mie mani una tazza di the nero fumante. Lo sorseggio piano, per poi schioccare la lingua: adesso si, che posso iniziare a ragionare sui fatti della giornata.
Punto primo, elenco mentalmente:oggi ho visto per la prima volta un uomo morto. Punto secondo: oggi ho visto per la prima volta un uomo resuscitare...
Scuoto la testa, contrariata dal mio cuore che ha già accelerato i battiti: non posso ragionare così. Non posso perché la mia parte emotiva prende troppo il sopravvento, terrorizzandomi.
         Ripenso all’espressione di Boromir, pallida e sconvolta, e alla puzza di bruciato nella stanza. Ricordo quando hanno portato via i cadaveri, a come un cranio si è staccato dal corpo, cadendo a terra con un rumore legnoso… getto la tazza nel fuoco, provocando una fiammata più alta delle altre: maledizione a me!
Un verso soffocato mi fa girare di scatto, mentre la luce della fiamma si intensifica maggiormente: Boromir di Gondor ha una mano davanti agli occhi a proteggersi dalla luce improvvisa, proprio davanti a me.
<< Sono solo io! >> esclama, abbassando la mano ma tenendo comunque gli occhi socchiusi.
La fiamma si abbassa da sola, seguendo l’onda della mia sorpresa. << Voi… cosa ci fate qui? >>
<< Le mie stanze sono poco lontane. Ho sentito un cigolio e allora mi sono alzato. >>
<< Dormite sempre armato? >> chiedo, accennando alla spada che pende al suo fianco.
Lui mette una mano sull’elsa, sorridendo di sghembo. << Non sono nemmeno entrato nel letto, in verità. >>
Io annuisco, accennando ad un'altra sedia di avvicinarsi al fuoco. << Sedete con me, allora, e parliamo un po’. >>
Boromir si fa avanti, osservando la sedia come se la vedesse per la prima volta, per poi sedersi con la spada poggiata sulle ginocchia. La luce bianca toglie ogni ombra dal suo viso, levigandolo e facendolo apparire senza età.
<< Siete stata voi ad accendere il camino? >> mi chiede, facendomi distogliere lo sguardo dal suo viso.
<< Avevo freddo. >>
Lui annuisce, accarezzandosi la barba con aria pensierosa. << Io… >> inizia, senza ben sapere cosa dire, << Io vorrei ringraziarvi per oggi. >>
Faccio un cenno con la mano. << Dovere, mio signore. >>
<< Ma come avete fatto? >>
Mi stringo nelle spalle e sospiro. << Veramente … non lo so. >> Mi guardo le mani, pensierosa. << La magia scorre nelle mie vene, esattamente come il mio sangue. In questi anni, l’ho esercitata e addomesticata, ma vedo che nel panico mi è servita a poco. >>
<< Servita a poco? >> Boromir è stupefatto. << Se per voi è poco avermi salvato la vita dando fuoco a tre avversari, non vi rendete conto del dono straordinario che avete. >>
Annuisco in silenzio. << Forse è così. Forse devo solo fare più esperienza, per rendermi conto di quanto sono fortunata ad avere quello che ho. >>
<< L’esperienza si fa sul campo, mia signora >> commenta Boromir, << E, se può consolarvi, anche per me oggi è stata una nuova esperienza. >>
<< Vedere un morto risuscitare? >>
<< Farmi salvare da una donna. >>
Sorrido alla sua battuta, mentre Boromir ride di gusto.
<< Perché, di solito cosa fanno le vostre donne di Gondor? >>
Lui sospira, accarezzandosi il mento. << Cosa volete che facciano, mia signora? Resistono, come tutti noi, ma in maniera diversa: ci danno da mangiare, ci fanno trovare un focolare caldo e un letto pulito alla fine della giornata; fasciano le nostre ferite alle case di guarigione e ci spronano quando siamo afflitti. >>
<< Allora vi salvano molto spesso, direi, senza che voi ve ne accorgiate. >>
Boromir si trova ad annuire. << Si, direi di si. >>
Restiamo per un po’ in silenzio, fissando le fiamme, ma il silenzio non pesa, anzi: mi aiuta a pensare con lucidità.
<< Cosa ne pensate della decisione di vostro padre? >>
Boromir sbuffa, cambiando posizione sulla sedia. << Da una parte, a mente fredda, sono d’accordo con lui: dire a dei comuni cittadini che qualsiasi morto può tornare alla vita e trasmettere una maledizione con un morso può effettivamente scatenare il panico, ma dall’altra parte temo che il nostro silenzio possa aumentare l’aura di terrore attorno a questa storia. >>
<< Io credo che i cittadini andrebbero informati se non di tutto, quasi di tutto. Mi spiego meglio: ogni volta che accade qualche morte strana o impossibile, dovrebbero avvisare i soldati e portare il corpo alle case di guarigione, per tenerlo d’occhio. Ovviamente, non dovrebbero sapere nulla della maledizione… >> Mi guardo alle spalle, accennando alle scaffalature . << Spero vivamente di trovare qualcosa qui dentro, perché sennò dovrò fare ricorso ai miei superiori. >>
<< Superiori? >>
<< Olorin e Saruman, intendo >> spiego, << Hanno molti anni più di me e sicuramente maggiore esperienza in campo. Spero solo di essere all’altezza delle aspettative. >>
Boromir cerca di confortarmi con un sorriso. << Se può esservi di aiuto, dopo stasera,  io credo in voi e in tutto quello che fate o farete. >>
Gli faccio un cenno di ringraziamento, sorprendendomi del calore che mi dilaga nel petto al suo sguardo. << Grazie. Parole simili me le ha dette anche vostro fratello stamattina. >>
Boromir si dimostra sorpreso. << Avete parlato con Faramir? >>
<< Ci siamo incrociati qui, in biblioteca, prima che accadesse l’incidente. Sembra così lontana, stamattina… >> Sospiro, giocando con una ciocca di capelli. << Vostro fratello mi ha chiesto di aiutarvi. >>
<< In merito a cosa? >>
<< A Morwiniel. >>
Boromir si alza in piedi, insofferente, portandosi la spada dietro la testa con entrambe le mani. << Quella puttana sta avvelenando la mente di mio padre. >>
<< Da come vostro padre ha reagito prima, si direbbe che voi crediate che l’incidente di oggi sia colpa sua. >>
<< Faramir e io abbiamo diverse teorie sull’avvento di questi Kurai nelle nostre terre, e non una è positiva >> ammette il principe, dando le spalle al fuoco, << Inoltre, questa donna che si è insinuata nelle pieghe della nostra famiglia ha qualcosa di sospettoso che non convince nessuno, tranne nostro padre. Lui…ne sembra soggiogato. >>
<< E’ proprio questo che Faramir mi ha detto stamattina. Mi ha chiesto, nei limiti delle mie possibilità, di indagare e soprattutto di aiutare voi. >>
Boromir annuisce, poggiando la punta della spada a terra e reggendosi come se fosse un bastone. << Sapere di avere una strega al mio fianco è decisamente confortante. Sono contento che abbiate deciso di fermarvi. >>
<< Sono un’apprendista strega >> puntualizzo, << Non so quanto riuscirò ad esservi utile. >>
Mi avvicino al camino, lasciando che uno scialle di lana compaia sulle mie spalle.
<< In ogni caso, cercherò di fare del mio meglio per non deludervi. >>
Siamo molto vicini, ora.
Se fino a ieri eravamo dei perfetti sconosciuti, se per lui ero solo una ragazza che sapeva leggere e scrivere, ora sento che la situazione è cambiata.
<< Mi sembra di conoscervi da sempre >> mormora Boromir, fissandosi le mani.
Io fisso le fiamme, ascoltando il cuore accelerare i battiti. Spero che dica ancora qualcosa, dato che io non so proprio cosa rispondere.
<< Eppure, non ho mai conosciuto una donna come voi. >>
<< Perché non sono una donna come tutte le altre. >>
<< No, non lo siete. E mi dispiace di averlo anche solo pensato. >>
Faccio un sorriso timido. << Non fa niente… >> Mi schernisco.
All’improvviso, lui mi prende la mano e la stringe. << Fa qualcosa a me, invece. >>
I nostri occhi si incontrano e si incatenano, restando lunghi attimi fissi.
Poi, all’improvviso come è accaduto, Boromir mi lascia la mano e parla come se niente fosse.
<< Quindi, mia signora, cosa proponete di fare con la strega dei Kurai? >>
Mi schiarisco la gola, imbarazzata. << Tenerla d’occhio, osservare le sue mosse >> mormoro, << E vedere cosa accade nel suo campo base. >>
<< Nel suo campo? >>
<< Si. Vostro padre prima parlava di problemi che lei doveva risolvere: cerchiamo di capire di cosa si tratta. >>
Boromir annuisce. << E riguardo l’omicidio di oggi? >>
<< Teniamo la guardia alta. Se dovesse accadere qualcosa, propongo coprifuoco e la libera informazione ai cittadini di Minas Tirith. >>
Il principe annuisce ancora, fissando il fuoco in silenzio per lunghi attimi.
<< E sia. >>
Si rimette la spada al fianco e si stiracchia.
<< Ora che ho parlato con voi, mi sento decisamente meglio. E stanco. >>
Sorrido, sentendo a mia volta la tensione attenuarsi. L’odore di fumo del camino mi arriva alle narici, provocandomi ancora una smorfia di disgusto al ricordo della carne carbonizzata.
Boromir se ne accorge. << E’ stato il vostro primo morto oggi, vero? >>
Annuisco senza proferir parola.
<< Io ormai mi sono abituato all’odore della carne bruciata >> commenta, << perché bruciamo sempre i cadaveri dei nostri soldati dopo una battaglia. >>
Annuisco ancora, appoggiandomi alla mensola del caminetto.
<< Non avevo mai visto un cadavere e nemmeno assistito ad una cremazione >> ammetto, << Perché ad Isengard non è mai morto nessuno. >>
<< Aimè, mi signora, temo che questo sarà il primo di una lunga serie di sangue e morti. >>
<< Lo credo anch’io. >>
 
 
         Albeggia, finalmente.
Il fuoco nel camino biancheggia ancora, mentre io sono in piedi, rivolta agli scaffali.
<< A noi due, allora >> mormoro, facendo scendere dall’alto dei rotoli di pergamena.
Boromir è rientrato nelle sue stanze dopo aver a lungo condiviso con me il silenzio della biblioteca. Un calore strano mi si insinua nel petto quando penso alle parole di fiducia nei miei confronti.
Con un sorriso, mi siedo ad un tavolo e appoggio in ordine tutti i rotoli davanti a me.
Faccio per prenderne uno, quando qualcosa attira la mia attenzione.
C’è un incisione nel legno, che risalta chiara: è un piccolo Occhio, spalancato nel vuoto, che mi osserva. Ci passo sopra un dito, vedendo comparirmi nella mente la stessa visione della mattina, anche se stavolta c’è una nota nuova, un avvertimento: studiamo i tuoi movimenti, sembra dire, e ti teniamo d’occhio.
<< Basta >> ordino, troncando di netto la visione.
Ho ancora paura, sono ancora scossa, ma stavolta un sentimento nuovo mi trabocca dal cuore: la rabbia.
Con un leggero odore di fumo, passo il palmo della mano sul tavolo ed elimino fino all’ultimo segno di quell’avvertimento.
<< Stai attento tu, piuttosto >> mormoro in direzione del vuoto.
<< Stai attento tu. >>
 
 
Dulcis in Fundo
Squilli di trombe, rullo di tamburi!
Olè! Eccomi tornata ragazzi!
Manco da un po’ ma, credetemi, questo periodo è stato davvero molto molto mooooolto pieno e denso. Confido in una presa d’aria con l’arrivo delle ferie.
Il capitolo era pronto da mò, ma dovevo concluderlo meglio e l’ho tirata un po’ per le lunghe…spero ne sia valsa la pena (anche se questo dovreste dirmelo voi!)
Spero di scrivere ancora in tempi brevi!
Grazie a chiunque vorrà lasciare un segno!
Nini.

 

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Capitolo 9
*** .VIII. ***


.VIII.

 
        
           Mi sfrego gli occhi, concedendomi uno sbadiglio sonoro e così rumoroso che quasi me ne vergogno. Mi guardo attorno, certa di trovare qualcuno in biblioteca pronto a rimproverarmi per i miei modi, ma non trovo nessuno.
Come al solito.
Con lo sguardo, ritorno al tavolo su cui da ore sono seduta: resti del pranzo e della colazione, qualche bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, moltissimi mozziconi di candele. E tanti, tanti rotoli di pergamena aperti, che mi guardano con aria stupita.
Ma come, sembrano dirmi, non sono io quello che cercavi?
Sospiro, alzandomi in piedi con aria dolorante: una morsa mi ha afferrato ai lombi e non mi lascia andare. Faccio due passi fra gli scaffali, andando verso la finestra della biblioteca, a contemplare il quarto di cielo che si vede e a godermi l’arancio del tramonto.
Sono esattamente sette giorni che vivo in biblioteca, e non nel senso metaforico del termine. Nella mia camera ci metto piede solo per dormire un paio d’ore, quel tanto che serve a Odil per sentirsi tranquilla. La giovane si preoccupa per me, portandomi i pasti a orari stabiliti, anche se non è d’accordo che mangi mentre sto lavorando. Teme per la mia salute, la giovinetta, probabilmente pensa che mi affatichi troppo a studiare giorno e notte, ma lei non capisce che noi Istari siamo diversi. Pensa solo a me e ai miei occhi stanchi, ed è così bello avere qualcuno che si preoccupa per me!
La porta si apre con un cigolio, facendomi voltare, e l’oggetto dei miei pensieri si materializza con un vassoio vuoto tra le mani.
<< Odil >> la saluto, avvicinandomi.
La ragazza ricambia con un sorriso, iniziando a sparecchiare con calma.
<< Trovato niente? >> Chiede discretamente.
Mi risiedo al tavolo con un sospiro, cercando di sistemarmi meglio.
<< Niente di niente. Tu porti novità? >>
La ragazza annuisce, riprendendo il vassoio tra le mani. << Si, e più di una: Morwiniel è tornata dall’accampamento di Osgiliath questo pomeriggio, mentre il Sovrintendente ha chiesto espressamente di voi a cena. >>
<< Davvero? Un invito che non può essere rifiutato, insomma. >>
<< Si, e ho pensato che vi avrebbe fatto piacere fare un bagno >>, sorride compiaciuta, << Quindi ho già approntato tutto. Mancate solo voi e l’acqua che starà bollendo sul fuoco. >>
Mi lascio andare ad una risata diverta.
<< Vedo che conosci i miei pensieri! >> Esclamo, allargando le braccia in segno di resa.
<< Sei molto gentile. Ti seguo fra un istante, il tempo di riordinare un attimo… >>
Odil sorride soddisfatta e la seguo con lo sguardo mentre esce accostando la porta.
Quando la serratura si chiude ridivento seria, alzandomi di scatto e iniziando ad ammucchiare gli appunti. Socchiudo gli occhi e lascio che essi spariscano dalla mia vista, nascosti nel fondo del baule della mia stanza. Potrei anche lasciarli qui, credo che nessuno verrebbe a ficcanasare, ma la notizia del ritorno di Morwiniel e l’immediata convocazione ha acceso un campanello di allarme nella mia testa.
Ho il presentimento che sarà una lunga serata.
 
          La campana della cena sta suonando per la seconda volta quando Odil mi conduce alla sala da pranzo.
La ragazza ha voluto pettinarmi i capelli ancora umidi in una treccia morbida fissata con un nastro azzurro, in tinta col semplice vestito che mi è stato fatto trovare sul letto: una tunica bianca con una sopravveste azzurra, legato con una cintura di cuoio in vita.
<< Un ammiratore segreto? >> Avevo scherzato con Odil, indicando il vestito.
<< Semplicemente sire Boromir >> aveva ribadito lei, ridendo sotto i baffi della mia espressione.
<< Ogni volta che mi incrocia, mi chiede notizie di voi >>, aveva proseguito con tono civettuolo, << Strano che non venga egli stesso a trovarvi in biblioteca. >>
<< Avrà i suoi compiti da sbrigare >>, avevo ribadito seccamente, << Come io ho i miei e tu i tuoi. >>
Odil si era zittita, ma aveva mantenuto un sorriso compiaciuto sul bel viso mentre mi spazzolava i capelli per liberarli dai nodi.
Effettivamente,è passata una settimana da quando ho visto e parlato con Boromir l’ultima volta e ora, in piedi sulla soglia della sala da pranzo, mi chiedo se stasera lo rivedrò nuovamente.
Che stupida, perché il cuore mi fa questo scherzo di accelerare i battiti?
Odil mi lascia passare e la saluto con un cenno, dato che non la vedrò sino all’indomani mattina, ed entro nella sala.
Al contrario della prima volta che sono stata qui, la tavola è preparata in maniera sobria: niente ceste di frutta o calici dorati, solo dei piatti e dei bicchieri in peltro scuro, con delle brocche e delle posate nello stesso materiale. Ed è apparecchiata per quattro persone.
<< Chi si rivede >>, dice una voce alle mie spalle, facendomi voltare con un sorriso sulle labbra.
Boromir è sulla soglia della sala, vestito interamente di nero, tranne per l’albero bianco ricamato sul fronte della tunica.
Mi sorride, facendosi avanti. Mi prende una mano e la porta alla fronte, trattenendola poi nella sua.
 << Come state? E’ da tempo che non vi incrocio per la via della biblioteca. >>
 << E’ perché sono sempre lì dentro e non ne esco mai, mio signore >> ridacchio, stringendogli appena la mano.
<< Peccato che le mie ricerche non abbiano ancora avuto alcun esito positivo. >>
Boromir diventa serio, liberando la mano e avvicinandosi al tavolo.
<< In nessun campo? >> chiede, versando del vino in due calici.
<< Nessuno, purtroppo >>, affermo sospirando. Accetto di buon grado il calice che Boromir mi offre, sorseggiando il vino dolce. << Lo sapete che Morwiniel è tornata, vero? >>
Lui annuisce con aria grave, poggiandosi con entrambe le mani al tavolo senza neanche aver bevuto.
<< Si, e temo che non avrà buone notizie per noi. >>
<< In che senso? >>
<< Nel senso che anche nel suo accampamento sta succedendo qualcosa di strano. >>
<< Ossia? >> incalzo, ansiosa.
<< Ossia che qualcosa si sta muovendo nell’ombra, e non è niente di benigno. >>
La voce ci fa girare entrambi verso l’entrata della sala.
Morwiniel è fasciata di un abito rosso come sua abitudine, con una scollatura tanto profonda da arrivare sin sotto al seno prosperoso. I capelli le ricadono in boccoli voluttuosi lungo le spalle, facendole da scialle, e ondeggiano placidi mentre si avvicina con studiata lentezza.
<< E mio padre? >> chiede freddamente Boromir, guardando alle sue spalle.
Morwiniel si ferma esattamente davanti a lui, guardandolo dall’alto in basso e sorridendo con aria maliziosa.
<< Si è … affaticato molto dopo il mio ritorno, e ha preferito restare nelle sue stanze per recuperare le forze. >>
La donna porge a Boromir la mano destra, sul cui anulare svetta un anello di superba fattura con un rubino rosso sangue talmente scuro da sembrare nero. << Mentre voi, mio signore, sembrate nel pieno delle forze e quasi pronto per una battaglia, direi. >>
<< Non affronterei mai il campo a stomaco vuoto >> borbotta Boromir, afferrandole la mano e portandola velocemente alla fronte con gli occhi bassi, un gesto meccanico e senza anima.
<< Quindi, dato che stasera non sarà una serata leggera, vi invito a sedervi per la cena. Parleremo in un secondo momento. >>
Boromir prende posto a capotavola, e Morwiniel si siede alla sua destra, mentre io faccio altrettanto a sinistra.
Tre servitori entrano silenziosi e servono delle ciotole già colme di zuppa di ceci fumante.
<< Non sarà una serata leggera, dite >> inizia Morwiniel, giocherellano col bordo del bicchiere e ignorando la zuppa, << Ma di qualcosa durante la cena dovremmo pur parlare. Annael, mia cara… i vostri studi come vanno? >>
Temporeggio bevendo un sorso di vino, fissando il piatto. << Molto male, onestamente. >>
Morwiniel cambia posizione, invitandomi con un cenno a continuare.
<< Quello che vado cercando è molto difficile da trovare, ben nascosto tra le pieghe della Storia >>, spiego, << E vi assicuro che dentro questa biblioteca c’è più Storia che in tutte le biblioteche della Terra di Mezzo. Per non parlare di quanto accaduto settimana scorsa. >>
La donna annuisce, convinta. << Si, mi è stato riferito il fatto. >>
<< Riferito? E da chi? >> Chiede Boromir, che ha già quasi finito la sua zuppa.
<< Ma da vostro padre, ovviamente. Da chi altri, se no? >> Morwiniel assaggia un cucchiaio di zuppa, poggiando poi il cucchiaio sul bordo del piatto. << E’ proprio grazie alla sua missiva se sono tornata. Sono qui per parlare, a entrambi, della situazione al mio campo. >> Sospira, prendendo un’altra cucchiaiata di zuppa, << Vedo che ogni argomento si riallaccia velocemente all’argomento generale e, come avete detto prima, caro Boromir, non bisogna mai andare in battaglia a stomaco vuoto. Quindi, godiamoci la cena. >>
 
           La cena scorre in silenzio.
La zuppa finisce velocemente, per poi cedere il passo a scaloppe di maiale con funghi in umido e pane, per poi arrivare alla frutta di stagione. E’ primavera, a Gondor, e ci sono le fragole. Morwiniel se le porta alla bocca partendo dal picciolo,per poi racchiudere il frutto tra le labbra carnose e staccarlo delicatamente quasi lo baciasse.
Anche io le mangio a quel modo, ma sono certa di non avere la stessa grazia.
<< Prima avete fatto riferimento all’evento di settimana scorsa >>, inizia Morwiniel, rivolgendosi a me con calcolata indifferenza, << Che attinenza ha coi vostri studi? >>
<< Si tratta sicuramente di magia oscura e antica >>, ribadisco prontamente, << Direi quasi negromanzia. Ne ho sentito parlare dal mio maestro ma, ad essere onesti, non l’ho mai approfondita. E ora, dato che sono qui, cerco tra le carte qualche riferimento ad essa. >>
<< Già il fatto che questi eventi non si siano più ripetuti ha contribuito a calmare le acque >>, interviene Boromir,
<< Dato che il popolo nulla sa di questa faccenda se non che è morto un uomo a palazzo in circostanze misteriose. >>
Morwiniel fa un sorriso amaro.
<< Non si sono più ripetuti, dite? >> Si alza in piedi, calice alla mano, e si dirige al camino.
<< Io non ne sarei così sicura. >>
<< Mia signora >> la richiamo, alzandomi a mia volta, << Cosa è accaduto al vostro campo? >>
Lei sospira, appoggiandosi con un braccio alla mensola del caminetto.
<< Ho perso sette uomini, uno al giorno, senza capire di cosa siano morti. Avevano soltanto due fori qui >>, dice segnandosi la giugulare, << E neanche una goccia di sangue in corpo. >>
<< Prosciugati … >> bisbiglio.
<< Esattamente. >>
<< E ora dove sono, questi uomini? >>, chiede Boromir.
<< Sono sepolti appena fuori il nostro accampamento, tranne quello che è morto stamattina. >> Morwiniel scuote la testa, sconsolata. << E’ per questo che sono tornata a Minas Tirith: una maledizione aleggia su questa città, ed ora è tra la mia gente. >> La donna mi prende la mano, stringendola in una presa ferrea. << Vorrei che voi veniste a vederlo, mia signora Annael, per darmi un parere. >>
<< Certo che verrò >> mormoro, voltandomi poi verso Boromir, ancora seduto a tavola.
<< Sempre se ho il permesso del Sovrintendente. >>
Boromir si alza e si avvicina, l’espressione tesa. << Avete il permesso del Sovrintendente, e verrò anche io con voi. Non posso permettermi di perdere nemmeno un uomo, Gondoriano o Kuraiano non fa differenza. Inoltre, dopo il fatto della scorsa settimana, non ho intenzione di farvi avvicinare ad un cadavere in solitudine. >>
<< Oh Boromir! >> esclama Morwiniel, prendendogli di slancio la mano, << Non sapete quanto mi rallegra la vostra venuta in questa triste situazione! >>
Boromir fa un sorriso di circostanza. << Dovere, mia signora, nient’altro. >>
Si crea un silenzio imbarazzante, in cui Morwiniel tiene per mano entrambi senza lasciarci andare.
<< Dunque è deciso! >> esclamo per muovere la situazione, svincolandomi dalla presa della donna.
<< Domani andiamo ad Osgiliath. >>
Boromir annuisce, liberandosi a sua volta. << E’ tardi, e devo stilare gli ordini per i miei sottoposti, dato che domani non sarò presente in città. >> Fa un inchino rigido e profondo. << Ritiriamoci tutti e tre. Buona notte, mie signore. >>
Morwiniel soppesa l’uomo, per poi annuire. << Buona notte. >>
 
            Sono la prima che si congeda, arrovellandomi i pensieri per cercare qualcosa riguardo la negromanzia, quando mi accorgo, nel buio della sala del trono, che nessuno mi segue.
Ritorno allora sui miei passi, cercando senza farci caso di fare meno rumore possibile.
Morwiniel sta parlando a Boromir, trattenendolo.
<< …attamente come vostro padre >>, inizio a sentire, << Apparite tanto rigido e freddo all’esterno, sempre ligio al dovere e alla causa di Gondor… ma in privato immagino siate molto più malleabile e caldo, per non dire bollente. >>
<< Io e mio padre abbiamo le nostre similitudini e le nostre differenze >> Sbotta Boromir freddamente,
<< Accontentatevi di sapere questo. >>
Morwiniel ride, e parla solo quando l’eco si spegne.
<< Ho conosciuto innumerevoli uomini, Boromir di Gondor, ma nessuno ha mai opposto la resistenza che mi opponete voi. Ditemi, che cosa trovate in me di tanto spiacevole… La mia bellezza non è di vostro gradimento? Eppure, ho sentito raccontare certe storie su di voi dalle serve di palazzo… >>
<< Smettetela. >>
<< Mi è stato detto che siete di ottimo palato. Si dice che apprezziate femmine di tutti i colori, purché siano prosperose e abbiano una certa abilità di bocca… >>
<< Basta! >>
<< Anche io ho di queste abilità, e vi mostrerei molto altro, se solo vorreste accogliermi nelle vostre stanze... >>
Il rumore di qualcosa che si infrange mi fa sobbalzare, mi schiaccio le mani contro la bocca per evitare un grido di spavento.
<< Non vi permetto di parlarmi in questo modo oltraggioso, nel mio palazzo per giunta! >> La voce di Boromir esplode così forte da far tremare i vetri. << Siete solo una cagna in calore che cerca una monta come si deve! Non vi è già bastato prendere mio padre? Puttana! >>
Al turpiloquio seguono attimi di silenzio glaciale. Sento addirittura il sangue ronzarmi nelle vene tanto il silenzio è assoluto.
Poi, arriva il rumore di passi e la voce di Morwiniel che si avvicina all’uscita della sala, minacciosa.
<< Vi pentirete di questa scelta, Boromir di Gondor, in un giorno neanche troppo lontano. >> I passi si interrompono, probabilmente lei si è girata per gettare un ultimo sguardo al principe. << Per ora, sono la vostra futura matrigna, badate voi a come parlate con me. >>
Un ultimo, lunghissimo silenzio.
<< A domani mattina, mio caro. >> dice la donna, avvicinandosi all’uscita e facendomi rendere conto di essere scoperta.
Con goffaggine, mi infilo nell’angolo più buio della sala del trono, trattenendo persino il respiro mentre Morwiniel scivola nell’oscurità, lontana da me.
Solo quando anche Boromir se ne va, decido di andarmene da lì.
 
 
         Il camino in biblioteca crepita, sommesso.
Sono in piedi di fronte ad esso, ipnotizzata dalle fiamme.
Penso alla maledizione della settimana scorsa, al fatto che una maledizione diversa ha colpito il campo dei Kurai, penso a Morwiniel e alle parole origliate.
Abilità di bocca … Che cosa intendeva, quella donna?
Schiocco le dita, facendo emettere un crepitio più forte al fuoco, giusto per riprendermi un po’. Ho cose ben più gravi a cui pensare, che alla futura moglie del Sovrintendente che cerca di infilarsi nel letto del figliastro maggiore.
Ho appena evocato il libro di negromanzia che usavo a Isengard, quando la porta della biblioteca cigola, permettendo a Boromir di Gondor di entrare.
Non parliamo, ci guardiamo e basta.
<< Ma voi non dormite mai? >> Chiede il principe per spezzare il silenzio, dopo essersi messo davanti al caminetto, alle mie spalle.
<< Io sono un’Istari >>, ribadisco freddamente, << E non ho gli stessi bisogni di un qualsiasi umano. >>
Perché gli rispondo così piccata?
<< Voi piuttosto, mio signore… non avreste bisogno di riposare? >>
<< Ho troppi pensieri ad affollarmi la testa e non riesco a chiudere occhio >>, sostiene, per poi emettere uno sbuffo scontento. << Quanto vorrei che Faramir fosse qui con me, ora. >>
Con un sospiro mi alzo e lo raggiungo. << Potete parlare con me, se vi va. >>
Boromir appoggia entrambe le mani alla mensola del caminetto, sospirando.
<< E’ tutta colpa di quella donna >>, comincia, << Quella maledetta puttana… sono certo che sta tramando qualcosa alle mie spalle. >>
<< Come impossessarsi di Gondor sposando vostro padre? >>
L’uomo mi fulmina con lo sguardo, ma si trova costretto ad annuire. << Esattamente. E io non so cosa fare … fra noi due, è sempre stato Faramir, il diplomatico. Fosse per me, le torcerei il collo. >>
<< E se ne parlaste con vostro padre? Forse lui… >>
<< Non se ne parla. Quella donna lo ha in pugno, esattamente come vorrebbe avere me. >>
Un brivido mi passa tra le scapole. Quest’uomo non sospetta che io abbia origliato.
<< Voi, mio signore? >>
Boromir sogghigna, amareggiato. << Beh, più che in pugno mi vorrebbe fra le sue cosce, credo… >> Batte il palmo aperto contro la mensola, facendomi sobbalzare, << Ma, che io sia dannato, non mi avrà! E prima della fine le farò vedere di che pasta sono fatti i Capitani di Gondor, a suon di ferro e scudisciate! >>
Poi mi lancia un’occhiata triste, sospirando.
<< Dovete scusarmi, Annael, sono stato decisamente scortese a parlarvi in questa maniera: una signora come voi non dovrebbe ascoltare simili discorsi. >>
<< Affatto >>, rispondo prontamente, << Sembra quasi che Morwiniel vi punti, Capitano, e miri più a voi che a vostro padre. E poi >>, aggiungo dopo un attimo di silenzio, << A che scopo tornare da Osgiliath una sola sera per poi ripartire la mattina dopo? Non poteva mandarci un semplice messo, per invitarci al campo? >>
<< Ha detto che mio padre era troppo stanco per la cena… >> Sostiene Boromir con aria pensierosa, probabilmente senza avermi sentito. << Chissà che diavoleria gli ha fatto. >>
Anche io continuo a pensare, proprio su questo allontanamento, durato solo sette giorni.
Sette giorni… e una diavoleria.
<< MA CERTO! >> Esclamo, battendomi il pugno nella mano aperta e facendo sobbalzare il mio interlocutore.
Mi dirigo alla scrivania, evocando in tutta fretta un trattato di magia compilato da Saruman in persona. Febbrilmente, cerco la pagina che parla dei sortilegi a distanza e di come mantenerli vivi… e lo trovo.
<< Boromir >>, sussurro, << Credo di aver capito perché quella donna è tornata stasera. >>
Boromir si avvicina, in silenzio, gli occhi che mi chiedono di proseguire.
<< I sortilegi a distanza funzionano tanto bene quanto più si è vicini alla vittima. Più ci si allontana, più il legame diventa blando. In questi casi, si possono intraprendere due strade: o si crea un sigillo sulla vittima, o nell’ambiente in cui sta maggiormente, oppure si torna da lei, ogni volta che è possibile, per rinsaldare il legame. >> Leggo ancora qualche riga, concentrata. << C’è anche l’opzione del feticcio. >>
<< Ossia? >>
<< Un feticcio è una bambola che rappresenta la vittima designata >>, spiego in fretta, << Magari è fatto coi suoi indumenti, e di solito si prendono i capelli o le unghie per farne l’anima e creare il legame. Su di esso e sulla vittima viene apposto lo stesso sigillo e, quando si vuole rinsaldare il legame, anche quando si è lontani, basta fare il sortilegio su di esso e le conseguenze si abbatteranno sulle vittima… >> Chiudo di scatto il libro, trovandomi faccia a faccia con Boromir, accigliato. << Credo che questa non sia l’opzione che cerchiamo, però. >>
<< Per tutti i Valar, mio padre… stregato. >> Boromir si lascia cadere su una sedia, passandosi la mano sul viso stanco e teso. << E ora che facciamo? >>
Faccio un profondo respiro, cercando a mia volta di calmarmi. << Prima di tutto, non siamo davvero certi di questa teoria. >>
<< Che cosa ci serve ancora per esserlo? >>, sbotta Boromir, spazientito.
<< Dovremmo trovare il sigillo, per esempio, o il feticcio. Niente di troppo facile, in ogni caso, dato che le stanze di vostro padre saranno incredibilmente sorvegliate, immagino. >>
<< Ma io posso accedervi senza problemi! >>
<< Ne siete certo? E in ogni caso, sia il sigillo che il feticcio hanno bisogno di me, per essere rilevati e neutralizzati. Sempre che ci siano. >>
Boromir si trova costretto ad annuire. << E poi? >>
<< Riguardo a domani, e alla maledizione che ha colpito i Kurai: credo che anche qui si tratti di negromanzia. >>
<< Pratiche che hanno a che fare con i morti, dunque? Come è accaduto una settimana fa. >> Boromir si interrompe, pensieroso. << Anche se questi Kurai sembrano sepolti ed effettivamente morti, a sentire Morwiniel... >>
<< Esatto, ma la mia domanda è: perché colpire i Kurai e non noi? >>
Boromir inclina la testa, curioso. << Proseguite. >>
<< E’ solo una teoria >>, tengo a precisare, << Ma mi chiedevo… se Morwiniel sta cercando di impadronirsi di Gondor grazie alla magia e alle sue arti, e lo sta facendo non per la sua gloria personale e nemmeno per i Kurai… perché il Male sta colpendo i suoi stessi alleati? Non dovrebbe indebolire noi? >>
Boromir annuisce, soppesando le mie parole.
<< Potrebbe essere un diversivo >> , ammette dopo un pò, << O una trappola. >>
<< Una trappola? >>
<< Esatto, si accanisce in ugual misura su di noi e i Kurai per farci credere che siamo dalla stessa parte della barricata, ma quando sarà il momento di combattere ci troveremo il nemico dentro le mura della nostra stessa città. >>
Boromir sorride mestamente. << Non fate quella faccia, Annael: il Nemico non ha a cuore altro che i suoi interessi, infischiandosene di alleati e persino dei suoi stessi sudditi. >>
Scuoto la testa, pensierosa. << Non so a cosa credere. Queste teorie sembrano realistiche, ma così … impossibili! >>
Boromir si alza pesantemente, stiracchiandosi. << Impossibili o meno, sono comunque una base di partenza che prima non avevamo >> sostiene lui, guardandomi poi con una luce nuova negli occhi.
<< Senza di voi, niente di questo sarebbe mai stato concepito. >>
Mi stringo nelle spalle, imbarazzata. << Però sono solo teorie, ricordatevelo bene. >>
Lui si avvicina, le braccia incrociate sul petto.
<< Teorie o meno, sono partorite da una mente brillante e non comune >> insiste, fermandosi a meno di un passo da me. << Avete ragione, sapete? Si vede che siete una creatura sovrumana. >>
<< Perché dormo molto meno rispetto ad un essere umano? >> Squittisco.
<< No >>, sussurra lui accarezzandomi le guance con delicatezza, << Perché la vostra intelligenza e conoscenza è pari solo alla vostra bellezza. E voi siete bellissima. >>
E mi attira a sé, poggiando piano le labbra sulle mie.
 
 
D.I.F.
Ciao fanciulli! Come state? State passando bene questa caldissima estate?
Io sono in ferie e, come immaginavo, madama ispirazione è venuta a cercarmi nell’ultimo giorno utile per scrivere qualcosa di decoroso.
Allora, cosa abbiamo qui? Ah si, il mistero si infittisce…. Strani avvenimenti avvengono al campo Kurai e i nostri eroi devono andare a vedere cosa succede…ma ho davvero parlato di morsi sul collo? Seriamente? Prima gli zombie e ora i vampiri? Ahahah, do fondo a tutta la letteratura fantastica- ma anche no…solo agli elementi veramente utili J
Mi sono anche divertita tantissimo nel dialogo tra quella poiana di Morwiniel e il Capitano! Mi sembra logico che pure lei prediliga questo aitante giovanotto invece di quel vecchiaccio di Denethor…e chi non farebbe la stessa scelta?
Detto ciò… cosa ne dite di quello che trovate in fondo?
Troppo affrettato?
Io mi immagino Annael in tilt e Boromir che non capisce niente pure lui, fa le cose senza sapere perché le fa… E’ impulsivo come un adolescente!
By the way, questi due vivono di vita propria, quindi…
NOTA FINALE: probabilmente questo chappi avrà un gemello che molto a breve vedrà la luce! Spero di postare entro settimana prossima…che poi le vacanze VERE mi aspettano :)
 
Grazie a chi lascerà un segno!
Nini.

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Capitolo 10
*** .IX-parte 1. ***


.IX.
 
             Piove a dirotto e un tuono squassa l’aria mentre mi dirigo di corsa alle stalle della Cittadella.
Il mio cavallo è ancora nel suo ricovero, una coperta pulita a fargli da scudo contro l’umidità, e mi saluta con un nitrito allegro, venendo in fuori col muso da sopra il cancello, pronto ad accettare una mia carezza.
<< Buongiorno >>, lo saluto accarezzandogli la fronte, << Perdonami se non sono più venuta a trovarti, ma sono stata molto impegnata. E questo >>, aggiungo tirando fuori una mela dalla tasca interna del mantello, << è per farmi perdonare >>.
Il cavallo allarga le froge e mi strappa con foga la mela dalla mano, sorprendendomi con uno spintone esuberante. Faccio un passo indietro, andando a sbattere contro qualcosa di solido. Una mano mi sfiora una spalla mentre mi volto di scatto, arrossendo di colpo.
<< Non pensavo foste poco avvezza ai cavalli >>, dice Boromir incrociando le braccia sull’ampio petto, un angolo della bocca alzato in su’, << Mithrandir raccontava a me e Faramir che voi Istari sapete comunicare con tutte le creature di Arda. >>
Entro nel piccolo ricovero del cavallo, cercando di nascondermi il più possibile a quegli occhi tanto attenti. << E’ vero, ma alcune di esse sanno essere imprevedibili nei loro comportamenti >>, borbotto tirando giù la coperta dai fianchi dell’animale, << e non parlo solo dei cavalli. >>
Stavolta Boromir si mette a ridere, avvicinandosi alla stalla. << State parlando di me, mia signora? >>
Lo guardo in tralice, per poi distogliere lo sguardo, a disagio. << Se lo dite voi… >>
L’uomo si stringe nelle spalle, prendendo la spazzola da uno dei tanti secchi sparsi per la stalla e si mette sull’altro fianco dell’animale. Gli assesta due vigorose strigliate, che l’animale sembra apprezzare, mentre un nuovo tuono rotola sul tetto.
<< Tempo da lupi per una gitarella fuori porta >>, sostiene Boromir continuando a spazzolare il manto del cavallo, allegro, << e non possiamo nemmeno rimandare. >>
Da un ricovero più in là rispetto la nostra posizione si alza un nitrito forte. << Isildil! >> chiama Boromir con voce tonante, facendomi sobbalzare. << Si può sapere cosa stai combinando al mio cavallo? >>
<< Tutto bene, mio signore, si è spaventato per il tuono! >> Risponde una voce da ragazzo, cercando di sembrare ferma.
<< Sarà meglio per te, figliolo >>, lo ammonisce Boromir con fare burbero, ma sta sorridendo. << E’ il mio attendente, il fratello di Odil>>, mi spiega sottovoce con aria complice, guardandomi da sopra il garrese, << è un bravo ragazzo, ma è giovane e va ben inquadrato. >>
<< E Morwiniel? >> Mormoro come se non lo avessi sentito, facendo una treccia distratta alla criniera del cavallo.
<< Ci verrà a cercare quando sarà pronta. >> L’uomo appoggia la spazzola nel secchio e da due pacche al fianchi dell’animale, che freme di gioia. Dopo avermi guardato con la coda dell’occhio, Boromir esce dal ricovero e si dirige all’uscita delle stalle. Si appoggia allo stipite, sotto la grondaia traboccante d’acqua. Lo seguo e mi metto contro lo stipite opposto, mentre un silenzio imbarazzato scende su di noi.
A interromperlo, c’è solo il rumore della pioggia.
<< Vorrei spiegarvi >>, esordisce lui, la voce leggermente mortificata, << Che non era nelle mie intenzioni spaventarvi, ieri sera. E, se l’ho fatto, mi scuso. >>
<< Dobbiamo proprio parlarne adesso ? >>Mi lamento, sentendo ancora il viso avvampare.
<< Si, perché non mi piace lasciare le cose in sospeso, men che meno con voi. >> La figura di Boromir mi si para davanti, facendo in modo che non possa vedere altro se non il suo giustacuore in pelle consumato. Sotto di esso, c’è la tunica e la cotta di maglia, e il mantello di lana cardata ha goccioline di pioggia imperlate nelle cuciture.
<< Annael. >> Mi richiama, alzandomi il viso con la mano guantata. Il suo sguardo mi cerca, interrogativo e curioso, mentre mi tiene delicamtamente le mani sulle guance. << Davvero, perdonami. Non farò mai più niente che ha a che fare con te senza il tuo esplicito permesso. >>
Dopo attimi sfuggenti, i miei occhi si perdono nella contemplazione del suo volto. Questo mortale è affascinante: scorgo le rughe attorno ai suoi occhi, il piccolo segno lasciato da una ferita sul sopracciglio, un capello bianco all’altezza dell’orecchio destro. Quanti anni avrà? E’ giovane o vecchio per la sua razza? Ho il cuore in tumulto e mi sento esattamente come il primo giorno di lezione con Saruman, anni e anni fa: imbarazzata, impreparata, a disagio… ma così piena di aspettativa e meraviglia, piena di voglia di studiare e conoscere. Forse anche di amare?
Gli faccio il primo, vero sorriso della giornata. Appoggio le mie mani sulle sue, sentendomi arrossire ancora.
<< Non hai niente di cui scusarti, Boromir. >>
<< Ma ieri sera tu…sei scappata via! >>
Il rossore aumenta. Mi scosto da lui, e metto le mie mani sulle guance. Sono fredde, e cerco un po’ di ristoro da loro. Magari aiutano a calmarmi.
<< E’ che… mi hai colto alla sprovvista >>, mormoro, indecisa su come continuare. << Insomma, non sapevo come reagire… al mio primo bacio. >>
Una luce di comprensione si accende negli occhi di Boromir.
Vorrebbe parlare, ma lo precedo. << Proprio così, quindi capirai che…>> La frase resta sospesa, mentre osservo il viso di Boromir cambiare espressione mentre osserva qualcosa ai miei piedi. Seguo la linea dello sguardo e sorrido, stupita: nella fanga, proprio attorno ai miei piedi, stanno crescendo viole del pensiero e nontiscordardime, dai colori così vividi da sembrare dipinti. << Devi capire che per me queste emozioni sono nuove, in tutti i sensi. Non le ho mai sperimentate, e non so come potrebbe reagire la mia parte inconscia >>, proseguo dopo un attimo di stupito silenzio. Mi chino e raccolgo una viola, rigirandomela tra le mani, per poi mostrargliela.<< Oggi, la mia emozione ha creato questi, ma se avessi reagito come una settimana fa sotto la morsa del panico, incenerendoti magari? >>
<< Non sarebbe mai accaduto >>, risponde Boromir prontamente, ma restando a debita distanza.
Mi avvicino io, e ad ogni passo fiori sbocciano ai miei piedi. << Lo dici tu, non io. >> Gli porgo la viola, che lui prende con delicatezza. << Devo abituarmi a queste emozioni, Boromir, non posso permettere che esse prendano il sopravvento. E per abituarmi ci vuole tempo. >> Lo osservo mentre regge il fiore per lo stelo: è così piccolo tra le sue mani!
Boromir osserva il fiore, incantato, per poi spostare gli occhi su di me. << Quindi, dovrò aspettare il tuo permesso per baciarti ancora? >> Chiede con aria divertita, per poi diventare serio come se un pensiero fulmineo gli avesse attraversato la mente. << Sempre che lo vogliate ancora, mia signora. >>
Mi schiarisco la gola, sentendo ancora le guance avvampare. Sto per rispondere quando, nel voltarmi a guardare verso il palazzo, scorgo la figura di Morwiniel ormai a pochi passi da noi: il suo mantello vinaccia è diventato viola a causa della pioggia, ma anche fradicia come un pulcino questa donna riesce a mantenere un portamento sensuale.
<< Già qui? >> Chiede a guisa di saluto, riparandosi sotto la tettoia infilandosi fra noi, << e io che vi attendevo in sala del trono! >> Si abbassa il cappuccio, scrollandosi i capelli sciolti. Vedo che con la coda dell’occhio nota i fiori ai miei piedi, ma non fa domande in merito.
<< Siete già pronti dunque? Manco solo io? >>
<< Esattamente, mia signora >>, risponde secco Boromir, dato che la domanda è rivolta a lui. Le guardie entrano nella stalla, per poi uscire con tre cavalli neri bardati di tutto punto. Uno di essi ha finiture di maggiore pregio, tra cui spicca una sella dalla forma inconsueta. Non faccio in tempo a chiedere il motivo di quella forma che Morwiniel, aiutata da una delle guardie, si siede sulla sella con entrambe le gambe dallo stesso lato, in un’aggraziata posa da signora d’alto rango. Devo averla guardata più del dovuto, perché lei mi scocca un’occhiata infastidita.
<< Non si usa montare a cavallo alla nobile, a Isengard? >> Chiede con aria di sufficienza.
Mi stringo nelle spalle, avvicinandomi al cavallo. << In verità non si usa proprio andare a cavallo, mia signora. E, se lo facciamo >>, aggiungo accarezzando la criniera setosa, << noi Istari montiamo al pelo. >> Mi addentro nella stalla ed esco in groppa al mio cavallo, seduta a cavalcioni, con i polpacci bianchi lasciati scoperti dal sollevarsi della tunica. Tengo l’animale per la criniera, ma dolcemente, e affianco Morwiniel.
<< Noi chiediamo il permesso ai cavalli per essere trasportati, non li imbardiamo con finiture pregiate per imbrigliare la loro forza >> spiego, mentre Boromir avanza a sua volta dal fondo della stalla su un possente cavallo da guerra.Isildil, un ragazzo acerbo col volto celato dal cappuccio, sta su un cavallo più leggero al suo fianco.Boromir si sporge un po’ da sotto la tettoia per dare un’occhiata al cielo.
<< La pioggia è diminuita di intensità >>, dice, trattenendo l’animale scalpitante. << Se vogliamo andare, questo è il momento. >>
 
                 Mentre attraversiamo il Pelennor, la pioggia ci investe nuovamente, inzuppandoci.
Morwiniel cavalca in testa. Si regge il cappuccio con una mano, mentre le guardie colano acqua dalle armature scivolose. Io e Boromir siamo affiancati, i cappucci ben calcati sulla testa, mentre Isildil è alla destra del suo capitano. Credo di non aver mai preso una simile lavata in tutta la mia vita: sono bagnata sin nelle ossa! Tuttavia non ci penso troppo: la sensazione di libertà che mi dà il cavalcare ripaga di tutte le gocce d’acqua.
Una folata d’aria mi investe, strappandomi il cappuccio dalla testa. La treccia si libera e frusta l’aria, mentre mi appiattisco sul collo dell’animale. Boromir mi lancia un’occhiata preoccupata, ma un grido attira la sua attenzione: davanti a noi, le mani alzate in segno di saluto, arrivano dei cavalieri. Acceleriamo l’andatura, per andare incontro a quelle sagome rese sfocate dal muro d’acqua. Sono Kurai, e si stringono attorno a Morwiniel appena lei è tra loro. Arriviamo poco dopo, giusto in tempo per sentire un uomo su tutti gli altri parlare nella loro lingua salmodiante e melodica, fatta di vocali aspirate, ma anche secca e dura.
<< C’è qualche problema? >> Chiede Boromir, facendosi avanti. Il cappuccio gli è caduto all’indietro e rivoli di pioggia gli scivolano sulle guance come lacrime, mentre l’uomo si zittisce appena capisce chi ha di fronte.
Boromir fa saettare lo sguardo tra Morwiniel e l’uomo. << Se c’è qualche problema, esigo di saperlo ora.>> Ordina, perentorio.
L’uomo guarda prima Morwiniel, che annuisce leggermente, per poi portarsi avanti e avvicinare il cavallo a Boromir. << Sire Boromir>>, esordisce l’uomo in perfetto Ovestron, << Stavo venendo a riportarvi un grave fatto accaduto stamattina. >>
<< Dunque parla! >> Ordina Boromir, mentre il cavallo scalpita.
L’uomo non sa bene cosa dire e si rivolge a Morwiniel nella sua lingua, forse per chiedere consiglio.
<< Parla, ho detto! >> Esclama il Capitano di Gondor, facendosi avanti fino a toccare l’uomo col muso del cavallo.
<< I morti sono tornati alla vita >>, dice Morwiniel tutta d’un fiato, attirando lo sguardo di tutti su di sé.
<< Hanno trovato le tombe vuote stamattina >>, prosegue, << E le guardie che vi erano disposte attorno sono scomparse. Proprio come i cadaveri. >>
<< Necromanzia … >> Sussurro, sentendo lo stomaco indurirsi. << Devo andare a vedere >>, intervengo facendomi avanti, << Quella magia è tanto oscura quanto potente, avrà lasciato dei segni che riuscirò sicuramente a percepire. >>
<< E una volta trovati i segni, mia signora? >> Chiede Morwiniel con aria demoralizzata. << Questo non riporterà indietro sette bravi soldati dall’oltretomba. >>
<< Magari aiuterà a trovare una spiegazione >>, ribadisco concitata, << e impedirà che eventi del genere si ripetano in futuro. >> Faccio un cenno all’attendente di Morwiniel. << Andiamo a vedere le tombe. >>




D.I.F.
heillà, alla fine ce l'ho fatta...
questo chappi è corto perchè, per mancanza di tempo, non sono riuscita a finirlo, ma non volevo lasciarvi a bocca asciutta! Scappo e vado a fare la valigia!
Ci sentiamo tra dieci giorni!
Nini.

 

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Capitolo 11
*** .IX parte II. ***


.IX.
 
 
         La pioggia ha formato un lago di fango davanti all’accampamento dei Kurai, su cui si riflettono squallide immagini delle tende infradiciate. Lo attraversiamo piano, con gli zoccoli che vengono risucchiati dal fango, lasciando che la pioggia ci scivoli addosso. Se non fosse per il suo ticchettare costante, il mondo sarebbe avvolto nel silenzio assoluto. Mentre attraversiamo il decumano dell’accampamento, vediamo facce grigie che ci osservano dalla soglia umida delle tende, facce inespressive che non riescono a trasmettermi niente.
          E’ proprio questo che mi preoccupa: non sento niente, neanche la minima pulsazione di energia, maligna o benigna. Il che mi sembra davvero strano, data la morte di sette soldati in sette giorni. Questo dettaglio mi fa alzare ancora di più la guardia.
Usciti dal decumano e dall’accampamento, costeggiamo le mura diroccate di Osgiliath e il retro dell’accampamento, per arrivare a una zona recintata e custodita da quattro soldati, posti uno su ogni angolo. Dall’alto del cavallo, noto che la terra del campo è smossa e che, nella fanghiglia, è scavata una fossa profonda.
Smonto per prima, affondando nell’acqua fino alle caviglie. Ormai sono così inzaccherata che sono quasi certa di non sentire più il freddo, ma un nuovo brivido mi penetra le ossa: qui c’è qualcosa.
La voce dell’attendente di Morwiniel mi richiama alla realtà.
 << Mia signora >> dice, affiancandomi a piedi, << Questo è il nostro luogo consacrato alla sepoltura. Normalmente, questi luoghi non sono sorvegliati ma, visti gli ultimi avvenimenti … >> Mi fa cenno di seguirlo, mentre si dirige verso l’entrata della staccionata. Affondo così tanto nell’erba fradicia che quasi il bastone resta incastrato nel fango. Mi giro a guardare e vedo che tutti ci stanno seguendo, Boromir in testa. Vedo che tiene la mano sull’elsa della spada e si guarda attorno, nervoso. Dunque, non sono la sola a percepire che qualcosa non torna.
L’attendente sta per entrare nel campo quando lo fermo con un leggero tocco sulla spalla. << Posso entrare da sola? >>
Sorpreso da una simile richiesta, l’uomo mi cede il passo, lasciandomi entrare.
         Le sette fosse senza cadavere non sono completamente svuotate, ma hanno la terra sparsa tutta attorno ad un buco centrale, come se qualcuno avesse scavato dall’interno per uscire. Mi aggiro attorno ad esse, scostando alcune zolle con il bastone. Se questi morti sono tornati alla vita, dove sono le loro impronte? Mangiate dall’acqua, forse? Effettivamente, la terra è quasi sciolta tra l’erba.
 << Chi ha dato l’allarme? >> Domando a voce alta, attirando l’attenzione dell’attendente. << Vorrei sapere che cosa è stato esattamente visto. >>
<< Nessuno ha veramente visto cosa è accaduto >>, mormora l’uomo avvicinandosi, << Ci siamo accorti che qualcosa non andava quando le guardie di turno qui non sono tornate indietro per il cambio. Inoltre, ieri sera al tramonto abbiamo seppellito l’ottavo uomo, coprendo la sua fossa con delle pietre… >> Accenna all’ottava fossa, quella completamente svuotata. << Vedete bene come è la situazione ora. >>
<< Nessun testimone, dunque, vi siete basati solo su supposizioni >> ragiono a voce alta, continuando a guardare l’ottava buca, l’unica diversa dalle altre. << L’unica cosa certa è che quattro dei vostri soldati sono spariti nella notte senza lasciare traccia. >>
<< E cosa ne pensate delle tombe profanate? >> Chiede Morwiniel entrando nel campo a sua volta, affiancandomi. << Solitamente, i morti restano dove vengono sepolti, ma da qualche giorno a questa parte non ne sono così sicura. >>
Le consento un sorriso privo di allegria, mentre continuo a gironzolare attorno alle tombe. La terra si è in parte sciolta in fango, coprendo l’erba rimanente con una poltiglia marrone chiaro, ma zolle più grosse resistono ancora. Mi chino incurante del’orlo del mantello, affondandoci dentro le mani. Qui, l’energia negativa è più forte, ma non così forte da farmi paura. Questi uomini sono pur sempre morti per cause sovrannaturali … e allora quale è la nota che stona?
<< Perché avrebbero dovuto andarsene senza lasciare traccia? >> Mormoro tra me e me, prendendo tra le mani un sasso trovato nel fango.
Lo sfrego, fino a lasciare che diventi pulito.
Ed è allora che noto il simbolo dell’Occhio inciso su di esso.
Perché in verità non se ne sono mai andati.
E’ una trappola.
Qualcosa mi afferra alle caviglie e mi tira giù, facendomi facilmente scivolare a terra sull’erba fradicia.
L’urlo mi si mozza in gola quando la faccia cade pesantemente nel fango.
Sbatto il mento su qualcosa di più duro, perdendo per un attimo la cognizione di me, e mi stupisco di riuscire a girarmi verso il basso e di vedere una mano che mi tiene per lo stivale. Questa mano sbuca dalla terra accanto a una delle tombe.
<< Sono ancora tutti qui! >> Urlo a tutti e nessuno, cercando di divincolarmi.
Vorrei urlare di scappare, ma una seconda mano mi artiglia una spalla, inchiodandomi a terra con uno schiocco sonoro.
Urlo di dolore e paura e sgomento perché quella che percepivo come un’ombra negativa, ora è una marea nera che si sta per abbattere su di noi.
Altre urla, di paura e sgomento, giungono da dietro di me.
Riesco a piegare la testa e a girarmi, giusto in tempo per vedere Morwiniel venire trascinata a terra in direzione dell’ottava fossa.
Cerca appiglio nella terra, ma le zolle le scivolano tra le dita. Nessuno l’aiuta, tutti sono troppo impegnati a combattere i cadaveri armati che sono sbucati non so da dove mentre io ho sbattuto il mento.
Boromir mi cerca con lo sguardo mentre mena fendenti, cercando di proteggere Isildil e gli altri.
Da dove sono io, vedo a terra i corpi sventrati dell’attendente di Morwiniel e di quelli che dovevano essere due soldati, gli occhi sbarrati, gli elmi ammaccati in profondità e il sangue che si mescola con la pioggia.
Un rumore viscido mi fa riportare l’attenzione verso i miei piedi, facendomi urlare ancora: una calotta cranica è sbucata poco lontana dalle mie caviglie, pochi ciuffi di capelli ancora attaccati all’osso, mentre due occhi neri di pece mi fissano con aria affamata. Cerco di sottrarmi, ma la presa su spalla e caviglia si fa ancora più ferrea, mentre dalla terra smossa emerge un cranio mezzo mangiato dalla decomposizione, con collo e spalle dalle fibre muscolari in bella vista grigie di muffa.
Urlo ancora, credo di piangere, ma le lacrime si mischiano alla pioggia che continua a cadere.
Il cadavere fa schioccare le fauci, i denti sono ancora perfetti e hanno l’aria così affilata… sono pronti a mordere.
A divorarmi.
 
          Ma cosa sto facendo?
Qualcosa mi si muove dentro, mentre riprendo il controllo di me stessa.
La mano con cui il cadavere mi tiene la caviglia inizia a fumare, mentre la mia pelle si illumina dall’interno. La mano sulla mia spalla si ritrae come scottata, mentre con un calcio centro quello che doveva essere il pomo d’adamo del cadavere. La mano sulla caviglia prende fuoco, ma non mi lascia andare. Calcio ancora e ancora, conscia che devo salvarmi da sola per salvare tutti gli altri. Colpisco duro, centrando zigomi e fronte, mentre riesco a sfilare il piede dallo stivale e a liberarmi dalla presa. Una volta in piedi, con un urlo liberatorio, colpisco la testa col bastone tanto forte da staccarla dal collo con un sonoro schiocco. Ancora sbilanciata, qualcuno mi urta e mi fa cadere a terra sul fango. Isildil mi rotola addosso con una profonda ferita al collo, gli occhi sbarrati e vitrei di paura, mentre la vita gli esce dalla carotide e si perde tra acqua e terra.
<< Isildil! >> Urla Boromir poco distante, mentre spicca la testa di un non morto. Solo in questo momento comprendo: non si tratta solo degli otto cadaveri scomparsi, questi che ci attaccano sono di più, molti di più… e continuano ad uscire dalla terra smossa. Sono lenti ad uscire, ma siamo in troppo pochi per bloccarli: del gruppo che ci ha incontrato prima del campo Kurai, non restano che due uomini; dei quattro soldati di guardia non resta nessuno.
Ma dove sono i rinforzi? Impossibile che dal campo non ci sentano!
Premo con entrambe le mani sulla ferita di Isildil, mentre il ragazzo viene scosso da violenti tremiti. Mi fissa con gli stessi occhi di sua sorella, la paura che si riflette in ogni suo tratto.
<< Non morirai >>, affermo con convinzione, << Non oggi. >>
Gli prendo le mani e gliele metto sulla ferita, soffiandoci sopra. L’emorragia inizia a rallentare mentre mi alzo in piedi.
Boromir è rimasto l’unico a combattere, ma non resisterà ancora a lungo: zoppica da una gamba e tiene contro al petto il braccio destro, impugnando la spada con la sinistra. Inspiro piano, mentre la pioggia si ferma a mezz’aria, bloccata dalla mia magia. I non morti si girano verso di me, fermando qualsiasi attività. Un fulmine si abbatte appena fuori dal perimetro del campo, preludio di cosa avverrà.
Un tuono potentissimo squarcia il cielo, lasciando che un raggio di sole penetri tra le nuvole e ci irrori col suo calore.
<< Boromir, chiudi gli occhi! >> Urlo, un attimo prima che il bagliore bianco accechi tutto e tutti, tranne me: io tengo gli occhi bene aperti stavolta.
 
 
         Nel bianco della luce, il tempo si ferma.
Un punto rosso è molto lontano da me, ma si avvicina alla svelta, come se stesse prendendo la rincorsa. Lo vedo, lo sento: è qualcosa di malvagio.
Fermo! Gli impongo, ma lui viene avanti e si lancia ai miei piedi, tingendo il bianco del suo stesso colore.
Ora, sono nel rosso.
Quindi, sei tu. La voce è come un tuono, tutto attorno a me. E’ il colore che parla. Volevo conoscere l’Istari femmina arrivata su Arda.
Stringo forte il bastone, lasciando che la luce della sua pietra mi avvolga. So bene chi mi sta parlando, e devo fare di tutto perché non penetri nella mia testa.
Nella tua testa c’è poco o niente che mi interessa, ma i tuoi pensieri non riescono ad essere celati. Il colore ridacchia. Vedo bene quanto ti piaccia Gondor e come tu abbia già preso il gusto per gli Uomini. So della tua missione, ma noi già sappiamo dove cercare.
Tu non sai niente, mormoro, ergendo mura nella mia mente. Il nemico aspetta solo che faccia un passo falso per carpire le mie informazioni.
A no? Davanti a me si crea un turbine di polvere, da cui emerge una figura altissima, incappucciata di nero. Sul suo capo, svetta una corona di ferro. Regge una spada nella destra. Sappiamo che siamo un passo avanti rispetto a voi, femmina, e che presto questo mondo cadrà nell’Ombra del mio signore Sauron.
MAI, urlo stavolta, facendo un passo avanti col bastone levato, lasciando che la luce si intensifichi. Nella mia sinistra, compare una spada di luce.
Il Re degli Stregoni di Angmar fa un passo avanti, venendo in contatto con il mio scudo di luce, provocando scintille e tremiti.
E’ tutto già iniziato, non puoi fermarlo. Accadrà prima di quanto tu creda. E la caduta inizierà con Gondor.
Ancora un passo, e lo schermo di luce si contrae lanciandomi fitte dolorose. Gemo, ma resto salda. Gondor non cadrà, ribadisco, ampliando maggiormente lo schermo fino ad inglobare il Nazgul nella mia bolla, non finché io sarò la sua protettrice.
Affondo la spada nel petto dello Spettro, ma il mantello si affloscia a terra, mentre una risata di scherno si alza nel cielo, alta e isterica.
Batto il bastone a terra e il rosso sfuma nel bianco, lasciando poi nuovamente spazio ai colori.
 
         Sono di nuovo nel cimitero dei Kurai, in mezzo a soldati morti da poco e ai non morti resuscitati dal nemico. Lascio andare l’aria che ho trattenuto fino ad un attimo prima, mentre le ginocchia cedono e cado a terra nel fango.
<< Annael! >> Boromir mi prende per le spalle, facendomi urlare dal dolore. Si scosta subito, toccandomi con maggiore delicatezza. E’ sporco e lacero, ha una ferita alla fronte che gli imbratta il viso di sangue fresco, ma è vivo. << Sei ferita? >>
<< La spalla… Credo ci sia qualcosa di rotto. >> Mi alzo in piedi a fatica, sorreggendomi a lui.
Mi guardo attorno, individuando Isildil, seduto contro la staccionata con le mani ancora premute sul collo. Vivo.
Tiro un respiro di sollievo, guardandomi ancora attorno: dal campo Kurai sta arrivando una squadra a cavallo, da Osgiliath vedo dei fanti a piedi.
<< Perché non sono venuti prima? >> Sbotta Boromir, aiutando Isildil ad alzarsi in piedi. Ha un profondo taglio sulla coscia che gli ha inzuppato di sangue i pantaloni, e uno più superficiale lungo il polpaccio. << Impossibile che non abbiano visto o sentito il richiamo del mio corno. >>
<< Non stupirti, eravamo in una trappola. >>
<< Una… trappola? >>
<< Ho visto lo  Stregone di Angmar, Boromir. Ci ha attirati qui con la scusa dei cadaveri scomparsi e ha cercato di ucciderci. >>
L’uomo resta senza fiato. Lo vedo abbassare le spalle, schiacciato dal senso di colpa.
<< Non è colpa di nessuno, o meglio: se la colpa va cercata in qualcuno, allora va cercata in me. Avrei dovuto capire. >> Affianco Isildil e gli passo un braccio attorno alla vita, sorreggendolo.
<< Come avresti potuto? >> Mormora Boromir, avviandosi verso l’uscita del cimitero. << Non l’ho compreso nemmeno io. >>
 
 
         Isildil giace in un letto dell’infermiera di Osgiliath, la gola e parte della clavicola destra bendate di fresco. Ha ancora l’aspetto di un uomo scampato alla morte, ma un po’ di colore gli è tornato sulle guance grazie agli infusi che Colinde gli ha fatto bere. Ora dorme sonni sereni, con la mia mano poggiata sulla fronte. Gli controllo il respiro, cerco di leggere che cosa sta sognando, ma non sento niente. Sistemo la fascia attorno al collo per la centesima volta in un’ora, sentendo la spalla pulsare piano. Era solo slogata, ma per a rimetterla al suo posto Colinde mi ha fatto piangere.
Ora, la donna è nell’altra stanza con Boromir, a ricucire e disinfettare le ferite.
Mi affaccio alla finestra, guardando oltre le mura di Osgiliath la spessa colonna di fumo nero che si alza dall’accampamento Kurai. Ho ordinato e imposto di cremare i morti e tutti i resti umani sparsi nel cimitero, e quegli uomini non hanno battuto ciglio ai miei ordini, come non si sono scomposti quando ci siamo accorti che Morwiniel era sparita. Sia io che Boromir ce la ricordiamo trascinata a forza nell’ottava fossa, quella più profonda, ma non abbiamo trovato nulla di lei quando ci siamo fermati a cercarla. La donna è sparita, come se non fosse mai esistita.
 Un odore acre invade l’aria lavata dalla pioggia, mentre il cielo del tardo pomeriggio si specchia nelle pozzanghere sul selciato. Ripenso alle minacce dello Stregone, quando Colinde apre la porta della stanza.
<< Annael >> mi chiama, << Boromir vuole parlare con te. >>
Entro nella stanza. Giubba e farsetto giacciono a terra, come i pantaloni strappati. Boromir ha solo la camicia addosso e il torace coperto di fasciature, le gambe nude giacciono sotto il lenzuolo, fasciate anch’esse, mentre il taglio sulla fronte si è ridimensionato una volta pulito e saldato con un paio di punti. Mi fa un sorriso sghembo, invitandomi ad avvicinarmi. Devo avere un’aria spaurita, data la risatina a cui si lascia andare.
<< Non ho intenzione di morderti, sai? >> Mormora, mentre mi siedo sul letto accanto a lui. Tengo gli occhi sul bastone, cercando di ignorare la sua mano che cerca la mia. << Come sta Isildil? >>
<< Dorme, sembra tranquillo. >> Inspiro forte, sentendo anche qui l’aria acre di fumo. Mi decido a guardarlo in faccia, ma non riesco a sostenere il suo sguardo.
 << Dovrebbe rimettersi alla svelta. Tu, piuttosto? Sembri malconcio. >>
Boromir si stringe nelle spalle. << Ordinaria amministrazione. Faramir potrebbe confermarti che ho visto momenti peggiori. >> Cerca con insistenza i miei occhi.
<< Cosa ti succede? Guardami. >>
Cerco di alzarmi, ma Boromir mi trattiene per la mano. << Annael. Che c’è. >>
Mi svincolo dalla presa, andando ad appoggiarmi al muro. << C’è che potevi morire, oggi. >> Sputo fuori, finalmente. << C’è che Isildil è quasi morto, e Morwiniel è stata rapita. E il Re degli Stregoni ha profetizzato la caduta di Gondor. >>
Boromir mi fissa intensamente, per poi sospirare. << Ascoltami con molta attenzione, mia signora, perché non lo ripeterò ancora. E vieni qui, per favore. >> Mi avvicino di malavoglia, lasciando che mi prenda entrambe le mani tra le sue. Il sole del tramonto invade la stanza, dando a tutto una luce rosata, tanto diversa da quella grigia di stamattina.
<< Annael, io sono un uomo. E sono un soldato. Lo sai che cosa accade spesso e volentieri ai soldati? >> Parla come se fossi un cucciolo di uomo, ma questo non mi infastidisce, anzi: nei suoi occhi c'è un sentimento che non avevo ancora visto tra gli uomini e di cui so poco.
Malinconia, credo si chiami. << Muoiono. Gli uomini muoiono tutti, prima o poi, ma i soldati muoiono tutti per una scopo. Sai qual’é? >> Cerca una risposta nei miei occhi che non so dargli. << Muoiono per proteggere coloro che amano, Annael. Patria, affetti, onore, tradizioni: questi non sono buoni motivi per morire, secondo te? Ho rischiato la mia vita innumerevoli volte, e Faramir con me, e molti altri prima ancora di me. E non me ne sono mai pentito, perché proteggeva la mia città e la sua gente. E non devi crucciarti, se un giorno mi vedrai morto con la spada in mano. È dolce e decoroso morire per la patria, così dice il poeta, o sbaglio? >>
<< Tutto questo per dirmi che è normale per te rischiare la vita? >> Rispondo con stizza, per poi sbuffare. << Capisco il tuo ragionamento e lo approvo, ma oggi ti ho quasi visto sopraffatto, per non parlare di Isildil e di tutti gli altri. Io… non voglio vederti morire. >> Lo ammetto in un sussurro.
<< Ma anche una settimana fa ho rischiato la vita, sempre assieme a te >>, ribadisce Boromir, perplesso,
<< Che differenza c’è fra oggi e sette giorni fa? >>
Dopo un momento infinito di indecisione, mi chino su di lui e lo bacio sulle labbra.
<< La differenza è tutta qui >> borbotto, sentendomi avvampare. Boromir sorride, divertito, per poi passarmi una mano tra i capelli arruffati e attirarmi a sé.
Mi bacia, schiudendo le labbra secche e esplorando la mia bocca con la lingua impertinente. Sento un calore che sale dentro di me, che non si placa quando gli cado letteralmente addosso e gli infilo una mano sotto la camicia, sentendo la pelle piena di cicatrici sotto i polpastrelli.
<< Anche io sono un soldato, allora. >> Mormoro all’improvviso.
Boromir mi stringe ancora di più. << Ma non mi dire… >>
<< Lo Stregone ha detto che la caduta di Gondor è vicina, ma io gli ho detto che questo non accadrà, non finché proteggerò la città. >> Mi scosto, sorridendogli con aria di sfida. << Quindi, per il ragionamento di prima, anche io sono un soldato. >>
Boromir mi ascolta in silenzio. Mi attira a sé, baciandomi ancora.
Non lascerò che facciano del male a coloro che amo. Penso, passandogli le dita tra i capelli e stringendo piano. Mai e poi mai.
 
              La porta si spalanca di colpo, andando a sbattere contro la parete.
Sorpresa, mi alzo di scatto e mugolo di dolore a causa della spalla, sorprendendomi di vedere Faramir davanti a noi. Ha i capelli raccolti in una coda bassa e il farsetto sporco di fango. Un sorriso sghembo gli si dipinge sul bel viso dai lineamenti stanchi.
<< Vedo che in mia assenza le cose sono andate avanti! >> Esclama divertito, entrando nella stanza e chiudendo la porta alle sue spalle. 
Provo imbarazzo, non so bene per quale motivo. << Non devi vergognarti, non adesso >> ridacchia Faramir, sedendosi dal lato opposto del letto di Boromir, mentre il sorriso svanisce dal suo volto. << Non in questa situazione, almeno. >>

Boromir si mette a sedere meglio, mugolando di dolore. << Che succede? >>
Sospira, prima di proseguire, pinzandosi la radice del naso con le mani guantate. << Sarà meglio che te lo dica senza troppi giri di parole. >>
<< Che cosa, per i Valar? >> Esclama Boromir, esasperato.
<< Nostro padre è impazzito. >> Dice Faramir tutto d'un fiato. << Sta radunando un manipolo di guerrieri per andare a Minas Morgul per cercare Morwiniel. >>
 
 
 
 
 
DIF
Ciao! Sono tornata da più  di un mese dal Giappone (chi se lo ricorda, ormai?) per essere sommersa dal lavoro e dalla vita in generale. Non sapevo bene come far proseguire la storia, e mi ci è voluto un bel po' per capire cosa fare con Annael e Boromir… e ce l'ho fatta, credo.
Da come si è messa la faccenda, credo che non sarà una storia lunghissima, questa, ma chi lo sa? Eheheheh…. By the way, che ne pensate del capitolo? Piaciuto? Un colpo di scena dopo l'altro, i nostri beniamini rivelano i loro sentimenti l'uno per l'altra…. Forse vanno un po' di corsa, ma credo che in guerra l'amore vada veloce.
Non sai mai cosa ti può capitare.
Metti uno zombie, per esempio.
Stay Tune gente, cercherò di aggiornare il prima possibile 😅
Un grazie a chi lascerà una recensione!
Nini.

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Capitolo 12
*** .X. ***


.X.
 

         Il sole scende, le ultime braci del fuoco al campo dei Kurai si perdono nell’arancio del tramonto.
Sono fuori dalla stanza di Boromir, appoggiata contro lo stipite della finestra.
Ad una finestra simile, guardando in basso, l’ho visto per la prima volta.
Quanto tempo è passato da allora? Poco, pochissimo, eppure ho vissuto più vita in questi pochi giorni che in tutti gli anni passati ad Isengard, chiusa tra i libri a studiare. Considerazione che mi incupiscie ancora di più. La mia vera missione sta naufragando, penso tristemente, ripensando anche alle parole del Re degli Stregoni. Un passo davanti a noi, ha detto.
Possibile che sia vero?
         Cerco di disfarmi la treccia per rifarmela, ma faccio ancora fatica a muovere il braccio.
Due mani vengono in mio soccorso e non sono mani femminili.
<< Lascia che ti aiuti >>, mormora Faramir con aria gentile.
Lo guardo perplessa, facendolo sorridere. << Paura che combini un disastro? >>
Mi stringo nelle spalle, lasciando che mi disfi la treccia.
<< Dove hai imparato a farle? >> Chiedo, mentre cerca di districarmi i capelli con le dita. << Vi ha insegnato vostra madre? >>
Sento Faramir irrigidirsi un attimo, per poi continuare. << Nostra madre è morta cinque anni dopo la mia nascita. >> Racconta con voce atona, << Boromir aveva dieci anni alla sua scomparsa. >>
Resto in silenzio, cercando di immaginare cosa può provare un bambino alla morte di una persona importante come la madre. Paura? Rabbia? Tristezza? Senso di abbandono? Non riesco a comprenderlo, tanto deve essere dolorosa come emozione.
Faramir mi sfiora la spalla, facendomi trasalire.
<< Ho finito >>, dice alzando le mani in segno di resa, << spero ti vada bene. >>
Annuisco, sorpresa dalla treccia stretta e dal bel fiocco finale che il Capitano è riuscito a farmi.
<< Me le ha insegnate Boromir, tempo fa ormai. >>
Gli occhi di Faramir si velano di tristezza, mentre si appoggia allo stipite opposto della finestra. Fissa il cielo per qualche tempo, per poiconcentrarsi su di me. << Come procedono le tue ricerche? >>
<< Male >> ammetto seccamente, << Il materiale è troppo, sembra di cercare un ago in un pagliaio. E queste interruzioni non giovano. >>
Faramir sospira, accarezzandosi il mento. << Interruzioni, le chiami >> Si avvicina, appoggiandosi col fianco al bordo della finestra. << Queste sono dichiarazioni, Annael, e preannunciano non una battaglia ma una guerra, anzi: la Guerra per eccellenza. >>
<< Anche lo Stregone ha usato parole simili alle tue… >>
Gli racconto brevemente quanto ho già raccontato a Boromir, angosciandomi sempre di più.
<< La caduta di Gondor è davvero così vicina? >>
<< Vicina o meno, io sarò qui a impedirla. >>
La voce di Boromir giunge chiara alle nostre spalle. Ci voltiamo, per vederlo vestito con una giubba frusta ma pulita e dei pantaloni sgualciti, mentre la camicia è macchiata in più punti di sangue fresco, segno che le ferite sono ancora aperte. Colinde lo sorregge, guardandolo come una madre farebbe col figlio. << E voi sarete con me, giusto? >>
Faramir gli va incontro, sicuro di sè, prendendo il posto di Colinde nel sorreggerlo. I due si scambiano un’occhiata d’intesa, per poi voltarsi verso di me. Boromir mi fa cenno di avvicinarmi e io lo faccio, lasciando che mi prenda la mano e la stringa. << Tu sarai con me? >>
<< Farò del mio meglio>> affermo, cercando di non vacillare, perdendomi nella sua contemplazione. Ha appena rischiato di morire, è ferito e sicuramente sarà dolorante, eppure ha ancora la forza di stare in piedi dritto di fronte alla minaccia di Mordor.
Un uomo tutto d’un pezzo, mi dico.
<< Ho molta considerazione delle tue capacità, Annael. >> Sostiene lui, mentre Faramir annuisce.
<< Ma io sono solo un’apprendista. >> Mugolo.
<< No, sei molto di più >>, mormora Boromir, stringendomi più forte la mano.
<< Sei la protettrice di Gondor, ora. Comportati come tale. >>
 
           Come usciamo dalla porta della camera, la voce di Denethor arriva alle nostre orecchie.
Mi sembra stonata e stridula, e non sono l’unica ad avere questa opinione: sento i corpi dei due fratelli tendersi come archi.
Boromir si avvicina al paretto del portico del primo piano per guardare verso il basso, ancora sorretto da Faramir. Mi avvicino anch’io e lo vedo: il Sovrintendente è al centro del cortile, circondato da soldati che mantengono le distanze. Si muove in cerchio, arringando gli uomini, ma dall’alto l’impressione è quella di un animale, violento e stanco, che continua a girare ancora e ancora, evitando di lasciare fianchi scoperti. Intanto, qualcuno tra la folla nota Boromir, per poi indicarlo anche agli altri, finché tutti i soldati si girano verso il primo piano.

I capitani! I capitani di Gondor!  
Urla una voce nella folla, facendo partire un’ovazione che cresce di più, sempre di più.
Sono colpita ed emozionata, e credo che anche Boromir lo sia: saluta gli uomini con un cenno della mano, altrettanto fa Faramir.
Improvvisamente al centro dell’attenzione, mi faccio da parte, intimidita.
Ed è così che mi accorgo che Denethor ci sta raggiungendo. E la luce che ha negli occhi ha qualcosa di sinistro.
<< Boromir… >> Non faccio in tempo ad avvisarlo che suo padre gli è letteralmente addosso: strappandolo da Faramir, lo sospinge contro la colonna più vicina, facendolo sbattere contro di essa. Dall’espressione del viso di Boromir, deve avergli fatto molto male.
<< Come hai potuto permettere che la portassero via! >> Urla Denethor come una furia, afferrandolo per il colletto della giacca. << Lei è tutta la mia vita, più preziosa di te e tuo fratello, e tu l’hai persa! >> Lo strattona ancora e ancora, mentre Boromir lo fissa attonito, troppo sconvolto per reagire. << Perduta, perduta… >> Singhiozza l’uomo, accasciandosi sul petto del figlio e mettendosi a piangere disperatamente. << La mia adorata… adorata Morwiniel… >>
Scosso dai singhiozzi, Denethor sembra solo un vecchio, che si aggrappa al corpo di un giovane uomo. Esitante, Boromir poggia una mano sulla testa del padre, accarezzandogliela piano. Guarda verso il basso, verso la folla di uomini col naso all’insù che guarda a sua volta lui, troppo curiosa di sapere come andrà a finire e attonita.
<< Tornate ai vostri posti, avanti! >> Urla Faramir al posto di Boromir, rompendo l’incantesimo prodotto dalla violenza del padre. Mentre gli uomini si disperdono, i due fratelli si scambiano un’occhiata sconvolta che non mi sfugge. Sono confusi e spaventati: la loro guida, un uomo arguto e saggio, si è appena lasciato andare ad un’esplosione di follia come non ne aveva mai avuto, nemmeno in privato.
E tutto per una donna.
<< Padre >>, lo chiama Boromir, cercando i suoi occhi tra le lacrime. << Padre, la ritroveremo. Abbi fede… >>
Denethor si scosta dal figlio, il volto che fino a un attimo prima era triste ora è una maschera di collera. << Fede ? >> Sibila, ancora con il naso sporco, << E in che cosa devo avere fede, di grazia? Nelle tue capacità? Nelle sue capacità? >> Indica con un dito accusatorio Faramir, che vedo sussultare, per poi rivolgere i suoi occhi anche verso di me. << O in quelle di questa inutile ragazza? >> Mi viene più sotto, facendomi indietreggiare fino al muro. << Ah, io lo so perché Mithrandir ti ha posizionato qui. Sei un controllore, vero? Vedi come va la situazione, per poi avvisarlo quando sarò troppo debole per oppormi. >>
<< Ma io… >>
<< E come se non bastasse, cerchi anche di portare via i miei figli. I miei adorati figli! L’unica gioia della mia vi-vita… loro e- e lei… >> Farfuglia, per poi rimettersi a piangere. Si porta le mani al volto, ed è allora che noto un dettaglio strano: all’anulare destro, Denethor porta un anello con un rubino tanto rosso da sembrare insanguinato. Esattamente come quello che ho visto all’anulare di Morwiniel.
Ed è allora che capisco.
Lascio cadere il bastone e mi lancio sulla mano di Denethor, prendendolo alla sprovvista.
<< L’anello! >> Urlo rivolgendomi a Boromir, ancora sgomento. << E’ il sigillo, Boromir! Dobbiamo toglierlo! >> Non finisco la frase che Denethor mi scaglia a terra con una manata in pieno viso. Cado sul fianco, stordita dal colpo, per vedere Boromir avventarsi sulla mano di Denethor, cercando di strappargli l’anello dal dito. Alla fine, riesce a bloccargli il braccio, mentre Faramir è costretto ad aprirgli le dita una ad una tra lamenti e imprecazioni che hanno poco di umano.
Tutto cessa non appena l’anello è nelle mie mani.
Denethor si placa, diventa docile come un agnello.
Fissa me, soprattutto la mano in cui stringo forte quello che credo sia un sigillo.
<< E ora? >> Chiede Faramir, << Volete spiegarmi che diavoleria è mai questa? >>
Annuisco, allungando il braccio e aprendo la mano: l’anello divampa di una fiamma arancio intenso.
         Denethor non fa nulla. Guarda l’anello bruciare nella mia mano, lasciando che si dissolva come polvere e mostrando il vero contenuto della gemma: capelli e unghie.
<< Avevo ragione >> mormoro, avvicinando maggiormente la mano al viso, incuriosita.
<< E ora che succede? >> Insiste Faramir, avvicinandosi a sua volta ad osservare il fuoco sulla mia mano. << Ma soprattutto, che cosa significa tutto questo? >>
<< Che sono una strega, non è chiaro? >>
Boromir si scosta da suo padre come se scottasse, inciampando e cadendo a terra, mentre richiudo la mano e mi stringo a Faramir, sconvolta.
A parlare è stata la voce di Morwiniel, ma per bocca di Denethor.
<< Esci dal suo corpo! >> Ordino, dopo un attimo di smarrimento, puntandole contro il bastone.
La risata cristallina che contraddistingue Morwiniel erutta dalla bocca del Sovrintendente, rendendola così sbagliata da far accapponare la pelle. << Tesoro, qui a dare gli ordini sono io, non tu. Mocciosa. >>
<< Io reggo la fiamma di Anor, puttana! >> Ruggisco, mentre la luce sulla punta del bastone si fa più intensa. << Sono un’Istari, servitore del fuoco segreto, e farai quello che ti dico! >>
<< O altrimenti? Che cosa farai? >> Denethor si accarezza i capelli lunghi in un gesto tipicamente femminile, sicuramente non suo. << Mi incenerirai come ami tanto fare con i tuoi nemici? >>
<< Maledetta… >> Sento digrignare tra i denti Boromir, ancora a terra. Facendo così, attira l’attenzione della strega.
<< Tu e il tuo fratellino mi avete sin da subito inquadrata, non è così? >> Si avvicina a Boromir, sovrastandolo. << Peccato che tu non abbia ceduto alle mie lusinghe. Avrei preferito scopare te, invece di questo vecchio bolso e fiacco. >>
<< Puttana! >> le urla contro Faramir, scagliandosi contro di lui, invano: ad un cenno della mano, una forza invisibile lo congela sul posto, con la spada sguainata in traiettoria discendente. 
<< Faramir! >> Urla Boromir, cercando di alzarsi, ma anche lui è stato bloccato.
<< Non è niente, non agitatevi >>, minimizza Denethor, avviandosi verso la balconata. Quando cerco di scattare in avanti, scopro che anche io sono bloccata. Ed è una sensazione orribile.
<< Voglio rendervi partecipi di due fatti >> inizia il Sovrintendente, mettendosi a fatica in piedi sul parapetto di mattoni. << Il primo, è che la Guerra è prossima, e che non avrete scampo se non vi arrenderete. Vi arrendete, per caso? >> Morwiniel mette un piede davanti all’altro, traballando ad ogni passo.
<< Padre, se sei ancora lì dentro, ti supplico combattila… >> Sento dire a Boromir, mentre a Faramir la strega ha tolto persino la capacità di parola.
Uno svolazzo di mano, e una forza invisibile atterra Boromir, facendogli cozzare la nuca contro il pavimento con uno schiocco sordo.
Ora, ha il labbro spaccato e sangue gli cola dal naso.
<< Padre! >> Lo chiama anche da terra, << Combattila! Perché lo sai che noi non ci arrenderemo mai. O Gondor… >>
<< …O la morte! >> Prorompe la voce di Denethor dalla sua bocca, ma è questione di attimi. La nuova voce si spegne, come se venisse chiusa in un luogo molto lontano, per poi tornare quella di Morwiniel.
<< Dunque, scegliete morte? >> La strega non attende risposta, nel suo continuo via vai. Si ferma solo per alzare gli occhi al cielo stellato, al centro della balconata. Poi si gira, lasciando che l’immobilità si allenati, ma con calma.
Allarga le braccia e un sorriso crudele si dipinge sulle labbra.
<< Se scegliete morte, allora questa sarà la vostra prima vittima. >> Sussurra, lasciando cadere all’indietro il corpo di Denethor, figlio di Echtelion, Sovrintendente di Gondor.
               
          Il silenzio è irreale, finché non arriva il tonfo, un piano più giù.
Dopo quello, nient’altro.
Venuto meno l'incantesimo, Boromir non si è ancora mosso dalla sua posizione. Faramir è a gattoni, la spada caduta lontano, scosso dai singhiozzi. Io sono in piedi, e quando cado in ginocchio perchè le gambe cedono non lo sento nemmeno. Apro la mano dove ho bruciato il sigillo, rivelando unghie e capelli ormai polverizzati.
<< Era un ponte >> mormoro, più a me stessa che a qualcun altro. << Il sigillo era solo un tramite per poter possedere il suo corpo. >>
Boromir non parla, ma si copre il viso con entrambe le mani, inspirando forte una, due, tre volte. Finché non si mette a sedere, cercando il mio sguardo.
Mi avvicino a lui, accostandomi alla sua spalla.
<< Io… >> inizio, ma lui mi interrompe.
<< Non voglio scuse >> mi interrompe, la voce roca e tremula. Dal basso, arrivano le prime urla e i primi lamenti. << Voglio una promessa. >>
Lo guardo dritto negli occhi. Ha tutta la mia attenzione.
Boromir mi prende il viso tra le mani, mi fissa con gli occhi colmi di lacrime e di rabbia.
<< Diventa più forte. Impara altre magie, potenziati, fa qualsiasi cosa sia nelle tue capacità per ammazzare quella puttana. Io sono mortale, contro di lei posso poco, ma tu… tu sei come lei. Dello steso genere. Hai capito? >>
<< Si >>, pigolo, anche se non è proprio vero che io e Morwiniel siamo dello stesso genere.
Alle mie spalle, sento che Faramir piange un po’ più forte.
<< Che cosa farai, adesso? >> Chiedo a Boromir.
Lui si morde le labbra, scostando lo sguardo. << Devo affrontare il mio destino. >>
Con fatica, si alza e si avvicina a Faramir, sovrastandolo con la sua figura.
<< Fratellino >>, lo chiama dolcemente, facendogli alzare lo sguardo umido di lacrime. Faramir lo guarda, mettendosi poi in ginocchio. Inspira forte, per poi sospirare.
<< Fratellone, hai la mia fedeltà. >> Gli prende la mano destra, baciandola senza mai distogliere lo sguardo da quello di suo fratello.
<< Il Sovrintendente è morto. Lunga vita al Sovrintendete. >>
 
 
 
 
 
 
DIF.
Direi che ogni commento è superfluo.
Fatemi sapere che cosa ne dite.
Una “sconvolta peggio di voi” Nini ç__ç
 
        

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Capitolo 13
*** .XI. ***


Il Sovrintendente è morto, lunga vita al Sovrintendente!

Nei giorni seguenti la caduta di Denethor, Gondor è rimasta come sospesa in attesa degli eventi: i Kurai sono stati fatti prigionieri nel loro stesso campo, senza porre alcuna resistenza, forse consci di essere in pochi contro molti; dall'Ithilien, le squadre di Faramir hanno riportato di una calma inusuale per Mordor, mentre dalla Valle di Morgul non proviene nessuna voce degna di nota.
Persino l'attività vulcanica del Monte Fato, ben visibile di notte dalla città, sembra essersi affievolita. Tutto questo dovrebbe tranquillizzare, far pensare ad una ipotetica tregua, ma non è così: più passano i giorni e più sento insofferenza verso questo clima, che sa tanto di quiete prima della tempesta.

In piedi sulle mura di Minas Tirith fisso gli occhi ad ovest, cercando uno spiraglio di azzurro nella cappa di nuvole grigie che da giorni opprime la città. Dovrebbe essere primavera, ma il clima gioca strani scherzi e si respira aria fredda, ultimo colpo di coda di un inverno che non vuole saperne di andarsene. Mi stringo nel mantello con un brivido, rileggendo il cartiglio che tengo tra le mani con aria pensierosa, sempre lo stesso messaggio che ripeto da quasi due settimane, ogni mattina:

Denethor è morto, i Kurai fatti prigionieri, gli eventi in divenire richiedono il tuo consiglio. Mia missione ancora in svolgimento. Vieni presto, ho bisogno di te.

Ho bisogno di te… che eufemismo!
Lancio il cartiglio dalle mura, guardandolo dissolversi nel vento. Dove si trova Olorin, mi chiedo con lo stomaco stretto, e perché non risponde ai miei messaggi? Posso solo fare congetture, ma di giorno in giorno le argomentazioni si fanno più deboli e insicure: riceverà i miei messaggi? Forse non risponde perché è già in viaggio? O forse ha altro a cui pensare? Che sia in un qualche pericolo?

Sospiro, scendendo dalle mura col cuore pesante e abbattuto. Le mie ricerche non stanno producendo frutti, anzi: sto solo continuando ad accumulare scartoffie su scartoffie in disordine sulla mia scrivania in biblioteca, senza che trovi niente sul maledetto Anello. Le mie ricerche non hanno né capo né coda, e se prima mi rincuoravo pensando che prima o poi avrei trovato una pista da battere, ora inizio a credere che non ci sia nulla da fare: sono troppe le carte da far passare, gli archivi di Gondor sono smisurati! Ci vorrebbe una vita intera solo per leggerli tutti… e non ho tutto questo tempo.

<< Mia signora! >> 
Una voce nota mi fa guardare attorno: sono in una piazza delle terza cerchia, e mi ci vuole un po' per accorgermi che Odil mi sta salutando. Ha un pesante cesto ai suoi piedi e l'aria stanca, ma sorride nonostante tutto. << Mia signora, che piacere vederti qui! >> Esclama quando le sono accanto. Solo da vicino noto le occhiaie e le sottili rughe sulla fronte, segni che qualche tempo fa non c'erano. Da quando Isildil è tornato a casa in convalescenza ho lasciato libera Odil dai suoi doveri presso di me, non senza una certa riluttanza da parte della ragazza.
Le sorride nel modo più naturale possibile, cercando di non mostrare quanto sia preoccupata per il futuro. << Anche per me è bello vederti, Odil. Come sta tuo fratello? E tu? >> Le chiedo gentilmente, per poi accennare al canestro col bastone. << Che ne dici se ti aiuto, mentre ti accompagno a casa? Abiti qui vicino, giusto? >>

<< Non ho bisogno di aiuto, ma se volete venire mia madre sarebbe davvero felice di conoscervi! Le ho parlato tanto di voi, e anche per il discorso di Isildil... >> Con entrambe le mani, Odil afferra il cestino e muove qualche passo. Prontamente, afferro il manico con una mano, restando stupita dal peso.
 << Diamine, ragazza, cosa hai qua dentro, pietre? >> 
Odil arrossisce, annuendo. << Sono quelle piatte da mettere nel focolare, per scaldare il letto prima di andare a dormire… fa ancora parecchio freddo, e ora che Isildil è in convalescenza abbiamo bisogno di tenerlo sempre al caldo… >> 
<< E chi non vorrebbe restare al calduccio con un clima simile? >> Ribatto, mentre una folata di vento gelido spazza la piazza gelandoci sul posto. << Andiamo, non vedo l'ora di conoscere tua madre. >>


La casa di Odil è in pietra a due piani, in una via laterale alla piazza, pulita e ordinata. Il piano terra doveva essere una bottega, data l'ampiezza dell’unica stanza, con un focolare in un angolo che irradia un bel calore. Proprio lì accanto, steso su una barella di fortuna, troviamo Isildil, assopito, mentre la madre di Odil è al tavolo della sala, intenta a pelare con cura delle patate. Ha una coperta sulle spalle e il viso segnato dal tempo, eppure assomiglia molto ad Odil. 
<< Mamma >>, chiama la ragazza con aria dolce, appoggiando il canestro vicino alla porta, << Sono a casa. >> 
<< Bentornata >>, le dice la donna alzando il viso smunto verso Odil, sorridendole appena, per poi spostare l'attenzione su di me. << Chi hai portato con te, cara? >> 
<< Lei è la signora che servivo a Palazzo, la dama che ha salvato Isildil. >> Mi presenta Odil, mettendomi in imbarazzo. 
<< Macché salvato e salvato…Grazie ai Valar e a Colinde, Isildil è ancora fra noi, non per merito mio... >> Minimizzo ridacchiando per poi avvicinarmi al tavolo. << Mi chiamo Annael, e sono molto lieta di conoscervi, signora. >> 
La madre di Odil ha una reazione inaspettata: dopo un attimo di esitazione, lascia il coltello sul tavolo, si alza facendo cadere la coperta e mi abbraccia con forza, stringendo le mani sul mantello.
<< Grazie, grazie, grazie, grazie… >> Continua a ripetere, stringendomi a sé, mentre la voce le si incrina.
Odil è imbarazzata e poggia una mano sulla testa bianca della madre. << Mamma, ma che fai… non fare così… >> Le bisbiglia,  ma ormai la signora è in un mare di lacrime e non ha alcuna intenzione di lasciarmi andare. << il mio I-Isildil… Ha rischiato così ta-a-nto… il mio raga-zzo… se avessi pe-e-rso anche lu-u-ui… mi sarei u-u-u… uccisa! >> Accarezzo la testa della donna, cercando di tranquillizzarla come meglio posso, scombussolata dalle emozioni che sento: quanta disperazione c'è in questa donna? Questo è il dolore?

<< Mia signora, non è successo niente, Isildil non è morto >>, le sussurro prendendolo il volto tra le mani. Ha gli occhi rossi di lacrime e le guance umide ma sostiene il mio sguardo. << Va tutto bene, ai vostri figli non capiterà più niente di male. >> Le sorrido, cercando di sembrare incoraggiante. << Ora basta lacrime, però,  e basta disperazione. >>
La donna si calma lentamente, mentre Odil le rimette la coperta sulle spalle e la fa sedere di nuovo al tavolo. Con un gesto delicato le porta un bicchiere di acqua, reggendoglielo mentre beve. È così,  che si comporta una figlia con la propria madre?
<< Dovete scusarla, mamma è diventata molto sensibile da quando Isildil è stato ferito. >> Odil le accarezza la testa, per poi passarsi una mano sul viso stanco. << È che stiamo passando le stesse cose provate quando Arien è morto… non sono stati momenti facili, ora come allora. >>
La donna annuisce, cercando nuovamente di alzarsi da sola, non riuscendoci. << Mia figlia ha ragione, dovete scusare questa povera vecchia sentimentale… ma sapete, ho avuto così tanta paura e ora sono così sollevata… Almeno questo figlio è stato risparmiato. Se foste stata qui con Arien, forse lui… >> 

Mi stringo nelle spalle, restando in silenzio. Forse, forse, forse… chissà,  se magari Olorin mi avesse portato prima a Minas Tirith cosa sarebbe successo? 
La madre di Odil si alza a fatica, appoggiandosi al tavolo. << Ma basta con questi discorsi. Sono diventata una pessima padrona di casa, ma è così tanto che qualcuno di così importante non viene a trovarci! Sedetevi pure… Restate per il pranzo? >>


Esco da casa di Odil con la pancia piena e un nuovo bagaglio di emozioni: la disperazione di una madre, la dolcezza dei suoi figli, la preoccupazione per il futuro che accomuna tutti… quanti sentimenti può ospitare l'animo umano, provandoli tutti nello stesso momento? Ariena, la madre di Odil, mi ha intrattenuto raccontandomi di Arien, il primogenito morto in battaglia, e dei suoi figli quando erano piccoli, le loro mascalzonate, come quella volta che Isildil si era calato nel pozzo per recuperare la bambola di Odil, senza saper nuotare. Solo lì, con lo sguardo rivolto al passato, la donna ha sorriso in maniera autentica, mentre Odil la guardava con un misto di tristezza e rimpianto peri tempi andati. La malinconia, quel sentimento così umano, in quel momento sfiorava anche me ed è tuttora nelle mie corde. Anche adesso, che varco le soglie del Palazzo dei Sovrintendenti, non mi ha del tutto lasciato simile allo strascico di un vestito bagnato.
Entro nella navata della sala grande, ed è lì che lo vedo: è seduto sul trono nero che era di suo padre, attorniato da consiglieri e scribacchini, le mani giunte davanti alla bocca in atteggiamento pensieroso. Al suono dei passi, Boromir alza gli occhi su di me e con un cenno congeda tutti, mentre mi avvicino lungo la navata. Non si alza finché non sono che a pochi passi da lui, sovrastandomi con la sua stazza. È completamente vestito di nero, dagli stivali alla camicia sotto al giustacuore in pelle, come unico ornamento una catena d'argento dalle maglie rettangolari che gli scivola sul petto. Il nero lo fa sembrare ancora più pallido di quello che è,  mettendo in risalto le occhiaie di chi non dorme sonno tranquilli.
Accenno un sorriso mentre gli accarezzo la guancia dalla barba non rasata, altro dettaglio rivelatore della sua stanchezza. << Ti porto i saluti di Odil >>, esordisco, << Mi sono fermata a pranzo dalla sua famiglia. Isildil è finalmente a casa, ancora convalescente, ma sta bene. >> Boromir annuisce, girando il viso è baciandomi il palmo aperto della mano.
<< Sono contento che si stia riprendendo. Avrei voluto fargli visita anch'io ma, come vedi, sono sempre attorniato da questi  consiglieri. >> Sorride ironicamente, per scendere i gradini del trono e mettersi sul mio piano. << Consiglieri… strano nome, per coloro che dovrebbero consigliare e invece richiedono continue soluzioni a me, che non so niente, di problemi che non ho creato io. >> 
<< A chi dovrebbero chiedere? Sei il loro riferimento. >>
<< Mio padre era il loro riferimento, non io! >> Scatta Boromir, esasperato. << Lui conosceva tutti i problemi di questa benedetta città: gli approvvigionamenti, le tasse, il sistema di pedaggi, la burocrazia, l'amministrazione della giustizia, le problematiche delle varie cerchie… io cosa so, di tutto questo? Niente. >> Mi da le spalle con aria corrucciata. << Assolutamente niente. Se solo lui fosse ancora qui… >>
Sorrido a questo suo sfogo. È così umano questo senso di impotenza, lo stesso che provo io davanti alla mia ricerca, mentre il dolore riempie ogni crepa dello spazio lasciato da Denethor. Boromir sente la sua mancanza, lo so, e non è la mancanza di un superiore, o di un capo, ma è proprio quella della figura paterna. Un altro tipo di dolore, diverso da quello di Ariena per Arien, più fresco e profondo. D'altronde, non sono passate tre settimane dalla morte di Denethor, e né  Boromir né  Faramir hanno avuto molto tempo per piangere il padre, presi dai loro nuovi doveri: Sovrintendente il primo, comandate di Gondor il secondo. Ancora una volta, mi chiedo cosa si prova a perdere una persona così cara... io non posso saperlo, ma posso provare a lenire il dolore.
 Con spontaneità appoggio il bastone al trono e abbraccio Boromir da dietro, faticando a serrare le mani sul suo petto. Lo sento rilassarsi un attimo.
<< Vedrai che imparerai tutto >>, cerco di confortarlo. << Tuo padre è morto all'improvviso, senza darti la possibilità di apprendere da lui la situazione della città. Tu eri troppo impegnato altrove e, diciamocelo, non ti è mai interessato particolarmente l’argomento… o forse ho sbagliato impressione? >> Boromir si gira tra le mie braccia, abbracciandomi a sua volta. Il suo sorriso ha perso tutto il sarcasmo di poco prima.
<< Diciamo che avevo altro da fare, invece di ragionare su quanto far pagare al mercante che viene dalle valli del nord per il mercato del giovedì nella prima  cerchia. >> Mi accarezza la testa, indugiando particolarmente sulla nuca con la mano, per poi sospirare. << Sono stato sciocco a non apprendere da mio padre abbastanza per regnare. Sciocco, cieco e sordo, a non carpire i suoi insegnamenti mentre era ancora vivo. >>
<< Io non direi che sei stato tanto sciocco >>, ribadisco decisa, << Perché se c’è ancora qualcosa su cui regnare, è proprio grazie a te e a tuo fratello. >>
Boromir sorride ancora, sciogliendosi dall'abbraccio ma tenendomi ancora la mano sul collo in una carezza. << Pensavo che se ne sarebbe andato lentamente, consumato da qualche malattia o dalla vecchiaia, con tutto il tempo per insegnarmi… o per poter farlo a qualcun'altro. E invece… >> Sospira, allargando le braccia e cambiando argomento.
<< Qualche novità su Mithrandir? >> Chiede, porgendomi il bastone e andando a sedersi nuovamente sul trono.
<< Nessuna, ahimè. Non so più che cosa pensare, sono quasi tentata di scrivere a Isengard per chiedere ragguagli sulla sua situazione. >> 
<< Credi che sia in un qualche pericolo? >> 
Annuisco, riluttante. << O è in viaggio o è in pericolo, anche se la seconda opzione è più probabile della prima. >> Sospiro, preoccupata. << Non so davvero cosa pensare… >> 
Boromir sta per chiedermi qualcosa, ma si trattiene. So che vorrebbe chiedermi delle mie ricerche, ma non lo fa: non vuole mettermi pressione, quindi inizio a parlarne io.
<< Le mie ricerche non stanno portando a niente >>, sbotto, << Almeno, tu hai un punto di partenza da cui iniziare, mentre io… io… >>
Un’intuizione mi attraversa la testa come un raggio di sole.
Il punto di partenza.
L'inizio di ogni cosa, anche nelle mie ricerche.
Come ho fatto a non pensarci prima?
<< Dimmi >>, esordisco, << Che tu sappia…nella biblioteca è conservato qualche scritto di Isildur? >>




L'angolo della biblioteca in cui sono riuniti gli scritti dell’ultimo re di Gondor è quello più buio e nascosto, nonché dimenticato dai più. Queste carte non sono consultate da anni, e giacciono in un pessimo stato di conservazione. Arrotolate, spiegazzate, macchiate di umidità e rosicchiate dai topi, le pergamene hanno l'inchiostro scolorito dal tempo e a tratti illeggibile, ma io finalmente so cosa cercare.
Come ho fatto a non pensarci prima? Eppure avevo l'avvio della pista per scovare l’Anello proprio sotto il mio naso: Isildur, ultimo Re di Gondor, è stato l'ultimo proprietario dell’Anello, o almeno l'ultimo a vederlo…avrà lasciato una qualche impressione in merito! O almeno, questo è quello che continuo a ripetermi, mentre sfoglio e cerco di decifrare le parole scritte secoli fa con una nuova foga.

Finché la trovo.
Mi alzo con le ginocchia rigide e la schiena indolenzita, avvicinandomi al fuoco appena ravvivato per meglio leggere e comprendere. La pergamena che ho tra le mani è stata scritta quando la città si chiamava ancora Minas Anor, tremila anni fa, da Isildur in persona.
 

"Il Grande Anello apparterrà d'ora in poi al Regno del Nord; ma a Gondor rimarranno alcuni documenti in proposito, nel caso che un giorno il ricordo di una questione importante fosse offuscato, poiché anche qui vivono gli eredi di Elendil."



<< E meno male che ci hai pensato >>, mormoro tra me e me, tuffandomi alla ricerca del segno distintivo dell’anello Sovrano.












Dulcis in Fundo.
Ciao a tutti! Come state, cari lettori?
È da un anno che questa storia non viene aggiornata, vuoi un po' per mancanza di tempo, vuoi un po' per mancanza di ispirazione, vuoi un po' perché la vita va così.  Fatto sta che adesso questa storia la voglio concludere, e ce la metterò tutta per farcela: Annael è un personaggio che mi piace troppo per lasciarla così,  a languire nel limbo delle cose non finite… vediamo di farcela! A presto ragazzuoli!

 

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Capitolo 14
*** .XII. ***



                 Minas Tirith di notte odora di legna da ardere e brina, l’unico odore che senti quando fa così freddo da essere gelato per terra. Dovrebbe essere primavera, e le gelate notturne un lontano ricordo dell’inverno, e invece quest’anno il ghiaccio sottile attanaglia ancora i boccioli sugli alberi e fa tremare le guardie sugli spalti. Anche io ho i brividi, ma non è per il freddo: è perché finalmente so.
Esco nell’ora più buia prima dell’alba, diretta alle mura della Cittadella, pronta a lanciare un segnale a Olorin: se agli altri miei messaggi non ha risposto, per motivi a me imperscrutabili, a questo sicuramente non potrà tacere. Corro sulle pietre del selciato, lasciando che le guardie osservino stupite la mia tunica leggera, mentre io non penso che a quell’unica, singola frase, che sono pronta a sussurrare al messaggero che ho evocato in tutta fretta. Arrivo alla muraglia e mi fermo, ansante, guardandomi attorno tra sbuffi di aria condensata, quando un movimento attira la mia attenzione: una falena si muove appena accanto la mia mano. La faccio salire con delicatezza nel palmo e la avvolgo nelle mani a coppa, scaldandola con il mio fiato.
<< Il segreto è racchiuso nel fuoco >>, le sussurro, la voce che trema di emozione. << Dillo ad Olorin, e solo a lui: il segreto è nel fuoco. >> Trattengo la falena ancora per un po’, sentendola via via farsi più viva nella mia presa, per poi lasciarla andare oltre le mura, finchè non si perde nel buio della notte. Prego con tutte le mie forze che trovi Olorin e gli comunichi il messaggio e non sia l’ennesimo fiasco nel contattarlo.
Quanto lo vorrei vicino a me? E quanto sono fiera del mio lavoro? Ci sono voluti sessant’anni di ricerca, ma alla fine ho trovato l’Unico, anche se il successo è mio solo per metà: Olorin ha trovato l’ubicazione dell’Anello, mentre io ho solo trovato il modo per smascherarlo. Finalmente è fatta.
E ora? L’euforia inizia a scemare in vertigine.
Ora che la mia cerca è conclusa, cosa devo fare? Anche il mio apprendistato è concluso? Conscia di non avere più uno scopo deciso da altri, posso trovare una strada che sia mia e solo mia?
Le domande mi perseguitano per tutto il percorso a ritroso, fino alla biblioteca, dove mi fermo davanti alla porta. 
Dovrei forse comunicarlo a Saruman? E cosa posso dire a Boromir? Olorin mi ha vincolata al segreto, ma dovrò pur dire al Sovrintendente che non ho più bisogno di restare chiusa in biblioteca giorno e notte, privandolo dei miei consigli.
 Senza neanche saperlo, sono davanti alla porta della sua stanza.
Non si è ancora trasferito in quelle del padre, e da sotto la porta vedo filtrare della luce fioca. Presumendo che Boromir sia sveglio busso piano, ma nessuno viene ad aprirmi. Imbarazzata e anche un po' delusa, mi avvio alla mia stanza, quando sento rumore di passi e la maniglia cigolare. Boromir ha gli occhi socchiusi e occhiaie nette, una coperta di lana gettata sulle spalle a guisa di mantello.
<< Cosa succede? >> chiede con la voce impastata dal sonno, anche se quando si accorge di chi ha davanti si fa un po’ più attento.
<< Ho concluso la mia ricerca >>, gli comunico in un sussurro eccitato, prendendogli la mano. << Ho trovato quello che cercavo >>.
Improvvisamente, la sua attenzione si accende.
<< Davvero? >> esclama, per poi guardarsi attorno. << Non restare sulla porta >>, bisbiglia, << Non sono cose di cui parlare in un corridoio. >>, aggiunge, per poi lasciarmi passare e chiudersi la porta alle spalle.
 
                                     La stanza replica la struttura della mia: il letto a sinistra della porta, una finestra con sotto una scrivania, una panca ai piedi del letto, un caminetto con davanti due poltrone e uno sgabello. E’ semplice ma disordinata, soprattutto la scrivania, che è coperta di pergamene, mappe e bicchieri, un po’ come il letto.
<< Perdona il disordine, da quando Isildil è stato ferito non ho più un valletto degno di questo nome >>, accenna mentre impila le carte e accumula i bicchieri sullo scrittoio già ingombro. Mi fa cenno di sedermi su una delle due poltrone accanto al caminetto e io accetto con piacere. Con un guizzo delle dita ravvivo le fiamme, che ora crepitano più allegramente.
<< Non mi abituerò mai a questi tuoi scherzi >>, afferma Boromir versando un bicchiere di vino. Me lo porge, ma diniego, lasciando che tra le mie mani compaia una tazza di the fumante. Lui scuote la testa, sedendosi davanti a me.
<< Quindi? >> mi chiede piegandosi in avanti, sorseggiando il vino.
<< Quindi è fatta. >> Concludo, asciutta, indecisa su quanto e cosa rivelargli.
Lui ridacchia. << Davvero sei venuta a svegliarmi, nel cuore della notte, per dirmi che hai concluso la tua ricerca con un “E’ fatta”? Voglio i dettagli. >>
Improvvisamente, mi rendo conto di quanto devo essergli sembrata sfacciata.
<< E’ notte! >> Esclamo, anche se è ovvio, << E tu dovresti dormire! Sono mortificata… ne riparliamo domani mattina. >> Mi alzo di scatto, ma Boromir si alza con me e ci fronteggiamo.
<< Perdonami >>, chiedo arrossendo, << Giuro che non ho minimante pensato al fatto che tu potessi dormire … Sono così entusiasta che non vedevo l’ora di dirtelo, e così … >> Boromir scuote la testa con aria bonaria, accarezzandomi la guancia. << Sei gelata >>, afferma, cambiando discorso e facendomi passare la coperta sulle spalle. << Non devi preoccuparti per me e il mio sonno, e posso capire anche il tuo entusiasmo, solo che vorrei farne parte appieno. >>
Tace, poggiandomi le mani sulle spalle. << Che cosa hai trovato, Annael? Qual’ è il tuo scopo a Gondor? >>
Questo è un momento di svolta, lo comprendo solo ora.
 Se parlo con Boromir, farò una cosa di mia volontà e, per la prima volta da quanto sono su Arda, verrò meno ad un ordine datomi da un superiore. Ma quando Olorin mi aveva vincolato alla segretezza non avrebbe mai immaginato che potessi familiarizzare così con gli uomini, per non parlare del sentimento che mi lega a questo uomo in particolare.
Mi lascio abbracciare da Boromir, la testa appoggiata sul suo petto, per un attimo combattuta fra l’Annael apprendista e ligia al dovere e questa nuova Annael, che ancora sto imparando a conoscere.
<< Mi fido ciecamente di te >>, gli sussurro dopo un tempo che sembra infinito. Traggo un profondo respiro e lo guardo in faccia. << Ho scoperto come svelare l’Anello del potere. >>
Boromir mi scosta da sé, fissandomi  a sua volta.
 << Ti riferisci al Flagello di Isildur? A quell’oggetto? >> Bisbiglia, sorpreso. << Ma non è andato perduto? >>
<< Così credevamo tutti fino a qualche tempo fa >>, affermo, << Ma Olorin sostiene di averlo trovato, ma prima di rivelare la scoperta voleva essere sicuro. >>
<< Ed è questo che hai sempre cercato, qui e a Isengard? >>
<< Esatto. >>
Boromir si allontana, passandosi le mani tra i capelli, l’aria assorta di chi sta calcolando strategie  epiani. << Ed è lontano da qui? >> chiede, indicando con le mani fuori dalla finestra. << Ma soprattutto, cosa sanno a Mordor di questa storia? >>
<< Posso affermare che è dall’altra parte del mondo, in un luogo che nessuno dei due conosce e che spero resti segreto ancora per moltissimo tempo. >>
<< Hai già parlato con Olorin del tuo risultato? >>
<< Gli ho mandato un messaggero, non un messaggio nel vento. Se sta bene, avremo sicuramente sue risposte. >>
<< Non ne hai avute prima, perché credi che le avrai ora? >> Sbotta.
<< Boromir, questa scoperta è l’avvenimento più importante della mia vita, forse anche di quella di Olorin. Sono certa che risponderà. >> Mi stringo la coperta addosso, improvvisamente stanca. << Anche perché ora sono io ad avere bisogno di risposte. >>
<< Di cosa parli? >>
<< Ma di me, non ti sembra ovvio? >>
La legna nel caminetto scoppietta un po’ più forte, unica spettatrice del nostro confronto.
<< Quali risposte vuoi? >>
 Mi siedo di nuovo sulla poltrona, fissando il fuoco. << Cosa ne sarà di me, per esempio. >>
Boromir si avvicina, torreggiando su di me. << Vorresti tornare a Isengard? >> Le parole gli esco strozzate dalla bocca, penso che gli costi molto farmi questa domanda.
Scuoto il capo, sorridendogli di cuore. << Questo mai. Nonostante sia qui solo da qualche settimana, sento queste posto molto più casa di Isengard, anche grazie a te. >>
Boromir si inginocchia davanti a me. << Davvero? >>
La luce dei suoi occhi è magnetica  emi attrae come una fiamma fa con la falena.
Mi chino verso di lui e gli sfioro le labbra. << Certo. >>
Lui si alza e si appoggia ai braccioli, schiacciandomi contro lo schienale e ricambiando il bacio con foga. Lo tengo per la nuca, quando sento che con una mano mi afferra un seno. Sobbalzo, sorpresa, e lui fa altrettanto.
<< Perdonami, non volevo infastidirti … >> esordisce, ma lo zittisco con un nuovo bacio, prendendogli le mani e poggiandole a mia volta sui seni. << Lo voglio >>, gli sussurro sulle labbra, disfando il nodo che chiude la scollatura della veste.
<< Voglio tutto. >> Dico, arrossendo, sorpresa della mia audacia.
 Boromir mi fissa con aria sorpresa, alzandosi. << Sei sicura di quello che mi chiedi? >>
Annuisco. << Sono stanca di essere sempre ponderata >>, ribadisco alzandomi a mia volta. Lascio che le spalle mi scivolino fuori dallo scollo della tunica, per fermarsi appena sopra i seni. << Questo è il mio primo atto preso in autonomia. Per una volta, voglio decidere io, e la mia decisione è questa: voglio … vorrei amarti, sempre che tu lo voglia. >>
Boromir è evidentemente colpito da queste parole, ma sfugge al mio sguardo.
Si scosta,e io ne resto delusa.  Che abbia sempre frainteso tutto? << Non è quello che vuoi anche tu? >> 
<< Io so quello che voglio, ma tu sei sicura? >> Mi domanda ancora una volta, standomi lontano. << Non so se lo comprendi, ma presto o tardi il Tempo mi coglierà come un fiore dal campo, se non lo farà prima la guerra. Non voglio che tu soffra a causa mia. >>
<< E quindi? >> Replico dolcemente, facendo un passo avanti. << Per questo motivo, non dovrei vivere il tempo concessomi al tuo fianco? Solo perché prima o poi finirà? A maggior ragione devo sbrigarmi. >> Lo avvicino, accarezzandogli la guancia irta di barba. << So che cosa sei, Boromir, e sono cosa sono io, ma voglio dimenticare tutto. Facciamo solo che siamo una donna e un uomo che vogliono stare insieme per qualche ora, o per tutta la vita, questo lo decideremo assieme vivendo. >>
Cerco i suoi occhi, trovandoli nella penombra. << Vuoi passare qualche tempo con me, uomo di Gondor? >>
Il suo bacio non ammette repliche.



... AND HERE WE ARE.
Ciao bellezze, come state? Alla vostra Nini va tutto bene, anche se è da più di un anno che non mette mano a questa storia ha sempre nella mente la sua Annael e il suo destino, legato a doppio nodo con quello dei Capitani di Gondor. Ora che la sua cerca si è conclusa, sta a lei capire cosa fare di se stessa e della sua vita...diciamo che per ora le sue intenzioni si rifanno ad una notte sola, La Notte per eccellenza.
Detto ciò, spero davvero che qualcuno abbia ancora piacere a leggere questa storia e a farmi sapere che ne pensa...rispetto ad un anno fa, ho già scritto gli altri capitoli ed "imbrigliato" la trama, quindi dovrei DAVVERO finirla- ma mai dire gatto finchè non ce l'hai nel sacco... detto ciò, vi saluto.
un bacio a tutt*
Nini.
 





 

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Capitolo 15
*** .XIII. ***



 
                                     In sessant’anni di ricerche sui libri, non ho mai trovato nulla riguardo i rapporti intimi tra uomo e donna. Questo fatto ha scatenato l’ilarità di Boromir, deciso a farmi da maestro e che, nel giro di qualche ora, è riuscito a darmi tanto, ma non tutto.
 << Per quello, ci vogliono ore e ore e ore, e un’ampia conoscenza del corpo dell’altra persona >>, ha sostenuto mentre mi stringeva tra le braccia, nuda come i Valar mi hanno plasmata. Anche lui è nudo, ed è così che ho imparato più cose dell’anatomia maschile in una notte che in una vita intera. Alla luce del caminetto, ho osservato come è fatto il corpo di un uomo, e ho contato ogni singola cicatrice sul corpo di Boromir, comprese quelle più recenti.
<< Sei un campo di battaglia >> commento, accarezzandogli la schiena come si fa ad un gatto, soffermandomi su una cicatrice bianca e spessa alla sua base. << Questa sembra dolorosa. >>
<< Questa è il motivo per cui devi sempre avere cura di finire un nemico, di qualsiasi natura esso sia >> sostiene, raccontandomi di come gliela avesse procurata un orco di Mordor che aveva lasciato tra la vita e la morte, credendolo troppo debole per nuocergli. << Il bastardo è morto da solo, ma non prima di aver cercato di trafiggermi sotto l’armatura con l’intento di ferirmi a morte. >> Scuote la testa, amareggiato. << Ho rischiato di non potermi più muovere, per colpa di questa ferita. >>
Mi chino a baciare la cicatrice, per poi risalire la schiena con una striscia di baci, lasciando che i miei seni scivolino sulla sua pelle, fino a stendermi completamente su di lui. Ogni singolo contatto sono faville che si propagano giù, nella parte bassa del ventre. Si tratta di un nuovo tipo di incendio, ben diverso dalla fiamma del sapere che mi ha arso per sessant’anni: quella l’ho alimentata con la costanza che si ha verso un fuoco sacro; questo incendio, invece, è più simile ad un fuoco d’artificio, qualcosa che vorrei vedere crepitare ed esplodere e infine tornare ad ardere ancora e ancora. Boromir mi ha spiegato che questi momenti non sono altro che il preludio a qualcosa di molto più soddisfacente e piacevole, proprio quell’incendio che tanto vorrei appiccare, ma stranamente lui vuole essere cauto.
<< Non sei una donna come tutte altre >> sostiene, per poi scuotere la testa con aria divertita. << Diamine, probabilmente non sei nemmeno una donna nel senso stretto del termine! È per questo che voglio andarci piano. >>
<< Paura di essere incenerito? bada che stai promettendo molto. >> Mormoro ironica, baciandolo con foga. Lui ricambia, mettendomi sotto e bloccandomi i polsi, l'aria vittoriosa. << Non avrai motivo di incenerirmi. >>
Cerco di mordergli le labbra, ma lui sta già scivolando giù, sempre più giù. Mi guarda ancora un attimo, baciandomi il morbido interno coscia.
<< Il vostro piacere è il mio piacere, signora. >>
Ed è subito paradiso.
 
                                     Ci siamo assopiti entrambi quando possenti colpi alla porta ci svegliano di soprassalto. Siamo ancora nudi e avvolti nelle coperte, le ultime braci crepitano nel camino e fuori dalla finestra filtra la livida luce dell’alba. Boromir si alza, nudo, e va ad aprire, mentre nell’aria inizia a spandersi uno squillare attutito di campane. Quando la porta si apre, il rumore è molto più forte.
<< Guai ad est, signore! >> Riporta la guardia alla porta, per niente imbarazzata dalla nudità di Boromir, << E’ meglio se venite ai camminamenti. Ho cercato anche la strega, ma la sua serva sostiene di non averla vista rientrare da ieri sera. >>
<< Sono qui >>, intervengo senza farmi vedere mentre mi sto rivestendo in tutta fretta. Boromir accomiata la guardia con un cenno e si riveste con me.
<< Questa è una malefatta di Morwiniel, sicuro come il sole che sorge ad est! >> Sbotta infilandosi la camicia senza slacciare il collo, << Finalmente si è fatta viva, quella  cagna. >>
<< Avrei preferito che rimanesse eclissata >>, ribadisco, << Ma era ovvio che prima o poi sarebbe tornata. Ma perché proprio ora? >>
Boromir si infila il farsetto e stringe le cinghie, per poi allacciarsi la spada in vita.
<< Non lo so, ma non promette niente di buono >>,
Siamo entrambi pronti e ci guardiamo, mentre fuori dalla porta il mondo sembra impazzire. Boromir lascia indugiare lo sguardo su di me, per poi baciarmi in fronte.
<< Oggi potrei morire >>, inizia, posandomi un dito sulle labbra per fermare la mia protesta. << Ascolta: oggi potrei morire, e anche tu immagino, ma farò del mio meglio per restare vivo. Fallo anche tu, per favore. >>
Sorrido, per poi baciarlo sulla bocca. << Farò del mio meglio. Ricordati che hai ancora delle faccende in sospeso con me. >> Appoggio la fronte alla sua. << Che i Valar ci proteggano entrambi. >>
 
                                     Fuori regna il caos: nei corridoi la servitù salva il salvabile portando oggetti preziosi dalle camere alle cantine, in un via vai continuo e indaffarato, mentre la luce crescente mette in mostra  i visi terrorizzati delle persone. Intanto, le campane della città continuano a suonare l’allarme come impazzite.
Seguo Boromir nella sala grande, dove sono riunite le guardie della Cittadella e i vari ministri. 
<< Signori >>, saluta Boromir con aria sbrigativa, << Che cosa sta succedendo? >>
<<  Osgiliath è sotto attacco >>, risponde una guardia dagli occhi spaventati. << E’ una cosa che si deve vedere, non si può spiegare a parole. >>
Mentre tutti escono, mi sento chiamare. E’ Odil che mi viene incontro: ha tra le mani il mio bastone, una sopratunica rosso mattone e un farsetto.
<< Mia signora! È tutta mattina che vi cerco! >>  Dai suoi occhi sgorgano lacrime spaventate, ha un’espressione così angosciata che non riesco a trattenermi dall’abbracciarla. << Sono qui, ora. Non devi avere paura >>, le dico cercando di essere convincente, << Riusciremo a vincere anche questa battaglia. >>
Odil annuisce, cercando di ricomporsi, e mi porge la sopratunica in lana. << Fa freddo fuori, prenderete un malanno ad uscire così >>, sostiene, per poi infilami dalla testa il farsetto. Passandomi anche il bastone, mi sposta i capelli e mi stringe i lacci sulle schiena. Mi schiaccia i seni, ma non ci faccio caso. Guardo la sommità del bastone, la cui pietra brilla come animata da una fiamma viva. Lo so che cos’è: è il potere che sento crescere in me. Lo sto catalizzando nella pietra, per conservarlo e rinforzarlo. Non me l’ha insegnato nessuno, lo so e basta.
Con un ultimo strattone Odil chiude il farsetto, per poi tornare davanti a me. << Farete attenzione? >> Mi chiede.
Non trovo di meglio da fare che abbracciarla ancora.
<< Farò del mio meglio. Tu vai dalla tua famiglia, stai con loro. Se le cose si mettono male, cercate di sopravvivere. >> La guardo andare via, per poi dirigermi fuori. Ad ogni passo, scintille si formano nell’aria attorno a me, crepitano nel terreno dove il bastone tocca. Non so cosa aspettarmi, ma sono pronta a tutto per difendere quello che amo.
 
                                     I rintocchi delle campane riempiono l’aria della città, ma non c’è altro rumore, solo un forte odore di bruciato. Sono tutti affacciati sugli spalti, mentre un fumo scuro si spande dal basso e sporca il cielo grigio. Vedo Boromir circondato dai suoi uomini e lo avvicino. Trattengo il fiato mentre i miei occhi si riempiono di orrore: Osgiliath brucia come un orribile falò.
<< Valar tutti abbiate pietà… >> Sento mormorare alle mie spalle. Inspiro l’aria greve di fumo, quando i miei occhi sono attratti da un movimento: dalle fiamme della città si muove qualcosa.
<< Guardate! >> urlo alzando un braccio, mentre sciami di punti scuri si muovo dalle rovine alla volta delle mura. Alcuni integri, altri in fiamme, corrono con aria dinoccolata attraverso i campi. Anche dagli spalti sottostanti si odono grida di stupore e orrore. Una improvvisa consapevolezza mi attraversa la mente.
<<  Infetti! >> Esclamo, prendendo Boromir per il braccio. Lui alza le sopracciglia, sorpreso. << Sono infetti, Boromir! Se entrano, è finita. >>
<< Le porte sono ancora chiuse, mio signore >>  Interviene una guardia.
<< Rinforzatele. >> Ordina Boromir, stringendo i denti. << E se Faramir fosse tra loro? Possibile non ci sia nulla da fare? >>
La luce del mio bastone scintilla più forte, alcuni soldati fanno un passo indietro con timore reverenziale. Anche Boromir gli lancia una occhiata.
<< Farò tutto quello che è in mio potere per salvare più vite possibile. >>
Prendo un bel respiro, passando il bastone a Boromir e mettendomi in piedi sul muretto della terrazza. La vertigine mi assale, ma con un altro respiro mi mantengo in equilibrio. Boromir mi passa il bastone e io lo prendo, tenendolo alto sulla testa.
<< Odimi bene, schiavo del male, servo di Morgoth! >> inizio, lasciando che il potere accumulato nel bastone si spanda. La mia voce è come un tuono sulla città.
<< Odi la voce della protettrice di Gondor! Io sono lo scudo di Gondor! Che l’ira dei Valar si abbatta su di te se ci farai del male! >>
Riapro gli occhi, per vedere una cupola diafana scendere sulla città dall'alto fino alle sue radici, giù nel Pelennor. << Questo dovrebbe tenerli a bada per qualche tempo >>, dico a Boromir, mentre sudori freddi mi scorrono sotto la tunica. << Chiunque abbia addosso il marchio di Morwiniel non passerà questa barriera. >> mi sento annaspare, il peso di questo sortilegio è enorme ma so essere necessario.
<< E ora? >> chiede Boromircon aria preoccupata.
Sto per rispondergli, quando dal falò di Osgiliath si alza in volo un drago di fuoco. Tutta la città manda grida di stupore e paura, anche io vacillo. L’essere dalle possenti ali viaggi a grande velocità verso di noi, mentre la sua gola si arrosa fino a diventare incandescente.
<< ABBASSATEVI! >> urla Boromir, mentre io alzo ancora una volta il mio bastone.
La fiamma si infrange contro la cupola, incrinandola appena, ma senza passare.
<< Io reggo la fiamma di Anor! >> Recito, mentre la cupola diventa via via più opaca man mano si rinforza. << Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla! >> Vedo che sulla groppa del drago c’è una figura famigiare.
<< Morwiniel! >> La chiamo a pieni polmoni. << Torna da dove sei venuta! >>
Il drago sputa ancora del fuoco, ma è come acqua su un bicchiere di vetro. La donna mi guarda attraverso il vetro, per poi far dare un possente colpo di coda al drago, così forte che mi sembra di averla ricevuta io stessa. Mi sento la testa rintronare, ma faccio attenzione a non traballare.
<< Tornerò dal mio signore Sauron >>, inizia con una profonda voce maschile, così prondoa da far vibrare i timpani, << Solo quando mi avrai detto dove si trova. >>
Il cuore salta un battito. Poi un altro. << Non so di cosa parli. >>
<< Io credo che tu lo sappia, esattamente come il tuo messaggero. >>
Boromir mi stringe la caviglia apprensivo. << Tutto quello che hai scritto a Mithrandir… >>
<< … E’ sempre stato intercettato. >> Conclude Morwiniel per noi.
Il drago da possenti unghiate alla cupola, ma il mio sortilegio è più forte.
L’ira mi avvolge come una fiamma con uno stecco di legno: maledetti bastardi! Il drago tocca la cupola per l’ultima volta, per essere avvolto in fiamme azzurre così intense da farlo strillare di dolore. Il cielo sulle nostre teste si scurisce velocemente, fulmini si abbattono nei campi fuori dalla città, mentre il drago si schianta al suolo dissolvendosi in una nuvola di polvere color cenere.
Morwiniel, niente più che un puntino alla base della cupola difensiva, mi lancia un’occhiata di sfida.
<< Non reggerai in eterno questo sortilegio. >> la sua voce è di nuovo quella conosciuta da tutti, suadente, ed è nelle teste di tutti noi. << Prima o poi cederai, e allora sarà la fine. >>
<< A quel punto sarai morta >>, ringhio, << E assieme a te tutti i tuoi servi. >>
<< E come conti di farlo, mocciosa? >>
<< Adesso vengo lì e ti faccio vedere. >>
 
 
Nota: ciao bellez*
Come vedete, non siamo lontani dalla fine, tutt’altro! Bastava davvero così poco per concludere questa storia…ah! I capricci dell’ispirazione! By the way, che ne pensate? Troppo game of thrones? Un po' troppo Harry Potter? Un pochito? Abbiate pietà orsù! A me piace così  tanto >____<

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